| {RCUL pi CIT, «€ € amd ME @ 2 6‘ (UTO i UU pa € Cha, “€ ; Ss ae CD o_ (OUT. dall DICE OM WI MA MOMO UA MHT OCA [ae (MA .€(€ «MM ; — = s p° I a! IN } Pi LS A % i; "i Ss È DI de +9 sn da aa l Na i Pi mu le ( 228 ARPA = > | am [— È FAI Ue PA AE pes SIE 0 at / CS AMAAMAAS NR R Da Pa) 1 PS JA fr” ta g\ % NAACC À Sa (=) AA DR xv AN AAZA AR SE TU «(4 a (qlla EN A AA AMARA A - - dq GET € iQ CT Week Cai can ld SA 6 E A | À ® A Vai 7° N Na B; Lalla ii è pal. A nia a 4 afi Giù 1° NV 9 Ana A RS 2 DA r eta de ® Vial” pi i” aZZaa PV a.0a N 7. ga =} è ee SG Ab dA A pra I » ay! S Can n aaa ARA "Que CaCOX UOMA ( L( (CA sd 4 Pi a DA A (| Alf S «a Pu S & D%a AR 55 Pa I RAR 5 AD CPP ES n N 2 [o ai m_ A E xfN ARA: £ ai 7 po i A NS N 2 = x A Po N n Lam al in A Na N 3 e I Di i sn AyAA A i | N A Là Pay == da tut. Sb @; I Mm ai AA AR AA AA AAA A ( Za gi -— “ma = È d AA AS RARA NYA AA AA p° sa a © È 2 3 N aa ANSIA A = 2 a &r. # i A » "*——è nn li das LL» WI K «UT €. Tq die «@GUrcT ( I x (@ GAT «te Ld' AS Lee d GAM Li ££ -— € €((C€è (E Gua ll EM & € CIACET TU ra CA € ( (@ n ell € ( ( CO re Cer CC e GM a d ( ( ( dec «ae «(CE ‘Cla ra CC GI << UT CT di € Ge Si ‘ C( { l'IT di C Tea“ € \ C( € Cl AMT € @ n La GM LC 0 € N < dd € ce TU TIT € A LC UG Cc € Ù TUC € Tac «ME Cia € . Ci max dll TM Ceo < i «e LU € t4 Wi TAC: & i ii <« €: 0T © ele @ e Tx ‘(€@<€, «Li la Ca la(0 & i < ra n cala lil (0.0 €. < MIT CET ATO TC ULI € |, al I MCT AE CC Cd < di e L € A CHUT (CT (MEI sr .(. C GSS TI 4 _ de dd Gi A( Td CA i I € da a KHUO CU a (ced OOTT ra TqTa Teli, «« TOM (. c (TX CC (7 «dla Cio (AG dir ((/ “1 1° (a MUC MCTC ar 1 Aa LTTCATE lg A t< E CE dl TG Lal Ter d(q ( C CAT MIC KAT dCI IU i e. € (le CIOT CCC qa Cus € (AE A O CEI CT i (OC («4 TUC O Qt Mi CO aa CT MIT « OC ECC aa “€ CU Cc € «e Cs SK Ce ca MK «€ TU «€ Il da O € i ce. («dl (( € (CE e € MAM «€ € «GT Cl & en Cl € « @ [CT CO: € € Le CA GA (È G_ pic «a f, uc € & i (e, (0 vii (CCM TT: «€ — A sa € CCL Ta Td. @ x: (n € ((0€ @ UG CRI MUSA UK i (Cal a; CT CA cd cura dl TT dc OTO Ci i 0° ®" «= euSoo Sie. See er +. gen n. enne, GR MU QUI < TR UG «AQ CT Gar LL Quarta a ra Tear «GU 4 mae «(Tq CK ME VE GU SC dTLEMT TT rgg (| «(1 E CA GM T GI CC GIEGUI TE eur TE «l@ a CC QI Gc CUMGIT TT eurog de Rd da ne € MC TAC Ca gra ql _C (Co « è. (i «& € (CC CC € (8 GCT. € dl Cu Dic: ‘ Cqe € a duri ST A lar (CA E < «€ au «€ 2 CCC «| #0. (CIC € € _(C(@ ((C (C ( € Cu Cet Ta | MEA Gi ue 4 MOT TA UTO Cuce ca << ; ur ia «' itua «« Tini Sa qa sd ca ci Li ca «i CHO lc cl@iua “(| qui dl (€, € TTT € TOSI Ea ae MOLA & Tail dl LAGO CU SC Ù CIC c CET TA @ (CC. (Me neT &C, {Ca “de € «Cc ( (CCU AU i € CO T, «ERE A CA CC K€ Cc _ dar Cd (4 ci Cia Ce «a oc CA CE «i «ll INT i 1 Ce d «€ È € rr 4 CA SCO LAKACESE E € Ii SU dil (Ta (A € COME dd Ul ML c Cu CUT de UTE OA TT 0 aa (CTLAT TAI MUC IC TEMI a aa DUCE TOA € CO Dx ATTACCO € [A ( ( CE C(C€ € (CIC UT € r CCI O CT ( (i (AC: ld p [ACGAtA (A (CKTC TUT IT KCT TACMIKM « ar, «0 (TACCO EC UT CO AGES e ra CC CATA Ca MET adi rlr Ce KIM re (ACE (A MU «TC Car GI d'a. EC 14 (AAT UOC € Mi CA TEO Cer do MM € ATE Ca qe e a A (I GIGI (QU «( TT TMC « a? OY ( Ria (MUC € cl dual (did di {&6 di ‘ Ma € CATON (€ «GT LC a Tg a, CAO _GEE ur.T € Ax CO TACCO (CE CCC & aUsr$ GU «. «Ei (CE CA (@&@. (ca alc € CIC € ( (ara Td Gare ao a a Ae‘ e un € (XX GU a (CC MU TACCO T «MU my Gore i ( da (CE € (eci di ‘CÈ Gugr Le ( (( (€ € CC € + € € L € | ( «&< € —}- SI ( a GU CM LI E ICE T TE rag CK Cl UOC CL AE Cd ®< E tuT4a la ra C GX Lc CUEMT TT eurag «0 Tad aa ue («€ OC €«ITETT Ce gror q( _Criona a (gi_cCi CCC C( (€ € € CAT € Le (4 € dla Id « (A LC (UA GT € «e dp È 2 CCA «| &. ( € (CC € ‘ € ETA € ‘(€ € ( GU € Cat d € n e MC.C L_€ { “( (| È , _@ (€ €. CC [CA Udi < Tae r Na to ( a @ \\ 0. «Ci “du < Cd (UU, aa AQ = ’ ax € le (e, @ (4 E Li GUGST Tac «ia (ce rav "ia a Dà ca a (€ ; (TOT C Ta@ PA & l STLC CLI E Cdl de CORTE ALE AL aim @ Cl CCC did Ta a are YI | GR Mt ail È RIILTO Varo 5 1 nt a [Ra | ATTI | REALE ACCADEMIA DEI LINCEI | ANNO CCCXVII. 1920 RR UO EN RIA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. è Seduta del 18 gennaio 1920. Volume XXIX.° — Fascicolo 10920 1° SEMESTRE. SUAAZA ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIE!À DEL DOTT. PIO BEFANI 1920 Li vt ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I Col.1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltrei Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due, Classi. Peri Renpiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del l’Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 9 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a pagine 41/2. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci s Corrispondenti, e 30 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se | Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II I. Le Note che oltrepassino i limiti indî- cati al paragrafo precedente. e le Memorie pro- prismente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della, Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta a stampa della Memoria negli Atti dell Accade». mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. î ‘ 3. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta, pubblica nell'ultimo in seduta segreta. © - — 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. : 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie; se Soci o Corrispondenti ; 80 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. se ga e Ga DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCCXVII. 22 SERE QUO ENEA: RENDICONTI «Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. VOLUME XXIX. 1° SEMESTRE. ROMA “TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1920 di uan hi - KS al ? % RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. x ARAAZERAIG Seduta del 18 gennaio 1920. A. RòrtI, Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Fisica. — Un dispositivo da laboratorio per la produzione di correnti continue e costanti di alta tensione. Nota del Socio 0. M. CorBsINO. Il costo sempre crescente del materiale elettrico rende oramai quasi proibitivi, per un laboratorio non eccezionalmente dotato, i noti sistemi de- stinati alla produzione di correnti continue ad alta tensione; î quali del resto, nel caso di tensioni molto elevate, erano già nel passato di difticile installazione e conservazione. Si ricordano, ad esempio, le cure penose ne- cessarie per tenere in ordine le batterie di piccoli accumulatori, quando ne occorra un numero molto grande per avere tensioni costanti di una diecina di migliaia di volta. Credo quindi utile di riferire sui buoni risultati di un dispositivo da me realizzato, e che permette di risolvere senza grave spesa l'importante problema. Si tratta dell’applicazione all'alta tensione di un concetto già utilizzato da me per trasformare una corrente trifase di bassa tensione in corrente continua, e che consiste nel raccogliere con un conduttore rotante al sinero- nismo la tensione delle tre fasi nei tre intervalli di tempo successivi e adia- centi durante i quali essa tensione presenta la cresta positiva rispetto al neutro. L'utilizzatore, interposto fra il conduttore rotante e il neutro, sarà così sottoposto a una tensione ondulata, rappresentata nella tig. 1; le altre arcate consecutive derivano successivamente dalle tre fasi. Una self potente, traversata insieme con l'utilizzatore dalla corrente continua ottenuta, compie ETA la funzione di attenuare quasi del tutto le ondulazioni della tensione, e di rendere con questo la corrente praticamente costante. Per estendere il principio al caso dell'alta tensione, si è operato nel modo seguente: Ur motorino sincrono, che compie un giro ogni due periodi, fase 1 (fase 2 096 3 A À Ì Ù i +* | l 1 t ] neutro Fia. 1. trascina nell'aria un'asticina di alluminio 44, che ruota in un piano oriz- zontale (fig. 2), nel senso della freccia. Alla parte fissa del motore è con- nesso solidamente un disco di legno, dal quale si alzano verticalmentre tre colonne di ebanite facenti capo a un altro disco superiore; le tre colonne portano quasi a metà tre archi metallici, d, c, d, aventi l'ampiezza angolare Fic. 2. di circa 60°. Nell’asse dei due dischi ruota un prolungamento dell’ albero del motore, in materiale isolante, e a questo prolungamento è fissata l’asti- cella ae alla stessa altezza degli archi metallici. L'asticella è metallicamente connessa col pernio dell’estremo superiore dell'albero, e, attraverso al cusci- netto a sfere del disco superiore, anche con un serrafilo fissato nel centro del disco. L'asticella ruota così nel piano orizzontale degli archi, e i suoi estremi restano a qualche millimetro di distanza dagli archi medesimi. - — 090 — Le connessioni elettriche sono stabilite come nella tigura. Un trasforma- tore trifase ad alta tensione, 7°, con secondario rilegato a stella, ha i suoi estremi liberi connessi alle lamine d,c,d, in modo che la successione delle fasi 1, 2,3, sia quella della figura. L'utilizzatore U e la self sono inseriti tra il serrafilo O, connesso all'asticella rotante, e il neutro N dell’avvolgi- mento secondario del trasformatore. Poichè lo statore del motorino è co- struito in modo da poter subire degli spostamenti angolari rispetto alla base fissa e al sistema degli archi metallici, si può regolare la fase del pas- saggio dell'asticella avanti a un arco metallico, e ottenere che tale passaggio coincida col tempo durante il quale la tensione corrispondente dell'arco me- tallico è vicina al massimo del valore sinusoidale. Regolato il sistema per una fase, esso si troverà nelle stesse condizioni favorevoli anche per le altre; la posizione dello statore viene dopo di ciò stabilmente fissata alla base. Occorre naturalmente aver cura di non dar tensione a tutti e tre gli archi insieme, prima di aver realizzato la regolazione sopra riferita; senza di che l'asticella rotante, trovandosi, sia pure per brevi intervalli, in vicinanza con- temporanea di due lamine, creerebbe fra queste dei periodici corti circuiti. Invece, fatta la regolazione, l’asticella continuerà a fare, attraverso alle scin- .tille con gli archi metallici, corto circuito fra questi; ma ciò avverrà, come si riconosce dalla fig. 1, proprio quando la tensione dell'arco metallico che si abbandona è praticamente uguale a quella dell'arco col quale si viene in contatto. In tali condizioni un temporaneo contatto fra i due archi attra- verso all'asticella non è nocivo; e permette anzi di far sì che la corrente nell’utilizzatore non venga mai a interrompersi, poichè nel tempo del con- tatto fra i due archi (per es. D e c) e l'asticella, la corrente va diminuendo nel ramo 1 che alimenta è, mentre si stabilisce nel ramo 2 che alimenta c. La self del circuito di utilizzazione consente che, in questa sostituzione del ramo 2 al ramo 1 per l’alimentazione del circuito stesso, la corrente utiliz- zata non subisca alterazioni notevoli. Il successo della disposizione è fondato appunto sulla possibilità di far entrare in funzione una fase prima che cessi di funzionare la precedente, pur lasciando tra gli archetti rilegati alle fasi una grande distanza che evita la possibilità di corti circuiti permanenti. Le dimensioni del cerchio cui appartengono gli archi e l'altezza delle co- lonne isolanti che li reggono sono determinate in considerazione del valore della tensione che il trasformatore crea fra le lamine. All'atto pratico oc- corre tener presente che la corrente fluisce dall'arco metallico alla punta dell'asticella attraverso a una specie di arco-fiamma, che si prolunga un po’ oltre l'arco metallico; bisogna pertanto abbondare nelle dimensioni per evitare che questa fiamma provochi una scarica permanente fra le lamine contigue. In tutti i casi pratici, l'apparecchio assume però dimensioni molto modeste e facilmente accessibili. Così nell’esemplare costruito per questo Istituto il diametro del cerchio è di circa 30 cm., e si può far lavorare a — b — l'apparecchio senza inconvenienti fino alla tensione massima di cui posso disporre: circa 15 mila volta. Credo che le stesse dimensioni siano sufficienti fino a 20 o 25 mila volta. Non possedendo attualmente un trasformatore trifase ad alta tensione, ho eseguito le prime prove, con l'aiuto efficace della dott.5* Nella Mortara, ricorrendo a tre rocchetti d'induzione quasi eguali, i cui primarî erano ri- legati a stella con i tre capi liberi connessi alla linea stradale. Tre reostati inseriti nei fili di alimentazione dei primarî servivano a ottenere la egua- glianza delle tensioni dei secondarî, compensando la lieve differenza esistente fra gli avvolgimenti. Naturalmente la regolazione andava mutata per i varî regimi di erogazione della corrente continua ottenuta. La self L, destinata a eliminare le ondulazioui della corrente continua, era costituita dal secon- dario di un altro rocchetto di induzione. Per le dispersioni di fiusso fra i primarî e i secondarî dei rocchetti sostituenti il trasformatore erano da at- tendersi delle irregolarità: ma ciò nonostante il funzionamento del disposi- tivo si dimostrò ottimo sotto tutti i riguardi. Furono così ottenute, in buone condizioni di rendimento, correnti continue di oltre 100 milliampère sotto la tensione di circa 10 mila volta; la corrente, esaminata all’ondoscopio, si rivelò abbastanza costante, a meno di alcune lievi ondulazioni residue per circa il 10 per cento del valore medio; tali ondulazioni potrebbero an- cora attenuarsi, se riuscissero intollerabili in qualche applicazione, accrescendo il valore della self smorzatrice. La resistenza interna di questa non costi- tuisce ostacolo, essendo in ogni caso necessario, per utilizzare tensioni così elevate con correnti deboli, ricorrere a una resistenza zavorra in serie col circuito di utilizzazione. A circuito aperto, la tensione ottenuta rimane ondulata, come è natu- rale, non ostante la presenza della self L, la quale entra in funzione solo quando è percorsa da corrente, attenuandone le variazioni. Conviene pertanto in tali casi alimentare col sistema una forte resistenza non induttiva 7, e raccogliere ai suoi estremi la tensione ohmica r?, la quale sarà quindi ap- prossimativamente costante. Il dispositivo comporta. come si è detto, il funzionamento permanente di un motorino: ma questo, dovendo solo trascinare un’asticella leggera, assorbe pochissima potenza, e può restare in azione anche a lungo senza inconvenienti. I Chimica vegetale. — Swll' influenza di alcune sostanze or- ganiche sullo sviluppo delle piante. Nota IV del Socio G. CrAMICIAN e di €. RAVENNA. Gli studî a cui attendiamo da alcuni anni sono per necessità di tale natura da dare origine a sempre nuovi problemi, per cui ogni serie di espe- rienze ne richiama delle altre; così questa Nota è la necessaria conseguenza delle precedenti (1). Anche in questa serie di esperienze le piantine di fa- giuoli vennero coltivate su cotone idrofilo in germinatoi di vetro o di ferro zincato ed innaffiate colle soluzioni all'1 per mille delle sostanze impiegate. Come avevamo dimostrato l’anno scorso, le metilamine aumentano di velenosità col crescere dei metili in essi contenuti; mancava peraltro finora, per la conoscenza dell'argomento, lo studio del contegno delle amine supe- riori, e ciò tanto più in quanto che l’isoamilamina s’era mostrata fortemente tossica: ci sembrava necessario confrontarla con quella normale che, a nostro avviso, non avrebbe dovuto esserlo. Comparando l’azione delle cinque prime amine a catena normale, metilamina, CHz NH.; etilamina, CH;.CH,. NH); propilamina, CH; .CH,.CH,.NH.; butilamina, CH3.CH.,.CH,.CH,. NH, ed amilamina, CH; . CH, . CH,.CH,.CH,.NH,g, è risultato, fatta eccezione della prima, una graduale diminuzione della tossicità, in perfetto parallelo col crescere della catena degli atomi di carbonio; l’azione si manifesta col successivo apparire di macchie giallastre translucide sulle foglie, che colla etilamina condussero alla morte dello piantine, con le altre gradualmente ad una vita meno stentata. La metilamina è meno tossica delle altre e sta in contrasto con la etilamina che esercita sulle piantine la maggiore azione: questo fatto di singolare rilievo potrà dare origine ad altri studi. L'isoamilamina (CH3),: CH. CH,.CH;.NH; si mostrò, in constrasto coll’amilamina normale, assai più velenosa ed inoltre determinò un carat- teristico albinismo delle foglie composte, per cui esse apparivano del tutto prive di clorofilla oppure verdi lungo le principali nervature e bianche nel resto. Questo albinismo ricorda quello prodotto dalla nicotina; e però una tale corrispondenza, se non è fortuita, presenta un certo interesse, che invita a nuovi studi perchè l’isoamilamina, come noi abbiamo trovato, accompa- gna la nicotina nel tabacco. (') Questi Rendiconti, serie V, vol. 26, I, pag. 4; vol. 27, I, pag. 38; vol. 28, I, pag. 18. Laga La tossicità dell'isoamilamina in confronto coll'amilamina normale di- pende evidentemente dalla presenza di un secondo metile nel radicale alcoo- lico, ed appariva perciò opportuno di ricercare se anche in altri casi la catena spezzata esercitava un'analoga influenza. Abbiamo a questo scopo comparato l’azione del buzirrato potassico normale, CHz .CH,.CH,.COOH, con quella dell'isodutirrato, (CH3)»: CH. COOH; ed abbiamo realmente trovato che, mentre le piantine trattate col primo presentavano sviluppo pressochè indi- sturbato, il secondo determinò, per la parziale caduta delle foglie, una vita stentata e sofferente. Ci parve inoltre interessante di esaminare il contegno delle amidi per compararlo a quello delle amine; a tale scopo abbiamo sperimentato la /or- mamide, H.CO NH», e l’acetamide, CHz . CO NH, ; ma soltanto la prima si mostrò deleteria, producendo la caduta delle foglie primordiali. La sua azione dipende probabilmente dalla presenza del radicale aldeidico, mentre la completa innocuità dell'acetamide starebbe a dimostrare che il radicale acetilico nell’ammoniaca non determina un'azione sensibile; ciò si accorde- rebbe col contegno della metilamina che è essa pure poco velenosa. Abbiamo voluto vedere se l'acédo ossalico, COOH . COOH, fosse più tossico del succinico, COOH .CH,. CH, .CO0OH, in relazione coll’influenza della lunghezza della catena normale già osservata con le amine; e real- mente il primo determina uno sviluppo più stentato del secondo. Alle esperienze fatte l’anno scorso col salicitato di metile in confronto con quello potassico, appariva opportuno aggiungerne delle altre per vedere se i radicali alcoolici, anche in altri eteri composti, manifestavano un'azione tossica. A tale scopo abbiamo prescelto, anche per la loro grande solubilità, i tartarati di metile e di etile i quali, in comparazione col tartarato po- tassico innocuo, produssero delle macchie translucide sulle foglie primordiali, macchie che determinarono un lento disseccamento delle piantine ed il se- condo in grado maggiore del primo. Nelle esperienze fatte finora non abbiamo esaminato l’ influenza dei me- tili sui nuclei eterociclici non idrogenati, all'infuori dell'indolo e dell'a-me- tilindolo, dove, per l’'insufficiente solubilità di quest’ultimo, la prova rimase incerta. Abbiamo sperimentato perciò la piridina, C; Hs N, in comparazione colla metilpiridina o picolina, Cs H, (CH3) N; e mentre la prima, come già avevamo trovato l’anno scorso, permette uno sviluppo normale, la se- conda esercita un lieve effetto tossico, che si manifesta con delle macchie gialle sulle foglie primordiali ed anche su quelle composte, peraltro senza che tali lesioni rechino grave danno alle piantine. La regola dell'influenza dei metili resta così ulteriormente provata; ma essa è meno evidente che nei derivati della piperidina, C; H,o NH, perchè, mentre questa è soltanto lievemente tossica, lo sono in alto grado i suoi derivati come ad esempio l'n-metilpiperidina, Cs Ho NCH3, e la conina, C; Hs (C; H,) NH. Potrebbe LIO —- bo però darsi che l'idrogenazione avesse anch'essa un’ influenza, ciò che potrà essere confermato da nuove ricerche. In più stretta relazione con gli indoli stanno le chinoline, per cui ab- biamo sperimentato l'azione della chinolina stessa e dell'isochinolina, C, H, N, in confronto coll'a-metilchinolina, Co Hs (CH3) N 0 chinaldina. Tutte queste basi sono fortemente tossiche ed attaccano le piantine di fa- giuoli al colletto in modo da farle cadere, per cui la loro azione ricorda assai da vicino quella degli indoli; in questo caso peraltro s'è potuto accertare che la chinaldina è più velenosa delle due prime, che s'equivalgono. Fra tutte le esperienze fatte finora per dimostrare l'influenza dei ra- dicali alcoolici ed acidi sull'azione dei composti organici sulle piante, la più dimostrativa è quella che abbiamo eseguita la scorsa estate con la co- caina ed i suoi derivati. Questo alcaloide esercita, come avevamo già dimo- strato l'anno scorso, sulle piantine di fagiuoli un'azione decisamente e carat- teristicamente tossica(') in modo da farle perire in pochi giorni. Impiegando quest'anno, in comparazione colla cocaina, l'ecgonina, l'etere imetilico della nor-ecgonina e finalmente la nor-ecgonina stessa; togliendo dunque al pro- dotto naturale, per così dire, tutti i suoi ornamenti chimici, cioè il ben- zoile ed i due metili, CH, —CH-CH—C00 CH; Î Î C00 CH, NCH; CH.0.C0.GH;=[C0;H N CH;] petti 0.C, H;0 CH, —CH—CH; cocaina X00H 00 CH; 008 [C; E, NCH:] [C; 5, NA] [C; Ho NHK \0H »0H SOH ecgonina etere metilico nor-ecgonina della nor-ecgonina abbiamo potuto dimostrare nel modo più evidente il contrasto biologico che esiste fra il composto fondamentale, la nor-ecgonina, ed i suoi derivati me- tilati e benzoilato. Come si è detto, la cocaina è fortemente tossica e pro- duce nelle toglie primordiali macchie brune caratteristiche per cui le pian- tine periscono prima di poter sviluppare le prime foglie composte; la ecgonina e l'etere metilico della nor-ecgonina invece. pur causando la com- parsa di quelle macchie sulle foglie primordiali, non impediscono l'ulteriore sviluppo delle piantine, che fu più stentato con la prima che non con la se- (1) Il prof. Albertoni ci ha fatto gentilmente notare che la cocaina ha un'azione protoplasmatica. Vedi il suo lavoro nell’Archiv fiir die gesammte Physiologie, vol. 43, pag. 307, (1891). RenpiIconTI. 1920. Vol. XXIX, 1° Sem. bo — iN conda. La nor-ecgonina infine non esercita nessuna azione tossica, per cui le piantine con essa trattate non dimostrono alcuna differenza dai testimoni. Questo risultato viene a confermare nel modo più brillante il concetto da noi più volte esposto, che cioè le piante modifichino i composti in guisa da accentuarne l’azione, che deve essere evidentemente diretta a qualche scopo bene determinato. Le piante che producono il nucleo fondamentale piperidin-pirrolidinico degli alcaloidi della coca e della belladonna potreb- bero, se non lo espellono per transudazione o non lo distruggono per ossi- dazione, conservarlo nel loro interno inalterato qualora esso non dovesse avere altra importanza che quella di un innocuo prodotto escrementizio ; invece, come nella cocaina e nell’atropina, con opportune modificazioni ne fanno dei corpi attivi. Deve però apparire innegabile l'influenza dei di- versi radicali o delle catene laterali, sebbene sia ancora del tutto oscuro il meccanismo chimico per cui essi esercitano la loro azione sugli organismi. Giova qui ricordare come anche la sostanza adibita alla più importante fun- zione nel regno vegetale, la clorofilla, contenga nel complesso pirrolico e nel fitolo tutta una serie di radicali etilici e metilici; e così si può intendere perchè nei terpeni e nelle canfore sia contenuto il gruppo isopropilico e non quello propilico normale. L’anno scorso abbiamo messo in rilievo l’effetto caretteristico determi- nato dai sali delle bas quaternarie, (CH3), NOH, sulle piante di fagiuoli. Ci è sembrato però utile di compararne l’azione con quella della detazna COOH.CH,.N(CH3); 0H, essendo anche essa un composto quaternario. A dif- ferenza dei sali di tetrametilammonio, la betaina si mostrò soltanto lieve- mente tossica, determinando un parziale appassimento delle foglie primor- -diali senza impedire l'ulteriore sviluppo delle piantine. Su questo fatto, che è certamente notevole, ritorneremo con altre esperienze. I fagiuoli da noi impiegati in quest'anno, a differenza di quelli usati l’anno scorso, appartenevano ad una varietà rampicante e crediamo sia do- vuto a questa particolarità se l'abito assunto in seguito al trattamento coi sali di tetrametilammonio non corrispondeva a quello, tanto caratteristico, allora descritto; come venne rilevato, le seconde foglie sembravano partire dallo stesso verticillo delle prime, essendo assai ridotto il relativo fusti- cino. Colla varietà rampicante impiegata la scorsa estate, le piantine depe- rirono anche più presto per arresto di accrescimento e disfacimento del fusto in prossimità del colletto, ma non mostrarono affatto quell’aspetto par- ticolare summenzionato: cosa che potrebbe stare in relazione col grande svi- ‘luppo degli steli che caratterizza appunto le piante rampicanti (1). Già altra volta avevamo accennato come, fra le piante impiegate finora, fagiuoli comuni siano quelli che di gran lunga meglio sì prestano ai nostri (*) Vedi Nota II, questi Rendiconti, vol. 27, I, pag. 38, (1918). TESE 1 ce studî; il mais, le barbabietole, il tabacco ed i lupini si mostrarono, a parità di condizioni, assai meno sensibili alle sostanze da noi sperimentate: e, se ‘ pure ne risentirono l’azione, non modificarono mai il loro abito. Per com- pletare queste prove e ricercare se fra le altre piante comuni se ne trovas- sero di più adatte ed anche per vedere se il loro contegno corrispondesse a quello dei fagiuoli, abbiamo esaminato la scorsa estate le fave, le zucche ed i pomodori. Il risultato non fu molto incoraggiante, perchè con nessuna delle tre specie abbiamo raggiunti, neppure lontanamente, gli effetti che così spiccatamente presentano i fagiuoli. Tuttavia abbiamo potuto rilevare che le ‘sostanze per essi più attive (come la trimetilamina, i sali di tetrametilam- monio. la caffeina, la teobromina, la nicotina e la codeina) esercitano un’ in- fiuenza analoga a quella osservata nei fagiuoli e presso a poco nella stessa graduazione, in modo che la caffcina apparisce sempre la più tossica e le altre in corrispondente misura. (‘olle fave si notò in genere un annerimento assal poco caratteristico delle foglie e dei fusti; l'effetto tossico maggiore si ebbe colla caffeina e poi successivamente in minor misura colla trimetilamina e con la nicotina, un po meno marcato con la codeina; la morfina, come nei fagiuoli, si di- mostrò la meno tossica, tanto da consentire uno sviluppo pressochè normale. Con le zucche si ebbero fenomeni più distinti. La caffeina produsse il disseccamento delle foglie, per cui le piantine perirono, mentre che con la teobromina continuarono a vivere mostrando un albinismo che presentava qualche somiglianza con quello osservato nei fagiuoli, ma assai meno caratteri- stico ed appariscente. La nicotina esercitò una marcata azione tossica, senza per altro produrre il caratteristico albinismo osservato nei fagiuoli. Final- mente il fosfato di tetrametilammonio, tossico anch'esso, determinò l'arresto di sviluppo. I pomodori si mostrarono assai sensibili per la cafteina, in modo che le” piantine perirono; meno intensa fu anche in questo caso l'azione della teo- bromina. La nicotina produsse un albinismo ai bordi delle foglie, che pre- sentava qualche analogia con quello dei fagiuoli. Il tosfato di tetrametilam- monio determinò qui pure l'arresto di sviluppo. Queste esperienze dimostrano dunque che gli alcaloidi sperimentati sono in genere velenosi per varie specie di piante. sebbene in forma ed in grado assal diverso. Avevamo rilevato già l’anno scorso (!) che le sostanze tossiche da noi impiegate influiscono sulla formazione dell'amido e sulla sua scomparsa durante la notte, e ciò sopra tutto colla teobromina e con la caffeina. Se- gnatamente con la prima (perchè, essendo la caffeina assai venefica, determina troppo presto l'essiccamento delle piantine) avevamo osservato un notevole (*) Vedi Nota III, questi Rendiconti, vol. 28, I, pag. 18, (1919). e DT sviluppo delle foglie primordiali e la formazione di grandi quantità di amido in modo che non soltanto la reazione coll'iodio appariva assai intensa nelle foglie illuminate, ma si manteneva tale dopo il riposo not- turno anche in quella parte che era stata sottratta all’azione della luce con la nota esperienza della lista di carta nera. Abbiamo ripetuto la prova seguendo l’intero sviluppo delle piantine innaffiate colla teobromina ed ab- biamo osservato, confermando le esperienze dello scorso anno, che mentre da principio la reazione dell'amido è normale, col crescere delle foglie primor- diali e col manifestarsi del caratteristico fenomeno di albinismo, prodotto da questo alcaloide, essa diviene sempre più intensa per raggiungere un mas- simo e declinare poi lentamente fino a ritornare normale e finire con la scomparsa quando le foglie si avvicinano all'appassimento. A_ questa ecces- siva produzione di amido nel colmo dello sviluppo delle piantine corrisponde un maggiore accrescimento; tanto è vero che, comparando il peso delle foglie della stessa età, abbiamo trovato che quelle che avevano ricevuto l’alcaloide pesavano il doppio dei testimoni. La tevbromina ed ancbe la caffeina stimo- lano quindi la funzione clorofilliana, e però la produzione dell'amido, in modo da determinare un più rigoglioso sviluppo fogliare. Apparisce quindi probabile che il persistere dell'amido durante la notte nelle foglie dipenda da questa più copiosa produzione, piuttosto che da insufficiente riassorbimento. Nel corso delle nostre esperienze abbiamo avuto più volte occasione di insistere sul fatto che le diverse sostanze impiegate determinano nei fagiuoli un colore verde più cupo delle foglie, che persino talvolta sembrerebbe di- verso da quello della clorofilla. Appariva però interessante di ricercare se real- mente si trattasse di un nuovo pigmento oppure se il colore più intenso dipendesse da una maggiore quantità di clorofilla. Per risolvere la questione, ci siamo giovati della morfina e della pirocatechina che producono il feno- “meno in modo assai marcato ; ed abbiamo comparato lo spettro di assorbi- mento dell'estratto alcoolico delle foglie intensamente colorate delle piantine trattate colle due sostanze, con quello di una pianta campione. Nei rispet- tivi spettri non si notò alcuna diversità qualitativa, ma soltanto una diffe- rente intensità di assorbimento; ciò prova dunque che la materia colorante era la stessa, ma contenuta in diversa misura. Per determinarne la quantità, abbiamo eseguito una misura fotometrica servendoci della banda caratteri. stica della clorofilla situata fra le linee D e C di Fraunhofer: comparando gli estratti alcoolici di foglie di peso uguale di piantine trattate con piroca- techina e di testimoni, abbiamo trovato che le prime contenevano una doppia. quantità di clorofilla. Nonpertanto la prova col iodio dimostrò che nelle foglie delle piantine trattate colla morfina e con la pirocatechina l’amido non era contenuto in quantità maggiori che in quelle di controllo. Si deve quindi concludere che la quantità di amido non sta in relazione coll’intensità del colore verde delle foglie e che, mentre la maggior parte delle sostanze tos- siche da noi impiegate favoriscono quest'ultimo fenomeno, ve ne sono delle altre, come la teobromina, che determinano l’effetto inverso. Resta quindi provato che le sostanze tossiche sperimentate influiscono sulla funzione clorofilliana: e ciò si accorda col fatto che esse non limitano la loro azione sulle radici, ma penetrano anche nelle piantine. Questo assor- bimento, già da noi dimostrato per la nicotina (*), venne confermato questo ‘anno con altri corpi dosando nelle piantine il contenuto delle sostanze som- ministrate per innaffiamento. Con opportuni metodi abbiamo riscontrato con la trimetilamina un contenuto del 0,22, colla piridina del 6,16, colla pipe- ridina del 4,70 per mille di piante fresche; colla caffeina del 8,53 e colla teobromina del 2,66 per mille di piante secche. Abbiamo sperimentato anche la pirocatechina, ma non se ne trovò traccia nelle piantine esaminate; questo risultato non deve apparire strano quando sì comparino fra loro i sue- sposti numeri che variano entro limiti assai larghi dipendenti forse in parte dalla maggiore o minore resistenza che la materia somministrata oppone al- l’azione degli agenti ossidanti delle piante. Per la pirocatechina abbiamo già altra volta dimostrato che essa viene quasi totalmente distrutta già dagli enzimi ossidanti contenuti negli foglie di spinaci (?). Queste esperienze invitano ad ulteriori studî diretti a ricercare la re- lazione che potrebbe esistere tra l’effetto prodotto dalle sostanze sommini- strate e la loro resistenza agli agenti ossidanti, o altrimenti distruttivi, contenuti nelle piante; resterà peraltro sempre assai difficile lo spiegare quale meccanismo chimico e biologico determini le azioni tossiche delle sostanze -da noi fin qui sperimentate. Infine esprimiamo alla signorina dott. Paolina Cicognari i nostri rin- graziamenti per il diligente ed intelligente aiuto che ci ha prestato in que- ste ricerche. (1) Vedi Nota I, questi Rendiconti, vol. 26, I, pag. 7, (1917). (*) Vedi la nostra Memoria: Sul contegno di alcune sostanze organiche nei vege- «tali. Gazzetta chimica italiana, 47, II, pag. 124, (1917). ST AR Chimica. — Acerche sopra i neri di pirrolo. Nota del Socio A. ANGELI e di Corrapo LuTRI. Tutte le numerose esperienze, finora eseguite allo scopo di sottoporre i neri di pirrolo ad un processo di demolizione graduale della loro molecola e pervenire così a frammenti la cui natura potesse fornire un criterio sul modo con cui sono riuniti fra di loro i residui pirrolici in queste interessanti sostanze, tinora non hanno condotto a risultati soddisfacenti. Come ossidanti vennero impiegati il permanganato, l'acido cromico, l'acqua ossigenata ece., ma in ogni caso, se si limita la quantità di ossidante, si ottengono prodotti meno colorati ma che poco differiscono nel loro comportamento dai composti di partenza; ovvero, impiegando una quantità maggiore di reattivo, si arriva per lo più, assieme con molto acido ossalico, a piccole o piccolissime quan- tità di sostanze troppo semplici e che perciò non hanno grande significato per il caso che ci riguarda o che tutto al più accennano solamente alla pre- senza di un grande numero di doppi legami: acido succinico, immide suc- cinica, immide maleica ovvero acidi che fondono con sviluppo gassoso (pro- babilmente anidride carbonica) ed i cui vapori colorano intensamente in rosso un fuscello di abete bagnato con acido cloridrico. Questo fatto rende solamente probabile che si tratti d'acidi pirrolici (!). A risultati migliori non sono pervenuti coloro che hanno studiato le melanine naturali; come è noto, Nencki ottenne pirrolo, acido succinico, for- mico, anche in questo caso assieme con acido ossalico; per questa ragione, uno di coloro che si sono maggiormente occupati di questo argomento, il prof. Fr. Samuely, ha detto che la chimica delle melanine è « la chimica delle rinunzie » (die Chemie der Entsagungen), tanto i risultati sono stati scarsi e poco incoraggianti. Riservandoci di ripetere i tentativi sopra quan- tità maggiori di materiale ed anche di provare l'ossidazione e riduzione elettrolitiche, dato che lo studio diretto di queste sostanze si presenta irto di tante difficoltà, abbiamo cercato per ora di seguire una via laterale, tale però che permettesse egualmente con una certa probabilità di stabilire in quale modo i residui pirrolici sono congiunti fra di loro ed anche di for- marsi una idea, almeno approssimata, del numero di tali residui che concor- rono alla formazione di queste complicate sostanze. È molto probabile che nella formazione di questi prodotti, in una prima fase, almeno una parte delle molecole del pirrolo assumano ossigeno per (*) Sopra altre sostanze che passono dare questa reazione: K. Spiro, Zett. fur analyt. Chemie, 44, (1905), 134. ro dare origine a composti carbonilici e forse anche ossidrilati, aventi ca- rattere chinonico. Come una esperienza diretta ha dimostrato, non sembra, almeno per ora, verosimile che si formi immide maleica, la quale in questo caso è la prima che si affaccia alla mente; invece si potrebbe fra altro pen- sare ad un termine CH — C0 | | CcH_ CH Sa che rappresenterebbe quasi un metachinone. Ancora molti anni or sono uno di noi (') ha descritto un prodotto contenente l'anello : —((—C0 I _( ba x NZ | 0 e che rassomiglia in modo straordinario, nel suo comportamento, ai chinoni; le ricerche sopra questo argomento sono state recentemente confermate ed estese da P. Pfeiffer ed allievi (2). Non è escluso infine che possa trattarsi anche di polimeri dovuti alla unione di due ovvero tre anelli pirrolici, ed ancora quattro anni or sono venne isolata una di queste sostanze dalle acque madri del nero di pirrolo (*). Però anche lo studio diretto dei prodotti di ossidazione graduale del pirrolo è ostacolato, oltre che dalle difficoltà speri- mentali, anche dai bassi rendimenti dei prodotti che per tale mezzo si pos- sono ottenere. Per questa ragione, invece di usare i soliti reattivi che con- ducono quasi sempre al nero di pirrolo, siamo ricorsi all'impiego di un prodotto che non solo poteva agire da ossidante, sebbene in modo più blando e più netto, ma tale che eventualmente esso pure potesse partecipare, assieme col pirrolo, alla formazione di materie coloranti analoghe ai neri di pirrolo. A tale scopo noi siamo ricorsi al benzochinone, sebbene anche in questo caso le probabilità di riuscita si presentassero poco promettenti, giacchè lo studio dell’azione dei chinoni e di alcuni dichetoni sul pirrolo era stata ese- guita ancora molti anni or sono, senza che mai nella letteratura avessimo potuto trovare un cenno a prodotti aventi i caratteri dei neri di pirrolo. Victor Meyer, nel corso delle sue classiche ricerche sul tiofene, aveva osser- vato che questa sostanza può dare facilmente, con alcuni composti carboni- (!) A. Angeli e F. Angelico, questi Rendiconti, /5, (1907), II, pag. 761. (2) P. Pfeiffer, Berichte, £5, (1912), pag. 1821 e seg. (3) Angeli e Alessandri. questi Rendiconti, 24, (1916), 1° sem., pas. 772. CNG lici, deì prodotti colorati: ed in seguito ha cercato di estendere la reazione anche aì derivati del pirrolo(*). Egli ha trovato infatti che composti diche- tonici e pirrolo, sciolti in acidi diluiti. dànno facilmente materie coloranti; trovò pure che il pirrolo reagisce con la soluzione acquosa di chinone, per dare un prodotto violetto, ma che si alfera con somma tacilità. Secondo lo stesso autore, il chinone agisce anche sulla soluzione di pirrolo in acido solforico diluito per dare un precipitato verde scuro, insolubile in etere; egli accenna pure che il contenuto di azoto della sostanza (8,6 °/) potrebbe ‘far pensare ad un prodotto di condensazione formatosi secondo l'eguaglianza C H, 0; + (Hz Ne- H30 "= Cio H, NO che richiede 8,9 9/0 di azoto. Ma una reazione di questo genere oggi è da escludersi senz'altro. giacchè in seguito è stato dimostrato che il pirrolo si scioglie negli acidi minerali per dare dei polimeri; la sostanza verde deve quindi rappresentare un prodotto molto più complicato e di tutt'altra natura. Le osservazioni, che abbiamo fatte noi nel caso del pirrolo e chinone, sono alquanto diverse da quelle descritte da Victor Meyer. Noi abbiamo trovato infatti che il pirrolo, in presenza di acqua, reagisce con grande ra- pidità sul chinone; il liquido si colora dapprima in bruno rossastro e poi non tarda a separarsi una polvere amorfa, nerissima, che ha grande rasso- miglianza con i neri di pirrolo e con le melanine. Una sola goccia di pir- rolo in qualche centinaio di cent. cub. di acqua, per aggiunta di una traccia di chinone, dopo qualche ora dà un liquido intensamente colorato in rosso bruno; senza dubbio si tratta di soluzioni colloidali, e per riflessione pre- sentano in modo marcato il fenomeno di Tyndall. Queste soluzioni si man- tengono per lunghissimo tempo colloidali. La reazione si compie anche in soluzione alcoolica, eterea e, sebbene in modo più lento, anche con benzolo umido. Dalle ‘acque madri si ricavano notevoli quantità di idrochinone, e ciò dimostra che sì è compiuto un pro- cesso correlativo di ossidazione e riduzione. Noi per ora non abbiamo esa- minato tutti i varî prodotti che si formano in queste reazioni; cì siamo li- mitati a studiare i meno solubili: questo fu il solo criterio che ci potè servire di guida, e senza essere perciò ancora sicuri ‘che essi rappresentino composti unici. Esaurendo il prodotto della reazione, dopo di averlo lavato con acqua, per mezzo di alcool a ricadere per molte ore di seguito, si ottiene come residuo una sostanza nera; essa non fonde, ma per riscaldamento manda vapori che colorano in rosso il fuscello di abete bagnato con acido “cloridrico; si scioglie negli alcali caustici con intensa corolazione nero bruna, ma non nei carbonati alcalini: ciò rende probabile che contenga assidrili fenici. (1) Berichte, /6, (1883), pag. 2974. Il suo modo di formazione (che, come si è detto, avviene anche in solu- zione acquosa diluitissima)la comparsa di idrochinone e la sua composizione, non solo dimostrano che il chinone è stato il reattivo che ha agito da ossi- dante, ma rendono altresì molto probabile che il chinone stesso abbia preso parte alla formazione della materia colorante. L'analisi infatti dimostra che la sostanza contiene più carbonio e molto meno azoto che non i neri di pirrolo. Fra tutte le numerose formole che si possono calcolare dai dati ottenuti, sarà naturalmente da darsi la preferenza a quelle che per ogni atomo di azoto contengono quattro atomi di carbonio pirrolici e per ogni due atomi di ossigeno i sei atomi di carbonio dell'anello benzolico. In base a queste consideraziuni risulta molto probabile che il processo di formazione di questa sostanza si sia compiuto secondo una delle seguenti forme: 8 pitrolo +5 chinone, ovvero 4 pirrolo 4 7 chinone; meno probabile è il :caso 2 pirrolo + 3 chinone. ovvero 1 pirrolo + 2 chinone. Anche il nero di anilina, come è noto, risulta formato da otto anelli chinonici; però in questo caso particolare l’unione dei residui aromatici è effettuata da atomi di azoto. Ciò dimostrerebbe che i nuovi prodotti colo-, rati, come d'altra parte era da aspettarsi, sono da considerarsi come polichi- noidici e gli anelli deriverebbero in parte dal pirrolo ed in parte dal ben- zolo; è probabile inoltre che anche la molecola dei neri di pirrolo sia dello stesso ordine di grandezza. Questa constatazione fornisce indirettamente una risposta ad una que- stione che qualche anno fa è stata posta da Otto von Firth (*). Egli dice: « compito dell'ulteriore ricerca è quello di stabilire quali dei composti ci- clici derivanti dalla molecola delle proteine hanno la parte più importante nella formazione delle melanine ed inoltre di stabilire se anche altri gruppi possono prendere parte al processo ». I nostri studii precedenti hanno reso probabile che nella formazione di questi pigmenti colorati spetti al pirrolo la parte più importante; le presenti ricerche dimostrano che anche altri «gruppi, quelli aromatici, possono prendere parte alla reazione. Sebbene la composizione delle melanine naturali renda poco probabile ‘questa seconda possibilità, tuttavia la comparsa di altri pigmenti neri 0 bruni, a basso tenore di azoto, e che danno la reazione dei derivati pirrolici e la frequenza con cui si rinvengono in natura derivati chinonici o fenolici (p. es. è noto che il chiuone stesso si forma anche durante la fermentàzione (*) Probleme der physiologischen und pathologischen Chemie \Lipsia, 1912), vol, I, spag. 539. RenpICcONTI. 1920. Vol. XXIX, 1° Sem. 8) PE Rea dell'erba fresca: ved. Emmerling, Berichte 30, 1870) non escludono che: nella formazione di tali prodotti, dovuta per lo più a processi enzimatici, concorrano anche altri anelli diversi dai pirrolici. Dall'assieme dei fatti finora conosciuti appare molto verosimile che anche le melanine rappresentino uno di quegli edifizi complicati che la na- tura costruisce per mezzo di termini molto semplici e spesse volte identici o molto simili fra di loro, quali sarebbero i polisaccaridi, i polipeptidi, i politerpeni, la gomma elastica ecc. Nel caso particolare del pirrolo, la sua tendenza a polimerizzarsi forse in parte è dovuta anche al fatto che questa sostanza, al pari dei butadieni, nella sua molecola contiene due doppî legami coniugati. Naturalmente non abbiamo mancato di prendere in esame anche un chi- none sostituito, in modo che la sua capacità di reagire fosse limitata; e come tale abbiamo dato la preferenza ad uno dei più facilmente accessibili, 1’ 1-4- naftochinone. Come era da prevedersi, esso pure reagisce facilmente col pir- rolo, ed anche in questo caso, per ora, abbiamo esaminato solamente il prodotto meno solubile che si forma, quando si opera in soluzione alcoolica, data la minore solubilità del chinone in acqua: aghettini neri violacei e nelle acque madri si rinviene idronaftochinone. Le analisi rendono probabile che si tratti di un prodotto di condensazione fra 1 mol. pirrolo e 3 mol. naftochinone. Il pirrolo reagisce facilmente anche con l’isatina ('); il derivato che in tal modo si forma è stato studiato più tardi da Liebermann e Krauss (?), secondo i quali si deve considerare come un prodotto di condensazione di 2 mol. pirrolo e 2 mol. isatina, e confermando così quanto avevano trovato Ciamician e Silber. Siccome i pirroli sostituiti, finora presi in esame (*), per ossidazione non hanno fornito i neri corrispondenti, per il momento abbiamo gudicato super- fluo di estendere lo studio anche a queste sostanze. La presenza di sostituenti sembra che anche in questo caso limiti la loro capacità a reagire; infatti da alcune esperienze di Mohlau e Redlich (‘) risulta che da «-metilindolo e chinone si ottiene il metilindilchinone, mentre invece, impiegando 2-5-di- metilpirrolo e 2-5-metilfenilpirrolo, sembra che si ottengano prodotti nei quali il gruppo pirrolico riunisce due anelli chinonici. Le due sostanze pre- sentano caratteri molto diversi da quella finora avuta dal pirrolo: così, dal (1) Ciamician e Silber, Berichte /7, (1884), 142. (2) Berichte, 40, (1907), 2492. (3) Angeli e Alessandri, Gazzetta chimica, 46, (1916), II, 298. (4) Berichte, 44, (1911), 3605. ES (10 gta breve cenno che ne fanno gli autori, il derivato dimelitico è cristallino e molto solubile in acido acetico; quello metilfenilico è solubile, con colora- zione violetta, anche in alcool etilico, dal quale venne purificato. Sebbene la struttura della maggior parte di questi prodotti non sia ancora ben chiarita, resta però stabilito il fatto che l'anello pirrolico, oltre che unirsi con sè stesso (uno dei casi più semplici e più comuni sarebbe rappresentato dall’indaco e dall'indirubina), ha altresì la facoltà di con- giungersi ad un numero variabile di composti carbonilici, per dare prodotti che per lo più sono tutti intensamente colorati. Pirrolo e bensochinone. — Si sospendono in circa 150 c. e. d'acqua gr. 6,4 di chinone ed al liquido si aggiungono, agitando, gr. 2,5 di pirrolo. Il liquido passa rapidamente dal giallo al bruno ed al nero e, dopo breve tempo, la polvere di chinone ha assunto un colore nerissimo. Nel domani il liquido è colorato in violaceo ed il prodotto si raccoglie sul filtro alla pompa e si lava con acqua e con poco alcool; secco a bh. m. pesa circa 5 grammi. St esaurisce con alcool, che in principio passa intensamente colorato in nero bruno (e cio dimostra che contemporaneamente si sono tormati anche dei neri solubili di questo solvente); dopo circa 10 ore il liquido ricade inco- loro e si sospende l'operazione. Le acque di lavaggio cedono, per estrazione con etere, notevoli quantità di idrochinone. Rimane indietro una polvere che per riscaldamento non fonde e manda vapori che colorano in rosso un fu- scello di abete bagnato con acido cloridrico. È insolubile nei carbonati alca- lini e si scioglie in potassa con intensa colorazione nero bruna. È insolubile in tutti gli ordinari solventi e rassomiglia molto ai neri di pirrolo ed alle melanine. Per l’analisi la sostanza venne seccata a 1000-105° tino a peso co- stante (!). gr. 0,2525 di sostanza diedero gr. 0,6409 di CO; e gr. 0,0660 di H,0. » 0,1870 ” 0,4741 » 0,0483 ” » 0,I275 ” e. e. 6,4 di azoto a 7° e 760 mm. In 100 parti: C 69,22 69,14 — H 2,90 2,86 — N — — 6.11 A Calcolato per Cs, Ho N3 Oro Ci AiaNs Oro Ci Ho N00 C 69,52 69,32 69,32 H 2,62 2,88 2,78 N 5,79 5.77 5,58 (!) Esterno i più sentiti ringraziamenti al ch.mo prof. Guido Cusmano che ha ese- guito nel laboratorio di Firenze tutte la analisi che si riferiscono alla ‘presente Nota. A. ANGELI. — 20 — In un’altra preparazione si sono presi per 5 gr. di chinone gr. 1,5 di pirrolo, vale a dire una quantità un poco inferiore di quest ultimo, e, invece di operare a freddo, si è riscaldato per qualche istante a b. m.Il prodotto, lavato con acqua e poi seccato, venne esaurito prima con etere che si colora in violetto, al fine con alcool che esporta, come nel caso precedente, molta sostanza colorata in nero bruno. Si seguita fino a che il liquido ricade in- coloro, ed il residuo venne sciolto in potassa molto diluita e riprecipitato con acido acetico. All'analisi diede i seguenti numeri i quali differiscono poco dai prece- denti (e ciò dimostra che la soluzione alcalina, in presenza dell'ossigeno dell'aria, non sì è sensibilmente alterata) (1): gr. 0,2280 di sostanza diedero gr. 0,5748 di CO, e gr. 0.0575 di Hs0 5 » 0,2044 » 0,5160 , »0,0524 ’ Da cui in 100 parti: C 68.75 68,85 2,80 2,84 A parità di condizioni, sembra che l'indolo non reagisca col chinone. Pirrolo e naftochinone. — Grammi 4 di naftochinone, sciolti in al- cool e lievemente riscaldato, vennero trattati con gr. 2 di pirrolo ed il liquido si mantiene tiepido per qualche ora allo scopo di evitare la separazione del chinone; il colore dal giallo passa al bruno, e nel domani ha assunta una tinta violetta intensa. Contemporaneamente si sono separati aghettini d'un colore viola nero. Dopo qualche giorno, vennero raccolti su filtro e lavati con alcool. È pochissimo solubile negli ordinarî solventi, che a caldo si colorano in violaceo. Riscandandone una piccola quantità sul tondo di un tubo da saggio, esso subisce un principio di fusione e nello stesso tempo manda va- pori che arrossano il fuscello di abete bagnato con acido cloridrico. Viene facilmente decomposto a caldo dalla soluzione di potassa, con formazione di un prodotto aranciato, pochissimo solubile negli ordinarî solventi. gr. 0,1749 di sostanza diedero gr. 0,4993 di CO, e gr. 0,0610 di H,0 » 0,1205 ” » 0,3437 ” » 0,0421 ” ” 0,0785 ” e. c..2 di azoto a 7° e 757 mm. Da cui in 100 parti: C 17,85 77,08 — H 3,87 3.88 _ N —_ 3,09 (') A questo riguardo però abbiamo notato il fatto curioso che la sostanza, una volta riprecipitata e secca, non si ridiscioglie più negli alcali. Per un composto C34 His NO; (1), derivato da una molecola di pirrolo e 3 di naftochinone, si calcola: C 78,31 H 3,64 N 2,69 Pirrolo e naftochinone agiscono lentamente a freddo, anche in assenza di solventi; non abbiamo ancora esaminati i prodotti che in tal modo sì formano, e ci siamo limitati a constatare che la massa, d'un viola scuro e che manda odore di isonitrile, contiene anche in questo caso naftoidrochinone. Ossidazione del pirrolo. — Venne impiegata una quantità di peridrol Merck inferiore a quella che si adopera per la preparazione dei neri del pirrolo. Alla soluzione di 5 gr. di pirrolo in circa 50 c. c. di acido acetico gla- ciale vennero aggiunti 5 gr. di peridrol e si lasciò per una settimana, alla temperatura invernale. Trascorso questo tempo il liquido, fortemente colorato in bruno ed appena torbido; si trattò dapprima con soluzione di carbonato sodico e poi con eccesso di carbonato in polvere. Si filtra per eliminare una polverè nera, un nero di pirrolo, che si è separato per tale trattamento e che pesa gr. 1,3; ed il liquido limpido, e colorato in giallognolo. viene estratto ripetutamente con etere che prima è stato distillato sopra potassa. Si otten- gono così gr. 0,6 di prodotto che viene purificato ricristallizzandolo un paio di volte dal benzolo bollente. Si presenta sotto forma di aghi splendenti, quasi incolori, che fondono verso 136° in un liquido giallognolo; a tempe- ratura più elevata, verso 200°, ed all'aria, il liquido diventa nero e manda vapori che colorano intensamente in rosso il fuscello di abete bagnato con acido cloridrico. All'analisi diede numeri che concordano abbastanza bene con quelli ri- chiesti dalla formola Cs Hio N30. gr. 0,1408 di sostanza diedero gr. 0,3304 di CO, e gr. 0,0830 di H:0 » 0,1067 ’ - c.c. 16,5 di azoto a 10° e 758 mm. In 100 parti: Trovato Calcolato C 63,99 . 64,00 H 6,54 6,66 N 18,61 18,66 (') Ci sembra assai poco probabile il caso che possa trattarsi di un prodotto di addizione di idronaftochinone ad un derivato chinonico, come avviene nei chinidroni. BIO n La piccola quantità di prodotto, e forse non perfettamente puro, che avevamo a nostra disposizione, non ci ha permesso di eseguire anche una determinazione di peso molecolare; lo faremo appena potremo avere altro pirrolo. Però altre formole, contenenti meno idrogeno ma più complicate, ci sembrano poco probabili, data la temperatura relativamente bassa cui fonde la sostanza (1). Il prodotto ingiallisce facilmente alla luce, e la sua soluzione acquosa ha un comportamento molto simile a quello del pirrolo stesso. Con qualche goccia di acido solforico diluito ed una traccia di bicromato, si colora pron- tamente in bruno e dopo qualche ora deposita una polvere nerissima. Con acido nitroso assume dapprima una colorazione gialla e poi separa del pari polvere nera. Lo stesso ta con percloruro di ferro. Con una traccia di nitro- prussiato e potassa dà una magnifica colorazione violetta che, per trattamento con acido acetico, passa all’azzurro intenso; è questa la reazione di Thor- mihlen per alcuni derivati dell’indolo, ma, come io ho fatto vedere (*), essa viene presentata in modo spiccato soprattutto dal pirrolo. La soluzione alcoolica resiste più di un minuto al permanganato. Evidentemente si tratta di uno dei primi termini di ossidazione del pirrolo: ma. come abbiamo già detto, gli scarsi rendimenti e la mancanza di prodotti non ci hanno permesso di studiarlo in modo più approfondito. Comunichiamo con tutto riserbo i risultati di queste esperienze di carat- tere più che altro preliminare ed orientativo e che perciò attendono la con- ferma dagli altri studî che abbiamo in corso di esecuzione. (*) Come è noto, l’a-metilindolo, per lo stesso trattamento, fornisce un prodotto nel quale due atomi di idrogeno di due molecole dell’indolosono sostituiti da un atomo di ossigeno, ed identico al composto avuto in modo analogo da Plancher [questi Rendiconti, 20, (1911), 10 sem, 453]. (3) Questi Rendiconti, 27 (1918), I, pag. 1. | DO (56) | Fisica. — Sulla gravitazione. Nota VI del Corrisp. Q. MAyO- RANA. Perfezionamento nel controllo dei livelli del mercurio. — Il controllo dei livelli del mercurio rispetto all'involucro V ed alla sfera m è apparso, nel corso delle esperienze, se eseguito come è stato detto nella Nota prece- dente, alquanto difettoso. La prima causa di errore dipendeva dal fatto che, per quanto fosse lento il moto di efflusso o di deflusso del mercurio, e per quanto fossi pronto a tirare il cordoncino del rubinetto allo spegnersi ed allo accendersi delle lampadine, la chiusura di questo avveniva con alquanto ritardo. È vero che i due ritardi in media si compensavano, giacchè il livello superiore risultava alquanto più alto e l’inferiore alquanto più basso; ma in ciò poteva risiedere una causa di errore o di irregolarità dei fenomeni osservati. Una seconda causa, a cui non pensai dal principio, ma che si è -appalesata come inevitabile nel corso delle esperienze, è la seguente: Per quanto il mercurio sia originariamente pulito, finisce, alla lunga, per sporcarsi alquanto, e le impurità vengono a raccogliersi alla sua su- perficie. Tale fatto, che è tanto più notevole in quanto che si tratta di una quantità rilevante di quel liquido, è dovuto al dover esso traversare ripetutamente lunghe connessioni di vetro, gomma, legno, ecc. Ma di pre- ferenza le dette impurità vengono a galleggiare sul mercurio, quando esso trovasi al ‘livello inferiore del vaso U; mentre, quando questo è completa- mente pieno, la superficie di detto metallo è di solito perfettamente spec- «chiante. Avviene, in conseguenza di ciò, che il contatto dell’asticina P si interrompe alquanto in ritardo, cioè per un livello del mercurio inferiore al prestabilito; e l'inconveniente è causato da qualcuna di quelle impurità che forma una specie di ponte, più o meno lungo, fra l’asticina P ed il mer- curio. Per contro, esso non si verifica per il contatto P'. Tutto ciò può dunque facilmente occasionare dissimmetria di uno sino a due millimetri, fra i due livelli di mercurio rispetto al centro della sfera m. Dopo aver cercato di eliminare variamente tale inconveniente, introdussi nell’apparecchio il seguente perfezionamento: Un galleggiante di piombo, K, verniciato con ceralacca e del peso di 300 gr., è portato da un filo di argen- tana di 0,2 mm. di diametro avvolto e fissato su di una gola della puleggia O di 10 cm. di diametro. Su di una seconda gola della stessa puleggia, è fis- ‘sato, con filo simile, un secondo peso, alquanto minore, di 250 gr. La pu- leggia O appoggia, col suo sottile asse, sui bordi di altre quattro puleggie, «come nel ben noto congegno della macchina d’Atwood. L'affluire ed il defluire del mercurio costringono, per lo spostamento del: galleggiante K, la puleggia O a ruotare di un angolo massimo di circa 120°. L’asse della puleggia O porta un pezzo di ottone foggiato a spirale, e su di questo appoggia un leggero braccio elastico portante uno specchietto S', che così viene a ruotare di un certo angolo, pel passaggio del mercurio dal- l'uno all’altro livello. Le cose sono regolate in guisa che un raggio lumi- noso battendo su S' e venendo riflesso ai soliti 12 metri di distanza al posto di osservazione, si sposta di circa 80 cm. per lo scambio dei due livelli di mercurio; con ciò si può seguire, regolarmente e senza salti, il movimento del mercurio in U. La disposizione, che è realizzata con grande accuratezza,- controlla i livelli del mercurio con tutta sicurezza, dentro 1 o 2 decimi di millimetro; essa consente inoltre di far arrestare il mercurio in qualsiasi punto intermedio della sua corsa, permettendo certe osservazioni sussidiarie, di cui sarà detto in seguito. Indice luminoso della bilancia. — Nel posto di osservazione e di co- mando dell'esperienza, nel piano cioè del giogo della bilancia ed a 12 metri di distanza da questa trovasi, oltre gli altri congegni, una scala verticale graduata in millimetri, lunga 50 cm. Essa serve all'osservazione delle oscillazioni della bilancia, mediante il raggio di luce riflesso dallo specchio S (fig. 4) del giogo. La ragione della grande distanza di tutti questi congegni, dalla bilancia, risiede, oltre che nella opportunità di evitare così a questa scosse meccaniche o perturbazioni termometriche, nel fatto che in tal guisa rimane di molto accresciuta la sensibilità nelle letture di oscillazioni. Lo specchietto S è concavo, di circa 1 metro di fuoco; ed il raggio che lo colpisce è dato dalla luce opportunamente schermata, proveniente da una lampada elettrica !/, watt, a corto filamento. Un tratto orizzontale di questo provoca la formazione di un'immagine ingrandita, ma con bordi sufficientemente netti, sulla scala a 12 metri. Particolari cure si sono avute per ottenere questo risultato: infatti è occorso scegliere lo specchio fra parecchi, prima di ottenere, in tali con-- dizioni, la sufficiente nettezza dell'immagine. Inoltre, ottimi specchi si de- formano talvolta, per la tensione generata dal mastice che li fissa alla mon- tatura del giogo, in guisa da far perdere del tutto quella nettezza. Non tutte le lampadine elettriche */, watt sono poi adatte allo scopo: il filamento della maggior parte di quelle che sono in commercio, oltre ad essere foggiato in sottil spirale, si sposta progressivamente per azione della gravità o di altra causa, quando è incandeseente; con ciò si ha una ragione di più, di instabilità dello zero della bilancia, Avevo, per qualche tempo, provato ad adoperare filamenti di lampade Nernst, che, per la loro forma e rigidità, sembravano meglio prestarsi allo scopo; ma dovetti dopo varî ten-- tativi, scartarli per un fatto che dapprincipio non sospettavo. E, cioè, essi appariscono tremolanti, in conseguenza delle correnti d’aria che si formano nella loro vicinanza. Il filamento della lampada !/, watt non presenta tale- ERO inconveniente; ma occorre che esso sia corto e rettilineo, al fine di evitare l’altro della progressiva sua deformazione. Con tali avvertenze, alla distanza di 12 metri dalla bilancia, sì può ancora apprezzare sulla scala millimetrata, ad occhio nudo o meglio con una lente di ingrandimento. e con sufficiente sicurezza, il decimo di millimetro di spostamento del raggio luminoso. Perturbazioni calorifiche. — La bilancia descritta, con la sua custodia, è rivestita da un triplice involucro di grosso tessuto di pelo di camello, allo scopo di ridurre gli eventuali squilibrî di temperatura fra i bracci del giogo. Squi- librî nocivi non sono da temersi per la presenza o l'assenza del mercurio nel recipiente U. Infatti, ancorchè le particelle residue di aria, esistenti intorno alla sfera di piombo w, variassero di temperatura (e ciò per conduzione a traverso l'involucro V, il cuscinetto sferico di aria e l’altro involucro V'), tali variazioni sarebbero senza infinenza apprezzabile. Alla pressione, certamente non superiore ad un decimo di millimetro di mercurio, un grado centigrado produce una variazione di spinta, su #2, 7600 volte più piccola che non a pressione ordinaria, e cioè: S.8° i Sei ==gi00:0C0.000.71. Ma un grado centigrado di squilibrio è cosa eccessiva; al più quello squilibrio può forse raggiungere !/,0 di grado, il che farebbe una variazione di spinta di mg. 0,0001 circa, cioè dieci volte meno del limite di precisione ricercato. Effettivamente poi, ancorchè quello squilibrio si avesse a manife- stare, non è probabile che nei cinque minuti primi, circa, del corso di una esperienza (vedi appresso) l'ambiente quasi vuoto, in cui si trova la sfera di piombo, abbia potuto cambiare di temperatura. La stanza di esperimento, tenuta con le imposte chiuse, ha una tem- peratura che non varia, nel corso della giornata, per più di due gradi; nei mesi estivi, questa variazione è, per l'assenza dei caloriferi, ancora minore. Inoltre, anche per evitare perturbazioni maggiori, il posto di osservazione e di comando delle esperienze (situato, come più volte si è detto, a 12 metri dalla bilancia) si trova in una stanza separata: i raggi di luce del controllo dei livelli del mercurio e del giogo, vi arrivano attraverso una fenditura, praticata in uno spesso muro divisorio. Perturbazioni, per il lieve calore generato dalle due lampadine elettriche che formano i raggi luminosi riflessi dagli specchi S ed S', non sono da temersi; al più, può avere qualche lieve influenza il calore del raggio incidente su S, situato sul giogo; ma in ogni caso essa è assai regolare, e, con osservazioni incrociate, può con tutta sicu- rezza essere eliminata dal computo dei fenomeni da constatare. Instabilità dello zero. — Quando tutto l'apparecchio è pronto a funzio- nare, si comincia ad equilibrare il giogo, regolando i pesi F (fig. 4) in RenpiconTI. 1920, Vol. XXIX, 1° Sem. 4 > Da, guisa che l'indice a lettura diretta, H, oscilli liberamente intorno allo zero. Poi si comincia a fare il vuoto, osservando sia H, sia l'indice luminoso a 12 metri. Si scorge sempre in tale operazione, un progressivo spostamento dello zero, dovuto, in massima parte, al non uniforme sprigionamento di vapori dalla superficie del giogo, della sfera e dei loro attacchi. Si segue tale fenomeno, cercando di riportare l'indice H a zero, col cavalierino; e quando, dopo qualche ora, si è riusciti in ciò, si lascia il giogo abbassato la pompa funzionante, possibilmente anche durante la notte. Dopo circa 24 ore. si osserva ancora lo zero e se ne correggono gli spostamenti; alla fine, esso acquista una posizione sufficientemente stabile, ma mai del tutto fissa. Osservando le oscillazioni della bilancia, si constata uno spostamento pro- gressivo, di solito non inferiore a circa 5 mm. per ora, sulla scala a 12 metri, verso l’alto oppure verso il basso. Ciò è dovuto sia a variazioni dello stato superficiale del giogo, sia (e più probabilmente) a perturbazioni termome- triche. Ma, così ridotta, la instabilità dello zero non ha alcuna influenza sulle misure. Se il funzionamento della pompa viene interrotto, per ragioni di pru- denza, nelle notti in cui non sì lavora, ciò non deve mai accadere durante il corso delle osservazioni; basta infatti la variazione di pressione sino ai 7/10 di mm. massimi, che l'apparecchio raggiunge se abbandonato a sè, per mo- dificare anche di molto la posizione di riposo; ciò è una conseguenza di variazioni nello stato superficiale del giogo, piuttosto che nell'equilibrio delle varie spinte. Ora, per quanto si è detto, non è opportuno di lavorare con ?/10 di mm. di pressione, potendo le variazioni di temperatura, indotte dalla pre- senza del mercurio in U, esercitare qualche influenza: per cui è sempre consigliabile. prima di iniziare una serie di esperienze, di mettere in fun- zione permanentemente la pompa già da qualche ora. Perturbazioni sensibili sulla bilancia esercitano le scosse - meccaniche. Quantunque il pavimento della stanza di esperimento sia costituito da so- lidissime vòlte reali, ed i muri del fabbricato sieno assai spessi, tremolii provenienti, più che altro, dalle vie cittadine circostanti, sì trasmettono fa- cilmente all'indice luminoso. Essi si palesano, di solito, con la sparizione della nettezza dei bordi dell'immagine; questi cominciano rapidamente ad oscillare con escursioni talvolta di 3 o 4 mm. Il fatto è di solito causato dal passaggio dei trams elettrici, o dei carri pesanti. Ora. tali scosse pos- sono disturbare in diversa guisa le misure: nel caso meno sfavorevole, il giogo può perdere parte della sua energia cinetica, e le oscillazioni vengono più o meno smorzate. Questo fatto non avrebbe per conseguenza che la perdita della lettura immediatamente successiva. Ma avviene più ‘facilmente che quelle scosse occasionino anche un sensibile spostamento della posizione di riposo della bilancia; ciò deve essere dovuto ad una modificazione dell’'as- sestamento molecolare del giogo, o del modo di appoggio dei tre coltelli della bilancia. La constazione di tali fatti mi ha indotto a sperimentare, per le mi- sure più delicate, nel corso della notte, dalle ore 1.30’ alle 4.30’, o nei giorni di sciopero generale (13, 14, 15 giugno; 20, 21 luglio 1919), quando cioè principalmente le scosse dei trams erano evitate. Per terminare di dire della stabilità dello zero, avverto ancora che, data la grande sensibilità della bilancia (vedi appresso), non si debbono mai fare osservazioni comparative, alzando od abbassando il giogo alternativamente; anzi è opportuno di lasciar questo abbassato per più giorni, prima di comin- ciare le osservazioni stesse. Sensibilità della hilancra. — Il carico della bilancia è di circa 1300 gr. per braccio, ed occorreva accrescere al massimo la sua sensibilità. Ora, a braccia scariche si può raggiungere facilmente, regolando il centro di gra- vità del giogo, una sensibilità di circa 10 parti della scala a lettura diretta, per mg; a ciò corrisponde uno spostamento del raggio luminoso riflesso, a 12 metri, circa 60 volte maggiore, cioè di circa 500 mm. Ma, a braccia ca- riche, sia per difetto costruttivo, sia per la deformazione del giogo, la sen- sibilità rimane di molto ridotta. Rialzando alquanto. in tali condizioni, il ‘peso a vite che si trova infilato sull’indice della bilancia, si può di muovo aumentare la sensibilità: ma non conviene riportarla al valore suddetto, perchè altrimenti le oscillazioni di quella diventano troppo lente; mi sono «quindi accontentato di circa 200 a 300 mm. per mg. Se allora si scaricano nuovamente le braccia della bilancia, staccando le due sfere m ed w', essa ri- mane folle, la qual cosa non ha importanza. Col carico delle sfere m ed m', la durata delle oscillazioni semplici è di circa 70”; ma, dopo aver abbas- sato il giogo, la sensibilità non rimane costante; essa va anzi diminuendo col tempo, insieme con la durata delle oscillazioni. Così, dalle più recenti osservazioni da me fatte, ricavo la seguente tabella : Giogo abbassato alle ore 9,30" del 16 luglio 1919: ‘Data Ora Durata d. oscillaz. Sensibilità p. mg. 16 luglio 9,40” 626 mm. 222 "n 17.25' DI" » 225 diva 4,35 55 » 182 19 .ra 17,45" 50” » 105 20» 11,50' 50” c RO TI 20 » 18,0 49” » 172 Ql » IO: 49” ni CI Dalla quale si rileva che la sensibilità. dopo essere caduta da 322 a 182 in circa 30 ore, è rimasta presso a poco costante, per gli altri quattro giorni. Per cui, occorre lavorare a giogo abbassato da almeno 24 ore. per mantenere le condizioni di sensibilità all'incirca costanti. — 28 Da quanto precede risulta che, in ogni modo, si deve controllare so- vente, nel corso delle esperienze, il valore della detta sensibilità. Non cone- viene però turbare l'andamento delle oscillazioni, con l’entrare sovente nella stanza della bilancia, ed ancora più col manovrare il congegno del cavalie- rino o, peggio, quello per il rialzo del giogo. Ho preferito quindi deter- minare spesso la sensibilità, servendomi dell’effetto newtoniano diretto, di una certa quantità di mercurio nel vaso U. Si comprende infatti che, se questo non è completamente pieno, si crea una dissimmetria nella posizione di quel liquido, rispetto alla sfera di piombo mm, e, in conseguenza, una certa forza agente su questa, che si può @ priori calcolare. Tale forza è mas- sima quando il recipiente U è riempito solo fino a metà: il che si controlla sia con la terza lampadina, sia col raggio riflesso dallo specchio S". Ora, l'espressione della forza newtoniana occasionata dalla massa di mercurio così ridotta, come sarà stabilito in seguito, è data da F=akm9(2a+2RT—2/a + R*—7), dove % è la costante di attrazione universale; m, la massa della sfera di piombo; +, la densità del mercurio; « la mezza altezza del cilindro di mer-- curio che sarebbe contenuto nel vaso U, se pieno; R il suo raggio; ed r il il raggio dell'involucro V (fig. 4). Si ha ora: m= 1274 gr.; 9 =13,60; a= 10,585 cm.; R=10,925 cm.; 7.:=3,9 5 ed essendo X = 6,68-10-8, si ha: F=0,0319 dine = 0,0326 mg. Se la sensibilità della bilancia è di 171 millimetri per milligrammo,. l’effetto di metà della massa di mercurio, corrisponde a 0,0326 .171 = 5.57 mm. Osservazioni numeriche, che per brevità non riporto, confermano l’esat- tezza di questo valore, almeno dentro la prima cifra decimale. Questo metodo di controllo della sensibilità si è appalesato sufficien- temente approssimato per lo scopo delle presenti ricerche, e, in ogni caso, più rapido e sicuro del consueto, fondato sull'uso del cavalierino. Inciden- talmente osservo che il metodo può anche servire, come quello della bilancia di Cavendish, per la determinazione della costante newtoniana. È però da osservare che, forse, il risultato non debba in ogni caso corrispondere alle previsioni teoriche, in conseguenza dell'effetto di schermo della massa di mer- curio, sottostante alla sfera di piombo, sulla gravità: tale effetto. la cui con- statazione è lo scopo delle presenti ricerche, esiste realmente, come farò ve- dere in seguito. In sostanza, così operando, il valore osservabile per F ri- sulta alquanto più piccolo; ma, se mai, si tratta di una piccola differenza inferiore ai 2 o 3 decimi di divisione, che non può turbare di molto le VETO QERl, determinazioni di sensibilità. Comunque, il metodo di determinazione della sensibilità, fondato su tale azione newtoniana, dà risullati ottimi, potendosi confrontare, sperimentalmente ed una volta tanto, questi con quelli che si ot- tengono servendosi del cavalierino. Possibili fughe di aria ed azioni meccamiche. — In sul principio delle mie ricerche, una causa frequente di perturbazione era costituita da lievissime fughe di aria nell'interno della bilancia. Di esse, per dire il vero, non mi potevo accorgere se non col fatto della mancanza di tenuta del vuoto, quando veniva fermata la pompa. L'artificio del doppio involucro VV', fu anche adottato, in vista di eliminare la maggiore azione perturbatrice che le fughe stesse esercitano sulle misure. Infatti, se avessi adoperato solo un involucro, sul quale il mercurio sarebbe venuto ad adagiarsi, le eventuali falle si sarebbero otturate. durante la presenza del liquido, per riaprirsi a mercurio rimosso. L'’in- gresso di aria avrebbe turbato così la posizione di riposo della bilancia pe- riodicamente, inducendo in grave errore nell'apprezzamento dei fenomeni. Col doppio involucro, questo inconveniente è completamente eliminato; d’al- tronde, quando arrivai a trovare il modo di masticiare quasi perfettamente l'esterno della custodia della bilancia, ogni pericolo di ingresso di aria venne eliminato. Ma il doppio involucro VV' ha un’altra funzione importantissima: di rendere cioè completamente indipendente il sistema Mlancia, sfera m, invo» lucro V, dall'altro recipiente U, involucro V. Avevo, al principio delle espe- rienze, connesso rigidameute i due tubi N e T; mi ero poi assicurato che l’apporre dei pesi (sino a 200 kg.) nelle vicinanze dei piedi di U, non por- tava alcuna perturbazione allo zero della bilancia; per cui ritenni che questo non potesse venire spostato, per azione statica del peso del merenrio. In ciò fui confortato da un inesatto apprezzamento: pensavo cioè che, anche nel caso in cui il peso del mercurio avesse costretto il giogo ad abbassarsi per: trazione del tubo D, ciò sarebbe stato senza influenza sulla posizione di ri- poso dell'indice luminoso sulla scala a 12 metri, giacchè il giogo, libero di oscillare, non avrebbe potuto cambiare di posizione angolare. Dovetti però, in seguito, riconoscere per esatta questa seconda parte del mio giudizio, non la prima. Infatti, la posizione dell'indice luminoso non sarebbe cambiata, se lo specchietto S, destinato a riflettere la immagine del filamento luminoso, fosse stato piano. Ma, come è facile riconoscere, uno specchietto concavo, simile a quello da me adoperato, trascina con sè l'immagine luminosa reale da esso formata, se esso sì sposta parallelamente a sè stesso e normalmente al suo asse ottico. Ora, benchè i pesi posti sul pavimento non esercitassero alcuna influenza sull’indice luminoso, dovetti, nell'aprile scorso, constatare che il mercurio costringeva il fondo del recipiente U a deformarsi, abbas- sandosi per circa 2 decimi di millimetro, al centro. Questo spostamento, trasmettendosi alla bilancia attraverso il tubo D, mi aveva indotto in un — 50 — apprezzamento errato: che cioè il peso della sfera di piombo venisse a cre- scere per la presenza del mercurio. Le osservazioni erano così concordanti, e la causa dello apparente aumento di peso così delicata e nascosta, che, non sospettandola atfatto, non esitai ad annunziare allora il risultato delle: esperienze in quel senso. In seguito, essendomi accorto dell’errore, lo eliminai completamente, togliendo qualsiasi connessione meccanica tra il serbatoio di di mercurio U e la bilancia. Rimaneva il dubbio che una azione più piccola sì potesse trasmettere dal pavimento sostenente il mercurio e la bilancia, attraverso il muro e la mensola L (fig. 4). Ma accurate ricerche, scartarono- del tutto questa possibilità. Così pure è da escludere qualsiasi influenza della varia posizione del mercurio, sulla stabilità delle lampadine di projezione,. illuminanti gli specchi S ed S”. Metodo di osservazione. — Passo ora a descrivere il metodo adottato per l'osservazione dell’azione del mercurio sulla sfera m. Dirò anzitutto che, per determinare la posizione di riposo della bilancia, ho adottato il comune metodo della lettura di un numero dispari di posizioni estreme delle oscil- lazioni del suo giogo, e propriamente tre. Non conviene scegliere un numero maggiore, dovendo rendere il ciclo delle varie osservazioni il più rapido pos- sibile. L'indice luminoso del giogo raramente apparisce in riposo; ma, se- ciò accadesse. esso comincia ad oscillare, non appena si provoca uno spo- stamento del mercurio contenuto nel recipiente U; ciò in conseguenza del manifestarsi di forze nemtoniane. L'ampiezza massima delle escursioni, così provocata, può essere di circa 5 millimetri. Come già si disse, per inevitabili variazioni di temperatura, la posizione: di riposo della bilancia si va continuamente spostando. sulla scala verticale, e ciò ora in basso, ed ora in alto; ma questo fatto si svolge con grande lentezza, e abbastanza regolarmente. In ogni modo, volendo studiare l’azione della presenza del mercurio, è bene procedere con una certa rapidità al fine di poter ritenere che la variazione dello zero sia, nel corso di tre serie di osservazioni consecutive, sensibilmente lineare. Così, osservando prima la po- sizione di riposo dell'indice luminoso senza mercurio, poi con mercurio, poi di nuovo senza, si fa in seguito la media fra la prima e la terza osserva- zione, e poi la differenza fra questa media e la seconda osservazione. Per ridurre al minimo il tempo intercedente fra le singole osservazioni. occorre far sì che il mercurio fluisca piuttosto rapidamente dal recipiente U ai sei serbatoi, e viceversa. E, perchè ciò avvenga, ho accresciuto sino a circa 2 cm. il diametro del tubo adduttore del mercurio, onde diminuire la resi-- stenza al passaggio di questo, ed arrivare a poter compiere quella operazione in circa tre minuti primi. Siccome la durata di ciascuna oscillazione sem-- plice è di circa un minuto primo, così occorrono circa due minuti per le tre letture necessarie alla determinazione di una posizione di riposo. In tutto, ciascuna serie di operazioni, cioè afflusso del mercurio (o deflusso) e tre let- Dogs ture di oscillazioni, richiede circa cinque o sei minuti primi. Una determi-- nazione dell’etfetto della presenza del mercurio si fa, dunque, in circa quin- dici minuti primi. Ma, di solito, non è bene limitare le osservazioni ad una sola determinazione; ed ho infatti sempre preferito continuare le osservazioni per due o tre ore di seguito, facendo fluire o defluire alternativamente il mercurio nel o dal recipiente U. Tali osservazioni sono fatte mentre sì con- trollano dallo stesso posto di osservazione, a 12 metri dalla bilancia e senza mai rientrare nella stanza di questa, le posizioni degli indici luminosi del giogo e del congegno per i livelli del mercurio, ed inoltre manovrando a suo tempo la cordicella per il tiro del rubinetto. Ciascuna serie va iniziata dopo che il giogo è stato abbassato da almeno 24 ore, e che la pompa abbia lavorato tranquillamente e senza scosse, da più ore; come si è detto, occorre scegliere per ciò i periodi di assoluta tran- quillità: la notte od i giorni di sciopero generale (sotto tal riguardo utili). Va ora notato che le letture di oscillazioni con o senza mercurio, deb- bono essere iniziate regolarmente ad intervalli di tempo costanti. Se non si adottasse tale avvertenza, si potrebbe incorrere in grave errore, causato dal- l'incostanza della posizione di riposo. Supponiamo infatti, come realmente avviene nella mia disposizione, che il tempo impiegato ad aspirare il mer- curio sia più breve di quello necessario perchè vi rientri. Suppongo inoltre, per un momento, che l’azione ricercata del mercurio, sul peso della sfera di piombo, manchi del tutto; e che inoltre lo zero della bilancia si vada spo- Stando sulla scala verticale dalla cifra 0 verso 500, cioè verso il basso. Pro-- cedendo alle letture di oscillazioni, subito dopo che il livello del mercurio sia stato raggiunto, avviene che il tempo #,, fra l'osservazione con mercurio e la seguente senza mercurio, è più breve del successivo tempo tf» fra senza mercurio e con mercurio. Diciamo C,, S2, C3, S4, Cs, Se... le successive de- terminazioni delle posizioni di riposo, fatte con o senza mercurio; se v rappresenta la velocità costante di spostamento dello zero della bilancia, si vede facilmente che CES S° +8, _Cat0s sg _ _ btu. 2 di Cisur Sa “i C3 9 a De Dre cioè la posizione di riposo con mercurio apparisce sempre più in basso di quella senza mercurio; l’esperienza induce così nell'apprezzameuto di un falso etfetto. Il rovescio accadrebbe se tf. ), esposi un metodo di dimostrazione della formula (1), per le funzioni assolutamente continue, del tutto diverso da quelli che al- l’uopo già erano stati proposti, metodo che mi sembra ponga bene in luce la ragione della validità della formula stessa. In questa Nota, e in altre due che la seguiranno fra breve, mi propongo di mostrare, valendomi sem- plicemente della formula detta, che 7%! procedimento di integrazione alla Denjoy permette di risolvere in modo completo il problema sopra enun- ciato, e che il problema stesso ammette sempre una sola soluzione. Forse ciò si può anche ottenere con un accurato esame dei risultati stabiliti nel poderoso studio del Denjoy sulla derivazione e il suo calcolo inverso (*), la cui lettura peraltro, data la lunghezza del lavoro, riesce alquanto laboriosa. Ad ogni modo non è privo di interesse, pure nel caso dei numeri derivati sempre tiniti, l'avere una dimostrazione diretta della possibilità di ottenere la primitiva col procedimento del Denjoy. Risulterà poi, da quanto verrò esponendo, che il calcolo della primi- tiva può eseguirsi anche se, in un insieme di punti di misura nulla, non è effettivamente conosciuto il valore del numero derivato considerato, e ne seguirà la proposizione: Condizione necessaria e sufficiente affinchè una funzione continua sia determinata, a meno di una costante, da un suo numero derivato, è che: 1°) questo numero derivato sia conosciuto quasi dappertutto ; 2°) nessuno dei due insiemi di punti, in cui esso assume i valori di +0, — 0, contenga un insieme perfetto. (*) Di lato e rango fissi. (2) Vol. XXV, 1916, 1° sem., pp. 163-170. (3) Il lavoro è diviso in tre parti: « Memoire sur les nombres dérivés des fonctions continues» (Journal de Mathématiques pures et appliquées, 1915, pp. 161-248); « Mé- moire sur les fonctions dérivées sommable » (Bulletin de la Suciété Mathématique de France. 1915, pp. 161-248); « Mémoire sur la totalisation des nombres dérivés non som- mables» (Annales scientifiques de l’Ecole norm. supérieure, 1916, pp. 127-222; 1917, pp. 181-238). LR e In questo enunciato, alla seconda condizione si può sostituire l’altra, ‘apparentemente più restrittiva, che cioè non contenga un insieme perfetto l'insieme dei punti in cui il numero derivato è in modulo uguale a + co. 1. Dato un insieme perfetto P di punti di una retta, chiameremo por- zione di tale insieme ogni insieme perfetto composto tutto di punti di P e tale che, detti @ e # i suoi estremi, ad esso appartengano #ui/ ì punti di P compresi fra @ e f. Ciò premesso, sia /(x) una funzione finita e continua, data in tutti i punti di un intervallo (a, è), e ri supponga, fino ad avviso in contrario, che il suo numero derivato superiore destro 4,(7) — che indicheremo sem- plicemente con 4(x) — sia sempre finito o tutt'al più uguale a — co in un insieme di punti E_., che row contenga nessun insieme perfetto. In ogni insieme perfetto P di punti di (a.b), esiste sempre una porstone sulla quale A(x) ammette un limite superiore finito. Indichiamo, infatti, con R(x) il limite superiore del rapporto inere- mentato (2) ad) CI per tutti gli % soddisfacenti alla doppia disuguagliauza 0 — 0; “e minore di zero, in caso contrario. Per tutti gli 4 tali che d9— c0; e R(x) = M(x)|, in caso contrario. La R(«) è, inoltre, semicontinua inferiormente in ogni punto di (4,2), secondo estremo escluso. Infatti, considerato un x, qualunque di (a . è), di- stinto da 2, e preso ad arbitrio un “50 abbiamo, per almeno un va- lore ho, tale che 0O ho[R(x0) — 8]. f(a + ho) — f(0) ho minare su G >Q0 in modo che si abbia, per tutti gli x di (a, d) soddisfa- centi alla |e — x] = 0, /(c +4 kh) —f(a) > ho[R(20) — 8]. Per gli x indicati è allora R(x) > R(x) — €, ciò che prova la semi- continuità interiore della R(). Siccome è sempre 4(x) = R(x), basterà dimostrare per la R(x) la proprietà affermata per la 4(2). Supponiamo dunque che tale proprietà non valga per la R(x) e cioè ‘che, presi comungne un numero N ed una porzione di P, esista sempre in La funzione di x, , essendo continua, si può deter- Cer4gn = questa porzione qualche punto in cui sia 4(x) > N. Per la semicontinuità inferiore della R(x) esiste allora, in ogni porzione di P, un’altra porzione in ogni punto della quale è 4(x) > N. Poniamo N=1 e consideriamo tutte le porzioni di P in ogni punto delle quali è -4(x) > 1. Chiamata lun- ghezza di un insieme di punti di una retta quella del minor segmento che lo contiene, indichiamo con 2/ il limite superiore delle lunghezze delle porzioni di P indicate e con 7, il limite inferiore dei primi estremi delle porzioni di lunghezza =/. È evidente che, nel segmento (91,92) di (2,2), che ha per primo estremo 7, e lnnghezza =/, esistono infiniti punti di P che hanno per punto limite 9, e che in tutti i punti di P appartenenti a (41:42) escluso al più 9,, è A4(2)>I1. Si ponga 9° uguale a 92, se /, è punto limite di punti di P interni a (91, 92), e uguale al limite © superiore di tali punti, in caso contrario; si ponga poi 9°’ uguale al limite inferiore dei punti di P che si trovano a destra del punto di mezzo di (91,9). I punti di P che appartengono al segmento (9, q‘”) costituiscono una porzione P, di P e in essi è sempre A(x)> 1. Seguendo il procedimento qui indicato per la determinazione di P,, determiniamo la porzione P, di P, in cui è sempre A(x)>2; poi quella P3 di P, in cuì è sempre A(x)>3; e così via indefinitamente. Ciascuno degli insiemi perfetti P, P,, P., P3,... è contenuto in quelli che lo pre- cedono, ed esiste perciò almeno un punto p che appartiene a tutti i P,. In p deve essere 4(p)= + co, perchè in ogni punto di P, è A(2)>@, è ciò contraddice all'ipotesi fatta che sia sempre A(2)< + ©. Fisica. — Relazione tra resistenza elettrica e tensioni nel bismuto (*). Nota del dott. EnRICO ZAvaTTIERO, presentata dal Corrisp. M. CANTONE. Tra le note proprietà possedute dal bismuto, presentano speciale impor- tanza l'elevato potere termoelettrico, il suo comportamento rispetto al feno- meno di Hall, lo scarto della legge di Wiedemann e Franz, il forte diama- gnetismo ed il grande aumento della resistenza nel campo magnetico. Mi è sembrato pertanto non privo d'interesse, l'esame comparativo del comporta- mento elastico del bismuto assoggettato a forze di trazione e delle corrispon- denti variazioni della sua resistenza elettrica, essendo noto che questa for- nisce utili indicazioni sulle modificazioni di struttura, specie se si manifestano anomalie come nel caso del nichelio sottoposto a trazione (*). Le costanti ela- (') Lavoro eseguito nell'Istituto di Fisica della R. Università di Napoli. (3) Tomlison, Phyl. trans. of the Roy. Soc. parte I, 1883; M. Cantone, Rend. R.Acca- demia dei Lincei 1897, vol. VI, ser. 52, pag. 175. RI 9a stiche del bismuto ottenuto per fusione sono state determinate da Voigt (*) e da Griineisen (*); e poichè i valori forniti da quest'ultimo, assoggettando il bismuto a forze deformatrici piccolissime, presentano la più grande atten- dibilità, non ho stimato necessario eseguire nuove determinazioni in proposito, avendo di mira in questo primo studio una ricerca d’indole qualitativa. Dispositivo sperimentale. Per la misura della variazione di resistenza elettrica del bismuto, sì usò il metodo del ponte; il galvanometro impiegato era un Hartmann e Braum (sensibilità 1,2 X 1077), la pila un elemento Daniell. Il bismuto usato proveniva da Kahlbaum, era ridotto in fili e presentava notevole pa- stosità e fragilità. Il filo in esame, sospeso verticalmente, è serrato all'estremo superiore da un morsetto fissato ad una mensola metallica infissa al muro ed isolato elettricamente mediante lamine di ebanite. L’estremo inferiore libero, porta un serrafili al quale è saldato un filo di rame, che forma contatto col mer- curio contenuto in un pozzetto, scavato in un blocco di paraffina. Due fili di rame del diametro di 4 mm. collegano coi serrafili del ponte il morsetto superiore ed il pozzetto a mercurio. Nelle misure della resistenza, si potevano apprezzare i centomillesimi del valore totale; ma, perchè l’approssimazione non riuscisse illusoria, 11 tilo di bismuto veniva opportunamente protetto dalle variazioni di temperatura ambiente, circondandolo con un involucro di cartone a scomparti di sughero e rivestito all’esterno di stagnola. La temperatura del filo era indicata da un termometro che dava direttamente i ventesimi di grado, e che aveva il bulbo nella immediata vicinanza del filo. Per la misura degli allungamenti sì è ricorso al metodo che ha fatto buona prova nelle ricerche dei tisici giapponesi, di valutare cioè le rotazioni di un cilindretto (di ebanite, nel caso mio) sul quale poggiava leggermente il filo di bismuto, e la rotazione si è misurata col noto sistema dello specchio e della scala. Una divisione della scala, collocata a 3350 mm. dal filo, corrisponde ad una variazione di lun- ghezza di 0,0015 mm., essendo il raggio del cilindretto di mm. 5,033. L'adottare tale dispositivo implica delle limitazioni in quanto che si è costretti a far variare gradualmente il carico tensore, mercè l’etflusso di un liquido in apposito recipiente legato al filo; e, per evitare un forte carico iniziale, si deve compensare con una spinta, il peso del serbatoio. Si è ricorso a tal uopo a due galleggianti di sughero paraffinato, fissati con aghi di acciaio ai lati di un telaino leggero di legno, al quale è assicurata una provetta di (*) W. Voist, Wied. Ann. 48, pag. 674, an. 1893. (2) Griineisen, Ann. d. Phys., 22, pag. 801, an. 1907. RenpICONTI. 1920, Vol. XXIX, 1° Sem. 7 ‘vetro, della capacità di circa 200 cm? (fig. 1). Il sistema viene unito non Iigi- damente al serrafili dell'estremo inferiore del filo di bismuto mediante un anello di ebanite. e rimane in tal modo assicurato il’ perfetto isolamento elet- trico del filo. Metodo di ricerca, 1 quattro fili presi successivamente in esame provenivano da un'unica matassa e sono risultati di diametro uniforme (media delle determinazioni r= 0,0159 cm.); la densità del bismuto è stata accuratamente determinata e trovata uguale a 10,055 a 189,5. Speciali precauzioni sono state usate per evitare lo scambio di calore tra il locale I-II ambiente, che conservava temperatura quasi DS Ent costante, e l'intorno del filo; e, per limitare le ; il cause di errore dovute al riscaldamento del filo | per effetto joule, si chiudeva il circuito della (ATRIA pila a lunghi intervalli e per il tempo stretta- | mente necessario. A partire da un valore mi- Libla nimo della forza deformatrice, il filo di bismuto zz je= è stato assoggettato ad una serie numerosa € LN un ripetuta di trasformazioni cicliche unilaterali, peul) | | O : con ampiezza via via crescente. e la variazione NIENÒ | NZAZZzoni del carico avveniva ad intervalli di circa 20', | rr tempo ritenuto sufficiente (quando sì opera per | valori non troppo elevati del carico) a ridurre | al minimo le cause di errore inerenti alle ill AT variazioni termiche determinate dalle defor- mazioni elastiche del filo. Le variazioni di lunghezza e la temperatura erano apprezzate successivamente alla determi- nazione della resistenza elettrica; e. nel determinare il valore della variazione di resistenza, sì è supposto costante il rapporto della variazione della tempe- ratura al tempo, per tutta la durata di una intera trastormazione ciclica; ciò equivale a considerare quale valore vero della variazione di resistenza elettrica del filo, per un determinato carico, la media dei valori relativi alla variazione della resistenza, nelle due fasi nelle: quali si compie il ciclo. In alcuni casì le esperienze furono ripetute assoggettando il filo all’azione del campo magnetico fornito da apposito rocchetto coassiale al filo di bismuto. Risultati sperimentali. Tra le numerose serie complete di esperienze, le quali tutte presentano lo stesso carattere di regolarità, solo alcune sono state prese in particolare considerazione. ed i valori relativi si possono desumere dai diagrammi an- Ra dl ., dr Cla nessi, dove indico con RI l'allungamento relativo, con a la variazione SEDILI NS relativa di resistenza, con H il campo, e distinguo con numeri ed indici progressivi il filo e la serie. Per dare un'idea dei particolari delle esperienze, riporto i risultati nu- merici di una serie completa. SERIE ls. Via Tempera- | - CARICO ESISTENZA] DIvISIONI Ha dr TURA aggiunto Ohm scala 10-4 x 850° | 168 | = 25110 217,7 2 pr Sub + 16,84. (| 10,52. |- 2,5106 220,7 I 8.0 —13 9,35" | 16,84 —.10,52 | 2,5121 217,8 = 09 2216 10,0: |. 16,87% 10,52 2,5109 921.0 + 82 — 12 10,20 | 1689 | —10,52 2,5128 218,1 gig i o 10,40% | 16.92 19,99 2,5103 224,6 STI, SEN iz d694 — 19,99 2,5133 218,8 = na 30 11,25" | 16,95 19,99 2,5105 225,1 SE R/R E98 11,42" | 16,98 — 19,99 2,5137 219,5 Lx676 + 32 10: 29,46 2,5097 298,9 Ada — 40 Ong 170 — 29,46 2.5143 220,4 a B5 + 46 Ra CA O 29,46 2,5109 231,2 + 10,8 — 46 13,50" 178 | — 29,46 2,5168 9214 See IV) A 7/0 38.98 2,5125 236,4 + 15,0 Cd 5a) 17,48 — 38,93 | 25184 294,2 BEDA: L 59 15,507. | 17,58 38,98 | 2,5142 237,0 BI | -58 16:18" |-1%g7 | —3893 “| 2,5203 295,4 pg: + 61 16,34 | 178 48,40 25147 244,9 + 19,5 — 56 10.510. |/ 117,63. 4840 25219 930.0 — 14,9 + 72 17:15 17,86 | 48,40 | 25157 247,2 + 172 — 62 17874 | -17,85 — 4840 | 2,5224 232,3 20) L 67 17,55" | 17,85 57,87 | 25155 268,7 4 36,4 — 69 18,80" | 17,84 — 57,87 |! 2,5220 250,7 — 15,0 Sete 1849 | 17,76 57,87 2,5150 274,4 + 23,7 2800) 19,15" | 17,72 | —57,87 | 25223 92570 TA Ber) 1940 | 17,7 65,74 2,5149 299,0 + 49,0 ZA 20,2 17,62 | — 65,74 2,5233 | 2794 29,6 gd II ASS 65,74 | 2.5156 313.4 + 34,0 DET 20,55" | ‘1756 | —65,74 | 2,524 293,6 2 19:8 + 85 Lunghezza del filo... +» è i INIL — ali 9:63a me Lunghezza del filo utile per lo Studio slamtisi I= 14738 n Distanza dello specchio dalla scala . .... D==1679 ” Una divisione della scala =? mm. I T TIA EEE EENSOZONZE LI { 7 SCA | | ] taslani T [| HH I A== 7 GL o H : i i ii ARI sleale mai ETISICI RA I REN RETE TERE FGG I i, LN H+-+HHHH pen sEPEESAENATEREO iam pi ip ea DT ir] o, T I | GGI Î | I Jas | al | ja ]e LI uma: {rai all RE) | dh L el REGEBAN Î VETAATAS) SAI 6 | LI Ti AN Trheloi sali li sn x [ala SN spal CENE \ | | pai) hi I | n pel 35; - nn [lets] pala ! È | li 7 7 NH MX di | i jus |a] | zoo Vj] NODI N ] ] | LI LI | | | | 2105 NU soon] [ I Dc | LI I LUN |aen] ERE NAai | iS I LI aa Î COND EH x LOPOS 15 | T ] a: I nai 1 + L I INI \ I_] [ I] LI = nino DI LI | I 7 E | e MESI Ì Lan] aan 8 carl J | xx [ria] COLITE — 3 JN INESSALA MERLI È -- I : II Pasini de | Biala | | Na ] E Li f CA Ì IRE SOI I ONTENZTSI scala t T AE | [ Î i BRORLI Ì | I H | TT] i HH DI] 1 l + — i Cie! T I (eli feel I 11 [asp] pain L 4 Pra - | [na] | LI > Uro EBEnD ER] È EireRsaaa I Fic. 2 Prendendo in esame i valori numerici relativi al processo elastico del filo, si nota come, per valori piuttosto piccoli della forza deformatrice, valga una certa legge di proporzionalità tra le forze e le deformazioni; col crescere del carico, viene a cessare la validità della legge di Hooke e si rendono ma- nifesti gli effetti dovuti all'elasticità susseguente del filo. L'esame dei dia- grammi relativi alla variazione della resistenza elettrica, in rapporto alla variazione del carico, rivela nel bismuto notevole comportamento anomalo, poichè da essi si desume che al crescere della dilatazione longitudinale, lungi dall'aversi per il bismuto gli aumenti di resistenza che sarebbero da . prevedersi tenuto conto delle relative variate dimensioni del filo, si ha invece diminuzione continua di resistenza, con legge di proporzionalità agli allunga- menti in un primo tempo e poi con rapidità sempre più piccola, in modo da manifestarsi la tendenza a raggiungere un ramo asintotico, nel campo delle forze nel quale il filo presentava marcata plasticità. In un'altra fase, cui ci sì spinse nelle serie I, e IV3, si lasciò agire il peso tensore per molte ore e si accertò, corrispondentemente alla deformazione continua e lenta sotto SERIE l,. Serie IV,. E E | A e i|# | de [djs De Da "> L UL NO Ò AAC e go |107Xx | 10] 10 0 È 10 x | OPE | 10 î Vip | 13,21 0.61 | — 5.67 0.8 — 6.5 13.21) 0.56|— 436 0.8 - 51 26,41 1.01 | 11.1 1.4 — 12.5 26.41 1.12 /|— 8.83 1.6 — 10.4 39,62 1.85 | — 17.23 2.6 — 19.8 39.62 1.80 | — 12.58 2.5 — 15.1 52,83 2,50.] — 22.7 3.5 — 26,2 52.83 2,94 | -— 16,8 3.3 — 20.1 66,04 3.26 | — 27.9 4.6 — 32.5 66.04 S04= 204 4.5 — 25.2 79,24 4.63 | — 335 6.6 — 40.1 19,24 5.38 | — 22.8 1.5 — 304 ZAR 14.7 — 42 92.45] 12.0 |— 19.6 16.8 930 ” 144 | 19.6 20.2 — 40 ” 16.5 | 79] 23.1 — 31 » I6:4 415% 23.0 — 39 ”» itoi le al 25.8 — 28 » 19.0 .|— 11.4 26.6 — 38 ”» 20.4 -|+ 3.8.1 28.6 — 24 ”» 21.8 | 6.7 30.5 — 37 » 23.0 |+ 7,9 32.2 — 24 ” 23.6 | 3.5 83.0 — 30 ” 258 |+ 18.4 36.1 |— 18 ” 25.1 |T 08 35.1 — 36 DIR 20980213: 39.6 — 18 l’azione di un carico prossimo al limite di rottura, in un primo tempo una graduale diminuzione di resistenza, indi un aumento; ma, come si deduce dall'esame delle tabelle anzidette, tenendo conto delle variate dimensioni, si trova che l'effetto si riduce ad una graduale diminuzione del valore assoluto ZI di fe. e Dagli annessi diagrammi, relativi ai cicli compiuti entro i limiti di stabilità elastica, risulta che in ogni serie ciclica completa la curva delle (RPARRE 5 Al È i : 6 RN! funzione delle "e tende a raggiungere un ramo asintotico in cor- È ai ; N: 3 i rispondenza a valori di TA numericamente diversi da filo a filo, e per uno stesso filo dipendenti dal processo elastico al quale il filo è stato pre- dr cedentemente assoggettato nel senso che cresce in valore assoluto a nelle successive serie e sembra tendere ad un valore limite dopo poche serie com- plete, quando i) filo ha raggiunto una struttura interna particolare di equi- librio, certamente diversa da quella propria primitiva. Lane Azione del campo longitudinale. L’elica magnetizzante generatrice del campo è costituita da un filo di rame avvolto attorno ad un tubo di ottone lungo cm. 23,7 e comprende 406 spire; il campo creato all'intorno del filo di bismuto risulta sensibilmente uniforme. Si sono potuti realizzare solo campi relativamente deboli (216 unità ‘assolute C. G. S.) dovendosi evitare gli inconvenienti gravi che si verificano usufruendo di correnti intense, le quali producono riscaldamento nel filo e determinano oscillazioni nei valori della resistenza, dovuti ad irregolare scambio di calore tra il solenoide e l’ambiente. I diagrammi delle serie II; e II, si riferiscono all’azione del campo. Essi riproducono l’anomalìa riscontrata nelle altre serie e rivelano la tendenza delle curve a raggiun- ME : SAI a gere un ramo asintotico, in corrispondenza a valori di —— notevolmente più p piccoli di quelli relativi ai precedenti cicli completi per lo stesso filo: però il fenomeno inverso non si verifica nel cielo successivo II,, durante il quale il bismuto è stato sottratto all'azione del campo. Sembra quasi che il campo eserciti azione antagonista, rispetto a quella esercitantesi sul bismuto nel processo di trazione del filo. CONCLUSIONI. 1) Durante il processo di trazione, la resistenza elettrica del filo dimi- nuisce al crescere del carico: per piccoli carichi, con legge di proporzionalità alle deformazioni; per carichi elevati, con rapidità sempre più piccola. 2) Sotto l'azione di un peso tensore costante in prossimità del limite di rottura, la resistenza specifiea del bismuto aumenta gradualmente; ma si mantiene sempre inferiore al valore posseduto dal filo prima di essere de- formato. 3) Il campo magnetico esercita forse azione contraria a quella pro- dotta dal carico sulla variazione della resistenza elettrica; occorrono però altri dati sperimentali per un giudizio più sicuro. Al prof. M. Cantone, il quale ha voluto gentilmente affidarmi lo studio di cui è oggetto la presente Nota e che mi è stato largo di consigli e di aluti, esprimo la mia viva gratitudine. Chimica vesetale. — Sintesi di un peptide dall’acido aspar- tico cogli enzimi vegetali ('). Nota preliminare di C. RAVENNA, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Le esperienze descritte nelle precedenti Note(") hanno dimostrato che, per prolungata ebollizione delle soluzioni acquose di asparagina, questa si si trasforma parzialmente nell'acido asparagil-aspartico (dipeptide dell'acido aspartico di Fischer), e che lo stesso dipeptide può ottenersi dal malato acido di ammonio, il quale, per riscaldamento a 210°, dà origine ad un corpo dalla formula minima C,H3NO»; (l'antica imide fumarica) a cui assegnammo la costituzione probabile di un'anidride dell'acido 2.5-dichetopiperazin-3.6- diacetico, C:HgN:0,. Da tale anidride venne appunto da noi ottenuto, per trattamento con acqua di barite a freddo, l'acido asparagil-aspartico. Nelle citate Note abbiamo messo in evidenza l’importanza che hanno, a nostro avviso, tanto la trasformazione dell'asparagina come quella del malato ammo- nico nel dipeptide dell'acido aspartico: trasformazioni ottenute senza inter- venti chimici energici. Ci eravamo perciò proposti di studiare fino a qual punto le sintesi in parola potessero essere comparate coi processi naturali che conducono alla sintesi delle proteine nelle piante. Sebbene il programma di ricerche in questo senso sia appena all’inizio, pubblico nella presente Nota, sia pure con riserva, l'interessante risultato ottenuto facendo agire sull'asparagina i catalizzatori vegetali. Nel corso delle esperienze delle quali da lungo tempo si occupano Cia- mician e Ravenna (*), venne osservato che non soltanto le piante vive ma anche le piante triturate hanno attitudine a determinare particolari processi sintetici. Così la saligenina, la pirocatechina, l’idrochinone, il nitrile e l'acido mandelico, gli acidi lattico e tartarico e lo stesso glucosio si trasformano parzialmente in composti dai quali, per azione dell’emulsina o degli acidi diluiti, sì rigenerano le sostanze originarie. La natura di tali prodotti, alcuni dei quali potrebbero essere glucosidi, non è per ora chiarita; rimangono peraltro innegabili gli effetti sintetici determinati dalle piante triturate, che furono specialmente dimostrati per la saligenina la quale, oltre a dare, come (1) Lavoro eseguito nel laboratorio di chimica agraria della R. Università di Bologna. (2) C. Ravenna e G. Bosinelli, questi Rendiconti, XXVIII, 2, 113 (1919); XXVIII, 2, 137 (1919). (3) G. Ciamician e C. Ravenna, questi Rendiconti, XVIII, 2, 594 (1909); XXVII, 2, 298 (1918). Vedasi anche la XII Memoria, Sul contegno di alcune sostanze organiche nei vegetali, in corso di pubblicazione. fu detto, un composto scindibile dall'emulsina, sì trasforma in larga misura nella polianidride saliretina. Era perciò da supporsi che le sostanze attive contenute nelle piante potessero trasformare l’asparagina nel dipeptide dell'acido aspartico che può essere considerato come un'anidride iminica. Le esperienze che descrivo in questa Nota prelimizare indicano che deve formarsi appunto un composto di tale natura. In un pallone, della capacità di circa tre litri, furono posti gr. 500 di foglie di spinaci triturate in poltiglia fine e gr. 20 di asparagina sciolta in 500 ce. di acqua tiepida. Al miscuglio si aggiunse un poco di toluolo come antisettico e sì lasciò a sè il pallone tappato con cotone per 20 giorni, in termostato alla temperatura di 25° circa. La poltiglia venne quindi spre- muta ed il liquido filtrato attraverso carta. Per vedere se dall’asparagina avesse preso origine l'acido asparagil-aspartico, tutto il liquido tale e quale, senza concentrarlo per evitare che col riscaldamento potesse formarsi il di- peptide, fu trattato con acetato basico di piombo in piccolo eccesso. Si ottenne un precipitato giallastro che venne lavato ripetutamente per centri- fugazione, quindi sospeso nell'acqua e decomposto con idrogeno solforato. Il liquido, filtrato dal solfuro di piombo, lasciò separare, per concentrazione nel vuoto, dei cristalli aghiformi che fondevano a 100°; posti nel vuoto su acido solforico, sfiorivano mentre il punto di fusione si innalzava intorno ai 180° con decomposizione. Erano perciò con ogni probabilità costituiti dall’acido ossalico normalmente contenuto nelle foglie di spinaci. Il liquido filtrato dall'acido ossalico, per ulteriore concentrazione nel vuoto, lasciò un residuo sciropposo misto ancora a pochi cristalli. Per trat- tamento con alcool i cristalli entrarono in soluzione mentre lo sciroppo si trasformò in una polvere (circa 1 gr.) amorfa, bianco-grigiastra, solubilis- sima nell'acqua, insolubile nell’alcool. Essa venne ripetutamente lavata con alcool e seccata nel vuoto su acido solforico. Riscaldata in tubo da punto di fusione, poco oltre i 100° si rigonfia dando una massa schiumeggiante che riempie il tubetto e trabocca. Questi caratteri hanno fatto ritenere che la sostanza in questione fosse realmente il dipeptide dell'acido aspartico, Le analisi non diedero peraltro numeri esatti per la difficoltà, stante la piccola quantità di cui disponevo, di separare la sostanza dalle materie che provenivano dagli spinaci. Non potendo per ora purificare completamente la sostanza, ho cercato di stabilirne l'identità per mezzo dell'idrolisi che avrebbe naturalmente dovuto condurre all’acido aspartico. Questo non poteva provenire dall’aspa- ragina libera contenuta negli spinaci, perchè il prodotto era stato ottenuto per mezzo dell’acetato di piombo che non precipita nè l'asparagina nè l'acido aspartico e dalle quali materie la sostanza estratta differisce anche per la «grande solubilità Per farne l’idrolisi. tutta la sostanza rimasta (gr. 0,4) fu SEI bollita a ricadere per 12 ore con 20 ce. di acido solforico normale; dal liquido venne quindi eliminato l'acido solforico colla quantità esatta di ba- rite, ed il filtrato dal solfato di bario fu concentrato rapidamente a bagno- maria in corrente d'aria. Si separò una crosta cristallina alquanto colorata che venne ridisciolta in acqua. b@allita con carbone animale ed il filtrato nuovamente concentrato a piccolo volume. Si separarono, per raffreddamento, «dei cristalli a forma di laminette che vennero nuovamente purificati dal- l'acqua nella quale a freddo sono poco solubili. La forma cristallina, come pure la microanalisi. dimostrarono che essi erano costituiti da acido aspartico. mg. 3,797 di sostanza diedero mg. 5,05 di CO, e mg. 1,85 di H;0. mg. 2,863 di sostanza diedero cc. 0,252 di N (£=18°; p= 757 mm.). In 100 parti: Calcolato per CLH3 NO, Trovato C 50.09 36,27 H 5.26 5,45 N 10,52 10,29 È lecito dunque affermare che il corpo ottenuto per precipitazione col- l'acetato di piombo dall’estratto della poltiglia di spinaci può essere consi- «derato come un polipeptide derivante dall’acido aspartico e probabilmente l'acido asparagil-aspartico sopramenzionato. Sebbene l'analisi non abbia dato i numeri esattamente richiesti, il contegno della sostanza ed il prodotto del- l’idrolisi ne hanno fornito buoni indizi. Mi riservo tuttavia di dare la di- mostrazione definitiva mediante esperienze su più larga scala che ho già iniziato. Come controllo dell'esperienza ora descritta venne posto, contemporanea- mente al primo e per uno stesso tempo, un altro pallone contenente sol- tanto 500 gr. di poltiglia di spinaci, mezzo litro d'acqua e un poco di to- luolo per antisettico, allo scopo di vedere se l'acido asparagil-aspartico si trovasse naturalmente nella poltiglia di spinaci. Procedendo nel modo dianzi descritto, l'estratto acquoso fornì anche in questo caso, coll’acetato di piombo, un precipitato che venne sospeso in acqua e trattato con idrogeno solforato. Il liquido filtrato lasciò separare per concentrazione i cristalli di acido ossa- lico contenuto negli spinaci; e per ulteriore evaporazione rimase una piccola ‘quantità di sciroppo che per trattamento con alcool si trasformò anch'esso n una polvere amorfa solubilissima nell'acqua. La polvere ha peraltro un «contegno del tutto diverso dall’acido asparagil-aspartico. Riscaldata fino a 250°, ‘annerisce senza rigonfiarsi; bollita come precedentemente per 12 ore con «acido solforico normale si ottenne, dopo eliminazione dell'acido solforico colla «quantità esatta di barite, un liquido che per concentrazione non lasciò sepa- rare cristalli. In questa prova non è stato dunque rinvenuto il peptide del- RexpICONTI. 1920, Vol. XXIX, 1° Sein. s IIS l'acido aspartico formatosi, con ogni probabilità, nell'esperienza precedente coll'asparagina. Non è tuttavia da escludere in modo assoluto, anzi appare verosimile che, dato il modo della sua formazione, in piccola quantità possa essere presente anche nella stessa poltiglia di spinaci. La questione sarà ulteriormente esaminata nelle esperienze ‘più in grande, già iniziate. Un'altra prova di controllo fu eseguita lasciando a sè per egual tempo: una soluzione di 20 gr. di asparagina in un litro di acqua e un poco di toluolo, allo scopo di vedere se alla temperatura del termostato l'asparagina sì trasformasse parzialmente nel dipeptide dell'acido aspartieo indipendente- mente dalla presenza degli enzimi vegetali. Da questa soluzione non si ottenne peraltro traccia di precipitato coll’acetato di piombo. Ciò prova che l'acido asparagil-aspartico non si era formato, essendo la reazione coll’acetato di piombo assai sensibile. Le esperienze preliminari descritte in questa Nota hanno dunque indi- cato che per azione di enzimi vegetali si forma dall'asparagina un peptide dell'acido aspartico e, per quanto è a mia cognizione, sarebbe questo il primo caso di una simile sintesi, per mezzo di catalizzatori organici, fuori dell’or- ganismo. Come era stato messo in evidenza alla fine di una delle precedenti Note (’), la formazione del dipeptide dell'acido aspartico per ebollizione delle soluzioni di asparagina appariva di qualche interesse anche dal punto di vista del metabolismo vegetale. Ora questo interesse mi sembra accresciuto .dal fatto che dall’asparagina, per azione di enzimi vegetali, sì può arrivare ad un composto che, data la frequenza di questa amide nelle piante, po- trebbe essere considerato come un primo passo nella sintesi naturale delle proteine. Sarà però necessario di estendere la ricerca ad altri acidi amidati, ciò che mi propongo di fare. : Ringrazio infine il dott. Gaetano Bosinelli per la sua attiva e preziosa collaborazione in queste esperienze. (1) Questi Rendiconti, XXVIII, 2, 117 (1919). Chimica. — Zntorno alla Arbusterina ed ai suoi derivati (*). Nota di Grovanni SANI, presentata dal Socio G. KOERNER. Lo studio delle diverse fitosterine, di cui mi sono finora occupato. mi- conferma nella mia convinzione che si tratta di diversi isomeri, che si dif- ferenziano fra loro per alcune proprietà che sì accentuano talora in misura assai saliente, per cui queste ricerche presentano tuttora indubbio interesse ; ora, avendo a mia disposizione una certa quantità di olio del seme di Ardutus Unedo ne -ho estratto l'arbusterina contenuta, valendomi del solito metodo del Bòmer. Questa sostanza è accompagnata da due altre insaponificabili: una ce- rosa che è un idrocarburo di colore giallo citrino; l'altra che cristallizza in sferule di colore giallo ranciato, di odore gratissimo, delicato. che studierò più tardi. Queste sostanze, oltre al godere delle stesse proprietà della fito- sterina che accompagnano, rispetto alla solubilità nei varii solventi sono presenti in un rapporto ragguardevole: sicchè l'isolamento della sostanza, di cui è argomento la presente Nota, ha presentato difficoltà notevoli e richie- sto di conseguenza grande tempo. La sostanza, separata allo stato di chimica purezza e cristallizzata da soluzioni diluitissime di alcool a 97° in miscela a poco etere, si presenta in aggruppamenti di pagliuzze bianche con splendore setaceo, è idrata e fonde a temperatura relativamente non molto elevata. Scaldata in tu- bicino, fonde a 129°. La sua soluzione in cloroformio fornisce con acido solforico la solita reazione, dapprima rosso ciliegio, che passa poi al vio- letto sporco con riflessi porporini, mentre l’acido solforico sottostante si colora in giallo, poi in bruno con fluorescenza verde. La sostanza è otticamente attiva, devia a sinistra il piano della luce polarizzata ed ha un potere rotatorio specifico : (a) D!°° = — 159,20". In questo si differenzia molto dalle altre fitosterine da me studiate; infatti l’Ampelosterina (*) ha un potere rotatorio specifico : (a) D'5° = — 300,45, (') Lavoro eseguito nel laboratorio di chimica agraria del R. Istituto superiore agrario di Perugia. (2) Sani, Staz. Agr. Sper. It., vol. XXXVIII, f. X, VI. ZA l’Oleasterina (*) ha un potere rotatorio specifico : (ce) Lee 2 3904 mentre le colesterine hanno un potere rotatorio specifico più elevato. La colesterina della bile ha dato a Menozzi (?) ((e) \DI40 as 40 E quella del latte (*) (a) D'® = — 339,7 e la Bombicesterina (‘) (a) D!>o = — 549, valori che, come sì vede, sono ancora più lontani da quello della Arbusterina. DETERMINAZIONE DELL ACQUA DI CRISTALLIZZAZIONE. Grammi 2,80 di sostanza, scaldati in tubo Liebig, in corrente d'aria asciutta, fino a peso costante, hanno perduto gr. 0,1283 di acqua, il che dà per cento 4,80, mentre il teorico per una molecola d’acqua di cristallizza- zione è 4,69 per cento, in corrispondenza alla formola C* H'* OH.H?0. Nella sostanza anidra ho determinato il C e l'’H ed ho ottenuto questi risultati: gr. 0,248 di sostanza diedero gr. 0,7602 di CO* e gr. 0,2702 di H?0: peri quali dati si ha: Trovato Calcolato per C?°s H'* OH = 83:99 € —=.83,87%/% “R_12512 H = 12,36 9/0 BENZOATO DI ARBUSTERINA. Della sostanza ho preparato il benzoato scaldandone alcuni grammi con un leggero eccesso di anidride benzoica a 145°-150° per alcune ore in cor- rente di anidride carbonica, ed ho ottenuto una sostanza che, cristallizzata da alcool bollente, si presenta in cristalli brillanti, fondenti a 137°, che ho inviati al prof. Ettore Artini per lo studio cristallografico. Egli mi comu- nicava i seguenti dati: « I cristalli non sono affatto misurabili, si tratta di squamette rettangolari allungate; i due lati paralleli lunghi sono perfetta- (1) Sani, Staz. Agr. Sper. It., vol. XXXV, f. IV. (3) Menozzi, Rend, Lincei, vol, XII, I° sem., f. IX. (*) Menozzi, Id. id. (4) Menozzi e Moreschi, Rend. Lincei, vol. XVII, 1° sem., f. 3°. SSA mente nitidi ma le laminette sono di solito sensibilmente assottigliate verso le due estremità formate dai lati brevi che sono invece spesso curvi e male delineati; l’estinzione, otticamente positiva, è parallela all’allungamento ». All'analisi elementare ha dato: gr. 0,221 di sostanza fornirono gr. 0,6794 di CO? e gr. 0,2076 di H?O per cui si ha: Trovato Calcolato per C?6H#80 . OC*H" C= 83,39 9000 FIR ="10,08 ACETATO DI ARBUSTERINA. L'etere acetico all'arbusterina venne preparato scaldando gr. 2.6717 della sostanza con un eccesso di anidride acetica e mentenendo all'ebolli- zione per alcuni minuti, evaporando a secchezza a b. m., riprendendo con alcool bollente, poscia scolorando con nero animale e facendo cristallizzare. Si ottengono cristalli abbastanza bene sviluppati cristallizzando da solu- zioni molto diluite, che fondono a 110°. Alla combustione hanno dato i seguenti risultati: gr. 0.251 di sostanza fornirono gr. 0,7493 di CO? e gr. 0.2493 di H?O per cui si ha Trovato Calcelato per C*6H*°0. 0C.CH C= 81,09 C= 31,15 H:== 11,00 Ri#6lc02 ((OMPORTAMENTO DELL'ARBUSTERINA CON ALOGENI Ricerche eseguite per stabilire la quantità di alogeni tissate dalla Arbu- sterina mi fornirono risnltati che si allontanano da quelli ottenuti finora sulle collesterine, onde crede opportuno estenderle anche alla Oleasterina ed all’Ampelesterina, per vedere se queste differenze si verificano anche in quei due composti e riferire insieme i risultati ottenuti, con le deduzioni che ne seguiranno RI Egona _ Biochimica vegetale. — Za mnicotina nel tabacco (contri- buto allo studio della genesi e “della funzione degli alcaloidi) (*). Nota di BERNARDINI Luigi, presentata dal Socio E. PATERNÒ. Come è ben noto le piante, accanto ai principii fondamentali del loro organismo, elaborano altri gruppi di sostanze — alcaloidi, glucosidi, terpeni, sostanze tanniche e coloranti ecc. — che rappresentano ancora altrettanti capitoli oscuri della biochimica vegetale. Fra queste sostanze, gli alcaloidi hanno richiamato molto l’attenzione del chimico e del biologo; ma se la chimica di questi interessanti prodotti è abbastanza progredita, non si è riusciti ancora a chiarire la genesi e la fun- zione dell’alcaloide nella pianta che lo produce. Allo scopo di portare un contributo a quest'ultima questione comunico una prima serie di ricerche intorno alla nicotina nel tabacco. Gli studî di biochimica vegetale sulla nicotina offrono una scarsa let- teratura. La distribuzione della nicotina nel tabacco è stata studiata con ricerche istochimiche da Errera, Maistriau, Clautriau e dal De Toni (?) e quantitativamente specialmente dallo Schloesing. Il seme non contiene nico- tina, l’alcaloide comparirebbe nella pianta quando questa ha raggiunto un certo sviluppo; nella pianta è distribuita in tutti gli organi e massima- mente nelle foglie, ed è localizzata nei tessuti tegumentali; nelle foglie e nel fusto la proporzione della nicotina va diminuendo dal basso all'alto della pianta Albo, Ciamician e Ravenna hanno trattato la questione dell'origine e della funzione dell’alcaloide. Albo (*), credendo di aver riscontrato la sola- nina nel seme di tabacco, suppone che durante la fruttificazione, nella pla- centa e nel seme, la nicotina venga trasformata in una sostanza meno com- plessa e di più facile utilizzazione come sostanza di riserva azotata; ma Scurti e Perciabosco (‘) hanno tolto la base di tale ragionamento col dimo- strare l'assenza della solanina nel seme del tabacco. Ciamician e Ravenna (5) hanno eseguito accurate ricerche sulla produzione della nicotina in piante di tabacco alle quali erano state inoculate sostanze azotate e idrocarbonate {piridina, piperidina, acido carbopirrolico, asparagina, ammoniaca e glu- cosio). I risultati ottenuti non avrebbero condotto a conclusioni sicure; ma, (3) Lavoro eseguito nel R. Istituto chimico sperimentale dei Tabacchi. (?) Errera. Soc. belg. de microse. 1885-1886, Bruxelles; De Toni, Atti R. Ist. Veneto sc. ed art., serie 72, 1893. (3) Albo, Contr. biol. veget., Paler»0, vol. 3°, pag. 60. (*) Scurti e Perciabosco, Gazz. chim. ital., 37, parte II, 1906. {#) Ciamician e Ravenna, Atti R. Acc. Lincei, 1911, 1° sem. rog SI ‘essendo gli autori riusciti a dimostrare nel tabacco la presenza della iso- amilamina, ed avendo riscontrato un aumento di alcaloidi nelle piante ino- culate con ammoniaca, glucosio e specialmente con asparagina, ritengono probabile l'ipotesi del Winterstein ('), che per la formazione degli alcaloidi, le piante utilizzino basi provenienti da acidi amidati. Ravenna e Ba- bini (*), sperimentando in seguito in soluzione nutritiva (forse per eliminare la lesione traumatica dell’inoculazione che nelle esperienze precedenti aveva da sola provocato un aumento di nicotina), hanno cercato di confermare tale veduta, provando l'influenza del glucosio e della luce sulla produzione della nicotina; ma i risultati discordi ottenuti. non hanno permesso di trarre deduzioni attendibili. Le presenti ricerche riguardano: Distribuzione della nicotina. Si è determinata in tre piante di Ken- ‘tuchy coltivate in una stessa parcella di terreno del campo dell'Istituto sper. colt. tabacchi di Scafati. Le piante erano state poste al campo sui primi di maggio; la pianta A fu raccolta il 6 agosto a fioritura avanzata; la pianta 8 il 4 settembre con infruttescenza a semi in gran parte maturi; la pianta € il 29 luglio fu cimata asportandone il boccio floreale e, tenuta libera da germogli, fu raccolta il 4 settembre. La nicotina è stata. determinata col metodo Bertrand e Javillier al- l'acido sillico-tungstico. Nella tabella seguente riporto i risultati: °/o di nicotina nella sostanza secca Pianta A Pianta B | Pianta (€ (VIE CCI ea i 0,43 0,68 | 0,46 RADICI . / ì (alari ge a 0 0,58 0,80 0,63 \ bastare ee e 0,32 0,30 0,60 HUSTOL. a SR 0,18 0,15 0,82 (apicale 0: +. fs 0,09 0,08 1,07 INBIORESCENZA (net Leto cl gi nada 0,15 — — INFRUTTESCENZA « L00000 — tracce - ( lembi . 1,68 3,12 4,10 basse corone \ ‘| costole. 0,14 0,28 0,45 ; ( lembi . 1,05 2,94 4,50 FoGLIE . . | medie corone ( costole. 0,10 0,22 0,56 Î ale bal 0,56: 1,84 4,46 corone apicali | costole. 0,05 0,18 0,54 (*) Winterstein und Tier, Die Alkaloide, Berlin, 1910. (?) Ravenna e Babini, Atti R. Ace. Lincei, 1911, 2° sem. 