2 [ MUTI PIL UITIAA TOTA AGRA 4 Se ta #1 \L\AA Ae Ma OA IA LULA LIE Ati MITI :4@ te uI e. 4 i ae centi Vv è dh REI tt prio Thv PLIGG AO IE SI SALA DE di Sa ISIS D Ha - ‘po tor! y P 4 d ] Neo - FR A A "vv «Notv e sd 1 i | i » 7 r,/92N00e.. prerona, Y srt IPITTIAAO Ri COPIATO Larissa tito TIM L PEER ARETT) L ppi J04T RARA TITTI diese TTT TL UM adi a Gas?® “evi. x Lari 0g il & N ss «Bi ng MALTA IL #- i ‘91 v09®» Chedi N - N 41 DLY, RA - b y perug4 x DSL tie. __ fd ia 45% ws pe Tide FRRTgR r/ PUALTO e Menna gone IAT Nuh br cdl a qu edy ila SITI SPITERTTATI canal INBRTZZO \Mhg v Tabata z8 FILTER a a ISTE, MISA LAU uY, Vadi 1 ONESTI TIT INEGIIRATI Miner AIAR DIRCI dA ea e N ULI 5 Magg È UIL: ata OTT vinalt < a_Sa z MISA ALI Miu, nf an VELIA Srna AA "Far ou A0ÙIA, ‘N ita \ bf SNUNI ah A pr VO, IN) (I di CAR i duo > nu pa ni dA DOIs) na nf \ dai Maris PIRRO GARIEIGGOAS! PIO ETTORE TORI "e \ Ù Lialaia È Wibasw - nicstà a Vi gui mi THAI LL LAI figg. e- fo» SRI À met i sa. Lià.a 4 ri =. | Vu N° 164 3 xa We urea LAO % Shu San. N hi + 40€ ha AE a EA "wa SAI AIA IT i IA tal MATT f tp SIN° MU MATTTTTII Men Aid ®&;|./ tu, wi sal) YI su IO dl LUSSRAE SeRA Saf v Voi sul Vu, INZI A Pen a TI Va ) SURTUUOO .<“% AT \ Sos Fialas VOTES VVINZIS AR La enel ill a MAIL PRI STO Ag dg ni A _ pi x ta a* Neg. © a pai E; PrO MALI x *Iteguaves) bia; devia N° A si Lei - . \ tata pr v Ta If Hg VOL EITTPPA ECO MRI Linate PILA Miyty {i ! , ARL n) nd LS VAR4À dd grin | nù ax ite” orli) MEC ve pr rt ve povere i Pa der Ù fa vtr? re ie ae II n° “Nor RE HE > fl a +. &: VI Ibi PI labdle ù , Les. I ptt , DEM : I È a A ig LTL URITITA] E, DL ORO pe Pil Aero #1 sim IA £ gui x DS N Verger MAI OPRITIT q 4,7% $ A IH a) “a, È Ra > TI sil 5 ed. È PI va Ja 13 I the : è : (PI P| 4 x DPR, E Ph i ns Amr. 2 Sani 43 di Pa AI en. La SI n 8h, «d A] J [| ql bag ma 20190 ra a PELI ASTE l0sd® TT ded PITT TAM Ù Veni Mead kt Dite VA dd È ij | eno ra n n) Ven ELETTI PRI AT tene! II, 94 rà ad _ha cea tasti TTI SIG TELZIA si 7a RU è * pa I, s43d L34432: pi SRL )33*, i) n a as x UA U li ALS ‘9 » se »W0l * on - e L e, r33" editi DV”, Do Mw e "sE ULI nr ti RICE SCA) DAS IRR è r N I el { Ve A) N gd va 2 “ss Di TA 149) vp pon leo A rese". Vani ten tte, AAT ATI za I) bt muli MoSliit). Addii} LOL, NT, Li Hi. bi “1904 6 AA A° ” Ceq , dè « }) \S - Cem ' VEPL, a i AAA LE ION ° Tao < bt, - 3 î -_ IE (Ae r = <' al RS LEE LLLITIO aLe ir VITA Max 1) “roc > (© i ad) )349% DITO i "viy ivi LITI = ASIA ig» | î CLI AR) LL) ; 25 DS Lal Res 14 An SE Ae Liri STAND vec i i) mul i IT de, ale Lal sd ucg « uri da i [AGP AZIZIAZIOT TI j UT ì) } 00?! _. GI SOLCO, LIU La | ja gt Neo etnia 446 RT It MTV digeMy 4 Mani IPPC P AZATTI 4009: } NS 9 er e I° "è Vigo s94?? TILL Mage i TTT WASIGCAGIIIRAGZI RIE RIV ERI AIA PTT € "ee toc È 4 Led S%, ME he AO I vida i d PLL ida v°° AU quale sanspoti anali fa i LIFT | [9A sr Ursc rtrn! af farn 00258010 antia,: VPLL aLIITUITI i ‘a - ij r DITA visivo Pa, FTT STIA hag i Ce. P4- 4 tircege i IO at è [daga dè sreò * ©O 3 dA AAT, IPILLOPRA a Say eu Mea i illl matt a i” 1 pen O de ad rd » o ah > v” ef AAA | sl PIAAAT. & Y Non N} ce Mi ce IO . AAA A1 32: hi PA‘ Sei 00] AAA” SUI \ "y , db Perri hanncra nd bit 43 pÀ LI VS RT TA SA SI Ùi UULIÙE Savvsti i POLLI: ili J % “y Lav Ver META VPIPO a i. bei RAZR MALZII So” 3 dr dea A > i du J sd vw ded ,l v° Eh std ddd Hd Ty > = i Pm DES ; eb: su PILA È vutef! e 1 Dial si Li 29 } Va” PALAIA "PUO ti I° 3} 3 bd vly N 4 i if (AL LUI V. i N », VILLA dé a sai 2 è IP E Added Av ugl'uag My | _ @, Er 14 39] o. dr Li ‘ ul / An Yeti: (] a vw hoe LIT > wai 79 TALIA URI gi Un p (715 dySg yi Pry cuni " vi, MUNÎAAÀ [ SUI Ù Afuw rat “yteviì sare ANT "NARA RA HIT OASIS NET pg Nu did ag DIP PRESS 4 3 L'ISIOL) *y | ©) du |) ‘hey J ò è d’ v° vo ‘An AA DI MAI dV7_,. SS 0) Lal aital frolre AL | è bai. cal \ x basi Vi LETTI Ad Va ValSicedtisabaioli ua 0449 n Wimniiré hi (RR SAAS 244428004) Vira Lr te CT. cri MINA Vi IA Sal yi Agde Ndr” ANO IRI 00 fin da TAL NOE Ti or atri A 0; fr E ù 0 us fit | REALE ACCADEMIA NAZIONALE | ATTI DELLA UNOL EE 1188! DREI EENORI ANNO CCCXVIII. E 1921 io Bicbo, È bi, ENEA RENDICONTI | Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume X.XX.° — Fascicolo 10-20 Comunicazioni pervenute all’ Accademia durante le ferie del 1921. 2° SEMESTRE. ROMA TIP. DELLA R. ACCAD. NAZIONALE DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1921 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delie pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltrei Rendiconti della nuova serie formano © una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Renpiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- zolarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del: l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un'annata. 2. Le Note di Soci o Corrispondenti non possono oltrepassare le 5 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, non possono superare le 3 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni. 50 estratti gratis ai Soci s Corrisponden*i, e 30 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le dissus= sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acoa= demia; tuttavia se Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. La I. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente e le Memorie pro- priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una proposta a stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’art. 26 dello Statuto. - 3) ‘Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Cor un ringra- ziamento all'autore. - d) Colla ‘semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta, pubblica: nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame data ricevuta con lettera, nella quale si avyerte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 80 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. ATTI REALE ACCADEMIA NAZIONALE IDRREZIE NCR] ANNO CCCXVIII. TOS SERIB QUINTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 275/75 VOLUME XXX. 2° SEMESTRE. - MANCEL gg ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1921 "06.45 H-QUS RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI pervenute all’ Accademia durante le ferie del 1921. (Ogni Memoria o Nota porta a pie’ di pagina la data d'arrivo). Fisica terrestre. — Su/la profondità dei ghiacciai. Nota IV del Socio CARLO SOMIGLIANA ("). La costante /% ha le dimensioni di una lunghezza, ed è un parametro geometrico che determina la forma del profilo. Come nel caso precedente, avremo una limitazione nei valori di N nel fatto che il punto in cuì si annulla il denominatore nella (20), 6Ny+M=0,° non può cadere nell'intervallo da 0 ad L. La curva rappresentata dalla (20) per M > L è composta di un’ovale simmetrica rispetto all'asse y, e da un ramo indefinito passante pel punto y= M. Il profilo della sezione è in questo caso rappresentato dalla mezza- * ovale, che incontra perciò ortogonalmente l'asse della sezione, come nel caso della mezza ellisse. Se scriviamo l'equazione (17) nella forma v=3H4g() l'espressione della profondità (20) si può scrivere ; Il DZ ove WW= tim: Quindi mentre il massimo della velocità superficiale è determinato dall'equa- zione g'(y) = 0, il massimo della profondità è dato dall'equazione P(Y) Wy) — 91) (7) =0 (1) Presentata nella seduta del 3 aprile 1921. SET e quindi non coincide col primo, cioè la massima profondità non corrisponde al punto della sezione in cui è massima la velocità superficiale. Questa par- ticolarità è indicata nelle figg. 3, 4, 5, come ora vedremo. Nel caso in cui M= L, e quindi a = 1:8, la curva della velocità superficiale nell'estremo L è tangente alla linea della sezione, riproducendo una particolarità che spesso si presenta nelle curve d’osservazione. Nella fig. 3 è rappresentata una curva di velocità per L=M==10; in essa na- turalmente l’ordinata è determinata all'infuori di un fattore che dipende dall'unità di tempo fissata, ossia dal valore del prodotto H X che è l’inversa di un tempo. La relazione (19) diventa in questo caso una relazione tra NeXe precisamente per cui il paramento 4%, che è una lunghezza, non può assumere un valore maggiore od eguale a 5. Le curve delle figure 4, 5, dànno il profilo in corrispondenza ai valori k=2 e k=4, e le linee tratteggiate verticali dànno la posizione delle massime ordinate. I valori di 2 in corrispondenza ai valori interi di 7 Der k=1,2,3,4 sono rappresentati nella seguente tabella: s|Jo|1|z|8]|* 10 un (er , ‘che vi pullula, è veramente fenomenale. Al tramonto, che è il momento degli amori, svolazzano nell'aria dei veri nugoli di maschi, che il volgo ben conosce; nei porcili si contano a migliaia le femmine e anche non pochi maschi. È la malaria? Da un bel numero di anni è scomparsa e i militari malarici ritornati in questa zona non ne hanno acceso alcun nuovo focolaio. Io ho avuto la fortuna di scoprire che la spiegazione di questo fenomeno, ‘che sembra a tutta prima contradire la teoria esclusivista da me sempre sostenuta, è semplicissima. Cosa a tutta prima incredibile, ma vera: gli Anofeli di Schito non pungono l'uomo; sono in sommo grado misantropi. ‘Questa asserzione è basata su prolungate e accuratissime indagini fatte sul ‘posto, da me dapprima coll'aiuto dell'amico dottor Weiss e poi coll’aiuto ‘del mio ottimo tecnico Neri Francesco. Durante i mesi di giugno e di luglio (1) Pervenuta all'Accademia il 23 Inglio 1921. le AES [e io mì sono recato quattro volte a Schito e vi ho passato ogni volta alcuni giorni. Le osservazioni sono state da noi continuate per tutta la notte, dal calar del sole fino a giorno fatto. Le abitazioni furono accuratamente esa- minate con la lampada ad acetilene. Insomma non si è trascurata alcuna cautela. Ebbene non abbiamo mai veduto un Anofele avvicinarsi all'uomo e tanto meno pungerlo. Anche il dottor Grandi, assistente del prof. Silvestri, ebbe occasione di persuadersi della realtà dell'inaspettato fenomeno, almeno al tramonto e per ben due volte. Quei di Schito chiamano le zanzare Tavani, in genere, e ne lamentano le punture: infatti essi vengono molto tormentati, ma soltanto dai Culex, non mai dagli Anofeli. Soltanto artificialmente si può ottenere che gli Anofeli di Schito ci pungano. Infatti se gli Anofeli digiuni vengono liberati in ambienti chiusì, tentano di fuggire, ma non riuscendovi, quando si sentono morir di fame, finiscono per contentarsi del sangue dell'uomo; spontaneamente però, cioè in natura, non lo pungono mat. Si tratta evidentemente di una razza biologica caratterizzata dalla mi- santropia. Che essa sì sia formata col rimuovere il terreno, come potrebbe far pensare l'ipotesi del Rossi, è cosa per me inconcepibile. Ritengo invece che essa siasi formata in quell'epoca — verso il 1860-70 — in cuì nel padule di Schito si contavano già molti pagliai (capanne) nei quali stabu- lavano animali domestici, mentre il numero degli uomini, che pernottavano sul posto, era minimo. Da notizie da me assunte risulterebbe 970850 modo che vi erano circa tre centinaia di capi di bestiame, custoditi durante la notte soltanto da una ventina di uomini: gli altri coltivatori al tramonto si ritiravano sulle colline circostanti, donde al mattino seguente tornavano al padule. Già altri autori hanno parlato della possibile esistenza di razze d'Anofeli più o meno misantrope, ma io, che ho osservato e reso di pubblica ragione molti anni prima i fenomeni su cui essi si fondano, li avevo attribuiti a termotropismo positivo, e certamente almeno in parte notevole sono tali. Invece nel caso di Schito la termofilia degli Anofeli non basta più a spie- gare il fenomeno e occorre ammettere la formazione di una razza biologica con carattere almeno temporaneamente ereditario. Conviene aggiungere che a Massarosa, altro luogo classico di anofelismo e paludismo senza malaria, in antitesi a quel che accade a Schito, gli Ano- feli pungono maledettamente. A primo aspetto questa stridente contradizione tra il comportarsi degli Anofeli nelle due ‘diverse regioni mette in grave imbarazzo, ma io credo che questi due fenomeni contrari si possano conci- liare insieme, come tenterò di dimostrare in una Memoria che spero di poter pubblicare tra pochi giorni. Psi, te Intanto mi si conceda da un lato di dire che il fenomeno osservato a ‘Schito a me sembra di sommo interesse e sia destinato a rappresentare un punto critico nei metodi di lotta antimalarica; e dall'altro di aggiungere che gli 2,7, almeno nel caso classico di Schito equivalgono a zero (1). Là Fisiologia. — Conseguenze della nefrectomia nei topi siames? disequali (*). Nota del Corrisp. prof. B. MoRPuRGO (°). In una comunicazione fatta l’anno scorso al Congresso di Fisiologia a Parigi sugli scambii fra topi siamesi (uniti con ampia celostomia laterale) avevo rilevato che assai spesso avviene che l’uno dei due compagni si mostri prevalente sull'altro, nel senso che, essendo i due animali mantenuti a pane secco ed acqua, si manifesta un enorme squilibrio nella nutrizione dei due animali, che in pochi giorni conduce a morte per atrofia generale il com- pagno deperito, mentre non muta lo stato dell'altro. ll grado dell'atrofia è così alto, che esso è appena raggiunto da quello che si osserva nel topo singolo nell’inanizione completa. Lo squilibrio della nutrizione è sempre pre- ceduto da una particolare alterazione degli scambii dei liquidi fra i due organismi uniti, alterazione che consiste nel passaggio di molto liquido dal compagno recessivo in quello prevalente, e che si manifesta con la intro- duzione di-una grande quantità di acqua nel recessivo e con l’urinazione abbondantissima del prevalente. L'alimentazione del recessivo continua fino all'ultimo, sebbene sia sempre più scarsa di quella del prevalente e dimi- nuisca via via che procede l’atrotia. Ho lasciato aperta la questione che ri- guarda la causa essenziale dell’atrotia, ma ho potuto dimostrare che essa sta in relazione con il passaggio di liquido dal topo recessivo in quello preva- lente. Infatti, se sì impone artificialmente un certo grado di eguaglianza nell’introduzione di acqua nei due siamesi diseguali, si riesce ad impedire il tracollo della nutrizione del recessivo. Limitando la quantità della be- vanda al recessivo, o, meglio, concedendo a tutti e due i compagni soltanto pane inzuppato d’acqua, in modo che l'uno, per sedare la sua sete, mangi di più di quanto vorrebbe, e l’altro, per acquetare l’avido appettito, sia co- stretto ad introdurre col cibo molta acqua, le coppie di diseguali vivono e i loro componenti spesso si mantengono in equilibrio riguardo allo stato di nutrizione. Dopo queste esperienze, che ho ampiamente confermate quest'anno, mi sono proposto di verificare come si sarebbero comportati, rispetto alla di- (1) Debbo una parola di vivo ringraziamento, per le cortesie usatemi, all'ottimo ingegnere Vivanti, direttore dell’Ilva a Torre Annunziata. (2) Istituto di Patalogia generale dell'Università di Torino. (3) Pervenuta all'Accademia il 14 luglio 1921. SOAVE stribuzione dei liquidi, due siamesi diseguali quando ad uno di essi fosse stata. operata la nefrectomia bilaterale. Si sarebbe mantenuta la direzione della corrente dei liquidi, oppure, in certe circostanze, si sarebbe essa invertita, così da forzare le tendenze costituzionali dei due individùi uniti ? E come sì sarebbero comportati i topi senza reni, per effetto delle loro tendenze co- stituzionali ? Per rispondere a questi quesiti ho scelto due gruppi di topi siamesi diseguali per rispetto alla distribuzione dei liquidi ed ho operata la n efrecto- mia bilaterale in un gruppo al compagno recessivo, nell’altro a quello pre- valente. Il primo gruppo è formato di quattro coppie. In due di queste ho fatto. la nefrectomia bilaterale in un tempo; nell’altre due in due tempi con l’in- tervallo di sette e rispettivamente di undici giorni fra la prima e la se- conda nefrectomia. Dopo la prima nefrectomia i topi recessivi non mutarono comportamento : essì continuarono ad urinare poco e a bevere molto, il peso specifico del- l'urina oscillò in senso inverso della quantità dell'urina. Il secondo rene estirpato aveva un peso maggiore di quello del primo rene, ma l’ipertrofia non era molto sviluppata: in un caso il primo rene pesava 0,58 gr. ed il secondo 0,62 gr. e nell'altro caso il primo rene pesava 0,52 gr. ed il se- condo 0,72 gr.; in questo caso, nel quale l’ipertrofia era maggiore, lo squi- librio fra i due compagni era stato minore. Dopo la seconda néfrectomia i topi recessivi continuarono a bevere assai più dei loro compagni e questi non urinarono molto più di prima, ma produssero un’urina con peso speci- fico più alto. Nelle due coppie operate di nefrectomia bilaterale in un tempo si sono. svolti fatti analoghi a quelli che ho notati dopo la seconda nefrectomia nelle coppie operate in due tempi; soltanto si è verificato che i topi reces- sivi, privati dei due reni in una volta, bevettero un poco meno di quelli srenati in due tempi. Tutte e quattro le coppie nelle quali era stata fatta la nefrectomia al compagno recessivo sopportarono assai bene le conseguenze dell'operazione e, mantenute a pane inzuppato, si ristabilirono senza notevole squilibrio della nutrizione. Una coppia sopravvisse 53 giorni e perì in seguito all'atrofia del recessivo (perdita di 44°/, del peso iniziale), atrofia che si svolse in modo. precipitoso durante un periodo di alimentazione a pane secco ed acqua. Le altre tre coppie vissero in ottimo stato e, dopo 2-3 settimane furono ado- perate per un esperimento, del quale dirò alla fine. i Il secondo gruppo di topi siamesi, nel quale ho fatto la nefrectomia al compagno prevalente, è formato di cinque coppie. In tre di queste ho estir- pato prima uno e, un mese dopo, l’altro rene; nelle altre ho fatto l’estirpa- zione dei due reni in una volta. Nelle prime dopo l'estirpazione di un rene, SEI non avvenne alcuna modificazione nel comportamento del prevalente, e quindi continuò lo squilibrio nella distribuzione dei liquidi fra i due compagni. Dopo l'estirpazione del secondo rene in queste coppie e dopo la ne- frectomia bilaterale in quelle operate in un tempo, in contrasto con ciò che: era avvenuto nel primo gruppo, si iniziò quasi subito nel topo prevalente un quadro di malattia, che in tutti i casi si aggravò rapidamente e con- dusse a morte l’animale in tre o quattro giorni. Il fenomeno che si presentò per primo fu la tachipnea, che di tanto in tanto aveva carattere di respiro ansioso, poi l'abbassamento forte della tem- peratura, l’apatia ed il rifiuto del cibo e della bevanda, poi la sonnolenza e, da ultimo, il completo rilassamento del corpo. La differenza della tempe- ratura fra i due compagni fu persino di cinque gradi. Nella seconda metà, della malattia il respiro divenne corto e affannoso, e si presentò edema degli arti posteriori e della pelle dell'addome. Nel compagno recessivo di queste coppie non fu osservato alcun feno- meno morboso, continuò l'introduzione di molta acqua e la produzione di poca urina, fino alla morte del prevalente, e, avvenuta questa, se la coppia fu sciolta in tempo, il topo recessivo sopravvisse e riacquistò presto un buono stato di nutrizione. L'autossia dei topi prevalenti privati dei reni diede un risultato molto conforme: anasarca del treno posteriore, versamento abbondante di liquido sanguinolento nelle cavità sierose e specialmente in quelle pleuriche (atte- lettasia dei polmoni e ingrandimento del cuore, con aumento di peso dei ventricoli svuotati del sangue. Una volta mancò l’idrope e ciò avvenne nel solo caso nel quale, dopo la nefrectomia del prevalente, il recessivo urinò più che prima di questa operazione. Il confronto delle conseguenze della nefrectomia bilaterale ai topi re- cessivi con quelle della nefrectomia ai prevalenti, dimostra che nel primo caso presto si avvia e interamente si compie la funzione renale compensa- toria da parte del topo prevalente, mentre nel secondo caso codesta fun- zione manca o non si sviluppa in misura sufficiente da parte del compagno recessivo. Questa fondamentale differenza è connessa con il fatto che la cor- rente dei liquidi dal topo recessivo a quello prevalente continua nello stesso senso, anche se al prevalente è tolto con la nefrectomia il mezzo più im- portante per lo scarico dell'acqua che ad esso affluisce. Il quadro patalogico caratteristico, che si svolge rapidamente e costan- temente nel topo prevalente privato dei reni, è, senza dubbio, composto di elementi diversi, dei quali alcuni devono dipendere dalla mancanza di una funzione renale sufficiente, altri dalle speciali condizioni dei topi siamesi diseguali. . Per valutare la natura complessa di codesto quadro patologico è per- tanto necessario di tenere presente che l’anuria prodotta dall’estirpazione Se dei reni in un topo singolo è seguìta da fenomeni differenti da quelli osser- vati nel siamese prevalente srenato. Infatti, negli animali singoli, dopo la nefrectomia bilaterale, per un periodo di tempo relativamente lungo non si avverte qualsia fenomeno morboso: l’animale si mantiene vispo, mangia e beve presso a poco come prima dall'operazione; e, soltanto a breve distanza dalla morte, esso diventa pallido, leva fl pelo irsuto, rifiuta cibo e bevanda, sì ritira sonrolento in un angolo della gabbia e. di tanto in tanto, sussulta e, infine, si adagia su un fianco e, completamente rilassato, con respirazione rara e superficiale e con forte abbassamento della temperatura, muore. — L'autossia mostra una certa succulenza di tutti i tessuti, ma non edema, nè raccolte idropiche, cuore floscio non ingrandito. Ì Il quadro patologico consecutivo alla nefrectomia nel topo singolo è dunque molto differente da quello che si osserva nel topo siamese pre- valente. D’onde tale differenza? Rispondere in modo semplice e definito a questa domanda, per me, non è possibile. Dirò invece di qualche esperimento che ho aggiunto a quelli descritti e degli insegnamenti che se ne possono ricavare. In tre coppie nelle quali avevo operata la nefrectomia bilaterale al re- cessivo, ho fatto, una volta 25 giorni e due volte 15 giorni dopo la nefrecto- mia, l'estirpazione di un rene al compagno prevalente, ed ho così aftidato tutta la funzione renale per i due siamesi ad un solo rene. Le conseguenze dell’estirpazione del terzo rene furono nei tre casi diverse, in parte per circostanze indipendenti dall'operazione. l Nel primo caso, dopo sei giorni di apparente benessere, il topo senza reni divenne tachipnoico e freddo, poi apatico ed idropico e, al nono giorno, passò in coma, mentre il suo compagno stava benissimo. Quando il primo fu moribondo, ho sacrificato tutti e due i siamesi. L'autossia mostrò nel topo recessivo senza reni gli stessi fatti che erano stati osservati nei topi preva- lenti srenati, cioè edema, versamento idropico nelle cavità, attelettasia dei polmoni e aumento del cuore (i ventricoli vuoti pesavano 0,52 gr.). Nel topo prevalente invece, la succulenza dei tessuti era evidentemente minore della normale; il rene unico era ipertrofico (pesava 0,87 gr., mentre un rene di un topo normale di egual taglia pesa 0,5 —0,6 gr.); il cuore era più stretto e i ventricoli avevano parete più sottile di quelli del compagno (i ventricoli vuoti pesavano, 0,47 gr.). Questa esperienza dimostra che gli stessi fenomeni che furono notati nel compagno prevalente srenato si possono manifestare anche nel recessivo srenato quando la funzione renale del prevalente sia di- minuita, ed insegna che quei fenomeni non possono essere attribuiti soltanto all’afflusso di liquido, da un compagno all'altro, come sarebbe naturale di supporre dai risultati delle prove antecedenti; perchè queste stesse prove hanno dimostrato che non avviene l'inversione della corrente di liquido dal prevalente al recessivo, neppure quando il prevaleute sia stato privato di tutti e due i reni. Lei La seconda coppia siamese con un solo rene è vissuta 34 giorni e la morte del recessivo senza reni è avvenuta per un accidente che non dipen- deva dalle operazioni subìte, ma da un grave impedimento della respirazione e della deglutizione, cagionato da un fascio di peli inghiottiti, che s'erano in- crostati di sali ed avevano formato un concremento aguzzo, fisso contro il faringe. All’autossia nel recessivo non si è trovato traccia di idropisia nè ipertrofia di cuore, ma atrofia generale avanzatissima (il corpo aveva per- duto oltre 50 °/, del peso iniziale e il cuore pesava 0,37 gr.); nel com- pagno il rene unico era molto ingrandito (pesava 1,09 gr.) ed anche il cuore sera aumentato di peso (0,66 gr.). In questo caso il topo recessivo senza reni morì per atrofia, la compensazione renale, per mezzo dell'unico rene del compagno prevalente, era stata sufficiente. La terza coppia non mostrò alcun segno di sofferenza per ben undici giorni dopo la terza nefrectomia. Con vitto di pane inzuppato la nutrizione sì mantenne equilibrata. Al mattino del dodicesimo giorno, ho sospeso l'’ali- mentazione solita e la ho sostituita con sola carne cotta: i topi ne man- giarono abbondantemente fino verso la sera, senza mostrare sofferenze od al- terazioni. A_ sera il topo senza reni divenne tachipnoico e freddo e poi apa- tico e nella notte morì. All’autossia ho trovato una notevole succolenza di tutto il corpo, un'abbondantissima raccolta sieroso-sanguinolenta nelle cavità pleuriche, attelettasia dei polmoni, gli atrii del cuore molto dilatati, i ven- tricoli contratti e forse un poco ingranditi (pesavano 0,52 gr., peso che in rapporto con la taglia dell'animale è un poco maggiore del normale), lo stomaco molto dilatato e ancora pieno di alimento. Qualche ora dopo del compagno, morì il prevalente: ma in questo non si trovò idropisia; il rene unico era assai ingrandito (pesava.0,95 gr.) ed anche il cuore era un poco aumentato di volume e di peso (0,55 gr.). Il risultato di questo esperimento dimostra in modo chiaro che la tachipnea, l'abbassamento della tempera- tura e l'idrope sono dipendenti dall’insufticenza renale; perchè questi feno- meni, mentre non erano stati neppure accennati nel periodo lungo di ali- mentazione con pane, si presentarono in modo subitaneo e gravissimo non appena, con l'alimentazione carnea, fn accresciuto il lavore del rene unico. L'ipertrotia del cuore è, senza dubbio, anch'essa dipendente dalla insufficenza renale, ma in questo caso non ebbe il tempo per svilupparsi in modo notevole. Il complesso dei risultati delle esperienze descritte indica che lo studio dell’insufficionza renale potrà trarre vantaggio dall'applicazione del metodo della unione siamese di due organismi. Per ora le prove eseguite con questo metodo mi permettono di affermare le seguenti conclusioni: 1. La compensazione della funzione renale, dopo la nefrectomia to- tale ad un topo di una coppia di siamesi diseguali, può avvenire soltanto da parte del topo prevalente. RENDICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sem. 3 Cai (PA eta 2. La corrente di liquido dal topo recessivo al prevalente non s' in- verte neppure dopo la nefrectomia totale al prevalente. 3. Il prevalente è in grado di effettuare la compensazione renale anche con un solo rene. i 4. La funzione renale, dopo la triplice nefrectomia, è labile e non dispone, almeno nel primo tempo, di riserve sufficienti per far fronte ad un rapido aumento del lavoro. ‘ 5. In tutti i casi nei quali la compensazione renale non è sufficiente, si manifesta un quadro patologico molto caratteristico, diverso da quello che sì presenta in un topo singolo operato di asportazione dei due reni. 6. Il quadro dell'insufficienza renale nei siamesi si avvicina a quello dell'uremia vera. 7. I fenomeni di insufficenza renale si manifestano esclusivamente nel topo completamente privo di reni, mentre nel compagno manca ogni traccia di alterazione o di sofferenza, e ciò si avvera anche in quei casi nei quali la corrente di liquido continua a fluire dal topo srenato (recessivo) verso il suo compaguo (prevalente). MEMORIE E NOTE PRESENTATE DA SOCI Astronomia. — Sulle determinazioni di differenze di longitu- dine mediante la telegrafia senza fili. Nota di GioRGIO ABETTI, presentata dal Socio V. VOLTERRA (1). I notevoli progressi fatti dalla radiotelegrafia in questi ultimi tempi sono di grande utilità per il problema delle determinazioni di longitudine che già negli anni precedenti alla guerra, nelle prime esperienze da questa interrotte, era stato risolto con buoni e promettenti risultati (*). Una grande attività in questo campo con vasti programmi internazionali rivive ora spe- cialmente in Inghilterra e in Francia (*) e per opera del Consiglio Interna- zionale di Ricerche (*). Le stazioni radiotelegrafiche sparse su tutto il globo costituiscono ormai una rete per emissione di segnali di tempo, che possono venire raccolti dagli osservatorî o da tutte quelle stazioni nelle quali interessi un esatto valore della longitudine. Il problema consiste nell'usare un sistema di recezione che assicuri la voluta precisione. (!) Presentata nella seduta del 16 gennaio 1921. (2) G. Cassinis, L'Elettrotecnica. 15 luglio 1914. (3) Monthly Notices of the R. A. S. May 1920, pp. 648-679. (4) Proceedings of the National Academy of Sciences U.S.A. June 1920, pag. 372. Tre sono generalmente i metodi usati per la recezione dei segnali di tempo: quello dei segnali indipendenti costituiti da linee o punti che ven- gono ricevuti col telefono e registrati con tasto a mano sul cronografo, il metodo delle coincidenze o dei segnali ritmici, e quello della registrazione automatica. Il primo è di semplice e facile uso anche in difficili circostanze di rece- zione dovute ad eventuali grandi distanze dalla stazione emittente o agli « intrusi » o «scariche » che in certe stagioni dell’anno, specialmente sulla terraferma, possono disturbare notevolmente le comunicazioni radiotelegrafiche. Con questo metodo non si elimina però l'equazione personale nella registra zione dei segnali, a meno che non si possa provvedere allo scambio degli osser vatori la cui equazione personale deve restare costante durante lo scambio. Nelle determinazioni di longitudine eseguite dal Comandante A. Alessio e dallo scrivente nell'Asia Centrale, venne usato questo metodo come è stato riferito in una precedente Nota (*). Lo scambio degli osservatori non era possi- bile in una spedizione in regioni di difficile accesso e viabilità; tuttavia si sono raccolti elementi bastanti per concludere che le equazioni personali dei varî osservatori i quali presero parte alle determinazioni, nelle stazioni ese- guite dalla spedizione, e nella stazione base di Dehra Dun, sono dell'ordine di quelle che si hanno nella registrazione dei passaggi di stelle pure fatte con tasto a mano. Come nella equazione personale di queste si ha un termine dipendente dallo splendore delle stelle (equazione di splendore), così nella regi- strazione dei segnali esiste probabilmente un termine dipendente dall’ intensità con cui sì ascoltano i segnali nel telefono. Tale intensità può essere variabilissima per cause inerenti alla costituzione ed alle proprietà elettriche dell'atmosfera, e quindi questa causa può anche essere fonte di errori in misure di grande precisione. Ma in condizioni difficili di recezione può essere questo il solo metodo che si possa adoperare. In India per esempio, durante la stagione dei monsoni di sud-ovest (estate), le usuali comunicazioni radiotelegrafiche sono talvolta rese molto difficili dalle numerosissime e fortissime « scariche », ed in tal caso è appena possibile di ricevere alcuni segnali di tempo di una serie determinata indi- pendenti l’uno dall'altro. Il metodo delle coincidenze consiste, come è ben noto, nel confrontare i segnali radiotelegrafici emessi ad intervalli della durata diversa da un secondo per una piccola quantità, con i secondi dell'orologio della stazione ricevente. Questo metodo implica l’ascoltazione ininterrotta di una serie più o meno lunga di segnali secondo quanto sono spaziati i battimenti emessi, e di poter percepire almeno il principio o la fine della serie. Di più sulla precisione dell’apprezzamento di una coincidenza influisce la diversa intensità (1) Rendiconti Acc. Lincei, vol. XXX, fasc. 10, pag. 305. CNS e timbro con cuì si sentono nel telefono i segnali radiotelegrafici e le battute dell'orologio locale. Il terzo metodo consiste nella registrazione automatica dei segnali radio- telegrafici con un apparecchio registratore che può essere quello usato nelle determinazioni di tempo locale. La difficoltà nell'uso di questo metodo con- siste nel trasformare le onde herziane, che vengono raccolte dall'apparecchio ricevente, in correnti di sufficiente intensità, tale da poter registrare automa- ticamente i segnali. Quando le distanze fra stazione emittente e ricevente sono piccole e la potenza della stazione emittente sia sufficiente, allora gli strumenti di registrazione possono essere del tutto simili a quelli usati nelle determinazioni di longitudine con la telegrafia ordinaria, come già fecero Albrecht e Wanach nel 1906 (*). Ma se le distanze sono notevoli bisogna ricorrere ad apparecchi più sensibili, come sono per esempio i magneto-oscil- lografi usati da Abraham nella determinazione di longitudine Parigi- Washin- gton. Sono questi dei galvanometri a ferro mobile (?) molto sensibili che possono registrare, con una penna su carta affumicata o con un raggio di luce su di un nastro fotografico, correnti di intensità inferiore ad un milli- ampère e che sostituiscono il telefono nel circuito dei moderni apparecchi riceventi muniti di valvole ed amplificatori a tre elettrodi, senza che sia necessario di interporre alcun relais meccanico ausiliario. Per la precisione che sì raggiunge con i primi due metodi, gli esperi- menti finora eseguiti permettono di fare le seguenti considerazioni. Nelle determinazioni sopra citate, fatte nell'Asia Centrale, essendo la distanza fra la stazione emittente e quelle riceventi comprese fra 400 e. 900 chilometri, coll’uso per le determinazioni di tempo di uno strumento dei passaggi con 65 mm. di apertura, montato su di un treppiede, in con- dizioni di osservazione non sempre favorevoli e facili, poichè la maggior parte delle stazioni si trovava a notevole altezza sul livello del mare (fra 2000 e 5400 metri), l'errore medio, per una longitudine dedotta da una sera di osservazioni, comprendente la recezione di 90 segnali radiotelegrafici, risultò uguale a = 0,507. Gli errori medî dei valori definitivi delle longitudini, come risulta dalla tabella della precedente Nota, vanno da un minimo di + 0,015, che spetta a Cashgar, con quattro sere di osservazioni favorite da buone condizioni meteoriche e da ottima recezione dei segnali, ad un massimo di © 0.5054, sull’altipiano Depsang, con cinque sere di osservazioni in circo- stanze meteoriche varie, e notevoli perturbazioni nella recezione dei segnali per causa delle continue e forti « scariche ». È forse lecito concludere che con questo metodo, usato in condizioni meno difficili, con l’impiego del micrometro impersonale per l’osservazione dei passaggi e con lo scambio (1) Veròff. des Kgl. Preusz. Geod. Inst. Neue Folge Nr. 81. Berlin, 1907. (2) Comptes Rendus. N. 4, 28 Juillet 1919, pag. 171. ECO lo degli osservatori, si possa raggiungere in analoghe determinazioni, con quattro o cinque sere di osservazioni, un errore all'incirca di = 0,*01. Col secondo metodo vennero eseguite in osservatorî stabili e con stru- menti di passaggi in solida sistemazione provvisti di micrometro imperso- nale con movimento di orologeria, le differenze di longitudine Parigi-Bizerta, Parigi-Ucele e Parigi- Washington. Per la prima sì effettuò lo scambio di segnali radiotelegrafici da Parigi a Bizerta e da Bizerta a Parigi e lo scambio di osservatori, ottenendo in dieci sere di osservazioni un valore della longi- tudine con errore medio di = 0,004. Per la seconda i segnali radiotelegra- fici emessi dalla stazione della torre Eiffel vennero ricevuti a Parigi e a Uccele, e in 20 sere di osservazione, nelle quali contemporaneamente vennero eseguite determinazioni con la telegrafia ordinaria, sono stati conclusi due va- lori della longitudine diversi l'uno dall’altro di 0,501 con un errore medio, per la telegrafia senza fili di = 0,5006 e per la telegrafia ordinaria di = 0,5007. Ciò che sta a provare la concordanza ed uguaglianza dei due metodi. D'altra parte nella differenza di longitudine fra Parigi e Washington, con una distanza di più che 6000 chilometri, con due gruppi di osservatori,. l'uno americano e l’altro francese, che eseguirono due determinazioni indi- pendenti con scambio di segnali da ambedue le stazioni e scambio di osser- vatori, sono stati ottenuti, in due periodi distinti, due valori della longitudine con errori medî rispettivamente di = 0,5007 e = 0,004, ma differenti fra loro di 0,52. La causa più probabile di questa notevole differenza sistema- tica deve ascriversi, almeno in parte, agli errori ed alle equazioni personali inerenti ai confronti radiotelegrafici dei pendoli (*), come si deduce dal con- fronto con i risultati contemporaneamente ottenuti da H. Abraham con regi- strazione automatica dei segnali su di un cronografo fotografico del tipo dianzi accennato. Data la grande distanza delle due stazioni, si dovettero usare delle emissioni relativamente lunghe e cioè della durata di mezzo secondo perchè potessero venire percepite. Da questo fatto risultò una note- vole diminuzione di precisione nell'apprezzamento delle coincidenze con l’esi- stenza di notevoli equazioni personali (*). È Il metodo della registrazione automatica venne usato in questa occa- sione, nel 1913-14, soltanto in via di esperimento, e da allora ha fatto note- voli progressi in uno con quelli della radiotelegrafia, per la quale la faci- lità delle comunicazioni è molto aumentata con migliorati apparecchi di emissione e di recezione. Adesso è ormai certo che la registrazione automa- tica in un prossimo futuro potrà sostituire, per misure di grande precisione, i metodi di ascoltazione telefonica. (1) Bulletin Astronomique. Tome XXXIII, pag. 259, Paris, 1916. (2) Rapport annuel sur l’état de l’Observatoire de Paris pour l'année 1914, pag. 19, Paris, 1915. =togg o Tutti e tre i metodi, per la possibilità di impiego in qualunque regione della terra, per le grandi distanze a cui verranno impiegati e per la facilità con la quale si possono fare determinazioni contemporanee di più stazioni, porteranno in breve tempo un notevole contributo alla conoscenza delle lon- gitudini; e ciò giustifica l'interesse che si dedica e si deve dedicare a questo promettente campo di ricerche. RT Matematica. — Sulle varietà a tre dimensioni e di quart'or- dine che son luoghi di almeno co? rette. Nota II di EuGENIO G. ToGLIATTI, presentata dal Socio C. SEGRE (’). c) Supponiamo infine che B, C coincidano in un punto, semplice per y e doppio per Vi, e sia L la linea (?) irriducibile luogo di B=C. Da un punto generico P di L escono co! generatrici di Vì formanti un cono (irri- ducibile o no, ma) privo di componenti piane variabili al variare di P su L, .e la cui parte variabile è quindi di ordine = 2; su ogni generatrice di T esiste, per le ipotesi fatte (3), un punto doppio di Vi consecutivo a P, perciò tutte le generatrici di I° sono doppie per il cono quadrico tangente a V3 in P(?!), cono che sarà perciò un S3, @, da contar due volte. La Vj è se- gata da « in una F*, contenente I°, e che ha in P un punto quadruplo. Infatti, se P fosse solo triplo per quella F*, essa si comporrebbe o di T° e d'un piano o non passante per P, oppure di Z° e d'una quadrica I) pas- sante semplicemente per P, secondochè l'ordine di Y è 3 o 2. Ora, nel 1° caso, al variare di P su L, il piano o dovrebbe restar fisso, perciò descriverebbe il fascio degli Ss passanti per o, il che è assurdo, perchè L, che è irriducibile e non sta su 0, non può essere tangente ad © in P. Invece, nel 2° caso, la quadrica 7 essendo irriducibile (se no w sarebbe fisso al variare di P su L, e quindi la F* conterrebbe L stessa come linea tripla), la sezione iperpiana generica di Vj conterrebbe o! coniche, sezioni del sno S3 con le co! quadriche analoghe a I e 7); e poichè detta super- ticie non è rigata, nè ha curve-sezioni ellittiche o razionali, quelle coniche, e quindi anche le quadriche TY, 7), apparterrebbero ad uno stesso sistema continuo (4), il che, per la genericità di P, contraddice al fatto che P è (*) Presentata nella seduta del 16 gennaio 1921. (2) E non la superficie, perchè verrebbe d'ordine > 1 (15). (3) Ciò si vede pensando ad una trasformazione quadratica per cui P sia punto fondamentale, e con ovvia estensione ad S, di teoremi noti in Sg (Segre, Sulla scompo- sizione dei punti singolari delle superficie algebriche, Ann. di Matem., (2) 25 (1897), pp. 1-54, n. 1). (4) V. la mia Memoria: Le superficie di 6° ordine con infinite coniche, Mem, Ist. Lomb., (3) 12 (1916), pp. 243-307, Cap. 1° e 2°. LIO doppio per Z° e non per T). In generale, dunque, L è una linea doppia tacnodale: ogni suo punto è per Vj un tacnodo (1). Ne segue che L non può essere una linea non piana, di ordine quindi = 3, perchè la sezione iperpiana generica di V3 avrebbe almeno tre tacnodi non allineati senza poter avere una linea doppia di ordine >1. Se poi L, di ordine = 2, stesse in un piano 7, questo non potrebbe stare su V4 (se no starebbe anche nell’ Sg , 0, del ragionamento precedente, quindi L sarebbe doppia per il cono F', cosa chiaramente assurda), e quindi L potrebbe essere solo una conica; ma allora un Sz generico per 7 segherebbe la Vj in una F* rigata con L doppia ed avente una retta doppia fuori di 7, sicchè Vj acquisterebbe un piano doppio incidente ad L, e sarebbe una di quelle del n. 4a), la quale non può rientrare evidentemente nel caso attuale. Si conclude che L è una retta; sicchè w sega Vj in un cono quartico, generalmente irriducibile, avente L come generatrice doppia. Un piano ge- nerico c per L sega Vi, fuori di L, in due rette incontrantisi su L; perciò per un punto generico di V3 passa una sola retta di Vi incidente ad L, ‘e 0 sta su uno solo degli Sz tangenti a Vi nei punti di L: tali Sz formano dunque fascio (intorno ad un piano contenente L). Notando infine che la sezione iperpiana generica di Vi è una F4 con un tacnodo P su 7, sulla quale i coni quartici sezioni di Vj con gli oo! S3 anzidetti segano un fascio di sezioni piane passanti per P (l’ S3 tangente a Vi in P segando proprio il piano tangente alla F' in P), e che detto fascio risulta riferito proietti- vamente ai punti di L, si ricava per Vj la seguente costruzione: presa in un S3 una F' con un tacnodo P su L (°), si ponga una proiettività tra i punti di L edi piani d’ un fascio, nell S3 della F*, contenente l’unico piano tangente ad F' in P stesso, e in modo che questo piano corrisponda al punto P di L: la Vi richiesta è luogo dei coni che proiettano da ogni punto di L la C* sezione di F* col piano omologo. Scritte le equazioni della F' sotto la forma: (1) ee=" 023 4212, 02(22232,) + Pa(e2234,) = 0, ‘e quella della proiettività considerata sotto la forma: y12° — yo24== 0, la Vi risulta luogo del punto: (2) 0%6="4À4%0; ex: = +41 |} 0%:="% | 0%3=% ; 004 =; (1) Chiamando così un punto doppio uniplanare P di V4 quando le sezioni di V4 «coì piani generici per P hanno ivi un tacnodo. (2) Cremona, Sopra una certa superficie di 4° ordine, Coll. in mem. Chelini, Mi- lano, 1881, pp. 413-424; Opere Matem., III, pp. 444-458. Noether, Veder die rationalen Flàchen vierter Ordnung, Math. Ann., 33 (1889), pp. 546-571. rog perciò la sua equazione è: (3) (17° — to%4) + (210, — L0X4) 22122304) + P(C034) = 0 (1). 5. In generale, la (1) e le sezioni iperpiane di V* sono razionali (?), e però tale è pure V! (*); ma si hanno dei casì speciali notevoli in cui la (1) diviene irrazionale, perchè acquista un fascio ellittico di coniche; si riconosce allora subito che anche Vi diviene irrazionale, perchè acquista un fascio ellittico di quadriche. Cioè: a) se @, e f#, non contengono %,, vi è sulla (1) un tacnodo P' di- stinto da P_(*), e su Vi si ha una seconda retta doppia tacnodale L' inci- dente ad L; le quadriche di V! stanno a coppie negli Sz contenenti LL', le quadriche d'una stessa coppia essendo raccordate fra loro lungo L ed L'; 5) prendendo: f,=+a3— ws(173) (4), la Vi! si può riguardare come un caso speciale della precedente in cui L'= L. c) prendendo invece: f,=1 @3 — w(737,), il fascio di piani usato nella costruzione della Vi coincide con quello dei piani delle coniche della (1), siechè le rette di V! uscenti da un punto generico di L formano, ora, due coni quadrici aventi lungo L contatto di 3° ordine. 6. Ammettiamo ora che Vi abbia lungo g un S3} tangente fisso; sicchè i punti A, B,C del n. 3 son tutti multipli per Vi. Se due di essi, ad es. A,B, coincidono in un punto doppio per y e triplo per Vi, essi descrivono una retta tripla £ od una conica tripla L (n. 48)). Il primo caso va escluso, perchè il piano gf non può contenere su g un punto doppio ulteriore C di Vi distinto dal punto 9, nè ad esso. consecutivo. Nel secondo caso, un Sz generico condotto per il piano 7 di L, che è doppio per Vi, sega ancora Vi in una F? irriducibile contenente L; ne segue che C è distinto da A= B, se no quella F? non sarebbe un cono, e quindi per un suo punto generico passerebbero due generatrici distinte g,g9' di Vi, contro l'ipotesi che la cubica y sezione ulteriore (fuori di 9) di Vi col piano gg' non incontri 9 fuori del punto gL. Dunque Vj ha, oltre L, una linea doppia irriducibile L,, di ordine x e con x — 1 punti su 7; se y/ di questi stanno su L, sì vede subito che dev'essere: 2x —y=4, (’) Equazione analoga a quella d’una F4 rigata di Sg con due rette doppie infini- tamente vicine; v. Cayley, A second Memoir on skew Surfaces, otherwise Scrolls, Phil. Trans., 154 (1864), pp. 559-576 e Coll. Math. Papers, vol. V, pp. 201-220; Cremona, Sopra una certa famiglia di superficie gobbe, Rend. Ist. Lomb., (2) 1 (1868), pp. 109-112 e Opere Matem., II, pp. 399-401. (2) Fano, Sulle varietà algebriche a ire dimensioni a superficie-sezioni razionali,. Ann. di Matem., (8) 24 (1915), pp. 49-88; Scritti mat. offerti ad E. D'Ovidio, pp. 342-363. ($) Kummer, Veber die Flichen vierten Grades, auf welchen Schaaren von Kegel- schnitten liegen, Crelle, 64 (1865), pp. 66-78, a p. 71. (4) De Franchis, Ze superficie irrazionali di 4° ordine di genere geometrico» superficiale nullo, Rend. Palermo, 14 (1900), pp. 33-65, n. 3. na ITA e quindi (poichè: y=x—1):ax=2,y=0 od: x=3,g=2; cioè L, può essere: una C? con un punto su 77, ma non su L; una C? piana con un punto doppio su L; una C? sghemba con due punti (distinti o no) su L. In ogni caso V! è luogo delle rette incidenti ad L,L,, perciò va escluso il 1° caso (!°); la sua equazione è, negli altri due casì rispett.: o [o 02(237,) + Ps(c324)]— rie2(c374) =0 ; vic, — (r004 — 13) (100 — dî) = 0. (Nell'ultimo caso si son supposti distinti i punti comuni ad L,L,). Se poi A, B,C son tutti doppî per V*, al più uno di essi può deseri- vere (una superficie, anzi) un piano doppio di Vi; ne segue che A,B,C non sono tutti distinti, perchè se A, ad es., descrive un piano, le quadriche di V! situate con quel piano in uno stesso Ss dovrebbero avere due punti doppî distinti, e, d'altra parte, il luogo di A,B,C non può essere comples- sivamente una linea (irriducibile o no), perchè questa, avendo 00? trisecanti, sarebbe piana. Se A = B (ed eventualmente A=B="C), la V! deve rien- trare in quelle del n. 4c), ma se si scrive l'equazione dell’ S3 tangente generico della (3) si vede che esso non può restar fisso lungo 9 (per far ciò possono servire le (2), che rappresentano parametricamente la V! coi parametri %,2:,23,%4, quando vi si riguardi e, come funzione implicita di 23,23, definita dalla (1)).' 7. Le Vi irriducibili normali, non coni, che son luoghi di n° 0 003 rette sono: 1°) Za Vi di Sz luogo dei piani che uniscono punti omologhi di due rette e d'una C*, generiche, riferite proiettivamente (è la sola @ curve-sezioni razionali, e la sola con co rette); 2°) Za Vi; base d'un fascio di quadriche di S; (è la sola a curve- sezioni ellittiche); 3°) Za Vi di Sy con piano doppio; 4°) Le seguenti Vi di Sy aventi lungo ogni generatrice un piano tangente fisso: a) le Vi con piano doppio rr ed inoltre una linea doppia (che può essere: una retta sghemba con n, una conica incidente a x, una C3 piana con un punto doppio su rt, una C3 sghemba con due punti su rt, una C' di 2° specie d’un Sz con tre punti allineati su rr, una C* di Si con tre punti su m); b) la Vi con retta tripla; c) la Vi! con co- nica tripla (entro un piano doppio); d) la Vi con una retta doppia tac- nodale; e) la Vi con due rette doppie tacnodali incidenti, ed eventual- mente coincidenti (è la sola irrazionale); 5°) Ze Vi di Si (aventi lungo ogni generatrice un Sz tangente fisso) dotate di conica tripla L, în un piano doppio nr, e d'una linea doppia ulteriore (che può essere: una C* piana con un punto doppio su L, una C* sghemba con due punti su L). RENDICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sem. 4 Matematica. — Su numeri reali e le grandezze. Nota II di 0. BuRaALI-FORTI, presentata dal Corrisp. R. MARcOLONGO (*). 3. Se «,v sono classi di grandezze, omogenee rispetto alle operazioni h,l, inoltre m,x sono elementi, non nulli, il primo di « e il secondo di v, consideriamo la ordinaria proporzionalità tra gli « e i v che a 0,,,1 ed m fa corrispondere 0,,x ed 7 e alla somma (4) di due elementi di % fa corrispondere la somma (/) dei due corrispondenti di v. Tale proporzio- nalità resta individuata da un Ops (v, v), che risulta essere reciproco [ pag. 178], e che indicheremo col simbolo completo p ls AS vale a dire porremo, (1) h,ke Oper.wus Grand X.vs Grand X.meumt0,,n.NEV=t0y,x: I (ep: 7).=.a [ps (0,0) fa df0,= Oie T,Yy8U Da, y-f(0hy) = (f2) kE (N Si dimostra facilmente (7), ed è ben noto, che la classe entro [ ] è una Clsi [pag. 70] e quindi la proporzionalità considerata esiste ed è univoca- mente determinata. Risulta pure che (2) Hp (1). Ok, k,u,v,m,n- p(#f®) e Ops Rep (u,v) e SOlu,h,m\}® _ (v,k,n (3) Hp (1).On,x,wre,ma:}P (7517) =r(2%.m) e che peru=v,h=%,m=-a la proporzionalità è una identità. 4. Conviene indicare con un simbolo speciale la proporzionalità (efr. n. 2, ©) che allo zero ed un0 di Q, («, è) fa corrispondere lo zero ed uno di Qo (0, 4). Si porrà (1) hke Oper. ue Grand h.vs Grand K:0n,k,u,e: L* Q PROT AA Dussson=P(G(08),k, 8): Si può ora definire la classe assoluta, Qo, dei numeri reali ponendo (2) QQ. =. Opsn ashes Oper. us Grand 1.97, AQ (vu, a) as}ke Oper. ve Grand 6 Dx, 0.10 (0;4) = Pu,n,0,K 0] (*) Presentata nella seduta del 2 gennaio 1921. (7) C. Burali-Forti, Teoria delle Grandezze [ Formulaire de Mathématiques, T. I, pp. 28-57; Rivista di Matematica, vol. III, pp. 76-101 (1893)]. RO, a ‘e ogni Q risulta essere Ops per coppie (v;/%) tali che 4 è operazione e v è classe di grandezza omogenea rispetto a £. Si definisce la somma, +, per i ®, assoluti ponendo (3) t,YEQ0:da,y:d+y.=-1(Q00 88h Oper. ve Grand %. ORA RIOIZICA CRITERI CARO ‘(perchè p.,n,v,n è una identità) e risulta (4) Qo Grand — . Si possono definire io zero, 0, e l’uzità, 1, assoluti di Q, ponendo (5) 0.=.:[Qnasfhe Oper ve Grand 7.0, u.c(u,R)= 0,1] CARESTIE EE RIE TAI In modo ovvio sì ottengono le classi assolute N, Ro degli dateri e dei razionali, insieme ai simboli assoluti 2, 3, ..., e loro derivati, con i quali si esprimono i Q,. È chiaro che ‘(7) heOperius Grand og (ale Fn a Hu I ‘ cioè da ogni simbolo fisso, x, indicante un particolare Q, assoluto, si ottiene il Qo (4,7) corrisporflente con la notazione x (u; 4), e ciò per ogni 7 di Q; (*). Inoltre si ha ovviamente Oki (1-4 Il prodotto, X, per i Q, assoluti si definisce così. Si definisca, come d’uso [pag. 169], x Xy quando #,y«N,, indi quando #,yeR, non ‘entrambi N, infine quando x,y, non entrambi R, ponendo x Xy= l’(a X bd) ove a, d sono classi di R, tali che x =l'a,y=l'd. Si avranno per il prodotto , X, le ordinarie proprietà e potrà esser definito il quoto, /, pure con gli ordinari metodi. La teoria dei Q, assoluti è così stabilita (°). Giova osservare che i Qo, definiti dalla (2) non sono Ops (uu, 4%), ove x è Grand 7 generica, e neanche è possibile (cfr. ‘’) assegnare ad essi, “con definizione, tale proprietà per seguire l’uso comune secondo il quale si ‘scrive semplicemente xa al posto di x (u;k)a ove re@ e asu(!9. (8) Gli elementi, ad es., di No (w, 4) sono indicati da : (a) OOO D@rio Ga) s/n Per le classi 1C,C, (cfr. ©) s'ha, ad es., 2(10;k)(1;1)=(1;2), 2(C1;4)(1;1)=(2;1), >il che prova che nelle (a) ron si possono sopprimere «,à perchè altrimenti si avrebbe :2(1;1)=(1;2), 2(1;1)=(2;1), ilche è un assurdo essendo (1; 2) = = (2; 1) (cfr. ©). (*) La (2) dà i ® assoluti in modo diverso, più semplice e rigoroso, di quello - seguito nella Nota del 1915 (cfr. ©). (1°) Se 7,yeQo si potrà scrivere, seguendo l’uso comune, xy al posto di x X y, “ma solo come notazione abbreviata e non come notazione effettiva, altrimenti ogni Qo ORA 5. Dalle precedenti osservazioni risulta che il simbolo Grd [pag. 381, (5)] è privo di aleune delle proprietà che nelle pp. 381-409 di L. M. gli sono state attribuite. Ecco i cambiamenti generici che occorre fare. ia a) Volendo, come è opportuno, mantenere a Grd il significato di « grandezza omogenea assoluta », a pag. 381 si cambi (5) e Grd in (5') e Grd' «grandezza omogenea relativa ad una operazione ». Le classi 10,0), F,G (cfr. 4), Qo + Qo sono delle Grd'. 6) Le ordinarie grandezze geometriche (lunghezza, ...), 0 fisico-mec- coniche (massa, lavoro, ...) sono enti per i quali è stabilita a priori la condizione di uguaglianza e la operazione somma, dipendenti soltanto da proprietà geometrico-fisico-meccaniche e non dalla particolare definizione nomi- nale (=) di esse [pp. 298-311]; esse, peraltro, si definiscono [pag. 298 e seg. ] nominalmente insieme alla somma. — Queste classi di grandezze, insieme alla relativa operazione somma (cfr. ‘’) formano appunto la classe Grd- « grandezza omogenea assoluta » che interessa introdurre e che riteniamo definita dalle condizioni sopra esposte. Una definizione nominale (=) di Grd, simbolica, è possibile ma presenta alcune difficoltà formali che ora non intendiamo affrontare. Ci basti per ora ritenere che se wu, ve Grd aventi a comune almeno un elemento, esse sono identiche. Indftre se xe Grd è da considerarsi un4 sola operazione somma che, senza inconvenienti formali, può essere indicata con l’urzico simbolo |. | c) Stabilito quanto è indicato in 2), segue che la definizione di Q, [pag. 388] vien sostituita dalla (2) del n 4 di questa Nota; ma, lo si noti, i Q, si ottengono sempre dalle grandezze e gli No, Ro come casi particolari dei Q,. — La definizione euclidea dei Q, [pp. 399-406] si cambierà nella definizione dei Q (4, A), sostituendo a Grd il nuovo simbolo Grd' (cfr. a), ponendo esplicita la ipotesi ” « Oper, us Grand 7 e conservando ovunque gli indici 4, come nelle (1) (2) (3) delle pp. 400, 401 di L. M. — Il teo- rema di pag. 406, n. 1, L. M. è implicitamante contenuto nella defini- zione, d), di Grd. — Ecc. d) Se we Grd, deu, reQ,, si può, per seguire l’uso comune, porre ra=x(u,-)a e dopo cidi Q, assoluti risultano Ops per gli x qualunque sia la classe vu appartenente a Grd; notando che Q, = e Grd. — Poste ancora le (6), (7) di pag. 381, L. M., col nuovo significato di Grd, e se 7 egrd = Zero, allora Q, 4 indica (cfr. n. 1) una sola classe di Grd e precisamente « gran- dezza omogenea con x ». — Ecc. sarebbe Ops e Opd per i Qo (cfr. n. 1, (9). — Inoltre se ai Qo si assegnasse la pro-- prietà di essere Ops (ufu,) si avrebbe, ad es, (cfr. (%), considerando i + Qo, 3+5=8 e anche 3+5=3(4+5)=+ 15, e si avrebbe così un assurdo. SRI Micologia. — n Ifomicete dui conidi mesoendogeni: Meni- spora microspora n. sp.(). Nota del dott. Beniamino PEY- RONEL, presentata dal Socio prof. R. PIROTTA (°). Durante le mie ricerche sul marciume nero delle castagne, prodotto dalla Rhacodiella Castaneae, ho avuto occasione di osservare un gran nu- mero di funghi interessanti, non tanto per la loro azione patologica, trattan- dosi per lo più di specie saprofitarie, quanto per le loro particolarità morfo- logiche e biologiche. In questa breve Nota voglio appunto dare una sommaria descrizione d'un Ifomicete, il quale mi sembra degno d'essere additato all’at- tenzione dei micologi, non tanto perchè si tratta. com'io credo, di specie nuova, quanto perchè in esso è facile ad osservarsi un modo di produzione dei conidî, che ritengo non sia ancora stato da altri descritto. Il fungo in questione forma alla superficie della buccia esterna delle castagne delle minute, diffuse macchie vellutate, bruno-olivacee, cosparse come d’una finissima pruina bianca (formata dai conidî), poco percettibili ad occhio nudo, perchè spiccano pochissimo sul colore della buccia stessa. L'esame microscopico ci fa tosto riconoscere nel nostro fungillo una di quelle specie cui i vecchi micologi sistematici attribuivano un wmycelium subnullum, o hyphae parcae, nullae vel obsoletae, quali le Chalara, le Menispora, ecc. Infatti le ife miceliche superficiali sono poco sviluppate: esse sono di color bruno-olivaceo, settate, scarsamente ramificate, assai sot- tili, misurando appena 1,5-3 w di diametro (fig. 14); qua e là, però, spe- cialmente attorno alla base dei conidiofori, esse si ingrossano bruscamente in articoli irregolarmente poligonali, appiattiti, spesso combacianti gli uni cogli altri pei loro margini, come le mattonelle d'un pavimento (fig. 1), e aderenti strettamente al sustrato. Le ife superficiali mandano nello spes- sore della buccia abbondanti filamenti micelici sottilissimi, scarsamente set- tati, molto rifrangenti e che si distinguono difficilmente se non si ricorre ad opportune colorazioni artificiali, come, ad esempio, col Bleu Poirrier in acido lattico (fig. 1c). Dalle ife brune superficiali, e specialmente dagli arti- coli appiattiti, s'innalzano i conidiofori. anch'essi bruno-olivacei, cilindrici. per lo più alquanto ingrossati a bulbo alla base, settati, subsemplici, por- tanti all’apice, e spesso anche lateralmente poco sotto questo, delle cellule (*) Lavoro eseguito nella Stazione di Patologia vegetale di Roma. (?) Presentata rella seduta del 6 febbraio 1921. SIRO foggiate a bottiglia, più chiare, che rappresentano gli organi produttori dei. conidî o conidiogeni (fig. 7-10). l La lunghezza dei conidiofori è variabilissima, a seconda dell’età e del- l'ambiente. Essi, infatti, sono spesso, dapprincipio, ridotti al semplice coni-- diogeno o a poche cellule sotto questo (fig. 2-6); in generale, però, sono- | Vea) 2 f TIZIZZZE, TNSESIEZICE sd SD Nice Menispora microspora Peyr. — Fig. 1, micelio: a) ife miceliche superficiali; 2) articoli miceliari ingrossati, depressi; c) ife penetranti nel sustrato. — Figg. 2-3, conidio-- geni inseriti direttamente sul micelio. — Figg. 4-10, diverse forme di conidiofori e di conidiogeni; 6a), 7a), conidiofori in formazione; 70), un conidiogeno re ha pro- dotto un altro al suo apice. — Fig. 11, un conidiogeno con un conidio in via di for- mazione. — Fig. 12, conidî. — (Ingrandimenti: figg. 1-10, 333 diam.; fig. 11, 900 diam; fig. 12, 666 diam.). più sviluppati e possono raggiungere fino a 200 w circa di lunghezza; in. media misurano 100-150 v 3,5-4,5 «. I conidiogeni hanno tipicamente la forma d’una bottiglia terminata da un collo svasato a guisa d'imbuto (stomidzo, da ot6ua, bocca, e doc, aspetto, immagine); in fondo allo stomidio la parete del conidiogeno presenta un ispes- simento annulare limitante un minuto forellino centrale (poro). Non di rado. il conidiogeno, oltre allo stomidio apicale, ne porta uno o più altri laterali. od anche dei conidiogeni più ridotti (figg. 7, 9, 10). Non sempre lo stomidio è così evoluto, talora esso è ridotto ai minimi termini o manca del tutto, il conidiogeno aprendosi direttamente all'esterno mediante il poro apicale. Quando esso è bene sviluppato, è chiaro il modo di formazione dei conidî; questi vengono prodotti uno dopo l’altro diretta- mente dal protoplasma del conidiogeno, il quale esce attraverso il poro e si riveste d'una sottile membrana (1). I conidîì così formati rimangono molto probabilmente addossati gli uni agli altri, formando dei glomeruli in cima al conidiogeno — come ho qualche volta potuto osservare — qualora non siano divorati e dispersi dagli acari, come avveniva nei miei esemplari. Essi sono solcati, seleniformi, alquanto assottigliati ed acuti inferiormente, supe- riormente ottusiuscoli, ialini, pieni d'un plasma omogeneo e molto rifrangente, come quello che riempie i conidiofori e conidiogeni in pieno sviluppo; mi- surano 8-14, per lo più 10-12 “ 1,5-2,25 w (fig. 12). I conidiogeni mi- surano 15-22, generalmente 18-20 v 3,5-5 4; quelli secondarî talora inseriti sul principale, solo 7-12 v 3-4 w. Il nostro fungillo appartiene manifestamente al genere Merzspora quale è fissato da Saccardo nella SyZoge fungorum (IV, pag. 325), e precisamente al sottogenere Zumenispora, comprendente le specie dei conidî senza ciglia, e sembra distinguersi dalle specie finora descritte (almeno quelle di cui si hanno le misure) per la piccolezza dei suoi conidî; sarebbe del resto impos- sibile ascriverla all'una piuttosto che all’altra specie, data l'assoluta insuffi- cienza delle diagnosi. Propongo il nome di Menispora microspora per la nostra specie. Il modo di formazione dei conidî sopra descritto fu da me ugualmente riscontrato ed illustrato nella £ri/omenella tortuosa (Corda) Peyr. (*), ma in quel fungillo manca all'apice del conidiogeno uno stomidio bene sviluppato, onde l'origine del conidio direttamente dal protoplasma è meno evidente. Un termine di passaggio tra i conidî così formati, ai quali si può dare il nome di mesoendogeni, e quelli schiettamente endogeni, quali si osservano nei generi Chalara, Chalaropsis, Sporoschisma, Thielaviopsis, ece., lo si riscontra nella ARhacodiella Castaneae, la quale possiede dei conidiogeni lageniformi generalmente provvisti d'uno stomidio assai sviluppato e dei co- nidî sferici, assai minuti, che vengono formati dal protoplasma, fuoruscente attraverso il poro, nello stomidio stesso ed in questo raggiungono il loro completo sviluppo prima di venire espulsi all'esterno (*). Conidî mesoendo- (1) Questo modo di formazione dei conidi ha qualche riscontro in quel fenomeno, a quanto pare assai frequente, che dal Pantanelli fu chiamato «genunazione » del tubo pollinico. (*) B. Peyronel, Un HAyphomycète singulier: Eriomenella tortuosa (Corda) Peyr., Bull. Soc. Mycol. de France, tome XXXV, 1920, pp. 165-182, PI. VIII-IX. (*) Cfr. B, Peyronel, Sul nerume o marciume nero. delle castagne. Le Staz. Sper. Agr. Ital., vol. LII, 1919, pp. 21-41, tav. I-IV. ENO ‘geni ho ugualmente riscontrato in un gran numero di specie — appartenenti a tutte le famiglie degli Ifali — provviste di ramuli conidiofori differenziati o conidiogeni; anche in alcune forme picnidiche ho potuto accertare che le sporule vengono prodotte allo stesso modo. Tali ricerche, opportunamente approfondite ed allargate, ci porteranno verosimilmente alla conclusione che i conidî si formano sempre nel modo anzidetto tutte le volte che essi ven- gono prodotti successivamente in gran numero sopra conidiogeni differenziati, e che è fondata sopra inesatte osservazioni l’opinione corrente, secondo la quale i conidî, anche in tal caso, sì produrrebbero per lo strozzamento e l'isolamento per settazione dell’apice del conidiogeno stesso. G. C. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI pervenute all’ Accademia durante le ferie del 1921. (Ogni Memoria o Nota porta a pie’ di pagina la data d'arrivo). Fisica. — Sulla teoria dell'effetto Thomson. Nota del Socio :0. M. CorBIno ('). La spiegazione elettronica dell'effetto Thomson riconduce questo feno- meno alla sovrapposizione di due cause. Anzitutto, come conseguenza della diversa pressione elettronica fra i punti del metallo a diversa temperatura, si produrrebbe un afflusso di elettroni dai posti caldi ai posti freddi, e quindi un campo elettrico che ostacola l'ulteriore diffusione degli elettroni mede- simi: il movimento della elettricità dovuto a una corrente elettrica che sia inviata nel metallo darà quindi luogo, per effetto di quel campo, a uno svi- luppo o ad un assorbimento di calore che si sommerà algebricamente con quello dovuto all'effetto Joule. Inoltre gli elettroni, trasportati dalla corrente in senso opposto al senso di questa, passando da un punto dove la tempera- tura è T+ dT in un altro dove la temperatura è T, sviluppano nel secondo l'eccesso a dT della loro forza viva media rispetto al punto di arrivo. x _— È 2 [ [5 IE — Soste flusso termico (1) Pervenuta all'Accademia il 28 luglio 1921. RenpicontI. 