'IGUE Comparsa della nicotina e influenza della luce. — Numerose prove mi hanno dimostrato ‘contrariamente alle asserzioni di Errea e De Toni, che la nicotina compare nella pianta nei primissimi periodi del suo sviluppo: essa si forma nelle foglie e la sua formazione dipende dalla comparsa della clorotilla. Ad esempio: mentre 20.000 piantine raccolte in germinatoi a sabbia quarzosa quando non avevano ancora emesso la crocetta, con dimen- sioni delle due foglioline non superiori a mm. 3 X 3, hanno permesso una determinazione quantitativa di nicotina (si ottennero gr. 2,1860 di sostanza secca col 0,29 °/, di nicotina), uno stesso numero di piantine raccolte nelle stesse condizioni, ma germinate e cresciute al buio, non dettero traccia di nicotina, così in altre pianticelle cresciute alla luce. mentre si potè dimo- strare la presenza della nicotina nelle foglioline, non se ne ottennero che traccie intinitesime nelle radici e nei fusticini (*). Utilizzazione della nicotina come riserva asotata. — Furono scelte (nella stessa parcella già menzionata) tre piante cimate A, 8. C, dopo che le foglie furono giunte a maturazione industriale. Determinazioni di nicotina, eseguite in piante della stessa parcella ed in analoghe condizioni, fornirono: nelle foglie, una percentale dal 4,30 al 4,50 °/,; nelle radici, dal 0,55 al 0,70 °/. Le tre piante furono poste nelle seguenti condizioni: A fu spogliata dalle foglie e tenuta libera da germogli; 8 fu spogliata dalle foglie e si lasciò sviluppare fino a fioritura un germoglio basilare; £ fu spogliata dalle foglie meno le ultime due apicali. utizzandosi la terza per la determina- zione della nicotina, e si lasciò sviluppare fino a fioritura un germoglio nato all'ascella dell'ultima foglia. Nelle radici delle piante A e £ raccolte con- temporaneamente, e nelle due foglie rimaste della pianta €, è stata deter- minata la nicotina. Si ottennero i seguenti risultati : Pianta A — Radici vecchie 0,50 °/, di nicotina. if «giovani 0,73 » ” ’ B— ©. vecchie 0,70 » ” =. giovani 0,82 » » ” C — Foglia raccolta prima dello sviluppo del germoglio 4,36 °/, nicot, Foglia » dopo lo ” ’ 442» 1» Azione della nicotina, della piridina e della picolina sulla germi- nazione del seme di tabacco. — Questa questione fu affrontata in parte senza attribuirle il suo vero significato fisiologico, per la prima volta dal Cornevio e di poi dal De Toni(?). Questi autori provarono l’azione della (') Come è noto, il reattivo svela fino a 3/10,000 di nicotina. (?) De Toni, Atti R. Ist. Veneto sc. ed art., 1892-1893. — b59 — nicotina sulla germinazione del seme di tabacco e stabilirono che essa de- termina un ritardo o impedisce la germinazione in soluzione dall'1 e 2°/o. Ho ripetuto le esperienze sia perchè, avendo gli autori precedenti provata la base libera, ho voluto sperimentare l’azione dei sali di nicotina, sia perchè ho creduto interessante di comparare insieme il comportamento della piridina e della picolina. Ho trovato, ripetendo le esperienze, e con migliaia di semi, in germinatoi a carta da filtro svedese e a sabbia di quarzo, che il sol- fato e il tartavato di nicotina impediscono la germinazione del seme di ta- bacco anche in soluzione all'uno per mille e la ostacolano. ritardandola, in soluzioni al 1/2 per mille, mentre soluzioni anche all’1°/, di piridina e di picolina non hanno influenza nociva sulla germinazione. Da queste ricerche risultano i seguenti fatti: La nicotina, che non è contenuta nel seme, è dannosa alla sua germi-- nazione, mentre non lo sono anche in più forti concentrazioni altri composti a nucleo eterociclico, quali ad es. la piridina e la picolina, che con. essa hanno relazione di dipendenza chimica. L'alcaloide comparisce nella giovane pianta non appena s'inizia la funzione clovofiliana, e si origina nella foglia. La pianta, che nel suo normale sviluppo contiene la nicotina nei suoi organi elaboranti in ragione della maggiore attività vitale sviluppata, ri-- sponde ad una grave lesione traumatica — la cimatura — che la colpisce in un momento importante del suo ciclo vegetativo compromettendone la finalità, reagendo coll’ intensificare la produzione dell’alcaloide portandolo e localizzandolo nelle regioni prossime al luogo dove avvenne la lesione. La nicotina localizzata delle radici e particolarmente accumulata nelle foglie non viene utilizzata dalla pianta anche quando quest'ultima è posta in condizioni favorevoli ad una sua possibile utilizzazione. Questi risultati conducono ad ammettere che la nicotina, originantesi probabilmente nell'organo elaborante da alcuni residui del catabolismo azo- tato, venga elaborata dalla pianta, sia per impedire l’accumularsi nell’'or=- ganismo di tali resti o rifiuti, sia per utilizzarli, esaltandone così la dan- nosità, a difesa dei suoi organi. Non si spiegherebbe altrimenti perchè la pianta di tabacco, che, come, ogni altro organismo deve economizzare le energie necessarie per il suo equilibrio fisiologico, debba sentire la necessità di ela- borare una sostanza, come la nicotina, quando questa è più dannosa dei prodotti da cui deriva, se la sua funzione dovesse limitarsi semplicemente ‘a quella di eliminare così dall'organismo prodotti dannosi del ricambio. Ciò, mentre è in accorde con l'ipotesi, sostenuta e convalidata con i suoi interessanti lavori dal Pictet ('), che la formazione degli alcaloidi rap- presenta un mezzo col quale la pianta può provvedere ad impedire l'accu- (!) Pietet, Arch. sc. phis. et nat., Genève, 1905; B. Chem. Ges., vol. 40, 1917. RenpIcoONTI; 1920, Vol. XXIX, 1° Sem. 9 To 66 mularsi nell'organismo di alcuni resti o rifiuti dannosi del ricambio azotato (e precisamente di quelli a nucleo eterocielico resistenti ad un ulteriore pro- ‘cesso di metamorfosi regressiva), si concilia con quella troppo unilaterale del Clautriau (*) che assegna agli alcaloidi una speciale funzione protettiva. Inoltre non mi sembra fuor di luogo ricordare, in ultimo, come si osser- vino nelle piante analogia di origini e corrispondenza di funzioni con altri prodotti, i tannini ad esempio, che, come è stato accennato, fanno parte con gli alcaloidi di quelle sostanze, cosiddette accessorie, dell'organismo vegetale. Infatti, qualche anno fa, nelle mie ricerche sulle sostanze tanniche nel ca- stagno e sui legni tanniferi (*) io posi in rilievo che il glucoside tannino, elaborato dalla pianta per impedire l’accumnlarsi di alcuni residui (fenoli poliatomici) del ricambio, è forse più dannoso di questi ultimi, ma, come tale, può essere utilizzato dalla pianta, localizzandolo e accumulandolo, per ‘un meccanismo assai semplice e da me illustrato, nel legno per la sua a mazione e conservazione. Patologia vegetale. — In/lvenza della nutrizione è dell’atti- vità radicale sul collasso e il disseccamento prodotti dal freddo (*). Nota di E. PANTANELLI, ‘presentata dal Socio G. CuBONI. - In:una Nota precedente ho accennato al fatto, già noto fin dalle espe- rienze di Sachs (1860) (‘), che basta, in. specie amanti del. caldo, un forte abbassamento di temperatura pur-senza congelazione, per causare una for- tissima perdita di acqua, un avvizzimento, degli. organi. erbacei, anche se l’ambiente e il terreno sono saturi di umidità. Approfondendo le ricerche, -potei assodare (*) che, raffreddando un organo a temperatura prossima a ‘quella ‘di congelamento, si determina un. progressivo. aumento ‘della permeabilità cellulare, reso evidente in acconci. oggetti di ricerca da una rapida emis- ‘sione di acqua dal tessuto tenuto. all’asciutto, e dall’esosmosi :di. sostanze dal tessuto immerso nell'acqua. Il fatto è generale: l'osservazione, ad occhio nudo o al microscopio, degli organi erbacei, specialmente di. foglie sottili, mostra che durante un forte raffreddamento si ha iniezione degli spazî inter- «cellulari e contrazione delle cellule: la perdita del burgore:: si Taela esterior- ‘mente .con l'avvizzimento (°). (3) Clautriau, Mature et significatioh des ‘alcaloides, Bruxelles, 1900. si ‘ (*) Bernardini, Ann. sc. sup. agric. di Portici, Toledo R. Soe chim. .ital., sez. Napoli, 1914. : : i no ato (*) Ricerche eseguite nella R. Si di Et St di Roma. (4) Questi Rendiconti, (5) 27, 1918, 1° sem., pp. 126-130 e 148- 153. (3) Questi Rendiconti, (5) 28, 1919, 1° sem., pp. 205-209. (6) La ‘perdita di acqua dal plasma e dal nucleo durante il congelamento: fu osser- “vata da Matruchot e Molliard (1902). Young (1915), Thomas e Smith (1919) hanno osser- TEA Affinchè il turgore, col risollevarsi della temperatura, possa ripristinarsi, occorre che l’acqua, uscita negli intercellulari, sia riassorbita dalle cellule. Ciò non accade se già durante il raffreddamento o col risollevarsi della tem- peratura l'acqua ha abbandonato l'organo per evaporazione, oppure se la fuoruscita di succo era stata eccessiva e il plasma, precipitato (1) 0 comunque denaturato, ha perso la facoltà di riassorbirla. Lasciando questo caso, che rientra nei fenomeni di denaturazione degli idrogeli (qualcosa è noto, per es., per la salda d'amido che, congelando, perde la facolta di rigonfiare in acqua), nell'altro caso. in cui il plasma ha conservato la facoltà di riassor- bire l'acqua, la parte evaporata di acqua deve essere rifornita dalle radici, altrimenti l'organo avvizzisce irreparabilmente e si secca, pur non essendo stato ucciso dal raffreddamento. Ha quindi importanza massima, per il ristabilimento del turgore, cioè perchè l'organo superi il danno del freddo, lo stato delle radici. Per averne una nozione precisa, ho esposto a temperatura bassa, ma non tale da pro- durre la formazione di ghiaccio dentro gli organi, due piante di ben diversa resistenza al freddo, il cece e la favetta. Esse erano allevate in vasi, in terra fina o in sabbia quarzosa, con aggiunta di diversi sali mutritizî, in modo da potere studiare l'influenza dei tre principali elementi nutritizî (azoto, fosforo, potassio) e dell’acidità o alcalinità del liquido del suolo. Rag- giunto il massimo sviluppo all'aria aperta ed in pieno sole, si esponevano queste piante al raffreddamento in frigorifero. Le culture erano tutte esposte in quadruplo, così che, mentre due vasi di un dato trattamento erano raffred- dati, altri due rimanevano a 15°; ciò permetteva di fare le determinazioni di controllo. Dopo alcune ore di raffreddamento (a temperature varie fra — 2° e —39,5), si toglievano i vasi dal frigorifero e, tolto il materiale di con- trollo, si lasciava il resto per 24 ore a 15°. Si determinarono ogni volta l’acqua, lo zucchero, l’amido, l'azoto solubile nelle parti aeree, e l'umidità nel suolo, distinguendo così le variazioni avvenute durante il raffreddamento dalle variazioni avvenute dopo il ritorno a 15°. Con questa metodica si potè stabilire che la sofferenza di ogni singola cellula è direttamente proporzionale alla fuoruscita di acqua durante il raffred- damento, ciò che possiamo chiamare collasso della cellula. La ricchezza di vato che l’acqua evapora direttamente dai frutti di agrumi esposti al gelo sulla pianta, anche senza che diminuiscano di volume. L’esosmosi delle sostanze contenute nel succo dei vacuoli si rende palese anche ad occhio nudo in determinati organi. Così Prillieux (1872) osservò che i fiori di talune orchidee si colorano in bleu quando gelano; Detmer (1886) che le foglie di Regonia si scolorano perchè la clorofilla è distrutta dagli acidi del succo. (1) Secondo Harvey (1918), le proteine precipitano col gelo di più nelle foglie di ‘cavolo non abituate al freddo, che non in quelle adattatevisi per una lunga esposizione a bassa temperatura. TIE zuccheri e di altri carbidrati, un'abbondante nutrizione fosfatica, la scarsezza di enzimi autodigestivi('), conferiscono al plasma la facoltà di trattenere più tenacemente l'acqua, finchè è vivo; vi è poi tutta una. gradazione di dena- turazione progressiva del plasma, fino a quello sfioccato o coagulato, che ha perso totalmente la facoltà di ritenere od assorbire l’acqua. Il collasso del- l'organo si ha quando la maggior parte delle cellule ha sofferto, anche se sono sparse fra cellule che non hanno sofferto (*). Rialzata la temperatura, la quantità di acqua ripresa dalle cellule degli organi aerei, cioè l'avvizzimento reversibile, varia col grado di collasso degli organi stessi e con la fornitura di acqua da parte delle radici. Ma se anche queste vengono refrigerate, l'assorbimento di acqua dal suolo e la spedizione di linfa verso il fusto si arrestano; la ripresa dell'attività radicale dopo il raffreddamento è tanto più rapida quanto meno hanno sotferto le radici e quanto più presto si riscalda il terreno (*). Così ho potuto constatare che l'acidità del terreno e la fornitura abbondante di fosfato (‘) rendono le ra- dici più resistenti al freddo, mentre l’alcalinità del terreno e la fornitura abbondante di azoto le rendono più delicate. Nel primo caso esse riprendono presto a funzionare quando la temperatura si risolleva: nel secondo caso tar- dano ed espongono gli organi traspiranti ad un avvizzimento irreparabile, tanto più rapido quanto più era cresciuta la permeabilità delle cellule degli organi stessi per il ratfreddamento. In una seconda serie di esperienze fu studiata l'influenza dell'umidità del terreno sulla resistenza al raffreddamento e sul successivo ristabilirsi (') Harvey nei cavoli esposti lungamente a bassa temperatura trovò più aminoacidi, ed è certo che ciò conseguiva al raffreddamento. analogamente a quanto ho osservato nel frutto di mandarino. Non credo però che l'abbondanza di composti azotati solubili sia un coefficiente di resistenza; anzi le cellule adulte, povere di protoplasma, collabiscono: per il freddo più delle giovani. (2) Russell (1915) ha pure osservato che non tutte le cellule di un tessuto sono danneggiate alla stessa temperatura: talune continuano a vivere e crescono in mezzo alle morte. Si producono così tumori non batterici (Harvey). Le vesciche che si formano sulle foglie parzialmente celate sono dovute alla stessa causa (Sorauer 1902, Noack 1905, Solereder 1905) i (*) Krabbe (1896) osservò che l'assorbimento di acqua fra 0° e 5° è 5-8 volte minore che non fra 20° e 25°. Secondo Kosaroff (1897), invece, anche sotto 0° si può avere assor- bimento di acqua, purchè non sia tutta trasformata in ghiaccio e le radici tollerino quella temperatura. (4) Per fornire il potassio da solo, non accompagnato da azioni di notevole effette fisiologico, fu dato sotto forma di bicarbonato. Esso accrebbe la resistenza delle radici al freddo, ma. forse per effetto della reazione acida che conservò al terreno. In natura la concimazione potassica aumenta. la resistenza delle piante erbacee al freddo, secoudo Couturier (1908), Dumas (1903), Grossmann (1910), Maas (1912). Chandler invece (1913) non ottenne alcun resultato sul pesco. E degli organi aerei. A tal uopo, colture in vaso eguali alle precedenti furono irrigate con quantità diverse di acqua, in modo che l'umidità del terreno si mantenesse, con una certa approssimazione, a 5, 10, 20, 40 e 60% (ri- spetto alla terra secca a 100°). Al momento di riporre le piante nel frigo. rifero, furono stabiliti con cura questi gradi di umidità. Durante il raffreddamento, gli organi aerei soffrirono tanto più quanto più erano ricchi di acqua (1); ma col ritorno a 15° le parti che meno ave- vano sofferto ripresero a traspirare subito, prima che le radici ricomincias- sero a funzionare, per cui vi fu, in definitiva, una insufficiente fornitura di acqua e un avvizzimento irreparabile tanto nel terreno troppo secco, quanto nel terreno troppo umido. Nella favetta, le cui parti aeree resistono meglio al freddo e quindi ricominciano più presto a traspirare dopo il risollevarsi della temperatura, questo fenomeno fu molto più saliente che non nei ceci. Per seguire meglio l'effetto del freddo sull'attività delle radici, si usa- rono anche culture acquose delle medesime piante, potendosi così misurare con maggior precisione l'assorbimento da parte delle radici e la perdita di acqua dagli organi aerei. La reazione alcalina del liquido (piante allevate con nitrato sodico) e un eccesso di fornitnra di sali azotati ostacolarono l’assorbimento di acqua e causarono così una maggior sofferenza negli organi aerei. La reazione acida del liquido ed una buona dose di fosfato o di potassio aumentarono la resistenza delle radici al freddo e permisero loro di ripren- dere più presto il lavoro, così che i relativi organi aerei si rimisero più facilmente. Abbassando la temperatura fino a produrre il congelamento della soluzione nutritizia, si osservò che le radici della favetta ne soffrivano poco, ma, dopo il ritorno a 15°, non potevano riprendere l'assorbimento finchè il ghiaccio non era fuso; intanto le foglie traspiravano e quindi avvizzirono, ossia il danno fu infine maggiore nelle piante le cui foglie meno avevano sofferto per il freddo o in quelle più sviluppate (?). Ma non basta che la radice possa riprendere l'attività assorbente per ristabilire il turgore degli organi aerei dopo il disgelo. Bisogna che l'acqua sia innalzata dalle radici al fusto, alle foglie; e poichè sono cellule viventi quelle che spingono l’acqua su per i vasi, era interessante vedere quale importanza ha il disturbo della funzione conduttrice nella sofferenza com- plessiva della pianta. A tal uopo furono esposte al raffreddamento nel frigo- rifero piante intere di fava edule, alte 60 cm., allevate in soluzioni nutri- (') È noto 26 antiquo che i tessuti più acquosi soffrono maggiormente il freddo e che i danni del gelo sono maggiori nei terreni umidi e nelle piante allevate all'ombra. Secondo Chandler (1913), un lento avvizzimento prima del congelamento o l'allevamento in terreno possibilmente asciutto aumentano la resistenza al freddo. (2) Per questa ragione le piante dei paesi artici mostrano adattamenti protettivi contro l’eccesso di traspirazione (Kihlman 1890, Stenstròm 1895) — 70 — tizie, oppure i soli fusti o i soli apici del fusto, pescanti nella stessa solu- zione o in acqua di fonte. Gli apici staccati soffrirono meno delle piante intere, perchè l'assorbi- mento di acqua, dopo il rialzarsi della temperatura, era per essi più facile. I fusti tagliati al colletto sotfrirono più delle piante intere, perchè l'acqua doveva percorrere un lungo tratto di vasi senza avere la spinta a tergo della pressione radicale, mentre le cellule che determinano l’ascensione della linfa avevano sofferto per il freddo. Incoraggiato da questi risultati, ho fatto agire il freddo, mediante ma- nicotti di vetro carichi di miscele frigorifere, sopra una sola parte della pianta, cioè sulla sola parte aerea o sulle sole radici o sopra un tratto del fusto senza staccarlo dal resto, completando esperienze di Sachs (1860), IKihlman (1890), Dixon e Joly (1895). Kosaroff (1897), Molisch (1897). Ratfreddando la sola parte aerea, la temperatura dovette scendere per deter- minare l’atflosciamento più di quando si raffreddavano anche le radici, mentre bastò raffreddare il terreno, cioè le radici, per determinare l’aftlosciamento dei fusti ad una temperatura superiore a quella in cui soffriva la pianta raffreddata per intero. Cessato il raffreddamento dei soli fusti, questi riacqui- starono prontamente il turgore — se l'abbassamento di temperatura non era stato mortale — mentre l’afflosciamento perdurò parecchie ore se erano state raffreddate anche le radici, e ben più ancora, fino a produrre avvizzimento irreversibile, se le sole radici erano state raffreddate. Sottoponendo al raffreddamento un tratto del fusto, mentre le radici continuavano indisturbate ad assorbire, e le parti situate al di sopra del tratto raffreddato continuavano a traspirare, sì determinò un avvizzimento di queste parti nella fava, e più ancora nel girasole e nel ricino, mentre non si notò nel frumentone, a meno che il raffreddamento non fosse così intenso” da determinare la perdita irreparabile della parte esposta {'). Tutte queste esperienze provano che, nel determinare la resistenza della pianta al freddo, l’attività delle radici ha una grandissima importanza. E poichè il danno definitivo del freddo è tanto più grave, quanto più la parte esposta stenta a riprendere il turgore dopo il risollevarsi della temperatura, l’attività delle radici ha una parte essenziale in questo ristabilimento degli organi aerei. In natura, almeno nel nostro clima, il caso più comune è il raffredda- mento della parte aerea, mentre le radici non ne risentono. Dalle suddette osservazioni si deduce che tutti quei fattori che ostacolano l’attività assor- (1) Kosaroff invece non osservò avvizzimento di Passiflora coerulea e Lonicera sem-. pervirens, raffreddando a 0° un tratto di fusto lungo 70 cm., mentre le radici si trovavano in terra a 159-209; si trattava però di piante legnose. Dairy en bente delle radici (come aereazione insufficiente, salinità, alcalinità o pre- senza di sostanze nocive nel liquido del suolo) deprimono la resistenza al. freddo degli organi aerei e ne ostacolano il ristabilimento dopo il ratfred- damento. Ma può accadere anche il caso inverso, specialmente nelle piante legnose, in cui lo sbocciare dei germogli in primavera dipende dall’ illuminazione e - non dal calore (Klebs); esse possono germogliare quando la radice non può ancora riprendere a funzionare per la temperatura troppo bassa del suolo. Allora non può ripararsi la perdita d’acqua dovuta ad un raffreddamento quasi mortale; il germoglio, appena afflosciato durante il raffreddamento, col risollevarsi della temperatura si dissecca, invece di riacquistare il turgore. Anche il disseccamento di organi erbacei che si osserva in piante amanti del caldo, esposte a bassa temperatura, poi riportate bruscamente a tempe- ratura elevata, avviene perchè le foglie riprendono a traspirare vivamente prima che le radici ricomincino a funzionare. Varî autori, da Miller Thurgau a Chandler, hanno constatato sperimen- talmente che taluni organi muoiono a temperatura più elevata se il disgelo è rapido; però, in generale, secondo Molisch (1911) e Chandler (1913), è indifferente che un organo gelato sia riscaldato presto o adagio, per produrre la morte. Dalle mie constatazioni risulta che, per una pianta radicata nel terreno, la rapidità del disgelo ha importanza. Se le radici possono funzio- nare, il disgelo o riscaldamento degli organi aerei raffretdati può farsi rapi- damente senza danno: ma se anche il terreno è raffreddato e quindi le ra- dici hanno sospeso o limitato la loro attività, il disgelo o riscaldamento degli organi aerei deve avvenire lentamente, per dar tempo alle radici di rifornire l'acqua necessaria per il ripristinamento del turgore negli organi aerei. Biologia vegetale. — Della supposta partenocarpia del noc- cinolo e dei suoi eventuali caratteri: osservazioni ed esperienze. Nota II di A. TroTTER, presentata dal Corrisp. P. A. SAaccARDO. Gli esperimenti relativi alla partenocarpia del nocciuolo, di cui è parola nel mio precedente articolo (Rend. Accad. dei Lincei, vol. XXVIII, pag. 505), furono condotti per quattro anni di seguito (1916-1919), mediante la co- Fic. 2. — Le due capanne costruite per le esperienze relative alla mancata impollina- zione ed alle impollinazioni artificiali. i struzione, intorno a due piante di nocciuolo, di due distinte serre mobili, allo scopo di preservarle da una impollinazione dal di fuori (fig. 2), ed operando contemporaneamente sulle piante racchiuse: ricorrendo cioè, prima -dell’antesi, alla castrazione generale, successivamente all'impiego di sac- ‘chetti protettori, a lutazioni con liquido di EwERT e ad impollinazioni - di confronto ('). Tali esperimenti, i cui dettagli appariranno nel lavoro ge- (', Nella Campania, durante la fioritura del nocciuolo, l’aria è ricca di polveri pol- *Hiniche. Furono posti come spie, nell’interno della capanna d’esperimento, dei vetrini Seng merale già ricordato, mi permettono di concludere che l'affermazione già ri. sordata di WkINMANN e di GAERTNER, è errata: nel nocciuolo non esiste partenocarpia vegetativa. Gli amenti 9, i cui stigmi non sieno stati effica- cemente impollinati, sono destinati a disseccare e cadere durante la germo- gliazione, quando cioè il nuovo asse, proveniente dalla gemma (che è mista), si è già allungato, e porta alla sua estremità la piccola infiore- scenza £, protetta dalle due o tre prime foglie già più o meno allargate {figg. 3, 4, 9). #1. 3. - Ramoscello fertile, ad un mese circa dalla germogliazione, portante alla estre- mità una infiorescenza $ (alcune foglie furono soppresse). Fic. 4. — Ramoscello come sopra, un po’ ingrandito, con la infiorescenza 9. nel periodo in cui avviene la sua caduta se non impollinata. Fic. 5. — Un seme abortito, estratto da nocciuola affetta da cascola. In a, sez. long. dello stesso, mostrante il piccolo embrione atrofico, molto più piccolo dell’invoglio semi- nale. Alquanto ingranditi (circa X 3). Esclusa l'esistenza di una partenocarpia vegetativa, potremmo essere autorizzati a pensare allora ad una partenocarpia stimolativa (secondo WINKLER, indotta od aitionoma secondo FirtINe, esodinama se- «sopri-oggetti discoidali, del diam. di 11 mm.', saldati alla testa di altrettanti spilli infissi con la punta ai rami della pianta, dopo essere stati spalmati di glicerina; pre- levati dopo un certo tempo, mi hanno dimostrato all'esame microscopico, l’esistenza su ognuno di 1-4 granuli di polline di nocciuolo. Perciò, senza le altre precauzioni da me ‘prese, cioè di una ulteriore protezione con sacchetti di carta pergamenata, non sarei per- wenuto ad alcuna conclusione sicura. RENDICONTI. 1920, Vol. XXIX, 1° Sem. 10 ME 3) ge condo BACcARINI), conseguente cioè ad un eccitamento soltanto vegetativo, ma necessario, del tubo pollinico; non perchè le osservazioni di WEINMANN ci autorizzino a pensarlo (mentre tale distinzione non era forse possibile ai suoi tempi), ma per la necessità di orientare le nostre indagini sulla ca- scola verso il medesimo ordine di fenomeni. Qui è necessario aver presente la particolarissima organizzazione fiorale del nocciuolo. Al tempo dell'impollinazione, il fiore 9 è unicamente costi- tuito da due stili coccinei, eserti attraverso l'apice della gemma, mentre manca ogni traccia di ovario (figg. 6, 7, 8). Dai miei esperimenti ho potuto anche dedurre, come lo stimolo vegetativo esercitato dal tubo pollinico, abbia come primo effetto quello di determinare la formazione dell’ovario e conseguentemente la differenziazione degli ovuli (normalmente in numero di due, dei quali uno, dopo il periodo della fecondazione, è destinato di regola ad abortire). Infatti i fiori non impollinati, non subiscono alcuna evidente modificazione: si potrà solo notare un tenue ingrossamento dell'asse dell’ in- fiorescenza, un lieve allargamento ed un inverdimento delle brattee, feno- meni relativi alla maggiore o minore vigorìa del ramoscello, ma nulla più; essi prolungano solo, al massimo la loro esistenza, quasi sì indugiassero ad attendere il polline che non viene (da mie osservazioni fino a 50 giorni), mentre l’intiera infiorescenza si stacca di poi e cade come già ho ricordato. (figure 3, 4, 9). La necessità di uno stimolo vegetativo del polline, per l’ ulteriore evoluzione del fiore, ammessa da GoEBEL solo come una possibilità, ed assai | vagamente espressa per il nocciuolo (*), trova nelle mie ricerche una sanzione sperimentale. Si hanno così nel nocciuolo fenomeni stimolativi necessari all’evo- luzione fiorale, analoghi a quelli già illustrati soprattutto per le Orchidee (*). (') GoeseL K.. Organographie der Pfanzen, bes. der Archegomaten u. Samenpflan- zen. Jena 1898-1901, pag. 857, in-8°, con 698 fig. — Alla pag. 793, egli dice precisamente così: « Es ist meines Wissens zwar nicht experimentell nachgewiesen, aber wenigstens sehr warscheinlich, dass der durch die Pollenschliuche ausgehibte Reiz den Anstoss zur Weiterentwicklung giebt» -- con richiamo in nota 2, a pie’ pagina, ove dice: « Bei Corylus unterbleibt die Weiterentwicklung des Fruchtknotens wenn die minnlichen Blitenkitz-- chen ihren Pollen von der Entwicklung der Narben entleeren, was in manchen Frubjahren vorkommt und als experimenteller Beleg fiir die oben angefilhrte Beziehung betrachtet verden darf ». (*?) HiupeBRAND, Bastardierungsversuche an Orchideen, Bot. Zeitg., Bd. 23, an. 1865, i pp. 245-249. Egli è stato forse il primo a mettere in,evidenza con queste piante la doppia influenza esercitata dal polline. Si vegga inoltre: TREUB, L’action des tubes polliniques sur le developpement des ovules chez les Orchidées. Ann. Jard. bot. Buitenzorg, 3, an. 1883, pag. 122; Forees, A Naturalist's wanderings in the castern Archipelago, London 1885 pag. 85. Per altre piante confr.: NoLL, Neue Beobachtungen an « Cytisus Adami », Sitzb. d. Niederrh. Ges. f. Nat.-und Heilkunde Bonn, 1907; MueLLER-THuRGAU, Aernlose Trau- benbeeren und Obstfrichte. Landwirtsch. Jahrb. d. Schweiz, 1908, pag. 135; TscHERMAK, Ueber den Einftuss der Bestàubung auf die Ausbildung der Fruchtillen, Ber. deutsch. bot. Ges., Bd. 20, an. 1902, pp. 7-16, tav. II All'epoca in cui i due ovuli si sono differenziati, cioè tra maggio e giugno (secondo si tratti di varietà precoci o tardive), l’ovario ha raggiunto una dimensione di 8-10 mm. di diam., e l'involucro o cupola, già notevol- mente sviluppato, lo circonda da ogni lato (fig. 10). Potrebbe allora essere già interpretato come una piccola nocciuola, cioè come un frutticino. ma trattandosi invece, dal punto di vista morfologico e fisiologico, non di un frutticino ma di un semplice ovario, sarebbe improprio parlare anche di partenocarpia stimolativa, qualora se ne arrestasse in questo momento l'ulte- riore sviluppo, ciò che effettivamente può avvenire. Fic. 6. — Ramoscello portante una gemma %., spogliata del suo invoglio e degli altri organi accessorii; in a, l’asse dell’infiorescenza denudato, mostrante l'inserzione di alcuni fiori 9, di cui i soli stili risultauo evidenti (gr. nat.). Fic. 7. — I fiori 9. del nocciuolo (sono abbinati all’ascella di una piccola brattea), du- rante il periodo dell’impollinazione (circa X 10). Fic. 8. — Frammento di due stili, nella loro porzione basilare, denudata, con cui si inseriscono sull’asse. In a, regione meristemale, destinata a trasformarsi nell’ovario purchè efficacemente impollinati (circa X 35). Fic. 9. — Porzione di ramoscello terminato da una infiorescenza 9.. In a, segmento de- stinato a disarticolarsi se l’infiorescenza non fu impollinata. Alquanto ingrandita. Fic. 10. — Caratteri dell’ovario e dimensioni raggiunte, nel tempo in cui avviene la fecondazione dell’ovulo (gr. nat.). Una partenocarpia stimolativa. potrebbe essere ammessa qualora soltanto, superata l’epoca propria della fecondazione (che nelle razze coltivate cade appunto tra maggio e giugno, alla distanza quindi di circa cinque mesi dal- l’impollinazione), il pericarpo avesse la capacità di evolversi indipendente- mente dallo stimolo fecondativo, anzi senza di questo, ed ambedue gli ovuli fossero destinati ad abortire. Ma ciò normalmente non avviene, e le ricerche da me intraprese al riguardo, mi hanno dimostrato come nel maggior nu- mero delle nocciuole prematuramente cadute, esistano, come ho già segnalato fin da principio, meschinissimi semi, con embrioni atrofici, incapaci di vivere e di accrescersi, spesso assai più piccoli dell’invoglio seminale (fig. 5). Do- are vendosi ammettere, con l’esistenza dell'embrione, anche la necessità dell'atto fecondativo, ed a meno di non ritenere possibile lo sviluppo di un embrione apogamico o persino partenogenetico (il che non sarebbe senza precedenti tra le fanerogame), dovremmo escludere anche una partenocarpia stimola- tiva; ritenuto cioè che fino alla formazione degli ovuli si debba, come ho detto, parlare di ovario e non di frutto. Quindi l'ulteriore sviluppo dell'ova- rio e la sua trasformazione in frutto, sia pure subapirene, sarebbero in stretta dipendenza dell'atto fecondativo. Ma tutto ciò sarà meglio dimostrato nel lavoro generale e definitivo. In conclusione, applicando i precedenti risultati alla cascola, possiamo escludere che questa rappresenti un fenomeno di partenocarpia, ma possiamo invece ritenere rappresenti una torma di degenerazione del fenomeno ripro- duttivo, sia cioè un vero tipo di aborto (tanto ovulare quanto embrio- nale), paragonabile a quello degli animali. Circoscritto in tal modo il campo dell'indagine, questo viene ad orien- tarsi verso un altro problema, quello cioè d' indagare per quali processi e cause l'embrione venga a morire, determinando poi, per fenomeno di indu- zione, la caduta prematura della nocciuola. Ma tale problema esce dal tema attuale, e dovrà essere perciò nuovamente trattato a parte. MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI SIGNORINI A. Sulla integrazione approssimata delle equazioni ela- stiche della balistica esterna. Pres. dal Socio LEVvI-CIVITA. PERSONALE ACCADEMICO Il Corrisp. Dr LEGGE dà lettura della seguente commemorazione del Socio ELIA MILLOSEVICH: Un grave lutto ha colpito la nostra Accademia il dì 5 dicembre 1919 con la morte del socio nazionale e suo benemerito segretario Elia Millosevich, astronomo insigne, che un violento morbo rapì improvvisamente alla stima ed all’affetto dei colleghi, degli allievi e dei suoi numerosi amici ed am- miratori. Elia Millosevich nacque in Venezia il 5 settembre 1848 da Filippo Millosevich capitano di nave e dalla nobil donna Elisabetta Morosini. Co- minciò all'età di 10 anni gli studî ginnasiali in Venezia nel liceo-ginnasio S. Caterina che più tardi prese il nome di liceo-ginnasio Marco Foscarini; SR e, compiuti con successo gli studî ginnasiali, imprese il corso liceale. Le gravi strettezze economiche, alle quali soggiacque la famiglia per la immatura morte del padre, lo costrinsero a troncare gli studî liceali nel 1866 ed a cercare un impiego ch'egli ottenne nell'ufficio postale di Venezia. I doveri di ufficio, ai quali egli soddisfece sempre con lodevole zelo, non lo rimossero dal proposito di studiare le matematiche e scienze affini e dedi- carsi allo studio dell’astronomia, verso la quale provò fin da giovinetto una irresistibile vocazione. E con ammirabile tenacia, favorita dal suo vivido ingegno, egli compì da sè solo la sua educazione scientifica, coltivando anche gli studî storici, nei quali sostenne una prova pubblica di storia veneta e ne conseguì un premio in danaro. Trascorsero circa sei anni prima che si presentasse a lui l'occasione di liberarsi da un ufficio che ogni giorno gli veniva più a nola, per assumerne un altro più conforme alla sua coltura. Resosi infatti vacante il posto di professore di astronomia nel R. Istituto di marina mercantile in Venezia, egli vi concorse e l'ottenne nel marzo 1872 dopo aver sostenuto un esame pubblico dinanzi ad una commissione di cui era presidente l'eminente astro- nomo Giovanni Santini. i Le prime sue pubblicazioni, alcune di carattere didattico, altre riferen- tisi a calcoli ed osservazioni astronomiche, vanno considerate come testi- monianza della grande cura che egli aveva per l’insegnamento e del vivo desiderio di addestrarsi nell'astronomia pratica. E delle acquistate attitudini alle operazioni di astronomia pratica diè prova nella determinazione della latitudine dell'Osservatorio del R. Istituto di marina mercantile di Venezia, eseguita prima con osservazioni di stelle in primo verticale, verificata poi con osservazioni di stelle in meridiano. Ma la luminosa carriera scientifica di Millosevich s' inizia nel 1879, quando il prof. Tacchini, con felice intuito, lo chiamò a Roma e, proponendo la sua nomina a vice-direttore dell’ Ufficio centrale di meteorologia, presentì nel giovane astronomo un valente ed operoso continuatore delle nobili tradi- zioni dell’Osservatorio del Collegio Romano annesso a quell’ Ufficio. Nominato nel febbraio 1880 vice-direttore del predetto Ufficio, passò a vice-direttore astronomo nel R. Osservatorio del Collegio Romano nel lu- glio 1891, allorchè quest'Istituto scientifico fu distaccato dall'Ufficio centrale di meteorologia, e ne fu nominto direttore il 25 agosto 1902, succedendo al Taechini che, già sofferente in salute, aveva lasciato da pochi mesi la dire- zione dell'Osservatorio. Della straordinaria attività scientitica di Millosevich, dall'epoca del suo trasferimento in Roma fino agli ultimi giorni della sua vita, fanno fede le sue numerose osservazioni, i suoi molti lavori in campi diversi della scienza, le sue Note e Memorie in gran copia sparse nelle pubblicazioni di accademie Silent e società scientiche italiane e straniere, in riviste e giornali astronomici e nelle Memorie dell’Osservatorio del Collegio Romano. La esuberante produzione scientifica del nostro compianto collega negli otto lustri da lui trascorsi all'Osservatorio del Collegio Romano mi co- stringe a circoscrivere le mie brevi note alle sue pubblicazioni ed ai suoi lavori che a me parvero più importanti. E comincio dall'accennare a due sue pregevoli memorie Su/lu distrivuzione della pioggia in Italia, luna pub- blicata nel 1882, l’altra nel 1884, perchè da esse apparisce che, s'egli avesse rivolto il suo versatile ingegno allo studio dei fenomeni che hanno origine nell'atmosfera, avrebbe recato, senza dubbio, un prezioso contributo alla me- teorologia. Ma fin dai primi tempi in cui egli assunse il posto di vice- direttore dell'Ufficio centrale di meteorologia, si dedicò alle osservazioni ed alle ricerche di astronomia alle quali consacrò in appresso quasi intieramente l'opera sua. Ben degni di nota sono due cataloghi di stelle australi scelte dal cata- logo di Sconfeld, non ancora esattamente fissate. Il primo di 1291 stelle, compilato sulle osservazioni di E. Millosevich e V. Cerulli e pubblicato nel 1892; il secondo di 2559 stelle, compilato sulle osservazioni di E. Millo- sevich e di D. Peyra. Le stelle dei due cataloghi oftrono buoni punti di riferimento per le osservazioni dei piccoli pianeti e delle comete che eventualmente attraversino la zona che comprende le dette stelle, e possono servire come punti di par- tenza per ricerche dei loro moti proprî e del moto di traslazione del sistema solare. Per averne riconosciuto questi pregi, al 2° catalogo (Millosevich-Peyra) la nostra Accademia assegnò nel 1899 parte del premio reale. che in quell’anno non fu conferito ad alcuno dei lavori che furono presentati per concorrervi. La latitudine geografica di un osservatorio e di una stazione astronomico- geodetica è un elemento che serve di base ad importanti lavori astronomiei e geodetici, ed il suo valore deve essere determinato con esattezza quasi matematica. Pongono pertanto somma cura gli astronomi nelle ricerche re- lative a tale elemento, le quali non sono mai nè superflue nè sufficienti. È perciò che Millosevich si propose di fare una nuova determinazione della latitudine dell’osservatorio che il p. Angelo Secchi aveva già eseguito nel 1855. Ed in questa operazione egli diè saggio della sua perizia nella scelta del metodo impiegato e della somma accuratezza nelle osservazioni. Di un'altra determinazione di latitudine egli ebbe l’incarico dalla Com- missione geodetica italiana. Si trattava di verificare la latitudine del segnale trigonometrico di monte Mario. scelto ad origine delle coordinate geodetiche della rete italiana. Il valori ottenuti da Millosevich, e dagli altri che ese- guirono l’identica operazione, parvero a prima giunta discordi da quello trovato da Lorenzo Respighi nel 1874; ma. introdotte nelle posizioni delle stelle (date dal catalogo di cui si valevano in quel tempo gli osservatori nelle ope- alan razioni della Commissione del grado) le correzioni calcolate da Auwers, la media dei nuovi valori risultò pressochè identica a quella ottenuta da Re- spighi che nella determinazione della latitudine di monte Mario adoperò il cannocchiale zenitale da lui inventato. I lavori dell’illustre estinto ai quali ho fin qui accennato, le osservazioni di ecclissi, dei passaggi di Venere e Mercurio, di occultazioni, di stelle nuove, non rappresentano che una parte, e non certamente la più importante, della sua attività scientifica. L'opera sua più poderosa, che lascia traccie indelebili nella storia del- l'astronomia dei nostri tempi è costituita dal complesso delle osservazioni di piccoli pianeti e comete e dal calcolo delle loro orbite. È lecito di affermare che nel periodo che corre tra il 1890 ed il 1918 non apparve una cometa, non fu scoperto un nuovo pianetino che da lui non fossero osservati, non fossero calcolati gli elementi approssimati delle loro orbite e le loro effe- meridi. E di varî pianetini fece osservazioni, e calcolò in successive oppo- sizioni elementi orbitali osculanti. Scoprì, il 12 febbraio 1891, il pianetino (303), ed il 1° marzo dello stesso anno il pianetino (306) e volle che al primo fosse dato il nome di Josephina, testimonianza perenne del suo affetto per la dilettissima consorte, ed al secondo ZVritas, simbolo delle aspirazioni nostre e dei nostri padri ch'egli ancor giovanissimo vide raggiunte per la sua Venezia liberata nel 1866 dal dominio straniero e congiunta al regno d’Italia. La scoperta del piccolo pianeta (433) Eros, trovato con la fotografia nella stessa notte a Berlino da Witt ed a Nizza da Charlois il 13 agosto, fu un avvenimento che richiamò l’attenzione di tutti gli astronomi, Il primo cal- colo dell'orbita, fatto da Berberich, rivelò che Eros si rivolge intorno al sole ad una distanza media compresa tra quella di Marte e quella della Terra, compiendo la sua rivoluzione in 665 giorni. A cagione della sua forte ec- centricità. l'orbita si avvicina alla terra a 15/100 circa della distanza media della terra al sole e la sna parallasse. nelle opposizioni più favorevoli alle osservazioni, può salire fino ad un 1’. offrendo un mezzo di grandissimo van- taggio per determinare la parallasse solare. Il nostro collega Millosevich calcolò con gli elementi di Berberich le circostanze sommarie delle due più vicine opposizioni che gli permisero di annunciare il grande vantaggio che si poteva trarre dall'opposizione del 1900 per determinare la parallasse solare. Con nuovi calcoli e con lo studio delle caratteristiche dell'orbita di Eros dedusse che si sarebbero potute trovare traccie del pianetino in lastre fotografiche esistenti negli osservatorii, ove già era applicata la fotografia per la carta del cielo. La sua previsione sì verificò per la opposizione intermedia del 1896, calcolata da Chandler, il quale corresse i primi elementi ellittici e ne ottenne altri rappresentanti meglio le osservazioni, del 1898 e del 1896, senza tener conto delle pertur- bazioni. CERN Egli intanto, accordandosi col direttore dell’ Istituto di calcolo di Berlino, assunse il calcolo dell'orbita e, dopo tre anni di assiduo lavoro, pubblicò la memoria che ha per titolo I pianeta Eros, per la quale gli fu dalla nostra Accademia conferito il premio reale. In questa memoria sono riassunti i calcoli sull'orbita del pianeta che lo tennero occupato dal set- tembre 1898 al giugno 1901. Gli elementi osculatori nella opposizione del- l'ottobre 1900, da lui calcolati, furono impiegati a Parigi per calcolare la effemeride di Eros, la quale presentava quanto di meglio poteva essere messo a disposizioue degli osservatori per la discussione delle rispettive osserva- zioni. A dimostrare la grandissima importanza ed il sommo pregio dell in- gente lavoro, riferisco qui le conclusioni della Commissione che gli aggiudicò. il premio reale: « L’opera compiuta dal prof. Millosevich nel campo concreto dell’astro- nomia teoretica, con la esatta determinazione dell'orbita del pianeta Eros sopra le osservazioni di due opposizioni consecutive, costituisce un servigio emi- nente e indispensabile, da lui reso all'astronomia contemporanea nella memo- rabile intrapresa con la quale chiudevasi il secolo decimonono e s'iniziava il presente, ch’ebbe per iscopo. folicemente raggiunto, una nuova e precisa determinazione della parallasse solare mediante le osservazioni bene combi- nate del pianeta Eros ». Meritano pure di essere ricordate alcune sue pubblicazioni relative alla cronologia, delle quali riferisco i titoli: « Benedetto IX e l’ecclissi di sole del 29 giugno 1033; « Sull'ecclissi di Archiloco e sulla iconografia del canone degli ecclissi di Oppolzer » ; « Sull’anno che serve di base alle olimpiadi »; « L'èra volgare »; « L'iconografia degli ecclissi di sole del canone di Oppolzer non serve per le ricerche storiche » ; 4 « Il sorgere eliaco di Sirio, con qualche accenno di paleo-cronologia egizia ». L'ultima tra le citate pubblicazioni di Millosevich, ch'egli mì diceva essere il suo testamento scientifico, è, a mio avviso, il suo più importante lavoro che si colleghi alla cronologia. In questo lavoro espone un metodo assai semplice per determinare il levare eliaco di Sirio; e dimostra che l'as- sumere un parallelo costante (e precisamente il parallelo + 30° circa) ed assumendo pur costante in data giuliana, il sorgere eliaco di Sirio al 19 lu- glio, vale quanto fissare una base sicura di rettifica di date paleocronologiche egizie per tutto il tempo che tali rettifiche presentano interesse storico. Coltissimo negli studî storici, egli fu efficace e geniale conferenziere. E dalla storia traeva spesso l'argomento delle sue conferenze. In noi è ancor vivo il ricordo del suo splendido discorso « Dalla torre di Babele al labo- ratorio di Groninga », letto nella seduta reale del 2 giugno 1912. Apparteneva egli alla Società geografica, di cui fu consigliere e vice- presidente. Ad essa dedicò gran parte della sua operosità ed a lui si deve l’organizzazione scientitica di molte spedizioni e le riduzioni e critiche delle osservazioni in esse compiute. Era socio nazionale della nostra Accademia dal 1905, e nel novembre 1906 ne fu eletto segretario e confermato in tale carica dalla fiducia dei colleghi nel 1912 e nel 1919. Apparteneva alla Società italiana delle scienze detta dei XL, ad altre Accademie e Società scientifiche italiane e straniere, alla Commissione geodetica italiana, alla Commissione dei pesi e misure, e per i snoi alti meriti scientifici fu insignito dell'ordine civile di Savoia. Tra i premii che gli furono conferiti, e che accennai di sopra, va se- gnalato un terzo del premio Ponteoulant assegnatogli nel 1911 da l'Acca- demia delle Scienze di Parigi. D’animo aperto ai sentimenti più nobili, ebbe largo stuolo di amici; integro cittadino, ebbe un religioso culto per la patria che egli, dopo la recente vittoriosa nostra guerra, sognava dominatrice dell'Adriatico, rievo- cante le glorie della veneta repubblica. Fu egli figlio, marito e padre esemplare. Amantissimo della moglie e dei figli che lo corrispondevano con uguale affetto, si sentiva felice soltanto nel- l'intimo e dolce consorzio della famiglia. Cara e venerata, egregi Colleghi, resta in noi la memoria di Elia Millo- sevich. Unico conforto al nostro vivo cordoglio per la sua perdita è la fiducia in una vita avvenire, ove egli nel soggiorno degli spiriti eletti. in possesso della piena felicità che è vano cercare nella vita terrena, ammiri la gran- dezza e l'armonia dell'universo non più involuto nei tanti misteri che furono e sono su questa terra oggetto di lunghe e spesso tormentose meditazioni dei più alti intelletti. La Classe procede alla elezione del proprio Segretario. in sostituzione del compianto accademico prot. ELta MiLLosEviICH; e risulta eletto coll’una- nimità dei voti, ìl Socio prof. Gurpo CASTELNUOVO. PRESENTAZIONE DI LIBRI L'Amministratore PiroTTA, che funge da Segretario, presenta le pub- blicazioni giunte in dono, facendo particolare menzione delle seguenti dei Soci: BorpIGa, Commemorazione di Elia Millosevich, letta all'Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti nel dicembre scorso; FavaRO, Za place RenpiconTI. 1920, Vol. XXIX, 1° Sem. 11 nieiig gi ci de Léonard de Vinci dans l'histoire des sciences: FANTÒLI, Opuscoli varî; BeRrzoLaRI, Geometria analitica. I: Il metodo delle coordinate; WasHineTon, Raccolta di una serie di pubblicazioni di geologia. CONCORSI A PREMI Il Socio PiRoTTA comunica alla ‘Classe il seguente Elenco dei concorrenti al premio Reale per la Matematica (Scadenza 31 dicembre 1919. — Premio L. 10.000). 1. CaLapso PasquaLe. 1) « Sulla deformazione delle quadriche » (st.). — 2) « Sulle superficie a linee di curvatura isoterme » (st.). — 3) « Al- ‘cune superficie di Guichard e le relative trasformazioni » (st.). — 4) « Un problema sui sistemi di linee tra loro coniugate e le relative tarsfor- mazioni di Laplace» (st.). — 5) « Sugl'invarianti del gruppo delle tras- formazioni conformi dello spazio » (st.). — 6) « Intorno alle superficie applicabili nelle quadriche ed alle loro trasformazioni » (st.). — 7) « Sulle trasformazioni delle superficie isoterme » (st.). — 8) « Intorno agl'inviluppi di sfere nelle cui superficie focali si corrispondono le linee di curvatura ». (st... — 9) « Sulla teoria generale delle trasformazioni di Ribancour e sue applicazioni alla generalizzazione delle trasformazioni di Darboux » (ms.) — 10) « Sulle trasformazioni delle superficie di Guichard » (ms.). — 11) «Sulla teoria generale delle trasformazioni delle superficie per inviluppo di sfere. ». (ms.). 2. CAMINATI Prerro. « Memoria sopra i fondamenti della geometria euclidea » (ms.). 3. CisortI UMBERTO. 1) « Analisi » (opuscoli n. 9) (st.). — 2) « Geo- metria differenziale » (opuscoli n. 2) (st.). — 3) « Meccanica » (opuscoli n. 7) (st.). — 4) « Elasticità » (opuscoli n. 5) (st.). — 5) « Idroelasticità » (opu- scoli n. 3) (st.). — 6) « Elettromagnetismo » (opuscoli n. 8) (st.). — 7) « Idro- meccanica » (opuscoli n. 44) (st.). — 8) » Recensioni 2 » (st.). 4. FuBini Guipo. 1) « Ricerche sulla teoria dei gruppi discontinui e delle funzioni automorfe » (opuscoli n. 2) (st.). — 2) « Applicazioni della teoria dei gruppi continui » (opuscoli n. 2) (st.). — 3) « Studî sul principio di minimo » (opuscoli n. 7) (st.). — 4. « Ricerche di geometria proiettiva-dif- ferenziale » (opuscol n. 11) (st.). — 5) « Ricerche varie » (opuscoli n. 12) (st.). 5. Mazzoni Pacirico. « Sulle equazioni risolubili per radicali ». 6. Scorza GaeraNO. 1) « Sopra una classe di varietà algebriche a tre dimensioni con un gruppo es? di trasformazioni birazionali in sè » (st.). — :2) « Sul teorema di esistenza delle funzioni abeliane » (st.).. — 3) « Le PERO varietà di Veronese e le forme quadratiche definite » (st.). — 4. « Sulle funzioni iperellittiche singolari » (st.). — 5) « Sugli integrali abeliani ridu- cibili ». Nota I (st.). — 6) « Sugli integrali abiliani riducibili ». Nota II (st.). — 7) « Sugli integrali abeliani riducibili » Nota III (st.). — 8) « Le va- rietà algebriche con indice di singolarità massimo » Nota I (st.). — 9) « Le varietà algebriche con indice di singolarità massimo » Nota II (st.). — 10) « Sulle varietà algebriche con sistemi regolari isolati di integrali ridu- cibili » (st.) — 11) « Sulle varietà algebriche con infiniti sistemi regolari di integrali riducibili » (st.). 12) « Sulle varietà algebriche con sistemi regolari di integrali riducibili » (st.). — 18) « Il teorema fondamentale per le funzioni abeliane singolari » (st.). — 14) « Intorno alla teoria generale delle matrici di Riemann e ad alcune sue applicazioni » (st.). — 15) « Sulla quartica di Klein e la quintica di Snyder » (st.). — 16) « Sulle curve ellit- tiche singolari » (st.). — 17) « Il rango di una matrice di Riemann » (st.). | — 18) « Sopra alcune notevoli matrici riemanniane » (st... — 19) « AI- cune questioni di geometria sopra una varietà abeliana qualunque » (st.). — 20) « Sulle varietà abeliane contenenti congruenze abeliane » (st.). — 21) « Le algebre di ordine qualunque e le matrici di Riemann (ms.). 7. Tepbone Orazio. 1) « Sul problema di Samé » (st.). — 2) « Equi- librio elastico di un ellissoide di rotazione » (st.). — 3) Il problema di Samé per i sistemi tripli conici « (st.). — 4) « Sulla torsione di un cilindro di rotaz. » (st.). — 5) » Sulla deformazione di un cilindro di rotaz. » (st.). — 6) « Sul pendolo a sospensione elastica » (st.). — 7) « Sulla integrazione dell'equazione delle onde smorzate col metodo delle caratteristiche » (st.). — 8) « Sull’espressione analitica dell'’integrale generale dell'equazione delle onde smorzate » (st.). — 9) « Su alcune equazioni integrali di Volterra risolubili con un numero finito di derivazioni e di integrazioni » (st.). — 10 « Su l'inversione di alcuni integrali e la integrazione delle equazioni a derivate parziali » ecc. (st.). — 11) « Sull'integrazione delle equazioni a derivate parziali. lineari ed a coefficienti costanti del second'ordine » (st.). — 12) « Sulla risoluzione di certe equazioni integrali di Volterra » (st.). — 13) « Campi elettromagnetici dipendenti da una sola coordinata » (st.). — 14) « Sulla integrazione delle equazioni di Maxwell » (st.). — 15) « Sulla teoria dei fenomeni luminosi nei mezzi cristallini uniassici » (st.). — 15) « Sul principio di Huygens in un campo elettromagnetico » (st.). — 17) « Sulle ovali di Cartesio come curve aplanetiche di rifrazione » (st.). — 18) « Sulla maniera di stabilire le formole fondamentali dell’ordinaria teoria della dif- frazione » (st... — 19) « Sui fenomeni di diffrazione di Fraunhofer » (st.). — 20) « Su alcune altre formole d'inversione collegate col metodo d’ inte- grazione di Riemann » (ms.). CX, SERGE OPERE PERVENUTE IN DONO ALI)’ ACCADEMIA presentate nella seduta del 18 gennaio 1920. BERZOLARI L. — Geometria analitica: I, Il metodo delle coordinate. 2? ediz. (Ma- nuali Hoepli). Milano, 1920. 129, pp. i-x1tr, 1-495, BorpIGA (G. — Commemorazione di Elia Millosevich (Estr. dagli « Atti del Reale Istituto Veneto di scienze, let- tere ed arti », tom. LXXIX). Venezia, 1919. 8°, pp. 1-7. CaterINI F. — La breccia ossifera del Monte Argentario. Pisa, 1919, 8°, pp. 1-9. CATERINI F. — Polimorfismo della T'ere- bratula (Pygope) Aspasia Mene- ghini nel Lias italiano (Estr. dagli « Atti della Società toscana di scienze naturali », vol, XXXIII). Pisa, 1919. 8°, pp. 1-16 DenicoLinI V. E. — Gravitazione univer- sale: azione ed effetti della sua forza; argomentazioni. Genova, 1919, 8°, pp. 1-56. DoLomieu. — Un voyage géologique en Sicile en 1781 par Lacroix M. A. (Extr. du « Bulletin de la Section de Géographie », 1918). Paris, 1919. 89, pp. 1-187. EscHERICH K. — Die bekimpfuns schàd- licher Insekten, eine volkshygienische und volkswirtschaftliche Notwendig- keit. Frankfurt a. M., 1919. 89, pp 1-22 (con 4 tavole). i FantoLI G. — Circa il programma e il contributo per la glaciologia. Roma, 1919. 8°, pp. 1-8. FantoLI (, — Commissione per lo studio di norme generali circa i progetti e l'esecuzione delle alte dighe per i ser- batoi (Ministero dei Lavori Pubblici). Roma, 1919. 8°, pp. 1-8. FANTOLI G. — Il servizio idrografico del Consiglio superiore delle acque: cenni sulla costituzione del servizio e sul- l’opera svolta nei primi diciotto mesi di esistenza. Roma, 1919. 8°, pp. 1-16. FANTOLI (. — Sul progetto della Società Edison per le opere nell’Adda da Lecco alla diga di Robbiate, in atti- nenza alla sistemazione del lago di Como a serbatoio; relazione prelimi- nare riassuntiva. Milano, 1919. 8°, pp. 1-82. Il servizio meteorologico di guerra nel qua- driennio 1915-1919 (R. Esercito Ita- liano, Comando supremo). Roma, 1919. 8°, pp. 1-7. L'Istituto sieroterapico milanese nel primo venticinquennio, 1894-1919. Milano, 1919. 8°. pp. 1-135. MakoweR W. et Griger H. — Mesures pratiques en Radioactivité (traduit de l’anglais par Philippi £.). Paris, 1919. 8°, pp. 1-vit, 1-181. Onoranze al prof. Torquato Taramelli (6 luglio 1919). Pavia, 1919. 4°, pp. 1-56. "vera V.— I problemi agrarî del mez- zogiorno (Memorie della R. Stazione di patologia vegetale). Roma, 1918. 8°, pp. 1-18. Silvestri F. — Contribuzioni alla cono- scenza degli insetti dannosi e dei loro simbionti: IV, La cocciniglia del sangue (Sphaerolecanium pru- nastri Fousc). (Estr. dal « Bollettino del laboratorio di zoologia generale e agraria della R. Scuola superiore di agricoltura in Portici », vol. XIII, pp. 70-126). Portici, 1919. 8°. SiLvestrI F. — Contribuzioni alla cono- scenza degli insetti dannosi e dei loro simbionti: V, La cocciniglia del noc- ciuolo (Eulecanium coryli L.). (Estr. dal « Bollettino del laboratorio di zoologia generale e agraria della R. Scuola superiore di agricoltura in Portici », vol. XII, pp. 127-192). Por- DICI, O 9890 Waszineton H. S. — A chemical study of the glaucophane schists (From the « American Journal of science », vo- lume XI, pp. 35-59). New-Haven, 1901, 30: WasHineton H. S. — An apparent corre- spondence between the chemistry of igneous magmas and of organic me- tabolism (From the « Proceedings of the nat. Academy of sciences n, vo- lume II, pp. 623-626). Washington, 1916. 8°. Wasuinaton H. S. — An occurrence of pyroxenite and hornblendite in Bahia, Brazil (From the « American Journal of science », vol. XXXVIII, pp. 79-90). New-Haven, 1914. 8°. WasHineton H. S. — The calculation of Calcium Orthosilicate in the norm of igneous rocks (Reprinted from the «Journal of the Washington Academy of sciences n, vol. V, pp. 345-350). Washington, 1915. 8°. WasuHineton H. S. — The charnockite series of igneous rocks (From the « American, Journal of science », vol. XLI, pp. 323338) New-Haven, 1916. 8°. WasuHineton H. S. — The composition of Kulaite (From the « Journal of geo- logy », vol. VIII, pp. 610-620). Chi- cago, 1900. 8°. WasuHineton H. S. — The composition of rockallite (From the « Quart. Journal of the geolog. Society », vol. LXX, pp. 294-302). London, 1914, 89. WasuHInaton H, S. — The correlation ot Potassium and Magnesium, Sodium and Iron, in igneous rocks (From the « Proceedings of the nat. Academy of sciences », vol. I, pp. 574-578), Washington, 1915. 8°. WasginetTon H. S. — The formation of leucite in igneous rocks (From the « Journal of geology n, vol. XV, pp. 257-395). Chicago, 1907. 89. Wasuineron H. S. — The identification of the marbles used in greek scul- pture (From the « Bulletin of archaeo- logical Institute of America », vol, II) New-York, 1899. 89, pp. 1-18. WasgineTon H. S. — The jerome (Kansas) meteorite (Repr. from the « American Journal of science », vol. V, pp. 447- 454). New-Haven, 1898. 89. WasxHineron H. S. — The petrographical province of Essex county, Mass. I, 1I (Reprinted from the « Journal of geo- logy », vol. VI, pp. 787-808; VII, pp. 53-64). Chicago, 1898. 89. WasHineton H. S. — The plauenal mon- zonose (syenite) of the plauenscher grund (From the « American Journal of science », vol. XXII, pp. 129-135). New-Haven, 1906. 89, WasHineron H. S. — The statement of rock analyses (From the « American Journal of science », vol. X, pp. 59- 63). New-Haven. 1900. 8°. WassHineron H. S. — The volcanoes of the Kula basin in Lydia. New-York, 1894. 8°, pp. 1-67 (con 4 tavole). WasuHinerton H. S. — Contributions to Sardinian petrography: I. The rocks of Monte Ferru (Repr. from the « Ame- rican Journal of science», vol. XXXIX, pp. 513-529). New-Haven, 1915. 8°. WasuHineToNn IH. S. — I basalti analcitici della Sardegna, con un sommario della classificazione quantitativa (Estr. dal « Bollettino della Società geologica italiana n. vol XXXII, pp. 147-167). Roma, 1914. 8°. Wasnineron H S. — Ischian trachytes (From the « American Journal of science », vol. I, pp. 375-385). New- Haven, 1896. 8°. WasHineton H. S. — Italian petrological sketches IV, V (Repr. from the « Jour- nal of geology », vol. V, pp. 241-256, 349-377). Chicago, 1897. 89, WasHineton H. S. and MeRWIN H. E. — Nephelite Crystals from Monte Ferru, Sardinia (Reprinted from the « Jour- nal of the Washington Academy of sciences n, vol. V, pp. 359-391). Wa- shington, 1915. 8°. WasHIneton H. S. and HiLLeBRAND W. F. — Notes on certain rare copper mi- nerals from Utah (From the « Ame- rican Journal of science », vol. XXXV, pp. 298-307). New-iTaven, 1888. 8°. Wasuineton H. S. — On igneous rocks from Smyrna and Pergamon (From the « American Journal of science », vo- lume III, pp. 41-50). New-Haven, 1897. 8°. Wasuineron H. S. — On kaersutite from Linosa and Greenland (Repr. from the « American Journal of science n, vo- lume XXVI, pp. 187-211). New-Haven, 1908. 8°, WasuHineTon H. S. — On the basalts of Kula (From the « American Journal of science n, vol. XLVII, pp. 114-123). New-Haven, 1894. 8°. WasHineton H. S. — Solusbergite and tinguaite from Essex county, Massa- chusetts (Repr. from the « American Journal of science », vol. VI, pp. 176- 187). New-Haven, 1898. 8°. WasuHineron H. S. — Some analyses of italian volcanie rocks I. II (Repr. from the « American Journal of science n, vol. VIII, pp. 286-294; IX, pp. 44-54). New-Haven, 1899-1900. 8°. WaszHineTon H. S. — The analcite ba- salts of Sardinia (From the « Journal of geology », vol. XXII, pp. 742-758). Chicago, 1914. 8°. » 81 5) "PRESENTAZIONE DI LIBRI rotta. Presenta! le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle dei Soci: Bordiga, a Longle Berzolari e Washington. «ll. 00 eat e 7 )j . CONCORSI A PREMI | Piroita. Dà comunicazione dell’elenco dei concorrenti al premio Reale per la Matematica, | per il 1919 RENDICONTI — Gennaio 1920. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA S80CI Seduta del 18 gennaio 1920. Corbino. Un dispositivo da laboratorio per la produzione di correnti continue e costanti di alta. tensione‘. (o... nl duarià 5g elo Ciamician e Ravenna. Sull inenta di alcune scono ST sullo sviluppo delle piante Angeli e Lutri. Ricerche sopra i neri di pirrolo Majorana. Sulla gravitazione . . . . . " Bottazzi. Ricerche sulla ghiandola salivare Tani dei ctaopod. Il: Indipendenza è dll l’attività secretiva dalla presenza di ossigeno libero . . - Bompiani. Invarianti e covarianti metrici nelle deformazioni di specie ele du super- ficie (pres. dal Socio Castelnuovo) . Rosenblatt. Sur un théorème de Liapounoff e da Socio n Civita) ©. Tonelli. Sulla ricerca delle funzioni primitive (pres. dal Socio Pincherle) Zavattiero. Relazione tra resistenza elettrica e tensioni nel bismuto (pres. dal Corrispon- dente Cantone) . STIA " 5 Ravenna. Sintesi di un IVES ‘dall'acido La partico SE enzimi MSI (rsa dal ‘Socio CLIMI AARON MA E SANE I o Sani. Intorno alla Arbusterina Da al suoi Rei (RT dal Loc MOCTNENNO AO: Bernardini. La nicotina nel tabacco (contributo allo studio della genesi e della funzione degli alcaloidi) (pres. dal Socio Paternò) | Pantanelli. Influenza della nutrizione e dell’attività ‘radiczle i A ‘e i disssconinti prodotti dal freddo (pres. dal Socio Cudoni) . . LL... SERIA et Trotter. Della supposta partenocarpia del acciai e dei suoi Sueitugli ea: osser- vazioni ed esperienze (pres. dal Corrisp. Saccardo) . ‘ MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Signorini. Sulla integrazione approssimata delle equazioni elastiche della balistica esterna 2 (prestdal Socio Le00: CLIO) NOE IAA (Segue in terza pagina) t ‘*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo » n ” x E. Mancini Segretario d’ufficio responsabile. Pag. 3 T 14 23 76. Pubblicazione bimensile. N. 3. ART, REALE ACCADEMIA DEI LINCEI tara” SMRIE QUINTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume XXIX.° — Fascicolo 3° Seduta del 1° febbraio 1920. 1° SEMESTRE. TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DSL DOTT. PIO BEFANI 1920 a I TRBMANORBIPAME I. dà ii lia i ef e SL PUT CSM TIGRI Ac e ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO hO PER LE Sr ASCSTLRI DL YI. TI w È LE 4 ru? j LI 1. Col 1892 si è iniziata la Serie-guinte delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una prbblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Renpiconti della Tihdde di sbiàimà | * fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: n 1. I Rendiconti della Classe di scienze sf siche, matematichete naturali ‘ail pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estransi, nelle due sedute mensili del l'Accademia, nonché il'bollettino” bibliografico. Dodici fascicoli compongono fun, Marzi) | due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrisponsi xii denti non possono oltrepassare le 9 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità seno portate a pagine 4 1/s. si 3. L'Accademia dà per queste comuniegfioni 50 estratti gratis ai Soci 9 Corrispondenti,. € 30 agli estranei; i on bumero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico, Ati Die ì 4. } Rendiconti non ri iproducono le discus: siouì verbali che si fanno nel seno dell'Adea».. demia; tuttavia se | Soci, qualora l’autore ne desideri 285: x _— È 7 = ì è @ Pi “ L i | * $ î A i 7 9 di In < È Pn BILAL che vi hanno®\preso i estranei. La spesa di un numero di copie in più . ò 9 , as parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi 4 seno tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota ver iscritto. k | N dell'art. 26 detto Statuto. - pdi, far conoscere taluni fatti o ragionamenti 1 ‘autori; fibrchè nel caso contemplato dall'art. 26, .olie opomid onolsanHodunti AEG RITRAE, i a FOTI ATA AUHSI LI\FI A LAICASI II. I. he Note che ‘oltrepassino i limiti indi. cati al paragrafo precedente e le Memorie pro- priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o do (Cortibpondenti. Per le Memorie presentate, da estranei, la Presidenza ncmina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. guenti risoluzioni. - a) Con una proposte a stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o in sunto 0 in esteso, senza pregiudizio 5) Coì desiderio “contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ‘ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi . dell'Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta, pubblica ‘nell'ultimo in seduta segreta. | (4. A chi presenti una Memoria per esame È data riceyuta con lettera, nella quale si avverte ches i manoscritti non vengono restituiti agli dello Statuto. -5.L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au assi Memorie, se Soci 0 Corrispondenti, 80 se Ì che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. SIBA AMBITA cao E° pr nie2, DalWelazione cotidlade con une delle se- © TIRO SIDERNO: SLEEP ENEA SIEIG AO Serio DEMEDATE SETTA PIZZI ARI NIE DITER PORTE ASPIIA PELO LIMO 1 ACOIEI PRIORI SEZ de < DORICO IR SITES SAT VIETRI DID Ra ei x RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCE] Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 1° febbraio 1920. A. RòitI, Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Invarianti affini-differenziali di una super- ficte. Nota del Corrispondente Guinpo FuBINI. Da una recente Memoria di R. Weitzenbock (1), Zur projeXtiven Dif- ferentialgeom. analytischer Fléichen, apprendo che in Memorie dei signori Pick, Blaschke, Radon, pubblicate nei Leipziger Berichte (1917-18), non giunti ancora a Torino, è studiata la teoria degli invarianti differenziali di una superficie rispetto al gruppo delle trasformazioni affini, che conservano i volumi. Ora, tanto tale studio, quanto quello relativo al gruppo affine più generale, si compiono nel modo più completo non solo per le superficie, ma anche per le ipersuperficie, partendo dai principî svolti nei miei lavori citati a pie’ di pagina. Io non voglio pubblicare qui dei risultati prima di aver potuto consultare tali Memorie: voglio soltanto esporre il metodo, il- lustrandolo con l'esempio delle superficie. Nei miei lavori sì dimostra che () Sitzungsber. der Akad. der Wissenschaften in Wien (Abt. IIa, Bd. 127, Heft 8, 1918). Da questa Mem. appare che l’A. non conosce i miei recenti lavori pubblicati in questi Rendiconti e in quelli del Circ. Matem. di Palermo, ciò che è ben naturale, data l'interruzione degli scambî internazionali; mi sembra però anche che gli siano sfuggite le più antiche ricerche di Darboux e Segre, e gli studî fatti dal Wulezynski in coordi- nate curvilinee qualsiansi. Tale Mem. non risolve però il problema di caratterizzare com- pletamente una superficie nel gruppo proiettivo. Cfr., per l'elenco completo dei miei la- vori su tale argomento, la mia Mem. Fondamenti di geometria proiettivo-differenziale, nei Rend. del Circ. Matem. di Palermo (tomo 43). RenpIcoNTI, 1920. Vol. XXIX, 1° sem. 12 PAST :3-) pe ogni superficie od ipersuperficie si caratterizza nel gruppo proiettivo con due o tre forme differenziali del primo ordine (una o due quadratiche ed una cubica); date le quali, si ottiene la superficie od ipersuperficie, inte- grando un sistema di equazioni ai differenziali totali, a cui soddisfano le coordinate omogenee di un punto della ipersuperficie. I coefficienti di tali equazioni differenziali linear: sono completamente determinati dai coefficienti di tali forme differenziali. Nelle mie Mem. cit. si studia come generalmente sì possa togliere l' indeterminazione dovuta al fattore arbitrario, per cui si possono moltiplicare le coordinate omogenee di punto; ma per lo studio degli invarianti di una superficie nel gruppo affine, tale indeterminazione si deve naturalmente togliere in altro modo. Poichè in tale studio sono ele- mento essenziale le toordinate ron omogenee, noi potremo ricorrere a coor- dinate omogenee, una delle quali sia uguale ad 1. Due ipersuperficie sa- ranno affini soltanto quando coincideranno le corrispondenti equazioni diffe- renziali. Così, p. es., per una superficie riferita alle assintotiche, le forme (1) 26ydudv @) 28r (Ad + dè) sono invarianti per deformazioni proiettive, e costituiscono quello che io perciò chiamo l'elemento lineare proiettivo, invariante in particolare per col- lineazioni: esse, uguagliate a zero, definiscono le assintotiche e le linee di Darboux-Segre. Le equazioni differenziali corrispondenti sono: DELLO NI dI de (3) rs ove @, dipendono dalla terza forma (quadratica), che qui non è necessario ricordare, e soddisfano, per le condizioni di integrabilità, alla a,=, cosicchè (4) dy= 2(adu+ sdv) x è un differenziale esatto. Esso non è però cririzseco, perchè cambia di si- gnificato quando si cambiano i parametri delle assintotiche, cioè quando si muti x in una funzione U della %, e v in uua funzione V della v; è fa- cile invece verificare, e noi controlleremo, che (5) dp = 2 (adu+ dv) — 2d log fy (pure essendo ancora esatto) ha significato 7r/rznseco. Dunque nella geometria, rispetto al gruppo affine, alla terza forma si può sostituire la forma Zizneare (5), che è un differenziale esatto! Due su- perficie saranno affini soltanto quando abbiano uguale elemento lineare protettivo, e abbiano uguale forma dp. Cerchiamo il significato geome- trico della gp. SRO (ih) Se Edu + 2F dudv+ Gdv® è l'elemento lineare di Gauss, ed t.) ne sono i simboli di Christoffel, è (22) (25° Le equazioni di Ganss-Codazzi si possono scrivere nella forma fo log D'VEG—-F° _, d log D'{/EG— F° ; D' = 70° ara = de , du sli dv EG—-F° RE ove K è la curvatura totale e 2D'du dv è la seconda forma di Gauss. Detti 0, e 0. i raggi di curvatura ordinaria (0 geodetica) delle assin- totiche, si ha lb _EG_F? do ona donde: 1\? (EG—F?)? 1 (3) 7 a Q1 02) = EG (01 02)? sen* @, e quindi: D'(EG— F?)5?2 Tr dp = d log ( (EG (01 02)? = d log [1/— K sen (01 02)"] (2) ove è è l'angolo delle due assintotiche. Questo valore di dg è scritto così in forma tale, che è facilissimo esplicitarlo in coordinate curvilinee qua/- stasi; cosicchè il nostro studio vale senz'altro, qualunque sia il sistema di linee coordinato. Affinchè poi il gruppo affine, che trasforma l'una nell'altra le due su- perficie, conservi i volumi, sarà ancora necessario e sufficiente che D' abbia ugual valore in punti omologhi delle due superficie: ossia, in forma intrin- r seca, che -- sia uguale in tali punti omologhi. Si noti che By =" — na 4; D' D' EG— F°? —- OA, ee=1/— K 010: sen'@. (®) Ne segue che il rapporto R dei valori di Y/— K (9103)? sent® in due punti di una superficie si conserva per trasformazioni affini; e che tutti gli invarianti per affinità si riducono all’elemento lineare proicttivo, e a questo rapporto R. O gA = Fisica. — Sulla gravitazione. Nota VII del Corrispondente (). MAJORANA. Risultati delle osservazioni. — Descritti nella precedente Nota la disposizione da me adottata per le presenti ricerche ed il metodo scelto per le singole osservazioni, non è mia intenzione di riportare tutte queste, anche perchè esse ammontano a cinque o sei migliaja di letture di oscillazioni. Dirò pertanto che lo scopo di un numero tanto elevato non è stato quello di ottenere una media estremamente precisa delle varie osservazioni, ma sibbene l’altro di perfezionare continuamente la disposizione ed il metodo stesso. Ho esposto infatti i più importanti artificî adottati per eliminare o controllare le varie cause di errore; di altri dirò in fine di questa esposi- zione, e di altri, meno importanti, tacerò per brevità. Ma tutti, nel loro insieme, furono escogitati poco per volta e man mano che, in più di un anno di continuo lavoro sperimentale, andavo rintracciando quelle cause di errore. Così, mentre nel marzo 1919 mi era sembrato di poter concludere per la esistenza del fenomeno di un dato segno, mi accorsi poi di taluni difetti; dopo averli eliminati, potei verificare il fenomeno previsto, tanto per il suo segno quanto, all'incirca, per la sua misura. Per cui le osservazioni, se sono state sempre a me utili, non servono tutte a fissare ora i risultati che mi sembrano definitivi. Le misure che ora riporterò sono le ultime da me eseguite, e cioè quelle dei giorni 20 e 21 luglio 1919, nei quali giorni vi fu in Torino sciopero generale; e potevo quindi usufruire di un periodo di quiete mec- canica quasi assoluta, se tuttavia si eccettua il passaggio di qualche raro camion militare. Tali misure sono state eseguite dopo che io ebbi raggiunto la massima perfezione nel funzionamento del mio apparecchio, e furono pre- cedute da osservazioni preliminari, che non riporto, fatte nei giorni e nelle notti immediatamente precedenti ('). A titolo di esempio, trascrivo completamente le prime letture fatte la mattina del giorno 20 luglio. Le iniziali C, S, sono abbreviazioni di cor o senza mercurio; ricordo inoltre che la scala, su cui batte il raggio ri- flesso da S, ha lo zero in alto: ciò vuol dire che un accrescimento nella cifra che indica la posizione di riposo delìa bilancia, corrisponde ad un abbas- samento della sfera di piombo m, cioè ad un apparente suo aumento di peso. (1) Come è noto, era stata stabilita con parecchi giorni di precedenza l’effettuazione del detto sciopero. Da ogiezo Osservazioni del 20 luglio 1919. N.d'ord. Ora Natura Oscillazioni Pos. riposo IE) delle osservazioni Alto Basso lie 1: 9,620 C RSA LETTO a 2. 8 58'40" S 3510 222,8 20162 da 3. 9 520” 0 DIO 222,6 991.62 = — 0,61 4. 9120 0” S sosta 293,0 292.52 — 0,45 Ometto le altre osservazioni fatte nel corso della giornata del 20 VII e del successivo 21. Si vede che dalle prime tre serie di letture (1, 2, 3) si ha una prima determinazione dell'effetto: 0,61; da 2, 3, 4 se ne ha una seconda: 0,45; ecc. Il segno — preposto ad esse, sta ad indicare che la presenza del mercurio fa apparire la sfera di piombo più leggera. Nella tabella seguente riporto tutte le determinazioni dell'effetto, fatte nelle due giornate predette, nessuna esclusa; le linee di separazione indicano il ter- mine di una serie di misure: 20 luglio — 0,31 — 0,37 — 0,32 — 0,36 — 0,61 — 0,46 — 0,29 — 0,38 Se0.81 — 0,45 + — 0,25 — 0,28 — 0,20 — 0,40 — 0,23 — 0,23 — 0,38 — 0,22 — 0,44 — 0,38 — 0.30 — 0,19 — 0,39 — 0,52 — 0,67 — 0,27 — 0,25 — 0,35 — 0,46 ira — 0,18 — 0,35 — 0,42 — 0,42 — 0,42 — 0,20 — 0,32 — 0,50 — 0,39 — 0,39 e — 0,36 — 0,35 — 0,50 — 0,06 21 luglio ia — 0,30 — 0,39 — 0,23 — 0,84 — 0,40 — 0,30 — 0,30 — 030 — 0,31 ———- — 0,28 — 0,22 — 0,38 — 0,64 — 0,40 La media di queste 57 osservazioni è — mm. 0,358 + 0,012, dove l’errore probabile 0,012 è stato calcolato coi minimi quadrati. Si vede dunque come costantemente tutte le fatte osservazioni, nessuna esclusa, in- 0 dichino diminuzione di peso della sfera di piombo, per la presenza del mercurio. Per meglio rendermi conto della fatta determinazione, costruisco i dia- grammi della fig. 5. Come ascisse sono riportati i progressivi intervalli di tempo eguali: C, Ss, Ss Cz, C3 4 , S4 Cs...., che intercedono fra le succes- sive determinazioni delle posizioni di riposo della bilancia; come ordinate, i valori di tali determinazioni. Per evitare confusione, ciascuna serie è spo- ' ' ' Ì i Ù lite ale neon ' Sca rnecszli 4 -----p--3 2% ._----- resc=seaienea iso PAPA ali tt campenipà i UÙ 1-3 --+--$- (nera ' ' ' ! ' I ' | Ù ' ' ' ' ' I ' ' I ' A I ' ' Ù stata sulle proprie ordinate. Per ciascuna serie si hanno due spezzate: quella a tratto continuo si riferisce alle osservazioni senza mercurio, e quella tratteggiata a quelle con mercurio. Si vede che le due spezzate, corrispou- denti a ciascuna serie, hanno andamenti irregolari ma all'incirca paralleli, talchè la spezzata senza mercurio è sempre al disopra della spezzata cor mercurio. Quell’andamento irregolare dipende, come già si disse, dalle per- turbazioni termometriche sulla bilancia. Le medie numeriche (salvo cinque) scritte nella precedente tabella, corrispondono ai tratti verticali segnati nella fig. 5, fra le due spezzate di ciascuna serie di osservazioni; le cinque medie mancanti sono state omesse per semplicità di disegno, e non perchè discordanti. Dalle serie II e IV osservate, rispettivamente, nei pomeriggi dei giorni 20 e 21 luglio, sì rileva l’effetto del passaggio di due camions; in parti- colare per la IV, le due spezzate subirono un salto brusco, tale da far per- dere due medie. E Prima, fra e dopo le serie di osservazioni, le di cui medie sono s'ate riportate, ho eseguito determinazioni della sensibilità della bilancia, 1 cui NES 11: gra risultati non trascrivo, per brevità, integralmente: la loro media è di 171 mm. per mg. Per cui, al constatato spostamento medio della posizione di equi- librio della bilancia, sotto l'influenza della presenza del mereurio, corri- sponde una apparente diminuzione di peso della sfera di piombo di mg. Si IIE = mg. 0,00209 + 0,00007 ; dico apparente, perchè occorre tener conto di parecchie cause di errore, come ora farò vedere. Ricerca delle cause di errore. — In una ricerca come la presente, che porta cioè alla constatazione di un fenomeno di estrema piccolezza, le cause che possouo indurre in errore possono essere, necessariamente, molte. Di parecchie di esse si è già avuto occasione di dire; e propriamente di quelle che, con opportuni accorgimenti sperimentali, da me già indicati, po- tevano essere eliminate. Ma altre ne permangono, che, se non tenute pre- senti, possono falsare il risultato numerico ottenuto. Onde è che occorre stu- diarle con precisione, affinchè questo venga esattamente corretto. Altre cause possono sospettarsi, che peraltro, esaminate attentamente, non possono alte- rare sensibilmente il risultato ottenuto. Delle une e delle altre dirò ora rapidamente. Dissimetria di masse. — Malgrado tutte le cautele adottate, può av- venire che la sfera di piombo sia soggetta ad un'azione newtoniana, non esattamente equilibrata, da parte del mercurio circostante. Si è detto che ragioni costruttive mi fanno ritenere che, nell’aggiustaggio delle varie parti dell'apparecchio, non vi sieno errori lineari superiori a circa 2/10 di mm.; ma occorre rendersi conto dell'influenza di questi errori, se mai essi esistes- sero realmente. Al riguardo, suppongo anzitutto esattamente di forma sfe- rica ed omogenea la massa di piombo m, pesante 1274 gr.; esattamente sferico l'involucro V; ed esattamente cilindrico e verticale il vaso di legno U. Queste ipotesi sono lecite, giacchè, se anche esse non rispondessero al vero, l'aggiustaggio reciproco di tali parti insieme, può causare errori più gravi. Di questa possibilità occorre dunque discorrere prima; e se tali eventuali errori fossero riconosciuti trascurabili, a maggior ragione lo sarebbero quelli provenienti dalle imperfezioni costruttive dei varii pezzi. Ora, considerando i centri di figura C,,C»,C3, rispettivamente della sfera di piombo m, dell'involucro V, del cilindr> U, occorrerebbe, per l’as- soluta simmetria, che tali punti fossero coincidenti. Ma potrà avvenire, per errore, che: 1) C, e C; sieno spostati sulla stessa verticale; 2) C, e 03 » ” ” ” ” 3) C, e-C. » ” su di un piano orizzontale; 4) Ci e Cs » » » E) » LEGA Per quanto riguarda gli errori 3 e 4, si comprende subito che essi non debbono preoccupare. Infatti, se mai, la massa di mercurio eserciterebbe un'azione sulla sfera di piombo pochissimo diversa da zero, ma orizzontale; per cui la componente di questa, secondo la verticale e quindi sul coltello di destra della bilancia, sarebbe esattamente nulla, salvo errori di ordine assolutamente inferiore, dovuti allo spostamento laterale, per tale forza, della sfera di piombo, che è inutile di calcolare. Per quanto concerne l'errore 1, faccio le seguenti considerazioni: Sia P (fig. 6) il centro di w, nel quale si può considerare concentrata la massa i XY E aosta Piera ' Fic 6. Fis. 7. sferica di piombo. Indichino AB e CD le basi del cilindro di mercurio, ossia i livelli che vengono raggiunti nelle singole esperienze. Esse, per la ipotesi che ora faccio, non sieno esattamente simmetriche rispetto a P. Sia C'D' parallela ad AB, e simmetrica di CD rispetto a P. Si tratta di de- terminare l’azione, su P, della massa cilindrica di diametro AB e di spes- sore AC”. Sia a la distanza di P dal piano AB, e è quella da C'D'. Con- sidero uno strato intinitesimo del cilindro attraente, parallelo alle sue basi e di spessore dx, e distante x da P. Di questo strato, una corona circolare di raggio 7 ha su P un'azione attrattiva 4 af =2rkm9a de zi ari dove % è la costante di attrazione, m la massa di piombo, 4 la densità del mercurio. L'azione di tutto lo strato di spessore dx, essendo R il raggio del cilindro, sarà R r dr x do (@+r°) Va® + R? SORT 1) RA E l’azione di tutto il cilindro ABD'C' sarà data da P=2wkm9 | (1-- Sp) o \ Va+R' = 2nkmd (a —bT Va? +R° + y/5+ te). Nel mio apparecchio le dimensioni del cilindro compreso tra il livello inferiore ed il superiore sono: R= 10,925 cm.; 2a = 21,170 cm. Vediamo ora quale sarebbe l'influenza della dissimetria, p. es., di 1 mm. fra i due livelli. Si avrà: a= 10,585 cm.; b = 10,485. Applicando la relazione tro. vata, nella quale si pone 4X=6,7-10-8; m=1274gr.; += 13,60, si ha F=0,00921 dine (ovvero, all'incirca, milligrammi). Siccome l'errore di aggiustaggio dei livelli non può superare, per quanto si è detto, i 2/10 di mm., si può ritenere che le determinazioni fatte pos- sano essere errate al più per un quinto del precedente valore, cioè di circa mg. 0,00004; e ciò per quanto riguarda l'errore 1.‘ Circa l'errore 2, sia il cerchio ACBD (tig. 7) la traccia dell'involucro V. Il centro della sfera mm si trovi alquanto spostato, p. es., verso l'alto, in P. Conduco il cerchio ED'FC' simmetrico del primo rispetto alla corda EF. Supposto il resto del mercurio disposto simmetricamente a P, su questo punto agisce una forza dovuta alla massa dissimetrica del solido ottenuto per la rotazione della superficie ED' FC, intorno a CD. Essa sarà diretta secondo DD', e risulterà uguale alla differenza delle forze che le calotte sferiche PED'F e PECF, supposte piene, eserciterebbero su P. Determino prima l’azione della calotta PECF; dico a la distanza fra P ed il centro di ACBD, e considero uno strato intinitesimo orizzontale SS', di spessore dx, distante y dal detto centro. Un elemento circolare di raggio x, di tale strato. avrà un'azione su P data da Qakmada dy3(y— a) df= (7 Tt4+ ga] dove, al solito, 4 è la costante di attrazione, m la massa concentrata in P, e 3 la densità del mercurio. L'azione di tutto lo strato SS' sarà VR°—-y? (=2rkn94— ad | fai x dx xp y—atTE — | VR°— 2ay + a) ReNDICONTI. 1920, Vol. XXIX 1° Sem. 13 — 109 = L'azione F, di tutta la calotta sferica PECF si ottiene, integrando questa espressione fra a ed R: R R y— @ F=2nkm9(f dy- f. dy)= va a VR°—2ay + a? 2 PIE —grkm9 i) R' a - a). L'azione della calotta PED'F su P si otterrà ponendo —< al posto di a, e quindi md | R° + g°— (BR — aL, E, finalmente, l'azione F cercata sarà la differenza fra queste azioni, e cioè ] 2 F= FE _F=3z7kmd di Questo risultato è, dal punto di vista analitico, interessante per la sua semplicità: esso è indipendente da R. Suppongo ora, come per l'errore 1, che si abbia uno spostamento del centro della sfera, rispetto all’ involucro, di 1 mm.; si ha a=0,1 cm. Sarà quindi -F=0,00024 dine (o, all'incirca, mg.). Anche qui l’errore di 1 mm. è superiore al possibile; che al più è di circa 0,2 mm. Per cui sì deve ritenere che, per quanto riguarda l'errore 2, la fatta determinazione ‘possa essere errata, al più, per circa mg. 0,00005. Complessivamente, è certo che gli errori di aggiustaggio dei livelli del mercurio e dell'involucro V non possono influire per un valore superiore a mg. 0,00004 + 0,00005 = mg. 0,00009. Il calcolo precedentemente eseguito permette anche di determinare l’a- zione attrattiva di metà della massa di mercurio sulla sfera di piombo. Ciò, come si ricorda, serve, in un metodo già indicato, per la determina- zione della sensibilità della bilancia. Ora tale azione risulta eguale alla dif- ferenza tra l'azione del cilindro ABC'D' (fig. 6), per il quale si supponga b=0, e quella di una calotta semisferica (di diametro uguale a quello del- l'involucro V della fig. 4) sul suo centro. Quest'ultima si ottiene ponendo a=0 nella espressione già trovata di F.. Veramente, eseguendo tale sosti- tuzione, si vede che questa quantità assume valore indeterminato; ma è facile riconoscere che il suo limite, per a= 0, è dato da rX4mdR. Per cui, l’azione della metà del mercurio, ricercata, sarà Fn=nkm9(2a+2RT—2/a +R°— 7); e tale formula è stata utilizzata a suo tempo. 2:97 — Spostamento dello zero. — Una causa di errore, che si può anche de- finire dissimetria di massa, è dovuta alla impossibilità di ottenere costan- temente la perfetta centratura della sfera di piombo, rispetto all’involuero V, in conseguenza della variabilità della posizione di riposo della bilancia; l'errore è peraltro piccolissimo e si corregge facilmente. Si osserva intanto che, se la sfera 7 fosse esattamente situata nel centro di gravità del mercurio asportabile, ciò corrisponderebbe, per gli ag- giustaggi preventivi da me eseguiti, al fatto che l'indice H a lettura diretta della bilancia (fig. 4) sia sullo zero della rispettiva scala, e che l'indice luminoso riflesso dallo specchio S, sia sul punto di mezzo della scala ver- ticale, lunga 500 mm., cioè a 250 mm. Ma, a causa della variabilità dello zero, si constata di solito uno spostamento, piuttosto piccolo, ma variabile da serie a serie di osservazioni; ciò, del resto, si rileva dai diagrammi della fig. 5. Per quanto riguarda tutte le osservazioni riportate, facendo la media ira le posizioni di riposo della bilancia nei due giorni 29 e 21 luglio, si ha la cifra 234,9. Per cui, si deve tener conto dello spostamento 250,0 — 234,9= = mm. 15,1, cioè di un rialzo da determinare, della sfera di piombo, rispetto al centro di simmetria. Conoscendo la distanza della scala dalla bilancia (12 metri), e la lunghezza del braccio di questa (13 cm.), si trova che quel rialzo è, in media, di 15,1 - 150 m. 12000. 2 "> mm. 0,08. Questo errore di aggiustaggio ha due effetti distinti. Considerando lo spostamento della sfera rispetto alle basi del cilindro di mercurio, esso. fa nascere una forza verso il basso, dovuta all'attrazione di uno spessore di mercurio in più dalla parte bassa, doppio dello spostamento osservato; il valore di tale forza è, per quanto si è visto, mg. 0,08 - 2 - 0,0002 = mg. 0,000032. le) D'altro canto, lo spostamento verso l'alto, rispetto all'involuero V, fa nascere una forza, diretta appunto verso l’alto, che è proporzionale allo spo- stamento stesso. Tale forza è — mg. 0,00024 - 0,58 = — mg. 0,000019. Per cui la forza complessiva, risultante dai due effetti riportati, è mg. 0,0000352 — 0,000019 = mg. 0,000013. Azione newtoniana del mercurio sulla tara e del suo serbatoio su entrambe le sfere di piombo. — Queste azioni sono inevitabili, in conse- guenza della speciale conformazione dell'apparecchio; ma d’altronde se ne tiene facilmente conto. Consideriamo anzitutto il mercurio di massa M, che Og sì trova nel recipiente U. Si può, con sufficiente approssimazione, immagi- nare che tale massa sia concentrata nel suo centro di gravità, ai fini dello studio della sua azione sulle parti mobili della bilancia (da essa relativa- mente lontane) come la sfera 7' che serve di tara, ed il giogo. La distanza tra quel centro di gravità ed il centro di 7’, risulta di /= 98 cm., se com- putata verticalmente; di g = 26 cm., se orizzontalmente (quest’ultima dimen- sione rappresenta la lunghezza del giogo). Lo sforzo verticale, agente sul col- tello di destra, sarà la componente verticale dell'azione di M su mm, ed è dato dalla espressione VARE R A ETA il segno — indica che questa forza è dello stesso segno dell'effetto cercato, e quindi va sottratto dal valore trovato per esso. Essendo %= 6,68-1078; m= gr. 1274; M=gr. 104000, si ha /1= — 0,000832 dine = — mg. 0,000848 . In maniera analoga calcolo le azioni differenziali e verticali dei 6 ser- batoi di mercurio posti a m. 2,30 dalla bilancia, quando quel liquido vi sì trova, perchè rimosso dal recipiente V; tali azioni si svolgono su en- trambe le due sfere di piombo. Per brevità riporto soltanto il loro valore complessivo f2= + mg. 0,000068, che ha segno contrario a quello di /,. Il giogo ha una massa di circa 380 grammi. Esso subisce azioni at- trattive d segno opposto, sulle sue due braccia; e ciò tanto se il mercurio si trovi nel recipiente V, quanto se si trovi nei serbatoi. Un esame sommario della disposizione, ed un calcolo grafico che non riporto, mi hanno fatto ve- dere che tale azione tenderebbe a mascherare il fenomeno, facendo appa- © rire 7 alquanto pesante, quando il mercurio è in V; ma il valore di tale forza è trascurabile, essendo dell'ordine dei milionesimi di milligrammo. Azione del galleggiante e del suo contrappeso. — 11 galleggiante K (fig. 5) è una massa mobile che, insieme col suo contrappeso K', agisce sulla sfera m; la sua azione su ' è perfettamente trascurabile. Esso pesa gr. 300, ed il suo contrappeso 250. Togliendo dai 300 gr. la massa del mercurio spostato, che sarà evidentemente di 50 gr., restano due masse di 250 gr. ciascuna, che alternativamente si abbassano o si innalzano allo spo- starsi del mercurio, Ora, per ragioni costruttive, queste masse non si muo- vono sulla stessa verticale, e quindi non è possibile che i loro effetti attrat- tivi su 7 si compensino in ogni istante; si ha perciò da fare sempre con una certa differenza di attrazione. Si rileva però che, in causa della sua — 99 — maggiore vicinanza ad m, la maggiore azione è dovuta al galleggiante; e dirò brevemente che il valore di quella differenza è di f3 = — mg. 0,000174. Ora, quando il mercurio è in V, il contrappeso K è in alto; per cui la sfera m, venendo attirata verso l’alto, apparisce più leggera (donde il segno — già scritto); ma, inoltre, quando il mercurio è stato allontanato, K è in basso, e quindi m apparisce più pesante. Per cui l’azione si raddoppia, ed occorre dire che essa è data da 2 /,== — mg. 0,00035. Così valutate le varie azioni perturbatrici che si sovrappongono con l'effetto ricercato, mi riservo, nella prossima Nota, di computare il valore corretto di questo. Matematica. — Sul metodo di Kronecker per la decompo- sizione di una funzione razionale intera in un campo ampliato di razionalità. Nota di Vincenzo Amaro, presentata dal Socio Luici BIANCHI ('). Il Kronecker (*) studia la questione di riconoscere se una funzione in- tera /() coi coefficienti appartenenti ad un campo generale di razionalità (R, R',R",...) possa, o no, esser posta sotto forma di prodotto di funzioni intere irriducibili coi coefficienti appartenenti allo stesso campo e dà, nel primo caso, un metodo per trovare questi fattori. La prima delle quantità R,R',R",.. è supposta funzione algebrica delle rimanenti. Il dott. Mazzoni, in una Nota recente (*), considerando un polinomio f(x) a coefficienti razionali, e proponendosi la decomposizione di una tale funzione in fattori irriducibili nel corpo algebrico [8,], essendo 8, radice (') Le osserrazioni dell’autore sulla validità, in ogni caso, del metodo di Kronecker, sono perfettamente giuste, poichè in questo metodo il parametro 4 figura come un’inde- terminata qualunque, aggiunta al campo di razionalità. Il dott. Mazzoni invece suppone soltanto 4 un numero indeterminato razionale nel campo e] e dimostra che non occorre ampliare il campo [1] coll’aggiunta di una quantità perfettamente variabile, ma basta supporre f(x) irriducicile in [1], ipotesi ben naturale della questione. Sembra dunque che le osservazioni del dott. Mazzoni, pur non infirmando il metodo di Kronecker, vi apportino un perfezionamento opportuno. L. BIANCHI. (3) Grundzige einer Arithmetischen Theorie der Algebraischen Gròssen, Leopold Kronecker's Werke, Leipzig, B. G. Teubner, Zweiter Band, 1897, $ 4. (3) Sul problema dell'irriducibilità di un'equazione in un campo di razionalità generale, Rend. Lincei, vol. XXVIII, n. 3-4, 1919. — 100 — di un'equazione irriducibile in [1], ritiene che per la validità del metodo' di Kronecker non basta che /(x) sia priva di radici multiple, come suppone il Kronecker, ma bisogna ammettere addirittura che essa sia irriducibile in [1]. Le obbiezioni che solleva il dott. Mazzoni non hanno però alcun fondamento, perchè proveremo che la condizione di irriducibilità di /(x) in [1] è superflua, come l'altra che /(x) sia priva di radici multiple, va- lendo in ogni caso il metodo di Kronecker senza alcuna modificazione. Supponiamo infatti che una funzione /(x) intera a coefficienti razio- nali sia decomponibile nel prodotto di 4 fattori irriducibili in [B,] e sia f(e)= fi(0, 1) fa(£, PI). fe, BI). Se al posto di x si sostituisce # + 48, e poi si cambia #, con le ra- dici coniugate 8», ...,2, dell'equazione a coefficienti razionali irriducibile in [1], alla quale soddisfa #,, si ha il seguente quadro: “ f(8 +48) =fi(@+48,, 81) fe(8+ 481, PB.) fe + 2B: , BI) (1) n) sia , dal eri ’ o Le ’ da) NE + 18,) = /1(8 Ri 19, 8a): pe ui 18, , IO . cf n 1, 8a). Posto (2) F(2,2)=/(8 +48, f1): DETRRI Ba) fi + 4Pn 3 Bn) (C=1525509)6 sarà F(2,4) una funzione razionale intera di 2 e 4 in [1], e noi ora dimo- striamo che il massimo comun divisore delle due funzioni (3) f(a+ 481) » Fi(2,4) è il fattore /,(c + 48,,f,) di /(£+ 48,). Poichè, come si vede dal qua- dro (1), le due funzioni 0) hanno il fattore /;(2 + 48;,) in comune, basta provare che i due quozienti f(84- 48.) Fi(# 34) fi(8 + 48: 81) fe + 48,81) sono primi fra loro. E infatti essi si scindono in fattori lineari in e à, aventi per il primo quoziente la forma 84 4f,—- a, e per il secondo la forma Ù a+ 48, — a' (+1), essendo « ed a' radici di /(x)= 0; e, poichè #, è diverso da #,, nessuno dei fattori lineari del primo quoziente può essere identico a qualcuno dei fattori lineari del secondo. — 101 — Premesso questo, si può risalire al metodo del Kronecker per la de- composizione di /(x) in fattori irriducibili in [#,]. Decomposto il prodotto (+ 281) -1E+ 28%) {+ 312) (che è funzione di # e 4 a coefficienti razionali) in fattori irriducibili in [1], e considerato uno di questi fattori, non primo con /(s + 46,), che diciamo ©(z,4), cerchiamo il massimo comune divisore delle funzioni f(8 +48), 04,4). Poichè il fattore ©(z,4) è ovviamente un divisore del prodotto (2), per un certo indice /, il detto massimo comune divisore è un fattore file +48: È) di /(£ +48), e il cambiamento di < in x — 48, fa otte- nere il fattore /,(e,f,), irriducibile in [#,], di /(2). Resta così provata la validità, in tutti i casi, del metodo di Kronecker, nel quale 4 interviene come parametro, affatto arbitrario; ciò che non sembra abbia convenientemente considerato il dott. Mazzoni formulando le sue ob- biezioni. L'ipotesi che la funzione /(x) non abbia radici multiple, che del resto il Kronecker non pone esplicitamente come necessaria, risulta, come abbiamo visto, superflua, sebbene possa essere utile, come anche l’altra, più restrit- tiva, della irriducibilità in [1] della funzione, per semplificare il procedi- mento nell'applicazione pratica del metodo. Matematica. — Zquazioni differenziali di Abel riducibili alle quadrature. Nota di Pro ScatIzzI S.J., presentata dal Socio T. LEVI-CIVITA. 1. Questa Nota fa seguito ad un'altra (*) in cui si dimostrava che la equazione Euleriana dO , D, poteva ricavarsi da un’equazione differenziale di Abel del tipo [2] y + Ay + By +C97+D=0 (con A,B,C,D funzioni della sola «) quando su questa si fosse operata la trasformazione [3] y=utg9 (') Dott. Pio Scatizzi S.J., Solusione di alcune equazioni del tipo di Abel (questi Rendiconti, vol. XXVI, serie 5*, 2° sem., fasc. 3°. Roma, agosto 1917). — 102 — 3Au° + 2Bu+C] d essendo @ = e LS prg se FI, ed v un integrale particolare della [2 ], ed i coefficienti ®, ®, dati dalle formole [a] = Ag*® , ®=[3Au+ B]g. Facendo particolari ipotesi sopra questi coefficienti della [1], si otten- gono altrettanti casi d integrabilità per quadrature dell'equazione Abe- liana [2]. Il sig. V. Z. Elliot, che più di tutti ha esaminato la presente questione sotto tale punto di vista, non sembra abbia raggiunto risultati pratici se non quando si orienta verso l'equazione di Jacobi. Perciò cre- diamo utile proseguire la ricerca con lo stesso metodo della Nota prece- dente in cui considerammo il caso D, = 0. Esaminiamo ora due altri casi, cioè: (1) P,=@® , Dia=— D; d d (II) “ak lr ; essendo in ambedue ® funzione arbitraria. 2. Nella ipotesi (I) l'equazione [1] corrispondente ha per integrale generale [4] OLO Jo dr 4-H, essendo H costante arbitraria. Ora, per la medesima ipotesi {I), viene ad introdursi nelle [@] il le- game seguente: [8] 344 +B= — Ag S[3Au® + 2Bu + C]jda con g= e . Dalla quale si vede che le quattro quantità A,B,C,% non possono rimanere tutte indipendenti, ma ana qualunque di esse dovrà essere espressa in funzione delle rimanenti. A tale scopo poniamo [y] X —=3Av+B ed gq=3Ax° +2Bu4C. Dalla [8] allora airemo facilmente la relazione K' A' SD AR K A È e, ricavando C, troviamo Ù 3 A [5] OC _u(KPB) ka: "— 103 — Volendo fare una prima ipotesi su tale valore di C, possiamo porre u=0, ed otterremo allora d B L'equazione [2], che potrà quindi integrarsi, sarà del tipo | 1 B\. l 6 / 3 erica 2) pre [6] y + Ay° + By +e eli y=0, ’ ‘con l'IG. + 1og| “ PAEIA 1 3 fAe/0® 40 + cos. Vale la pena di rilevare anche le due equazioni Sede y : a) [7] yY+Ay° + By +gy=0, ! 3 e A [8] V+Ag+k—-Ty=0, che si sono ottenute aggiungendo ancora successivamente le ipotesi A=B=%= Cost. Altre questioni interessanti possono aversi col medesimo procedimento, facendo cioè varie ipotesi sopra gli elementi componenti la C nella [5]. Così, per mezzo delle tre posizioni K=—B , K=A , K=0, si sono potute ottenere successivamente le tre equazioni seguenti (in cui, a differenza di quanto accade nella [6], il termine noto non è zero): d B x , 3 Que A e [9] Y + Ag? + By 2 log(,)v D, con Mar .28 È aBrBza 9) 1 è 2h Lit en +58 [ 9A? el 2: A [10] y+Ag+Br + y=D, RENDICONTI, 1920, Vol. XXIX, 1° Sem. 14 — 104 — essendo = «Fia Sa [58-44]; B?° — 34’ [11] Y KL-Ay + bot in cui deve essere e , D= | saltare BI: 3. Passando poi al secondo caso, risolviamo innanzi tutto la [1] in base alle ipotesi (II). L'I. G., che si presenta in termini finiti, è dato dalla seguente espressione: ® = Sa acontHi=100st (CEST: Visa) +1 Considerando ora le posizioni (II), si vede subito che ®, e ®, non sono tra loro indipendenti, rimanendo legati dalla ®. Eliminando questa, otteniamo la relazione: de D = x — da (3 i) Sostituendo i valori di ®, e @; secondo le [«] e ricordando le [y], avremo da [A KO n TA Infine, tenendo conto della g' = ng, che segue immediatamente dalla seconda delle [3] e delle [y], si ha —uE+B+ +75 08 (1) Analogamente al procedimento antecedente, se facciamo sopra gli ele- menti di questo valore di C le medesime ipotesi, ossìa KE—BoRoeK_= ARR 0-01 otterremo altre quattro equazioni differenziali, cioè [1] y+Ag+B0+[G+ e () ed. — 105 — con Dia 2B B(A-9) @ ci) l Se de 9A? da log (+ i; fl [13] y+Ay +30 +|1-* y=D, essendo i ALI ta (BESIPAZIZZIARI dx cu 3 ad Ce LU [14] y+AR+Be+ Ta y=D, dove CAAIII B '_ BI: als ltara0A wii. B° d B y 73 2 lar" 300) ii gas Po ar (15) y + Ay° + By + lag OE (Je 0. 4. Noto che l’algoritmo ele eli So fornisce soluzioni approssimate quanto si vuole per le equazioni del primo caso, purchè sia 0 < fo dae < 0% , ed e= 2,718281828459... Così per l'equazione d B free 3 2 nali = _— Y a + Bydaa log (K)e=0 si avrà lo sviluppo Di A A 1 la fre e [en — 106 — Matematica. — Sulla ricerca delle funzioni primitive. Nota II (') di LeonIDA TONELLI, presentata dal Socio S. PINCHERLE. 2. Indicheremo con (@,,d1),(@2,d2); (Gn, 0n),-. gli intervalli contigui all'insieme perfetto P (*), ordinati (per es.) in modo che le loro lunghezze non vadano mai crescendo; indicheremo poi con 5, un qualsiasi puuto di (@,,2n), distinto da a,. In ogni insieme perfetto P, di (a,b) esiste almeno una porzione, sui cui intervalli contigui il rapporto £(01) — f(Gn) (1) ammette un limite superiore finito. Supponiamo che, presi comunque un numero N ed una porzione di’ P, esistano sempre un intervallo contiguo (@,,0») a tale porzione, e, in esso, un punto d, in modo da avere /(0,) — /(an) > N(0) — an). Sia 7, il più piccolo valore di 7 che soddisfa la disuguaglianza ora scritta per N=2; sia poi Da; il massimo valore dei 5’, soddisfacenti alla stessa disuguaglianza, per N=2 e n=7,. Indichiamo con d, il massimo intervallo, contenuto in (a,0), di lunghezza non superiore a DO). — da; n avente per centro an, e sul quale è sempre /(002) — f(x) = — 2, e con P, la porzione di P, di massima lunghezza, contenuta in d,. Sosti- tuiamo P, a P e, facendo N=4, determiniamo in modo analogo la por- zione Ps di P, su cui è sempre /(52)) — f(x) >2(50 — 2). E così pro- seguiamo indefinitamente. Ciascuno degli insiemi perfetti P, P,,Ps,... ri- sulta contenuto in tutti quelli che lo precedono; esiste perciò almeno un punto p comune a tutti i P,. Per essere /(2)) — /(an,.) > 27 (0) — an); l'indice 7, tende all'infinito per 7 —> 00, e si ha blica > 0 e Di —p-—>0. Essendo poi /(20)) —/(p)>r(02 — p), si ha A(p)=+, contro l'ipotesi che sia sempre 4A(2) < ++ co. 3. [n ogni insieme perfetto P, di (a,b), esiste almeno una porzione P, tale che la serie Z'}/(bn) — f(an)}, limitata ai soli intervalli con- tiqui ad essa, risulti assolutamente convergente. Scegliamo in P una porzione sulla quale 4(x) ammetta un limite su- periore finito (n. 1), che diremo L'; su questa porzione scegliamone un’altra, (*) Continuazione della Nota I (questi Rend., vol. XXIX, 1° sem., pp. 44-48). (*) Gli estremi 4, e dn sono dunque entrambi punti P, al quale insieme non ap- partiene nessun altro punto di (@,,Un). — 107 — P,, sui cui intervalli contigui il rapporto (1) ammetta un limite superiore finito (n.2), che diremo L”. Dimostriamo che la serie 2°} /(0,) — /(@n)}, limitata ai soli intervalli contigui a P,, è assolutamente convergente. Detto L un numero maggiore di L' e di L", formiamo la funzione F(x) = == f(x) — ba e indichiamone con A4(x) il uumero derivato superiore destro. È sempre A= 4—L e quindi, su tutto P,, 4<0. Inoltre, è sempre, sugli intervalli contigui a P, F(Un) a F(4n) 2A £( bn) — Mon) bi, — Un bi, —- An maso (2) F(b,) — F(an) <0. La serie 2'}F(5,) — F(an)}, limitata agli intervalli contigui a P,, è dunque o convergente o divergente, e in questo secondo caso = — o. Sup- poniamola divergente, se è possibile. Detta £ la massima oscillazione della F(x) sull’insieme P,, scegliamo un intero positivo #2 in modo che la somma delle differenze F(0,) — F(4,), relative ai primi # intervalli contigui a P, (l'ordine in cui si considerano questi intervalli è quello stesso in cui essi figurano nella successione di tutti gli intervalli contigui a P), risulti minore di —£. Questi primi m intervalli, disposti nell'ordine in cui si presentano Sulg(d100)5. siano (20% DD) (a 09) ea, 6). Abbiamo > F(69) — F(a) Za DELI 0) ù Affermiamo che è F(69)> F(af+"). Essendo 24 un punto di P,, è A(b59)<0, onde, per ogni 4 positivo, sufficientemente piccolo, F(69) > > F(6 + Ah). Indichiamo con e il massimo valore di 54 + % che non supera a+”, soddisfa alla disuguaglianza scritta e corrisponde a un punto di P,. Se fosse e) < a+", ec non potrebbe coincidere col primo estremo di un intervallo contiguo a P,, perchè, per la (2), esso non sarebbe il mas- simo dei valori indicati; e non potrebbe neppure essere un altro punto di P, perchè, avendosi 4(c)<0, esso non darebbe ancora il massimo dei valori detti. È dunque el! = a+", da cui F(0) => F(4%+). Da ciò sì trae F(659) And Bilig 9) n N } F(b) - an F(al)} + i m_-1l m + DIF(a-41) — F(b)f =D {F(609)— F(aM){<-9, 1 1 il che contraddice al fatto che £ è la massima oscillazione della F sull’in- sieme P,. La serie 2'} F(2,) — F(4,)}, estesa agli intervalli contigui a P,, è dunque convergente e convergente assolutamente, e tale è necessariamente anche 3"}/(0,) — f(an)f=2"}F(0n) — F(am)} + LI" (2a — dn). — 108 — 4. Sulla porzione P,, considerata al numero precedente, A(x) è iîn- tegrabile nel senso del Lebesque e vale l'uguaglianza n (8) IP -/p9)=], Ade +3" /()— /(0l, dove la serie è estesa soltanto agli intervalli contigui a P,, e pî? e p® indicano il primo e il secondo estremo di P,. Siccome è L(pù —p0)=L f, de + LI" (bn — an), basterà dImostrare che, su P,, è integrabile 4(x) e che la formula (3) vale per la F(x). i Rammentiamo che è, in ogni punto di P,, 4<0 e che vale, sugli intervalli contigui a P,, la (2). Preso un # >0 ad arbitrio, indichiamo con e, (r=1,2,...) l'insieme dei punti di P, in cui è — re < 4A<— (r—1)s, e con m(er) la sua mi- sura. Scelto poi un intero positivo N, sufficientemente grande perchè la somma dei primi N termini della serie 2" — somma che indicheremo con 2" — risulti minore della serie stessa aumentata di «, indichiamo con e, l'insieme somma di tutti gli e, di indice 7 > N e dell’insieme dei punti di P, in cui è 4= — co. Rinchiudiamo i punti di e, (= 0,1, 2,.-., N) in un sistema numerabile 4, di intervalli, senza parti comuni, di (p°’,p), in modo che ogni punto dell'insieme sia dr/erno all'inter- vallo che lo contiene e che la misura complessiva m(4,) di tutti gli in- tervalli di 4, soddisfi alla doppia disuguaglianza © < (4) 0=m(4) — me) 0 oppure 7=0 (?). Gli intervalli così definiti hanno tutti ambedue gli estremi su P, e con essi, partendo da p°’, possiamo ri- coprire (p°,p°) con una catena di intervalli, in modo che ciascun inter- vallo della catena abbia come primo estremo il secondo estremo del prece- dente oppure il limite superiore dei secondi estremi dei precedenti (*). Se (p.,p) è un intervallo qualsiasi della catena, per la (2) e per le due di- suguaglianze precedenti, abbiamo F(p') — F(p) = 0, e la serie S=x}F(p)— F(p]}, estesa a tutti gli intervalli della catena, risulta assolutamente convergente e avente per somma F(p°’) — F(p°’). Fra gli intervalli della catena figu- rano poi sicuramente i primi N intervalli contigni a P,, così che fra i ter- mini della serie S figurano tutti quelli di x" F(2,) — F(an)f. Indichiamo con 4/7 l'insieme degli intervalli della catena che hanno come primo estremo un punto di e, (r=0,1,..., N) non primo estremo di un intervallo contiguo a P,, e con w(4,) la misura complessiva di tali intervalli. I punti di e, non contenuti negli intervalli di 4 e che non siano primi estremi di intervalli contigui a P,, sono contenuti negli inter- valli dei sistemi 4;/, con 7 + 7 e quindi in quelli dei 4, corrispondenti. Per la (4), la misura del loro insieme è pertanto minore di Ni -N= N: ; ed è così m(4,) > m(e,) — x Si da cui sì trae, pero =INS — (r-emle) PE = (em), sd (e-1)me) +=) (e-1)m(4) o, per la prima delle (5), —i) _1)me) += [F)— TI, dove la serie X, è estesa a tutti gli intervalli della catena che hanno per primo estremo un punto di e, (r=1,2,...N) e che non coincidono con un intervallo contiguo a P,. Da questa disuguaglianza e da un'osservazione fatta più sopra, scende (6) — ed (r—1) m(en) + 2" {F(0n) — F(an)f+e*>S=F(p®) — F(p°°), (*) Si rammenti che è A(p)<—-(r— 1)e ser5>0, e “A(p) <— Ne se r=0. (*) Cfr. H. Lebesgue, Lecons sur l’intégration et la recherche des fonctions primitives (Paris, Gauthier-Villars, 1904, pag. 63). —. 10 — ed anche — eY (e 1)m(e) > F(p®)— Fp®)— è. Questa disugua- glianza, condo verificata per tutti gli N sufficientemente grandi, mostra che è —sY (r_1) m(e) = F(p)— F(p®) — #° e quindi che 4(x), che su P, è sempre <0, è su tale insieme integrabile. Avendosi poi Il dda> — ed (r_1) m(0) —em(Pi), e passando in (6) al limite per N — co, si ottiene SA +) — Pi + +e m(P) = F(p0) — (9), d e, poichè £ è arbitrario, Sr Ade +3" {F(0,)— Pla.) = F(p) — F(p9). Questa disuguaglianza vale evidentemente anche su ogni porzione di P,, per modo che, se x indica un punto di P,, non secondo estremo di un in- tervallo contiguo all'insieme, e poniamo p= 4 su P, e g=0 altrove, ab- biamo (0) (8) Je pda — ,{F(0n) — F(an)} > Fa) — F(p®), dove la serie X, è estesa agli intervalli contigui alla porzione di P, com- presa fra p‘’ e x. Se poi x indica un punto appartenente ad un inter- vallo (Gm Um) contiguo a P,, ponendo 2° = 2a, +JF(2) — F(cn)f, e applicando la precedente disuguaglianza a x = am, abbiamo che la stessa disuguaglianza è valida per ogni x di (p°, p°”). — 111 — Chimica. — Ze leghe di oro e silico ("). Nota di CLARA DI CAPUA, presentata dal Socio E. PATERNÒ (°). Sulle leghe di oro e silicio si hanno poche notizie nella letteratura. Winkler (*), che ne preparò alcune, dice che, con 8 °/ Si, l'oro diventa giallo sporco; con 10 */, grigio gialliccio, fragile, a frattura concoide; con 20 */, e più, sempre più fragile e grigio. Warren (4) ha preparato leghe di oro e silicio facendo agire Au sopra K,SiFl, a temperatura elevata, e anch'egli afferma che la lega al 5 */, Si, così ottenuta, è fragile quasi come l’antimonio. Più recentemente Vigouroux (5), scaldando Si e Au intimamente me- scolati e fortemente compressi, ha ottenuto globuli di lega dura e fragile in cui, con mezzi chimici, ha stabilito la presenza del silicio e l'assenza di siliciuro. Queste notizie ci dicono solo che Si si allega ad Au, alterandone le proprietà in misura tanto più forte, quanto maggiore è la sua concentrazione. Ho creduto perciò opportuno di studiare il diagramma di stato del sistema Au-Si per chiarire la natura delle leghe che si formano. Mi son servito di Au a °°°/,500 e di Si della casa Griffin di Londra. Questo conteneva dal 4 al 5°/, di impurezze, costituite, nella quasi totalità, di ferro. Ho preparato le leghe fondendole in crogiuoli di porcellana dura di Berlino a mezzo del solito forno tubolare Tammann a resistenza di carbone. Di solito le operazioni del genere di quelle da me eseguite vengono fatte su un peso costante di miscugli di composizione varia per poter trarre, dal confronto delle durate di arresto, utili indicazioni sulle caratteristiche principali del diagramma. Nel caso in quistione però, data la notevole diffe- renza del peso specifico dei due elementi Au e Si sarebbe stato necessario adoperare quantità dei diversi miscugli che occupassero uno stesso volume. Il comportamento delle leghe al raffreddamento ha però provato che non era da sperare di poter trarre un gran vantaggio dalle durate degli arresti, presentandosi questi in maniera assai irregolare a causa della bassa conducibilità termica del silicio; onde è che le esperienze sono state ese- (') Lavoro eseguito nel Laboratorio di chimica inorganica e di chimica-fisica del R. Istituto di Studi Superiori in Firenze. (*) Pervenuta all'Accademia il 20 settembre 1919. (8) J. Prakt. Ch., 2/, 203 (1864). (4) Chem. News, 60, 5 (1889); 67, 303 (18983). (5) Ann. Chim. Phys., [7], /2, (1897), pag. 170. RENDICONTI. 1920, Vol. XXIX, 1° Sem. 15 — 112 — guite con quantità variabili da 12 a 20 gr. dei diversi miscugli, e si è tra- scurato di tenere conto delle durate degli arresti. Come si vedrà, dato l'aspetto che ha il nostro diagramma, l'aver tra- scurato le durate degli arresti nulla toglie alla esattezza di esso. Le esperienze sono state fatte in ambiente d'idrogeno: questo protegge dalla ossidazione anche i miscugli più ricchi di silicio, purchè sia fatto pas- sare in corrente molto rapida. i Il rivestimento di porcellana della pinza termo-elettrica resiste abba- stanza all'azione della massa fusa, purchè si abbia l'avvertenza di immer- gere la pinza nella massa fusa solo quando, cessato il riscaldamento, si inizia il raffreddamento della lega. I miscugli Au-Si sono stati portati tutti a temperatura superiore a quelle di fusione del silicio, e quindi bene agitati con una bacchetta di porcellana dura, per assicurare omogeneità di composizione al miscuglio fuso. La pinza è stata tarata determinando i punti di fusione di Ph, Zn, Ag,.Cu, Ni. La correzione da apportare alle temperature lette sul galva- nometro variava da 30° per 300°, a 75° per 1400°. Nella tabella che segue sono riportati i resultati delle esperienze: Numero in Ei TEMP. DI INIZIO | TEMP. DI FINE delle di di esperienze Au Si solidificazione | solidificazione 1 100 = 1064° 370° 2 98,5 1,5 940 370 3 96,9 3,5 840 370 4 95 5,0 580 1870 5 90 10 790 370 6 85 15 1030 870 7 80 20 1130 370 8 75 25 1175 370 9 67 33 1265 . 370 10 60 40 1295 370 TRI 50 50 1350 870 12 33 67 1375 370 13 15 85 1390 — 14 0 100 1404 _ Con questi valori è possibile descrivere il diagramma di fusione ripro- dotto nella figura. Come si rileva da questa, oro e silicio si mescolano allo stato liquido in tutti i rapporti, non formano composti fra loro, e sono completamente — 113 — non miscibili allo stato solido, almeno nei limiti di errore delle esperienze. Nella lega all'85 °/ di Si non è stato possibile di rintracciare con sicu- rezza un rallentamento corrispondente alla solidificazione dell’eutettico, mentre invece col microscopio si son potuti distinguere qua e là, nella massa, dei cristallini di oro. La formazione di cristalli misti a questa concentrazione è perciò da escludersi. Il non aver osservato rallentamento sulla curva di raffreddamento, Hxfa ®, lique do o Da N > 3 5 SS Si è avlollico in corrispondenza all’eutettico, non deve pertanto maravigliare quando sì tenga presente la bassa conducibilità calorifica de! silicio e il fenomeno di cui passo a parlare. E cioè, quasi tutte le leghe ricche in silicio da me studiate presenta- vano un globulo dorato alla superticie, il quale si distaccava nettamente dal blocco metallico grigio-bleu. Un globulo dello stesso genere è stato pure osservato nelle leghe di silicio e argento (*) e di silicio e alluminio (?), ed è certamente dovuto al fatto che il silicio soliditica con aumento di volume. (!) Arrivaut, Zeit. anorg. Ch., 60, 440 (1908). (*) Frankel, ibidem, 58, 154 (1908). — 114 — Perciò, nella solidificazione delle leghe, la parte che solidifica in ultimo, l'eutettico, viene spinta in alto e forma sul blocchetto metallico il globulo dorato. Alcuni di questi blocchetti sono stati analizzati e, pur non avendo la composizione dell'eutettico, hanno dimostrato di essere molto più concen- trati in oro che la lega da cui si sono formati. Così la lega all'80 °/ Au ha dato un blocco con 83 °/ Au. Per l’eutettico del diagramma si ricava una composizione del 94 °/, Au. Il diagramma Au-Si presenta un notevole interesse per il forte abbas- samento che subisce il punto di fusione dell'oro. Basta infatti il 6-7 °/ di Si per abbassarlo di 800° circa. Un comportamento simile si ha nel caso del platino, il cui punto di fusione (1705°) viene abbassato a 5789, cioè circa 1200°, per l'aggiunta del 12 °/ circa di As ('). L'esame microscopico delle leghe conferma pienamente i risultati della analisi termica. Microbiologia. — Sul comportamento del « Bacterium coli » nel latte (*). Nota del prof. CosrantINO GoRINI, pres. dal Socio G. KOERNER. Il biochimismo del dacterium Coli è fra i più discussi, come lo atte- stano la ricca letteratura e le numerose sottospecie e varietà a cui ha dato luogo. Proprietà che per alcuni autori sono fondamentali, per altri sono acces - sorie; al tipo che, sembrando il più diffuso, risponde al prisco nome di bacillus Coli communis, se ne è aggiunto un altro, per la sua maggior frequenza denominato bdaczi/lus Coli communior; specie che prima erano classificate separatamente, come il /. l/actis aérogenes, il b. acidi lactici Hiippe, il b. cloacae, il proteus, vengono talora conglobate in un mede- simo gruppo detto del Colon o della « microflora intestinale » (Rogers) (3). E le controversie fra gli investigatori s’impegnano tuttavia, talchè la defi- nizione del genere incontra molteplici modificazioni. Taluni dispareri sono stati già appianati mercè perfezionamenti nei metodi di indagine. Così accadde nei riguardi della produzione dell’indolo, la cui determinazione ha subìto progressivi miglioramenti, sia impiegando, giusta il mio consiglio (4), particolari qualità di peptone nell'allestimento dei (!) Friedrich e Léroux, Metallurgie, 5, pag. 148 (1908). (*) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Batteriologia della R. Scuola Superiore di Agricoltura di Milano. (*) Journ. of Infect. Diseas, 1914, 14°, 3. pp. 411-475. (4) Giorn. R. Soc. It. Igiene, 1893, 15°, n.5; Centralbl. f. Bakter. 1893, 13°, pag. 79. “È — 115 — terreni di cultura, sia usando, a seconda dei tipi, culture in brodo Liebig 0 in acqua peptotizzata con o senza triptofane, sia mettendo in evidenza la reazione per duplice via, cioè col processo Salkowsky all’acido solforico e col processo Ehrlich alla paradimetilamidobenzaldeide. Uno dei punti di maggior contestazione rifletto il comportamento del b. Coli nel latte. Mentre in origine una delle caratteristiche essenziali per cui il oli si differenziava da altri generi similari e segnatamente dal bacillo del tifo era, conformemente allo scopritore Escherich, la proprietà di coa- gulare il latte; in seguito essa è andata perdendo tanto del proprio signifi- cato da essere da taluni messa fra le accessorie e da talaltri perfino tra- scurata del tutto fra i criterî diagnostici del gruppo (Neri) ('). Ciò deriva dalle incertezze in cui si dibattono gli autori a proposito dei singoli tipi di Coli che ora coagulano ed ora non coagulano il latte. Curiosa è la diversa casistica recata dagli autori; Konrich (*), che ha fatto uno degli studî più esaurienti sopra 2387 stipiti, riduce al 24,14%, la proporzione degli stipiti di Coli che non coagulano il latte; nè manca chi continua ad assegnare al potere coagulante un valore, se non assoluto, certamente probativo per caratterizzare i Col? di una determinata origine; ma pur qui il divario non potrebbe essere più stridente, imperocchè, ad es., i Coli fecali sono per alcuni i più costanti a coagulare (Crossonini) (*), e invece per altri sono i meno costanti (Konrich). A chiarire e dissipare le discrepanze, si possono invocare e la tempe- ratura di incubazione che varia dai 37° ai 46° C., e la durata dell'osserva- zione che va dai 5 ai 15 giorni, e fors anco la quantità della semente; ma soprattutto ho pensato possa giovare un accorgimento di tecnica nell'allesti- mento delle lattoculture, che già era scaturito dai miei studî sui fermenti lattici (*). Insegnai allora come il comportamento dei fermenti lattici nelle lattoculture fosse diverso, a norma che il latte era stato sterilizzato blanda- mente in guisa da conservargli il proprio colorito bianco, oppure profonda- mente in guisa da fargli assumere una tinta bruniccia che si accompagna ad una modificazione chimica per cui ne viene pregiudicata l'attitudine alla coagulazione mediante presame, pur mantenendo la coagulabilità mediante acidificazione. Ne viene che i fermenti lattici fortemente acidificanti sono capaci di coagulare tanto il latte bianco quanto il bruniccio ; invece i fer- menti lattici deboli acidificatori coagulano solamente il latte bianco perchè, per rapprendere il latte, abbisognano dell'aiuto dell'enzima presamico da essi elaborato, il quale non agisce sul latte imbrunito. Orbene, analogo atteg- (1) L’Igiene Moderna, 1915, 89, nn. 2, 3, e 4. (2) Klin. Jahrb., 1910, 13°, pp. 1-124. (*) L’Igiene Moderna, 1918, 11°, n. 8. (4) Rend. R. Accad, Lincei, 1917, 269, pag. 195. — 116 — giamento io ho osservato fra i colibacilli che da lunga pezza vado isolando nelle mie ricerche sulla microflora del latte, delle fèci e dei foraggi; cosicchè ho dovuto modificare il mio giudizio di anni addietro (1894) (') in cui avevo classificato il Col: fra i batterii non presamigeni. Per tal via sono giunto a ravvisare due tipi di Col. che si differenziano nettamente per il poten- ziale d'acidificazione: il tipo che coagula solamente il latte bianco, ma non l’imbrunito. arriva appena a produrre una acidità lattica attorno al '/, per cento; l’altro tipo, che coagula anche il latte imbrunito (sebbene con sensi- bile ritardo sul latte bianco) produce un'acidità lattica dall'1!/, al 2 per cento. Vogliasi notare che le lattocnlture sono tenute per 15-45 giorni alla temperatura di 38-40° C., che, a mio avviso, è la più oppurtuna, verisimil- mente perchè agevola l’azione del presame; avvertasi inoltre che la titola- zione dell’acidità va eseguita tempestivamente, perchè in seguito certi stipiti di Coli presentano il fenomeno della reversione dovuto alla produzione di sostanze a reazione alcalina, fenomeno che è per l'appunto frequente nei Coli più acidogeni giacchè, essendo essi anche i più acidoresistenti, le loro attività possono continuare anche dopo la cessazione della fermentazione del lattosio. I miei accertamenti mi autorizzano a sollevare il sospetto che la man- cata coagulazione del latte, osservata dagli autori presso molte razze di colì- bacillo, sia da attribuire al fatto di avere esperimentato con latte troppo profondamente sterilizzato; questo sospetto è tanto più giustificato in quanto pochi sono gli sperimentatori che indicano, il processo di sterilizzazione adottato, e molti sono i trattati di batteriologia che prescrivono di steriliz- zare il latte a temperature tali da alterarne notevolmente il colorito. Fatto sta che io non ho ancora incontrato un ceppo di colibacillo che non abbia coagulato il latte sterilizzato bianco; non solo, ma soggiungerò che, avendo sottoposto a controllo parecchi stipiti di Col e di Colisimili provenienti da laboratorî italiani e stranieri, li trovai dotati di potere coagulante, con- trariamente all'affermazione dei colleghi che me li avevano favoriti. Osser- vai, è vero, talora, un notevole ritardo nella coagulazione, massime quando la temperatura di incubazione era rimasta al disotto dei 38-40°C.; ma in tal caso bastava sottoporre le lattoculture, dopo 8-10 giorni, ad un tenue riscaldamento perchè si rapprendessero, dappoichè in tal guisa veniva age- volata l'azione dell’enzimo presamico. (Rammento, a questo proposito, lo stratagemma di alcuni autori di indagare la coagulabilità delle culture di 24-48 ore, portandole a 100°C.). Ne concludo che la proprietà di coagulare il latte sterilizzato bianco può ben figurare tra i criterî diagnostici del Co/z. (') Giorn. R. Soc. It. Igiene, 1894, 16°, n 4. — ll? — Un'altra constatazione, alla quale ànno condotto queste mie ricerche, si è che i due tipi suaccennati di Co/: non sono ugualmente e indifferente mente distribuiti nei varî ambienti: latte, fèci e foraggi. Mentre ho riscon- trato che nel latte siffatta distribuzione è mutevole, nel senso che talora prevale un tipo, talora prevale l’altro, e talora i due tipi si equilibrano; per converso nelle fèci, tanto bovine quanto umane, ho trovato una co- stante maggiore abbondanza del tipo di Coli a debole potenziale acidifica- tore, e nei foraggi invece una costante maggiore abbondanza del tipo di Coli a forte potenziale acidificatore. Questa constatazione suggerisce diverse considerazioni di ordine scientifico-pratico. In primo luogo vien fatto di domandare una spiegazione del diverso habitat dei due tipi di Colz. La loro variabile proporzione nel latte può essere facilmente messa in rapporto colla variabilità della duplice fonte di inquinazione microbica a cui il latte va soggetto: la contaminazione fecale e la contaminazione foraggera. Ma il contrasto fra il costante predominio numerico del tipo vigoroso nei foraggi e del tipo debole nelle feci bovine non trova un’apparente ragione se non supponendo un processo di attenua- zione fermentativa acidogena del Col; attraverso l'intestino; siffatta ipotesi attende naturalmente la ratifica sperimentale. Peraltro, anche i Coli delle fèci umane stanno ad attestare ‘che l'intestino non è l'ambiente più favo- revole alla loro attività acidogena. In secondo luogo mette conto di porre in guardia che, nella ricerca del b. Coli nelle acque come indice di contaminazione organica, può tornare bensì utile d'interrogare il potere coagulante del germe sul latte, purchè però si abbia cura di usare latte non profondamente sterilizzato; se si usa latte rossigno, si corre pericolo di trascurare la presenza di Coli di provenienza animale e di dar peso invece a Co/z di provenienza vegetale, il cui signi- ficato inficiante è assai minore. x x x Concludendo, queste mie ricerche dimostrano: 1°) Che il dacillus Coli presenta un diverso comportamento nelle lattoculture, a seconda del suo potenziale acidogeno; per cui si possono sta- bilire due tipi di Co/;: uno acidificante vigoroso che coagula anche quando il latte ha subìto, per effetto della sterilizzazione, modificazioni tali da acqui- stare una tinta bruniccia; un altro tipo acidificante debole che arriva bensì, col concorso del suo enzima presamico, a coagulare, purchè però il latte sia convenientemente risparmiato nel processo di sterizzazione, così da con- servare il proprio colorito bianco. L'ideale sarebbe di disporre di latte — 118 — munto aseticamente in guisa da non richiedere processi profondi di steri- lizzazione. 2°) Che la distribuzione dei due tipi di Coli nei varî ambienti si manifesta con una maggior frequenza del tipo vigoroso nei foraggi e del tipo debole nelle fèci bovine ed umane: nel latte la proporzione è mutevole in conseguenza della duplice via di contaminazione fecale e foraggera. 3°) Che dall'insieme delle osservazioni fatte viene ad essere raffor- zato il valore diagnostico del potere coagulaute del Coli e si rendono su- scettibili di appianamento molti dispareri sull'argomento, massime nei ri- guardi del giudizio igienico sulle acque. MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI CiRINEI E. Principio delle velocità virtuali. Presentata dal SEGRE- TARIO. RELAZIONI DI COMMISSIONI I Soci Levi-Civita, relatore, ALMANSI e CRocco, presentano una rela- zione sulla Memoria del prof. A. SianoRINI: Sull'integrazione approssimata delle equazioni classiche della balistica esterna, relazione che. conclude col proporre la inserzione del lavoro negli Atti accademici. La proposta della Commissione esaminatrice, messa ai voti dal Presi- dente, è approvata dalla Classe, salvo le consuete riserve. PERSONALE ACCADEMICO Il Socio Borzi legge la seguente commemorazione del compianto Socio Giovanni BRrIOSI: Con animo devoto volgo oggi il mio pensiero a Giovanni BrIosI; ed in nome vostro, illustri colleghi, e in nome della scienza, a Lui così cara, concedetemi che io porga il mio saluto riverente alla Sua memoria e vi parli della Sua opera. Nacque Giovanni Briosi a Ferrara il 29 aprile del 1846 da Domenico Briosi e Ginevra Salveggiani appartenenti a famiglia di modesti operai. E questo va ricordato anzitutto a grande onore e vanto di Lui, poichè l'alta posizione scientifica raggiunta rappresenta il frutto di una possente volontà e di talento non comune. — 119 — "Infatti Giovanni Briosi era destinato a seguire le orme del padre e rela- tivamente tardi potè dedicarsi agli studî, solo quando per la gracilità e la malferma salute la famiglia riconobbe necessario di sottrarlo al grave lavoro dell’officina. E così, sotto l'impulso delle ammirevoli attitudini dello spirito e per la tenace volontà, divenne un bravo operaio della scienza. Coloro che Lo conobbero giovinetto rammentano con meraviglia cum’ Egli, dotato appena di quelle rudimentali cognizioni che sogliono essere impartite nei comuni asili d'infanzia, dopo soio undici mesi di studio, avvivato dall’ intenso amore ad apprendere, sia riuscito a superare con lode gli esami della licenza liceale. Tutto il resto della Sua vita di studente è una gara d'incessante atti- vità, uno sforzo meraviglioso di energia per arrivare presto e bene là dove altri, nelle medesime condizioni, non avrebbero potuto o saputo giungere tanto rapidamente e meglio. E così, mentre segue i corsi del liceo, lo vediamo iscritto come semplice uditore a quelli di matematica nella patria università, in modo che, appena conseguita la licenza e ottenuta la regolare convali- dazione dei detti corsi, egli poteva recarsi a Torino per compiere gli studî d'ingegneria in quel politecnico e poscia a Napoli alla Scuola d'applicazione degli Ingegneri, ottenendo a tal fine, ed in considerazione dei suoi meriti, una borsa di studio da parte dell'Ateneo ferrarese. Laureatosi ingegnere in Napoli, il Briosi, anzichè scegliere la via pro- fessionale, segue quella degli studî scientifici; e particolarmente le sue più spiccate tendenze sembrano dirette agli studî dell'agronomia che gli aprivano il cammino verso quella mèta in cui noi lo abbiamo segnìto con ammira- zione per oltre quarant'anni sino al momento nel quale la morte troncava la Sua nobile esistenza. A prova delle felici disposizioni del talento, e, più che mai, del precoce svolgimento delle qualità scientifiche, dobbiamo ricordare alcuni scritti di questo primo periodo della vita di studioso, i quali mostrano nell’Autore, allora poco più che ventenne, uno spirito indagatore versatile e, quasi diremmo, singolarmente maturo. Tale è appunto lo scritto Sulle inon- dazioni, il disboscamento e le loro cause, pubblicato nel « Giornale d'agri- coltura del regno d’Italia » (Bologna, 1868), e quello Sul calcolo delle mac- chine a vapore (Napoli, 1869); quest'ultimo sembra che rappresenti la tesi di laurea in ingegneria. Della stessa epoca è il lavoro in collaborazione col prof. Albini, Sui risultati di ricerche chimiche qualitative e quantitative sul frutto di fico (Napoli, 1869). Questa eccellente precoce attività scientifica veniva meritamente apprez- zata dal governo, il quale conferiva al Briosi una borsa di studio per recarsi all’estero e approfondire vieppiù la Sua cultura agraria scientifica. Egli si recò subito a Bruxelles e poscia in Germania, frequentando prima il labo- ratorio di anatomia vegetale diretto dal De Bary, a Strassburgo, e in ultimo quello di fisiologia e anatomia vegetale di Halle diretto dal prof. Gregorio Kraus. Quivi il Briosi segnava la prima volta il Suo nome nell'aureo albo RenpicoONTI. 