1921, Vol. XXX. 2° Sem. 5) SOA E Per precisare le idee, nel caso della figura, scelto come senso positivo. dell'asse < quello della corrente 7, e detto X il campo elettrico dovuto alla diffusione, computato positivamente se è nel senso della freccia, la quantità di energia svolta per effetto Thomson dalla corrente è in uno strato. di spessore dx cui corrisponde una variazione termica dT sarà (1) q=—tadl'+iXda. Per valutare X sì suole ragionare nel modo seguente (*). Nello strato. di spessore dx gli elettroni sono in equilibrio sotto l’azione del campo X e della differenza di pressione fra le basi; detto n il numero di elettroni. > per centimetro cubo, e supposta 1 l'area delle basi dello strato sarà (2) xnedo—ada=0 cioè XA Ano dT © nede ned9l da ma p=gzar perciò 9 __12. d(aT) aT 2) ST pen Sostituendo nella (1) avremo a=-—Laar+ Lia doo gp. Detto w il coefficiente dell'effetto Thomson, definito da q= piaT si avrà perciò ) E a 21 Dal) unt SE d log x (3) ii as ): Risultando poi dall'esperienza che in tutti i casi 4 è molto piccolo rispetto al’ coefficiente De, se ne deduce che in prima approssimazione dev'essere d log n D) = TI 1 e perciò che n deve sensibilmente variare come |/T. (*) Per es. vedi E. Bloch, La théorie électronique des métaur, nel volume Les idées mo-- dernes sur la constitution de la matière, pag. 169. DER A un risultato diverso si perviene se il campo X viene calcolato dalle formole di Lorentz (*) anzichè col metodo sopra esposto. Si ha infatti da quelle formole, nel caso che esista un fiusso di calore ma non una corrente elettrica, che il campo (deducibile dalla accelerazione chiamata X da Lorentz) è dato da 1 ge m_h m dlogA e da 2eh da e poichè ] (E pa = si s, A=N | la h 37m Ts si ottiene facilmente IA sm d log N 4 X=j_-3-(142 Gi È mala ? dT ) mentre la formola (2) dà con gli stessi simboli È _2@ dT d log N (5) ii Di dT I È naturale che i due diversi valori di X conducano a risultati diversi per il coefficiente «, e quindi a una legge di dipendenza diversa fra W e T. Giova ricercare l'origine della differenza che manifestano le formole (4) e (5) ricavate entrambe con ragionamenti apparentemente inattaccabili, e che non dipende, come potrebbe sembrare a prima vista. dal fatto che Lorentz nella sua teoria completa si riferisce alla distribuzione maxwelliana delle velocità. Entra invece in giuoco un'altra delle ipotesi di Lorentz, quella cioè che presuppone gli elettroni distribuiti fra gli atomi metallici praticamente immobili, e considera solo gli urti fra gli elettroni e quegli atomi immobili. Questa ipotesi equivale ad assimilare lo stato degli elettroni nel me- tallo non, come si dice comunemente, a quello delle molecole di un gas nella ordinaria teoria cinetica, ma a quell'altro che avrebbe il gas in un recipiente che contenga un corpo pulverulento, cosicchè siano da considerare solo gli urti delle molecole contro i grossi granuli, praticamente fissi, della polvere e non quelli delle molecole fra loro. Ora per un gas in tali circostanze, se sottoposto a un gradiente termico, non è più vera la nota condizione di equilibrio, che cioè la pressione è eguale in tutti i punti; vale invece come condizione di equilibrio l’altra paradossale che la pressione è in ogni punto proporzionale alla radice qua- (*) H. A. Lorentz, Theory of electrons, pag. 273. IERE= drata della temperatura assoluta. Ne risulta che la formola (2) è per tal caso inesatta, poichè la forza elettrica Xnedx deve equilibrare non la dif- ferenza di pressione fra le basi dello strato, ma l'eccesso di questa sulla differenza di pressione che si avrebbe naturalmente se i centri non fossero elettrizzati. Questa differenza di pressione di equilibrio aneletttrico risulta dalle considerazioni di Knudsen; si ha invero pt dp /T+-dT a V 2 p e perciò da cui dp _1pdT 1 dT da Oda 3 da Questo gradiente naturale della pressione va sottratto da quello che si ha globalmente per la causa anzidetta e per lo stato elettrico dei centri; per- tanto la (2) va modificata come segue Led, 0a a dp RA SIR CIO BE SORA ne e Se ne deduce, poichè p =in0T, Mi om d log 2) dl i Ù ni UR cioè la stessa formola cui perviene Lorentz. Inversamente si può verificare che se nelle formole di Lorentz si pone eguale a zero la carica elettrica dei centri mobili, con che si realizza il caso di un gas distribuito in una massa pulverulenta, a un gradiente termico corrisponde una naturale disegua- glianza di pressione conforme alla relazione di Knudsen. L'uso della (4) invece della (5) per il calcolo di u dà 2a I a I (1 iii e perciò se fosse w piccolissimo rispetto al coefficiente se, si dovrebbe dedurne dlog n aridi e quindi un numero di elettroni proporzionale alla temperatura anzichè alla radice quadrata di questa. Ora è noto che questi criterî di deduzione della legge di variazione di n con T sono poco sicuri; è certo però che le notevoli variazioni, con la temperatura, del coefficiente di Hall, che è inversamente proporzionale a n secondo la teoria elettronica, non rendono improbabile un così rapido mutamento di n con T per i metalli a coefficiente Thomson molto piccolo. Comunque premeva mettere in evidenza che la concezione del Lorentz conduce ad assimilare gli elettroni nel metallo a un gas in un corpo poroso, con tutti gli effetti anormali che ne dipendono, e dei quali bisogna tenere il debito conto. Chimica applicata. — Sulla presenza del manganese nella gomma greggia e sull'origine della peciosità (*). Nota del Corrisp. G. Bruni e di C. PeLIZZOLA (°). È ben noto che nella gomma cruda si manifesta talvolta, durante la conservazione, un'alterazione per la quale essa si presenta molle, adesiva e in certi casi sì trasforma addirittura in una massa vischiosa e quasi fluente. Questa alterazione si presenta quasi esclusivamente nelle qualità infe - riori di gomma, specialmente in quella che proviene dalle piantagioni sotto forma di crépe, e particolarmente negli scrap-crépes ed earth erèpes, ossia in quelli che sono preparati dalle porzioni di lattice che gocciolano sul tronco e per terra e i cui coaguli sono raccolti e lavorati a parte. Questa alterazione viene chiamata dagli inglesi tackiness e dagli olan- desi pekkigheid. Quest'ultima espressione indica la somiglianza esteriore colla pece; anche i francesi chiamano la gomma così alterata caoutchouc poîsseur. Noì seguiremo questo esempio chiamando peciosa la gomma alte- rata e pectosità il fenomeno. Sulla natura del fenomeno si è molto discusso ed il problema non è ancora chiarito. È certo che esso è accompagnato da una ossidazione e da una depolimerizzazione; ma quale di questi due fatti sia il primario e quale il conseguente non è deciso. Quanto all'origine si sono invocate le più svariate cause: azione di mi- crorganismi, presenza di diversi agenti chimici, azione della luce ecc. Si è oggi generalmente corcordì nel ritenere probabile che vi siano diversi tipi di peciosità determinati da cause diverse. (') Lavoro eseguito nel Laboratorio di Ricerche chimiche e chimico-fisiche della So- cietà Italiana Pirelli, Milano. (*) Pervenuta all'Accademia il 19 luglio 1921. MARIA Per una esposizione completa dello stato attuale della questione riman- diamo ai recenti e autorevoli libri di O. De Vries, Estate Rubber, Batavia, 1920, pag. 361; e di G.S. Whitby, Plantation Rubber, London, 1920, pag. 100. Da qualche tempo noi abbiamo iniziato ricerche allo scopo di studiare intimamente la natura fisico-chimica dei cambiamenti causati dalla pecio- sità: questo lavoro non è ancora terminato e i risultati saranno pubblicati a suo tempo; esso ci ha condotto però alla scoperta di alcuni fatti sull’or:- gine della peciosiià che noi crediamo non siano privi di interesse e che formano il soggetto della presente Nota. Nel corso delle nostre esperienze noi cercammo di riprodurre artificial- mente la peciosità. È ben noto che essa può essere provocata dalla pre- senza di composti di rame, ma altre sostanze possono essere usate con suc- cesso, così ad es. il biossido di manganese è un agente assai efficace a questo scopo. Thomson e Lewis (« Mem. Manchester Lit. and Phil. Soc., 1891. 4 [4] 266) hanno stabilito che il biossido di manganese mescolato alla gomma ne causa la totale deteriorazione se la mescolanza viene scaldata per 10 giorni a 140° F. (=71° C.). Noi abbiamo ottenuto i migliori risultati con biossido di manganese colloidale preparato precipitando una soluzione di permanganato potassico con tiosolfato sodico (vedi Newton Friend, A Text book of inorganie Chemistry, vol. VIII, M. Doncaster, London, 1915. pag. 285). Quando 1/5 di questo biossido è mescolato con della gomma e la mescolanza è tenuta a temperatura ambiente (16°-20°), la peciosità si manifesta ben presto e dopo qualche set- timana la gomma è molto appiccicaticcia. quasi fluente. Avendo trovato che il biossido di manganese è un agente così ener- gico nel provocare artificialmente la peciosità, si presentò alla nostra mente l'ipotesi che allo stesso agente si potesse in molti casi attribuire l'origine della peciosità naturale. Questa presunzione era confortata dal fatto della grande diffusione dei composti del manganese, sia nel suolo, sia negli organismi. viventi e della ben conosciuta attività di minime quantità di questo elemento. Questo ultimo punto è stato illustrato da varii autori e particolarmente dalle classiche ricerche di G. Bertrand (per un riassunto su questo argomento vedi: D. Olaru, Role du manganese en agriculture, Paris, Baillieres, 1920). Circa la presenza normale del manganese nella gomma cruda assai poco è conosciuto: le poche osservazioni fatte dai primi autori sopra la sua in- fluenza sulla peciosità avevano dato risultati negativi. Così De Vries (Estate Rubber, pag. 366) dice che traccie di manganese aggiunte in forma di sali di manganese al lattice o usate come permanganato potassico a lavare e disinfettare i fogli di gomma cruda non sono note come causa di peciosità. Entro questi limiti noi non possiamo contraddire l'asserzione dell'autore ora citato. Il permanganato potassico sodico è invece attivissimo per causare la tackiness, come sì può aspettare da un agente ossidante così potente. SEGRE K. Gorter, Med. Rubber, II, pag. 48; Rubber Rec., 1914, pag. 388, dice di aver trovato la stessa piccolissima quantità di manganese nelle parti peciose e in quelle sane di uno stesso foglio. Noi non intendiamo con- testare questo singolo caso, per quanto l’esperienza da noi fatta sulla gran- «dissima maggioranza dei casi esaminati cì porti ad una conclusione opposta. Il manganese può essere riconosciuto e determinato con sufficente accu- ratezza anche se presente in piccolissima quantità. Noi abbiamo seguìto il metodo indicato da G. Bertrand, Rechérches et dosage des petites quantités de manganèse, en particulier dans les substances organiques. « Bull. Soc. Chim. de France, 4* serie, vol. 9°, 1911, pag. 351. Il procedimento può essere brevemente riassunto così: i campioni di gomma sono inceneriti, le ceneri vengono fatte bollire con acido solforico diluito. La soluzione viene scaldata con persolfato potassico e nitrato d'argento. Il manganese è così ossidato ad acido permanganico. Questo metodo può facilmente condurre, se non ad una determinazione rigorosa, almeno ad una valutazione colorime- trica attendibile della quantità di manganese presente, confrontando con so- luzioni di titolo noto. I valori riportati più sotto sono il risultato di varie prove effettuate sullo stesso campione. Prove in bianco dimostrarono che i reagenti impiegati non contenevano traccie apprezzabili di manganese. Abbiamo anzitutto analizzato undici campioni di gomma perfettamente sana scegliendoli fra qualità diverse: para brasiliana, fogli affumicati di piantagione (smoked sheets), crèpes, e slabs (coaguli di gomma maturati). I risultati sono riassunti nella tabella I. Si vede che il manganese è co- stantemente presente, ma in piccolissima quantità con una media di 0.16 mgr. ogni 100 gr. TABELLA I. Campioni di gomma sana. Mill. gr. Mn. in 100 gr. 1. Para Brasiliana Soft fine” ii Re 0185 2. Smoked Sheet della nostra piantagione Ulu Tiram (Johore, Malesia Bri- tannica) . . SO a 8 TRE0:120 3. Id. della piantagione Seafield (Stat. Malesi Fed.) MRS de ROS 4. Id. della piantagione Koswana (Ceylon) 0.0... 0.250 5. IA. della piantagione Kalavtte (Ceylon) . . . E 0250) 6. Id. della piantagione V..I. C. 0. Laugsar (Sumatra) e 015 7. Id. di origine sconosciuta, acquistato a Singapore . 0.125 8. Crèpe first latex comperato da Weise, Rotterdam (probabilmente proveniente dalle Indie Olandesi) . . . 0.150 9. Crèpe almost first latex, comperato da Weise, Rotterdam (probabilmente pro» veniente dalle Indie Olandesi) . . "RS 010025 10. Crèpe da slab della piantagione Kent Estate (S. M. Py AR. VO 11. Slab della nostra piantagione Ulu Tiram (Johore) . Meat a a 01125 Media... © a. 016 Abbiamo quindi proceduto all'esame di dodici campioni di gomma pe- ‘ciosa, principalmente crèpes, presentanti diverse gradazioni di peciosità. Ta- luni di essi li trovammo nei nostri magazzini tra vecchi rimasugli di ori- SEAN) gine a noi ignota, altri tra crèpes ordinari recentemente ricevuti da Singa- pore e comperati su quel mercato, altri infine li dobbiamo alla cortesia del sig. Spoon della Centraal Rubber Station di Buitenzorg, del sig. Wierman del Laboratorio scientifico della S.I. P. E. F. di Kuala Lumpur (Stati Malesi fed.) e della Ditta Weise di Rotterdam. I risultati sono dati nelle tabelle 2 e 8 e possono essere riassunti così: dei sette esemplari presentanti una peciosità profonda e uniforme, sei contengono una quantità relativamente forte di man- ganese c precisamente dànno una media circa cento volte maggiore di quella trovata negli esemplari sani. L'unica eccezione è data dal n. 7, uno slab di gomma del Congo, che tuttavia ne ha ancora venti volte di più. TABELLA II. Campioni che presentano una peciosità profonda e uniforme. Mill. gr. Mn. in 100 gr. 1. Smoked Sheet dalle Indie 01 landesi, donato da Weise #0 0 2.010 2. Crèpe bruno dei nostri magazzini, origine ignota . . . .. 0... .. 20.00 O, id. id. id. sea a E RE2,0:00) 4. id. id. id. se e RR 0:00) 5. Id. dalle Indie Olandesi, donato da Weise, Rotterdam . . . si EZ0700 6. Crèpe da lavature, Giava, dalla Centraal Rubber Station Buitenzorg sa 10:00 7. Slab di Congo, donato da Wieiset lio a aL e LAI ERA er 7; I campioni di gomma presentanti una peciosità leggera ed irregolare contengono una quantità di manganese intermedia fra quella defle due serie di cui si è parlato sopra, ma che è sempre di otto volte la media di quella della gomma sana. Soltanto il n. 12, un crèpe bruno, che non può propria- mente essere chiamato pecioso, e che mostra solo un leggero inizio di ade- sività, contiene una più bassa proporzione di manganese, che è tuttavia circa il quadruplo della media dei campioni di gomma buona e più del doppio della percentuale massima trovata in queste ultime. TABELLA IlI. Campioni che presentano una peciosità leggera e non uniforme. 8. Crèpe chiaro dalle Indie Olandesi, donato da Weise, Rotterdam |. . . . 2.50. 9. id. id. id. Mero 100 10. Id., dal sig. Wierman, Kuala Lumpur S. M. FP. . . .. 1.25 11. Differenti campioni di una partita di crèpe scuro di origine ‘ sconosciuta, comperata a Singapore: I E A I No DIO (0) MRO EF IS o SI (00 RR 2.50 12. Crèpe bruno di origine ignota, comperato a . Singapore presentante ‘solo un leggero inizio di peciosità =. . ... Spata a UE I risultati ci sembrano sufficientemente esaurienti. Naturalmente non in- tendiamo sostenere che la peciosità sia in ogni caso prodotta dal manga- nese, ma crediamo di aver provato che la presenza di una sufficiente quan- tità di questo elemento è in molti, e probabilmente nella maggioranza dei casi, il fattore determinante. Le nostre esperienze proseguono e saremo grati a coloro che ci invieranno esemplari di gomma peciosa per la continuazione di dette esperienze. Come queste quantità anormali di manganese pervengano alla gomma, se attraverso al lattice o per materiale contaminazione con terra, non è pos- sibile stabilire con certezza. Forse ciò avviene in entrambi i modi: si è già detto che la peciosità è frequente principalmente nelle qualità scadenti di crèpes, come negli earth-crépes, prodotti appunto da lattice che è venuto in contatto con terra. Ci sembra probabile che le minime quantità che sì tro- vano nelle somme sane derivino da sali manganosi normalmente presenti nel lattice, mentre le quantità più forti che si trovano nelle gomme peciose derivino da inquinamento. Per quello che riguarda il meccanismo dell’azione degli ossidi di man- ganese ci riferiamo alla teoria di Bertrand. L'ossido manganoso MnO deri- vante dall'idrolisi dei sali manganosi agisce come le così dette sostanze auto-ossidanti, cioè reagisce con la molecola di ossigeno O, combinandosi con uno dei suoi atomi e lasciando l’altro allo stato libero. Mn0- 0, > Mn0.+0 L’atomo di ossigeno allo stato nascente esercita una assai potente azione ossidante. Il MnO, agisce poi esso pure come ossidante e si riduce a Mn O. Abbiamo quindi un processo ciclico che può continuare indefinitamente. Accenneremo infine che noi abbiamo trattato taluni campioni di gomma. peciosa con alcool al 40 °/, e sulPestratto ottenuto-a freddo abbiamo pro- vato le reazioni degli enzimi ossidanti (ossidasi e perossidasi), ma sempre con risultato negativo. MEMORIE E NOTE PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sulle curve di Bertrand. Nota di F. Sisr- RANI, presentata dal Corrisp. G. PrANO ('). 1. Ch. Bioche (*) ha dimostrato che: a) st possono costruire coppie di curve, di cui la prima a flessione costante, la seconda a torsione costante, riferite punto a punto in guisa che le tangenti in punti corrispondenti sono parallele ; (!) Presentata nella seduta del 6 febbraio 1921. (*) Ch. Bioche, Sur les courbes de M. Bertrand. Bulletin de la Société Mathématique de France, t. XVIII, pp. 199-112. ReENnDpIcONTI 1921, Vol. XXX, 2° Sem. 6 RESO AA b) se PP. sono due punti corrispondenti, il luogo delle rette P, P, è una sviluppabile; c) il luogo dei punti P che dividono il segmento P, Ps in un rap- porto costante è una curva di Bertrand. M. Tajima ('), trovando estremamente innaturale la dimostrazione di Bioche, dà una diretta dimostrazione della proprietà c), presupponendo di- mostrata la a). Dell'’intero enunciato do qui una semplicissima dimostrazione. 2. Sia y, una curva qualunque, y» una curva riferita punto a punto a y, in guisa che le tangenti in punti corrispondenti P,,P» siano parallele: in altre parole, y; è una trasformata di Combescure (?) della y,. Il luogo dei punti che dividono il segmento P, Ps nel rapporto co- stante p:q è una trasformata di Combescure. Codesto luogo è descritto dal punto P per cui: (1) ERBA Derivando rapporto ad s,, arco di y,, e tenendo presente che per ipotesi Gui, 8810Na5 | dsti a Di (2) P+DEt=(0+17 ti, ciò che dimostra l’asserto. 3. Ricordiamo che se P, descrive una curva y,, il punto: (3) P.=0+ ft1/()da descrive una curva y, che è trasformata di Combescure di y, e sussistono le relazioni: ds.=/(s1):ds1 0, = (81) 0, rtr=/(s) ti. Allora è chiaro che se y, è una curva a flessione costante 1/0, = 1/% e di torsione 1/7,, la curva ys descritta da: t (4) Po=0+% NI è una curva a torsione costante 1/7, = 1/4. Con ciò è dimostrata la parte a) dell'enunciato. 4. La rigata luogo delle rette P, P, è descritta dal punto: (5) O = Pie, =), u variabile numerica. La condizione di sviluppabilità è (8): (1) M. Tajima, On Bertrand Curves. The Tohokn Mathematical Journal, vol 18, pp. 128-133 (3) Bianchi L., Lezioni di geometria differenziale; 2* ediz., Pisa, E. Spoerri, 1902, $ 20. (3) C. Burali-Forti, Corso di geometria analitico-proiettiva per gli allievi della R. Acca- demia Militare; Torino, Petrini, 1912, $ 167. dP, d 3 X A re iii che è manifestamente verificata, perchè il primo e terzo vettore sono pa- ralleli. Con ciò è dimostrata la parte -b) dell’enunciato. 5. Sia y il luogo del punto P che divide il segmento P, P. nel rap- rapporto p:9. Sussiste la (2) in cui deve farsi ds, _Kk ds, mu T,) epperò dalla (2) stessa si trae: ds SO si Meri + ==(p+40). e quindi: ds _ EA > qhk ds © v(p+9) Allora: t___pt+g 0___putqgk to vu(pt9o) A «(pt+9 ed eliminando 7,: ciò che mostra che y è una curva di Bertrand. 6. Per avere lo spigolo di regresso della rigata (5) bisogna determi- : F 5 A d ì nare v in funzione di s, in modo che si sia parallelo a P.—-P,. Ora d1 poichè LIE A TE I "(7 Li (bit ds i RIE ne risulta: u= SR i = e lo spigolo di regresso è descritto dal punto: Matematica. — Un'espressione nuova dei numeri bernoul- liani. — Nota di ALBERTO TANTURRI, presentata dal Corrispon-- dente G. PrANO (). In questo scritto, servendomi dei risultati della mia Nota: Determina- sione della derivata n'"" di tg x e di cotx, che sarà tra breve pubblicata nel Bollettino di Mat. del Conti, giungo a una nuova espressione dei numeri bernoulliani, più semplice di quelle finora conosciute. l. Se % è un numero reale, minore, in valore assoluto, di 77/2: dove f,,="2**(2% — 1) B,/2r, con B,= 1/6, B,=1/303B;.—il. 0a e, in generale, B, = n”"° numero bernoulliano, secondo la notazione del Binet, adottata, per es.. dal Formulario, e, più recentemente, dal Dini, nelle sue Lezioni di analisi ecc. Lo sviluppo del Maclaurin dà poi che p,=(D?*" tg 2), cioè al valore nel punto zero della derivata (2x4 — 1)" di tgx: che, per la Nota citata, scrivendo P,, al posto di P,.i,n, = i po giri — PI (a — 1)î9e1 4 PI (a 2) LL (1 pr; CORI cal a ,° : n_-hÀ+k OTRS 2-1 SY (__pron-sa-1(" a ( (Ur ) E ii ( & ) I) Al 9QLI-2%-1 /n 7 — K n + Ie=#79 n RIME RN (I ie ? ) 2 IENA Gili Dai 1) VI, ( k (3a Lon) @+D+( 1) (1) per à—=1,2,3,.... Si noti che le tre relazioni scritte posson servire a definire anche P$ come uguale a 1; e Pi, Pî, Pî,..., come tutti uguali a 2, perchè, in ogni caso, per x = 0, non resta nei secondi membri che il termine Al che = 2; e, finalmente, quando n=1,2,3,..., a definire Pà, non solo per A da zero a n —1, ma anche per tutti i valori superiori dell'intero 7. Avrò, per es., che, per n= 2ot0ntsi DE: — 1 della sommatoria corrispondente a 4 =4— 1, e cioè (— 1) 2( ) : P.=2(n+1); P>=2(+1f°—n; Pi=8(“3°)-2@-D: bj i 2 iu )l@a+n—20 ++ (p)i i e già queste prime espressioni non hanno, come si vede, veste molto semp lice.. (!) Presentata nella seduta del 16 gennaio 1921. SE 2. Ma nella stessa Nota ho dimostrato che h — pi_2 h=-l h Pi, = Pi? + 2Pi! 4 PA, per 7=1,2,3,..,e h=2,8,4,... Si costruisca, dunque, quel che il Lucas (ved. Théorie des nombres. pag. 5) chiama una tavola di somme, «con questa legge: « nella verticale d'indice zero, che conterrà P$, PÎ, P9,..., P wo Ho | 0 pd a i 0 Do a D | DO HE 9 rai Neo i © re I LO) QQ N NG 90 n | D sì serivan tutti 1; nell’orizzontale d'indice zero, che conterrà P®, Pi, Pî,..., si scrivan, dopo l’1, tutti 2; nella verticale d’indice 1, che conterrà Pi, Pi, Pi, ..., si scrivan, dopo il 2, i numeri 4,6,8,.... Poi, se a,ò e c son tre numeri consecutivi d'un’ orizzontale, si scriva, sotto c, il numero a + 20 + c ». E all'in- crocicchio della verticale d’indice % con l’orizzontale d’indice n -- 1 si troverà il numero Pi_,. 3. Possiam ora osservare che a -- 29 +— c= (4 +3) +(b-+ c), e com- prender quindi la tavola dei P in un'altra di numeri Q, costruita così: « nella prima verticale e nella prima orizzontale tutti 1: poi, se a e è son due numeri consecutivi d’ un' orizzontale, scrivo, sotto È, il numero ad». Qo 0/1 vil il sn 4|1 AD 6|1 dl n (ar DO 4 SD Ut _ 00 ND 2 h Si avrà che P2—=Q/,.,, se così indico il Q che è all'inerociechio della verticale d’indice } con l'orizzon- tale d'indice 2n-- 1. 4. Ma questa tavola dei Q si ottiene dal triangolo aritmetico, sostituendo a ogni numero di esso, compresi gli zeri, la somma del numero che si considera con tuttii precedenti nella stessa orizzontale. Sicchè Qi,.1, e quindi anche Pi, Cei Qi N a =( 0 i 1 )+:-+( h If cioè alla somma dei primi X + 1 coefficienti dello svi- luppo di (14 x)?#*!, per la quale, dice il Lucas, a pag. 62 del libro citato, « il n’existe pas de formule simple ». 5. Ed ecco duuque una semplicissima espressione per i coefficienti #,. Per n=1,2,3,..: pra i n | Xx (n a 1)ena1 api - , ar (C ; DI D<((imini, Qn+1 2n sn AR E EA GI E questa stessa espressione dà lo sviluppo d'un determinante, che si può: chiamare di Haussner; e che si trova, per es., a pag. 177 dei Determinanti del Pascal, e anche (con però qualche errore di stampa) a pag. 489, vol. I,. del Repertorio ecc. dello stesso Autore, e anche, trasformato in determinante di fattoriali, a principio della Nota: / nuovi numeri pseudo-tangenziati (nei Rendiconti del Circ. Matem. di Palermo, 28 aprile 1907), sempre dello stesso Pascal. 6. L'espressione di B,, di cui parla il titolo di questo scritto, discende per l'appunto dalla (1), moltiplicando per 2n/2°*(22 — 1). 7. Possiam anche nella stessa (1) mettere in evidenza i fattori 2n +1 2n41 : i G i ( 0 ) ; ( 1 ) , «+3 ed esprimere poi le somme 1°? — 2271 LL -— 82471... coi numeri del Genocchi, o con quelli del Bernoulli (ved. Lucas, libro citato, pag. 250): avremo così nuove relazioni tra quest'ultimi numeri, le quali qui non scrivo, perchè meno semplici delle molte già note. Per me, mi son fatto ardire d’esibir questo lavoro, con l'idea di richiamar l’atten- zione sulla mia Nota citata in principio: non tanto sul suo risultato finale, quanto per le conseguenze che se ne posson trarre. Forse, sia i numeri bernoulliani che gli euleriani (:(E,=1,E,.=5,E3=61,...) ammettono. espressioni che ci sfuggono per loro stessa semplicità: osserverò solo che se,. come in quella Nota, pongo D'igo= Y,j(2B,,)(2tga}" [1 + (iga)T 1; cioè, se pongo: B,,,= 1, e Bi,n41= 0, per ogni numero naturale n, e B,,r=(n4+2—2r)Bn_,,:14+7Bn1,r, per n e r interi maggiori di 1; /a somma, Y_,B,,,, di tutti i coefficienti B (lì da mo espressi esplicitamente), relativi alla derivata n'î@,= fn: o ad En, secondochè 2 2 n è dispari o pari. Ciò si dimostra subito, osservando che seco +-tg x, e cioò 1- #2, + E1 22/214 223/31 4- Eoe4/4!4-..., = tg(2/24- 77/4) : dimodochè £, =D?" tg (0/2 4 77/4)]o, ossia, in virtù della mia Nota, a Bem-1,1 + Bom, +" + Bam-1,m5 ed Em=[D°"tg(x/24-7/4)],, ossia | Il a Boca | Bam, e = e siae Bsm,m- = dire Astronomia. — Sul confronto fra osservazioni visuali e fo- tografiche delle nebulose. Nota di GrorGio ABETTI, presentata dal Corrisp. A. Di LEGGE). L’uso sistematico della fotografia per lo studio delle nebulose offre oggi il modo di fare degli interessanti confronti con le osservazioni visuali fatte in epoche precedenti all'applicazione della stessa nelle ricerche astronomiche. È noto che osservazioni e disegni molto apprezzati di nebulose sono stati eseguiti da G. Tempel coll'equatoriale di Amici all'Osservatorio di Ar- cetri negli anni 1876-79 (2). I disegni gli valsero nel 1879 il premio Reale di Astronomia conferito dall'Accademia dei Lincei e sono rimasti inediti, nonostante l'offerta dell’Accademia stessa di pubblicarli a proprie spese, non avendo mai potuto il Tempel essere soddisfatto dei sistemi di riproduzione allora tentati. Fotografie di nebulose in modo sistematico sono state eseguite in questi ultimi anni specialmente da Keeler col riflettore Crossley dell’Osservatorio Lick (8) e da Pease col riflettore di 60 pollici dell’ Osservatorio di Monte Wilson, e fra queste ultime si trova un certo numero di nebulose disegnate da Tempel. Avendo io avuto la possibilità di avere dal sig. Pease alcune diaposi- tive delle sue fotografie potei con esse e con le riproduzioni pubblicate nelle Contributions di Monte Wilson, nn. 132 e 186 confrontare i disegni origi- nali di Tempel(‘). Le scale usate generalmente da Tempel per i suoi di- segni sono di 1"°— 15” e di 1%% — 10”, quelle delle fotografie di Monte Wilson sono date volta per volta a seconda degli ingrandimenti dell'originale e sono all'incirca dello stesso ordine; accompagnano inoltre gli uni e le altre descrizioni che facilitano i confronti. (1) Presentata alla seduta del 6 marzo 1921. (3) Cfr. W. Tempel, Veder MNebelflecken. Abhandl. der Kgl. Bòhm. Gesell. der Wissen., VII, Folge, 1 Band; i volumi delle Astr. Nachr. da 90 a 113, e Schiaparelli, Astr. Nachr., vol. 121, pag. 95. (*) Publications of the Lick Observatory, vol. VIII. (4) Questi disegni, in lapis nero su cartoncino bianco, sono raccolti in 22 tavole di proprietà dell’Istituto di Studî Superiori in Firenze e si conservano nell'Archivio del Museo degli antichi strumenti di Fisica e Astronomia di cui è direttore il prof. A. Gar- basso. Per.sua cortesia l'Osservatorio di Arcetri potè ora avere a prestito la preziosa. collezione. 