1920, Vol. XXIX, 1° Sem. 16 CO DE della scienza di flora pubblicando due notevoli Memorie sull'autorevole pe- riodico botanico — la Botanische Zeitung — diretto a quel tempo dallo stesso Kraus. Esse meritano la nostra attenzione. Nella prima, dal titolo, che tradu- ciamo dal tedesco: Sulla presenza generale dell'amido nei tubi cribrosi (« Bot. Zeit. », 1873, nn. 20-21-22), l'A. segnalava, in 129 specie di piante fra le 146 esaminate appartenenti ai più disparati gruppi del regno vege- tale, all’interno dei vasi eribrosi, la presenza di granelli di amido estrema- mente piccoli così da rendersi appena visibili con ì più forti obbiettivi. Questi corpi tendono ad accumularsi intorno alle placche cribrose 6 possono anche attraversare i sottili canalicoli di queste, così come vien dimostrato esperimentando con pressioni che l'Autore esercitava sui preparati. E sia per questo, sia in considerazione del movimento dei granuli amilacei dentro la cavità dei tubi cribrosi, il Briosi traeva argomento per dedurre che i pro- dotti di riserva delle piante, l’amido in particolare, possono direttamente essere trasportati dalla corrente circolatoria dei succhi elaborati per trasfe- rirsi ai centri di consumo senza subire alcuna trasformazione chimica. Nell’altra Memoria il Briosi tende a dimostrare che il lavoro della clorofilla in alcune piante, quali p. es. le Musacee, può avere per oggetto la formazione di materia grassa anzichè amido, come è il caso generale. Con questi lavori il Briosi sì rendeva per la prima volta noto al pub- blico botanico; specialmente in Italia essi furono molto ben apprezzati come una rivelazione di metodi di ricerca costituenti allora un indirizzo quasi nuovo per noi. Così, Egli preparava le basi della Sua carriera scientifica colla reputazione di eccellente osservatore dotato della conoscenza dei più perfetti metodi della indagine e della tecnica del microscopio. Si aggiunga, a questo, il pregio di cognizioni di fisiologia e chimica agronomica o almeno di ten- denze a studî di tal natura, rese appena manifeste ed espresse nei primi passi della Sua vita scientitica: tendenze per le quali Egli aveva guadagnato la borsa di studio all’estero e che avrebbero dovuto formare il carattere della Sua coltura. Sono certo di non ingannarmi affermando che su queste tracce il Briosi costruì e diè forme al Suo avvenire scientifico. Esse ci additano nel campo della botanica pura in Lui uno studioso di argomenti di anatomia e morfo- logia e di micologia, ordinariamente questa come ausilio della patologia vegetale, mentre occupano una parte molto rilevante le ricerche e le analisi chimiche aventi rapporti con questioni d’interesse agronomico. 5 Seguendo il Briosi nella Sua carriera e nei successi della Sua vita e del lavoro scientifico, notiamo anzitutto che Egli al ritorno dall'estero veniva dal Ministero d’agricoltura incaricato della direzione della istituenda Stazione chimico-agraria sperimentale di Palermo, ufficio molto importante che Egli seppe, per quanto con mezzi molto limitati, adempiere con zelo e con quella — 1221 — illuminata conoscenza dei bisogni della regione ove sorgeva l’ Istituto affidato alle Sue cure. In Palermo Egli trovò ausilio di cooperazione nell'ambiente ospitale isolano, così da poter dare ivi un forte impulso alle ricerche anali- tiche dei vini siciliani e iniziare quelle di alcune malattie delle piante del- l’isola. Appartengono a questo periodo della Sua attività gli studî sul ma/ della cenere degli agrumi e sul marciume dell'uva. Coll’autorevole collabo- razione del senatore Paternò, il Briosi iniziava verso quel tempo uno studio chimico sulla esperidina e compiva osservazioni sui prodotti della fitosintesi della vite. Chiamato verso il 1879 a dirigere la Stazione chimico agraria di Roma, dovette sul principio lottare contro difficoltà materiali per insufficienza di laboratorii, poichè i locali all'uopo destinati, dovettero in quel tempo essere demoliti per dar posto all'attuale Museo agrario. E fu questo certamente in qualche modo un bene nell'interesse della botanica, sebbene avesse amareg- giato molto l'animo del nostro defunto collega, poichè Egli, spinto dall'amore e dalla Sna naturale disposizione al lavoro scientifico, potè dedicarsi più liberamente allo studio di problemi della pura botanica, profittando della ospitalità concessagli dall'Istituto botanico dell’ Università di Roma. Come frutto di questa forma di attività vanno in prima linea ricordati gli studî sull’anatomia delle foglie e sulle particolarità morfologiche delle plantule di Eucalypius e della Cuphaea, i quali sono degni di molta considerazione per la grande diligenza nei dettagli descrittivi e per le magnifiche figure che servono ad illustrarli. La carica di direttore della Stazione agraria ed il soggiorno in Roma valsero ad accrescere le Sue relazioni personali con studiosi; e da uomo ge- niale, nel vero senso della parola, com'Egli era, seppe trar da ciò vantaggio nelle direttive della Sua attività scientifica, onde, in seguito a concorso, ve- niva nominato nel 1882 professore di botanica all’Università di Pavia e contemporaneamente direttore della Stazione di botanica crittogamica annessa all'Istituto botanico dell'Ateneo pavese. Questa rappresenta l’ultima tappa della Sua carriera, e come omaggio alla Sua memoria, potremmo dire, il campo glorioso di quell’attività ammi- revole onde Egli si rendeva benemerito degli studî, dell’insegnamento e dell'Istituto confidato alle Sue cure. Va detto con piena convinzione che poche volte la scelta di persone da elevarsi a determinate funzioni scien- tifiche apparisce ispirata a tal senso di opportunità come quella per cui il Briosi veniva assunto a quel doppio ufficio, essendo Egli soprattutto dotato di squisite qualità di organizzatore. Si sa che ogni istituzione scientifica, qualunque nome abbia, segue sempre il destino dell’uomo ed è destinata a languire se non è di continuo alimentata e tenuta desta e viva dal fuoco sacro che arde nell'animo dello scienziato. E così il Briosi a Pavia ben seppe a questa fiamma ispirare l’opera Sua, poichè ivi trovò appunto quasi — 122-— tutto da rinnovare, riparare dalle ingiurie del tempo e indirizzare verso nuove direttive più armoniche e consentanee alla ragione dei tempi e alla natura delle funzioni dell'Istituto affidato alle Sue cure. È qui che dobbiamo con- siderarne la figura di studioso con animo sereno, poichè Egli ivi trascorse poco meno che quarant'anni della Sua vita, i più maturi e quelli, relativa- mente, più fecondi. E dobbiamo anzitutto rilevare il dubbio che la produzione scientifica personale del Briosi possa risentire un po' della influenza della grande atti- vità di Lui nel campo delle svariate mansioni e dei molti incarichi ufficiali dipendenti dalla Sua caviva di direttore di un ufficio governativo pubblico, quale era quello delle malattie crittogamiche delle piante; dubbio che po- trebbe farci credere che questa funzione avesse potuto sopraffare l’ardore alla ricerca nel campo della pura scienza. Ma il Briosi seppe con ammire-. vole forza di sacrifizio ben conciliare i suoi doveri ufficiali con lo spirito inda- gatore dello scienziato, il quale per natura non tollera pastoie. E così della Sua opera rimane traccia profonda presso l’Istituto da Lui diretto, al quale dedicò con passione tutto sè stesso, ampliando i laboratorî, costruendo delle serre, portando ovunque un soffio di modernità e di vita attiva. Come manifestazione di questo rinnovato vigore veniva da Lui iniziata la pubblicazione degli A dell’ Istituto, raccogliendovi tutti i lavori com- piuti dai suoi non pochi allievi per ispirazione di Lui e colla Sua diretta collaborazione e cooperazione. Questa raccolta comprende 16 volumi conte- nenti 250 scritti diversi, corredati da circa 300 tavole litografiche ove figu- rano i nomi di studiosi italiani che altamente onorano la botanica, quali un Cavara, un Pollacci, un Montemartini, un Farneti, un Togninì ecc. A questo periodo di fecondo lavoro si riferiscono le ricerche intorno alle sostanze minerali delle foglie delle piante sempreverdì (in Atti Ist. bot., Pavia 1888), molto interessanti perchè dimostrano come le sostanze delle ceneri sono variamente distribuite nel corpo vegetale, secondo la età, lo stato di sviluppo e la natura degli organi. Nulla dirò in particolare dei molti studî compiuti in collaborazione con i suoi assistenti, studî in cui sono stati trattati svariati argomenti di anatomia e fisiologia vegetale; nè delle moltissime relazioni e rassegne intorno alle ma- lattie crittogamiche di molte piante agrarie; e nulla pure dei numerosi rapporti ufficiali dell’opera Sua quale direttore del laboratorio crittogamico di Pavia, e dei risultati delle missioni compiute per conto del governo. Non posso però tacere che con geniale ispirazione ogni volume degli Atti dell'Istituto botanico porta, quasi a titolo di presentazione, un omaggio biografico alla memoria di un insigne botanico italiano: e sono a questo ri- guardo notevoli i cenni biografici su Federico Delpino, su G. B. Amici, su A. Scopoli e altri. — 123 — G. Briosi in tutta la sua vita mantenne viva la fiamma dell'amore agli studî e del culto alla scienza. Sin dai primi albori della Sua esistenza, quella fiamma gli fu guida e gli procacciò onori e la stima degli studiosi. Molti sodalizî scientifici dell’Italia e dell'estero Lo ebbero caro e stimato Socio. Fu ascritto alla nostra Accademia fin dal 1896. Moriva in Pavia il 20 luglio dello scorso anno, fra il compianto dei suoi molti scolari e colleghi. Ed anche dei molti che Lo amarono e Lo ammi- rarono, poichè G. Briosi fu tempra d'uomo di quelli che si sanno fare amare ed ammirare, per carattere schietto ed intimamente buono, per la geniale affabilità dei modi congiunta a semplicità. Fu un uomo di mondo per la cultura versatile e la naturale vivacità; e questo, secondo me, cooperò molto ai successi della Sua vita. La Sua figura caratteristica, dalla bella testa, dagli occhi sempre pieni di vita fresca e gioconda, rimane oggi presente al nostro pen- siero; e alla memoria di Lui benedetta noi devotamente c’inchiniamo. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Socio VoLTERRA presenta una Nota inviata dal prof. ERNESTO LEBON in omaggio all'Accademia. Essa contiene la prefazione alla ristampa delle tavole dei numeri primi e della decomposizione dei numeri da 1 a 10 mila del P. Giovanni Inghirami fatta dall’editore Gauthier-Villars di Parigi. Tale ristampa fu curata dal dott. Prompt, che morì nel 1917, prima di poter preparare una notizia biografica sull’ Inghirami. Questa notizia venne redatta con molta cura dall’eminente successore dell’ Inghirami P. Giovanni Giovannozzi delle Scuole Pie e la traduzione di essa, fatta dal sig. Lebon, che comparisce ora nella introduzione alla ristampa delle dette tavole, è unita alla Nota che oggi si presenta all'Accademia. CONCORSI A PREMI Il Segretario PiRoTTA comunica il seguente Elenco dei lavori presentati ai concorsi ai premî del Ministero della Pubblica Istruzione per le Scienze naturali. (scadenza 31 dicembre 1919. — Due premi di L. 2000 ciascuno) 1. ArragHi CarLo. 1) « Sulla scomparsa di alcuni gruppi di animali e di vegetali » (st... — 2) «Sui molari d'elefante delle alluvioni lombarde, con osservazioni sulla filogenia e scomparsa di alcuni proboscidati » (st.). 2. ALBo Giacomo. 1) « L'isola di Capo Passaro e la sua vegetazione » (st... — 2) « La flora di Donna Lucata » (st). — 3) « La vita delle piante vascolari nella Sicilia meridionale-orientale » (st). 3. Bezzi Mario. 1) « Il genere Zarzopogon Loew » (st.). — 2) « Stu- dies in Philippine diptera » (st.). — 8) « Una nuova specie etiopica del ae gen. Himantostoma Loew (dipt.) » (st... — 4) « New ethiopian fruit-flies of the genus Dacus » (st.). — 5) « Un nuovo genere di ditteri subatteri scoperto dal prof. A. Corti sulle somme Alpi della Valtellina ». (st.). — 6) « Notes on the ethiopian fruit-flies of the family trypaneidae » ecc. (st.). — 7) « Ulteriori notizie sul gen ZMimantostoma Loew (dipt.) » (st.). — 8) « Studî sulla ditterofauna nivale delle Alpi italiane » (st.). — 9) « Una nuova specie brasiliana del genere Anastrepha (dipt.) » (st.).» — 10) « Desco- berta de una nova mosca das fructas no Brazil » (art. su Rivista) (st.). — 11. « Two new ethiopian Lonchaeidae, with notes on other species (dipt.) (st... — 12) « Rinvenimento di una ‘Chionca ’ (dipt.) nei dintorni di To- rino » (st.), — 18) « New ethiopian fruit-flies of the genera tridacus ad dacus (dipt.) (st... — 14) «Nota sul genere Cryplochaetum (dip.) c S descrizione di una nuova specie delle Filippine » (st). 4. CaccramaLi G. B. 1) «I giacimenti ferriferi del Bresciano » (st.). — 2) « Concomitanza tra fratture-rigetti e filoni metalliferi nel Bresciano » (st., — 3) « Una falda di sovraseorrimento a San Pellegrino » (st.).. — 4) « Falde alpine e loro radici; limite alpino-dinarico; pieghe dinariche » (st.). — 5) « Prolungamenti strutturali della falda carreggiata di S. Pellegrino » (ms.). 5. Caupa ApoLro. 1) « Azione simultanea del nitrato sodico e dei sali di calcio » (st.). — 2) « Gruppi vegetali fissatori di azoto » (ms.). — 3) « Me- todo biologico per svelare negli schizomiceti l'attitudine a fissare l'azoto libero » (ms). 6. CoLamonico CarmELO. 1) « Il pulo di Altamura » (st.). — 2) « Zone di piovosità e densità di popolazione nella provincia di Lecce » (st.). — 3) « La piovosità della Terra d'Otranto » (st.): — 4) « Le conche carsiche di Castellana in Terra di Bari » (st... — 5) « Tl pulicchio di Gravina » (st). — 6) « Un cinquantennio di osservazioni pluviometriche a Bari » (st.) — 7) « Il bacino carsico di ‘Gurio Lamanna” nelle Murge Alte » (st.).»n — 8) « Dolina di Pozzo Mancuso (Terra di Bari) » (st.). — 9. « Un anno di ab- bondantissima piovosità a Bari : il 1915 » (st.). — 10) « La distribuzione della popolazione in Puglia secondo la distanza del mare » (st.). — 11) «I fenomeni carsici del ‘Cavone?, nelle Murge di Spinazzola » (st.). — 12) « Il ‘Gurgo’ di Andria » (st.), — 13. « Una serie di doline sull'orlo del rialto marginario di Minervino » (st.). — 14) « Di alcune voragini pugliesi dette ‘grave? » (st... — 15) « Fenomeni carsici a Pulignano » (st.). — 16) « Ap- punti sul clima di Acquaviva delle Fonti » (st.). 7. Comes SaLvatorE. 1) « Ulteriori ricerche sulla struttura della cel- lula cartilaginea dei mammiferi » (st.). — 2) « Di alcune particolarità di struttura del cilindrasse della fibra nervosa a doppio contorno, e del loro possibile significato funzionale » (st.). — 8) « Fenomeni di rigenerazione ed autoinnesti in larve di anfibii anuri » (st.). — 4) « Considerazioni sulla — 125 — natura mitocondriale di alcune membrane cellulari, e sul loro significato » (st.). — 5) « Il condrioma e l’apparato dittiocondriale nei corpuscoli san- guigni dell'embrione dei mammiferi » (st.). — 6) « Sull'esistenza e sul com- portamento del blefaroblasto nel parassita malarico dell’uomo durante la fase asessuale del suo ciclo di sviluppo » (st.). — 7) « Il blefaroblasto del parassita malarico dell'uomo nella fase asessuale del sno ciclo di sviluppo » (ms.). — 8) « Appunti di biologia malarica. Nota 2%: Rapporti di posizione fra il parassita malarico e l'emazia » (ms.). — 10) « Sulle relazioni fra rigene- razione e metamorfosi nelle larve di anfibii anuri » (ms.). — 11) « Nuove osservazioni sui movimenti di maneggio conseguenti alla decapitazione di alcuni artropodi » (ms.). 8. GrEco BENEDETTO. « Fauna cretacea dell'Egitto, raccolta dal Figari Bey - III 1: Considerazioni geologiche; lamellibranchi del maestrichtiano e del Coniaciano - III 2: Lamellibranchi del Turoniano e del Cenomaniano ». (st.). 9. Mameli Eva. 1) « Lichenes » (st... — 2) « Il legno di conifere come sostituto delle fibre di canapa nella fabbricazione delle corde » (st.). — 83) « Ricerche anatomiche e biochimiche sul Zychnis viscaria » (st.). — 4. « Contributo alla lichenologia del Forlivese » (ms.). — 5) « Licheni della repubblica di S. Marino » (ms.). — 6) « Affinità chimiche ed affinità mor- fologiche nei vegetali » (ms.). — 7) « Ricerche sulla fisiologia dei licheni » (ms.). — 8) « Licheni della Sardegna » (bozze di stampa). — 9) « Licheni della Cirenaica » (bozze di stampa). — 10) « Piante medicinali » (art. su rivista). — 11) « Piante da carta » (art. su rivista). — 12) « Flora li- bica » (art. su rivista). 10. MarteL Epoarpo. 1) « Contribuzione all’anatomia delle perule » (ms.). — 2) « Osservazioni sull’ovario infero in genere ed in particolare su quello delle Ombrellifere » (ms.).-— 8) « Osservazioni sulla presenza di falsi setti in relazione con la placentazione » (ms.). — 4) « Deiscenza del frutto nel genere Campanula » (ms.). — 5) «Crocifere: replum, valve e rostro » (ms.) — 6) « Saggio di un diagramma pel fiore delle Crociflore » (ms.). 11. SAaRRA RarraELE. 1) « La variegana ed i suoi parassiti » (st.) — 2) « Intorno ad un imenottero tentredinide dannoso al mandorlo » (st.). 12. UgoLIiNI UgoLINO. 1) « La Poa silvicola Guss. nel Veneto e nella Lombardia ed i suoi serbatoi acquiferi » (estratto dagli Atti della R. Acca- demia di Padova, vol. 1919) (st.). — 2) « Curiosità della flora bresciana: note di fenologia dell'ippocastano » (bozze di stampa). — 3) « Storia natu- rale [dall’Annuario scientifico-industriale. Milano, Treves 1917-19] (bozze di stampa). — 4) « Piante esotiche avventizie della flora bresciana » (ms.). — 126 — Il SearbTARIO aggiunge che al concorso al premio Carpi per l'anno 1919 si è presentato il prof. G. CorroneEI colla Memoria; Correlazioni e differenziazioni. Ricerche sperimentali sullo sviluppo degli Anfibi Anuri (ms. con atl di 11 tavole). Per il concorso al premio Sazztoro del 1919, hauno richiamato l'atten- zione dell'Accademia sui propri lavori i signori: G. CiccHi, C. GORINI, R IsseL, A. PETRONE. RP, Pubblicazioni della R.'Xccadémia dei Lincei. Serie 13 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale ACcademia' dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. ‘ Serie 2° — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. . ‘38 MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. .383, MEMORIE, della Classe di scienze morali, sioriche e filologiche. Vol'IV VIVI -VILSVII. UT Serie 3° — Transunti. ‘Vol. I-VIIT (1876-84). © MEMORIE. della Classe di scienze. fisiche, matematiche e naturali. Vol. I: (1; 2). — II (1, 2) — IT-XIX. ‘ MkmorIE della Classe di scienze morali, storiche 6 filologiche. Vol. XII MEMORIE dell Giaite "di scienze "fisiche, matematiche. e naturali. Vol, d-VII, . MemoRIE .della»» Classe Di scienze ‘morali,’ storiche e ptasogiehe, Volsei-X. i Jonio 52 — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, RA e naturali. | Vol. I-XXIX. (1892-1920). Fasc. 1°-2°,.Sem. 1°. “RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vel. I-XXVII.:(1862-1919). Fase. 19-39). porco” MemORIE della Classe di scienz 30 fisiche, matematiche e nuturali. Vol. XIIF\ fase. 3°, Fo4 MEMORIE della Classe di. scienze. morali, storiche e filologiche. sh I-XII, Vol pal Vol. XV. Fasc. 1-10. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE ‘FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI . DELLA R. ACCADEMIA. DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei'‘si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre., Il prezzo di associazione, per ogni volume e per tutta P italia è di L. 10;:per gli altri paesi.le.spese.di. posta in più. Le associazioni si ricevono eselusivamente dai seguenti editori-librai: «ULRICO \HoepLi. — Milano; Pisa e Napoli. P. MagLIONE & 0. SrRINI (successori di E. Loescher & 0.) — Roma. RENDICONTI — Febbraio ;:1920#{!: (da wi INDICE Classe di scienze fisiche, imatematiché e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Seduta del 1° febbraio 1920. Fubini. Invarianti affini-differenziali di una superficie... Li. LL... Pag. 87 Majorana. Salla gravitazione... 2. in a a ao UA pi ION Amato. Sul metodo di Kronecker per la decomposi zione di upa funzione razionale intera in un campo ampliato di razionalità (pres. dal Socio Bianchi) . . . ...... MO) Bcatizzi. Equazioni differenziali di Abel riducibili alle quadrature (pres. dal Socio Levt- Civita) s90biiusizioni SIE ARIE A SIRIO CRI Apa PIO RESINA ibid (Uli Tonelli. Sulla ricerca delle fuzioni Jrimitivo (pres. dal Socio Pindhertte) , si TR A ANALE, di Capua. Le leghe di oro e silicio (pres. dal Socio Paternò) . . «°°... + BR UD Gorini. Sul comportamento del « Bacterium coli » nel latte (pres. dal Socio Robins) . » 114 MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Cirinei. Principio delle velocità virtuali (pres. dal Segretario) . . . ..... 6. » 118 RELAZIONI DI COMMISSIONI Levi-Civita (relatore), Almansi e Crocco. Relazione sulla Memoria del prof. Signorini, avente per titolo: « Sull’integrazione approssimata delle equazioni classiche della bali- stica esterna » . . . +... +. ner e e ie n) PERSONALE ACCADEMICO Borzì. Commemorazione del Socio Briosi . .. ... +... SO e CAM LAI PRESENTAZIONE DI LIBRI Volterra. Presenta una Nota a stampa inviata dal prof. Ledon in omaggio all'Accademia, e Mesparia o 000 eine PARC RO RO I RC EI RE I ONE CONCORSI A PREMI Pirotta (Segretario). Comunica gli elenchi dei concorrenti ai premi Ministeriali per le Scienze naturali, e ai premi Carpi e Santoro, scaduti col 1919... ..... nn E. Mancini Segretario d'ufficio responsabile. Pubblicazione bimensile. Mo Ned de] DE REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCCXVII. 1920 SEIT O MULINI RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume X.XIX.° — Fascicolo 4° Seduta del 15 febbraio 1920. 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DSL DOTT. PIO BEFANI 1920 Di ESTRATTO DAL elica REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICRE L Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Renpiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi-, siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da. . Soci e estranei, nelle due sedute mensili del l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli. compongono un volume; due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci e Corrispone denti non possono oltrepassare le 9 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sonù portate a pagine 4!/s. i 8. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci 3 Corrispondenti,'e 30 agli estranei; qualora l’autore ne desideri uh numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono Îe discus sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acea. demia; tuttavia se : Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi - sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota ver iscritto. II I. Le Note che oltrepassino i limiti indi cati al paragrafo precedente. e le Memorie pro- priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com. | missione la ‘quale esamina il lavoro è ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4). Con una proposta a . stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o in sunto o in esteso. senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. | 8). Col desiderio di far conoscere taluni fotti o ragionamenti contenuti nella Memoria. « c) Cor un ringra- ziamento all'autore. - 4) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agii Archivi dell'Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall'ert. pre- | cedente, la relazione è letta in seduta, pubblica | nell'ultimo in seduta segreta. 4. À chi presenti una Memoria per esame data ricevuta con lettera, sella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 | dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Socio Corrispondenti ; 80 se estranei. La spesa di un numero di copie in più | che fosse richiesto, è messo a carico degli . autorì. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 15 febbbraio 1920. R. LANCIANI, Socio anziano, Tresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sugli incroci delle curve di diramazione per una funzione algebrica di due variabili. Nota del dott. OscAR ChHisini, presentata dal Corrisp. F. ENRIQUES. 1. Sia data un'equazione algebrica f(2y2)=0 di grado n in 2, la quale definisce così 2 come funzione ad » valori del punto (xy); e sia Day =0 * la curva di diramazione ad essa relativa. La curva D si comporrà in gene- rale di più curve irriducibili; e noi supporremo che due di tali curve, a e bd, ‘o (ciò che differenzialmente è equivalente) due rami lineari di una stessa curva, s'incrocino in un punto P,, per cui passino semplicemente e con tan- genti distinte. Si tratta qui di esaminare le sostituzioni A e B, secondo cui si permutano i valori della funzione algebrica 2, in relazione alle due ‘curve a e d, nell'intorno del punto P,. Precisamente faremo vedere che le due sostituzioni A e B sono permu- tabili fra loro (*), generando un gruppo abeliano. E in una seconda nota (!) In un’altra nota vedremo che cosa succede se le a e 5 si toccano: allora — hell'ipotesi di un contatto r -punto — le A e B risultano permutabili con (BA)”; è «quindi si deduce il contatto di a e è note che siano A e B. ReNDICcONTI. 1920. Vol. XXIX, 1° Sem. 17 — 128 — potremo dedurre gli sviluppi in serie che danno la rappresentazione analitica: di una falda della superficie f (cyz)= 0, nell'intorno di un punto che cor- risponda a un incrocio di due curve di diramazione. E giova qui dire che la singolarità delle superficie, che risponde al tipo sopra caratterizzato, ha importanza per la teoria generale, poichè a. questo tipo di incroci può ridursi ogni sinsolarità puntuale di una super- ficie, mediante trasformazioni quadratiche dello spazio, come mostreremo in un altro lavoro di prossima pubblicazione. 2. Sia dunque P, un punto d’incrocio di due curve di ‘diramazione a e d (o di due rami lmeari) facenti parte della D(xy)=0, e passanti per esso con tangenti distinte; e siano 2, = 0, y=0, le sue coordinate. Mettendo in evidenza le parti reali e immaginarie delle due variabili complesse x e y, poniamo X= xk 1%s ’ y=YV +, dove ora %, , Y, , %2 , Y2, Sono variabili reali. Ogni punto di coordinate reali o complesse del piano (xy) verrà rappre- sentato da un punto dello spazio a quattro dimensioni Y, i cui punti sono definiti dalla quaterna di coordinate (7, 22 Y, Ya); e, in particolare, al punto P, risponderà in X il punto O di coordinate a, = 2%, =%,=%.=0. Alla curva di diramazione D (2y)=0, sorrisponderà una superficie 4, la quale passerà per O con due falde, 4, e 4, corrispondenti rispettiva- vamente alle due componenti « e d della curva D. Nello spazio X considereremo esclusivamente i punti soddisfacenti alla disuguaglianza +a ++ (0 — 2) 4. Da quanto precede risulta che i coefficienti /,() dello sviluppo (1) della funzione /(4;4) risultano determinati per mezzo delle formule (4) € (5) quando sieno assegnati i valori che go e $, assumono nei punti della retta y=1; precisamente le /, con » pari dipendono in definitiva dai va- lori di 4, e le /, con dispari dai valori di g,. Converrà pertanto met- tere in rilievo nello sviluppo (1) questa Enea separata, scrivendo ATE AE (1°) f59= Ign + Zam L'assegnazione dei valori di g, e : nei punti della retta y=1 di- pende dalle circostanze iniziali del problema ondoso. Così ad esempio nel ‘caso delle onde di emersione (impulsi iniziali nulli) è po = 0: in tali ipo- tesi è facile il riconoscere essere nulle tutte le /, con # pari, percui nella (1’) scompare la prima serie e rimane fonti (8) - É 2n+1 {1") i: s)= Zanni ml 8) nella quale i coefficienti /2,,, dipendono in definitiva dai valori della sola i sopra y= 1; com'è noto, questi valori definiscono la conformazione iniziale del pelo libero. In una prossima Nota, trattando della forma delle onde di ‘emersione, verrà messa in evidenza la equiconvergenza della serie sotto con- venienti condizioni. (1) Palatini, Sulla influenza del fondo nella propagazione delle onde dovute a per- turbazioni locali [Rend. del Circ. mat. di Palermo, vol. XXXIX (1915), pag. 373, for- mula (12)]. — 134 — Matematica. — A propos de la notion de parallélisme dans une varieté quelconque. Nota di J. PiRÈS, presentata dal Socio T. Levi-CIVITA. 1. Ktant donnée une variété è x dimensions V,, dont l’élément linéaire est 3 di deidxx, on connait les propriétés d’invariance de la forme J=3(1,6))\dz dr dvd où interviennent les symboles è quatre indices de Riemann. M.” Levi-Civita obtient, dans son Mémoire Mozione di parallelismo in una varietà quà- lunque ecc., une définition de J qui en met en évidence, sans calculs, le caractère invariant ('); il met en relief, dans la note critique qui termine ce Mémoire, une difficulté d'interprétation du passage où Riemann (?) a lui aussi en vue la caractérisation invariante de J. Je reviens ici sur l’inter- prétation du passage de Riemann. 2. Voici d'abord le fragment en question: « formetur expressio R=d? X dik da; d&g —2dd dik dx; dk t UD dik dx; dxk determinatis variationibus secundi ordinis &?, dd ,d? ita, ut sit \ OUES dix dx; dr —d I dik dai d'xx 3 dik dx; d'L% —=:10) ORE dix: dx; dx — 24 X dik di; d'xx =0 d' X dik dr; dx —_ 20 X dik dx; d'xk =0 9 (1) denotante d' variationem quameumque. Quo pacto haec expressio invenie- tur =J ». Puis « ex hac formatione hujus expressionis sponte patet, mu- tatis variabilibus independentibus transmutari eam in expressionem a nova forma ipsius 3 dix dx; dxx eadem lege dependentem ». 3. La détermination des différertielles secondes, è partir des équa- tions (1), est immédiate: on trouve les expressionz mémes qu’introduit, gràce à la théorie du parallélisme, M." Levi-Civita. Mais si l'on adopte alors, pour les différentielles troisièmes, les valeurs qui en résultent (*), on trouve (*), non pas R=J (1) Bend. Circ. Palermo, t. 42, 1917, pp. 196-198. Cfr. pour une interprétation géo- métrique de J et de la contrevariance des u@®, ma Note (Rend. Lincei, 15 juin 1919). (*) Commentatio mathematica ecc. (Ges. Werke, p. 380 et suiv.). (*) Levi-Civita, loc. cit. (*), p. 196. (4) Id., ibid., p. 202. — 1535 —- comme l’annonce Riemann, mais i c'est la difficulté annoneée. 4. Nous vérifierons d'abord que le résultat de Riemann s’explique dans: l’hypothèse, évidemment inadmissible du point de vue de la théorie du pa- rallélisme, que les différentielles troisièmes sont indépendantes de l’ordre des différentiations (*). I) est inutile de refaire le calcul, car en posant R = at, + R> et en groupant dans R; les termes qui contiennent des différentielles troisièmes, on a R, = Z biz dx; OE den => — 23 bip da; dd? x, — 23 bi ddde; den +23 bin dd; dar d'où, puisque ddx;= ddx;, R.= 2 Z2bxdx;(dddx; — dddri), c'est-à-dire (?) Ri, =22(tj, 41) dx; dx; dex dex; d’où, puisque R est nul, Ri= — 22(1j, KI) de; dae; dex dar. Si l'on remarque que les symboles (2),4/) de Riemann diffèrent des symboles correspondants de M." Levi-Civita, précisément par le facteur — 2, on voit que, en adoptant les notations de Riemann, il vient i Ri=J. En faisant, sur les différentielles troisièmes, l’hypothèse indiquée au début de ce paragraphe, on trouve évidemment R=R=J comme nous l’avions annoncé. 5. Le calcul précédent rattache, très simplement, le résultat de Riemann à celui de M", Levi-Civita. La différence provient de valeurs différentes at- tribuées aux différentielles troisièmes. Le calcul de Riemann est d'ailleurs légitime: ce n'est pas par un hasard heureux que R, calculé comme nous l’indiquions, se trouve étre un (*) Cette remarque est aussi faite par Weber (2° édition des Oeuvres). Ni Riemann, ni Weber ne précisent d’ailleurs les valeurs è attribuer aux différentielles troisièmes. (?) Levi-Civita, loc. cit., formules (33), (34), (34). RenDICONTI. 1920. Vol. XXIX, 1° Sem. 18 — 136 — invariant. Cela provient au fond de ce que l'hypothèse du n. 4 est invariante par un changement de variable. Il est d'ailleurs aisé de préciser les valeurs à attribuer aux différen- tielles troisiòmes invariantes, conformément aux vues de Riemann (!). Nous le verrons dans la suite, en employant d’'abord un procédé indirect, mais qui m'a paru bien marquer l’égale légitimité des deux points de vue. Cela met d'ailleurs en évidence l'originalité des vues de M." Levi-Civita et l’avan- tage de ses conceptions. 6. Revenons d’abord sur la définition de R. Soient donnés, en un point déterminé P de la variété considérée, un certain nombre d’éléments linéaires infiniment petits: dx correspondant aux accroissements des variables dx,,d%s, ... den (nous nommerons ces accroissements coordonnées de l'élément par rap- port aux variables x;); dx ayant pour coordonnées dr, ,dx,,.. dx; etc. On pourra en déduire les symboles dd , d40 ete., si l'on a défini, en un point quelconque M de la variété, les éléments linéaires qui seront considérés comme congruents respectivement è dx, dx ,...; il est essentiel que cette définition soit indépendante du système de référence (x;) choisi dans V,. Ceci fait, étant donné un invariant formé à l’aide des éléments dae, dx,.. (par exemple > dix dx; dx), on pourra le différentier et en déduire, par dif- férentiation, de nouveaux invariants: c'est ainsi qu'est formé R. Pour définir, au point M, l’'élément linéaire congruent è un élément donné, on peut d'abord utiliser la translation de M." Levi-Civita (*). Comme une telle translation ne change ni les longueurs, ni les angles, il est bien clair qu'en adoptant la définition correspondante des différentielles succes- sives, il vient 0? S big de; deg = 0 dò 3 hi dea;dex=0, c'est-à-dire R20% 7. Mais on peut aussi procéder de la fagon suivante, et cela revient au point de vue de Riemann. Admettons que les coordonnées du point P soient «1 =x,=--=2,=0, et soient y1,%2,-Yn les variables géodésiques d'origine P et correspon- dantestà x; x: 0. i0nea (2) smptài” inn 0) (1) En abandonnant, naturellement, l’artifice bien inutile qu'est l’introduction des équations (1). Rappelons la définition des différentielles invariantes: leurs valeurs doivant ètre déterminées à partir des coefficients de la forme Zbi dx:daxx, et telles qu'après changement de variables elles gardent mème expression è partir des nouveaux coefficients, (*) Il importe de fixer alors le chemin suivi de P_à M. (*) Les symboles de Christoffel sont calculés au point (P_ par rapport à la forme bin dx; dx. Pour la définition des variables géodésiques, cf. Riemann, loc. cit., p. 261. — 137 — L'élément linéaire dr admet au point P, par rapport aux variables y;, les coordonnées dyi = da; 6 Nous définirons l'élément congruent au point M comme ayant, par rapport aux variables y;, les mèmes coordonnées; on aura, en distinguant ces coor- données per l’indice M, (dyi)m = dyi = dx; et, en revenant aux variables x;, les coordonnées de l’élément congruent seront y ei re (dx;)m = «Kk Wi La définition précédente de vecteurs congruents en P et en M est bien indépendante du choix des variables. Le calcul direct est aisé, mais c'est immédiat si l’on interprète les y; comme coordonnées cartésiennes d’une va- riété euclidienne que l’on peut déduire de V,. de la facon suivante (*): laissant fixe P et son voisinage du premier ordre, on applique les géodé- siques issues de P sur leurs tangentes en P, avec conservation des ares. Dans ces conditions les deux éléments congruents dx et (dx)w auront pour images deux éléments égaux et parallèles de l’espace euclidien. La définition précédente de la congruence entraîne immédiatement, en P, 2p. \ ddr, = \ era daexdx,, (3) voli dYk dY/r Siae i, i oe) Frs dh dYr ds valeurs évidemment invariantes et indépendantes de l'ordre des différentia- tions. On en déduira done le résultat de Riemann R=lJ. 8. Ajoutons ici une remarque. Etant donné au point P un vecteur contrevariant &°, &® ... E, les résultats du n.° 7 permettent de lui faire correspondre (par congruence) un vecteur contrevariant (5)y ,... (E) d'ori- gine M; on a les formules (4) (f0)a= Xi E, dY/h (1) Les dérivées partielles étant calculées au point M. (*) Severi, Rend. Circ. mat. Palermo, t. 42, p. 253. (*) Les seconds membres sont faciles è exprimer à l’aide des symboles de Christoffel. Les différentielles ainsi définies sont liées assez simplement è celles de M.r Levi-Civita. On vérifiera par exemple que la différentielle d'ddz;, donnée par la formule (3), est la moyenne arithmétique des trois différentielles d'd0r;, did'r;, Iddx; de M.” Levi-Civita. arie Les propriétés de l’opération qui fait passer de £° à (£©)u sont è coup sùr moins simples que eelles de la translation de Levi-Civita: les longueurs et les angles de vecteurs coneourants ne sont pas conservés. Mais, au voisi- nage du point P, les deux opérations coinsident: si en effet les coordonnées de M sont dx,,..dzn, les relations (4) et (2) donnent immédiatement, pour les variations correspondantes des &°, les valeurs dee 22 (Ap | da), E. (i) Ce sont les formules de M." Levi-Civita. 9. Si nous n'avions pas eu en vue de préciser la définition de R, nous pouvions parvenir plus vite aux formules (3). Il suffit de prendre les valeurs des ditférentielles invariantes à définir, nulles pour un système de variables géodésiques d'origine P. Elles seront alors nulles pour tout autre système yi; de variables géodésiques (*); ce qui conduit immediatement aux formules (3) pour lears valeurs en coordonnées quelconques. Il me semble que c'est la fagon la plus simple d'obtenir les valeurs des différentielles invariantes dda, dont on sait l’importance. Matematica. — Sur un theorème de Liapounoff. Nota di A. ROSENBLATT, presentata dal Socio T. LEevi-CIVITA. 1. Envisageons un corps K limité par une surface S qui possède, en chaque point, une normale déterminée, dont les cosinus directeurs sont des fonetions continues du point. Envisageons l'intégrale pes il f dx dy de da' dy' de' O n (1) étendue à tous les couples de points x,y ,2;%',y",2' du corps K, r étant la distance des deux points. D'après Liapounofî (?), parmi tous les corps K de méme volume V la sfère possède le maximum absolu de l’intégrale (1). Il n'y a pas d'ailleurs d'autre maximum relatif. Liapounoff se sert, pour parvenir à ce résultat, des méthodes de la théorie du potentiel newtonien en envisageant une certaine couche électrique sur le surface S du corps. Il suppose établi le théorème, d’après lequel, parmi tous les corps de méme volume V, c'est la sfère dont la surface possède la plus petite aire. On sait que ce théorème n'a été démontré que ricemment (*) Parceque la relation entre deux systèmes de variables géodésiques d’origine P est è coefficients constants. (*) Cfr. Poincaré, Figures d'équilibre d'une masse ftuide. Paris, 1902. 22099 — d’une manière satisfaisante au point de vue de la rigueur et dans des sup- positions assez générales ('). Nous avons démontré le théorème de Liapounoff concernant le maximum absolu de la sfère pour des corps tout è fait généraux, sans faire appel è des considérations étrangères au théorème et sans introduire des grandeurs étrangères au théorème, comme l'aire de la surface du corps. 2. Nous envisageons dans l'espace Rs un ensemble borné E mesurable au sens de M. Lebesgue. À cet ensemble correspond, dans l'espace è six dimensions x,y ,4:2',y",2" un ensemble mesurable E**, dans lequel la fonction > est sommable. On peut définir le potentiel newtonien de l’en- semble E comme l’iatégrale (1) étendue à E**; et son énergie potentielle, comme le négatif de cette intégrale. Formons une suite de divisions D,,D.,... de l'espace Rz en cubes Kt,K5,... de còtés * 7 3 ... . Envisageons les sommes k k @) Via x Aa) (6; °° 2Quag Pi m(ef) étant la mesure de points de E contenus dans le 7° cube de la 4° subdivision D,; $ est la distance des milieux du 7° et du j"° cube et la sommation est étendue à tous les couples de valeurs 7, tels que 2 + j. Remplagons les ensembles de points de E contenus dans les cubes K? par des parallélopipèdes K* concentriques aux cubes KF, de méme base et parallèle à celle de K* et de volume égal à m(ef). Les sommes (3) x SU ft da dy de da dg de a) k Gio dit ri désignant maintenant la distance de deux points variables P et Q dee parallélopipèdes Kf, Ki tendent vers la méme limite que les sommes (2), et cette limite est égale à la valeur J de l'intégrale (1). D'après un théorème connu de M. Fubini (*), l'intégrale (1) est égale à l'intégrale (4) J=j faa dy do' dy I*(x,y x,y). R—e0 dans laquelle l'intégrale si eat | da da' (5) J*(o,y9:0,y)= ’ P (!) L. Tonelli, Sulla proprietà di minimo della sfera. Rendiconti del Circolo Ma- tematico di Palermo, tomo XXXIX, 1915. (*) Sugli integrali multipli. Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, 1907. — 140 — est étendue aux deux ensembles linéaires de points E* ét E*' situés sur les deux droites 3(2,7) et e(2",g') et appartenant è l'ensemble E; x,y et x',y' sort les coordonnées des points où les droites z,2" percent le plan %,y. Les ensembles E*, E*' sont mesurables, à un ensemble e, de points X,y de mesure nulle près. R est un rectangle suffisamment grand et r la distance de deux points des droites 4 et 4°. Appellons K le corps symmétrique par rapport au plan des x,y que l'on obtient en remplagant, sur chaque droite, £ à un ensemble de mesure nulle près, l'ensemble E* par un segment de longueur égale à m(E*) et de milieu situé sur le plan x,y. On peut alors établir le Théorème I: Le potentiel J du corps K n'est pas plus petit que le potentiel J de E. Il n'est égal au potentiel J que dans le cas, où l’en- semble E*, situé sur la droite 2, est déjà un segment S de milieu situé dans le plan #,y, à un ensemble linéaire de mesure nulle près, et è l'exception d'un ensemble de droites z qui donnent sur le plan x,y un ensemble de mesure nulle. Cela veut dire que l'on peut ajouter è E* un ensemble Es de mesure nulle et soustraire de E* un autre ensemble de mesure nulle, E*. Sur un ensemble de droites de mesure nulle, E* peut ou bien ne pas étre mesurable ou, en étant mesurable, ne pas étre un segment S de centre situé sur le plan #,y, è un ensemble linéaire de mesure nulle près. Dans tous les autres cas on a l'inégalité (6) TE 3. Introduisons maintenant les définitions suivantes : sfere S à un ensemble de mesure nulle près est un ensemble E des points d'une sfère à laquelle on a ajouté un ensemble E, de points de me- sure nulle et de laquelle on a soustrait un autre ensemble E de points de mesure nulle; corps plein parfaitement symmétrique à un ensemble de mesure nulle près est un ensemble E borné qui possède les propriétés suivantes: Si l'on envisage un plan 7 arbitraire de l'espace, il existe un plan (unique) de symmétrie du corps 7’ paralléle è 77. Ce plan 7’ possède par rapport au corps les propriétés du plan 4#,y par rapport è l’ensemble E du n. 2. Ap- pellons un tel corps un corps parfatt. Le théorème I peut alors s'énoncer ainsi : Théorème I': Étant donné un corps K qui n'est pas un corps par- fait è un ensemble de mesure nulle près, il existe un autre corps K dont le potentiel J est plus grand que celui du corps K. On démontre ensuite sans difficulté le Théorème IT: Tout corps parfait è un ensemble de mesure nulle près est une certaine sfère è un ensemble de mesure nulle près. ita fi z — 14l — Bien plus de difficultés présente la démonstration du Théorème III: Le potentiel d'une sfère S de volume V n'est pas plus petit que le potentiel de tout ensemble E borné et mesurable de me- sure m(E) = V. D’après ce qui a été dit au n. 2, il suffit de démontrer le théorème III pour tous les corps K composés d'un nombre fini de polyèdres, que l'on peut supposer étre des cubes. On symmétrise, pour parvenir à ce but, le corps K alternativement par rapport à deux plans passant par un axe / con- tenant un angle a incommensurable avec 7. On obtient un corps de révolu- tion R de méme volume que le corps K, mais d'un potentiel plus grand. En symmétrisant ensuite ce corps par rapport àè un second axe /' perpen- diculaire è l’axe / et rencontrant cet axe (Tonelli, loc. cit.), on obtient une suite R,,R.,... de corps de révolution qui converge vers une sfère S déterminée. Cette sfère possède un potentiel au mozns égal à celui de tout ensemble E. Des théorèmes I',II, III résulte le théorème de Liapounoff : Théorème IV: La sfere S à mesure nulle près de volume V possède un potentiel plus grand que celui de tout autre ensemble E de mesure m(E)=V et borné. Les considérations, qui conduisent è ce but, peuvent étre employées pour établir un théorème analogue concernant les corps ron Rkomogénes, c'est è dire des ensembles E de densitè 0(P) fonetion du point P de l’en- semble. Matematica. — Nuovo metodo di sommazione delle serie che ammette l'algoritmo delle serie assolutamente convergenti. Nota di Gusravo SANNIA, presentata dal Socio EnRrIco D’OvipIO. 1. In una Memoria (*), sintetizzata in una Nota di questi Rendiconti (?), trasformai il metodo esponenziale nel metodo dì Borel generalizzato (0 Bg) col duplice scopo, che credei raggiunto, di accrescerne la potenza e di far sì che alle serie sommabili fossero applicabili frcondizionatamente quelle ope- razioni aritmetiche che erano applicabili solo ad una classe particolarissima di serie: le asso/utamente sommabili del Borel. Ma in una recente Nota (3) ho riconosciuto che in realtà il secondo scopo avevo raggiunto solo in parte, nel senso che anche col nuovo metodo Bg l'applicabilità dell’ordinaria re- (1) Rend. del Circ. mat. di Palermo, t. XLII, 1917, pag, 303. (2) Vol. XXVI, serie 5°, 1° sem., fasc. 11, pag. 603. La indicherò in seguito con N. (3) In corso di pubblicazione nei Rend. del Circ. mat. di Palermo. gola per la moltiplicazione delle serie rimane condizionata (come dirò al n. 3) (4). In questa Nota mi propongo di riguadagnare ad usura il perduto, tras- formando ancora il metodo esponenziale in un nuovo metodo più potente del metodo Bg, ed anche di quelli di Cesàro e di Eulero, e nel quale valgono incondizionatamente tutte le operazioni lecite sulle serie assolutamente con- vergenti (°). A tale scopo conviene richiamare alcuni risultati. 2. Una serie (1) Uo Pu Put: è (N, n. 1) sommabile (B,7) quando la serie a" (2) uo (a) = DI Untr SI (Untr = 0 se n 4 rv O0. La (1) è sommabile Bg se (N, n. 2) è sommabile con qualcuno dei metodi così definiti : "NT B,—9,(B,=1 80080) 3. Nella Nota cit. in (4), ho chiamato assolutamente sommabile (B,r) la (1) quando la convergenza di (3) è assoluta, ed ho dimostrato che #utt? i teoremi enunciati nel n. 3 di N, creluso il teorema V relativo alla mol- tiplicazione (6), sussistono se in essi si premette la parola « assolutamente » alla parola « sommuabile ». Se si chiama assolutamente sommabile Bg una serie quando è assolu- tamente sommabile con qualcuno dei metodi (4) (7), si possono riassumere (4) In seguito a ciò vanno apportate a N alcune correzioni. Va soppresso il teor. V e la nota (?) di pag. 605, e la parola « assolutamente » nella linea 16 di pag. 604 e nelle linee 4 e 6 di pag. 606; poi nell’enunciato del teor. III va cambiato r =s inr=s, e in quello del coroll. 2° va cambiato » in —%. La parola « assolutamente » va anche soppressa dalla linea 7 della pag. 77 di un’altra Nota di questi Rendiconti (vol. XXVI, serie 54, 2° sem., fasc. 4°, pag. 77). (5) Inclusa la moltiplicazione. (È solo vietato di alterare l'ordine dei termini al di là «di qualunque posto). (5) Da sopprimersi, giusta la nota (4). (?) Soho dunque particolari serie sommabili Bg; ma più generali delle assoluta- mente sommabili con tutti i metodi (4), considerato dal Borel. — 1183 — i nuovi teoremi che così si ottengono, dicendo che alle serie assolutamente sommabili Bg sono applicabili incondizionatamente tutte le operazioni le- cite sulle serie assolutamente convergenti (8). Poichè, per esempio, allora segue dal teor. V (modificato) che: A) Se due serie (E) Un ae sono assolutamente sommabili Bg ed hanno per somma u e v rispettiva- mente, anche la serie prodotto (6) Wo + wr + ws + 00 (W%n = UoUn + Ur Un, + >*° + Un Vo) -è assolutamente sommabile Bg ed ha per somma w= uv. 4. Occorre anche richiamare qualche proprietà della serie di potenze (7) ud ue +e + +una +... considerata solo per i valori reali e non negativi di «x. B) L'insieme dei valori (reali, non negativi) di x, per i quali la (7) è sommabile Bg, è un intervallo (0,9), dal quale va forse escluso l'estremo g (*). Per ciascun x' di tali valori di x, la (7) sarà dunque sommabile (B, 7) per qualche valore di 7, e perciò (1°) sarà assolutamente sommabile (B,r—1) per tutti i valori x dell'intervallo (0, x’), tranne forse per =x'. Ora, poichè ciò vale per ogni 4’ di (0,9), vicino a 9g quanto si vuole, si conclude che: C) Per tutti i valori x di (0,9), tranne forse per ax= 9, la (1) è assolutamente sommabile Bg. La somma (x) della (7), interpretata col metodo Bg, è dunque una funzione di x definita in (0,9), tranne forse nell'estremo 9g. Essa gode di varie proprietà, fra le quali rilevo la seguente (1): D) La funzione u(x) è continua in (0,9), incluso g se ivi esiste, cioè se ivi la (7) è sommabile Bg. 5. Tutto ciò premesso, passo a definire il nuovo metodo di sommazione annunziato nel n. 1, che inGicherò con EBg, essendo una composizione del metodo Bg e di quello di Eulero. (ACI (9) Cid segue dal n. 15 di una mia Nota degli Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino, vol. LIII, 1917, pag. 192. (1°) Per un teorema del n. 8 di una mia Nota di questi Rendiconti, vol. XXVII, serie 5*, 1° sem., fasc. 2°, pag. 98. (1!) Cfr. il n. 8 di una mia Nota degli Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino (vol. LIX, 1918, pag. 171). LRENDICONTI. 1920, Vol. XXIX, 1° Sem. 19 — 144 — Dirò che una serie (1) é sommabile EBg quando la corrispondente serie di potenze (7) è sommabile Bg per 0 0). 00 Per «=ì esso sì riduce (a parte il fattore esterno) af e“ da, 0 che è divergente; dunque la (10) per x = 1, ossia la (9), non è somma- bile Bg. Invece, per 0I, e la funzione algebrica #, da essa definita nell'intorno del punto (1) Questi Rendiconti, vol. XXIX, 1° sem., pag.3127. — 171 — Po=(2=0,y=0), abbia una curva di diramazione la quale passi pre- cisamente per il punto P, con due parti o rami lineari a e 2 a tangenti distinte. Le due sostituzioni A e B, relative ad 4 e è, saranno ora considerate operare solamente sulle 7 determinazioni di #, relative alla nostra falda, e il loro gruppo G risulterà transitivo. Ci proponiamo qui di esaminare quale possa essere il gruppo abe- liano G generato dalle due sostituzioni permutabili A e B; faremo vedere come esso sia univocamente determinato dai periodi w e »v delle sostituzioni A e B, e dal numero r delle lettere su cui esse operano. La sostituzione A si comporrà, in generale, di più cicli Ara nAg da e potremo scrivere A = Ai À» Ag ro. Àa . Siccome A è invariante nel gruppo trausitivo G, essa opererà su tutte le r lettere, e i varî cicli A, A»... Ax conterranno un medesimo numero di elementi: avremo dunque 7 = au, e, distinguendo le 7 determinazioni di # con due indici, potremo scrivere A= (1812. Zip) (521 322 +00 Sap) (Zar Sar» Zap) > essendo Ai — (31 Z12 sos Gip) Ag = (201 829 S2u) Aa = (Zar Bag Zap.) . La sostituzione B deve lasciare invariata la A, ma non i singoli cicli, altrimenti G non sarebbe trausitivo, e potremo supporre che essa porti A, in A», A in Ag... Agin Ax: avremo così che B® lascia fermi i cicli di A; ove B® porti z11 iN 2im+:, Sarà be An perchè l'operazione A7* B®, lasciando fermo 2,, ed essendo invariante nel gruppo transitivo G, deve lasciar ferme tutte le 7 determinazioni di 4. 9 9 SME R Di a Ò î S 3 È Essendo v il periodo di B, sarà #4 = — il periodo di B®, e quindi (£4 anche di A"; il prodotto 7#m appare così in minimo multiplo comune di 7 e di «, onde, indicando con d il massimo comun iivisore di 72 e u, sì ha ti mu u da h ReENDICONTI. 1920, Vol. XXIX, 1° Sem. 28 Posto ora k risulta primo con w e quindi A* genera tutto il gruppo ciclico generato dalla operazione A; essendo poi agz vite Mi Re si ha APART Be&=:(A Ponendo 8% = Z;1-3 #10 — #ik+1 o Sî8 = Zina. (0= 1,2...@) e indi- cando con A' la potenza %-esima di A, potremo scrivere *A" = AF = (81 812 «0 ip) (451 832 + Sap) + (2'ar Faz + B'ap) B*— A" B = (21 8a i d'ai dida 20.04 sro Zianbobri) AAA dove p è un numero primo con w. Essendo uv IT) m r pala: pesci gd’ kp 1 (mod wu), sì ha che zl gruppo G è determinato dai tre valori di p,v,h, e le ope- razioni A e B risultano in esso fissate ove si dia anche il numero m (po- tenza di A, cui è uguale B°), il quale è definito, a meno di un fattore primo con «x, dalla circostanza che DI è il massimo comun divisore di u ed m. Se h= 1, risulta @ = v, A e B riescono indipendenti ed è B= (st 2%... 8%) essendo d = 0 (mod wu). 8. Ciò posto, vediamo come si ottenga la rappresentazione analitica della falda, supponendo dapprima, per semplicità, che le due curve di di- vamazione a e è siano rispettivamente gli assi x = 0 e y= 0. Poniamo ax=u,y=0v; allora la s appare funzione uniforme del punto (%,v) e quindi (') si potrà sviluppare per le potenze di u e v (1) 2= ZZanuiv. (*) Cfr. p. es. Picard, Zratté d'analyse, Paris, 1893, tom. II, pag. 237. — 173 — Ma la funzione 4, così scritta, appare una funzione del punto (xy) a vu determinazioni, mentre la falda è di un ordine 7 = "i sicchè, ove sia A>1, occorre che i coefficienti 4;,, assumano valori particolari; inoltre il punto (xv) non riesce più funzione univoca del punto (xy) della falda, ma funzione ad % determinazioni, la falda venendo così rappresentata non sul piano (xv) ma sopra un’involuzione di questo piano. Sorge così il problema di determinare più esattamente il tipo dello sviluppo di 4, in modo che la falda venga rappresentata biunivocamente su un piano. Ciò riesce nel modo più semplice nel caso in cui X= v; allora si ha p=r,@a=1, sicchè B risulta una potenza di A: B= A”. In tale ipotesi si ponga u= ay" ,v=yY; allora #, subendo le medesime sostituzioni che il punto (uv), appare fun- zione univoca (ed univocamente invertibile) di questo, e si ha uno sviluppo s-kSaguo, che risulta un caso particolare di quello dato precedentemente Più complessa riesce invece la rappresentazione nel caso di 4 qualunque. Si ponga serà 3 1 ; i essendo 4 ed /% primi fra di loro, Ca cs sì ha che il punto (uv) ri- sulta funzione del punto (xy) ad r = "i determinazioni: al girare del punto (2 y) intorno ad x = 0 e ad y= 0, queste 7 determinazioni si per- mutano secondo due sostituzioni A e B di periodi w e v, e tali che Am—= B®, sicchè il punto (vv) ha lo stesso gruppo di monodromia che il punto (x y 2) della nostra falda. Pertanto si ha per 4 lo sviluppo in serie a=IZZaxuov, e la falda viene rappresentata biunivocamente sul piano (uv) nell'intorno der Vv — 174 — Più in generale, in luogo di porre LE u=aty*, sì può porre 1 m con À intero: nel caso B= A”, preso Z= 0, si ba «= gl al, Do come avevamo già trovato; invece nel caso in cui A e B riescano indipen- LI > 1 denti (=1,a=»v,m= pw) posto àA=— 1, si ha u=at,v=y* Possiamo ora togliere l'ipotesi restrittiva che i rami a e d sieno gli assia=0 e y= 0; se tali rami sono dati rispettivamente da y=Za;a' IZ ci si riduce al caso precedente mediante la trasformazione a'=y_-Za;a' y=y—-Tbiy', regolare nell’intorno del punto x —= 0,y=0. . NOTA. — Conviene osservare l'analogia fra lo sviluppo di z, dato sopra nel caso BA”, con lo sviluppo di Halphen di una falda d'ordine w di una superficie nell'intorno di un punto generic» di una curva cuspidale: se l’asse x=0 è una curva cuspidale d'ordine r =, e il punto x=y=z4=0- è un punto generico di questa, lo sviluppo di Halphen dà i a= ZI din aty. La ragione di tale analogia sta in ciò: che, se si eseguisce una trasfor- E mazione birazionale dello spazio (per es. una trasformazione monoidale) la cui curva fondamentale abbia un contatto m-punto con una curva cuspi- dale d’ordine 7 in un punto generico, P, di questa, si viene a creare un incrocio di due curve cuspidali (la vecchia curva cuspidale e una nuova sor- gente dal punto P) cui corrisponde un incrocio di due curve di diramazione, che dà precisamente il caso in questione. DI 1 Lo sviluppo, invece, che si ottiene nel caso generale per 2#,y, rientra nel tipo degli sviluppi che Hensel credeva potersi dare per una falda qua- lunque di una superficie (al quale proposito cfr. Enriques-Chisini, Zeorza geometrica delle equazioni, vol. II, pag. 562; e più particolarmente B. Levi, Comptes Rendus, 17 marzo 1902). -— 1758 — Botanica. — Za flora del fossato di Palazzo Madama a Torino. Memoria del Socio 0. MATTIROLO. Questo lavoro sarà pubblicato nei volumi delle Memorie. Idromeccanica. — Sull’integrazione dell'equazione caratteri- stica dei piccoli moti ondosi in un canale di qualunque profon- dità. II: Equazione del pelo libero. Nota II (') di UMBERTO CI- SOTTI, presentata dal Socio T. LEVvI-CIVITA. o. Rappresenti (?) y=14 (6; 2) l'equazione del pelo libero / in un generico istante {, per cui pn=7y—1 è in ogni punto di / il sopraelevamento sullo specchio imperturbato y = 1 (si rammenti [N. 1] che si è assunto == 1 la profondità del canale allo stato imperturbato). Ora è (5). (6) n=; per y=1, essendo « il potenziale cinetico, ossia la parte reale dì /. Ricavando dalla (1) la parte reale e tenendo presente che , rappre- senta la parte reale di /,, si ha (7) g=),;Yn. i Per la (6), mettendo in particolare e separata evidenza i termini della serie contenenti le potenze pari di %# da quelli dipendenti dalle potenze dis- pari, si ottiene 8 1 Gi VAd4 < {ar+? ) . ( ) Uue= gl ZA (21)! Panti | 2" (2n us 1)! Pan+2 s pery= 1. 0) (*) Vedi la Nota I in questi Rendiconti, pag. 131. (2) Cfr. la Nota £quazione caratteristica ece., n. 1. (3) Cfr. loco ultimo citato, formula (6). — 176 — 6. Richiamo la (4) Pn+a = BCE di “nre pae Cth* 7 (ar — x) da, : 2r de da. Integrando per parti, si può scrivere altresì g dè dr de (9) Prg = Je 1 n(2,) log Cth* vale T) dvi Sia 4 una generica funzione di # finita e continua al finito, e finita per € = * 00, unitamente alle sue derivate; poniamo Mai) log Cth* — 7 (01 — x) dx, . (10) \ re 00) AE TE] ui , ecc. Scende da queste che, per un 7 generico, è d'A da” Convenendo che I°[Z4] =, dalle (9) si deduce, tenendo conto delle (10-11), (11) di" Ta d?r Paz da?" I"[ go] so Santi = dx?" 6 [9] ’ CE per cui all'espressione (8) di 7 può sostituirsi la seguente: 1; Da {n {2041 (i jua tag pl () 2n i I" 91] Io “cali 2n | 1 1 da*n+? [go] {- gl" (2n) Di ) (12) In questa relazione viene messo in rilievo il modo di dipendenza della forma del pelo libero ad ogni istante dai valori di go € @, pery= 1. — Risulta, dalla (7), che @, è l’espressione di g per {= 0 e %; quella di i per ét= 0; ne segue, per la (6), chiamando n, il sopraelevamento iniziale del polo imperturbato y= 1, che Priora] 0% Per (10), si ha I"[g.]}=I"[— gw] = —91"[m0o]; — 177 — per cui la (12) può venire sostituita dalla seguente : {an+1 dznt? 0 {n dd?” Je n So N [+1 n (13) ye È n (2n)! da?" I [mo] g —" (2 + 1)! da È [9 i] Rimane ora da discutersi l'equiconvergenza delle due serie. Ci occupe- remo della prima soltanto, dato il particolare interesse del problema ondoso che ad essa si riferisco. Le considerazioni ad essa relative sono però senz'altro applicabili anche all’altra serie. 7. Il problema di particolare interesse che ho accennato è quello delle onde di emersione. Essendo nulli gli impulsi iniziali, notoriamente deve es- sere go = 0; la (13) si riduce allora alla prima serie, cioè (e) {n d3n (14) n= C@olda Ud. Mediante questa relazione, risulta definito il profilo dell'onda in qualunque istante (finito), quando sia noto il profilo iniziale (per £= 0). 8. Occupiamoci ora della convergenza della serie (14). Converrà a tal uopo seguire, fino ad un certo punto, il metodo della media aritmetica esco- gitato da Neumann per la risoluzione del problema di Dirichlet (*). Si consideri l'integrale 9 +00 . nl me(21) log Cth* "(2 — 2) dar, e si noti che, se 7, designa una qualsiasi funzione di x, finita e continua al finito e finita (o anche dotata di singolarità polare, comunque elevata) per x, = * co, I[m,] è una funzione di %, finita e continua anche all'» (?). Sieno M e m rispettivamente il massimo e il minimo di 7, e si divida l'intervallo (— co, -| co) in due parti @ e # tali che: nella prima il va- pe nell'altra sia #0 < 9 del si ha lore di 7, sia superiore a 22 1Cp] 0, si può trovare un %, tale che SIR dar (18) anal <&;. per n >MNo- Riprendiamo la serie (14) che definisce 7. Essa può scriversi eta dI “i i ar Cn). o +1 avendo posto ; no {an d?r U/ To Ian)i dae da? I°[m0]; per la (18) la serie che segue 7° nell’espressione di n è manifestamente equiconvergente per qualunque valore finito di #, e per essa lo è pure la (14), c.v.d. — Î81 — Matematica. — Campo newloniano viciniore ad un campo vettoriale assegnato. Nota di 0. Onicescu, presentata dal Socio T. Levi-CIVITA. 1. La nozione di armonica viciniore ad una funzione assegnata, in una data regione di spazio, introdotta dal prof. Levi-Civita, nella precedente Nota, si può estendere al gradiente di una funzione, o più generalmente ad un campo vettoriale qualsiasi, proponendosi di caratterizzare il campo newto- niano che meno se ne discosta globalmente (il campo viciniore). La discussione di tale campo viciniore riesce abbastanza semplice, ap- plicando il criterio variazionale di cui si è servito il prof. Levi-Civita nella sua Nota. Il relativo potenziale newtoniano rimane determinato dalle due equazioni integrali lineari di seconda specie derivate dal principio di Dirichlet. Come si vede, questo problema è anche più semplice di quello concer- nente l'armonica viciniore che richiede l'intervento di una funzione biar- monica. Il campo newtoniano viciniore al un campo prefissato è suscettibile di una espressiva interpretazione fisica nella teoria della induzione magnetica. E questo fatto rende, in certo modo, ragione della relativa semplicità del corrispondente problema analitico di approssimazione, costituendone, nello stesso tempo, ciò che si può chiamare una integrazione fisica. 2. Sia, dunque, una porzione finita S dello spazio ordinario, limitata da un contorno 0, costituito da un numero finito di porzioni di superficie re- golari, e sia un campo vettoriale (V), di componenti X,Y,Z finite e con- tinue in S e o. Essendo @ e Q' punti di o, P un punto generico di S, rappresentiamo con 7(P,Q) la distanza dei due punti P_e Q, e con w(Q) una funzione del punto Q, finita e continua in ogni porzione regolare di 0. Considereremo un insieme © di funzioni armoniche x sottoposte alle stesse limitazioni qualitative di cui nel precedente problema dell’armonica viciniore; potremo in conformità rappresentarci x come potenziale di sem- plice strato, di densità (0%), (1) Mo f BO de, 8. Il campo newtoniano viciniore al campo (V) sarà quello che deriva da un potenziale x, e rende minimo l’integrale I) du(P) E i ; Goal SI o 30) | 8. — 182 — Dato il carattere quadratico di I (efr. in particolare il n. 3 della Nota precedente), la condizione necessaria e sufficiente pel minimo è semplice- mente dI = 0, dove la variazione d si riporta alla variazione di « nel campo armonico. Con questa intesa, si ha n / st=2 | v (dx) ius sa da In base a (1), la variazione armonica du si può esprimere per la va- riazione arbitraria (a parte la condizione di continuità) d, w, sotto la forma A ERO i ni r(P,Q) Va Introduciamo questa espressione di du, e invertiamo gli integrali, ope- razione evidentemente legittima: si ha 1 p du 5 r(Pi0) oli-=2 | du do [, Sal (a) ela. Jo Siri NOT dI Per l’arbitrarietà di 0, wu, la condizione dI=0 dà 1 ») - È x 10% ) r(P,0Q) Na È 2) fa (ta) te lesto. Ponendo il (a) è r(P.Q) Y 9 NN h = dI 9(Q), funzione conosciuta, tale essendo per ipotesi il campo (V), « sarà determi- nata dalla seguente equazione integro-differenziale : g= | DÈ MAIO] (mo) d$ . Si da Integrando per parti il secondo membro, e osservando che Asx = 0 in tutto il campo S di integrazione, ove si indichi con Q' un punto generico di o, e con 7; la normale a o in Q' (volta verso l'interno del campo), risulta (8) vo - [ae che è una equazione integrale di prima specie rispetto ai valori limiti (dal- l'interno del campo) della derivata normale di «, al contorno. La determi- — 183 — nazione di v risulta facile. Infatti, consideriamo la formola classica Tae inu(P)= f | 0) na i — r(P,Q) di ]de- Se facciamo tendere P verso Q, al contorno, la prima parte dell’inte- grale avrà una discuntinuità, la seconda resta continua; sicchè sì può scrivere 1 Gara 2 | ” r(Q,Q) 1 du 4mu(Q) = 2ru(Q) fu) du; do— { TOTO] Hide Tenendo conto di (8) e ordinando, avremo l'equazione integrale 1 (lea ì rà ‘ Q' 0) 2ru(Q— f (0 O d0— 910) che interviene nella determinazione di una funzione armonica quando si dà la sua derivata normale al contorno, e che si può chiamare equazione di Robin. La risoluzione di questa equazione ci dà una unica soluzione w(Q), cioè i valori al contorno della funzione armonica cercata; e la questione è ridotta al classico problema di Dirichlet. Denotiamo, nel senso del prof. Volterra, con R(|g|) l'operazione fun- zionale che dà la soluzione della equazione (y) di Robin, e con N(|u|) l'ana- loga risolvente della equazione coniugata — di Neumann — d; 2r0(Q) + | e(0) 77 de u0). Se ci rappresentiamo la cercata funzione armonica « con un potenziale di doppio strato, di momento 0(Q), d7 9 P)= f e (9) u(P)= | e(0 774 abbiamo 0(Q)=N(|u(Q)|) e, in definitiva, - (e) e(Q) = NR(|g(0)|). Rimane così stabilita l’univoca esistenza della cercata funzione armo- nica. Perciò él campo newtoniano viciniore ad un campo vettoriale dato, entro una regione S prefissata, è pure univocamente determinato, e la sua determinazione conduce all’operazione funzionale (e) seguìta da una inte- grazione (0). — 184 — 4. GENERALITÀ SUI CAMPI APPARTENENTI ALLO STESSO CAMPO VICI- NIORE. — La determinazione del campo newtoniano non parte direttamente dal campo vettoriale, ma dalla funzione (Q) subordinata al campo stesso mediante la (2). Tutti i campi vettoriali, ai quali corrisponde, in S, la stessa @(Q), hanno lo stesso campo newtoniano viciniore, e formano una classe di campi, alla quale — si può facilmente verificare — appartiene anche il comune campo newtoniano viciniore. In particolare esiste una classe di campi vettoriali, ai quali corrisponde g(Q)=0 e, per conseguenza, u=0. Se chiamiamo con (Vv) il campo newtoniano viciniore ad un campo (V) in base alla relazione (2), si può dire che Un generico campo vettoriale della classe dei campi appartenenti allo stesso newtoniano viciniore (V), entro S, si può comporre per addi- sione di questo campo (V), con un generico campo (Vi) della classe di viciniore newtoniano nullo, ciò che si può compendiare nella formola (V)=(v)+(V.) (nel campo S). Questa relazione permette di estendere certe proprietà, verificate per la classe speciale dei campi (Vo), ad un generico campo (Vi). 5. INTERPRETAZIONE FISsIca. — Per collegare il problema analitico di approssimazione, testè trattato, ad un problema fisico, immaginiamo che la regione S sia occupata da un corpo magnetico e che il campo assegnato (V) rappresenti precisamente la distribuzione dei momenti magnetici in S. Il potenziale magnetico di tale distribuzione in un generico punto po- tenziato P, sarà ci: n r (1) Ue) = f/ DX, dove 7= 7(P,P,), P designando il punto potenziante. U è una funzione continua in tutto lo spazio e, come è noto, eseguendo una integrazione per parti, si può esprimere come la somma di un poten- ziale di superficie e di uno di volume ; S 1) (2) = farvi (vene S 1à S6 r Dalla (1), o indifferentemente dalla (2), appare che U è armonica nello spazio esterno a S. Nell’interno della massa magnetica, applicando a (2) il teorema di Poisson, si ha Ai 47 div V. — 185 — Osserviamo che il potenziale armonico U è perfettamente determinato nello spazio esterno ad S se sì dànno i suoi valori al contorno. Consideriamo, adesso, come campo dei momenti magnetici in Sil campo newtoniano (Vv) viciniore al campo (Vi). Essendo v= grad u (vu armonica), si tratta manifestamente di una di- stribuzione lamellare e solenoidale. Il potenziale 1 De (3) v= ( VEC IL S dI IT o dn r determinato dalla nuova magnetizzazione del campo, sarà, come il prece- dente, armonico fuori di S, e, in questo caso, per l'armonicità di v, anche dentro. Riportandoci alle equazioni (e) e seguente del n. 3, risulta che i va- lori dei potenziali U e U*, ambedue armonici all’esterno di S, sono uguali sul contorno, avendo in un generico punto Q di o il valore comune g(Q). Dunque, nello spazio esterno avremo (6) UU Il campo newtoniano viciniore a (V) rappresenta dunque quella unica magnetizzazione lamellare e solenoidale dello spazio S che dà luogo allo stesso campo magnetico esterno. Si può dare a questa conclusione una forma fisicamente più espressiva. Immaginiamo; da un lato, che il campo S sia occupato da un magnete permanente. Supponiamo, d’altro lato, che, sostituito al magnete permanente un pezzo di ferro dolce il quale occupi lo stesso spazio S, si mantenga con un mezzo qualunque, per esempio con una opportuna corrente superficiale, lo stesso potenziale magnetico U, nel campo esterno ad S. Il teorema precedente afferma l'esistenza e l'unicità della magnetizza- zione del ferro dolce. Ma questo si può considerare come un fatto di esperienza, ed allora /a induzione magnetica che si desta nel ferro dolce, induzione che l’espe- rienza dimostra stabile ed unica, dà il campo newtoniano viciniore al campo (V) del magnete permanente. Abbiamo dunque una risoluzione fisica del problema analitico, e quindi anche dell'operazione funzionale NR(|g(Q)|). — 186 — Matematica. — Sulla ricerca delle funzioni primitive. Nota III (') di LeoNIDA TONELLI, presentata dal Socio S. PINCHERLE. 5. Vogliamo escludere in (8) il segno di maggiore. Indichiamo con (x) il primo membro della disuguaglianza detta e con 4*(x) il suo numero de- rivato superiore destro. Se # appartiene ad un intervallo (am, Um) contiguo a P,, ed è distinto da d,,, in x esiste ed è nulla la derivata destra dell’in- tegrale di g, mentre la sommatoria 27, ha lo stesso numero derivato supe- riore destro di F(x). È dunque, per gli x detti, 4* = 4. Se poi x è un punto di P,, non primo estremo di un intervallo contiguo all'insieme, il nu- mero derivato superiore destro di X7, è = 0, perchè i termini di questa serie sono tutti negativi, per la (2) del n. 3. Ma. quasi dappertutto su P,, la derivata dell’integrale della g esiste ed è = @= 4; dunque, quasi dapper- tutto su P,, è A4* <= A. Se ora osserviamo che la (8) del n. 4 vale anche su ogni porzione di P,, abbiamo, per tutti gli x ora considerati, 4*> 4 e perciò, quasi dappertutto su P,, 4*= 4. Questa uguaglianza vale così quasi dappertutto su (p°’,p); e in tutto questo intervallo è poi sempre 0> 4*=> 4. Se ne conclude che 4* non può essere infinito (e = — 00) che nei punti in cui è 4= — 00, cioè in un insieme di punti che non contiene nessun insieme perfetto, e che le funzioni F(x) e ®(x) non pos- sono differire che per una costante (?). Essendo poi &(p°’)= 0, risulta di- mostrata la (3) del n. 4 per la F(x) e quindi anche per la /(). Osservazione. — La formula (3) del n. 4 vale evidentemente anche per ogni porzione di P,. Inoltre, se x, e xs sono due punti qualsiasi di (°°) 0): sì ha (1) r@)= 10) {40 de + I 4f(0n) — f(0n)}, Pi [ii Ca] Dia dove P,[x,,xs] indica l'insieme dei punti di P, contenuti in (2,1, >) € la 3 è estesa agli intervalli contigui a P, contenuti in (x; xs) ed anche Gigi a quelle parti (due al più) di tali intervalli eventualmente contenute nel segmento indicato. 6. Dato un insieme perfetto P di (a,d), diremo che un suo punto p è singolare se non appartiene come punto in/ern0 (cioè distinto dagli estremi) (') Continuazione della Nota TI (questi Rendiconti, vol. XXIX, 1° sem., pp. 106-110). (*) Ciò per un noto teorema di Scheeffer generalizzato da Ch. J. de la Vallée Poussin (Cours d'analyse infimtésimale, tom. I, 3° édit., pag. 101). — 187 — a nessuna porzione di P sulla quale valgano le proprietà dei nn. 1-4. L’in- sieme C dei punti singolari di P è necessariamente chiuso. Se (@,£) è un intervallo contiguo a C, posto a N. Si divida in due parti uguali il minimo segmento che contiene l'insieme P e, detto c il punto di divisione, si indichino con P, e P, le due massime porzioni di P, alta sinistra e alla destra di c. Detto n un intero positivo qualunque, esiste in P, almeno un punto %q a cui corrisponde un 9° (non necessariamente appartenente a P,) di (a, 4) in modo che sia Rn i Og-1=7 fg) —f()=2n(9 —9). Sia 2/ il limite superiore delle differenze g' — g relative a tali coppie; sia (*) Cfr. R. Baire, Legons isur les fonctions discontinues (Paris, Gauthier-Villars, 1905, p. 92). — 189 — poi n, il limite inferiore dei 9 a cui corrispondono differenze 9g" 9=!. Questo 4, appartiene necessariamente a P, e, per la continuità della fun- MIT, zione fica quando g7 —-g=/>Q0, possiamo affermare l’esistenza VI in (a, c) di almeno un punto g' tale che sia ’ fd) f(dnn) > 2n(d — Ina). SlHuH 1ZQ—Qnn = Fra questi g' sia g,, il minore, e indichiamo con d,,, il massimo intervallo della retta su cui giace (a,d), che ha per centro il punto 4n,i, ampiezza i 1 3 = dai (e quindi si) e tale che, per ogni suo punto 9, valga la disuguaglianza f(gra)— (9) > Mat 9- Operando in modo analogo su Ps, troveremo un intervallo d,,», di lun- 1 È 1 i ghezza < 2 avente il centro ,,, in un punto di P,, ed un punto gra, . , 1 a , n ad esso esterno, e tale che sia 0< 90 — Qn,0 E ;; ed anche /(4,2) — /(9) =>n(@2—9, per ogni punto 9 di 4,8. Indichiamo poi con P3, P,, P4 le massime porzioni di P eventualmente rimanenti alla sinistra di da, , fra dn € Ang, e alla destra di d,,,. Su ciascuna di queste porzioni si operi come già si è fatto su P, dividendo però i minimi segmenti che le conten- gono, non in due, ma in quattro parti. E così sì prosegua indefinitamente, raddoppiando sempre il numero. delle parti in cui si dividono i minimi segmenti che contengono le porzioni di P che si considerano. Si otterrà in tal maniera una successione (eventualmente ridotta ad un numero finito) di intervalli (a) dai ) dn, , dn,3 FIRE) dig qeoo i 1 ae 1 aventi tutti il centro su P e lunghezza sempre < 2° Ovanque densi su P (!) e tali che esista, per ognuno di essi, un punto %,,, esterno e alla destra di o i : ; 1 An,r; e soddisfacente alle disuguaglianze 0 < 9hr — 4ar = "E f(Ina) = f(9) > n(Qne 9) dove gn, è il centro di d,,, e g è un punto qualsiasi di quest'intervallo. Dando ad x tutti i valori interi positivi, si ottengono infi- nite successioni (a), e, dètto E, l'insieme dei punti appartenenti ad almeno un day(r=1,2,..), Vinsieme E dei punti che appartengono a tutti gli E, (a==1,2,...) ha la potenza del continuo e contiene un insieme perfetto (*) Vale a dire, in ogni porzione di P vi è almeno un punto appartenente ad uno degli intervalli detti. — 190 — [perchè gli elementi di (@) sono ovunque densi sull'insieme perfetto P (")]. Sia P' tale insieme perfetto e p un suo punto. Detto d,, un intervallo di (@) che contiene p, è /(grr —/(P)= (gr PD); ® poichè ghy, essendo esterno e alla destra di d,,, è pure alla destra di p, ed è PARE AS , FR « : i n . 2n è necessariamente 4(p)= -|- co. Da ciò segue che E,.. contiene un insieme perfetto, contro l’ipotesi fatta. La proposizione enunciata è dunque provata. E poichè tale proposizione non è che quella del n. 1 per il caso attuale, si conclude che il procedimento indicato ai nn. 6 e 7 permette di calcolare la differenza /(8) — /(a) per qualsiasi intervallo (a, 8) di (a, 2). Il proce- dimento ricordato non è che quello di integrazione alla Denjoy, e possiamo così affermare che sl procedimento di integrazione alla Denjoy permette di risalire, dalla conoscenza di un numero derivato, alla funzione primitiva, continua (che viene determinata a meno di una costante), nell’ipotesi che nessuno dei due insiemi E_w , E.o dei punti in cui il numero derivato è uguale a — 0, | 0, contenga un insieme perfetto. Di qui segue anche che non possono esistere due funzioni continue, differenti fra loro non per una sola costante, e aventi uno stesso numero derivato soddisfacente alla condizione sopra indicata. Il problema posto nel- l'introduzione è dunque risoluto, ed ammette una soluzione unica. Possiamo aggiungere la seguente osservazione. Come è noto, il valore dell'integrale del Lebesgue di una funzione, data su un intervallo o sempli- cemente su un insieme misurabile, è indipendente dai valori che essa fun- zione assume su un insieme di misura nulla; altrettanto quindi potrà dirsi dell’integrale alla Denjoy, nel quale i valori della funzione da integrare in- tervengono solo a traverso l'integrale del Lebesgue. Ne viene che il calcolo della funzione primitiva, quando sia soddisfatta la condizione relativa agli insiemi E_w , E,» , può eseguirsi anche se il valore del numero derivato che si considera non è conosciuto in un insieme di punti di misura nulla. 9. Abbiamo già osservato nell’introduzione che una funzione continua non è determinata, a meno di una costante, da un suo numero derivato, quando almeno uno degli insiemi E_x , E+» contiene un insieme perfetto. Possiamo aggiungere che, pur essendo soddisfatta la condizione per E_w e E.» di non contenere alcun insieme perfetto, l'’indeterminazione della pri- mitiva sussiste se il numero derivato non è conosciuto in un insieme I di misura non nulla. Ed infatti, detto P_un insieme perfetto contenuto in I e (*) Cfr. la mia Nota Sulla potenza di alcuni insiemi, che apparirà fra breve nel « Giornale di matematiche del Battaglini ». 0 di misura non nulla (*), indichiamo con m(x) la misura della porzione di P compresa in (a,x) Questa funzione w(x) è continua e non costante su tutto (a, è), ha numeri derivati in modulo non superiori ad 1, ed ha de- rivata nulla in tutti i punti non appartenenti a P; la funzione /(2) + m(x) ha, pertanto, in tutti i punti non appartenenti a P ed a fortiori in tutti quelli non appartenenti ad I, gli stessi numeri derivati della /(x); essa, inoltre, ha numeri derivati infiniti solo là ove sono infiniti (e di segno uguale a quello dei suoi) i numeri corrispondenti della /(x). Tenendo presente quanto si è detto al numero precedente, sì può con- cludere con la proposizione enunciata alla fine dell’introduzione. Osserviamo, da ultimo, che se l'insieme E», dei punti che appartengono a E_» 0 a E,», contiene un insieme perfetto, altrettanto avviene di almeno uno dei due E_» , E.». Ed infatti, considerando ad es. il numero derivato superiore destro ed ammesso che E,x non contenga insiemi perfetti, per la proposizione enunciata al principio del n. 8, possiamo affermare che su ogni insieme perfetto appartenente a E» esiste sempre almeno una porzione tutta appartenente ad E_, (?). Petrografia. — Osservazioni sulle lave leucitiche del vul- cano di KRoccamonfina. Nota di VENTURINO SABATINI, presentata dal Socio C. VioLa. Una rapida gita al vulcano di Roccamonfina e un breve esame del ma- teriale raccolto mi permisero di stabilire taluni fatti interessanti. Lo sperone, ritenuto una lava speciale dei monti Laziali dai primi che lo studiarono senza averlo mai riconosciuto altrove, può apparire in tutte le regioni eruttive. Questo fatto si sarebbe potuto dedurre quando lo Struever ri- tenne che lo sperone fosse dovuto all’azione delle emanazioni cloridriche sulla copertura delle lave grige (*), se tale opinione avesse avuto un qualche fon- damento. Ma ventitrè anni dopo, quando erano conosciuti i pirosseni verdi e gialli, ignorati all’epoca in cui scrisse lo Struever, dimostrai che questa roccia è l’effetto di un'alterazione immediata delle lave grige per addizione di soda nella costituzione dei pirosseni ordinarii al momento della loro con- (1) È ben noto che la misura di un insieme di punti è uguale al limite superiore di quelle degli insiemi perfetti contenuti nell'insieme considerato. (2) Aggiungiamo qui la seguente proposizione: « una funzione continua, per la quale nessuno dei due insiemi in cui i suoi numeri derivati destri (sinistri) diventano infiniti contenga un insieme perfetto, ammette quasi dappertutto derivata finita uguale a tali nu- meri derivati ». (9) Studî petrografici sul Lazio. Mem. Lincei, 1877. — 192 — solidazione. Perciò dall'augite si passa all’augitegirina, e all'egirina nei punti dove la trasformazione è completa (1). La generalizzazione di questa forma d'alterazione divenne così possibile, e difatti bastò cercarla altrove per ri- trovarla, indipendentemente dalla natura della roccia originaria, ma dipen- dentemente dalla natura delle emanazioni intorno ai crateri. Oltre dunque ai Monti Laziali, la sola regione tra quelle descritte finora in cui lo sperone mostrasi con abondanza eccezionale in intere colate con deri- vazione dalle leucititi, io l’ho ritrovato nei Vulsini, non solo come deriva- zione delle leucititi sotto Montefiascone, a Fiordine, a Palombara, a Mon- tienzo; ma altresì come derivazione delle leucotefriti lungo la nuova rotabile da Viterbo a Marta, all'Isola Bisentina, presso S. Lorenzo Nuovo, ai Cap- puccini d'Acquapendente; e come derivazione delle andesiti lungo la nuova variante della rotabile da Bolsena ad Orvieto. Nei Cimini tale forma è rarissima, ma appare ben definita presso Vetralla come derivazione d'un’andesite (tra- chioligoclasite), a cui detti il nome di vetrallite (*), e come derivazione d'una fonotefrite che esiste solo in pezzi erratici e in inclusi, disseminati in tutta la regione (*). Non può quindi meravigliare se trovai questa stessa forma tra le lave di Roccamonfina, e se si troverà anche in altri siti. Lo sperone di Roccamonfina fu da me rinvenuto sotto la rotabile da Sessa a Mignano, al Fosso Fontana della Pigna. È colorato in giallo d’ocra chiara, contiene abondanti leuciti di alcuni mm. di diametro, e nel micro- scopio si determina come lencotefrite acida, egirinica, con granati molto pic- coli e numerosi, colorati in giallo-miele intenso (‘). I pirosseni del primo tempo sono verdi con chiazze ed orli ingialliti, e nel minor numero bianchi con orli verdi. Sullo stesso fianco della montagna su cui fu trovato lo sperone anzi- descritto, si vedono numerose e potenti colate di leucotefriti grige. La loro maggioranza è simile alle lave omonime del vulcano di Vico. Vi è difatti il tipo gremito di grandi leuciti come quello di Civitacastellana, il tipo gremito di leuciti intermedie come quello del Casale Risiere presso S. Mar- tino, e il tipo omogeneo e in cui sì vedono solo leuciti fittissime e appena visibili ad occhio nudo come presso il cimitero della stessa borgata. Vi è poi un tipo che non esiste nei Cimini, ma sì trova nei Vulsini, e che sopra una pasta grigia mostra poche leuciti, irregolarmente e scarsamente dissemi- nate, con 6 a 7 mm. di diametro. Un campione, proveniente da una cava aperta della società « la Leu- cite » in una lava piena di grandi leuciti mostrò la seguente composizione: (1) Vulcano Laziale. Mem. descr. Carta geol. d’It., vol. X, pag. 150. (2) Vulcani Cimini. Mem. deser. Carta geol. d’It., vol. XV, pag. 360. (3) Idem, ibid., pag. 398. È notevole la breve distanza a cui trovai queste due rocce. (4) Il granato può anche mancare negli speroni, la cui colorazione gialla è dovuta all'egirina. I termini di passaggio sono invece colorati in verde dell'augitegirina. — 193 — Î. Plagioclasio in cristalli piccoli ed allungati, pirosseni verdastri, grandi leuciti con qualche inclusione d'auina, olivina rarissima. II. Pirossene verdastro, labradoro, leucite, magnetite. Nelle altre leucotefriti, basiche come la precedente, ho trovato gli stessì elementi, meno variazioni di grandezza e di proporzioni, e nelle leuciti di piccole dimensioni di qualcuna di esse gli stessi tipi d’inclusioni vedute nelle lave leucitiche dell’Italia Centrale. Sarà bene di riassumerli. Le inclusioni suddette sono spesso cristallini isolati di pirossene e di magnetite, talvolta gruppi di tali elementi ai quali può aggiungersi felspato e materia omorfa. La loro distribuzione è in rapporto con la simmetria del cristallo includente, sopra una superficie parallela alla sua superficie esterna. In sezione sì ha una distribuzione @ corona in vicinanza del perimetro. In generale manca la distribuzione a corone concentriche figurate nei trattati. I gruppi d’inclusioni in molte lenciti si estendono fino ad occupare dei settori poliedrici del cristallo, i quali però non sono a contatto, ma lasciano tra le facce delle loro superficie laterali una breve interruzione. Queste inter- ruzioni formano degli spazii diametrali (zone) in cui la leucite è bianca, limpida perchè senza inclusioni. Talvolta i settori d'inclusioni lasciano uno spazio di leucite pura lungo la superficie esterna del cristallo di leucite che lo fanno facilmente riconoscere distinguendolo nettamente dalla pasta circostante, altre volte invece questi settori continuano senza interruzione e senza distinzione in quella pasta. Nel caso più frequente 1 settori sono otto, in corrispondenza delle facce dell’ottaedro, e lasciano tre spazii diametrali ad angolo retto. Si capisce agevolmente che una sezione microscopica taglierà queste figure dando delle fascette bianche in mezzo ai cristallini di pirossene, di felspato e di magnetite del secondo tempo della roccia. E a seconda dell'orientamento della sezione rispetto ad una data leucite, apparirà una croce bianca a braccia ortogonali od oblique, uguali o disuguali, con o senza fa- scetta bianca perimetrale. Finalmente invece della croce si può avere una sola fascetta rettilinea. I settori poliedrici inoltre possono essere divisi in più parti da zone parallele alle corrispondenti facce della lencite, e allora sulla sezione sì pctranno vedere altresì fascette bianche, concentriche con la fascetta periferica. Se la leucite ha la forma abituale del trapezoedro o del dodecaedro romboidale i settori saranno quarantotto e una sezione perpendicolare ad un asse quaternario darà due croci bianche concentriche, con le braccia a 45°, e le cui variazioni, al variare dell'orientamento della sezione, sono anch'esse facili a dedurre. Anche in questo caso potranno apparire le fascette peri- metrali e concentriche. Ai casi esposti si aggiungono quelli più complessi e non sempre facili a riconoscere. Il meno complicato è quello delle croci formate da un braccio lungo comune, tagliato da due o più braccia più corte. Ordinariamente i — 194 — mezzi segmenti intercettati sul braccio lungo sono minori dei bracci corti corrispondenti. Si deduce l'esistenza di tre o più leuciti così vicine che non hanno potuto svilupparsi completamente. E vi è poi il caso di croci le cui braccia si tagliano obliquamente. Si deduce che si tratta di leuciti i cui edifizii molecolari sono compenetrati; ossia che nello spazio occupato in co- mune ognuna di tali leuciti possiede un certo numero soltanto delle sue molecole, mentre le molecole corrispondenti degli altri individui del gruppo non esistono, e viceversa. Conchiudendo, ogni volta che tra gli elementi microlitici d'una roccia si vede disseminata della materia bianca, isotropa, in forma di croci, di stel- line, di poligoni semplici, o multipli e concentrici, in cui sono iscritte croci e stelline riunenti i vertici o i punti medii dei lati del perimetro, con fre- quente simmetria intorno a due assi ortogonali, e insieme croci con un braccio comune e figure più complesse, si può concludere a priori che si tratta di leucite (1). Così pure se, invece di lava intatta, si esamina una lava alterata o un tufo alterato del pari, e si vedono croci e stelline bianche sopra un fondo nero, rossastro, giallastro, si può concludere che la roccia è, o è stata, leu- citica (*). Patologia vegetale. — Un interessante parassita del lupino non ancora segnalato in Italia: Blepharospora terrestris (Skerb.) Peyr. (*). Nota del dott. BeniAMINO PEYRONEL, presentata dal Socio G. CuBoNI. Ai primi dello scorso dicembre 1919 il sig. F. Lanza recava alla Sta- zione di patologia vegetale di Roma un certo numero di giovani piante di lupino (Zupinus albus) affette da un grave marciume delle radici e della regione ipocotilea. Dette piante provenivano dalle tenute Pantano e Prato- longo, nei pressi del lago Regillo. Dell'apparato radicale non rimaneva che il fittone assile con pochissime radici secondarie; di tubercoli radicali, nessuna traccia. Tanto le radici quanto la parte inferiore del fusto apparivano fortemente imbruniti su tutta la loro superficie e molli al tatto; le foglie, salvo poche apicali, erano tutte disseccate. All'esame microscopico trovai che le radici e quasi tutta la parte ipo- cotilea del fusto erano completamente invase e disorganizzate da un micelio (1) Cfr. Vulcano Laziale cit., pag. 274, figg. 61 c 62. (2) Cfr. idem, pag. 275, fig. 63. (?) Lavoro eseguito nella Stazione di Patologia vegetale di Roma. di dy Geri 3 esa — 195 — fangino che, per i suoi caratteri morfologici (assenza quasi completa di setti, protoplasma fortemente granuloso), dimostrava chiaramente di appartenere a qualche ficomicete. Nei tessuti corticali di poche piantine rinvenni pure delle oospore, invero non molto numerose. Allo scopo di moltiplicare il materiale di studio e di osservare il com- portamento del fungo, preparai due serie di colture di lupino in vasi cilin- drici senza foro basale. Quando le piantine ebbero formato le prime foglie, le inondai in modo da mantenere costantemente uno strato d’acqua di 1-2 cm. sopra la super- ficie del terreno; in una serie di vasi trapiantai in mezzo ai giovani lupini quelli infetti (che avevo nel frattempo conservati in acqua), e l'altra serie la tenni per controllo. Il risultato si fu che tulti i lupini delle colture infette rimasero uccisi, mentre quelli tenuti per controllo sone tuttora vivi e, benchè, naturalmente, un po’ clorotici e sofferenti per asfissia radicale, immuni da qualsiasi forma di marciume. Nei tessuti radicali dei lupini morti rinvenni il solito micelio, e inoltre nei tessuti corticali di tutti quanti trovai in gran numero oogonii ed cospore mature, affatto identiche a quelle che avevo osservate nei lupini del sign. Lanza, Esse sì riconoscono facilmente per una caratteristica particolare, di conser- vare, cioè, a lungo addossato alla parete primitiva dell'oogonio l’anteridio vescicoloso, il quale circonda parzialmente o totalmente, a guisa di manicotto, il peduncolo dell’oogonio stesso. Questa particolare disposizione dell’anteridio si osserva naturalmente anche meglio nei giovani cogonii, prima della formazione della oospora. Oltre al micelio endocellulare, agli organi sessuali ed alle oospore, sui cotiledoni sommersi delle piantine uccise osservai un abbondante micelio esterno, nuotante nell’ acqua, sul quale, all'esame microscopico, apparivano inseriti — isolati o talora in gruppi di 2-3 — dei grandi zoosporangi ovali o limoniformi, più o meno distintamente papillati all'apice, ripieni, da gio- vani, d'un protoplasma denso di guttule oleose. Negli zoosporangi maturi il plasma si differenzia in un numero variabile di zoospore immobili o cigliate. Le zoospore immobili sono globose e germinano spesso direttamente nel- l'interno dello sporangio emettendo attraverso la parete di questo un tubo miceliare che tosto si ramifica. Le zoospore mobili sono depresse ad un lato ed ivi munite di due ciglia. Qualche zoosporangio, invece di essere inserito all'estremità d'un ramo miceliare, più o meno lungo, è intercalare, cioè la sua parte apicale si attenua e si continua in un filamento micelico. Ricerche sperimentali sulla morfologia e biologia di questo interessante ficomicete saranno quanto prima istituite su più vasta scala. Ma credo op- portuno fin d'ora richiamare l'attenzione dei fitopatologi sul fatto che le osservazioni sin qui eseguite già permettono di stabilire l'identità del fungo XENDICONTI. 1920, Vol. XXIX, 1° Sem. 26 — 196 — in questione con la Phytophthora terrestria Sherbakoff (*), recentemente se- gnalata in America come producente, nello Stato della Florida, un marciume assai grave dei frutti di pomodoro, noto colà sotto il nome di « duckeyerot », nonchè un marciume dei fusti di Zupizus sp. (stem rot) e il marciume del colletto (foot rot) degli agrumi. La descrizione e le figure, che il Sherbakoff dà della Ppytophthora ter- restria (sìc!), si attagliano perfettamente al fungo da me osservato sul lupino. Prima ancora ch'io mi fossi accorto di questa identità, ero rimasto col- pito dalla straordinaria somiglianza del fungo in questione con la B/epha- rospora cambivora. che, secondo le magistrali recenti ricerche del Petri, sarebbe l'agente specifico della « malattia dell'inchiostro » del castagro, e che io stesso ho più volte isolata — ‘allo stato di micelio sterile — dai castagni affètti da quel malanno a Soriano nel Cimino. Chiunque confronti le figure del Petri con quelle dello Sherbakoff converrà con me che si tratta di funghi per lo meno molto affini tra loro. La loro parentela ci è rivelata anche dal fatto che, come ho detto prima, la P%. terrestria non attacca solo piante erbacee, ma produce eziandio nei Citrus una malattia che ha notevoli analogie col « mal dell'inchiostro ». Il che, a mio avviso, rappresenta anche una conferma della effettiva capacità a delinquere della specie petriana. Nonostante la loro notevole affinità, le due specie sembrano però ben distinte, principalmente da due particolarità, una morfologica e l’altra bio- logica. Nella Bleph. cambivora, stando alle figure e alla diagnosi del Petri, l'unione dell'auteridio con l’oogonio sembra avvenire all'incirca come nel gen. Pythium: esso anteridio è costituito da un semplice ramo di micelio, non ingrossato nè vescicoloso e che non circonda affatto il peduncolo del- l’oogonio. Inoltre nella B/eph. cambivora il micelio non fruttifica sugli or- dinarii substrati solidi, ed è solo iu colture liquide o su #umus molto umido che il Petri ha potuto ottenere Ja formazione degli sporangi. All'incontro, secondo lo Sherbakoff, la Ph. terrestria fruttificherebbe facil- mente sui sustrati solidi, come anche sui frutti di pomidoro. Per questo carattere la specie si avvicina maggiormente a Ph. omnivora, con cui pre- senta, assieme a 2/. cambivora, anche altre notevoli analogie d'ordine mor- fologico. È evidente, ad ogni modo, che la specie del Sherbakoff presenta tutti i caratteri del genere Blepharospora, quale è definito, per quanto un po’ va- gamente, dal Petri. ‘Il nome specifico ferrestria, poi, è di un latino... un po’ troppo americano, e va corretto. Propongo pertanto di dare al fungo il nome di B/epharospora terrestris (Sherb.) Peyronel. Siamo in presenza d'un parassita fungino recentemente importato dal- l'America? Io propendo piuttosto a credere che si tratti di specie ubiqui- (') Sherbakoff C. D., Buckeye rot of tomato fruit, Phytopathology, 7, anno 1917, pp. 119-129. — 197 — taria, già preesistente in Europa, vivente ordinariamente allo stato saprofi- tario nei terreni molto umidi e che può, quando trovi condizioni ed ospiti adatti, comportarsi anche parassiticamente. Estenderei volentieri, sia detto incidentalmente, questo modo di vedere anche alla B/epharospora cambivora. Sarà bene, in ogni modo, tener d'occhio questa crittogama che, a giu- dicare dagli effetti prodotti sui lupini, sembra capace di produrre danni considerevoli quando trovi favorevoli condizioni d'ambiente, e principalmennte, come sembra, un eccesso di umidità nel terreno. Come metodo di lotta non si può per ora che consigliare la distruzione delle piante infette, il risanamento, mediante opportuno drenaggio, del ter- reno e la disinfezione del medesimo col solfuro di carbonio o con la for- malina. Sarà bene sostituire per alcuni anni la coltura del lupino con quella di altre piante erbacee presumibilmente refrattarie, come i cereali. Matematica. — Armonica viciniore ad una funzione asse- gnata. Nota del Socio T. LevI-CIviTA. 1. — GENERALITÀ CIRCA UNA CLASSE DI PROBLEMI DI APPROSSIMAZIONE. — ARMONICA VICINIORE IN UN CAMPO A TRE DIMENSIONI. Sia U(P) una funzione finita e continua dei punti di un campo S, a una o più dimensioni, intendendo incluso in S anche il relativo contorno. Sia d'altra parte «(P) una funzione, pure finita e continua in S, apparte- nente ad un certo tipo o, più generalmente, insieme di funzioni 3. Si è condotti naturalmente a proporsi la questione di caratterizzare, fra le funzioni dell'insieme @, quella (o quelle, se ve ne ha di più) che maggiormente si approssima 22 media alla data U(P), alludendosi con ciò alla circostanza che riesca minimo il divario globale fra U e «; ossia, in modo preciso, il così detto errore medio quadratico. Questo equivale ad esi- gere che riesca minimo l'integrale (1) e ((U— 248. J8 Per alcune categorie & di funzioni, la questione si riporta subito a ordinarî problemi di massimo e minimo Tale il caso in cui le funzioni v dell'insieme ® dipendono da un numero finito di parametri (variabili con continuità entro certi intorni). Nel caso più generale, in cui le v dell'in- sieme ® dipendono punto per punto (intendo in modo non funzionale) da una o più funzioni arbitrarie e loro derivate fino ad un certo ordine, la que stione rientra classicamente nell'àmbito del calcolo delle variazioni e si ri- conduce ad equazioni differenziali. SO AT I RRIE — 198 — Non è più così, almeno in generale, quando le « dell'insieme dipen- dono in modo noto ma funzionale da altre funzioni arbitrarie. I principî del calcolo delle variazioni sono ancora applicabili; ma la condizione che si annulli la variazione prima porta ad equazioni di natura più complessa, per es. integrali od integro-differenziali, di cui la teoria, in relazione al pro- blema variazionale, è ben lungi dall’essere così progredita come lo è per i sistemi puramente differenziali. Ciò ebbe a rilevare in linea generale il prof. Fubini, indicando varî tipi di problemi di calcolo delle variazioni, che dànno luogo a equazioni funzionali (*). Qui intendo unicamente occuparmi del minimo di 1 nella ipotesi che S sia una porzione (finita) dell'ordinario spazio a tre dimensioni, limi- tata da un contorno 0, e che u debba essere armonica e continua anche al contorno, assieme con la sua derivata normale. La discussione riesce in tal caso esauriente, invocando noti teoremi esistenziali concernenti le funzioni biarmoniche: ne rimangono rigorosamente stabilite l’univoca esistenza del- l’armonica viciniore u e le sue relazioni colla funzione agseguata U. Quando sì tratta in particolare di un campo sferico, si può ulteriormente ricondurre la determinazione della all'ordinario problema di Dirichlet, e quindi al calcolo dell'integrale di Poisson: vi si perviene profittando di eleganti e ormai ben noti accorgimenti che già furono introdotti dall’ Almansi e dal Boggio. 2. — SPECIFICAZIONI QUALITATIVE. Supporremo che la superficie (o il complesso di superficie) e, che costi- tuisce il contorno di S, sia regolare o almeno costituito da un numero finito di porzioni regolari (ciascuna dotata di piano tangente e di curvature va- riabili con continuità). Detto Q un punto generico di o, do un elemento circostante a Q, rappresenteremo con 7(P,Q) la distanza da Q a un punto generico P di $S, e con u(Q) una funzione dei punti di Q, ovunque finita, e, in ogni porzione regolare di o, anche continua. Ciò premesso, precisiamo la varietà ® di funzioni «, armoniche entro $, da prendere in considerazione. Nella natura delle cose è di richiedere che &. comprenda tutte le funzioni armoniche, regolari nel campo, le quali riman- gono finite anche al contorno, con che ha certo un senso l'integrale I. Noi limiteremo la nostra indagine imponendo ancora alle x una limitazione qua- (1) Alcuni nuovi problemi di calcolo delle variazioni con applicazioni alla teoria delle equazioni integro-differenziali (Annali di matematica, serie III, tomo XX, 1913, pp. 217-245). Per l'equazione di Fredholm di seconda specie, già Hilbert aveva rilevato [efr. Grundzige einer allgemeinen Theorie der linearen Integralgleichungen, Leipzig, Teubner, 1912, pp. xi e 28] che essa proviene da un problema di minimo risalente a Gauss. SR e —. 199 — litativa circa il comportamento al contorno, e precisamente che, ove si ri- sguardi una % (come è sempre lecito) quale potenziale di semplice strato e la si assuma quindi sotto la forma (2) .(P)= So ILA do la densità «(Q) sia una funzione finita e generalmente continua nel senso testè specificato. Notoriamente, quando il contorno o è ovunque regolare, al- lora la condizione addizionale concernente w si esprime con eguale sempli- cità direttamente per «, equivalendo alla continuità della sua derivata nor- male al contorno. 8. — VARIAZIONE DI I. — TRASFORMAZIONE DELLA CONDIZIONE dI = 0; — ResIDUO. — EGUAGLIANZA DEI VALORI MEDII. — CONSTATAZIONE DI MINIMO. — CORRISPONDENTE ESPRESSIONE DI I. Per passare da una generica w dell'insieme ® ad altra funzione infi- nitamente vicina dello stesso insieme, basta evidentemente attribuire a w un incremento du = y(Q) completamente arbitrario, beninteso sotto le stesse condizioni di continuità imposte a w. Si ha così (3) dur)= f Te a D'altra parte, dalla espressione (1) di I segue immediatamente, met- tendo anche in evidenza il punto generico P del campo di integrazione, (4) eo È IU (P) — (P){ du(P) d8 Perchè I riesca minimo, sarà intanto necessario che ol: Ove si introduca nella (4), per du(P), l’espressione (3), e si invertano le integrazioni (ciò che è certo permesso, perchè la funzione sotto il segno diviene infinita appena di prim'ordine), si ha si=—2( x(@ )do (.}U()— ra Per l’arbitrarietà di x(Q), la condizione dI = 0 implica che si annulli il coefficiente della stessa y(Q). Si ha quindi, în ogni punto Q di 0, ds r(P,Q) (5) [3UE)—)} i — 200 — che è evidentemente una condizione integrale per l'armonica viciniore u, equivalente a d1 0. Rileviamo subito che la univoca determinazione di u in base a questa equazione rientra in un problema generale già ri- soluto dal Lauricella (*). Per essere completo, riprenderò brevemente al $ 5 le considerazioni del Lauricella con referenza al caso particolare che ci in- teressa. Intanto ritengo acquisita la proposizione esistenziale e passo a ri- levare alcune proprietà generali delle armoniche viciniori. Formiamo in principio 2 residuo (6) UP)—w(P)= »(P), risguardandolo come densità di una ipotetica distribuzione newtoniana entro S. Il primo membro della (5) si presenta allora come il corrispondente potenziale in Q; e il fatto che esso si annulla in ogni punto del contorno 0 di S porta come necessaria conseguenza che esso sia ovunque nullo all’esterno. Di qua l’espressiva interpretazione meccanica: Il residuo spettante all’armo- nica viciniore dà luogo ad attrazione esterna nulla; in particolare, condi- zione necessaria e sufficiente perchè la viciniore sia zero è che la funzione data U, attribuita quale densità ad S, lo renda corpo di attrazione esterna nulla. Osserviamo ora che, nella (4), du(P) designa un qualsiasi incremento (infinitesimo) di v, entro l'insieme &; attesa la linearità della (4) stessa, si può in sostanza risguardare du come una funzione armonica arbitraria. Così la 6I= 0, ossia (8) 1A IU(P)— u(P){ du(P) dSs=0, si presenta come una proprietà integrale dell’armonica viciniore u, dotata di ragguardevole generalità. Una prima conseguenza interessante si ha ponendovi du = 1; se ne desume allora che él valore medio della funzione assegnata U coincide necessariamente con quello dell'armonica viciniore. Il carattere quadratico della espressione di I assicura, come è ben noto, che, per 9I= 0, si ha un minimo assoluto. Possiamo constatarlo formando materialmente la differenza fra l’integrale I*, corrispondente ad una gene- rica funzione armonica w*, e l'integrale I formato colla viciniore. Dacchè (U—w) = KU—2) + (u_u), ove si moltiplichi per 4S e si integri, si ha identicamente I*=1 PS, (u— u*)? dS + 2 fu SS) lai (*) Sulla funzione potenziale di spazio corrispondente ad una assegnata azione esterna, in questi Rendiconti, serie 5*, vol. XX, 1° sem. 1911, pp. 99-107. a — 201 — L'ultimo integrale è zero, in virtù della (5’), nella quale si prenda du=u—u*. Risulta pertanto I* = I, l'eguaglianza potendo sussistere sol- tanto per u* coincidente con w, c.d.d. Dalla (5'), ponendovi du = «, si ricava quest'altro corollario: Il valore minimo di I relativo all'armonica viciniore può ritenersi espresso, oltre che da (1), anche da (7) : I Di U(P)} U(P) — «(P)} dS. 4. — RIDUZIONE DELLA (5) AD UNA EQUAZIONE INTEGRALE DI PRIMA SPECIE. Introduciamo nella (5), al posto di «(P), la sua espressione (2), avendo l'avvertenza di designare il punto corrente di integrazione con Q' e l’ele- mento superficiale circostante con do”, in modo da evitare ambiguità coll’altro punto Q, che compare nella (5) stessa. Ove si ponga dS ®) OE AO) (9) ia la (5) (con una inversione di integrazioni, qui pure perfettamente legittima) assume la forma tipica (10) f N(Q,Q) (Q') do = V(Q) (in ogni punto Q di 0) di equazione integrale lineare di prima specie nell’incognita densità w(Q') dell'’armonica viciniore v. Il secondo membro V(Q), da riguardarsi cognito a norma della (9), risulta dai valori superficiali del potenziale newtoniano che ha per densità, in ogni punto interno P, l’assegnata funzione U(P). Quanto al nucleo N, esso è manifestamente simmetrico, finito e continuo, ed è pur definito positivo, in quanto, per una qualsiasi funzione continua @ dei punti di o, si ha necessariamente ni do { do' N(Q,Q') (0) 0(Q9)=>0, l'eguaglianza potendo sussistere solo a patto che @ si annulli. Ciò risulta dall'osservare che, posto P)= | OA EA) il primo membro della precedente disuguaglianza, in base alla espressione (8) di N, può essere scritto J, tdi. S TTI Il suo annullarsi richiede 7 = 0 in tutto il campo S e in particolare su o, il che basta ad assicurare, per ben note proprietà dei potenziali di superficie, che anche 0(Q) = 0, c.d. d. 5. — RIDUZIONE AD UN PROBLEMA BIARMONICO. — VERIFICAZIONE DELLA SOLUZIONE. La determinazione della %, e, per essa, della densità u, si è fatta di- pendere dalla equazione integrale (10). Ma il problema non si può con ciò risguardare risoluto, poichè, allo stato attuale della teoria, bisognerebbe far capo alla condizione necessaria e sufficiente di Picard-Lauricella, la quale presuppone la conoscenza delle autofunzioni e degli autovalori del nucleo: circostanza questa che, almeno in generale, non si può certo ritenere acqui- sita per il nostro N(Q, Q'). Giova pertanto riprendere la equazione caratteristica (5), completando la discussione per altra via. Cominciamo col generalizzare la posizione (9), riferendola ad un punto qualunqu& P’ dello spazio (sia interno che esterno ad S, od anche sopra 0). Accanto a questo potenziale di volume 3 dS (10) V(P') =; U(P) rP,P)! che si può risguardare assegnato assieme con U, introduciamo l'analogo, avente per densità l’incognita viciniore «, a DI PAS (1) o) [aa La (5) può così essere scritta (5") v(Q)= V(Q) (sopra 0). Si tratta di due potenziali di masse distribuite entro o, i quali coin- cidono in superficie. Ciò implica coincidenza in tutto il campo esterno. Ne discende in particolare che coincideranno le derivate secondo una direzione CA 3 3 Massi: È brrat purchè prese dall'esterno, anche nei punti di o. Sic- ? come tali derivate non subiscono discontinuità attraverso o, è indifferente di considerare i valori limiti dall'esterno o dall'interno, e si può quindi, pen-. sando per es. a questi ultimi, e attribuendo a % il significato di direzione normale vòlta all'interno, associare a (5) la sua necessaria conseguenza DA) dV prr prati e RE . 09 (Fa Q ls ) COMIRAz: Limitiamo oramai la considerazione dell'ausiliario potenziale v al campo interno S. Esso verifica in tale campo l'equazione di Poisson MERSÌ dv nerica 2, — 5 ? dn (12) i Av= —4nu, — 203 — ed è quindi una funzione diarmonica (A4v = 0), essendo armonica «. Al contorno si conoscono, in base alle (5”) e (5!), i valori della funzione e quelli della sua derivata normale. La v ne rimane univocamente determi- nata. Ciò risulta con tutto rigore dalle ricerche di Fredholm e di Lauri- cella. Quest'ultimo ha infatti ricondotto la effettiva determinazione di v (1) ad un sistema di equazioni integrali di seconda specie, per cui si trovano soddisfatte le condizioni di univoca risolubilità del Fredholm. Trovata v, si ha w dalla (12). Verificazione. — È facile riconoscere « posteriori che la w così definita è effettivamente l’armonica viciniore. Partiamo all'uopo dalla nota formula che esprime una generica funzione v dei punti di S (finita e con- tinua assieme alle sue derivate prime e seconde) mediante il Asv dei punti 17) : 5 di S e i valori superficiali di v e di o Applicandola alla nostra v, in (A base alle (12), (5”) e (5”), potremo scrivere SR Ì DI Dil) i u{P) PP) P) + W(P'), avendo posto per brevità IRR LI ( d 1 GV\}_1_7 MCR a i (YZ 0 (da )a ra mil Ora notiamo che (intendendo P' entro S) V(Q) e considerate AI r(Q,P) come funzioni dei punti Q esterni o appartenenti a 0, sono entrambe armo- niche e regolari, e si annullano debitamente all’ oo. Perciò il teorema di Green, applicato a queste due funzioni nella regione esterna a 0, ci assi- cura che W(P')= 0. Rimane pertanto n) o _d8_ v(L a u(P) r(P, 5) ’ e così, in primo luogo, si ritrova la (11). Dopo ciò, riflettendo che la v ve- rifica per costruzione la (5”), si è condotti alla voluta conclusione che l’ar- monica % fornita dalla (12) soddisfa alla originaria (5), equivalente a sua volta a 9I=0, c.d.d. 6. — CaMPO SFERICO. Sia R il raggio, e o rappresenti la distanza di un generico punto P dal centro O. Per la costruzione della biarmonica v, giova servirsi anzitutto (1) Sull’integrazione dell'equazione A*V=0, in questi Rendic., serie 53, vol. XVI, 2° sem. 1907, pp. 373-383. RENDICONTI, 1920, Vol, XXIX, 1° Sem. 27 — 204 — del lemma di Almansi (!), secondo cui ogni funzione biarmonica v, regolare entro la sfera S, si può mettere sotto la forma (13) v=(R°—e)p|w, essendo 4 e w due funzioni armoniche (pure regolari entro la sfera). _ In ogni punto Q del contorno 0, v si riduce all'addendo w, talchè la (5”) fa conoscere direttamente i valori superficiali V(Q) di w, e la sua completa determinazione dipenderebbe dall'ordinario problema di Dirichlet. Ma il seguito della discussione mostrerà che non è necessaria per il nostro scopo l'esplicita valutazione di w. Deriviamo intanto la (13) rispetto a @ in un punto interno, e poniamo, a derivazione eseguita, o = R, riferendoci in conformità a un generico punto Q di o. Notando che, in Q, rim _ d e badando alla (5”), risulta dV ; dY 14 = —2R I A (14) de P(Q) + Y che somministra i valori al contorno della seconda funzione armonica %, però w con intervento della = Ma è possibile di liberarsene. Ed ecco come. Ricordiamo che V(P') è funzione armonica del campo esterno a 0, mentre la w è stata or ora caratterizzata come l’armonica del campo interno che prende i medesimi valori superficiali. Ciò non implica naturalmente che sì raccordino anche i valori delle rispettive derivate normali; ma, per la speciale forma sferica del campo, esiste fra questi valori una relazione locale assai semplice, rilevata dal Boggio (?). Questa relazione, per le nostre w e V, può essere scritta IV dw__I PE eTOST RO. La (14) assume così l'aspetto 1 dV ae) = (RT +), col secondo membro dipendente soltanto da V e sua derivata normale. Nota g entro il campo S, il che implicherebbe ancora una volta riso- luzione dell'ordinario problema di Dirichlet, dalle (12) e (13) si ha w sotto (') Sulla deformazione della sfera elastica, Memorie della R. Accademia delle scienze di Torino, tomo XLVII, 1897, pag. 111. (2) Cfr. Induzione prodotta da un campo magnetico qualunque sopra una sfera ‘sotropa, Rend. del R. Istituto lombardo, vol. XXXVII, 1914, pag. 125. — 205 — la forma (15) u= (e +10). Facciamo un ultimo passo, esprimendo i valori superficiali di x me- diante V. All’uopo partiamoci dail’osservare che 4 le AE, ) (16) po Ri (0 de Î a è, al pari di V, una funzione armonica e regolare nel campo esterno alla sfera (che si comporta all’oo come un potenziale). In superficie (0 = R), si ha, a norma della (14'), p= *. Applicando un’altra volta la ricordata formula del Boggio, si può esprimere il valore limite (dall'interno) di SE S in un generico punto @ della superficie sferica o, mediante’ il valore limite * (dall'esterno) di > , e si ha precisamente DM O EE de de R ossia, in base alla (16), e, ben si intende, ponendo o = R a derivazione eseguita, ? per maggior chiarezza ho scritto Di , anzichè semplicemente “> , onde mettere in evidenza che si ii considerare i valori limiti dall'esterno. (Per V e È è indifferente, attesa la continuità). dP d0 Facendo nella (15) o= R e portandovi al posto di l’espressione testè ricavata e, al posto di g, la (14'), abbiamo infine 3?V IV ) a 2 E Mi EER (17) = pie (3), +3 Vi Sopra 0) Riassumendo: per determinare l’armonica viciniore x, tutto è ridotto a procurarsi in primo luogo il potenziale newtoniano V che ha per densità l’as- segnata funzione U. Mediante i valori di V e delle sue derivate normali prima e seconda sulla superficie sferica o, si forma il secondo membro della (17), e si ricavano così i valori superficiali di vu. Per avere v anche all'interno basta quindi applicare una sola volta la nota formula di Poisson. VT 19) RISE n — 206 — Come controllo dell’esattezza materiale di questi passaggi di calcolo, possiamo verificare che, per U= 1, l’'armonica viciniore w si riduce anche essa all'unità, come risulta dalla sua stessa definizione. All’uopo si nota che il potenziale esterno V di una sfera omogenea, di raggio R e densità 1, vale $77R*- 1/0. Si ha quindi, per o= R, VaR ea i DATA de” Je con che il secondo membro della (17) diviene effettivamente = 1, e la , essendo 1 in superficie, si conserva tale anche all’interno. Sì potrebbe verificare più generalmente (ricorrendo per es. allo sviluppo in serie di funzioni sferiche) che u= U ogniqualvolta U è armonica. Chimica agraria. — L’azoto del gruppo cianico nella concima- zione ('). Nota di R. PEROTTI, presentata dal Socio G. CUBONI. Contributo alla determinazione del meccanismo d'azione dell’azoto cia- nico nella nutrizione vegetale e delle condizioni della sua utilizzazione — a partire da prodotti puri ed in relazione ai miei precedenti lavori sulla calciocianamide (*?) — sono gli studi, di cui è oggetto la presente Nota. In queste ricerche mi valsi del cianuro potassico, recentemente prepa- rato dall'acido cianidrico gassoso e dalla potassa in soluzione alcoolica, che, al controllo di purezza, mi fornì i seguenti dati: cm. 25 di soluzione all’ 1°/ del prodotto, precipitarono cme. 3,72 di Ag NO, 1° e ieflii gate (A ITI KGNIO 02000: 90 eme. 25 della soluzione medesima, precipitarono cme. 3.74 di Ag NO IRE I ” n 0:94 Media! *; 00 hi TRONO og SIRO Umidità: Ala o » 0,026 Impurezze e perdite (K»C03) . ” » 0,009 Totale . . . gr. 1,000 Ù (') Lavoro eseguito nel laboratorio chimico e batteriologico della R. Stazione di pa- tologia vegetale di Roma. (5) Cfr. per i miei diciotto lavori sulla calciocianamide: Perotti R, Alcuni capo- saldi verso la naturale evoluzione dell'azoto cianamidico nel terreno e delle relative applicazioni nella concimazione agricola, Staz. sperim. agrarie; 42 (1909), pag. 521. at E E Prima indagine fu di accertare che l'aggiunta delle sostanze nutritive non azotate alla soluzione di cianuro potassico non apportassero modifica- zioni alla forma di azoto scelta per allevarvi piante; ed a tale scopo, par- tendo dalla soluzione all'1°/o di KON, per mille parti di essa, vi aggiunsi suscessivamente KH, PO, gr. 1 — Mg S0, + 7 H,0 gr. 0,3 — Ca Cl, gr. 0,05 — Na CI gr. 0,05 — Fes Ck gr. 0,01 — glucosio gr. 2; e determinai nuovamento il cianuro, con il metodo della precipitazione del cianuro argen- tico, dopo l'aggiunta del fosfato (anal. 1), dopo l'aggiunta dei fosfati e dei cloruri (anal. 2) e, finalmente, una terza volta dopo aggiunto il glucosio (anal. 3). I risultati medî delle doppie determinazioni sono consegnati nel seguente prospetto: (1) (2) (3) (4) Numero N N 5 3 FA To a ESÒ ‘ g N Differenza KCN ° aa Soluzione nutritiva] Ag NO; TI CSN.NH, n loo cme. eme. eme. (2— 3) gr. 25.0 15.0 13.61 1.49 0.968 2 25.0 15.0 13.55 1.45 0.942 3 MI25:0 15.0 13.62 1.38 0.897 L'influenza dell’aggiunta delle dette sostanze non è trascurabile, poichè il titolo del liquido in KCN va diminuendo, e notevolmente, dopo l'aggiunta del glucosio, e non ostante la presenza dei cloruri che precipitano una fra- zione, per quanto piccola, della soluzione argentica. Il cianuro, quindi, subisce lievi modificazioni, delle quali va tenuto conto per attribuire ai dati ana- litici un valore relativo a tali cause di errore, che aumentano con il tempo decorrente dalla preparazione della soluzione. D'altra parte, non era possibile rinunciare completamente al metodo analitico prescelto, che tuttavia permette in qualche modo di tenere dietro alla sorte del cianuro dei liquidi colturali. In un secondo tempo mi proposi di ricercare fino a qual punto avessero influenza i diversi metodi di sterilizzazione su questi liquidi, per tentare eventualmente lo studio con colture pure. La soluzione della composizione sopra riportata fu ripartita in tre pal- loni, uno dei quali fu sottoposto al riscaldamento in autoclave a 120° C. per 20 m'; un secondo fu riscaldato in vapore d'acqua fluente per 20 m! e per tre giorni di seguito; il terzo fu pastenrizzato. Le determinazioni del cianuro nel liquido, sottoposto a ciascun trattamento e dopo ciascun giorno, figurano nel seguente quadro: — 208 — (1) (2) (3) 0 stuzi TO N e Dci Mea denti 10 FIN 10 Differenza, RSCRUI co eme. cme. eme. (2—3) gr. 1 =£Controllo enna o 20.0 15.0 13.62 138 0.89 2- m' 20 in autoclave a 120% end cn 20.0 9.7 9.27 0.43 0.14 3 — m'20 vap. fluente 1° risc. 20.0 10.0 9.30 0.70 0.22 dini a a 200 7.1 6.56 0.54 0.17 5- n ” pit (9% 100 48 4.57 023 0.15 6- 2h..a55° C. 1° rise. + 20.0 10.0 8.80 1.20 0.39 7- » ” PALI OT 20.0 10.0 9.03 0.97 0.31 8- n ” ooo 10.0 4.1 8.65 0.45 029 Adunque, la sterilizzazione in autoclave porta alla immediata totale scomposizione del cianuro, in quanto il precipitato argentico residuo non può esser dovuto se non ai cloruri. Lo stesso grado di trasformazione del cianuro sì raggiunge dopo il terzo riscaldamento in vapore d’acqua fluente, ma essa è quasi completa fino dal primo riscaldamento. Secondo quanto è noto, deve verificarsi la reazione KCN +2H:0=NH;+H.C00K. Soltanto alla pasteurizzazione resiste una certa proporzione del cianuro, che può aggirarsi intorno ad !/; della quantità iniziale. A nessuno di questi metodi di sterilizzazione era possibile quindi far ricorso nel mio studio in cui mi limitai a prendere le mosse dall'allesti- mento di colture brute. Preparai pertanto cme. 1000 di liquido colturale, corrispondente alla composizione del precedente; lo ripartii in cinque bevute, versandone in ognuna cme. 200 ed aggiungendo KCN nelle proporzioni di 1, 0.75, 0.50, 0.25. La quinta bevuta, con cianuro all'1 °/9, fu mantenuta sterile con l'aggiunta di poche gocce di cloroformio, mentre le altre quattro furono inoculate con gr. 0.2 di buona terra da giardino. Tutte si mantennero in termostato a 25° C. Dopo 14 giorni, durante i quali lo sviluppo non fu macroscopicamente evidente in alcuna delle colture, procedei alla determinazione del cianuro nei liquidi, filtrandoli e riportandoli al primitivo volume. I risultati otte- nuti furono i seguenti: — 209 — CIANURO POTASSICO LIQUIDO COLTURALE iniziale finale gr. gi. Controllo . . . . . 0.88 0.29 TA PIRIeSo ES 0.88 0.26 Ia re 0 66 0.21 ISO E 0.44 OSIO TV (025 0.22 OTO. Si deduce come nello stesso controllo il cianuro abbia subìto trasfor- mazioni per le quali è stato ridotto alle proporzioni di cirea 1/3 del quan- titativo iniziale. Lo stesso rapporto non è evidente nei liquidi colturali III e IV, dove, per la maggiore diluizione, il precipitato argentico è dato quasi esclusivamente da cloruri. In essi non vi era più traccia di cianuro. L’azione microrganica non risultò pertanto accertata con la suesposta ricerca: essa era sospettabile, specialmente nel liquido III a media concen- trazione di KCN. Volli ritenere che essa, da un lato, fosse ostacolata dal- l’azione antisettica del cianuro, dall’altro lato, non sufficientemente favorita dalla piccola dose di glucosio impiegata. Preparai quindi due bevute con cme. 500 ciascuna di liquido colturale, contenente cianuro di potassio soltanto in proporzione del 0.5 °/ss e glucosio nelle proporzioni del 20 °/o0. Uno dei liquidi fu mantenuto sterile mediante cloroformio; l’altro venne inoculato con gr. 0.2 di terra da giardino. In questo caso lo sviluppo fu evidentissimo, anzi rigoglioso, special- mente per ifomiceti. Dopo 14 giorni di coltura, raccolsi su filtro tarato e pesai la parte insolubile contenuta nelle bevute; mentre nel liquido deter- minai l'azoto totale. Ottenni i seguenti risultati : finali DETERMINAZIONI iniziali Pallaldoltat nel controllo AIA gr. gr. gr. Sostanza insolubile secca 0.1094 0.1094 02790 Némelbliguido n eee 0.058 0.058 OS Si dimostra, adunque, l'abbondante formazione di corpo organizzato, mentre la piccola quantità di azoto residuo nel liquido indica che una gran parte dell'azoto fu utilizzato nella formazione del corpo stesso. Ed invero, nella coltura, anche con produzione di gas, si ottenne il più attivo sviluppo di microrganismi di ogni specie. La prova fu ripetuta, con lo stesso metodo, impiegando due differenti concentrazioni di KCN:; 1 e 0.5 °/00. Questa volta si ottenne abbondante — 210 — sviluppo anche nel liquido più concentrato. Lo sviluppo fu evidentissimo fin dalle prime 24 ore, con pronta diminuzione del titolo del liquido in KON, in confronto dei controlli. i In acconce condizioni colturali, adunque, e principalmente in presenza di una conveniente proporzione di materiale sorgente di energia, nel pre- sente caso, di glucosio, svariate forme di microrganismi utilizzano nella nutri- zione l'azoto del KCN. Questa utilizzazione richiede inoltre che il mezzo col- turale non presenti un titolo in .KKCN tale da uccidere il materiale di innesto. Nelle ordinarie condizioni del terreno, tale circostanza è facilmente realizzabile, mentre l'utilizzazione del gruppo cianico è praticamente cosa certa. Se però tale utilizzazione sia dovuta ad un diretto attacco del protoplasma o delle sue secrezioni, od anche ad un attacco meno diretto per i prodotti delle sue reazioni vitali, con il mezzo ambiente, è questione che non può ancora con certezza risolversi e difficilmente, forse, potrà esserlo in seguito; poichè non si vede come possa scindersi l'eventuale fenomeno vitale dal fenomeno puramente chimico o fisico chimico che nel mezzo di sviluppo po- trebbe portare alla trasformazione dell'azoto del gruppo --- C= N sino allo stadio di azoto ammoniacale, Mi sembra tuttavia lecito affermare fino da questo momento, come l’at- tacco diretto da parte del protoplasma del gruppo cianico sia molto probabile. Patologia. — Saggi farmacodinamici sottoepidermici. A): La prova della pituttrina. B): Prove cliniche. Nota II dei professori Maurizio AscoLi ed AnTonIO FacruoLI, presentata dal Socio BAT- TISTA GRASSI. Proseguendo nel piano tracciato nella I Nota che abbiamo avuto l'onore di comunicare a quest Accademia ('), riferiamo oggi brevemente sulla prova della pituitrina. Praticando con le modalità già indicate una iniezione sottoepidermica (s. e.) di 0,05 eme. di pituitrina (Parke e Davis), sì determina la comparsa di un ponfo alabastrino, attorno al quale si va tosto formando un alone bianco che cresce man mano di intensità e di estensione; l'alone bianco si circonda a sua volta di un alone rosso, variabile per ampiezza e intensità di colorito. La reazione raggiunge, solitamente entro mezz'ora, il suo com- pleto sviluppo, dopodichè lentamente regredisce, di regola entro un paio d'ore, e ne residua una piccola macchia rossa che dura uno o più giorni. La reazione s. e. alla pituitrina collima dunque con quella offerta da diluizioni di adrenalina allo 1/200,000 circa. In condizioni ordinarie essa riesce ancora evidente — pur ritardando la comparsa del proprio elemento (') Atti R. Accad. dei Lincei, vol. XXVIII, serie 5*; 1° sem., fasc. 12. bo ume PPdd cè La lai CRI — 211 — caratteristico, cioè dell’alone alabastrino attorno al ponfo — quando si allunghi fino a 500 volte circa il contenuto di una fialetta. Con soluzioni più diluite la reazione si attenua fino a diventare identica a quella indispensabile di controllo con l'acqua (vedi Nota I) (1). ° S'è detto che soluzioni allo 1/200,000 di adrenalina offrono una rea- zione d'intensità approssimativamente uguale a quella della pituitrina non diluita; s'è visto inoltre che, mentre l’azione delle prime quasi si esaurisce ove si diluiscano ulteriormente appena cinque volte ancora (1/1,000,000), le seconde, pure allungate fino a 500 volumi, mantengono ancora la loro speciale azione. La causa del contrasto è forse da ricercare nel diverso punto del tragitto neuromuscolare sul quale i due farmaci sembrano intervenire : giunto neuromuscolare nel primo, fibra muscolare nel secondo caso. 7,3 x x Il saggio sottoepidermico (s. e.), a rigor di termini, ci indica soltanto la suscettibilità del tratto di cute in cui fa praticata 1’ iniezione. È lecito, fino a un certo puuto, dal risultato giudicare per illazione della suscettibi- lità della cute in genere del soggetto, constatazione certo non priva d'inte- resse dal punto di vista clinico. Altra questione è, poi, se e quanto questa sensibilità parziale vada generalmente di paripasso con quella complessiva dell'organismo verso i singoli farmaci, quesito questo che solo una larga esperienza clinica può risolvere. Consegniamo oggi alcune osservazioni raccolte in questo senso. La reat- tività alla prova s. e. all'adrenalina in condizioni ordinarie risulta solita- . mente compresa fra le dilnizioni al 200,000 ed al 1,000,000. Passando a saggiarne la sensibilità in condizioni patologiche, abbiamo trovato ch’essa può scartare dai limiti cennati sia per eccesso sia per difetto. Così ci è risultata subnormale (cioè positiva soltanto con diluizioni al 50,000-100,000) in qualche caso di morbo di Addison (1 su 2), e di iposurrenalismo cronico in tubercolosi (2 su 3); aumentata (cioè positiva fino a 5-20 e più milioni) in alcuni casi di disturbi della menopausa (3 su 5), di ipertensione pura (4 su 7), di morbo di Flajani-Basedow (3 su 4). in qualche gravida (3 su 9, tutte fra il 6° ed il 9° mese). Per quanto concerne l'età in rapporto alla reazione, abbiamo trovato che i lattanti reagiscono debolmente, e così pure i vecchi. Nulla, anergica, la reazione negli stati di anemia profonda. Ci siamo ancora proposti di ricercare quale rapporto esista fra la ridu- (') La esecuzione della prova contemporanea di controllo con l’acqua distillata non è mar da pretermettere. Solitamente essa presenta il tipo già da noi descritto. Talora si osservano però reazioni anomale che bisogna conoscere: così talvolta il ponfo si man- tiene alabastrino per lungo tea.upo (fino a 60-90"); così può, eccezionalmente, presentarsi il fenomeno della cute anserina od un tenne c ristretto alone bianco attorno al ponfo. La quantità di liquido introdotto, la profondità dell'iniezione hauno pure importanza e van tenute in debito conto. La durata d’involuzione della papula rossa residuale, solita- mente nelle 48 ore, è pure variabile. All’opposto delle iniezioni sottoepidermiche di adre- nalina al millesimo e di pituitrina come tale, che riescono quasi indolori, le diluizioni maggiori e l’aqua suscitano dolore. RENDICONTI, 1920, Vol. XXIX. 1° Sem. 28 —_ 22 — zione, rispettivamente l'esaltazione della reazione s. e., e la sensibilità dello stesso organismo verse le iniezioni sottocutanee (s. c.). In 23 casì la inie- zione s. e. di !/3-1 mgr. di adrenalina non provocò alcun disturbo apprez- zabile, e corrispondentemente in 21 di essi la reazione s. ep. oscillò nei li- miti consueti; negli altri due invece la reazione s. e. apparve indebolita. In uno di questi infermi, che presentava postumi di pleurite bilaterale, cute discretamente pigmentata, bassa pressione arteriosa, si ottenne debole rea- zione s. e. con diluizioni di adrenalina al 50,000; nel secondo, affetto da morbo di Addison, con diluizioni al 100,000. In due pazienti (affetti l'uno da insufficenza aortica di origine luetica, l’altro da morbo di Flajani-Basedow), nei quali la iniezione s.c. di 1 mg. di adrenalina ebbe per unico effetto un lieve aumento (di 10, rispettivamente di 15 mm. di mercurio) nei valori della pressione arteriosa, comparve una esagerata reazione alla prova s. e., positiva nel primo sino alla diluizione di 10,000,000, nel secondo sino a quella di 30,000,000. Finalmente in un caso di sclerodermia morfea in ipertesa (A. P., d'anni 68; lesioni sclerodermiche sparse irregolarmente, specie alla faccia ed alle mani; press. art. 195 mm. Hg Riva Rocci; reagì alla iniezione s. c. di '/, mgr. di adrenalina con aumento di pressione, tachicardia, tremore, dispnea, verti- gini, tracce di glicosuria), si osservò normoreazione alla prova s. e. (nei tratti non lesi). La corrispondenza dei risultati fra la prova s. c. e quella s. e. risulta pertanto notevole nelle nostre investigazioni, facendo difetto in un sol caso, nel quale l’affezione interessava per l'appunto la cute. Gioverà moltiplicare queste prove di confronto particolarmente in condizioni morbose. Per quanto riguarda la pituitrina, il limite di reattività alla prova s. e in soggetti normali oscilla intorno alle diluizioni al 500. La reazione si è presentata rinforzata (cioè positiva anche a diluizioni al 1000 e superiori) in affezioni dell'ipofisi (positiva in un caso di nanismo ipofisario ed in uno di eunucoidismo; negativa in un caso di distrofia adiposo-genitale e in altro di adenoidismo ipofisario), in un caso (su 2) di morbo di Flajani-Basedow; ridotta in qualche caso di iposurrenalismo cronico (in 1 di 6 casi, tutti affetti da tbc. polin.). Un punto meritevole di essere approfondito, data l’identità del quadro delle due reazioni, era quello dei rapporti che corrono fra di esse: cioè se alle deviazioni dalla norma dell’una corrispondano deviazioni, nello stesso senso, dell’altra. Abbiamo rilevato in proposito che, se talora può esistere coincidenza fra la esaltata o ridotta capacità di reazione all’adrenalina ed alla pituitrina, altre volte le loro reazioni patologiche posson manifestarsi nettamente dissociate e perfino opposte. I risultati ottenuti in queste prove di orientamento incoraggiano ad estenderle ed indicano la possibilità di applicazioni alla pratica clinica. SALI RELAZIONI DI COMMISSIONI I Soci VersaRi, relatore, e Grassi, riferiscono sulla Memoria del prof. SerA: Sui rapporti della conformazione della base del cranio colle forme craniensi e colle strutture della faccia nelle razze umane. La rela- zione conclude col proporre, con alcune riserve, la inserzione del lavoro negli Atti accademici. Tale conclusione è approvata dalla Classe, salvo le riserve consuete. PERSONALE ACCADEMICO Il Corrisp. LEonARDI-CATTOLICA legge la seguente Commemorazione del Socio G. DALLA VEDOVA: La morte del Socio Gruseppe DALLA VEDOVA, professore emerito del- l’Università di Roma e senatore del regno, avvenuta il 21 settembre scorso, ha segnato un grave lutto per la scienza e particolarmente per la geografia. Di quanto affetto ed ammirazione fosse circondato il maestro, la cui figura esile e pensosa, come giustamente ha osservato un suo recente bio- grafo, ricordava Giuseppe Mazzini, lo provano i due volumi pubblicati in suo onore dai suoi numerosi discepoli ed amici. Il primo, edito nel 1908, in occasione del suo 50° anno d'insegnamento, è una raccolta d’autori diversì, sulla geografia e sulla storia della geografia; il secondo, edito nel 1914, fu offerto al maestro nella ricorrenza del suo 80° anno di età e contiene la maggior parte dei suoi scritti geografici, pubblicati nei 50 anni che corrono dal 1863 al 1913. Anche all’estero i meriti del Dalla Vedova vennero riconosciuti ed ap- prezzati. Le principali Società geografiche lo vollero iscritto nei loro albi, e nel 1907 il famoso Calendario di Gotha ne decretò la posizione nel mondo geo- grafico, pubblicando la sua biografia dettata da Filippo Porena, dopo di avere nei quattro numeri precedenti pubblicate quelle del Richthofen, del Markham, del Reclus e del Semenof: il che vuol dire che, come questi uomini insigni erano considerati i maggiori rappresentanti della geografia nei loro rispettivi paesi (Germania, Inghilterra, Francia e Russia). così il Dalla Vedova lo era nell'Italia. Sa Non a me certamente sarebbe toccato l'onore di questa commemorazione, { se l'Accademia, qualche mese dopo la morte del Dalla Vedova, non fosse stata colpita da un’altra e non meno dolorosa perdita. — 214 — Chi, infatti, meglio di Elia Millosevich, che fu allievo del Dalla Ve- dova, che per un lungo periodo e con lo stesso ardore collaborò con lui alla Società geografica italiana, che ne fu ammiratore e biografo, che ad una profonda e vasta cultura univa la parola forbita, chi meglio del Millosevich, dico, avrebbe potuto parlarvi dello scienziato e dell’uomo? Modesto cultore di discipline nautiche e di astronomia geodetica, so di non avere la compe- tenza specifica per un tal còmpito; e non avrei osato di accettarlo, se una considerazione non mi facesse sperare che nell’assolverlo non mi mancherà la vostra benevola indulgenza. In parecchie pubblicazioni (tra cui citerò: / marinai dell’ Adriatico nelle regioni polari; Cenni storici sulle esplorazioni artiche; I progressi della geografia nel secolo XIX; L’oceanografia; Giacomo Bove; I recenti lutti della Società geografica italiana) il Dalla Vedova ha illustrato con grande amore le benemerenze di non pochi uomini di mare, nel campo della geografia. Per questo è parso a me non inopportuno che un marinaio, che ha l'onore di sedere tra voi, ricordasse con sentimento di viva gratitudine, se pure con scarsa autorità, l’opera del nostro compianto Socio, alla cui me- moria egli è legato anche da un recente ricordo. Nello scorso agosto, aderendo alla mia preghiera, il professore si era impegnato di mandarmi un pensiero augurale per una rivista marittima d'imminente pubblicazione. Lo scritto, che dopo il suo decesso mi fu con gentile pensiero consegnato dal figliuolo prof. Riccardo, dimostra che, quando la mano del maestro vergò quei frammenti, la mente era già alquanto an- nebbiata dal male che lo trasse alla tomba; ma rivela pure che anche negli ultimi giorni il mare, con la sua grandiosità, con la sua bellezza, coi suoi tesori e con i suoi segreti, esercitò una forte suggestione sullo spirito del geografo. PE, Giuseppe Dalla Vedova nacque nel 1834 a Padova, e vi compì gli studî classici secondarî; fece gli studî superiori all'università di Vienna, dove ebbe per maestro Federico Simony, valoroso geologo e geografo. Cominciò ad in- segnare geografia, nel 1858, al ginnasio di Santa Caterina, oggi Marco Fo- scarini, di Venezia. Passò poscia al ginnasio-liceo di Padova e nel 1872 fu nominato straordinario di geografia in quell'università. Tre anni più tardi il Bonghi, ministro della pubblica istruzione, lo chiamò a Roma e gli affidò la direzione del museo d’istruzione e di educazione, che, fondato dallo stesso Bonghi e dal Finali, ministro di agricoltura, industria e commercio, ebbe disgraziatamente brevissima vita. Nel 1878 il Dalla Vedova fu promosso ordinario nell’ Università di di Roma, ne fu rettore e per due volte fu membro del Consiglio superiore della pubblica istruzione. Era accademico dei Lincei dal 1903, senatore dal 1909. — 215 — Fin dal 1877 egli era stato nominato segretario generale della Società geografica italiana, che, fondata a Firenze nel 1867, erasi trasferita, con la capitale, a Roma. Il Dalla Vedova tenne quell’ ufficio per 19 anni; ma la sua influenza sullo andamento della Società geografica si protrasse per altri dieci anni, perchè, dopo aver rinunziato a quel posto, fu per cinque anni se- gretario onorario e per altri cinque anni presidente della Società stessa. * * *% All'epoca in cui il Dalla Vedova cominciò ad esplicare la sua attività scientifica (il suo primo lavoro è del 1863), il livello degli studî geografici in Italia era così basso da giustificare quello che un distinto geografo, Vi- vien de Saint Martin, aveva affermato nell'Annee géographique del 1863: che, cioè, nel movimento scientifico geografico, l'Italia non contava nulla. Pochi, infatti, erano al corrente di quel movimento e seguivano i pro- gressi fatti dalla geografia, specialmente in Germania: da noi questa disci- plina, non ancora individuata nei suoi fini e nei suvi metodi, era tenuta in poco conto, e, mentre nelle scuole inferiori si riduceva ad un’arida descri- zione dei luoghi e ad un elenco di nomi e di cifre, nelle scuole superiori, quando non invadeva il campo delle scienze naturali, era considerata materia ausiliaria. Mb L'azione che il Dalla Vedova esercitò dalla cattedra e con gli scritti, a vantaggio della geografia, fu la più benefica che potesse desiderarsi, perchè non si svolse nel campo astratto, ma in quello dei bisogni immediati della scuola e della vita; e questo spiega altresi perchè la sua produzione scien- tifica, anzichè da poche e complesse opere, sia rappresentata da numerose Memorie, articoli e relazioni riguardanti argomenti diversi. Come ho già detto in principio, gli scritti geografici del Della Vedova furono ripubblicati nel 1914 in un unico volume nel quale, a seconda del loro carattere, sono divisi in quattro gruppi, così distinti: Metodologia e didattica geografica; Storia della geografia e geografia storica; Esplorazioni e viaggi in Africa; Commemorazioni. I lavori che ebbero maggior peso sul rinnovamento degli studî geografici sono naturalmente quelli del primo gruppo: farò speciale menzione dei tre più importanti. : L'articolo Za geografia ai nostrî giorni, pubblicato nel 1873 nella Nuova Antologia, è un quadro completo di quanto fino allora era stato fatto nel campo della geografia in tutti i paesi civili, per opera dei Governi, delle associazioni e dei privati. Secondo il Dalla Vedova, la geografia, nella concezione moderna, non deve limitarsi a descrivere i luoghi ed i loro prodotti, ma deve esaminare i fatti nelle loro cause e nei loro vicendevoli rapporti per determinare le — 216 — funzioni speciali di ogni regione. Per soddisfare a questo còmpito, la geo- grafia raccoglie da quasi tutte le altre scienze le dottrine più utili alle ge- neralità delle persone e le collega in un sistema razionale, diventando in tal modo l’intermediaria tra la scienza e il popolo. Lo studio della geografia locale è l'argomento di una conferenza te- nuta nel 1876 al museo d'istruzione e di educazione. Vi sono esposte le ragioni per le quali l'insegnamento della geografia nelle elassi clementari deve procedere dal particolare al generale, anzichè seguire l'ordine contrario, come fino ad allora si praticava. Si mettono in evi- denza i vantaggi dello studio della geografia locale, e si dimostra come sol- tanto prendendo a base questo studio sia possibile di fissare intuitivamente, misurare e ordinare ragionevolmente le cognizioni di fatto del mondo mate- riale e morale, necessarie alla scuola popolare. Il concetto scientifico e popolare della geografia è il tema trattato all'università di Roma nel discorso inaugurale dell'anno accademico 1880-81. Nella prima parte il Dalla Vedova ribadisce il concetto popolare della geografia, la quale, nelle scuole elementari, ha due notevoli uffici: uno sta nell’importanza pratica delle cognizioni; l’altro è quello di costituire un vin- colo facile e razionale, atto a riassumere e connettere i capisaldi degli studî naturali fra loro ed in un tutto coi sociali. Nella seconda parte del discorso l'oratore si occupa dello studio della geografia nella università; e dopo aver notato che, al pari di tutte le altre scienze, essa vi trova il doppio còmpito di formare i maestri e promuovere la scienza propriamente detta, si domanda se veramente esista una scienza geografica. Per rispondere al quesito, il Dalla Vedova ricorda i progressi degli studî metodologici della geografia, di cui precisa l'oggetto e il fine: oggetto è la superficie del nostro pianeta, nelle sue forme, nei suoi caratteri e nella distribuzione dei suoi fenomeni; fine è la ricerca del nesso casuale geografico, cioè la sintesi delle azioni e delle reazioni dei rapporti di ogni specie da cui dipendono, a cui si presta la loro distribuzione locale. Osserva che le scienze speciali hanno soppresso nello studio l’unità materiale e ideale della terra, che è poi il loro vasto campo d'indagine, donde la necessità di una scienza che riassuma tutti quegli ordini di fatti sotto un unico aspetto, se- condo il loro posto e la loro distribuzione sulla faccia del globo; e questa è la geografia scientifica, che può dividersi in due rami: morfologia geo- grafica e biologia geografica. Questo discorso del Dalla Vedova, notevole per dottrina e originalità, che rivela il progresso avvenuto dal 1873 al 1880 nel modo in cui egli concepiva la dottrina professata, è commentato dal Porena con queste parole: «e così l'Italia, entrata l’ultima nel dibattito sorto per definire il carattere scientifico della geografia, disse per merito del Dalla Vedova la più conclu- siva parola ». — 217 — Quanto finora ho detto si riferisce ai meriti scientifici e didattici del Dalla Vedova; ma vi è un'altra parte non meno importante della sua opera che devesi lumeggiare, ed è quella dedicata per quasi un trentennio alla So- cietà geografica italiana, al cui servizio egli mise non solo le sue eccezio- nali qualità tecniche di geografo, ma altresì quelle di consigliere e di ammi- nistratore. Egli diede al Bollettino e alle Memorie della Società un continuo e prezioso contributo anonimo, studiò i programmi delle spedizioni promosse dalla Società, raccolse il materiale informativo delle regioni da esplorare; diede istruzioni e suggerimenti a un grande numero di viaggiatori, dettò prefazioni a relazioni di viaggi, disegnò carte e si fece — come si è visto — narratore di quelle esplorazioni degli italiani nel continente nero, che costi- tuiscono una pagina gloriosa della nostra storia e contribuirono potentemente a convincere l'opinione pubblica della necessità, anche per l’Italia, di avere uno sviluppo coloniale. Per tutti questi titoli e per altri, che per brevità ometto, la Società geografica italiana decretò al Dalla Vedova la grande medaglia d'oro. Con la pubblicazione Za Soctetà geografica italiana e la sua opera nel XIX secolo, il Dalla Vedova ci ha dato la storia della Societa e della sua attività dall'epoca della sua fondazione fino al 1900. Fra le commemorazioni lette in questa Accademia, ricorderò quelle dei geografi Richthofen, Fischer e Hughes, e quella memorabile di Cristoforo Colombo, nel IV centenario della sua morte, in cui il Dalla Vedova dimo- strò quanto poco serie fossero le critiche mosse da taluni contro la cultura, contro -le qualità morali e contro l'originalità dell'impresa del grande ligure. La fama del Dalla Vedova, come si è visto, era definitivamente stabilita molti anni prima che egli mancasse ai vivi; ma non è senza interesse il rilevare . che tutti gli eminenti geografi che si sono pronunziati sulla sua opera, da Filippo Porena nel 1907 a Luigi Filippo De Magistris, a Cosimo Bertacchi, infine a Roberto Almagià (che nello scorso gennaio ha commemorato il suo maestro, al quale è succeduto sulla cattedra universitaria), sono pie- namente concordi nel. proclamare Giuseppe Dalla Vedova il principale rifor- matore della geografia in Italia, per avere più di ogni altro contribuito ad elevare quella dottrina e a darle il carattere scientifico e etico che le spetta. Dieci anni or sono il Dalla Vedova, commemorando un suo illustre collega, Giovanni Marinelli, esordiva con queste parole: « quando l'età de- clina e per richiami sempre nuovi si desta nell'animo il pensiero che non sia molto lontana la fine, è di gran sollievo la speranza che il frutto delle vostre fatiche non si dileguerà insieme con le vostre forze, con voi, ma che, dopo di voi, esso troverà chi lo raccolga, chi lo apprezzi, chi lo fecondi e lo perpetui ». Eogge: Giuseppe Dalla Vedova ha avuto la suprema soddisfazione di constatare che, per lui, tale speranza era certezza, imperocchè i suoi degni discepoli custodiscono religiosamente la sua eredità scientifica per tramandarla accre- sciuta, ed alla sua memoria si rivolge l’omaggio riverente e grato non solo degli uomini di studio, e particolarmente dei cultori della geografia, ma di tutti gli italiani, perchè Giuseppe Dalla Vedova assolse nobilmente il più alto degli apostolati: quello di insegnare a conoscere, ad amare e ad ono- rare la patria. Il Corrisp. BaGLIONI, legge la seguente Commemorazione del Socio L. LUCIANI: Nacque Luigi Luciani in Ascoli Piceno il 23 novembre 1840 da Se- rafino Luciani e da Aurora Vecchi. La madre, per la quale ebbe tenerissimo affetto e devozione, della nobile famiglia Vecchi di Fermo, fu sorella del noto scrittore e grande patriotta Candido Augusto Vecchi. Ebbe l'istruzione elementare in patria da un maestro privato, e l’ istru- zione media presso i gesuiti, acquistando già fin da allora notorietà, tra i condiscepoli, di intelligente e studioso. Nel 1860, terminati gli studî medii, avrebbe potuto accedere ad una Università, ma (lasciò scritto in un’autobiografia inedita) «i rivolgimenti « politici e le idee nuovissime, che allora entrarono in circolazione, colpi- « rono ed attrassero sì vivamente tutto il mio spirito, che rimasi in patria « altri due anni ad occuparmi di politica, di letteratura ed in specie di « filosofia. Il mio temperamento mi faceva prediligere quest'ultima; io in- « fatti sono portato a rendermi conto e dominare le impressioni del mondo « esterno, più che a subirle a lungo e contemplarie in astratto ». Il motivo più forte per l'interruzione degli studî fu piuttosto la ri- strettezza economica della famiglia. Tentò in quell'epoca persino un con- corso a segretario comunale, che fortunatamente non vinse. Nel novembre del 1862, « ripiena la mente della critica della ragion pura », potè recarsi a Bologna; percorse con ardore in quella Università il primo bienno degli studî medici, e, dopo aver frequentato il terzo anno nel- la Università di Napoli, a Bologna completò il corso medico sino alla laurea e fece le prime armi nella spinosa carriera della scienza e dell’insegnamento. Per un anno e mezzo fu proassistente nella clinica oculistica del Magni. Laureatosi nell'estate del '68, nel novembre dello stesso anno fu inca- ricato delle funzioni di operatore nel laboratorio di fisiologia a Bologna, diretto dal Vella; nell'ottobre del '69 fu nominato operatore effettivo, e poi fu più volte confermato in questa qualità fino al novembre del 1874. urne. >.0°, — 219 — Dal marzo del 1872 fino al novembre del ’73 soggiornò a Lipsia presso l'Istituto fisiologico del Ludwig. Tornato a Bologna e ottenuta la libera docenza in patologia generale, fu nel 1873 incaricato di un corso straordinario di patologia sperimentale. Nel 1875 fu nominato professore straordinario della cattedra di patologia generale nella R. Università di Parma; dall'80 all'82 fu professore di fisio- logia a Siena; dall’82 al 93 a Firenze; dal 95 al 1917 a Roma, dove, pro- fessore emerito, il 23 giugno 1919, si spense, dopo lunga e penosa malattia del sistema urinario, sopportata con filosofica rassegnazione, in mezzo al compianto dei parenti, della famiglia medica e della scienza italiana. Dal 1895 Socio nazionale di questa R. Accademia dei Lincei, che nel 1891 gli aveva conferito il massimo premio reale per la sua istologia del cervelletto; per due quinquennii eletto al Consiglio superiore dell'istruzione; dal 1905 senator» del Regno; dal 1902 Socio nazionale della Società ita- liana delle scienze detta dei XL; per due anni (1898 e 1899) eletto ret- tore della R. Università di Roma; insignito delle più alte onorificenze. Moltissime Accademie nazionali e straniere ambirono averlo Socio: tra le prime, oltre le suddette, la R. Accademia medica di Roma (di cui fu vice- presidente), le RR. Accademie di Torino, di Napoli, dei Georgofili di Fi- renze; il R. Istituto Veneto; tra le seconde, l'Accademia Leopoldino-Caro- lina, la R. Accademia medica del Belgio, la società nevrologica di Londra, la Società di medi:ina di Vienna, l'Accademia di Scienze di Gottinga, di Amsterdam, e, su tutte, la massima Socie'à Reale di Londra. L'opera del Luciani si è svolta quasi esclusivamente nel vasto e diffi- cile campo delle scienze biologiche e mediche, nelle quali ha tracciato orme di sommo scienziato e di sommo maestro. La serie delle sue Memorie s’'inizia con una pubblicata nel 1864, inti tolata « Del plasticismo organico comparativo ». Scritta al 2° anno dei suoi studî di medicina, fu da lui sottoposta all'esame di Giovanni Franceschi (insegnante materia medica nell’ Università di Bologna), in torma di ma- noscritto. Il Franceschi la trovò degna di farla stampare ad insaputa del- l’autore. In questa Memoria dimostrava di conoscere tutte le più recenti ricerche e dottrine di fisiologia generale, che acquistava dalla lettura dei libri più che dall’insegnamento dei suoi maestri; e vi erano già i primi segni del suo acume critico e filosofico. La prima Memoria di argomento strettamente fisiologico è un sunto (oggi si direbbe rivista critica) di una Memoria di G. B. Ercolani « sui tessuti e gli organi erettili ». In essa (1869) è il primo accenno della dot- trina dell allungamento attivo degli elementi contrattili, ed è notevole che (trent'anni prima del Verworn) riconobbe nei movimenti delle amebe un fatto di analogia in appoggio a tale dottrina. RENDICONTI. 1920. Vol. XXIX, 1° Sem, 29 — 220 — Il primo e più importante frutto del periodo della vita scientifica, che (come egli scrisse) segna il passaggio fra gli studi puramente sui libri e le ricerche sperimentali di laboratorio, sono le due Memorie « dell'attività della diastole cardiaca » (1871) e « dei fenomeni cardiaco-vascolari della febbre e della infiammazione » (1872). La prima, che dedicò alla memoria di Giovanni Alfonso Borelli (« ini- ziatore della medicina meccanica e matematica, che tu la scuola dell’avve- nire, ma che già comincia ad essere del presente ») e che più tardi (vol. I, nel Trattato di fisiologia) segnalò « come primo atto della sua carriera scien- tifica, che alcuni giudicarono con eccessiva indulgenza ed altri condannarono con soverchia precipitazione », è un'entusiastica difesa della dottrina dell’at- tività diastolica, fondata su alcuni esperimenti rudimentali. Dopo aver introdotto un trequarti collegato con una cannula di vetro orizzontale aperta all’estremità, dalla punta del cuore nell'interno di un ventricolo, in un cane a torace aperto, osservava ad ogni sistole un getto di sangue e ad ogni diastole il corso retrogrado del sangue lungo la cannula. Quest'ultimo fatto dimostrava un'aspirazione dia- stolica, la quale si accresceva visibilmente, sia impedendo, mediante una pinza a pressione applicata alle pareti dell’atrio, l’effetto pressorio della discesa del sangue dall'atrio nel ventricolo, sia provocando il rallentamento dei battiti cardiaci colla stimolazione del vago. Un'altra serie di esperimenti ottenne riempiendo di latte la cavità pericardica, che metteva in comunicazione con un tubo di vetro orizzontale munito di un indice liquido. Osservava, così, che, durante la diastole, aumentava il volume totale del cuore; questo aumento diveniva molto maggiore quando stimolava leggermente il vago. Da questi esperimenti dedusse: Za diastole non è l’effetto della pressione venosa e della sistole auricolare: non è prodotta dal passivo rilasciamento della musculatura cardiaca, ma dipende, come la sistole, da un movimento attivo della medesima. La sistole dipende dalla contrazione del miocardio, e la diastole dalla estensione fistologica del medesimo. All'argomento dell'attività diastolica ebbe occasione di dedicare in se- guito una Rivista fisio-patologica (1874) e una risposta polemica alla cri- tica di Mosso e Pagliani (1876). Non è il caso di fare qui la storia di questa dottrina. Possiamo solo ricordare che essa oramai, meglio dimostrata da esperimenti più perfetti e decisivi (per opera specialmente di A. Stefani) (*), in una forma più esatta e concreta, è ammessa da tutti i fisiologi ed ha trovato applicazioni nella patologia cardiaca (°). Giungiamo così al periodo, che segna una vera svolta nella sua vita scientifica. (1) Cfr. A. Stefani, Contributi alla fisiologia del cuore e dei vasi, Memoria, R. Accad. dei Lincei, vol. XI, fasc. 12, an. 1916. (?) Cfr. E. Ebstein, Die Diastole des Hersens, Ergebnisse der Physiologie, III, 2 sez., 1914, pp. 123-194. « Dal principio di marzo 1872 fino al novembre ’73 pur conservando la mia qualità di assistente il fisiologia a Bologna, ebbi campo di recarmi a Lipsia per attendere a studî sperimentali presso l'Istituto fisiologico del- l'illustre prof. Ludwig. Questa mia andata in Germania segna l’epoca prin- cipale della mia vita scientifica, perchè ha lasciato nel mio spirito traccie profonde e incancellabili. Per un sentimento di gratitudine e di giustizia che non si estinguerà mai, io riconosco in Ludwig il mio vero maestro ». Per intendere l’importanza della metamorfosi allora subìta dal Luciani, è necessario far presente il periodo storico della scienza fisiologica e, più che fisiologica, medica italiana contemporanea. Dominavano e sì contendevano il campo due opposti sistemi di medicina, che per mezzo secolo tennero occu- pati maestri e discepoli: la dottrina del Rasori, derivazione dell’eccitabi- lismo inglese di G. Brown, e la dottrina del Bufalini che riuscì a scalzare la prima e a sostituirla. Gli effetti di questi due sistemi furono di eccitare il gusto alle polemiche e disquisizioni astratte, deviando le menti dal mo- desto ma frattuoso lavoro della ricerca scientifica, dell'esperimentazione fisio- logica. Fu allora una deplorevole lacuna, una fermata nella produzione fisiologica paesana, per cui rischiammo di smarrire le nobili tradizioni di Galvani, Spallanzani, Fontana, Rolando, Panizza. Col nostro risorgimento politico coincide presso a poco il risorgimento della fisiologia italiana. Salvatore Tommasi riconobbe e diffuse la superio- rità dello sperimentalismo, pur non producendo praticamente frutti di ri- cerca sperimentale: Matteucci, Maurizio Schiff, Moleschott, Oehl, Albini, Mantegazza, Albertoni (quasi tutti questi ultimi reduci dalla scuola tedesca), rappresentano col Luciani la schiera dei moderni sperimentatori italiani nel campo delle scienze mediche. Si riprese così la via luminosamente aperta due secoli prima da Ga- lileo, Realdo Colombo, Cesalpino, Redi. La mente del Luciani, che tendeva per naturale inclinazione alla spe- culazione filosofica, alimentata dall'ambiente e dagli studî preferiti, al con- tatto dello spirito pratico e scettico del fisiologo tedesco doveva natural- mente risentire il più benefico effetto. Si fusero le tendenze e qualità filo- sofiche con i frutti e le esigenze della severa scienza sperimentale, fusione la quale non concede nè ammette affermazioni senza la salda base dei fatti rigidamente osservati e, per prove e riprove, cimentati e controllati. Riconosciuta così nella sua origine la metamorfosi di questo grande ingegno e tenendo presente l'indomita ed instancabile sete di ricerca scien- tifica, è facile spiegare la grande importanza degli studî successivi e della sua opera informatrice di scienziato e di maestro. La scoperta che egli fece nel laboratorio di Ludwig, nota col nome di « fenomeno del Luciani », si riannoda agli studi sulla fisiologia gene- rale del cuore, intrapresi da Stannius, che culminavano nella questione circa —- 2229 — le cause determinanti l’attività automatica cardiaca, se cioò questa fosse miogena o neurogena. Il merito del Luciani consiste nell'aver dimostrato che, ripetendo gli esperimenti dello Stannius, si ottengono gli stessi fenomeni da esso descritti, facendo la legatura anche dopo aver introdotto nel cuore di rana una cannula semplice, la cui punta sporga nel ventricolo (ossia l’arresto dell'attività cardiaca applicando la legatura nell'àmbito degli atrî). Il Luciani vide inoltre che, se si riempie la cannula di siero fresco di co- niglio o di pecora, e si esercita con esso nell'interno del cuore una certa pressione, questo ricomincia a pulsare con forza, qualunque sia il punto della legatura. Applicò il metodo grafico per poter meglio studiare il decorso dell'attività cardiaca in queste condizioni, e potè così ottenere i tracciati di tre distinti fenomeni caratteristici, che sono la manifestazione di tre di- verse fasi dell'attività cardiaca prima del suo esaurimento (fenomeno del- l’accesso, fenomeno del ritmo periodico e fenomeno della crisi). Da queste osservazioni egli trasse importanti conclusiosi teoriche sulla natura dell’attività automatica cardiaca e che, in seguito, estese anche alla natura dell'attività automatica dei centri respiratorî, studiando il ritmo pe- riodico (fenomeno di Cheyne e Stokes). Tornato in patria, lo vediamo dapprima dedicarsi a ricerche di fisio- patologia. Dopo aver tenuto per due anni (1873-74) l'insegnamento (per inca- rico) di un corso straordinario di patologia sperimentale all’Università di Bologna, passò nel '75 a quella di Parma quale professore straordinario della stessa materia. Il periodo del soggiorno a Parma (1875-80) fu un periodo di difficoltà e di dolore. In un laboratorio privo di ogni mezzo, contrariato da una spia- cevole polemica, mossagli da due illustri scienziati di Torino, sull'attività diastolica, riuscì a /ortificarsi col lavoro, aiutato dall'amico e collega Tamburini, il quale gli accordò ospitalità e mezzi di studio nel manicomio di Reggio. Frutto di questo periodo furono i classici studî sulle localizza-. zioni cerebrali, studii che egli compì insieme col Tamburini e col Sep- pilli, dimostrando tra l'altro, che le aree eccitabili del cane si estendono anche alla porzione di corteccia introflessa del solco crociato e reagiscono agli stimoli meccanici. Ma specialmente a lui si deve la dottrina della patogenesi corticale dell’epilessia (1878). Non meno importanti sono i risul- tati ottenuti dagli esperimenti di estirpazione delle varie regioni corticali connesse con le funzioni sensoriali. Per l’analisi funzionale di questi centri utilizzò acconciamente i risultati delle osservazioni cliniche ed anatomo-pa- tologiche. Ancora uno dei soggetti fondamentali, a cui giunse in base alle sue ricerche ed osservazioni cliniche, merita ricordo, essendo stato più tardi ampiamente confermato: quello che si può definire « della natura mista sen- sitiva e motrice della zona eccitabile corticale ». Rug — 223 — Nel 1880, giunto a coprire la cattedra di fisiologia a Siena, quarantenne, vide finalmente coronata dal successo la sua più viva aspirazione. Seguì, dopo due anni, il periodo fiorentino (1882-93) in cui iniziò e portò a termine i suoi studi sperimentali più importanti: quello sulla fisiologia del di- giuno (1889) e l’altro sulla fisiologia del cervelletto (1891). Queste due monografie, divenute celebri nel campo degli studî nazionali e stranieri, non hanno soltanto il merito di contenere scoperte di fatti nuovi, basate su inoppugnabili osservazioni, logicamente interpretate, ma anche il non minor merito di essere condotte con profondo acume critico e coordinate in un saldo corpo dottrinale. Esse accoppiano al valore immanente di addure fatti nuovi, il pregio di poter essere assunte come modello per ogni altra ricerca fisiologica di argomenti diversi. Questo periodo segna anche il fiorire della scuola: emulando il Ludwig e seguendo la sua naturale tendenza, cercò sempre di scegliere, tra i suoi allievi, i migliori, per incitarli, dirigerli ed entusiasmarli negli studî speri- mentali di fisiologia. Fu il periodo, come egli scrisse, dei migliori anni goduti « nella pace e tranquillità di quel vasto Istituto fisiologico, ove vivevo nascosto tutto il giorno, come un asceta, a pensare, a strologare, a lavorare sul vivo, a discu- tere, talora a leticare (sempre però col sorriso sulle labbra) con ì miei gio- vani amici e collaboratori, mai di politica, ma di scienza sempre, che assai più eccitava la nostra mente e il nostro cuore, talora anche di arte e di letteratura che hanno parentele e colleganze con la scienza della vita mag- giori di quelle che il volgo sa immaginare ». La monogcafia sulla fisiologia del digiuno (studì sull'uomo) fu prece- duta da un'altra sul decorso dell’inanizione, studiata sperimentalmente sugli animali (1882). Lo studio, compiuto sul digiunatore Succi, che per 30 giorni si astenne dall'’assumere cibi, è il primo studio fondamentale e completo suil’argomento. Coll’aiuto dei suoi allievi, indagò le modificazioni subìte dalle grandi funzioni (circolatoria, respiratoria, termica, cenestesica, ecc,), il con- sumo dei tessuti, il deficit giornaliero, lo scambio materiale e respiratorio. Questi dati, insieme con quelli delle sue precedenti ricerche sperimentali, utilizzò come base per formulare una dottrina generale dell’inanizione, che ancora oggi regge brillantemente-alla critica (*), avendo le successive ricerche soltanto chiarito alcuni punti controversi. Basta ricordare che la sua mono- grafia è servita di modello alla più ampia e recente monografia sull’argo mento, quella del Benedict ( 912-1915) (?). Il Luciani distinse, nel processo dell’inanizione, tre fasi o periodi: il breve periodo iniziale della /ame, di durata e di intensità diversa, nei (*) Cfr. A. Lipschiitz, Zur ally. Physiologie des Hungers, Braunschweig Vieweg, 1915. (3) F. G. Benedict, A study of prolovged fastiag, Washington, 1915. = gog ii diversi individui, caratterizzato dal fatto che il consumo e le funzioni del- l'organismo sono più o meno profondamente alterate, specialmente per effetto degli stimoli della fame; il lungo periodo di inanizione fisiologica, carat- terizzato solo da una graduale diminuzione del consumo giornaliero e da una correlativa diminuzione della termogenesi; infine il periodo della 7ra- nizione morbosa 0 crisi, che precede la morte ed in cui si manifestano lieve aumento della temperatura, vomito, diarrea, collasso. È al secondo periodo, di inanizione fisiologica, che rivolse la maggiore attenzione, come al periodo più importante dal punto di vista della fisiologia generale. Vide che le grandi tunzioni (termo-regolazione, regimi circolatorio e respiratorio, attività ner- veo-muscolari, cenestesi) si conservano nei limiti delle normali oscillazioni. Tutte le secrezioni digestive sono sospese; mentre continuano normali le secrezioni degli emuntorii (dell’orina e del sudore, della bile e del mucco), diminuisce progressivamente la quantità dell'azoto, solfo e fosforo emessi coll'urina, mentre la quantità relativa del fosforo rispetto all'azoto progres- sivamente aumenta. Va sempre più scemando il consumo della propria carne; si mantiene quasi costante il consumo del proprio grasso finchè non sia prossima ad esaurirsene la provvista. Diminuisce la produzione e la disper- sione del calore. Ha luogo una liquidazione di diverso grado dei diversi tes- suti, compreso il tessuto osseo; gli eritrociti e il sistema nervoso la subi- scono in grado minimo. Dal fatto che la curva della diminuzione del peso complessivo ha l'andatura di una iperbole equilatera, trae argomento per ammettere che la somma delle perdite che l'organismo subisce durante l’inedia sia in qualche modo regolata; il sistema regolatore è rappresentato dal sistema nervoso. Il quale per l'appunto è quella parte privilegiata del- l'organismo che meno di tutte le altre si consuma per effetto dell’inedia protratta fino alla morte, perchè le sue perdite sono riparate a misura che si producono, a spese degli altri tessuti che si vanno liquidando grado a grado, come in una specie di lotta per l’esistenza, nella quale il sistema nervoso riesce trionfatore. Non meno importanti sono altre dottrine che sotto la sua guida gli allievi poterono dimostrare. Ricordo la spiegazione che egli nel 1884 suggerì al Colzi circa gli effetti dell’estirpazione dell'apparecchio tiro-paratiroideo nei cani, che fossero cioè dovuti ad auto-intossicazione, per materiali tossici accumu- latisi nell'animale operato, e che infatti vide scomparire dopo la trasfu- sione del sangue normale. Questa dottrina della patogenesi tireo-priva regge ancora oggi, più specialmente applicata agli effetti della paratiroidectomia. La seconda serie di ricerche sperimentali del periodo fiorentino è quella dedicata alla fisiologia del cervelletto, frutto di sette anni di fecondo lavoro. I meriti principali di questo celebre studio consistono specialmente nel- l'avere intraprese le sue ricerche sul cervelletto dei mammiferi superiori sì DECONEI AA (4) (cani e scimmie, nei quali lo sviluppo dell'organo è maggiore e più prossimo a quello dell'uomo), raramente assunti fino allora a soggetti di indagine per le difficoltà tecniche dell’esperimentazione. Il Ferrier aveva giudicato ‘mpos- sibile di conservare in vita i mammiferi dopo la distruzione del cervelletto. Ma, in seguito alle pubblicazioni del Luciani, riconobbe di essersi ingannato, affermando che Luciani fu « 7 priémo, con esperimenti abilmente ideati e bene eseguiti, a studiare per lunghi periodi di tempo i sintomi consecutivi alla completa o parziale estirpazione del cervelletto, negli animali più ele- vati, cioè cani e scimmie ». Ciò egli dovè alla sua singolare perizia tecnica nelle operazioni chirur- giche e all'applicazione dei più scrupolosi mezzi asettiei. Il secondo merito consiste nell'avere accuratamente analizzato i com - plessi sintomi dovuti all'estirpazione, servendosi anche di tutti i più fini accorgimenti tecnici. Finalmente, un altro merito consiste nell'avere con pro- fonda critica vagliato l'importanza dei varî fenomeni, utilizzandoli accon- ciamente per la formulazione di una dottrina unitaria completa e soddisfa- cente sulla funzione cerebellare che, come è noto, fu accolta quasi unani- memente e ancora oggi saldamente regge ad ogni critica. Nel recentissimo studio di Gordon Holmes (') su soldati inglesi, che nella guerra mondiale riportarono lesioni cerebeliari, la dottrina del Luciani ha trovato, possiamo dire, una quasi completa ed assoluta conferma. Chiamato ad unanimità dalla Facoltà medica di Roma a coprire la cattedra del Moleschott (1893), l’infelicità degli ambienti del nuovo Istituto, mancante delle comodità necessarie per certe ricerche, e la sua malferma salute, divenuta oscillante per lievi cagioni esterne (un catarro bronchiale ribelle ad ogni cura lo tormentò in tutti gli inverni dell’ultimo ventennio di sua vita) gli impedirono di continuare le ricerche sperimentali. Ma ri- parò mirabilmente, intraprendendo e portando a termine un'opera non meno importante: il suo classico trattato sulla iscologia dell'uomo, a cui dedicò tutte l’energie degli ultimi suoi venticinque anni di vita. Il successo di quest'opera fu tale che, sebbene di vasta mole (cinque grossi volumi), si è sentito il bisogno, in Italia, di ripubblicarla in cinque edizioni successive; ed è stata tradotta nelle lingue spagnuola, tedesca ed inglese. Tale successo è dovuto ai pregi dell'opera che forma un edifizio gra- nitico ed armonico, in cui le parti non sono agglomerate, ma, per intima coesione, coordinate in un'opera unica inscindibile. Non arida esposizione di fatti e di pensieri singoli indipendenti slegati, sicut membra disiecta, ma armonica concatenazione di fenomeni e di concetti, uniti insieme da un le- (') Cfr. Gordon Holmes, 7'he symptoms of acute cerebellar injuries due to Gunshot injuries: Brain, vol. X, 1917, pag. 461. © — 226 — game comune, che, come un filo conduttore, li congiunge e li ordina. Per- fetto riscontro all'organismo vivente, costituito da una molteplice compagine di organi con funzioni distinte, ma tutte cooperanti allo scopo comune del benessere del corpo e dello spirito. Nella discussione dei singoli argomenti e delle diverse dottrine e ipo- tesi, subordina la loro soluzione a quella delle più ampie e più generali questioni della vita che, come i motivi tematici di un'opera musicale, richia- mano alla mente analizzante la grande trama e l'ossatura fondamentale sintetica. Un altro pregio consiste nell’aver trasformato la trattazione dottrinale di una scienza severa ed arida in un'opera artistica, che si legge con lo stesso interesse di una bella opera letteraria. La nostra lingna è usata con quella pulitezza e proprietà che purtroppo invano si cercano nei libri scientifici. Questa dote egli deve non solo alla sua educazione letteraria e classica del- l'età giovanile, ma anche al soggigrno fiorentino. Il sentimento patriottico ha però altre soddisfazioni nell'opera del Lu- ciani: oltre quella di aver dato all'Italia un trattato, di cui si sentiva ge- neralmente la mancanza, l'altra di aver messo in giusto rilievo l’opera, spesso ignorata, degli osservatori e pensatori italiani. I meriti dell'insegnante vanno molto di là di quelli di un maestro dotato, come egli era, di parola calda, affascinatrice, ssorgante e avvalorata dalla maestosa e veneranda figura, nota a quanti medici e biologi, nelle Università ove insegnò, ebbero la ventura di udirlo parlare dalla cattedra. Questi meriti sono effettivamente moltiplicati se si pensa alla falange di studiosi italiani e stranieri che attingono alla miniera di nozioni del suo trattato. Egli, così, validamente contribuisce ad elevare la cultura biologica e me- dica delle viventi generazioni di professionisti. Tanto nelle ricerche speri- mentali, quanto nell'insegnamento, fu ispirato dal concetto fondamentale (da lui ripetutamente espresso) di addestrare i medici a pensare fisiologica- mente, convinto della unità della scienza medica in generale e della inse- parabilità della fisiologia dalla patologia in ispecie. Nè la sua opera si limitò a questo. Conseio che alla fisiologia spetta un compito ancor più grave (raccogliendo essa nelle sue varie branche di biochimica e di biotisica, teorica ed applicata, il vastissimo campo della scienza della vita, studiato con i metodi sperimentali obiettivi ed intro- spettivi), si occupò di argomenti di fisiologia generale, di fisiologia compa- rata, di fisiologia del linguaggio e di fisio-psicologia. Le sue prolusioni (evoluzione storica dei principî; i preludii della vita; la fisiologia e la scienza sociale; lo svolgimento storico della fisiologia), le sue ricerche sperimentali sui bachi da seta, gli studî di fonetica sperimentale, dimostrano il suo in- teressamento ai più svariati problemi della fisiologia. — 227 — Aperta la mente dall'età più giovine ai problemi ed al culto della fisiologia, Luigi Luciani si mantenne filosofo nel senso etimologico più bello e moderno della parola. Amante della scienza, della sua scienza. Dotato di vivissimo intelletto, di singolare perizia tecnica che gli per- metteva di compiere le più audaci operazioni chirurgiche sulle parti meno accessibili dei centri nervosi, dotato di instancabile attività, avrebbe potuto, solo se avesse voluto dedicare parte della sua giornata alla pratica profes- sione, con la più grande facilità raggiungere cospicua posizione economica. Ma non volle. Era attratto, irrestibilmente attratto solo dalle pure soddis- fazioni ideali della sua scienza. Non è mio merito, diceva, non fo altro che seguire fedelmente i miei istinti. Ma noi, alia sua scomparsa, dobbiamo celebrare e benedire e augurare che uomini con siffatti istinti nascano e prosperino nella maggior copia possibile. Non folli, come li direbbe quasi il volgo profano, ma eroi del pen- siero e dell'intelletto; sempre più rari. quasi leggendarî, in tanto dilagare di materiali egoismi. PUBBLICAZIONI SCENTIFICHE IN ORDINE CRONOLOGICO. 1. Del plasticismo organico comparativo, pag. 68. Con una presentazione di Giovanni Franceschi (Fano, pei tipi di Giovanni Lana, 1864). 2. Analisi fisiopatologica del tetano. Dissertazione per la laurea e libero esercizio me- dico-chirurgico (Rivista clinica di Bologna, 1868). 3. Dell'uso del curaro contro il blefarospasmo e la fotofobia. Considerazioni diagnosti- che e terapeutiche (ibid., 1869). 4. Un caso diembolie delle arterie centrali delle retine. Processo diagnostico (Ibid. 1869). 5. Della cura successiva alla strabotomia. (Ibid., 1869). 6. Dei tessuti e degli organi erettili. Rivista anatomo-fisiologica (ibid., 1869). 7. Dell'attività della diastole cardiaca., rilevata dai suoi eftetti e dalle potenze nerveo- muscolari che la promuovono. Studî critico-sperimentali (ibid., 1871). 8. Dell’attività della diastole cardiaca. Risposta ad una rivista critica del prof. Le- moigne (Annali universali di medicina, nov. 1871). 9. Dei fenomeni cardiaco-vascolari della febbre e della infiammazione. Rivista (ibid.,1872). 10. Fine periodische Function des isolirten Froscherzens (Berichte der Kin. Stichs. Ge- sellschaft der Wissenschaften. 1873). 11. Sulla fisiologia degli organi centrali del cuore. Indagini sperimentali sulle rane fatte nell'Istituto fisiologico di Lipsia (Rivista clinica di Bologna, 1873). 12. Morbi simpliciores. Prelezione al corso di fisiologia patologica (Ibid., 1874). 13. Sulla dottrina dell'attività diastolica. Rivista fisio-patologica (ibid., 1874). 14. Nuovo metodo per la trasfusione diretta del sangue da animale ad uomo (ibid., 1874). 15. Sulla natura funzionale del centro respiratorio. Ricerche sperimentali in collabora- zione con G. Pratilli (ibid, 1874). 16. Nutrizione. (Ch. fisiologica). Articolo inserito nella Encicopledia chimica del Selmi (Anno 1874). ReENDICONTI, 1920, Vol. XXIX, 1° Sem. 30 17. 18. Ji9: 20. 21, 22. 23. 24. 20. 26. 27. 28. 29. 30. 31. 32. 33. 34. 35. 36. 37. 38. 39. 40. — 298 — Osmosi. (Fisica fisiologica). Articolo (Ibid., 1874). Le prime questioni patologiche. Prelezioni al corso di patologia generale nella R. Università di Parma (1875). } Sulla evoluzione storica dei principi. Discorso inaugurale per la riapertura della Università di Parma (1875-1876). Risposta alla critica sperimentale dell'attività diastolica dei dottori Mosso e Pa- gliani (Rivista clinica di Bologna, 1876). Delle oscillazioni della pressione intratoracica e intraddominale. Studio sperimen- tale (Archivio per le scienze mediche, anno 2°, fasc. 2° e 39, Torino 1877). Sui centri psico-motorî corticali. Ricerche sperimentali (in collaborazione con A. Tam- burini) (Rivista sperimentale di freniatria e di medicina legale, Reggio Emilia 1878). Sulla patogenesi della epilessia. Studio critico sperimentale (ibid., anno 49, 1878). Sui centri psico-sensorii corticali. Ricerche sperimentali (in collaborazione con A. Tamburini) (ibid., 1879, e Rend. R. Istituto Lombardo, sez. 2?, vol. 12). Idem. Comunicazione preventiva letta al R. Istituto Lombardo nell’adunanza del 16 gennaio (Milano, 1879). Studî clinici sui centri sensorii corticali. Comunicazione preventiva (in collabora- zione con A. Tamburini (Annali universali di medicina e chirurgia, vol. 247, Mi- lano 1879). Del fenomeno di Cheyne e Stokes, in ordine alla dottrina del ritmo respiratorio. Studio critico sperimentale (Lo Sperimentale, Firenze 1879). I centri psico-motorii della corteccia cerebrale della scimmia. Dimostrazione speri- mentale (Archivio italiano per le malattie nervose, fase. 1°, anno 1881). La fisiologia del sistema nervoso nelle sue relazioni coi fatti psichici del prof. M. Pa- nizza. Roma, 1880. (Rivista sperimentale di feniatria e di medicina legale; anno VII, 1881, fasc. I-II). La fisiologia e la scienza sociale. Discorso inaugurale di riapertura della R. Uni- versità di Siena. nell'anno accademico 1880-81. (Siena, Tipografia Sordomuti, 1880). A proposito della riproduzione della milza. (Spallanzani: Rivista di scienze mediche e naturali, fasc. IX-X, anno X, serie 2°. Modena, tipi Vincenzi, 1881). Sul decorso dell’inanizione. Ricerche sperimentali (in collaborazione con G. Bufalini) (Arch. per le scienze mediche, V. 1882. 338-365). Sull’eccitamento meccanico dei centri motori corticali. (Milano, tipografia Rechiedei, 1884. Atti del 4° Congresso freniatrico italiano, Voghera, sett. 1883). Linee generali della fisiologia del cervelletto. Prima Memoria (Firenze, 1884, pub- blicazioni del R. Istituto di studi superiori). On the sensorial localisations on the cortea cerebri (Brain, XXVI, 1884). Sulla vita latente degli ovuli del baco da seta durante l'ibernazione. Ricerche spe- rimentali (Bullettino della Società entomologica italiana; anno XVII, Firenze, tipo- grafia Cenniniana, 1885). Ancora sulla ibernazione degli ovuli del baco da seta. Risposta alle note e appunti del prof. Verson (Bullettino società entomologica italiana; anno XVII, Firenze, 1885). Le localizzazioni funzionali del cervello. Monografia premiata dal R. Istituto Lom- bardo di scienze e lettere (in collaborazione col Seppilli) (Napoli, 1885, L. Vallardi). Relazione al sopraintendente del R. Istituto di studi superiori pratici e di perfe- zionamento în Firenze sulle visite fatte in Parigi allo stabilimento Pasteur, per la cura preventiva della rabbia (Firenze, coi tipi dei successori Le Monnier, 1886). Sui fenomeni respiratorii delle uova del bombice del gelso. Nuove ricerche speri- mentali (in collaborazione col Piutti) (Firenze, 1888, Bullettino della Società ento- mologica italiana). i id 42. 43. 44. 45. 46. 47. 48. 49 50 51. 52. — 229 — . Fisiologia del digiuno: studi sull'uomo. Pubblicazioni del R. Istituto di studî su- periori (Firenze, 1889, pag. 1-157). Traduzione tedesca (Hamburg und Leipzig, 1890. Verlag von Leopold Voss.). Il cervelletto: nuovi studi di fisiologia normale e patologica (Firenze, 1891. Pub- blicazioni del R. Istituto di studi superiori). l'raduzione tedesca (Leipzig, 1893, Verlag von Ed. Besold, Arthur Georgi). Nota critica alla memoria dei dottori Gallerani e Borgherini «sezione mediana antero-posteriore del verme del cervelletto » contributo allo studio della fisiologia del cervelletto » (Rivista sperimentale di freniatria e medicina legale, vol. 18, an. 1892). I preludii della vita. Discorso inaugurale (Firenze, 1893. Annuario del R. Istituto di studi superiori; Biol. Centralbl. 13, an. 1893). Sui fenomeni respiratorii della crisalide del bombice del gelso. Ricerche preliminari (in collaborazione col Lo Monaco) (1893, Atti della R. Accademia dei Georgofili, vol. XVI). Lo svolgimento storico della fisiologia. Prelezione al primo corso di fisiologia nella R. Università di Roma (Torino, 1894, Ermanno Loescher, editore). De l'influence quexercent les mutilations cérébelleuses sur l’excitabilité de l'écorce cérébrale et sur les réflexs spinaux. (Communication faite au Congrès international de biologie, tomo XXI, 1894). Giulio Ceradini (Bullettino della R. Accademia medica di Roma, anno XXI, fasc. 1°, 1894-95; Arch. ital. de biol., tomo XXII, 1894; ibid., tome XXIII, 1895; Die Natur, 44 Jahrgang. an. 1895, n. 30). . Carlo Ludwig (Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, vol. IV, 1895; Die Natur, 44 Jahrgang, an. 1895, n. 24). . I recenti studi sulla fisiologia del cervelletto, secondo il prof. David Ferrier. Retti- ficazioni e repliche (Rivista sperimentale di freniatria e di medicina legale, 1895, vol. XXI; Archives italiennes de biologie, 1895, tome XXIII; Biologisches Cen- tralblatt. B. XV, an. 1895). Il peso dei bozzoli del bombice del gelso dall'inizio della loro tessitura alla nascita delle farfalle (in collaborazione con Luigi l'arulli) (Atti della R. Accademia dei Georgofili, vol. 18, an. 1895). | Sui fenomeni respiratori delle larve del bombice del gelso. Ricerche sperimentali (in collaborazione con Lo Monaco) (Atti della R. Accademia dei Georgofili, serie 4, vol. XVIII, an. 1895; Archiv. ital. de biolog. XIII, 1895). 53. Luigi Pasteur (Il Policlinino, 1895), 64. Comunicazioni al II° Congresso nazionale di bacologia e sericoltura (Torino, tipo- grafia G. De Rossi, 1895). 55. Alcune ricerche comparative sulle principali acque clorurate di Montecatini (in 56. 57. collaborazione coi dott. U. Dutto e D. Lo Monaco) (Rend. R. Accad. Lincei, Classe scienze fisiche e naturali, vol. II, 2° serie, 1895, pag. 81-93). L’accrescimento progressivo in peso ed in azoto della larva del bombice del gelso în ordine all’ alimentazione occorrente nelle successive età (in collaborazione col Lo Monaco) (Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, vol. VI, 19 semestre, 1897; Arch. ital. de biol., 27, an. 1897, pag. 340). Dei mezzi di sterilizzazione delle bigattiere. Ricerche sperimentali (in collaborazione con Luigi Tarulli) (Atti della R. Accademia dei Georgofili, vol. 20, an. 1897). 58. Fisiologia dell'uomo (Milano, Società editrice libraria, 1% e 2 edizione, volumi quattro, 1901-1911; 33 e 4° ediziene, volumi cinque, 1908-1913; 5 edizione, vol. 8°, 1919. Traduzione spagnola, Virgili, Barcellona, 1905-1911; traduzione tedesca, E. Fi- scher, Jena, 1905-1911; traduzione inglese, Macmillan, London 1911-1917). SO 59. Giuseppe Colasanti (Archivio di farmacologia sperimentale e scienze affini, anno II, vol. II, fasc. II, 1903; Arch. ital. de biol, 39, an. 1903. pag 493-500). 60. Sulla genesi delle sensazioni della fame e della sete (Arch. de fisiol., III, 1906, pag. 541-546). 61. Vittorio Marchi (Archives italiennes de biologie, 1908, tome 49, pag. 149-152; Folia neurobiologica, Band I, 1908). 62. Per Angelo Mosso. Parole pronunciate nella tornata del senato del 5 dicembre 1910 (Roma, Forzani e C., tipografi del senato, 1910). 63. Per la riforma ortografica. (Atti della società italiana per il progresso delle scienze 48 riunione. Napoli, 1910). 64. Di una riforma ortografica busuta sulla fonetica fisiologica (Rivista pedagogica, anno 4°, I, fasc. III, 1910), 65. In occasione della legge per la fondazione dei ginnasi-licei moderni (Senato del Re- gno; tornata del 18 luglio 1911). 66. Angelo Camillo De Meis (Bollettino delle scienze mediche, anno LXXXIII, ser. III, vol. XII, Bolegna 1912). 67. Ancora sulla sfera visiva del mantello cerebrale dei cani. (Rend. R. Accad. dei Lincei, vol. XXI, 22 serie, 1912, pag. 427-493. Livre jubil. de Ch. Richet, 1912, pag. 273). 68. La questione del nuoto e del cammino in ordine alla dottrina del cervelletto. Ri- sposta al prof. Murri (Archivio di fisiologia, vol. XIV fasc. II, gennaio, 1916). OPERE PUBBLICATE IN OCCASIONE DI GIUBILEI. Ricerche di fisiologia e scienze affini. Dedicate in occasione del XXV anno del suo inse- gnamento (volume di pag. 418, Milano 1900). Ricerche eseguite nello istituto di farmacologia sperimentale e di chimica fisiologica, diretto da G. Colasanti (vol. V, dedicate nella stessa occasione, Roma, 1900). Le onoranze a Luigi Luciani; 3 maggio 1900 (Nuova Antologia del 1° giugno 1900: Ascoli Piceno, 29 aprile 1900). Onoranze a Luigi Luciani, in occasione del completamento della 4* edizione della « Fi- siologia umana » (21 giugno 19183). Il Presidente RòrtiI dà il triste annuncio della morte del Corrispondente prof. PIERANDREA SAccaRDO, avvenuta il 12 febbraio 1920; apparteneva il defunto all'Accademia, per la Botanica, sino dal 15 luglio 1904. Comunica inoltre la perdita del Socio straniero prof. GERONIMO GiorGIO ZEUTHEN, mancato ai vivi il 6 gennaio 1920; faceva parte il defunto dell’Accademia, per la Matematica, sino dal 21 luglio 1902. Il Socio CastELNUOvo ricorda gli importanti lavori scientifici dello ZEUTHEN, colle seguenti parole: « Lo Zeuthen seppe riempire la lunga vita con instancabile operosità. I suoi primi lavori risalgono al 1859, l’ultimo è di pochi mesì or sono. E son tutti lavori di alto pregio. A lui dobbiamo, nella geometria algebrica, risultati fondamentali concernenti in modo speciale la teoria delle corrispon- denze, la forma di curve e superficie dei primi ordini, la geometria nume- rativa, alla quale dedicò un trattato uscito sei anni fa. Ma il campo di ri- — 281 — cerche, che rese noto il suo nome ad un pubblico più largo, riguarda la storia della matematica. Egli pubblicò un aureo volumetto sulla matematica nel- l'antica Grecia e nel medio evo, e con numerose Memorie preparò e portò complementi a questo libro. Notevoli soprattutto le acute indagini su quel pe- riodo così interessante e poco noto che va dal 500 al 300 av. Cr., nel quale la mirabile unione del genio inventivo e dello spirito critico dei Greci creò la scienza razionale. I lavori dello Zeuthen, sempre geniali e profondi, ci portano qualche luce sulle fonti degli Elementi di Euclide. « Alla memoria di questo scienziato eminente, che amava l'Italia ed era legato da vincoli di amicizia coi nostri maggiori matematici, io mando, sicuro di interpretare il pensiero dei colleghi, un reverente saluto ». Il Socio PiRoTTA pronuncia affettuose parole in ricordo del compianto prof. Saccardo, che sarà specialmente commemorato in una delle prossime sedute, ricordandone i meriti scientifici e la costante opera dedicata all’inse- gnamento. Il PRESIDENTE comunica una lettera del Socio straniero LALLEMAND, il quale presenta all'Accademia le sue più vive condoglianze per la recente e dolorosa perdita dei Soci MiLLosEvIcH e REINA. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario CastELNUOvo presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando fra queste le seguenti dei Soci: VioLa, Trattato di cristallo- grafia; SiLvestRI, Descrizione e notizie del Ceroplastes sinensis D. Guerc. (Hemiptera, Coccidae); MiLLosEvicH F., Giacimenti italiani di minerali accessori per la siderurgia. Fa inoltre menzione della pubblica- zione del principe BonaPARTE: Notes ptéridologiques, VII; e del volume del dott. X. RasparL: Raspail et Pasteur. Trenie ans de critiques médi- cales et scientifiques; 1884-1914. Il Socio VoLTERRA presenta una Nota a stampa di cui il prof. LEBON fa omaggio all'Accademia, e che contiene la prefazione alla ristampa delle tavole dei numeri primi e della decomposizione dei numeri da 1 a 10 mila, del P. Giovanni Inghirami. COMUNICAZIONI VARIE Il Socio LuzzatTI, invitato a parlare con deferenti espressioni dal Presi- dente, fa una importante comunicazione intrattenendo la Classe degli studî del prof. GiroLaMo Azzi, libero docente di geografia fisica alla Università di Roma e appartenente all'Istituto internazionale d'agricoltura. L'on. Luzzatti sì diffonde su questi studî che riguardano la soluzione di fondamentali pro- — 232 — blemi di meteorologia agraria; parla inoltre dell’organizzazione che l’Azzi ha saputo istituire su larghe e lontane plaghe della terra allo scopo di esaminare per ora lo sviluppo del frumento ed i fattori da cui siffatto svi- luppo viene a dipendere. Il Socio Luzzatti conclude il proprio discorso col- l'invitare l'Accademia a dare un giudizio su queste indagini del prof. Azzi, che tanto interesse presentano per la scienza e per l'economia mondiale. Il Socio PrroTtA conferma le dichiarazioni dell’on. Luzzatti ed elogia gli studî dell’Azzi, dimostrandone, con varî particolari, il valore che hanno nel campo scientifico e pratico. In seguito alla proposta del Socio Fano, di stabilire il miglior modo con cui l'Accademia possa giudicare l’importanza delle ricerche dell’Azzi ed ‘ aiutarne l’opera, sorge una elevata discussione nella quale intervengono il Presidente RòITI, e i Soci VoLTtERRA, PATERNÒ e Grassi; e la Classe de- libera all'unanimità che una Commissione composta dei Soci: Luzzatti, Pirotta e De Marchi riferisca sollecitamente, con proposte d'indole pratica, a favore di una così nobile iniziativa della scienza italiana. G. C. — 233 — OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ ACCADEMIA presentate nella seduta del ? marzo 1920. Azzi. G. — Climatologia e fitogeografia (Estr. dalla « Rivista meteorico-agra- ria », anno XXXVI). Roma, 1915 8°, pp. 1-39. Azzi G. — Il problema meteorico agrario (Estr. da « Bollettino del Ministero di agricoltura, industria e commercio n, - serie 8) Roma, 1916. 8°, pp. 1-10. Azzi G. — ll raggruppamento degli ele- menti biologici e la biogeografia (Estr. dagli « Atti del X Congresso interna- zionale di geografia »). Roma, 1915. 8°, pp. 1-5. Azzi G. — L'organizzazione del servizio meteorico agrario (Estr. dal « Bollet- tino della unione delle cattedre am- bulanti di agricoltura italiane »). Ro- ma, 1919. 89, pp. 1-11. Azzi G. — Le piogge e gli anelli del le- gno (Estr. dal « Bollettino della So- cietà meteorologica italiana », anno 1917). Torino, 1919. 8°, pp. 1-7. Azzi G. — Le stagioni fenologiche in Ita- lia (Estr. dalla « Rivista meteorico- agraria », anno XXXV). Roma, 1914. 8°, pp. 1-23. Azzi G. — Le stagioni fenologiche nella penisola Scandinava (Estr. dal « Bol- lettino della Reale Società geografica italiana »). Roma, 19109. 8°, pp. 1-22. Azzi G. — Per la organizzazione di un servizio di meteorologia agraria (Estr. dalla « Rivista meteorico-agraria », «anni XXXII e XXXVII). Roma, 1912, 8°, pp. 1-72; 1917, pp. 1-66. Azzi G. — Quadro fenologico della Bul- garia (Estr. dal « Bollettino della Rea- le Società geografica italiana »). Roma, 1918. 8°, pp. 1-19. Azzi G. — The problem of agricoltural meteorology (repr. from the « Monthly Bulletin of agricultural intelligence and plant diseases », year IX). Rome, 1918. 8°, pp. 1-14. BaiLey S. I. — Oliver Clinton Weudell (1845-1912) (Reprint from the « Pro- ceedings of the american Academy of arts and sciences », vol. LIII, pp. 875-876). Boston. 8°, BonaAPARTE (le prince). — Notes ptéri- dologiques, fasc. VIII. Paris, 1919. 8°, pp. 1-197. FiearI F. — Prove di metalli col metodo dell'impronta in relazione agli altri normali metodi diretti. Torino, 1920. 8°, pp. i-xvI, 1-221. HeyNix A. — Essai d’olfatique physiolo- gigne. Bruxelles, 1919. 49, pp. 1-289. LeBon E. — P. Giovanni Inghirami de l’ordre « delle scuole pie ». Paris, 1919. 80. MitLosevica F. — Giacimenti italiani di minerali accessorii per la siderurgia (Estr. dagli « Atti della Società ita- liana per il progresso delle scienze »).- Roma, 1919. 8°, pp. 1-20. Musemeci Grasso F. — A quale cura de- vono essere sottoposti i sifilitici per potere guarire. Roma, 1919. 8°, pp. 1-15. Passerini N. — Anormale accrescimento dell’innesto in confronto del soggetto in alcuni mandorli coltivati. S. 1. e d. Passerini N. — Contributo allo studio della composizione : immediata delle cariossidi di granturco (Estr. dal « Bol- lettino della Società italiana per lo studio della alimentazione n, vol. I, pp 17-22). Firenze, 1919. 8°. PasserInIi N. — Di alcune esperienze su la conservazione delle uova (Estr. dal « Bollettino della società italiana per lo studio della alimentazione », vol. I, pp 22-30). Firenze, 1919. 8°. PasseRINI N. — Di un caso di saldatura — 234 — del tronco di una « quercus ilex L. » con quello di una « quercus robur l ». S. 1. e d. Passerini N. — Sul potere insetticida « Pyrethrum cinerariaefolium Trev. » coltivato a Firenze, in confronto con quello di alcune altre asteracee (Estr. dal « Nuovo giornale botanico italia- no n, vol. XXVI, pp. 30-45). Firenze, 1919, 8°. Passerini N. — Sulla necessità della va- lutazione quantitativa del carbonato calcare per determinare la natura dei terreni (Estr. dal « Bullettino della Società botanica italiana n). Firenze, 1917, 8°, pp. 1-0. Passerini N. — Influenza di alte tempe- rature sopra la vitalità dei semi di « Trachycarpus excelsa H. Weude n. S. L e d. Passerini. N. — Valutazione della con- posizione azotata nei foraggi (Extr. dagli « Annali di chimica applicata », vol. VI, pp. 162-164). Roma, 1919. 8°. Raspeno G. — I moderni apparati motori termo-elettrici per la propulsione delle navi (Estr. dal giornalo « l’Elettrotec- nicà »). Milano, 1919. 4°, pp. 1-17. RaspAIiL. — Trente ans de critiques médi- cales et scientifiques, 1884-1914. Paris, 1916. 8°, pp. 1-xvI, 1-527. SiLvestRI F. — Descrizione e notizie del « Ceroplastes simensis D. Guere » He- miptera, Coccidae) (Estr. dal « Bollet- tino del Laboratorio di zoologia gene- rale e agraria della R. scuola superiore di agricoltura in Portici n, vol. XIV). Portici, 1920. 8°, pp. 1-17 VioLa C. — Trattato di cristallografia. Milano, 1920. 8°, pp. 1-xv, 1-389. PC 1 Usb RENDICONTI — Marzo 1920. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA S80CI ® Seduta del 7 Marzo 1920. PRETI E ASI Ant 1 7 Hajorana. Sulla gravitazione . . .. . 5 ; .nebBag. 105 Chisini. Sulla rappresentazi ne analitica di una falda di una te aliante serie procedenti per le potenze fratte di due variabili (pres. dal Corrisp. Enriques) . » 170 Mattirolo. La flora del fossato di Palazzo Madama a Torino (*) ROLO TO. Cisotti. Sull’ integrazione dell'equazione caratteristica dei piccoli moti ondosi in un canale di qualunque profondità. II: Equazione del pelo libero (pres. dal Socio Levi-Civita). n.» Onicescu. Campo newtoniano viciniore ad un campo vettoriale assegnato (pres. /d.). . » 181 Tonelli. Sulla ricerca delle funzioni primitive (pres. dal Socio Pincherle) . È »n 186 Sabatini. Osservazioni sulle lave leucitiche del vulcano di Roccamonfina (pres. dal sue Viola) ; ; SERIE n° 191 Peyronel. Un rca rasata del RI non ancora ragno in Ttalia: Biepna: rospora terrestris (Sherb.) Peyr. (pres. dal Socio Cudoni) . » 194 Levi-Civita. Armonica viciniore ad una funzione assegnata . n 197 Perotti. L'azoto del gruppo cianico nella concimazione (pres. /d.) . n 206 Ascoli e Fagiuoli. Saggi farmacodinamici. A): La prova della i aiteinz B): To dii miche”(pres.-dal'Socio B. Grassi). 0.0.0. +. 0. 6 » 210 RELAZIONI DI COMMISSIONI Versari (relatore) e Grassi. Relazione sulla Memoria del prof. Sera, avente per titolo : « Sui rapporti della conformazione della base del cranio colle forme craniensi e colle strutture della faccia nelle razze umane ». . 5 » 213 PERSONALE ACCADEMICO Ia Leonardi-Cattolica. Commemorazione del Socio Dalla Vedova. . 2 c DEA” Baglioni. Commemorazione del Socio Zuciant . a n (218 Roiti. Annuncio della morte del Corrisp. Saccardo e Gol! Sucia ttaniero Zaia 7 » 230 È % (Segue ‘n quarta pagrna) E. Mancini, Cancelliere dell’ Accademia, responsabile. (*) Questo lavoro sarà pubblicato nei volumi delle Memorie. Castelnuovo. Pronuncia alcune parole in ricordo del Socio Zeuthen . . . +... . . Pag. 280 Pirotta. Ricorda i meriti scientifici del Corrisp. Saccardo » . LL... 281 Roiti (Presidente). Comunica le condoglianze inviate dal Socio straniero Lallemand per - la morte degli accademici Myllosevich-e Rena. CRE PRESENTAZIONE DI LIBRI Castelnuovo (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle dei Soci Viola, Silvestri, Millosevich F., una Babbo one del principe PeRenoni o e un volume del dott. Raspail . . . .. a RS AL Volterra. Presenta una Nota a stampa. de \profi Tibor è ‘nesparla: si I COMUNICAZIONI VARIE Luzzatti. Parla degli studi di meteorologia agraria del prof. Azzi, e invita l'Accademia aWdare Une giudizio SUNGISeSsi o. oe eee SL ae ei or Pirotta. Aggiunge alcune considerazioni sulla pirata degli stadi del prof, Azzi. — . Proposta del Socio Fano e deliberazione dell'Accademia. . . . ...°...... n. 282 BULLETTINO BIBLIOGRAFICO . . 0.0. 0.0.0. o ERRATA-CORRIGE [AAT A pag. 53 nelle colonne della tabella numerica alla indicazione Kgr./mm® agg. 107% X DELLA | REALE ACCADEMIA DEI LINCEI SERI BI OEINTIA- — RENDICONTIO Classe di scienze fisiche, matematiche e naturalf. Volume XXIX.° — Fascicoli 60° Sedute del 2A marzo, dell AL e 25 aprile 1920. 1° SEMESTRE. TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1920 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO A PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Ta %» Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle ‘pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltrei Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Renpiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da . Soci e estranei, nelle due sedute mensili del l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici ‘ fascicoli compongono un volume; due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon= denti non possono oltrepassare le 9 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a pagine 4!/s. 8. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci s Corrispondenti, e 30 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si.fanno nel seno dell’Acca» demia; tuttavia se Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. I. Le Note che oltrepassino i limiti indi cati al paragrafo precedente e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina illavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta a stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell'Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta, pubblica nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. i 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 80 se | estranei. La spesa di un numerodi copie in più che fosse richiesto, è mosse 2° carico degli autori. RE ALOE e RR) I RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 7 T—T—T——y—_—T"TrT—r—r_rr—r!— 0710 + dee + br 2 + (dove a, # è,) gli sviluppi che dànno i due rami 4 e 5. Si ponga anzitutto Y=YT CX — 090° — 0 — dp — dp 1 IX allora i due rami divengono VISO Yy\= de + der alati SIC sì ponga poi RA AI O DIC Ya=%Y (2) e i due rami divengono appunto Ya= 0 Ye = Ciò posto, si seghino le due falde con la quadrica (1) My + 9) = + — Gi (dove 4 verrà determinato poi in guisa che le sezioni restino interne alla ipersfera £) e si proiettino le intersezioni dal punto all'infinito dell'asse %, nello spazio a tre dimensioni ys = 0. La falda relativa alla retta y= 0, essendo data dal piano n= ya= 0, (1) Questa trasformazione è effettivamente regolare, perchè dà a funzione biunivoca di x, nell'intorno di 2x1 = 0. — 243 — viene segata dalla quadrica secondo un cerchio che si proietta nel cerchio Ly di equazioni (2) y=attat—(3) =0. Invece la falda relativa alla curva y= x” resta definita dalle equazioni da x r_-2 x? r PA pd ù (3) n=si-(5): 2+(/)@ a+. 1 NL (4) v=(f)etta—(j)ara (p)ertat. e la curva, sezione con la quadrica, viene proiettata nella curva Ly di equazioni [a -(p)era+ (fera ]+ Fa[(ara (ga Viii 2+(£ )eca— |> =aita-(2) (5) yi=at—(3)ta+(f jr Ci occorre ora far vedere che la linea L, è una linea chiusa che av- volge a spirale il cerchio La, precisamente ” volte. A tale oggetto osser- viamo anzitutto che la proiezione di Ly sul piano yy = 0 è la curva Ere att ai # tifo (erat Tea questa, per Z abbastanza piccolo, riesce composta di un ramo prossimo quanto si vuole al cerchio L, ed intersecato in due punti dalle rette per il punto H (x, = x, = 0), e di altri eventuali rami i quali tuttavia risultano quanto si voglia lontani dal detto cerchio e quindi non vengono ad appar- tenere all'intorno £ considerato. In secondo luogo si osservi che l'equazione (dd sian —(3) eta +(f)era=o rappresenta l’insieme delle 7 rette m, ms... m, passanti per il punto RENDICONTI. 1920. Vol. XXIX, 1° Sem. 32 — 244 — H=(00) e peri vertici di un poligono regolare di 27 lati di centro H: basta infatti confrontare l'equazione suddetta con l'equazione (m+ is ==1 che dà le radici 2r-esime dell'unità. Similmente l'equazione ca (rn rappresenta ancora r rette, x, %s... #,, passanti per l'origine H, e che si 3 : 6 TE: riducono alle precedenti mediante una rotazione di 79: « , come sì vede con- frontando con l’equazione (2 4a) ==. Ciò posto, è facile riconoscere che la curva Ly incontra il piano y,=0 in 2r punti, R, Rs... Rs,, i quali appartengono alle rette n, 72... %,, e che questi risultano alternativamente uno interno e l’altro esterno al cerchio Lu. Infatti, in primo luogo questi punti si ottengono facendo sistema delle due equazioni (5) e della y, =0, la quale, unita alla seconda delle (5), dà appunto r r si-(p)erte+({)ea =, sicchè essi appaiono appartenere alle rette 7; inoltre, poichè le rette x x ed m si alternano, nelle 2r regioni angolari determinate dalle m è alterna- tivamente positiva e negativa la funzione n=(f)era-(f)eat(f)eran «che si annulla sulle rette m; e poichè, in virtù della prima delle (5), in un punto R si ha 2 ipa tai-(3). secondochè Zys è positivo o negativo, questo punto sarà esterno o interno al cerchio L,; e da ciò segue il nostro enunciato. Si osservi, ora, che entrambe le curve L, ed L, restano invariate per - RITA : È È 2rr una rotazione dello spazio, intorno all'asse y,, di ampiezza pai Infine giova avvertire che il verso elicoidale, secondo cui Ly avvolge Les dipende dal segno di Z, e che d'altra parte si può deformare con conti- — 245 — muità L, in modo da invertire tale verso, il quale dunque potrà essere as- sunto ad arbitrio. Riconosciuta così la reciproca posizione delle linee chiuse L, ed Ly, veniamo all’esame delle sosti/uzioni corrispondenti, per dimostrare che esse sono permutabili col loro prodotto elevato alla r-esima potenza. Riferendoci alla figura (dove la linea Ly è ridotta ad una spezzata av- volgente appunto il cerchio L, r = 4 volte), sia 7, un cappio uscente da H e avvolgente L, (e quindi 4,) nel senso indicato dalla freccia, e sia 7} un altro cappio, giacente nel piano orizzontale y, = 0 cui appartiene il cer- chio L,, il quale avvolga, nel senso indicato, la linea Ly (e quindi 4). Ruotiamo il piano verticale, che contiene la Y,, di un angolo ni intorno all'asse del cerchio La, sicchè 11 cappio T, venga portato nel cappio 77. Indicando con A e B le sostituzioni relative ai cappî T, e T>, e con A, quella relativa a 77, si ha AG>BABae ; . 27 ; Si ruoti ora dello stesso angolo > 6 sempre intorno all'asse del cerchio La, il cappio TY), portandolo in un nuovo cappio T;, avvolgente an- cora Ly: avremo pure che la sostituzione relativa al nuovo cappio T°} vale B, =: A; BA7! . Indicando in generale con A; e B; le sostituzioni relative ai cappî T? e Tî trasformati di 7, e 7; mediante la rotazione di ampiezza 7 pd torno all'asse del cerchio La, avremo Ai BEAT 6 i Bisi - Aisi Bi AA . — 246 — Ora osserviamo che A, è la trasformata di A mediante il prodotto BA: infatti (BA) A‘{BA)rY=B/A ASA Bat = BABI e così pure è B, la trasformata di B mediante il prodotto BA: infatti B, = A BA7!= (BA B_) B(BA B-!) = (BA) B(A-! B_1) = (BA) B(BA)?. Vediamo ora che è in generale: Aj= (BA) A(BA)" B, = (BA)' B(BA)". Per dimostrare ciò, seguiremo il solito metodo dell’induzione completa, ammettendo vero l’enunciato per # e dimostrandolo per é + 1. Avremo dunque, per la prima delle (6), Ai+1= (BA) B(BA)-‘(BA)' A(BA)"(BA)' B-' (BA)? = (BA)' BAB-! (BA), e, poichè A=AAA1, Aiz1.=(BA)' (BAY A(A=:B=)/((B4)7 =1(B4) IA (BAIE Passando alla B;+,, per la seconda delle (6), avremo Bi: = (BA)! A(BA)-#1 (BA) B(BA)7*(BA)#L A7: (BA) L= = (BA)'*! A(BA)=! B(BA) A (BA)71 =(BA)fFI A AB BBAAC(BA)rti — (BA) BB) Ora, infine, essendo Ap == ABS possiamo concludere A = (BA) A(BA)"”" B= (BA) B(BA)”: cioè A e B sono permutabili con la (BA)"; che è quanto avevamo enunciato, 4. EseMPi. — Si consideri, nell'intorno del punto P,=(x=0,y=0), la funzione 4 definita prima dall’equazione f= st | xa{-y=0 e poi dalla (=y@+y +9 +#=0. — 247 — In entrambi i casi si hanno due curve di diramazione passanti per P;; ma nel primo è A —_ (21 Golvee 8y) , B = (21 7959) , BA = (81 Golcie ya); e nel secondo Ad —-(anss-) vd (e) BA (0) Si deduce che le due curve di diramazione debbono avere nel primo caso un contatto (v + 1)-punto, e (v — 1)-punto nel secondo, cosa che si verifica analiticamente in modo facile. E vale la pena di notare come i due casi si distinguano da ciò, che nel primo il punto P=(x=y= 0) è semplice, e nel secondo è doppio per la superficie Ed è infine chiaro come i due esempî siano caratteristici del caso in cui si ha contatto di una curva di diramazione relativa a un ciclo d'ordine », con un'altra relativa ad uno scambio non permutabile con esso. Geodesia. — Nuova soluzione del problema inverso del tras- porto delle coordinate lungo una geodetica. Nota di CoRRADINO MinEo, presentata dal Socio T. LeviI-CIVITA. Questa Nota sarà pubblicata in un prossimo fascicolo. Cristallografia. — Della forma cristallina della nitro-di-cloro-. acetanilide (*), . C.H,. NO, . CI. CI. NH (C,H30). I 2 6 5 Nota di MarIA DE AnoELIS, presentata dal Socio ARTINI. iusne==s120508% La sostanza fu preparata dal prof. Kérner clorurando con ipoclorito di calcio la meta-nitro-anilina. Acetilando poi mediante ebullizione con anidride acetica la miscela di aniline così ottenuta, la nitro-di-cloro-acetanilide 1.2.6.5 si può separare per cristallizzazione frazionata da alcool dalle altre tre nitro- cloro-acetanilidi che si formano insieme 7 »” cesa La sostanza è dimorfa: facendola c.istallizzare per lenta evaporazione da solventi diversi, come alcool etilico miscele di etere ed alcool, etere (3) Lavoro eseguito nel Labo-storiv di Mineralogia del Museo civico di storia natu» rale i. Milano, — 248 — acetico ecc., si ottiene una fase «, in cristalli prismatici, perfettamente sta- bile; per raffreddamento da soluzioni concentrate in acido acetico, o in clo- roformio, o anche meglio in miscela dei due, si ottiene qualche volta la formazione di cristalli dell'altra fase #, decisamente metastabile. I cristalli di questa seconda lasciati nella soluzione madre dopo qualche tempo si intor- bidano, e si trasformano in un aggregato di individui cristallini della fase stabile; anche estratti dalla soluzione e accuratamente asciugati, tendono a subire lentamente la stessa trasformazione; questo accade con molta maggiore facilità quando si rompano o si stacchino uno dall'altro, se aggruppati, in modo Fic. l. Fia. 2. da aprire qualche inclusione di soluzione madre. L'innalzamento di tempe- ratura facilita ed accelera pure la trasformazione. Soprattutto quando si vo- gliano ottenere cristalli di questa fase è assolutamente necessario evitare la presenza anche delle minime tracce della modificazione prismatica stabile. Sembra che relativamente più facile sia l’ottenere i cristalli 8 da solventi nei quali la solubilità della sostanza sia maggiore, soprattutto a caldo, come è appunto dei due sopra ricordati. — Il sistema è dunque monotropo. Modificazione @. Sistema monoclino, classe prismatica: a:b:c=1,1507:1:1,1348 B=66°,28'. Forme osservate: }100}, {001}, {110}, {101}, {T01},}011}, {121}, {123} , 321. I cristalli ottenuti da alcool ed etere hanno abito prismatico, più o meno tozzo, secondo }110{, e presentano di solito la combinazione rappresentata nella fig. 1; da etere-acetico si ottengono talvolta cristalli più ricchi di forme, con grande sviluppo di {101{ (tig. 2). Le faccie in generale permet- — 249 —- tono buone misure; solo la }121} e la {321}, rare e poco sviluppate, presen- tano faccie che mal si prestano alla misura. ANGOLI OSSERVATI SPIGOLI ANGOLI misurati | Numero | Limiti Medio calcolati 3 o, CIRO COR) 0, (110). (170) | 12 |92.51-93.12 | 93.2 * (110). (110) 12 86.51 - 87.10 806.58 86.58 (001). (011) | 14 | 45.58-46.14 | 46.7 * (110) . (001) 13 73.48 - 74.14 74. * (100). (101) | 2 |33.22-33.23| 33.221] 33.27 (101). (001) 5 32.47 — 32.583 32.50 32.56 (001). (101) | 7 |56.1-56.9| 56.6 56.12 (110).(121)) | 4 |21.58-2242| 22.15 22.18 (110).(011) | 9 |44.12-4444| 44.27 44,26 (011) .(123) 9 16.390-17. 4 16.49 16.53 (123). (101) | 8 |50.19-50.32 | 50.28 50.25 4 (101). (110) | 7 |68. 6-68.23| 68.14 68.15 (821) .(110)! 5 | 1647-1834! 17.163| 17.10 (321). (101) 4 49.49 - 52. 6 51. 3 51. 5 (101). (121) | 4 |51.5-5130| 51.21 51.22 SPIGOLI ANGOLI OSSERVATI ANCO misurati Numero Limiti Medie calcolati 5 (I o 7, Or Or (011). (110) | 10 | 70.32-70.41| 70.364| 70.37 (011). (101) 4 54.19 — 54.24 54.21 54,25 (101). (110) | 5 |5457-55.9| 55.2 54.58 (123).(001) | 3 |4059-41.1| 41 41.2 (123) . (110) 5) 66.41 — 66.57 66 48 66.48 (125) (198) 3074 17407] 748 7409 (821) .(321) | 1 ES 74.56 74,514 Traccie imperfette di sfaldatura secondo }001}. Piano degli assi ottici parallelo al piano di simmetria. Dalla faccia {101} esce obliquamente un asse ottico. Sulla faccia {110} una direzione d'estinzione fa un angolo di 41° con l’asse verticale, nell'angolo piano acuto che quest'ultimo fa con lo spigolo [110.011]. Pilspsi P. M. = 248,988 V.= 1,576 157,99 x = 5,8598 y = 5,0922 o= 5,7735 — 250 — Modificazione R. Sistema monoclino, classe prismatica: Forme osservate: a:b:e=1,0792:1:1,0952 B=62°,23'1/.. {100}, 3010}, {001}, {110}, {011}, {701}. I cristalli ottenuti da acido acetico glaciale, o da miscela di questo con cloroformio, hanno abito prismatico con notevole sviluppo della 3100} (fig. 3), secondo la quale talvolta sono anche tabulari. Le faccie di }110} Fic. 3. sono di solito alquanto striate secondo l'asse verticale e riflettono spesso immagini multiple; quelle di 001} e di }101}, sempre poco sviluppate, mancano nella maggior parte dei cristalli. Nel complesso questa fase si presta assai meno bene dell'altra a ricerche goniometriche precise. SPIGOLI misurati (100) .(110) (110). (010) (110). (I10) (011) . (0I1) (011) . (010) (100) . (101) (100) . (011) (110) . (011) (011) . (101) (101). (T10) (011). (110) Numero 25 14 5 Hi Va «i ANOGLI OSSERVATI Limiti prio 34.58 — 35.47 70.37 — 72.29 87.59 - 88.37 45.36 - 46, 5 73.53 - 75,31 70.10 - 70.49 40.20 — 40,52 57.38 -59.— 81.26-82, 1 Medie 54097" 35.29 71.14 88 17 45.50 74.51 70.34 } 40.32 58.12 81.38 68.19 ANGOLI calcolati ea. i — 251 — Sfaldatura perfetta e facilissima secondo {010}. I piani degli assi ottici sono normali al piano di simmetria; per la luce gialla la traccia del piano degli A. O. fa un angolo di 56° con l’asse ver- ticale, nell'angolo acuto [010.100].[010.011]. La bisettrice acuta, negativa, è normale a j010}. Sopra una laminetta di sfaldatura limpidissima ho misurato l'angolo degli A. O. nell'aria: 2E,=111°,43'(Na). Dispersione dgli assi ottici sensibile: o<%. Dispersione delle bisettrici ottuse non sensibile. P. sp. == 1,654 P. M. = 248,988 Vi =150;54 y= 7,2863 yw = 4,6140 wo = 5,0532 Delle relazioni morfologiche di questo composto con l'omologo di-bromo- derivato spero di poter dare notizia in altro prossimo lavoro. Chimica agraria. — Sopra la misura del potere ammo= nizzante del terreno agrario (*). Nota di R. PEROTTI, presentata dal Socio G. CuBONI. I metodi di misura delle proprietà microrganiche del terreno agrario sono due: uno consistente nel determinare l’azione dei microrganismi in solu- zioni inoculate con un limitato peso di terreno; l’altro nel determinare la stessa azione aggiungendo ad un campione di terreno un limitato volume di soluzione. L'impiego di soluzioni per lo studio delle proprietà vitali del terreno è antico e potrebbe farsi risalire al Leeuwenhoek con i suoi esami sopra gl’infusorî delle acque stagnanti; tuttavia, anche nella moderna sperimenta- zione, le soluzioni si trovano molto raramente utilizzate a detto scopo. Wi- nogradsky impiegò soluzioni per la selezione dei nitrificanti (*) e Beyerinck per quella del eroococco (3). (1) Lavoro eseguito nel laboratorio chimico e bacteriologico della R. Stazione di pa tologia vegetale di Roma. (2) Arch. des sciences biolog. de Saint-Petersbourg, 7 (1889), pag. 1991. (3) Beyerinck M. W., Ueder oligonitrophile Mikroben. Centr. f, Bakt., II, 8 (1902), pag. 567. ReNDIcON=T 19209 Vol. XXIX, 1° sem. 33 — 252 — Jensen compieva un tentativo per misurare le proprietà nitrificanti di alcune terre della Danimarca (*); ma Remy sviluppò il principio e lo applicò anche alla misura dei poteri di denitrificazione ed ammonizzazione (?). L'altro metodo, fino a questi ultimi tempi in cui fu piuttosto larga- mente adoperato dagli americani, trasse le sue origini dalle prove di Mintz sulla rapidità di nitrificazione di alcuni concimi azotati nel terreno (3), e di Dumont e Crochetelle sull’influenza della calce nella nitrificazione (‘). Fu adottato da Vogel (*), da Kriger e Schneidewind (5), da Th. Schlòsing figlio (9) e da Giustiniani (5). Dopo di loro s’intensificano le ricerche con tale metodo per opera di Lemmermann, Fischer, Kappen, Blank (*), Koch, Pettit (1°); e specialmente nella letteratura delle stazioni agrarie americane, in questi ultimi anni, troviamo una lunga serie di lavori, nei quali si pro- cura di determinare la rapidità di ammonizzazione, nitrificazione e assimi- lazione dell'azoto elementare con l'aggiunta di diversi materiali a campioni di terreno naturale. Ma i risultati ottenuti non sono stati giudicati più sicuri e meno discussi di quelli offerti dal metodo delle soluzioni che è stato, per varî motivi, pre- ferito e più largamente usato, quanto meno, da noi europei (1). E poichè io stesso mi sono trovato e mi troverò certo in seguito nella. necessità di dover far ricorso ad esso nei miei studî, mi decisi ad eseguire del metodo stesso un rigoroso controllo per attribuire ai suoi risultati quel valore che meritano. La presente Nota ha per oggetto di riferire sommariamente sulle ri- cerche fin qui da me eseguite per determinare le migliori condizioni nelle quali, con il metodo delle soluzioni, può aversi la misura del potere ammo- nizzante del terreno agrario. Esse vanno poste in relazione ad una mia pre- cedente Nota, in cui si contengono studî ed osservazioni generali sopra i metodi di misura delle attività mierobiche del suolo (1°). (1) Tidsskrift fiir Landbrugets Planteavl., Bd. 5, pag. 173. (2) Remy Th., Bodenbakteriologische Studien. Centr. f. Bakt., II, 8 (1902), pag. 660. (3) Ann. des sciences agronomiques, 2 (1883). (4) Compt-rendu de l’Acad. de Paris, 118, pag. 604. (5) Centr. f. Bakt., 7 (1901), pag. 609. (8) Landw. Jahrb., 30. (?) Compt-rendu, 125, pag. 824. (8) Ann. agronomiques, 1901, pag. 262. (?) Landw. Jahrb., 388 (1909), pag. 319. (19) Centr. f. Bakt., II, 26 (1910), pag. 335. (3!) Faccio notare come io non abbia potuto tener conto della letteratura tedesca di questi ultimi anni sull’argomento, non essendo ancora pervenute le pubblicazioni relative all'argomento. È (12) Perotti R., Sopra i metodi di misura delle attività microbiche del terreno. agrario. Rend. R. Ace. dei Lincei, vol. XX, serie 5°, pag. 266. — 253 — Il Remy (!) determinava il potere di ammonizzazione inoculando con gr. 10 di terreno da esaminarsi cm.c. 100 di soluzione di peptone all'1 % e distillando l’ammoniaca prodotta dopo quattro od otto giorni di coltivazione a 20° C. Seguirono presto alcune osservazioni, di Lòhnis (?), di Ehrenberg (*) e specialmente di Buhlert e Fickenday (*) che, all'impiego del terreno, sosti- tuirono quello del suo estratto, ottenuto agitando per cinque minuti parti uguali di terra e di acqua di condottura. Questa importante modificazione venne accettata da tutti per i suoi no- tevoli vantaggi e dallo stesso Remy (°) che discusse a fondo la questione sollevata appunto intorno alla misura del potere di ammonizzazione, circa l'influenza esercitata dalla composizione chimica del terreno, dal clima: ter- reno (reazione, aereazione, umidità, calore, sostanze acceleratrici o ritarda- trici ecc.). Nella determinazione del potere ammonizzante sostituì-la gelatina al peptone. Per il mio studio presi le mosse dalle norme fissate dal Barthel(°) e delle quali mi ero sempre valso: » Si misurano cm.c. 10 di una soluzione di peptone Witte all'1,5% in « più provette, che dopo sterilizzazione s'inoculano con cm.c. 5 di una dilui- « zione a pesi uguali di acqua e terreno da esaminarsi. Le prove, in qua- « druplo, si coltivano a 20°C per quattro giorni; trascorsi i quali, si deter- « mina l'azoto ammoniacale prodottosi distillando su magnesia usta ». In tutto il corso del lavoro fu sempre impiegato il medesimo campione di terreno stacciato ad 1 mm., umettato con il 50% di acqua di condottura e conservato in vaso con tappo di sughero. Le ricerche, di cui presentemente riferisco riassuntivamente i risultati, furono eseguite in rapporto a varie circostanze. A) In rapporto al peso di terra impiegato. NH; prodotta Peso di terra (media di 4 analisi) gr. mmgr. per litro 1,0 1,94 2,0 1,29 5,0 1,27 (1) Loco citato. (?) Lohnis F., Fin Beitrag aur Methodik der bakteriologischen Bodenuntersuchung. Centr. f. Bakt., II, 12 (1904) pag. 262. (3) Ehrenberg P., Die Dakterielle Bodenuntersuchung in ihrer Bedeutung fiir die Feststellung der Bodenfruchtbarkeit. Landw. Jahrb. XXXIII. (4) Buhlert u. Fickenday, Zur Methodik der bakteriologischen Bodenuntersuchung. Centr. f. Bakt., II, 16 (1906) pag. 399. (5) Remy Th. u. Rosing G., Beitrag zur Methodik der bakteriellen Bodenuntere suchung. Centr. f. Bakt. II, 29 (1911), pag. 36. (9) Barthel Chr., Bodenbdakteriologische Untersuchungen. Centr. f, Bakt., II, 25 (1909), pag. 108. — 254 — L'aumento del peso di terra non porta quindi un aumento nel peso di NH; prodotta, la quale raggiunge un limite che è molto lontano da quello corrispondente all’azoto totale contenuto nel peptone. pari a mmgr. 2,57 per litro. B) In rapporto al tempo di coltivazione. Nella ricerca fu impiegato 1 grammo di terreno per ogni 10 cm.e. di so- luzione di peptone. NH; prodotta Aumento (media di 4 analisi) nell’NHz prodotta in 24 ore Giorni mmgr. per litro mmgr. per litro Ì 0,20 2 0,52 0,32 3 0,86 0,34 SI 1,19 0,33 5) 1,39 0,20 7 1,58 0.19 10 1,74 0,16 15 1,80 0,06 La produzione massima di NH; si verifica fra il secondo ed il terzo giorno di coltura ed incomincia sensibilmente a decrescere dal quarto giorno: risulta quindi opportuno di scegliere questo come termine della coltivazione. C) In rapporto all'impiego di quantità minimali di terreno. A tale uopo, 1 gr. di terra fu stemperato in 100 gr. di acqua sterile ed alcune provette del peptone furono inoculate rispettivamente con cm.c. 1, 5, 10 della diluizione, mentre altre furono inoculate con cm.c. 2.5, 5.0 e 7.5 dello stemperamento di gr. 10 di terra in cm.c. 100 di acqua sterile. NHs prodotta Aumento nell’NH, prodotta Peso di terra (media di 4 analisi) per dosi ersscenti di terreno gr. mmgr. per litro mmgr. per litro 0,01 0,42 0,05 0,52 0,10 0,10 0,72 0,20 0,25 0,88 0,16 0,50 1,19 0,31 0,75 1,41 0,22 L'aumento massimo di NH; si ottiene con dosi di terra comprese fra gr. 0,25 e 0,50 per cm.c. 10 di soluzione di peptone; giova quindi /issare in gr. 0,50 la proporzione ottima del materiale d' inoculazione da impie- garsi stemperato in acqua sterile. — 255 — D) /n rapporto alla concentrazione della soluzione ammonizzabile. NH; prodotta Peptone % (media di 4 analisi) gr. mmgr. per litro 1,50 19, 1,20 1,27 1,00 196 0,85 1,27 0,75 1,30 0,60 1,16 0,50 1,08 La migliore concentrazione è perciò quella éztorno all'1% di peptone. E) /n rapporto alle eventuali perdite di NH3. Le provette furono chiuse a tenuta d'aria con tappo di sughero attra- versato da due canne di vetro per rinnovare l’aria nel loro interno e racco- gliere questa giornalmente su H.$0,3G: Si sperimentò con le concentrazioni di liquido più importanti: all'1.5, 1.0 e 0.5% di peptone. Perdite di NH; Peptone % (media di 4 analisi) gr. mmgr. per litro 15 0,13 1,9 0,11 0,9 0,10 In tutti i casi si tratta di piccole perdite, trascurabili non ostante al- cuni rilievi del Léhnis (1). F) In rapporto alle differenti sostanze putrescibili. Questa ricerca fu limitata per ora alle albumose di Heyden, all’estratto di carne Liebig ed alla gelatina di carne, in confronto di equivalenti pesi di N del peptone alla concentrazione dell'1%. NH, prodotta (media di 4 analisi) Materie putrescibili mmgr. per litro Peptone:. 4: Lo ans. 1,24 Albumose di Heyden . . . . 0,20 Estratto di carne Liebig . . . 0,88 Gelatina di carne . . . . . 1,17 Non risultano quindi particolari motivi per preferire al peptone l’im- (1) Cfr. nota (*) a pag. 253. — 256 — piego di alcuna delle altre sostanze sperimentate; e ciò, non ostante il con- trario parere di Vogel e Zeller (*). ConcLusione. — Le condizioni ottime, nelle quali il metodo delle solu- zioni possa impiegarsi nella determinazione del potere ammonizzante del .terreno agrario, risultano le seguenti: « Cm.c. 10 di soluzione di peptone all'1,5% sì versano in provette ag- « giungendovi cm.e. 5 dello stemperamento di gr. 50 di terreno da esami- «narsi in 500 di acqua di fonte. Si coltiva in termostato a 20-25° C. ed « al termine del quarto giorno si determina l’ammoniaca prodotta, distillando «il contenuto della provetta su ossido di magnesio. Per ciascun esame si « calcola la media di quattro determinazioni ». Patologia. — Saggi farmacodinamici sottoepidermici. III: La reazione edematogena. Nota dei professori MauRIZIO AscoLi ed AnT. FaGIUOLI, presentata dal Socio B. GRASSI. Una serie ulteriore di saggi farmacodinamici sottoepidermici (8. e.) ri- guarda alcuni alcaloidi: atropina, pilocarpina, muscarina, fisostigmina, morfina, eserina, nicotina, cocaina, scopolamina. Queste varie sostanze offrono tutte una reazione cutanea dello stesso tipo e precisamente edematogena. Diamo come paradigma quella dell’atropina. L'iniezione s. e. di 0,05 c.c. di una soluzione al millesimo di solfato di atropina determina in primo tempo un quadro identico a quello da noi indicato per l’acqua. Dopo alcuni minuti invece, il ponfo va acquistando mag- giore ampiezza fino a raggiungere un diametro circa tre volte maggiore, mentre il suo colorito roseo spesso si accentua e diventa rosso scarlatto. La reazione si mantiene per circa un'ora, dopodichè regredisce, con maggiore lentezza di quella dell'adrenalina. Adoperando soluzioni più concentrate, l’ in- grandimento del ponfo raggiunge proporzioni sempre più considerevoli e l'alone rosso intorno alla zona rilevata si distingue per una maggiore ampiezza ed intensità di colorito; con soluzioni più diluite (1/10,000), la reazione non differisce da quella di controllo con l'acqua. Quanto alla pilocarpina, è da notare che spesso la reazione si manifesta, ‘ oltrechè con la reazione edematogena descritta, anche con secrezione sudo- ! rale, sia in corrispondenza della zona edematosa, sia in corrispondenza del- l'alone periferico; la sudorazione è così abbondante da apprezzarsi non solo al tatto, ma da rendersi visibile con l'apparizione di minute goccioline. (') Vogel n. Zeller, Beitràge zur Methodik der bakteriologischen Bodenuntersu- chung. Mitt. a. d. Kaiser-Wilhelms-Institut fir Landw. in Bromberg, I (1908), pag. 167. — 257 — Se il tipo di reazione è identico per i singoli alcaloidi indicati, diverse sono invece le diluizioni atte a produrla, che sono, approssimativamente, le seguenti: pilocarpina, muscarina 1/50-1%; fisostigmina 1/200, morfina 1/500, nicotina 1/50, eserina 1/200, cocaina 1/25-1/50, scopolamina 1/200. Crediamo opportuno accennare ancora che le basi colina (1%) ed imi- dazoliletilamina (cloridrato 1/50,000), del pari che i peptoni (Roche, Witte) e le albumose, offrono pure una reazione s. e. a tipo edematogeno del tutto analoga a quella ora descritta per gli alcaloidi. Con l’atropina e la pilocarpina abbiamo istituito una serie di prove parallele di sensibilità s. e. e s. c. in condizioni normali ed in condizioni patologiche. In 10 soggetti, nei quali la iniezione s. e. di */,-1 mg. di atro- pina e di !/,-1 cgr. di pilocarpina diede luogo a fenomeni reattivi generali nulli o scarsi, la prova s. e. alle due sostanze si mostrò oscillante entro i limiti normali. In un caso di sifilide polmonare (infiltrazione diffusa su quasi tutto l'ambito sinistro; fenomeni vasomotori spiccati; bassissima pres- sione arteriosa, 70 mm. Hg), nel quale le iniezioni s. c. all’atropina ed alla pilocarpina non furono seguite da speciali disturbi, si notò una spiccata reazione s. e. all’atropina in diluizione al diecimila e normoreazione alla pilocarpina. In altro soggetto affètto da asma bronchiale, alla spiccata rea- zione generale che seguì alla iniezione s. c. di 0,5 mmgr. di atropina (tachi- cardia, cefalea, secchezza alle fauci, vertigini, scomparsa del riflesso oculo- cardiaco e del polso irregolare respiratorio preesistenti), corrispose una esaltata reazione s. e., ben manifesta con soluzioni di atropina al diecimila. * x x Nel fascicolo 4-6, vol. VII, 1919 della « Zeitschrift fiur die gesammte experimentelle Medizin »,.F. v. Groer ha pubblicato una Nota dal titolo 7 metodo semplice, applicabile anche all'uomo, di misurazione biologica di sostanze vasocostrittrici (in particolare dell'adrenalina). Partendo da intendimenti del tutto diversi da quelli da noi esposti nella Nota I, il v. Groer ha intrapreso delle ricerche sugli animali, le quali mirano prevalentemente a stabilire la utilizzabilità delle iniezioni intradermiche per la titolazione dell'adrenalina (utilizzabilità da noi pure enunciata). Egli ha poi eseguito alcune esperienze anche in bambini, trovando reazione più de- bole in un ragezzino di tre anni cachettico, affetto da meningite tubercolare; e, del pari, in altro bambino, reazione affievolita nelle zone di cute pigmen- tate per irradiazione solare, in confronto di quelle non pigmentate. Il v. Groer descrive la reazione quale « un impallidimento livido, abba- stanza ben limitato, nel distretto di cute iniettato, che dura un certo tempo ed eventualmente cede il posto a manifestazioni infiammatorie; la zona d'impallidimento si circonda di un alone iperemico reattivo che probabil- mente sta a dimostrare una reazione infiammatoria ». La differenza princi- — 258 — pale del quadro da lui e da noi tracciato dipende dalla circostanza che egli ha impiegato soltanto diluizioui di adrenalina dal 50,000 in su: non ha quindi avuto occasione di vedere la reazione tipica che si ottiene con la soluzione al millesimo e si compone dei tre elementi: macchia bleu centrale, alone bianco, alone rosso. Con punto di partenza e di vista differenti (vedi Note precedenti), noi ci siamo preoccupati in prima linea di affrontare e risolvere il problema dall'aspetto clinico, analizzando le differenze del fenomeno in condizioni nor- mali e patologiche. Abbiamo così trovato, nei casi studiati, corrispondenza fra gli effetti delle iniezioni sottocutanee e sottoepidermiche, dall'altra varia- zioni di sensibilità in stati morbosi: aumento in alcuni casi di disturbi della menopausa, di ipertensione, di morbo di Y/azuni-Basedow, come pure in qualche gravida; diminuzione in altri di morbo di Addison, di iposurre- nalismo cronico, nei neonati in genere; anergia negli stati di anemia pro- fonda. Estendendo le nostre indagini all’estratto ipofisario (vedi Note II e III e (!)), abbiamo trovato che la pituitrina presenta un tipo di reazione iden- tico a quello offerto dall’adrenalina al 200,000 circa. Anche per la pituitrina osservrammo variazioni di sensibilità in condizioni patologiche. Degna di par- ticolare rilievo la circostanza che le reazioni patologiche all'adrenalina ed alla pituitrina possono manifestarsi nettamente dissociate e persino opposte. Mentre è soddisfacente il constatare che le due serie d’indagini, compiute da osservatori diversi ed eseguite indipendentemente, giunsero, in quanto toccano gli stessi punti, a risultati in complesso concordi, giova entrare in qualche dettaglio di tecnica nel quale le procedure lievemente si allon- tanano l’una dall'altra. Il von Groer usa iniettare 1,0 cme. di liquido e rileva che l’iniezione deve praticarsi « non troppo profondamente », cioè non quasi sottocutanea, « nè troppo superficialmente ». Noi invece iniettiamo soltanto 0,05 cme. di liquido ed abbiamo insistito perchè l'iniezione avvenga quanto più possibile superficialmente. La ragione della differenza risiede probabilmente in ciò: che il von Groer ha sperimentato prevalentente sugli animali, noi invece sull'uomo, nel quale, data la dolorabilità dell'iniezione, è da preferire l’im- piego di un volume di liquido ridotto e, di conseguenza, la sua introduzione più superficiale per farne meglio spiccare l'azione particolare. Appunto perciò abbiamo designato siccome soztoepidermici questi saggi, ad indicare la ne- cessità della introduzione sotto l'epidermide, piuttostochè intracutanea; anche in vista degli errori di valutazione — già da noi rilevati nella Nota II — possono venire dalla diversa profondità dell'iniezione e che van sempre te- nuti presenti. (') Maurizio Ascoli ed A. Fagiuoli. Pathologica, 1919. onor Un punto, nel quale le risultanze delle osservazioni non collimano, è quello dei limiti ordinarii della sensibilità della cute umana alla introduzione di adrenalina; limiti che a noi risultarono compresi normalmente fra le di- luizioni al 200,000 ed al milione, mentre il von Groer accenna come inde- bolita una reazione all’ 1/5,000,000. È da vedere qual parte abbia in queste differenze la diversità dei preparati impiegati, quanta il diverso volume di liquido introdotto. Prove da noi istituite starebbero a dimostrare che la intro- duzione di quantità di liquido superiori a 0,05 cme. aumenta sì l'intensità della reazione e la rende quindi apprezzabile in diluizioni più forti, ma che questo fattore da solo non basta a dare ragione dell'intero divario. Lo scompiglio, portato dalla guerra nella letteratura medica, ha tolto a noi, ed al von Groer pure, la conoscenza di una osservazione del Goetsch (*), il quale, proponendosi di ricercare la maggiore sensibilità dei vasi basedowiani all’adrenalina, è ricorso, con esito positivo, anche alle iniezioni intradermiche ; questo autore si limitò alle iniezioni della soluzione al millesimo, e giudica i risultati dall’ampiezza e dalla durata dell'alone bianco intorno al ponfo A questa valutazione ci sembra preferibile, perchè più esatto, il procedimento delle diluizioni. (1) E. Goetsch, Z'he adrenin test for thyroid disorders, Tho Clifton med. Bulletin, sept. 1918 (riportata in Endocrinology, 1919, n. 4). RenbICONTI. 1920, Vol. XXIX, 1° Sem. 4 TRAMIEGAGE TI RIESI UE MR e ATI ANSA tto L n ugg ’ : n î 4 n 4 x i l i RIE Mel PN ; È ChE SR ILITÀ % L' fa i i : | x i î Voli f ' i, a e ' ia ) # A _ ; È d x 7 l È n Ù i è se A) RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta dell’11 aprile 1920. A. RòrtI, Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Idromeccanica. — Sull’integrazione dell'equazione caratteri- stica dei piccoli moti ondosi in un canale di qualunque profon- dità. III: Perturbazione locale. Nota III di U. CisottI ('), pre- sentata dal Socio T. Levi-CIvITA. 11. Conviene ora introdurre la profondità % del canale, profondità che si era assunta eguale a uno [n. 1]; basta alterare tutte le lunghezze nel rapporto da 1 a DI In tal modo, per la (10), si ha AR ACI id] (19) I[m:]=35 | _ o(71) log Cth FRI (Ce 12. Supponiamo che la perturbazione iniziale sia localizzata in un punto del pelo libero: / o, più esattamente, in una porzione s molto piccola, assi- milabile a un punto (cr =0,y= %), in modo però che a= f nda abbia valore finito e determinato. Si ha allora, fuori di s, (20) m=ICp]=0, (*) Note I e II in questi Rendiconti, pp. 181, 175. — 262 — mentre, per la (19), (21) IbAE 2° log Cin: PE ni Ne segue che il primo termine dello sviluppo (14) di n in serie è ITX ; __ ga A; gx __ agatò 2h Co), die goin asi 2h Esso coincide con l’espressione già trovata da Rayleigh ('). Prendo ora in esame il secondo termine t4 d* (23) Ts = 94 da I° [no] S Avendosi, per le (10) (19) e (21), adi A) ra Do 2 "+ 0 [n] = LE 433 log Cth* © si ha pure, integrando per parti e applicando facili riduzioni, g° a CD) ne Di Pesi] (1°) — __l_ l pre I [no] mey -_f al eZ de, , 2h 2h per tutti i valori di x esterni ad un intorno, comunque piccolo, di x = 0. Risultando l'integrale del secondo menibro Sh a) SCCI) 2 ITX e gd -0 d71 Gue h 2h si ottiene in definitiva d? 20% da* Lila ; TX 2 ra eno 2h* Sh 5 (1) Rayleigh, On the Instantaneous Propagation of Disturbance ina Dispersive Medium exemplified by Wawes on Water deep and shallow [ Philosophical Magazine, vol. XVIII (1909), pag. 4, formula (12)]. — 263 — sostituendo in (23), si ottiene pron gato A at SET 48h da? spe 2h cn È __ gati 2h Tw x 2 (24) _—_ 4843 qpe TE - 4h al! ta). 2h 2h 2h Per la (22) si ha quindi, per la somma dei primi due termini dello svi- luppo (14) di n, l'espressione seguente: ITX tgat? | gt pago VISO do 2 (25) T+T,= LL [fase 8h° | 6h | zi 192 h4 TX 2h 2h 13. Nel caso di un canale infinitamente profondo, si ha notoriamente (!), per n, lo sviluppo seguente: NIE do) a eV. Pe Lio 3. ua ina, E Al primo termine di questa serie si riduce l’espressione (22) di T, quando se ne valuta il limite per #2 = co. Il limite di T, invece è nullo, come scende immediatamente dalla (24); ciò era da attendersi perchè T, contiene la quarta potenza di £#, mentre nell'espressione (26) di » risulta mancante il termine corrispondente. Parmi notevole la circostanza che la presenza del fondo (quando % è finito) faccia sentire la sua influenza anche in questo termine. Comunque, l’espressione (25) di T, | T, fornisce, con un’approssimazione maggiore di quella ottenuta da Rayleigh, una valuta- zione dell'influenza del fondo nella propagazione della perturbazione ondosa. 14. Per esaurire la determinazione del moto (distribuzione delle velo- cità nei punti sottostanti al pelo libero, linee di corrente, ecc.), è necessario di conoscere la /(t;4) nei punti 4 interni alla striscia 0 forma allungata, laminare, limitata talvolta da due nette linee parallele alla direzione di allungamento. La troncatura della lamina allungata non è fa- cile a determinare, ma, dove si può vedere, risulta inclinata sulla direzione di allungamento, e l'insieme dei caratteri dà l'impressione di un minerale monoclino. Questa descrizione concorda con quella fatta da G. Grattarola per l’idrocastorite; solo che non è dato scorgere l’altra sostanza che, secondo Grattarola, inquinerebbe la prima. Ho notato bensì fragmenti a contorni ir- regolari, ma anche in questi si poteva scorgere la sfaldatura sopraindicata, e in ogni modo non avevano la ‘ te birifrangenza osservata da Grattarola come carattere distintivo dell'idrocastorite vera. Tali caratteri si addicono () Bollett. R. Comit. geolog. 1876, n. 8, pag. 326; Mote mineralogiche 1876 Bar- bèra, Roma. (®) Sulle zeoliti dell'isola d'Elba. Atti Soc. tose., nuova serie, 1879, IV, pag. 320. () Memoria citata. (4) Memoria citata. — 266 — bene a minutissimi individui di stilbite, la quale appunto è monoclina, la- minare secondo 010, sfaldabile secondo questo medesimo piano ed in cri- stalli alquanto allungati parallellamente all'asse c. La birifrangenza è molto debole, come già osservò G. Grattarola, ma non tanto da non essere bene apprezzata e l'estinzione è presso a poco retta, come già affermava Azruni (!) in una nota alla recensione del lavoro di Grat- tarola. D'altra parte, la stilbite è debolmente birifrangente [x, — x, = 0,006] e la bisettrice acuta fa circa 5° con la direzione dell'asse c (?). La densità determinata per l’idrocastorite da G. Grattarola col il me- todo del picnometro è 2,16 e rientra quindi nei limiti dei valori trovati per la stilbite (2,094-2,205). Con il liquido del Toulet ho trovato per la densità del campione in esame, 2,07. La durezza della stilbite è superiore a quella della calcite, mentre, se- condo Grattarola, la polvere dell'idrocastorite non graffia una lamina di cal- cite. Però una prova di durezza fatta in queste condizioni non è delle più attendibili; del resto, anche le prove fatte da G. d'Achiardi (8) su vera stilbite diedero in queste condizioni una striatura quasi insensibile sulla calcite. Da G. Grattarola fu considerata l’idrocastorite come prodotto di decom- posizione del castore, affermando di averne constatata in posto l'epigenesi ed anche il principio di formazioue nell'interno dei cristalli di castore. Del qual fatto non ho nessuna ragione di sollevare dubbio; però posso notare che nell’esemplare da me studiato erano assai frequenti frammenti opachi di feldspato, cosicchè io ritengo che il feldspato come minerale preponderante nella roccia abbia contribuito, più del castore, alla formazione del minerale zeolitico. Trasformazioni graduali e sicure di feldspato*in stilbite ha già osservato E. Manasse (4) nei medesimi giacimenti elbani. Da quanto sopra è esposto, a me sembra che si possa stabilire per il campione esaminato l'identità fra stilbite ed idrocastorite. Le proprietà fisiche sono concordanti assai soddisfacentemente, e, quanto ai resultati analitici essi possono ritenersi assai probativi, perchè le divergenze debbono riferirsi ad impurezze facilmente comprensibili ed altrettanto difficili ad eliminare; ne è prova la presenza delle piccole quantità di ussido ferrico che mancano in- teramente nella pura stilbite elbana. Del resto, l’idrocastorite non è una specie facilmente identificabile, e si sono confuse probabilmente sotto il suo nome minerali diversi: tale è pure (1) Zeit. fir Kristollograf. Groth, I, pag. 87. (2) A. Lacroix, Mineralogie de la France, pag. 313. (8) Memoria citata. (4) Memoria citata. — 267 — il parere di F. Millosevich a proposito di questo minerale (‘). Esistono nella collezione elbana del museo di Firenze quattro grandi esemplari di granito con tormaline, berilli, polluce, zeoliti, ecc., e in uno dei detti blocchi si nota una spessa crosta polverulenta, di colore leggermente roseo, catalogata come idrocastorite dal Grattarola stesso. Ho raccolto una certa quantità di detta polvere, e con pazienti ricerche ho constatato che consiste in masserelle di un minerale opaco non risolvibile al microscopio, unite in proporzioni molto diverse a frammenti di feldspati. Tutti i minerali appaiono evidentemente corrosi. Analizzato tale materiale, reso privo quanto più possibile dei mine- rali estranei sopra ricordati, ho ottenuto i risultati seguenti : Si 0, 48,30 AL: 0 29,80 Fe. 03 0,80 Mn0, 0,11 Ca 0 0,91 Mg0o 2,92 K,0 6,74 Na. 0 0,60 Hy0 11,41 100,77 L'analisi dimostra che non si tratta di un minerale definito, ma di un prodotto di alterazione formatosi a spese dei minerali diversi che costitui- scono le druse del granito elbano ed anche con il contributo di elementi estranei alla composizione di quei minerali, dei quali ultimi piccoli residui, indecomposti o quasi, sono stati avvolti da esso materiale di disfacimento. Come conclusione, credo giustificato di togliere l’idrocastorite dal novero della specie mineralogica, rappresentando essa il più delle volte un insieme di diversi minerali secondarii di diversa ed incerta composizione e talora corrispondendo semplicemente ad una stilbite alquanto impura. (*) F. Millosevich, / 5000 Elbani del museo di Firenze. Firenze, 1914, pag. 47. ReENDICONTI. 1920, Vol. XXIX. 1° Sem, 36 — 268 — Fisica. — Sui suoni interrotti incoerenti. Nota preliminare del dott. Giorio VALLE, presentata dal Socio 0. M. CorBINO. In una Nota precedente (') ho trattato teoreticamente, basandomi sulla teoria della risonanza dell’Helmholtz, delle sensazioni acustiche che dovreb- bero prodursi, quando una sirena emette suoni interrotti incoerenti: cioè la disposizione dei fori del disco rotante è quella della fig. 1a, e 7» non è mul- tiplo di 7. Si sarebbero dovuti percepire, secondo quella teoria: il suono a. has DÌ ca | J È Sa ® = SR S ! e _e_-___e_—_—___@0c. Re 0): I: Ele Fis. 1, fondamentale di periodo 9=urt+7;; tutti i suoni armonici di periodo o, è î UT , . è R * . G ù per i quali dire è frazionario, e fra essi con maggiore intensità i due più prossimi al suono interrotto di periodo 7; tutti i suoni, infine, compresi fra questi due armonici e specialmente il suono interrotto stesso. La cortesia del prof. O. M. Corbino, al quale esprimo anche qui la mia viva gratitudine, mi rese possibile di utilizzare una mia breve permanenza a Roma per ese- guire in quell’Istituto di fisica alcune esperienze in proposito. Espongo qui brevemente i risultati ottenuti. Il fenomeno si può realizzare in differenti modi, ma i due più semplici sono ceramente quelli di disporre i fori del disco della sirena nel modo (1) G. Valle, « Nuovo Cim. », 1920. — 269 — indicato dalla fig. 1a e di adoperare un soffiatore solo, oppure di prendere (u-+1) suoni di periodo 6, spostati di fase dell'intervallo di tempo 7, ciò che si può ottenere, come lo indica la fig. 15, con (u-+1) serie indipen- denti di egual numero di fori, spostate opportunamente, oppure con una sola serie di fori e (4-1) soffiatori spostati del medesimo arco (fig. 1e). Io ho disposto le esperienze in modo da poter produrre sullo stesso disco rotante tanto il caso 4 quanto il caso €, che, come potei osservare, dà il medesimo risul- tato del caso d. Le altre serie di fori che c'erano sul disco e che potevano essere attivate ciascuna indipendentemente, e alcune serie d'un altro disco, fissato sullo stesso asse, messo in rotazione da una forte orologeria, servi- vano a produrre gli armonici del suono 0, generalmente fino al VI, e il suono 7, da essi sempre difterente. Era così possibile d'aver sempre disponibili i suoni di confronto necessarî, senza dover tener conto delle inevitabili variazioni di velocità del disco, che, quando era in piena corsa, faceva approssimativa- mente 10 giri al secondo. Le esperienze hanno dato costantemente questo risultato: nel caso @ si sente debolissimo il suono fondamentale di periodo @ e distintissimo il suono di periodo 7, che aumenta di intensità col crescere di w; degli armonici di 6 non c'è traccia ('); specialmente i due più prossimi al suono 7 non si percepiscono affatto. Nel caso e, oltre al suono fondamentale, si sente benis- simo tutta la serie degli armonici, e più di tutti distinti quelli più prossimi al suono €. Di questo suono però non è possibile di riscontrare la benchè minima traccia. Dal protocollo delle esperienze cito alcune delle più caratteristiche; i suoni vi sono indicati col loro periodo; x è il numero di giri fatti dal disco in un secondo. I gi ua u=4 19) Cinque soffiatori spostati di 20°. ì An 18n° | 362 su di una serie di soli 4 fori; udibile il suono 6, difficilmente qualche suo armonico. 2°) Un soffiatore agente su di un disco con 86 fori, turati in parte con cera, per ottenere la disposizione a gruppi richiesta dall'esperienza; udi- FONTI 3 T il ; bili i suoni 9 e 7, come pure la sua ottava 3 560° che è suono armoe nico di 9. n è, al principio dell’esperienza di 10 al secondo, ma diminuisce poi gradatamente di molto; le differonze fra 1°) e 2°) rimangono però inalterate. 5 AREA RO Per la velocità massima la durata d'ogni gruppo ur è di 5 di secondo; per ridurre questa durata, si fa l’esperienza (7 i: î 3 i (1) A meno che l'ottava n) di 7 non sia un armonico di #, nel qual caso si sente perfettamente anche questa e qualcuno degli armonici seguenti. — 270 — DI: VE T Ì set) Cinque soffiatori spostati 8n° © 86% 72n di 10°, serie di 8 fori; udibile 9 e i suoi armonici, fra cui molto più in- , u=4,t,= tensi = e rei i due più prossimi a 7. 2°) un soffiatore, serie di 72 fori, in parte opportunamente turati con cera; udibili 6 debolmente, 7 puris- - T 1 3 È È 7 : simo e forte, 37779, Amonico di 9 e qualche armonico più alto. La mi- n nima durata di ur è 90 di secondo. Questa esperienza riesce evidentissima in quanto riguarda l'essenziale differenza fra i casi 1°) e 2°). CA ,, Fori chiusi MR #1 8600000000600000000%€ : 60@6000000660è000000€ 3 ©6060@060000@0060@00000 4 6060®80@006060@0800 8 5 @©0®080006800e08000ì 6 ®©8©600606000680 606000 7 66060660060 00800800060 ; ®606060®0000000006000® 3 606000000600000000ò600 go e SEE î, Fic. 2 III. =>, =: Sei soffiatori spostati di gradi 5 È possono agire 8 indipendentemente su di un di un disco di 12 fori. Inserendone uno o più, si possono ottenere sei casi differenti: u=0,1,..,5 con n= Questa esperienza coincide in tutto con quanto fa prevedere la semplice legge di 1 Li Ohm; on è udibile. Gli ici di 0 più i Ì — e — t non è udibile. Gli armonici di 9 più intensi sono 60, È 797° più prossimi a 7, che aumentano alla lor volta di forza col crescere di w. i Anche la necessaria mancanza del 4° armonico no) per u=4 si mani- festa con un apparente abbassamento d’altezza del suono passando da u=4 ap=5. IV. Il caso della fig. 1a può interpretarsi anche come una successione di (u-+ 1) suoni di periodo 6, spostati di fase di 7. Su di un disco avente 36 SVI RI Re ISARRRRO sega Si — 271 — dt. An” 48n da 0 a 8, turando successivamente i fori come lo indica la fig. 2. La ta- bella seguente dà i risultati ottenuti. La durata del gruppo ur è data, come sempre, per n= 10. fori, adoperando un soffiatore solo, facendo 0=—, 7 , si può fare w Suono fondament.| Suono interrotto | Durata Armonici 1 N° 1 i di 1 1 Armonico 77 ee n = pete 36n 4n 18% leg 16n 20n 1 debole 0 0 sec. 0 DA ; 1 2 più debole assai debole | 77 » debole 180 È iù £ 1 sa 5) ” più forte 90” ion più forte forte l tea: ti ” annie gg più forte ancora sì D) ” fortissimu si forte 45 2 1 pd 0 n forte 60. ”» percepiscono VARE preponderante 7 [ancora più debole debole — ” LE coi suoi armonici 90 più prossimi debolissimo debolissimo ago Îff, con tatti gii armo- quasi scomparso | quasi scomparso | 180 nici 9 0 0 00; è divenuto suono fondamentale Il decimo suono spostato verrebbe a coincidere col primo, e così la serie dei casi è esaurita. Questi dunque sono i risultati di alcune esperienze tipiche: da queste e da molte altre si deducono le conseguenze indicate già prima. E già da queste esperienze preliminari si può concludere che non si verifica quanto era risultato dalla teoria, e cioè la possibilità di percepire, fra i due armo- nici più prossimi al suono interrotto, anche quest’ultimo. Si osserva piut- tosto come si debbano distinguere due casi: l'uno nel quale sì percepiscono solo gli armonici del suono fondamentale e fra questi, in concordanza con la legge di Ohm, con maggiore intensità quelli più prossimi al suono inter- rotto; l’altro nel quale, in palese contrasto con la teoria della risonanza, gli armonici non sono per nulla sensibili, ma domina invece, nel suono complesso percepito, il suono interrotto, che fra quelli armonici non comparisce. E sono ben definite le condizioni, che dànno luogo all'una o all'altra differente percezione: nel primo caso abbiamo una serie di suoni indipen- denti spostati di fase, parecchi suoni individuali riuniti a formare il com- bacdare side “A i * ERO, — plesso fenomeno acustico studiato; nel secondo un unico, se pur complicato, fenomeno sonoro, avente una propria individualità, costituente un complesso acustico unitario. È però molto probabile che fra questi due estremi, cor- rispondenti a due sensazioni di carattere opposto, si verifichino casì di pas- saggio, quando i suoni eguali e spostati di fase vengano prodotti in punti spazialmente sempre più vicini, fino a confondersi nello stesso punto e a dar luogo al caso della fig. la. Ma anche indipendentemente da ciò, i fatti esposti dimostrano a suffi- cienza, che la teoria della risonanza dell'Helmholtz non può reggere, anche quando spogliata della rigidità formale della legge di Ohm, la si consideri (cfr. la mia Nota citata) semplicemente come quella teoria che suppone avere l'orecchio le proprietà d'una serie di risonatori. Infatti essa, pur ren- dendo evidenti gran parte dei fenomeni acustici, pur rendendoci ragione delle sensazioni che hanno luogo nel caso della tig. le, e appunto per questo, è incapace di giustiticare le sensazioni opposte che s'ottengono quando dal caso della tig. lc si passa, come a un caso limite, a quello della fig. la. Non è contrario a questa teoria il fatto che allora si percepisce il suono interrotto; ma è incompatibile con essa il fatto che la percezione dei due armonici più intensi scompare totalmente. Meteorologia. — £icerche sulla oscillazione diurna della ve- locità del vento a diverse altezze sul suolo (!). Nota del dott. MARIO TENANI, presentata dal Corrisp. G. A. CROocco. 1. Nei mesi estivi del 1917 (maggio-settembre) furono effettuate nella Regia Stazione Aerologica di Vigna di Valle, per necessità inerenti alla na- vigazione aerea, numerose esplorazioni atmosferiche con pallone pilota, distri- buite regolarmente nelle varie ore del giorno. La regolarità e la cura speciale con la quale tali esplorazioni vennero eseguite hanno giustificato la ricerca &di cui qui si rende conto. I lanci qui considerati (in numero di 322) si trovano raggruppati in- torno alle ore 1-2, alle 7-8, alle 14 e tra le 19 e le 22 (TMEC) dei varî giorni (*). Se noi esaminiamo per le singole quote le velocità medie di cia- scun gruppo, ottenute facendo la media aritmetica delle velocità osservate (in m/sec.) alle varie ore, senza riguardo alla direzione del vento (tabella 1), (') Lavoro compiuto nell'Istituto Sperimentale Aeronautico, diretto dal Colonnello G. A. Crocco. (*) Si considerarono i soli giorni che avevano almeno tre esplorazioni. — 273 — noi possiamo osservare a tutte le altezze fino a 1000 metri la nota oscilla- zione diurna della velocità del vento. TABELLA I. » Numero Ora Suolo 400 m. 600 m. 800 m. 1000 m. delle | * osservazioni 1 2.30 3.43 4.34 4.23 4.12 85 to 2.59 8.22 8.85 3.99 3.96 101 14 5.28 4.79 4.65 4.28 4.11 96 19-22 2.75 4.68 5.13 4.54 4.23 40 L'ampiezza dell’oscillazione, circa 3 m/sec. al Suolo, va man mano di- minuendo con l'altezza; la fase dell’oscillazione, negli strati al disopra dei 400 m. sul livello del mare (il suolo di Vigna di Valle è a 260 m. s. 1. d. m.), si presenta notevolmente diversa da quella dell’oscillazione al suolo; poichè, mentre al suolo il massimo della velocità media si presenta intorno alle 15 ed il minimo verso le 1, alle varie altezze fino ai 1000 m., ove l’oscilla- zione è ormai insensibile, il massimo si presenta con ritardo via via mag- giore tra le 18 e le 19 e il minimo intorno alle ore 9. Sulle medie generali così ottenute hanno però notevole influenza i mu- tamenti della situazione isobarica che, in un periodo così breve, forse non riescono a compensarsi mutuamente; nè su di esse è possibile di approfondire l'esame sulle cause della oscillazione, perchè vi si fa completamente astra- zione dalle variazioni di direzione del vento. Volendo indagare circa le cause dell'oscillazione diurna, si presentava innanzi tutto opportuno il considerare, invece che tutti i giorni di quel periodo, soltanto quelli, fortunatamente alquanto numerosi (57), durante i quali la situazione isobarica si mantenne presso a poco invariata; che non erano perturbati da alcuna manifestazione meteorologica anormale (come temporali), e nei quali pertanto era chiaramente visibile l'oscillazione diurna del barometro. Le medie (effettuate senza tener conto della direzione del vento) dei 227 lanci così rimanenti mostrano le medesime caratteristiche sovra esposte: soltanto l'ampiezza dell’oscillazione risulta alquanto maggiore di quella delle medie precedenti. 