5 6, . G. Sx fee C. 2245 (1), — Nebulosa di forma irregolare a ventaglio. Il disegno di Tempel è molto simile alla fotografia eseguita da Pease nel 1919 con una posa di 25%, Nel disegno all'estremità boreale della nebulosa è segnata una stella di 12* gr. che nella fotografia appare come un nucleo molto luminoso lungo circa 30”. Le dimen- sioni della nebulosa sono pressochè uguali nel disegno e nella fotografia. . C. 2359. — Nebulosa di forma irregolare. Il disegno corrisponde bene alla foto- grafia eseguita nel 1917 con 210% di posa. Il braccio allungato verso sud-ovest si estende nel disegno per 6’ dalla stella lucente nell'interno della nebulosa, e 4/,5 nella fotografia. Delle quattro stelle di gr. 9* in 10 situate nella parte boreale la terza, che nella fotografia appare attorniata da una viva nebulosità, mostra, rispetto al disegno, uno spostamento in distanza di 18”. . G. C. 2976. — Nebulosa a spirale. Misura nel disegno 6’ X 4’, compreso anche’ un arco di nebulosa seguente boreale che si trova staccato dal complesso principale. Secondo le misure di Pease sulla fotografia eseguita nel 1912 con 180 di posa la nebulosa misura 3,2 X 1’. Nel disegno la stella di gr. 118 precedente australe, è a contatto con la nebulosità, mentre ne dista 17” nella fotografia. . G. C. 4216. — Nebulosa a spirale. Nel disegno misura 15’ X 1’ nell'angolo di posi- zione p= 15°, nella fotografia, eseguita nel 1912 con 90% di posa, 6° x 1’ in p= 21°. Tempel nota nella sua descrizione che nella parte australe della nebulosa, a 5’ sud del nucleo si vede un rigonfiamento più luminoso di cui non è traccia nella fo- tografia. . G. C. 4206. — Questa nebulosa seguente la 4216 è disegnata e descritta da Tempel come una debole nebulosa a spirale 5" X 1’, p= 340°. Pease la misura di 4’ X 30’ in p=10. C. 4567-8. — Due nebulose a spirale. Tempel nota che i due assi maggiori sono inclinati fra loro di 30° a 35°, sulla fotografia lo sono di 46°. Ma del resto quanto a forma e grandezza si riscontra molta somiglianza. Nel disegno la nebulosa che precede misura 3/3 X 1/,5, la seguente 5’ X 1’,5, nella fotografia si trova rispetti. vamente 2’ X 17,5 e 4’ X 1/,5. i . G. C. 4594. — Nebulosa a spirale. Nel disegno misura 9' X 4, nella fotografia 7" X 1°. Al nord la nebulosa si estende nel disegno molto più che nella fotografia; infatti nel primo la nebulosa comprende la stella boreale di gr. 11% che ne è completa- mente staccata nella seconda. . G. C. 6818. — Nebulosa pianetaria di forma leggermente ellittica. Tempel la disegna con un diametro di 14”, mentre nella fotografia misura 25”. Nel disegno l’angolo di posizione dell'asse maggiore è di circa 40°, mentre nella fotografia è di 9°. La stella che precede al sud la nebulosa è probabilmente variabile; ed infatti mentre nel disegno Tempel la segna di gr. 112, egli nota: « È sorprendente che J. Herschel non abbia osservato la stella che precede al sud »; ora nella fotografia essa è ap- pena visibile. . G. C. 7008. — Nebulosa di forma ellittica irregolare. Nella fotografia eseguita nel 1914 con 180% di posa misura 95” X 75”. Non si può fare la misura sul disegno perchè Tempel nota che lo schizzo non è in scala. Tuttavia data la perfetta somiglianza fra disegno e fotografia, è facile rilevare che la nebulosità nel primo si estende su di un’area maggiore che non nella seconda. Ciò si deduce principalmente dal fatto che la stella precedente il centro della nebulosa in angolo di posizione 175° è nel disegno compresa nella nebulosità, mentre nella fotografia ne è distante 7”. Dei tre (*) J. L. E. Dreyer, New General Catalogue of Nebulae ete. Memoirs of the R. A. S., vol. XLIX; per le osservazioni di Tempel, cfr. pag. 11. ig nuclei luminosi nell’interno della nebulosa, quello precedente appare molto più lu- minoso nella fotografia, mentre gli altri due si stimano di uguale intensità nel di- segno e nella fotografia. Dal confronto si deduce anche che la posizione relativa fra i nuclei e le stelle comprese nella nebulosa, è mutata per effetto di moto proprio. Dai confronti risulta prima di tutto la perfezione e fedeltà veramente notevoli dei disegni, quando si pensi che sono stati eseguiti con un equato- riale di 28 cm. di apertura e m. 5,29 di distanza focale, mentre le fotografie sono state eseguite con uno dei più potenti riflettori che ‘esistano, di 152 em. di apertura e m. 7,60 di distanza focale e con lunghe pose. Si nota inoltre ‘che quasi tutte le nebulose qui confrontate sono state osservate da Tempel «di dimensioni maggiori di quelle rappresentate nelle fotografie. Il fatto è interessante ricordando come è composto lo spettro delle nebulose e le ri- cerche sul loro colore che sono state eseguite con filtri di assorbimento e lastre di diversa sensibilita. Il risultato di queste ricerche è che l’inten- sità relativa delle righe spettrali varia da nebulosa a nebulosa, e mentre le due righe caratteristiche del così detto nebulio, 4 4959 e 4 5907, con ser- vano fra loro un rapporto costante di intensità, variano invece rispetto alle altre righe principali Z 3727, 4 4686, Hg ed H,. La nebulosa di Orione ‘studiata in luci monocromatiche mostra una straordinaria intensità della riga 4 3727 in quasi tutte le sue parti fino alle regioni più lontane dal nucleo centrale, soltanto in alcune di esse, come in quella detta di Huygens, le radiazioni nelle righe Z 5007 e Hx sono più intense che nella riga ultra- violetta. Fotografie di nebulose (') fatte con lastre ordinarie, cioè sensibili alle radiazioni dal violetto al bleu-verde, con un massimo di sensibilità a 4 4500, e con lastre ortocromatiche con filtro giallo sensibili alle radiazioni gialle, con un massimo di sensibilità a 4 5500, mostrano che nelle nebu- lose a spirale, aventi spettri di assorbimento, i nuclei secondarî e le parti diffuse comprese fra i rami delle spirali sono notevolmente più deboli nelle radiazioni gialle che non in quelle bleu; invece i nuclei centrali sono della :stessa intensità od anche maggiore nel giallo. Lo spettro delle regioni esterne «deve dunque differire da quello centrale in questa classe di nebulose. Per contrario nelle nebulose planetarie, aventi spettri di emissione, non si trovano notevoli differenze fra le pose bleu e gialle. Queste ricerche foto- «grafiche comparative debbono essere ancora continuate ed estese, ed in unione allo studio spettrale porteranno alla classificazione delle nebulose in modo analogo a quanto si è fatto per le stelle (?). Per intanto dal confronto fra (') F. H. Seares, Preliminary results on the color of nebulae. Proceed. of the Nat. Ac. of Sciences. October 1916, Washington. (3) W. H. Wright, Qutlines of a proposed system of classification of the nebulae -by means of their spectra. Proceed. of the Nat. Ac. of Sciences. December 1915. Was- shington. RENDICONTI 1921, Vol. XXX. 2° Sem, 7 ahi I le osservazioni visuali di Tempel e quelle fotografiche è da notare, che le fotografie di Monte Wilson più sopra considerate sono state eseguite con lastre ordinarie la cui sensibilità cessa al blew-verde. Poichè d’altra parte fotografie delle nebulose a spirale eseguite in luce gialla mostrano, come ha trovato Seares, che non esistono in questo colore radiazioni di notevole inten- sità per le regioni esterne, non si può invocare il fenomeno di Purkinje per spiegare la maggiore estensione dei disegni di Tempel in confronto alle fo- tografie, e si deve concludere che tali regioni debbono essere di fatto molto. intense nelle radiazioni verdi, probabilmente dunque nelle righe 4 4959 e 7 5007. La sola nebulosa che nei precedenti confronti è stata trovata nel disegno di dimensioni minori è una planetaria, per la quale, come si è detto, l'intensità sembra uniforme in tutto lo spettro. Notoriamente variazioni di forma delle nebulose nel limitato intervallo. di tempo trascorso fra i disegni e le fotografie (in media 38 anni) sono molto improbabili e difficili da accertarsi, pure si è visto che esiste qualche spostamento relativo fra stelle e nuclei. Benchè Tempel non abbia eseguito misure micrometriche, tuttavia egli usò la scala adottata con tale precisione che è difficile poter dubitare della realtà degli spostamenti notati, sui quali si possono basare ulteriori ricerche per lo studio di probabili moti proprî relativi. Certamente è utile che confronti di questo genere vengano estesi a tutte le nebulose disegnate e osservate dal Tempel, e del pari sarebbe: desiderabile la pubblicazione delle sue premiate tavole. Geologia. — Sulla costituzione geologica della Cirenaica. II: Terreni oligocenici, miocenici e postpliocenici. Nota di G. STE- FANINI, presentata dal Socio CARLO DE STEFANI ('). OLIGOCENE. — I così detti « calcari di Slonta » del Gregory, liberati (come si è visto (*) in una precedente Nota) da quella parte di essi che con- tiene nummuliti eoceniche, costituiscono un complesso omogeneo, la cui età è oligocenica. Sono calcari nummulitici, brecciole conchigliacee, calcari gros- solani bruni, gialli, biancastri o candidi, spesso colorati superficialmente in bruno per fenomeni d'alterazione. La fauna che vi ho determinato è caratteristica: Mummulites inter- medius D’Arch., M. vascus Ioly et Leym., Discorbis sp., Triloculina sp., Echinolampas cherichirensis Gauth., Clypeaster biarritzensis Cott., Echino- discus sp., Ostrea ventilabrum Goldf., 0. gigantica var. oligoplana Sacco, Pecten arcuatus Br., Amussiopecten corneus (Sow.), Chlamys biarritzensis: (1) Presentata nella seduta del 20 marzo 1921. (2) Rendic. R. Acc. Lincei, vol. XXX, serie 5, 1° sem., fase. 5, pag. 146. Sd a D'Arch., Chl. dellicostata Wood., Chl eyrenaica (Newt.), Cardita Arduinoi (Bragt.), C. sp. aff. Dunkeri Phil., Astarte cfr. Bosqueti Nyst, Cardium Pallasianum Bast., C. oligocenicum Sacco, Meretrix dubia Micht., Glycy- meris oligofaujasi Sacco, Protoma ferruminata Rov., Xenophora subextensa Orb., Archaeolithothamnium sp. In alto della serie si ha un banco coralli- geno con Antiguastrei alveolaris (Cat.). Questi depositi hanno i loro più stretti affini nell'Africa settentrionale stessa, nelle marne e arenarie di Cherichira (Tunisia), di Kef Ighoud, Bel Abbas, Mascara e Boghari (Algeria). La diversità di facies non basta a ma- scherare le reali affinità faunistiche. Gli strati dell'oasi di Arag’ (deserto libico), che il Blanckenhom includerebbe pure in questo piano, furono giu- dicati invece priaboniani dal Boussac. In Europa a questi strati corrispon- dono quelli di Sangonini, di Peonis e Osoppo, di Dego, di Biarritz, di Étampes. L'Oligocene sormonta gli strati eocenici a Derna e nell'Uadi Buscemel sotto Cirene; forma il tavolato dell'altipiano nella regione di Ras el Hilal, a Labrag, Sidi Jaja, Borgù, Sidi el Homri, Zauia Feidia, Bir Gandula, estendendosi nell'interno fino alla regione ad est dell’ Uadi Carruba e tra Msus e l'Uadi Sammelùs. In base a un esame critico del lavoro di Gregory si posson segnare questi terreni anche a Bir Hu, Gaafs a Mudi, Uadi Firya, e poi sopra a Messa, Gasr el Migdum e Uadi Garib. MiIocENE INFERIORE E MEDIO. — I terreni miocenici costituiscono lembi più o meno estesi sull’Oligocene, e si allargano poi a formare l’'imbasa- mento delle pianure costiere di Bengasi verso la Sirtica e di Tobruc verso la Marmarica. L'esistenza di depositi aquitaniani in questa serie è dimostrata da un dato del Gregory, che tra Birliba e Guba raccolse in un calcare granulare gialliccio Zepidocyelina elephantina M. Ch. e Pecten cfr. Pasinii Mngh. Allo stesso piano ascrive egli i calcari marnosi terrosi, grigi o giallo- gnoli di Cirene, Safsaf, Gasr el Harib. La faunetta di questi depositi, da me esaminata, comprende: Operculina complanata Defr. colle var. costata D'Orb. e granulosa (Leym.), Schisaster sp., Cellepora sp., Retepora sp., Schizoporella sp., Cribrilina radiata Moll., Micropora cfr. elegans Canu, Monopora ampulla (D'Arch.), Porella regularis Reuss, Terebratula sp., Ostrea crassicostata Sow., 0. frondosa Serr., Anomia ephippium L. var., Pecten vezzanensis Oppenh., Chlamys Zitteli (Fuchs), Chl. submalvinae (Blknh.), Chi. praescabriuscula (Font.), Glycymeris sp., Turritella Desmarestina Bast., Chrysophrys cincta Agass. Il carattere di questa fauna mi pare nettamente langhiano, ove s'in- tenda questo termine come un equivalente di burdigaliano, includendovi quindi i depositi di /uczes calcarea (calcaîre moellon, pietra da cantoni di Rosignano, pietra leccese, calcare a Globigerine di Malta). T 9 € — I « calcari di Bengasi » del Gregory sarebbero un po' più recenti: « Vin- doboniano ». Io non conosco, di quella località, che un grosso Zehinolampas conoclipeiforme specificamente indeterminabile; ho però esaminato fossili di Guba, Druimis, Tert, Eluet Terchi, Gasr Mleis, Settaba, Ed Deflia, appar- tenenti, pare, allo stesso livello: Operculina complanata e var. costata, Schizaster sardiniensis Cott., Opissaster sp., Membranipora Falloti Canu, Pecten sp. div. ind., Mlabellipecten fraterculus (Sow.), FI, aff. burdiga- lensis (Lk.), Lima squamosa Lk. (juv.), Xenophora sp., Strombus coronatus Defr., Balanus sp. Ai calcari terrosi gialli contenenti questa fauna si asso- ciano banchi di gigantesche Ostrea crassicostata Sow. I calcari teneri bianco giallastri, fossiliferi, di Tobruc, studiati dal Migliorini, sarebbero pure el- veziapi. 5 Data la grande difficoltà di distinguere livelli diversi in depositi iso- pici del Miocene, mì limiterò a confrontare in blocco le formazioni mioce- niche cirenaiche, da un lato con quelle dell’oasi di Siua, di Gebel Hemeimat e Marsa Matruh, del Gebel Geneffe, dall'altro con le arenarie a Pecten praescabriusculus della Tunisia e del Tell algerino, coi calcari a Litotamni di Miliana (Tell), con le arenarie a /7ypsoclypeus doma della Cabilia e del Sahel, con le arenarie quarzose e i calcari arenacei ad Amphiope e Scutella del Mergheb e di Fonduc Ngasa nella Tripolitania orientale. Miocene suPERIORE. — Già il Della Cella segnalava l’esistenza di. gessi nella Sirtica, fra Scegga e Iudia, dove i fianchi dei colli « veggonsi formati a strati di una pietra luccicante laminare, che riconobbi essere se- lenite ». Ora di questa roccia, un gesso impuro, sabbioso, cristallizzato, mi ha recato campioni il dott. Maugini da Gedabia; e il dott. Cortella mi avverte di aver osservato tale formazione estendersi largamente verso il sud nella Sirtica, dove è associata a giacimenti di zolfo, segnalati già anche dal Rohlfs. Lenti di gesso nelle marne risultano presenti anche presso Er Règema sulla scarpata dell’altipiano (Marinelli), alla foce dell'uadi Engil a ovest di Derna, dove esisterebbe anche salgemma, e presso Marsa Bet Aghic' (Serra). Sebbene il gesso abbondi, nell'Africa del nord, in terreni di ogni età, pure, in attesa di più sicuri elementi di giudizio, mi sembra logico attri- buire provvisoriamente questa formazione al Miocene superiore o Pontico, e sincronizzarla coi gessi solfiferi di Ghelma nell’Algeria orientale, e con la formazione solfo-gesso-salifera, italiana. PostPLIOCENE E RecENTE. — Il Marinelli ha segnalato nella pianura costiera varî livelli di terrazze marine, di cui il più elevato oscilla tra i 100 m. (Benina, Apollonia), gli 80 m. (Derna) e i 60 m. (Tolmetta). A questi più elevati livelli di terrazze potrebbe corrispondere la formazione marino- salmastra a Cerastoderma edule, indicata a Bengasi dallo Stacey e attri- buita dal Gregory al Postpliocene antico. —_ par Ancora presso Bengasi un livello francamente marino a Chelyconus me- diterraneus e Cerithium vulgatum, meno antico del precedente e identifi- cabile con quel « rivestimento di vario e irregolare spessore. simile alla pan- china », segnalato quivi dal Marinelli, corrisponde probabilmente alla ter- razza inferiore di Marsa Matruh (Marmarica), che, contenendo gli stessi fossili, va ascritto al livello a Strombus bubonius del Mediterraneo occidentale. I calcari bianchi dovuti a cementazione delle sabbie calcaree eoliche, di cui tratta il Marinelli, e dei quali ho esaminato campioni di Derna e di Marsa Susa, contenenti eli melanostoma, formano un cordone litorale sulla panchina, come le sabbie ad //e/;2 di Marsa Matruh e di Alessandria e come le formazioni analoghe descritte per la Tripolitania. Finalmente, in parte contemporanee in parte anche più recenti sono le alluvioni travertinose terrazzate degli Uadi (U. Derna, U. Marsa Susa), i travertini dell'altipiano (U. Beni Gadir), i depositi di sebca, le alluvioni di Merg e di Silene ecc. ConcLusioni. — La Cirenaica è dunque costituita da una serie di for- mazioni sedimentari uniformemente marine e calcaree del Terziario, che si inizia probabilmente con l'Eocene inferiore; certo vi è molto esteso l'Eocene medio, ambedue con /4ezes identica a quella d'Egitto. Non si conoscono con sicurezza strati dell'Eocene superiore, ma tutto induce a credere che non vi siano lacune. L'Oligocene consta di depositi calcarei con fauna ad affinità mediterranee, specialmente algerine e tunisine; ma nel Miocene inferiore e medio le formazioni, sempre calcaree, tornano ad assumere somiglianze con le coeve egiziane, oltre che con quelle di Tripolitania, Tunisia, Malta, ecc. Finalmente il Miocene superiore chiuderebbe la serie con depositi a /aczes lagunare-salmastra, come quelli d'Italia e d'Algeriù (p. p.). Già dal Miocene data forse il primo sollevamento del massiccio del Barca e il primo spianamento dell’altipiano. Al Pliocene, del quale non co- nosciamo depositi marini, eorrisponderebbe un secondo terrazzamento per abrasione marina, e finalmente al Postpliocene va attribuita la formazione della pianura litorale coi suoi terrazzi e i sedimenti a Cerastoderma edule e a Conus mediterraneus. I ripiani d’abrasione, che col Marinelli supponiamo corrispondere a pe- riodi di sosta nel sollevamento, troverebbero dunque una spiegazione ben diversa da quella sostenuta dal Gregory, che attribuì i gradini che li sepa- rano ad un sistema di faglie. Ora, senza insistere sulla forte inclinazione degli strati verso Tolmetta, che accenna ad un’anticlinale a ginocchio, e senza pur accennare ai dati interessanti, che il Marinelli desume dalla morfologia del fondo marino circostante, avvertirò che il mio studio dei fossili sembre- rebbe escludere l'esistenza di lembi oligocenici, discesi per faglia nella zona litorale, esistenza che, affermata su basi insufficienti, rappresentava però. l'unico argomento positivo in favore dell'ipotesi del Gregory. Fisica. — Za misura delle differenze di potenziale vere al contatto, col metodo di Lippmann-Pellat (*) (®). Nota di ELIGIO PERUCCA, presentata dal Socio A. NAccARI (°). Per interpretare i fenomeni elettrocapillari di Lippmann è stata fatta l'ipotesi che il massimo di tensione superficiale tra mercurio e acqua aci- dulata (per es.) corrisponde all'annuilarsi della differenza di potenziale vera al contatto tra questi due liquidi. In quest'ordine di idee, un appoggio fondamentale alla teoria del con- tatto risultava dalla deduzione elettrocapillare della differenza di poten - ziale al contatto del mercurio con l'amalgama di zinco {circa 0,5 vo/t) (?). Sebbene sull’ipotesi su esposta sì sia andato costruendo un imponente edificio sperimentale (metodo di misura delle f. e. m. vere al contatto, elet- trodo a gocce), l'ipotesi stessa è andata perdendo sempre maggiormente di credito, sia per l’asimmetria della curva capillare e le eccezioni alla legge di Lippmann, sia per la complicata spiegazione del debole effetto Peltier (*), sia, infine, perchè, seguendo il suo ordine di idee, Pellat aveva concluso (5) che fosse nulla (o quasi nulla) la differenza di potenziale tra un metallo e la soluzione di un suo sale a qualunque concentrazione. Ciò non sembra ammissibile, ed è in disaccordo assoluto con la teoria di Nernst. Sembra dunque che le considerazioni svolte contengano qualche errore, ma non mi consta che finora sia stato detto quale esso possa essere (°). Scopo di questa Nota è di indicare quella che, a mio parere, è la ragione delle discordanze accennate. Le ragioni che si adducono a prova che il massimo della costante capil- lare corrisponde all’annullarsi della differenza di potenziale al contatto sono le seguenti: 1°) una differenza di potenziale è dovuta a un doppio strato, questo è costituito da due cariche elettrostatiche uguali e di segno opposto, distrì- (®) Lavoro eseguito nell’Istituto fisico dell’Università di Torino. (2) Jour. de Phys., 6, pag. 374, a. 1887; Cours d'Elect., III, pag. 176, a. 1908. (3) Presentata nella seduta del 6 marzo 1921. (4) Jour. de Phys., 9, pag. 122, a. 1880; 2, pag. 120, a. 1883. (3) Ann. de Chim. et de Phys., 19, pag. 562, a. 1890. (5) V. p. es. Bouasse, Cours de Magn. et d'Électr., III, pag. 375 e segg., a. 1916. Sono recenti due lavori sull’elettrocapillarità (Gouy, Ann. de Phys., 8, pag. 129, a. 1917; Frumkin, Phil. Mag., 40, pp. 363, 375, a. 1920), ma non vi si tenta di accordare i fatti su indicati. buite sulle due facce della superficie di separazione mercurio-acqua acidu- lata. Tali distribuzioni, per un ienomeno analogo alla tensione elettrosta- tica (repulsione tra le cariche di ciascuna distribuzione) producono una di- minuzione della tensione superficiale e quindi della costante capillare. Se la differenza di potenziale è nulla, il doppio strato è nullo, e la costante ca- pillare, non indebolita, presenta il suo valore massimo. 2°) a riprova di ciò, un'estensione della superficie mercurio-acqua acidulata è generalmente accompagnata da una variazione della potenza de] doppio strato, perchè le cariche elettrostatiche preesistenti si distribuiscono su di una superficie più ampia. Ne consegue una variazione nella differenza di potenziale al contatto, e il circuito del Pellat (fig. 36 di pag. 146, Cours d’Electr., III, 1908) non è più in equilibrio elettrico; questo è ri- stabilito da una corrente temporanea indicata dal galvanometro (*). Nelle stesse condizioni in cuì il mercurio presenta il massimo di costante capil- lare, la variazione di superficie del mercurio non dà luogo a corrente. Si ha una conferma (secondo Pellat) che in tali condizioni non esistono cariche elettriche formanti «doppio strato alla superficie del mercurio. Ora, l’espe- rienza di Pellat qui ricordata non riesce se l’elettrolito è un sale di mer- curio, 0, sostituendo al mercurio un’amalgama che si comporta come il me- tallo contenutovi, se l’elettrolito è un sale di questo metallo. Ne viene la ‘conclusione del Pellat che non esiste differenza di potenziale tra metallo e soluzione di un suo sale. Ora, io desidero far notare che le ragioni 1°) e 2°) non sì applicano a un doppio strato che goda delle seguenti due proprietà: 1°) si formi in un tempo brevissimo (minore di quello necessario perchè una corrente venga lanciata nel circuito di Pellat); 2°) si formi sul posto, non sia cioè prodotto da correnti analoghe a quelle di carica di un condensatore, non attraversanti lo spessore del doppio strato e provenienti dal resto del circuito; ma il doppio strato sia prodotto da cariche elettriche che si spostano dall'una all’altra faccia del doppio strato stesso, attraverso il suo spessore. È evidente che il doppio strato avente queste due proprietà non può cooperare alla creazione della corrente che si osserva nel circuito di Pellat, quando varia la superficie di uno dei due elettrodi. e Che un tale doppio strato non diminuisca la tensione superficiale, ma anzi cooperi al suo valore (*), si dimostra facilmente con considerazioni energetiche. (') È interessante rifare tale esperienza con un sensibile elettrometro capillare so- stituito al galvanometro Recipiente ed elettrometro siano ben isolati. L'equilibrio tur- bato si ristabilisce parzialmente non appena sia cessata la variazione di superficie del mercurio, ma pone un tempo sensibile (alcuni minuti) per ristabilirsi totalmente. Si deve ‘concludere che la formazione del doppio strato di regime non è istantanea. É questo un risultato già noto. B * (2) E probablle che ne costituisca la parte fondamentale, se non addirittura la to- talità. V., pel caso part. del mercurio. J. Frenkel, Phil. Mag., 33, pag. 311, a. 1917. EE 27 pt La tensione superficiale A è infatti definita dalla relazione: A ds = dL ove ds è l’aumento di superficie, ZL è il lavoro che occorre eseguire du- rante l'estensione ds. Il lavoro Ads trovasi in energia superficiale, analoga a quella di po- sizione e viene restituita dalla superficie quando questa subisca una con- trazione -——ds. Ora, un doppio strato formantesi istantaneamente sul posto possiede l'energia potenziale 2.1r.0.0°.ds onde l'estensione 4s richiederà un lavoro A .ds=dl—=2r.d-0°ds corrispondente all'apparizione di tale energia potenziale elettrostatica. Quindi un doppio strato avente le proprietà supposte e di potenza d.0 coopera alla tensione superficiale, aumentandola del termine A 'driidilot. Se ne deduce la legittimità dell’ipotesi che il massimo di tensione su- perficiale corrisponde all'annullarsi della differenza di potenziale tra mer- curio e acqua acidulata, soltanto nel caso della inesistenza di doppî strati aventi le due proprietà suddette. Ora, non può escludersi, anzi a mio parere è probabile, l'esistenza di un doppio strato che potremmo dire a/omico al contatto di due corpi etero- genei, doppio strato risultante dai doppi strati di Frenkel caratteristici di ciascuno dei due corpi (*). Questo doppio strato atomico risultante gode cer- tamente delle due proprietà precedenti: è dunque causa di una differenza di potenziale anche quando la tensione superficiale presenta il valore massimo. Se poi si ammette che il doppio strato di Nernst (ra un metallo e un suo sale (dunque nel caso in cui manca la polarizzazione) abbia le due pre- cedenti proprietà, sono anche spiegate le esperienze a risultato negativo del Pellat, qualora al mercurio si sostituisca un'amalgama, e all'acqua acidu- lata una soluzione di un sale del metallo contenuto nell'amalgama. La seconda proprietà (cioè il formarsi del doppio strato senza correnti di carica provenienti dall'esterno) è parte fondamentale della teoria del doppio strato di Nernst. | Che la prima proprietà valga almeno per la massima parte del doppio. strato di Nernst è cosa facilmente comprensibile quando si pensi al mecca= (1) Le considerazioni che mi inducono ad estendere il concetto di Frenkel al caso, del contatto tra due corpi, non possono trovare posto qui. nismo molecolare che serve alla creazione di tal doppio strato, e si tenga conto delle condizioni nettamente favorevoli allo stabilirsi dell'equilibrio tra gli ioni positivi dalle due parti della superficie di contatto quando tali ioni siano identici. Non ho qui la pretesa di discutere a fondo dei fenomeni elettrocapil- lari, ma a me pare che dell'elemento nuovo da me indicato, occorra tener conto nel negare la legge di Lippmann (la tensione superficiale è funzione soltanto della differenza di potenziale tra i due corpi in contatto), e di questo elemento sarà opportuno tener conto negli studî sull'asimmetria della curva capillare e sui diversi valori del massimo della tensione superficiale per i varli elettroliti. Intanto resta fissata la probabile causa delle contraddizioni accennate a pag. 57, in particolare delle forti differenze di potenziale vere al contatto tra metalli, trovate dal Pellat. Fisica. — Conducibilità e potere termoelettrico nel campo ma- gnetizo, secondo la teoria elettronica. Nota di M. La Rosa, pre- sentata dal Corrisp. MacaLuso ('). 9 In occasione di alcune mie ricerche (2) sul mutamento del potere ter- moelettrico (P) di una coppia Cu Bi per azione dal campo magnetico, ho cercato di portare questo mutamento, e quello della resistenza, sotto la cor- ‘ nice della ordinaria teoria elettronica dei metalli, ascrivendo i due feno- meni, essenzialmente al successivo mutare della concentrazione elettronica del bismuto al crescere del campo (*). In una recente Nota di questi « Rendiconti », il prof. Corbino (‘), dopo aver manifestato il dubbio che il metodo di verifica da me seguito, perchè molto indiretto, possa avermi occultato la verità, applica alle mie stesse misure un metodo semplice di verifica diretta, che lo conduce a concludere che l'accordo da me segnalato non esiste. Partendo dalla relazione nota: (1) Pao=37 1087 il prof. Corbino trova facilmente il rapporto wo/#8 tra le concentrazioni: elettroniche del bismuto a campo nullo ed a campo H per mezzo dei rap- porti Pa/P, da me misurati. (1) Presentata nella seduta del 6 febbraio 1921. (3) N. Cim. s. VI, vol. XVIII, pag. 26, a. 1919. (3) ” ” » » 39, a. 1919, (4) Rend. R. Ace. Lincei, s. 5%, vol. XXIX, 2° sem., pag. 282, a. 1920. RenpIcONTI. 1921, Vol. XXX, 2° Sem. 8 a 7 - New Ri sO A tale fine dopo avere ricavato il rapporto ra fra le concentrazioni elet- (o) troniche del rame e del bismuto a campo nullo, col porre nella (1) al posto di > il valore noto 4,27.107? ed al posto di P, il valore sperimentale che egli ritiene conosciuto, cioè I Uri prec 300 3 MEN : 3 : miu calcola i rapporti DE in funzione dei valori sperimentali P. H (e) ES e I valori di a che egli trova per tal via risultano costantemente mi- H nori dei rapporti S fra la conducibilità del Bi a campo nullo e quella H sotto il campo H, da me stesso misurati sullo stesso campione di questo me- tallo; e siccome, egli osserva, per effetto dell'altro elemento mutevole, nel mio lavoro segnalato — cioè il cammino libero tra due urti — ox dovrebbe crescere col campo, conclude negando l'accordo da me constatato. Questa conclusione evidentemente è legata, e fortemente, ai valori ammessi per le gu 84 costanti x IE Intorno ai quali debbo dire che non posso consentire con il prof. Cor- bino nella determinazione della nostra P,, per mezzo di una raccolta di costanti fisiche. Il valore assoluto del potere termoelettrico per un metallo | come il bismuto — e gli altri corpi della categoria dei « conduttori varia- bili » — mi è parso sempre un elemento troppo incerto e difficile a mi- surare. Ed è stato per questo che invece di tentare la via piana della ve- rifica diretta, ho preferito quella tortuosa e indiretta; malgrado la possibi- lità, che avevo in mano, della determinazione sperimentale di P, sulla stessa coppia con cui avevo fatto tutte le misure. CAO 300 riportato nelle raccolte è tolto da un lavoro di Dewar e Fleming {!) sulle forze termoelettromotrici di alcune coppie di metalli, tra — 190° e 100°, il quale non può venire considerato come un lavoro di precisione diretto a stabilire delle costanti în misura assoluta, ma come un insieme di semplici espe- rienze di orientamento sul comportamento della materia a basse temperature. Per convincerci del grado di incertezza di queste misure basta ricor- ‘dare che appunto per il potere termoelettrico del bismuto era stata osser- vata una notevole discontinuità, a circa — 80°, che non è stata poi ritrovata Ed in proposito mi occorre di rilevare che il valore di Po = (1) Phil. Mag., serie V, vol. XL, pag. 95, a. 1895. or «da altri (Lownds); e che doveva secondo gli A.A. corrispondere ad una ana- loga discontinuità nella resistenza di detto metallo, che in seguito gli autori medesimi hanno esclusa. Condizioni assai meglio definite si hanno invece nelle misure di Perrot (!) ed in quelle di Lownds (?) nelle quali il potere termoelettrico del bismuto rispetto al rame è stato misurato tenendo anche conto dell'orientazione del- l’asse cristallografico del campione rispetto alla congiungente ì punti di con- tatto col rame; e sono stati trovati valori dipendenti dall'orientazione e va- riabili da campione a campione, e che raggiungono (per un'orientazione dell'asse parallela rispetto a quella congiungente) un valore di 130 .107*/300 u. e. s. Ora prendendo per P, questo valore e ripetendo il calcolo in modo analogo a quello del prof. Corbino, si giunge a ben diversa conclusione. I rapporti —° che così risultano sono, infatti, quelli trascritti nel se- na guente quadro: AP MO Go È Po LAT Cy 2100 0,044 1,069 1,030 3150 0,067 1,107 1,061 9700 0,080 1,150 1,082 4500 0,102 1,168 1,114 5100 0,115 1,192 1,196 5900 0427 1,212 1,172 6300 0,134 1,226 1,190 6600 0,137 1,232 1,207 100 0,142 1,241 1,223 7600 0,149 1.254 1,253 Essi sono tutti maggiori dei corrispondenti rapporti gi sperimental. H mente trovati, come è necessario perchè possa restare margine per l' inter- vento della variabilità del cammino libero; e ciò fino al campo di 7600 unità, cioè quello fino al quale era risultata soddisfacente la mia verifica indiretta. Con ciò non voglio affatto sostenere che la verifica diretta dia ragione alla mia tesi quando sia corretto il valore di P,; ma credo di essere riu- scito a porre meglio in rilievo quanto sia incerto, in questo genere di fatti, ogni tentativo di verifica che si appoggi alla conoscenza dei valori assoluti delle grandezze in questione. Intorno alla questione generale, sento di dovere manifestare più chiara- mente il mio pensiero, che, a quanto mi sembra, rimane piuttosto oscuro nei miei lavori sopracitati. Col mio tentativo di ricondurre nel quadro della forma monistica della teoria elettronica dei metalli il cambiamento di resistenza e del potere ter- "moelettrico nel campo magnetico, non ho inteso togliere valore alle ricerche (1) Arch. de Gen., p. IV, t. 6°, pp. 106-229, a. 1898. (?) Drude Ann., F. IV, B. 6°, s. 146, a. 1901. SIA condotte dal punto di vista della teoria dualistica; ma solamente ho creduto. di fare uno sforzo per cimentare ulteriormente le risorse nascoste che la. teoria monistica può tuttavia offrire. E l'ho fatto in vista dell'enorme importanza che avrebbe la definitiva sconfitta di questa ed a cagione della semplicità che essa reca nello sviluppo della teoria elettronica generale dei fenomeni fisici: semplicità che l’ha resa finora preferibile alla dualistica malgrado gl’'insuccessi toccati nel ristretto campo della teoria dei metalli, fra cui principalissimo l'incapacità di rendere conto dell’esistenza di un effetto Hall di segno opposto a quello normale. Le ricerche del prof. Corbino hanno via via portato un materiale im- ponente di fatti e di considerazioni in favore della forma dualistica della teoria dei metalli, il quale aggiunge certamente nuove difficoltà alla forma monistica, e rende più viva e più ricca d'interesse la lotta fra le due forme. Però, a me sembra che il gruppo dei fenomeni che fanno capo all’ef- fetto Hall, non sia un buon terreno per questa lotta, a causa della com- plessità di questi fenomeni, che dipendouo in alto grado dalla struttura cri- stallina dei corpi in cui in modo più evidente essi si presentano. Per questo non saprei ascrivere un peso eccessivo alle nuove discordanze che riguardano la variabilità della costante di Hall, o il suo valore asso- luto; discordanze che restano assorbite nella questione più vasta del segno. dell’effetto Hall, e che troveranno una giustificazione, nell'ambito della teoria monistica, probabilmente quando questa questione riuscirà a trovarvi la sua. soluzione. Fisica terrestre. — / terremoti mondiali del 1916. Nota I di GIOVANNI AGAMENNONE, presentata dal Socio V. CERULLI (*). È stato di recente pubblicato l'elenco dei grandi terremoti del 1916, che misero in vibrazione l’intera superficie del nostro globo, o una consi- derevole parte della stessa, e perciò denominati mondiali (?). Per 59 tra essi, è stato possibile conoscere la posizione e l'ora dell’epicentro, e ad ognuno è stato assegnato un quadro nel quale figurano gli Osservatorî disposti in ordine crescente di distanza e le ore delle principali fasi della perturbazione ivi prodotta. Altri 72 terremoti, per i quali non si potè raggiungere uguale- esattezza nella determinazione dell’epicentro, si trovano accennati in appo-- sita Appendice, in cui figurano le località, dove vennero registrati. Era opportuno esaminare il contributo dell'Italia allo studio di questi. sismi, che si prestano assai bene per estendere le nostre conoscenze sulla. costituzione interna della Terra. Tra i 111 Osservatorî che figurano nel- (1) Presentata nella seduta del 6 febbraio 1921. (2) H. H. Turner, Z'he large Earthquakes of 1916. — Dates © Times* Epicentres etc.;. Printed for the British Association Seismological Committee at the Isle of Wight County: Presse, 1919. “ Se Ge l'elenco, ne troviamo soli 5 italiani e, cioè, Moncalieri, Padova, Rocca di Papa, Montecassino e Valle di Pompei; in verità troppi, se si consideri la piccola ‘estensione dell’Italia in confronto dell'intera superficie terrestre, e troppo pochi rispetto al gran numero di Osservatorî italiani (più di una trentina) muniti di sismogfafi atti a registrare anche i telesismi. Ciò si spiega col fatto che le osservazioni sistematiche italiane vengono disgraziatamente pub- blicate con notevolissimo ritardo dal R. Ufticio Centrale di Meteorologia e Geodinamica, e per conseguenza nell'elenco dei terremoti mondiali non pote- rono trovar posto che i dati di quei pochi Osservatorî che pubblicano solleci- tamente un bollettino proprio o che inviano manoscritte le loro osservazioni. Riporto nel seguente specchio la distribuzione mensile dei primi 59 più note- ‘voli sismi mondiali in riscontro con quelli registrati nei 5 Osservatorî italiani : DIERSTO TERREMOTI MONDIALI REGISTRATI A dei MEsE terremoti || TTT TTO——————_—__—_—€———-v—_-_—»P>P—— mondiali Rocca di P. | Moncalieri Padova M. Cassino | Valle di P Gennaio 6 4 5) 5 4 5 Febbraio 7 6 6 b) 2 3 Marzo .. 