2. Le condizioni di Vigna di Valle(') lasciavano facilmente scorgere, ad un esame anche superficiale, che tale oscillazione è accompagnata dal- l'alternarsi delle brezze. La costa, nelle sue linee generali, si può dire in direzione da N59W; e poichè le alterazioni della velocità del vento, dovute (‘) Vedi A. Ferrari, « Mem. del R. Comit. talassografico ital. », n. XXIX, 1913. — 274 — alle differenze di temperatura fra il mare e la terra, avvengono secondo la direzione a questa perpendicolare, cioè da o verso N37E, si presentava oppor- tuno di decomporre la velocità del vento in ogni lancio secondo le due direzioni, perpendicolare e parallela alla costa, per studiare più particolarmente l’oscil- lazione diurna del vento. Nel fare tale decomposizione, ho contradistinto col segno + la componente diretta da N53W (parallela alla costa) e quella da N37E (dalla terra verso il mare), e col segno — le altre. Le medie dei valori così ottenuti sono contenute nella seguente tabella. TABELLA II. Il Il MAGGIO GIUGNO LuGLIO AGOSTO SETTEMBRE Ora parallela RISI parailela Lan La parallela POE parallela DO parallela da 1 | 018|+-2.35|— 0.46|+ 2.27/— 0.01/+ 1 21||+ 0.03|+.0.54|— 1.00|-+ 2.05 3 7 |—0.79|4+- 2.67|— 0.52|+ 1.64|— 0.32|+ 2.29/— 0.25|+ 1.73|— 0.25|+ 2.16 Lo 14 ||+-0,74|— 2.35|+ 1.06|— 2.88|+ 0.09|— 1.81|-+ 0.82|— 2.80|-+ 0.53|— 3.01 19-22 —. || 1.20|— 3.754 2.10|— 0.02|+ 0.68|— 0.46 É 1 [+ 0.45|+ 3.22|— 0.07|4- 3.01||+- 0.39/+ 2.25|— 0.25|+ 1.78|— 0.58|+ 3.08 S 7 | 0524 4.17|— 0.36|+ 2.38|— 0.17|+ 2.64|— 0.29/+ 2.06|— 0.19|-+ 2.83 E 14 | 0.49[— 1.49|4- 0.59|-- 1.72|+ 1.20|— 1.38|-+- 0.65|— 3,32/— 0.33|— 1.01 o | 19-22 '— 3.30|— 3.70|+ 2.74|— 0.32|— 0.85|—- 0.63 É 1 || 0.46|+ 2.80|— 0.05|+ 2.04|+- 0.29/+ 1.76|+ 0.19|4- 1.10|— 1.21|— 0.07 (e) 3 7 |— 0.92|4- 1.66|— 0.36|4- 1.44|— 0.61[4- 1.93|— 0.04|+ 1.56|— 1.42|4- 0.69 s 14 |+-0.91|— 0.51|+ 0.07|— 1.67|+ 2.57/— 1.12|+- 1.04|— 8.12/— 0.08|— 1.88 S 19-22 — 4.05|— 2 45|+ 2 30|— 0.874 0.59|— 0.74 È 1 | 1.02|+ 1.85|+ 0.144 1.01|+ 0.55 + 1.804 0/46|-+- 0.48|— 0.80} 0.49 S 7 | 0.74|+ 1.84|— 0.01|+- 0.94|— 0 26|+- 1.33/— 0.08|+ 0.91|— 1.33] — 0.44 s 14. |{4- 0.54|+- 0.52|— 0.04|— 1.07|+- 132|— 0.69|+- 1.38|— 2.88/— 0.29/— 1.35 S | 1929 — 440/— 2.95|4- 1.37|— 1.22|— 0.79/— 0.24 È I le 1 ||— 1.52+ 1.68|+ 0.90|+- 0.20|4- 1.04|+- 1.52|-+ 0.88|— 0.97[4- 0.14|— 0.40 S 7 |+-0.17/+ 1.44|+ 0.28|— 0.02|+- 0.52|+ 1.37|-+ 0 691+ 0.54 — 1.08|— 0.13 È 14 ||+ 0.92/4- 1.66|+ 0.52|— 0.58|+ 1.60|+ 0 27|4- 1.72|— 0.31|— 0.26|— 1.54 S 19-22 — 4.35|— 3.45||+ 0 52|— 1.06|— 151|— 1.67 Llgiai 9 16 | 13 13 6 | pe “BS ‘ 3 81 Li 46 La 48 Ai 75 $ (27 58 | 14 13 13 | 13 21 6 | 3 | 19-22 DE 8 20 o) RITI SRO — 275 — Dalla tabella si rileva che l'ampiezza della oscillazione della compo- nente parallela alla costa è quasi trascurabile di fronte a quella della compo- nente perpendicolare, sicchè può asserirsi che l'oscillazione diurna del vento a Vigna di Valle, nelle condizioni sopra specificate, è pressochè interamente dovuta alle variazioni della differenza di temperatura tra il mare e la costa. L'oscillazione della componente perpendicolare alla costa si presenta per ciascun mese, a tutte le quote, tranne al suolo, di identica forma, con quasi perfetta conservazione della fase con l'altezza. La rapidità del riscaldamento diurno dell'atmosfera, favorito dalla convezione, come risulta anche dai va- ‘lori elevati del gradiente termico verticale durante il giorno, spiega la ra- pidità con cui varia la velocità di tale componente durante le ore meridiane. Dalla tabella stessa risulta poi chiaramente che a 1000 m. le oscillazioni diurne della temperatura sono ormai senza effetto sulla distribuzione della pressione tra il mare e la terra. La componente normale alla costa nei lanci pomeridiani è negativa e va continuamente crescendo (diminuendo in valore assoluto) con l'altezza. Nei lanci del mattino e della notte, invece, essa cresce rapidamente fino a 200 m. sul suolo, evidentemente per la diminuzione dell'attrito, per poi diminuire continuamente e talvolta diventare negativa alle maggiori altezze qui considerate (!). L'esame dell'altra componente, parallela alla costa, non permette di arrivare a conclusioni molto decise; non presenta un'oscillazione diurna molto marcata e non è escluso che anche la piccola oscillazione, che in essa si nota, sia dovuta alla scelta del modo di scomposizione qui adottato e cioè alla mancanza di elementi decisivi nel determinare la direzione della costa. 3. Stabilite così sulle medie sopra esaminate le modalità con cui si effettua l'oscillazione diurna della componente della velocità del vento nor- male alla costa e l'altezza entro la quale tale oscillazione si fa sentire, resta da indagare se vi sia una relazione analitica qualunque tra le variazioni della velocità e le variazioni della temperatura al suolo, che si presentano come la causa del fenomeno che stiamo esaminando. La riuscita di tale ricerca rivestirebbe particolare importanza pratica per l'aeronautica poichè fornirebbe un criterio per prevedere le variazioni del vento alle varie quote da osser- vazioni al suolo. Tutte le ricerche, finora compiute su altra via per dedurre il vento in alto da osservazioni al suolo, hanno dato ben scarso risultato: e, sebbene non sembri permesso di sperare una risoluzione completa del pro- blema, mi è sembrato interessante il vedere se, applicando alle osservazioni (*) Questo an lamento ricorda quello osservato sulle medie dei lanci effettuati alle ore 8 dal dott. Fabris, in « Mem. del R. Com. talassografico ital. », n. VIII, 1912; le particolarità qui messe in luce richiamano e possono spiegare le singolarità notate dal- l’Humphreys nei venti del mattino dei primi strati a Vigna di Valle (Monthly Weather Rev. 1916). RenpiconTI. 1920, Vol. XXIX, 1° Sem. 86 = adM0n in esame i metodi offerti dalle moderne teorie statistiche, si poteva miglio- rare alquanto lo stato della questione. . Mi sono proposto pertanto di stabilire una correlazione tra la differenza di temperatura tra la terra ed il mare, e la velocità della componente per- pendicolare alla costa. Come differenza di temperatura tra la terra ed il mare in ogni istante ho assunto, dopo varie prove ed in via di approssimazione, la differenza esistente tra la temperatura al momento del lancio e quella delle 7 del mattino (!). In relazione a ciò. ho preso come velocità della com- ponente dovuta alla situazione barica (che, per il modo stesso con cui fu- rono scelti i giorni in esame, ho implicitamente supposto inalterata durante tutta la giornata), la velocità normale alla costa esistente alle varie quote alle 7 del mattino; e, per differenza, ho calcolato per ogni lancio del giorno la componente dovuta alla differenza di temperatura, coi segni dianzi stabi- liti. I coefficienti di correlazione (?), così calcolati, sono contenuti nel seguente specchio. TABELLA III. Altezza s.1.d.m. . . . .(|Suolo(260m.) S.-400m. |400-600 m |600-800 m.| 800-1000 m. Coefficiente di correlazione — 0,606 — 0,689 | — 0,554| —0,506| —0,119 Error medio del coefficiente * 0,031 = 0,026 | = 0,034 | = 0,037 = 0,049 nua Come si vede, il coefficiente di correlazione si conserva abbastanza ele- vato fino a 800 m., scendendo poi a valori molto piccoli nel successivo strato, da 800 a 1000 metri. Nel calcolare tale coefficiente, che, com'è noto, è una misura della approssimazione che si ottiene ove si consideri la relazione fra i due elementi in discorso come lineare, ho dovuto escludere i lanci effet- tuati intorno alle ore 22, perchè, come già la considerazione delle medie della componente perpendicolare alla costa ha dimostrato, la legge con cui varia la velocità del vento alle varie quote nel periodo di raffreddamento della superficie terrestre è ben diversa da quella con cui la velocità si mo- difica durante il riscaldamento. Il conservare, accanto ai lanci mattutini e diurni qui considerati, anche i lanci della notte, fa immediatamente discen- dere il coefficiente di correlazione (a tutte le quote, tranne al suolo) a valori bassissimi. Il valore relativamente elevato del coefficiente di correlazione alle al- tezze comprese tra il suolo e gli 800 m. (nonostante le incertezze che gra- (') La temperatura delle 7 del mattino è, fra quelle appartenenti alle ore dei lanci qui considerati, la più prossima alla media diurna. (2) Il segno — del coefficiente dipende dai segni stabiliti per la decomposizione. — 277 — vano sul calcolo, data la nostra ignoranza della differenza di temperatura effettivamente esistente tra l’aria sovrastante la terra e quella sovrastante il mare), mentre può considerarsi una conferma sperimentale delle nostre idee sulle brezze, ci inviterebbe a stabilire delle formule approssimate per il calcolo delle variazioni della velocità del vento alle varie altezze durante la giornata, in base alla osservazione delle variazioni di temperatura al suolo. Queste formule varranno pertanto per Je giornate estive e con situa- zione isobarica ben definita e costante. Chiamando 4V la differenza tra la componente normale alla costa alle 7 del mattino e quella attuale, e 4 la differenza tra la temperatura al suolo attuale e quella alle 7, il calcolo del cosidetto coefficiente di regressione(') ci offre le seguenti formule: pel suolo 4AV=— 0,441; per lo strato suolo-400 m. 4V = — 0,50 44; ” 400-600 » AV= — 0,33 4; ” 600-800 » d4V= — 0,29 41. Queste formule concordano coi valori osservati con il seguente errore medio: Suolo S.-400 m. 400-600 m. 600-800 m. m/sec. 2,46 DIO 2,12 2,08 : ; * | " o Dx? Ma se noi confrontiamo tali valori dell'errore medio (Y/7E. ove x esprime la differenza tra il valore osservato ed il valore calcolato) con la LO: : La PIG . variazione media della componente che ci interessa PR ove X esprime la differenza tra i valori osservati della differenza tra la componente alle 7 del mattino e quella esistente alle varie ore del giorno, e le media aritme- tica di tali valori), quale è fornita dalla seguente tabella, Suolo S.-400 m. 400-600 m. 600-800 m. m/sec. DIL'OETOno 8,10 0,15 Zonta 1,41 10,12, noi vediamo subito con quale cautela e discrezione occorre far uso delle for- mule sopra dedotte. Il calcolo qui effettuato può essere un esempio della difficoltà che pre- senta la previsione di fenomeni meteorici (che, come il vento, sono influen- zati da una quantità di cause non suscettibili di esatte considerazioni) anche risalendo alle loro cause principali e pur cercando di eliminare per quanto è possibile, come qui si è tentato, ogni perturbazione. (*) Cfr. G. Udny Yule, Ar introduction to the theory of statistics, London 1912. — 278 — Si può osservare ancora, in generale, che l’esistenza di un elevato coefficiente di correlazione tra due dati statistici non è Senz'altro sufficiente a concludere che la relazione alla quale esso dà luogo fra i due dati stessi, sia praticamente utilizzabile; ma a tale riguardo è essenziale assicurarsi che l'errore medio da cui è affetta tale relazione non sia dello stesso ordine di grandezza dell’oscillazione media dei dati in questione. Chimica. — Sul dipeptide dell’acido aspartico e sulla fun- zione dell’asparagina nelle piante (1). Nota di C. RAVENNA e G. BosiNELLI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Le ricerche dell’anno scorso (*) ci avevano indicato che per prolungata ebollizione delle soluzioni di asparagina prende origine il dipeptide dell'acido aspartico che peraltro potemmo ottenere allo stato di purezza soltanto tra- sformandolo previamente in una sua anidride. Appariva interessante il vedere se anche l'acido aspartico avesse un analogo contegno, ed abbiamo perciò iniziato quest'anno nuove esperienze anche per studiare in modo particola- reggiato le condizioni di formazione del dipeptide dall'asparagina. A questo scopo vennero sottoposte all'ebollizione delle soluzioni rispettivamente di gr. 10 di asparagina e gr. 10 di acido aspart:co in 200 ce. La soluzione di asparagina, dopo 15-20 ore di ebollizione, dimostrava già la presenza del dipeptide perchè precipitava coll’acetato neutro di piombo. L’ebollizione si protrasse per circa 200 ore, dopo di che 165 cc. del liquido, che dava nel modo più caratteristico la reazione del biureto, trattati con un piccolo eccesso di acetato neutro di piombo, diedero un precipitato abbon- dante che venne sospeso in acqua e decomposto cou idrogeno solforato. Il fil- trato lasciò per evaporazione un residuo sciropposo che, stemperato nell’alccol, si trasformò nella solita polvere bianca, amorfa, solubilissima nell'acqua (circa 2 gr.). Convenientemente purificata per mezzo del carbone animale, la sostanza diede questa volta all'analisi i numeri richiesti dall'acido asparagil- aspartico. In 100 parti: Calcolato per Cs His Na 0, Trovato C 38,71 38,78 H 4,84 4,39 N 11,29 11,60 (1) Lavoro eseguito nel laboratorio di chimica agraria della R. Università di Bo- logna. (2) Questi Rendiconti, XXVIII, 2, pag, 113 a. 1919. Vedasi anche Gazzetta chimica italiana, XLIX, 2, pag. 303, a. 1919, Si RETI Re E ba — 279 — Il suddetto dipeptide, che l’anno scorso abbiamo potuto ottenere puro, come si disse, soltanto previa la sua trasformazione nell’anidride, è stato dunque in questa esperienza isolato direttamente allo stato di purezza. In tal modo, e dopo gli infruttuosi tentativi di altri autori ('), rimane definitiva- mente dimostrata, con tutto rigore, la formazione dell'acido asparagil-aspar- tico per ebollizione dalle soluzioni acquose di asparagina. Nelle acque madri, da cui era stato separato il dipeptide, si ricercarono gli altri eventuali prodotti di trasformazione dell’asparagina. A _ tal fine, dopo aver precipitato il piombo con idrogeno solforato, venne innanzi tutto eli- minata l'ammoniaca con la barite a freddo, a pressione ridotta in corrente d’aria. Ci siamo accertati che in queste condizioni nè il dipeptide nè la aspa- ragina vengono decomposti dalla barite in modo apprezzabile. Eliminato a sua volta il bario con la quantità esatta di acido solforico, rimase un liquido che, concentrato a piccolo volume, lasciò separare circa 3 grammi «di sostanza cristallina. Ricristallizzata frazionatamente si ottenne una prima frazione più abbondante costituita da acido aspartico ed una frazione in quantità minore per cui l’analisi indicò una percentuale di azoto intermedia fra quella dell'acido aspartico e quella dell’asparagina. In 100 parti: Calcolato per Trovato C.H,NO, C4Hgs N 0g 1? frazione 22 frazione 0 36,09 - 36,33 _ H 5,26 _ 5,08 _ N 10,52 21,21 10,70 15,02 Il liquido, da cui erano stati separati i precedenti cristalli, fornì per concentrazione uno sciroppo da cui si ottenne, per trattamento con alcool, ancora circa gr. 1 di dipeptide. Complessivamente abbiamo dunque ritrovato, nei 165 cc. di liquido esa- minato (corrispondenti a gr. 7,25 di asparagina anidra), gr. 3 di dipeptide e gr. 8 di sostanza cristallina costituita per la massima parte da acido aspartico ed in quantità minore da asparagina rimasta inalterata. Tenendo conto delle inevitabili perdite, si può concludere che la asparagina era stata quasi completamente trasformata per metà nel dipeptide e l’altra metà in acido aspartico parzialmente salificati dall'’ammoniaca proveniente dalla sa- ponificazione dell'amide. Per vedere se anche l'acido aspartico, per ebollizione delle sue soluzioni acquose avesse, come l’asparagina, dato origine al dipeptide, abbiamo fatto bollire, come si disse, per uguale tempo 209 ce. di una soluzione di acido aspartico al 5 per cento. La soluzione non diede peraltro se non un lieve in- (') Emil Erlenmeyer Biochemische Zeitschrift, LII, 451, an. 1913; Felix Ehrlich e Fritz Lange, ibidem, LIV, 256, an. 1913. — 280 — nalbamento con l'acetato neutro di piombo. ed anche la reazione del biureto risultò negativa. Ciò indicava che il dipeptide non si era formato e lo abbiamo potuto confermare perchè dal liquido si riottenne, per concentrazione, pres- sochè la quantità introdotta di acido aspartico ed una traccia di sostanza sciropposa che, per la piccola quantità, non potè essere esaminata. Si poteva tuttavia pensare che, nella sintesi del dipeptide, l’amide avesse una funzione indiretta, in quanto cioè determinasse, in un primo tempo, la formazione dell'aspartato ammonico. Abbiamo perciò sottoposto all’ebolli- zione, per una durata eguale a quella delle precedenti esperienze, due solu- zioni contenenti ciascuna, in 200 cc., gr. 10 di acido aspartico con la quan- tità di ammoniaca calcolata rispettivamente per l'aspartato acido e l’aspare tato neutro. Le soluzioni, di cui quella coll’aspartato neutro aveva perduto durante l'ebollizione la metà dell'ammoniaca, decolorate col nero animale, die- dero con l’acetato neutro di piombo uno scarso precipitato, nel quale non si rinvenne il dipeptide; così pure le acque madri, dopo la eliminazione del piombo con idrogeno solforato e dell’ammoniaca come precedentemente con la barite a freddo, non fornirono per concentrazione se non acido aspartico, presso a poco nella quantità che era stata introdotta. Da queste esperienze è risultato dunque che, mentre l'asparagina si trasforma, per ebollizione delle sue soluzioni acquose, in larga misura nel dipeptide dell'acido aspartico, una simile reazione non è data nè dall’acido aspartico libero nè dai suoi sali ammonici. Tale fatto, assai notevole, ci sembra debba condurre a considerare con nuovi argomenti il significato del- l’asparagina, ed eventualmente delle amidi in genere, nelle piante. Questi corpi avrebbero, a nostro avviso, la funzione fondamentale di rendere possi- bile la sintesi dei polipeptidi e quindi delle sostanze proteiche che, come le nostre esperienze sull’acido aspartico hanno indicato, non potrebbero forse formarsi direttamente dai semplici amino-acidi. Mentre nella sintesi arti- ficiale dei polipeptidi è richiesto di regola l'intervento di reattivi energici, le piante, per mezzo delle amidi, provvederebbero alla condensazione iminica degli amino-acidi meucrte la semplice eliminazione di ammoniaca. Con questo modo di vedere si accorda la comunicazione fatta da uno di noi in una Nota preliminare ('), che cioè, con ogni probabilità, dall'asparagina, per azione degli enzimi vegetali, si forma anche a freddo un peptide dell’acido aspartico. Queste esperic.e ill 'istrano perciò in modo assai soddisfacente le vedute, secondo le quali l’asparagina delle piante è da considerarsi come un termine di rigenerazione delle sostanze proteiche. Poichè, come s'è visto, il dipeptide non si forma dall’acido aspartico nè dall’aspartato ammonico, ma soltanto dall'asparagina alla quale è stata assegnata dal Piutti (2) la struttura della #-asparagina, la sintesi, che inte- (*) C. Ravenna, questi Rendiconti, XXIX, 1, pag. 55 (1920). (*) Gazzetta chimica italiana, XVIII, 457 (1888). — 281 — ressa il gruppo amidico da una parte ed il carbossilico dall'altra, dovrà av- venire secondo lo schema: CONH,— CH, CO—CH, NH, IE hi er COOH—CH La dn ti IA (RS. 2 mol. 8-asparagina B-dipeptide dell'acido aspartico Questo modo di formazione porta alla conseguenza che il nostro dipep- tide non sia identico, come tutti i suoi caratteri farebbero ritenere, ma l’iso- mero chimico di quello di Fischer e Koenigs. Quest'ultimo, che dagli autori fu ottenuto dall’acido 2.5- dichetopiperazin- 3.6- diacetico (*), starebbe invece in relazione con l’'@-asparagina: CO NH, co NH, na sd aa COOH.CH..CH NH, SOGLIE ge AL CONH: CO 2 mol. «-asparagina acido dichetopiperazindiacetico co NH E COOH.CH..CH NH, COOH a-dipeptide dell’acido aspartico Nelle Note precedenti (2) abbiamo detto che per riscaldamento del no- stro dipeptide a 210° esso si trasforma in un corpo riconosciuto identico all'antica imide fumaria ed al quale assegnammo la costituzione di un’ani- dride dell'acido dichetopiperazindiacetico, Se per le considerazioni più sopra svolte si può ritenere che l'acido asparagil-aspartico, che si forma diretta- mente dall’asparagina debba avere, come si è visto, la struttura del -dipep- tide, non è invece possibile per ora affermare quale dei due sia stato da noi ottenuto l’anno scorso per via indiretta, cioè trattando la menzionata anidride con l’acqua di barite; poichè, come facilmente si osserva confron- (*) Berichte, XL, 2, pag. 2048 (1907). (2) Questi Rendiconti, XXVIII, 2, pag. 113 e 1837 (1919); vedasi anche Gazzetta chimica italiana, XLIX, 2, pag. 303 (1919). — 282 — tando le relative formule di struttura, a seconda del modo di apertura degli ‘anelli essa può dare sia l'uno sia l’altro dipeptide che, a quanto sembra, non differiscono sostanzialmente nei caratteri. COOH—CH; co CH. 00 cn co SR | c0| 2 hi NH CH N \CH | | chi NE, CH NH, chi/N COOH pp 60 CH,—C00H CH,—C00H CH,—C0 a-dipeptide B-dipeptide anidride dell’acido dichetopiperazindiacetico La questione, avendo a che fare con sostanze amorfe, non sarà facile a risolversi, ma non è da escludere che da un confronto più approfondito fra il dipeptide di Fischer e Koenigs ed i prodotti da noi ottenuti per le diverse vie, possa emergere qualche particolare proprietà che serva a carat- terizzare nettamente i due isomeri. Riguardo alla costituzione dell'anidride dell'acido dichetopiperazindia- cetico, l'anno scorso abbiamo proposto due formule, delle quali quella sopra indicata ci sembrava la più probabile. In favore di tale struttura parla ora anche il fatto che soltanto essa sta in relazione col f-dipeptide dell'acido aspartico da cui l'anidride è stata ottenuta. Botanica. Cora/linacee del litorale tripolitano ('). Nota I della dott. R. RAINERI, presentata dal Socio 0. MATTIROLO. L'argomento di questo lavoro, consigliatomi dal chiar.®° prof. O. Matti- rolo, consiste nell'esame di aleune alghe calcari della famiglia delle coral- linacee, raccolte dal chiar. professore C. F. Parona sulle coste libiche durante la spedizione scientifica, da lui presieduta, negli anni 1912-1913. Le corallinacee infatti costituiscono la panchina del litorale di Tripoli, così descritta dal prof. Parona (2): « È la panchina in via di rapido svi- luppo, panchina vivente risultante da tortuose conchiglie cilindriche di vermetidi, di cespugliosi e bitorzoluti Zitotammi, di croste di Litofilli, cui si associano gli altri variopinti organismi vegetali ed animali proprî di questa zona anfibia tra costa e mare... ». (') Lavoro eseguito nel R. orto botanico di Torino. i __(*) Parona, /mpressioni di Tripolitania: note geomorfologiche sulla Gefara, 1915, pag. 10. — 283 — Ringrazio il mio professore che volle affidarmi materiale di studio così interessante; e vivi ringraziamenti rivolgo pure ai chiar. prof. C. F. Parona e De Toni, al primo per il materiale ed i preziosi consigli, al secondo perchè mi pose in comunicazione con la sig.'* Lemoine, l'illustre e gentile scien- ziata francese dalla quale ebbi pubblicazioni e appoggi. Il mio studio è basato sul metodo moderno inaugurato da mad."* Lemoine: che dà la mas- sima importanza alla struttura anatomica. Il lavoro di riordinamento e di comparazione compiuto da mad. Lemoine fra le forme finora studiate di questo gruppo importante di alghe e le numerose forme nuove di località diverse, mi ha reso possibile lo studio descrittivo dei miei esemplari, seguendo in specie i lavori, che ricorderò con i numeri I e II: I. Structure anatomique des Mélobésiées; application à la classification. Annales de l’Institut océanographique, 1911. - II Calcareous Algae; Danish Oceanographical Expedition, 1908-1910. Delle 12 specie da me esaminate, cinque appartengono al genere Li- thothamnium: Lith. crispatum; Lith. Haucki; Lith. Lenormandi; Lith. Philippii (forme crostose); Zith. fruticulosum (forma leggermente ramosa). Quattro al genere Zithophyllum: Lithoph. ecpansum ; Lithoph. lichenoides (forme crostose); Zithoph. byssoides; Lithoph. decussatum (rami e parte ba- sale crostosa, Una al genere Melodesta: Melob. Lejolistt. Due sono coralline a tallo articolato. Infine ho pure esaminato una Squamartacea, la Peyssonelia rubra, molto simile per aspetto esterno e struttura anatomica ad una melobesia. La presente Nota è dedicata allo studio delle specie del genere Z2/k0- thamnium, riservando ad una ulteriore comunicazione l'esame delle altre specie. Lithothamnium crispatum Haucki (Bibl. iconogr. Lemoine, I, pag. 78; II, pag. 6). Il L. crispatum è rappresentato da una crosta di 1 mm. circa di spes- sore, giallastra, a superficie poco regolare, per la presenza di piccole protu- beranze, sostenuta da un groviglio feltrato di alghe brune su altri residui vegetali più resistenti, fra cui frustuli di corallina. La struttura anatomica può, eccetto qualche piccola differenza nella di- mensione delle sue parti, riportarsi a quella descritta da mad." Lemoine, In sezione verticale: l’ipotallo è nettamente sviluppato con file di cel- lule poco compatte, orizzontali, di forma rettangolare, con la lunghezza mas- sima in direzione parallela alla superficie della crosta (u 20,8 — 23,7 lungh. X X u 10,4 — 13 largh.). La parte inferiore dell’ipotallo si dirige in basso con cellule più lunghe (u 33,8 X w 7,8); la parto superiore si drizza, assai bru- scamente, a costituire il peritallo, dato da file di elementi ricoprentisi nella parte più vicina all’ipotallo, di forma ovale allungata (pw 18,2 X w 6,5); RenDpICONTI. 1920, Vol. XXIX, 1° Sem. 37 — 284 — spesso due vicini si uniscono dando origine ad un'unica cellula grande, con un restringimento nella parte mediana. Sopra queste cellule, in continua- zione di esse, ve ne sono altre più piccole, di forma quadrata (u 13 X w 10,4) con ispessimento delle pareti in alto ed in basso, per modo che, visto a pic- colo ingrandimento, il tessuto presenta delle linee accentuate, non però per- fettamente orizzontali e che non corrispondono alle zone, di colorazione net- tamente diversa, osservate da mad." Lemoine nel suo campione. Alla super- ficie del tessuto vi sono due strati di cellule regolari, schiacciate che trat- tengono maggiormente la colorazione (w 7,8 X w 10,4). Lo spessore della crosta, nel punto dove ho osservato questi caratteri, è di u 390-448. i I concettacoli sono numerosi in un punto in cui la crosta giunge a u 1280 di altezza; sono vuoti, con un solo canale di apertura, conici, molto rialzati al centro (u 410-624 X u 226-480). Hab. Tripoli. Distr. geografica: Mediterraneo (Tangeri), Tirreno, Adriatico, Egeo, Pa- citico (Funafuti). . Per la Tripolitania è forma nuova. Lithothamnium Haucki Rothpletz (Bibl. icon. Lemoine, II, pag. 8). È un massiccio calcare di croste giallastre, crescenti le une sulle altre, fortemente aderenti a nocciuoli lapidei, e cementate insieme senza i bordi liberi. L'intera massa calcarea è traforata in tutti i sensi, ragiona per cui non sono riuscita ad avere un preparato decalcificato che mostrasse bene la struttura anatomica. Migliori risultati ebbi dalla sezione fatta, senza decal- cificare il tessuto, come se si trattasse di una forma fossile. Le cellule sono rettangolari, quadrate in alcuni punti (w 9-12 X w 7,9) nel peritallo; l’ipo- tallo è poco visibile, ma credo di riferire a questo cellule lunghe, disposte a ventaglio, che misurano u 24,30 X u 8-9. È evidentissimo un concettacolo di forma conica con un rialzo al centro dove è il canale di uscita; le cellule intorno al concettacolo sono disposte in serie convergenti verso l’alto. La cavità ha una larghezza di u 704 per un'altezza di w 380, ed il canale di uscita è di una lunghezza di u 182. Tra una crosta e l’altra vi sono delle striscie giallastre che sarebbero do- vute, secondo mad.®* Lemoine, ad una sostanza prodotta dalla disgregazione della membrana, per il passaggio di numerosi animali che attraversano le croste del Zithothamnium Haucki. Hab.: Panchina di Tripoli. (Det. mad."° Lemoine). Distrib. geogr.: Mediterraneo: Algeria, Tripolitania, Sicilia, is. Tenedos. VE: Pit — 2859 — Lithothamnium Lenormandi Areschoug (Bibl. Lemoine, I, pag. 81). L'aspetto è caratteristico: sottile crosta roseo-violacea, cresciuta sopra un ammasso di astucci di Vermetus intrecciati; più strati della crosta ven- gono a confluire formando piccoli rilievi. La struttura cellulare è quella pro- pria ai Zithothamnium: le cellule sono disposte in catenella, non terminando allo stesso punto quelle di file successive. Una sezione normale alla super- ficie della crosta fa vedere un ipotallo di poche file orizzontali di cellule Fic. 1. — Lithothamnium Lenormandi sezione del tallo _ rettangolari (u 22,4-25 X 5,6-8) le quali, portandosi verticali in modo brusco, dànno le file del peritallo di cellule piccole, ovali, a contorno netto (w 8,4- 11,2 X 4-5) (fig. 1) È . I concettacoli sono disposti regolarmente sotto la superficie, a poca distanta l'uno dall'altro, ovali; ma il tessuto peritallico sta occupandone la cavità. Lo spessore della crosta è di w 100-150. Hab.: Panchina a vermetus della marina, tra Sidi Abdul Gelil e Sidi Bilal ad ovest di Tripoli. Distr. geogr.: Mediterraneo (Marocco, Algeria) Tirreno, Adriatico, Egeo, mar Nero, Oceano Atlantico (dalle coste dell'America del Nord fino al golfo di Guascogna). Nuova per il litorale tripolitano. Lithothamnium Philippit? Foslie (Bibl. Lemoine, II, pag. 6). Numerose lamelle cresciute l’una sull’altra e fortemente aderenti ad una pietruzza, con spessore di 1 mm. circa e, più precisamente, nel punto in cui ho fatto la sezione di u 432-592. La superficie irregolare porta nu- — 2386 — merosi piccoli fori corrispondenti ai concettacoli. In sezione longitudinale si distingue, a partire dalla base, un ipotallo costituito di poche file di cellule rettangolari allungate orizzontalmente, costituenti un tessuto assai compatto (u 23,4-26 X 10,4-13). Il peritallo è ben sviluppato con cellule ovoidali, ristrette nel punto in cui si toccano, dove è visibile un foro grande di comu- nicazione (u 18,2 X 9,1). Questo è carattere del peritallo in vicinanza dell’ipotallo; in una zona superiore è dato da cellule più lunghe, con pareti rigide, molto strette le une alle altre, senza restringimento agli estremi (u 39 X 7,8; u 28,6 X 7,8). Ho notato poi, come in qualche zona della se- zione, nello spessore stesso in cui ho considerati questi caratteri anatomici, vi sia un nuovo ipotallo a cellule allungate orizzontalmente (w 26 X 10,4), in file meno numesose di quello normale. I concettacoli vuoti sono numerosissimi nel tessuto, anche su due file nello spessore della crosta, alcuni un po’ rialzati al centro, altri di forma elittica ma senza spore (w 180-210 X 90-120). Ho creduto trattarsi del Zithothamnium Philipii per l'analogia nella dimensione delle cellule, pur essendoci, saltuariamente nelle sezioni, un ca- rattere che non si addice alla struttura dei Zithothamnium: un ipotallo al zone concentricamente arcate come nel genere Zzohophyllum. Non essendo però un carattere costante, ho, per ora, ascritta la forma al genere Zitho- thamnium. i Hab.: Tripoli, Distr. geogr.: Marsiglia, Corsica, Napoli, Sicilia, Adriatico, Egina, Te- nedo. Nuova per la Tripolitania. Lithothamnium fruticulosum (Kitz.) Fosì. (Bibl. Lemoine, II, pag. 11). Sopra una superficie calcarea bianchiccia, emergono minuti bitorzoli di pochi millimetri di diametro, cilindrici, dell'altezza di 3 mm. circa; in un altro campione, sulla superficie basale vi sono protuberanze molto distinte, più massiccie. Caratterizza il tessuto decalcificato la compattezza: le cellule del peritallo, pur non essendo disposte in file concentriche, sono molto av- vicinate, hanno forma ad otre, leggermente appuntata ad una estremità; altre sono cilindriche allungate. Esaminando il tessuto, a maggiore ingran- dimento, si vede come, molte volte, due cellule vicine, si siano fuse insieme, trasformandosi in cellule più grandi. Il tessuto, in sezione verticale, presenta, a distanze regolari, delle linee di colorazione più intensa, indicate come zone di accrescimento caratteristiche del genere Lithothamnium. Le cellule normali del peritallo misurano : 4 Calia i n — 287 — gm 14 X 8. Non ho notato la presenza di un ipotallo che mad."° Lemoine dice esistente nella parte inferiore del tallo, ma poco sviluppato (fig. 2) perdi : Le cellule, meno che nel tessuto periferico, sono ripiene di granuli, d’amido piccolissimi, sparsi uniformemente. I concettacoli sono numerosi, A Pt n ci À LETT SERRATA e uatsentta ì 0 IRC CIA ta n Dal NY) N IR Poi 09, Ip jeod IRE. IFOOR Fic. 2. — Lithothamnium fruticulosum - tessuto peritallico 2. disposti a poca distanza l'uno dall'altro, in file concentriche che seguono le zone scure di accrescimento. Alcuni sono piccoli, quasi lineari, piatti; altri 3 È 5 8 Fia. 3. — Lithothamnium fruticulosum — Concettacolo anteridifero 2, rialzati a cono nella parte mediana superiore. Sono concettacoli maschili : in- fatti, dal fondo della cavità si elevano ciuffi pelosi di anteridii (fig. 3) 308 3 n a disposti in catenelle; nella parte superiore v'è un solo canale di apertura, chiuso dai nuovi strati di tessuto, formatisi nell'’accrescimento del- — 288 — l'alga (misura di concettacoli: u 140-168 di largh. alla base X 39,2 - 92,4 di altezza; u 25,2 di larghezza del canale di uscita). Tanto i campioni quanto i preparati sono stati riveduti da mad.m° Le- moine. ; Certamente i caratteri esterni dei miei campioni non corrispondono a quelli di mad." Lemoine (IT, pag. 11) perchè, nel mio caso, non si tratta di croste sottili e i piccoli rami, che emergono dalla superficie, sono molto più simili a bitorzoli che non a spine. Uno dei campioni, il più masssiccio, munito di poche protuberanze, credo riferibile alla varietà crassiuscula di Foslie. Habit.: panchina di Tripoli. Distr. geogr.: mare Mediterraneo (Algeria, Tripolitania, Sicilia, Napoli Marsiglia); Adriatico. De Toni e Forti (') hanno segnalato il Zith. fruticulosum di Tagiura (Trotter) con la forma so/uta (Foslie). Biologia. — Sull'identità di influenze morfogenetiche nella metamorfosi degli Anfibi Anuri e Urodeli. Nota di G. COTRONEI, presentata dal Socio B. Grassi. Questa Nota sarà pubblicata in un prossimo fascicolo. Patologia. — Sagg: farmacodinamici sottoepidermici. Il; Saggi indiretti: prova della tiroide. Nota IV dei professori MAURIZIO ASscoLi ed AnTonIO FagiuoLI, presentata dal Socio B. Grassi. Ovvio si presentava il tentativo di battere per la tiroide la via seguìta nelle Note precedenti, a priorî meno promettente, date le impurità e la imperfetta nostra conoscenza del suo principio attivo; vi ci siamo tnttavia provati. La risposta ad un'iniezione sottoepidermica (s. e.) di estratto di tiroide differisce da quella dell'acqua per maggiore estensione della papula ed in- tensità e durata del colorito roseo. Ancor qui la reazione è individual- mente varia, or più vivace e durevole, ora smorzata fino a confondersi con la reazione di controllo dell’acqua. Senonchè, un quadro identico è offerto da altri estratti (ad es. di ovaio, di timo, di testicolo) provati contempora- neamente in uno stesso soggetto. Il problema non appare dunque solubile (1) De Toni e Forti, Seconda contribuzione alla flora algologica della Libia ita- diana, 1914, pas. 25. — 289 — per via semplice e diretta; è possibile di aggirarlo con saggi farmacodinamici s. e. indiretti? Tra le varie ghiandole a secrezione interna corrono strette relazioni di interdipendenza, di sinergia, di antagonismo. Per quanto riguarda l’adrena- lina e la pituitrina disponiamo, nelle relazioni descritte, di un mezzo per valutare la suscettibilità cutanea individuale di questi principî attivi. Gli estratti di altre ghiandole non dànno, come sopra è detto, risposta propria particolare; ora sono essi capaci dì influenzare la reazione s.-e. del- l'adrenalina, esaltandola od attenuandola? Forse che a questo modo sì estrin- seca la sensibilità dell'organismo verso di esse e diventa apprezzabile? In altri termini, nella fattispecie, l'aggiunta di estratto tiroideo in quantità minima, di per sè inerte, modifica nel senso di ridurre o di rinforzare (come nelle ricerche sul ricambio del Falta o sull'apparato circolatorio di A. Oswald con la tireoglobulina) l’effetto s. e. dell’adrenalina? L'esperimento è risposto affermativamente in determinati stati patologici, non già in condizioni normali (*). Un dato soggetto, ad es., reagisce ancora distintamente all’adrenalina al 200,000, debolmente ancora al 1,000,000. Se queste diluizioni sono preparate in modo da contenere una minima quan- tità (1/100, 1/200 di cme.) di estratto di tiroide (?) — che, allungato così, non provoca reazione diversa dall'acqua distillata — /a reazione adrenali- nica riesce distintamente (con gradazioni d’intensità varie da caso a caso) più viva che non nelle prove parallele senza estratto di tiroide, e si man- tiene più a lungo; spesso anche la macchia rossa centrale è più pronunziata. Analoga attivazione può aversi per la pituitrina e sussistere anche indipen- dentemente da quella dell’adrenalina. Gli estratti di altre ghiandole endocrine sembrano invece capaci di smorzare la reazione dell’anedralina; ma su ciò ci riserviamo di ritornare, come avremo occasione di intrattenerci sul significato clinico di questi saggi 8. e. indiretti, nella veste della prova della tiroidina. (*) Presumiamo che l’assenza del fenomeno nello stato normale dipenda dal conte- nuto relativamente insufficiente di sostanze attive negli estratti totali di tiroide da noi usati; però il risultato non varia ove si usi la tireoglobulina dell’Oswald. (2) Gli estratti da noi adoperati sono ottenuti alla pressione di 850-400 atmosfere per cmq.; contengono l’ 1-2 °/o di cloretone; sono filtrati a candela, distribuiti în fialette sterilizzate a 120° in autoclave. Ne andiamo debitori all’Istituto nazionale medico farma- cologico che si prestò a prepararli per noi a scopo scientifico. | Abbiamo già ripetutamente insistito (vedi Nota V) sulla necessità che la inie- zione sia nettamente superficiale, sottoepidermica. Tanto più necessaria è questa condi- zione nella prova della tiroidina, trattandosi di porre a confronto solo differenze d'inten- sità di reazioni dello stesso tipo, che possono essere artificialmente imitate da iniezioni della stessa sostanza a diversa profondità. Per mettersi al riparo da questa causa di er- rore e cogliere scarti anche modesti, si può praticare il saggio in doppia o tripla prova parallela, e ritenerlo positivo sol quando il risultato sia netto e concorde e la differenza senza incertezza apprezzabile da osservatori estranei alla esecuzione dei saggi. EVER N? x feci 1 ip” TISAORI SIANO SIA - — 290 — MEMORIE | DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI O. CHIsINI. Za risoluzione delle singolarità di una superficie mediante trasformazioni birazionali dello spazio. Pres. dal Socio CASTELNUOVO. PERSONALE ACCADEMICO Il Socio Corrisp. Luier De MARCHI legge la Commemorazione del Socio Vincenzo REINA. È un dovere d'amico e di studioso e d'italiano ch'io compio, ricordando qui per incarico vostro, onorandi colleghi, l’immagine e l’opera scientifica di Vincenzo REINA. Nel compierlo, sento che purtroppo deve aiutarmi più il sentimento che non la scienza, più la conoscenza intima della sua nobile per- sonalità morale e scientifica, che non la competenza a giudicare delle sue squisite qualità di osservatore e di sperimentatore e del contributo di mi- sure e di fatti concreti da lui portato al patrimonio della geodesia. Ma, a persuadermi ad assumere la responsabilità di questo còmpito, che non deve essere soltanto pietoso, mi ha condotto il pensiero, che certo ispirò anche voi nell’affidarmelo, che possa pure avere un significato l'apprezzamento di chi può segnalare il riverbero, anche nel campo dei proprî studî, di una luce accesa nel campo di studî affini. È questa infatti la prova di una vastità di concezione scientifica, che fa scegliere a uno studioso, nell'orbita della sua scienza speciale, quei problemi più generali che, nel nesso indissolubile delle scienze, assurgono a problemi di filosofia naturale. Tale è, tra i problemi prediletti del Reina, quello della forma del geoide e delle anomalìe gravi- metriche che ad essa si connettono; al quale si collegano tanti problemi di geografia, di geologia e di geofisica che in esso trovano, o dovrebbero trovare. il fondamento più positivo, perchè queste scienze non sono che rami di una scienza unica, la scienza della Terra, di cui solo la geodesia definisce in modo rigoroso l'oggetto. Nè, sembrami, è necessario ch'io prospetti a voi, che avete conosciuto personalmente Vincenzo Reina, parecchi dei quali lo hanno avuto scolaro e parecchi maestro, tutti amico, il rigore e lo scrupolo sperimentale e critico, di cui in ogni suo lavore egli dà prova; noi tutti sappiamo che egli era uno di quei gentiluomini della scienza pei quali la sincerità scientifica è un punto d’onore, che non si sacrifica mai alla velleità di risultati brillanti, ma insicuri. La sicurezza dei dati da lui ottenuti, provata dalla loro stessa coerenza, e dalla critica stessa alla quale l’autore li sottopone, e dalla con- — 291 — ferma di altre osservazioni sue o d’altrui, è il documento più sicuro non soltanto di tale sincerità scientifica, ma della sua non comune abilità spe- rimentale. Rx ‘ La biografia di Vincenzo Reina si riassume tutta nella sua vita scien- tifica. Nato da antica famiglia patrizia di Como il 22 novembre 1862, ivi compì gli studî medii. Laureatosi in matematica a Pavia, dove fu allievo del Beltrami, passò poco dopo, nel 1887, a Roma come assistente del prof. Pucci, alla cattedra di geodesia, e a Roma rimase fino alla morte, essendo ancor giovane successo al maestro nell'insegnamento della geodesia e poi al prof. Pitocchi in quello della geometria pratica. Così si riassume una nobile vita, tutta dedicata, col massimo disinteresse, alla scienza. * *_* Primo e commovente monumento di tale disinteresse scientifico e della devozione figliale di lui a maestri venerati e compianti, è la pubblicazione, dal Reina curata nelle Memorie di questa Accademia, delle esperienze di Pisati e Pucci sulla lunghezza del pendolo semplice a secondi in Roma (Memorie della Reale Accademia dei Lincei, 1894). Chi sa quanto sia difficile dar ordine e significato a note ed appunti, che uno studioso stava laboriosamente raccogliendo secondo una sua intima concezione di metodo e di scopo, e che la morte improvvisamente irrigidì o scompaginò, può comprendere quanta parte di opera personale, selettiva coordinativa e costruttiva, abbia dovuto dare il Reina per giungere, attraverso a una discussione minuta di una com- plicatissima disposizione strumentale, a quel valore della gravità a Roma, che fu poi confermato dal Reina stesso e da altri, in confronto con altre stazioni e segnatamente con Padova, Vienna e Potsdam. Eppure non un cenno è da lui fatto a questa sua opera personale nell'ampia e minuziosa relazione, dove non è dimenticato alcuno di quelli che più o meno lo coadiu- varono: egli si tiene in disparte, perchè nel « ricordo durevole », che, come dice nella prefazione, « egli augura i suci sforzi valgano ad innalzare alla memoria dei suoi venerati maestri », risultino solo le figure di questi severi modelli di guella tenacia metodica nel conseguimento di un risultato, che non è il più comune attributo della genialità italiana. Tale esempio non fu vano per lui che, educato a quella scuola, colla- boratore per parecchi anni in quella stessa colossale impresa, può conside- rarsi di quel maestri il più diretto allievo e continuatore. Il nome di Vin- cenzo Reina rimarrà infatti legato specialmente ad un lavoro, forse ancor più meraviglioso per costanza di propositi e ai fatiche, che egli condusse da solo, per il periodo di molti anni, e che, per tragica analogia, fu inter- rotto, come quello dei maestri, dalla morte. Intendo parlare della serie di RenpICcONTI. 1920, Vol. XXIX, 1° Sem. 8 (46) — 292 — osservazioni dirette a determinare con misure di latitudine e di azimut di punti trigonometrici, combinate in ultimo con misure di gravità relativa, l'andamento del geoide nella regione italiana. Già nel 1894 in seguito alla « Determinazione dell’azimut di monte Cavo sull'oriasonte della specoia geodetica di S. Pietro în Vincoli » (Pub- blic. Commiss. geodet. ital.), aveva avuto occasione di rilevare le compo- nenti dell'attrazione locale in Roma (Rend. Lincei 1895). Determinazioni analoghe e più complete, fondate cioè su determinazioni non solo di azimut, ma anche di latitudine astronomica, estese il Reina negli anni successivi attorno a Roma, a Monte Mario, Fiumicino, Monte Cavo, Monte Pisarello e Monte Soratte (Rend. Lincei 1898 1900); ma il lavoro si ampliò poi in un programma assai più vasto, mirando a determinare il profilo del geoide lungo tutto il meridiano di Roma in Italia. Al compimento di questo piano attese il Reina negli anni dal 1900 al 1905, estendendo la determinazione dei due elementi, o della sola deviazione di latitudine, prima verso nord sino a Ca- lalzo nel Cadore, poi verso sud sino all'isola di Ponza. Il profilo del geoide lungo il meridiano viene quindi determinato sui dati di 19 stazioni trigono- metriche distribuite su circa 5 gradi e mezzo di latitudine. Il Reina si riser- vava di costruirlo, quando si avessero i dati definitivi delle coordinate geo- detiche dei vertici della rete trigonometrica italiana riferite al segnale geo- detico di m. Mario, secondo gli intendimenti della Commissione geodetica italiana e dell'Istituto geografico militare. Intanto ne fa un calcolo provvisorio, riferendolo a un ellissoide di riferimento passante per monte Pisarello, consi- derato anche come origine del profilo. Questo appare deprimentesi subito sotto il geoide con legge prima molto lenta, ma accentuantesi sotto l'Appennino di Romagna, ove tuttavia lo scostamento massimo non sarebbe che di 11 metri. Di lì il profilo si rialzerebbe prima assai rapidamente, fra Bertinoro e Co- macchio, al di sopra dell’ellissoide, poi più lentamente nella pianura veneta sino all'orlo montuoso, che la prospetta, nelle Alpi bellunesi, dove presenta una forte deviazione, che va poi attenuandosi nelle Alpi dolomitiche. Questi risultati, che il cauto misuratore rivela con assoluta obbiettività, senza permettersi alcuna induzione ipotetica, non possono non colpire il geo- fisico, per la conferma che essi dànno, anche per la penisola italiana, della teoria isostatica, per la quale le irregolarità superficiali del terreno non hanno che un riflesso quasi insensibile, e, nel caso dell'Appennino, contrario a quello delle attrazioni locali, sull'andamento della superficie di livello. E non è probabilmente per semplice caso che le zone di massima irregola- rità, l'Appennino di Romagua e le Alpi bellunesi, corrispondono a zone noto- riamente sismiche, se si collega questo fatto con l'altro rilevato dal Riccò (altra serena figura di scienziato di cui piangiamo la perdita recente) che anche i centri sismici dell’Italia meridionale rispondono ad aree di maggiore anomalìa gravimetrica e quindi di maggiore deviazione del geoide. — 293 — Anche a questo metodo gravimetrico di determinazione del Geoide rivolse in seguito il Reina la sua squisita abilità sperimentale e la sua infaticabile costanza di osservatore. Nella sua relazione al congresso della Società per il progresso delle scienze del 1911 in Roma, sulle « Misuro gravimetriche in Italia », egli aveva esposto la storia delle misure di gravità assoluta e relativa e delle controversie sulle correzioni da introdursi in esse, special- mente per le vibrazioni del supporto, sia a pilastro sia a mensola a muro. Nell'intento di iniziare una campagna gravimetrica, il Reina studiò anzi- tutto un suo tipo di apparato bipendolare, con due pendoli riducibili a eguale durata d’oscillazione, ad unica lastra orizzontale di sospensione, non mai mossi durante tutto il periodo delle misure, con un ingegnoso apparecchio biprismatico di riflessione. Le correzioni per le vibrazioni del supporto, rive- late dalla risonanza di un pendolo per l'oscillazione dell'altro, si dimostrarono assai piccole. L'apparato del Reina, con quelle lievi modificazioni che l'espe- rienza potrà suggerire, segna quindi un notevole progresso su quelli usati prima di lui. Con esso il Reina istituì nel 1912 un confronto della gravità a Roma, Arcetri, Livorno, Vienna e Potsdam, in collaborazione col suo assistente ing. Cassinis. Il rigore di tali osservazioni, nelle quali il Reina introdusse tutte le correzioni calcolabili, è dimostrato dal perfetto accordo tra i valori ottenuti per la gravità e quelli già noti per precedenti misure. Constatato così il perfetto funzionamento del suo apparato, il Reina riprese la sua campagna per la determinazione del geoide nella regione ita- liana, combinando le determinazioni di latitudine astronomica, fatte da lui stesso, con quelle gravimetriche condotte dal Cassinis. Primo frutto di questa nuova campagna, per l’esplicazione dell’antico programma, è la memoria Determinazioni di latitudine astronomica e di gravità eseguite nell’ Umbria e in Toscana nel 1913, pubblicata dalla R. Commissione geodetica italiana nel 1915. I risultati delle due serie simultanee di osservazioni sono proposti ‘senza raffronti e conclusioni, che il Reina riservava a epoca futura quando la campagna si fosse estesa a una zona più vasta; la guerra prima, e poi la morte, interruppero l'esecuzione del grandioso programma. Mi sono soffermato su questo gruppo di lavori del nostro, perchè esso ne rappresenta l’opera fondamentale, lo scopo principale della sua attività scientifica. Già l'Accademia ebbe a riconoscerne l’importanza, quando, su parere dei più illustri astronomi e geodeti italiani, redatto da quel maestro di metodo che fu il Lorenzoni, gli conferì nel 1904 il Premio Reale. In quella relazione è messa in evidenza l’importanza del lavoro assunto, e l'eccezionale abnegazione con cui era stato condotto, da lui solo, consacrando all’osserva- zione centinaia di notti; vivendo interì mesi in luoghi alpestri o inospi- tali, sotto la tenda; curando con improba fatica il trasporto e la sistema- zione di strumenti voluminosi e delicati; non sacrificando mai alla stan- — 294 — chezza (e, noi possiamo aggiungere, nemmeno alle febbri malariche) la con- tinuità e il rigore delle osservazioni. L'ammirazione nostra cresce quando pensiamo che egli perseverò nel suo proposito e nella sua opera laboriosa in tutti gli anni successivi fino alla morte. E la morte stessa può considerarsi il coronamento di tanto sacrificio alla scienza. Il malore non ben definito, che lo colpì, si presentò infatti come una ripresa delle febbri malariche con- tratte nella campagna romana nel corso delle sue misure, e che tratto tratto si riproducevano; e la ripresa fu così violenta, al suo ritorno dal Belgio ove era andato come ùno dei rappresentanti dell'Italia al Congresso delle Acca- demie, che, dopo una diuturna lotta di tre mesi, egli soccombette. La parola, da cui egli rifuggiva, qui si arresta, e anche il pianto: è un senso di alta venerazione che si impone davanti a questo sereno, inconsapevole eroe della scienza, a questo esempio raro di perseveranza in un improbo e solitario lavoro, mirante a uno scopo costante, sotto l'ispirazione di una idealità, in cui scompare ogni mira di ambizione personale. * * Non solo a questo campo si è tuttavia limitata l'attività scientifica del Reina. Educato alla scuola geometrica di Beltrami e di Cremona, egli aveva dato negli anni giovanili prova della sua famigliarità con le teorie della geometria differenziale, e questa Accademia si onorò di parecchie sue pub- blicazioni sulla teorìa della superficie. Prescindendo da un primo lavoro pura- mente geometrico Sugli oricicli delle superfici pseudosferiche, in tutti gli altri (Sulle linee caratteristiche e coniugate; Su alcune formule relative alla teoria delle superfici; Sulla teoria delle normali a una superficie), pubblicati tra il 1889 e il 1890, è manifesto tuttavia, benchè non espresso, uno scopo di applicazione geodetica, scopo che si concreta nella bella me- moria del 1395 Sulla determinazione dei raggi di curvatura di una su- perficie per mezzo di misure locali, nella quale è fatta applicazione dei teoremi dimostrati in quelle precedenti. e che è diretta alla determinazione delle ondulazioni del geoide, in una e-tensione entro la quale questo possa considerarsi come una superficie analitica. L'autore stesso riconobbe le diffi- coltà di mettere in pratica la soluzione, che suppone la possibilità di trovare sempre sul terreno un punto atto a fungere da stazione astronomica in dire- zioni obbligate, e compiere, lungo queste, misure di base. Il problema, che, dal punto di vista teorico, aveva ricevuto un notevole impulso in una nota del Viterbi del 1908, tornò da allora a riprendere la mente del Nostro, preoccupato sempre della attuabilità pratica della soluzione. E frutto di questo nuovo studio fu uno degli ultimi lavori suoi, da lui pubblicato alla fine del 1917, subito dopo la morte dell’eroico collega, e come tributo d'onore alla sua memoria. In esso, seguendo un procedimento inverso a quello suggerito dal Viterbi, egli arriva, con una semplice applicazione del teorema di Hamilton, i i ‘ è , i, LIE alla determinazione, ch'egli ritiene pratica, delle curvature principali e del loro orientamento, e quindi, con una proprietà caratteristica di due elementi coniugati, alla determinazione dei coefficienti della prima e della seconda formula fondamentale, definendo così interamente i caratteri della superticie nell'intorno del punto considerato. La soluzione richiede il tracciamento di una rete trigonometrica, a piccoli triangoli, mediante un'unica misura di base e misure angolari. Io non dubito che il Reina, convinto com’era della praticità della sua soluzione, ne avrebbe tentata l'applicazione, se la morte non lo avesse così prematuramente colpito; perchè quello era il sno problema fondamentale: la definizione locale del geoide. Ad esso aveva rivolto nei primi anni la sua fresca preparazione teorica nella geometria delle superficie, ma, riconosciuta la difficile attuazione sul terreno dei risultati ottenuti, ab- bandonò per molti anni le formule e si dedicò con tutte le forze alle misure dirette. In età matura, vedendo aperta una nuova via all'applicazione della teoria, vi tornò con quella predilezione con la quale si rievocano gli affetti giovanili, e Ia sua pertinacia non gli avrebbe certamente lasciato abban- donare nel campo aereo della teoria un risultato ch'egli riteneva di aver condotto alla realtà del terreno. * x * Di un analogo ritorno, dopo molti anni, a un argomento prediletto, dà esempio il Reina cogli studî sulla rifrazione atmosferica. È considerato ormai classico il lavoro da lui guidato, in collaborazione con G. Cicconetti, Ricerche sul coefficiente di rifrazione terrestre eseguite in Roma nel 1895, e pub- blicato nelle Memorie della Società italiana dei XL (serie III, tomo X) nel 1896. La deduzione del coefficiente di rifrazione dal confronto, continuato in stagioni diverse e in epoche diverse del giorno, fra le determinazioni della differenza d'altezza Roma-Monte Cavo con misure zenitali coniugate contem- poranee e la determinazione diretta per livellazione geometrica, è certamente una delle più rigorose che si conosca, e ha messo in evidenza l’influenza del gradiente termico sempre variabile, e l’incertezza che ne deriva, incer- tezza che però mantiene le differenze fra i valori osservati e i teorici nei limiti compatibili con le molteplici circostanze che influenzano il fenomeno. Ed è da segnalare il fatto che le costanti della formula esprimente la gran- dezza K= — > * (donde si deduce il valore del coefficiente di rifrazione), in termini della pressione, della temperatura, e del gradiente termico verti- cale, risultano quasi perfettamente uguali a quelle calcolate dal Gulland sulle traiettorie luminose studiate dal Bauernfeind nelle Alpi Bavaresi. Particolare interesse per il meteorologo ha anche il confronto fra l’altezza osservata e quella dedotta con misure barometriche, in giorni e ore diverse, dal quale risultano differenze ho — ln Sempre positive, notevoli specialmente nelle ore — 296 — meridiane (fin di m. 11,25) e molto minori alla levata e al tramonto del sole, differenze dipendenti evidentemente dal fatto che la media delle tem- perature osservate alle due stazioni è notevolmente superiore alla tempera- tura media dello strato interposto. Della variazione annua del coefficiente di rifrazione terrestre, comprovata sulla serie di osservazioni di Cicconetti e Pierpaoli a Udine, e della sua dipendenza dalla variazione annua del gra- diente termico verticale, specialmente nelle ore meridiane (solitamente riser- vate alle operazioni di livellazione trigonometrica), torna a occuparsi 20 anni dopo in una memoria di questa Accademia (1916). Dalla formula accennata sopra, che esprime la K, egli ne deduce per integrazione il valore in una delle stazioni, e quingi dimostra la possibilità di calcolare il coefficiente di rifrazione fra due stazioni in base ad osservazioni fatte in una sola di esse. Con l’analisi di varie serie di osservazioni, egli prova che l’errore nel disli- vello, che con tale metodo si ottiene, è minore di quello derivante dalle for- mule usuali coi dati del gradiente dedotto dalle temperature osservate nelle due stazioni. È nota la controversia tra i geodeti sulla preferenza da darsi al metodo meteorologico o al metodo classico delle distanze zenitali reci- proche e contemporanee, vere ed osservate, per la determinazione del coeffi- ciente di rifrazione, e, come meteorologo, io non nascondo la mia perplessità ad accogliere dei valori medî, anche diversi con la stagione, del gradiente termico verticale come espressione della distribuzione vera di un elemento così mutevole come la temperatura dell’aria a varie altezze. Il metodo sug- gerito dal Reina ha tuttavia sempre il pregio di permettere un calcolo della trajettoria luminosa anche quando una delle stazioni non sia accessibile, con una approssimazione che è sempre maggiore di quella ottenuta con le osser- vazioni meteorologiche in ambedue le stazioni. * x * Tale fu l’opera scientifica di Vincenzo Reina; e ad essa rimarrà legato il suo nome, come quello di uno dei più rigorosi e pertinaci e fecondi geo- deti italiani. Ma noi, che lo abbiamo avuto collega, non possiamo separare la sua figura di scienziato dalla sua figura di maestro, poichè anche questa è animata dallo stesso spirito di sacrificio e di disinteresse. La sua attività di insegnante egli doveva rivolgere specialmente alla scuola di geometria pratica. Di problemi spettanti a questa dottrina si occupò in alcune memorie dell’Accademia di Torino e della « Rivista di topografia e catasto », nel lucido volumetto Teoria degli strumenti ottici e nel volume di Geometria pratica e tacheometria, pubblicati in Milano nel 1908 e nel 1911; ma la sua atti- vità d'insegnante si svolse specialmente nel campo pratico. Egli, seguendo la via tracciata dal prof. Pitocchi, portò la scuola all’aperto, sul terreno, su questo meraviglioso terreno dì Roma, dove ogni zolla ha una storia e una rovina, che parla alla mente e al cuore del giovane e dà anima al metico- — 297 — loso lavoro del rilevatore. E i giovani allievi elevò a dignità di suoi colla- boratori, in un lavoro che, trascendendo gli immediati scopi dell’insegna- mento, tornasse anche a pubblica utilità e ad illustrazione del suolo sacro su cui si svolgeva. E si ebbero così i rilievi planimetrici del Palatino, di villa Adriana e della « media pars Urbis », pubblicati nelle « Notizie degli scavi », l’ultimo dei quali fu poi illustrato da uno splendido Atlante: rilievi tutti eseguiti dagli allievi della Scuola d'applicazione per gli ingegneri di Roma, e nei quali risulta ancora quel suo raro disinteresse scientifico e perso- nale, poichè sembra che egli abbia avuto soltanto il merito dell'iniziativa, lasciando tutto quello dell’opera, svoltasi sotto la sua assidua direzione, ai suoi assistenti e ai suoi giovani allievi. Collego a questo gruppo di lavori, fondamentali per l'illustrazione archeologica di Roma, la Zivellazione degli antichi acquedotti romani, da lui pubblicata nel 1917, in collaborazione cogli ingegneri Corbellini e Ducci, pure nelle Memorie di questa Accademia, lavoro importante non solo dal punto di vista archeologico, ma anche dal punto di vista idraulico, perchè rivela che molte norme dell’idraulica mo- derna erano conosciute dai Romani. E sempre nell'interesse di Roma egli eseguì, cogli ing. Ruggeri e Cassinis il « Tracciamento della linea Roma mare porto e Palidoro, secondo il progetto dell'ing. Caminada », pubblicato negli « Annali della Società degli ingegneri ed architetti italiani » nel 1910. * CA Della sua devozione disinteressata alla scienza, da lui considerata come spirito d'elevazione della patria, egli diede assidue testimonianze prestan- dosi anche alle opere più modeste per diffonderla e incrementarla. Noi lo ricordiamo indefesso segretario della Società italiana per il progresso delle scienze, di cui fu, si può dire, il centro stabile e motore. Egli attendeva > all’organizzazione dei congressi, alla pubblicazione degli Atti, allo sviluppo degli enti e delle iniziative scientifiche che da essa emanavano e in questo complesso disbrigo di faccende, che lo mettevano a contatto con tutto il mondo scientifico italiano, egli portava la sua chiarezza di scienziato, la sua naturale affabilità di gentiluomo, e quella modestia dignitosa di chi non nasconde, ma dimentica, sè stesso nell'adempimento di un dovere. Per queste sue doti rare, egli fu scelto anche come uno dei segretarii della Commissione geodetica italiana, come consigliere e poi vicepresidente uc.:la Società degli ingegneri e degli architetti italiani, e in ultimo, poco prima della morte, come segretario aggiunto dei Lincei. Egli non fu soltanto uno studioso, ma anche un uomo utile, un buon cittadino; fu uno di quegli scienziati di cui, per fortuna nostra, non è raro l'esempio in Italia, nei quali l’uomo intellettuale e l’uomo morale for- mano unità, riflettendosi la rettitudine del carattere nell'opera scientifica e la rettitudine del pensiero nell'attività morale. Era nobile non soltanto di — 298 — nascita: se della nobiltà avita aveva ogni apparenza esteriore, ne conservava la dignità essenziale di una aristocrazia intellettuale e morale. Per questo sentiamo che la scomparsa dell'amato collega non è perdita soltanto della scienza. Ma per la sua scienza abbiamo visto quanto la perdita sia grave: e tanto più grave, perchè segue a breve intervallo quella di altri illustri cul- tori della geodesia, suoi fratelli di studio. Sono pochi anni ch'io ebbi la ventura di partecipare ai lavori della Commissione, che chiamò il Viterbi all'insegnamento universitario. Non dimenticherò mai quelle discussioni ami- chevoli, elevate, esaurienti, che convergevano in una convinzione unanime. Fra i giudici, sotto la presidenza del venerando collega prof. Jadanza, anche egli da poco rapito alla scuola, erano il Venturi, il Pizzetti, il Reina, tutti più giovani di me, promesse vive che l’Italia avrebbe conservato a lungo l’alto posto in cui avevano saputo collocarla nella scienza della Terra, di fronte a maestri stranieri, venerati maestri italiani. Tutti sono morti, e morto è pure, per volontario eroico sacrificio, il Viterbi! Il nostro ebbe il dolore di commemorare qui, uno dopo l’altro, i tre amati colleghi. Io rievoco attorno alla memoria di Lui questa schiera fraterna, perchè sento che, se egli è ora fra noi, gode d'essere messo loro a pari nell’onore che gli rendiamo, e che il ricordo di loro, che lo hanno amato e stimato, con più intima conoscenza del suo valore, lo onora assai più della mia mo- desta parola. ELENCO DELLE PUBBLICAZIONI DEL PROF. V. REINA redatto dall’ing. G. CassinIs 1. Sugli oricicli delle superficie pseudo-sferiche. Rend. R. Acc. Lincei, 1° sem. 1889. 2. Di alcune proprietà delle linee caratteristiche. Rend. R. Acc. Lincei, 1° sem. 1889. 3. Sulle linee coniugate di una superficie. Nota 1*, Rend. R. Ace. Lincei, 1° sem. 1890; 93 d.rid. 4. Di alcune formule relative alla teoria delle superficie; e Osservazioni alla Nota pre- cedente. Rend. Acc. Lincei, 2° sem. 1890. : 5. Sulla teoria delle normali a una superficie. Rendiconto della R. Ace. delle scienze fisiche e matematiche di Napoli, 1890. 6. Della compensazione nel problema di Hansen. Atti della R. Acc. delle scienze di To- rino, 1891. 7. Sull’errore medio dei punti determinati nei problemi di Hansen e di Marek. Atti della R. Acc. delle scienze di Torino, 1892. 8. Della compensazione nella determinazione di un punto da n punti dati. Rivista di to- pogr. e catasto, 1393. 9. Sulla determinazione dei raggi di curvatura di una superficie per mezzo di misure locali sopra di essa. Rend. R. Acc. Lincei, 2° sem. 1893. 10. IU 12. 13. 14, 15. 16. ao 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24 25. 26 27. 28. 29. 30. sl. 32. 33. CR opeo Collegamento della specola geodetica di S. Pietro in Vincoli cogli osservatorii astro- nomici del Collegio Romano e del Campidoglio. Rend. R. Acc. Lincei, 1° sem. 1893. Il calcolo di compensazione nel problema generale di Hansen. Rivista di topogr. e ca- tasto, 1894. Sulla determinazione della distanza fra due punti per mezzo di misure angolari nei punti stessi. Rivista di topogr. e catasto, 1894. Una legge di dualità nella teoria delle compensazioni delle osservazioni. Atti della R. Ace. delle scienze di Torino, 1894. Sulla lunghezza del pendolo semplice a secondi in Roma (esperienze eseguite dai prof. G. Pisati ed E. Pucci). Memorie R. Accademia Lincei, 1894. Azimut assoluto di monte Cavo sull’orizzonte della specola geodetica di S. Pietro in Vincoli in Roma, determinato nel 1893. Pubbl. dalla R. Commissione geodetica italiana, 1894. L’attrazione locale nella specola geodetica di S. Pietro in Vincoli in Roma. Rend; Ace. Lincei, 1° sem, 1895. Ricerche sul coefficiente di rifrazione terrestre eseguite in Roma nel 1895 (in collab. con G. Cicconetti). Memorie della Soc. ital. delle scienze (detta dei XL), 1896. Triangolazione della città di Roma. Riv. di topogr. e catasto, 1897. Una nuova forma di tacheometro riduttore. Riv. di topogr. e catasto, 1897. Sulla teoria delle proiezioni quantitative. Rend. Acc. Lincei, 1° e 2° sem. 1897. Sulla probabilità degli errori di situazione di un punto nello spazio. Rend. R. Ace. Lincei, 1° sem. 1897. Determinazioni di latitudine e di azimut eseguite nel 1898 nei punti M. Mario, M. Cavo, Fiumicino. Pubbl. della R. Commisssione geodetica italiana, 1899, Determinazione astronomica di latitudine e di azimut eseguita a monte Pisarello nel 1899. Rend. R. Acc. Lincei, 1° sem. 1900. Determinazioni di latitudine e di azimut eseguite nel 1898 nei punti di m. Mario, m. Cavo, Fiumicino. Rivista di topogr. e catasto, 1900, Gli strumenti di ottica e di meccanica di precisione all’ Esposizione universale del 1900. Riv. di topogr. e catasto, 1901 (seguìta da una lettera al direttore sullo stesso argomento). - Determinazione astronomica di latitudine e di azimut eseguita a monte Soratte nel 1900. Rend. R. Acc. Lincei, 1° sem. 1901. Determinazioni astronomiche di latitudine e di azimut eseguite a Roma, a M. Cie mino ed a M. Peglia negli anni. 1900 e 1901. Rend. R. Ace. Lincei, 1° sem. 1902. Determinazioni astronomiche di latitudine e di azimut eseguite lungo il meridiano di Roma. Pubbl. della R. Commissione geodetica italiana, 1903. Sulla definizione delle immagini fornite dai riflettori e dai refrattori. Riv. di topogr. e catasto, 1904. Determinazioni astronomiche di latitudine eseguite a Venezia, Donada e Comacchio, nel 1903. Rend. R. Acc. Lincei, 1° sem. 1904. Rilievo planimetrico e altimetrico del Palatino, eseguito dagli allievi della scuola d'applicazione per gli ingegneri in Eoma (in collaborazione con U. Barbieri)» R. Acc. Lincei; Notizie degli scavi, 1904. Confronto fra il valore assoluto delle gravità determinato a Roma e quello recen- temente determinato a Potsdam. Rend. R. Acc. Lincei, 2° sem. 1906. Rilievo planimetrico e altimetrico di villa Adriana, eseguito dagli allievi della scuola degli ingegneri di Roma nel 1905 (in collaborazione con U. Barbieri). R. Acc. Lincei; Notizîe degli scavi, 1906. ‘ ReNDICONTI. 1920. Vol. XXIX, 1° Sem. 39 94. 35. 36. 37. 38. 39. 40. 4l. 42. 43. 44. 45. 46. 47. 48. 49. — 300 — Determinazioni astronomiche di latitudine e di azimut eseguite a Oderzo, Col Brom- bolo e Calalzo nel 1904. Rend. R. Acc. Lincei, 1° sem. 1907. Determinazioni astronomiche di latitudine e di azimut eseguite all'isola ds Ponza e a monte Circeo nel 1905. Rend. R. Acc. Lincei, 1° sem. 1907. Teoria degli strumenti diottrici (lezioni dettate nell'Università di Roma 1906-1907). Un vol. di pag. 220, Milano 1908. Determinazione di latitudine di M. Mario col metodo delle distanze aenitali meri- diane (eseguita nel 1904). Pubbl. della R. Commissione geodetica italiana, 1909. « Media Pars Urbis » : rilievo planimetrico e altimetrico eseguito dagli allievi della scuola d'applicazione per gli ingegneri di Roma (con la collab. di U. Barbieri e G. Cassinis). Atti R. Acc. Lincei, 2° sem. 1910. Tracciamento della linea Roma-mare porto e Palidoro, secondo il progetto del- l'ing. Caminada (in collab. con D. Ruggeri e G. Cassinis). Annali della Soc. degli ingegneri ed architetti italiani, 1910. Geometria pratica e tacheometria. Un volume di pag. 246. Milano 1911. « Media Pars Urbis n : rilievo planimetrico e altimetrico ecc. (in collab. con U. Bar- bieri e G. Cassinis). Atlante di 16 tavole ; Firenze, 1911. In memoria di Fernando de Helqguero. Roma, 1911. Le misure gravimetriche ilaliane. Atti della Soc. ital. per il progresso delle scienze. (V riunione); Roma, 1911. La XVII conferenza della Associazione geodetica internazionale in Amburgo. Ri- vista geografica italiana, 1912. Differenza di longitudine fra Milano e Roma determinata nel 1907 (in collab. con E. Bianchi, L. Gabba e G. Favaro). Pubblic. del R. osserv. astron. di Brera, 1912. Matematica di precisione e matematica di approssimazione. Atti del III congresso della « Mathesis », 1913. Determinazioni di gravità relativa compiute nel 1912 a Roma, Arcetri, Livorno, Genova, Vienna e Potsdam (in collab. con G. Cassinis). Memorie R. Acc. Lincei, 1913. Azimut assoluto del segnale trigonometrico di M. Soratte sull’orizzonte di M. Mario, determinato negli anni 1898, 1904, 1906 e 1909 (in collab. con F. Guarducci). Pubblic. della R. Commissione geodetica ital, 1914. Determinazioni di latitudine astronomica e di gravità relativa, eseguite in Umbria e in Toscana nel 1913 (in collab. con G. Cassinis). Pubblic, della R. Commissione geodetica italiana, 1917. . Commemorazione del prof. A. Venturi. Rend. R. Acc. Lincei, 1° sem. 1915. . Sulla determinazione del coefficiente di rifrazione terrestre in base ad elementi me- teorologici. Memorie R. Acc. Lincei, 1916. . Livellazione degli antichi acquedotti romani (in collab. con G. Corbellini e G. Ducci). Memorie della Società ital. delle scienze (detta dei XL), 1917. . Sulla determinazione di porzioni della superficie del geoide per mezzo di misure sopra di essa. Rend. R. Acc. Lincei, 2° sem. 1917. . Commemorazione del prof. A. Viterbi. Seminario matematico della Facoltà di scienze della R. Università di Roma, 1918. . Commemorazione del prof. P. Pizzetti. Rend. R. Acc. Lincei, 1° sem. 1918. . Osservazioni e misure sui ghiacciai del versante sud-est del M. Rosa (in collab. con C. Somigliana). Boliettino del Comitato glaciologico italiano, 1918, LITOGRAFIE. Lezioni di geodesia. ” sygli strumenti diottrici. ” di geometria pratica. — 301 — Principali rilievi eseguiti dagli allievi della scuola ingegneri, sotto la direzione del prof. V. Reina: Roma: Villa Umberto I. — Pincio, — Villa Medici, — Giardino zoologico. — Valle Giulia, — Villa Stohl-Fern. — Parioli. — « Media Pars Urbis » (Foro Romano, Palatino, Celio, Colosseo, Terme di Traiano, « Domus Aurea »). — Campidoglio. — Gianicolo. — Aventino. — Tombe della via Latina. — S. Paolo alle tre Fontane. FRASCATI : Villa Aldobrandini e il Tuscolo. — Villa Mondragone. Rocca DI Papa: Monte Cavo. TIVOLI : Villa Adriana. Il Socio VeRsARI legge una Commemorazione del Socio Toparo. Questa Commemorazione sarà pubblicata in un prossimo fascicolo. Il PRESIDENTE dà il triste annuncio della morte del Socio straniero prof. GuaLIELMO PFEFFER, avvenuta il 9 gennaio u. s.; apparteneva il de- funto Socio all'Accademia, per la Botanica, sino dal 9 agosto 1899. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario CasrELNUOVO presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando le seguenti: vol. 4° del Cuzalogo astronomico 1900 della se- zione Vaticana; vol. 2° ed ultimo delle Opere complete di Tommaso Jan Stieltjes, edite per cura della Società matematica d’Amsterdam; Atti della Conferenza interalleata per l'assistenza agli invalidi di guerra. Lo stesso Segretario fa anche menzione di un opuscolo di NAZARENO STRAMPELLI: Varietà di mais ottenute nella stazione di granicoltura di Rieti; di una Commemorazione di Giovanni Briosi, di Gino PoLLaAccI; e delle opere: Esercizi di calcolo infinitesimale e Corso speciale di matematica del prof. Mineo CHINI. Il Socio VoLTERRA fa omaggio dell'ultimo fascicolo dei Rendiconti delle sedute del Seminario matematico romano per l’anno 1918-19, parlando dello scopo che si propone questa istituzione per la diffusione degli studî mate- matici, e dando notizia delle principali conferenze che nel Seminario sud- detto vennero fatte. — 802 — COMUNICAZIONI VARIE Il PRESIDENTE comunica che sta per vendersi a Firenze, sulla collina d'Arcetri, il « Gioiello », la villa dove Galileo trascorse gli ultimi dieci anni della sua vita ed esalò l'ultimo suo respiro; è sicuro che tutta l'Accademia vorrà impedire, per quanto è in suo potere, la profanazione che il « Gioiello » cada in mano di chi se ne potesse valere a scopo bassamente commerciale. Dà quindi comunicazione di una bella lettera rivolta dal Corrisp. prof. GAR- Basso all'on. ToRRE, Ministro della Pubblica Istruzione, e di un interes- santissimo articolo in corso di pubblicazione, intitolato: I Giozello ed il monastero di S. Matteo în Arcetri del Socio Corrisp. prof. FavaRO, che descrive questi edificî e i loro passaggi di proprietà, e gli ultimi anni di vita del sommo filosofo, con quella competenza e quella ricchezza di notizie che al prof. Favaro sono proprie. La Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, non appena udita la comunicazione del suo Presidente, è unanime nell’esprimere il voto che il Governo del Re assicuri alla Nazione la proprietà della casa di Galileo in Arcetri. Gail: DARIO PI SAI a o — 303 — OPERE PERVENUTE IN DONO ALL'ACCADEMIA presentate nella seduta dell’11 aprile 1920. Amic M. — Système de ‘poids atomiques. Avignon, 1919. 8°, pp. 1-10. Atti della III Conferenza interalleata per l’assistenza agli invalidi di guerra. Roma, 1919. 8°, pp. 1-940. CarBonELLI G. — Dieci consigli medici dettati da maestro Gerardo De Ber- neriis (Estr. dalla « Rassegna di cli- nica, terapia e scienze affini »). Roma, 1916. 8°, pp. 1-131. Catalogo astrografico, sezione vaticana; vo- lume IV. Roma, 1919, foll., pp. I-XLII, 1-153. CÒini M. — Corso speciale di matematica. Livorno, 1920, 8°, pp. r-x11, 1-297. Cuini M. — Esercizi di calcolo infinitesi- male, Livorno, 1920. 8°, pp. r-x, 1-300. Comitato torinese per la navigazione in- terna. ‘Torino, 1919. 8°, pp. 1-43. PoLLacci G. — In ricordo di Giovanni Briosi (Estr. dagli « Atti dell’Istituto botanico di Pavia », vol. XVII). Mi- lano, 1919. 89, pp. r-xvn. Rendiconti delle sedute dell’anno accade- mico 1918-1919 del Seminario mate- matico della Facoltà di scienze della R. Università di Roma, vol. V. Roma, 1920. 8° pp. 1-94. Risultati delle indagini sulla natura del prodotto e delle prove di coltivazione compiute negli anni 1916-17 e 1917-18 (Relazione della Commissione per lo studio del tetrafosfato). Milano, 1900, 8° pp. 1-91. RopELLA A.— I batterii radicali delle le- guminose. Padova, 1907. 8°, pp. 1-87. Santoro R. — Carbon fossile e petrolio in Italia; enormi giacimenti non an- cora scoperti. Buenos-Ayres, 1919. 89, pp. 1-21. STtIELTJES T. J. — Oeuvres complètes, pu- bliées par les soins des la Société ma- thématique d’Amsterdam; vol. II. Gro- ningen, 1918, 4°, pp. 1-1v, 1-603. StRAMPELLI N. — Varietà di mais otte- nute nella stazione di granicoltura di Rieti. Piacenza, 1919. 8°, pp. 1-10. Troporo G. — Osservazioni sull’arto rapta- torio di due emitteri Emesodema domestica Scop. e Ploiaria va- gabunda L. (Estr. dal « Redia », vol. XIV, pp. 43-45). Firenze, 1920. 89. TorLar U. — La misura internazionale. Bologna, 1919. 8°, pp. 1-32. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. _—T€€6T€T€€T—€“€—-—>—=<+-<{«x- Seduta del 25 aprile 1920. F. D’Ovipro, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Su alcuni punti di Calcolo delle Variazioni. Nota di LEONIDA TONELLI, presentata dal Socio S. PINCHERLE. 1. Nel Calcolo delle Variazioni, e precisamente in quella sua parte che si occupa del minimo dell'integrale L= fP@,y,2,9)ds (3) si dimostra la necessità delle condizioni di Legendre e di Weierstrass, su ogni arco di curva minimante I, che abbia sempre tangente variabile in modo continuo e sia composto di punti 77/erzi al campo che si considera. La dimostrazione viene ottenuta, di solito, sfruttando la cosiddetta formula ai limiti e, in ogni caso, tenendo essenzialmente conto del fatto che l’arco detto è un arco di estremale. Non è perciò possibile, per questa via, di studiare la necessità o meno delle indicate condizioni sugli archi di una curva minimante che abbiano punti sulla frontiera del campo. In una Memoria, già da molti mesi inviata per la stampa ai Rendi- conti del Circolo Matematico di Palermo, ho messo in pienà luce — e credo (*) Ammettiamo, in questa Nota, per la F, le solite condizioni poste nei trattati di Calcolo delle Variazioni; ammettiamo anche di considerare il minimo di I fra tutte le curve continue e rettificabili che congiungono due dati punti del piano (27) e appar- tengono ad un dato campo. — 306 — per primo — il significato delle condizioni di Legendre e di Weierstrass, mostrando come esse non facciano che tradurre in disuguaglianze il fatto che, su ogni curva minimante, l'integrale T, deve essere una funzione se- micontinua inferiormente della linea d'integrazione. Ammesso per semplicità — cosa che faremo in tutta la presente Nota — che la frontiera del campo considerato sia costituita di un numero finito di curve continue, prive di punti multipli e senza punti comuni, ciascuna delle quali risulti di un numero finito di archi a tangente variabile in modo con- tinuo, dai risultati della Memoria indicata segue pertanto: a) Le condizioni di Legendre e di Weierstrass devono essere veri- ficate su ogni arco di curva minimante I, che abbia ovunque tangente che varia in modo continuo (siano i suoi punti interni 0 no al campo considerato). b) Le stesse condizioni devono essere quasi dappertutto soddisfatte su ogni curva minimante I,, supposto semplicemente che questa curva sia rettificabile. 2. È noto come, in ogni punto angoloso P, di una curva minimante IL, debba, se il punto è ir/erzo al campo, esser verificata la condizione, detta di Weierstrass-Erdmann, espressa dalle due uguaglianze (1) Fo=fo , Fo=fy, dove FP, ,Fy rappresentano i valori delle derivate parziali Fx, Fy calco- lati in P, sull'arco @, della curva minimante, che termina nel punto an- goloso, e Po ,Fy quelli calcolati sull'arco &, della stessa curva, che co- mincia in P, (*). Se il punto angoloso, anzichè essere interno al campo, è sulla sua frontiera, e ove questa ha tangente che varia con continuità, sup- posto uno degli archi @, & (@, ad esempio) tutto composto di punti interni al campo, ad eccezione di P,, deve essere verificata in P, la condizione, determinata da Weierstrass, (2) cos 0, (Far — Fw) + seno, (Fy—- Fy)=0, dove 6, indica l'angolo di direzione della tangente in P, alla frontiera del campo. Come è evidente, la (2) è soddisfatta se lo sono le (1), ma non vi- ceversa. Ci proponiamo di mostrare che le (1) valgono anche nel caso attuale. Scegliamo due punti Q e P,, rispettivamente su @ e &, e, considerato un punto qualunque dell'arco P, P, di &, &(Ps,P.), indichiamo con # la lunghezza dell'arco &@(P,,P) e con 7, quella di &(P.,,P,). Possiamo, in in- finiti modi, costruire una famiglia di curve @,, congiungenti Q con tutti i (*) Ammettiamo che gli archi @ e @ abbiano ovunque tangente variabile in modo continuo. — 307 — punti P di &(P,,P.), appartenenti al campo considerato, e in guisa che; detta s la lunghezza generica dell'arco su @, a partire da Q, e indicate con a=Z(s),y=7(s),(0=s = sv) le equazioni parametriche di &(Q, P.) econa= (5) + (8,06) ,y=7(5) + (5,5), (0<=s= 5) quelle di 4, le funzioni g e w, per tutti i valori di s dell'intervallo (0,50) e tutti quelli di : dell'intervallo (0, 41), siano finite e continue insieme con le loro derivate parziali prime e quelle seconde miste, e che, per #= 0, le @,w, Ps; siano tutte eguali allo zero Dovendo aversi, per ogni £ di (0, £1), La, > Jx(Q, Po) + Lap. P) ed essendo i due membri di questa disuguaglianza uguali per t=0, la stessa disuguaglianza dovrà essere verificata fra le corrispondenti derivate rispetto a #, per #=0. Dovrà essere perciò (poichè @ è necessariamente un arco di estremale) cos 6, Fr + sen@ Fy=F, dove 6, indica l’angolo di direzione della tangente in P, a &. Indicando con 6, il corrispondente angolo per @, e con #0,%, le coordinate di P,, e introducendo la funzione E di Weierstrass, si avrà dunque E(x; yo ; €08 0 , sen 9, ; cos, , senò) = 0. Ma, per la condizione di Weierstrass (n. 1), è E(x0%;008 9, send; così, sen0) = 0, per ogni 9, onde E(xo; Yo; 008 0, sen 0; cos, seno) = 0, ed anche ie E(x0, 0; 008 00, sen do ; cos 8, sen i 0. Da queste uguaglianze si ricavano senza difficoltà le (1). Può presentarsi anche il caso che, essendo P, sulla frontiera, nessuno dei due archi @ e & risulti composto di punti tutti (ad eccezione di P,) interni al campo. In tale -ipotesi, se è 6, = ®, le (1) sono senz'altro veri- ficate; se invece è 9, = 6, deve essero [ij — Bo = 0 & e & (entrambi tangenti in P, alla frontiera del campo) devono avere infiniti punti sulla frontiera e dalla stessa parte di P,. Esistono, perciò, in prossimità di Py, infiniti punti comuni a @ e è, e da ciò scende che è ancora E(x0,%0; 0089, send; 0088, sen 69) = 0. Ed infatti, per la condizione di Weierstrass, deve essere E(x0,70;008 0, sen 9; cos, seno) > 0; e se qui valesse il segno >, si avrebbe, per la |i, — O) =, F|4F>0 RENDICONTI. 1920. Vol, XX]X, 1° Sen. 40 — 308 — #® quindi, per ogni punto M sufficientemente vicino a P, e comune a & e è, Ia (MPa) + Tae, > 9 0, 8) "Sia Se Î cos 0 { Fa — Fort + sen&fjFy-Fy{=0, nelle quali 6, e ® indicano gli angoli di direzione delle tangenti in P. rispettivamente all'arco di f che comincia in P, e a quello che in tal punto termina. Supponiamo che almeno una delle (1) non sia soddisfatta e comin- ciamo con l'osservare che, scegliendo opportunamente il senso positivo sulla f, — 309 — e conducendo per P, tre raggi 7,,70-75, i cui angoli di direzione siano 80,909, il raggio 7; viene a risultare appartenente a quello dei due an- goli che fanno fra loro 7, e #,, che è <= 77. Indichiamo con © tale angolo, che contiene 77, e consideriamo in esso un raggio variabile 7, di cui diremo @ l'angolo di direzione. La funzione (0) = cos9}F, — Fy} + sen0}FyT— Fy}, perr=7,, ossia 0=9,, è data da E(x070;0096,, sen 6, : cos da, sen do) ed è perciò, per la condizione di Weierstrass (n. 1), D(6,) => 0. Per r=7",, ossia 0=%, è, per la prima delle (3), D(06) > 0: e, per la seconda delle (3), è D(0;) <= 0. Ma la funzione ®(6) non può annul- larsi se non per due valori di @ distinti fra loro per 77; se dunque fosse P(06) 0, ®(6) dovrebbe esser nullo per due posizioni distinte di 7 in è, e l'ampiezza di questo angolo risulterebbe uguale a 77, e si avrebbe ®(6,) = (6) = 0. Dalla D(0,)=0, e dalla condizione di Weierstrass E(x0,40; 6089, , sen do; cos, sen9)=0, valida per ogni 9, si ricavereb- bero allora le (1), come già si è fatto al n. 2, e si andrebbe così contro l'ipotesi ammessa. Deve essere, pertanto, ®(0;) = 0. E non potendo valere la D(6,) =0, come or ora si è veduto, deve 7} risultare distinto da 76. Il raggio 7, è poi distinto da 7, perchè altrimenti # non avrebbe in P, un punto angoloso. Dovendo essere perciò ®(6,) > 0, P(0,) > 0, e D(0) +0 per 7=# 7, (0) è un minimo per la (0), ed è D'(6) = 0. Da questa e dalla ®(6) =0 scendono immediatamente le (1). La proposizione ora dimostrata vale anche se i punti di & e & (escluso P,) non sono tutti interni al campo considerato, purchè, quando nessuno dei due archi detti abbia tutti i suoi punti (escluso P,) interni al campo, gli archi stessi non siano separatamente tangenti ai due archi di #8 che concorrono mas: Mineralogia. — Sopra un minerale polverulento di Dorgali in Sardegna. Nota dell'ing. ENRICO CLERICI, presentata dal Corri- spondente F. MILLOSEVICH. In una recente missione a Iglesias fui interpellato sopra un minerale polverulento, proveniente da un permesso di ricerca in comune di Dorgali, e che si asseriva combustibile se gettato sul fuoco. Il campione che ne ho avuto è una polvere piuttosto grossolana, di colore bianco con leggerissima sfumatura verdognola. Al microscopio, i sin- goli granuli sono informi, di differente grandezza, incolori, e, tranne qualche granello di quarzo, perfettamente isotropi. L'indice di rifrazione è molto basso; col metodo dell’ immersione ho trovato che esso è compreso fra quello — 810 — del glicol etilenico (2==1,428) e quello del cloruro di etilene (2= 1,454); e più precisamente che in una essenza di ruta, per la quale ebbi col refrat- tometro 2=1,4350, i contorni scompaiono. Il peso specifico, determinato col mio liquido al formiato-malonato di tallio diluito al punto che la polvere vi resti sospesa, è di 3,176 a 15°. Tutto ciò basterebbe a far ritenere che la polvere sia costituita da fluorite. E infatti con acido solforico ha luogo la formazione di tipici cri- stalli di gesso, e risultato positivo dà la prova del fluoro (1). Mettendo la polvere sul carbone acceso, si ha un po' di decrepitazione e sprazzi di luce i quali, per certo, hanno fatto credere alla combustibilità, mentre trattasi di fosforescenza che, come è noto, alcune varietà di fluorite mostrano in modo molto evidente. Desiderando osservare il fenomeno anche al microscopio, mi sono ser- vito di un disco forato di mica portante un po’ di filo sottile da resistenza elettrica, col quale potevo riscaldare la polvere sopra un vetrino oppure immersa in liquidi diversi (bromonaftalina, bromobenzene, acqua, tetracloruro di carbonio, acetone) entro un piccolissimo recipiente. Ma la luce emessa è per solito troppo debole e la disposizione ancora troppo imperfetta per le osservazioni che mi ero proposto di fare. Altra disposizione molto sempiice per l'osservazione, ad occhio nudo o con lente, di pochi granellini alla volta, è formata da una sottile laminetta di nichel, in cui ho stampato un incavo a mo’ di navicella, tesa fra due morsetti, che con adatta corrente riscaldo, ma non tanto da emettere radia- zioni visibili. La termoluminescenza del minerale di Dorgali si manifesta egualmente bene in seno ai liquidi suddetti che, con il rispettivo punto di ebollizione, (1) Per l’esame di numerosi inclusi delle pozzolane romane allo scopo di ricervarvi la fluorite, che infatti vi trovai microialitiforme, ho modificato come segue la prova micro- tecnica del fluoro: In tubetti di vetro di piccolo diametro (/ mm.), chiusi ad una estre- mità, pongo una piccolissima quantità di minerale addizionato di silice e un po’ di tetracloruro di carbonio oppure percloroetilene; aggiungo, con una pipetta affilata, acido solforico concentrato, che va in fondo, e poi acqua distillata, che galleggia. Riscaldo con fiammella piccolissima la sola estremità del tubo; se vi ha fluorite, si svolgono bollicine di fluoruro di silicio che, giungendo nell'acqua, formano gusci o sfere cave di silice gela- tinosa ben visibili, anche se si rompono, e conservabili (tingibili, volendo, con bleu di me- tilene), mentre una goccia del liquido acquoso sopra un portaoggetti con un granellino di cloruro di sodio dà caratteristici prismi esagonali, otticamente negativi, di fluosilicato di sodio. Poichè tanto l'acido fluoridrico quanto il fluosilicico danno con soluzione di nitrato di torio un precipitato gelatinoso e voluminoso e la reazione è molto sensibile (Pisani F., Sur un nouveau mode de dosage du fluor, Compt. rend., 162, 1916, pag. 791), in una variante metto al posto dell’acqua distillata la soluzione diluita di nitrato di torio. — 311 — stabiliscono la massima temperatura raggiunta. Il Pochettino ('), sperimen tando su cristalli di fluorite di Weardale, ha trovato che la luminescenza di essi comincia a 175°. La fluorite di Dorgali è distintamente luminescente in tetracloruro di carbonio (p. eb. 77°) e dà debole bagliore anche in ace- tone (p. eb. 596-570). A temperatura ambiente (10-15°) si hanno radiazioni capaci di impressio- nare lastre fotografiche Cappelli e Wellington, con lunga posa, sia a con- tatto diretto, sia con interposizione di un vetrino coprioggetti, o di una lamina di mica o di gelatina. L'intensità è nei varî casi decrescente; con lamina d'alluminio o con carta nera è nulla (?). Quando il riscaldamento è fatto sulla laminetta di nichel, al buio, il bagliore comincia quasi subito con la chiusura del circuito e va rapidamente aumentando d'intensità; la luce è dapprima giallognola, poscia distintamente violacea; si affievolisce, riprendendo l'intonazione di prima e si spegne ien- tamente. L'esperienza è elegante, per il contrasto delle luci, se sulla laminetta accanto alla fluorite si pone qualche granellino di dolomite di Sarezzo (Brescia) che presenta una bella termoluminescenza rosso-aranciata, o di sca- polite di Bolton (Mass.) che la dà gialla. In crogiuolo di platino o su lamina rovente, il fenomeno si compie più rapidamente e si ha l'impressione che la luce violacea prevalga. Dopo l'arro- ventamento, il minerale non è più termoluminescente, nè impressiona la lastra fotografica; ma assoggettato all’azione di un piccolo tubo focus chiuso entro una scatola opaca, è tornato ad essere termoluminescente. Siccome è noto che la fluorite riacquista la perduta fosforescenza per l’azione di scariche elettriche, ho fatto scoccare scintille di circa 12 mm. di un piccolo rocchetto di Ruhmkorff fra due asticelle metalliche disposte oriz- zontalmente a non grande distanza al disopra del minerale. Bastano pochi secondi di esposizione perchè poi la termoluminescenza si rimanifesti in modo mon dubbio; con 5 minuti di esposizione, essa dura almeno 10 secondi; con più lunga esposizione aumenta in intensità e durata, e così anche si esalta la luminescenza del minerale mai scaldato. La polvere riattivata impressiona le lastre fotografiche. La riattivazione non avviene mettendo sopra la polvere un vetrino copri- oggetti, una sottile laminetta di mica, di selenite, di celluloide, oppure te- nendo la polvere immersa nell'acqua. Con lamina di quarzo di mm. 3,8 e 20 minuti di esposizione, non si ha traccia di riattivazione. (1) Pochettino A., Sui fenomeni di luminescenza mei cristalli. 11 nuovo Cimento, vol. XVIII, 1909, pag. 285. (2) In queste esperienze è da tener conto che il balsamo del Canadà impressiona le lastre fotografiche. ì — 312 — Al mieroscopio avendo constatato inclusioni ad indice di rifrazione più basso e con libella, e poichè la fluorite può tenere occluso del fluoro libero, ho ripetuto uno dei saggi indicati da Becquerel e Moissan (Comptes rendus, 111, 1890, pag. 669) osservando al microscopio la polvere bagnata con solu- zione di ioduro di potassio e salda d'amido e schiacciandone i granellini. L'esito, però, è stato negativo. Ho confrontato la luminescenza del minerale di Dorgali con quella delle seguenti fluoriti: incolora limpidissima per strumenti d'ottica dei Pirenei; rosea del Giglio; rossa S. Gottardo; violaceo-chiara Alston (Cumberland); violetta Weardale (Durham); violetta Freiberg (Sassonia); verdognola Stolberg (Harz); verde azzurrognola Rauris (Salzburg). Debolissima e brevissima è quella della prima; bella, verde poi violacea pallida quella dell’ultima; tutte le altre sono meno luminescenti e così anche altra fluorite di Sardegna della miniera Su Zurfuru, ove trovasi in cristalli cubici di colore giallognolo, e, se guardati normalmente alle faccie, con fasci di sottili linee azzurre paral- lele ai lati e prossime ad essi. Le ricerche di Becquerel, Briininghaus, Kowalski, Lénard, Matout, Po- chettino, Urbain, hanno portato un grande contributo per la interpretazione del complesso fenomeno della luminescenza, comunque provocata, e fanno ritenere che essa sia legata alla presenza di una sostanza attiva diluita in altra inerte diluente a guisa di soluzione solida, oltre alla considerazione della legge dell’optimum per i rapporti quantitativi. L'Urbain ('), avendo analizzato la varietà di fluorite denominata clorofane, col metodo sensibilis- simo della fosforescenza provocata dai raggi catodici nelle miscele di calce pura con traccie di ossidi puri delle terre rare, vi constatò la presenza di traccie di samario, terbio, disprosio, gadolinio; e per sintesi, partendo dalla calce e dalle terre rare pure, riprodusse fluorine che presentano la stessa fosforescenza. Pertanto credo che la termoluminescenza della fiuorite di Dorgali possa esser dovuta a traccie di terre rare. (1) Urbain G., Recherches des éléments qui produisent la phosphorescence dans les minéraua : cas de la chlorophane, variété de fluorine. Compt. rend., 143, 1906, pag. 825. — 313 — Botanica. — Corallinacee del litorale tripolitano ('). Nota II della dott. R. RAINERI, presentata dal Socio 0. MATTIROLO. Colla presente Nota termina lo studio delle melobesiee della costa. tripolitana, iniziato nella precedente comunicazione (*). Lithophyllum expansum Philippi. (Bibl. icon. Lemoine, I, pag. 176). Si presenta sotto varii aspetti: larga crosta bianca, in qualche punto ancora un po rosea, dello spessore di qualche millimetro, sopra un fusto di Posidonia oceanica, poco aderente; a manicotto intorno ad un fusto ancora di Posidonia, con margini lobati, superficie ineguale; in forme più tenui fogliacee, grigiastre, rosee, gialle su coralline. La sezione perpendicolare al piano della crosta mostra un tessuto com- posto unicamente dal peritallo. M. Lemoine ha osservato una sola fila di cellule oblique che rappresentano l’ipotallo basale, ma nel mio campione non se ne vede traccia. Il peritallo è dato da file verticali ben distinte di cellule, le cui pareti laterali sono curve, mentre quelle trasversali sono rettilinee. Le cellule sono piccole, equilatere (w 11,2 - 16 di lato). Da questo tessuto si differenzia, nella parte superficiale, una serie di sei o sette file di cellule di minore dimensione, avvicinate (w 7- 8,4 di lato). Il tallo di un piccolo campione, estremamente sottile, non è costituito che da 3-4 cel- lule sovrapposte che hanno larghezza costante (w 10,4), e diminuiscono di altezza verso la superficie (u 13 -9,1-3,9). Credo rappresenti la varietà tenuis creata da M. Lemoine su esemplari raccolti in Algeria e Tripolitania (Lamoine II, pag, 15). L'amido si trova abbondante in granuli ovoidali, quasi sferici, di cui i maggiori misurano w 8-4- 11,2 di diametro. I concettacoli vuoti hanno forma tondeggiante, con diametro che varia fra w 308 e w 352; altri, un po’ schiacciati, hanno un diametro di w 196. Hab.: marina di Sciara-Sciat. Distr. geogr.: Mediterraneo (Marocco, Algeri, Tripolitania, Sicilia, Na- poli, Genova), Adriatico, Egeo, Atlantico, coste della Francia. De Toni e Forti() hanno segnalato a Gargaresch il Lithophyllum expansum. (1) Lavoro eseguito nel r. Orto botanico di Torino. (*) Questi Rend., pag. 282. (3) De Toni e Forti, Seconda contribuzione alla flora algologica della Libia, 1914, pag. 25. — 314 — Lithophyllum lichenoides (Ellis) Philippi. (Bibl. icon. Lemoine, II, pag. 13, tav. I, fig. 11, pag. 127). Numerose lamelle dello spessore di 1 mm. circa, altre più sottili (w 320) di colore grigio verdastro, un po’ roseo, terminate a lobo, con strisce concen- triche evidenti collocate l'una sull'altra, sopra una superficie calcarea spu- gnosa. Il tessuto è rappresentato, quasi unicamente, dall'ipotallo dato da strati di cellule, in posizione orizzontale, tutte della medesima lunghezza così da formare zone concentricamente arcate. Le cellule sono rettangolari, con pareti dritte sottili (« 18,2 - 20,8 X u 7,8-9,1). In qualche punto della sezione vi è un peritallo, poco sviluppato, ad elementi piccoli, tondeggianti, in file distinte (u 10,4 X w 7,8). Non vi sono concettacoli. Il mio campione, per i caratteri esterni, non corrisponde a quello de- scritto e figurato da M. Lemoine (I, pag. 127) che cresce per lo più su coralline, e che sarebbe la forma tipica, ma coincide, per caratteri di forma, col campione raccolto dal « Tor » nel Mediterraneo e pure descritto e figu- rato da M. Lemoine (II, pag. 13, tav. I, fig. 11). Hab.: panchina di Tripoli. Distrib. geogr.: Mediterraneo (Marocco, Algeria, Baleari, Cirenaica, Si- cilia, Rodi, Tenedos), Atlantico (Irlanda, Cornovaglia), mare del Nord (Breta- gna, Guascogna). Il Lith. lichenoides è nuovo per la Tripolitania. Lithophyllum byssotdes Lamarck. (Bibl. icon. Lemoine, I, pag. 132). Cespuglio di rami del diametro di 1 mm. circa, finemente intrecciati, fragili, di colore biancastro. Nella parte, per cui l'alga poggiava al substrato, irami sono cementati insieme, intorno a involucri di Serpule. Un altro cam- pione, della stessa località, ha le estremità dei rami globose, colore gial- lastro scuro e presenta nelle parti estreme, appena aderenti ad una forma- zione spugnosa, frammenti sottili di crosta, da cui si elevarono i rami. La crosta ha uno spessore di w 156, e di w 258 dove sono i concettacoli. Inferiormente una fila di cellule lunghe, inclinate (w 78 X 13), rappresenta l'ipotallo; sopra queste, altre due o tre file di cellule dritte, più corte (u 26,36 X w 10,4), costituiscono il peritallo. Evidente è il foro di comuni- 230 AG La sezione longitudinale di un ramo mostra una parte assiale di cel- lule lunghissime dell'ipotallo (w 134,4-154 X w 11,2-14), verticalmente di- sposte in zone concentriche arcate, che si portano lateralmente, orizzontali, e cazione fra cellula e cellula (fig. 4) È — 315 — diminuiscono le dimensioni (w 30 X w 16,8) costituendo il peritallo (fig. 5) 100 1 I concettacoli sono disseminati sui rami, un po’ prominenti, e già si vedono ad occhio nudo. In sezione ne notai alcuni, di forma quasi sferica, sollevati nella parte mediana superiore, dove si va iniziando un canale di uscita (w 162-246 X w 91-150). Un concettacolo superficiale, nella crosta, (O D) i ili I) Fic. 4. — Lithophyllum byssoides. 9292( 6 ne 4OU Sezione longitudinale della crosta e concettacolo con spore na contiene, oltre numerose spore a contorno indistinto, una Dispora misurabile - li (u 46,8 X 26) costituita da due parti, l'una sferica e l'altra appuntita. Hab.: banchi ad ovest di Homs. Distr. géogr.: Mediterraneo (Marocco, Algeria, Corsica, Sicilia), Adriatico, Rodi, mar Rosso, Oceano Atlantico. De Toni e Forti (') l' hanno segnalata per Tripoli e Homs; e di questa specie il dott. Forti ebbe la gentilezza di inviarmi un esemplare tipico. Lithophyllum decussatum Ellis et Solander. (Bibl. icon. Lemoine, I, pag. 139). Il Lilh. decussatum si presenta, sulla roccia, ora sottile, di colore rosso violaseo molto aderente, come una pennellata di colore, ora iuspesito sino a dare lamelle verticali di cm. 2 di altezza. Nella crosta, già un po’ svi- (1) Coniribution à la flore algologique de la Tripolitanie et de la Cirenaîque, An- nales de l’Institut ocsanografique, 1913. Renpiconti. 1920, Vol, XXIX, 1° Sem. 41 — 316 — luppata, prevale l'ipotallo (w 432%di spessore) con strati di cellule oblique 3 183 in zone concentriche, sul quale sta un ridottissimo peritallo fig. 6 Ti (cellule dell'ipotallo w 52-91 X 10-13; del peritallo w 14,8-28,6 X 5,2). La sezione di una lamella presenta gli stessi caratteri della sezione longitudi- nale d'un ramo di Zi/hophyllum byssoides: ipotallo assiàle di zone concen- Fic. 5. — Lithophyllum byssoides. Ramo in sezione longitudinale n - triche di cellule lunghe (u 70-112 X w 11,2-14); intorno, dalle due parti, il mantello peritallico di cellule, disposte orizzontalmente, brevi (w 25,2 X w 5,6). I concettacoli, posti verso l’esterno del tessuto, hanno forma elittica; : alcuni sono auteridiferi (w 154-226,8 X u 112-126), altri contengono spore di cui si vedono le divisioni (fig. 7) Es - Hab.: Panchina arenacea a fior_d'acqua ad ovest dell’imbarcadero di Homs; Gargaresch. Distr. geogr.: (Mediterraneo: Corsica, Sicilia, Dalmazia), (Atlantico: Por- togallo, ovest Irlanda), Pacifico (is. Galapagos). Il Lith. decussatum è nuovo per il litorale tripolitano. Melobesia Lejolisii Rosan. (Bibl. icon. Lemoine II, pag. 19 e 190). Questa alga forma sottilissime croste roseo-grigiastre sulle foglie lun- ghe e sottili di una zostera marina. Esaminando con una lente, si vede che — 317 — costituisce, col suo tenero tallo, delle piccole macchie orbicolari o allungate, che s'alternano con colonie di briozoi. Ho notato l’identità della mia Me- lobesia con un esemplare (Ser. I, n. 578) dell’ Erbario crittogamico italiano, DINI )) /))} Fic. 6. — Lithophyllum decussatum — sezione della crosta ne ; determinato come Melobesia membranacea. M. Lemoine dice (II, pag. 19) che la M. LZegolisii è stata segnalata in Sicilia col nome di M. membra- esere [ | | iii ILI( Di Do | SÌ | rh i) Mata Se Fia. 7. — Lithophyllum decussatum. Concettacolo con spore = ni = ls nacea; del mio esemplare esaminai la struttura anatomica: il tallo, decal- cificato, esaminato in sezione, parallela alla superficie della crosta, presenta soltanto cellule a ventaglio (w 7,3-8,4 X # 5,5-6,7) per nulla caratteristiche. Ho fatto allora la sezione trasversale imparaffinando pure la foglia di soste- gno, À cominciare dalla base: uno strato di cellule piatte (#3-4 X u 7,8-10,4), poi uno strato di cellule cilindriche relativamente lunghe (wu 20,8-21,6 X u 7-7,8), poi una fila di cellule della medesima larghezza di quella della — 318 — base, ma di: altezza doppia, e termina il sottile tallo, una fila di cellule iden- tiche a quelle basali. Non ci sono concettacoli. I caratteri anatomici della mia Melobesia riproducono quelli indicati e figurati da M. Lemoine (II, pag. 180), colla sola differenza che lo strato, immediatamente sopra quello di cellule alte cilindriche, è costituito di cel- lule, non uguali a quelle basali, ma di altezza doppia. Hab.: panchina di Tripoli. Distr. geogr.: mare Mediterraneo (Algeri), Tirreno, Adriatico, Atlantico, Germania, Olanda, Francia. Nuova per la Tripolitania. Embriologia. — Su delle sostanze colorate estraibili dalle uova del filugello ('). Nota di Luciano PIGORINI, presentata dal Corrisp. D. Lo Monaco. La presente Nota rende conto di un primo saggio eseguito su alcuni campioni di uova di filugello, allo scopo di vedere se in essi non sieno pre- senti sostanze colorate come sono presenti nell'emolinfa di alcune razze e nella seta di tutti i bozzoli. Dico di tutti i bozzoli, perchè recentissime ri- cerche (*) mi hanno dimostrato che anche dai bozzoli bianchi si estraggono sostanze colorate gialle, e in quantità assai bene visibile. All’interesse del problema fisiologico s’aggiunge quello pratico, essendo lecito sperare, secondo questi primi risultati, di poter giungere, col metodo qui descritto, a decidere, nei casi dubbî, se delle partite di uova provengano da femmina di razze giallo-oro o di razze gialle. Il saggio fu eseguito esaminando allo spettrofotometro alquanti estratti preparati trattando delle uova di filugello con una miscela di alcool e ace- tone. E precisamente: un grammo di uova di filugello (volgarmeute: seme- bachi) viene introdotto in una provetta di vetro grosso, e su di esso è versata una prima frazione di 5 cme. di una miscela a volumi eguali di alcool e acetone. Dopo qualche tempo, con una bacchetta di vetro si rompono tutte le uova nel fondo della provetta. La provetta o le provette sono tenute a bagnomaria fra 40° e 50° C. Il liquido colorato in giallo si decanta in un palloncino tarato da 25 cme. L'operazione si ripete cinque volte per la durata di qualche ora. In genere il quarto lavaggio fornisce liquido decolorato. All’ul- timo si porta a volume. Una breve centrifugazione rende il liquido perfet- tamente limpido e adatto all'esame. (*) Lavoro eseguito nella R. stazione bacologica sperimentale di Padova. (2) Saggi su incroci di filugello a femmina bivoltina. Comunicazione alla R. Acca» demia dei georgofili, 14 marzo 1920. è sh de ai — 319 — Il liquido, o meglio i liquidi, così ottenuti, furono esaminati al colori- metro Duboscq, tentandone il confronto con una soluzione 0,5 per mille di acido picrico, e allo spettrofotometro Hilger-Nutting. Tralascio di parlare del primo esame che non mi diede risultati atten- dibili. Riferisco, invece, del secondo. Fu saggiato del « seme bachi » di razze bianche, una indigena e una giap- ponese, di una razza oro, di una razza giallo-indigena e di due incrocî: uno a femmina oro e maschio giallo, e uno viceversa, Tutti questi campioni ci furono gentilmente forniti da semai nostri amici. A somiglianza di quanto mi avvenne saggiando la sostanza colorata dei bozzoli, anche nel caso pre- sente sostanza di colore giallo o giallastro fu estratta da tutti i campioni di seme. | Dirò subito che non si tratta del pigmento della sierosa. In primo luogo perchè esso, come ben sanno coloro che s'occupano di studî embriologici, è insolubile nell’alcool e nei comuni solventi; in secondo luogo perchè un cam- pione di uova rimasto da parecchi mesi in acetone ha colorato questo in giallo. pur restando invariato il colore delle uova all’esterno; in terzo luogo perchè il materiale residuo dalle estrazioni con alcool-acetone è colorato in bruno e al microscopio mostra granuli e cumuli di pigmento della sierosa. Probabil- mente questo pigmento deve iscriversi fra le melanine. Allo spettrofotometro, in tubo lungo 10 cm., dopo alcune prove preli- minari, ottenni i numeri riportati nella tabella seguente. Essi si riferiscono ai coefficienti di estinzione leggibili sulla « scala delle densità » incisa sul fotometro Nutting : | ROSSO | —ARANCIATO SORA seme | BLEU - | RAZZA 0 INCROCIO EE SIOE E | SIA A=675 | 635 | 610 | 580 555 586 | 505 490 | 475 | 465 Bianco giapponese. . . . .. + | 0.077 |0.091/0.101/0.107| 0.120 |0.131/0.197/0.282/0.440/0.495 Bianco indigeno... ..... 0.087 |0.091/0.100|0.104| 0.113 |0.136/0.221|0.403/0.801|0.951 Calo enna 0.127 |0.132/0.139|0.147| 0.160 [0.185j0.272/0.430j0.615|0.715 Giallo indigeno ........ 0.096 (0.107|/0.115|0.127| 0.142 |0.175:0.330 val 210]1.300 Imerocio £ oro X o giallo . . | 0.065 0.084 0.092/0.098| 0.113 |0.127/0.237 rsa 0.740 Incrocio 9. gialla X o* oro . . | 0.057 [0.066/0.070|0.077| 0.088 at ne D9L0 Da30 1.600 I numeri di questa tabella, esclusione fatta di quelli riferentisi al bianco indigeno, hanno servito alla costruzione della grafica. L'esame della tabella e delle grafiche rivelano alcuni fatti: 1°) Si conferma il fatto, già accennato, che anche dalle uova di razze — 320 — bianche si estrae sostanza colorata. Essa esercita l'assorbimento maggiore nelle zone verde e violetta, e il suo colore è però un giallo. Il bianco indi- U6A Caf 1354. a U tugna Aimuoni (134 13114 13/4 a Tor I, TE OY a (0% 0941 03%» 0881 è Ol, A 065% a 0SY è 088/» 00% 7 035, + 02%, è 084 è Off» /-675 65 610 500 Ise 505 490 415465 gono assorbe più fortemente del bianco giapponese precisamente nelle zone . verde e bleu. Corrispondentemente il colore dell'estratto di quel seme è un giallo più carico del bianco giapponese. MIDEM de — 321 — 2°) In tutti i casi l'assorbimento va lentamente crescendo da 4. = 675 a A= 555: e cioè nella zona rosso, aranciato, giallo. Da questo punto, progredendo verso il bleu-violetto l'assorbimento diventa in tutti i casi pro- gressivamente e rapidamente maggiore. Dopo 4 = 475, la rapidità con la quale l’assorbimento aumenta si va facendo minore. 3°) Il Gallerani, nel suo manuale di spettrofotometria, riporta una legge secondo la quale «i coefficienti di estinzione misurati nelle diverse regioni d’uno spettro di assorbimento stanno fra di loro in un rapporto costante per ciascuna materia colorante, qualunque sia il grado di concentrazione della soluzione » (!), ed aggiunge che « la sola determinazione dei coefficienti di estinzione di due regioni spettrali basta, in molti casi, a caratterizzare una materia colorante » (?). Ciò ammesso, nel nostro caso l'esame della tabella dei coefficienti di estinzione, o meglio quello delle grafiche, o meglio ancora il calcolo ;dei rap- porti fra i più piccoli e i più grandi coefficienti di estinzione che risultano essere ia= (675 465 Bianco giapponese . 1 6,43 ” indigeno 1 10,93 Grallo-0r0: 0... 0.0, 1 5,63 Giallo = ri Saito, 1 13,54 Incr. femm. giallo-oro; maschio giallo . al 11,38 » femm. gialla; maschio oro 1 28,07 starebbe a dimostrare che nei singoli campioni noi abbiamo a che fare o con sostanze colorate diverse, o con stati chimici diversi di una stessa sostanza (3), o con miscele diverse di più sostanze. Il che abbisogna di ulte- riori e varie ricerche. 4°) Per l'eventuale applicazione pratica, importa rilevare la grande differenza che separa i coefficienti di assorbimento per 4 = 490, 475, 465 dell'estratto del giallo-oro e del giallo nostrano, e che limitatamente ai due casi osservati possono precisarsi in queste cifre: A=490 475 465 (ORO Re TI Il Giallo" 0%. e. 600 1,97 1,82 (1) Gallerani G., La spettrofotometria applicata alla chimica fisiologica ecc. Milano, manuali Hoepli, 1903, pag. 238. (3) Ibid., pag. 241. (3) K. Elbs, « articolo » Farbstoffe, in Handwòrterb d. Naturwiss., III, Jena 1918, pag. 111. Me — 322 — 5°) Ed è da rilevare infine un ultimo fatto che interessa il problema biologico e il problema pratico. Sempre limitatamente ai due incrocî stu- diati, si vede che essi seguono il comportamento delle uova della razza alla quale appartiene la madre. I rapporti sono: = 475 465 Incr. femm. oro; maschio giallo . . 1 Il ” » giallo; maschio oro. . 2,29 2,16 Ma in entrambi i casi, e specialmente nell’incrocio a femmina gialla e ma» schio oro, s'è verificato il fatto che ho recentemente osservato per il colore dei bozzoli (*): e cioè di un esaltamento nell'inerocio del coefficiente di estin- zione in confronto delle razze pure. Nel presente caso del « seme-bachi », l'osservazione deve tuttavia avere ulteriore conferma e merita d’essere ri- petuta. Embriologia. — Azione del solfidrato di calcio sul guscio delle uova dei lepidotteri (*). Nota di L. PiGoRINI e R. GRANDORI, presentata dal Corrisp. D. Lo Monaco. I. — L. Pigorini. Il solfidrato di calcio solvente del guscio delle uova. Avendo sentito più volte lamentare dagli specialisti come una delle dif- ficoltà che si incontrano negli studî embriologici degli insetti sia quella di allontanare il guscio dell'uovo, nell’intento di arrecare un contributo che riuscisse di giovamento in detti studî importantissimi, pensai di cercare un solvente che avesse la proprietà di rammollire o distruggere il guscio la- sciando intatto il suo contenuto. Ho trascurato di saggiare i comuni reattivi, quali gli idrati alcalini e i liquidi contenenti cloro, brutali e grossolani nella loro azione dissolvitrice di ogni sostanza organizzata che venga in contatto con essi. Tenuto presente che la sostanza costituente il guscio dell'uovo è ritenuta una sostanza che- ratica dal Verson (*) o corionina dal Tichomiroff (*), ed essendo riandato con la mente alla singolare proprietà di un composto del calcio, il solfidrato, (1) Succitata comunicazione alla R. Accademia dei georgofili. (2) Lavoro eseguito nella R. stazione bacologica sperimentale di Padova. (8) Verson, La composizione chimica dei gusci nelle uova del filugello. Boll. mens, di bachicoltura, 1884, n. 9. (4) Tichomiroff, Chem. St. wuber die Entwickelung d. Insekteneier. Zeitschr. physiol., Ch. IX. — 323 — di sciogliere i peli degli animali (') senza danneggiare, in opportuna misura, gli elementi vivi della pelle, ho voluto saggiare questo composto sulle uova del filugello. Spento dell'ossido di calcio in acqua, ho aggiunto tanto di questa che bastasse per ottenere una poltiglia semifluida, vi ho fatto gorgogliare per al- cune ore idrogeno solforato ed ho separato alla fine con filtrazione il residuo indisciolto. Il liquido, lasciato a sè, diede luogo alla formazione di lunghi cristalli aghiformi per piccolo abbassamento di temperatura. Saggiato così senz’altro sulle uova di filugello, dimostrò una buonissima azione solvente dei gusci, per il che, dopo poche ore, le uova, prima dure e resistenti, s'erano mutate, pur conservando intatti forma e colore, in masset- tine molli, facilmente schiacciabili. Il collega Grandori riferirà sul felice esito dell'esame microscopico. Trattando il liquido, che ha già agito sulle uova, con acido cloridrico, si separa in una massa voluminosa e bianchis- sima una sostanza che verosimilmente non è se non la sostanza stessa del guscio delle uova. Io sto applicando ora questo mio metodo all’isolamento e studio dei pigmenti della sierosa. II. — R. GranpORI. Applicazione alla tecnica embriologica. Sperimentai su tre specie di lepidotteri, e su ciascuna con tre procedi- menti diversi: 1°) soggiorno in solfidrato di materiale vivo, allo scopo di ac- certare se esso agisse anche come fissatore; 2°) come il precedente, trattando poi il materiale, dopo la corrosione del guscio, con fissativo, come se fosse mate- riale fresco; 3°) soggiorno in solfidrato di materiale precedentemente fissato. Riassumo i risultati: Bombya mori. — Metodo primo. Circa 20 ore di soggiorno in sol- fidrato sono necessarie e sufficienti per corrodere il guscio completamente, cosicchè la massa dell’uovo resta del tutto nuda. Un soggiorno di poche ore di più non nuoce; 12 ore sono sufficienti a sfaldare il guscio e a ridurlo tanto sottile e cedevole da poterne poi agevolmente rimuovere i pezzi con due aghi lavorando sotto il binoculare sulla uova immerse in acqua. Alle sezioni sì può accertare che anche la sottilissima membrana vitel- lina rimane intatta, e così la sierosa e la stria germinativa. Con colorazioni în toto sì possono avere splendidi preparati in cui la sierosa si mostra, colo- rata in modo affatto normale. Ma a forti ingrandimenti si può notare in tutte le sezioni, che le sfere vitelline perdono i loro contorni regolari, e i loro nuclei e i granuli vitellini sono più o meno deformati; così pure sono alterate nei dettagli istologici le cellule della sierosa e dell'amnio. Al con- (') G. Marchetti, Calcio, in Guareschi, Enciclop. chim., V, 268. ReNDICONTI. 1920. Vol. XXIX, 1° sem. 42 — 324 — trario, il mesoderma e l’ectoderma di strie germinali ibernanti o già in avanzata incubazione non sono inalterati; e presentano una colorazione niti- dissima con una differenziazione nucleare spiccatissima, cosicchè si direbbero preparati ottenuti coi più normali e adatti fissativi usati in embriologia. Con l'ematossilina Carazzi si ha un'ottima colorazione in 10 minuti. Metodo secondo. Fissate le uova con soluzione di acido cromico 1% a caldo, dopo che avevano soggiornato per 20 ore in solfidrato, i risultati sono migliori. Le deformazioni delle sfere e granuli vitellini, delle cellule della sierosa e dell’amnio, sono assai meno notevoli; la nitidezza della colo- razione nucleare della stria germinativa ancor più spiccata: la rapidità di colorazione maggiore che non nel caso precedente (bastano cinque minuti). Metodo terzo. Con materiale precedentemente fissato in soluzione cromica, difficilmente il guscio viene corroso totalmente; quindici ore sono sufficienti a ridurlo a un sottile velo rigonfio e sfaldato che non ofîre più al rasoio del microtomo resistenza di sorta; del resto è facilissimo allon- tanarlo nel modo sopraccennato. Alle sezioni si rileva costantemente che tutte le parti dell'uovo restano assolutamente inalterate, anche nei più fini det- tagli istologici, cosicchè nessuno potrebbe dire, ignorandolo, che tali prepa- rati subirono trattamenti diversi da quelli normali. Di più, la colorazione è rapidissima (tre minuti in ematossilina Carazzi) e la elettività dei nuclei per questo colore è assoluta, così che nessuna traccia del colore basico si dif- fonde nel citoplasma. Questa nettezza di elettività non avevo mai ottenuto coi metodi consueti. Bombyx Yamamai. — Metodo primo. Sono sufficienti tre ore di soggiorno di uova vive in solfidrato per corrodere totalmente il guscio e lasciare nudo l’uovo. Le sezioni dimostrano una buona e rapida colorabilità dei tessuti embrionali, sebbene qualche alterazione si noti nei granuli del vitello e nei gangli nervosi; non si ottiene una netta visione dei granuli di cromatina nucleare, benchè i nuclei non sieno deformati. Metodo secondo. Materiale fissato dopo tre ore di soggiorno in sol- fidrato dà, come pel B. mori, migliori colorazioni, migliori dettagli istolo- gici, minori alterazioni nel vitello. Metodo terzo. Materiale precedentemente fissato dà anche in questa specie. preparati ottimi, con rapidità massima e massima nettezza di colora- zione e totale assenza di alterazioni di qualsiasi sorta. Anche qui la mem- brana vitellina non viene attaccata, benchè sieno necessarie almeno 15 ore di permanenza in solfidrato per corrodere il guscio totalmente (mentre ba- stano tre ore su materiale vivo). La elettività dei nuclei per il colore basico è anche qui assoluta, e i preparati sono assolutamente normali. Con tali risultati si schiude finalmente la via allo studio della oo logia di questo bombicino che non erà stata precedentemente affrontata per l'enorme spessore del guscio dell'uovo e la materiale impossibilità di allon- — 325 — tanarlo e di sezionarlo. Col materiale già conservato l'estate scorsa ho potuto iniziare tale lavoro embriologico che promette ottimi risultati comparativi per illuminare i problemi embriologici ancora discussi nei bombicini. Orgiya antiqua. — Metodo primo. Occorrono 36 ore di soggiorno in solfidrato per uova vive di questa specie; il guscio non viene del tutto corroso neppure in 48 ore, ma rigonfiato e ridotto a un sottile velo sfaldato, asportabile o sezionabile. Alle sezioni si notano le stesse alterazioni nel vi- tello e invogli embrionali come in 8. mor?, restando la stria germinale intatta e nettamente colorabile. Metodo secondo. Materiale fissato nel solito modo, dopo 36 ore di soggiorno in solfidrato dà preparati migliori; in certi casi anzi le deforma- zioni nel vitello e negl’'invogli embrionali sono quasi nulle e la colorabilità rapida, intensa e normalissima, con evidenza di tutti i dettagli istologici. Metodo terzo. Come nei due bombicini, anche qui il materiale pre- cedentemente fissato richiede un maggior tempo per la corrosione del guscio (48 ore) che però mai viene corroso del tutto. Le sezioni non mostrano alte- razioni di sorta; la colorabilità è perfetta e rapidissima in ogni dettaglio. Riassumendo: il solfidrato di calcio può essere usato senza danno note- vole nella tecnica embriologica anche su materiale vivo, sul quale agisce talvolta come discreto fissatore, specialmente se si fa seguire un buon fissa- tivo subito dopo di esso. Se poi esso è applicato su materiale precedente- mente fissato e indurito in alcool forte, è assolutamente innocuo, non solo, ma conferisce sempre ai tessuti embrionali una rapidità ed elettività di colo- razione straordinaria, quale non si ottiene negli embrioni dei lepidotteri con i metodi tecnici consueti. Embriologia. — Microrganismi simbiotici in Pieris bras- sicae e Apanteles glomeratus('). Nota preliminare di ReMo GRANDORI, presentata dal Corrisp. D. Lomonaco. Dopo aver trovato e descritto in un recente lavoro (°) speciali micror- ganismi simbiotici costanti nel Bombyx mori, volli estendere le ricerche ad altri lepidotteri per accertare se essi fossero diffusi in altre specie di questo ordine di insetti. La stagione invernale rendeva difficile la ricerca di materiale adatto, cioè di uova svernanti in stadio di sviluppo arretrato. Ma avevo conservato da lungo tempo uova di Pieris drassicae in varî stadî di sviluppo, e ne ottenni molte serie di sezioni. (*) Lavoro eseguito nella R. Stazione bacologica sperimentale di Padova. (:) R. Grandori, La simbiosi ereditaria nel Bombya mori; Nota preliminare. Atti del R, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, tomo LXXIX, parte II, 1919. — 326 — Immancabilmente positivo fu anche in questa specie il reperto di nu- merosissimi microrganismi diffusi nel vitello e in varî organi embrionali, da uno stadio di poche ore di età fino alla nascita. Le somiglianze morfologiche che essi presentano con i simbionti del filu- gello sono grandissime, e certe forme sono quasi del tutto identiche alle forme libere di detta specie. Anche il loro comportamento, che qui riassumo in forma preliminare, per quanto concerne i rapporti fra simbionti ed em- brione, non differisce da quello dei simbionti del bombice se non per qualche dettaglio. Quattro stadî embrionali della Pieris ho potuto finora studiare su pre- parati numerosi, e sono i seguenti: a) Stadio di blastoderma completo. — In questo stadio, che ritengo di poche ore di età, il blastoderma riveste tutta la superficie dell'uovo e non esiste ancora differenziazione dello scudetto germinativo. Il vitello è organizzato in sfere complete in una zona periferica, ma la zona centrale dell'uovo è occupata da una enorme massa di microrganismi simbiotici, fram- misti a cellule di segmentazione. L'aspetto dei simbionti in questo stadio è di cellule ovali più o meno allungate, con un nucleo fortemente eccentrico, che si tiuge intensissima- mente in soli 5 minuti in ematossilina Carazzi ed è ricchissimo di croma- tina, talchè appare per lo più compatto e solo in qualche caso anulare, cioè con una areola chiara centrale e un anello di sostanza cromatica periferica. Senza eccezione alcuna il nucleo spicca entro un alone chiaro, eccentrico rispetto al corpo cellulare, con disposizione del tutto simile ai granuli di vitello con simbionti del blastema periferico dell'uovo del filugello. Ma qui il soma cellulare assume alquanto intensamente anch'esso l’ematossilina e si comporta come protoplasma vero e proprio; anche l'alone chiaro contenente il nucleo assume una leggera tinta azzurrognola, e, studiato a fortissimo ingrandimento, si dimostra anch'esso una parte di sostanza plasmatica. La gradazione d'intensità di colorazione delle tre parti è costantemente questa: intensissima nel nucleo, meno intensa nel soma, pallidissima nell'alone che è interposto fra queste due parti. In mezzo alla gran massa di individui così formati, aventi contorno ovale regolare, ve ne sono alcuni in cui l'alone è tanto eccentrico da for- mare sporgenza a un polo; e nell’alone stesso il nucleo è a sua volta eccen- trico, talora tanto da apparire del tutto esterno alla cellula. A forte ingran- dimento questi individui mostrano che la parte essenziale del soma del microrganismo è in realta la sostanza dell'alone, che insieme col nucleo tende ad abbandonare il resto cel soma e a rimanere indipendente. Una prova di ciò è data dal fatto che qua e là si riscontrano individui piccoli, liberi, risultanti da nucleo e da una piccola areola di sostanza che per la forma, le dimensioni e la lieve colorazione azzurrognola, si riconosce agevolmente identificabile con l'alone delle altre forme grandi. E una seconda prova è IE A . — 3271 — data da alcuni individui grandi sprovvisti di nucleo e di alone, bensì mo- stranti un vacuolo polare aperto all'esterno, equivalente in dimensioni allo spazio occupato dall'alone nelle forme complete. Da questi dati è lecito presumere che anche qui, come nel tilugello, il microrganismo si annidi nei granuli di vitello, nelle fasi più precoci dopo la deposizione, ne trasformi la sostanza e successivamente lo abbandoni; la differenza notevole che qui si riscontra è la colorabilità della sostanza del- l'alone che nel filugello è minima o nulla. Nelle sfere vitelline si osservano rari simbionti in questa età dell’uovo. Nelle cellule blastodermiche finora non mi fu dato osservarne alcuno. Il numero degli individui simbiotici in questo stadio è enorme. In ogni sezione se ne conta qualche centinaio; quindi in un uovo intero parecchie migliaia. Raramente si osservano forme di divisione diretta del nucleo, accennata o compiuta, risultandone individui binucleati. 8) Stadio di stria germinale in avanzato sviluppo. — Corrisponde verosimilmente a 2-3 giorni dalla deposizione; l’ectoderma e il mesoderma hanno una distinta metameria. e si distinguono gli abbozzi degli arti; il vitello, anche centrale, è tutto organizzato in sfere. I simbionti sono ora assai meno numerosi al centro dell'uovo, e sono sparsi nei territorî cellulari delle sfere vitelline e anche presso la stria germinale sulla sua faccia dor- sale. Ma molti sono penetrati nei tessuti embrionali, tanto nell’ectoderma quanto nel mesoderma, endocellulari nel primo, prevalentemente intercellu- lavi nel secondo. Molte sono le cellule migranti dal vitello verso l'embrione anche in questa specie, e parecchie contengono un simbionte endocellulare. Tanto quelli endocellulari quanto quelli liberi nel vitello mostrano sempre l'alone chiaro e una piccola zona di plasma denso e colorato di forma ton- deggiante; sono sempre assai più piccoli di quelli dello stadio precedente. Il segmento cefalico della stria germinale contiene forme più numerose. y) Stadio di blastocinesi compiuta. — L'embrione è ripiegato a mo' di lettera U, della quale un ramo (addominale) è più corto dell'altro (cefalico). Tutti gli organi sono nettamente riconoscibili; l'apertura ombelicale non è ancora chiusa. In questo stadio i simbionti si riscontrano: 1°) in tutti i gangli nervosi, numerosissimi in ciascun ganglio, spe- cialmente nel sopraesofago e sottoesofago; 20) in grandi cellule vacuolizzate, isolate nell’ematocele, allogati in un vacuolo (uno o due in una stessa” cellula); 3°) nel vitello estraembrionale, liberi (rarissimi); 4°) liberi nell’ematocele embrionale (rari); più frequenti presso l'aper- tura ombelicale; 5°) nello spessore dell’ipoderma (rarissimi). L’alone chiaro è quasi sempre scomparso intorno al nucleo, il quale è — 8239 — quasi sempre anulare. Sorprendente è il numero e la disposizione dei sim- bionti nei gangli, che appaiono bucherellati da numerose lacune tondeggianti, in ognuna delle quali è allogato un simbionte. Talora essi sono, in ciascuna sezione, tanto numerosi quanto gli stessi neuroblasti. In qualche individuo sì osservano più muclei, disposti a rosetta, che sono presumibilmente deri- vati da riproduzione per conitomia. Di tali rosette, sempre molto piccole e ben differenti da quelle del filugello, se ne osservano anche nell’ematocele. Numericamente i simbionti non sono, in complesso, diminuiti rispetto allo stadio precedente, ma localizzati in prevalenza nel sistema nervoso. d) Stadio di embrione prossimo a nascita. — Corrisponde alla totale scomparsa del vitello estraembrionale, e alla perdita della struttura delle sfere vitelline, integre nello stadio precedente, racchiuse nell’ intestino medio. I simbionti sono scomparsi quasi sempre dai gangli nervosi, tranne qualche individuo che eccezionalmente vi si riscontra ancora. Essi fanno dunque anche in questo lepidottero una transitoria comparsa nel sistema nervoso come nel filugello, e pressochè nello stesso periodo embrionale. Re- stano rarissimi individui nelle cellule libere dell'ematocele o isolati nelle lacune stesse. Nessun esemplare ne ho riscontrato, fino a questo stadio embrio- nale, nelle ghiandole genitali. Ma, data la assoluta costanza del microrga- nismo in tutte le uove di varie provenienze, appare difficile di ammettere che esso non sia ereditario; io penso quindi che esso passi nelle ghiandole geni- tali più tardi, forse nelle fasi di vita postembrionale, a differenza di quello del bombice che passa nelle gonadi in fasi embrionali ancora precoci. * x x Una ricca serie di preparati di larve di Apanteles glomeratus, notissimo imenottero parassita della Pieris drassicae, mi ha dimostrato evidentissimi i corpi simbiotici perforanti l’ipoderma della larva parassita e adunantisi specialmente nello spazio fra catena gangliare e ipoderma ventrale. Nume- rosi individui invadono anche nel parassita il sistema nervoso centrale, e specialmente gli ultimi gangli della catena. La zona di penetrazione attra- verso l’ipoderma che sembra costantemente preferita è appunto quella corri- spondente agli ultimi tre gangli addominali dell’Apanteles. L'età in cui questa larva parassita contiene simbionti più numerosi è l'età media, corri- spondente a una lunghezza, della larva, di 3 mm. Tutte le larve parassite contengono, senza eccezione, simbionti più 0 meno numerosi. Gli interessantissimi rapporti biologici, che questi reperti fanno intrav- vedere, mi inducono ad estendere e completare queste ricerche sul simbionte della Pieris e dell’Apanteles; dei reperti attuali ed ulteriori confido poter dare prossimamente una dettagliata illustrazione. GC n MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI *Chisini. La risoluzione delle singolarità di una saperficie mediante trasformazioni birazio- nali dello spazio (pres. dal Socio Castelnuovo) . . . . è... + è è +. è. . » Pag. 290 PERSONALE ACCADEMICO De Marchi. Commemorazione del Socio Resna . . 0... 040 Versari. Commemorazione del Socio Todaro (*). . . . 66 0 0 00000 + «ni 801 Roiti (Presidente). Annuncia la morte del Socio straniero P/efer . . . .......» » PRESENTAZIONE DI LIBRI ‘Castelnuovo (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando il vol. 4° del Catalogo astronomico 1900 della sezoine Vaticana; il vol. 2° ed ultimo delle Opere complete di Tommaso Jan Stieltjes; gli Atti della Conferenza interalleata per l’ase sistenza agli invalidi di guerra; ecc... L60600 080 ARR DT E, Volterra. Fa omaggio dell'ultimo RE dei Rendiconti delle sedute del Suo a matico romano per l'anno 1918-19 e ne parla. . . . . ORE A a) COMUNICAZIONI VARIE -Roiti (Presidente). Fa una comunicazione relativa alla villa «il gioiello » dove morì Ga- lileo. Deliberazione dell’Accademia . . ... 0.0.0... OS AN SI io BOLLETTINO SBIBLIOGRAFICO, COMM, e Se nia net pra Le sete St e MITI Seduta del 25 aprile 1920. Tonelli. Su alcuni punti di Calcolo delle Variazioni (pres. dal Socio iPancherle), 0. +. n0830D ‘Clerici. Sopra un minerale polverulento di Dorgali in Sardegna (pres. dal Condin. Mil- TOSEVICH)Nis sio e e è seen tenta 809 -Rasîneri. Corallinacee del litorale Giolito dro dal Sonic! Mattirolò) sto i onniesota Pigorini. Su delle sostanze colorate estraibili dalle uova del gara pae dal Comi: MoxMonaco)\-trii a n 318 Pigorini e Grandori, Azione del solfidiato di ele sul guscio Gna uova dei ‘Tepidotten (pres. Id.) . ALGIZIOA Ue ORIO 5 a sli 022 «Grandori. Micrrganini simbictisi în Pistis Laassivan e Nbantolee elomet ratus (pres. /d.) . TRAIANO ORE OO ATA E RITA MEN O RS STIA Y 5 (*) Questa Commemorazione sarà pubblicata in un prossimo fascicolo. ®» RENDICONTI — Marzo-Aprile 1920, INDICE —— Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Seduta del 21 marzo 1920. Hajorana. Sulla gravitazione . ........ ale a aaa SiR Chisini. Sui contatti delle curve di diramazione per una funzione algebrica di due varia- bili ‘(pres. dal Corrisp: Wtrigues) e x Sile 0" AE RZAN Mineo. Nuova soluzione del problema inverso del trasporto delle RS sa una geodetica (pres. dal Socio Levi-Civita) (*) . ME E no 247 De Angelis. Della forma cristallina della nitro-di- alaroì -acetanilide, C sH,.NO, 7 DL cu 5 6 SNH(CH50):(pres.-dalSocio Artini)" 0 i NE REI AP) 5% Perotti. Sopra la misura del potere ammonizzante del terreno agrario (pres. dal Socio Cuboni)i SL RIA UA RE MI 6 cia Ascoli e Fagiuoli. i farmacodinamici sottoepidermici. La reazione sodematozera (pres. dal Socio B. Grassi). BRR ERE O RR RE » Seduta dell’11 aprile 1920. ” Cisotti. Sull’integrazione dell'equazione caratteristica dei piccoli moti ondosi in un canale di qualunque profondità. III: Perturbazione locale (pres. dal Socio Levi-Civita) . . » 261 Comucci. Sulla cosiddetta idrocastorite dell'Elba (pres. dal Corrisp. Millosevich)® . . n 264 Valle. Sui suoni interrotti incoerenti (pres. dal Socio Corbdino) . .......... n 268. Tenani. Ricerche sulla oscillazione diurna della velocità del vento a diverse altezze sul suolo (pres. dal Corrisp. Crocco) . . LL... 0.66 ‘30 DENZA RE Ravenna e Bosinelli. Sul dipeptide dell’acido sspantico e An. falzione dell'asparaicioa nelle piante (pres. dal Socio Ciamician) . dol VI SESSMA SVEN LE SVEAE . n 278 Raineri.. Corallinacee del litorale tripolitano (Gra. dal Sieio Mattinolo). | ELITE Cotronei. Sull’identità di influenze morfogenetiche nella metamorfosi degli Anfibi Anuri e Urodeli (pres. dal Socio B. Grassi) (*) . RIO de alitalia n 288. Ascoli e Fagiuoli. sea farmacodinamici sotiagpsdermioi Gaggi indiretti: prova della tiTO1dCH(Presi TR E RR (Segue în terza pagina) i E. Mancini, Cancelliere dell’Accademia, responsabile. (*) Queste Note saranno pubblicate in un prossimo fascicolo. DELLA i a de REALE ACCADEMIA DRI LINORI | ANNO CCCXVII. | 1920 SbEREBRIGUEN PA Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume XXIX.° — Fascicoli 90-10° Sedute del 2 e 16 maggio 1920. 1° SEMESTRE. 3 | RENDICONTI | | ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRINTÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1920 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE ì. Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. ‘Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due -Classi. Peri Renpiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme ‘seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono - le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del: l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; «due volumi formano un'annata. 2 Le Note presentate da Soci o Corrispon» «denti non possono oltrepassare le 9 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a pagine 4/1. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci s Corrispondenti, e 30 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è ‘posta a suo carico. È 4. I Rendiconti non riproducono le discus= sioni verbali. che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota ver iscritto. II. | I. Le Note che oltrepassino i limiti indi. cati al paragrafo precedente e le Memorie pro- . priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife= risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta a. stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o in sunte o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’antore. - d) Colla seraplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi. dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre-. cedente, la relazione è letta in seduta, pubblica nell’ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame data ricevuta con lettera, nella quale si avverte. che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall‘art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Scci o Corrispondenti, 80 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. NAANINIINDISNIAN°_°_- Seduta del 2 maggio 1920. A. RòrTI, Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Analisi. — L’iterazione completa di x° — 2. Nota del Socio ‘S. PINCHERLE. Il problema dell'espressione, in forma esplicita, dell’iterata generale di una funzione di una variabile avente forma analitica determinata, non è risoluto, quando la funzione non sia la lineare, se non in un numero limi- tatissimo-di casi. Perciò la trattazione della questione, anche su di un esempio specialissimo, non sembra oziosa: tanto più che in questo esempio, per cir- .costanze particolarmente favorevoli di cui verrà data ragione in un prossimo lavoro di carattere più generale, la questione può essere condotta a fondo coi mezzi più elementari. 1. La funzione, di cui si vuole trovare l'’iterata vuota è il sem- plice binomio con Sa /(x), o semplicemente S/(x), si indicherà la trasformazione per cui la variabile complessa x si sostituisce con @(x); S" sarà il corrispondente gruppo continuo di trasformazione, ad un parametro. Si vuole mostrare come sia possibile di dare, in modo semplice, l'espressione analitica di S" per r qualunque. 2. Essendo x=%+- 7v un punto del piano- sfera 4, n un numero in- tero positivo, sì porrà Sie iS), RenpICONTI. 1920. Vol. XXIX, 1° Sem. 43 — 330 — Qui x, è un punto determinato, n° conseguente di x; (cn) è un sistema. di 2" punti, antecedenti n° di x, e di cui uno, generico, verrà indicato» con 2h. 8. Dal piano-sfera x, si tolga il segmento dell'asse reale compreso. fra —2 e 2, gli estremi inclusi; questo segmento verrà detto F. La por- zione rimanente del piano-sfera si dirà £; £ è dunque un campo sempli- cemente connesso, contenente il punto all'infinito, aperto, e di cui I° costi- tuisce il contorno. Posta l'equazione (1) o -x0+1=0, questa dà origine ad un ramo di funzione analitica univocamente determi-- nata in tutto £ dalla condizione di essere in modulo minore d'uno. £ viene con ciò ad essere uno dei due fogli della Riemanniana, escluso il taglio, rappresentativa della relazione (1). Indicando col segno —, apposto al radi- cale, che si tratta della radice di (1) minore in modulo dell’ unità, il ramo- di funzione in discorso è 1 202 (2) (x) => (Va — 4). La 0(x) =, equivalente ad 1 (3) x= t+ n ; dà la rappresentazione conforme del campo £ sull'interno del cerchio C del. piano £, di centro nell'origine @ raggio 1; al centro di C corrisponde il punto «= 00; ai cerchi |t|= e di raggio crescente da 0 ad 1 (escluso) corrispondono le ellissi omofocali di fuochi © 2 00 v* -— rie sani (gici di semiasse maggiore decrescente dall’infinito a 2 (escluso); queste ellissi si diranno Ep, e 0 ne sarà l'indice. La (x) è funzione analitica regolare per x = 0, nulla di prim'ordine in quel punto, e sviluppabile, per |2|> 2, in serie della forma (4) oa =T+R+ 4. Poichè dalle (8) si ricava — 331 — ne viene :° = w(a(x)), cioè la è(x) verifica l'equazione funzionale (5) S20(2)= 02), onde (5‘) Sa 0(1) = @*"(x) per x intero, positivo o negativo, intendehdosi che in questo ultimo caso il secondo membro dà 2” valori. 5. Per il n. 3, sull’ellisse E; è |w(y)|=@, onde sarà per la (5') |o(e(x))| = 0°; se x è nella ellisse di indice 0, x, è dunque su quella di indice o?. « Il « sistema delle ellissi E, e quindi la schiera delle coniche omofocali, ammette « dunque la trasformazione S data da x, = x* — 2; in altri termini, questa « schiera costituisce un sistema di imprimitività per il gruppo $* ». 6. Il fatto ora notato permette facilmente di indicare la distribuzione dei conseguenti e degli antecedenti dei punti di £ nel piano. Se x è uno di questi punti, e 0 è l'indice dell’ellisse passante per x, i suoi successivi conseguenti saranno sulle ellissi di indici 0°, 04,..., ot” , ««. 0, come si vede facilmente, le loro distanze dall'origine 4 = 0 cresceranno in modo para- gonabile ai termini di una progressione ultrageometrica o” clacio ee I dove c è positivo e maggiore d'uno. In quanto agli antecedenti, i punti (27) gn sono sull’ellisse di indice Vo, e per n= 00, questa ellisse tende al seg- mento TY; «i punti limiti degli antecedenti sono dunque sul segmento che - « congiunge i fuochi ». Ma v'è di più: « Ogni punto di £ ha, come aggre- « gato derivato dei suoi antecedenti, tutto quel segmento T ». Infatti, ad x la (3) fa corrispondere un punto £ interno al cerchio C; ai sistemi dei punti (21), (22), ... (77),... corrisponderanno i sistemi di punti (6) RE ran i quali hanno come punti limiti tutti i punti della circonferenza C. Fissato arbitrariamente un punto e‘ su questa circonferenza, si può scegliere in ciascuno dei sistemi (6) un punto, rispettivamente 4,2, ..-,%n,.. la cui successione tenda ad e‘. Ma %, avrà in £ il corrispondente , 1 On=in tp» doi), e la successione degli #, tenderà a 2 cos 0, che, per l’arbitrarietà di 0, è un punto qualunque di I. — 332 — 7. L'ultimo risultato ora indicato può enunciarsi nel seguente modo: « Se con e;, 82,... #n, si rappresenta l'uno o l’altro dei due segni + 0 —, « se x è un numero qualunque complesso, o reale maggiore di 2 o minore « di —2, e se infine g è un numero reale arbitrario compreso fra — 2 e 2 « (inclusi), è sempre possibile di determinare la successione dei segni «,, « 88; ... €&n,... in modo che la successione aV2+r,el2+872+5, |/2+% V24 e12+0,.. « abbia per limito 9g ». 8. Dalla posizione w(x) = risultando w(a(x)) = #*, ossia il a(a)=t° + Taio ne viene, per x intero positivo Cna) = +0? = (2) + 07°" (2), cioè eVa 4" PEIEOAN (7) Oni ( 9 ) + ( 9 ; Questa formula, conseguenza della (5) per x intero e positivo, dà /a def nizione dell'iterata generale di x? —-2 per indice di iterazione 7 qualsi- voglia. A giustificare questa definizione, basta osservare che da essa si de- duce immediatamente la legge degli indici Am (cn(£)) = Cm+n(£) per m,n qualsivogliano. La (7) dà dunque l'espressione analitica del gruppo S" continuo. 9. L'equazione di Schroeder Saf(x) =kf(2), ha, per a(x)= x*° —2, soluzione per il solo valore X = 2, e questa solu- zione, all'infuori d'un moltiplicatore costante arbitrario, è data da log @(x). In corrispondenza, è log log @(x) la soluzione della equazione di Abel. 10. Per i valori v=1,2,83,..., le espressioni ox) + 02) o somme delle potenze simili delle radici della equazione (1), sono i noti polinomi V,(x), con Vk=2, Vi=%, classici nell'algebra e nella molti- plicazione degli archi (*), legati dalla relazione ricorrente (8) V\— eV + Vale =100 (!) V. p. es. Serret, Cours d'Algèbre supériewre, tom. I, pag. 138 e seg.; pag. 235 e seg. (Paris, Gauthier-Villars, 4ème éd., 1877). — 333 — Or bene, risulta da quanto precede, e precisamente dalla (7), il fatto note- vole che codesti polinomî sono iterate (per indice generalmente non razionale) della funzione x° —2; precisamente, V,= a,(x), dove r è il logaritmo di v in base 2. Ne risulta, per i polinomî V,, la proprietà che non credo sia stata avvertita: (9) Vi(V.) = Vw. Inoltre, poichè la schiera delle coniche omofocali di fuochi = 2 è trasfor- mata in sè dalla sostituzione x, = x? — 2, essa lo è pure da ogni sostitu- zione 7, = Vy(#), per essere questa una iterata — sebbene di indice ge- neralmente non razionale — della x? — 2. Come si è avvertito, la questione trattata in questa breve Nota ha carattere assai elementare. Tuttavia, essa non sembra priva d’interesse, per il fatto che un noto sistema di polinomî si presenta come formato da ite- rate ad indice non intero di uno di essi, ma più ancora perchè mentre una questione analoga si pnò risolvere per l'iterazione di un polinomio intero «(x) qualunque, la soluzione ha indole trascendente di grado elevato, e solo per condizioni specialissime si abbassa ad avere carattere algebrico elemen- tare, come nel caso di Matematica. — Su alcune altre formole d’inversione colle- gate col metodo d'integrazione di Riemann. Nota del Corrispondente O. TEDONE. là 1. Il desiderio di dare forma definitiva, o, almeno, di apportare un con- tributo di qualche importanza alle soluzioni di alcuni problemi di mecca- nica che dipendono da equazioni a derivate parziali del tipo di Eulero e di Poisson, e, in particolar modo, alla soluzione del notevolissimo problema di Riemann, del moto di un fluido elastico per onde piane di ampiezza finita, mi ha condotto alle ricerche preliminari che mi permetto di esporre in questa Nota. Le questioni, a cui il metodo di Riemann propriamento detto, si può avplicare, fanno intervenire, ordinariamente, il tempo ed una sola coordinata spaziale. Ed è stato a proposito, appuuto, del problema citato che Riemann ha esposto il suo metodo d'integrazione. Devesi però notare che, quando si tratta di applicare il metodo di Riemann a problemi concreti di meccanica — 334 — o di fisica-matematica, le formole a cui questo metodo immediatamente conduce, sono atte, senz'altro, a risolvere i problemi stessi, solo se, fra i dati accessorii di essi, non vi sieno che condizioni iniziali, ed i fenomeni da questi problemi interpretati si possano considerare come esistenti in tutto uno spazio indefinito ad una dimensione. Quando, al contrario, uno di questi problemi si complica per la presenza di condizioni ai limiti pel fatto che il problema si riferisce ad un fenomeno che avviene, o si considera, solo in una porzione limitata del detto spazio, allora la formola di integrazione di Riemann può ancora portare alla soluzione completa del problema solo se sappiamo anche risolvere certe equazioni integrali di Volterra che il pro- blema stesso è capace subito di indicarci. In questa Nota ci occuperemo principalmente di equazioni integrali che si incontrano nel problema considerato da Riemann ed in problemi analoghi. 2. Per raggiungere il nostro scopo, ci fonderemo su osservazioni e pro- cedimenti già sfruttati a proposito di un'altra questione (!) che potrebbe, del resto, considerarsi come facente tutto un corpo con quella di cui iniziamo lo studio. E, come punto di partenza delle presenti ricerche, prenderemo l'equazione di Eulero e di Poisson con invarianti eguali sotto la forma du du _10+1) (1) IE Im? ii 8? =0, ovvero sotto l’altra ; du 2441) _ (E) PARLA (1 — d') mo con (2) t=pn+î, c=n-È, A essendo una costante perfettamente arbitraria. Questa equazione gode della proprietà di essere aggiunta di se stessa e dell'altra, di trasformarsi in se stessa eseguendo su 7 e 7° una medesima trasformazione lineare, intera 0 fratta. Quest'ultima proprietà è solo un caso particolare di un'altra di cui gode l'equazione più generale del tipo di Eulero e di Poisson di Di IU 4 td. ole ded T_-vVdIT T_-T dI (3) ZA, À' e p essendo tre costanti qualunque, e che si dimostra, senza difficoltà, con calcolo diretto. Per la proprietà di cui parliamo, se si opera nella (3) la trasformazione at, + d = Td cot4d * ceti |-d° (1) Su alcune equazioni integrali di Volterra ecc. Questi Rendic., seduta 1° feb- braio 1914. (4) = — 335 — «con a,d,c,d costanti qualunque, e, nello stesso tempo, si pone 6) U=n +0 ita] E I | U, come funzione di 7, e di t;, soddisfa alla stessa equazione (3) alla quale soddisfa « come funzione di 7 e di 7' (?). Moltiplicando la funzione x per una conveniente potenza di 7 — 7’, si ‘trasforma la (3) in un’altra equazione dello stesso tipo in cui il nuovo p è zero. L'equazione (3), quando in essa si supponga p= 0, è indicata dal Darboux col simbolo E(4Z,4'), mentre una soluzione qualunque di questa equazione è indicata dallo stesso autore col simbolo Z(4,4'). Si mostra al- lora subito che ZA) _g 3IZ(4, 4) dr È si) dI (441,24), =Z(4,2' 41) la prima delle quali, p. es., vuol dire esattamente che la derivata di Z(4, 7’) rispetto a 7, soddisfa alla equazione E(4 +1, 4’). 3. Ricordiamo ora che il metodo di Riemann per risolvere il problema di Cauchy (concetto che precisa meglio quello vago di integrazione) per la ‘equazione (1) è fondato sull’osservazione che, se % e z sono due soluzioni distinte di essa e poniamo da du dE dU (7) U=<% di z VE, D) 3% z 3 l’espressione Ud& + Van ‘è un differenziale esatto. Per cui, per ogni contorno c regolare, chiuso, rac-. chiudente un’area, all’interno della quale, contorno compreso, le funzioni w e 2 -sieno regolari, è (8) {wa +vamn=o. Con l'aiuto della (8), se su di una linea s non intrecciata, aperta e regolare, sono assegnati i valori che si vuole acquistino su s una soluzione v della (1) e quelli delle sue derivate, in modo arbitrario ma compatibile, si può, spesso, con facilità, costruire il valore di x in un punto (x,y) fuori ‘di s [problema di Cauchy per l'equazione (1)]. Basta applicare la (8) al (*) Una dimostrazione di questa proposizione, valevole nel caso di p=0 e dovuta all’Appell, è riportata dal Darboux nelle sue Lecons sur la théorie des surfaces, deuxième partie, pag. 58, n. 349. La proposizione stessa è dovuta al Darboux nel caso particolare in cui l'equazione ha la forma (1’); per il qual caso l’autore, nel luogo citato, dà una rapida dimostrazione. — 336 — contorno chiuso formato da s e dalle due caratteristiche della equazione (1) uscenti dal punto (4,7) (9) sî-Ea-—(q=y)=0 , $_ebaye0 quando per < si assuma la funzione di Riemann relativa alla stessa equa- zione (1) ed al punto (x, y), cioè la soluzione di (1) regolare nell'intorno del punto (2,7) e che sulle due caratteristiche precedenti assume il valore uno. Se < è regolare in tutto il campo indicato, chiamando 1 e 2 i due punti d'incontro di s con le due rette (9) nell'ordine in cui le loro equa- zioni sono scritte, si trova così la formola di Riemann (0) Zu, )=m+w— f (Ud + Van), l'integrale essendo esteso al pezzo di linea s compreso fra i punti 1 e 2. 4. Con l’aiuto della (10), la risoluzione del problema di Cauchy per la. equazione (1) è ridotto alla ricerca della funzione di Riemann corrispondente. A questo scopo, posto (Mean (11) == dx Li notiamo che x si annulla sulle due caratteristiche uscenti dal punto (x,y) e che la (1) ammette soluzioni funzioni di x soltanto, le quali non sono altro che le soluzioni dell'equazione ipergeometrica (12) «(1 + 1-2) E aa t ano. Per la nostra funzione di Riemann potremo quindi adottare la soluzione della (12), regolare nell'intorno di x="0 e che per x= 0 si riduce ad uno. Occorre distinguere varî casi. Per A=0 e ÀA=—1 è semplicemente z==]. Del resto, qualunque sia 4, si può sempre porre la funzione di Rie- mann sotto la forma di una serie ipergeometrica (13) s=F(-24,2+1,1,%) la quale si riduce, appunto, ad uno per A=0 e 4A=— 1, e, per 4 eguale ad un numero intero positivo o negativo, si riduce ad un polinomio in x. Per ogni altro valore di 4, affinchè si possa dare alla funzione di Riemann l’espressione (13), occorre che, per ogni fissato punto (x,y), il campo di variabilità di È e 7, che cade nelle nostre considerazioni, sia tale che in esso sia |x|<1. In ogni caso, in questo campo, dev'essere £ + 0. In quei casì particolari in cui alia — 337 — la funzione z si può assumere sotto la forma di un integrale definito i sa — 8) (1— se) ds. (14) Gi i In quest'ultima ipotesi, si ha nella (14) una espressione analitica che conserva un significato per ogni valore finito di x, tranne per il valore x==1, per il quale la funzione z diventa infinita. Fissato quindi il punto (x,y), perchè la formola di Riemann sia applicabile, occorre soltanto che il campo di variabilità di £ e » non sia attraversato, o toccato, nè dalla retta £=0, nè dalla linea x=1; la quale ultima linea è formata dalle due caratteristiche della (1) uscenti dal punto (—x,y) simmetrico di (x,y) rispetto all'asse y. DIL 5. Supponiamo, ora, che la linea s sia formata dalla porzione dell'asse £ sulla quale È = 1 (invece di È = 1 si potrebbe supporre, più generalmente, È = a con a costante positiva qualunque) e dalla porzione della retta é = 1 sulla quale 7=0, e che il punto (x,y) si trovi nel quadrante x = 1, y=0. Supporremo, inoltre, principalmente, che la formola di Riemann sia da applicarsi in quella delle quattro regioni in cui le due caratteristiche della equazione (1), uscenti dal punto (x ,7), dividono il precedente qua- drante, che è, insieme, tutta al finito ed attraversata dalla retta p =. Se indichiamo allora con /(£), (7), rispettivamente, i valori che e È: si vuole che assumano sull'asse #; se, analogamente, indichiamo con g(7), g1(7) i valori che v e Si devono assumere sulla retta È =1, potremo scrivere subito le due formole che seguono e che valgono, la prima per y> a — 1, la seconda per y D tendono effettivamente ad / ed /,1; mentre, affinchè w e = tendano a g e ‘,, per z="1, devono essere soddisfatte due condizioni che si trovano in modo analogo al precedente, e sulle quali si possono pur fare considerazioni analoghe a quelle precedentemente fatte. Di queste condizioni scriveremo soltanto la prima, @ gn=/9+b-f"| 0-10] &+ +f [50 Mii 9 (n) | — 340 — Questa equazione (e analoghe conclusioni si ricaverebbero dall'altra condi- zione che dev'essere verificata fra le funzioni /, /1, e , e che non ab- biamo scritta) mostra che, se sono date /, /, e @;, la funzione @ si può. ottenere risolvendo un'equazione della forma 21) g@+f mr -r+1 1 e mom, mentre, se sono assegnate /, /,1 e 4, la funzione g, può determinarsi come soluzione di un'equazione della forma e) fame a+ 1 E [n= 2), le funzioni ® e % essendo funzioni note. I casi più semplici che possono presentarsi sono quelli in cui Z è un numero intero positivo o negativo, nei quali casi il nucleo di ciascuna delle equazioni precedenti è un polinomio intero in y — 17. Con un numero suffi- cientemente grande di derivazioni, la determinazione di 4 e di , si riporta alla integrazione di un'equazione lineare a coefficienti costanti. Nei casì più generali si dovrà ricorrere alla teoria generale che, per la forma speciale dei nuclei precedenti, è abbastanza semplice e nota. III. 7. Le nostre considerazioni ci hanno fatto scoprire un'equazione integrale di Volterra la cui risoluzione si ottiene con semplici operazioni di deriva- zione e di integrazione, cioè quella contenuta nella prima delle (I). Vi sono altre equazioni della stessa natura che godono di analoghe proprietà. Per lo studio di queste nuove equazioni occorre tener presenti le relazioni che legano Ja derivata di una serie ipergeometrica, rispetto al suo quarto argo- mento, con le serie ipergeometriche contigue ad essa: con quelle serie iper- geometriche, cioè, che si ottengono dalla prima aumentando, o diminuendo, di un'unità uno dei primi tre parametri da cui la serie ipergeometrica pure dipende. L'insieme di tutte queste relazioni si ottiene sistematicamente ri- cordando che un’equazione E(4,4') ammette soluzioni omogenee in 7 e 7° della forma la funzione (5) essendo una soluzione della equazione ipergeometrica (23) (A—-0)9")+1—m—-2—(1—m+2)]g@+m49()=0, ed applicando a queste soluzioni le proprietà espresse dalle (6). Delle solu- — 841 — zioni dell'equazione E(4,4') della natura indicata basta tener conto delle seguenti: F(-m.X_,1-m_—-A,1), \ mme P(A,A4+% + m,1bm4A.3%), e(1-YIF(1-m_-A—-2',1-%,1-m—-4,1), uma IA PI -Z,14m,1+m+4,0). (24) E si noti che le funzioni ipergeometriche che compaiono nelle (24) di- pendono da tre costanti arbitrarie, m,4,4', le quali si possono determinare sempre in modo che i tre primi parametri, da cui ogni serie ipergeometrica dipende, acquistino valori dati @,f#,y. Se indichiamo ora con F una serie ipergeometrica della variabile £ costruita con i primi tre parametri @, BY, ®, se indichiamo con Fa, , Fa-, F;+, F.,-- le serie ipergeometriche che si ottengono da F aumentando, o diminuendo, di un'unità i parametri @ e y, le relazioni accennate si scrivono (| aF4ttE'= aFu, (V—-L)FF=Y—-1)F,-, yy—a—f)F+y1T—-)F=(y_— a) P_- BE, I (a—-y+0)FT—t1T—-0)F=(e—y)Fa. Le serie ipergeometriche che compaiono nella nostra quistione sono tali che, per esse, a -#=1,a=_—-Z. Se indichiamo con F,(t) quella di tali serie in cui y è il terzo parametro e # la variabile, in conseguenza della terza delle (25), potremo scrivere la relazione i (25') (1 d)Fi()= — 2(4+1)F(0). 8. Conviene anche notare che la coesistenza delle due equazioni (I) ri- chiede che sia (Ea 4a Lit, 3 | “e |n|- 4E:% FANGNI COTISRA CA ed) (e — E)? ‘a Fl 4rÈ =s3r|- dxè "i formola che è solo un caso particolare di un’altra alla quale, in questa Nota, ci contentiamo di accennare. — 342 — IV. 9. In questa Nota vogliamo ancora soltanto servirci dei risultati pre- cedenti per trovare la soluzione dell'equazione integrale A de 1 @— 8? (11) SATO Ti = MEO i nea che incontreremo nel seguito delle nostre ricerche e nella quale ®(x) è una funzione data che, naturalmente, si annulla per x = 1. L'equazione (II), a causa della (25'), si può serivere (1) Jara z=%%. E, per determinare /(x) da questa equazione, cambiamo, in essa, x in È, (x e E)? 4xè, a È, da 1 ad x. Tenendo conto della (26), si ricavano subito le due relazioni SER 0) de = 1 (for Jo >{F,(0) di pie Da queste se ne ricavano altre due integrando la prima, rispetto ad «, quindi moltiplichiamola per F, |- ed integriamo, poi, rispetto (27) Lu ®(£) F.(0) de. da 1 ad x, ed eseguendo sulla seconda l'operazione Dea vogliam dire le due equazioni (pra riae—fa= "È [onr[- usi - "les. (28)) .., ( LE io(1 —0)F(0) ++ (1-20) F {o} =—D f'0MrI a in cui si è posto (289) ra=f Ra — 343 — L'ultima delle (28), a causa della prima di esse e dell'equazione diffe- renziale a cui soddisfa F,(0), dà luogo all'altra (29) Sie mt de=-40+ 170) — 2204 (È (tone | AZE tp fonra e. Da questa equazione e dalla seconda delle (27), sommando e sottraendo, si ricavano ancora le due equazioni seguenti: 1) p o putiy a of lE pl E Mt dé ($i Cafe 3 z " Dè) F, \- Srrol de + (30) f di; (E) F,(0) dé, fer® F[(0)32=—22+1)/@)+D(2), convenendo di porre, per comodità e brevità, (0a a) SÉ fog ia de + + D+ 1) f 06) F.(0) dé. L'ultima delle (30) ha la stessa forma della (Il’), salvo per l'espres- sione del secondo membro e perchè, nel primo, vi compare &/(&) al posto di /(£). Partendo, dunque, dalla seconda delle (30), si potranno ricavare due nuove equazioni le quali staranno ad essa nella stessa relazione in cui la prima delle (28) e la prima delle (30) stanno con la (Il’). Queste due equa- zioni si possono scrivere subito. Ed eseguendo, su ciascuna di esse, l'ope- razione D; quindi servendoci, per la prima, della identità 61 o-rf7oroz=f oro, e, per la seconda, della (Il). esse potranno porsi sotto la forma — 344 — [DO—)+24@+)]f 70r0e- -s/0)= fore, (82) ([D(D —1)—44+1)) f"7() P.(0) de + +a/0=- 77 DE'201+ +7 (DO - 1-20 + NS ora. Eseguendo sulla prima l'operazione D(D—1)—4(4+ 1), sulla se- conda l'operazione D(D — 1) +4(4+ 1); quindi, sottraendo la prima dalla seconda, sì trova (I) 220+1)2/(2)=[DD—1)—247+1)] fr) d— —D0-1)+2@2+1][ 2/06 |- — 41401) + 9"(1)]}(c—1)—490'1). Mineralogia. — 2B/idite ed altri minerali del giacimento salifero di monte Sambuco in territorio di Calascibetta (Sicilia). Nota del Corrisp. F. MILLOSEVICH. Campioni del minerale del nuovo giacimento salifero esplorato da circa un paio d'anni in regione monte Sambuco, nel territorio di Calascibetta (prov. di Caltanissetta), mi furono recentemente dati in esame dal prof. E. Pa- ternò, cui mi è grato porgere i dovutî ringraziamenti per avermi in tal modo offerto occasione di compiere le osservazioni che intendo riassumere in questa ed eventualmente in altre note. Non avendo osservato sul luogo il giacimento, mi astengo dal darne una descrizione e mi limito ad alcuni particolari, di puro interesse mine- ralogico. La massa salifera che si trova nelle argille, di età tortoniana secondo alcuni, o più recenti secondo altri geologi (!), fu esplorata sino ad ora con tre gallerie a diverso livello, sempre sullo stesso versante meridionale del monte Sambuco. La galleria superiore taglia un deposito di una specie di (!) Vedi: Seguenza L., / giacimenti di salgemma in Sicilia e la loro età geologica (R. Acc. peloritana, Messina, 79, 1905); Cruciani A., Contributo allo studio geologico dei giacimenti di salgemma della Sicilia (Rass. industria solfifera, Caltanissetta 1908). — 345 — -sale duro (Hartsalz) costituito essenzialmente da kieserite e salgemma, in seno al quale si trovano localmente banchi o lenti di un aggregato cristal- lino a grossa grana, di colore bigio, costituito essenzialmente da blòdite ‘(astrakanite) con druse e fenditure irregolarmente disposte, tappezzate da gruppi di belli e grandi cristalli dello stesso minerale. I cristalli presentano due varietà distinte per il colore ed anche un poco per l’abito cristallino: i più sono incolori, limpidi, trasparenti e diven- tano opachi e bianchicci dopo esposizione all'aria; altri sono di color ros- sastro per inclusioni di ossido ferrico. Le loro dimensioni sono variabili, ma spesso considerevoli. Appartengono al sistema monoclino ed in generale sono appiattiti se- «condo la base con facce di prisma poco estese in direzione verticale; la clinodiagonale può essere lunga sino a 4-5 cm., l’ortodiagonale sino a 2-3 cm. I cristalli rossastri hanno un maggior sviluppo della zona verticale e -sono talora di abito nettamente prismatico. Ho osservato le forme seguenti: AMORI 001 MOLO 0210000443101 d }011} q 3201} pill} , o }121} CERA La combinazione più frequente è la cdpomr con cpd predominanti (vedi figura); 9g ed s sono poco frequenti e di piccolissime dimensioni. Nei cristalli rossastri si trovano nella zona verticale anche le forme 4 e 4 sempre molto subordinate. Abito, forme e combinazioni corrispondono a quelli descritti per cristalli della stessa specie rinvenuti in varî cantieri della zona di Stassfurt (!), e in modo particolare a quelli di Douglashall presso Westregeln, di cui sono conservati esemplari in questo museo mineralogico romano. (') Vedi Groth, P. und Hinze C., Veder Krystallisirten Blòdit von Stassfurt. (Zeit schr. d. deut. geol. Gesellsch., 22, 1871, pag. 670); Luedecke O., Veder ein neues Vor- kommen von Blòditkrystallen in Levpoldshaller Salawerke. (Zeitschr. f. Naturwiss, Halle, 58, 1885, pag. 645); Bicking H., Glaserit, Blòdit, Kainit, und Boracit von Douglashall bei Westregeln (Zeitschr. f. Kryst. u. Min., 15, 1889, pag. 561). ReENDICONTI. 1920. Vol. XXIX, 1° Sem. 45 — 346 — Allo scopo di esatta determinazione delle forme ho eseguito sui cristalli più appropriati le seguenti misure angolari, i cui risultati sono posti in confronto con i valori calcolati dalle costanti di Groth ed Hintze: o b'ivel= 34939: 006/7047 Bi="79°21° 490 min =(110): (210) mis. 19° 31’ cale ali0on2r, n n" =(210) : (210) » 67904 » 67906 A :4"=(810) : (310) » 270834 n 27042" c:d =(001): (011) » 38020' » 33°23 osp, — 00h, 110) » 36056 » 36955 p:p =(111): (111) » 57049 n TSADIA(I piso (Lbiesd21) » 18049 » 18°53' CE (000) o) » 83027 » 83937, cage 004200) » 50011’ » 5006 pei _(204(2/1 » 41°32 » 44021'/, s :9 =(211): (201) » 27020" » 27025 L'analisi chimica, eseguita su cristalli limpidi incolori, mi ha dato i seguenti risultati : Nas ua Rei Mo 0h el 2000 SOL Ito È RA HyS AIA INSOlg eu e ERO) 90,83 in buon accordo con i dati che si calcolano dalla formula Na,$0,. MgSO,. 4H,0 che sono: Na, 0; hear ilustpssanenip 68056 Mp0 alan #08 Silea due98 SO; RT) Hi0 6 5 viabatA 44 a tA2056 100,00 Nella letteratura anche recente, che riguarda il minerale in questione, si trovano per esso adottati promiscuamente ed indifferentemente il nome di blòdite 0 quello di astraXanite. Riesce strano inoltre che Jaeger (') abbia (1) Jaeger F. M., Veber die Identitàt des Hallstidter Symonyits mit dem Astrakanit. Tschermaks miner. und petrogr. Mittheil. Wien, 22, 193, pag. 103. — 347 — proposto, e giustamente, l'eliminazione del nome simonyiîte dato da Tscher- mack ad un minerale del demanio salino austriaco di Hallstadt concludendo per la sua identità con l’astrakanite, senza peraltro far menzione che già dal 1871 Groth ed Hintze avevano concluso per la identità della simonyite e della blòdite, trascurando così l'occasione di dimostrare l’identità delle tre specie e di proporre il nome da preferire, Il quale dovrebbe essere per diritto di priorità quello di blòdite dato da John (') nel 1821, ammenochè, come sembra essere il parere di Biicking il quale parla di roccia astraka- nitica e di cristalli di blòdite, non si voglia adottare il nome di astrakanite in senso di roccia, cioè del materiale che forma banchi o membri distinti nelle serie salifere o depositi estesi e potenti come quelli dei laghi salati della steppa di Astrakan, riservando il nome di blédite alla specie nello stretto senso mineralogico. Nella massa del banco astrakanitico della galleria superiore di monte Sambuco si trovano in copia noccioli tondeggianti, dalla grandezza di un pisello sino a quella di un arancio, di un materiale bianco candido a finis- sima struttura granulare saccaroide, parzialmente deliquescente all'aria umida, perfettamente somiglianti a quelli consimili di boracite compatta (stassfur- tite), che si rinvengono nei giacimenti di Stassfurt entro la carnallite. Saggi qualitativi indicano che effettivamente fra i componenti di questi noccioli sono acido borico, magnesia e cloro. Sulla loro esatta composizione intendo tornare prossimamente, dopo ultimata una completa analisi che sto eseguendo. Matematica. — Le trasformazioni puntuali fra varietà che conservano il parallelismo di Levi-Civita. Nota di E. BOMPIANI, presentata dal Socio G. CASTELNUOVO. 1. Data una V,, definita intrinsecamente dal suo (1) de Di dik (21 que o) dx; dex, 1 il prof. Levi-Civita ha introdotto su di essa la nozione di parallelismo (*) che, nella forma intrinseca osservata dal prof. Severi (*), può esprimersi così: In un punto P di una curva (di trasporto) c (di V,) è dato un ele- mento lineare arbitrario / (di V,); si consideri la superficie geodetica (di (1) Chem. Schriften, 6, 1821, pag. 240. (3) Nozione di parallelismo in una varietà qualunque ecc. (Circolo Matematico di Palermo, tomo 42, 1917). (*) Sulla curvatura delle superficie e varietà (ibidem). Per un’altra definizione del parallelismo, che non fa uso della proprietà integrale delle geodetiche, cfr. H. Weyl, Raum. Zeit. Materie (Berlin, Springer 1919, Cap. II, $ 14). — 348 — V,, in P) definita da / e dall'elemento lineare PP' di e; l'elemento lineare /’, uscente da P’ sulla superficie geodetica e formante ivi con la geodetica de- terminata da PP' lo stesso angolo che / forma in P con c, si dice parallela ad / in P' secondo €; con un processo d'integrazione risulta definita la pa- rallela ad / secondo e in un punto qualunque di questa curva. Una trasformazione puntuale (generalmente biunivoca) di una V, in V}, non è in generale siffatta che a direzioni parallele in V, corrispondano di- rezioni parallele in V,: nasce quindi il problema di individuare quelle tras- formazioni che conservano il parallelismo. Per la proprietà caratteristica delle geodetiche di avere tutte le tangenti fra loro parallele (quando sia curva di trasporto la geodetica stessa), le tras- formazioni in esame sono certamente geodetiche; quindi è chiaro che i mezzi per questa ricerca debbono attingersi dalla Memoria del prof. Levi-Civita, Sulle trasformazioni delle equazioni dinamiche (*), ove sono determinati i tipi di ds° che ammettono trasformazioni geodetiche (che non siano sempli- cemente prodotti di una isometria per una similitudine). 2. Indichiamo con Mini i parametri della direzione da traspor- tare, con d la differenziazione da eseguire lungo la curva di trasporto in V,; ‘aggiungiamo un apice alle grandezze corrispondenti relative alla varietà trasformata V/,. Poniamo dx, dx; ds "MEA — 2A DO AM 50/8 — ds'’ ds TRS 4 essendo funzione del posto e della direzione d che si trasporta. Il trasporto per parallelismo è regolato dalle equazioni in Va: ago = YI #0 dg, ali) in Vi: ao = YI gr. li) Utilizzando la posizione fatta, nella ipotesi di conservazione del paral- lelismo si ha ; NANNI a #0+:3:((4) I) era si 2 Osserviamo subito che 44 = 0: infatti, detto ds l’elemento lineare da ‘trasportare e ds* l'elemento lineare d’arrivo dopo un cammino qualsiasi, si ha, per il parallelismo, ds= ds*; e poichè ad elementi paralleli in V, (1) Annali di Matematica, ser. II, tomo XXIV (1896), pp. 255-300. — 349 — corrispondono elementi paralleli in V,, si avrà pure ds' = ds'*, cioè ds/ds' = = ds*/ds'*, quindi 4 non varia per il trasporto eseguito, 44 =0. Dalle ultime equazioni, per l’arbitrarietà della direzione di trasporto (cioè delle dx:;) e della direzione da trasportare (cioè delle dx;) si ha Sa {i per 7,2, qualsiansi. 3. Siamo dunque condotti a caratterizzare quelle trasformazioni della forma (1) nelle quali sono invarianti tutti i simboli di Christoffel di 22 specie. Indicando con a il discriminante della (1) e con a' quello della tras- formata, dalle note identità (Fil EE) segue, per l'identità dei simboli } } e } |", cioè a/a' = costante (+ 0); poichè una costante moltiplicativa del ds è inessenziale per il problema potrebbe prendersi a= 4; segue pure che il sistema derivato covariante del sistema 2’, rispetto alla (1) è identicamente nullo (1). 4. Il procedimento del Levi-Civita (?) conduce a studiare le radici del- l'equazione in o ottenuta annullando il determinante delle d’,, — 04, e @ dividere la ricerca in tanti tipi quanti sono i possibili casi di distribuzione delle radici stesse in rapporto alle loro molteplicità. Se si chiamano gp, ,..., Qpn-mt: (Pnm+: = 2) le #r—-m+1 radici distinte, supposti gli indici PisPa 0: Pn-m+r disposti in ordine crescente e in modo che & = 2; - Pi (Po =" 0) rappresenti l'ordine di molteplicità della radice 0,,, i due ds? in (%) Ciò segue dal lemma di Ricci applicato alla Za',g der des e dall'essere SIE ma si ricava anche subito dalle equazioni (13) della Memoria Sulle trasformazioni ece., 1 a n+1l n A , È 7) = costante. Il sistema a’,s che qui si determina è a quando vi si faccia «= c( un sistema doppio covariante simmetrico a sistema derivato nullo: per il caso di una forma dinaria la determinazione dei sistemi doppi covarianti a sistema derivato nullo è stata fatta dal Cecconi (Atti Istit. Veneto, tomo LXXII, pag. 1435); per una superficie a curvatura non nulla e per sistemi doppi simmetrici si hs necessariamente a’, = c4rs, d’accordo con quanto segue. (2) Nella Memoria già citata, che qui riassumo solo in quanto è necessario per rendere intelligibili le notazioni; vedasi anche Ricci et Levi-Civita, Méthodes de calcul diferentiel absolu et leurs applications (Math. Ann., LIV Bd., 1900), Ch. V, $ 4. — 350 — corrispondenza geodetica assumono la forma n-m+1 n-m+1 V22) a Di; IT; | pi Wp, | Dr,8 krs dx, das 1 1 = P-+1l la n-m+1 1 n_m+1 ds — Rn) Nu "E FI to) DI ate Li Ye VelX pi x Dr, krs da, des , pal ove C e c sono due costanti arbitrarie; wn è funzione della sola xx se on è radice semplice, mentre è una costante (+ 0) nel caso opposto; XX, dx, dx, è una forma differenziale positiva a soli e, argomenti; e infine I;\W,— n] indica il prodotto degli argomenti indicati per j + /. Nel nostro caso, per essere 4a/a' = cost., risulta (*) che zutte le w, sono costanti (fra loro differenti); sicchè, liberati da coefficienti costanti inessen- ziali, gli elementi lineari corrispondenti si scrivono n_-MH1 PI 16: Drs krs der das ] PIZI ulSoi RM dl Di asi DI, y DI krs de, dos - ] i eri o. Il risultato diviene geometricamente evidente se si cerca di realiz- zare questi elementi lineari in un ambiente euclideo. Si costruisca per ogni valore di / una Ve,, che diremo 07, avente l’ele- PI mento lineare dato da ds, = Dia lers der des, entro uno spazio euclideo Pesa € (7 + 2) doni . Sw (la cui dimensione sarà al massimo (/) = Disponiamo questi Sa, entro uno S1)+(2+-+n-m+1) in modo ch'essi abbiano un punto comune per cui passino tutte le 0, e risultino a due a due ortogonali. Teniamo fisso Sa, e spostiamo Ss, parallelamente a se stesso (quindi orto- gonalmente a S,)) in Sy+); trascinando seco 0, in modo che il punto fissato su o, descriva tutta la 0,: si ha una Ve,+e, che risulta di trasla- zione, sia rispetto a 0, sia a 0). Poi spostiamo S,3), con entro 03, in modo che il punto fissato su 03 descriva la Ve,+sa 6 si avrà una Ve;,e,+6,; @ COSÌ (!) Dalle equazioni (E) (24) in Sulle trasformazioni ecc., oppure E) d) in Métho- des ecc., quando vi si faccia u = cost. — 351 — di seguito, fino ad ottenere una Ve,+e+..+5n-m+1== Va: essa realizza il primo ds? (?). Se ora applichiamo una similitudine, con rapporto d’ingrandimento V1/w, secondo la giacitura di S,, cioè applichiamo all’ambiente della V, un'affinità speciale avente come giaciture di punti uniti quelle degli Sp, otteniamo la più generale trasformata per parallelismo di Levi-Civita della V, data (a meno di una isometria). Se tutte le 0 fossero coincidenti (come avviene per una V, generale), i due ds° non differirebbero se non per un fattore (cioè le due V, per una similitudine dell'ambiente); se tutte le 0 fossero distinte (quindi «=1, (2) = 1) la V,, sarebbe euclidea, e la trasformazione. si riduce, come deve, ad una affinità. È poi evidente, sul modello costruito, che le Vs, sono zotalmente geo- detiche entro V,. Matematica. — Sulle varietà che ammettono una traslazione infinitesima. Nota di 0. OnIcescu, presentata dal Socio T. Levi- CIVITA. 1. Supponiamo che una varietà V,, di elemento lineare n gs De Qik dx; dax 3 1 ammetta un movimento rigido lungo una congruenza di linee [C]. Se 0 dI; X de DE è la trasformazione infinitesima del movimento, le ©’ sono, con le notazioni del calcolo differenziale assoluto, proporzionali ai parametri controvarianti delle linee della congruenza [C]: indicherò questi parametri con 20), Vin- dice n alludendo al proposito di considerare quanto prima assieme a [C] altre x — 1 congruenze ad essa ortogonali. Si sa che le #‘ devono soddisfare alle equazioni di Killing, le quali con le notazioni che adoperiamo si scrivono (1) E+E=0 (Cee (*) La sua classe (secondo il Ricci) è quindi dl), 2 ole ‘ali cai ee — 3592 — Esprimendo le &; sotto forma canonica = Q@Àni con che 0 rappresenta l'ampiezza dello spostamento rigido considerato, le- equazioni (1) diventano (2) Anrij + Aniji = MiAn;j + Mi Anri nelle quali u = log o. 2. Ciò premesso, proponiamoci di ricercare a quali condizioni debba ot- temperare la [C], e, se del caso, addirittura la metrica della varietà V,, perchè il movimento rigido infinitesimo (nel quale ogni punto si sposta di o lungo la linea C che passa per esso) abbia carattere traslatorio, nel senso che: la corrispondenza delle direzioni (uscenti da un punto generico prima e dopo lo spostamento rigido) debba ridursi ad un semplice trasporto per parallelismo (di Levi-Civita) lungo le linee C. Notiamo subito che questa. definizione di spostamento traslatorio è assai più completa (e quindi più. restrittiva) di quella concernente soltanto l'eguaglianza delle ampiezze per ogni punto (0=d) con cui si caratterizzano i così detti scorrimenti (?). Vedremo che alle nostre traslazioni infinitesime competono proprio tutte le- proprietà delle traslazioni dell'ordinario spazio euclideo, compresa la costanza dell’ampiezza. 3. Per la trattazione matematica della questione conviene in primo luogo associare alla congruenza [C] altre # —1 congruenze ortogonali tra loro e a [C], per formare una n-upla ortogonale caratterizzata dai sistemi covarianti Z,,; (4=1,2,...,%). Denotiamo col simbolo 4 l'incremento (di una generica funzione del posto) dovuto al movimento rigido elementare, con d l'incremento corrispon- dente ad uno spostamento elementare con parallelismo di Levi-Civita, e ri- cordiamo che, lungo una linea di elemento lineare ds,, quest'ultimo incre- mento è definito dalle formole (?) 4. L'equivalenza del movimento rigido con lo spostamento, a paralle- lismo, di una direzione qualunque 4;, lungo la linea C, sì scrive dA (=1,2,..,9). (!) Cfr. L. Bianchi, Lezioni sulla teoria dei gruppi continui di trasformazioni [ Pisa,. Spoerri, 1918], $ 183. (3) T. Levi-Civita, Mozione di parallelismo in una varietà qualunque e conseguente: specificazione geometrica della curvatura riemanniana [Rendiconti del Circolo matema- tico di Palermo, tomo XLII, 1917, pp. 173-204] $ 5. — 353 — In base alla formola precedente, ed osservando che di ap, questa. n equivalenza assume l’espressione dA L 09 ; 3 Lat fa (i=1,2,..,2). Ove si ricordi la formola di derivazione covariante DM _$ fÎFÌ Verna sii sì ha più semplicemente (3) D 40 2g =0 ((=1,2,..,2). 1 È evidentemente sufficiente che le (3) siano soddisfatte per una dire- zione qualunque 4n,; della x-upla ortogonale, ciò che dà le equazioni (4) DI, AP Ing = 0 {= di don) 1 che esprimono le condizioni necessarie e sufficienti perchè il movimento, che supponiamo rigido, avvenga con parallelismo. Per ottenere equazioni inva- rianti, moltiplichiamo i primi membri in (4) per 4° e sommiamo, ciò che dà. n ; . i Dog BE In Ing =0 (bieco Il primo membro rappresenta (') il coefficiente di rotazione ya ed ab- biamo quindi in forma più comprensiva (A) Vani) CRRIICRZEOZOÌ Per A=% e & arbitrario sì ha in primo luogo (5) Ynkn =" 0 ; dunque si ha che /e linee C sono geodetiche (?). Per h-+-X=# le (A) esprimono che la rotazione durante il movi- mento è nulla. 5. Esaminiamo adesso più da vicino le conseguenze portate dalle equa- zioni di Killing, tenendo conto dei risultati precedenti, compendiati nelle (A). (') G. Ricci e T. Levi-Civita, Méthodes de calcul différentiel absolu [Mathematische Annalen, Bd, 53, 1901], pag. 148. () La stessa Memoria, pag. 154. RENDICONTI. 1920. Vol. XXIX. 1° Sem. 46 — 354 — Moltiplicando le (2) per 4# 4 e sommando rispetto ad 7 e j, ove si tengano ancora presenti le definizioni dei coefficienti di rotazione y, si ha: (6) 24 2° 25° (tti àn/j + 4; nyi) = Ynhk L Yan (TE —AER0055 n) 7 Per h4,k= il primo membro si annulla identicamente; dunque Ynnk + Yann = 0 h,kt, relazioni di cui il significato è che: le n —1 congruenze associate a [C] costituiscono un sistema canonico (e ciò comunque si scelgano le congruenze stesse). In virtù delle (5) abbiamo y,in=0; dunque, per X=%, le (6) di- ventano Da a =0 (Ie 0) Ne consegue 0= cost., donde l’annunciata proprietà delle traslazioni di far subire, a tutti i punti, spostamenti di eguale ampiezza (cioè di entrare fra gli scorrimenti). Le (6) si riducono così alla forma (B) Yuna + Yuan = 0 (£h,k=1,2;...,%) e insieme alle (A) porgono le condizioni necessarie e sufficienti perchè la congruenza [C] sia costituita da traiettorie di un moto rigido traslatorio. 6. Per esaurire rapidamente la discussione del sistema (A),(B), giova trar partito dalla circostanza che possiamo sempre dare alla trasformazione infinitesimale la forma X(f)= 2. Questo implica #9 = 0 per i NO..GH,.CH:NOH R.C0.CHj, —> R.CO.CH:NOH ‘TA. Angeli e F. Angelico, questi Rendiconti, vol. 8° (1899), 2° sem., pag. 32]. — 377 — ‘l'acido benzoico da cui derivano: ne risulta che l'acido ortonitrobenzoico è molto più forte del benzoico, mentre invece le costanti degli isomeri meta- -e para- hanno ad un di presso il medesimo valore, pur essendo più elevate di quella dell'acido benzoico stesso. Nel caso invece dei composti ossidrilatì, l'acido paraossibenzoico è più debole dell'isomero meta- e dell’acido ben- zoico stesso. Ma anche prescindendo da considerazioni di questo genere, lo stesso Reissert fa notare espressamente che la reazione da lui scoperta sì compie solamente con i nitrotoluoli orto- e para-, tanto che essa fornisce un mezzo ‘per riconoscere se questi prodotti contengono l’isomero meta- ed in ogni caso per ottenere quest'ultimo allo stato puro, giacchè esso si mantiene perfet- tamente inalterato rispetto all’etere ossalico. Scissione di alcune nitrosammine: formazione di diazometano e di indazolo. — Le belle ricerche di H. von Pechmann (') hanno dimostrato ‘che i nitrosocomposti di alcuni derivati della metilammina vengono facil- mente saponificati e che in tal modo si perviene al diazometano (*): CH, CH, CH, NH.CO.R \/00.R N Ù | \No N Un comportamento perfettamente simile è stato riscontrato da E. Noel- “ting (5) e da P. Jacobson (‘) nel caso degli analoghi derivati dell'ortoammino- toluolo: anche questi perdono facilmente il residuo acido, ed il nitroso- gruppo reagisce col metile per dare l’indazolo, la formazione del quale cor-_ risponde a quella del diazometano: CH? CH; LENTI AI NN “ CL) co.R 7 i >:S ì Ba N NH.COR NO (') Berliner Berichte, 28 (1895), pag. 855. (*) Le formule di struttura da me proposte per il diazometano e per l’acido azoti- drico sono già state adottate da autorevoli trattatisti (cfr. per es. Bernthsen-Darapsky, in « Organische Chemie », 14% edizione, 1919: Hofmann, in « Anorganische Chemie », 28 ediz., anno 1919). (#) Berliner Berichte 37 (1904), pag 2556. (‘) Berliner Berichte, 4/ (1908), pag. 660. RENDICONTI. 1920. Vol. XXIX, 1° Sem. 49 Dosargea Le scissioni di alcuni nitroderivati. — Sono ben note le scissioni che- presentano alcuni nitroderivati orto- e parasostituiti, quali per es. NO, NO; gn (a A 4; SS pe Le èS Ea S NO; OH NO, NO; NEL AA fi Dì oi + HOI 3 CN 2 x MEG LMROH che corrispondono a quelle che subiscono l'ipoazotide ed il cloruro di nitrile;. mi limiterò quindi ad accennare ad un’altra reazione da me studiata anni or- sono (') per il caso del nitrato di etile, la quale trova un perfetto riscontro. in quella che si può effettuare partendo dall’ etere etilico del p-nitrofenolo. Come venne dimostrato a suo tempo, il nitrato di etile, nel quale il gruppo - nitrico e l’ossietilico sono direttamente uniti fra di loro, reagisce con l’anilina. per dare la fenilnitrammina (acido diazobenzolico) NO, NO, Î +NH,.CH,= | --C,H;0H 00, H; NH. CH; e si vede subito che questa reazione è del tutto analoga all'altra NO, NO» | | C) + NH..CH; == (3 +C.H;.0H [ 0C.H; NH.CGsH; Migrazione di atomi di ossigeno dall’azoto al carbonio. — Un altro- gruppo di trasformazioni, le quali pongono in evidenza il nesso che esiste fra due sostituenti posti in orto- ovvero in para- è costituito da quelle rea- zioni, in seguito alle quali uno ovvero entrambi gli atomi di ossigeno del gruppo nitrico migrano ad nun atomo di carbonio (*). Nella maggior parte (') Questi Rendiconti, vol. 14° (1905), 2° sem., pag. 127 (3) Come è noto, in alcune reazioni un atomo di ossigeno unito all’azoto migra facil- mente anche ad un atomo di carbonio situato in orto- ovvero in para-, come per es. (07 H; è NH è OH = (HO) . (Gf IP . NH» CH NO:N.GH, — (H0).GH.N:N.GH;. Quest'ultima trasformazione degli azossicomposti in ossiazoderivati si compie per — 379 — dei casi si tratta di processi correlativi di ossidazione e riduzione che molto rassomigliano a quelli che si compiono nelle cosiddette trasposizioni pina- coliniche ('). Io mi limiterò qui ad accennare alla formazione di parammino- benzaldeide per azione dei solfuri alcalini sopra il paranitrotoluolo, NO», NH 2 ) | rr SR Se | I CH; COH nonchè la trasformazione dell’ortonitrobenzaldeide in acido nitrosobenzoico- effettuata per mezzo della luce da Ciamician e da “ilber, NO, NO OC CH 1 cOH ‘C00H quella dell'ortonitrotoluolo in alcool nitrosobenzilico (?), NO, NO CH CH, CHs \CH,(0H) ed infine quella dell’ortonitrotoluolo in acido antranilico per mezzo degli alcali, N00, CB CH SCR COOH, NH, descritta da Preuss e Binz (*) mezzo degli acidi ovvero anche sotto l’azione della luce. A questo riguardo, nel caso degli azossicomposti contenenti carbossili, ossidrili, ovvero residui solfonici, e perciò ca- paci di fornire sali, io ho osservato che passa una grande differenza di comportamento fra gli azossicomposti liberi ed i Joro sali: nel mentre infatti i primi vengono facilmente alterati dalla luce con formazione di ossiazoderivati, i secondi, a parità di condizioni, rimangono per lungo tempo inalterati. (1) Ancora parecchi anni or sono (questi Rendiconti 1908, vol. XVII, 1° sem., pag. 311) io ho dimostrato che si possono far rientrare in questo genere di reazioni le trasposi- zioni di Hofmann (ammidi), di Beckmann (ossime), di Lossen (acidi idrossamici), di Curtius (azidi), di Wallach (azossicomposti), quella dell’idrazobenzolo in semidina ecc., nonchè © molte di quelle che si compiono nei processi fermentativi. (2) Chem. Zentralblatt 1908, II, pag. 210. (*) Zeit. fùr angew. Chem. (1900), pag. 385. — 380 — Data la grande alterabilità delle idrossilammine aromatiche ed il dif- ferente modo di comportarsi delle aldeidi e dei nitroderivati alifatici, non sempre si possono realizzare tutte le analoghe trasformazioni nelle due serie: anche nel caso però del nitrometano, si riesce a pervenire a sostanze che si possono riguardare come corrispondenti a quelle rappresentate dagli ultimi schemi. Si sa infatti che i nitroderivati alifatici hanno grande tendenza a trasformarsi negli isomeri acidi idrossammici (un atomo di ossigeno migra dall’azoto al carbonio), e d'altra parte è noto che l’acido formidrossammico, anche sotto forma di sali, si scinde con tutta facilità in ammoniaca ed ani- dride carbonica: qui pure sì effettua una nuova migrazione dell'azoto al car- bonio, e l'ammoniaca e l'anidride carbonica, con tutta probabilità, derivano dall’acido carbammico (corrispondente all’acido antranilico) formatosi nel- l’ultima fase: NO); NH.0OH NH, NH; | > | > | > ; CH; COH COOH (0/05 Ossidazione dei nitroderivati. — Ancora nella precedente nota ho accennato al fatto che i nitroderivati alifatici per ossidazione forniscono facilmente ì prodotti (*): NO; NO, NO, | => | : DR. CH5 R..CHT—-CH.-R Impiegando orto- e paranitrotoluolo il processo analogo si compie anche senza impiego di mezzi ossidanti, giacchè in questo caso l'ossidazione viene effettuata da una parte del nitroderivato stesso: NO; NO, MOSO —> CH, \cg, Sona Nel caso particolare del nitrometano si può ottenere anche un prodotto, l'acido metazonico, che contiene un atomo di ossigeno in meno, quello appunto che ha determinato l'unione delle due molecole del nitrocomposto: 2CH3z.N0, —> NO,..CH..CH,.NO — NO..CH;.CH:NOH. 2C6H CH, Asione fisiologica (*). — Sembra inoltre che qualche analogia si ri- scontri anche nel comportamento fisiologico di alcuni derivati corrispondenti. Così per es. l’etiluretano NH. i COOC, H; ‘(*) Angeli e Alcssandri, questi Rendiconti 1910, vol. XIX, 1° sem., pag. 784. (3) Queste poche notizie le ho desunte dalla monografia di L. Spiegel Chemische Konstitution und physiologische Wirkung, Stuttgart 1909. — 381 — ha azione ipnotica, mentre d'altra parte l'etere etilico dell'acido p-ammino- benzoico NH, | | COOC:H; nel quale gli stessi residui sono separati dall’anello aromatico, agisce da anestetico. L’azione anestetica, come è noto, in alcuni casi è determinata dal re- siduo C3H;C0-- dell'acido benzoico; ma a tale riguardo bisogna anche ricor- dare che, se questo residuo presenta analogie con quello dell'acido p-ammino- benzoico, in altre reazioni invece esso si comporta in modo molto diverso da quest'ultimo. L’idrazina nella quale i due atomi di azoto sono congiunti direttamente fra di loro, è velenosa. Le diammine alifatiche invece, quali la tetrametilendiammina (putre- scina) e pentametilendiammina (cadaverina) NH..CH,.CH,.CH;.CH..NH, NH,.CH,.CH;.CH,.CH,.CH..NH,, sono fisiologicamente inerti (') e ciò lascia pensare che molto probabilmente anche la cicloesandiammina sì comporterà nello stesso modo. I caratteri tossici compariscono di nuovo nella parafenilendiammina, NH..CH,.NH,, nella quale i due residui azotati sono separati dall’anello aromatico. (1) Questo si spiega forse quando si pensi alle strette relazioni che queste due sostanze hanno con l’ornitina e la lisina, che si ottengono nella demolizione delle so- stanze proteiche, e che nei processi fermentativi, per eliminazione di anidride carbo- nica. si trasformano nelle diammine rispettive. — 382 — Geologia. — Osservazioni sui giacimenti di bauxite dell’ Ap- pennino, dell’ Istria e della Dalmazia. Nota dell’ ing. CAMILLO CREMA, presentata dal Socio C. F. PARONA. Questa Nota sarà pubblicata in un prossimo fascicolo. Biologia. — Contributo alla conoscenza del sistema escretore del baco da seta ('). Nota II della dott. Anna Foà, presentata dal Socio B. GRASSI. Porzione rettale dei tubi Malpighiani. — Su questa porzione dei tubi Malpighiani ho concentrato la mia attenzione perchè ho intravvisto fin dal principio che costituivano un insieme assai più complicato di quello che ge- neralmente si ritenga, ma ho stentato molto a comprenderne l'esatta dispo- sizione. È scritto nei trattati che i tubi Malpighiani sono sei tubetti sottili, i quali principiano a fondo cieco entro il sacco lacunare che distacca l’epitelio del retto dalla rispettiva tonaca muscolare e ne occupano la maggior parte, strettamente raccolti in brevi giri serpentini, e che perforata la tonaca mu- scolare passano quindi a ricoprire la superficie esterna del cieco. Perciò, in conclusione, nella parte rettale dell'intestino, tra l’epitelio e la muscolatura si dovrebbe trovare semplicemente la parte distale dei sei tubi che al disopra del retto sì vedono appoggiati alla parete esterna dell'intestino e che, come è noto, riuniti in due gruppi sboccano poi ai confini tra l'intestino medio e il posteriore. Che la cosa non fosse così semplice, mi risultava già dal fatto che nelle moltissime sezioni di bachi di tutte le età da me esaminate, mai una volta mi era riuscito di vedere la continuazione diretta tra la parte interna (cioè quella rettale, imprigionata tra l'epitelio e la muscolatura del retto), e la parte esterna (cioè libera) dei tubi Malpighiani. Inoltre, riscontravo sempre nelle sezioni della parte rettale un tubicino Malpighiano più super- ficiale e più sottile degli altri, di cui non mi riusciva di seguire la conti- nuazione. Per mettere in rilievo la struttura di questa regione, mi sono valsa delle dissezioni in carminio acetico. Con questo reagente si ha una colora- zione rapida dei tessuti ed un leggero rigonfiamento che facilita le dilace- razioni con gli aghi. Dopo aver isolate le parti, le ho lavate con alcool leg- (') Ricerche eseguite in parte nell’ Istituto bacologico di Portici diretto dal profes- sore C. Acqua, in parte nell'Istituto di Anatomia comparata della R. Università di Roma. — 383 — “gero finchè la colorazione da rossa diventava violetta, poi sempre sotto al ‘vetrino coprioggetto. perchè non si accartocciassero, le passavo in alcool ‘sempre più forte; alcune le chiudevo in glicerina, altre le passavo sino allo xilolo e poi le chiudevo in balsamo. Sono riuscita con questo mezzo a met- ‘tere in luce i seguenti fatti. Nella parte rettale dell'intestino del baco da seta, quando si tolga la ‘muscolatura longitudinale più esterna, costituita da sei fasci di muscoli, e la muscolatura circolare o trasversale che dir si voglia, collocata al disotto ‘della longitudinale, e che forma una fascia continua, tenuta insieme da con- ‘nettivo e ricca di trachee, quando si tolga ancora l’erto strato chitinoso interno che si continua con la chitina che tappezza il lume del cieco, resta ‘una zona delimitata da due pareti, una esterna ed una interna saldate tra loro, tra le quali sta una porzione dei tubi Malpighiani. Per togliere la ‘muscolatura longitudinale occorre tagliare i muscoli uno ad uno, la musco- latura trasversale invece, dopo una breve permanenza nel carminio acetico si distacca via molto facilmente. Per studiare la zona contenente la parte rettale dei Malpighiani occorre spaccarla longitudinalmente e distenderla. «Allora si presenta come una fascia la quale ha il margine anteriore (quello che viene a contatto col cieco) in forma di sei smerli i quali corrispondono alle sei sporgenze del retto comprese tra i sei fasci della muscolatura lon- gitudinale, il margine posteriore invece si prolunga in tre lobi, uno mediano dorsale e due laterali. Tra la parete interna e quella esterna di questa fascia, che come ho detto sono saldate fra loro, posteriormente restano delle aperture attraverso le quali penetrano nell'interno dei tronchi tracheali. La parete interna è l’epitelio del retto costituito da grosse cellule ben -distinte l'una dall'altra; la parete esterna è sottilissima e non si vede nem- meno, perchè i Malpighiani che traspariscono al disotto di essa spiccano ‘molto di più della parete stessa. Per metterla in evidenza si taglia pian ‘piano coll’ago il margine anteriore della zona in modo da togliere l’unione tra le due pareti; dopo un po’ di permanenza nel carminio acetico la mem- ‘brana esterna si solleva un poco e allora si può distaccare pian piano, tra- scinarla in basso e rovesciarla come se si aprisse una scatola lasciando il coperchio attaccato alle cerniere. Resta così allo scoperto l’insieme dei tubi Malpighiani i quali si presentano strettamente addossati gli uni agli altri e ‘tenuti insieme da trachee (fig. 2). Cercando di isolarli qualche volta ho veduto un piccolo ramo laterale (forse anastomotico) e ho potuto trovare l'estremità a fondo cieco di qualcuno di essi. Credo che tutti e 6 originino allo stesso modo, separatamente gli uni dagli altri. Durante il loro percorso si assottigliano, poi a due a due vengono a trovarsi in corrispondenza a cia- scuno dei tre lobi posteriori; giunti a questo punto si ripiegano e si con- ‘tinuano dentro la membrana esterna, la quale pare costituita da una doppia «parete e giungono fino a metà dell'altezza del retto diventando più sottili e — 354 — delicati di quello che fossero nel tratto compreso tra l’epitelio del retto e- la parete interna. Questi sono i tubicini che vedevo nelle sezioni e che non sapevo spiegarmi. Arrivati circa alla metà del retto si allargano, si appiat- tiscono, mandano dei rami trasversali che si fondono tra loro; però i rami di un lato non si uniscono con quelli dell'altro. Si forma così dentro la membrana esterna, da ogni lato, un sistema di cavità allargate e piatte che = PO PETTELI ‘ste Sup. lac i / Fia. 2. — Zona dell'intestino retto contenente i Malpighiani. La muscolatura è stata tolta, la parete esterna è stata distaccata e trasportata in basso come se si aprisse x una scatola lasciando il coperchio attaccato colle cerniere. La zona è stata spac-- cata in senso longitudinale per cui i punti A A a destra e a sinistra della figura coincidevano. La linea / rappresenta la linea mediana ventrale; la linea pun- teggiata A, A indica il contorno dei 3 lobi con cui termina l’estremità posteriore, str. sup.= strato superficiale dei Malpighiani; str. pr.= strato profondo; tr. = trachee. non hanno più la forma di tubi e non ricardano la figura dei Malpighiani. per quanto ne siano la continuazione. Così i Malpighiani del retto si distinguono in due strati: uno strato superficiale ed uno strato profondo che si continuano l’uno con l'altro. Nello. strato superficiale (st. sup.) dapprima formano delle cavità allargate e piatte. da cui si originano dei tubicini sottili compresi nella membrana esterna. i quali poi si liberano e s’ingrandiscono e vanno a costituire lo strato pro- fondo (str. pr.). — 385 — Nella membrana esterna vi sono numerosi filamenti e cellule che ri-- tengo terminazioni nervose, ma che per ora non ho studiato minutamente. Ho già detto che lo strato trasversale della muscolatura del retto sì: separa con grande facilità; ogni qualvolta si distacca, insieme con esso ven- gono via gli ultimi tratti esterni dei tubì Malpighiani di cui si vedono le aperture (fig. 3/); mai una volta mi è riuscito di ottenerli attaccati alla. zona interna. Per questo ho creduto ed ho pensato che la parte interna dei: tubi Malpighiani costituisse un sistema a sè indipendente da quello esterno, ma in tal modo non si poteva spiegarne la funzione se non come quella di. Fia. 3. — Faccia interna della muscolatura orizzontale del retto collo shocco (7) di 2 tubi Malpighiani. tr.= trachee; m = muscoli. ghiandola a secrezione interna. Allora ho esaminato attentamente la parte allargata dei Malpighiani nello strato superficiale ed ho visto che vi si po- tevano riscontrare dei buchi. Limitando l'osservazione a breve tratti ben de-- terminati ho potuto convincermi che i buchi per la loro ampiezza e per la distanza relativa corrispondono all’ampiezza ed alla distanza dello sbocco dei Malpighiani esterni al disotto della muscolatura (fig. 4 f). Devo perciò concludere che la parte esterna e quella rettale dei tubi Malpighiani si continuano l'una con l'altra come era facile prevedere, ma difficile a dimostrare. Aggiungerò che questi punti di comunicazione sono situati così: 2 in corrispondenza a ciascuna delle 2 sporgenze laterali ven- trali del retto, 1 in corrispondenza a ciascuna delle 2 sporgenze laterali dorsali (perciò 6 in tutto). Dopo aver compreso questa disposizione ho avuto occasione di consul- tare una Nota di Ishimori sullo stesso argomento (*), ed ho potuto riscontrare (*) Ishimori, Les tubes de Malpighi à la paroi du rectum du ver è soie. Bulletin de l’Association sericicole du Japon (1° Aoùt 1916). RENDICONTI. 1920, Vol. XXIX, 1° Sem. 50 — 386 — -che l’A. giapponese aveva in parte veduto le stesse cose, ma frammentaria- ‘mente sì che non risultava il concetto della disposizione delle parti e del .loro complesso. La comunicazione della parte libera colla parte rettale dei Malpighiani dell'A. è indovinata, ma non dimostrata perchè nella sua figura 3 vi sono 4 fori in un lato dove non possono trovarsi che 3 e troppo piccoli per F16. 4. — Frammento dello strato esterno dei Malpighiani situato al disotto della mu- scolatura rappresentata nella fig. 8. Si vedono due fori (7) corrispondenti per gran- dezza e distanza allo sbocco dei Malpighiani nella figura precedente. poter essere corrispondenti al calibro dei Malpighiani. Inoltre non è descritta la fusione della parte dilatata dello strato superticiale, corrispondente ai tre tubi Malpighiani di ogni lato, non si parla della forma della zona, ecc. Ritengo perciò che la mia Nota, oltre a confermare in gran parte quella dell’A. giapponese, la completi notevolmente e dia la dimostrazione di al- -cuni punti da lui non precisati. Biologia. — Sull’identità delle influenze morfogenetiche nella metamorfosi degli Anfibii anuri e urodeli ("). Nota di GruLio Co- TRONEI, presentata dal Socio BATTISTA GRASSI. Le ricerche, di cui la presente nota vuole essere soltanto una breve in- troduzione ed esposizione preliminare, traggono la loro origine da altre, da me compiute parecchi anni or sono. In una memoria, pubblicata nel 1914 (?), ho studiato comparativamente l’accrescimento degli anfibii anuri e urodeli: tale studio venne compiuto principalmente sull'apparato digerente, mediante ricerche anatomiche e misurazioni quantitative. Notando la diminuzione di lunghezza intestinale che si verifica nei tritoni nella fase di metamorfosi e che può essere espressa dalla riduzione di un rapporto intestinale da 1,19 a 0,94, io affermavo che, se una gran parte di tale diminuzione in lun- ghezza era dovuta al fatto che il tubo digerente durante la metamorfosi è vuoto per digiuno (causa meccanica), era da pensare altresì che una parte di tale accorciamento fosse dovuta alla perdita d'acqua (che io deducevo dalla forte diminuzione di peso). Promettevo tin d'allora una ricerca istologica. È sulla metamorfosi degli anfibii anuri che sono state compiute le più importanti ricerche riguardanti la perdita d'acqua. Davenport, Schaper. Bia- laszewiez hanno studiato la variazione in acqua durante lo sviluppo degli anfibii. Davenport fu il primo (1898) a notare che durante lo sviluppo la percentuale d'acqua arriva fino a un massimo del 96 °/, per poi decre- scere; egli ha dato giustamente una grande importanza all’imbibizione d'acqua per l'accrescimento dell'embrione. Shaper trova che nel girino di rava il massimo di contenuto in acqua è del 95,02 °/,; osserva che già al 40° giorno la percentuale in acqua comincia a diminuire; al 54° giorno, quando il corpo è molto voluminoso e la coda assai sviluppata e le estremità po- steriori si vanno sviluppando, il coutenuto in acqua si riduce all'88,19 %. In seguito la larva ne perde ancora: da principio più lentamente; ma du- rante la fase di metamorfosi la grafica dello Shaper presenta un rapidissimo salto, e la percentuale d'acqua sì riduce al 76,40 °/, presso a poco a quella che presenta la rana adulta (76 °/,). (*) Lavoro eseguito nell'Istituto d'anatomia e fisiologia comparata della r. Univer- sità di Roma. (®) Cotronei Giulio, L'apparato digerente degli Anfibi nelle sue azioni morfogene- tiche, Memorie Reale Accademia dei Lincei, classe di Scienze fisiche, matematiche e na- turali (anno CCCXI, 1914). — 388 — È assai importante osservare che, mentre nella metamorfosi si nota una. fortissima perdita d’acqua in pochi giorni, la perdita in sostanze organiche. è assai minore e la variazione delle ceneri è quasi nulla, onde proporzional- mente l'organismo si mineralizza. Conosciuto il fatto della perdita d'acqua, è da ricercare analiticamente- con quali modalità essa si manifesta nelle varie parti dell'organismo. Si sa che molti organi nella metamorfosi variano di volume; ma pèrdono acqua le cellule, onde si verifica una variazione di turgore, o si tratta di una per- dita d'acqua interstiziale al di fuori delle cellule? E se le cellule perdono acqua, sì può osservare tale fatto in un grado differente nei varii organi e- tessuti? Si osserva in tutte le cellule? È poi noto che durante la metamorfosi gli animali digiunano. Ora, le ricerche sul digiuno hanno condotto a dei risultati (Gaglio, Morpurgo, Lu- kjanow e la sua scuola, Morgulis, Rondoni, ecc.) dai quali non si può pre- scindere per la valutazione dei nostri reperti. In linea generale possiamo. ricordare fin da ora che le ricerche in proposito hanno dimostrato una note- vole differenza nel comportamento dei varii organi e tessuti. Nella metamorfosi degli anuri, si sono degli organi che presentano feno- meni di istolisi a differenza degli urodeli: le mie ricerche si propongono di osservare se nel divenire di tali processi si possono scorgere delle fasi iden- tiche, così da intravvedere, sia pure in grado differente, una medesima causa morfogenetica, ed è sotto questo punto di vista che io parlo di identità nella metamorfosi degli antibii anuri e urodeli. Molti autori (tra i quali cito soltanto Noetzel, Duesberg, Guieysse) hanno descritto minuziosamente le modificazioni a cui va incontro la coda degli anuri nel suo processo d'atrofia. Le ricerche del Guieysse meritano di essere ricordate: egli descrive il tessuto connettivo della membrana natatoia della coda della larve d'anuri come un tessuto mucoso tipico fatto da cellule stellate, i cui prolungamenti sono dei tini filamenti che s’anastomizzano, formando delle maglie; quando comincia la riduzione della coda, egli nota che il liquido che riempie le maglie viene riassorbito, mentre avviene una forte retrazione delle fibrille. Nel 7riton cristatus e nel Triton taeniatus io osservo fatti simiglianti : ed è veramente impressionante l'analogia di comportamento fra i fenomeni che intervengono nella metamorfosi degli urodeli e quelli che avvengono in una prima fase nella metamorfosi degli anuri. Il tessuto connettivo della natatoia (nella larva) ha tutto l'aspetto di un connettivo embrionale: si osservano delle cellule (poche in un campo microscopico) da cui partono sot- tili fibrille che si dispongono3ordinandosi in direzione trasversale e lasciando. tra serie e serie di fibrille uno spazio che è occupato da una sostanza acquosa; alla periferia, verso l'epidermide, il connettivo (corion), che è più — 389 — «addensato, mostra una direzione longitudinale. La disposizione trasversale delle fibrille, il fatto che lo spazio compreso tra esse è occupato da una sostanza acquosa e che quindi ha una debole comprimibilità, ci dimostrano (e mi limito per ora a un accenno fugacissimo) che si tratta di disposizioni anatomiche in relazione con le condizioni meccaniche del movimento della coda, durante la vita acquatica larvale. Esaminiamo ora individui al termine dell’atrofia delle branchie. Già l'osservazione anatomica ci indica l’atrofia della natatoia: l'osservazione mì- croscopica ci fa vedere come le cellule connettive si sono addensate; nello stesso campo microscopico se ne osserva nn numero molto maggiore ; le fibrille connettive hanno perduto l'ordinamento dianzi descritto e si presentano in trecciate e fortemente addensate; la sostanza acquosa è pertanto in grande diminuzione; si riscontrano anche fibre connettive molto grosse, almeno per certi tratti, che si colorano fortemente in azzurro col Mallory. Io penso a una fusione di varie fibrille e a una probabile modificazione fisico-chimica: in relazione a questa retrazione del tessuto connettivo si verifica quindi una perdita d’acqua, che manifesta perciò un'azione morfogenetica: le modifica- zioni del tessuto connettivo, infatti. non sono limitate alla coda. In concomitanza alle modificazioni sopra descritte sì verifica un forte impiecolimento delle cellule epidermiche: anche qui si tratta evidentemente di una perdita d’acqua, la quale poi deve essere condizione che porta gra- datamente ai processi di corneificazione. A volere estendere lo studio della perdita d'acqua negli elementi cel- lulari, desumendolo dalle variazioni di grandezza, sì va incontro a non lievi difficoltà di studio. Negli anuri è forte la diminuzione di grandezza che presentano le «cellule degli acini zimogenici del pancreas. Ho calcolato le superficie cel- lulari da sezioni microtomiche proiettate con la camera chiara con ingran- dimento di circa 1400 diametri. Il calcolo eseguito con un planimetro inte- «grativo (!), sulle figure ingrandite come sopra, mi ha dato i seguenti risultati: Da superficie cellulari panereatiche di larva di Rana esceulenta ho ottenuto una media di cm? 3,7; dai nuclei una superficie di cm? 0,73. I calcoli, ese- guiti nelle stesse condizioni d'ingrandimento, su cellule pancreatiche al ter- mine della metamorfosi, hanno dato per la superficie cellulare una media di cm? 1,6 e per la superficie nucleare cm? 0,5. Per quanto le cifre rife- rite abbiano un valore approssimativo, date le cause d'errore, pure, consi- derando che esse cause sono sempre le medesime, possiamo ritenere che le cifre date ci esprimano l'andamento del fenomeno studiato. + quindi rilevabile come il nucleo diminuisca di grandezza assai meno che non il citoplasma. L'indice plasmatico nucleare, che nella larva è 5,06, dopo la metamorfosi ((*) Planimetro della ditta Dennert e Pape. — 390 — passa a 3,2. Gli acini zimogenici si presentano dopo la metamorfosi assai più. avvicinati gli uni agli altri, per correlativi fenomeni manifestatisi nel tessuto- connettivo. Anche negli urodeli io noto questo fatto; ma per l'impiccoli- mento delle cellule pancreatiche voglio raccogliere altri dati prima di pro- nunziarmi. Negli anfibii anuri avviene durante la metamorfosi un enorme e rapido accorciamento del tubo intestinale. Il Reichenow ritiene che ciò dipenda, sia da. un accorciamento e fusione delle fibro-cellule muscolari, sia da un accollamento- delle cellule connettive della sottomucosa; io sono indotto ad ammettere che anche nel tubo digerente, almeno in un primo tempo, l’azione morfogene- tica sia esercitata da fenomeni di perdita d’acqua che spiegano i fatti di retra- zione. Nei tritoni da me esaminati, l’accorciamento del tubo intestinale è enormemente minore; ma osservazioni minuziose ci dimostrano che anche qui sì ottiene un addensamento delle fibro-cellule muscolari e del connettivo; anche qui, possiamo dedurne, si manifesta la perdita d'acqua: le profonde differenze che sì hanno negli effetti ultimi sono dovute in gran parte al fatto che l'intestino larvale degli anuri è profondamente differente da quello degli urodeli. Riferisco ora brevemente su osservazioni che si collegano a ricerche speri- mentali di cui m’occupo da non poco tempo (1): i fenomeni dovuti essenzialmente. a perdita d'acqua, riferiti precedentemente, si ripresentano ugualmente anche nelle larve d'anuri trattate con tiroide? In verità i risultati della ricerca sono facilmente prevedibili e intuitivi. L'influenza del trattamento tiroideo non si manifesta essenzialmente con fenomeni speciali nello sviluppo e nella riduzione dei vari organi considerati isolatamente; ma non fa altro, quando comincia ad agire, se non accelerare con enorme rapidità il metabolismo cel- lulare. L'acceleramento agisce su tutto l'organismo (anche quando alcuni organi dovrebbero attendere lo sviluppo correlativo di altri), onde si deter- minano i fenomeni di disarmonia (*). Il Giacomini (*) ha descritto per il primo un fatto molto interessante : met- tendo della sostanza tiroidea nell’acqua-ambiente, ove si sviluppavano embrioni (1) Rimando il lettore al mio ultimo lavoro: Cotronei Giulio, Ricerche sperimentali sull’accrescimente larvale e sulla metamorfosi degli Anfibi anuri. Memorie della società italiana delle Scienze detta (dei XL), serie 82, tomo XXI, 1919. (2) Intendo dire, per quanto già esposto chiaramente, che i fenomeni differenziativi non si svolgono nei vari organi, prescindendo dall’accrescimento raggiunto, diversamente dallo sviluppo normale, fino al grado di sviluppo in cui i vari organi vengono a trovarsi nella fase di metamorfosi negli esperimenti con nutrizione contiroide: non intendo e non ho mai inteso dire che in tale condizione sperimentale tutti gli organi si trovano in egual grado di differenziazione che nei casi normali. (3) Giacomini E., Osservazioni macro e microscopiche sopra giovanissimi girini di rana metamorfosati per l'azione della jodotirina e di preparati di tiroide secca, Rendiconti R. Accademia di Scienze di Bologna, vol. XX, 1916. — 991 — di rana, ha osservato che l’azione accelerativa non si verifica se non quando. avviene la rottura della membrana faringea: i miei esperimenti mi hanno- dato risultati analoghi. Io ritengo che il trattamento tiroideo manifesti la sua influerza al termine dell’assorbimento vitellino, quando cioè si è giunti al termine di una determinata fase differenziativa e cominciano quelle mo- dalità di metabolismo proprio inerente alla vita larvale; se poi la meta- morfosi, e in tutti i casi, non è altro che la fase corrispondente ad un de- terminato consumo delle energie cellulari, ne consegue che i processi intimi che si svolgono nelle cellule non possono essere diversi da quelli dei casi normali. Si hanno però delle modalità differenti in relazione alle condizioni generali in cui viene a trovarsi l'organismo (soppressione dell'accrescimento larvale): così le cellule nervose. che, com'è noto, continuano ad aumentare di dimensioni durante l'accrescimento, nei casi di metamorfosi accelerata con. impedito accrescimento si presentano di piccole dimensioni. NOTA AGGIUNTA. Mentre correggo le presenti bozze di stampa posso consultare un recen-. tissimo e interessante lavoro critico di G. Levi, / fondamento morfologico dell’accrescimento organico, Archivio di Scienze biologiche 15 dicembre 1919. L'autore che è un illustre cultore d>gli studì sull'accrescimento, ricorda le mie prime ricerche sulle larve d'Anuri nutrite con tiroide; ma commette un involontario equivoco quando attribuisce a Romeis il merito delle ricerche che hanno fatto risaltare come nella metamorfosi in siffatte condizioni spe- rimentali vi siano degli organi in arretrato sviluppo rispetto ad altri. Ri- cordo che fin dal primo mio lavoro sull'argomento pubblicato in estratto nel settembre del 1913, io ho voluto esprimere per il primo con la parola disar- monia un tale dato di fatto, che risultava chiaramente dalle mie ricerche. Questi reperti (e rimando oltre che ai miei lavori anche a quelli posteriori del Giacomini e del Romeis) non sono del resto per nulla in contraddizione con la mia interpretazione generale, che sempre la metamorfosi corrisponde a un determinato consumo delle energie cellulari: avviene però che vi sono degli organi di più tardiva formazione o evoluzione i quali perciò. in un determinato momento, non riescono a raggiungere lo stadio di acceleramento di altri organi e il grado di senescenza in cui si viene a trovare l’orga- nismo larvale. — 392 — ‘PERSONALE ACCADEMICO Commemorazione del Socio Nazionale FrancEsco Toparo, letta dal «Corrisp. R. VERSARI, nella seduta dell'11 aprile 1920. Chi mira più in alto, si differenzia più altamente. GALILEO GALILEL Illustri colleghi, Il tempo, ormai abbastanza lungo, trascorso dalla morte di FRANCESCO TopaRo, non ha valso ad avvolgere nel velo dell'oblìo la memoria dell'uomo illustre la cui perdita fu grave lutto per la Facoltà medica, per l'Ateneo romano e per questa insigne Accademia, chè anzi la sua evocazione fa bal- zare fuori più luminosa la figura di questo cavaliere della scienza, il quale, ispirandosi al metodo sperimentale, consacrò i suoi studî e le sue fatiche , all'assidua ricerca del vero nell'intricato problema dell'organizzazione degli esseri viventi. Nacque Francesco Todaro a Tripi, paesello montuoso della provincia di Messina, il 14 febbraio 1839. Studente all'università di Messina nel 1860, l'anno fatidico nel quale Giuseppe Garibaldi alla testa dei mille e con l’aiuto «del popolo entrava nella gloriosa città dei Vespri, il giovane Todaro sì trovò a ‘ vivere in un'atmosfera satura di aspirazioni per l’unità italiana. Animo ardente e proclive all'entusiasmo, fu fra i suoi compagni, come riporta anche il Vil- lari nella sua storia, uno dei più infervorati a volere ad ogni costo un'Italia libera, e, volontario nel battaglione dei cacciatori dell’ Etna, prese parte alle battaglie di Corriolo e di Milazzo combattendo strenuamente in prima fila. Cessato il fragore delle armi.e dopo avere negli ospedali prestato assistenza chirurgica ai numerosi feriti, il Todaro ritornò all’università di Messina ove .continuò ad avere speciale inclinazione per le discipline anatomiche e fisio- logiche. Ed io credo di non andare errato ritenendo che il contatto coi gio- vani professori delle università tedesche che accorrevano a Messina come ad una Mecca, ed il fascino delle nuove idee suscitato nel 1859 dal libro di Carlo Darwin sull'origine della specie, debbano essere state le cause per le quali Todaro si indirizzò agli studî biologici, il nuovo campo aurifero ‘verso il quale si dirigevano numerosi i pionieri della scienza nuovissima. Ed una volta scelto il proprio indirizzo, come sogliono fare gli spiriti equi- librati e pertinaci, egli cercò di battere la via migliore, ed è così che lo ‘troviamo a Firenze nella scuola di Maurizio Schiff, uno dei più illustri «fisiologi del tempo. E con non minore entusiasmo frequentava intanto anche il laboratorio di Filippo Pacini, che, venuto in fama per le sue scoperte, — 393 — primo in Italia insegnava metodicamente e praticamente l’ istologia. Chiamato ad occupare il posto di settore di anatomia descrittiva e pittorica in S. Maria Nuova, dimostrò subito di aver compreso l'importanza delle indagini anato- miche nel lumeggiare la funzione degli organi. E poichè gli anatomici avevano fino ad allora posta maggior cura nello studio dell’architettura dei ventricoli che non di quella degli atrii del cuore, egli di questi ultimi si occupò. In relazione con le sue connessioni dette il nome di centro tendineo a quella striscia fibrosa quadrangolare che gli antichi chiamavano osso del cuore, mise in chiaro il comportamento dei fasci e dei piani muscolari degli atrii dimo- strando che non bisogna confondere il piano muscolare con la direzione dei fasci delle fibre che lo compongono, e scoprì il tendine della valvola di Eustachio. I risultati di questo lavoro condotto con acume di intelletto e con rigore di tecnica, e nel quale si svela la natura di chi è destinato a divenire maestro, gli valsero la cattedra di anatomia umana nell'università di Mes- sina. L'arte di interrogare la natura degli esseri viventi nei suoi più recon- diti procedimenti per scoprire le cause dei fenomeni e delle leggi che gover- nano la vita, ossia l'indirizzo sperimentale, veniva accarezzata in quell’Ateneo fin da quando nella prima metà del secolo XVI Giovanni Alfonso Borelli, seguace di Galileo, vi aveva sostenuto che le cause della vita sono reali, verità confermata dal Malpighi con le sue ricerche fatte in Messina sulla tessitura dei polmoni, e tin da quando nel 1788 Lazzaro Spallanzani, il felice continuatore della meccanica biologica del Malpighi, vi aveva scoperto la fosforescenza nelle meduse di quello stretto di cui fu il primo a far cono- scere le ricchezze della fauna pelagica e litoranea. Seguendo le orme di così chiari maestri, Todaro intuì che la conferma della nuova morfologia animale, fondata sulla dottrina dell'evoluzione, doveva scaturire dalle ricerche sui vertebrati inferiori, e fece oggetto delle sue indagini gli animali marini in un’epoca (e ciò mi preme di mettere in rilievo) nella quale quasi tutti gli altri anatomici italiani restringevano i loro studî ed il loro insegnamento alla pura anatomia umana macroscopica. Sono questi i primi sprazzi della sua opera da innovatore, incominciata con una comunicazione fatta il 26 set- tembre 1870 all'Accademia Peloritana sull'anatomia e fisiologia dei tubi di senso dei plagiostomi. Leggendo tale memoria, l’attenzione è subito attratta dalla perizia che l’A. dimostra nella tecnica istologica appresa alla scuola dell'illustre Pacini. Usando opportuni reagenti mette in evidenza una sottile membrana basale interposta fra la porzione connettivale e la epiteliale; de- scrive il comportamento delle fibre nervose che, prima di raggiungere il loro destino, formano un plesso sfuggito ai precedenti ricercatori, e dimostra infine che sotto la membrana propria degli otricoli vi sono cellule gangliari il cui prolungamento cilindrassile forma il nervo sensitivo, mentre i prolungamenti pretoplasmatici si sfioccano e si mettono in rapporto con l’epitelio sensoriale. I risultati di queste ricerche ed il metodo seguìto, che si può dire RENpICONTI. 1920, Vol. XXIX, 1° Sem. 51 — 394 — aprivano nuovi orizzonti nel campo anatomico ribadendo il concetto che anche l’istologia fa parte della anatomia descrittiva o sistematica, richiamarono a tal segno l’attenzione dei cultori delle scienze biologiche sopra di lui che, resasi vacante nel 1871 la cattedra di anatomia umana nell'università di Roma, fu dal Brioschi, allora consigliere della pubblica istruzione e caldo patrocinatore degli studî biologici, invitato a trasferirsi nella città eterna. Stette egli dapprima dubbioso, innamorato come era della sua diletta Mes- sina e di quel mare così ricco del materiale necessario agli studî che aveva intrapreso con tanto entusiasmo. Ma il Brioschi ripetè l'invito ed egli accettò, trascinato certo dall'idea di potere da Roma meglio diffondere e far riful- gere ì concetti della nuova morfologia animale fondata sulla dottrina del- l'evoluzione. Ed a Roma nel novembre 1871, fedele al suo programma, egli pronuncia la sua prolusione con la esposizione e la dimostrazione dei fatti da lui accertati sulla struttura delle fibre e dei plessi nervosi, allo scopo di far nascere nei giovani il desiderio della ricerca a mezzo dell'esperimento. I primi passi di Todaro nell'alma Roma non furono però molto facili, poichè non si erano ancora. spenti gli echi della crociata bandita contro i trasformisti vacciati di irriverenza verso la fede, ed ancora gli imprudenti difensori di essa, dinanzi al dilagare del concetto evoluzionistico per la forza irresistibile dei fatti positivi sui quali è fondato, non avevano dovuto ripie- gare fino al punto di dover riconoscere che non vi ha dissidio fra la reli- gione di Cristo ed il concetto fondamentale dell'evoluzione, al quale possono aderire anche le coscienze più timorose. ll giovane filosofo della natura ebbe quindi una accoglienza ostile da parte degli interpreti infedeli delle sacre carte; ma egli seppe rintuzzare la loro petulanza ed assidersi, Aristarco te- muto, sulla cattedra già illustrata da Afeteo, Galeno, Eustachio, Malpighi. Pacchioni e Giovanni Maria Lancisi. La sua prolusione era terminata col celebre motto « laboremus »; ed al lavoro infatti Todaro si dedicò con ogni forza, raccogliendo intorno a sè gio- vani energie nelle quali aveva saputo trasfondere la brama della indagine. E per far conoscere non solo in Italia, ma anche all'estero, il frutto del lavoro della sua scuola, fondò quell’apprezzato giornale scientifico che tuttora vive. Il maestro pubblicava nel primo numero del suo giornale i risultati delle proprie ricerche sugli organi del gusto e sulla mucosa bucco-branchiale nei Selacii. E mentre nel suo laboratorio, « che è il luogo ove si formano glì anatomici » (sono le sue stesse parole), incitava gli allievi ad « investigare ugualmente l’organizzazione di tutti gli animali, poichè tutti sono costituiti dai medesimi elementi e sottoposti fatalmente alle stesse leggi », la sua mente erasi già vòlta alla ricerca in campi ancora più vasti e feracissimi di risultati. Egli era già venuto nella convinzione che, se è utile conoscere la costruzione anatomica e l’'intima struttura degli organismi, è anche di grande interesse per lo studio scientifico dell'anatomia, condotto con metodo ri- 2 (gon, — goroso. sapere da dove ogni organismo ed ogni suo organo traggono origine, e come essi vadano costituendosi a poco a poco nel corso della vita indivi- duale fino al raggiungimento di quella forma, che si considera come defini- tiva. E questo interesse diventava sommo per lui, conquistato all’evoluzio. nismo, e persuaso che le questioni generali biologiche debbono interessare specialmente i cultori dell'anatomia, la quale è appunto dalla conoscenza dell'evoluzione delle forme nei varî animali, compresi gli inferiori, che trae aiuto e lume per le sue spiegazioni, per le sue leggi, per le sue conclusioni. « Fu sotto il fascino delle nuove idee » dice egli stesso nel discorso pronunciato in occasione del XXV anniversario della fondazione della Sta- zione zoologica di Napoli « che io intrapresi Jo studio dell’anatomia e dello sviluppo delle Salpe ». Ed è questo appunto il titolo del suo primo lavoro di embriologia, che si può dire veramente poderoso per i fatti accertati in un'epoca nella quale i seguaci della teoria del trasformismo non erano d’ac- cordo intorno al posto che si doveva assegnare alle ascidie, che nel tipo dei tunicati, cui appartengono le salpe, rappresentano un genere meno ele- vato di queste. In questa monografia, pubblicata dalla nostra Accademia, egli descrive gli organi sessuali delle salpe, la fecondazione e la segmentazione dell'uovo, la formazione dei foglietti e lo sviluppo di tutti gli organi di questi animali. È importante la dimostrazione del modo come avviene la generazione alternante (scoperta nel 1919 dal Chamisso nelle salpe, poi dal Sars nelle meduse, e da lo Steenstrup nel coryne e nei trematodi), come si atrotizza l’amnios della prole solitaria e come funziona la placenta che manca nella prole aggregata nella quale esiste sempre una circolazione ombelicale e stoloblastica. Dal complesso dei fatti osservati l'A. conclude che le salpe non possono rappresentare dei vertebrati degenerati, come aveva sostenuto il Dohrn, poichè si sviluppano in parte come l'amphioxus, i ciclostomi ed i batraci, in parte come i selacii, i pesci ossei, i rettili, gli uccelli ed in parte infine come i mammiferi. Si può asserire che questo lavoro è il fulcro sul quale si è imperniata quasi tutta l’opera scientifica successiva del Todaro. I risultati di questi suoi studî valsero infatti a far conoscere il suo nome specialmente fra quei biologi stranieri, le cui ricerche erano indirizzate a diradare le tenebre che ancora esistevano sullo sviluppo degli animali infe- riori in rapporto alle nuove idee suscitate dal trasformismo. Prima però di rivolgere quasi esclusivamente la sua attenzione alle salpe, pubblicò interes- santi osservazioni sulla intima struttura della pelle dei rettili (1878) e sopra gli organi del gusto degli eteropodi (1879); e, inspirandosi sempre al detto di V. Baer che due sono le vie per le quali può essere promossa la scienza naturale, osservazione e riflessione, descrisse la maturazione, la fecondazione e la segmentazione dell'uovo di un saurio, la Seps chalcides. A cominciare dall'anno 1880 egli pubblicò una serie di lavori dei quali mi dispenso dall'enunciare i singoli titoli poichè si trovano nell'elenco che — 396 — annetto; ma, per mettere meglio in evidenza la complessità e la profondità del suo lavoro scientifico, mi intrattengo di proposito sui risultati da lui ottenuti, che furono tali da farlo ritenere come uno degli osservatori che hanno maggiormente contribuito alla conoscenza della struttura e dello sviluppo del genere Sa/pa, deducendone considerazioni comparative e filosofiche allo scopo di risolvere i problemi dell’organizzazione degli esseri viventi in armonia con la dottrina dell'evoluzione. In cotali altezze librandosi, il pensiero è talora più fecondo dell’azione, perchè nella misura della purità astratta e sublime apparecchia le applicazioni fruttifere. Nel 1883 il Todaro scopre infatti una nuova forma di salpa che propone di chiamare Dolicosoma e che in suo onore gli scienziati stranieri vollero ribattezzare col suo nome. È merito suo l'avere spiegato il vero significato delle cellule epiteliali del follicolo, da lui dette lecitiche o trofiche, e che rappresentano il materiale di nutrizione dell'uovo e dell'embrione e non già i rudimenti degli organi, come aveva sostenuto il Salensky, od i modelli che precedono la formazione dei foglietti germinativi, come aveva sostenuto l’ame- ricano Brooks. Per queste sue affermazioni sostenne in successive pubblica- zioni vivaci polemiche col Salensky. Heider, il quale sostiene che Todaro per primo ha osservato l'immigrazione delle cellule follicolari nell'interno del follicolo, ha di poi confermato le sue osservazioni sul destino di queste cellule. Con le sue ricerche sull’apparecchio vascolare sanguifero delle salpe il Nostro è riuscito a dirimere le controversie esistenti fra le descrizioni di Huxley, di Vogt e Leukart e quelle di Milne Edward e di Miller, assodando che si tratta di vasi sanguiferi con parete propria e non di lacune sangui- fere, e correggendo anche in alcuni punti essenziali i disegni e lo descrizioni di questi due ultimi autori. Appartiene anche a lui la scoperta del primo abozzo dello stolone pro- lifero, che era sfuggita alle osservazioni del Krohn, che l'aveva notato negli embrioni già conformato ad uncino, come a quelle di tutti gli altri ricer- catori che lo avevano preceduto, a cominciare da Cuvier, Forskal, Chamisso, Eschricht, Steenstrup, Huxley, Vogt e Kowalesky. Todaro fu il primo a praticare e raffigurare sezioni trasversali dei primi stadii di formazione dello stolone, e quindi si può dire che è stato il primo in Italia a introdurre e generalizzare il metodo dei tagli in serie che, nelle sue ap- plicazioni, si è dimostrato poi così ricco di profondi risultati nelle investiga- zioni microscopiche. Egli potè così, contrariamente all'opinione del Kowalesky, riconoscere che lo stolone è formato dai prolungamenti di tre sole formazioni embrionali e che i cordoni cellulari, che circondano il tubo endodermico, designati col nome di tubo nervoso, tubo avarico, e tubi cloacali e pericar- diali, si differenziano dallo stolone stesso per un gruppo cellulare mesoder- mico. Per queste sue affermazioni sostenne una polemica col Brooks; ma il Seliger gli dette pienamente ragione col dire che il Brooks, « rinunciando — 397 — alle applicazioni del metodo delle sezioni, messo in onore dal Todaro, sì era privato a priori della possibilità di poter penetrare in un processo così complicato quale è quello della gemmazione delle salpe ». Altrettanto importanti furono le sue ricerche sull’organo visivo delle salpe, ricerche con le quali volle dimostrare l'omologia di quest'organo coglì occhi laterali e l'occhio pineale dei vertebrati; concetto che, per quanto non condiviso dal Gòppert e dal Metcalf, fu confermato dal Biitschli e ribadito dal Todaro stesso in una bella monografia. E passando aì risultati di altre ricerche, premetto che, contemporanea- mente a lui, V. Dalgriin aveva trovato nella Sa/pa democratica e fusiformis, fra l'esofago e lo stomaco da una parte, ed il retto dall'altra, delle cellule ovali derivate dal mesenchima, contenenti granulazioni uriche, ed aveva so- stenuto che l'insieme di esse forma il rene delle salpidi, che sarebbe, secondo lui, seraplice come quello delle synascidie e delle cionadi. Il Dalgriin so- steneva inoltre che tali cellule renali non segregano, ma accumulano i pro- dotti del ricambio materiale nel loro protoplasma, senza soggiacere ad altre mutazioni. Il Todaro invece, dall'avere assodato che le concrezioni uriche si disgregano in finissime granulazioni, che, assieme coll'acqua dell’emolinfa delle lacune vascolari, vengono a formare l'urina che si elimina, fu condotto a scoprire nel maggior numero delle specie delle salpe viventi nel Medi- terraneo tre paia di organi cavi escretori o renali, diversamente sviluppati secondo la specie ed anche secondo la prole delle stesse specie, che conten- gono l'urina la quale, segregata da cellule cilindriche aventi (particolare interessante) i caratteri di quelle dei tubuli contorti del rene dei vertebrati, viene quindi per la via dello stomaco e dell’esofago versata direttamente od indirettamente nella cloaca. Si può quindi affermare che gli organi renali delle salpe sono stati messi in evidenza dal Todaro e che questa scoperta è veramente geniale. Nè posso infine non accennare alle difficilissime ricerche fatte sopra un organo di senso delle salpe che era stato scoperto nel 1875 dall'Ussow e descritto nel 1890 dal Bolles Lee senza che ne fossero stati bene approfonditi la fine struttura e lo sviluppo. Vi è da rammaricare che del risultato di questi suoi studî non siano rimaste se non due sole comunicazioni preventive. ll lavoro completo avrebbe dovuto essere di considerevole mole, a giudicare dalle bozze di stampa già pronte per la pubblicazione e nelle quali egli svolge la sola parte storica dell'argomento, riservandosi di esporre in una seconda parte, anch'essa già quasi allestita, l'anatomia, l'istologia e lo sviluppo di questo speciale organo. Già fin dal 1910 egli aveva dato all'organo da lui studiato nelle salpe. e che ha la forma di un tubo ialino, il significato di un organo statico, e dai caratteri anatomici ed istologici era giunto alla concezione che questo tubo ha una grande analogia coi canali semicircolari del labirinto membranoso dei vertebrati che i più recenti esperimenti hanno dimostrato essere l'organo dell’equilibrio. — 398 — Ponendo termine alla illustrazione dell'opera scientifica di Francesco Todaro, mi preme far risaltare che, come spesso suole accadere, non tutte le cose da lui scoperte gli furono coscienziosamente attribuite da coloro che coltivavano gli stessi campi di ricerche. Nella interpretazione di alcuni dei fatti da lui assodati, altri ha esposto talora opinioni diverse dalle sue. Ma, stabiliti i fatti, è facile di comprendere come in questioni così fondamentali di embriologia sorga quasi immancabilmente il dibattito per la loro interpre- tazione; e solo si può osservare che, spinto dalla sua fede evoluzionista, il Nostro sì lasciò qualche volta trascinare da qualche concezione troppo ardita, ciò che egli del resto serenamente confessava. Ma poichè il vero merito sta appunto nell’assodare i fatti, che costituiscono gli assiomi della scienza, noi dobbiamo inchinarci reverenti innanzi alla tigura di Francesco Todaro, che, sperimentando a dovere, ciò che secondo Spallanzani è stato sempre merito di pochi, ha, coi fatti da lui scoperti, contribuito a diradare la caligine che incombe sulle leggi fondamentali che regolano la vita. E come l’operosità scientifica del Todaro ebbe un'influenza non trascu- rabile nel grande movimento scientifico della zoologia, che avvenne nella seconda metà del secolo XIX, così non è certamente meno da apprezzare l'operosità didattica che ininterrottamente nella cattedra, nella sala incisoria, nel laboratorio e perfino nell'aula degli esami prodigò a circa cinquanta generazioni dì studenti. Colla profonda conoscenza che aveva dell'anima umana, ed in ispecie di quella dei giovani, egli sapeva conquistarne le simpatie per trarli docili sull'aspro cammino della scienza. Niuno esempio fu mai più efficace di quello che, col costante scrupoloso adempimento dei suoi doveri, e col rispetto della disciplina, che è la forza delle nazioni, offerse per tanti anni ai numerosi suoi allievi i quali erano tratti nou solo ad amarlo, ma anche a provare innanzi a lui un senso indefinito di soggezione e di profondo rispetto. E lo stesso amore, la stessa considerazione e rispetto che aveva saputo conciliarsi tra gli studenti, egli seppe suscitare fra i suoi col- leghi di facoltà, i quali lo vollero per lunghi anni, e tino alla sua morte, loro Preside. Era orgoglioso della onorifica carica conferitagli e poneva nel disim- pegno di essa tutta la scrupolosità del suo carattere adamantino, e tutta l'autorità che la posizione scientifica acquistata conferiva al suo nome E l'uomo che aveva contribuito a rendere libera la patria, desiderava anche ardentemente di vederla forte e rispettata fra gli altri popoli. Domi- nato dall'idea che « gli esercizî fisici sono stati sempre l'indice della civiltà dei popoli e che essi hanno segnato sempre un progresso per l'umanità », nelle pubbliche conferenze, nelle commemorazioni, nei discorsi in senato non trascurava di battere in breccia gli ultimi avanzi di vecchi pregiudizî 0, se vogliamo, della vecchia pedagogia, la quale, interpretando erroneamente il « cogito ergo sum » di Cartesio, ed il « /avoriamo a ben pensare, il resto verrà da sè » del Pascal, stabiliva che si dovesse coltivare soltanto l'intelligenza. — 399 — Preoccupato del grande sviluppo che in Francia, e specialmente in Ger- mania, avevano preso le società ginnastiche, dette tutta l’opera sua affinchè anche in Italia la ginnastica fosse largamente introdotta nelle scuole. Per questo suo apostolato fu proclamato presidente della Federazione ginnastica nazionale italiana, e tenne per molti anni la onorifica carica con alto senno e con intendimenti grandemente umanitarii. La fede nella dottrina dell'evoluzione, che al suo giungere a Roma gli aveva valsa la fama di miscredente da parte degli oscurantisti, non gli im- pedì invece di credere in Dio. Ma il trattare con rispetto le dottrine e i riti della nostra religione non significava per lui essere clericale nel senso poli- tico della parola, convinto come era che l'unità italiana dovesse restare incrollabile quale effetto di uno dei passi più importanti fatti dalla civiltà. Però, da vero uomo superiore, ebbe in sommo grado la virtù della tolleranza per tutte le opinioni sinceramente professate, ma odiò sotto qualunque veste la ipocrisia. Di opinioni graniticamente monarchiche, fu da re Umberto, estimatore dell'uomo, insignito dell'ordine civile di Savoia. Socio nazionale di questa Accademia e di quella dei XL, Socio delle Accademie di Francia, di Germania e di Russia, fu elevato al Laticlavio e fregiato delle più alte onorificenze. Amò teneramente la famiglia, e solo chi ebbe con lui dimestichezza potè comprendere tutta la profondità del tenero affetto di cui circondava i suoi figli. Non ambì le ricchezze che avrebbe potuto facilmente accumulare, e le sue maggiori soddisfazioni gli vennero dalla coscienza del dovere compiuto e dall'alta considerazione dalla quale era universalmente circondato. Francesco Todaro è sparito dalla scena del mondo. ma, avendo egli cam- minato con passo sicuro sulla via tracciata dai Lincei, non sparirà l'opera sua fondata sopra una squisita sensibilità ed un entusiastico amore per la ricerca delle origini e delle cause reali dei fenomeni della vita, — 400 — ELENCO DELLE PUBBLICAZIONI DI FRANCESCO TODARO Lavori di anatomia sistematica. Novelle ricerche sopra la struttura muscolare delle orecchiette del cuore umano e sopra la valvola di Eustachio. Lo Sperimentale. Settembre 1865. L'arteria mediastinica superiore ramo anomalo dell'arteria tiroidea inferiore, in: Ri- cerche fatte nel Laboratorio di anatomia di Roma ecc. 1879, vol II, pp. 159-160. Lavori di anatomia comparata e di embriologia. Contribuzione alla anatomia ed alla fisiologia dei tubi di senso dei plagiostomi. Memoria della R. Accademia Peloritana. Messina, 1870. Gli organi del gusto 6 la muccosa bocco-branchiale dei selaci, in: Ricerche fatte nel Labo- ratorio di anat. um. ecc. ecc,, vol. 1°, fasc. I, 1873. Sopra lo sviluppo e l'anatomia delle Salpe, in: Atti della R. Accademia dei Lincei, Tomo 2°, serie II, 1875. Sulla struttura intima della pelle dei rettili, in Ricerche fatte nel Laborat. di anat. um. norm. ecc., vol. II, fasc. 1, 1878. Sopra gli organi del gusto degli Eteropodi. R. Accademia dei Lincei (estratto), vol. 3°, serie III, 1879. Sui primi fenomeni dello sviluppo delle Salpe, in: Atti R. Accademia dei Lincei, vol. IV, serie III (12 comunicazione 1880; 2% comunicazione preliminare, vol. IV, serie 82, 1882); Sur le premiers phénomènes du développement des Salpes. Troisiàme comu- nication préliminaire, in: Archives italiennes de biologie, Tome 3°, fasc. 39. Studi ulteriori sullo sviluppo delle Salpe. R. Accademia dei Lincei, 1884-1885. Sopra i canali e le fessure branchiali delle Salpe. Reale Accademia dei Lincei (estratto), vol. 39, serie III, 1884. Sur l'origine phylogénétique des yeux des vertebres et sur la signification épiphyses et des hypophyses de leur cerveau de la fosse ciliée et de la glande de Hancook des tuniciers, in: Archives italiennes de biologie, tome IX, fasc. 1°, 1887. Sull'omologia delle branchie delle Salpe con quella degli altri T'unicati, in: Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, 1888, vol. 4°, fasc. 12. De l'homologie de la branchie des Salpes avec celle des autres Tuniciers, in: Archives italiennes de biologie, tome XI, fasc. 3°, 1889. Observations et reflezions sur la segmentation de l’oeuf et sur la formation des feuil- lets germinatifs du seps chalcides (IX Congrès international des sciences médicales), in: Archizes italiennes de biologie, tome XXI, fase. 2°, 1894. Beobachtungen und Betrachtungen tiber die Furchuna des Eies und die Bildung der Keimblitter bei seps chaletdes, in; Untersuchungen zur Naturlehse des Menschen und der Thieres ecc. ecc., IX Band., 1894. — 401 — Sull'organo visivo delle Salpe, in; Rendiconti della R. Accademia dei Lincei (estratto), vol. 2°, fasc. 12, 1893. Sopra lo sviluppo della parte anteriore del corpo delle Salpe, in: Rendiconti della R. Ac- cademia dei Lincei (estratto), vol. 6°, serie V, fasc. 2, 1897. La moltiplicazione delle sfere di segmentazione dell’ovo delle Salpe, in; Verhandlungen der Anatomiscehen Gesellschaft, 1900. L'organo renale delle Salpe, in; Monit. zoolog. italiano, anno XII, n. 7 (1901). Sur les organes excreteurs des Salp des (Nota preventiva), in; Archives italiennes de bio- logie, tom. XXXVIII, fasc. 1, 1902. Sopra gli organi escretori delle Salpidi, in; Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, vol. 11, serie V, fasc. 10° (1902). Sopra un nuovo organo di senso nelle Salpidae, in: Atti della Società italiana per il progresso delle scienze (IV riunione). Napoli, 1910. Sopra l'organo statico delle Salpe. (Bozze di stampa). Letture scientifiche. Il rinnovamento continuo del corpo umano. Reale Accademia Peloritana. Messina, 1869. Sulla struttura dei plessi nervosi. Prolusione al corso di anatomia descrittiva nella R. Uni- versità di Roma (Estratto dalla Gazzetta clinica osped. di civ. di Palermo, 1871). Importanza e meccanica della respirazione. Lettura fatta nel teatro anatomico della Sapienza, luglio 1880. Intorno al movimento degli studi embriologici. Introduzione al corso di embriologia com- parata, 1881. Il metodo sperimentale nella scienza della vita. Discorso inaugurale degli studî alla R. Università di Roma, 1891. I Lincer e le scienze sperimentali. R Accademia dei Lincei, 7 giugno 1896. Discorsi, commemorazioni, necrologi. Brevi considerazioni sull'insegnamento di Anatomia. Bollettino ufficiale della Pubblica Istruzione, Roma, 1884. Commemorazione del XX Settembre letta nell'aula del R. Liceo E. Q. Visconti, 1895, Marcello Malpighi, Discorso inaugurale pronunziato a Crevalcore, Roma, Società editrice Dante Alighieri, 1897. XXV anniversario della fondazione della Stazione zoologica di Napoli, Società editrice Dante Alighieri, 1897. Lazzaro Spallanzani. Estratto supplemento Policlinico. Società editrice Dante Alighieri, Roma, 1899. Discorso inaugurale del III° convegno Zoologico in Roma, Tipografia Luigi Niccolai, Firenze, 1902. Discorso inaugurale del XII° consiglio della Federazione Ginnastica nazionale a Firenze 26 febbraio 1899, Tipografia V. Biccheri, Roma. Discorso tenuto alla inaugurazione del III° congresso di educazione fisica in Milano 15 settembre 1906, Tipografia Manuzio, Roma. Discorso pronunziato alla XXXI festa federale francese a Bordeaua 21 aprile 1915. La ginnastica, nell'educazione nazionale, Nuova antologia, Roma, 1906. Discorso inaugurale al concorso ginnastico di M-ssina il 9 ottobre 1907, Tipografia Manuzio, Roma, 1907. ReNDICONTI. 1920. Vol. XXIX, 1° Sem. 52 — 402 — Raccolta di varii discorsi tenuti da Francesco Todaro sull'educazione fisica in occa- sione di consigli federali, di feste e di concorsi ginnastici con prefazione di Aurelio Costanzo, Roma-Milano, Società editrice Dante Alighieri, 1907. Commemorazione di Vincenzo Giordano ()rsini, Roma, Nuova antologia, 1910. Una pagina della rivoluzione del 1860, Roma, Nuova antologia, 1911. Parole di F. Todaro pronunziate in Senato nella tornata del 27 luglio 1896 sulla Isti- tuzione di un Commissario civile in Sicilia, Roma, Tipografia del Senato, 1896. Discorso pronunziato in Senato mella tornata del 24 yiugno 1901 sul bilancio della Pubblica lstruzione, lipografia E. Voghera, Roma, 1901. Relazione e discorsi del senatore F. Todaro sulle disposizioni intorno alla nomina ed al licenziamento dei Direttori didattici, ecc., tornata del 28, 29, 380 e 31 gennaio 1903, Tipografia del Senato, Roma, 1903. Sulla Università di Messina, interpellanza del senatore Francesco Todaro nella tornata del 21 maggio 1909, Tipografia del Senato, Roma, 1909. Per l'Università di Messina, discorso del senatore Francesco Todaro pronunziato nella tornata dell’11 giugno 1918, Tipografia del Senato, Roma, 1913. Commemorazione di Michele Giuliani, estratto annnario R. Università 1894-95. Parole del prof. F. Todaro per la morte di Giulio Bizzozzero, R. Accademia dei Lincei, estratto, vol. X, 1° sem., serie 5%, fasc. 7°, seduta 14 aprile 1901. Commemorazione del prof. Adolfo Targioni-Tozaetti, letta dal socio F. Todaro. Reale Accademia dei Lincei, estratto, vol XI, 2° sem., serie 5°, fasc. 99, seduta 2 no- vembre 1902. Commemorazione di Carlo :Gegenbaur letta dal socio Francesco Todaro nella seduta del 6 dicembre 1903, Rendiconti R. Accademia dei Lincei, estratto, vol. XII, 2° sem., serie 5°, fasc. 11°. Commemorazione di Antonio Dohrn fatta ai Lincei il giorno 2 gennaio 1910. G. C. PRESENTAZIONE DI LIBRI Castslnudto (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte în dono, segnalando fra queste due volumi del prof. Surendramon Ganguli . <.<... Pag. 371 Levi-Civita. Fa omaggio di due pubblicazioni, una del Corrisp. C. Guidi, e l’altra del profe Ranettis:@ Ne Parla Nana e N a RI een COMUNICAZIONI VARIE Roiti (Presidente). Dà comunicazione di una lettera dell'on. Ministro della Pubblica Istruzione relativa alla villa d’Arcetri.dove visse e morì Galileo ........ BULERTTINOBIBLIOGRARICO:.; 2; sè ele Tele atlete eee stese e Seduta del 16 maggio 1920. Angeli. Sopra le reazioni «i alcuni derivati orto- e iui del benzolo . . . Crema. Osservazioni sui giacinrenti di bauxite dell'Appennino, dell’Istria e della Dalia (pres. dal Socio Parona) (*) « TESORO PIA RS FR A IONE SEE Foà. e alla conoscenza del soia esoretore del Taca da seta (pres. dal Socio i B. Grassi) . DIDIS LAI PANOIVCENE SO AS n ag iogta ate Cotronei. Sull' identità delle ace morfugenetiche nella metamorfosi degli Anfibii amine rurodeli (GILLI O EA SIE ISOLA GERE CAESAR RO So, PERSONALE ACCADEMICO Versari. Commemorazione del Socio F. Todaro... LL. 0 00 0000 “ ERRATA-CORRIGE » 378 392 A pag. 298 riga 12, invece di: se della nobiltà avita aveva ogni apparenza esteriore, leggasi: se della nobiltà avita aveva dimesso ogni apparenza esteriore, i(*) Questa Nota sarà pubblicata in un prossimo fascicolo. VATURAEHE FREGIA SPE da 1920: . 3 su ia A +0 dI INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCÌ. Seduta del 2 maggio 1920. Pincherle. L'iterazione completa di 7° — 2... .. o i Pag. 229 i Tedone. Su ‘alcune altre formole d’invèrsione collegate pe gia d'integrazione di. nSRIGMANIi) e nudi oto DITE Millosevich. Blodite ed altri minerali dl siamo salifero ai niente Sambato in E ritorio di Calascibetta (Sicilia) . A SE DELIRI SIAE è Bompiani. Le trasformazioni puntuali fra varietà i conservano il parallelismo d di Tani Civita (pres. dal Socio Castelnuovo) . . . Sa CR Ò Onicescu. Sulle varietà che ammettono una traslazione infinitesiuia a, dal Socio Lv Civita) Aronne LOTRR, agognata) Mio I A Raineri. Corallinacee del litorale Lripolifano (pres. di Sigla Hula RA Foà. Contributo alla conoscenza del sistema escretore del baco da seta (Die dal Socio B. Grassi) . SRO FIS iti i i SR Pais A. ni ‘dei malarici cronici per mezzo dela raggi (X meES, ra) ae Amantea. Ricerche sulla secrezione spermatica. X: L'eliminazione dello sperma nella cavia e nel ratto (pres. dal Corrisp. Baglioni). . . .......... RELAZIONI DI. COMMISSIONI ACastelnuovo ed Enriques (relatore). Relazione sulla Memoria del prof. Chisini, avente per titolo: « La risoluzione delle singolarità di una superficie mediante trasformazioni birazionali dello spazio n . . PERSONALE ACCADEMICO Roiti (Presidente). Annuncia che alla seduta assiste il Socio straniero prof. Mittag-Leffler. Dà poscia la dolorosa notizia della morte del Socio straniero prof. Teodoro Reye . Castelnuovo. (Segretario). Pronuncia parole di rimpianto per la morte del Socio Reye, e si riserba di commemorarlo insieme ai due altri Soci stranieri proff. Zeuthen e Hurwitz 344 BAT 3710 (Segue in terza pagina) E. Mancini, Cancelliere dell’Accademia, responsabile. i | i DELLA ( ‘RE ALE ACCADEMIA DEI LINCRI . ANNO CCCXVII. 1920 SBRIHE QUINTA RENDICONTI “Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume XXIX. — Fascicoli 119-120 e Indice del volume. Seduta del 4 giugno e ferie accademiche del 1920. 1° SEMESTRE. ° ROMA ‘| TIPOGRAFIA DELLA È. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1920 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE L Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle «= pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Tnoltrei Rendiconti della nuova serie fermano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Renpiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- ‘siche, matematiche e naturali si pubblicano re- .golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da ‘Soci e estranei, nelle due sedute mensili del: l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; «due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon= «denti non possono oltrepassare le 9 pagine -di stampa. Le Note di estranei presentate da ‘Soci, che ne assumono la responsabilità sono ‘portate a pagine 4!/a. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni ‘50 estratti gratis ai Soci s Corrispondenti, e 30 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un ‘numero maggiore, il sovrappiù della spesa è ‘posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus= ‘sioui verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se Soci, che vi hanno preso parta, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta :stante, una Nota per iscritto. II I. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente e le Memorie pro- priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta a. stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta, pubblica nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memeria per esame data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. # 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 80 se estranei. La spesa di un numero di copie în più che fosse richiesto, è messe a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 4 giugno 1920. A. RòrtI, Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Analisi. — Sulla funzione iterata di una razionale intera. Nota I del Socio S. PINCHERLE. 1. Sia data la funzione razionale intera di grado (1) a(o)=a" +a a +-+ ama C+ Am L'operazione, che consiste nel sostituire @(x) alla variabile complessa x, si indicherà con S. i Essendo x un punto arbitrario del piano complesso, il punto S"x = x, ne saràil conseguente n°°; i punti 2' definiti da S"z" = x ne saranno gli antecedenti Si: il loro sistema verrà indicato con (27), ed x, sarà uno generico fra essi. Il punto x, equivale ad @,(x), essendo ax) =a(a(2)),... an(e) = as(0(2)). 2. Con £ si indicherà la porzione del piano tale che peri punti x di essa si verifichi che | (2) lim Sx = 00. Il punto all'infinito del piano (piano-sfera) 4 appartiene dunque ad 9; se un punto x appartiene ad £, vi appartengono tutti gli 2, e tutti gli (27) per ogni x. ReNDICONTI. 1920. Vol. XXIX, 1° Sem. 59 — 404 — 3. Data un'area © finita, tutta interna ad £, ed un numero positivo R arbitrario, è sempre possibile di determinare un intero # tale che, per ogni x di A ed ogni n>@, sia (3) S"2])>R. Sia infatti 7 un punto di ©; poichè esso appartiene ad £, esiste un 7 tale che, per 2 > #5; si ha (s prescelto positivo arbitrario) s,|>R+e. Descritto dunque un cerchio di centro #, e di raggio inferiore ad &, la x=an(x') farà corrispondere ai punti x di questo cerchio un'area, ge- neralmente di più pezzi, ma di cui una porzione connessa o, contenente # nel suo interno, sarà tutta in Ol: questa o è dunque proiettata da @, nel detto cerchio, e quindi per i punti di o la (3) è soddisfatta. Ma poichè una tale area o esiste per ogni punto di ©, per un teorema (*) che coincide in sostanza colla nota proposizione di Heine-Borel, esiste un 7 che vale per tutto A a soddisfare alla (3). 4. Essendo g un numero prefissato positivo e maggiore dell’unità, è fa- cile vedere come si possa determinare un numero positivo R > 1, tale che, per ogni |xr|=R, si abbia (4) le(2)]> gle] (3); ne segue, per quei valori di «, (4) En > grana (m-1)27! De ; i conseguenti x, di x tendono dunque all'infinito come i termini di una progressione ultrageometrica 4°, a e è positivi e maggiori dell'unità. 5. È facile di rilevare le seguenti proprietà del campo £: a) Esso non comprende tutti i punti del piano. Basta pensare alle radici delle equazioni a, (x)=%. 