8 9 b; 1 1 — Aprile 8 8 8 6 2 3 Maggio . . 1 1 Il = = = Giugno . . 4 2 A _ Il —_ Luglio . . 3 3 3 1 —_ 1 Agosto . . 7 6 4 2 3 2 39 33 34 20 13 14 Settembre . . 5 5 2 — 2 Sa Ottobre. . Ti 6 6 23 1 Da Novembre. . 3 2 b) = = Pad Dicembre . 5 2 8 = Ul DE TOTALE. . . 59 48 48 16 V'è da notare che il bollettino sismico di Valle di P. si arresta al 1° settembre, e quello di Padova al 1° ottobre, e questo spiega le lacune nel 3° quadrimestre; sicchè, per effettuare un confronto fra i 5 Osservatorî, bisogna prendere in considerazione i primi 8 mesi. Ecco le percentuali risul- tanti dal confronto del numero dei terremoti, registrati in ogni località, con il totale (39) di quelli avvenuti nello stesso intervallo di tempo: Moncalieri. ...... N. 84 telesismi, cioè 87 c. % Rocca di Papa .... ?» 33 ” » 8Dec. » Padova... » 20 ” » bloc. » Valle di Pompei ... » 14 ” » 86c. » Montecassino ..... » 183 ” » 98.» AGO La misura della percentuale, per l’intero anno, è possibile solo per Moncalieri, Rocca di P. e M. Cassino, e risulta come appresso: Moncalieri. ...... N. 48 telesismi, cioè 81 c.% Rocca di Papa .... » 48 ” » Bc. » Montecassino ..... » 16 ’ a \ZdicHra Nell’un caso e nell'altro le differenze non si possono spiegare che con la diversa sensibilità degli strumenti ed anche con la loro quantità e varietà ; poichè se, ad es., un Osservatorio possiede un solo sismografo, ha senza dubbio minor probabilità di registrare terremoti, potendo il medesimo trovarsi even- tualmente fuori di servizio, oppure in balìa di forte agitazione microsismica.. Per spiegare poi il fatto che Moncalieri e Rocca di P., sebbene in possesso. di varî e potenti strumenti, non sono stati in grado di registrare tutti i 59 terremoti mondiali, convien riflettere che talora i tenuissimi telesismo - grammi restano addirittura mascherati dall’agitazione microsismica, soprat- tutto a Rocca di P. peri forti venti, oppure che le predette due località si sono trovate qualche volta a troppo forte distanza dall'origine dei terremoti. Comunque sia, è confortante il vedere che la percentuale è per esse eleva- tissima, specie per i due primi quadrimestri, e addirittura del 100 % per ben sette mesi! Segue la distribuzione mensile degli altri 72 terremoti: DR TERREMOTI MONDIALI REGISTRATI A MESE TORTOMIOTI rosee — cc mondiali |, Rocca di P. | Moncalieri | Padova | M. Cassino | Valle di P. Gennaio . . . 6 = = nu = ia Febbraio . . . 6 2 - il 1 1 Mia rz:0 NS 8 ] — = a E°: Aprile eo. 10 2 3 l 1 Il Maggio. . . . 10 5) 4 —_ 1 2 Giugno . . . . 7 4 4 Dda e 2 Luglio . . . . 7 — 1 = a De, Agosto. . . . 5) 2 1 1 1 1 59 16 13 3 4 5 Settembre. . 1 _ = =- E; pati Ottobre. . . . 7 - a più Pi, Ri: Novembre. . . 4 3 2 _ _ = Dicembre . 1 —_ _ — — — TOTALE. +. 72 19 15 4 Saga Limitando il calcolo della percentuale ai primi 8 mesi, per le ragioni suesposte, troviamo le seguenti cifre per i primi 59 telesismi mondiali: Rocca di Papa .... N. 16 telesismi, cioè 27 ce. % Moncalieri... ... E ” n iZ2: Co Valle di Pompei ... » 5 ” » 0,8c.» Montecassino . .... » 4 ’ » 0,7c. >» Padoa Gee i: ’ » 0,50.» Anche qui spicca la notevole superiorità dei primi due Osservatorî per rispetto agli altri tre, spiegabile con la diversa sensibilità degli strumenti ; ma salta agli occhi il forte abbassamento della percentuale per tutti, in confronto di quella sopra trovata per i più importanti terremoti mondiali. A mio parere, l'enorme differenza non può essere giustificata se non con la minore importanza dei 72 sismi ultimamente esaminati e forse anche con la troppa distanza dall'Italia, a cui vennero originati, sicchè la maggior parte dei medesimi non fu capace di perturbarne i sismografi. Seguiranno in una prossima Nota alcune altre considerazioni su questi terremoti mondiali e su i nostri Osservatorî. Botanica. — 7'y/omyces gummiparus n. sp., prototipo di un nuovo genere di Ifomiceti. Caratteri morfologici ('). Nota I del dott. Jong ComaNDUCCI CORTINI, presentata dal Socio R. Pr- ROTTA (*). Avendo avuto qualche tempo fa occasione di occuparmi di alcuni esem- plari di garofano attaccati da un /usarium, la mia attenzione fu attratta da un fungillo, il quale, benchè apparisse evidentemente saprofilo, mi parve degno d'essere oggetto di studio per alcane sue curiose particolarità mor- fologiche. I garofani affetti da /usarzosi, posti in camera umida su carta bibula, furono, dopo qualche tempo, invasi da alcuni micromiceti banali, quali l’Acrostalagmus cinnabarinus, la Sporocybe byssoides, ecc., fra i quali spic- cavano chiazze rilevate, effuse, nero vellutate tendenti all’olivaceo che ave- vano invasa la parte legnosa dei rametti. All'esame microscopico esse dimo- strarono trattarsi di un Ifomicete riferibile alla famiglia Dematiaceae, se- zione Phragmosporae. Le mie ricerche, che qui brevemente espongo, mi inducono a considerare tale fungillo non solo come una nuova specie, ma verosimilmente come tipo. (!) Lavoro eseguito nella R. Stazione di Patologia vegetale di Roma. (°) Presentata nella seduta del 6 marzo 1921. RR CLi di un nuovo genere e pertanto meritevole di un cenno illustrativo. Ad esso ho dato il nome di 7ylomyces gummiparus col quale ho voluto ricordare i caratteri più salienti. Caratteri microscopici. 1. Micelio. 11 micelio del fungo si presenta con caratteri diversi a se- conda che le ife si sono sviluppate superficialmente o in profondità. Le ife profonde (fig. 11, 12) sono jaline, molto rifrangenti, di calibro quasi costante, SPIEGAZIONE DELLE FIGURE. Fig. 1. — Conidi di 7'ylomyces gummiparus prodotti da due conidiofori molto vicini: i conidi sono saldati da abbondante callo. » 2. — Conidi normalmente catenulati. 8, 4. — Conidi con tracce di callo ai due estremi. 5, 6, 7. — Conidi di forma anormale. » 8. — Conidi saldati in modo anormale. n 9, 13. — Estremità di conidiofori con conidi. » 10, 14. — Conidiofori con conidi eyife superficiali con le placche incrostanti. » 11, 12. — Micelio profondo. misuranti in media 4 2,5, parcamente settate e anastomosate fra loro, mentre le ife superficiali (fig. 10) di sezione quasi doppia (possono raggiungere come massimo 6 4), hanno protoplasma granuloso, presentano delle pareti più ro- buste e specialmente nelle curvature sono, ispessite da placche brune a con- torni irregolari, formate da una sostanza non per ora bene identificata. Questa sostanza è un essudato del fungo (che ha proprio l’aspetto di una eufor- biacea trasudante ìl suo lattice) direi quasi che rappresenta una reazione Peg «del protoplasma a contatto con l'aria. Infatti il micelio profondo che si sviluppa nell’interno dei tessuti o, nel caso di culture, nel substrato, è per- fettamente jalino e libero di queste placche che ricoprono il micelio su- perficiale. 2. Conidiofori e conidi. Dal micelio superficiale si elevano delle brevi ife che si ramificano quasi a formare un candelabro asimmetrico (fig. 14) le cui braccia sono i conidiofori. Questi sono jalini, lunghi da 30 a 35 w, a contenuto finissimamente granulare, molto rifrangenti (fig. 10). Ad un dato momento all’estremità del conidioforo si vede apparire sotto forma di una ‘goccia il protoplasma che si riveste prontamente di una sottile pellicola. La goccia si allunga, cresce, mentre si vede nettamente l'apertura del co- nidioforo, anzi in alcuni casi questa abbraccia in piccola parte la base del ‘conidio in formazione, a mo’ di imbuto, e tutto attorno forma un collare irregolare di mucillagine che ben presto imbrunisce e diventa solida. Il co- nidio è pertanto di origine prettamente mesendogena, analogamente a quanto fu osservato recentemente dal Peyronel (*) in altri Ifomiceti. Quando esso ha raggiunto un certo sviluppo, forma un setto mediano e si pigmenta (fig. 13). A questo punto all'estremità del conidioforo si viene formando un nuovo coniodio (fig. 9) nello stesso modo col quale si è formato il precedente, ma trovando esso avanti a sè l'ostacolo del primo, nell’accrescersi lo spinge avanti ed in questo sforzo la sua estremità che è ancora molle, si piega da un lato. I due conidi restano saldati fortemente da un abbondante callo e così accade per i successivi, di modo che si vengono a formare lunghe ca- tene (fig. 2) le quali sono molto caratteristiche in quanto che i conidii non sono inseriti l’uno sull'altro apicalmente, ma lateralmente. Qualche volta accade perfino di trovare dei conidi saldati perpendicolarmente l'uno all'altro (fig. 8). In genere quando si inizia la formazione del terzo conidio, il primo è già del tutto formato, è divenuto olivaceo ed ha prodotto altri due setti. Cosicchè un conidio perfettamente maturo è di color bruno olivaceo, triset- tato, con l’estremità superiore fusiforme ripiegata a mo’ di falcetto e ter- minata da una piccola papilla, e l’inferiore piuttosto ottusa e talvolta arro- tondata (figg. 3, 4), ma vi sono anche abbastanza frequenti dei conidi di forme aberranti (figg. 5, 6, 7). Tanto negli uni quanto negli altri si riscon- trano nella grandissima maggioranza dei casi, i due calli d'attacco con gli altri elementi della catena. Di questi conidi misuranti 19 —26=7—8w sì possono ammirare catenelle spesso lunghissime composte di 12 a 15 conidi, rigide come se il callo che le salda fosse simile alla ceralacca e come questa fragile. Infatti si vedono catene di due o tre elementi con il callo spezzato (') Peyronel B., Sul nerume 0 marciume nero delle castagne. Le Staz. Sper. agrarie It., vol. LII, 1919; Un Ayphomycète singulier: Eriomenella tortuosa (Corda) Pey- ronel. Bull. de la Soc. Mycol. de France. Tome XXXV, 4° fasc. 1920; Un Ifomicete dai conidi mesoendogeni: Menispora microspora n. sp. RenpicontI, 1921, Vol. XXX, 2° Sem. 9 ZIGGE alle due estremità, presentante una frattura come quella che si ottiene spez- zando una sostanza solida fragile. Nelle vecchie colture queste catene di co- nidi si addossano le une alle altre sostenendosi a vicenda e qualche volta accade che generandosi da conidiofori molto vicini, esse restano saldate tra. loro da abbondantissimo callo, presentando il curioso aspetto della fig. 1. È facile capire come, per quanto si operi con la massima delicatezza, sia difficile poter osservare in un preparato una lunga catena di conidi attac- cata al conidioforo. Basta infatti considerare il peso che debbono esercitare quattro o cinque conidi in catena, per capire che nelle diverse operazioni necessarie per fare il preparato, la catena facilmente si spezzi fra il penul- timo e il terz'ultimo conidio, perchè questo è già formato del tutto e rigi- damente saldato con gli altri, mentre quello è ancora molle e può piegarsi sotto lo sforzo senza disarticolarsi dall'ultimo giovanissimo conidio che si sta. formando. Ed è perciò che attaccati al conidioforo si trovano in genere due soli conidi (fig. 14). Quanto ai caratteri biologici del fungo ed alla sua diagnosi, sono in corso esperienze delle quali mi propongo di riferire in una prossima Nota. Biologia. — Dat: citologici sul tetraploidismo dell’ Artemia salina di Margherita di Savoia (Puglia) (*). Nota del dott. CesARE Artom, presentata dal Socio B. Grassi (?). Risulta da un mio lavoro in corso di pubblicazione (3), di cui è già stata data notizia in questi Rendiconti (‘), che, tenendo conto della diversa grandezza dei nuclei delle cellule dell’intestino medio, le Artemie prove- nienti da 18 diverse località, sono nettamente separabili in due gruppi. Volendo precisare, risulta che sono a nuclei piccoli, cioè micropireniche le Artemie di Cagliari, Cadice, Cairo, Cipro, Damasco, Lago di Utah, Isola di Saint José e Golfo di California; sono viceversa macropireniche, cioè a nuclei grandi, le Artemie di Capodistria, Margherita di Savoia (Puglia), Au- gusta (Sicilia), Wintershall Werra (Germania), Lago Torda e Wirakna (Un- gheria), Bocche del Rodano (Francia), Temacin e Ouargla (Algeria) e Tandya El Balia (Marocco). (1) Lavoro eseguito nell’Istituto di Anatomia comparata della R. Università di Roma. (3) Presentata nella seduta del 6 marzo 1921. (3) C. Artom, 1921. Specie micropireniche e macropireniche del genere Artemia, in Ricerche di morfologia dell'Istituto di Anatomia umana dell’Università di Roma. (4) C. Artom, 1920. Nuovi fatti e nuovi problemi sulla biologia e sulla sistema- tica del genere Artemia. Rend. R. Accademia dei Lincei, Nota 12, 2* e 3°, vol. XXIX, 1° e 2° semestre 1920. i /r» Risulta poi che, tra le Artemio micropireniche, i maschi sono sempre all’ incirca nello stesso numero delle femmine; tra le Artemie macropire- niche, i maschi invece sono completamente assenti. Siccome risulta da mie antecedenti ricerche ('), che un’Artemia m/cropi- renica (quella di Cagliari), è diploide amfigonica, mentre un'Artemia ma- cropîrenica (quella di Capodistria), è tetraploide partenogenetica, così pare legittimo dedurre, che tutte le Artemie appartenenti al gruppo delle micro. pireniche sieno diploidi amfigoniche; e che le Artemie appartenenti invece al gruppo delle macropireniche sieno tetraploidi partenogenetiche. Non è a tacere però, che in seguito all’azione dell'alcool, i nuclei delle ‘cellule dell'intestino medio delle Artemie delle varie collezioni da me esa- minate, appaiono soventi più o meno coartati; di qui una forte oscillazione nella grandezza nucleare delle cellule delle Artemie appartenenti a ciascuno dei due gruppi. Non ostante però tale azione coartatrice, che può ridurre le aree nucleari sicuramente a metà della loro effettiva grandezza, risulta una distinzione netta tra le Artemie micropireniche e quelle macropire- niche; in quanto che, le minime aree nucleari che si riscontrano tra queste, sono sempre notevolmente superiori alle massime aree nucleari che si ri- scontrano tra quelle. Che l’azione coartatrice dell'alcool sia veramente notevole, lo dimostra il fatto, per esempio, che l’Artemia salina di Margherita di Savoia, stu- diata su materiale da collezione, conservato da oltre dieci anni in alcool, presenta una riduzione nelle aree nucleari di circa la metà, in confronto delle stesse aree nucleari dell'Artemia salina di Capodistria, quando tale materiale sia stato preventivamente fissato e poi conservato in alcool. Ma viceversa, se il materiale di Margherita di Savoia è stato preven- tivamente fissato e poi conservato in modo analogo al materiale di Capo- distria, allora si riscontra che le aree nucleari delle cellule dell’intestino medio delle Artemie delle due predette località, sono assolutamente identiche. Data tale identità, posso già con quasi assoluta sicurezza dedurre, che l’Artemia salina di Margherita di Savoia (in cui tra migliaia di femmine non ho mai trovato neppure un sol maschio) sia un'Artemia tetraploide partenogenetica, come quella di Capodistria. Il reperto citologico, di cui do qui sommaria notizia, convalida poi pie- namente tale deduzione. Nella fig. 1 è per l'appunto raffigurata una piastra equatoriale del primo fuso di maturazione di un uovo dell'Artemia di Margherita di Savoia. I cro- mosomi in procinto di dividersi per la formazione e l'emissione del primo ed unico globulo polare, sono all'incirca 84, e tutti contenuti in una sola sezione. (1) C. Artom, Ze basi citologiche di una nuova sistematica del genere Artemia Archiv fir Zellforschung, 9° Band, 1® Heft, 1912). SFR Procedendo al conteggio dei cromosomi si riscontra ch’essi sono preci- samente in numero di 88. Ciò è dovuto, io credo, al fatto che il taglio del rasoio deve avere separato in tale stadio qualche cromosoma doppio nei suoî due componenti, il che del resto è occorso di osservare anche al Brauer studiando lo stesso stadio dell'uovo dell’Artemia salina di Capodistria (1). In conclusione l'Artemia salina di Margherita di Savoia è la stessa identica specie dell'Artemia salina di Capodistria; essa è cioè un'Artemia tetraploide a partenogenesi indefinita. Per analogia poi con quanto è stato dedotto al riguardo di tale Artemia,. appare sempre maggiormente probabile inferire che tutte le Artemie macro- Fic. 1. — Ingrandimento circa 1800 dia- Fis. 2. — Ingrandimento circa 1800 dia- metri. Piastra equatoriale del 1° fuso di metri. Piastra equatoriale del 1° fuso di: maturaziene dell'uovo dell’Artemia salina maturazione dell'uovo dell’Artemia salina di Margherita di Savoia (tetraploide, ma- di Cagliari (diploide, micropirenica am- cropirenica partenogenetica). figonica). pireniche sieno tetraploidi partenogenetiche, e che le Artemie mzeropire- niche sieno invece diploidi amfigoniche. Nell'uovo di queste analogamente a quanto avviene sicuramente per l’Artemia di Cagliari (fig. 2) è da pre- sumersi debbano normalmente contarsi 21 cromosomi a tetrade (numero aploide), venga emesso il 1° e il 2° globulo polare; e che il numero di- ploide di cromosomi (42) (che sarà poi quello caratteristico delle cellule somatiche) venga reintegrato col normale processo della fecondazione. Nell'’uovo invece delle Artemie macropireniche è da presumersi che nel 1° fuso di maturazione debbano contarsi 84 cromosomi a diade (numero tetraploide, come nell'uovo dell’Artemia di Capodistria, Odessa, Margherita di Savoia), venga emesso un solo globulo polare e che (dato lo sviluppo par- tenogenetico), 84 sia pure il numero dei cromosomi delle cellule somatiche. Come già è stato ripetutamente detto, vi sono argomenti poi che legit- timano l’ipotesi di una dipendenza genetica tra l'Artemia diploide amfigo- (1) A. Brauer, Zur Kenntniss der Reifung d. parth. sieh entwich. Fies von Artemia salina. Archiv. f. mikrosk. Anat. Bd. XLIII, 1894 (pag. 168). Dc O nica e quella tetraploide partenogenetica. E precisamente il tetraploidismo potrebbe essere acquisito o mediante l'unione di due gameti dell’Artemia diploide a numero non ridotto di cromosomi, oppure dalla fusione del 1° globulo polare col pronucleo di un uovo in un’Artemia diploide in cui non sia avvenuta la riduzione del numero dei cromosomi. Un uovo di tal genere a 42 cromosomi nella fase di piastra equatoriale del 1° fuso di maturazione, è stato realmente da me osservato in un uovo dell'Artemia salina di Ca- gliari e descritto in un mio precedente lavoro (fig. 3) (!). L'Artemia salina di Odessa (macropirenica tetraploide) e quella del lago salato di Utah (micropirenica presumibilmente diplotde) in cui pare sieno insieme mescolate generazioni partenogenetiche e generazioni amfigo- niche, sono poi da additare come materiale che dovrebbe prestarsi per risol- vere definitivamente l'importante problema della dipendenza genetica tra i due gruppi di Artemio. (*) C. Artom, 1911. Analisi comparativa della sostanza cromatica ecc. Archiv. tir Zellforschung, 7 Band 2, Heft. GG. E +7 bu - ve i ria i; : È i ci . È . i 3 ii U] AA al - pr = : ù ‘x “ Ù Li . a i __ Est raiteneia nd Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1° — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. ue 22 — Vol. I. (1873-74) Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 15 TRANSUNTI. 2* MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali. storiche e filolugiche. di Vol. 1V. V. VI VII. VIII. i | Serie 3* — Transunti. Vol. I-VIII. (1876-84). ._MEMorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e natural: Vol. 1. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche - n Vol. I-XII. Serie 4* — Renpiconti. Vol. I-VII. (1884-91). È MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali $ Vol. I-VII È MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. È Vol. I-X. 2; d Serie 5® — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali ; È Vol. I-XXX. (1892-1921). Fasc. 12°, Sem. 1°. Er RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche ‘ È Vol. I-XXX. (1862-1921). Fasc. 1°-3°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. XIII, fasc. 5°. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. Vol. XIV. Vol. XV. XVI. Fasc. 7. Spirali in CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE TSO PAIS AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI È . DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI È I vo ] Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche «© naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi DIANO, corrispon- denti ognuno ad un semestre. 1 Il prezzo di associazione per ogni annata c per tutta Italia è di L. 108; per gli altri paesi le spese di posta in più. | Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai: ULRICO HorpLi. — Miano, Pisa è Napoli. 2 E. MAGLIONE & C. StRINI (successori di E. Loescher & C.) —- Roma. LND ECE-=®: Viù feti Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI Ù pervenute all'Accademia durante le ferie del 1921. LI i | Somigliana. Sulla profondità dei ghiacciai. Nota IV... 0.0.0... 0... + Pag. ie Corbino. Azione di un campo magnetico sul flusso di calorey. . . . ari e) i Grassi. Razza biologica di Anofele che non punge l’uomo. Un dati caso di ano- felismo e paludismo senza malaria. Nota preliminare |... 0... ” E Morpurgo. Conseguenze della nefrectomia nei topi siamesi disguai si aan ”» se MEMORIE E NOTE PRESENTATE DA SOCI Abetti. Sulle determinazioni di differenze di longitudine mediante la telegrafia senza fili (pres adal'‘Soc10 Volere RAI E O a Togliatti. Sulle varietà a tre dimensioni e di quart'ordine che son luoghi ‘di anno 0? rette. Nota JI (pres. dal:Socio. Segre) i. ne 3 Burali-Forti. Sui numeri reali e le grandezze. Nota II (pres. dal Corrisp. Horcdlongn)® n Peyronel. Un Ifomicete dai conidi mesoendogeni: Menispora microspora n. sp. (pres-:dal’Socio Protti IZ I NO n. MEMORIE E NOTE DI SOCI . Corbino. Sulla teoria dell’effetto Thomson . . . . . CISA ESRI OMAR e 2 RSI SITO Bruni e Pellizzola. Sulla presenza del manganese alla gomma greggia e e. Galla peciosità; ©. 0 ang MEMORIE E NOTE PRESENTATE DA SOCI Sibirani. Sulle curve di Bertrand (pres. dal Corrisp. Peano) . . LL... 0...» * l'anturri. Un’espressione nuova dei numeri bernoulliani (pres. dal Corrisp. Peano) . . . » * Abetti. Sul confronto fra osservazioni visuali e fotografiche delle nebulose (pres. dal Cor- TISpR N) NLZ00 ONE . 30 ai Re e Le scio SI Stefanini. Sulla costituzione geologica della Coda II: dora oliscigrioi miocenici È e postpliocenici (presi dal Socio De Stefani) . A RI ORIO NZ Copre Perucca. La misura delle differenze di potenziale vere al STE col metodo di Lippmann- Pellat (pres tdalSSocio &Vac24t1) E RN A META T RR È ano) La Rosa. Conducibilità e potere termoelettrico nel campo magnetico, secondo la Re, 97 elettronica (pres. dal Corrisp. Macaluso) . . .... o SR ; Agamennone. I terremoti mondiali del 1916. Nota I (pres. dal Fio cell) Comanducci Cortinîi. Tylomyces gummiparus n. sp., prototipo di un nuovo ana i di Ifomiceti. Caratteri morfologici. Nota I (pres. dal Socio Pirotta) . . .... DIS U Artom. Dati citologici sul tetraploidismo dell’Artemia salina di Margherita di Savoia (Pa- A glia); (presgdal(S0c100G2458) et LR IE SERE s K. Mancini, Cancelliere dell’ Accademia, responsabile tì Li Ve Patate e ETA, e ENTI Peli va legale ne o N i POR MES RESET ; dig SEAT giri, DS ti Pubblicazione bimensile. © N. 3-4. | | UG 2.3 199 À I de I Lewo. 06 LIBRÌ DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DER EINORI Ci e TENTA. RENDICONTI | Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume X X X.° — Fascicolo 30%40 Comunicazioni pervenute all'Accademia durante le ferie del 1921. 2° SEMESTRE ROMA TIP. DELLA R. ACCAD. NAZIONALE DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1921 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1392 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltrei Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Renpiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. 1 Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estransi, nelle due sedute mensili del: l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un'annata. 2. Le Note di Soci o Corrispondenti non possono oltrepassare le 5 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, non possono superare le 3 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci s Corrisponder‘i, e 30 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le discua- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. IL I. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci 0 da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta a stampa della Memoria negli Atti dell Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta, pubblica nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memorie per esame data ricevuta con lettera, nella quale si avyerte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 90se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messe a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI pervenute all’ Accademia durante le ferie del 1921. (Ogni Memoria o Nota porta a pie’ di pagina la data d'arrivo). TT _--—rrrr""" Fisica Matematica. — Calcolo delle discontinuità delle de- rivate di ordine superiore dello spostamento d'equilibrio elastico. Nota del Socio Gran ANTONIO MaGGI (°). La presente breve Nota si collega con alcune mie precedenti, concer- menti, più o meno direttamente, la teoria delle distorsioni elastiche, com- parse in questi Rendiconti (*), così da formarne quasi un complemento. I simboli conservano, di regola, il significato, del resto abbastanza chiaro per sè, che hanno in codeste Note. Oggetto della presente è un procedimento diretto, che permette di esprimere le indicate discontinuità, per derivate di qualsivoglia ordine, rispetto alle coordinate del punto considerato, riferite ad una terna qualsivoglia d'assi cartesiani ortogonali, in termini delle de- rivate, fino allo stesso ordine, delle discontinuità delle componenti dello spostamento del punto, da concepirsi come funzioni di coordinate curvilinee ‘ortogonali, rispetto a queste coordinate. (1) Pervenuta all'Accademia l'11 agosto 1921. (2) Sopra una formula commutativa e alcune sue applicazioni, vol. XXVI (5), 1° se- mestre 1917. — Posizione e soluzione di alcune questioni attinenti alla teoria delle distorsioni elastiche. Ibid. — Nuove applicazioni di una formula commutativa. Ibid. 2° semestre. — Mi è grato ricordare che, nel tempo che mi occupavo di questi argo- menti, il compianto Socio P. Pizzetti mi indicava un procedimento simile al presente, per dedurre le espressioni delle discontinuità delle derivate seconde della funzione poten- ziale di superficie, trovate, per altra via, dal Somigliana (Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino, vol. LI, 1916). RENDICcONTI. 1921, Vol. XXX, 2° Sem. 10 PRO RTE Simili espressioni per le discontinuità delle derivate prime, valendosi di « assi canonici », cioè formando l'asse delle 2 colla normale alla super- ficie di discontinuità, nel punto considerato, mostra come si trovano, in ge- nerale, e dà esplicitamente, pel caso di corpi isotropi, il Socio Somigliana, nella seconda delle sue Note Su/l/a teoria delle distorsioni elastiche, pure inserite in questi Rendiconti (1). Con queste si formano subito le espressioni analoghe per assi cartesiani qualisivogliano. Distinguiamo perciò colì'apice gli elementi riferiti agli assi canonici, e indichiamo con @;, fi, yi (£=1,2,8) i coseni di direzione di questi assi, rispetto ai suddetti assi fissi. Le a Mo 25 vos dx wy mono, nel noto modo, per funzioni omogenee, quadratiche delle @;,f8;,y; (i=1,2,8), e lineari delle di cun Lo) si quindi anche le D -° 159 dI dy dr p dY (i=1,2,3), e lineari delle D sì espri- se, per le stesse funzioni omogenee, quadratiche delle @;,f;,y; n dI dY ..s le quali si prestano alle espressioni del Somigliana. Poniamo (1) De =& , Dl =ys , DIî=%, dove È'c,70,és rappresentano funzioni delle coordinate curvilinee %,% del punto considerato, (x,y ,) 0 (2',y',4 =0), della supposta super- ficie o di discontinuità, e di ir LA @) DE=f, Def DI Per quanto precede, le /,,/s,/z3 Si potranno intendere funzioni note, omogenee, quadratiche rispetto a @;, 8} ,y; (£=1,2,3), e lineari rispetto alle o de do We d'a da dSu ds dSy ds du dd l'arco sulla linea « e sulla linea v, tangenti all'asse delle x’ e all'asse delle y' (?). , dove s,,s, indicano le misure del- (1) Vol. XXIII, (5), 1914. (2) Posto dst=Edu?+4 Gdo, EA NARA dsu VG dv ds VE du e concepito un proseguimento nello spazio delle &’9, 77, 67, semplicemente, Od: FOO di dna dr , ds, = dy si ha CSI Ora, si ha Di I È. n) n) Ò EDI pcs da Pi 7 Sini a) ei + Br > Sal P) d È) d d Ò d 1 n) =D AV) = D —D#+y RABAT FÀ dY ii; Is dr veg + Applicando le quali relazioni alle (2), se ne ricavano le tre coppie di equazioni (1): d° È DÈ d° È dh Dr: +A VV ese ap TÈ + B: # : "- Sa Si ba DE + nb TE 3A (4) CA x boa si A a II DIO Si ottengono così, per le sei discontinuità indicate, sei equazioni li- neari non omogenee: delle quali però il determinante dei coefficienti si ri- conosce facilmente essere nullo. i Aggiungiamo alle tre coppie di equazioni, rispettivamente, le seguenti: | DÒ DIS Dis n flo soi ever i DG DIS dI È (5) re er ubi api DE 2 È LA UT rvARA i era abi dove le X,, Xs, X3 rappresentano tre nuove incognite, deducendone così tre terne corrispondenti. (') Sulla ripetizione degli operatori CA 5 30 in relazione colle derivate di or- dSu d8» dine superiore, rispetto a u e a 0, vedasi la mia Nota, precedentemente citata, Muove applicazioni di una formula commutativa. Esci Dalla prima terna, moltiplicando per «,,@,,@z e sommando. e dalla seconda, moltiplicando per y,,y:,73 e sommando, si ricava, senz'altro, 2 er = 0; DE ap Xi, (6) dI SIE DURI di nl Dar se rar Ma dalla terza terna, moltiplicando per ,,fs,f3z, e sommando, sì ottiene CROSS Mia gl dy di ui => O Quindi, la prima delle tre equazioni seguenti, dove i secondi membri hanno il significato che risulta dalle precedenti: (7) Y3X° — Pa Xa=F1 . e3X3 — y3:X1=F: ’ B3X, — a3X°=F3. Moltiplicando, membro a membro, per @3, 83,73 e sommando, dai primi membri si ha immediatamente 0. Dai secondi membri, si ha Se ci oe n. DE Mpa, (25) Ss o Bs pin US POTE 2198) va) che, per le (4), sì riduce parimente a 0. Le tre equazioni (7) si riducono a due indipendenti, che permettono di determinare due delle incognite X,,Xs,X3, in termini della rimanente. Trattando ora allo stesso modo le equazioni conformi alle (4), relative a nea %$, si arriva al risultato che, per mezzo di formole come le (6), le discontinuità delle tre sestuple di derivate seconde si possono esprimere, oltre che in termini degli indicati elementi, come funzioni di tre parametri, che restano, fino a questo momento, incogniti. Ma, applicando il D alle equazioni dell'equilibrio elastico (supposte nulle o note le discontinuità delle forze di massa), ed esprimendo poi nel suddetto modo le discontinuità di tutte le derivate seconde delle È, 7,6, sì otterranno tre equazioni lineari non omogenee, rispetto a quei parametri incogniti, di cui il determinante dei coefficienti, che involge le costanti di elasticità del corpo considerato, non sarà identicamente nullo, atte a deter- minarli. In seguito a che, per mezzo delle (6), si otterranno le espressioni cercate. Infine, ottenute queste espressioni, formandone base per un trattamento analogo al precedente, e valendosi di equazioni dedotte dalle equazioni di equilibrio elastico, coll’ulteriore derivazione, membro a membro, se ne ri- cavano espressioni, composte cogli indicati elementi, per le discontinuità delle derivate terze, e così, di mano in mano, per le discontinuità delle derivate di ordine comunque elevato. Fisica. — Sull’assorbimento della gravitazione. Nota I del Corrisp. Quirino MAJORANA ('). In alcune. precedenti Note (2), dopo aver descritte delle esperienze ten- denti a dimostrare la diminuzione di peso di un corpo circondato simmetri- camente da un involucro materiale, manifestai il proposito di ripetere le stesse esperienze con mezzi più grandiosi. Ed ora, dopo due anni di nuove ricerche, è mia intenzione di riferire sui risultati recentemente ottenuti. Ricordo anzitutto, che i ragionamenti ed i calcoli già svolti, mi porta- rono a stabilire il limite massimo del coefficiente di assorbimento gravita- zionale per unità di densità materiale e di lunghezza, nella misura di =7,65-107*; e ciò in base alla considerazione della massa solare, che presenta una certa densità apparente (1,41), diversa da zero. Quanto al li- mite minimo dello stesso coefficiente, feci la ipotesi, giustificata da alcuni ragionamenti che qui non ripeto, che la densità vera del sole possa essere alquanto superiore alla apparente; e ciò, in causa della enorme agglomera- zione di materia che quell’astro rappresenta. Da quanto già dissi, risulta che, anche supponendo la densità vera del sole solo di un decimo superiore alla apparente, il valore di X è sempre dell'ordine di 107°. Cioè, qualunque sia l'ipotesi della densità solare vera, tra i limiti 1,5 (circa) ed infinito, l'ordine di grandezza di X è sempre lo stesso. Questo importante risultato teorico, basato su ipotesi relativamente semplici, mi servì di guida per realizzare le già descritte esperienze, aggiustando la sensibilità dei miei appa- recchi, in guisa corrispondente alle fatte previsioni. E ricordo infine che il valore trovato per # era di 6,66-107!