5) Esso è connesso. Siano infatti x ed y due qualunque suoi punti: si può prendere n abbastanza grande perchè x,,%n siano fuori del cerchio di raggio R di cui al n. 4; si possono allora unire %n,y, mediante una linea continua / tutta esterna ad R e perciò tutta appartenente ad £. Ap- plicando ora la S-", ad / corrisponderà una linea composta in generale di più pezzi, ma di cui un pezzo unirà i punti xy e sarà, come la /, tutto in 2: il campo £ è dunque connesso. (1) Da me dato fino dal 1882. Ved. « Mem. della R Accad. delle scienze dell’Isti- tuto di Bologna », serie IV, tomo III, pag. 153. (*?) Ved. « Rendiconti della R. Accad. delle scienze di Bologna », adunanza 25 gen- naio 1920. — 405 — c) Esso è aperto: cioè ogni suo punto gli è interno. Se infatti un punto # del contorno di £ potesse appartenere ad £, si avrebbe, per n ab- bastanza grande, |7,| > R+ «, e quindi un cerchio di centro #, e di raggio minore di = apparterrebbe tutto ad £. Vi apparterrebbe dunque l’area otte- nuta trasformando questo cerchio mediante la S7", e quindi un pezzo a del- l’area contenente 7 nel suo interno: contro l’ipotesi che # è al contorno di 2. d) Indicando con T il contorno di £, si ha dunque che nessun punto di TY appartiene ad £; che I è trasformato in sè da S; che I è tutto in- terno al cerchio R; che T° è chiuso. e) Se T constasse di un sol punto 2, sarebbe a(z) = e # sarebbe de(x) FRÀ ma è noto che in tale caso tutto un intorno di # verrebbe proiettato, da S, internamente all’intorno medesimo, e con ciò # non è sul contorno T di 9. Se T constasse di un numero finito di punti 21,42, ... 4p, € Se fosse a(z;)=z;, î essendo un intero fra 1 e p, sarebbe anche @,(4;) = z;; ma si può pren- dere 7 abbastanza grande perchè sia m” >p, onde l'equazione @,(2) = z;, che non può avere radici diverse da 2,,42,-. n, dovrebbe avere qualche radice multipla, e si conclude come precedentemente. Se invece @(z;) non è uguale a 4; stesso, le 21,4», ... 4p saranno distribuite, da S, in un certo nu- mero di sistemi circolari; essendo allora g il minimo comune multiplo degli ordini di questi sistemi, sarà @g(z;) =; per t=1,2,...p, e si torna alla conclusione precedente. Segue da ciò che Y non può constare di un numero finito di punti. f) I punti limiti degli antecedenti dei punti di £ appartengono a T. Se è possibile, un tale punto Z, limite degli antecedenti 7, di 7, appar- tenga ad £. Determinato il cerchio R come al n. 4, per ogni « esterno ad Rè |z.|<]|z|: ora, poichè 4 è punto limite degli antecedenti di qualunque conseguente di x, si può senza restrizione supporre che # sia esterno al cerchio R. Ma appartenendo 4 ad £, si avrà un indice p tale che @,(4) sia superiore, in modulo, ad |w| 4 s: ma «p(4) sarà pure punto limite di an- tecedenti di 7, onde si avranno antecedenti di z di modulo superiore ad |x|, il che è impossibile; 4 non può dunque appartenere ad £. 6. Si possono descrivere cerchi aventi il centro nell'origine e tali che le loro circonferenze ed i punti esterni appartengano ad £. I loro raggi avranno un limite inferiore, non nullo (n. 5, e): sia @ questo limite infe- riore, Co la circonferenza col centro nell'origine e raggio o. Si vede subito a) che ogni punto esterno a C, appartiene ad £; 8) che qualche punto della circonferenza Co non appartiene ad 92; infatti, se così non fosse, si potrebbe ad ogni punto x di C, fare corrispon- dere un cerchio di centro x e di raggio #, tutto appartenente ad £ (n. 5, c), la sola radice dell’equazione @(x)="z, e pertanto annullerebbe la — 406 — ed allora, per il teorema di Heine-Borel ('), i punti x apparterrebbero ad un numero finito di tali cerchi, cioè un # potrebbe servire per tutti gli x. Ma allora l’esterno di ogni cerchio di centro o e raggio o— #', con # < e, apparterrebbe tutto ad £, contro la definizione di 0. c) Segue, da ciò, che C, è tangente a T°, nel senso che C, e T° hanno almeno un punto in comune, ma che nessun punto di I° è esterno a Co. d) Se tutti i punti di C, appartengono a Y°, nessun punto interno a Co può appartenere ad £ (n. 5, 0); Co costituisce dunque l’intero contorno di £: ma esso è trasformato in sè da S, e coincide quindi colla cassinoide ad m fuochi |e(2)|=@, la quale può ridursi al cerchio solo se tutti i suoi fuochi coincidono con x =0. Deve dunque essere a(x)= x", onde 0= 1. Fuori di questo caso, TY, e quindi £, hanno punti interni a Co. I punti di contatto di (, con Y° sì indicheranno con #. 7. L'antecedente n" della C, è la cassinoide definita dall’equazione (5) lan(2)|= @: essa si indicherà con C,. Sulla C, esistono gli m” antecedenti (x,) di ogni punto di contatto 4 di C, con T; essi sono punti di contatto di C, con T. La C, ha m” fuochi: essi sono gli antecedenti n°" di x =0, ed n — 15 delle radici dell'equazione a(2)= 0. Per la definizione stessa di @. risulta che C, non può avere punti esterni a C,-,. Le curve Conti sono dunque ciascuna interna alla precedente, all'infuori dei punti comuni. Sia x, x®,..x®,... un sistema di punti comunque presi, colla condizione che 4°” sia su C,; sia é un punto limite del sistema. Sia € in 9; allora apparterrebbe ad £ tutto un cerchio (e) di centro È e raggio «, e si potrebbe assegnare un x tale che, per x >, il campo ottenuto applicando la S” ad (e) sia tutto esterno al cerchio R (n. 3): ma si hanno in (e) punti x tali che |S"x|= 0, dove n può essere maggiore di 7; si viene dunque ad una contradizione. I punti limiti del sistema considerato appartengono dunque a T°, che è quindi il luogo limite delle curve C,. 9. Siano genericamente w le radici della derivata o'(x) di @(x). Dirò che @(x) è nel caso A se nessuna w appartiene ad £, ed è nel caso B quando qualche w vi appartiene. a) Nel caso A, non appartiene ad £ nessuna radice di a, (x): in- fatti, si ha dan(x) od (in) (tn) (2); an(2) = (1) Ved. la citazione al n. 3. — 407 — le radici di @,(7) sono dunque le w ed i loro antecedenti fino all’in- dice 7-1. 5) In questo medesimo caso A, ogni C, è costituita da una sola ovale. Consideriamo infatti la corrispondenza posta fra 7 ed y da y= @,(x): 2 Cn corrispondono m” cerchi di raggio @ sovrapposti negli m” fogli della rie- manniana luogo di y: ora questi cerchi contengono nel loro interno tutti i punti di diramazione della riemanniana stessa, poichè questi non sono altro se non conseguenti dei punti w. Ma da codesti punti partono le linee di saldatura dei fogli della riemanniana, formate per esempio da semirette: esse attraversano dunque i cerchi sovrapposti che vengono così a costituire un'unica linea chiusa sulla riemanniana. La corrispondente cassinoide C, del piano x sarà quindi composta di un'unica ovale. 10. Le radici di @(z), quelle di @,(x) ed il punto c=0, apparten- gono tutti ad £, o non ve ne appartiene nessuno: infatti le dette radici non sono altro se non gli antecedenti dello zero. Ora, nel caso A, lo zero non appartiene ad £. Infatti, se le radici di una Cu(x) cadono tutte entro C,, ma non tutte entro C,+,, in modo che fra le due curve se ne trovino 7, per un noto teorema di Dell'Agnola (!) si troveranno fra le due curve anche 7 radici della derivata a'u(€). Ma nel caso A queste sono in 2, quindi interne a tutte le C,,: lo stesso deve dunque essere delle radici di @,(z), qualunque sia w: queste, e quindi anche x = 0, non appartengono ad £. Reciprocamente, se < =0 non appartiene ad £, non vi appartengono le radici di @, e quindi, per lo stesso teorema citato, qualche radice di @’,, e perciò nessuna delle 1. (*) Severi, Mem. cit. Complementi ecc.; ved. in particolare n. 12, 2). (3) Severi, Sulla totalità delle curve algebriche tracciate sopra una superficie al- gebrica, Math. Ann., Bd. 42 (1906), pag. 194, nonchè la Nota precedente nei Compt. Rend. de l’Acad. d. Sc., vol. 140 (1° sem. 1905), pag. 361. Inoltre: La dase minima pour la totalité des courbes tracées sur une surface algébrique, Annales Ec. norm. sup., 3èm sér., tom. 25 (1908), pag. 449. — 410 — Poichè i gradi virtuali di y1, y» e C valgono rispett. 0, 0, 4, men- tre C taglia y, e ys in 3 punti, e queste ultime si tagliano in 2 punti, il determinante di tale base sarà Dico, ora, che la base considerata è intermediaria (*), ossia che il suo determinante ha il valor assoluto minimo possibile. Infatti, se con altra base si potesse avere un determinante di valor assoluto < 20, questo va- lore dovrebbe essere un divisore di 20; e anzi, più particolarmente, sarebbe il quoziente della divisione di 20 per un numero quadrato perfetto (*); dunque soltanto 20:4=5. Ora il determinante in parola è, in ogni caso, simmetrico, e. come elementi principali ha numeri tutti pari (perchè del tipo 2p — 2, essendo p il genere delle singole curve costituenti la base); perciò, dei 6 termini, certo 4 sono pari, e gli altri 2 (per la simmetria) sono eguali fra loro in valore e segno. Il determinante sarà dunque anch'esso numero pari, e non potrà perciò essere = 5. Essendo F‘ superficie con curva canonica di ordine zero, la base inter- mediaria y, ye, C sarà pure minima (*); vale a dire, ogni curva esistente sopra F4 potrà esprimersi mediante una combinazione lineare ent yra 480 per valori interi (positivi, negativi, o nulli) di x,7,%. A questa base è legata, nel senso stabilito da Severi (4), la forma quadratica fondamentale f= 48° 4 4xy 4 622 + 672, alla quale spettano le proprietà seguenti: 1) Detta forma è equivalente, propriamente o impropriamente, a tutte quelle formate in modo analogo colle altre basi intermediarie, e perciò mi- nime, della superficie F*. 2) La determinazione delle curve di grado (virtuale) x, esistenti sopra F*, dipende dalla risoluzione in uumeri interi dell'equazione f= 428° + 4xy + 6x2 4 6y5= n; (1) Severi, Mem. cit. La base minima ece., $ 1. (2) Severi, La base minima ece., $ 1, pag. 458, formola (4). (3) Severi, Mem. cit. Complementi ecc., n. 7. (4) Memoria cit., Complementi ecc., $ 2. La forma quadratica fondamentale è, in generale, X ni 44,, dove le 4; sono le variabili, e i coefficienti zx sono (ordinatamente) 7 gli elementi del determinante della base (D). — 411 — e ad ogni soluzione così fatta corrisponde (con opportuna scelta del segno di una, e conseguentemente delle altre variabili) uno ed un solo sistema effettivo | 2y1 + yy: + #C|. 8) Il gruppo delle eventuali trasformazioni birazionali di F* si ri- specchia in un gruppo isomorfo [e, in questo caso, oloedricamente iso- morfo (*)] di sostituzioni lineari a coefficienti interi, di modulo #1, della forma f. Se la trasformazione birazionale considerata sopra F‘ muta la base y:,y:,C nella nuova base (anche minima) si 0 Ya + Ae 72 + 4,30 (1) ya = dex Ya + d00 Ya + 4230 (iaia |====19G C= 437 + 43° Yo + 4033 C la forma / sarà mutata in sè dalla sostituzione lineare c'=anX +07 + 438 (2) YyY = QX + 4227 + 4328 8" = 913% + 4234 + 4338 il cui determinante differisce dal precedente solo per lo scambio delle oriz- zontali colle verticali. Questa proprietà non è però invertibile; e vedremo che esistono anche sostituzioni lineari di modulo = 1 della forma / (ad es. quella risultante dalla simmetria rispetto ad x ed y: a'=y,y =, =), alle quali nen corrispondono trasformazioni birazionali di F'. 2. È facile assegnare tre distinte trasformazioni birazionali della su- perficie F*4, colle relative sostituzioni (1) e (2); e, fra queste, due non pe- riodiche, con che il gruppo complessivo di F* sarà certo infinito (discontinuo). In seguito verrà dimostrato che questo gruppo complessivo è appunto quello generato dalle tre trasformazioni anzidette. a) Le rette appoggiate a 7, e 7» (formanti perciò una congruenza lineare) incontrano ulteriormente F4 nelle coppie di punti di un'involuzione razionale I (*), che lascia invariati i due fasci di cubiche y, e ys, subor- dinando sopra ogni y, 0 y» la proiezione doppia dal suo punto di appoggio a 7, 0 risp. 7. Il sistema delle sezioni piane C verrà mutato in un sistema (per ovvie ragioni di simmetria) del tipo x(y, + y:) + 0 e il grado virtuale zero, conducono a sistemi riducibili, cioè a sistemi aventi una parte fissa. oppure composti mediante un fascio. Distinguiamo tali sistemi, per maggior chiarezza, nelle seguenti categorie: 1°. Sistemi composti di un fascio di curve ellittiche (effettive, irriduci- bili) e di una curva fissa. Tali ad esempio i sistemi y} +r#=C+y1— y: e prb+br=lC—yn + ye. 2°. Sistemi composti di un sistema effettivo di genere >1, grado >D, dimensione > 1, e di una parte fissa, tali tuttavia che la curva complessiva risulti di grado virtuale zero e genere virtuale 1; per esempio il sistema C+ 27,=3C — 2y, (e analogamente C+ 27), e così anche CH 2r, + ra =4C0—2y, — ya; ecc. — 415 — 3°. Sistemi multipli di un fascio di curve ellittiche effettive irriduci- bili, oppure anche multipli di un sistema del tipo 1° o 2°. Questo 3° caso è caratterizzato dal fatto che i valori assoluti dei numeri x,y,4 hanno massimo comun divisore > 1. I sistemi (di grado virtuale zero) irriducibili, e quelli riducibili delle varie categorie anzidette, anche in corrispondenza ai diversi sottocasi del tipo 3°, formano altrettanti corpi distinti, ciascuno invariante rispetto alle trasformazioni birazionali della superficie F' ('). Vedremo in una prossima Nota come, per mezzo delle soluzioni intere dell'equazione /=0, si pos- sano determinare sopra F* tutti i fasci di curve ellittiche effettive ed irri- ducibili, riconoscendo altresì che ciascuno di questi si ottiene da uno dei due fasci |y,| e |y»] con un prodotto di operazioni I, TY, e T;, e che questi prodotti esauriscono il gruppo birazionale di F‘. Fisica. — L'esistenza degli ioni positivi e la teoria elettro- nica della conducibilità dei metalli. Nota del Socio 0. M. CorBINO. Questa Nota sarà pubblicata in un prossimo fascicolo. (1) Esistono invece sostituzioni lineari della forma /, del tipo (2) (non corrispon- denti, naturalmente, a trasformazioni birazionali di F4) tali che la corrispondente sosti- tuzione (1), applicata ai sistemi lineari di F4, muterebbe (taluni) sistemi irriducibili in sistemi riducibili, e viceversa. Un esempio è dato dalle sostituzioni ag cari + Centra (2) {y=_—-@a—-2y—-2 (1) (ya= — 2a +8C=7% +87, = &a+3y+22 lo = — ya +2C=C+n. Nel piano (2,y,z) la (2) è l’omologia armonica di asse 2 +4 3y + 4=0 e centro (0, 1,1. — 416 — Chimica vegetale. — Considerazioni intorno alla funzione degli alcaloidi nelle piante. Nota del Socio G. Cramician 6 di C. RAVENNA. Nelle nostre ricerche dell'anno scorso (1) abbiamo trovato che la betaina, a differenza delle basi quaternarie, come i sali di tetrametilammonio, è per i fagiuoli soltanto lievemente tossica, e ci ripromettevamo di ritornare su questo fatto che appariva assai notevole. Esso poteva avere la sua spiegazione nell’eventuale presenza della betaina nei fagiuoli, come si trova in tante altre piante, poichè appariva probabile che, contenendo i fagiuoli già tale sostanza, non avrebbero dovuto risentirsi molto anche di un prolungato trattamento con essa. Siamo perciò ricorsi alla gentilezza del dott. Morselli, procuratore della casa Erba, perchè nel suo stabilimento ci preparasse un estratto tar- tarico di 113 kgr. di piante di fagiuoli raccolte a fioritura incipiente; per cui anche in questa occasione gli esprimiamo la più viva riconoscenza. In due porzioni dell'estratto (corrispondenti la prima a 9 kgr., la se- conda a 18 kgr. di piante) venne ricercata la betaina coi metodi prescritti per l'estrazione della betaina dal succo di barbabietole. Nella prima prova abbiamo defecato il liquido con acetato di piombo basico; ed il filtrato, libe- rato dal piombo con acido solforico, venne precipitato con acido fosfotung- stico. Dopo qualche giorno, il precipitato fu raccolto, scomposto con calce, e la soluzione, saturata con anidride carbonica, portata a secco. Nell’estratto alcoolico del residuo avrebbe dovuto essere contenuta la betaina. Siccome ci siamo accertati che il cloroaurato di betaina si presta bene per riconoscere la base, abbiamo svaporato l'alcool, ed il residuo fu trattato in soluzione cloridrica con cloruro d’oro, ottenendo così un cloroaurato cristallizzato in aghi disposti a spina di pesce, fondenti a 244°. Questo cloroaurato ha per altro la composizione del cloroaurato di colina, che fonde a 244°, e l’'iden- tità venne accertata determinando il punto di fusione dei due sali mescolati, che rimane inalterato. In questo modo dunque non risultò che l'estratto dei fagiuoli contenesse la betaina; ma, prima di poter asserire che essa non è pre- sente in questa pianta, abbiamo voluto provare anche l'altro metodo. A questo scopo in una seconda prova abbiamo trattato l’estratto, nella quantità corri- spondente, come si disse, a 18 kgr. di piante, con calce fino a reazione alcalina (*) Questi « Rendiconti », XXIX, /, 10 (1920); vedasi anche la nostra XII Memoria Sul contegno di alcune sostanze organiche nei vegetali, in « Memorie della R. Accademia delle scienze di Bologna”, serie 72, tomo VII, pag. 17 (1920). — 417 — per separare tutti i sali insolubili, ed il liquido venne filtrato e bollito, secondo la prescrizione, con barite per parecchie ore. La soluzione venne saturata con anidride carbonica e svaporata a secco. L'estratto alcoolico del residuo, convenientemente concentrato, venne trattato con cloruro di zinco; il preci. pitato ottenuto, molto abbondante, fu scomposto con barite, ed il filtrato libe- rato dalla barite esattamente con acido solforico. Il liquido concentrato venne precipitato con cloruro d'oro. Si ottennero nuovamente dei cristalli che furono riconosciuti anche questa volta come cloroaurato di colina. Da queste espe- rienze risulta dunque in modo evidente che la betaina non è contenuta nei fagiuoli e che il contegno sopramenzionato è da ricercarsi in altre cause. Poichè avevamo a nostra disposizione una notevole quantità di estratto tartarico delle piante di fagiuoli, abbiamo voluto vedere se in esso fosse conte- nuta qualcuna di quelle basi volatili descritte dal Pictet (*), le quali, secondo questo autore, sarebbero di natura pirrolinica e pirrolidinica e costituirebbero quelle basi da lui chiamate protoalcaloidi, che suppone presenti in tutte le piante. A questo proposito giova ricordare che parecchi anni fa, ripetendo le esperienze del Pictet, non abbiamo potuto, nelle stesse piante da lui esami- nate, riscontrare la presenza di queste basi. La ricerca attuale venne ese- guita trattando il rimanente dell'estratto, corrispondente a kgr. 86 di piante, con un eccesso di barite e distillando col vapore sino ad esaurimento delle basi volatili. Il distillato venne neutralizzato con acido cloridrico e portato a secco; il residuo fu estratto con alcool per liberarlo dal cloruro ammonico, ridistillato con soda su acido cloridrico e trattato con cloruro d'oro. Si ottenne un precipitato oleoso, difficilmente solubile nell'acqua anche a caldo. Venne sciolto in molta acqua, e la soluzione venne svaporata sotto campana con acido solforico. Si depositò una polvere giallo-chiara, amorfa, contenente circa il 51% di oro. Non potè essere identificata, ma è escluso che essa conte- nesse le basi del Pictet. Le acque madri, da cui era stato separato il cloro - aurato oleoso, dettero per concentrazione alcuni cristalli a forma di spina di pesce fondenti a 238°-239° (°). Una piccola porzione, trattata con potassa, svolgeva odore di trimetilamina, e l’analisi ne confermerà l'identità. Anche in questo caso dunque non abbiamo ottenuto, di basi volatili bene accertabili se non la trimetilamina. Questo risultato si accorda colle suac- cennate nostre precedenti esperienze: e, difatti, nella più volatile parte degli alcaloidi di tabacco trovammo sempre soltanto l’isoamilamina (3) e forse la (*) Berichte, XL, 3771 (1907). (9) Gli autori dànno per il cloroaurato di trimetilamina punti di fusione variabili fra 220° e 250°. In causa della piccola quantità, il nostro sale non potè venire ulterior- mente purificato. (3) Questi « Rendiconti», XX, 1, 617 (1911). — 418 — trimetilamina ('); nell’estratto di tabacco (°) la trimetilamina, l’etilamina e l’isoamilamina; nella datura abbiamo riscontrato una base che forse è iden- tica alla tetrametilendiamina (*); nelle foglie di patata, piccole traccie di isoamilamina (4) e di trimetilamina (?), la quale ultima fu pure ritrovata nelle foglie di carota e di pomodoro (*). Così pure nel pepe, operando anche su una cospicua quantità di materiale, non abbiamo potuto accertare la pre- senza delle basi pirroliche (7). Su queste sconcordanze fra i nostri risultati e quelli del Pictet noi finora non abbiamo voluto insistere. Vedendo peraltro che recentemente L. Bernardini, in un lavoro intitolato « Za nicotina del ta- baeco (contributo alla conoscenza della genesi e della funzione degli alca- loidi nelle piante) »(*), riporta e commenta i risultati del Pictet senza curarsi dei nostri, crediamo utile di spiegarci un poco più chiaramente. Secondo Ber- nardini, « i/ Pictet sarebbe riuscito a dare un appoggio sperimentale a questa «sua geniale ipotesi; ha potuto infatti isolare 0 dimostrare la presenza « di parecchie sostanze a nucleo pirrolidinico e piridico non solo fra gli « alcaloidi del tabacco, ma în quasi tuite le piante sottoposte a ricerche, «come nella coca, nel pepe nero, nel prezzemolo, nella carota ». Noi rite- niamo invece che la presenza dei cosiddetti protoalcaloidi nel senso voluto dal Pictet non possa essere generalizzata, e che le basi pirroliche, da lui riscontrate nell’estratto di tabacco e non sufficientemente accertate nelle altre piante, possano avere altra origine. Cogliamo poi questa occasione per fare osservare al dott. Bernardini che egli, nel citato lavoro, ha trascurato anche in altri punti le nostre ri- cerche. Innanzi tutto, contrariamente alla sua affermazione, i semi di ta- bacco contengono nicotina, sebbene in piccola quantità; e la sua presenza è stata da noi dimostrata fin dal 1915 (°). Inoltre, prima delle esperienze di Bernardini sull'effetto determinato dalla nicotina in comparazione colla piri- dina e la picolina sulla germinazione dei semi di tabacco, noi avevamo ese- guito tutta una serie di ricerche, che non sembrano note al Bernardini, per confrontare l’azione dei composti fondamentali con quella dei più prossimi (1) Action de quelques substances organiques sur les végétaua. « Annales de chemie », 92 série, tome IV, pag. 20 (1915). (2) Sul contegno di alcune sostanze organiche nei vegetali, VI Memoria. « Memorie della R. Accademia delle scienze di Bologna », serie 62, tomo X, pag. 150 (1913). (3) Questi « Rendiconti », XX, /, 614 (1911). (4) Sul contegno ecc., V Memoria. « Memorie della R. Accademia delle scienze di Bologna », serie 6%, tomo IX, pag. 75 (1912). (5) Sul contegno ecc., VI Memoria (loc. citato, pag. 149). (9) Ibid,, pp. 147-149. (7) Ibid., pp. 149-150. (8) Questi « Rendiconti ». XXIX, /, 62 (1920). Vedasi anche « Bollettino tecnico (2, anno 1919) del R. Istituto scientifico sperimentale del tabacco », Roma, Scafati. (9) « Annales de chemie », 9® sèrie, tome IV, pag. 16 (1915). — 419 — loro derivati. Abbiamo così accertato che la nicotina è notevolmente tossica per le piante di fagiuoli, mentre la piridina è innocua e lo è pure la pipe- ridina o assai lievemente nociva; sono invece velenosi i derivati della pipe- ridina, quali l’n-metilpiperidina, l'acetilpiperidina, la piperina, la conina e i sali di dimetilpiperilammonio. Così pure, mentre la xantina è innocua, la teobromina e più ancora la caffeina esercitano un'azione tossica. Risultati simili abbiamo ottenuto colla codeina e coll’eroina che sono più tossiche della morfina, colla cinconina che è meglio tollerata della chinina, colla cocaina che ha azione più pronta ed intensa che non l’atropina. Queste osservazioni, pubblicate nelle nostre IX, X e XI Memorie degli anni 1917, 1918 e 1919 ('), sono confermate da altri fatti esposti nella XII Memoria (?) che hanno indicato come la picolina sia più tossica della piridina, la chi- naldina più della chinolina e dell’isochinolina, la cocaina assai più tossica dell’ecgonina e dell'etere metilico della nor-ecgonina, mentre la nor-ecgonina, che è il composto fondamentale, non esercita alcuna azione. Tutti questi fatti e la prova che gli alcaloidi naturali hanno in genere un'azione marcatamente tossica per le piante ci hanno fatto più volte espri- mere l'opinione che i radicali in genere, lungi dall'avere un'azione protettiva sui gruppi reattivi quali gli ossidrili ed i gruppi aminici ed iminici, esaltino l’azione delle sostanze fondamentali per adibirle a speciali funzioni; epperò abbiamo supposto che gli alcaloidi potessero avere l’ufficio di ormoni vege- tali. Di questo nostro modo di vedere il Bernardini non fa menzione, e dalle sue esperienze giunge invece ad una interpretazione che tende a conciliare l'ipotesi del Pictet con quella del Clautriau nel senso che le piante, non po- tendo eliminare i prodotti di rifiuto del catabolismo azotato, li trasformano opportunamente dando origine agli alcaloidi, allo scopo di difendersi dai nemici esterni. . Abbiamo già detto che l'assenza, in linea generale, dei protoalcaloìdi toglie la base sperimentale all'ipotesi del Pictet. Osserviamo inoltre che, contrariamente all'affermazione del dott. Bernardini, le piante possiedono mezzi assai efficaci, come noi ripetutamente abbiamo dimostrato, per elimi- nare i prodotti di rifiuto: l'ossidazione e la traspirazione (8). E poichè l’evi- denza dei fatti porta ad escludere che le piante, per sbarazzarsi di prodotti di rifiuto dannosi, li trasformino in alcaloidi che sono molto più tossici, il Ber- (1) Sul contegno ecc.,IX Memoria, « Gazzetta chimica italiana », XLVII, 2, 109 (1917); X Memoria, ibid., XLVIII, /, 253 (1918); XI Memoria, ibid., XLIX, 2, 88 (1919). Ve- dasi anche: questi « Rendiconti n, XXVI, /,3 (1917); XXVII, 7, 38 (1918); XXVIII, 7, 13 (1919). (2) « Memorie della R. Accademia delle scienze di Bologna », serie 72, tomo VII, pag. 17 (1920). Vedasi anche questi « Rendiconti», XXIX, /, 10 (1920). . (3) Vedasi le nostre citate Memorie ed inoltre questi « Rendiconti», XXVII, 2, 293 (1918). RENDICONTI. 1920, Vol. XXIX. 1° Sem. 55 — 420 — nardini richiama in onore la vecchia ipotesi del Clautriau. Ma anch'essa non sembra che possa reggere ad un attento esame. Come lo stesso Bernardini rico- nosce, le nzcoliane sono attaccate sia da parassiti animali sia da parassiti vegetali e noi pure abbiamo avuto spesso occasione di notare che le piante alcaloi- diche vengono invase da colonie di afidi, che dimostrano anzi per esse una spiccata predilezione, danneggiandole seriamente e compromettendone l'esi- stenza. Neppure l’esperienza del Bernardini, secondo la quale nelle piante cimate la nicotina affluisce abbondantemente nella parte lesa per difenderla dai parassiti, porta, secondo noi, un notevole appoggio alle sue affermazioni, poichè le piante sanno provvedere altrimenti alla propria incolumità colla rapida cicatrizzazione delle ferite. Assai meglio il fatto si trova invece in armonia colle nostre vedute, interpretandolo come un mezzo col quale le piante cercano di ristabilire l'equilibrio funzionale turbato dalla lesione. Chimica. — £icerche sopra i neri di pirrolo. Nota VIII del Socio A. AnceLI e C. LUTRI. Le esperienze che formano oggetto della presente Nota sono un seguito di quelle che abbiamo descritte in una precedente comunicazione sopra lo stesso argomento (*) e che noi abbiamo eseguite allo scopo di raccogliere nuovi dati che ci servissero a chiarire il modo di formazione e la struttura dei neri di pirrolo, nonchè di stabilire con quali altri composti il pirrolo è in grado di fornire sostanze che presentino analogie con gli stessi neri. Abbiamo già descritto uno dei prodotti, il meno solubile, che si otten- gono per azione del pirrolo sopra il benzochinone, operando in presenza di acqua, e che con tutta probabilità risulta costituito da residui pirrolici e chinonici riuniti fra di loro in seguito a processo di ossidazione. Data l’insolubilità del prodotto in tutti gli ordinarî solventi, noi natu- ralmente non possiamo essere ancora sicuri che esso rappresenti una sostanza unica, e perciò abbiamo anche cercato di eseguire la preparazione in condi- zioni diverse di esperienza : era perciò da aspettarsi di arrivare alla stessa sostanza, nel caso di un prodotto unico, ovvero ad un miscuglio in cui pro- babilmente i componenti sono contenuti in proporzioni differenti e perciò di diversa composizione, nel caso si trattasse di più sostanze che contempora- neamente si formano e che possiedono caratteri che si rassomigliano. Naturalmente abbiamo evitato i reattivi che possono alterare per conto loro il pirrolo (quali, per. es., gli acidi minerali diluiti), i solventi iu cui la reazione si compie in modo troppo lento (come l'etere ed il benzolo), quelli (1) Da ora in avanti indicheremo con un numero le Note successive sopra questo arcomento. La Nota 18 è comparsa nel vol. 24 (1915), sem. 2°, pag. 3, di questi Rendiconti. — 421 — che potevano venire alterati dal chinone (come l'alcool), e quindi siamo ri- corsi all'impiego dell'acido acetico glaciale. Grammi 4 di chinone vennero sciolti in circa 100 c.c. di acido acstico tiepido, ed al liquido si aggiunsero gr. 0,7 di pirrolo. La soluzione assume tosto un'intensa colorazione violetta e, dopo circa un'ora, incomincia a sepa- rarsi una polvere nerissima. Nel domani venne raccolta su filtro e lavata prima con acido acetico e poi con acqua; secca a b. m. pesa 2 grammi. Anche in questo caso l’acido acetico e l'acqua esportano sostanze colorate, e perciò più solubili, che ancora non abbiamo esaminato. Il prodotto così ottenuto venne esaurito a lungo con alcool, il quale solamente in principio passa lievemente colorato in violaceo: gr. 0,2102 diedero gr. 0,5331 di CO, e gr. 0,0560 di H.0; gr. 0,2233 diedero ce. 11,2 di azoto a 11° e 768 mm.; da cui (1) C 69,16 H 2,96 N 6,09 La composizione coincide quindi esattamente con quella del prodotto ottenuto in soluzione acquosa che abbiamo descritto nella nota precedente: C 69,22 69,14 H 2.90 2,86 N 6,11 - e perciò è molto probabile che si tratti dell’identica sostanza e quindi di un prodotto unico. Anche le proprietà dei due prodotti sono le stesse. Per quello che si riferisce alla struttura della sostanza, ancora nulla possiamo dire, giacchè le poche esperienze che finora abbiamo eseguite non ci hanno condotto a risultati concludenti. È probabile però, come si è già detto, che sì tratti di anelli chinonici uniti ad anelli pirrolici; questa supposizione sa- rebbe avvalorata dal fatto cui abbiamo già accennato, che da @-metilindolo e chinone si ottiene il prodotto CT DIANA NH Cs Hs 03 CH; (*) Anche queste analisi sono state eseguite nel laboratorio di Firenze del professor G. Cusmano, al quale esterniamo i nostri ringraziamenti. — 422 — mentre i pirroli a-bisostituiti forniscono i derivati ere sas Guurd Questo fatto dimostra soltanto che gli atomi di carbonio del pirrolo situati fin £ si saldano facilmente agli anelli chinonici; come si comportino gli atomi di carbonio situati in @, ancora non è stato studiato ed è quello che ci pro- poniamo di determinare per mezzo delle ricerche che abbiamo iniziate. Come è stato precedentemente descritto, il pirrolo fornisce prodotti inten- samente colorati in nero anche per azione dell'acido nitroso (*); siccome non è improbabile che in questo caso si formi in una prima fase un nitroso- pirrolo, così, data l’impossibilità di ottenere questo composto allo stato li- bero e data l'analogia di comportamento che i nitrosopirroli noti presentano con le chinonossime (nitrosofenoli), per meglio orientarci anche in questo campo intricato, abbiamo giudicato opportuno di studiare anche l’azione del- l’ordinario nitrosofenolo sopra il pirrolo stesso. Come hanno dimostrato le nostre esperienze precedenti, i veri nitrosoderivati (come, per es., il nitroso- benzolo in soluzione acetica od alcoolica) reagiscono molto lentamente sul pirrolo e sugli indoli; la reazione avviene invece rapidissima operando in presenza di alcoolato potassico, ma in questo caso si ottengono prodotti che non hanno alcuna analogia con quelli che a noi interessano. La reazione procede invece in modo diverso impiegando il nitrosofenolo in soluzione acetica, giacchè anche in questo caso, in presenza di pirrolo, si ottiene una sostanza colorata in nero; la reazione procede però molto più lenta che non in presenza di chinone. Grammi 1 di pirrolo e gr. 2 di p-nitrosofenolo, sciolti a freddo in circa 50 c.c. di acido acetico glaciale, dànno un liquido che ben presto si colora intensamente in nero violaceo, e nel domani si vede che ha incominciato a depositarsi una massa nera che aderisce tenacemente alle pareti della bevuta; dopo una settimana, sèguita ancora a depositarsi prodotto. Venne separata la soluzione acetica, che è colorata in rosso bruno, ed il residuo, lavato prima con acido acetico ed alcool, viene esaurito con alcool a ricadere, che sola- mente in principio passa lievemente colorato. Si ottiene così una polvere amorfa, colorata intensamente in nero violaceo, insolubile negli ordinarii sol- venti; si scioglie invece negli alcali, con colorazione nera. Per riscaldamento non tonde e manda vapori che colorano intensamente in rosso un fuscello di abete bagnato con acido cloridrico; per l’analisi venne (1) Angeli e Cusmano, « Gazzetta chimica », 1917. — 423 — seccato a 90°-100°; al pari degli altri neri, esso brucia con grandissima difficoltà. gr. 0,2286 diedero gr. 0,5651 di CO, e gr. 0,0863 di H.0; gr. 0,1694 diedero c.c. 20,3 di azoto a 15° e 760 mm., da cui (9, 67,41 H 4,19 N 14,64 Si comprende subito che da questi numeri, in mancanza di altri dati, anche in questo caso si possono calcolare numerose formule; i caratteri però + del prodotto (che è amorfo, non fonde, è insolubile in tutti gli ordinarî sol- venti) fanno vedere che esso pure deve possedere peso molecolare elevato. Fra le formule possibili accenneremo alle seguenti: Cso H N O; Cas Hu Ne O; C 67,37 67,13 H 3,88 4,19 N 14,73 14,68 secondo le quali il prodotto deriverebbe da 2 molecole di pirrolo e 4 mole- cole di nitrosofenolo* 2 (07 H; N+4 Ci IElS NO, —- 3 H.0 — H, UA iS N: 05; ovvero 2 C, Hc N+4 Ce H; NO, — 3 H,0 MPS Hu Ne 0;. La soluzione alcalina della sostanza, bollita con polvere di zinco, dà un liquido incoloro che all'aria annerisce nuovamente; con acqua ossigenata in soluzione acetica si scolora del pari e fornisce una sostanza cristallina che non abbiamo ancora esaminato per causa della scarsità del prodotto che ave- vamo a nostra disposizione. Accenneremo inoltre che anche la p-chinonimmina e la p-chinondiimina reagiscono col pirrolo per dare prodotti intensamente colorati e che ci riser- viamo di studiare. Resta inoltre da vedersi in quale relazione stiano con questi composti le macchie brune e nere che si producono sulla pelle per azione di molti derivati chinonici; è poco probabile che esse siano dovute ad am- minoacidi semplici, giacchè questi reagiscono, per es., sul chinone in modo analogo alle ammine. Come ha dimostrato E. Fischer (*), il derivato che si ottiene dalla glicocolla è colorato in rosso. (1) « Berliner Berichte », 43 (1910), pag. 525. SUN Petrografia. — Sull’italite: un nuovo tipo di roccia leucitica (!). Nota del Socio HENRY S. WASHINGTON. Introduzione. — Lo Zirkel (2) fu il primo, nel 1867, a scoprire (con l'aiuto del microscopio allora recentemente introdotto nello studio delle ‘roccie) che la leucite in cristalli microscopici entra come costitutivo essen- ziale in un numero discreto di cosiddetti basalti, e diede il nome di basalto leucitico a tali roccie basaltiche che non contengono feldispati. Il nome di leucitite poi è stato generalmente adoperato, ed è quello adesso usato per le lave costituite essenzialmente di leucite ed augite in parti press'a poco eguali. Trent'anni dopo la scoperta dello Zirkel, il Whitman Cross ha pro- posto che « il nome leucitite fosse riservato alla roccia, non ancora cono- sciuta, che risultasse costituita essenzialmente da leucite, con altri minerali d'importanza soltanto accessoria » (3). Uguale proposta ha fatto per il nome « nefelinite ». Fuovi d’Italia si incontrano di rado le roccie leucitiche, e sino al pre- sente non sì è affacciata l'occasione di dare attuazione alla proposta del Cross. La presente nota si propone appunto di descrivere, in modo conciso, ana tale « leucitite », secondo Cross, cioè una roccia lavica che è costituita quasi interamente da leucite. Iì nome « leucitite », essendo stato usato per molti anni, è arrivato a denotare la presenza dell’augite, insieme con la leucite, in parti quasi uguali. e con l’aggiunta di quantità piccole di magnetite, di apatite, e talvolta di nefelina; cosicchè, le roccie denominate leucititi sono molto femiche e, nel sistema di classificazione quantitativa, si trovano per la parte maggiore nel salfemane (4). Il nome è una delle nostre molte eredità dei primi giorni della scienza petrografica, quando la presenza di minerali rari o inaspettati fu considerata un fattore di primo ordine nella nomenclatura delle roccie, molto prima che non si fosse cominciato a riconoscere l'importanza dei rapporti quantitativi fra i minerali che costituiscono le roccie. Ciò posto, non è oppor- tuno seguire il Cross e adoperare in senso nuovo il vecchio nome « leuci- (i) Lavoro eseguito nel Geophysical Laboratory, Carnegie institution, a Washington, (?) Zirkel, Zeits. deut. geol. Ges., a. 1868, pag. 97. Cfr. Zirkel, Basaltgestein Bonn 1870, pag. 44. (3) Cross, Amer. journ. Sci. (3), vol. 4°, pag. 137. a. 1897. (4) Vuol dire che contengono normalmente parti uguali di minerali salici e femici. Cfr Washington, Boll, soc. geol. ital, vol. XXXIII, pp. 159-167 an. 1894, per una spie- gazione della « classificazione quantitativa n° — 425 — tite ». È meglio. per evitare equivoci, adottare un nome nuovo. E propongo quello di :/a/z/e, scelto in omaggio al paese, nel quale sono tanto abbon- danti le roccie leucitiche e dove, ben a proposito, questo nuovo e tanto cer- cato tipo di roccia è stato scoperto. La roccia mi fu fatta conoscere per la prima volta nell'ottobre 1919 dal barone dott. G. A Blanc della R. Università di Roma, e dall’inge- gnere F. Jourdain, i quali ne fecero la scoperta nell'estate scorsa sul fianco ovest del vulcano di Rocca Monfina nei pressi di S. Carlo. Secondo le indi- cazioni dei detti signori, la roccia costituisce non un ammasso di tufo, ma una vera corrente lavica, con una lunghezza di più di 100 metri ed uno spessore notevole. Essendo sul punto di partire da Roma per recarmi negli Stati Uniti, non mi fu possibile di visitare la località, ma ebbi dai siggn. Blanc e Jourdain la promessa di invio di maggior quantità della roccia, insieme con una de- scrizione della località. Mi è grato di esprimere loro sentiti ringraziamenti per il dono del piccolo campione mostratomi. e per il permesso di farne uno studio e di pubblicarne i risultati. Reputo buona fortuna per loro l'aver scoperto e per me il poter deseri- vere un nuovo tipo di roccia, tanto raro ed interessante, tanto cercato, e tanto... italiano. Tostochè mi arriverà materiale sufficiente, questa nota sarà ampliata con nuove analisi (della roccia, del pirosseno, e del granato) e con una descrizione più completa. Si può aggiungere che la parte che mi resta del campione affidatomi è stata depositata nella collezione petrografica del U. S. Geological Survey a Washington. Caratteri macroscopici. — Il campione di roccia (il quale pesava soltanto circa 80 grammi) è biancastro, ma con macchiette giallastre, dovute ad un'alterazione superficiale. La massa interna, però, è ben fresca, come si vede dall'analisi e dallo studio della sezione sottile. Da una parte si trova una superficie liscia e un po’ ricurva, come quella dei blocchi che si formano nella solidificazione delle lave molto viscose. La roccia è grossolanamente granulare, composta quasi tutta di cristalli sferoidali di leucite, di una grandezza press'a poco uguale (da 3 a 5 mm. di diametro). Questi sono incolori, chiari come l’acqua, con frattura concoide, e con lucentezza piuttosto grassa, che è tanto caratteristica delle leuciti italiane I grani mostrano ben poche facce cristalline, come se il loro accre- scimento fosse stato impedito per mutua interferenza, cosicchè formano in generale anedri equanti ('). Riempie gli spazî irregolari interstiziali una pic- cola quantità di una sostanza afanitica, grigio-chiara, di scarsa lucentezza. Dapprima questa fu considerata come un prodotto di decomposizione caolinica, ma il microscopio dimostrò che in verità è un vetro. Questo vetro funziona come cemento fra i cristalli di leucite, i quali però sono ben debolmente (') Vuol dire, cristalli senza facce cristalline e di dimensioni quasi uguali in tutti i sensi. — 426 — aderenti, cosicchè si staccano facilmente; e la roccia è molto friabile, tanto che si può sminuzzarla fra le dita senza difficoltà. Vi sono pochi prismi piccoli e neri di pirosseno, alcuni dei quali si trovano nel vetro ed altri nella leucite. Meno numerosi, ed ancora più pic- coli, sono granelli neri di granato (melanite). Non si vedono, ad occhio nudo. altri minerali nel campione. Anticipando la descrizione microscopica, si può dire che, benchè la roccia rassomigli ad un tufo leucitico un poco coerente, l’esistenza della superficie piegata, e soprattuto la presenza del vetro, il fatto che cristalli di pirosseno sono in parte nel vetro e in parte nella leucite, e la struttura rivelata dal microscopio, sono tutti caratteri che non lasciano dubbio che il campione proviene da una corrente di lava, e che non è un frammento derivato da uno degli ammassi di tufo leucitico che si incontrano in questo vulcano. Davvero è lecito di credere che tali « tufi », o almeno alcuni di questi, sieno realmente correnti di italite, ritenute erroneamente tufi per la grande fria- bilità della roccia. Caratteri microscopici. — Purtroppo, mi è servita per lo studio micro- scopico una sola sezione sottile, e questa pure non troppo grande, due altre essendo andate in frantumi per la friabilità della roccia. I cristalli (fenocristalli) di leucite occupano quasi tutta l’area della sezione. Sono chiari come vetro ed assolutamente freschi. Presentano in modo spiccatissimo la geminazione caratteristica, poichè quasi tutta l'area di ogni cristallo mostra, fra nicols incrociati, numerose lamelle d'orientazione diversa, alcune sottili ed altre larghe. Invero, fra il gran numero di sezioni sottili delle lave leucitiche italiane che ho studiato, non ne ricordo nemmeno una che mostri la struttura geminata in modo tanto caratteristico. I cristalli di leucite sono quasi sprovvisti di inclusioni, ed è importante il notare che non si vede mai l'ordinamento normale regolare, o radiale o zonale. Come inclusioni vi si trovano alcuni piccoli anedri di pirosseno e pochissimi granuli di granato, con rarissimi aghetti d’apatite. Una piccola area in uno dei cristalli di leucite è affollata di piccolissime (0.01-0.05 mm.) inclusioni sferoidali, ciascuna composta di vetro contenente granelli, ancor più piccoli, di una sostanza incolore e birifrangente. Il pirosseno non è abbondante, e lo si trova per la maggior parte nel vetro fra le leuciti; ma talora anche lo stesso cristallo è compreso in parte nel vetro e in parte nella leucite. È una egivina-augite, o piuttosto una egirina diopside, come uno studio (non ancora pubblicato), fatto dal dott. Merwin e da me, ha dimostrato essere la maggioranza delle egirine così dette egirine- augiti. I cristalli sono subedrali e prismoidali, con poche facce prismatiche. Il colore è un verde-giallognolo cupo, ed il minerale è un poco pleocroico ; ì colori variano da un giallo-verdognolo ad un verde-giallastro. L'angolo d'estin- zione è circa 40°: @ = 1.710-1.715: y= 1.752, 2V = 70° circa, secondo — 427 — il dott. Merwin, che mi ha gentilmente fatto queste ed altre determinazioni. Non fu possibile, data la piccola quantità di materiale disponibile, isolare il pirosseno in quantità sufficiente per farne un’analisi soddisfacente, cosicchè bisogna differirne lo studio chimico a quando mi sarà pervenuta maggiore quantità della roccia. i Si trovano, spesso incluse nel pirosseno, piccole tavolette di una biotite di color rossognolo-cupo, alcuni granelli di magnetite; e rarissimi prismi tenui d'apatite si osservano ancora nelle roccie. Non si è verificata la presenza di melilite, nè di bhauyna, nè di no- seanite. Come base esiste un vetro incolore, in quantità piccola, ed interstiziale fra le leuciti. È senza fenditure perlitiche, ma contiene alcune piccole bolle e, di rado, granuli di magnetite. In gran parte il vetro è sparso di microliti piccolissimi sferoidali, di una sostanza incolore e birifrangente, riuniti in catene, come streptococchi, o dritte o curve. Composizione minerale quantitativa. — Avendo a mia disposizione una sola sezione sottile, e questa pure non sicuramente rappresentativa, non ho determinato la moda secondo il metodo del Rosiwal, cioè misu- rando traverse in sensi diversi. Ma dalla considerazione dei valori esposti nella norma (vedi appresso) e dalle separazioni fatte con liquidi pesanti e con la calamita, si può calcolare la moda o composizione minerale attuale come segue: Leucite . . ..... 90 Hauvnite SARE 2 DA NO eee Pirosseno |... .°.. . 4 Melanite . . ..... 1.5 IR TOUITE A 0.2 Mapneute o LU 0.2 Apatile cà Ri fa 0.1 100.0 È da supporre che la hauynite e la melilite, nè l'una nè l'altra delle quali si osservano nella sezione, esistano non cristallizzate nel vetro, la quan- tità del quale si può valutare a circa 4 per cento della roccia. La presenza di hauynite, di melilite e di melanite è in perfetto accordo con le composi- «zioni minerali d’altre roccie leucitiche italiane, che spesso contengono questi minerali in piccole quantità. Composizione chimica. — Per l'analisi chimica, 18 grammi (circa un quarto di campione) furono sminuzzati in frantumi sopra un foglio grande di carta, e l’intero di questa porzione fu ridotto a polvere e ben mescolato. RenDICONTI. 1920. Vol. XXIX, 1° Sem. 56 — 428 — È da ritenere che ciò rappresenti abbastanza bene la composizione media del campione, benchè un saggio più ampio sarebbe, senza dubbio, migliore. L'analisi fu fatta secondo i metodi usuali, descritti da Hillebrand (') e da me (?). Gli alcali e l'anidride solforica furono determinati in doppio. I risul- tati sono esposti nella colonna 1 della tavola qui aggiunta, con altre analisi di altre roccie leucitiche per confronto. Analisi dell’italite e di altre roccie leucitiche n 2 3 4 DI 6 Si 0, 51.02 54.17 91,65 50.25 51.20 47.39 Ala Og cata eGZEzza 10.16 21.60 21.41 21.21 14.79 RO, DI E43 3.84 0.85 1.76 2.98 3.10 Re O I 01577 0.85 gl 1.82 3.67 5.08 Mg 0 0,14 6.62 1.07 0.31 1.99 6.77 (Op 0 e RII 4.19 4.29 4.48 5.42 11.61 NASO REI JO 4.30 5.16 2.11 1.49 Ore F7:94 11.91 11.60 11.32 10.63 6.93 RO ee ORE) 1.01 0.96 0.62 0:28 0.77 Ia (0, e de dI 0.52 0.34 0.10 0.28 CO PO nil 0.49 Didi 0.32 nil nil O e 0 DI 2.67 0.65 0.57 0.74 1.41 Ir RIM O:06 0.22 nad: 0.02 0.03 0.04 PIO REA Z010O 1.59 n. di 0.12 0.36 0.45 SO RESO 6) 0.16 nd 1.05 tracce nil CIARA 198 0.06 0.07 0.18 Mede Did: (Ce, Y)x 0g . . tracce n. d. n. d. nedi neadi 0.05 MAO N00 0.06 n. d. necdi Dadi n. d. Ba Ore e e0120 0.59 NaSds 0.13 0.33 0.16 SHOE eno: 0.18 ni vd: tracce neid: 0.04 99.97 100.21 * 100.20 99.86 100.45 100.35 * Inclusi, F=0‘36; Crs03= 0.05; NiO e Lis0= tracce. 1. Italite. presso San Carlo, Rocca Monfina (Washington anal). 2. Orendite, Leucite Hill, Wyoming [Hillebrand anal.; Cross, Amer. journ. sci. (4), Iv pag. 130, an. 1907]. 8. Trachite leucitica, Monte Somma (Pisani anal.; Lacroix, Comptes rendus 1907, CXLIV, pag. 1249), 1907. 4. Tavolatite (tefrite leucitica), Tavolato, Colli Albani (Washington anal.; Roman co- magmatic region, 1906, pag. 51). . Vicoite (tefrite leucitica), monte S. Antonio, Rocca Monfina (Washington anal.; Roman comagmatiec region, 1906, 92). 6. « Leucitite », Monte Jugo, vulcano di Bolsena (Washington anal.; Roman comagmatic region, 1906, pag. 124). (Dx | (') W. F. Hillebrand, Bull. S. U. geol. survey, n. 700, an. 1919. (2) H. S. Washington, Manual of the chemichal analysis of rocks, New York 1919. — 429 — A primo aspetto è evidente che ia composizione chimica dell'italite (1) è molto caratteristica. Mostra quantità grandi di Si0,, Al,0; e di K,0 (nell'insieme più del 91 per cento), quantità piccole di Fey 0; , Ca0, e di Na,0, e quantità minime degli altri composti. La quantità percentuale di SiO, è minore di quella della leucite, mentre le quantità di Al, 0; e di Nas 0 sono quasi le stesse di questo minerale. Ma la cosa più notevole è la cifra altissima per la :K,0, la quale è più alta del 50 per cento che non in qualungue altra analisi sinora conosciuta. In secondo luogo, sotto questo punto di vista si trova l’orendite (2), una delle roccie singolari della Leucite Hills, costituita in gran parte di ortoclasio e leucite, con quantità minori di diopside e di biotite. Somiglianti a questa (benchè con differenze nelle cifre per Si 0, , Als 03, ecc.) sono le analisi (3, 4, 5) che si trovano nella tavola. Per confronto è riportata (6) un'analisi dì una « leucitite » tipica, la quale contiene circa 32 per cento di leucite e 50 per cento d’augite. La cifra per Na»0 è un po’ più alta di quella della generalità delle leucititi italiane. Sono da notare la preponderanza dell’ossido ferrico sopra il ferroso e la cifra discretamente alta per Ca 0. Fra i componenti accessorî le cifre per S03 e Ba 0 sono alte. È ben conoscinto che l’hauyna è frequente nelle roccie vulcaniche alcaline d'Italia, e si può aggiungere che l'anidride solforica si trova in tutte le lave molto potassiche di Leucite Hills. Ho indicato altrove (!) che il bario mostra una tendenza a trovarsi in quantità notevole nelle roccie ricche in potassa. In questa nostra roccia è da supporre che formi parte della leucite. Non ho potuto trovare nella letteratura mineralogica una cifra per Ba O in nessuna analisi di leucite, cosicchè ho fatto questa deter- minazione in un cristallo grande del Vesuvio. Ne ho trovato 0.08 per cento. È dunque ragionevole di credere che il Ba O che si vede nell'analisi (1) appartenga alla leucite, ma che a Rocca Monfina questo minerale ne con- tenga più che non nel Vesuvio. Classificazione e nome. — I dati per la classificazione dell’italite, se- condo il sistema così detto quantitativo o americano, sono forniti nelle se- guenti cifre della « norma » (cioè dell'analisi calcolata in molecole dei minerali « standard » o normativi): AMortito. «.. . + L 2,78 Diopside 0.86 Meu Ie e eee 82162 Wollastonite Duo Nefelite . . . . . 4.83 Magnetite 0.23 Kei oto ee e 0A Tlmenite 1.06 Thenardite. . . . 1.42 Ematite . 1.28 È da ricordare che tutte queste sono molecole, non minerali effettivi: in parte si trovano nella roccia come i minerali così denominati, e in parte entrano nella composizione di altri minerali. Per esempio, tutta la leucite normativa entra nella leucite della roccia, insieme con la nefelite e la kalio- (1) Roman comagmatie region, 1996, pag. 1888. Trans. amer. Inst. min. eng., 1908, pag. 75 4. — 430 — filite. L'ematite entra, nel granato, e con la soda della thenardite nell’egi- rina, e il SO; della thenardite entra nella hauyna, con un po' della calce della wollastonite, la maggior parte della quale, con diopside e ilmenite, entra nel pirosseno e nel granato. Secondo questa classificazione, l'italite occupa la posizione indicata dal simbolo I. 9. 1. 1. Questo nuovo « subrang » perpotassico non è stato ancora rappresentato, e si può chiamarlo monfinose. Indicando l'insieme dei carat- teri minerali (modali) e strutturali con l'aggettivo morfina, il nome della roccia, secondo questa classificazione, sarebbe monfinal monfinose. Nelle classificazioni qualitative e modali (secondo la composizione mine- ralogica effettiva), questa roccia è stata sin’ adesso sconosciuta. Come ho detto prima, benchè sia veramente una roccia alla quale si può logicamente applicare il nome di « leucitite », non è pratico di cambiare il senso di questo, cosicchè la chiamo z/4/z/e, significando con tal nome una roccia effu- siva e porfiritica, costituita quasi interamente (più dell'80 per cento) di leu- cite in grossi cristalli, e con quantità piccole e quasi trascurabili di piros- seno, vetro, ecc. APPENDICE. Melanite titanifera. — Con la calamita fu isolata dalla polvere del- l'italite la piccola quantità di 0.0639 grammi di granelli di granato, in uno stato quasi puro, od almeno sufficientemente puro, da servire per la deter- minazione dei caratteri del minerale. Ho eseguito un'analisi parziale su questo materiale, trascurando gli ossidi ferroso e manganoso, gli alcali e l'acqua, per scarsità di materiale. Ecco i risultati: Si 0, 29.7 496 ) .60 Ti0, 8.7 Sos AI 3. .08( DO a VE Fe, 0, 23.6 147 | Mg0 0.7 SOVIET ) Ca0 98.8 oa eaea 99.6 Oltre a una quantità discreta di Mn0O, a giudicare dal colore del car- bonato di sodio fuso, che si può valutare a 0.10-0.20 (o anche più) per cento, quest’analisi dimostra chiaramente che abbiamo da fare con un granato cal- cico-ferrico, benchè i rapporti molecolari non coincidano esattamente con quelli del granato. Si può ascrivere ciò in parte agli errori che sono pur- troppo possibili, analizzando una quantità tanto piccola, ed in parte alla presenza di un poco di ossido ferroso. Quest'ultimo ridurrebbe la somma di R,0; e, col manganese aumenterebbe la somma di RO, così avvicinando i rapporti fino a quelli del granato, cioè 3 : 1:83. — 431 — Il granato è evidentemente molto ricco in titanio, e in ciò rassomiglia alla melanite di Frascati ('); ed è giusto di chiamarlo melanite, benchè tutte le melaniti non sieno tanto ricche in titanio. Otticamente è perfettamente isotropo, non mostrando neanche traccia di doppia rifrazione anomala. ll dott. Merwin ha determinato l’iudice di rifra- zione, il quale è 1.94. Questo è molto elevato, e rassomiglia agli indici di altri granati titaniferi determinati anche dal Merwin, come segue: n li 0g (Melanite Rocca Monfina). . . . . . 1.94 8.7 Melanite (Beaver Creek, Colorado). . . 1.95 p Schorlomite (Magnet Cove, Arkansas). . 1.94 16.80 Ivaarite (Kusamo, Finland) . . . . . 2.01 18.98 Melanite (East Rock, New Haven). . 1.86-1.88 L'ultimo, senza titanio, mostra un indice molto minore: presenta qualche anomalia ottica, e perciò è da ascriversi a quelli formati a temperatura bassa. Vesbite (italite melilitica). — Mentre stavo scrivendo quanto precede, il dott. A. F. Buddington. del Carnegie Geophysical Laboratory, mi ha mostrato un campione di melilite da lui comperato dallo stabilimento Ward di storia naturale (Rochester, New York). I cristalli di melilite sono attaccati alle 5a2reti di cavità o screpolature di una roccia alquanto vesciculare, apparte- nente a un « blocco rigettato » del monte Somma. Benchè non sia, in via generale, troppo soddisfacente usare un tale campione come base della de- scrizione di un tipo nuovo di roccia, nondimeno, in questo caso, per essere la roccia tanto fuori del comune e tanto somigliante al mio campione di italite, un tal uso sembra esser giustificato. La roccia è d’un grigio-chiaro, olocristallina, e ben evidentemente una roccia ignea ed effusiva, e in nessun modo un blocco metamorfosato. È al- quanto grossolanamente granulare, composta in gran parte di grani di una leucite grigiognola-chiara, di forma un po’ irregolare e generalmente costipati insieme. I cristalli hanno un diametro di 3-5 millimetri. Si vede anche una quantità non troppo abbondante di un minerale bianco, che al microscopio si rivela per melilite. Piccoli prismi di pirosseno sono sparsi dappertutto. La roccia è un poco vescicolare, e cristalli tabulari e bianchi di melilite, di una larghezza raggiungente circa un mezzo centimetro, si trovano nelle cavità, Le sezioni sottili dimostrano che la roccia è composta di almeno 65 o più per cento di leucite, chiara e freschissima, in cristalli anedrali den- samente aggruppati. È molto interessante di notare che la struttura è vera- (*) Cfr. Knop, Zeits. Kryst.,-I, pag. 62, an. 1877. i mente granulare, proprio analoga a quella della missourite, la roccia leuci- tica intrusiva, scoperta dal fu professore Pirsson (!). La leucite mostra molto bene la struttura geminata, ma non tanto spic- catamente come la mostrano le leuciti dell’italite descritta disopra. Le poche inclusioni, di augite, non mostrano un ordinamento regolare. La leucite è per- fettamente chiara e senza traccia di decomposizione. Sparpagliati per la roccia, e a preferenza nelle leuciti, sono molti cri- stallini di augite. Per la maggior parte questi sono subedrali, e mostrano faccie di prismi e di piramidi. Il loro colore è un giallo-olivastro, non hanno pleocroismo e mostrano tendenza a struttura zonale. L'angolo d'estinzione è circa 45°, ed in generale sono somiglianti alle augiti delle roccie leucitiche italiane, con scarso contenuto cioè di molecole egiriniche. Non contengono inclusioni, ed è evidente che l’augite, con la magnetite, è stato il primo mi- nerale a cristallizzare. Una quantità considerevole di melilite sparsa fra i cristalli di leùcite, in modo interstiziale, è certamente l’ultimo minerale formatosi. Questa è in forma di tavolette grosse e subedrali, con sfaldatura basale ben marcata, senza le inclusioni comuni, e mostra il colore caratteristico grigio-azzurro- gnolo fra i nicols incrociati. In un altro lavoro questo minerale sarà descritto dal dott. Buddington in modo dettagliato. Oltre a questa melilite freschis- sima, si osservano cristalli di un minerale che della melilite hanno la forma e la sfaldatura, ma non il colore azzurrognolo fra micols incrociati, ed estinguono parallelamente alla base. Essi appaiono frangiati di zone strette di un prodotto che rassomiglia alla idronefelite o ranite. Si possono osservare alcuni granuli di magnetite, e qua e là qualche prisma d’apatite, ma non biotite, nè olivina, nè melanite, nè minerali del gruppo dell'hauynite. Non c'è vetro, ed è chiaro che la melilite lo sostituisce, benchè questo minerale non sia tanto ben marcatamente interstiziale come lo è il vetro dell’italite. Dallo studio della norma e delle lastre sottili si può valutare la moda, o composizione mineralogica quantitativa, come segue: Leucite . . . 60 (65) Pirosseno a ao (20) Melilite . . . 28 (18) Magnetite . . 1 (2) Perchè non fu possibile di separare tutti i cristalli di melilite, che si trovavano nella cavità, dal materiale che fu sottoposto all'analisi, la moda data nella prima colonna è troppo alta in melilite, ed una moda probabil- mente più giusta è espressa nella colonna seconda (in parentesi). Per l’analisi chimica una fetta di circa un mezzo centimetro fu tagliata attraverso il centro del campione, ed i cristalli di melilite ed il materiale foderante le cavità furono tolti per quanto riuscì possibile, senza ridurre (i) Amor. jomrn. sc. (4), II, pag, 815, an. 1896. — 433 — troppo la quantità di materiale da analizzare. I risultati dell'analisi sono } seguenti: Sì 0, 45.49 Hs0+ 0.93 Al» 0g 17.66 H.j0— 0.05 Fe, 0; 0.81 Ti 0 0.13 Fe 0 1.45 P.0; 0.16 Mg0 4.27 SO, nil Ca 0 16.72 Cl 0.03 Na, 0 1.66 Mn0 tracce K,0 11.44 100.80 Dall'analisi risultano quantità particolarmente alte di potassa e di calce. La silice e l’alumina sono tutte e due più basse che non nell'italite: gli ossidi di ferro sono quasi uguali a quelli dell’italite nella somma totale, ma in proporzioni inverse. La magnesia è decisamente più alta, e la quan- tità di soda in ambedue è identica. Fra i componenti accessorî, due cose interessanti sono le quantità di Ti0, e di SO, in confronto con quelle del- l'italite. Il titanio più alto nell’italite sta in rapporto alla presenza della melanite titanifera, la quale manca totalmente nella seconda roccia. In que- st’ultima anzi non si potè scoprire nemmeno una traccia di anidride solforica ed appena una traccia di cloro, e con ciò resta dimostrata l'assenza di mi- nerali del gruppo sodalitico. Secondo i metodi altrove esposti, si calcola la norma così: Anortite 6.95 Olivina 8.81 Leucite 47.70 Cas Si O, 25.22 Nefelite Z011 Magnetite 1.16 Kaliofilite 3.95 Ilmenite 0.30 Apatite 0.94 È chiaro che la maggior parte dell’anortite ed olivina normative sono usate per la formazione del pirosseno modale od effettivo; una piccola quan- tità di ciascuna, insieme cun un poco della nefelina, entra nella melilite. Giacchè la melilite ha un rapporto di basi alla silice un poco superiore a 2:1, cioè al rapporto degli ortosilicati, un poco della silice in eccesso an- drebbe a formare leucite dalla kaliofilite. Si potranno, peraltro, studiare i rapporti della norma alla moda solo dopo un’analisi accurata della melilite, che spero sarà fatta fra breve. Nella classificazione quantitativa, la roccia si trova nella classe dosa- lane, nell'ordine perlenico, nel rango domalcalico, e nel sottorango dopotas- sico. La sua posizione è indicata dal simbolo II” .(8)9.(1)."2. Non è stata ancora trovata alcuna roccia che appartenga a questo rango o sottorango, e propongo di denominare il rango vesbdase, ed il sottorango vesbose, tutti e due derivati dal nome dato alla roccia. — 4394 — È chiaro che questa roccia non ha nessun analogo assoluto nel sistema comune di classificazione delle roccie. Benchè rassomigli molto all’italite, contiene tanta melilite e pirosseno da meritare di essere distinta da questa, sebbene la si potrebbe chiamare un’italite melilitica. Rassomiglia anche alla roccia olivinica-melilitica-leucitica, la venanzite di Sabatini (!), ma que- st ultima contiene tanto di olivina, melilite e pirosseno da appartenere alla classe dofemane. Mineralogicamente, anche, sta vicina alla cecilite (leucitite melilitica), ma questa contiene più augite e meno leucite, ed è differente per la struttura e per altri caratteri. Per questa roccia nuova propongo il nome vesbiéte (*), significando così una roccia effusiva (in questo tipo un poco grossolanamente granosa), e com- posta essenzialmente da 60-70 per cento di leucite, e circa 20 per cento ciascuna di augite e mellilite. I rapporti chimici della vesbite con l’italite salica da una parte, e con le venanzite, cecilite, albanite e missourite, tutte O Ante piuttosto femiche, sono esposti nella seguente tavola d'analisi: 1 2 3 4 5 6 7 8 STO ere o 102 45.49 41.43 45.99 44.69 47.20 47.39 46.06 ATO CA e 22:21 17.66 9.80 16.56 14.57 17.66 14.79 10.01 Heg0O: e 48 0.81 3.28 4.17 5.56 3.51 3.10 SALT Rea iez40157 1.45 5.15 5.38 3.69 4.50 5.08 5.61 Mo OR. 0.14 4.27 13.40 5.30 5.85 4.20 6.77 14.74 Ca Of RR R2:81 16.72 16.62 10.47 11.68 9.52 11.61 10.55 Naz 0a 167 1.66 1.64 2.18 QISÙ 2.25 1.49 Jesi KO 794 11.44 7.40 8.97 8.62 7.63 6.93 5.14 HO 0195 0.98 iaaai 0.45 0.61 * 1,29 1.05 0.73 TOT RO: 0.13 0.29 0.37 1.03 1.19 1.41 0.73 Pare Se A0:02 0.16 nil 0.56 1.16 0.58 0.45 0.21 Moe 001 tracce n. d. n. d. 015 n. d. 0.27 tracce Incl 0/0. 140 0.08 —_ 0.25 — 0.23 0.27 0.60 99.97 100.80 100.12 100.65 100.06 99.76 100.34 99.57 *H,0-+=0.60; H:0—=0.11. 1. Italite: Rocca Monfina (Washington analitico). 2. Vesbhite: monte Somma (Washington analitico). 3. Venanzite: Pian di Celle Umbria (Rosenbusch, Sb. Berl. Akad., 1899, pag. 110). 4. Cecilite: Capo di Bove, vulcano Albano (Washington anal.; Rom. Com. Region, 1896, pag. 139). 5. Cecilite: Laghetto, vulcano Albano (Washington anal.; non pubblicato). 6. Albanite: Arcioni, vulcano Albano (Washington anal.; Rom. Com. Region, 1906, pag. 113). 7. Albanite: monte Jugo, vulcano Vulsinio (Washington anal.; Rom. Com. Region, 1906, pag. 124). 8. Missourite: Higwood Mountains, Montana (Hurlburt anal.; Pirsson, Amer. journ. sci. 4, II, 1896, pag. 321). I (1) Sabatini, Boll. com. geol. ital., 1898. (*) Nome derivato da un nome latino antico del Vesuvio. — 435 — Cecilite è l'antico nome dato da Cordier (') alle « leucititi » meli- litiche, il quale è stato di nuovo proposto per queste roccie (*). Il nome albanite (8) è proposto qui, in sostituzione del vecchio « leucitite », a signi- ficare una roccia effusiva composta in parti quasi uguali di leucite ed au- gite, e con quantità accessorie e trascurabili di plagioclasio, melilite, olivina, magnetite ed apatite. Matematica. — Sw alcune disequazioni funzionali, e sugli sviluppi in serie che se ne deducono. Nota di GIULIO ANDREOLI, presentata dal Corrisp. R. MARCOLONGO. In una Nota precedente (‘) abbiamo dimostrato che l'equazione fun- zionale > flo + a) =0 (ap @,,PE 9) non ammette soluzione, qualora si imponga alle / la condizione di avere modulo massimo finito; e da questo abbiamo dedotto altresì l'unicità dello sviluppo G(2.1)= > 9r(x + 8r1) 1 nelle stesse condizioni. In questa Nota vogliamo far vedere, partendo dalla disequazione fun- zionale S flo+ art) |<: (a+ 0), come gli stessi risultati possano estendersi (sotto certe condizioni) al caso che sì consideri non più un numero finito di termini, bensì un numero infinito. Dimostreremo, cioè, che non è possibile di soddisfare alla fe(0 + art) = 0 98 e che lo sviluppo G(e.)=Y ge (0+h0 (*) Cordier, Description des roches. Pàris, 1868, pag. 117. Cfr. Comptes rendus, VIII; Congrès géol. int. Paris, 1901, pag. 1051. (?) Washington, Roman comagmatic region, 1906, pag. 140. (3) Questo nome è stato dato ad un « materiale bituminoso dell'Albania » (cfr. L. JI. Spencer, Min. mag., 1913, pag. 352). Vista la sua applicazione ad un minerale di carat- tere poco esattamente definibile, sembrerebbe lecito di adoperarlo per un tipo di roccia, La radice è già usata per il nome albanese, del sottorango III. 8. 2. 2. (4) Questi Rendiconti, vol. XXVIII, 2° sem., pag. 223. RenpICONTI. 1920, Vol XXIX, 1° Sem. 57 ZA è unico, quando si ammetta la uniforme convergenza delle serie considerate, per qualunque valore di x (ossia in tutto l'intervallo — o (0 + 4,t)| = « e si vede agevolmente che /, +/, è compreso nel più piccolo dei due segmenti (e — a — 88,841 + 82) , (Esa + 8s,8+ 8 — 82). 3. Supponiamo d'aver dimostrata la validità del teorema per l'indice #, e dimostriamo che esso vale ancora per l’indice m +1. Noi supponiamo cioè di aver fatto vedere che sia 9r(8) = qr(6) + nB;(6) r=1,..m, in conseguenza della | -| A3 Ira + tr) = ove gr indica un polinomio di grado m — 2. Consideriamo allora la diseguaglianza m+l > f(x + art) 1 SSA dando ad x ed a & rispettivamente gli incrementi X, £ e posto hba,k=3,, dalla precedente diseguaglianza si trae m+l D fer + at +4) 2 e da questa, con procedimento simile a quello già seguìto, SA pote + ost +20) — fe + 0) 2095. ii — 438 — Se ora scegliamo 4, in modo che sia, ad es. Zm+,="0, il termine che nel sommatorio scritto corrisponde ad 7 =m+1 si annulla identica- mente. E la diseguaglianza precedente diventa dunque | Solo + art) È De, *avendo posto ora gr(a + 4a;t) = fre + art + (4, — ama.) 1) — f(x + art), in cui y è un valore arbitrario. Ci siamo così ridotti al caso di m funzioni, per il quale sappiamo di poter scrivere I(3) = I(4) + 25 Br(8) |Br(4)|<1 _0Ve Qr è un polinomio di grado m — 2. Dunque, per ogni valore di c = (@r— @m+:) x = arbitr., si ha (3) fa +0) — fr(4) = gr(4) +-2ef,(2), ove 9r,, dipendono da c. Ora è evidente che può scriversi qr(#)=pr(6 +0) —Pr(8), essendo p, un polinomio di grado m — 1. Se poniamo (4) ha=10—pa, e quindi anche pa+)=f6+0)—ple+0), potremo ricavare dalla (3) fe +0) {2 (e) = dela) ed infine, qualunque sieno # e c, I5G+9- 0226 Arriviamo in tal modo ad un’equazione del tutto simile a quella tro- vata nel caso m=2. E, con le stesse considerazioni allora svolte, giunge- . remo a scrivere fr(2)=l+ 802) ; |ar(2)| = 1, 2-=cost., i — 439 — da cui finalmente, per la (4), fra) — p(e)=k + 84,(4), cioè fe(6) = 4 pr(s) + 8 ar(4). Ul Resta così dimostrato il teorema I. 4. Dimostriamo anche il Trorema II. — Ze funzioni soddisfacenti alla disequazione . «- = € S fee + 4,6) ed aventi modulo finito sono del tipo fra)= cr + s0,(2) ; |ar(2)|<1,c,=cost., ove vDe=0. In effetti, la soluzione generale di tali disequazioni consta della somma d'un polinomio di grado m — 2, e d’un prodotto #@,; e quindi, se il mo- dulo d'ogni / deve restar finito, dovranno mancare i termini contenenti po- tenze di z, e quindi la /, sarà del tipo indicato. Se in particolare £«= 0, si ritrova /, = cost., ritornando così al teorema della Nota citata. 5. Servendoci di tali teoremi, possiamo ora far vedere che, a prescin- dere dalle soluzioni /= cost., si ha il TroREMA III. — Le funzioni f soddisfacenti all'equazione 3 fe 4 at)=0 4 sono nulle (0 costanti) se si impone ad esse la condizione di rendere la serte uniformemente convergente nell'intervallo (— 20, + co). In effetti, se la serie converge uniformemente, sarà m S fo(0+ 070) |< em (a ia) e quindi, per il teorema II, deve essere = Pm) |A fa + at), tale sviluppo è, a meno di costanti additive, unico. Infatti, una G ammetta i due sviluppi G(0, 0) =D gr(0+ at) +3 &r(0+454)= = Da h,(x + art) — 3A L(& + SANE in ciascuno dei quali nel primo sommatorio sono raggruppati i termini aventi coefficienti a eguali a quelli dell’altro sviluppo. Sottraendo, dal primo sviluppo, il secondo, e posto d,= gr — 4, si ha Dd-(r+ at) +Dk(x +86) +-d Le +00) =0 identicamente, ove, giusta l’ipotesi, le serie convergono in modo uniforme. Siamo quindi nelle condizioni del teorema III, in virtù del quale le fun- zioni d,%#, devono essere nulle o costanti; e, a meno di costanti, sarà perciò dn ORIO c. b. d. 9. Le precedenti considerazioni dànno origine ad altri problemi: quali p. es. l'effettiva determinazione delle / e delle costanti 4, quando sia data una G(x,%); la ricerca delle condizioni di rappresentabilità, ecc.: problemi sul quali ci proponiamo di ritornare. Meccanica. — Sulle linee di forza di un ellissoide di rota- zione stratificato. Nota di Tommaso Boggio, presentata dal Socio T. Levi-CIvITA. Il problema della determinazione delle linee di forza corrispondenti al- l’attrazione esercitata da una distribuzione di massa, che attrae con legge newtoniana, si può ricondurre, com'è ben noto, alle quadrature, se la massa attraente è distribuita simmetricamente intorno ad un asse, cioè in modo tale che la densità sia costante sopra circonferenze aventi il centro sull'asse e situate su piani normali all'asse stesso. Una particolare e notevole distribuzione simmetrica di massa si ha nel caso di un ellissoide di rotazione, stratificato omoteticamente; la determi- nazione delle linee di forza relative è stata fatta dal Betti nel $ XXIII della sua opera: Teorica delle forze newtoniane ecc. (Pisa, a. 1879), il — 44l — quale estese un procedimento che poco prima aveva dato il Beltrami per determinare le linee di forza di un disco circolare conduttore elettrizzato. Il metodo seguìto dal Betti è piuttosto complicato; si possono però de- terminare più semplicemente le linee di forza in base alla proprietà che la funzione associata della funzione potenziale del sistema dato è biarmonica; ciò è mostrato nella mia Nota Sulle funzioni associate e sulle linee di forsa di un ellissoide ece. (Rendiconti del R. Istituto Lombardo, serie II, vol. XXXVIII, a. 1905). Si può però ancora semplificare ulteriormente tale determinazione ricor- rendo soltanto alla definizione stessa della funzione associata. È ciò che mi propongo di dimostrare in questo breve scritto. nix 1. Sia V la funzione potenziale di una distribuzione di massa, simme- trica rispetto ad un asse, che assumeremo per asse delle 2. Chiamando poi % la distanza di un punto qualunque P dall'asse Oz, e 2 la quota di P, la V, nei punti P esterni alla massa attraente, è notoriamente funzione armonica, e soddisfa, come ha già mostrato Laplace (*) nel 1787, all’equazione e Ae udu!' du da 0, ] la quale può scriversi DIV ga ao; (a) + (« ln perciò si può porre, com'è notissimo, (1) ua=_— TT , ove W è una funzione, per ora arbitraria, di x e 3; essa si chiama /un- sione associata della V. Eliminando fra le (1) la V, si trova che W deve soddisfare all’equazione CAI VATIZAY 193W pian =0, cioè AW=2- ; du? u dwU x de? s 47 dU od anche, per la seconda delle (1), AW=2 DE ne segue AAW =0, per- ciò la funzione associata W è biarmonica. (!) Laplace, Sur la théorie de l'anneau de Saturne, Oeuvres complètes, tome 11, pag. 278. — 442 — Ricordando poi che all'infinito la B è infinitesima di 2° ordine, deduce, dalla prima delle (1), lim Mo; e poichè all'infinito la W u> 0 è finita, si può scrivere pure (2) a (i w)=o0. de \u>o Poichè le linee di forza corrispondenti alla distribuzione simmetrica considerata giacciono su piani passanti per l'asse 0z, è facile vedere che l'equazione delle linee di forza, in un piano meridiano qualunque, è W = cost ; infatti, l'equazione delle linee di forza è dIV IV Poi dW > du da=0; cioè, per le (1), =; ossia dW= 0, onde W=-cost. 2. Consideriamo ora l’'ellissoide a, di rotazione intorno all'asse Oz: dW dt ilo CORR Ni, PUN Ni e sia P(w,z) un punto esterno all'ellissoide; ponendo allora, colle notazioni del Betti, (3) H=l1 ut 8° at 4% 42° e indicando con 4, la maggior radice dell'equazione quadratica (4) Hel e la funzione È di (5) Viu, s)= mae f bi se = /h (a? + 2) Ve? 4-2 rappresenta, in tutto lo spazio esterno a o, la funzione potenziale di due masse; una a tre dimensioni, l’altra a due (distribuita su 0), la prima delle quali riempie tutto lo spazio racchiuso da o colla densità, nel punto M(u;,4): KH, Ciò posto, dalla seconda delle (1) e dalla (5) risulta (6) DIRE o) il (i) e pi (#2: % (a +2) Ve+2 1 dd). — F(0) (a+) Ve 4A, e agio ora conviene evidentemente trasformare il secondo membro in modo da farlo apparire una derivata rispetto ad %; perciò bisogna esprimere le derivate — 443 — di H edi 4,, rispetto a <, mediante le derivate rispetto ad u. A questo ri- guardo, osserviamo che si hanno le due identità u IH 5 N2H ud; az dÀdi dH _ 28 dDH_____ de +4? du a+4° da cui segue senz'altro la prima delle (7); similmente dalla (4) si ha na Rae dDH dA _y SUR sd apo CARAT] (A LÀ, dd) dE a +4 dA dU da cui risulta subito la seconda delle (7). Sostituendo nella (6) alle derivate di H e di 4, i valori dati dalle (7), risulta ?dH di 1 DÀ, ) Mo dali — F(0) ——______ du (0a MW (C+ Ae +7 (*+2,)/e°+% & — 1 du | d) 1 dIW SESSI Si ESC dU UU (e2+ 2)V/e+2 ne segue (8) Wande | Mm __ +0, Ù (+27 ove /(<) è una funzione da determinarsi. Ricorrendo poi alla (2), si trae d DE i d19) = 0; quindi /(z) deve essere una costante, che si può supporre nulla; perciò la (8) fornisce senz'altro, per /(2)="0, la funzione associata W. OsseRvazioNnE. — Collo stesso procedimento si possono determinare le funzioni associate di altre funzioni potenziali simmetriche. Così, ad es., se 0 è la distanza del punto P dall'origine, e si prende SAL Ve Losa (a = 0), si ha, dalla seconda delle (1), de” € | PM, rtl sie) gr+l U —_ girl de >i d"*10 è TO TRE IEVTETZIIE quindi dtto W= det! + f(6) ’ e, ricorrendo alla (2), si trae che /(:) è una costante, che si può supporre nulla; così si ha W. ReEnDpICONTI. 1920. Vol. XXIX, 1° Sem. 58 — 444 — Geodesia. — Nuova soluzione del problema inverso del tras- porto delle coordinate lungo una geodetica. Nota di CorrADINO MiNnEO, presentata dal Socio T. Levi-CIVITA. 1. Sopra una superficie, si considerino le coordinate x e v d’un punto d'una geodetica come funzione del suo arco s, contato a partire dal punto iniziale (vo; vo). S'introducano le due variabili normali (Lipschitz) ‘du DA) 1 n — ele 0 E= Pi ca PRE du) dv 3 SIA RO } £ \ dove (a) ; (2) sono i valori iniziali delle derivate di wu e v rispetto dBA 800 all'arco. Se i coefficienti dell'elemento lineare della superficie sono sviluppabili in serie di Taylor in un intorno di (w,, vo), segue, da noti teoremi, che le coordinate «,v d'un punto della geodetica sono sviluppabili, in un conve- niente intorno del punto iniziale, in serie di potenze (non solo rispetto al- l'arco s ma anche) rispetto alle variabili normali (1). i Queste serie son della forma (2) |\u=%U tp ap+-bpq+eqg+-.. L bipg + ig +. Nel caso dell’ellissoide besseliano, se u e v rappresentano le coordinate geo- grafiche d'un suo punto, le (2) si applicano per calcolare, per archi di un centinaio di chilometri, le coordinate dell'estremo dell'arco s, contato sopra una determinata geodetica, a partire dal punto di coordinate vw ,v, (tras- porto delle posizioni geografiche). Ma le (2). si sa bene, sono invertibili, perchè il jacobiano D(,0) D(P,9) non è nullo nel punto iniziale: ne consegue che da esse sì possono ottenere, per p e q, degli sviluppi in serie, secondo le potenze di u— , € 0 — vo, convergenti, nelle ipotesi ammesse, in un conveniente dominio intorno al punto (wo . vo) (1). (*) Il che vuol dire che dentro un determinato cerchio geodetico di centro (o , vo) esiste una sola geodetica congiungente questo punto con un punto interno al detto cerchio (teorema di Darboux). ne 7 |' SPA Ora da questi teoremi (necessario presupposto di non pochi sviluppi adoperati in Geodesia) scaturisce in modo affatto naturale, senza bisogno di artifizi o di successive approssimazioni, una nuova soluzione, elegante e di- retta, del cosiddetto problema inverso delle posizioni geografiche, consistente nella ricerca della lunghezza s, e degli azimut negli estremi, d'un arco geo- detico compreso tra due punti dati. Avute, infatti, le quantità p e %, le formole fondamentali della teoria delle superficie permettono di trovar su- bito gli elementi desiderati. Vogliamo appunto dare questi nuovi sviluppi per la risoluzione del problema inverso: sviluppi che in pratica presentano gli stessi vantaggi di quelli di Legendre per il problema diretto ('). Denotiamo con e rispettivamente la latitudine e la longitudine (espresse in radianti) d'un punto generico del nostro ellissoide, del quale sia 4 il semiasse maggiore ed e l’eccentricità. Indichiamo poi con 7, o e N risp. il raggio del parallelo, il raggio di curvatura del meridiano e la gran normale, relativi al punto (@,@). Gli sviluppi (2), facilmente deducibili da quelli notissimi di Legendre, sono, nel nostro caso, fino ai termini di 8° grado rigorosamente, dito Be? Ser 2a noch N, sen 29, s l 400 e? Ni (e? Nî sen? 2 4 SME (20 ua) pe LN aa l0razisenz mean) È 290) pe +, (8) I sl (106° sen° go — 1) — 3 sen? go) 79° + | 00 Sen = ++ pg + 0, To \Po ì SL) 3 4 dove p e g sono ora date dalle formole 8 COS &g __ 8 Sen @y (d) va 20 n Te i essendo «, l’azimut della geodetica nel punto iniziale (o , ®o). Per procedere rapidamente all'inversione delle (3), non c'è che da ser- virsi del metodo dei coefficienti indeterminati (?). Il calcolo, che omettiamo (') Per una ingegnosa soluzione indiretta, che conduce a formole approssimate in grande analogia con i nostri sviluppi, vedi una Nota del chano prof. Guarducci, Sopra due problemi di trigonometria sferoidica, Torino, 1882. (2) Volendo l’espressione generale delle derivate di p e 7 rispetto a @ e © (per cal- — 446 — (non presentando alcuna difficoltà), porta ai seguenti sviluppi, rigorosi fino ai termini di 8° grado inclusi: 3e? Ni sen 2po ®° STATUE 4a? il N, sen 2g e Nî (5e? N? sen? 2 + 400 î o 20 ( 70 di i COS 29) DD SF ae | (Po©08 Po _ sen? n) A ke (5) plana n pl RTP o 00 (de? Ni sen? go — 2) A sen? do I Che ee EL ua ni x: a) oo Ig colarne, per es., dei limiti superiori), bisogna ricorrere ai sistemi dp IP, dP_dq dP dP_, dP dI PELLE 4] CE =0 \ dna ad È dp TY do . IE do dp, dd _}, dp dp! dq dg © dp do | d4q do’ dai quali si ricavano le derivate prime. Per ottenere rapidamente le derivate seconde, si ponga SI d°z dp dp d°z (9) dI dp dq d°z dq dq _ È = È (7) dp ds dI poi (È VOVbY Hr de dy e poi dp dp dp_d°q {9 = 4? 1 \ dp dr va dI de dY ) | 20 dp | do de È | dp dedy' d9 drdy ay) allora, se nel precedente sistema diamo a ognuna delle lettere 2 e y uno qualunque dei valori g e w, otterremo tre sistemi distinti, dai quali si possono dedurre le sei derivate seconde di p e q. Similmente, posto ay} ap \aet day | “ dr dY de d°: (d°p dA , d°q dp dP_dI L9 d°q 3) Tàp da dy 1 dai dY Ta jrdy dx dr dYy dx sh 9° (94 dI dg 99) 9 (dp \fdn | dd dn (dP dI | gd Ss tal dio? dro, dy 1 dp* 24 GS y dy dx va dp dd° dx \ da dy de dy dà \de) dy uu — dove (6) P=pP_ Po ’ Q=-%—- 0. Calcolate le quantità p e g per mezzo delle (5), l'azimut @, sarà dato dalla formola (7) too = —, che discende immediatamente dalle (4); dopo di che, s sarà dato da una delle (4). L'azimut « nell'estremo (9) è finalmente fornito, nel nostro caso, dal teorema di Clairaut. 3. Poichè nelle condizioni di regolarità, ammesse nel n. 1, il quadrato di s, come è noto, è sviluppabile, in una conveniente regione della super- ficie, in serie secondo le potenze intere e positive delle coordinate degli estremi, potremo appunto ottenere questo sviluppo, nel caso nostro, giovan- doci della relazione SDA 0S eri Ci limitiamo a dare la seguente formola approssimata, nella quale si tien conto dei termini fino al 4° ordine ineluso, considerando e? come quan- tità piccola di 1° ordine: pè . 3e? Nî sen 2 N, sen 2 (8) rai x An 2 200 DL? — Po COS rà sen? Po Si e A 1) 0). pesa OLII 4 300 1205 I termini del 4° ordine sono peraltro affatto trascurabili in (5), quando sì tratti di archi dun centinaio di chilometri; e la (8) può servire di utile riscontro oppure al calcolo diretto del solo s, quando non occorrano gli azimut. 4. Sarebbe facile, se non breve, assegnare dei limiti superiori per i resti tayloriani delle (5). Ci limitiamo qui a ricalcolare, per mezzo di esse, un esempio numerico già calcolato dal Pizzetti ( Geodesia teoretica, pag. 102). poi (dp dp | 9 ) \ ap datdy * d4 datdy ay} | dw _d°p dw _9%9 ( w ALTA DO e A DE) " \ dp IS IVALBET de? dY o da quest’ultimo sistema se ne ottengono, nello stesso modo di prima, quattro distinti, dai quali si posson dedurre le otto derivate terze di p e q. E così via! — 448 — Le latitudini, in gradi, nei due punti, sono risp. 42° 7' 16"*27 e 43° 1' 44"-87; la differenza di longitudine è 0° 36'25"-48; sicchè abbiamo ® = 00158466200, log ® =2:19998664; AQ = 00105955059, log. 2 =2-02512170: Inoltre log sen go = 1'8265289 , log cos go = 1'8702446, log sen g = 18340200, log cosg = 1‘8639215, log a = 6:8046435, loge® ——=53:8244104, logro =6'6755410, logo =6'8036940, logN =6:8052964, log 7 = 6:6692409 . Con questi dati si trova p=0'01587566, logp=3:2007318; q= 001044328, logg= 30188369. Segue, dalla (7), log te a, — 1:6899521, fe, — 20250 1IUEME in perfetto accordo col valore trovato dal Pizzetti. Per s si trova, tanto dalle (4) quanto dalla (8), log s = 50511069; e per a, log sena = 1‘6495711, a=26°30"10"-4. Meccanica. — forze di pressione su un montante di aero- plano. Nota I di MARIO PAscaL, presentata dal Corrisp. R. MAR- COLONGO. Fra i diversi metodi escogitati per calcolare la resistenza che incontra un ostacolo investito da una corrente fluida, è notevole quello che si basa sul teorema di Joukowski (’'), teorema che dà l’espressione della cosidetta forza sostentatrice come il prodotto della circuitazione delle velocità lungo il contorno dell'ostacolo, per la grandezza V, del vettore che rappresenta la velocità limite della corrente e per la densità del fluido. Assegnata, mediante una funzione di variabile complessa, un& corrente per la quale sia nota la circuitazione lungo un contorno circolare, il pro- blema di trovare la circuitazione lungo un particolare profilo (problema cui (1) N. Joukowski, Aérodynamique [trad. par S. Drzewiecki], Paris, Gauthier-Vil- lars, 1916. — 449 — in sostanza si riduce quello di calcolare la forza sostentatrice) sarà risoluto quando, mediante rappresentazioni conformi, da una circonferenza ci si sarà ridotti al profilo da prendere in esame. Il Joukowski, il Kutta, il Tehapliguine hanno determinato con metodo simile il valore della forza sostentatrice agente su diversi profili che si av- vicinano a quello tipico dell'ala di aeroplano. Scopo di questo lavoro è in- vece quello di trovare un contorno che possa essere adottato come sezione retta di un montante di aeroplano, e calcolare per esso quella che chiame- remo ancora forza sostentatrice, quantunque nel caso presente una tale di- zione abbia perduta la sua principale ragione d'essere. In questa Nota I troveremo il contorno voluto come risultato di tre successive rappresentazioni conformi. 1. Consideriamo la funzione (1) . w= (+ a)/2,, dove si suppone la costante 4 reale, positiva, <1, e che detinisce fra i piani 2:=x,+4+- 4, è w=&#+ è una tale rappresentazione conforme che all’asse reale 7=0 del piano w corrispondono sul piano 4, l’asse reale Y==0 ed una circonferenza col centro nell'origine e di raggio ya. Me- diante la (1), troviamo la trasformata di una circonferenza di raggio uni- tario e tangente nell'origine all'asse x, = ©; posto perciò nella (1) si ricava facilmente coosa=è —a/2—1 sena= n(28 — a)/2(È — a), da cui, eliminando «, (2) n= (E — a)? (a +4 — 28) /(28 — a) che è l'equazione della curva trasformata sul piano w. Tale curva è — come è facile persuadersi — simmetrica rispetto all’asse reale, e lo incontra nei punti f5=—=a eé=2-+«/2, di cui il primo è punto doppio. Infatti, dicendo /($,n) la (2) eguagliata a zero, le due derivate df/IE= 20° + 2($ — a) (28 — a — 4) + A$ — a) df/m= 2n(2È — a) si annullano per £=a,n=0. Inoltre la curva (2) ammette un assintoto nella retta perpendicolare all'asse reale e di ascissa È = 4/2. — 450 — Derivando la (2) rispetto a 7, si ottiene () 7=Da+4—28}j28—a]—|5—al(28—a] ja +4 28)]X X[j25— aj fa Pd 25018] e, sostituendo in tale espressione il valore £= a, y=[}a+4— 28(}25— af][{22—a}8]}a+4—-28}-18]= =[4/a — 1) =tgg che è il valore della tangente trigonometrica dell’angolo che ciascuna delle due tangenti alla curva nel punto doppio fa con l’asse reale. Per la co- struzione grafica di tale angolo si può notare che esso è uguale all'angolo sotto il quale sul piano 4, si tagliano la data circonferenza unitaria e quella fondamentale di raggio Ja. Uguagliando a zero il numeratore della (3), si ricava E=(a+1)/2+t(a+1)f/2; vi sono dunque, su ciascuno dei due rami simmetrici della curva, due punti in cui la tangente è parallela all'asse reale. Uno di essi però, e precisa- mente quello corrispondente al segno negativo del secondo termine della espressione precedente, è immaginario. È poi facile vedere che la curva in esame ha una sola tangente per- pendicolare all’asse reale, ed è quella nel punto #£=2 4 4/2, e che infine i rami reali della curva sono tutti compresi fra tale tangente e l’assintoto £=a/2. Infatti, per un valore di È maggiore di 2 + 4/2, la (2) fornisce per 7 valori immaginarî. Tenendo conto di quanto si è detto, la (2) può facilmente essere dise- gnata: essa risulta essere una curva a cappio, di forma simile a quella della cissoide. La corrispondenza fra la circonferenza unitaria data sul piano <, e la sua trasformata sul piano w è tale che all’arco di cerchio A'O corrisponde il ramo af 00; all'arco di cerchio A"O, il ramo 4600; mentre al rimanente arco A"BA" corrisponde il cappio ac'de'a. È appunto tale cappio che noi assumeremo come profilo della sezione retta di un montante di aeroplano, e che noi dovremo ritrovare come il trastormato, non di un solo arco, ma di una intiera circonferenza. 2. Per ottenere un tale risultato, consideriamo la relazione (4) w=98[(#+ 0)/(2+ 9] dove 9 ed e sono quantità reali e positive tali che e>gq ; eg=1l. — 451 — La (4) definisce fra i due piani 2 e w, (sul quale è stata al solito distesa la Riemanniana) una siffatta rappresentazione conforme che gli assi reali dei due piani si corrispondono fra loro, e che inoltre la retta sul piano w, parallela all'asse immaginario e di ascissa 1— 29° è la trasfor- mata della retta sul piano 4 di ascissa — g e della circonferenza che ha il centro nel punto (— 9,0) ed ha per raggio Y/(1— 9°). È facile rendersi conto che, mediante la (4), una circonferenza data sul piano z, di raggio unitario e col centro nell'origine, si trasforma sul piano w, in un arco di circonferenza di raggio unitario e col centro nel- l'origine. L'apertura di tale arco è data dal doppio dell'angolo sotto il quale sul piano z si vedono dal punto (—e,0) le intersezioni della retta di ascissa —g con la circonferenza data di raggio unitario. Lo scopo che ci siamo prefissi sarà subito raggiunto se consideriamo le tre trasformazioni (1) w= g(e)=g92[(2+ 2)/(6+ 9)] (II) wa +1 (111) w=[f(a)=(#+a)/2, di cui la (I) e la (III) sono quelle precedentemente considerate, e la (II) è una semplice traslazione che trasporta una circonferenza che sul piano 2, ha il centro nell’origine in un'altra uguale alla precedente, ma avente sul piano ws il centro nel punto (1,0). Riunendo le tre trasformazioni in una sola espressione, cioè ponendo Wii 89 a =Ww=W+1=(98+e9+ + 9)/(6+9), RenpiconTI. 1920, Vol. XXIX, 1° Sem. 59 — 452 — sì ha (5) w= (94° + 224 9)/(2 + 9) + az 4- 9)/(94° + 224 9) che è la funzione mediante la quale una circonferenza di raggio unitario e col centro nell'origine del piano 2 si trasforma nel ramo chiuso della curva (2). 3. Fra le costanti e, 9g, @ che entrano rispettivamente nella (4) e nella (1), oltre alla condizione g=1/e, devono sussistere altre relazioni affinchè l'arco nel quale, mediante la (4), si trasforma la data circonferenza unitaria, sia uguale all’arco ‘dalla cui trasformazione si ottiene il ramo chiuso della curva (2). Basterà trovare le condizioni perchè siano uguali le coor- dinate degli estremi omonimi dei due archi di cerchio sui piani ws @ 41. Si vede subito che sul piano w, l'estremo superiore dell’arco ottenuto dal- l'applicazione della (I) è precisamente uno dei punti di diramazione. Per tale punto si ha w=1—?9°+29y/(1—-g9°), cioè, per (II), sul piano ws è nel punto corrispondente (6) wr= 2— 29° + (29 V(0— 9°). Applicando invece la (III), per l'estremo superiore dell'arco che si tras- forma nel cappio, dovendo tale estremo corrispondere al punto (4,0), si ha wu) cioè a=a/2* (a? — 4a)/2; rigettando il segno negativo che spetta all'estremo inferiore dello stesso arco [cui ugualmente corrisponde il punto (4,9) sul piano w], ed essendo per ipotesi a<1, si ha (7) a=a/24iV(4a—a°)/2. Uguagliando (6) e (7), si ricava facilmente (8) ge=1—a/4 che è la relazione cercata. — 453 — Fisica. — Su lo stato di contrazione der depositi elettrolitici metallici ('). Nota preliminare della dr. G. ALIVERTI, presentata dal Socio A. NACCARI. 1. È noto che i depositi elettrolitici si trovano generalmente in uno stato di notevole contrazione. Questo fenomeno fu osservato per la prima volta dal Mills [Proc. Roy. Soc. (A), 26, pag. 504, an. 1877] e poi studiato dal Bouty (Journ. Phys. 8, pag. 289, an. 1879; 10, pag. 241, an. 1881) e dal Basso (Atti r. Acc. Torino, vol. XIV, 1879) senza giungere però a dimostrare sicuramente se esso dipenda o meno dai fenomeni termici. Più recentemente Stoney [Proc. Roy. Soc .(A), 82, pag. an. 172, 1909] dimostra come la contra- zione dei depositi elettrolitici diminuisca al crescere della temperatura alla quale si fa avvenire l'elettrolisi, e riesce, con un metodo appropriato, a de- terminare il valore delle tensioni che si hanno in questi fenomeni. Lo Stoney fa depositare il metallo su una laminetta metallica rettangolare sottile (rico- perta di vernice isolante su una faccia) fissata all'estremo superiore e im- mersa verticalmente nella soluzione elettrolitica; se ne determina la fles- sione per gli sforzi meccanici esercitati dallo strato metallico deposto sopra, misurando lo spostamento dell’estremità libera. Se 4 è questo spostamento, d lo spessore della lamina, E il modulo di elasticità del materiale che la costituisce, £ ed / lo spessore e la lunghezza del deposito, si ricava che la tensione T, riferita all’unità d'area della sezione trasversale del deposito, è data da 1 Da = 2. Nelle ricerche, oggetto della presente nota, ho seguìto il metodo Stoney proponendomi innanzi tutto di stabilire se la contrazione in que- stione sia dovuta o no ad effetti termici. Le molte esperienze eseguite mi permettono di affermare che le contrazioni dei depositi galvanici sono real- mente dovute a una specie di tensione superficiale dello strato metallico dipendente dal modo con cni il metallo si deposita da una soluzione acquosa di un suo sale. Da esse risulta infatti: 4) che le variazioni di temperatura nelle vici- nanze del catodo, con le intensità di corrente usate da me, sono piccolissime; 5) che la tensione T calcolata per il Ni deposto su diversi metalli è sensi- (!) Lavoro eseguito nell'Istituto di fisica della r. Università di Torino. — 454 — bilmente indipendente dalla natura di questi e che i depositi di Cu e di Ag vennero ottenuti sempre in stato di contrazione. qualunque fosse il metallo costituente il catodo [p. es.: l'’Ag depositato sul Cu dà una contrazione mentre si dovrebbe avere dilatazione se si trattasse di un effetto termico sulla bilamina risultante (poichè il coefficiente di dilatazione termica lineare per l’Ag è più grande di quello del Cu)]; c) che i depositi ottenuti senza intervento di f. e. m. esterne (cioè per semplice immersione della lamina sostegno, verniciata su una faccia, nella soluzione salina) di Cu su Fe in soluzione di Cu SO,, e di Ag su Cu in soluzione ammoniacale di Ag N03, presentano sempre una notevole tensione, maggiore delle massime ottenute con l'elettrolisi ordinaria. Per dare un'idea delle tensioni T che si hanno nei depositi galvanici, riporto alcuni numeri ottenuti depositando Ni su Cu da una soluzione neutra di Ni SO,. (NH). SO,. 6H,0 (gr. 75 di sale per litro di H,0: f. e. m. applicata circa 2 volts): intens. della corr. in milliampères per cm? | 1 6,6 18 36 3,9 T X 107? dine | 0,48 | 0,33 | 0,38 | 0,32 | 0,27 | 0,31 3. La difficoltà di avere una vernice adatta resistente a temperature un po’ elevate non mi ha permesso di studiare la contrazione di questi depo- siti al disopra di 60°; però ho potuto comfermare l’osservazione già fatta dallo Stoney e dal .Blount (Practical electro-chemistry, pagg. 114 e 272) che, al crescere della temperatura del bagno elettrolitico, la contrazione di- minuisce. Infatti la flessione ottenuta in una soluzione a 60° è circa un terzo di quella che, a parità di ogni altra condizione, sì ottiene alla tem- peratura di 13°. 4. Ho provato a depositare il Ni dalla solita soluzione neutra di Ni SO,. (NH); SO,. 6H:0 semplice e addizionata di una soluzione di gela- tina: la contrazione risultò nei due casi sensibilmente la stessa. Un’aggiunta invece, che influenza e di molto la contrazione del deposito, è quella di stricnina: in questo caso in un primo tempo il deposito si presenta in stato di dilatazione; poi, al prolungarsi dell’elettrolisi, la dilatazione sì trasforma in una contrazione, debolissima e crescente; molto più lentamente però di quello che in corrispondenza non cresca quando il deposito si effettua da una soluzione pura. 5. Supponiamo di elettrolizzare la solita soluzione neutra di Ni S0,. (NH); S0,. 6H,0 fra elettrodi di Ni: avremo al catodo un deposito con contrazione marcata. Se ora, senza rinnovare il liquido, e mantenendo inal- terate temperatura, intensità della corrente e durata dell’elettrolisi, ripetiamo — 459 — l’esperienza più volte di seguito, si osserva chela contrazione va successivamente diminuendo. Poichè è noto che, operando così, l'acidità del liquido va aumen- tando, è naturale di connettere questa diminuzione di contrazione del depo- sito con le variazioni di concentrazione delle diverse specie di ioni nel bagno; per mettere in chiaro ciò, feci varie serie di determinazioni adoperando so- luzioni di Ni SO,. (NH): SO,. 6H:0 di ugual concentrazione, alcune alcali- nizzate per aggiunta di NH;, altre acidificate per aggiunta di H, SO,. Il risultato costantemente ottenuto fu che, elettrolizzando le soluzioni alcali- nizzate, la contrazione del deposito è più marcata che non con una soluzione neutra, e tanto più, quanto maggiore è l'alcalinità; nelle soluzioni acide la contrazione è molto minore, e tanto minore quanto maggiore è l'acidità: anzi, per un'acidità sufficientemente grande (2°, in volume di H, SO, comune), ;/ Ni sz deposita în stato di dilatazione. Ma se noi prendiamo una soluzione di acidità tale che il Ni si depositi in stato di dilatazione, l'andamento di questa, man mano che si effettua il deposito, è nettamente diverso dall'andamento della contrazione che si ha nei depositi ottenuti da soluzioni alcaline, neutre o leggermente acide. Con queste le flessioni (a parte i primi istanti dell’elettrolisi) sono proporzionali ai tempi, ossia alla quan- tità di metallo deposto, mentre con una soluzione sufficientemente acida (deposito in stato di dilatazione) sembra che la flessione (in senso contrario) raggiunga, in un tempo più o meno lungo dall'inizio dell’elettrolisi, un valore costante. 6. Un altro fenomeno, essenzialmente importante per decidere su le cause di questi stati sotto cui può presentarsi un deposito elettrolitico, si osserva quando si tenga dietro al comportamento della lamina catodica dopo interrotta la corrente elettrolizzante; ‘e mie ricerche in argomento per ora sì sono limitate al caso di depositi di Ni, ed è quindi soltanto a questi che sì riferiscono le esperienze e le considerazioni che verrò esponendo. Suppo- niamo di aver deposto dalla solita soluzione neutra o alcalina di Ni SO,. (NH,), SO,. 6H,0 uncerto strato di Ni e di avere così ottenuto il solito depo- sito, in stato di contrazione; se noi, interrotta la corrente elettrolizzante, conti- nuiamo ad osservare la lamina, notiamo che la flessione continua a crescere, però con velocità continuamente decrescente fino a raggiungere, in 30' o 40’, un va- lore costante e fisso. Se, interrompendo la corrente elettrolizzante, chiudiamo il voltametro in corto circuito, la flessione susseguente alla interruzione sì ma- nifesta ancora, ma con un andamento che può dividersi in due periodi ca- ratteristici: per circa 10”, la flessione cresce con velocità anche maggiore di quella con cui cresce durante l’elettrolisi; poi successivamente con velocità sempre decrescente, fino a che raggiunge un valore costante. Se, dopo inter- rotta la corrente elettrolizzante, senza aspettare che ia flessione abbia rag- giunto il valore definitivo costante, richiudiamo la corrente, si osserva che all’inizio dell'elettrolisi la flessione del catodo, anzichè continuare a crescere — 456 — (come ci si dovrebbe attendere per i nuovi strati di Ni che vanno a depo- sitarvicisi sopra), per alcuni secondi diminuisce, come se la contrazione degli strati metallici già deposti diminuisse o il nuovo Ni sì deponesse invece in stato di dilatazione; successivamente poi la flessione ricomincia a crescere. Il valore di minimo della flessione, raggiunto durante quei primi secondi sus- seguenti alla nuova chiusura della corrente elettrolizzante, è sempre inferiore (al massimo, uguale) al valore raggiunto dalla lamina, quando si interruppe la corrente la 1% volta. Nei due diagrammi qui a fianco sono riportati gli TEMPI andamenti della freccia di flessione nei due casi in cui, dopo l'interruzione della corrente, si sia lasciato il voltametro a circuito aperto (I), oppure chiuso in corto circuito (II). Su le ordinate sono riportati i valori della freccia di flessione in divisioni del micrometro oculare del microscopio, con cui quella si osservava; su le ascisse invece i tempi in minuti primi. Si interrompe la corrente al tempo zero e si richiude dopo 4°. 7. Il fatto che la flessione della lamina di sostegno, e quindi lo stato di contrazione del deposito di Ni, continna ad accentuarsi anche dopo l’in- terruzione della corrente, dimostra ancora una volta che il fenomeno primi- tivo della contrazione dei depositi non si deve attribuire a un semplice effetto termico su la bilamina risultante; infatti, se la lamina di sostegno ha un coefficiente di dilatazione diverso da quello del deposito e se durante l’elettrolisi quest'ultimo si dilatasse meno del sostegno, alla interruzione della corrente elettrolizzante, venendo a cessare la causa dell'effetto termico, la bilamina dovrebbe subire una deformazione di segno opposto alla prece- dente, o almeno la deformazione stessa dovrebbe cossare. Rimangono da spiegarsi: il perchè, quando si elettrolizza una soluzione sufficientemente acida, il deposito si presenta in stato di dilatazione, e i fenomani seguenti l'interruzione della corrente elettrolizzante. — 457 — È naturale di ammettere che durante l’elettrolisi il deposito che viene man mano formandosi contenga dell'H (e certamente di più se il deposito si ottiene da una soluzione acida), e che l’H vi si trovi in uno stato di equi- librio stabile solo finchè dura la corrente. Io immagino dunque che le cose stiano così: per suo conto il Ni si deposita in stato di contrazione; la depo- sizione simultanea dell'H insieme col Ni diminuisce la contrazione proporzio- nalmente alla quantità di H che si separa. Infatti, nelle soluzioni alcaline in cui la concentrazione degli H: è minima, la contrazione è massima, mentre nelle soluzioni acide, in cui quella è molte grande, la contrazione è piccola e può addirittura convertirsi in dilatazione, forse perchè il sistema Ni + H si forma al catodo con aumento di volume. Un fatto, che dimostra l’attendi- bilità di questo ragionamento, può essere il seguente: se si stacca dall’elet- trodo una laminetta del deposito e la si riscalda fortemente (circa 200°), si vede la laminetta avvolgersi su sè stessa (con la concavità dalla parte che sul sostegno era rivolta verso l’anodo) a forma di ricciolo; di più ricordo che i depositi ottenuti per semplice immersione senza intervento di f. e. m. esterna presentano una contrazione maggiore che non quelli ottenuti con f. e. m. esterna. Questo modo di vedere è confermato dalla seguente esperienza: se una laminetta fortemente flessa per un deposito di Ni ottenuto da soluzione alca- lina si fa funzionare da catodo nell’elettrolisi di H,SO, diluito, si osserva che la lamina, man mano che l’elettrolisi procede, si distende come se la contrazione del deposito diminuisse, e l'andamento di questa specie di dila- tazione è molto somigliante a quello che si osserva con i depositi di Ni dilatantesi; con la sola differenza che nel 1° caso, alla lunga, la dilatazione ha un limite corrispondente probabilmente alla saturazione in H del depo- sito di Ni. mentre nel secondo caso continua, sebbene molto lentamente, forse a causa del continno rinnovarsi degli strati metallici. La dilatazione, che si verifica all’inizio dell’elettrolisi qualora si depositi il Ni su uno strato di Ni elettrolitico precedentemente deposto, sarà evidentemente dovuta all’H che si sviluppa per primo e andrà a saturare gli sirati di Ni già deposto, provocando un aumento di volume. Ad ogni valore della temperatura e ad ogni speciale valore del rap- porto fra le concentrazioni degli ioni metallici e degli H° deve quindi corri- spondere, secondo il mio modo di vedere, un certo valore della contrazione determinata dall’equilibrio fra la tendenza alla diminuzione di volume pro- pria del deposito e la dilatazione provocata dall’assorbimento dell'idrogeno. Fisica. — Su centri di assorbimento delle soluzioni colorate. Nota del dott. E. ApINOLFI, presentata dal Corrisp. CANTONE. Questa Nota sarà pubblicata in un prossimo fascicolo. — 458 — Fisica terrestre. — Sulla determinazione dell’ipocentro sis- mico. Nota di EmILio ODDONE, presentata dal Socio CARLO So- MIGLIANA. Degli effetti ondosi, che un terremoto produce in area epicentrale, riassu- miamo quella concezione che serve di base al metodo che proponiamo per la determinazione delle profondità ipocentrali. Il flusso di forza, che si sprigiona dall'ipocentro, consta di impulsi e variazioni di pressione temporanei ed oscillatori. Agli impulsi che irra- diano in tutti i sensi, e dànno luogo alle onde longitudinali e trasversali, reagiscono le forze di flessione degli strati sovraincombenti. Le oscillazioni degli strati hanno periodi forzati svariati; per legge acustica, alle oscillazioni vanno associate e sovrapposte le oscillazioni di più alto ordine, ma effettivamente si avverte la sola gamma rapida, che è ca- gione del carattere tumultuoso e pericoloso dei moti sismici in area epi- centrale. Sulle onde che irradiano, il suolo esercita una dispersione, grazie alla quale sui sismogrammi, che raccogliamo a distanza, compaiono, in lunghi spettri, le onde che all’epicentro sono pressochè sovrapposte. Giungono prime le onde longitudinali, seconde le trasversali, terze le su- perficiali; queste ultime suddivise in onde lente, massimali, ecc. I tempi di arrivo di questi sistemi stanno in relazione alla loro velocità di propaga- zione. Giungo all'oggetto della Nota, fermando l’attenzione sulle sole onde lente, superficiali, che, ripeto, considero come emananti esse pure dall’epicentro, La loro velocità, negli strati di spessore crescente, cresce sino al valore mas- simo, 3,7 km./sec., spettante allo strato di spessore massimo 2. In quanto al loro periodo, l'osservazione ha fatto constatare che si allunga col dilagare del- l'onda lungo la superficie terrestre ('). L'incremento è dovuto a che all'epi- centro le onde superficiali a periodo rapido interessano strati a piccolo spes- sore che mascherano le altre onde concomitanti più lente, che interessano strati più spessi, tra le quali quelle onde lentissime che si riferiscono allo spessore 2e del setto sovrastante l’ipocentro. Tali vedute sono confortate dall’osservazione che l'incremento del periodo T non dura indefinitamente ma cessa intorno ai 90° di distanza epiceutrale, e da ciò che T moltiplicato (1) A. Cavasino, Studio sintetico sui periodi delle onde sismiche..., «Boll. d. soc. sism., ital. 1913 », vol. XVII. — 459 — per la costante metà della velocità di propagazione, vale la semilun- DE ; À i ; ghezza d'onda 3° la quale ultima, considerata come una gettata elastica dello strato oscillante, non può superare quei limiti d’ampiezza (leggasi anche lunghezza) che le sono imposti dal modulo elastico e dallo spessore massimo dello strato superiore. La netta separazione di direzione delle componenti verticali d'azione e di reazione dà una specie di fondo al setto, crea una specie di demarcazione tra il setto ed il nucleo fittizio sottostante. Accettare un tale fondo, una tale demarcazione, significa ammettere che lo spessore 2 dello strato sia eguale alla profondità ipocentrale (*). Lo strato, che ha per spessore la profondità ipocentrale, avrebbe così per periodo fondamentale un valore che si accosta al massimo valore del periodo T che possono assumere le onde superficiali, e per velocità 3,7 km. al secondo circa. Tale periodo lo troviamo alla distanza di un quadrante circa e quivi l'oscillazione sarebbe paragonabile all'oscillazione fondamentale epicentrale inte- : À SORDO ressante una calotta del diametro e spessa la stessa profondità ipocentrale. Se quindi riusciremo ad esprimere lo spessore del setto oscillante in funzione del periodo depurato come sopra, avremo ottenuto la profondità ipocentrale. Le minime dimensioni del guscio circolare in rapporto al raggio della sfera terrestre ed il suo piccolo spessore rispetto al diametro della calotta. giu- stificano l'estensione, a questo problema geofisico, della teoria dei setti circo- lari o lastre circolari vibranti. In questa teoria, dalle equazioni generali di equilibrio, con l’aiuto del principio del d’Alembert, si arriva all’equazione del moto oscillatorio delle lastre vibranti. L'equazione di frequenza per un setto di raggio obbligato (lastra circo- lare incastrata) prende la forma dii) | (1) 7, (2) "ne: = 0 (2). Le radici di quest'ultima dànno tutte le vibrazioni possibili che si sovrappongono nel moto vibratorio totale. Pel tono fondamentale, secondo le (') Nell’acqua, dove manca la componente trasversale elastica, la reazione verticale non può essere data altro che dal fondo: e perciò l’onda, qui gravifica anzichè elastica, ha un periodo che dipende essenzialmente dalle dimensioni del recipiente. (2) Lord Rayleigh, 7heorie of sound, vol. I, pag. 866; tavole ai $$ 206 e 221 4. Macmillon, London 1894). RenpICONTI. 