° (3), rimanendo così confortata la atten- dibilità delle previsioni stesse. Questo numero era stato dedotto dall’osser- vazione di una variazione di peso della sfera pesante 1274 gr., di 1/1000 di mg., ossia di un miliardesimo circa. del peso totale. Nelle nuove esperienze, di cui dò notizia sommaria in questa prima Nota, a parte la maggior precisione relativa delle misure, dovuta alle maggiori dimensioni della massa schermante, mi sono accorto di una nuova causa di errore (dipendente da una certa inevitabile imperfezione costruttiva di qua- lunque bilancia, che di solito non viene considerata) che ora ho eliminato. (*) Pervenuta all'Accademia il 24 agosto 1921. (*) Vedi questi Rendiconti, volumi XXVIII e XXIX. (3) Un errore di calcolo mi aveva fatto scrivere nelle dette Note 6,73-10-!*, cifra lievissimamente diversa. sr Ga Nelle prime esperienze, adoperavo una massa schermante di mercurio di 104 kg., disposta in un cilindro retto a base circolare, di diametro eguale all'incirca all'altezza. Il centro del cilindro coincideva esattamente col centro della sfera di piombo di 1274 gr. Nelle nuove esperienze, pur lasciando inalterate le già descritte disposizioni, per quanto riguarda la sfera di piombo e la bilancia, ho sostituito al mercurio il piombo, portandone la massa a 9603 kg., cioè a circa 100 volte il valore primitivo. Per ragioni costruttive tale massa è stata foggiata in forma cubica, anzichè cilindrica. Se le ipo- tesi e teorie a suo tempo formulate sono attendibili, e se tutte le cause di errore fossero state eliminate nella precedente determinazione di 7%, sì può prevedere quale avrebbe dovuto essere la diminuzione assoluta di peso della sfera, soggetta alla nuova massa schermante. Essa dipende dal cammino dei raggi gravitazionali nell'interno di questa, ossia dallo spessore medio (inteso in un certo senso) del mantello schermante. Nelle prime esperienze, tale man- tello era di cm. 8,40; nelle nuove, malgrado il notevole accrescimento della massa, il mantello è solo di 6,5 volte maggiore, con una densità materiale alquanto minore; cioè equivale ad uno spessore schermante di pari densità, di un valore 6,5. 11,34/13,60 = 5,4 volte più grande. La variazione di peso da constatare sarebbe dunque stata di circa 5/1000 di mg. La massa cubica di piombo, che viene ad avere, per il valore di 9603 kg., un lato di circa cm. 95, è costituita da 288 pani sovrapposti conveniente- mente e formanti due distinti prismi (ciascuno di 144 pani) a base rettan- golare di cm. 95 X 47,5 e di cm. 95 di altezza. Questi prismi, sostenuti da apposite armature, girevoli ciascuna intorno ad un asse verticale distinto e discosto da ogni prisma per m. 1,50, possono venire a combaciare l'uno accanto all'altro con due loro facce quadrate verticali, in guisa da costituire il cubo suddetto, nel centro del quale viene ad allogarsi la sfera di piombo, sospesa alla bilancia, ed opportunamente circondata da un involucro capace di resistere al vuoto atmosferico; opportune e piccole cavità e scanalature nel piombo schermante, impediscono qualsiasi contatto di questo con l'invo- lucro. Con ciò la massa di piombo di 9603 kg. può essere portata intorno alla sfera, od esserne allontanata (per rotazione dolce delle armature) a circa m. 3 di distanza; corrispondentemente si osservano gli spostamenti di un raggio luminoso riflesso sul giogo, alla distanza di m. 20 da questo. Ma il movimento della considerevole massa di piombo, sostenuta in un locale sottostante a quello della bilancia, occasiona inevitabilmente delle deformazioni in tutto l’edificio in cui si sperimenta che, comunque apparen- temente piccole, si riverberano sulle varie parti della bilancia. Così il piano di agata di appoggio del coltello centrale, subisce una rotazione di circa 10", e uno spostamento assoluto rispetto ad altri punti fissi, dell'ordine di qualche centesimo di mm. Sulle letture della posizione di equilibrio della bilancia, ha influenza soltanto la rotazione suddetta, come farò vedere. Ma tale in- ari fluenza è stata da me attentamente studiata, mediante un congegno speciale, «capace di svelare sino ad 1/100 di minuto secondo d'arco. Con questa cor- rezione, e con le altre di cui sarà diffusamente detto in seguito, ho potuto constatare che la diminuzione di peso della sfera di piombo, per la pre- senza della massa schermante di circa 10 tonnellate, anzichè essere di 5/1000 di mg., risulta solo di circa 2/1000. Da ciò si ricava che f = 2,8.107°. Tale notevole discordanza col primitivo valore (6,66. 1071?), può probabil- mente essere attribuita alla detta rotazione del piano di agata, che forse già .si manifestava nelle prime esperienze. senza che io me ne fossì reso conto. Ma non è da escludersi che essa dipenda da difetto della mia teoria, la quale potrebbe rappresentare il fenomeno, solo in prima approssimazione. La ri- -sposta definitiva a tale dubbio, potrà aversi quando le mie esperienze sa- ranno state ripetute da altri, in condizioni diverse (*). * x x Se, come ritengo attendibile e come cercherò di dimostrare nelle pros- :sime Note, tutte le possibili cause di errore sono state da me prese in con- siderazione, è a ritenersi che effettivamente vi ha sparizione del peso della materia, nelle descritte circostanze. Ora, tale fatto può dar luogo alla for- mulazione di teorie 0 modelli del fenomeno gravitazionale, fra cui voglio ‘esaminarne due dei più attendibili; farò poi vedere come la descritta dispo- sizione sperimentale permetta di decidere quale di tali due modelli sia accettabile. Il primo modello è stato da me indicato nelle Note precedenti: emis- sione continua di particelle da parte della sostanza materiale; l'incontro di ‘queste particelle, con altra materia, darebbe luogo alla formazione della forza attrattiva; inoltre le particelle che urtano la materia spariscono in ‘tutto od in parte, donde l’assorbimento parziale di quella forza. Si tratta dunque di un modello che non sodisfa alla meccanica classica, inquantochè ‘è contrario alla teoria dell'urto dei corpi; infatti ad un urto di una par- ticella con la materia, corrisponderebbe un impulso su questa in direzione ‘contraria. Ma occorre tener presente, che accettando tale primo modello, nessuna ipotesi concreta si fa sulla natura delle particelle; quello che si può solo dire di esse, è che le loro proprietà sono diverse da quelle della ma- teria comune: in questo senso, il modello può essere logico ed ammissibile. Un secondo modello deriva dalla vecchia concezione di Lesage delle ‘cosidette particelle ultramondane. Sono note le difficoltà, dal punto di vista meccanico, a cui tale concezione dà luogo, e come non sia stato possibile, (') A. A. Michelson mi chiede cortesemente che io, pur continuando ad occuparmi «di queste ricerche, consenta che tale ripetizione avvenga al più presto nell’Osservatorio Solare del Monte Wilson in Pasadena (California), per opera del Direttore di quest’Os- sservatorio, dott. G. E. Hale; assai di buon grado ho aderito a tale richiesta. STRA nemmeno con la modificazione di W. Thomson o con le discussioni di altri (*), di ricondurla ad un modello meccanico accettabile. Prescindendo da ciò, sì può anche in tale modello supporre che l’assorbimento della forza gravita- zionale sia dovuto alla sparizione di qualche particella. Secondo il primo modello, si considerino due corpi A e B attirantisi; ponendo un terzo corpo C fra di essi, la primitiva forza attrattiva verrebbe ad essere alquanto diminuita, perchè alcune particelle viaggianti fra A e B. vengono assorbite da C. Nel caso del secondo modello l’attrazione di A verso B sì spiega con la reciproca difesa od azione di schermo di queste masse, contro gli urti di particelle energetiche provenienti dalle remote località dell'universo, | in tutte le direzioni; se ora il terzo corpo C fosse costituito da un involucro esterno ad entrambe le masse A e B, si avrebbe a che fare con una dimi- nuzione della forza attrattiva fra queste due masse, perchè qualche parti- cella verrebbe trattenuta da C. Si comprende che anche se l'involucro non fosse chiuso, possa verificarsi, sia pure in misura ridotta, la diminuzione. Per cui, per l'ipotesi Lesage, anche ponendo i tre corpi nell'ordine A BC, si genererebbe una diminuzione della forza attrattiva fra A e B; mentre questa diminuzione si verificherebbe col primo modello, soltanto se i tre corpi fossero posti nell’ordine A C B. Da queste considerazioni, deriva il controllo sperimentale di cui ora dirò sommariamente. In una seconda serie di esperienze, ho spostato la sfera di piombo lungo la verticale passante per il centro del cubo, in guisa da portarla 1mmedia- tamente al disopra (5 cm. più in alto) della sua faccia orizzontale supe- riore. Con ciò, si osserva una notevolissima differenza tra le posizioni di equilibrio della bilancia, tra il caso in cui la massa schermante è sotto la sfera e quello in cui essa ne è allontanata a 3 metri, dovuta alla attra- zione di tutta la massa di piombo di 9603 kg. Tale attrazione è di circa 0,2 mg. (corrispondente, per la sensibilità media della bilancia, a circa 40 mm. di spostamento dell'indice luminoso sulla scala a 20 metri dal giogo). Se si conoscesse « priori e con tutta esattezza, il valore di tale attrazione (e ciò in base all'applicazione della legge di Newton), la differenza fra tale valore e quello osservato, darebbe l'assorbimento gravitazionale, se esiste. Ma, come mostrerò in seguito, non si può, per varie ragioni, prevedere con la necessaria precisione, il valore della detta attrazione, o più propriamente, la deviazione dell'indice luminoso della bilancia. Per cui ho proceduto ad una terza serie di osservazioni, sperimentando con la sfera immediatamente al disotto (5 cm. più in basso) del cubo di piombo. Si comprende che in tal caso l'attrazione della sfera è volta in (1) Vedi al riguardo il riassunto di P. Drude, Veber Ferawirkung. Ann. d. Phys.,. B. 62, pp. I-XLIX. Cara senso contrario a quella della seconda serie, e, se non esistesse l’assorbi- mento, essa dovrebbe essere esattamente eguale alla precedente determina- zione, in valore assoluto. Si trova invece che essa è alquanto superiore e più precisamente di 4/1000, circa, di mg. Si noti che questa variazione è all'in- circa il doppio, di quella constatata quando la sfera sì trova al centro del cubo. Se ora, riferendoci ai due modelli del fenomeno gravitazionale già de- scritti, diciamo A la terra, B la sfera. C il cubo di piombo, si vede age- volmente che l'esperimento porta all'accettazione del primo modello (per il quale si ha assorbimento, se ì tre corpi sono disposti nell'ordine A C B) ed al rigetto del secondo, ossia di quello di Lesage. L'importanza di questo risultato appare grandissima. Esso ci dice anzi- tutto, che, accettato il modello primo, quello cioè delle particelle energe- tiche emesse dalla materia, le misure della prima serie di esperienze (sfera nel centro del cubo) sono d'accordo con quelle della seconda e terza serie (sfera, prima sopra, e poi sotto ìl cubo); infatti nella prima, i raggi gravi- tazionali traversano uno spessore di piombo corrispondente all'incirca a metà del lato del cubo; nella seconda serie essi traversano tutto il lato del cubo; nella terza serie non traversano alcuna massa schermante; in quest'ultima soltanto non vi ha dunque assorbimento, che si riscontra, per contro, al massimo grado nella seconda serie, e più propriamente in misura doppia di quel che sì osserva nella prima. Lo stesso risultato ci permette di localizzare la causa del fenomeno. gravitazionale (quantunque nella sua essenza ultima non possiamo compren- derne bene la natura); tale fenomeno sì manifesta e si svolge in conseguenza di una proprietà specifica della materia dove essa si trova, indipendente- mente da una qualsiasi azione da parte di località esterne comunque di- scoste, rispetto ai corpi attraentisi. è Dal punto di vista filosofico, ritengo questo risultato sperimentale assai soddisfacente, giacchè è più logico attribuire la causa di un fenomeno solo a contingenze perfettamente controllabili (presenza dei due corpi materiali), piuttosto che all’ipotetico intervento delle azioni esteriori. Per cui, sino a prova od argomento inconfutabile contrario, supporrò basato il fenomeno gravitazionale sulla emissione di particelle energetiche da parte della ma- teria ponderabile. Potrebbesi peraltro pensare all’intervento di un mezzo interposto (etere classico od altro), che con le sue deformazioni elastiche statiche, occasioni quel fenomeno; ma alriguardo mi riferisco alle considerazioni già svolte nelle Note precedenti : se il mezzo intervenisse, assai probabilmente sì dovrebbero osservare variazioni nella intensità della forza gravitazionale anche se essa traversi piccoli spessori di sostanza materiale, il che, come è noto, non è vero. Concludo dunque, insistendo sulla attendibilità della mia ipo- tesi., la quale, pur non basandosi su di un modello interpretabile meccani- camente, ha il conforto del controllo sperimentale. RENDICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sem. ll Mineralogia. — Su; cristalli misti stereoisomeri nella serie clinozoisite-cpidoto ('). Nota I del Corrispondente FERRUCCIO Zam- BONINI (°). In un mio recente lavoro (*), ho avuto occasione di studiare le relazioni che passano fra la composizione chimica ed alcune proprietà ottiche nei cri- stalli misti della serie elinozoisite-epidoto. In modo speciale io ho richiamato l'attenzione sul fatto che l'asse ottico emergente dalla faccia (001) forma, con la normale alla faccia stessa, un angolo che cresce fortemente col con- tenuto in ferro-ferrico dei cristalli misti. Fondandomi su misure mie e di altrì osservatori, io ho potuto stabilire che la variazione di quell’'angolo (da me indicato con © o con w', a seconda che viene misurato nell’aria 0 nell'interno dei cristalli) in funzione della composizione è lineare negli epi- doti con 2Va, <90°, mentre nelle clinozoisiti con 2Vny > 90° è molto più rapida e non rappresentabile con una linea retta (*). Lo stesso fatto si (1) Lavoro eseguito nell’Istituto di Mineralogia dell'Università di ‘l'orino. (*) Presentata all'Accademia il 16 agosto 1921. (9) Sulla clinozoisite di Chiampernotto in val d’' Ala. Bollettino R. Comitato Geo- logico d’Italia, XLVII, fasc. 1-4, pag. 65. Il manoscritto fu completato nel giugno 1918, e la tipografia lo compose rapidamente, ma il fascicolo del Bollettino comparve con grande ritardo solo nel 1920. Causa lo stato di guerra, non mi fu possibile aver cono» scenza in tempo di un lavoro di M. Goldschlag, Veber die optischen Eigenschaften der Epidote, pubblicato nel 1917, nel vol. XXXIV delle Tschermak®s min. petr. Mitth. pa- gine 23-60). I Goldschlag ha ripreso le determinazioni ottiche nel materiale già stu- diato dal Kehldorfer (cfr. F. Becke, der den Zusammenhang der physikalischen, besonders der optischen Eigenschaften mit der chemischen Zusammensetzung der Silicate. Doelter's Handbuch der Mineralchemie, 1912, II, 24), ma i nuovi valori dati dal Goldschlag per 2V non si differenziano che di pochissimo da quelli trovati dal Kehldorfer e da me uti- lizzati, dimodochè i miei risultati non vengono modificati dalle nuove determinazioni del Goldschlag. Per quel che riguarda l’originalità del mio lavoro, è da osservare che il Goldschlag non ha punto insistito sull'importanza delle lamine secondo {001} per la dia- gnosi dell’epidoto e della ‘elinozoisite, importanza da me posta in luce ed espressa in formule quantitative. Quanto alla variazione di 2 V in funzione della composizione, è sfuggito al Goldschlag il fatto che detta variazione è lineare nei termini epidotici. Ciò dipende dall’avere egli espresso la composizione dei cristalli misti in mole per cento, anzichè, come ho fatto io, in per cento di ferriepidoto. Il Goldschlag non ha nemmeno dato formule che leghino 2 V alla composizione. (4) Le formule da me stabilite sono le seguenti: w=—0°51,16' x + 41053’ w' = — 0928, 32° 2 + 23° 12’ w' = 43924" — 6926" 4- 0°28 x? per le clinozoisiti con 2 Van > 909. Con & si indica il per cento in peso di ferriepidoto H Ca, Fe, Siz3 013. Basta dividere x per 2.26 per ottenere il contenuto in Fea 0; dei cristalli misti. per gli epidoti con 2Vay Z<900 e ga ‘osserva, naturalmente, per la variazione di 2Vn, in funzione del contenuto in ferriepidoto (1). Dal complesso delle ricerche risultava che doveva aversi sensibilmente 2V= 90° per un tenore in Fe; 0; uguale, all’ incirca, a 3,4-3,5 °/o. Questo risultato andava perfettamente d'accordo con le osservazioni di Wein- schenk (*), il quale, nell'epidoto del Rothenkopf con 2V,, = 89° 16' (Na) aveva trovato 3,52°/, Fe. 03, con quelle di Millosevich (*), che aveva rico- nosciuto come otticamente positivi i cristallini di St. Barthélemy con 3,25% Fes 03, e con le mie, in base alle quali dei cristalli di Monte Tovo con 3,01°/, Fe» 0: presentavano 2V,,= 91910", mentre i cristalli rosei di ‘Chiampernotto con 3,18°/, Fe. 0; appartenevano pure alla clinozoisite, con 2 Va, > 90°. È importante anche il notare, ad ulteriore conferma del no- tevole grado di esattezza delle mie formule, che, fondandosi su sette epi- doti contenenti dal 39 al 19.6°/, di ferriepidoto, si calcola, per quello del Rothenkopf con 8°/, di ferriepidoto, 2 Va, = 89°9", mentre, come si è visto, Weinschenk ha trovato 89°16'. L'accordo non potrebbe davvero essere desi- derato migliore. Però, per quanto le mie formule si adattassero ad un buon numero di epidoti e di clinozoisiti, non mancai di osservare, nel mio lavoro, che nella ‘letteratura da me consultata vi erano quattro epidoti o clinozoisiti in di- saccordo assai netto con i miei risultati, come si scorge dalla tabella se- guente: Ferriepidoto 2Vap (trovato) 2Va, (calcol.) LocaLITÀ AUTORE . per cento (luce del sodio) (4) Huntington (Mass.) Forbes (?) 12.8 90° 32' 850 58’ Zillerthal (verde chiaro) Forbes (?) 15.8 87 46 83 58 ‘Camp-Ras (Ariège) Ganbert (6) 13 93 31 85 50 Inverness-shire H. H. ‘l'homas (?) 15.4 89 35 84 14 (1) Le formule da me date sono le seguenti: ‘(1) 2Va, = 94°27' — 0°39,8"x per gli epidoti ‘(2) 2 Vap = 114940’ — 59222 + 0°17 x? per le clinozoisiti. Per 2V molto prossimo a 90°, la formula (1) dà per x dei valori un po’ troppo bassi. (°) Veber Epidot und Zoisit. 1. Der Epidot vom Rothenkopf. Zeitsch. fur Kryst., 1896, XXVI, 163. (*) Sopra gli epidoti poco ferriferi (clinozoisite-epidoto) di S. Barthélemy in Val «d'Aosta. Atti Società Ligustica di Scienze nat. e geogr., 1908, XIX, fasc. 3-4. (4) Il calcolo si è eseguito con la formula 2Va, = 94927’ — 0°39.8' 2. (9) Veber den Epidot von Huntington, Mass., und iiber die ontischen Eigenschaf- «ten des Epidots. Zeitsch. fiir Kryst. 1896, XXVI, 138. (9) In A. Lacroix, Minéralogie de la France et de ses Colonies, 1910, IV (2°), 710. (?) Oa an epidote from Inverness-shire. Min. Mag. 1905, XIV, 109. SRO Le differenze fra i valori calcolati e quelli misurati per 2Va, sono molto forti, tanto da giungere, nel caso della clinozoisite di Camp-Ras, a quasi 8°(7°41'). Inoltre, mentre in base al contenuto in ferro-ferrico i cri- stalli di tutte e quattro le località dovrebbero appartenere a termini tipici della serie epidoto, con 2Vn, nettamente inferiore a 90°, ciò si verifica sol- tanto per l’epidoto verde chiaro della valle di Ziller, mentre i cristalli dell’Inverness-shire sono negativi per la luce del sodio e positivi per quella del tallio, e quelli degli altri dué giacimenti risultano positivi per tutto lo spettro visibile. I cristalli in questione si differenziano nettamente dagli altri, ben più numerosi ed accuratamente studiati della serie clinozoisite-epidoto, che pos- siamo chiamare tipica, ed io mostrai, con ragioni plausibili, come fosse le- cito il lasciarli provvisoriamente da parte nella discussione delle relazioni che passano fra le proprietà ottiche e la composizione chimica nella serie elinozoisite-epidoto. I cristalli dei quattro giacimenti ricordati non potevano, infatti, annullare quanto risultava evidente dallo studio accurato, eseguito su materiale assai adatto, di cristalli con composizione variabile entro li- miti molto estesi. E che io ben mi apponessi, risulta chiaro dalle determi- nazioni ottiche che U. Grubenmann (*) ha fatto conoscere degli epidoti della Val Maigels. T. Woyno, infatti, nella varietà grigia con 13.1°/, di ferri- epidoto, ha trovato 2V,, = 85°, mentre dalla mia formula si calcola 85046’ (*). Lo stesso Woyno, in un cristallo della varietà bruno-verdiccia contenente 16.6°/, di ferriepidoto, ha trovato, con misure approssimative, 2V,,==81° 21!/0:0ra, dalla mia formola si calcola 2V,,== 83° 26' e l’accordo si può considerare ancora come sufficiente, data l'incertezza delle misure e la variabilità di composizione, evidente già per la variazione del colore (*), sicchè appare probabile che il cristallo nel quale fu determi- nato 2V non possedesse esattamente la composizione media risultante dal- l’analisi di altri cristalli. Prescindendo da quest'ultimo epidoto più ferrifero, noi abbiamo che i cristalli grigi della val Maigels, quelli, pure grigi, di Huntington, e quelli di Camp-Ras possiedono, praticamente, la stessa quantità di Fe» 0;(59.79, 5.67 e 5.75°/0 rispettivamente), ma, ciò non ostante, dànno per 2Vn, dei valori differentissimi (85°, 90°32' e 93031’). Si tratta di divergenze così forti, che si resta dubbiosi sulla possibilità di spiegarle con una differenza (1) Der Granat aus dem Maigelstal im Bundneroberland und seine Begleitmine- ralien. Festschrift Universitàt Zirich, 1914. (2) Dalla mia formula, in base al valore misurato di 2V, si calcola Fey 036,3 °/o. (trovato 5,8%). (3) Grubenmann scrive che i cristalli sono « griinlichbraun von wechselnder far bentiefe n. DERE di composizione fra il materiale analizzato e quello sottomesso ad indagini ottiche, con la presenza di lamelle di geminazione, ecc. Ad ogni modo, fino a qualche tempo fa, pur essendomi apparsa degna di attenzione un'altra spiegazione del tutto nuova e più convincente, mì era sembrato prudente il non avanzarla, limitandomi a porre da lato gli epidoti « anomali » come bisognosi di un più attento esame. Continuando i miei studî sui minerali di Val d’Ala, ho incontrato dei termini della serie epi- doto-clinozoisite che mi hanno permesso di stabilire, con tutta certezza, che nella serie in questione è possibile riscontrare dei cristalli misti nei quali ad una identità quasi perfetta di composizione fa riscontro una differenza notevole nelle proprietà ottiche, ed altri, al contrario, nei quali le proprietà ottiche sono molto vicine, mentre diversa, invece, appare la composizione chimica. Si tratta, sicuramente, di un risultato a prima vista paradossale, in contrasto con quanto di solito si pensa intorno alle relazioni fra composizione chimica e proprietà fisiche nei cristalli misti, ma, come vedremo, la spiegazione del fenomeno è semplice. È da Monte Tovo in Val d’Ala che provengono i cristalli da me stu- diati. Nei giacimenti minerali di quella importante località, scoperta, si può dire, già da molti anni, dal Collega ed amico prof. G. Boeris, il quale con grande liberalità ha messo a mia disposizione una parte, assai interes- sante, del materiale da lui raccolto, si trovano varî termini della serie cli- nozoisite-epidoto. Alcuni di essi appartengono a termini tipici epidotici, e non è il caso di descriverli qui: il loro studio troverà posto adatto in una Memoria alla quale attendo da tempo intorno ai minerali di Val d'Ala. Altri cristalli, invece, meno frequenti, per 2Va, > 90°, per la posizione di np nell'angolo ottuso #8, per la debole birifrangenza, per i bassi valori degli indici di rifrazione, per il grande angolo che l’asse ottico emergente dalla base forma con la normale a, detta faccia, non si esita a riferire alla cli- nozoisite, nel senso di Weinschenk (!). Procedendo alle analisi chimiche, si trovano, però, in alcuni casi, dei valori relativamente alti per il tenore in ferro-ferrico, in pieno contrasto con quelli che si dedurrebbero dalle pro- prietà ottiche. Talune delle « clinozoisiti » studiate di Monte Tovo sono sensibilmente normali: le loro proprietà ottiche vanno d'accordo, cioè, con la composizione chimica, secondo quanto risulta dalle ricerche eseguite dal Weinschenk, dal Kehldorfer e dal Goldschlag intorno ad altre clinozoisiti tipiche od a ter- mini epidotici ad esse assai prossimi. Si tratta di cristalli per lo più po- veri di forme, tabulari secondo la base, di colore giallo molto chiaro, nei (1) Weinschenk intende indicare con « clinozoisite » tutti i termini monoclini del gruppo zoisite-epidoto, che si avvicinano per la loro composizione chimica alla zoisite rombica, che sono otticamente positivi e possiedono una rifrangenza ed una birifrazione più deboli degli epidoti propriamente detti. Casggi quali io ho trovato, per la luce del sodio, 2V,, = 91° 10'. La loro compo- sizione chimica è risultata la seguente: Si0» 39.16 Al, 0; 31.12 Fes 0; 3.01 Fe0 0.64 Mn0 0.02 Ca0 24.28 MgO 0.10 H,50— 0.13 H:0+ 2.00 Sa = 100.46. I cristalli analizzati contengono 6,8 °/, di ferriepidoto, ed in base alla mia formula per le clinozoisiti si calcola 2Vn, = 91°18'. Si ha a che fare, perciò, con una clinozoisite normale, per quel che riguarda il valore dell’an - golo degli assi ottici. Molto più interessanti sono dei piccoli cristalli, di colore giallo palli- dissimo, dotati di un vivissimo splendore quasi adamantino, caratterizzati dal fatto di essere pochissimo estesi nella direzione dell’asse 2, sicchè appaiono, di solito, piuttosto tozzi. Nella zona [010] le forme dominanti sono } 001| e 3100}, per lo più con grandezza poco diversa nei cristalli unici (*): tra le forme laterali, la più estesa è {111{. In complesso, i cristalli in que- stione sono poveri di forme: io ho osservato soltanto le seguenti: 7} 001 |, T}100}, e}101t, /}301}, {201}, {302}, r}101}, V5304}{,7}1021, z}110}, {113}, d}111}, a}111}, 0}011}, G}344}, delle quali co- stantemente presenti sono 3001} , 3100} e $I11{, di rado mancano {110} e {011}, e molto frequenti sono anche {201} e {101{. Abbastanza comuni sono i geminati secondo la solita legge: asse di geminazione la normale a {100}: essi si presentano sempre tabulari parallelamente a {100}. Per le ricerche ottiche, io ho adoperato esclusivamente i cristallini unici, tozzi, con i due pinacoidi } 001} e {100} presso a poco ugualmente estesi, i quali all'esame microscopico risultano dotati di proprietà ottiche abba- stanza uniformi (*), senza quelle strutture zonate pronunciate, a proprietà anche variabilissime, così frequenti nell’epidoto. Il pleocroismo è pressochè insensibile, anche in lamine dello spessore di 1,5 mm. Le proprietà ottiche di questi cristalli sono quelle caratteristi che della clinozoisite. L’asse x, dell’indicatrice ottica giace nell'angolo ottuso f: in una nitida sezione parallela a (010), io ho misurato, per la luce del sodio, c:ng= 6°82'; in una plaga ristretta verso l'esterno si aveva cin = 3°37° soltanto, sempre nell’angolo ottuso f (*). È notevole, però, che, contraria- mente a quanto si verifica nelle clinozoisiti tipiche, l'estinzione avviene per- fettamente anche in luce bianca. (') Rari sono i cristalli unici tabulari secondo {100}. () Come verrà mostrato nella Memoria sui minerali di val d'Ala, fra i cristalli unici tabulari secondo la base o {100} non ne mancano di quelli le proprietà ottiche dei quali variano abbastanza notevolmente da un punto all’altro dello stesso cristallo. (3) Valori vicini a 6° per c:7p si sono ottenuti anche in altre sezioni. Che x, debba essere sensibilmente inclinato su c risulta senz'altro già dal fatto che la bisettrice emer gente da (100) è nettamente inclinata sulla normale a quella faccia. MEMORIE E NOTE PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sopra un'equazione funzionale. Nota III di Pia NALLI, presentata dal Corrisp. G. BAGNERA (°). 1. Siano f(x) e 9(w) due funzioni continue nell'intervallo (0,4), « una costante positiva mimore di 1, N(a,s) una funzione continua nel triangolo 0 troviamo coi soliti metodi la seguente soluzione _1$ (E + Ho)(K + Ha?)..(K+ Ho"), WEA TRI dove x può variare tra 0 ed co — e potrebbe anzi prendere qualunque va- lore reale o complesso —. Ora il secondo membro si può svil:ppare in serie di potenze di 4 al- l'interno del cerchio a=7. (entro cui cade il punto 4= 1), cioè si ha (3) va) = Lose) + 20.(1) + 20.0) +]: tenendo conto dell'equazione (2) a cui soddisfa (x) si trova Vasi (P700) Vn() = 0Un_1(2%) + kf Vn-1(8)d8 + nf Vn1(5)48 (00 TREE Le v,(#) sono quindi polinomî in « a coefficienti positivi, e perciò la (ee) serio > v,(r) — che è quella che figura al secondo membro della (3) per n=0 À=1 — converge uniformemente in qualunque intervallo finito. D'altra parte, si verifica per ricorrenza che è |fx(x)| = ln(x) hell'intervallo (0,2), e quindi resta ivi dimostrata la convergenza uniforme della serie delle fn(%). Abbiamo così trovata una soluzione della (1) in (0, a): essa è l’unica soluzione finita. Infatti, se vi sono due di tali soluzioni la loro differenza sarà una funzione (x) finita in (0,0) e soddisfacente alla (1) con f(x) = 0. Ma allora, ponendo Usa) (2) Un(e) = 9(£) Un (22) +S N(® , 8) Un-1(8) ds +S° P(x, $) Un-1(8) ds IRE ssì avrà sempre, in base alla (1) stessa, un(r) = (2). Ma se è |u(2)| 2"f,(x) è l’unica n=0 t soluzione della (4) in (0,0). Se ora nella (4) si fa variare x in (0.7) ed al posto di u(ax) ed «(s) del secondo integrale sì mettono le loro espres- sioni dedotte dalla serie soprascritta, vediamo che questa serie rappre- l senta la soluzione della (4) anche in (0, 2) perchè in questo intervallo 2| %) u(ar) +f E(05s) ‘694 | -— f(x) è una funzione nota che si svi- 3 3 UA VIE luppa in serie di potenze di Z, e perciò la «(x), che in (0.2) si ottiene risolvendo l'equazione di Volterra di seconda specie a cui si riduce la (4), si sviluppa pure in serie di potenze di Z. Questa serie non può essere altro 00 che quella già ottenuta, cioè > 4"fn(r), come si vede subito eguagliando n=0 i coefficienti delle stesse potenze di 4 nei due membri della (4). RENDICONTI. 1921. Vol, XXX, 2° Sem. 12 Dimostrato che la serie in discorso è soluzione della (4) in (0, 2) sì 3 : E b "e, $ dimostra che lo è anche in (0. a) e così via, e finalmente in (0, 4), purchè 1 een “1< 70] Quando si fissa per 4 un valore soddisfacente a questa limitazione, la serie xi 4" f(x) converge uniformemente rispetto ad x in (0,a). Infatti, n=0 ciò che abbiamo detto finora sussiste nella sola ipotesi che le funzioni note della (4) siano continue nei dominî dove sono definite — anche se non sono derivabili — sussiste perciò anche per l'equazione @=2[ 0 + f NEI SEI ]+ 11) Quando |2| < ma si ha la soluzione v(1) = \_ 2”vn(+), che è l’analoga n=0 della serie che abbiamo formata per la (4); ora le ®,(x) sono tutte positive e (e) siccome quando si fissa Z, v(x) è funzione continua di x, la serie > 40,(2) =) converge uniformemente in (0,a), lo stesso si potrà dunque dire della serie > 4°f(2), perchè |fa(2)| = vn(2). n=0 3. Passeremo ora a studiare la soluzione della (4) per valori di 4 il cui modulo non è minore di o Si vedrà nella trattazione che faremo che la soluzione «(x) che abbiamo trovata, valida per i valori di Z di mo- il dulo minore di ——, , è derivabile in (0, a). 10) CE Ammesso che la (4) ammetta una soluzione u(z) derivabile in (0, a) sì avrà per derivazione u(ai=% [250 u(ax) + Sn ,s) us) ds + (5) RX +S Pi(2,8)u(s) ds + u(0) 10) | +f(a), dove poniamo è j © IN(£,,4) Ni(£, s) == N(x ,2) +S Di di P.(1,9)= + Ple, a) + fa, (e) =N;(2,0) +P;(2,0). Meg, Il valore «(0) si ricava dalla (4) ed è Per il risultato ottenuto al n. precedente possiamo dire che la (5) ammette 1 - . una ed una sola soluzione per ogni valore di 4 £ 1(0) e di modulo mi- 1 nore di ——— . La soluzione è la seguente TO] i MON rai Af(0) u'(c) = va) + 1 — 29(0) Une (2), dove 1, (7) ed w,,:(r) sono le soluzioni delle due equazioni x 7 Uni (e) = 4 | e0u(er) 0 Ni(x,s)u1,;(8) ds + 0 si P,(2,5)%1,i(8) ds ]Hhs (1) ((=1,2) 0 ° con lc) =f'(2) e l,(2)=%(x). Le ,(2) si sviluppano in serie di po- tenze di 4 all'interno del cerchio con centro nell'origine e raggio __ @|9(0)|” e quando si fissa 4 tali serie convergono uniformemente rispetto ad x nell’in- tervallo (0, a). Avremo dunque che all’interno del cerchio =] ì A|( per 4 so la (4) ammette l'unica soluzione derivabile (6) na = (0) de AR i Po 1 (sa (a) tv] e questa soluzione quando |Z|< # coincide con quella già trovata, perchè sì è visto che se 1, è ovunque 1 1 1 ; ra a+B—-1 - + > 2 sea--f=1, è ovunque lt—a—e a 1 1 |F(2,y||x — y|<4AB È dei 2), dove « è un qualunque numero positivo minore di 1—«. Conviene pren- dere per « il valore (1 —.@)/2 che minimizza il quarto fattore del secondo membro dell'ultima diseguaglianza scritta, e si ha allora: se a+ f=1, è ovunque 1 Beh "244B E 2. La ripetuta applicazione, ai successivi nuclei iterati, delle disegua- glianze trovate, fatta però talvolta con qualche accorgimento per semplificare il risultato finale, dà quanto segue. Se u è un qualunque numero positivo, ed è sempre in Q: |K(x,y|= A|log si trova (Cap ca = ME et igm Valga ora la (2). Se a< 1/2, si trova 4A° Sia ora a = 1/2. Se, essendo p un numero intiero e positivo è a= p/(p+ 1), si trova: an=p+ 1 3 M=(n—- 1) (4n — 3)2?"+1 gn A+, in particolare, per a= 1/2, si ha: n= 2, M=640A%. Se è invece (p—1)/p2 M_ 4°A [a(2 4 1)] (a 2)! (e_ li mi _2) A ° n n+1 Matematica. — Sopra i sistemi complementari dei sistemi non chiusi di funzioni ortogonali. Nota I di CARLO SEVERINI, presentata dal Corrispondente 0. TEDONE (‘. - Se un sistema di funzioni ortogonali in un intervallo (a, è) (*) non è chiuso, esiste, come è noto (*), un sistema di funzioni, detto sistema com- plementare del sistema dato, che, aggiunto a questo, dà luogo ad un si- stema chiuso di funzioni ortogonali. Di sistemi complementari ne esistono anzi infiniti, ma essi possano facilmente dedursi l'uno dall'altro (4); in par- ticolare, se uno è finito, gli altri sono anche finiti e composti tutti dello stesso numero di funzioni (°). (') Presentata nella seduta del 6 marzo 1921. (?) Intenderemo di riferirci costantemente a funzioni sommabili insieme coi loro quadrati in (a, d). (3) Cfr. Lauricella, Sulla chiusura dei sistemi di funzioni ortogonali e dei nuclei delle equazioni integrali [Rend. della R. Acc. dei Lincei (Roma), vol. XXI, serie 5% (1912), | pp. 675-685]. (4) Cfr. Lauricella, loc. cit. (3), pag. 677. (5) Cfr. Severini, Sulle equazioni integrali di prima specie del tipo Fredholm [Rend. della R. Acc. dei Lincei (Roma), vol. XXIII, serie 5% (1914), pp. 219-225; 315-321]. pouigyee In questa Nota mi propongo di esporre alcune ricerche intorno al modo di costruire un sistema complementare. i 1. Ricordiamo che dicesi equazione di chiusura di un sistema di fun- zioni ortogonali e normali (1) \ Vi(2) (&=0,1,2,...) l'equazione b n 2 b (2) lim f | TAV 00) | FISSE n= f t(2)Vi(2) do, n=% /a 0 a la quale può anche porsi sotto una delle seguenti forme: b (Ca) @ SfUretA a (e) I) fade =, Ax f Va(2) de (5) (a=x 0). a 0 a Dalla (2) risulta immediatamente, che se più funzioni soddisfano al- l'equazione di chiusura del sistema (1), altrettanto può dirsi di ogni loro combinazione lineare a coefficienti costanti. 2. Scelto comunque un sistema di funzioni (3) Pi (2) (i=0,1,2,..) tale che non esistano per le equazioni integrali [) ©, fee) gilo)az=0 Sii soluzioni effettive, ossia diverse da zero in punti di (a ,2) costituenti in- siemi di misura non nulla (7), e posto b (5) sp= f SORACEE a si indichi con (6) D;(2) (=0,1,2,...) (6) Cfr. Severini, Sulla teoria di chiusura dei sistemi di funzioni ortogonali [Rend. del Circolo matematico di Palermo, tomo XXXVI (1913), $ 2]. (*) Si può in particolare assumere: pi(c) = 2 (026 b ‘Cfr. Severini, Sulle equazioni integrali f 60(x) ade =0 (n=0,1,2,..) [Rend. della a R. Acc. dei Lincei (Roma), vol. XXIX, serie 5° (1920)]. Og la funzione, alla quale converge in TS (5) la successione SO(x) = D_ AQ Vi() (a= 0, 1,2009) rappresentata quasi dappertutto in (a, d), eccettuati cioè al più i punti dî un insieme di misura nulla, dalla serie Di(2)+ [US (2) — UM (e)] (î=0,1,2,.) ove Ca) L+hv UA (e)=D_ AS. a Vi(a)de (v=0,1,2,...) “° ha —hy ed /y indica il termine generale di una successione di numeri positivi, de- crescenti, tendenti a zero (*). Questa funzione ha, rispetto al sistema dato (1),. gli stessi coefficienti di Fourier della ;(x), cioè "b (7) f'O(m Vila de AP (G,k=0,1,2,1) Se, come noi supponiamo, il sistema (1) non è chiuso, la differenza (8) Yi(c) = gpi(a) — Dx) non può, per ogni ?, essere quasi dappertutto uguale a zero in (a, d) (1°). Siano (9 3 RR Tap: e) ) Wi, (2) Piy (2) Di, (x) ( Îv < CI quelle funzioni (8) che non risultano quasi dappertutto nulle, per le quali: si ha, a causa della (5) e della (7) tl) (10) 5 wi,(c) Ve)de=0 (v,k=0,1,2,...) 3. Nell'ipotesi che le (9) siano in numero >1, dimostriamo ora il seguente teorema: (8) Cfr. Fischer, Sur la convergence en moyenne [Comptes rendus hebdomadaires des séances de l’Académie des Sciences (Paris), T. CXLIV (1907), pp. 1022-1024]. —- Riesz, Veber orthogonale Funktionen systeme [Nachrichten von der Kgl. Gesellschaft: der Wissenschaften zu Gòttingen, Mathematische-physikalische Klasse (1907), pp. 116-122]. Weyl, Veber die Konvergenz von Reihen, die nach Orthogonalfunktionen fortschreiten: [ Mathematische Annalen, Bd. LXVII (1909), pp. 225-245]. — Plancherel, Contridution à l’étude de la représentation d'une fonction arbitraire par des intégrales définies: [Rend. del Circolo matematico di Palermo, tomo XXX (1910), pp. 289-335]. (9) Cfr. Severini, loc. cit. (5), ho (1°) Cfr. Lauricella, loc. cit. (8), $ 3. — Severini, loc. cit. (6), $ 9. Affinchè quantesivogliano funzioni (9) siano quasi dappertutto in (a, bd) linearmente indipendenti, è necessario e sufficiente che nessuna combina- zione lineare a coefficienti costanti non tutti nulli delle corrispondenti funzioni (3) soddisfi all'equazione (2). Se infatti si ha quasi dappertutto LO Cy Wi,(2) (0) al poichè le (6) soddisfano alla (2), alla stessa equazione deve soddisfare ($ 1) la NES 1 Viceversa si abbia b Co) b if ‘[g(x)}? da = DE Bi Ù Bx =[ g(x) Vx(x) dx. a o a Essendo ove si è posto se ne deduce b ft -Gde=0. e quindi quasi dappertutto in (a, d) Con ciò il teorema è dimostrato. Matematica. — Su! medulo delle forme contenenti una va- rietà di Segre. Nota di ALESsANDRO TERRACINI, presentata dal Socio C. SEGRE (1). Chiamiamo, collo Scorza (°), varietà di Segre una varietà V che rap- presenti, nel modo considerato per la prima volta dal prof. Segre, le s? di punti appartenenti rispettivamente a s spazi lineari (s = 1). Se questi spazi, siano rispettivamente S°?,S®,..., S°, hanno ordinatamente dimensione (1) Presentata nella seduta del 6 marzo 1921. (*) Sulle varietà di Segre, Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino, vol. XLV (1909-10); si trovano in questo lavoro anche altre citazioni. Intorno alle stesse varietà cfr. anche Bordiga: Sul modello minimo delle varietà delle nPle non ordinate dei punti di un piano, Annali di Matematica, serie III, vol. XXVII (1918). RenDICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sem. 13 Sgh Pi, Pa, Ps (Con pi>0; é=1,2,..., 5), e in ciascuno di essi si assume un sistema di coordinate proiettive omogenee di punto &;o ; $i, ..., Fip, (7 = =1,2,..,s) la V, che sta in uno spazio Sx di dimensione N= (pi +1) (p:+1)...(ps +1) — 1, è definita parametricamente ponendo - le singole coordinate proiettive omogenee x, (£=0,1,... N) di un punto dello Sy proporzionali ai varî prodotti che si possono formare assumendo come fattori s fra le È, coi primi indici tutti diversi fra loro. Data una tale varietà, ci proponiamo di costruire una base per il mo- dulo delle forme dello Sy che la contengono, vale a dire un sistema di forme ®,,Ds,..., Py, tale che ogni forma dello Sx contenente la V si possa esprimere come combinazione lineare delle © (i coefficienii essendo forme di grado conveniente nelle coordinate x). Ci porremo anzi da un punto di vista più ampio, considerando una varietà di Segre generalizzata, Va, ‘ottenuta nel modo seguente. Mantenute le notazioni di prima, siano %,, N°, ,%s degli interi positivi = 1; formiamo i varî prodotti di 72, + 3 + + --- | ns fra le $, in modo che, dei primi indici, n, siano uguali a 1, n° siano uguali a 2,..., #s siano uguali a s, e definiamo in uno Sx, con «ea una Vi (con d=p, + pa + -:- + ps) ponendo le singole coordinate proiet- tive omogenee x, (£=0,1,..,N) di un punto dello Sy proporzionali a quei prodotti ('). È chiaro che basta fare ciascuna delle n uguale all'unità per ritrovare le varietà di Segre di cui si è detto in principio. Invece per s=1, p,=p, n=, sì ottiene una V, rappresentabile su uno spazio S, in modo che le sezioni iperpiane della V, sono rappresentate su quello spazio lineare dalla to- talità delle forme di ordine 2. In quest'ultimo caso particolare, il problema cui abbiamo più sopra accennato è stato risolto recentemente dallo Hurwitz (?) con un procedimento che si può estendere molto facilmente al caso più ge- nerale che qui abbiamo in vista (3). Indichiamo con (2) [10 2119000) UST: 30003 50 3 Asl ce0 3 Censi (*) Alcune indicazioni su queste varietà si trovano, al n. 44, nell’articolo Mehrdi- mensionale Ràume (del prof. Segre) della Enzyklop. der Math. Wiss. (III C7). Si tenga presente, per il seguito, che la Va non ha punti multipli; giacchè dalle formole di definizione segue subito che essa è trasformata in sè dalle omografie di un gruppo che opera transitivamente sui suoi punti. i (2) Veber die algebraische Darstellung der Normgebilde. Math. Ann., Band. 79 (1919), (*) Escludiamo dal seguito il caso banale di s=1, mn =1. CERTO 7g quella coordinata x dello Sy che, nella definizione parametrica della Vi, si è posta uguale a Gio ii Cap “so si sp 3 £ t c s (3) e E (essendo Ao A} si. Cp, == YA 5 Ss R 30 + A,i — ve. Usp, = Da) Allora, siano % e v due prodotti (3) che divengono identici fra loro, quando sì dividono rispettivamente l’uno per una certa £, sia &, e l’altro per. un’altra $, sia È”; 2 e 5 due altri prodotti (3) che si comportano nello stesso modo, ancora rispetto a È' e È"; e siano infine U, V, W,Z le coor- dinate (2) corrispondenti ai prodotti v,v,w,z. Ovviamente, la forma qua- dratica (nelle x) (4) UZ— VW è nulla identicamente sulla V,. Ebbene, si formino tutte le (4), e di esse sì ritenga solo un sistema di forme linearmente indipendenti, siano ®,, ®.,...,;, il quale sia una base per il sistema lineare di tutte le forme -«quadratiche (4) (il valore di 9 sì troverà indicato più avanti): le ® costi tuiscono anche una base per il modulo delle forme contenenti Va. Il concetto della dimostrazione, la quale si può svolgere, come abbiamo detto, parallelamente a quella dello Hurwitz, è il seguente. Sia H un pro- dotto di m fra le (2), non tutte necessariamente distinte, (1 > 1), e H la espressione (nelle È), in cui esso si sviluppa quando a ogni (2) si sostituisca la corrispondente (3): H sarà un prodotto di m (n + n» +-+) fra le #, delle quali w7, avranno il primo indice 1, ecc. Anzi, dato comunque un prodotto di tal fatta, esso si può considerare come ottenuto, nel modo indicato da un prodotto H (o anche da varî prodotti H). Allora sì stabi- lisce (v. più avanti) che due di quei prodotti di grado m, siano H e H', sono certo congrui rispetto al modulo (delle) D, qualora sia H=H' (iden- ticamente rispetto alle è). Perciò, formati tutti îi possibili prodotti H, se si sceglie comunque, per ciascuno di essi, uno dei prodotti H che ad esso corrispondono, secondo quanto sopra si è detto, ottenendo così i prodotti H,,Hs,...,Hy, ogni forma di grado w nelle (2), sia F, risulta congrua, rispetto al modulo @, a una loro combinazione a coefficienti costanti, sia ccH, + coHo + -.-- + Cu H,; perciò, se F si annulla identicamente su Vi, sarà identicamente (rispetto alle È) c.H, + cs H;y +-+ cu Hu ="'0,-da cui segue subito che le c sono mulle e perciò F==0 (mod ®), c. d. d. In un solo punto occorre aggiungere qualche cosa alla dimostrazione dello Hurwitz, e precisamente nella dimostrazione del risultato scritto in PR -Agt, corsivo (che corrisponde al Teorema II dello Hurwitz). Ad esso si può giun- gere colle seguenti considerazioni. Sia H= [03011310 Lia 000 [A10 90° 9 dp, hi 0000 s Za 9 000 9 Asp] , e H' costruita in modo analogo sostituendo ad «,8,..,% ordinatamente. a',B',...,4", così che sia VIT) + Bio +: 4410 = o + Bio +: + Mo, ecc. Si prova anzitutto che il prodotto di grado mw nelle (2), sia H®, ottenuto. da H sostituendo a ciascuna delle @,£,...,4 col primo indice 1 la corri- spondente @',f",...,' che compare in H', e lasciando tutto il rimanente. invariato, è = H (mod ®) (') (a questo scopo basta ripetere la dimostra- zione del citato Teorema II dello Hurwitz, con pure varianti formali) (?). Allora, analogamente, H° e quindi anche H, sarà congruo, rispetto al mo- dulo ®, a un altro prodotto di grado m, sia H‘, ottenuto da esso sosti- tuendo a ciascuna delle @,f£,...,4 col primo indice 2 la corrispondente a",B',...,4' col primo indice 2 che compare in H' e lasciando tutto il resto invariato. Così continuando, si arriverà a un prodotto HS-)=H (mod ®), il quale, in virtù della prima parte della dimostrazione, sarà altresì = H' (mod ®). Dalle considerazioni svolte emerge anche che la funzione caratteristice di Hilbert del modulo definito dalla varietà di Segre generalizzata Va, di. cui si è detto, è e) cosicchè, in particolare, per il numero 9 delle forme quadratiche linearmente: indipendenti che costituiscono la base del modulo ®, si ha 6) 93 +1) +2) — (SMP) (ie (A), La (5), che esprime la postulazione della Va per le forme di ordine m, permette dunque di scrivere (3) (1) Naturalmente, un risultato analogo si otterrebbe se si mutassero analogamente le @,8,..,4 con un altro primo indice. (2) Si osservi che essa sussiste anche se n. = 1 (sebbene lo Hurwitz escluda, per: ovvie ragioni, questa ipotesi dalle sue considerazioni). (3) Cfr. Severi, Mondamenti per la geometria sulle varietà algebriche. Rend. del Circ. Mat. di Palermo, tomo XXVIII, 1909 (ved. il n. 4). OO Si I. (gr n) n (i i n le) midT_-3 +m(* a ++ nem (1). ‘dove 77, , IT 3... 7ta-s SONO i generi aritmetici delle sezioni della Vg rispet- tivamente con spazi di dimensione N—-d,N—-d-+1,...,N—1 (dimo- dochè 77, + 1 è l'ordine della Va (*)). I valori di questi generi si possono ricavare dalla (7). Facendo m = — 1, si trova (" -- I) ( na) er 3) Tad-i1 3 v008 ° Pi Pe Ps Successivamente, facendo m = — 2, si ha 7-2, e così via fino a 7. Del resto, il valore di 7, si può ricavare direttamente paragonando nei due membri delle (7) i coefficienti di m°, e si ottiene, per l'ordine della V,, RE: 1 p 02 s (Pi an Dan m+1=nf A dc TT E i coefficienti di m°7 dànno, per le curve sezioni spaziali, i nWi noe .... nPs S pi(Pi + 1) deliclelae |da-n-Y 2 Si osservi ancora che il procedimento ricorrente di cui sopra prova che, se 7 è il massimo intero non maggiore di uno almeno fra i numeri ea Ni Na Ns sono nulle tutte le 77, ordinate per indice decrescente, fino a 7ra_, incluso, mentre la prima 7 non nulla è (*) Non occorre avvertire che si è trascurato, per scrivere la (7), un ultimo termine contenente a fattore il genere della Va, in quanto questa è razionale. — 100 — ni = e) Ca VO tan: = ( Pi ( i De )--( Ds . Per es., per la varietà di Segre da cui abbiamo preso le mosse, supposto” Pi = Pa =; Ps, SÌ ha stan =---= ap, = 0 (del resto le varietà sezioni della Va cui corrispondono questi generi sono razionali, poichè i loro punti sono rappresentati da quelle sl? di punti appartenenti agli spazi S®,8,..,89, tali che il punto dell'ultimo spazio appartenga a un dato spazio in esso contenuto), e ZA (O do, Ì di de Psr i Geologia. — Za serie paleozoica delle Alpi Carniche. Nota di MicHELE GORTANI, presentata dal Socio T. TARAMELLI (!). Dopo mezzo secolo di ricerche, dovute in minor parte a studiosi ita- liani (Pirona, Taramelli, Marinoni, Tommasi, Parona, Bozzi, Artini, De An- gelis, Marinelli, Vigo), in maggior parte a stranieri (Foetterle, Stur, Hauer, Hoefer, Hoernés, Stache, Suess, Tietze, Harada, Toula, Frech, Milch, Geyer, Rosiwal, Schellwien), il Paleozoico delle Alpi Carniche pareva ormai esatta- mente e sufficientemente noto quando, nel 1902, il sen. prof. Capellini pre- sentò a cotesta R. Accademia la mia prima comunicazione sul Permocarbo- nifero di Forni Avoltri (?). Insieme all'amico prof. Vinassa de Regny, che due anni dopo si era associato a me per intraprendere ex novo lo studio complessivo delle formazioni paleozoiche delle Alpi ‘Carniche, presentai alla XI sessione del Congresso geologico internazionale (*) un quadro generale dei terreni costituenti quella importantissima serie. Il quadro, che si disco- stava notevolmente dai precedenti, diede luogo a discussioni durante il Con- gresso medesimo e dopo; discussioni che, mentre non riuscirono a disarmare il più tenace degli avversari (‘), si chiusero con la leale accettazione dei nostri criterî da parte dell'Ufficio geologico austriaco (?). Durante questo periodo e, dopo la lunga pausa dovuta alla guerra, nelle escursioni compiute anche sul versante settentrionale della catena (a noi, (1) Presentata nella seduta del 6 febbraio 1921. (2) Vedi Rend. R. Acc. Lincei, ser. 5*,]XI, 2° sem., 1902, pp. 316-318. (3) Vinassa e Gortani, Le paléozoique des Alpes Carniques. C. R. XI Congr. géol. intern., Stockholm (1910) 1911, pp. 1005-1012. (4) Vedi Frech in C. R. XI Congr. géol. intern., pag. 1012; e in N. Jb. f. Min. ecc., 1915, II, pp. 255-256. (5) Alludo in modo speciale a cortesi comunicazioni epistolari del dott. Geyer, attuale Direttore dell'Ufficio, ed al risultato delle escursioni recentemente compiute coi suoi rilevatori dott. Furlani e dott. Spengler. Ù — 101 — prima, pressochè inaccessibile), nuove ricerche ci condussero a migliorare e completare i precedenti risultati. Ond'’è che mi sembra opportuno di riten- tare, sulla base di questi dati maggiori e migliori, la costruzione della ta- bella dei terreni costituenti il nucleo paleozoico delle Alpi Carniche a sud della Gaila (vedi pag. 100 e 101). La nuove osservazioni in parte furono già pubblicate, per esteso o in via preliminare, in parte sono in corso di stampa ('). Sarebbe quindi fuor di luogo, in questa Nota di carattere riassuntivo, dare ragione anche per sommi capi dei nuovi dati inseriti nella tabella, delle più minute suddivisioni e delle correzioni e modificazioni di vario genere che ho ritenuto di dovervi apportare. Credo utile, piuttosto, di completare il quadro schematico con poche osservazioni atte a meglio chiarirlo. La riconosciuta età carbonifera di filladi già attribuite al Cambriano, rimette in discussione l’età di tutte le formazioni cristalline della val Gaila e del Comelico, che devono essere ristudiate a nuovo; per adesso, i terreni più antichi, la cui età sia accertata, sono gli ordoviciani, dei quali in nessun punto si è potuto osservare l’imbasamento. Dall’Ordoviciano la serie è completa, con formazioni di mare general- mente poco profondo, e senza discontinuità, fino a tutto il Devoniano su- periore. Eocarbonica è la prima piegatura, con energico sollevamento e forma- zione della catena paleocarnica. L’erosione durò a lungo e fu assai potente e profonda (fino ad oltre un migliaio di metri), così da mettere a nudo il nocciolo ordoviciano delle anticlinali allungate ed ellissoidi costituenti quei primi rilievi. Il ritorno del mare fu certamente graduale. Nella maggior parte della regione la trasgressione è neocarbonifera; in certi punti può essere stata mesocarbonifera; in altri fu ‘addirittura eopermica. I depositi carbonici ed eopermici hanno carattere di formazioni litto- ranee; al disfacimento delle rocce eruttive porfiriche, porfiritiche e diaba- siche — venute a giorno alla fine del Carbonifero e al principio del Per- miano — sembra dovuta la colorazione caratteristica delle arenarie di Val Gardena. Il Permiano superiore ha carattere di deposito lagunare alla base, di mare basso alla sommità; sfuma con transizione graduale nei terreni eotrias- sici a facies \ittoranea, che lo ricoprono in concordanza sempre perfetta. (*) Vedine l’elenco nel mio lavoro: Progressi nella conoscenza geologica delle Alpi Carniche Principali, in corso di pubblicazione nelle Memorie della Società Toscana di sc. nat., vol. XXXIV. ui ———_—__——@——@——_—1111_À4——@@@ ‘9U0ISS9I1SS%17? 9 ezuepioosIip ‘tinzesoltg ‘BUNOeT ‘QUuOISS0QISSBII IP e10991g 2 3 (77) Db Na s SS7 Gi hg Cs red d SE E OTSESIE vw lea) eee SI ils EL È 5 S |ST5|FT93|3ÈP98EE E Si ® STSERE STR e SS CS (= eg x x È N 3 © SS D_- n e) A SIT S.$ © S E SIRIA È ia, [(=j 2 SUS DS S oo, | $ SS 8 S È 6 SÙ Ea È no 5 ‘nugmezid s1mprwoanpoy ‘smyvammsq “Sg ‘sabrosn) sofindg 3 _. due È. [Sf m. SI af È 3 È a . YO dI Si 2 2tTa SS E |S È TE ‘sano snponpos ‘ppououn ninardojnassgn,g ‘V]auDIDT wnpunIouo ® [; ST DI î & SISSI Ei Si S 1 2 ti d co L p, 10) mil . So - mi o) ‘ S e | SESSI S| ‘nbyum vurdio vuynsny U09 IS09ST9S TIOU LIBO[RO ‘TRIO è IHIOU 1IRRA Îi : = è IS 1 ; i SOS L I I I S | ‘gstos è 2 È I ES Sl ia Sì SS *DUTDUL STEDIDAI.T © ENI ì SLI Ri { 1 s 3 | quessed | "È È Pra SOR 2.2 |__| ‘mdasgnu *)g ‘stuopnboi *)] ‘vudfo vunnsny 09 t119U 1I89]R pi IRE o) d [e pi03 SaS TOSTI pts ? ZI] Ù b s (H a 3 Teo zia de 3 ; È SS È < SS Bere “apodomjonig ‘saprou "DUIEDUL SVEMIDA (ce) TU Ss (©) ora ea LTS = > Ù i A | { " sea SS ina ZA SESAITES SS 5& S 5 $ DE. | -nsnf È ap ‘8 fin ‘suiszouio, È, ‘09jNP “O ‘UMmust "O ‘8U9OA ® 2 2.| «Isomos | ‘51020700 snydnubouogg U09 19S10g PINO ‘SDIIIONN) ‘SVA0IOUSOT, ‘200NP "0 LO) ? Su Si Ss ° “(a LEI 101 "DI QUUN STYZL "0 ‘146 ay, ne 3) BSPS | (iurssuei) s9pn207U2 7 UO ISIS (cunpnlios unfipo po DAG UO Ù ° PI (al = | o DI) ‘Umprapio]ur DULOL]SQU ‘o dans "UL O ‘2]021]D = pps ” ° “pro 5 a Q è, = YI “aumen, I, ‘doygppli) IPI VOLI EIARBA! DS | SWAFI0YUMO ° I = ‘10punssDg s9Y}10179 H) Li ‘muovo “YIUfiz | Ud 19C]99 Si . SII è | SE IY@ZZIOI]IS I[[e.109 UO9 1V9I[e) LIB O[eo) UO) TIBO]EA) -1901 LIBOTEO n ln _——__— (ci __—_————__€—m cu al _- ul nd Pa — ia = a Pas e e, © a PERIERPIRE DE PERE Sante ST RIESI A “morutaoq vppouliosa dae = UL WIUQUOLOT] OM snipniyduona, dae DIADULOFO ANI] AJ i Ra n snuntpm st40] snjouDutaI,]; “Dojnosoy D}stse yy UO) ISIIS 0 LOU TIR9]RA) 2 È == ur lenti) See = © s 3 ® sogma-opnasi. safrndg ‘sdogntad S Sala BIO njpouoyniyz incolto) “SL ‘pontuoo nfi:surd4niy 09 LIETI LIB9TRA) 5 ici ù un 3 4 & a cai ‘ojonsuo;) Dfissurdany U09 TIETA TIVO E (On) Hi i D E SM 5: ® È, - È v v per 9. | E + o ‘stumumo? vsodogniti ù bl IA Hib , = e) (©) da -047S “UNI Y7I UNIDAYPP]I VULO AS VOSSVUTA e; ble * % i 9 ° e z 2 | -0UYI} AOULUL SUMNIMIOGNS DIUOSU[IMMT “SOPLOYI04] VILVULO] lari ni # i SEGR sine I dl = 3 co vw | 590907 11s90jtYyd SOpror} -OMMafzT ‘I840]IT “19 *dT ‘SN0MAVIPS 5 S Di "A HS | una “ydoynfig u09 1ITe) | -Dq ‘je snom mag U09 LIETA) 2 1 ; 3 ie) z PE (emo se) | 3 “i e s |$ se SA ‘psodobn fig UG9I 11CIeO *sn4o90uaydox[ A [= usi Un Ù il x Da (ID) [Si Fi SS “2UMPLYPM]I snqnapob sniaumpuag ‘saprogno © e D pan, È La ppi > ta sa n MUOSISOUMIF ‘SLUDIMILZILOGNS SIFI] -04d mpeuoymuiyna ‘sndsvursp 3 Sa n -00)7 ‘smsonas9 nsOdAYDA ‘Pago 7 an vdhay a E S ‘mmsondsano ‘ydoynfiguooTitote) | uyungo “o0burzgi 09 TIVOTEO te o|h. era] D Si i ACICIIAIIANI fim * ph CORO È Q sisuanip.09 sutfiggg ‘opmuvumon “UT . na È o : n © S ‘snubnd ‘gg ‘ruauivog mpauoyuRyz ‘sisuaynloso] va ponposg 09 TIVITEO 2 sa PERSO RE IE I O e II Lania fi © . a Ga ù < Pa ‘egoqulisopuio ‘0])2u2Y? 2 [e] ble BS, 25. | -ag ‘smoydorosguni], “140)SURTI SDLSIOPPLOKEY ‘19008 SDIIOUAOT S S| ‘mpmuigina vwostmImTT ‘nIsmdA niimuouopiso] ‘nwuaufizg uo) teen) ca TABELLA DEI TERRENI PALEOZOICI DELLE Atri CARNICHE PRINCIPALI. Rocce TAOIES CALCAREO-DOLOMITICA FACIES SCISTOSO-ARENACEA META- SROCOE MORFICHE E Calcari bituminosi e scistosi con Avicula striato-costata. Calcari bituminosi con Productus, Athyris vultur, A. Janiceps, s 5 2 = Peclen comelicanus, Bellerophon sertensisy B. [anus, E Calcari nerastri con Gymmnocodium De pr 1A 5 bellerophontis. z i) Dolomie cavernose; dolomie brecciate; gessi saccaroidi. Arenarie di Val Gardena rosso vinate, con intercalazioni grigio argentine ; ° n = talora scistose ; talora nodulose; Porfzititi DNS El rare traccie di vegetali. spiliti | £ | È e tu | S A & | Breccia del Trogkofel, a elementi di calcare a Fusulina e Schwagerina. Conglomerato o breccia |passanti al 3" | | S Calcari chiari o rossastri, talora brecciati, con Yusulina alpina communis, | di Val Gardena (elementi spec. quarzosi, PIC OVAL, E Schwagerina, Scacchinella, Entelztes, Popanoceras, Pseudophillipsia. cemento rosso vinato). Gardena. E = | (——| Calcari neri con Fu- | Calcari grigi o scuri con Yusulina alpina x DE ti: ES 59) 0 = È A dla Ta 2 n ES sulina carnica e T'e- communis. Schwagerina princeps, S. fusu- 5 |8 4 Sis/ì 3 EE) Borat, SE è . o 72E; PROCE E SS Sesto ° $ 5 trataris marima. linoides, Brachiopod E S S ISEE | d tati es i i È 5 i 2 = SSIS s ai ‘alcari neri con Fusulina alpina, F. reqularis, F. multiseptata, class Ssgeelza È 2. | passanti | £ ° h n 3 È So E.S|82 Ra) Dr i) Tetrataris marima. (SEI sSeabalsiag| S| |ascisti È Z lc qELS z 5 Ao STO A o s SES CA S E Caleari neri a Coralli; calcari neri scistosi con Pusulina alpina anliqua, Sè s IS E SAS È E Fi Conocardium Taramellii, Tuberculopleura anomala, Productus lineatus, |.2 È SleSsEosela]| E bi) GSS z È ELE Pi STE ar SI] © 22 Gi Spirifer fasciger, S. bisulcatus, Archaeocidaris pizzulana. Seb SI RESI S| 8 An O È SS s&|]o £So0o|l°S5|2| © SZ a iasst=ai 273624 ed Ca e o È glo 3 sS IS DE i s SR Sat S|58È Csi ai s|gosS|#zSs| 8 ZIE S Si) sense Ie Co) da PES È E » i ESSA da ; ESÌ 5 CES n Breccia Si © di trasgressione. Lacuna. Piegatura, discordanza e trasgressione. Ol Caleari con Clynenia, L'osidononja venusta, Murchisonia turbinata, | = S 7, : È > ui iS) a Tornoceras oti, Sporadoceras Munsteri, Trimerocephalus, De- EESI Fi gi 8 | chenella, Cyrlosymbote. SL s bic: =" i = Si = ao 12) ri con Productella forojuliensis, Rhynchonella Roemeri, Rh. pugnus, | E © n Zi B à È = to Th. acuminata, Athyris collinensis. Ò olo > — == = — © a o TRA 2 08 È alcari con Stringoe. Burtini, | Cale “| î a S Ò Li Atrypa Julii, A. flabellata, A. l'achypora cervicornis, Alveo- 38 si 8 Arimaspus, Rhkynchonella pro- | lites suborbicularis, Actinostroma E z| 8 s cuboides, Pentamerus galeatus, clalhratum. co i 2) P| E Kophinoceras Calcari con Syringopora, E ss | © | d pra e |a S| SS = S| 5 n = alia | È | Calcari con Pentamerus at. da- | Calcari con Cyathoph. Talian- | SE Saia es sckiricus, P, eî. Petersi, Pleuro- thoides philocrinum, Alveolites | 2 È" o|s = n x, c; tn ° bd tomaria lrochvides, Murchisonia suborbicularis minor, Actino- | 3 + Co o È Vinassaî. stroma clathratum italicum, Stro- | -= 3 SE nc matopora columnaris, pre ES 3 pelo) i IS ZE e|F E - cea |i 8 Calcari chiari con Aarpinskya Consuelo. Tera, a ||! ° = Gizi EI O S | Calcari chiari con KarpinsKya conjugula, K. Cemnycetri, Rhynehonella cor: S | 2 princeps, Spirifer pseudo-viator. Go Flea se. E ISS o | E cari neri © grigi con Merista herculea, Tremanotus fortis alpinns, 5 Pleurotomaria evoluta, Buomphalus Kokenî, Loronema ingens, = Hercynella bohomica. 