1920. Vol. XXIX, 1° Sem. 60 — 460 — tavole delle funzioni del Bessel o tavole di frequenza, 4 prende il valore di 3,2. Ed il periodo assume l’espressione: (2) = (3,2) VE £ (1) ove a è il raggio, 2 lo spessore del setto, 0 la densità; w si può anche tra- scurare, E è il modulo di Young. salta. À 1h s Sostituendo ad & l'equivalente isa ricavando lo spessore del setto troviamo una relazione della forma (3) 2ist4R0D0 I periodi delle onde superficiali sono proporzionali agli spessori degli strati oscillanti. Secondo la (3), se, nell'onda dilagante, le oscillazioni rima- nessero confinate ad uno strato a spessore costante, rimarrebbe costante il periodo. Nella (2) sì porrà per approssimazione o=3 ; E=2X10!; V= 3.5 km./sec. Viene (3 dis) PRAIA DI II Per T si dovrà porre quel massimo periodo delle onde lente che non può oltre crescere per quanto cresca la distanza epicentrale, e che d'altra parte non ha ancora subìto alcun sensibile decremento per affievolita regi- strazione. Lo si ritrova alle distanze epicentrali di 10.000 km. circa. Il metodo presuppone che, a quella distanza epicentrale, cadaun terre- moto nettamente registrato dia, alle svariate stazioni equidistanti, onde dello stesso periodo lento. Non è nell’indole di questa Nota di verificare la detta costanza dei periodi; ciò dovrà farsi in un secondo tempo, essendo evidente la necessità di controllare tutto il metodo. Per ora accontentiamoci di vedere l'ordine di grandezza delle profon- dità ipocentrali, quali escono dalla (3 bis) sostituendo per T i maggiori pe- riodi delle onde offerti dai telesismi. Succede, con molta frequenza, che, nei sismogrammi di formidabili ter- remoti lontani trà 5000 e 15000 km., si abbiano lentissime onde del pe- riodo, persino di 60 secondi. Sono state registrate in occasione per es. dei (*) Clebsch, 7'héorie de l’élasticité des corps solides. Paris, Dunod, 1883. A parte il valore di 2, la formola (2) è pure l’espressione del periodo di oscilla- zione di una sbarra parallelepipeda fissa ad uno, oppure a due estremi. Ciò facciamo osservare, perchè il setto anulare, compreso tra due superficî nodali di un’onda sismica stazionaria, può considerarsi come composto di tanti elementi parallelepipedi normali alla superficie d’onda. — 461 — terremoti dell'Oceania (24 agosto 1904); del Giappone (15 giugno 1911); dell'estremo oriente (25 e 27 giugno 1904). Introducendo questo valore di T, la (3 dis) fornisce uno spessore 2s di 13560 metri. Secondo noi, 13 km. sarebbe la profondità ipocentrale circa a cui capitarono quei formidabili terremoti. In numerosi telesismi [ricordo ad es. quelli raccolti in occasione dei terremoti dell'8 giugno 1909 (Cile); del 7 giugno 1911 (Messico); del 12 luglio 1911 (Filippine); del 17 agosto 1917 (Valparaiso)] i periodi mas- simi si aggirano intorno ai 42 sec. Sostituito questo valore di T, la (8 225) fornisce uno spessore di 9492 metri. Secondo noi, 9,5 km. sarebbe la pro- fondità ipocentrale circa a cui capitarono quei terremoti. I) terremoto di Messina diede le maggiori onde lente di 40 sec. a Zi- kawei in Cina. La (3 dis) dice che l'ipocentro del terremoto di Messina si trovava alla profondità di 9 km. ('). Nei telesismi è frequentissimo il periodo di circa 18 sec. Secondo noi, esso potrebbe essere il periodo fondamentale di qualche grande stratifica- zione pressochè generale alla crosta terrestre. La (3 dis) le attribuisce uno spessore di 4 km., il che fa pensare al manto dei terreni terziarî, nelle cui demarcazioni coi terreni secondarî soventi sì annidano i terremoti. Il metodo si applica alle esplosioni artificiali per lo più superficiali e che quindi interessano setti a spessori minimi. In essei periodi massimi sono brevissimi, e ad essi per la (3) corrispondono conformemente setti a spessori piccolissimi. Il nuovo metodo non è ligio a speciale ipotesi intorno alla natura dei terremoti, ma è valevole per quella qualunque ipotesi che più piaccia; vale, ancorchè l'elasticità nel senso dello spessore varii. Il rapporto tra le profon- dità trovate (circa 10 km.) ed il diametro del setto (circa 100 km.) non è molto piccolo, ma sufficiente per l'applicazione della teoria. È tra i metodi più semplici e rapidi che si siano immaginati. Porta alla conclusione che un sismo profondo 9 km. dà onde di periodo non superiore ai 40 sec; uno profondo 13 km. dà onde lentissime del periodo di 60 sec., e così via in pro- porzione. Sia pur grande il grado di incertezza col quale possiamo stimare i periodi più lenti, l’errore sulla profondità ipocentrale non altera l'ordine di grandezza, che, per essere breve, ha grande importanza geofisica. Il fatto di avere dimostrato che gli ipocentri sismici stanno a profondità, che in terra ferma superano di poco le maggiori profondità marine (9 km.) non è senza significato in riguardo ai rapporti tra terremoti e morfologia ter- restre. (1) Con metodo totalmente diverso, è curioso che io giunsi alla stessa profondità ipocentrale di 9 km. (E. Oddone, Determinazione provvisoria della profondità ipocentrale del terremoto calabro-siculo del 28 dicembre 1908. « Rend. R. Accad. Lincei », 1909, vol. XVIII, serie 58). — 462 — Queste profondità ipocentrali, contenute in brevi chilometri, si accordano coi risultati ottenuti coi migliori metodi della sismologia moderna. Quasi nessun sismologo crede più alle grandi profondità ipocentrali di parecchie de- cine di chilometri. Qualsisiano le riserve del caso, il metodo offre un certo grado di probabilità e grande interesse. La sismologia, che coi dati di un solo sismografo è riuscita a dare le coordinate geografiche dell’epicentro, potrebbe, col mio metodo, ricavare. anche da quel sismogramma la terza coordinata e cioè la profondità ipocentrale: non pertanto è evidente che i dati delle altre stazioni vanno consultati per verificare e rettificare questa terza coordinata Mineralogia. — /elagosite di Canalgrande nell’ Iglesiente. Nota dell'ing. EnRIco CLERICI, presentata dal Corrisp. F. MIiLLo- SEVICH. Nel gennaio scorso, trovandomi in Iglesias, profittai di propizia occa- sione per visitare la località di Canalgrande, rinomata per il giacimento di trilobiti cambriane e la grotta, sommariamente descritta nella Guida della Sardegna del Touring Club italiano, che il mare ha traforato in una serie di strati, diversamente resistenti, fortemente raddrizzati. Con disagio potei staccare dalla ripida parete battuta dal mare qualche piccolo campione di calcare incrostato di pelagosite il cuni aspetto, un po' di- verso da quello dei bellissimi saggi, altra volta raccolti intorno al promon- torio Argentario (!), mi induce a darne breve notizia. Col nome di pelagosite, primieramente adottato dallo Stossich nel 1877 per quella dell’isola di Pelagosa (*), viene designata una produzione natu- rale costituita prevalentemente da carbonato di calcio deposto in successivi strati sottili, con struttura fibrosa nel senso perpendicolare a quello della stratificazione, formando goccie e spalmature alla superficie di balze rocciose sul mare a guisa di vernice bruna o nerastra con lucentezza smaltoide. In abbondanza se ne può raccogliere intorno all'Argentario, ad esempio sul calcare scuro, attribuito al retico nella carta geologica al 100,000 edita dal R. Ufficio geologico, vicino al fanale presso Porto S. Stefano e nell’inse- natura della Cacciarella e all'isola Argentarola (*). Non è però esclusiva al (1) Bollettino della Società Geologica Ital., vol. XXXII, 1913, pag. XXXV. (2) Vedasi in proposito la Memoria: Squinabol S. e Ongaro G., Sulla pelagosite (Rivista di min. e crist. ital., vol. XXVI, 1901), che fornisce notizie storiche, analisi chi- miche e discute le varie opinioni sulla natura e sulla orisine del minerale. (3) Il Santi, che ne raccolse all’Argentarola, la ritenne costituita « di carbonato di calce e di ossido nero di ferro depostovi dai flutti marini » (Viaggio secondo per le due provincie senesi, Pisa, 1798, pp. 163 e 170). calcare retico perchè ne ho trovata su calcare bianco cristallino, del trias, in una insenatura prima della Cacciarella e sul quarzo all'isola Rossa. La pelagosite su calcare retico appare più scura, ora assai lucente, ora appannata come fosse affumicata, e ricorda la pece usata per le barche. Presenta forme le più diverse, che non è possibile efficacemente descrivere senza corredo di figure, poichè imita alcuni licheni, oppure è in larghe spal- mature più o meno bernoccolute o lobate, talvolta con stretti solchi fra i lobi, forse in origine fessure di contrazione, e i lobi sono arrotondati e lisci oppure frastagliati e increspati; altre volte corona le maggiori sporgenze do- vute alla ineguale erosione o dissoluzione della roccia che fa da gambo di sostegno al corpo pelagositico. Sul calcare bianco mostra colorazioni più chiare nei toni del bruno- gialliccio e bruno-verdiccio, ed apparentemente anche rossastro se il calcare è superficialmente arrossato. Ve ne è altresì di quasi incolora che pare ver- nice vitrea da maiolica malamente applicata. Le goccie sparse sono pure interessanti. Sebbene non manchi qualche accenno ad allineamenti, la loro distribuzione è affatto irregolare, come di- versissima è la loro reciproca distanza. Rimarchevole è la piccolezza di al- cune di esse, perchè di diametro inferiore a mezzo millimetro. Anche la densità è un po’ variabile; con una dozzina di pezzi privi della roccia ho trovato, con la sospensione nel mio liquido al formiato- malonato di tallio, che a 18°, quando il liquido ha 4=2,783, tutti i pezzi stanno al fondo; per d4=2,816 la metà galleggiano, e intine galleggiano tutti per d4= 2,888. Scaldata, ma non tanto da calcinarla, ed osservata con lente o al mi- croscopio, mostra alla superficie, o nell'interno degli strati superficiali, nitidi cristalli, anche geminati, di gesso che il calore ha reso visibili imbiancan- doli, i quali spiegano la presenza di solfati dedotta dall'analisi chimica. La calcinazione fa riconoscere la presenza di materia organica, sviluppando gas, il cui odore ricorda la chinolina, che si condensano in liquido a reazione alcalina. Al microscopio, per sezioni sottili o per frantumazione, se ne riconosce la struttura fibro-raggiata e a strati, messa già in evidenza dallo Squinabol e dall’Ongaro per la pelagosite delle isole Tremiti. Meglio ancora se si segue al microscopio la lenta ed ineguale corrosione che esercita sui frantumi l’acido cloridrico, oppure nitrico, diluitissimo. La sostanza minerale finisce per disciogliersi e resta quella organica che conserva la stessa forma dei frantumi e la netta stratificazione e tingesi con blù metilene e con safranina. La figura di polarizzazione a nicols incrociati è uniasse negativa con anelli colorati concentrici e la croce nera stabile per tutta la rotazione. Bollita con soluzione di nitrato di cobalto si colora in lilla; ma se prima fu riscaldata al rosso scuro, senza che il carbonato di calcio abbia a disso- ciarsi, la colorazione è meno evidente o manca. — 464 — A Canalyrande nell'Iglesiente la pelagosite riveste, in sottile spalma- tura giallognola, ciottolini cementati che per la loro giacitura potrebbero accennare a un leggero sollevamento della costa o ad avanzamento del mare a scapito di essa. Sul calcare cambriano si presenta anche in spalmature lucenti, insieme con una minuta concrezione puntiforme con traccie di faccette rombiche a spigoli arrotondati. Ed infatti al microscopio, con debole ingran- dimento, si scorgono tali faccette come in aggruppamenti di piccoli rom- hoedri. Per meglio chiarire questa particolarità, ho immerso frammenti del calcare in acido cloridrico diluito e freddo, e ne è risultata, oltre alla vivace effervescenza. una punteggiatura bianca che spicca sul fondo scuro della roccia e al microscopio si vede essere costituita da gruppi di romboedrini un po’ corrosi, talvolta scheletrici, formanti masserelle, del diametro intorno a mezzo millimetro e talvolta di più, distribuite con relativa uniformità in tutta la roccia. È lecito pertanto ammettere che lo stesso risultato si produca per la naturale corrosione del calcare e che poi sui gruppi di cristalli, resi spor- genti, avvenga la spalmatura di pelagosite. Se il calcare corroso dall’acido cloridrico si tratta a caldo per mezzo minuto con soluzione di cloruro rameico al 5%, i gruppi di romboedrini non cambiano colore mentre la roccia circostante assume bel colore verde chiaro che persiste con la lavatura e col disseccamento, e mette ancor meglio in vista la speciale struttura della roccia e la diversità dei componenti. Per- tanto il fondo è di calcite ed i romboedrini sono di dolomite (?). Questi, tolti dalla roccia e immersi in bromonaftalina, si vedono conte- nere un tenue pigmento scuro e, calcinati, assumono colorazione leggermente giallastra per ossido di ferro. Le masserelle di romboedri non hanno contorno rotondeggiante tale che possa far supporre essersi formate entro la cavità di un fossile qualsiasi, tanto più che vi sono anche romboedri isolati perfino con 340 di diago- (1) Con la soluzione di cloruro rameico, anche variando un poco tempo è titolo, la dolomite resta immutata mentre la calcite e l’aragonite si colorano. In bagno di ferro- cianuro di potassio, previ: lavatura, il color verde passa a rosso-bruno intenso che può mettere in evidenza anche il più leggero attacco da parte della soluzione rameica; ma per solito ciò non occorre. Ritengo preferibile la soluzione rameica a quella di cloruro d'alluminio con deco- zione di campeggio proposta dal Lemberg per distinguere la calcite dalla dolomite. La distinzione fra aragonite e calcite può farsi con la reazione del Meigen al nitrato di cobalto, che colora l’aragonite in lilla, eventualmente modificata da bagno in solfuro di sodio proposto dal Quercigh, o con quella del Thugutt al nitrato di argento e bagno di cromato potassico che dà colorazione rossa. Con soluzione di nitrato di iridio ho ottenuto intensa colorazione nera per l’arago- nite e un accenno di affumicatura con la calcite e la dolomite; ma il reattivo è ora troppo costoso. — 465 — nale maggiore delle faccie: e neppure vi è traccia di disposizione a strati concentrici. Ciò mi ha indotto a esaminare, allo stesso modo, il calcare cam- briano denominato oolitico che avevo raccolto presso Iglesias, in vicinanza di Punta Sabannari sulla strada per Flumini, ed ho constatato la stessa struttura del calcare di Canalgrande, dimodochè quella denominazione sarebbe impropria. La pelagosite di Canalgrande ha le stesse proprietà di quella dell’Ar- gentario. Dà le reazioni cromatiche dell'aragonite; riga la fluorite ed include cristalli di gesso visibili dopo riscaldamento. Per raschiatura si possono fare preparati in cui alcuni frammenti mostrano la struttura stratificata e fibro- raggiata, ed altri, normali alle fibre, la figura di polarizzazione a croce ne- gativa. Il colore è giallognolo in ragione del mirfore spessore, e ricorda quello del guscio di alcuni molluschi d’acqua dolce. Ho appositamente osservato gli opercoli delle piccole bitinie viventi nelle fontane di Roma, e quelli delle grandi paludine delle paludi pontine che sono formati per straterelli successivi di carbonato di calcio misto a materia organica. Essi offrono la stessa figura di polarizzazione a croce negativa, spostabile col muovere il preparato, a causa del diverso spessore e della diversa incli- nazione locale dell'opercolo rispetto all'asse del microscopio. La pelagosite ha pure somiglianza con certi denti fossili di pesci, per l'aspetto e per la struttura fibrosa e a strati. Non manca infine qualche somiglianza con alghe calcarifere. Per la costante presenza di materia organica, se non è tutta accidental- mente inclusa, sorge il sospetto che un'azione biologica partecipi alla forma- zione della pelagosite. Per quella di Portofino (') l’Issel ritiene abbia inizio dalla decomposizione di alghe verdi che lascia un intonaco nerastro su cui poi continuerebbe la deposizione chimica. Mancando, però, precisi ragguagli, sarebbe opportuno d’istituire esperienze nei luoghi ove la pelagosite abbonda collocando apposite supertici rocciose, possibilmente asportabili, da visitare di tanto in tanto. Siccome la pelagosite dà le reazioni cromatiche dell’aragonite, proprietà che il calore modifica, e la durezza ed il peso specifico sono maggiori di quelli della calcite, se ne può dedurre che il carbonato di calcio vi si trovi nella fase di aragonite. Nè a ciò contrasterebbe la figura di polarizzazione quando la si consideri come conseguenza dell’osservazione portata su sfero- cristalli. (1) Issel A., Prime linee di un ordinamento sistematico delle pietre figurate. Mem. R. Acc. dei Lincei, vol. XI, 1916, pag. 651. MA 600- Geologia. — Patologia dell’ Ursus spelaeus della grotta di Equi. Nota della dott. LinA PreRAGNOLI, presentata dal Socio CARLO DE STEFANI. Autori recenti hanno trattato di alterazioni patologiche di crinoidi, attribuite ad origine microbica: altri molti, tra i quali il Bassani, ne de- scrissero di ossa di pesci dal Perniano in poi, accennando pure, seguendo il Renault, all'origine da microbi, senza però diffondersi gran che sulla natura delle malattie. Altri recenti trattarono più ampliamente, ma saltuariamente, di alcune ossa malate di rettili, fin dalle più antiche età geologiche, e di svariati mammiferi; ed il Moodie (1918). in varie note di paleopatologia, ritenne, però con fondamenti non troppo sicuri, che vi fossero in passato anche malattie ossee diverse, per così dire malattie fossili. Da molto tempo sono state notate anormalità in ossa di orsi fossili, desumendo che queste dipendevano da malattia. Schmerling, nel suo lavoro del 1833, descrive e figura varie ossa patologiche dell’Ursus spelaeus Blum, dimostrando che le malattie, da lui non precisate, sono più antiche dell’uomo e sono identiche a quelle dei nostri giorni. Dopo di lui di alterazioni pa- tologiche, specialmente dell’orso fossile, hanno parlato, per lo più senza dif- fondersi sulla natura della malattia, Cornalia, Owen, Battaglia e moltis- simi altri. I fossili che io ho studiato sono della caverna preistorica di Equi, in Lunigiana, scavata dal prof. Carlo De Stefani: essa appartiene in massima parte al Monstieriano, come quella, contenente la stessa fauna, di Cotencher nel Giura svizzero, recentemente scoperta e studiata da Dubois e Stehlin. I fossili appartengono a varî mammiferi, compreso l’uomo, ma principal- mente all’ Vrsus spelacus Blum. Studiando le ossa di questo animale, ho esaminato di tubercolosi e osteiti circa 127 casi (vertebre — sterno — testa del femore — ossa brevi degli arti), di osteomieliti e ascessi ossei circa 30 (arti), di actinomicosi 10 (mandibole e mascelle), di artriti 17, di traumi 15, più qualche caso di ra- chitide e qualche caso incerto. Come si vede, la malattia più estesa è la tubercolosi: ne trovai però anche varî casi perfettamente guariti. Le ossa pre- sentano talvolta forte rarefazione ed erosione insieme, accompagnate spesso da neoformazioni ossee (osteite rarefacente e condensante, tubercolosi), tale — 467 — altra solamente neoformazioni e incrostazioni ossee (artriti), oppure hanno il tessuto sconvolto, in parte rarificato, in parte condensato, spugnoso con cavità e con neoformazioni (osteomielite, ascessi ossei), od anche macerato con scomparsa delle trabecole ossee (actinomicosi). Nello studiare le ossa malate, all'esame macroscopico ho aggiunto l'esame microscopico, paragonando sezioni di osso malato con sezioni corrispondenti di osso sano, e le osservazioni confer- marono sempre le diagnosi macroscopiche: ho provato anche varie colorazioni con carminio neutro e allume carminio, ma le migliori sono riuscite quelle fatte con l’eosina e con l'orange. Mi prometto di pubblicare il lavoro con illustra- zione e con tavole: ma intanto ne do un breve cenno e qualche esempio. Microsco- picamente ho potuto riconoscere la modificazione del tessuto propria dell'osteo- mielite, comparando la sezione di un 5° metacarpale sano di Zrsus sp. con quella di un 5° metacarpale affetto da osteomielite: ho trovato nell'elemento ma- lato una minore quantità di osteoblasti, dipendente dall’infezione piogena, e un processo di neoformazione ossea dipendente dall'osteomielite. Invece in due sezioni corrispondenti di vertebre di ZVrsus, l'una sana, l’altra malata, ho notato, in quest'ultima, forte rarefazione del tessuto con grandi lacune, una mancanza assoluta di neoformazione, rendendosi così evidente la differenza che passa tra un tessuto osseo affètto da infezione piogena e un tessuto osseo affetto da tubercolosi, come, già prima di sezionare, avevo classificata la ma- lattia che aveva colpito questa vertebra. Così pure un importante caso di osteomielite della diafisi di un cubito di orso (osso rigonfiato rareficato ca- vernoso, mostrante tracce sicure di suppurazione) ha avuto la sua conferma con l'esame microscopico; così per alcune vertebre affette da morbo di Pott, il cui tessuto era rareficato, con vaste lacune, e forte irregolarità. Un fatto notevole è che, tra la innumerevole quantità di ossa perfetta- mente sane, non sono riuscita a trovare uno sterno perfetto; hanno tutti. e sono parecchie diecine, o corrosioni o modificazioni evidenti del tessuto, che danno a dubitare che fossero tutti affètti da tubercolosi; mi era nato il dubbio che, essendo lo sterno e le vertebre le ossa più soggette al disfacimento post mortem, queste modificazioni, che riapparivano in ogni sterno, fossero dovute agli agenti esterni; ma l'esame microscopico di uno sterno meglio conservato, che poteva quasi considerarsi sano, ha mostrato in sezione il tessuto malato: infatti, le lacune dell'osso non sono regolari, come nel tessuto sano, ma mo- strano delle sfrangiature e delle lacune secondarie (lacune di Howship) che dimostrano chiaramente l’esistenza di una lesione vitale. Giunsi quindi alla conclusione stessa alla quale era giunto Schmerling per induzione che cioè esistevano nell’ Ursus le stesse malattie che esistono nei mammiferi attualmente. L'essere stati gli orsi spelei del Monsteriano così estesamente colpiti dalla tubercolosi fa affacciare l'ipotesi che la tubercolosi sia stata una delle cause che ha contribuito alla estinzione completa della specie. RENDICONTI )920, Vol. XXIX, 1° Sem. 81 — 468 — Osservai anche anormalità in ossa (specialmente arti) ritrovate nella stessa caverna di Felis pardus L.., di Canis lupus L., di Rupicapra rupi- capra L., di Felis leo var. spelacea Goldfuss, e di Homo: sono osteiti, osteo- artriti e carie dipendenti molto probabilmente da ferite, che si sono infettate e che di conseguenza hanno prodotto l'alterazione dell'osso: solamente un radio di Felis spelaea Gold. porta sicure tracce di tubercolosi: nelle ossa di Homo noto rotture e calli ossei (costole), qualche artrite e osteite, ma tutte forme leggere: bisogna anche tener conto che la quantità di ossa di Homo trovate nella grotta è assai minore di quella di ossa di Zrsws. Fisiologia. — Sul modo di agire dell’adrenalina sul cuore. Nota del prof. L. BeCCARI, presentata dal Socio ALBERTONI. Questa Nota sarà pubblicata in un prossimo fascicolo. Biologia. — Nuovi fatti e nuovi problemi sulla biologia e sulla sistematica del genere Artemia (*). Nota I° del dott. Ce- sARE ARTOM, presentata dal Socio B. GraAssI. L Artemia salina, piccolo crostaceo comunissimo anche nelle acque molto salse, è stato, come è ben noto. un classico oggetto di studio e di esperimenti; in quanto che, in relazione colla diversa concentrazione delle acque nelle quali vive, esso acquisisce delle variazioni morfologiche molto cospicue. Anche però il diverso modo di riprodursi (per partenogenesi e per am- fivonia) ha attirata l'attenzione di molti biologi, si può dire, sino da oltre cinquant'anni. Certo è che anche un osservatore superficiale non può fare a meno di constatare che dal punto di vista biologico le Artemie delle varie località differiscono profondamente tra loro. Potranno quindi i sistematici discutere se l Artemia salina è un'unica specie cosmopolita, oppure se essa può suddividersìi in altre specie o varietà; ciò che è fondamentalmente certo si è che le Arfemze delle varie località differiscono profondamente tra loro nel modo di riprodursi. Basti infatti pen- (') Lavoro eseguito nell’Istituto di Anatomia Comparata dell’Università di Roma. — 469 — sare che in alcune regioni i maschi d'Artemia sono abbondantissimi, per- sino prevalenti sulle femmine, in altre sono rarissimi, in altre infine com- pletamente assenti (!). Coloro i quali si sono occupati della biologia dell’Artemia in epoca in cui vi era una naturale tendenza a dare grande importanza al fattore am- biente come possibile regolatore di fenomeni biologici, hanno ravvisato nel cambiamento del grado di salsedine, oppure delle condizioni di temperatura, di nutrimento, ecc., la causa diretta dell’apparire della amfigonia e quindi del diverso modo di riprodursi dell’Artemzia salina. Così, per esempio, circa quarant'anni fa, lo Schmankewitsch non ha esitato ad ammettere che l'apparire del maschi nell’Artemza sia diretta- mente legato a una determinata concentrazione delle acque e alla possibilità che tali acque evaporino rapidamente. Anikin invece nel 1898 attribuisce alla privazione di nutrimento il fatto di essere riuscito ad allevare qualche maschio di Arzemia da generazioni normalmente partenogenetiche. Più tardi, dopo le numerose prove date che negli organismi a così detta riproduzione ciclica, l'alternarsi di generazioni partenogenetiche e di generazioni amfigoniche, è in diretta relazione cou intimi fenomeni che av- vengono durante la maturazione delle cellule sessuali, anche al riguardo dell'Artemia sulina è prevalsa l'idea che il diverso modo di riprodursi do- vesse dipendere, più che da un immediato influsso dell'ambiente esterno, da cause interne esistenti nell'uovo. Frutto, per esempio, di tale tendenza sono le opinioni espresse da Samter e Heymons nel 1902, i quali (pur lasciando impregiudicata la questione se l'Artemia in qualche caso debba essere compresa tra gli organismi a ripro- duzione ciclica) attribuiscono la regolazione nel suo modo di riprodursi esclu- sivamente a fattori interni, i quali pur ripetendo la loro lontana origine magari da cause ambientali. sarebbero però oramai così bene stabilizzati da essere duraturi e resistenti anche alle variazioni dell'ambiente esterno. Le mie ricerche infine, largamente integrate dall'indagine citologica, sono state limitate (è vero) a fornire dati precisi sulle Arzfemze di due sole località (Cagliari e Capodistria); ma i dati raccolti sono di tal natura da permettermi, io credo, di avanzare qualche legittima ipotesi anche sulla biologia delle Artfemie di alire località. Con una serie di osservazioni e di esverimenti sono riuscito infatti a di- mostrare che in Cagliari i maschi d'Artemza sono abbondantissimi in qua- lunque periodo dell’anno e in qualsiasi concentrazione delle acque; che l'uovo matura come tutte le uova che devono essere fecondate, riducendo cioè il (1) Tutta la letteratura sino al 1915, riguardante 1 Artemia salina, è ordinatamente raccolta nel lavoro di Abonyi: &xperimentelle Daten zum Erkennen der Artemia-Gattung (« Zeitschrift fir wissenschaftliche Zoologie », vol. 114, an. 1915) — 470 — numero dei cromosomi ed emettendo i due globuli polari; e che infine il numero normale dei cromosomi (42) viene reintegrato nell'uovo mediante il naturale processo della fecondazione. Viceversa, al riguardo dell'Artemia di Capodistria in cui non furono mai trovati maschi nè da Siebold, nè da Brauer, nè da Petrunkewitsch, ampliando ricerche precedenti alle mie, ho potuto confermare che l'uovo ma- tura secondo il tipo delle uova a cosidetta partenogenesi somatica e cioè senza riduzione del numero dei cromosomi e coll'emissione di un unico glo- bulo polare; e che inoltre il numero dei cromosomi di tale Ar/emzia è pre- cisamente il doppio (84) del numero dei cromosomi dell’Artemia di Cagliari. Infine ho messo in evidenza che, in relazione colla diversa quantità di sostanza cromatica contenuta inizialmente nell'uovo delle due Arzemie, le cellule e i nuclei delle cellule di parecchi tessuti dell'una (Cagliari) sono molto più piccoli delle cellule e dei nuclei delle cellule dei corrispondenti tessuti dell'altra (Capodistria). Come ho ripetutamente detto nei miei precedenti lavori, siccome i fatti suesposti trovano perfetta corrispondenza con quanto avviene in parecchie specie vegetali, ma più precisamente con quanto avviene al riguardo di qualche mutante del genere Oerothera, era ben naturale che estendessi all'Artemia le stesse considerazioni fatte dal botanico Gates al riguardo dell’Oenothera gigas e che cioè considerassi le due Artemze come i punti estremi (di partenza e di arrivo) del cammino evolutorio di una specie. Speravo che in questi ultimi anni la letteratura citologica sulla matu- razione delle cellule sessuali delle Artemze di altre località fosse andata estendendosi. Pur troppo (per quanto almeno a me consta) nessun lavoro è comparso al riguardo; quindi le nostre conoscenze precise sulla maturazione dell'uovo dell’Arfemzia si limitano a quelle di ue sole località, e cioè Ca- podistria, Odessa e Cagliari. In causa della limitazione delle uostre conoscenze, volendo tracciare quali possono essere le tappe intermedie, attraverso le quali si compierebbe il raddoppiamento del numero dei cromosomi e di conseguenza la formazione di una nuova Arcemta del tutto distaccata dalla primitiva, debbo ricorrere a pochi fatti concreti e a un maggior numero di ipotesi. In una specie come l'Arzemia, in cui si nota una naturale tendenza ad acquisire la partenogenesi, il primo dubbio che deve sorgere si è, se per caso in mezzo alle normali generazioni amfigoniche diploidi (x + x), come sono quelle di Cagliari, possa sorgere una partenogenesi pure diploide (2 x ). Evidentemente, se si riesce a dimostrare che qualche uovo dell'Artemia amtigonica diploide non riduce il numero dei cromosomi ed emette il solo primo globulo polare, la partenogenesi diploide è senz'altro acquisita. Non solo; ma si deve presagire che le generazioni diploidi partenogenetiche, per la loro maggiore rapidità nel susseguirsi l’una all'altra, debbano col tempo gradatamente soppiantare le generazioni amfigoniche. — 471 — Che qualche rara generazione diploide partenogenetica possa esistere a Cagliari, l'ho già detto esplicitamente nei miei lavori. La fig. 3 di nn mio lavoro del 1911 (?) non lascia poi alcun dubbio in proposito: essa rappre- senta la vescicola germinativa di un uovo in cui non è avvenuta la ridu- zione nel numero dei cromosomi ed è quindi atto a svilupparsi partenogene- ticamente. Ma vi è di più. Infatti Jensen (*) avrebbe dimostrato che l'Ar- temia del lago salato di Utah è contemporaneamente amfigonica e parteno- genetica. Orbene, siccome tale Artemza è perfettamente identica a quella di Ca- gliari, anche per la grandezza dei nuclei delle cellule somatiche, come rite- rirò prossimamente, così (se vere le esperienze di Jensen, in realtà però riferite in modo non esente da critica) devesi conchiudere che l’Ar/emia del lago salato di Utah è un Arztemia diploide in cui devono incontrarsi, con maggior frequenza che non a Cagliari, uova le quali non riducono il numero dei cromosomi, emettono un solo globulo polare e quindi sono partenoge- netiche. L'esistenza poi di un’ Artemia diploide partenogenetica, in cui le gene- razioni amfigoniche sieno state gradatamente eliminate, è prevedibile, ma non è sino ad ora ancora dimostrata. Sul come poi possa prendere origine l Arfemia partenogenetica tetra- ploide (4). non abbiamo neppure il più lontano dato di fatto. Ho però avuto occasione di esprimermi in proposito, ammettendo cioè che l’Artemia partenogenetica tetraploide derivi da un'Artemia amfigonica, pure tetraploide (2x + 22), per mancata riduzione del numero dei cromosomi (5). Se vera tale ipotesi, i laghi salati presso Odessa devono offrire il ma- teriale adatto per conclusive ricerche al riguardo. Infatti l' Artemia di tale località è sicuramente partenogenetica tetraploide; ma la relativa abbon- danza di maschi fa legittimamente pensare che, accanto alle generazioni partenogenetiche, coesistano anche quelle amfigoniche. Altre ipotesi possono poi farsi sull'origine del tetraploidismo nell’ Ar- temta. Lasciando da parte che la duplicazione del numero dei cromosomi può avvenire in modo molto semplice per una mancata prima divisione di segmentazione di un uovo diploide, può, se si vuole, farsi anche l’ipotesi che un uovo partenogetico diploide formi bensì il primo ed unico globulo polare, ma poi, questo invece di essere emesso rientri nell'uovo e si con- (1) C. Artom, Analisi comparativa della sostanza cromatica ece., in « Archiv. fiir Zellforschung », 7° Band, 2° Heft, 1911. (?) A. C. Jensen, Some observations on « Artemia gracilis » ecc., in « Biological Bulletin n, vol. XXXIV, 1918. (3) C. Artom, Le basi citologiche di una nuova sistematica del genere « Artemia » (« Archiv. fur Zellforschung », 9° Band, 1° Heft, 1912). — 472 — giunga col pronucleo ovarico, dando così luogo ad una specie di fecondazione autogamica. Qualunque valore abbiano tutte queste ipotesi, che io espongo al solo scopo di incitare a veriticarle tutti quelli che si trovano nelle condizioni opportune, sta il fatto conclusivo che le Artemie di due località (Cagliari e Capodistria) sono geneticamente isolate in modo perfetto e possiedono nn carattere differenziale di grande importanza e stabilità, quale è quello di una notevole differenza nella grandezza cellulare e nucleare di varii tessuti. Per di più, per un complesso di fatti, mi pare legittimo ammettere che il pas- saggio dall’Artemia amtigonica di Cagliari (diploide) all'Artemia parteno- genetica di Capodistria (tetraploide) debba essersi compiuto gradatamente attraverso fenomeni che interessano assai semplicemente il meccanismo dei cromosomi; fenomeni che avrebbero però una portata molto grande, determi- nando una divergenza e un distacco completo tra le Artemzie delle due pre- dette località. Biologia vegetale. — Sulle cause di arresto di sviluppo del- l’ovario nel fiore delt’olivo. Nota di L. PETRI, presentata dal Socio G. CUBONI Sopra l'incostanza della fruttificazione dell'olivo e, in alcuni casi, sopra la sua persistente sterilità, era stata richiamata già da tempo l’attenzione degli olivicultori e di alcuni studiosi di agricoltura, ma solo da pochi anni il problema è stato oggetto di indagini condotte con metodo scientifico. Il resultato più saliente da queste raggiunto è che la parziale o totale steri- lità dell'olivo dipende, nella grandissima maggioranza dei casi, da un arresto di sviluppo, più o meno precoce, dell'organo di riproduzione femminile. Sopra questo fatto non vi è discussione. È sopra le cause mediate ed immediate del fenomeno che non sì è ancora raggiunto l’ accordo degli studiosi. Da un punto di vista strettamente morfologico, ha portato recentemente un contributo alla soluzione del problema il prof. R. Pirotta ('), muovendo dalla concezione odierna delle varie forme di ontogenesi delle piante supe- riori in relazione al numero delle sorta d’individui che concorrono a costi- tuire il ciclo vitale di una data specie. Le conclusioni alle quali l’autore è pervenuto sono le seguenti : (1) Pirotta R., Osservazioni sul fiore dell'olivo (in: Rendiconti R. Ace. Lincei, vol. XXVIII, serie 52, 2° sem., 1919). — 473 — L’olivo, per quanto riguarda la distribuzione dei fiori, è specie pleomorfa, e precisamente è specie trifitica, perchè nel suo ciclo di svi- luppo ontogenetico entrano tre sorta di individui: un individuo monoclino, uno staminifero e uno con fiori monoclini normali e fiori monoclini a pistillo più o meno ridotto. quindi fisiologicamente staminiferi. La forma monoclina è da ritenersi primitiva; la staminifera deri- vata per graduale continua riduzione del pistillo, perchè anche attual- mente s'incontrano individui, nei quali, insieme coi fiori prettamente mo- noclini, se ne trovano altri, in numero più 0 meno grande, che presentano tutti i gradi di riduzione del pistillo e delle sue parti sino alla scom- parsa totale. Avremo dunque « o/zvi con fiori monoclini (e sembra essere il caso più frequente nelle piante coltivate) ed olivi con fiori staminiferi (ed è il caso più raro nelle piante coltivate). Tal'altra volta le due sorta di fiori si trovano sul medesimo individuo: cosicchè abbiamo olivi con fiori monoclini e staminiferi (ed è caso non molto frequente), ed olivi con fiori monoclini e fiori con pistillo più 0 meno ridotto ma sempre ma- nifesto (ea è caso frequente) ». Dal 1906 al 1913 vennero compiute dallo scrivente numerose ricerche sulle cause della sterilità di singole piante di olivo o di interi oliveti, ado- perando a tale scopo abbondante materiale raccolto in diverse regioni olei- cole italiane, ed istituendo metodiche osservazioni ed esperienze negli oliveti . di Lecce. I resultati raggiunti in simili stuwdî vennero riferiti dettagliata- mente e discussi, relativamente anche ad interpretazioni diverse che di loro potevansi dare, in una memoria pubblicata nel 1914 (*); ed alla let- tura di quest'ultima invito chi può interessarsi della questione, giacchè la brevità dello spazio concesso a questa Nota non mi permette di ripetere qui se non alcuni dei fatti principali sui quali io basavo le mie conclusioni. Per quel che riguarda l'arresto di sviluppo del pistillo, causa precipua ed immediata della sterilità, io concludevo: « In tutte le piante d’olivo, coltivate o selvatiche, in buone o cattive condizioni di vegetazione, si verifica costantemente, e in una larga propor- zione, l'arresto di sviluppo, più o meno precoce, dell’ovario. In una stessa pianta, e anche in uno stesso rametto fiorifero degli stessi individui i più fertili, è possibile trovare fiori che presentano l'arresto di accrescimento dell’ovario in stadî di sviluppo diversi. Negli olivi, cosiddetti maschi, di Venafro, lo stadio di sviluppo, in cui l’ovario cessa di creseere, non differisce assolutamente da quello in cui lo stesso arresto di accrescimento si manifesta negli ovarii di fiori portati da piante fertili. (*) Petri L., Studi sulle malattie dell’ olivo. V: Ricerche sulla biologia e pato- logia fiorale dell'olivo (in: Memorie della R. stazione di patologia vegetale. Roma, tipo- grafia del Senato 1914, pp. 1-64 con tavola a colori). — 474 — La percentuale dei fiori con ovario a mancato sviluppo presenta delle oscillazioni periodiche irregolari, in dipendenza delle condizioni di vegeta- zione. Così anche gli olivi maschi possono in alcuni anni portare una quan- tità relativamente abbondante di frutti. Tra le condizioni esterne, che pos- sono determinare con maggior frequenza la preponderante formazione di fiori con ovario rudimentale o a sviluppo incompleto, è la siccità prolungata. La defogliazione può causare egualmente lo stesso effetto, come qualunque altra causa che determini una deficiente migrazione d’acqua nella pianta. In concomitanza alla produzione quasi esclusiva di fiori staminiferi, è stata trovata una deficienza di azoto nei rami tioriferi in confronto ai rami con fiori fertili, ciò che sembra autorizzare a considerare questo fatto come la causa immediata dell'arresto di sviluppo dell'organo riproduttivo fem- minile. Questi resultati delle mie ricerche negano, in conclusione, l’esistenza delle quattro categorie di individui, ammessa dal Pirotta, e cioè: 1°) indi- vidui a fiori monoclini; 2°) individui a fiorì staminiferi; 3°) individui a fiori monoclini e fiori staminiferi; 4°) individui a fiori monoclini e a fiori con pistillo più o meno ridotto. Questa distinzione corrisponde più o meno a uno schema teorico che non alla realtà dei fatti. In natura ogni pianta di olivo, coltivata 0 selvatica, presenta le tre sorta di fiori (cioè monoclini, sta- miniferi e monoclini con pistillo ridotto) 0, più esattamente, mostra nei suoi fiori tutti gli stadi dell'arresto di sviluppo del pistillo. Non esistono olivi con fiori tutti monoclini, come non esistono olivi a soli fiori staminiferi. Le differenze che sussistono tra i diversi individui riguardano solo la frequenza con cui sì manifesta l'arresto, più o meno precoce, dello sviluppo dell’ovario. Le oscillazioni, che questa frequenza presenta in una stessa pianta, sono, con tutta evidenza, in dipendenza di fattori esterni. Le osservazioni e le esperienze da me eseguite lo dimostrano. Così in alcuni individui di olivo maschio di Venafro venne constatata per tre anni consecutivi, nei rametti esaminati, un’elevatissima percentuale (98-100 %) (!) (*) Queste percentuali, per rappresentare esattamente il rapporto quantitativo fra produzione di fiori monoclini e staminiferi in uno stesso olivo, dovrebbero essere desunte naturalmente dall’esame e dal computo di tutti i fiori che la pianta porta nel periodo dell’antesi. Riflettendo però all'ingente numero di fiori prodotti da un olivo adulto, è ben comprensibile come un computo cosiffatto non sia praticamente attuabile ed occorra con- tentarsi di un valore approssimativo desunto dall'esame di un numero relativamente grande di fiori (1000-2000), appartenenti a rami bassi e alti, vòlti a nord e a sud. In questo modo l’errore in cui si può incorrere è assai meno grave di quando si esamini solo un centinaio o meno di fiori, specialmente se raccolti sopra uno stesso ramo. È per questa ragione che, per es., il 100 °/, di fiori con ovario rudimentale trovati su cinque infiorescenze, sopra un totale di 67 fiori (cfr. Pirotta R., loc. cit.), non può essere considerato come un rapporto che si verifica su tutti i rami di quella pianta. Sarebbe quindi arbitrario il voler concludere, procedendo con un siffatto metodo, che in tal caso si tratti di pianta a fiori esclusivamente staminiferi. — 475 — di fiori con pistillo rudimentale, mentre nel 1913, nei primi di giugno, in alcuni rametti delle stesse piante venne trovato il 50 % di fiori con pistillo bene sviluppato. Una percentuale che, nel periodo dell’antesi, è presentata pure da olivi molto fertili. Sperimentalmente è stata provocata la formazione esclusiva di fiori sta- miniferi, riducendo la corrente acquea di traspirazione, sia staccando tutte le foglie dei rametti fioriferi sin dall'inizio dello schiudersi delle gemme fiorali, sia sottoponendo a siccità prolungata alquante giovani piante in vaso. Nel primo caso sì ottenne il 100 % dei fiori con pistillo rudimentale, come nei fiori staminiferi ordinarî; nel secondo caso, sin dal primo anno dell’espe- rienza, la serie di piante non irrorate presentò, su 2515 fiori, il 98 % di fiori staminiferi. Nel'mese di luglio, solo 48 fiori giunsero a dare il frutto; la serie di olivi della stessa età, sufficientemente irrorati, formò un numero minore di fiori (815), dei quali il 78 % presentava il mancato sviluppo dell’ovario: una percentuale non rara negli olivi coltivati. Da questi 815 fiori si ebbero 175 olive. In quest'ultima serie di piante, quindi, il rapporto nu- merico tra fioritura e fruttificazione fu eguale a 4,6:1; nella prima serie, al contrario, il rapporto fu di 53.5 :1. In una stessa pianta si verifica generalmente una diversa localizzazione del massimo e del minimo della percentuale di fiori con ovario ridotto. Il massimo sì trova per lo più nei rami più bassi e vòlti al nord, mentre il minimo (maggiore fertilità) nei rami posti più in alto e vòlti a sud. In una stessa infiorescenza restano sempre sterili i fiori che nascono all'ascella degli assi secondarî. Nei fiori terminali ordinariamente il pistillo raggiunge il suo completo sviluppo e dà origine al frutto. Tutti questi fatti sono senza dubbio in relazione con la maggiore o minore migrazione dell’acqua nei tessuti di trasporto. Nello stesso ordine di fatti rientra la sterilità di alcuni oliveti, che ho lungamente studiato nei dintorni di Lecce, posti su terreni secchi, soggetti a lunghi periodi di sic- cità (Lizzanello, Martano), in confronto della mediocre o buona fruttificazione degli oliveti situati nelle identiche condizioni di clima. ma su terreni con relativamente abbondante contenuto in acqua (Maglie). Mentre nei primi il numero dei fiori con pistillo rudimentale sale al 98 e 99 %, nei secondi se ne trova solo il 50 o il 60 %. Nella zona a sud-est di Lecce, nell’ultimo cinquantennio, molti olivi, da uno stato di fertilità originaria, sono diventati, per l'influenza di condi- zioni esterne, altrettanti olivi maschi. In qual modo si può, in questi ed altri casi simili, interpretare la pre- valenza di fiori staminiferi come la semplice conseguenza di una naturale spontanea costituzione dei fiori, e della naturule distribuzione di questi nei diversi individui? ReNDICONTI. 1920. Vol. XXIX, 1° sem. 62 D — 476 — Le ricerche istologiche dimostrano nettamente come tra fiori staminiferi e fiori monoclini, con pistillo più o meno ridotto, non sia possibile stabilire una demarcazione netta; ma l'arresto di sviluppo dell’organo femminile si verifica in tutti gli stadî del differenziamento, non solo nei fiori di una stessa pianta, ma pur anco in quelli di uno stesso rametto o infiorescenza. Anche quando l'arresto di sviluppo è molto precoce, gli ovuli sono già differenziati e, in molti casi, anche la cellula archesporiale. È quanto si può osservare nei fiori staminiferi degli olivi masehi e degli olivi fertili (!). Ora è evidente che la causa la quale determina l’atrofizzarsi dell’ovario nei primi stadî di sviluppo è quella stessa che continua la sua azione di arresto anche negli stadî ulteriori prima e anche dopo l’antesi, indipenden- temente, in quest'ultimo caso. dall'effetto di una mancata fecondazione, come già dimostrai sperimentalmente (?). Un altro fatto da prendere in considerazione è che gli olivi coltivati sono tutti riprodotti, da tempo immemorabile, esclusivamente per talea, anche quando si adoperino piantine nate da seme, le quali sono sempre innestate al secondo o terzo anno con marze di varietà coltivate. Le differenze quindi che attualmente noi troviamo, nel caso soprattutto di piante molto giovani, fra individuo e individuo, nella percentuale di fiori con pistillo rudimentale, rappresentano soltanto delle oscillazioni tempo- ranee, e di data recente, del manifestarsi di un carattere che trovasi ori- ginariamente in tutte le varietà coltivate e selvatiche. Non è concepibile che l’olivicoltore prelevi delle marze di una varietà pregiata per i suoi frutti, da individui diventati sterili. Le giovani piante, coltivate in vaso, come quelle esaminate dal prof. Pirotta (*), producono spesso in prevalenza fiori staminiferi per le peculiari, sfavorevoli condizioni di vegetazione, e questo fatto non può evidentemente essere interpretato come il resultato di una distribuzione naturale di questa sorta di fiori sn quei de- terminati individui. Dati più attendibili per lo studio della questione, quale è stata posta dal prof. Pirotta, potrebbero essere forniti da piante selvatiche nate da seme. Solo queste presentano la garanzia, per lo studioso, di costi- tuire degli individui propriamente detti, cioè geneticamente distinti. Ma anche negli olivi selvatici le differenze individuali riguardano solo, per ciò che concerne la costituzione del fiore, la maggiore o minore percentuale dei fiori a pistillo rudimentale. x x x Da quanto ho qui brevemente riassunto dalla mia memoria del 1914, non sembrerà ingiustificata, anche dal punto di vista pratico che senza dubbio la questione presenta, la mia insistenza nell'affermare la necessità (1) Cfr. le fig. 1 e 2 della memoria già citata. (2) Cfr. loc. cit., pp. 16 e 17. (3) Pirotta R., loc. cit., pag. 6, Be 0. di stabilire innanzi tutto quali fatti fisiologici possano spiegare l'arresto di sviluppo dell’ovario del fiore dell'olivo. Giacchè, pure ammettendo che nel- l’Olea europaea sussista la tendenza naturale, per fatti ontogenetici, a pro- durre, oltre i fiori monoclini, anche fiori staminiferi, dovremo necessariamente riconoscere, che tale tendenza venga influenzata, nella sua estrinsecazione, dall'azione favorevole o inibitoria di condizioni esterne. Quali sieno queste condizioni e in qual modo esse agiscano, resta ancòra da determinare, e le mie indagini non rappresentano che un primo tentatiro; ma è questo d’altra parte il solo lato del problema che veramente può es- sere sottoposto all'indagine sperimentale e dalla cui soluzione può derivare un'utile applicazione pratica. È questo l’indirizzo, che, secondo il mio parere, devono avere sull'argomento in questione le ricerche biologiche, se si vogliono raggiungere dei resultati che abbiano un vero interesse per la scienza e per l’olivicultura. RELAZIONI DI COMMISSIONI La Commissione composta dei Soci L. LuzzatTI, G. De MARCHI e R. PiroTTA (relatore), incaricata dalla Accademia di riferire intorno al metodo proposto dal dott. GrroLamo Azzi per lo studio razionale e la soluzione pratica dei problemi di meteorologia e geografia agraria, ha l’onore di presentare la seguente relazione: Dopo uno studio accurato intorno ai fatti e alle idee fino ad ora note, completandoli ed ulteriormente sviluppandoli anche col contributo di ricerche proprie e coll'aggiunta di concetti originali, Girolamo Azzi li collega e coor- dina in un tutto organico che è poi il metodo o il sistema da lui proposto per definire e risolvere problemi che egli chiama di meteorologia e di geo- grafia agraria. Per il modo però col quale l’Azzi imposta i problemi medesimi, inten- dendo egli ricercare determinare ed analizzare ì rapporti tra pianta e clima, tra pianta e terreno, la meteorologia diventa lo studio della influenza dei fattori climatici sull'organismo in azione, e la geografia diventa il ramo di scienza che si occupa bensì della distribuzione geografica delle piante, ma considerandole non come un sistema statico ma come un sistema dinamico in funzione dei fattori dell'ambiente, che tratta, cioè, delle condizioni di equi- librio e di sviluppo di una pianta nei varî punti della sua area di distri- buzione. Si chiami coll’uno o coll’altro nome il ramo di scienza che è campo degli studî dell'Azzi, esso non è dunque in realtà nè meteorologia nè geo- — 478 — grafia, ma bensì, essendo il suo carattere essenzialmente biologico, un ramo, un capitolo delle scienze biologiche, e precisamente della ecologia, scienza biologica ancora giovane, che, ripresa da poco tempo con metodi moderni di ricerca, studia le relazioni che intercedono fra l'organismo (nel nostro caso la pianta), e i fattori esteriori, cioè l’ambiente. È un ramo di biologia a campo ben determinato, con contenuto e con scopi ben definiti, ricco di insegnamenti scientifici e di applicazioni pratiche, per occuparsi del quale decorre senza dubbio preparazione geografica, geolo- gica, climatologica, ma è soprattutto indispensabile preparazione biologica. Questo ramo di scienza, che può aspirare ad assorgere a disciplina auto- noma nel gruppo delle scienze biologiche, ha carattere e scopo puramente scientifico, quando considera la pianta quale organismo che si svolge nel- l'ambiente; ma può assumere carattere eminentemente pratico, quando con- sidera la pianta coltivata dall'uomo peri suoì bisogni, e diventa allora eco- logia agraria. IL Servendosi della conoscenza del periodo critico, da molto tempo ben noto e nel campo fisiologico e in quello agrario come conseguenza naturale dei rap- porti fra le funzioni della pianta e le condizioni dell'ambiente; valendosi dei fenomeni periodici della vita delle piante, che condussero da perecchio tempo alla costruzione delle carte fenoscopiche, introducendo però l’impiego delle carte stesse allo scopo di individuare i periodi critici nello spazio e nel tempo; facendo uso del computo che è operazione elementare in climato- logia per stabilire la frequenza di un dato fenomeno meteorologico in un dato periodo, coll’ introdurre però nel computo medesimo il concetto ecologico così da staccare nettamente la biometeorologia dalla meteorologia pura; dopo aver messo come cardine fondamentale per lo studio razionale, cioè per la definizione e la soluzione dei problemi dei quali si occupa, che i fatti deb- bono essere studiati con un metodo unico, l’Azzi enuncia e propone con chia- rezza e precisione il metodo stesso. La base del metodo o del sistema proposto dall’Azzi per la definizione e la soluzione dei problemi di ecologia è il dilancio bdiometeorologico, o, meglio, bilancio ecologico. Poichè la pianta è costretta a compiere il suo cielo di sviluppo in un punto determinato del suolo, essa può essere considerata come un sistema dina- mico, il quale tende a modificarsi per rendere minima l’azione perturbatrice degli agenti esteriori fino a raggiungere uno stato di possibile equilibrio. E ciò vale anche, e a maggior ragione, per le piante agrarie, le quali, costrette dall'uomo a vivere in aree più estese di quelle loro assegnate dalla natura, debbono compiere uno sforzo maggiore per raggiungere lo stato di equilibrio. — 479 — Ma lo stato di equilibrio di un organismo (nel nostro caso, della pianta), viene determinato dalla azione concomitante di due gruppi di valori, cioè i fattori biologici (struttura e modi di reagire) e i fattori ambientali (pro- prietà fisico-chimiche del suolo, agenti meteorologici ecc.), i quali costitui- scono per una determinata struttura un asse/to ambientale nel senso di assi- curare il normale sviluppo della pianta e il massimo rendimento. Modificando allora l'assetto ambientale, la pianta dovrà, per mantenere un eguale stato di equilibrio ai fini della produttività, modificare la propria struttura. E siccome è facile comprendere che la forma di equilibrio, col variare delle condizioni ambientali varia da un punto all’altro dell’area di distribuzione della pianta, l'ecologo dovrà ricercare e studiare le condi- zioni di equilibrio di una pianta nei varî punti dell'area di sua distribuzione. Ma poichè pianta e ambiente variano da un momento all’altro, si avrà non uno stato di equilibrio, ma una serie, una successione di stati di equi- librio dinamico, che si dovranno studiare, per stabilire poi quale sia, in ogni momento del periodo vegetativo, lo stato ottimo al fine del massimo rendimento, il quale sarà naturalmente tanto maggiore quanto più favorevoli saranno le azioni ambientali durante l'intero periodo vegetativo. Il rendimento in frutto, che è dunque un indice delle condizioni gene- rali di equilibrio nelle quali una pianta si è sviluppata, può essere consi- derato come un mezzo acconcio per valutare il complesso ecologico, cioè l’azione complessiva (in senso negativo o sfavorevole, o in senso positivo o favorevole) dei fattori d'ambiente, cioè di tutti i valori climatici e agrolo- gici durante il periodo vegetativo e attraverso stati differenti e successivi di equilibrio dinamico; e può venire preso come termine di riferimento nella valutazione dello stato di equilibrio, o meglio, dei successivi stati di equilibrio dalla semina al raccolto, nei varî punti dell'area di distribuzione geografica della pianta. Dopo di aver stabilito che per la soluzione dei problemi di ecologia agraria sono necessarie, come si è già accennato, la conoscenza del periodo critico, delle medie fenoscopiche colle quali si individuano nel tempo i pe- riodi critici che coincidono sempre con qualche fase di vesetazione; la cono- scenza della percentuale di probabilità o frequenza dei diversi fenomeni me- teorologici specialmente avversi nelle successive decadi del periodo vege- tativo; la conoscenza della diminuzione del rendimento determinata, in un dato luogo, da ciascuno dei fenomeni meteorologici sfavorevoli, l’Azzi conferma che la determinazione degli elementi necessari deve farsi, perchè acquistino carattere e valore generale, in stazioni appositamente istituite, con indagini e osservazioni parallele come già fu detto, ma in (utta l’area di distribu- zione 0 di coltivazione della pianta. Contemporaneamente alle osservazioni parallele sullo sviluppo della pianta e all'andamento dei fattori meteorologici, si procederà, in un certo numero 4808 di stazioni opportunamente scelte e distribuite, alla selezione per linee pure, allo scopo di fare lo smistamento delle popolazioni locali di quella determi- nata pianta. I tipi nuovi, che si possono ottenere a questo modo, portano con sè mo- dificazione delle esigenze della pianta e spostamento delle fasi critiche dello sviluppo, con evidente influenza sull’assetto del bilancio ecologico. Ma d'altra parte le osservazioni parallele sullo sviluppo delle piante e sul clima continuano e forniscono, di dieci in dieci anni, i materiali per la compilazione di un nuovo bilancio ecologico, il quale così si adatta auto- maticamente a eventuali modificazioni non soltanto dei valori biologici ma anche di quelli meteorologici. Valendosi degli elementi più sopra indicati e seguendo il metodo sopra- esposto, si può costruire per ogni pianta e per ogni località un dilaneio Dio- meteorologico, cioè un bilancio ecologico, e questo bilancio darà una idea chiara esatta della natura e della misura dei rapporti tra la pianta e gli agenti esteriori, quindi delle condizioni biodinamiche della pianta nelle varie località o punti dell'area di sua distribuzione. Eseguendo le osservazioni successivamente e ininterrottamente. di dieci in dieci anni, sì potrà per ogni decennio procedere al calcolo delle medie, le quali, fatte sopra osservazioni numerosissime eseguite in tutto il mondo, verranno ad acquistare un valore considerevole, e si potranno così ottenere i dati per la compilazione di nuovi bilanci ecologici ed anche per la applica- zione delle pratiche e dei suggerimenti che da questi bilanci derivano, allo scopo di svolgere ad es. i lavori in modo che, durante il periodo critico, la pianta incontri condizioni per quanto possibile favorevoli. Con questo bilancio si potranno infatti ottenere importanti risultati pratici al fine del massimo rendimento, e, fra essi, principali i seguenti: a) indicare quale, fra le numerose specie, varietà, razze di una pianta coltivata in una data regione o località (ad es. frumento), sia la più adatta alle condizioni ecologiche di quella stessa località; b) stabilire quale sia l'epoca più opportuna per la semina e quali sieno le pratiche colturali più adatte e il tempo migliore per eseguirla, facendo coincidere i periodi critici con momenti meteorologici per quanto più possibile favorevoli; c) dar modo al selezionista di orientarsi in maniera razionale intorno ai lavori che hanno per iscopo di riunire în uno stesso tipo e nella pro- porzione più vantaggiosa i due caratteri: produttività specifica e resistenza al fenomeno meteorologico più dannoso. Si ottiene insomma, come effetto finale, che la pianta incontri condizioni per quanto è possibile più favorevoli così da attenuare lo sforzo che essa deve compiere per raggiungere lo stato di equilibrio rispetto all'ambiente, cosicchè, trovandosi meno impegnata nella lotta, elevi la sua produttività, l'aumento della quale rappresenta quindi l’effetto ultimo. — 481 — ITI. La vastità dei problemi propostisi ha indotto l’Azzi ad occuparsi anzi- tutto del frumento, cioè della pianta coltivata più importante per l’uomo nella maggior parte della terra, con una serie di osservazioni parallele secondo apposito formulario da lui preparato e costruito in modo da comprendere tutti i dati relativi ai punti sopra ricordati. Ma egli ha già iniziato gli studî preparatorî per estendere l'applicazione del suo metodo agli altri ce- reali e man mano, ma con prudenza, alle altre piante coltivate. E la stessa vastità dei problemi, che si racchiudono nel suo programma, lo indussero anche a cominciare le ricerche dai fattori meteorologici, e perchè la loro azione si può ritenere predominante e perchè essi sono più facil- mente analizzabili nei loro effetti, essendo da molto tempo oggetto di accu- rate ricerche. Ma l’Azzi si propone di applicare il suo metodo e il suo programma di ricerche a tuttii gruppi di fattori dell'ambiente, e prima a quelli agro- logici, poi a quelli colturali e da ultimo a quelli economici, dovendosi considerare l'azienda agraria nel suo insieme come la risultante dell’azione dei molteplici fenomeni fisici colturali ed economici, i quali in diversa mi- sura e con diversa intensità contribuiscono nei singoli punti alla manifesta- zione del fenomeno agrario. IV. Girolamo Azzi gettava le basi del suo sistema nel 1916 col lavoro Il problema meteorologico agrario, che fu tradotto e commentato con largo favore in Europa e in America, suscitò dovunque il più vivo interesse e fornì argomento per studî, per relazioni, per proposte a non pochi specialisti, tra i quali vogliamo ricordare l’agronomo Weéry, il meteorologo Wallin, il bio- logo agrario Nilsson, il meteorologo agrario Broonnoft. L'Azzi, che aveva ben compreso che lo svolgimento del suo vasto pro- gramma non avrebbe potuto aver luogo senza la collaborazione di coloro che avrebbero potuto dare il loro concorso, valendosi della buona accoglienza e dell'unanime giudizio favorevole dei competenti e della simpatia sempre più viva per la sua proposta, simpatia che creava intorno a lui un ambiente molto favorevole, si metteva in rapporto cogli studiosi della materia, colle più elette forze intellettuali del mondo agrario, si accingeva alla vasta opera di creare una rete universale di stazioni di geografia e di meteorologia agraria cioè di ecologia agraria, e gettava la base di una « Società internazionale di geografia e di meteorologia agraria », i membri della quale si impegnano a promuovere nei loro paesi gli studî di ecologia agraria secondo il programma di lavoro basato sul sistema unico e fondamentale da lui proposto. — 482 — L'azione di tale società, che riunisce in un fascio poderoso l’attività di tanti indagatori, viene diretta da un Comitato promotore generale e da tanti Comitati nazionali quanti sono i paesi aderenti. Costituì nel 1918 presso la Società degli agricoltori italiani un Ufficio riconosciuto di pubblica utilità e sovvenzionato dal Ministero di agricoltura, con un servizio di 78 stazioni che ha iniziato una serie di osservazioni pa- rallele sullo sviluppo del frumento e l'andamento delle stagioni. E dalla primavera, ora appena iniziata, il lavoro di osservazione verrà esteso ad una vasta rete di stazioni sparse nella penisola scandinava, in Da- nimarca, Inghilterra, Belgio, Francia, Portogallo, Svizzera, Tunisia, Egitto, colonie italiane dell'Africa. E le stazioni si estenderanno presto a tutta l'area di coltivazione del grano, per accordì già presi con Enti e direttori di stazioni agrarie dell’Asia, dell'America, dell'Australia. V'È Da quanto è stato in modo sommario esposto, sembra a noi risulti che il metodo o sistema, proposto dall’Azzi per la definizione e la soluzione di problemi di Ecologia agraria, rappresenti non un semplice contributo allo studio di queste questioni, ma costituisca una nuova concezione del problema: perchè esso viene ‘portato nel campo biologico in modo che debba essere affrontato e risolto dal biologo coll’ausilio della meteorologia e della geografia; perchè con esso si mira a creare un organismo universale per lo studio di questi problemi, mettendo a profitto le ricerche parallele, ma estendendole a tutto il mondo colla collaborazione di centinaia di studiosi; perchè i collaboratori sono costretti a lavorare sulla base di un metodo e di un programma fondamentale unico e sotto la direzione di un unico centro coordinatore ; perchè insomma l’Azzi non soltanto ha ideato un metodo più com- pleto, più razionale e più scientifico per lo studio e per la risoluzione di pro- blemi teorici e di applicazione pratica di primissimo ordine; ma ha saputo prendere le disposizioni più opportune per assicurare il lavoro sperimentale secondo un programma a svolgimento continuo ed evolutivo, diretto da una volontà sola verso uno scopo ben definito. Il giudizio definitivo intorno al valore di questo metodo potrà essere dato evidentemente soltanto dopo un certo tempo dalla sua applicazione, come onestamente ammette l'Azzi; è però nostra convinzione che esso affidi completamente di dare risultati buoni, e senza dubbio migliori di quelli con- seguiti coi metodi finora suggeriti e impiegati. L'Accademia nazionale dei Lincei, che rappresenta l’Italia nel Consiglio internazionale per le ricerche scientifiche, che ha preso sotto il suo alto — 483 — patronato il Comitato scientifico per l’alimentazione, che ha il còmpito no- bilissimo di favorire in ogni modo iniziative che mirano al progresso della scienza, alla applicazione della scienza allo studio e alla risoluzione di pro- blemi pratici vasti e importanti come sono specialmente quelli della agri- coltura, deve plaudire a questo giovane scienziato, entusiasta infaticabile lavoratore, costante e tenace organizzatore e propagandista; aiutare la sua iniziativa che gli ha conquistato il favore e il plauso di tutte le nazioni civili; ed esprimere caldo augurio che l’opera sua, già bene iniziata in Italia e all’estero, possa continuare prosperare e compiersi in vantaggio della scienza e della umanità. La lettura della Relazione è accolta con vivissimi applausi dalla Acca- demia. Il Presidente, dopo parole di encomio e raccomandazioni per assi- curarne ed estenderne l’efficacia, mette ai voti la Relazione stessa. che ri- sulta approvata all'unanimità. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Socio Foà fa omaggio di due volumi del suo Trattato di anatomia patologica per medici e studenti. Il Segretario Ca stELNUOvo presenta la pubblicazione del prof. G. DE AneFLIS D'OssaT: Applicazioni della Geologia. XXVIII: Ancora sul cal- care e le viti americane. G. 0. RenpICONTI. 1920. Vol. XXIX, 1° sem. 63 3 dai s ni ALDO TR RESI ua darte (np dai vivir] | i dali a 9 IHtuitt (15 Ue t bui d'csoni (ita UaNStO) cv oo VENI gp 03099 LIRE Aree siroia de, SISI IOMADI LIZA TATA FESTIVO Nar affittano + AUUIENE SCI DaT ib pet Lf 0t pe Zilli, ateo A OA ip Tadini C yilat dI A letto A ivato lati dA ‘Aaa parte alii ni ae e ao CTOTIO (0A ded! a avro Atti aLaaa FRI gal Uli DIGGINICÀ Hi pi "A ART: (0) pi st ii TRE dra a MINIATI Gil: MT TEO COTTE OSATO SOIT iti - HIGLI Hifi Le Diatt dEi , ja afIR ui Melo: DI f)"- ho tì M LI PE Let EH È sp isftr w 4 : UL Line DI gRARIO RARSIRA TETTE LT Pre SD di ARI TP. tf pia TRE «Li con $ Ai Da si MA 1a sati vi ? " : : | x : c E lia rwiraf 7 s! VONETTA MILMALITS MPA TA AO A) eg SULDE Sigari Fio ara a US = AMI AIA SI NN î Las LS Re A OA É ua ‘ Da ST afdo: 9h LIZA TIRI CRILO i i a ; Ca aci ME NE Ta (70 ungo n! Pei sea Le i (aio I RONZA TEO Lietta À - Ù SITE, i i eu Parga TR 100 t at / de LICERTA LIO iti FIRRA spa FM : sibi SIICTRET Ce Diizbi:: i}! L'AOTIE ##901 Di ie Oa de SAT 1° Kit men tesori DI STE i sE eg ATI DI, a È ‘ n igAgi Mi; Pali uh Say ì \' Matia vu ta | SUI siae, I 103 .Ki olio b1)t ig oi È RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. __T8T—_———6—<<—"—rFTTTrrT_TTTyTL(._{({WSW<*<=-- Ferie Accademiche. (Ogni Memoria o Nota porta a pie’ di pagina la data d'arrivo). MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Superficie del 4° ordine con gruppi infiniti discontinui di trasformazioni birazionali. Nota II del Corrispon- dente Gino Fano ('). 4. La risoluzione in numeri interi di un'equazione omogenea di 2° grado fra 3 variabili, a coefficienti anche interi, si trova effettuata in lavori clas- sici, e, fra questi, già nelle Disquisetiones arithmeticae di Gauss (art. 299, III) (*). Per l'equazione considerata nella Nota precedente (5), f= 43° + 4xy + 6x2 + 692= 0, poichè / contiene x (e così anche y) solo a primo grado, si ricava 2a° + 3yz — 2y +82 2y 4+-34=+ 0), si ricava un valore razionale di x, il quale, insieme coi pre- cedenti, soddisfa l'equazione /f= 0; tale terna può rendersi intera (se x è fratto), moltiplicandola per un conveniente medesimo intero. Si hanno così tutte le soluzioni intere di f=0, per le quali 2y + 32+ 0; mentre per 2y +3z=0 si ha soltanto y=4=0, x arbitrario. Queste soluzioni sono compendiate nelle formole di Gauss: \ x = —k(3pq + 2q°9)= — kg(8p + 29) (3) Lia k(3pa + 2p°)= kp(2p +39) iz= k(2p9+89)= kgp+39) () Presentata nella seduta del 4 giugno 1920. (?) Ges. Werke, Bd. I, pag. 360. (3) Questi Rendiconti, pag. 408. x= ; perciò, per valori interi arbitrarî di y e z (tali che — 486 — dove p 6 q sono interi arbitrarî, positivi, negativi o nulli (proporzionali alle y e 4 di poc'anzi), e % è un fattore di proporzionalità, suscettibile eventual- mente anche di taluni valori fratti. Ponendo 2p --39 = (numero che sarà certo intero, ogni qualvolta siano tali p e 9), si ricava” r— 8 n ORSI e per conseguenza krÈ a = (09-37) y=i 0° 3r9) s=krq. Scrivendo pertanto 2% in luogo di %, e y in luogo di r. si hanno le soluzioni richieste sotto la forma (4) a=k(59°—3pg) y=k(p°—3pg) a=k.2pq dove ancora p e g sono interi, non entrambi nulli; e % (quando le espres- sioni per cui è moltiplicato risultano numeri non primi fra loro) può rice- vere anche convenienti valori fratti (1). Poichè i fasci di curve ellittiche irriducibili della superficie F4, quali a noi occorrono, corrispondono a valori di x,y, primi fra loro possiamo limitarcìi a tener conto delle coppie p,g anche primi fra loro. In tale ipotesi: 1) Se p e 9g sono entrambi dispari, le tre espressioni 59? — 394 , p°— 3pq e 2p7 sono numeri tutti pari (e l'ultimo rom divisibile per 4). Esse non ammettono invece il 2 come divisore comune, se dei due numeri p e q uno è pari e l’altro dispari; mentre il caso di p e g entrambi pari rimane escluso, essendosi supposti p e g primi fra loro. 2) Il prodotto 2p9 ammette, all'infuori del 2, i soli fattori primi di p e g, tutti distinti gli uni dagli altri. Ora, i fattori di 9g non divide- ranno certo p° — 3p9g; e, tra i fattori primi di p, il solo che possa divi- dere anche 59° — 3pg, e che dividerebbe in tal caso tutte e tre le espressioni moltiplicatrici di X nelle (4), è il 5; ben inteso, quando esso sia effettiva- mente un divisore di p. (1) Le formole (4), per quanto appariscano meno simmetriche delle (3), si prestano meglio allo studio delle trasformazioni birazionali sopra F4, poichè i fasci di cubiche 1 Iyi| e |yal si hanno rispett. per p=0, g=1, k= 5; CN I 00(0R0 MERA scambio di x e y (rimanendo invariato z) corrisponde la sostituzione a p,9,k, rispett., di 5p,t. — 487 — Concludendo: Per avere i fasci di curve ellittiche irriducibili della su- perficie F*, è sufficiente dare nelle (4) a p e 9 valori interi primi fra loro; eafk il valore 3, se p e g sono entrambi dispari, e p non multiplo di 5; ’ 1, se p è multiplo di 5, e p e g non entrambi dispari; 7 $€ D,q sono entrambi dispari, e p multiplo di 5; ” 1 in tutti gli altri casi. Si potrà inoltre supporre positivo uno determinato dei numeri p e g, poichè #,y,z rimangono inalterati se p e g si cambiano di (solo) segno entrambi. Per p= 0, e quindi g="1 (se deve essere primo con p), oppure q=0, p==1, si hanno rispett. i due fasci di cubiche |y,| @ |y2|- 5. Affinchè la curva ellittica xy, + yyas + #C di cuì alla Nota prec., e dove x,y, hanno valori dati dalle (4), sia effettiva e irriducibile, i parametri p e g devono ancora soddisfare a ulteriori condizioni. Ci limitiamo a stabilirle nell'ipotesi di p e g entrambi positivi, perchè già si è detto po- tersi così supporre per uno fra essi, mentre l’altro, come vedremo, può ren- dersi tale applicando l’involuzione I. I tre moltiplicatori di X nelle (4), cioè i coefficienti dell'espressione ” (5) (09° — 3p9) yi + (p° — 3p9) y: + 2p9.C, dovendo annullare la forma /, a coefficienti tutti positivi, non potranno es- sere tutti e tre del medesimo segno. D'altra parte il terzo, 209, essendosi supposti p e 7 positivi, è certo positivo. E i primi due, se la curva in pa- rola è irriducibile, non possono essere entrambi negativi. Invero, la somma dei tre coefficienti vale (p — 29)? +9”, ed è perciò positiva; per conseguenza, indicati i coefficienti stessi rispett. con —4,, — 43 (negativi) e 43 (positivo), sarebbe 43 > 4, + 42, e la (5) potrebbe scriversi | a(C—y.)+a:(C—y)t+(a—a—a,(C=a47144272-1+-(0—4—4,)0 con coefficienti tutti positivi; con che è manifesto trattarsi di un sistema riducibile, contenente un multiplo delle sezioni piane, e solo virtualmente di grado zero. Il risultato permane anche se a, od 4, fosse nullo. Per una curva irriducibile, fra i tre coetficienti della (5), ve ne sarà dunque sempre uno, e uno solo, negativo; e questo sarà uno fra i primi due. Quest’uno sarà inoltre, in valor assoluto, maggiore del terzo; poichè, se fosse negativo ad es. il primo, indicati i coefficienti con — 4, (negativo), 4s, 43 (positivi. e 4, eventualmente anche nullo), nell’ipotesi 4; > 4,1, la (5) po- trebbe scriversi f di (Ge=x5) "e U2Ye "n (a — 41) C=ar, | d2V2 + (43 — 4) È e si avrebbe di nuovo un sistema riducibile. — 488 — Se il primo coefficiente della (5) (cioè 59? — 3pg) è negativo, e supe- riore in valore assoluto al terzo, si avrà 399 — 59° > 2p9; e perciò, essendo g positivo, p > 59. Se invece le stesse condizioni sussistono pel secondo coeffi- ciente, sarà 3pg — p° > 2pq , ossia p< q. Affinchè dunque la (5) (con opportuno coefficiente %) sîa una curva el- littica effettiva e irriducibile, dovrà essere verificata, per p e q posttivi, una delle due diseguaglianze p>S5Q oppure PZ. 6. Le trasformazioni I, TY, costruite al n. 2 della Nota prec., mu- tando la forma / in se stessa, e perciò ogni soluzione intera dell'equazione f=0 in aitra consimile, si rispecchiano in trasformazioni dei parametri P,49, che è facile assegnare. Per l'involuzione I, ci riferiamo alle formole (24) del num. cit., po- nendo in esse, in luogo di x,y,z, i valori dati dalle (4). Si ha così x'=k(59° + 3pq) y = k(p° + 3p9) a=_—k.2pq, espressioni che differiscono dalle (4) solo per il cambiamento di segno di uno (arbitrario) dei parametri p.9 (0 supporremo sia 9, ritenendo invece sempre p = 0). L'involuzione I muta pertanto il parametro q in — q (1a- sciando invariato p). Similmente, dalle formole (2%), colla stessa sostituzione, ed eseguendo alcune riduzioni, si ricava a'=k}5(9+2p)° —3p(9+2p)ì y=kip —3p(14+ 2) s=k.2p(g+2p). La trasformazione T, muta il purametro q in q + 2p (lasciando an- ch'essa p invariato) (1). ì Infine le formole (2c) dànno o =k}5q9—38(p+10g)gî y=%}(p+109°—3(p+10%9)g} s=k.2(p+109)g: vale a dive: Za trasformazione F, muta p in pt 10g, lasciando invece invariato 9. Le operazioni L, 1, , T, operano dungus sui parametri p e g mediante le sostituzioni lineari: (1) In particolare, dalla coppia p=1, g=0, corrispondente (per #4 = 1) al fascio di cubiche |ys|, si passa a p=1,9=2, onde £x=14,y=—5,4=4, come è appunto nella formola che esprime y', nella sostituzione (2 2). — 489 — il che, d'altronde, è inerente al fatto che il rapporto È può considerarsi come coordinata proiettiva sulla conica f=0. Sopra questa conica, la I determina l’involuzione avente gli elementi doppî p=0,gq=lep=1, q==0 (cioè i fasci |y,] e |ys|), mentre Z e 7 determinano proiettività pa- raboliche cogli stessi due elementi, rispett., come doppî ('). 7. Consideriamo ora sulla superficie F* un qualsiasi fascio di curve el- littiche effettive, irriducibili, le quali corrisponderanno al tipo (5), con un eventuale coefficiente 4, e per certi valori interi di p e 9, primi fra loro, il primo dei quali può supporsi positivo. Se q è negativo, si applichi a tale fascio l'involuzione I; il fascio tras- formato corrisponderà al medesimo valore di p, e al valore eguale ed op- posto al precedente, perciò positivo, di g. Si indichi con |d| questo nuovo fassio, e eventualmente lo stesso fascio precedente, se il primitivo 9 era già positivo. Per tale fascio |d| sarà p > 59, oppure p< g. Nella prima ipotesi, si applichi a |d| l'operazione T7! (inversa di 7.) eventualmente più volte di seguito, finchè, per la prima volta, la p corri- spondente al nuovo fascio (la quale p percorrerà la progressione aritmetica p— 109, p— 209, ...) risulti inferiore 0 eventualmente anche eguale a 59 (avvertendo che la g rimarrà frattanto invariata). Per questo nuovo fascio, la p sarà certo compresa fra -|-- 59 e — 57, incluso il primo limite, potendo tuttavia essere positiva, negativa, o nulla; però quest'ultimo caso si presen- terà solo se inizialmente 9 = 1 (se no i primitivi p e g non sarebbero stati primi fra loro). Se detta p è negativa, si applichi ancora, a seguito, l'invo- luzione I, rendendo per tal modo positiva la p. Essendo pertanto ora la p positiva e = 5q, essi dovrà anche risultare necessariamente 59, è P 59. E allora, se l’ultima g non è nulla, si riprenderà da capo il procedimento. Poichè i numeri p e g vanno, alternativamente e gradatamente, dimi- nuendo di valore assoluto, il procedimento avrà certo termine; e terminerà quando uno di essi sarà ridotto a zero. Allora l’altro risulterà certamente eguale all'unità (se no i primitivi p e 9g avrebbero avuto massimo comun divisore > 1); e il fascio corrispondente sarà |y,| oppure |ys|. Concludiamo: Qualunque fascio di curve ellittiche, effettive e irridu- cibili, esistente sopra la superficie F*, si può ricavare da uno dei fasci di cubiche |y,| e |y| con un prodotto di trasformazioni 1,T,,T3. 8. Riesce ora facile un ultimo passo, per accertare che il gruppo com- plessivo delle trasformazioni birazionali di F* si può generare colle sole tre operazioni sopra menzionate. Infatti, una qualsiasi trasformazione birazionale S della superficie F* muterà il fascio di cubiche |y,| in un certo fascio di curve ellittiche, effet- tive e irriducili, |d]. Applicando a |d| una conveniente successione Z/ di operazioni I, Y, e 7; (in conformità del num. prec.), trasformeremo |d| stesso di nuovo in uno dei fascì di cubiche |y,| e |ys|; e supponiamo di averlo trasformato in y, (vedremo anzi tosto che deve essere così). Il prodotto S.Z7 sarà pertanto una trasformazione che lascia fermo il fascio [y,|; esso dovrà quindi mutare le y» in curve del tipo (5), con un eventuale coefficiente £, le quali, al pari delle y,, incontrino le y, in 2 punti; ciò che si esprime colla relazione: k}(54° —3pg):0+4 (p° —3po) 24 2p9-34=2 ossia %p° = 1, soddisfatta solo per X=p=1. Ora alle coppie (1,9) cor- rispondono, per 9 pari (positivo o negativo), i fasci ottenuti da |y,| appli- cando g:2 volte l'operazione 7; mentre per 7= 1, e conseguentemente per ogni valore dispari di g, si hanno sistemi riducibili (|y. —y2 + C| =|y1 + 72]. e suoi trasformati). Applicando dunque ancora una conveniente potenza (negativa o positiva) di F,, giungeremo a una trasformazione che lascerà fermi entrambi i fasci di cubiche |y,| e |yz|; e questa, per quanto è detto al n. 2,4) della Nota prec., non può essere che la I, oppure la identità (’). (1) In altri termini, quest'ultimo ragionamento prova che ogni trasformazione bira- zionale di F*, la quale lasci invariato il fascio di cubiche |y3|, è un prodotto di opera- zioni I e T,; più particolarmente una potenza di T,, o il prodotto di una tale potenza per I, secondo che sulle y3 essa subordina una trasformazione di 2% o di 12 specie. — 491 — Non è possibile invece che dal fascio |d|, trasformato di |y,| mediante la S, nasca, con un prodotto di operazioni I, TY e 7, il fascio |ys|, an- zichè di nuovo |y|; perchè, in modo del tutto analogo, si giungerebbe al- lora ad una trasformazione birazionale di F‘ la quale, anzichè lasciare in- variato ciascuno dei fasci |y,| e |ys|, li scambierebbe tra loro; e questo sap- piamo che non è possibile ('). Pertanto: / gruppo (infinito, discontinuo) (*) di tulte le trasforma zioni birasionali della superficie F* è generato dalle tre operazioni I, Ire I. È ovvio che, come operazioni generatrici di tale gruppo, si possono prendere anche le tre iavoluzioni I, 1:T, e 1-73; queste ultime due, come venne incidentalmente osservato al n. 2, 6) della Nota prec., consistono nella proiezione doppia di ogni cubica y, o rispett. y» dal punto tangenziale di quello in cul essa si appoggia ad 7,, o rispett. ad 7,. Il gruppo anzidetto sì rispecchia in un gruppo oloedricamente isomorfo di sostituzioni lineari intere, di modulo =—1, della forma f= 48° + 4xy + 6x2 + 672, generato dalle sostituzioni (24), (28) e (2c) della Nota prec. Quest'ultimo gruppo non è però il gruppo totale di tras- formazioni lineari intere della forma /; e nella Nota prec. vennero appunto indicati due tipi di sostituzioni lineari contenute nel gruppo totale della forma f, e che non sono immagini di trasformazioni birazionali sopra F'. (3) In luogo della relazione Xp? =1 si troverebbe, nel caso attuale, 549° = 1, che ammette l’unica soluzione 4=1/5,q=1. Alla coppia (p,1) corrispondono, se p è mul- tiplo di 10, il fascio |yX| (p= 0) e i suoi trasformati mediante potenze di T,; e, negli altri casi, sistemi riducibili. Basta infatti verificarlo per p compreso fra —5 e +5; perciò anche solo per 0

59. (*) E anzi impropriamente discontinuo, perchè in un intorno comunque piccolo di un punto generico di F* (e più particolarmente sulle stesse curve 7, e y3 passanti per tale punto) esistono punti distinti dal primo e ad esso equivalenti, RenpICONTI. 1920. Vol. XXIX, 1° Sem. 64 — 492 — Geologia. — Osservazioni sui giacimenti di bauzite dell’ Ap- pennino, dell’ Istria e della Dalmazia. Nota dell’ing. dott. CAMILLO CREMA, presentata dal Socio C. F. PARONA (!). È risaputo che nell'Appennino centrale e meridionale, dove la serie cretacica assume la cosiddetta facies abruzzese, fra gli strati cenomaniani e quelli turoniani si interpone con continuità una potente zona di calcari, con- traddistinti dalla presenza di piccole Requienie, le quali si presentano sulla superficie della roccia in caratteristiche sezioni anulari di color cereo-scuro, e sono talvolta così numerose da dare al calcare il carattere di lumachella, ma, per l'impossibilità di fornire buone preparazioni degli esemplari tenace- mente legati alla roccia, restarono lungamente indeterminate finchè, or non è molto, mi venne fatto, dopo laboriose ricerche, di ritrovarne qualche indi - viduo ben conservato che il prof. C. F. Parona potè riferire alla A. parvula Costa. Con le Requienie compaiono in questi calcari numerosi individui di Monopleura Schnarrenbergeri Par., le cui sezioni, analoghe è quelle delle Requienie, se ne distinguono per la minore regolarità. Ma l'importanza di questi calcari, più ancora che nel loro interesse stra- tigrafico, sta nell'essere la sede della bauxite. Nell’Aquilano si volle met- tere, è vero, qualche affioramento bauxitico in relazione con terreni cenozoici, ma tale riferimento non fu confermato; anzi, per la conoscenza che ho dei luoghi, credo di poterlo escludere. Parecchi giacimenti hanno bensì il tetto formato da calcari del Miocene medio, ma è facile di riconoscere che ciò sì verifica perchè la massa bauxitica, dopo essere stata messa a nudo, anzi in parte abrasa, per la potente erosione subìta dai calcari eretacei in conse- guenza del diastrofismo posteocenico, venne poi a ricevere un nuovo manto cal- careo: ed anche in questi casi si può osservare che il minerale si trova nei calcari a piccole Requienie, come ha luogo per gli altri giacimenti che hanno conservato l'originaria copertura cretacica. In questi (v. lato destro della figura) la massa bauxitica (2) si presenta in forma di grandi lenti irregolari: al tetto termina con una superficie che seconda il piano di deposito dei calcari (C,); al letto invece riposa su di una superficie irregolare, penetrando nelle fessure del calcare ed avvolgen- done anche qualche frammento; nell'ammasso bauxitico manca sempre qual- siasi traccia di stratificazione. Infine, in prossimità del deposito i calcari presentano maggior compattezza e si colorano più o meno intensamente in giallo, rosso, rosso-bruno; in molti casi anzi, come a Vitulano, Trevolischi, Casamaina, ecc., fanno passaggio a veri marmi brecciati. (*) Presentata nella seduta del 26 maggio 1920. ==-C498, 22 Queste osservazioni intorno al modo di presentarsi delle bauxiti dell’Ap- pennino, per quanto sommarie, già si rivelarono capaci di fornire utili criterî per la ricerca dei depositi e la determinazione della loro consistenza; esse meritano inoltre qualche considerazione per la luce che porgono sul problema della loro genesi. È chiaro, infatti, che la continuità di deposito presentata dai calcari che racchiudono i giacimenti considerati, il trovarsi questi confinati in un deter- minato orizzonte geologico, la mancanza di stratificazione nella massa mine- rale ed infine il metamorfismo dei calcari a contatto, costituiscono un insieme di circostanze che mal si spiegherebbe attribuendo a queste bauxiti una pro- venienza comune con le cosiddette terre rosse, vale a dire un'origine dovuta all'alterazione di calcari emersi, mentre si accorderebbe perfettamente con l'ipotesi che il minerale si sia prodotto in fondo ai mari in conseguenza di fenomeni di origine profonda seguitisi al passaggio dal Cenomaniano al Tu- roniano. Questo orizzonte a piccole Requienie passa anche sull'altra sponda del- l'Adriatico, estendendovisi largamente. In un recente viaggio in Istria e Dal- mazia potei infatti assicurarmi che gli strati a Requienie indeterminabili, co- stituenti la parte superiore del lhamidenkalk della Carta geologica austro- ungarica, considerati con qualche riserva dal Kerner come corrispondenti alla base del Turoniano, presentano la stessa fisonomia litologica e paleontologica dei calcari a Requienie dell'Appennino. Veramente non potei raccagliervi le due camacee, che caratterizzano questi ultimi, se non in frammenti ed in se- — aggio zioni; ma queste sono così numerose e così perfettamente simili a quelle dei calcari dell'Aquilano, del Beneventano e dell'Avellinese, da ritenermi auto- rizzato a riferirle empiricamente alle stesse specie di Requiezia e Mono- pleura, confortato in ciò anche dall’autorevole parere del prof. C. F. Parona, il quale volle gentilmente esaminare il materiale. In questi calcari ebbi invece la ventura di ritrovare presso Pisino e nei dintorni di Arbe valve di Chondrodonta Joannae Chotf., specie che, confermando l’età turoniana di questi strati, permette di considerare la posizione del livello a piccole Re- quienie come fissata anche nella serie appenninica, dove, come è noto, restava da determinare se esso dovesse aggregarsi al Cenomaniano o, non piuttosto, al Turoniano. Anche nei calcari a piccole Requienie dell'Istria e della Dalmazia si hanno numerosi ammassi di bauxite, assolutamente analoga, per composizione chimica e struttura, a quella dell'Appennino e come questa ordinariamente colorata in rosso, o più raramente in giallo (!). Questi ammassi però non formano, come nell'Appennino, delle intercalazioni negli strati calcari, ma occupano grandi sacche, delle quali alcune sono schiacciate lateralmente a guisa di battello, altre, a sezione meno allungata e più prossima alla circolare, formano pozzi profondi sino a 25 m.; la larghezza e la lunghezza di queste singolari cavità variano rispettivamente da 5 a 20 m. e da 15 a 60 metri Esse si approfondiscono sempre nei calcari normalmente al piano di stratificazione; cosicchè ora presentano l’asse di figura verticale, ora più o meno fortemente inclinato, a seconda della maggiore o minore pendenza degli strati (v. lato sinistro della figura). La massa bauxitica (0) riempie sempre per intero la cavità; anzi, quando il terreno non è troppo inclinato, ne sporge alquanto, e, attraversando la coltre di terra rossa (/) che copre abitualmente i calcari (C,), dà luogo, alla super- (3) Nei pressi di Albona, di Veglia, di Punta Loni ed in altri pochi luoghi, colla bauxite rossa o gialla si incontrarono anche masse irregolari di color bianco 0 grigio, a pasta uniforme, priva delle caratteristiche pisoliti; inoltre frau la bauxit: grigia e la rossa riscontrai sempre una zona di color rosa. La varietà grigia è ricca di minuti cristalli di pirite; anzi deve la sua colorazione grigio-bluastra al solfuro di ferro finamente diviso. La bianca, ad occhio nudo, appare priva di pirite e ricca all'incontro di piccole dendriti, che al microscopio hanno l’apparenza di prodotti ferrosi neri, verisimilmente derivanti da piriti, poichè dalle analisi cortesemente eseguite dal dott. F. Ratto è risultato che esse contengono traccie abbondanti di solfo com- binato a ferro. Le ricerche dello stesso dott. Ratto hanno ancora dimostrato che nella bauszite grigia si ha un tenore pressochè normale di allumina, ma che tutto il ferro si trova allo stato di solfuro, mentre nella varietà rosa lo zolfo si riduce a minime propor- zioni e finalmente manca del tutto nella bauxite comune, rossa. La varietà rosa segna quindi un evidente passaggio dovuto alla trasformazione del solfuro nell’ossido di ferro che imbeve la pasta della bauxite comune. In quanto alla bauxite bianca, essa è costituita da ossido idrato di alluminio, pressochè puro. — 495 — ficie del terreno. ad un piccolo rigontiamento caratteristico, Al contatto, fra la bauxite e la terra rossa talvolta si riscontrano traccie di rimaneggiamento, e quest'ultima s'insinua nelle fessure che attraversano in ogni senso l’am- masso bauxitico. ma non vi è mai passaggio fra i due materiali. La bauxite è sempre massiccia e solo sì osserva talvolta una specie di scistosità secondo le pareti della sacca, e perciò normalmente al piano di stratificazione dei calcari. Assai più frequentemente che non nell'Appennino, la denudazione verificatasi durante il sollevamento posteretacico ha qui asportato la massa rocciosa sovrincombente al deposito di bauxite e la parte superiore di questo, e sulla bauxite, messa così allo scoperto, si depositarono poi formazioni ceno- zoiche; ma è sempre ben visibile che anche in questi casi la bauxite tro- vasi racchiusa tutta negli strati a Requienie. Queste sacche, una volta vuotate dal minerale che le occupava, e spe- cialmente se, per trovarsi in strati orizzontali, hanno l'asse verticale, dànno a prima giunta l'impressione di cavità d’erosione, state poi riempite dalla bauxite; ma un più attento esame permette facilmente di escludere l'una e l’altra supposizione. Basti da una parte accennare alla forma singolare delle sacche, certa- mente non comune nelle altre regioni calcaree; alla costanza della loro con- formazione, benchè in numero superiore di gran lunga al migliaio; al non essersene mai rinvenuta alcuna vuota 0d occupata anche solo parzialmente da materiali diversi dalla bauxite. e soprattutto al loro presentarsi legate allo stesso orizzonte del cretacico, che nell'Appennino è sede della bauxite, e d'altra parte alla mancanza di traccie di stratificazione nel materiale bauxitico, all'essere questo costituito in gran parte od anche esclusivamente da pisoliti di varia grandezza, alla sua omogeneità di struttura ed alla mancanza in esso di elementi estranei, salvo qualche raro incluso calcareo in vicinanza delle pareti, dalle quali con ogni evidenza proviene. A questo punto sorge spontaneo il pensiero che queste bauxiti, come hanno la stessa struttura. la stessa composizione e come compaiono allo stesso livello delle bauxiti appennine, ne ripetano anche il modo di origine; ciò che condurrebbe ad interpretare, come nella figura, le sacche quali canali di esplosione 0, quanto meno, quali allargamenti di fessure preesistenti provocati dall'uscita di materiali endogeni, e le masse lenticolari intercalate negli strati calcari quali falde di espandimento. La giacitura del minerale, ‘apparentemente così diversa nelle due regioni considerate, sarebbe invece sempre la stessa; e la mancanza di giacimenti in- tatti, nei quali coesistano canali d'uscita e falde di espandimento, o, meglio, la localizzazione di queste due parti del giacimento, conseguirebbe dalle stesse cause che determinarono una diversa morfologia regionale. Così in Istria l’ero- sione, essendosi esercitata prevalentemente in piano sui calcari cretacei, avrebbe asportato le parti superiori dei depositi di bauxite rispettando invece le — 496 — sottostanti sacche verticali, e per la stessa ragione queste si sarebbero con- servate in gran numero nelle isole ed in Dalmazia, benchè qui non manchi qualche raro giacimento a tipo abruzzese (per es. a Bescavecchia, a S. Gre- gorio, ecc.), nè, ciò che è più importante ancora, qualche giacimento costituito dal solo canale che però accenna più o meno chiaramente ad espandersi, dando luogo ad una falda laterale (ad es. a sud di Mondaneo). Nell’Appennino invece l'erosione, essendo stata essenzialmente laterale, è ovvio che debba aver di preferenza demolito i canali verticali; tuttavia sorprendeva l'assoluta mancanza, di questi ultimi anche tenendo conto che pochi giacimenti possono dirsi sufficientemente noti per essere stati oggetto di assaggî o di sfrutta- mento. Senonchè, quando già la presente nota era in parte redatta, gli ing. D. Chiaraviglio e M. Pirri, che nelle loro ricerche a scopo industriale vol- lero seguire i miei criterî sui giacimenti bauxitici, gentilmente mi informa- vano che un affioramento presso Dragoni mostrava di approfondirsi normal- mente agli strati calcarei; ed avendo avuto occasione di visitarlo a scavi più avanzati in compagnia dell'ing. Zaccagna, risultò trattarsi di un giacimento nel quale si potevano per la prima volta osservare riunite estese falde di espandimento ed una grande sacca. L'annessa figura, disegnata per rendere una concezione puramente teorica, si trova così a corrispondere ad una sezione effettivamente esistente. Del resto la presenza degli strati a Requienie nelle masse calcaree tabulari del Preappennino adriatico e la recente scoperta della bauxite a S. Marco in Lassis ed a S. Giovanni Rotondo (Squinabol) fanno pensare che anche in Italia non debbano mancare giacimenti di tipo istriano. Concludendo, parmi possa ormai ritenersi che l'orizzonte a piccole Re- quienie, così comune nell'Appennino, rappresenta la base del Turoniano e che esso si ritrova anche sull’altro lato dell'Adriatico con la stessa fauna e con identica fisonomia litologica resa più evidente dalla presenza dei nume- rosi affioramenti bauxitici, dei quali è sede in entrambe le regioni. Tali giacimenti presentano a prima vista condizioni affatto diverse di giacitura, ma in realtà queste sarebbero sempre le stesse e le differenze, che si osser- vano, puramente contingenti e da attribuirsi alle stesse cause che determi- narono una diversa morfologia regionale. Non mi nascondo le incertezze che rimangono da rimuovere, ma mi sono principalmente proposto di segnalare agli studiosi alcuni fatti che non permetterebbero, a mio avviso, di conside- rare quali prodotti eluviali, le bauxiti dell'Appennino, dell'Istria e della Dalmazia come per queste ultime venne anche recentemente sostenuto con tanta dottrina dal Kerner. Oltrechè nei calcari a Requienie, le bauxiti, come è noto, si ritrovano in Dalmazia anche nei calcari del Trias, ed in quelli ad Alveoline. Avendo avuto campo di osservare parecchi giacimenti in questi ultimi terreni, parmi che la loro giacitura non differisca sostanzialmente da quella dei giacimenti cretacei: i fenomeni, ai quali questo minerale deve la sua origine, si sarebbero dunque ripetuti a diverse epoche geologiche. Biologia. — Nuovi fatti e nuovi problemi sulla biologia e sulla sistematica del genere Artemia('). Nota II del dott. Ce- SARE ARTOM, presentata dal Socio B. Grassi (*). i Oltre i dati riferiti in una mia Nota precedente, un altro fatto occorre prendere in considerazione, al riguardo della biologia dell'Artemia salina. Avviene cioè in qualche località che, in mezzo a migliaia di Artemze tutte femmine, compaia qualche rarissimo maschio. Lo Zenker aveva osservato tale fatto nel 1851 a Greifswald (Germania); Samter e Heymons l'osservarono a Molla Kary {mar Caspio) nel 1902; più recentemente, per tacere di altri, Abonye è riuscito ad allevare nei suoi acquarii, oltre le normali femmine partenogenetiche, anche due maschi di Artemia da uova che provenivano da Portorose (presso Capodistria). Io non ho la pretesa di spiegare questi fatti, ma credo che il feno- meno non abbia alcuna importanza. Nello stesso modo che (anche secondo i partigiani della regola di Dzierzon) può forse avvenire che, eccezionalmente e contrariamente ad ogni aspettativa, da uova fecondate di ape (diploidi) nascano dei maschi invece che delle femmine, così può forse egualmente avvenire che uova di Artemza, che dovrebbero dare femmine, dieno invece dei maschi. Io credo con Nachtsheim (*) che tali fenomeni possano tra l’altro essere dovuti alla inattività o di un singolo cromosoma oppure di un complesso di cromosomi. Dopo quanto si sa al riguardo della sostanza cromatica delle cellule sessuali come regolatrice dei caratteri inerenti al sesso, non vi sarebbe affatto da stupirsi che a qualche semplice anormalità nel modo di matura- zione delle cellule germinative possa farsi risalire la causa diretta del nascere di un maschio da un uovo, che per il complesso dei cromosomi sarebbe invece predestinato a dare una femmina. Piuttosto l’Abonye, in seguito alla sua osservazione, avrebbe potuto pren- dere in considerazione un'altra ipotesi, e cioè vedere se, per caso, l'apparire di qualche maschio tra le Ar/emie partenogenetiche, possa essere un indice dell’esistenza di un ciclicismo tra generazioni partenogenetiche e generazioni amfigoniche. Se l’Abonye invece che dimostrare noncuranza per i dati citolo- (*) Lavoro eseguito nell'Istituto di Anatomia Comparata dell’Università di Roma. (*) Presentata nella seduta del 4 giugno 1920. (*) H. Nachtsheim, Entstehen auch aus befruchteten Bieneneiern Drohnen ? (« Biolog. Centralblatt », Bd. XXXV, n. 3, an. 1916). — 498 — gici, i quali invece oramai devono integrare ogni seria ricerca biologica, avesse contemporaneamente fatto qualche osservazione sul modo di matura- zione dell'uovo dell'Artemia di Portorose e avesse potuto dimostrare che qualche uovo di tale Artemia riduce il numero dei cromosomi, emette i due globuli polari e quindi può essere fecondato, egli avrebbe realmente portato un contributo importante di nuovi fatti alla biologia dell’Artemia ('). L'Abonye, limitandosi invece a constatare che uova, ch'io credo sino a prova contraria predestinate, per la loro costituzione cromatinica, a dare femmine, possono eccezionalmente dare maschi, non ha trovato nulla di nuovo; e non comprendo poi la sua arditezza nel sostenere, unicamente in seguito a tale semplice constatazione, che la separazione netta tra l’'Artemia partenogenetica divalens di Capodistria e l’Artemia amfigonica univalens di Cagliari, separazione da me istituita, in base a evidentissimi dati cito- logici. non ha oramai più ragione di esistere. Dopo tutto quanto ho esposto, non credo di dovere ulteriormente esal- tare l'importanza che l'Artemia salina ha dal punto di vista dei problemi della genetica generale. Basterà solo accennare che è stato recentemente di- mostrato in parecchie specie vegetali. al di fuori dei mutanti tetraploidi del genere Oenothera, che con l'acquisizione del tetraploidismo sorgono contemporaneamente nuovi fattori ereditarî. Uno dei casi più belli ri- guardante tale questione di importanza veramente notevole, in quanto che dimostrerebbe quale può essere in natura uno dei metodi per cui possono formarsi degli organismi con caratteri del tutto nuovi e bene stabilizzati, per il fatto ch’essi sono in intima dipendenza con una nuova costituzione delle cellule germinative, è quello illustrato dal Gregory a proposito della Primula sinensis (*). L'autore sarebbe infatti riuscito a dimostrare che nelle due razze giganti tetraploidi, di cui una sicuramente ottenuta dalla razza diploide, la duplicità dei fattori ereditarii, messi molto bene in evidenza mediante l'incrocio, è con ogni probabilità in relazione coll'intervenuto feno- meno del tetraploidismo. A me pare quindi che il continuare le osservazioni sulla biologia della Artemia salina possa portare a dei risultati veramente notevoli. Per questo io mi sono accinto recentemente allo studio delle Artemze di circa venti lo- (1) Credo opportuno di dovere ricordare a questo proposito che le osservazioni di Brauer, le quali sono riportate tutt'ora in tutti i Trattati, e dimostrerebbero per l'uovo dell'Artemia di Capodistria, in via però eccezionale, la formazione e l'emissione di un secondo globulo polare e anche talvolta la fusione di questo col pronucleo ovarico, non sono state confermate nè dalle mie ricerche, nè da quelle di Petrunkewitsch e di | Fries. I dati di Brauer?(credo legittimamente)iisono stati interpretati’ come fasi anomale dovute a processi patologici dell’uovo. (*) Gregory R. P., On the genetics of tetraploid plants in « Primula sinensis n, (« Proceedings of the Royal Society of London », vol. LXXXVII, pag. 484, an. 1914). — 499 — calità, provenienti quasi tutte da un'importante collezione del museo di Parigi, essenzialmente con lo scopo di vedere se le Ar/emze (secondo i miei pronostici) possono realmente dividersi in due gruppi. uno micropirenieo, cioè a nuclei piccoli, e l'altro macropirenico, cioè a nuclei grandi; ma altresì per indicare a quanti prendano a cuore l'argomento. quali sono le località nelle quali la raccolta e lo studio delle Artemzie ripromette i più interessanti risultati. Indicazione questa che io credo preziosa, in quanto che sono con- vinto che l’Artemia salina può servire ancora ulteriormente a risolvere im- portanti problemi di genetica generale. Prima però di riferire i risultati a cui sono pervenuto con l’indagine citologica delle cellule somatiche delle Arzemze di svariate località, credo opportuno riassumere brevemente lo stato attuale degli studii sulla varia- zione e sulla posizione sistematica del genere Arfemia; studii i quali, in seguito ai fatti da me messi in evidenza, dovranno anch'essi, come ben si comprende, perseguire nuovi indirizzi e nuovi orientamenti. Come è ben noto, i classici esperimenti dello Schmankewitsch sulla va- riazione dell'Arfemia salina, uniti a parecchie osservazioni su alcune specie di un genere affine (Brarchipus), hanno cercato in definitiva di dare una base sperimentale ad uno dei principali presupposti darwiniani: e che cioè quella, che comunemente viene definita come « specie », non sarebbe per nulla una entità reale, ma sarebbe invece un complesso di individui riuniti in- sieme arbitrariamente. In tali individui sarebbero bensì accumulati parecchi determinati ca- ratteri; però per nulla costanti, in quanto soggetti ad una grande fluttua- zione. In breve, chi si mettesse nelle opportune condizioni per studiare com- pletamente lo svariato campo della variabilità di tutti i componenti della cosiddetta specie, si troverebbe di fronte a difficoltà molto gravi, sia per trac- ciarne dei limiti ben definiti, sia più che tutto per separarla nettamente dalle specie immediatamente vicine. Donde la conclusione che la specie non corrisponderebbe ad una entità reale, ma sarebbe invece una concezione arbitraria. Lo Schmankewitsch per l'appunto ha creduto di poter offrire coll’espe- rimento una dimostrazione del come una specie (Artemia salina) possa essere, per mezzo di graduali passaggi, facilmente connessa con un’altra (A4r- temia milhausenti); e del come inoltre possano le semplici variazioni delle condizioni d'ambiente far convergere una specie di un genere (Artemia) verso alcune specie di un altro genere (Branchipus). Credo che occorra appena avvertire che oggi, se rimane integra tutta l’accurata parte sperimentale del lavoro dello Schmankewitsch, le sue de- duzioni teoriche hanno perduto ogni e qualsiasi valore. Infatti (specialmente dopo l’accurata opera sistematica del Daday sui Fillopodi anostraci) sappiamo oramai che il Branchipus medius non è già, RenpicONTI 1920, Vol. XXIX, 1° Sem. 65 — 500 — come voleva lo Schmankewitsch, una forma intermedia tra il Branchipus ferox M. Edw. e il genere Arfemia, ma invece differisce notevolmente dal- l’Artemia, tanto da essere, sotto il nome di Branchinectella salina Dad., collocato nella sotto-famiglia Branchinectinae a cui appartiene del resto anche il Branchipus ferox M. Edw., collocato però in un nuovo genere (Branchinecta). Così pure sappiamo che il Brarchipus spinosus M. Edw., il quale, in relazione col suo pieno adattamento alla vita nelle acque poco salse, mo- strerebbe singolari rapporti di convergenza verso l’Artemia salina delle basse concentrazioni, è molto discosto dal genere Arfemza, tanto da essere collocato dal Daday in tutt'altra famiglia e cioè nelle Chirocephalidae e nel genere Branchinella (Branchinella spinosa M. Edw.). E infine oramai noi sappiamo in modo incontestabile, al riguardo del- l’Artemia salina, che tutte le varietà create dallo Schmankewitsch allo scopo di dimostrare gli anelli di passaggio tra una specie e l’altra, sono invece individui appartenenti tutti ad una sola specie (Artemia salina L.), più o meno modificati sotto l'influsso di un determinato fattore, la « sal- sedine ». Dal punto di vista della sistematica, le venti specie circa, che sussi- stevano nel genere Arfemia ancora circa vent'anni fa, sono poi oggi ricon- dotte con fondatissima ragione ad una unica specie cosmopolita; e forse la stessa Artemia Jelschyi Grube (sub-genere Callaonella) deve considerarsi un’ Artemia salina, la quale, per il suo speciale adattamento a vivere nelle acque dolci, ha acquisito lo speciale carattere (del resto di assai lieve im- portanza) di possedere un addome alquanto più corto del capo-torace. Come ho detto, le varietà di Ar/emza salina non hanno ragione di sus- sistere nel senso voluto dallo Schmankewitsch, ma esse però sussistono (per lo meno per quanto riguarda lo sviluppo dei cercopodii o furca) come altret- tanti tipi caratteristici di una determinata salsedine. Così, per esempio, coi miei esperimenti e colle mie osservazioni (!) (pag. 11) ho potuto sin dal 1906 conchiudere tra l’altro che la variazione dell’Artemia salina può ritenersi caratteristica per una determinata salsedine, purchè le condizioni d'ambiente, in cui l'individuo Arfemia nasce e si sviluppa, sieno mantenute sempre costanti. Così che il fatto occorso a Samter e Heymons, a Bateson, ecc., di trovare insieme riunite le più differenti varietà d'Arfemza, non è se non la naturale conseguenza della grande instabilità delle condizioni di salsedine in cui venne raccolto il materiale; di guisa che, insieme con Arfemze che sono nate e cresciute in acque di una determinata salsedine, se ne devono trovare unite altre le quali sono nate e cresciute in acque a salsedine com- (1) C. Artom, Ricerche sperimentali sulla variazione dell’ « Artemia salina Lin.» di Caqliari, « Biologica, vol 1°, n. 14, Torino, C. Clausen, 1907. — 501 — pletamente diversa, rimanendo però conservata integra nelle une e nelle altre la propria caratteristica variazione acquisita durante lo sviluppo. Che si possa veramente parlare di altrettanti tipi per ogni determinata concentrazione si può facilmente dimostrare facendo gli allevamenti di Ar- temia in acquarii in cui la salsedine sia sempre mantenuta costante; l’Abonye, il quale ottiene in tal modo delle varietà di Ar/em:a notevolmente costanti, e conferma quindi completamente le mie precedenti conclusioni, può con piena ragione assumere l'antica specie Ar/emza principalis Sim. come tipo delle basse concentrazioni; l'Artemia arietina S. Fisch. come tipo delle medie concentrazioni; l’ Artemia milhausenii G. Fisch. come tipo delle con- centrazioni elevate; e infine l’Artemia salina koppeniana S. Fisch. come tipo delle concentrazioni elevatissime. Entomologia. — Zicerche sulla nutrizione dell’Anopheles claviger. Nota di MARIA GENNA, presentata dal Socio B. Grassi (*). In questa Nota espongo, in riassunto, i risultati principali di una serie di ricerche, da me eseguite, sulla nutrizione dell’ Aropheles elaviger (*). In primo luogo ho studiato alcune questioni riguardanti l'alimentazione in generale. Mi risulta, da ripetuti esperimenti, che gli anofeli, tanto maschi quanto femmine, non si nutrono di succhi di erbe come affermano alcuni autori. Difatti all'esame microscopico del loro apparato digerente non s’ incontra mai clorofilla, nè amido, nè cellule vegetali. Per un'ulteriore prova, ho messo gli anofeli in presenza di rametti di alcune piante che fanno comunemente parte della flora ove essi si sviluppano e vivono. Le piante di cuì mi sono servita per questi esperimenti sono: Phy/lirea variabilis (3), Juniperus ma- crocarpa, Amaranthus retroflexus, Euphorbia terracina, Sporobulus pun- gens, Sambucus ebulus; gli anofeli non le hanno punte e son morti tatti per inanizione. Invece i liquidi più o meno zuccherini sono presi volentieri dagli ano- feli; essi costituiscono l'alimento esclusivo del maschio, ma la femmina non matura le uova allorchè si nutre solo di queste sostanze. Per questa funzione è indispensabile l'alimentazione con sangue, probabilmente per il contenuto di questo in sostanze proteiche. Non occorre, d'altra parte, che la femmina (1) Presentata uella seduta del 4 giugno 1920. (2) Le ricerche di natura biologica e sperimentale sono state eseguite presso la Stazione antimalarica di Fiumicino diretta dal prof. B. Grassi, che ringrazio per i con- sigli datimi. Le osservazioni microscopiche sono state eseguite nel laboratorio di Ana- tomia comparata della R. Università di Roma, con la guida della prof. A. Foà, che vivamente ringrazio. (8) Queste piante mi sono state in parte classificate dal prof. Carano, che ringrazio. — 502 — sia libera e fecondata prima di succhiare sangue; anche quelle nate in cat- tività e vergini lo succhiano facilmente, contrariamente a quanto si afferma da qualcuno. Quando ha le uova apparentemente mature, la femmina rifiuta qualsiasi cibo: questo ho constatato, oltre che osservando un gran numero di zanzare catturate, nelle quali tutte quelle con le uova più o meno mature presentano l'intestino vuoto, anche con l’esperimento diretto, cioè mettendo gli anofeli con uova molto grosse in presenza di succhi zuccherini, o dando loro l'occasione di succhiare sangue. Se la femmina, mentre succhia, viene scacciata quando ancora non è sazia, torna a succhiare sino a riempirsi di sangue: un'anofele venne a pun- germi per ben tre volte. essendo stata da me allontanata sempre dopo aver succhiato una certa quantità di sangue. Ho rivolto la mia attenzione al processo digestivo del sangue. In estate la digestione si compie molto rapidamente; in generale in questa stagione la femmina matura le uova dopo aver preso sangue una sola volta, per cui, seguendo il processo della digestione, si assiste al graduale sviluppo delle uova. Inoltre, allorchè la zanzara si è nutrita di sangue, il suo addome lungo e cilindroide sì rigonfia, talvolta sino a divenire globoso. Esso presenta un co- lore rosso più o meno vivo, secondo che l' insetto ha succhiato da poco o molto tempo; e il sangue occupa un numero di segmenti dell'addome maggiore 0 minore secondo che la digestione è meno o più avanzata. i Partendo dal fatto che l'intestino medio dell'anofele risulta, come è noto, di una parte anteriore ristretta, detta collo dello stomaco, e di una posteriore allargata, che è lo stomaco propriamente detto, ho cercato. dietro consiglio della prof.$s® Foà, di stabilire se la differenza di forma, che esiste in queste due parti, fosse solo in rapporto all'accumulo di sangue nella parte posteriore o se corrispondesse anche a una diversità di struttura delle cellule stesse. In zanzare digiune il tratto ristretto si estende fino quasi al secondo anello addominale; in zanzare che hanno succhiato sangue da poco esso su- bisce una piccola dilatazione e si estende un po’ meno all'indietro. Una differenza evidente si rileva nell’epitelio che riveste queste due parti, diffe- renza, oltre che nella forma delle cellule, anche nella loro funzione. Infatti, durante il processo digestivo questi epitelî entrano alternativamente in atti- vità secretoria, dando origine a due secreti che al microscopio appariscono diversi non solo per l'aspetto, ma anche per il modo di comportarsi rispetto alle sostanze coloranti. Considerando sinteticamente le caratteristiche modifi- cazioni morfologiche dell'epitelio dell'intestino medio nei varî stadî della digestione, scaturisce chiara un'alternanza di funzione secretiva fra la parte ristretta e quella dilatata; ora, siccome il sangue si viene a trovare nel tratto ristretto solo per pochissimo tempo, quasi di passaggio, per fermarsi poi nella parte dilatata, è da pensare che il tratto ristretto abbia solo fun- zione di secrezione, mentre quello dilatato avrebbe funzione di secrezione e — 503 — di assorbimento. In accordo con quanto si sa per le altre forme, è possibile che il secreto della parte ristretta serva ad attivare e a preparare la secre- Zivne di quella dilatata. Il processo digestivo del sangue nell'anofele, in complesso, si svolge nel- l'intestino medio e precisamente dall'indietro all’avanti, dalla superficie della massa del sangue che più direttamente è a contatto con l’epitelic, verso il centro della massa stessa. Ora, ccordinando le surriferite osservazioni macro e microscopiche, ritengo ben fendata una divisione del processo digestivo del sangue nell’anofele, durante il periodo estivo, in cinque stadî successivi. Questi stadî differiscono tra di loro essenzialmente per l'aspetto esterno dell'addome, per le modifi- cazioni dell'epitelio dell'intestino medio e per il grado di maturazione delle uova. Ognuno di essi corrisponde ad un certo periodo di tempo dall'inizio del processo digestivo, periodo di tempo che ho determinato sperimental- mente durante i mesi di luglio e agosto. L'anofele, appena nata o subito dopo la deposizione delle uova, presenta l'addome sottile di forma cilindroide, del tutto privo di sangue e con uova molto arretrate nello sviluppo; nell'intestino medio il tratto ristretto pre- senta un secreto che non si colora nè con l’'ematossilina nè con l’eosina, mentre la parte dilatata sì mostra priva di qualsiasi secreto (I stadio). Durante il primo giorno e mezzo circa dall’ ingestione del sangue, l’anofele presenta l'addome rigontio di sangue, la cui massa, guardando l’ani- male di lato, assume una forma più o meno trapezoidale; essa lascia liberi alcuni segmenti dell'addome posteriormente, e precisamente da due a tre ventralmente, da tre a cinque e mezzo dorsalmente. Le uova cominciano a crescere. Nell'intestino medio il tratto ristretto non presenta più secreto alcuno, mentre la parte dilatata mostra nella metà posteriore un secreto. colorantesi con l’ematossilina (II stadio). Dopo il primo giorno e mezzo dall’ingestione del sangue, l’anofele pre- senta l'addome ancora con sangue, che però lascia liberi posteriormente al- quanti segmenti: da due e mezzo a tre e mezzo ventralmente e da sei a sette dorsalmente. Le uova sono grosse. Nell’intestino medio il tratto ri- stretto presenta di nuovo un secreto incoloro, mentre la parte dilatata si mostra priva di qualsiasi secreto (III stadio). . Dopo due giorni, fino a due gicrnì e mezzo circa, dall’ingestione del sangue, l’anofele presenta l'addome con uua piccola quatità di sangue, li- mitata alla parte ventrale: essa lascia liberi tutti i segmenti dorsalmente e tre o quattro ventralmente. Nell'intestino medio il tratto ristretto non presenta secreto alcuno, mentre la parte dilatata mostra in tutto il suo epi- telio una gran quantità di secreto colorantesi cn l'ematossilina (IV stadio). Dopo due giorni e mezzo dall’ingestione del sangue, l’anofele, in estate, preseuta l’addome privo di sangue, ma rigonfio per le uova mature. Nel- — 504 — l'intestino medio sia il tratto ristretto sia quello dilatato non presentano secreto alcuno (V stadio). Durante le ricerche sulla digestione dell’anofele, più volte mi è venuto il sospetto che la digestione del sangue e quella dei liquidi diversi da questo dovessero aver luogo in parti diverse del tubo intestinale. Per definire la questione, ho nutrito anofeli, sia maschi sia femmine, con succo zuccherato di barbabietole rosse, con succo di ciliege e con altri liquidi ancora più intensamente colorati, in modo da poterli facilmente os- servare nelle varie parti dell'apparato digerente, ed ho esaminato l’intestino nelle varie ore successive all’ingestione del cibo, fin quasi alla sua completa scomparsa. Ho così constatato che, mentre il sangue dopo poche ore non si trova più nei succhiatoi, bensì è tutto nella parte dilatata dell'intestino medio, i liquidi diversi dal sangue, invece, si trovano nella quasi totalità nei succhiatoi fino a 24 ore ed oltre dall'ingestione, cioè fin quasi alla loro completa scomparsa dall’apparato digerente; in questo tempo nell’inte- stino medio e posteriore si trovano solo tracce di questi liquidi. Per meglio studiare il comportamento dei succhiatoi e dell’ intestino medio rispetto ai due generi d'alimentazione, ho tentato ripetutamente d’in- durre l’anofele a succhiar sangue dopo aver succhiato piccole quantità di liquidi zuccherini; ma, malgrado l’insistenza, non vi sono finora riuscita. In caso positivo, sarebbe stato interessante di osservare il comportamento del li- quido accumulato nei succhiatoi, di fronte al sangue entrato dopo. Alla suddetta differenza fra la digestione del sangue e quella dei li- quidi zuccherini corrisponde una differenza fra l’ingestione dell'uno e quella degli altri, messa in luce dallo Schaudinn ('). Questi, difatti, afferma che, quando l’anofele succhia sangue, compie una prima violenta contrazione di tutto il corpo, oltre a successive contrazioni meno intense; e, a proposito della prima contrazione, nota di non averla mai osservata in zanzare che prendono acqua o altri liquidi. (*) Schaudinn, Ardeiten aus dem kaiserliken Gesundheirsamte, B.S. XX, pag. 408. G. C. — 505 — INDICE DEL VOLUME XXIX, SERIE 5. — RENDICONTI 1920 -- 1° SEMESTRE. INDICE PER AUTORI A ApInoLFI. « Sui centri di assorbimento delle soluzioni colorate ». 457. ALIVERTI. « Su lo stato di contrazione dei depositi elettrolitici metallici n. 453. Atmansi. Ved. Levi- Civita. AMANTEA. « Ricerche sulla secrezione sper- matica. X : L'eliminazione dello sperma nella cavia e nel ratto n, 266. Amaro. « Sul metodo di Kronecker per la decomposizione di una funzione razio- nale intera in un campo ampliato di razionalità n. 99. AnpREOLI. « Su alcune disequazioni fun- zionali e sugli sviluppi in serie che se ne deducono »n. 435. AngELI. « Sopra le reazioni di alcuni de- rivati orto- e parasostituiti del ben- zolo n. 875. — e LurrI. « Ricerche sopra i neri di pirrolo ». 14; 420. Artom. « Nuovi fatti e nuovi problemi sulla biologia e sulla sistematica del genere Artemia ». 468; 497. AscoLi e FagrvoLi. « Saggi farmacodina- mici sottoepilermici. A): La prova della pitnitrina. 8): Prove cliniche n. 210, — — « La reazione edematogena n. 251). — — « Saggi indiretti: prova della ti- raide n. 288. B BaGLIONI. Commemorazione del Socio Lu- ciani. 218. Beccari. « Sul modo di agire dell’adrena- lina sul cuore ». 468. BeRmaRDINI. « La nicotina nel tabacco (contributo allo studio della genesi e della funzione degli alcalvidi) n. 62. BogGro. « Sulle linee di forza di un ellis- soide di rotazione stratificato ». 440. Bompranr. « Invarianti e covarianti metrici nelle deformazioni di specie superiore delle superficie ». 88. l — « Le trasformazioni puntuali fra varietà che conservano il parallelismo di Levi- Civita n. 347. Borzì. Commemorazione del Socio Briost. 118, BosineELLI. Ved. Ravenna. Bortazzi. « Ricerche sulla ghiandola sali- vare posteriore dei cefalopodi. III: In- dipendenza dell'attività secretiva dalla presenza di ossigeno libero ». 32, BriosI. Sna commemorazione. 118. Cc Carrozza. « Scisto a tremolite della sta- zione di Granara (Lisuria). ». 150. CASTELNUOVO. È eletto segretario della Classe. 81. — 506 — CasteLNuOvo. Pronuncia alcune parole in ricordo del Socio Zeuthen. 230. — Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle dei Soci Viola, Sil- vestri, Millosevich F.; una pubblica- zione del principe Bonaparte e un volume del dott. Raspail. 231; il vol. IV del Cata- logo astronomico 1900 della sezione Vaticana; il vol. II ed ultimo delle opere complete di Tommaso Jan Stiel- tjes; gli Atti della conferenza interal- leata per l'assistenza agli invalidi di guerra ecc. 801; due volumi del prof. Surendramon Ganguli. 371. — Pronuncia parole di rimpianto per la morte del Socio eye e si riserba di commemorarlo insieme ai due altri Soci stranieri proff. Zeuthen e Hurwitz. 371. — ed Enriques. Relazione sulla Memoria del prof. Chisini, avente per titolo: « La risoluzione delle singolarità di una superficie mediante trasformazioni birazionali dello spazio n. 371. — Presente una pubblicazione del prof. De Angelis d'Ossat. 483. Cuisini. « Sugli ineroci delle curve di di- ramazione per una funzione algebrica di due variabili »..127. — «Sulla rappresentazione analitica di una falda di una superficie mediante serie precedenti per le potenze fratte di due variabili n. 170. — « Sui contatti delle curve di dirama- zione per una funzione algebrica di due variabili ». 241. — Invia in esame la sua Memoria avente per titolo: « La risoluzione della sin. golarità di una superficie mediante tra- sformazioni birazionali dello spazio ». 290. CramiciAN e RAvENNA. « Sull’influenza di alcune sostanze organiche sullo svi- luppo delle piante ». 7. — — « Considerazioni intorno alla fun- zione degli alcaloidi nelle piante ». 416. Cir:ner. Invia in esame la sua Memoria: « Principio delle velocità virtuali n. 118. CisotTI. « Sull’integrazione dell'equazione caratteristica dei piccoli moti ondosi in un canale di qualunque profondità ». 131; 175; 261. CLERICI. « Sopra un minerale polverulento di Dorgali in Sardegna ». 309. — « Pelagosite di Canalgrande nell’ Igle- siente ». 462. Comucci. « Sulla cosiddetta idrocastorite dell-Elba ». 264. Corsino. « Un dispositivo da laboratorio per la produzione di correnti continue e costanti di alta tensione ». 3. — « L'esistenza degli ioni positivi e la teoria elettronica della conducibilità dei metalli ». 415. CorRonzr. « Sull’identità di influenze mor- fogenetiche nella metamorfosi degli anfibi Anuri e Urodeli n. 288; 387. Crema. « Osservazioni sui giacimenti di bauxite dell’Appennino, dell’Istria e della Dalmazia ». 382; 492. Crocco. Ved. Levi-Civita. Curiat. « Prainsite cloritica e quarzosa di Cà di Rossi (Pegli-Liguria) ». 152. D DaLLa VEDOVA. Sua commemorazione. 213. De AnceLis. « Della forma cristallina della mitro-di-cloro-acetanilide CaHe:NOa CI CLNHCA:0) n. 247. 2 5 De MaRcHI. Commemorazione del Socio Reina. 290. Di Capua. « Le leghe di oro e silico ». Ihbl Di LEGGE. Commemorazione del Socio E. Millosevich. 76. E EnRrIQUES. Ved. Castelnuovo. F FagiuoLI. Ved. Ascoli. Fano. « Superficie del 4° ordine con gruppi infiniti discontinui di trasformazioni birazionali ». 408; 485. Foà. « Contributo alla conoscenza del si- stema escretore del baco da seta ». 258; 382. — Fa omaggio di due suoi volumi. 483. FuginI. « Invarianti affini-differenziali di una superficie n. 87. — 507 — G GENNA. « Ricerche sulla nutrizione del- l’Anopheles claviger ». 501. GHIRLANDA, « Sulle sostanze tanniche del morus alba». 146. Gorini. « Sul comportamento del Bacte- rium coli nel latte ». 114. GranporI. « Microrganismi simbiotici in Pieris brassicae e Apanteles glomeratus ». 325. — Ved. Pigorini. Grassi. Ved. Versari. H Hurwirz. Annuncio della sua morte. 371, L LeonARDI-CaTTOLICA. Commemorazione del Socio Dalla Vedova. 213. Levi-Crvita. « Armonica viciniore ad una funzione assegnata ». 197. — Fa omaggio di due pubblicazioni, una del Corrisp. C. Guidi, e l'altra del prof. Panetti, e ne parla. 371. — ALmansi e Crocco, Relazione sulla Me- moria del prof. A. Signorini, avente per titolo: « Sulla integrazione approssi- mata delle equazioni classiche della balistica esterna ». 118. Luciani. Sua commemorazione. 218. LurrI. Ved. Angeli. LuzzartI. Fa parte della Commissione in- caricata di riferire sugli studî di me- teorologia agraria del prof. Azzi. 231. M Mayorana. « Sulla gravitazione n. 23; 90; 163; 235. MarcHI (DE) L. Fa parte della Commissione incaricata di riferire sugli studî del prof. Azzi. 477. MartTIROLO. « La flora del fossato di Pa- lazzo Madama a Torino ». 175. MiLLosevica FE. Sua commemorazione. 76. MittosevicH F. « Blodite ed altri mine- rali del giacimento salifero di monte Sambuco in territorio di Calascibetta (Sicilia) n. 344. Mineo. « Nuova soluzione del problema inverso del trasporto delle coordinate lungo una geodetica n. 247; 444. N NEGRI. « Su un musco cavernicolo cre- scente nell’oscurità assoluta ». 152. 0 Oppone. « Sulla determinazione dell’ipo- centro sismico ». 458. Onicescu. « Campo newtoniano viciniore ad un campo vettoriale assegnato n. 181. — « Sulle varietà che ammettono una tra- slazione infinitesima n. 351. P Pars A. « Risanamento dei malarici cro- nici per mezzo dei raggi Xn. 361. PANTANELLI. « Influenza della nutrizione e dell’attività radicale sul collasso e il disseccamento prodotti dal freddo ». 66. Pascat. « Forze di pressione su un mon- tante di aeroplano ». 448. Pers. « A propos de la notion de paral- lélisme dans une variété quelconque ». 134. , PeROTTI. « L’azoto del gruppo cianico nella concimazione ». 206. — « Sopra la misura del potere ammoniz- zante del terreno agrario ». 251. PeTRI. « Sulle cause di arresto di sviluppo dell’ovario nel fiore dell’olivo ». 472. PeyRoNnEL. « Un interessante parassita del lupino non ancora segnalato in Italia: Blepharospora terrestris (Sherb.) Peyr. ». 194. PreErFrER. Annuncio della sua morte. 301. PirerAGNOLI. « Patologia dell’Ursus spe. laeus della grotta di Equi ». 466. Picorini L. « Su delle sostanze colorate estraibili dalle uova del filugello ». 318. — e Granpori. « Azione del solfidrato di calcio sul guscio delle uova dei lepi- dotteri n. 322. RENDICONTI. 1920. Vol. XXIX, 1° Sem. 66 — 508 — HERLE. « L’iterazione com a di a-2 n. 829. — «Sulla funzione iterata di una razio nale intera ». 403. enta le pubblicazioni giunte in dono segnalando quelle dei Soci: Bordiga, Favaro, Fantoli, Berzolari e Washington. 81. — Dà comunicazione dell'elenco dei con- correnti al premio Reale per la Mate- matica per il 1919. 82; degli elenchi dei concorrenti ai premi ministeriali per le Scienze naturali 123: e al premio Carpi e Santoro scaduti al 1919. 126. — Ricorda i meriti scientifici del Corrisp. Saccardo. 231. — Aggiunge alcune considerazioni sulla importanza degli studî del prof. Azzi. Proposta del Socio Fano e delibera- zione dell’Accademia. 232; Relazione sugli stud predetti. 477. R Ra1neri. « Corallinacee del litorale tripo- litano n. 282: 313; 356. RaveNNA. « Sintesi di un peptide dell’acido aspartico cogli enzimi vegetali ». 55. — Ved. Ciamician. — « Sulla formazione dell’amido nelle piante verdi ». 148. — e BosineLLI. « Sul dipeptide dell’acido aspartico e sulla funzione dell’aspara- gina nelle piante ». 278. Reina. Sua commemorazione. 290. ReyE. Annuncio della sua morte. 371. Ròrr1 (Vicepresidente). Annuncio della morte del Corrisp. Saccardo e del Socio straniero Zeuthen. 230. — Comunica le condoglianze inviate dal Socio straniero Lallemand per la morte degli Accademici Iillosevich e Reina. 231. — Annuncia la morte del Socio straniero Pfeffer. 301. — Fa una comunicazione relativa alla villa il « Gioiello » dove morì Galileo. Deliberazione dell’Accademia. 302. — Annunci: che alla seduta assiste il Socio striniero prof. Mit'ag-Leffler. Dà poscia la dolorosa notizia della morte del Socio straniero prof. Z'eodoro Reye. 371. Ròrtt (Vicepresidente). Dà comunicazione di una lettera dell'on. Ministro del- l'Istruzione relativa alla villa d’Arcetri dove visse e morì Galileo. 373. RosENBLATT. « Sur un theorème de Lia- pounoff ». 44; 188. RoveRETO. « Sui ramponi di laminarie fos- sili detli fucoidi e sull’origine dei col- loidi minerali di cui sono costituiti ». 155. S SABATINI « Osservazioni sulle lave leuci- tiche del vulcano di Roccamonfina ». 191. SAccaRDO. Annuncio della sua morte. 230. Sani. « Intorno alla Arbusterina ed ai suoi derivati ». 59. SANNIA. « Nuovo metodo di sommazione delle serie che ammette l’algoritmo delle serie assolutamente convergenti ». 141. ScATIZZI. « Equazioni differenziali di Abel riducibili alle quadrature ». 101. Sera. Relazione ed approvazione di una sua Memoria inviata in esame 213. SranorinI. Invia in esame la sua Memoria: « Sulla integrazione approssimata delle equazioni elastiche della balistica e- sterna ». 76. — È approvata. 118. T TepboNE. « Su alcune altre formole d’in- versione collegate col metodo d’inte- grazione di Riemann ». 833. TENANI. « Ricerche sulla oscillazione diurna della velocità del vento a di- verse altezze sul suolo ». 272. TopARo. Sua commemorazione. 392. ToneLLI. « Sulla ricerca delle funzioni primitive n. 44: 106: 186. — « Su alcuni punti di calcolo delle va- rinzioni n. 305. — 509 — TRroTTER. « Della supposta partenocarpia del nocciuolo e dei snoi eventuali carat- teri: osservazioni ed esperienze ». 72, V VALLE. « Sui snoni interrotti incoerenti ». 268. VERSARI. Commemorazione del Socio F. T'o- daro. 392. — e Grassi. Relazione sulla Memoria del ‘ prof. Sera avente per titolo: « Sui rap- porti della conformazione della base del cranio colle forme craniensi e colle strutture della faccia nelle razze uma- ne ». 213. VoLtERRA. Presenta una pubblicazione del prof. Ernesto Lebon. 123; e una Nota a stampa del prof. Ledon. 231. VoLtERRA. Fa omaggio dell'ultimo fasci- colo dei Rendicoti delle sedute del Se- minario matematico romano per l’anno 1918-19. 301. W WAsHINGTON. « Sull’italite: un nuovo tipo di roccia leucitica ». 424. Z ZavattiERO. « Relazione tra resistenza elettrica e tensioni nel bismuto ». 48. ZrurTHEN. Annuncio della sua morte. 230. — 510 — INDICE PER A ANALISI, « L’iterazione completa di x? — 2». S. Pincherle. 329. — « Sulla funzione iterata di una razio- nale intera ». /d. 403. B BrocHIMICA vEGETALE. « La nicotina nel tabacco (contributo allo studio della genesi e della funzione degli alcaloidi) ». L. Bernardini. 62. BroLogia. « Nuovi fatti e nuovi problemi sulla biologia e sulla sistematica del genere Artemia n. C. Artom. 468: 497. — « Sull’identità di influenze morfogene- tiche nella metamorfosi degli anfibi Anuri e Urodeli ». G. Cotronei. 288; 387. — « Contributo alla coroscenza del si- stema escretore del baco da seta ». A. Foà. 358; 382. BioLoGia veEGETALE. « Sulle cause di ar- resto di sviluppo dell’ovario nel fiore dell'olivo n. L. Petri. 472. — « Della supposta partenocarpia del noc- ciuolo e dei suoi eventuali caratteri: osservazioni ed esperienze ». A. 7'rotter. (42: BOLLETTINO BIBLIOGRAFICcO. 84; 233; 303; 373. Boranica. « La flora del fossato di Pa- lazzo Madama a Torino ». 0. Matti- rolo. 175. — « Su un musco cavernicolo crescente nell'oscurità assoluta n. G. Negri. 159. — « Corallinacee del litorale tripolitano ». F. Raineri. 282; 313; 356. MATERIE C Chimica. « Sopra le reazioni di alcuni de- rivati orto- e parasostituiti del ben- zolo ». A. Angeli. 375. — « Ricerche sopra i neri di pirrolo ». Id. e C. Lutri. 14; 420. — « Le leghe di oro e silico ». C. Di Capua. 111. — « Sul dipeptide dell’acido aspartico e sulla funzione dell’asparagina nelle piante n. C. Ravenna e G. Bosinelli. 278. : — « Intorno alla Arbusterina ed ai suoi derivati n. G. Sani. 59. CHIMICA AGRARIA, « L’azoto del gruppo cianico nella concimazione ». R. Pe- rotti. 206. — « Sopra la misura del potere ammoniz- zante del terreno agrario ». /d. 251. CHimica vEGETALE. « Sull’influenza di alcune sostanze organiche sullo svi- luppo delle piante n. G. Ciamician e C. Ravenna. 7 -—— « Considerazioni intorno alla funzione degli alcaloidi nelle piante ». /d. e /d. 416. — « Sulle sostanze tanniche del morus alba n». C. Ghirlanda. 146. — « Sintesi di un peptide dall’acido aspar- tico cogli enzimi vegetali n. C. Ra- venna. 55. — « Sulla formazione dell’amido nelle piante verdi ». /d. 148. Concorsi A PREMI. Elenco dei concorrenti al premio Reale per la Matematica per il 1919. 82; ai premi Ministeriali per le Scienze naturali, al premio Carpi e Santoro del 1919. 123. — 511 — UCRISTALLOGRAFIA. « Della forma cristallina della nitro-di-cloro-acetanilide CeHa . NO CI CI NH (C,Hs0) ”. 1 26 5 M. De Angelis. 247. E ELezionI. Castelnuovo è eletto Segretario della Classe. 81. EmBriIoLoGIa. « Microrganismi simbiotici in Pieris brassicae e Apanteles glomeratus ». A. Grandori. 325. -- « Su delle sostanze colorate estraibili dalle uova del filugello ». ZL. Pigorini. 318. — « Azione del solfidrato di calcio sul guscio delle uova dei lepidotteri ». /d. e R. Grandori. 322. EnTromoLoGIA. « Ricerche sulla nutrizione dell'Anopheles Genna. 501. claviger ». M. F Fisica. « Sui centri di assorbimento delle soluzioni colorate ». E. Adinolfi. 457. — « Su lo stato di contrazione dei de- positi elettrolitici metallici n. G. Ali- verti. 453. — « Un dispositivo da laboratorio per la produzione di correnti continue e co- stanti di alta tensione ». 0. M. Cor- bino. 3. — « L’esistenza degli ioni positivi e la teoria elettronica della conducibilità dei metalli ». /d. 415. — « Sulla gravitazione ». Q. Majorana. 23; 90; 163; 235. — « Sui suoni interrotti incoerenti n. G. Valle. 268. — « Relazione tra resistenza elettrica e tensioni nel bismuto ». £. Zavattiero. 48. FISICA TERRESTRE. « Sulla determinazione dell’ipocentro sismico ». E. Oddone. 458. FisioLogiA. « Ricerche sulla secrezione spermatica. X: L'eliminazione dello sperma nella cavia e nel ratto ». G. Amantea. 366. Fisrotogia. « Sul modo di agire dell’adre- nalina sul cuore ». L. Beccari. 468. — « Ricerche sulla ghiandola salivare posteriore dei cefalopodi. III: Indipen- denza dell’attività sccretiva della pre- senza di ossigeno libero ». ! Bot- tazzi. 32. G GeroDpesia. « Nuova soluzione del problema inverso del trasporto delle coordinate lungo una geodetica ». C. Iineo. 247: 444. GroLoGIA. « Osservazioni sui giacimenti di bauxite dell’Appennino, dell’Istria e della Dalmazia ». C. Crema. 382: 492. — « Patologia dell’Ursus spelaeus della grotta di Equi ». L. Pieragnoli. 466. I InromeccanIca. « Sull’integrazione del- l'equazione caratteristica dei piccoli moti ondosi in un canale di qualunque profondità ». V. Cisotti. 131. — « Id. II: Equazione del pelo libero ». Id. 175. — « Id. III: Perturbazione locale ». /d. 261. M MATEMATICA. « Sul metodo di Kronecker per la decomposizione di una funzione razionale intera in un campo ampliato di razionalità ». V. Amato. 99. — « Su alcune disequazioni funzionali, e sugli sviluppi in serie che sè ne dedu- cono n. G. Andreoli. 485. — « Invarianti e covarianti metrici nelle deformazioni di specie superiore delle superficie n. E. Bompiani. 88. — « Le trasformazioni puntuali fra varietà che conservano il parallelismo di Levi- Civita ». Id. 347. — « Sugli incroci delle curve di dirama- zione per una funzione algebrica di due variabili ». O. Chisini. 127. — 512 — MATEMATICA. « Sulla rappresentazione ana- litica di una falda di una superficie mediante serie precedenti per le po- tenze fratte di due variabili n. (). Chi- sini. 170. — « Sui contatti delle curve di dirama- zione per una fuazione algebrica ». /d. 241. — « Superficie del 4° ordine con gruppi infiniti discontinui di trasformazioni bi- razionali ». G. Fano. 408; 485. — « Invarianti affini differenziali di una superficie ». G. Fubini. 87. — « Armonica viciniore ad una funzione assegnata ». 7. Levi- Civita. 197. — « Campo newtoniano viciniore ad un campo vettoriale assegnato ». 0. Oni- cescu. 181. — « Sulle varietà che ammettono una tra- slazione infinitesima n. /d. 851. — « A propos de la notion de parallé- lisme dans une variété quelconque n. J. Pérès. 134, — « Sur un theorème de Liapounoff ». A. Rosenblatt. 44; 138. — & Nuovo metodo di sommazione delle serie che ammette l’algoritmo delle serie assolutamente convergenti ». G. Sannia. 141. — « Equazioni differenziali di Abel ridu- cibili alle quadrature ». P. Scatizzi. 101. — « Su alcune altre formole d’inversione collegate col metodo d'integrazione di Riemann ». 0. Tedone. 383. — « Sulla ricerca delle funzioni primi- tive ». L. Tonelli. 44; 106; 186. — « Su alcuni punti di calcolo delle va- riazioni n. /d. 305. Meccanica. « Sulle linee di forza di un ellissoide di rotazione stratificato ». T. Boggio. 440. — « Forze di pressione su un montante di aeroplano n. M. Pascal. 448. MerEoRoLoGIA. « Ricerche sulla oscilla- zione diurna della velocità del vento a diverse altezze sul suolo n. MU. 7e- nani. 272. METEOROLOGIA AGRARIA. — Relazione sugli studî del prof Azzi 477. MinERALOGIA. « Scisto a tremolite della stazione di Granara (Liguria)». £. Car- rozza. 150, — « Sopra un minerale polverulento di Dorgali in Sardegna ». £° Clerici. 309. — « Pelagosite di Canalgrande nell’Igle- siente n. /d. 462. — « Sulla cosiddetta idrocastorite del- l’Elba ». P. Comucci. 264. — « Prainsite cloritica e quarzosa di Cà di Rossi (Pegli, Liguria)». D. Curiat. 152. — « Blodite ed altri minerali del giaci- mento salifero di monte Sambuco in territoiio di Calascibetta (Sicilia) ». F. Millosevich. 344. MicroBIoLoGIA. « Sul comportamento del Bacterium eoli nel latte ». C. Gu- rini. 114. N NecroLoGIA. Commemorazione del Socio E. Millosevich. 76; del Socio Borzì, 118; del Socio Dalla Vedova, 213; del Socio Zuciani, 218. Annuncio della morte del Corrisp. Saccardo e del Socio straniero Zeuthen. 230. Commemora- zione del Socio Reina, 290; del Socio Todaro, 301. Annuncio della morte dei Soci stranieri Pfefer. 301; Teodoro Reye. 371. Commemorazione del Socio FP. Todaro. 3)... P PasEonToLOGIA. « Sui ramponi di lami- uarie fossili detti fucoidi, e sull’origine dei colloidi minerali di cui sono co- stituiti ». G. Rovereto. 155. ParoLogIa. « Saggi farmacodinamici sot- toepidermici. 4) La prova della pitui- trina. B) Prove cliniche ». M. Ascoli e A. Fagiuoli. 210. — « II: La reazione edematogena ». /d. Id. 256. — « III: Saggi indiretti: prova della ti- roide ». /d. Id. 288. — « Risanamento dei malarici cronici per mezzo dei raggi X ». A. Patis. 361. — 513 — PATOLOGIA vEGETALE. « Influenza della nutrizione e dell'attività radicale sul collasso e il disseccamento prodotto PeTROGRAFIA, « Osservazioni sulle lave leucitiche del vulcano di Roccamon= fina n. V Sabatini. 191. dal freddo n». £. Pantanelli. 66. — « Sull’italite: un nuovo tipo di roccia — « Un interessante parassita del lupino leucitica ». S. Washington. 424. non ancora segnalato in Italia: Ble- pharospora terrestris (Sherb.) Peyr. ». B. Peyronel. 194. ERRATA-CORRIGE A pag. 13 nelle colonne della tabella numerica alla indicazione Xgr./mm® aggiung LO A pag. 298 riga 1°, invece di: se della nobiltà avita aveva ogni apparenza este- riore, leggasi: se della nobiltà avita aveva dimesso ogni apparenza esteriore. [a È ro posto dl prof. Giro Azzi per lo studio razionale | e la soluzione pra ; Freire. LR o DI I PA SER O Ve SON (e) PRESENTAZIONE DI LIBRI -Foà. Fa omaggio di su BUOISFOLUMI O I e URN e ZA o a CORI I È; 6 Castelnuovo | (Segretario), Presenta una pubblicazione del prof. de Angelis d'Ossat . . + Cumunicazioni pervenute durante le ferie accademiche del 1920. # | Fano. Superficie del 4° ordine con gruppi infiniti discontinui di trasformazioni birazionali. Pag. 485 ‘Crema. Osservazioni sui giacimenti di bauxite dell'Appennino, dell’Istria e della Dalmazia — (pres: (dal':SU610 PUrona)i: 0. o ita el ole se e 0 9a E ” Artom. Nuovi fatti e nuovi problemi sulla biologia e sulla sistematica del genere Ar- Usmiar(pressidaliSociorB. Grassi. a. ae eee een Genna. Ricerche sulla nutrizione dell’Anopheles claviger (pres. /d.). . Indice del vol. XXIX, 1° sem. 1920... .... INDICE a ——__—— Seduta del 4 giugno 1920. RR: "WE ei ‘Pincherle. Sulla funzione iterata di una razionale intera . LL... 044 0 "Pag d09 Fano. Superficie del 4° ordine con gruppi infiniti discontinui di trasformazioni birazionali. n 408. Corbino. L'esistenza degli ioni positivi e la teoria elettronica della conducibilità dei PORSI: metalli (*) . ni a aree a Le Le Ciamician e Baba Considerazioni intorno alla funzione degli alcaloidi nelle piante de 416. Angeli e Lutri. Ricerche sopra i neri di pirrolo . . LL. L000+ + +00 eee ZO Washington. Sull'italite: un muovo tipo di roccia leucitica . . . LL. +... 00 Andreoli. Su alcune disequazioni funzionali, e sugli svi luppi in serie che se ne deducono (pres.'dal‘“Cormep;.Marcolongo): (0 LR Boggio. Sulle linee di forza di un di di rotazione stratificato (pres. dal Socio Levi- Civita). ce E I I Mineo. Nuova ‘sii del 900? inverso del trasporto delle coordinate lungo una geodetica (pres. /d.) . AR o RENT ICI SIONI ali SS VOI INS EIego PI VO UA AI Pascal. Forze di pressione su un montante di aetoplano (pres. dal Corrisp. Marcolongo). Aliverti. Su lo stato di “contrazione dei depositi elettrolitici metallici. (pres. dal Socio DI x sol ra dell’ipocentro sismico (pres. dal Socio Somigliana) . pete di Canalgrande nell’ e: (pres. dal Corrisp. O Peri. Sulle ‘cause di arresto di tono dell'ovario nel fiore dellolivo (pres. dal Socio > Cuboni) PALO i ai Ps Mancini, Candeltiore del Accade responsabi n Sa d; CO Mor Ù LIVE SUMRO, MINT MANI DI DAN Vo FOINTAPTATIO N] n Ù Li vi Mi Li È Mer i, \ \® 2% e e ___))_ND ))D FD D__D DD 2)_)b -; SÌ b > Pem)») > DP 3 Ste ESE ) SU ») DB» 7 » > ) 2» Pro O DI DÈ BID VIII » NOT), DI PA DO) 2° OP) M PMI PI pl 2) 299) 0 DD ) ) 9 ))0) I DE 0), » Db \» di L-di DI » Db mm» » "Va dino «E —— - DI dI rd o B I D > ) Pb > DPI)» D)P)JIb DI > .1>.D >») ))P Db d y SÈ » DI >» } DD: > DI) >__l y9 pil © 9 ) ») ) >) N PED ni wo I I è A TÀ <\kuy a 3 < =: lf AMA »»I P_D) \}VP AP) »)D _» Mp6 ) IM 2 ) 857 ID pp” 22) ). )0D_2 I 3) I Di ) 5» ® » 1» )°) )p> bop,» I»? yi DDL Y )) bip » DI. I 2IJî BI! ) _2P))_D)) ») 0 DI »I -P 8» >) D ID) D 7 DA p 0”) > LR PV). DI DI » 215) 22- » » ». 3 ) | pete i x a Ng” aid ha x A di fn > A_ - Ns — _ e iL Add AAA AN n Nu ty bi ji dg 1° we ® AAA a i Adda Gi € a ka AAA ty A°% \ ) 1 tt SN - - ld SS sea PA “y LI ig Vuy*® e w n/r nil IN uo 4 \ - ») >) i \ »D D) o E fe). ID DI DD II », > AF i_/ "è i AL SS AI “> N° % ] I elia] + {4 RR, è d da (er No > vv CA St mr A _- t> 7 SOS) St ® ARA, de ID 059 » » ))Db}c: IN a P_NDDI dg ‘» > D ) » )) 23 I ) DI Doo DI DI) sà Suu do No PAS heat LS - — y-_- x ven, Ss x o) Aq ww a (oe, "i Zid 9 AA (0 LA APE \ 3 e Wi N e \ da a SIA Aci sn i |} È SR i a i [dl VAI» YV N) è Pip na w )) > Y )) Dd ) SMITHSONIAN INSTITUTION LIBRARIES Li amp 3 35 > > RULLI 2 DD DL. } | 9 ®- 3)? DD f- DI: nera: 208801356 9082 API i PPP Y > em Pd O) “i PD IP »)op )PWUO6 PP» _)Ib 2) PP) DIL III 31) PP? DID», ‘d)) IPP) P _P_D dv) I PV) PI) D I°IO ) JN ZI II VIDI YV)}) dI > >») PP) Di» 3200» 2)» _bPIOV VD) )) PR » pino IPP })) Yoyyan®) DID» 2 1 PID) pp » » »pYD DD» ©» MLB > _b PI) md Peo do po 0) PI ? )D ) Dj DD. O Lp) Do.» . PV 0) PP pe bb; mo D 2° PD D mp), è DID) } DID PER ALE) DIST di 9 29 >?» 2 db: DI ® ) SII DI? IDE » TP) 1% < >» DD ): o Yao ppj asse PIP II, o VII | — at SP 22 d° "d ), ;j -) >>») à VD 1) 2 io pYevS 21) E) ae x a N, » », dD YO. Dd e »V')} : Sd DI n: Wat). _B}) DD DDD PID) DI 2 Day » $ MODI MAI a) 1° _)_D)P DD DD). dI ) rep »_p DID I > )) dl >) >» °) ] D) D)) >)p>l» » P_i) » )) 20 Eb) Pb» )) DID» pp») POZZI DI) >» BI )Ò), DIES Pr) DLP»). Mo dj) >p DIM). PP eb |) 50. St )> 0 YI D)) N 1) ))» 05 ) PI >). DIRD 2.) >)D_B)» »)) 22M DB» 3» HO ppi Ter) Pl. m°)p:>P?> Ip) DL 2225 dI) 3 PM Do» DID 10p): >) I» )> VI } ))) ) DI: na) 2 ID 1)» DI) > IDO ) » ip» DV 1 I at MEZ) db Lf) )p)) Do 3)9)) » }b DoD >.) >.9 È) D» o >>) » ) yi Mio ® 19?) >> )) » 222 7202) D } 10 Ig» D D >» BD) 9?) DID 323» DI ino DV A 26 2) PI 2 Pf i mio» P 2 BO DID). D)) LP, 30225 ab: DPI ) BD) DI 0) YP2D VEDI ID map I bp )) Dl PI) IPp» U' > Ms 6 >») 12). RD 2) Dp) mie PI MID») o p 227) DP) ME) DIDIZIALDDODI ARIDI , >) DEB ga) Pa) II PID; 2» >»P DB D)) 279? >», » d_B 93, DEI: x DDD ))) XL» 05 )? amo > Pb; O y » DO) È Wo La x g SDAR) »p) } D )) ) >) >, D )) VR) 22»), Y ot I, VIS DI 2 ke ep » MD _DPYED |) ) ) 20)), È SL it” 4 2 VR DD ) be 2. Lx OR YA Do. I » » 2 ) DD e: Tibia I IMP PZID Dro as Sr) DI). E, ere i