5 “ — a Ul di È a È Calcari reti Calcari con Calenri ari con coralli sil i : s colati con | Rhynch, Megaera, î (Meliolithes Barrandei, ts 5 8 | Orthoceras Th. Zelîa, Grinoidi, | Cuathoph. Varameltii, Acti- ES,O Bi allicola, O. | Rh. Sappho, nostroma inlertertum, Cla- sE i i Richteri, 0. Orthis umbra, throdictyum requlare). Scisti con T'entaculites (rarissimi). | geisti E 5 = e potens, O. firmum, O. dulce, Vornocerus, Cyrtoceras, Cardiola interrupta, | Scisti con Monograptus colonus. | selciosi. |-p..2 Maminca, Arethusina, Enerimurus. Scisti con Iastrites peregrinus, Monogr. con- | #2 volutus, Diplograptus, Desmograptus, Den- 3 Caleari neri reticolati con Orthoceras sp. drograptus. (>) + = onto =— ne Se n Ss Ro E E DE: con Cistoidi (Corylocrinus). Sointi =] Actoniae, O. calligramma, Po- DO: n ont filladici. ir È rambonites, Prasopora, Hallopora, Monotrypa. — 104 — Geomorfologia. — Zo svolgimento dei fenomeni carsici. Nota di GAETANO RovERETO, presentata dal Socio ARTURO IssEL ('). Conformemente a quanto ho esposto in due mie Note precedenti, inse- rite in questi Rendiconti, tratto ora dello svolgimento regionale del feno- meno carsico. Il Penck ha applicato nel 1904, e forse per la prima volta, il concetto del ciclo davisiano allo svolgimento dei fenomeni carsici (*). Raccolse quattro anni dopo questo pensiero il Sawicki, trattando del carso slovacco, e in se- guito delle Causses francesi, e soprattutto del carso tipico (*). Non persua- sero le sue conclusioni il Krebs (4), il quale ebbe a criticarlo in una Nota bibliografica; ciò che richiamò una risposta del Sawicki, in cui questi ri- tornò a voler restringere, nel chiuso sempre più fitto di un inaccessibile reti- colato spinoso, il curioso e così aberrante fenomeno del carso nelle sue più caratteristiche conseguenze (5). Il nostro valente e compianto De Gasperi ebbe a parlare di un ciclo di sviluppo delle grotte, di gioventù, di maturità, di vecchiaia, di decrepitezza, di morte delle stesse, ciclo che in realtà, riferen- dosi solo al regime idrografico, non è relazionato con l'età della grotta, ma con le mutazioni nelle condizioni della circolazione sotterranea regionale (9). Ora a noi pare, che volendo studiare in modo semplice, come è nato e si è svolto il fenomeno del carso, si debba rifuggire da un metodo il quale non comprende a sufficienza, nelle loro rispettive influenze, le varie cause concomitanti che hanno accompagnato l'origine, lo sviluppo, l'arresto del fenomeno, o hanno protetto e conservato produzioni non sue. Il carsico, come è noto, è uno dei fenomeni che nel quaternario fu con- comitante con lo svolgimento dei cicli climatici di tale periodo, senza che rispetto ad esso l'alternanza di questi cicli abbia lasciato traccie determi- nate. La sua più antica conseguenza sono, a nostro credere. per la regione italiana, quelle depressioni chiuse della Sabina, già ampie uvale, nelle quali si son depositati, insieme a strati a Mel/amopsîs, parecchi metri in altezza di ligniti terrose e xiloidi: siamo con ciò nel villafranchiano, alla fine del (*) Presentata nella seduta del 20 marzo 1921. (2) Penck A., Das Karstphaenomen. Schrift. d. Ver. zur Verbreit. Naturwiss. Kenntn. in Wien, 1904. (*) Sawicki L., Beitràge sum geograph. Zyklus im Karste. Geogr. Zeit., vol. XV, 1909. (4) Mitt. Geogr. Gesell., pag. 402, 1902. (5) Mitt. 1. cit.. pag. 600, 1909. ‘ (9) De Gasperi G. B., Grotte e voragini del Friuli. Mondo Sotterraneo, vol. XI, pag. 163, 1910. i — 105 — pliocene superiore, o sui principî del quaternario (1). Ebbene queste antichis- sime uvale svelano un'azione carsica uguale a quella del quaternario supe- riore e medio, e quando sono ricolme sventrate distrutte ciò è dovuto agli effetti della continuata erosione regressiva, che in vero fu molto notevole, avendo affondato per più di duecento metri di altezza le locali diramazioni idrografiche. Difatti nella stessa regione della Sabina alcune di queste antichissime uvale e doline, situate al di fuori dei rami idrografici, sono perfettamente conservate: e in una di esse, quella di Catino presso Poggio Mirteto, alcuni commentatori vi videro l’umbilicus Italiae di Plinio (*). Un'altra protezione contro il carso, nella stessa regione e altrove, fu dovuta ai depositi argillosi impermeabili formatisi in fondo a tali conche carsiche; ma dove protezioni non esistevano, la dissoluzione operata dalle acque straordinariamente carbonicate del quaternario inferiore e medio — se- condo la nostra classificazione (*) — raggiunse in breve grandi proporzioni, e quando fiorì la ricca fauna eurasiatica della terza infraglaciale, essa trovò rifugio, per molte delle sue specie, in numerose caverne di già morte, per- fettamente asciutte, non per il fenomeno in sè, ma lo ripetiamo, per il grande approfondimento dei solchi vallivi. Nel contempo si erano ferrettiz- zate le morene antiche. Come in tutti i fenomeni collegati con le condizioni atmosferiche, abbiamo in quello carsico uno svolgimento di variabile intensità e acceleramento a seconda dei tempi, e per di più un processo poco regolato dalle condizioni del medio in cui sì esercita, ma molto influenzato da agenti di origine estranea. Da questo uno spiccato carattere di accidentalità, di mancanza di regola, di discontinuità, che non obbedisce a nessuno svolgimento ciclico. Espongo come ho immaginato i processi per alcune delle condizioni car- siche più note, e ciò per sottoporli alla critica. Il Timavo è un tipo di fiume sotterraneo, che si può dire ad aufosot- terramento. Esso aveva un corso superficiale, all'incirca secondo la direzione che oggi intercede fra le sue bocche e la Grotta di San Cansiano. Le sue acque hanno cominciato a sparire sotterra, così suppongo, per un inghiotti - toio situato in un tratto presso la foce; in seguito sono a mano a mano pas- sate per altri inghiottitoi, apertisi sempre più verso le origini, dei quali due sono ancor oggi ben evidenti, quello dei Serpenti e l’altro di Trebicciano; (1) Mi riferisco soprattutto alle uvale TA 001 della valle dell’Aja; i fossili furono. da me raccolti in quella della Madonna di Colafonte presso Cottanello. (2) E rappresentata da un’incisione in rame che accompagna la traduzione di Vir- gilio curata dal padre Ambrogi, e pubblicata nel 1765; sarebbe quindi questa la prima rappresentazione figurata di una dolina. Dello stesso secolo, il Ximenes pubblicava, nel 1747, un rame del carsico Arco della Pania nelle Apuane, e il Botti, nel 1766, rappre- sentava il ponte naturale, pure carsico, di Veia nel Veneto. (3) Boll. Soc. Geol. Ital., vol. XXXVIII (1919), pag. 11. — 106 — in fine sono mancate dove si aprono le voragini di San Cansiano. E il pendìo dell'ultimo tratto è tale. da rendere possibile un ulteriore spostamento a spese di ciò che rimane di superficiale, ossia a spese del Recca; ed è anche evidente che un tale allungamento sotterraneo può avvenire solo in questo modo. Nella valle dalmata della Cettina abbiamo il tipo della 2drografia sot- terranea che noi chiamiamo 4« cefalovrisie, e di cui nel nostro lavoro su quella valle abbiamo dato una spiegazione, che per brevità qui non ripe- tiamo; però insistiamo ancora su di essa, benchè non sia stata presa in considerazione (1). Per comprendere come si è svolta la determinazione di una caverna, la quale rappresenta uno dei fenomeni carsici più usuali, bisogna soprattutto stabilire la provenienza delle acque sotterranee che l'hanno vuotata. Si pos- sono, partendo da questo principio, introdurre varie distinzioni di gruppi. Uno dei principali è quello in cui correnti sotterranee furono provenienti dall'interno della massa montuosa nella quale la caverna si apre, e in questo entrano le caverne di sbocco e le assorbenti del De Gasperi, e anche molte delle izastive dello stesso (es. Caverna delle Vene in Val Tanaro, una delle più grandi nei Monti Liguri). Altro è quello in cui le correnti sotterranee provenivano da dove è ora il-vuoto vallivo, supposto respinto dal Martel, ma che è l’unico applicabile, ad esempio, alla Caverna delle Fate nel Fi- nalese, tutta estinta, con grande camera di entrata e cunicoli diramati verso l'interno sempre più ristretti. Un terzo comprende le caverne in parte dovute a correnti del vuoto vallivo, e in parte a correnti esistenti nell'interno della massa montuosa presistente, come ne è esempio la Caverna della Pollera nel Finalese, che ha un androne di entrata estinto, anteriore all'approfondi- mento della valle, e cunicoli interni tuttora attivi. Un quarto gruppo, e non ultimo, è quello dovuto a correnti con perdite laterali, o con autosotterra- mento per un tratto del letto (es. Caverna delle Fascette in Val Tanaro); e così via. Il nostro metodo di studio delle regioni carsiche richiede inoltre, che con le funzioni distruttive, sì esaminino le funzioni costruttive, le quali sono di secondaria importanza, e le funzioni protettrici, che sono più no- tevoli di quanto non si ammetta, e sulle quali bisogna insistere. Noi le abbiamo invocate, senza essere seguìti, per spiegare la conser- vazione del polje dalmato, dopo aver detto come questo polje non sia altro che una conca pseudotettonica, simile alle conche lacustri villafranchiane dell'Appennino, mantenuta intatta nelle sue forme per la sospensione del- l’azione regressiva delle correnti. Anche la vallona dalmata si conserva per la stessa influenza protettrice e indiretta del carso (2), ossia per la mancanza di alluvioni di riempimento. (1) Rovereto G., Studi di geomorfologia, pag. 195. (?) Rovereto G., Studi! di geomorfologia, pp. 170 e 180. — 107 — Biologia. — Intorno al cielo biologico dell’ Aploneura len- tisci Pass. (Hemiptera-Homoptera-Aphidoidea). Nota preventiva di Guipo GRANDI, presentata dal Socio F. SiLvestRI (!). L'Aploneura lentisci Pass. è un Eriosomatino (?) policiclico polimorfo (esamorfo) dioico, la cui legione epigea (gallecola) si sviluppa sul Lentisco (Pistacia lentiscus L.) e quella ipogea (radicicola) su Graminacee (io l'ho osservata sulla Dactylis glomerata e su di una specie indeterminata di Anthorantum). — Le forme che essa comprende sono le seguenti: 1) Fon- datrice (attera e virginopara); 2) Virginopara attera gallecola; 3) Virgino- para alata migrante; 4) Virginopara attera radicicola; 5) Sessupara alata reimmigrante; 6) Maschio e femmina amfigonica (sessuali). Le prime larve della /ondatrice sono caratteristiche per i sei lunghi peli a bottoncino terminale inseriti all'estremo distale del 2° articolo del tarso (una coppia dorsale ed una mediana o submediana) ed al pretarso e per i due lunghi peli semplici ventrali del 1° articolo del tarso di tutte tre le paia di zampe (3); esse si trovano a Portici vaganti sulle giovani foglie del Lentisco intorno alla terza decade di Aprile. Durante quasi tutto il mese di Maggio le galle da me osservate ospitavano la sola fondatrice. Le più grandi che io ho trovate contenere una prima larva di fondatrice misuravano 7 mm. di lunghezza per 3 mm. di larghezza; quelle contenenti una larva della seconda età (la fondatrice più un esuvia) 12 mm. per 6 o 1l mm. per 7: quelle contenenti una larva della terza età (la fondatrice più due esuvie) 13 mm.’ per 7; quelle contenenti una forma della quarta età (la fondatrice più tre esuvie) 21 mm. per 8. Queste dimensioni non hanno alcun valore assoluto, ma dimostrano come la fondatrice da sola possa con- durre il cecidio ad un punto notevole di sviluppo. Alla fine di Maggio essa ha raggiunto generalmente la maturità e si distingue facilmente dalle altre gallecole adulte anche a debole ingrandimento, per il numero degli articoli delle antenne che è di 4 anzichè di 5. La sua attività prolificatrice sì pro- lunga da Giugno a Settembre per quanto, in riguardo al numero degli indi- (!) Presentata alla seduta del 6 marzo 1921. (2) La posizione sistematica del gen. Aploneura Pass. secondo l’ultima classificazione del Baker (cfr. Baker, A. C., Generic Classification of the Hemipterous Family Aphididae, U. S. Departm. Agr., Bull. 826, 10 agosto 1920, 93 pp., 16 tav.) è la seguente: Superfam. Aphidoidea, Fam. Aphididae, Subfam. Eriosomatinae, Trib. Melaphini. (3) Questi peli sono sostituiti dopo la prima muta (nella larva della seconda età cioè) da peli semplici e brevi. Anche nelle altre forme del ciclo, i peli capitati, quando esistono, sono proprî delle larve della prima età. — 108 — vidui partoriti, sia molto modesta e inferiore a quello delle virginopare attere gallecole. Dalle mie osservazioni resulta che ciascuna fondatrice de- pone circa una ventina di larve (o poco più), le quali diverranno virginopare attere gallecole. Alle fine di Settembre io ho isolato parecchie fondatrici trovate nelle galle ancora in buone condizioni e tutte mi hanno partorito ancora qualche neogallecola. La loro vita è, relativamente, molto lunga ed in Novembre, quando si è già iniziata la sciamatura delle virginopare mi- granti, esse si rinvengono ancora e facilmente nei cecidî, raggrinzite, colorate intensamente di ferrugineo, quasi prive di secrezioni cerose, poco agili, ma ancora Vitali. Le prime larve di virginopare attere gullecole si distinguono subito dalle prime larve della fondatrice per possedere uno o due peli capitati lunghetti all'estremo distale del margine dorsale del secondo articolo dei tarsi delle zampe medie e posteriori; gli altri peli e tutti quelli delle zampe anteriori sono semplici e brevi. Le larve deposte per prime raggiungono la maturità verso la fine di Giugno attraverso quattro mute. Nel mese di Luglio infatti si rinvengono nelle galle oltre la fondatrice e le attere virginopare, anche le larve parto- rite da queste, in via di sviluppo. Le ultime virginopare attere deposte dalla fondatrice in Settembre non possono evidentemente cominciare a proli- ficare che alla fine di Ottobre o nei primi di Novembre e ciò spiega come sia possibile in questo mese, in piena sciamatura di migranti, e pure in Dicembre, rinvenire nelle galle delle larve di alate ancora indietro nello sviluppo e come si possano trovare cecidî contenenti un discreto numero di alati e di ninfe anche in una stagione molto inoltrata: in Gennaio, in Feb- braio, perfino in Marzo. — Contrariamente alle apparenze fra Maggio e No- vembre io ho ragioni di credere probabile (1) che si svolga nelle galle una sola generazione di virginopare attere che nascono dalla fondatrice durante questo periodo di tempo e che è facile rinvenire adulte, insieme con la vecchia madre, a Dicembre inoltrato. La prole della fondatrice (neogalle- cole gallecole) e, come vedremo. quella delle virginopare attere (neogal- lecole migranti) sarebbero pertanto monomortiche unipotenti e si evolvereb- bero esclusivamente e rispettivamente in attere gallecole e in alate migranti. Ciascuna virginopara attera gallecola partorisce dalla fine di Giugno in avanti un discreto numero (30-40) di larve che, se è conforme al vero la mia supposizione, dovrebbero divenire tutte indistintamente alate, destinate (1) Questa supposizione è stata doterminata dalle osservazioni fatte, durante i mesi di Maggio- Novembre, su di un grandissimo numero di galle; osservazioni che compren- devano l'esame completo e accuratissimo del contenuto dei diversi cecidî. I resultati ottenuti sono stati in parte controllati con allevamenti sperimentali (io sono riuscito a coltivare in vaso il lentisco); non credo però al riguardo di poter ancora venire ad affer- mazioni definitive. — 109 — a migrare ed a iniziare sulle Graminacee il ciclo radicicolo (legione ipogea). Queste larve, (neogallecole migranti) hanno, come le neonate da fondatrice {neogallecole gallecole), 1 o 2 peli capitati lunghetti all'estremo distale del margine dorsale del secondo articolo dei tarsi delle zampe medie e posteriori e gli altri peli, e tutti quelli delle zampe anteriori, semplici e brevi. Già alla fine di Agosto la gran maggioranza delle galle è abitata da una popolazione numerosissima che comprende la fondatrice, 15-20 virgino- pare attere adulte e diverse centinaia di larve, di preninfe e di ninfe di alati; alla fine di Settembre io ho contato in molte galle, oltre alla fonda- trice e alle madri attere virginopare, sette od otto centinaia di Jarve, pre- ninfe e ninfe di alati. Intorno alla metà di questo mese si rinvengono anche le prime migranti adulte le quali compaiono però in gran numero solo verso la fine di Ottobre, per iniziare la sciamatura nella prima o nella seconda decade del mese successivo. La fondatrice vive sette mesi ed anche più ed egualmente, o poco meno, le attere virginopare monoiche. Le virginopare alate migranti sì portano ai piedi delle Graminacee nominate e depongono delle larve che si evolveranno in attere radicicole. Queste forme migranti si adattano con grande facilità alle piante che si mettono sperimentalmente a loro disposizione e depongono facilmente le larve anche in capsule Petri, sulla carta bibula o sul vetro, dopo essere state tolte direttamente dalle galle. Il numero dei nati da ciascuna di esse è molto piccolo; le mie note non lo registrano superiore ad 8 ed inferiore a 6. Si sviluppano attraverso quattro mute e divengono adulti in 30-32 giorni, costituendo le virginopare attere della legione ipogea ( Virginogenia di Bòrner). Le neoradicicole si distinguono dalle neonate di tutte le altre forme del cielo perchè sono fornite alle antenne e alle zampe di peli molto lunghi, ma semplici. Le mie osservazioni non sono complete in riguardo al numero delle generazioni delle attere radicicole, ma se ne argomento dal fatto che nei primi giorni di Marzo mì fu possibile isolare alcune madri prolificanti ed ottenerne neoradicicole che divennero adulte il 26-27 dello stesso mese e che cominciarono a partorire il 30-51 Marzo e l'1-2 Aprile, debbo concludere che il ciclo radicicolo delle virginopare attere comprende almeno 3 generazioni. Ì I primi alati sessupari reimmigranti (pistaceotassici) appaiono in Aprile; essi sono morfologicamente molto simili agli alati migranti virginopari, vo- lano sul Lentisco e depongono gli individui amfigonici. Se si portano diret- tamente su detta pianta, si rifiutano di adattarvisi. Ciò sembrerebbe in re- lazione coi fatti messi in luce dal Marchal (1918) per i Chermes: in questi Afidi la migrazione che eseguiscono ì sessupari pare costituisca un atto ne- cessario alla loro maturazione e, probabilmente, alla differenziazione della sessuparità; maturazione e differenziazione che si constaterebbero attenuate prima della migrazione od a migrazione impedita. Le sessupare che io ho — 110 — obbligato a rimanere in cattività, rinunziando alla migrazione a cui sono spinte da tassie determinate, mi hanno deposte larve di amfigonici dei quali le $ $ si sono evolute più o meno regolarmente, mentre i o 7 sono tutti morti prima di raggiungere la maturità. — La fecondità delle sessupare è ancor più debole di quella degli alati virginopari; esse depongono 4-6 larve di amfigonici; in ogni deposizione sì riscontrano sempre individui di ambo i sessi. I 2° e le $$ neonate hanno antenne di 4 articoli e 4 peli ca- pitati in tutte le zampe; due all'estremo distale del margine dorsale del secondo articolo del tarso e due al pretarso. Un capitolo interessante della biologia dell'Aploneura del lentisco e quello che riguarda la possibilità di una continuazione del ciclo ipogeo (ra- dicicolo) durante l'estate (possibilità dipendente da una bipotenza delle radi- cicole delle generazioni primaverili (dimorfismo indotto di Grassi)) e della conseguente esistenza di un ciclo partenogenetico radicicolo che si svolga parallelamente a quello amfigonico dioico. Mi porta a credere questo fatto ammissibile il rinvenimento, avvenuto il 4 Agosto 1920, di una TRE attera radicicola e di tre larve neonate. Nella Memoria in esteso sarà trattata minutamente la morfologia dui singole forme e, inoltre, la morfologia esterna e l'anatomia degli stati po- stembrionali dei simbionti dell’Aploneura fra i quali i due più economica- mente importanti nei riguardi dell’Afide sono, a Portici, la Pipizella Heringi Zett. e la Zeucopis Palumbii Rond. Biologia. — Ricerche morfologiche sul preparato centrale di rospo. Nota di E. SERENI, presentata dal Corrisp. S. BAGLIONI ('). In relazione ad alcune ricerche di ordine fisiologico, che ho avuto campo di eseguire sul preparato dell'asse cerebro-spinale di Bufo ideato dal Ba- glioni, ed i cui risultati ho riferiti nella Nota precedente, ho voluto ricer- care le eventuali alterazioni istologiche delle cellule dei centri nervosi in esame. Le mie ricerche si sono, di massima, rivolte solo allo studio delle cellule del midollo; e, fra queste, più specialmente alle grosse cellule delle corna anteriori. Solo di queste riferirò. ; I midolli studiati sono stati venti; di ciascuno ho fatto sezioni in serie complete. Per la fissazione ho usato il liquido consigliato dal Lugaro (alcool assoluto con 5 % di acido nitrico); per la colorazione ho adoperato la tio- nina, il bleu di toluidina, la fucsina, il metodo di Held, una doppia colo- razione di bleu di toluidina ed eritrosina. (*) Presentata nella seduta del 6 febbraio 1921. ai: Cà SL Per quel che riguarda le condizioni del midollo sopravvivente dopo l'isolamento dell'asse cerebro-spinale, rimando alla Nota precedente. Prima di ogni altro studio, data la discordia fra i varî autori, tentai di stabilire come si presentano le cellule delle corna anteriori del midollo, quando sia fissato appena estratto dallo speco vertebrale, in condizioni cioè presumibilmente più vicino alle normali. Mi risultò che, nel Bufo, esse si presentano come cellule fusate e triangolari, con grossi prolungamenti: le zolle, ben distinguibilî, non sono molto fitte nè colorate, più grandi ed irre- golari verso il centro della cellula, allungate alla periferia e nei dendriti; spesso accennano ad addensarsi intorno alla parete del nucleo. Questo è grande e chiaro; bene si distinguono (specie col bleu di toluidina) il reti- colo di linina e la membrana; è costantemente sferico, di solito centrale, raramente eccentrico (nel 12,5%, delle cellule), (media di varie centinaia). Il nucleolo, che è costante ed appariscente, è normalmente centrale, e, se è spostato verso la parete del nucleo, non lo è di troppo; i colori basici lo colorano incompletamente; alla sua periferia appaiono spesso delle grosse zolle semianulari (2-3) che sono invece da essi intensamente tinte. Questi miei risultati concordano perfettamente con quelli del Levi (1). Nei midolli usati per le esperienze, è opportuno riferire separatamente i risultati delle cellule della 2utumescentia anterior e di quelle della posterzor ; dato che mentre le seconde erano connesse ai loro apparecchi periferici, ed erano sede frequente di riflessi durante il corso della esperienza, le prime erano isolate per il taglio dei loro nervi. Il primo fatto capitale e generale, è l'assenza completa della cromato- lisi in tutte le cellule, se se ne eccettua una certa percentuale con colora- zione più o meno diffusa (circa 30 % delle sezioni del rigonfiamento poste- riore; 20% di quelle dell'anteriore). Questo contrariamente ad ogni legit- tima aspettativa. Nessuna altra alterazione potei notare a carico delle zolle; solo, in circa 40% delle sezioni del rigonfiamento anteriore, notai interi gruppi di cellule più piccole e più colorate che di norma, con zolle non bene indivi- duate. Piuttosto ingrandite invece parevano le cellule del rigonfiamento po- steriore. Varie alterazioni si possono invece riscontrare a carico del nucleo e del nucleolo. Il nucleo, raramente granuloso, frequentemente ingrandito nel rigonfiamento posteriore, è spesso più o meno eccentrico, con frequenza assai diversa nelle due 22/umescentiae; nel 23,4% delle cellale del rigonfia- mento anteriore; nel 46,9% di quelle del posteriore; differenza evidentis- sima, del doppio, quasi. Anche il nucleolo è assai spesso eccentrico; lieve- mente nel rigonfiamento anteriore, fortemente, fino a spingersi contro la pa- (') Levi Giuseppe, Rivista di Patologia nervosa e mentale, I, 1896, pag. 141; Id. id., II, 1896, pp. 193-244. RENDICONTI, 1921, Vol. XXX, 2° Sem. 15 — 112 — rete del nucleo, nel posteriore; esso appare anche ingrandito, assai più spesso nella intumescentia posterior che nella anterior. Poche differenze ebbi a notare fra i varî preparati, nonostante la assai diversa durata della loro sopravvivenza. Nessun speciale aspetto ebbi a no- tare nei preparati che erano stati stricninizzati. Da quanto ho detto, appare come i miei risultati non concordino con quelli di precedenti autori che hanno lavorato su materiale e in condizioni analoghe alle mie [per esempio il Gordon Holmes (!)], se non in parte. Mentre, quanto io ho notato rispetto al nucleo ed al nucleolo, combina abba- stanza bene con i risultati di questo autore, completamente in antitesi sono le osservazioni rispetto al comportamento delle zolle; che mentre persistono nei miei preparati, scompaiono completamente per cromatolisi in quelli del Gordon Holmes. Varie ipotesi ci si presentano a spiegare questo fatto, a prima vista enigmatico (per esempio, l'aver io lavorato sul rospo ed il Gordon Holmes sulla rana, la insufficiente durata della sopravvivenza dei miei preparati, ecc.), ma tutte mi sembrano poco soddisfacenti, fuori che una. Le rane, i midolli delle quali furono studiati dal predetto autore inglese, erano state sottoposte alle esperienze del Verworn (*) con circolazione artificiale di soluzione fisio- logica; nei miei preparati invece, il circolo era mancato completamente. È, questa, l’unica, ma capitale, differenza sostanziale fra le condizioni di ‘esperimento del (tordon e le mie; è a questo fattore che credo ci si debba richiamare per spiegare l'assenza della cromatolisi nelle mie sezioni. Nel preparato del Baglioni, per quanto il catabolismo sia attivo (quale deve eesere sotto l’azione della stricnina) e la sopravvivenza senza apporto di ma- teriali prolungata (fino a 64°), la cromatolisi non compare, perchè manca il circolo ad asportare i materiali di rifiuto della cellula. Nel preparato del Verworn e nelle sezioni del Gordon Holmes, la cromatolisi è invece tanto più intensa, in quanto, persistendo il circolo, esso non apporta nuovi ma- teriali costruttivi, ma solo può lavare la cellula di quelli catabolici. Spiegando in questo modo l'assenza di cromatolisi nei miei preparati, mi sembra si debba necessariamente ammettere che le loro zolle cromatofile siano, almeno in parte, costituite di sostanze chimiche diverse dalle nor- mali. Una constatazione che si può avvicinare a questa mia, sulla necessità della integrità del circolo perchè appaia la cromatolisi, è contenuta in un'antica osservazione del Righetti (*) sull'assenza di cromatolisi nelle cellule del mi- dollo, dopo l'occlusione permanente dell'aorta addominale. (1) Gordon Holmes, Zeitschrift f. allgemeine Physiologie, II Bd, 1903, pag. 502. (3) Verworn Max, Archiv. f. (Anatomie und) Physiologie, 1900, pag. 385; Id. id., Archiv. f. (Anat. u.) Physiologie, Supplement, Band 1900, pag. 152. (*) Righetti R., Rivista di Patologia nervosa e mentale, IV, 1899, pag. 153. — 113 — Botanica. — 7y/omyces gummiparus. n. sp., prototipo di un nuovo genere di Ifomiceti. Caratteri biologici e sistematica del fungo (*). Nota II del dott. Jone ComanpuUCCI CORTINI, pre- sentata dal Socio R. PIROTTA (°). Proseguite le ricerche sul 7y/omyces gummiparus, delle cui caratteri- stiche morfologiche mi sono occupata in una precedente Nota, sono oggi in grado di riferire alcune notizie sul suo comportamento biologico e comin- cerò col parlare dei risultati ottenuti dallo studio del fungo in colture pure. Germinazione dei conidi. — In coltura in goccia pendente, i conidi del nostro fungo si rigonfiano rapidamente. sì da mostrarsi ristretti aì setti ed assumere l'aspetto di una coroncina di quattro articoli. Essi iniziano ra- pidam ente la germinazione, che, a temperatura ambiente di 10-13°, si veri- fica per lo più entro le 24 ore (fig. 15). Questa nella grande maggioranza dei casi avviene dapprima ad un estremo; quivi il protoplasma rompe la membrana, fa screpolare il callo e fuoriesce sotto forma di una goccia jalina rifrangentissima che si riveste di sottilissima membrana; poi si allunga for- mando un filamento che ramifica molto parcamente conservandosi ialino e che poi produce dei setti trasversali. Intanto la germinazione è avvenuta anche all’altro estremo o nelle cellule mediane, sì che si possono vedere i conidi germinati o in una qualunque delle quattro cellule che li compon- gono, o in due o in tre o in tutte e quattro (figg. 16, 17, 18, 19 e 20). Qualche giorno dall'inizio della germinazione i conidi cambiano aspetto, perchè le singole cellule si sono talmente rigonfiate da apparire sferiche (figg. 24, 26) e qualche volta avviene che esse si disarticolano assumendo l'aspetto della fig. 28. I conidi che germinano con molto ritardo producono un'ernia rotondeg- giante (figg. 21, 22) che si prolunga in un filamento micelico che presenta prestissimo qualche setto, mentre nei conidi a rapida germinazione ciò av- viene molto più tardi quando le ife si sono già variamente ramificate. Non è necessario che un conidio sia maturo per essere atto alla ger- minazione; infatti ne ho trovato spesso di quelli ancora formati di due sole cellule che avevano germinato in ambedue dando un promicelio che si setta prestissimo (fig. 23). Nelle colture a goccia pendente tra il secondo ed il quarto giorno dal- l’inizio della germinazione si osservano alle estremità delle ife (tig. 29) o (!) Lavoro eseguito nella R. Stazione di Patologia Vegetale di Roma. (?) Presentata nella seduta del 6 marzo 1921. — 114 — su piccoli diverticoli laterali del micelio, dei punti rifrangentissimi che sono la bozza del conidio che si formerà su queste parti che rappresentano dei conidiofori pochissimo differenziati. Seguendo con cura questi abbozzi si nota che essi si rigonfiano leggermente ed in breve si differenziano in conidi che di lì a poco sì distaccano dall’ifa restando liberi nel liquido. Essi sono ialini, bacilliformi, con le estremità arrotondate, biguttulati, misuranti 3,5 — 6x%1,5-2. Si può ritenere che ogni conidioforo in ventiquattro ore ne possa formare sei o sette, perchè tanti se ne osservano nelle immediate vicinanze di un'ifa fertile. Questi conidi (fig. 32), rappresentano la forma conidica secondaria, o forma microconidica del nostro fungo. Essi germinano con grande facilità dando un esile filamento micelico, generalmente breve, al cui estremo non di rado sì differenzia un conidio in tutto simile a quello. dal quale proviene, ma più piccolo della metà (fig. 33). Non ho osservato queste successive generazioni di conidi che nelle colture in goccia pendente, quasi che, non trovando il micelio che proviene dal microconidio, un terreno. adatto al suo sviluppo (perchè osservato in acqua sterile) produca altri co- nidi attendendo che le condizioni si facciano più propizie. Un fatto molto comune in queste colture in goccia pendente, è di tro- vare dei conidi disposti parallelamente, nei quali la germinazione è avve- nuta dalla parte in cui le cellule si fronteggiano: i tubi di germinazione si sono incontrati e si sono fusi due a due in modo da simulare un vero e. proprio atto sessuale. È da supporsi che si tratti di un semplice fenomeno di tassia, perchè germinano ugualmente bene anche i conidi che non si ac- coppiano. In ogni modo il fenomeno si presenta così frequente e il mate- riale in questione si presta tanto bene allo scopo, che merita la pena di uno studio più accurato, cosa che mi propongo di fare in seguito. Ho trovato anche qualche caso di germinazione perforante (fig. 27): nella figura è rappresentato un conidio il cui tubo di germinazione partente dalla seconda cellula, ha perforato la pareti delle altre due, vuote di con- tenuto, attraversandole ed uscendo dall’estremità opposta del conidio. Caratteri colturali del fungo. — Esso sì coltiva benissimo in substrati magri; dopo due o tre giorni dall'inoculazione si eleva dal substrato un fitto feltro bianco candido di micelio che invade anche in parte le pareti di vetro del tubo; entro una dozzina di giorni al massimo, il feltro imbru- nisce, riproducendo l’efflorescenza vellutata nero olivacea che si riscontra in natura. In coltura il fungo non perde le sue caratteristiche essenziali e si trovano i conidi olivacei riuniti da abbondante callo in lunghe catene. Ho tentato indagini sulla natura di questa sostanza saldatrice dei co- nidi ed essudata dalle ife superficiali del micelio del fungo, ma fino ad ora non ho ottenuto che risultati negativi. Ho provato a discioglierla con gli acidi cloridrico e solforico, con potassa in soluzione concentrata, con acqua di Javel, sempre inutilmente. La potassa sola decolorava un po’ il — 115 — fungo rendendolo di un bel colore sangue di drago. Hanno fallito anche le colorazioni con il bleu di anilina e con il Sudan III° restando perciò escluso che si tratti rispettivamente di sostanza analoga alla callosi che tiene uniti i conidi del Cystopus candidus e di sostanze grasse. Sistematica. — La posizione sistematica del fungo in questione è cer- tamente molto vicina a quella. della Fusarzella Sacc., di cui Saccardo (*) dà questa diagnosi : « Hyphae fertiles simplices v. varie ramosae, breves v. brevissimae e mycelio repente oriundae, subhyalinae. Conidia acrogena fusiformia, curva, 2 pluriseptata, olivacea v. fusca. Ob formam conidiorum ad Fusarium quo- dammodo accedit, habitus vero toruloideus ». La forma dei conidi è su per giù la stessa, ma quelli del nostro ge- nere sono catenulati nel modo sopradescritto, carattere importantissimo che ci permette di differenziarlo da /usarze/la, dove i conidi non sono catenu- lati. Fra le pochissime specie di Fusarzella descrìtte, quella che più si avvicina al nostro fungo è la Y. viridi-atra Sacc. ( Fusisporium atrovirens Berk.), della quale il Saccardo dà la seguente diagnosi: « Atrovirens, effusa, pulverea: conidiis fusoideis, curvulis 3 septatis ad septa leniter constrictis 25-30x%6-8, olivaceo fuscis utrinque acu- tiusculis, sporophoris saepius furcatis subhyalinis, filiformibus suffultis. Z/u- bitat: in foliis caulibusque Alliorum putrescentibus. Vittorio Ital. bor.; in charta bibula putri Newfield, New Jersey, Amer. bor. (J. B. Ellis). Sarebbe stato mio desiderio poter confrontare il fungillo da me trovato con esemplari di /usarzella per meglio sincerarmi dei caratteri differen- ziali, ma fino ad ora ciò non mi è stato possibile. Comunque, allo stato attuale delle nostre conoscenze, mi sembra di poter concludere che il modo caratteristico di catenulazione dei conidi nel nostro fungo, lo stacca netta- mente da quel genere e da tutti gli altri della stessa sezione, ed induce a considerarlo come il prototipo d'un cenere nuovo per il quale, riferendomi all'abbondante callosità che unisce i conidi gli uni agli altri e che ricopre di placche le ife superficiali, propongo il nome di 7y/omyces (da tolos, callo e wvxns, fungo) denominando la specie 7. gummiparus. La descrizione dei caratteri si può compendiare nella seguente diagnosi : Tylomyces. (Etym. todos, callus, et uvx:;s, fungus). Hyphae mycelicae septatae, ramosae, hyalinae, vel atro-crustulosae; conidiophora simplicia vel ramosa, hyalina, conidia acrogena, mesendogena (seu e protoplasmate per porum apicalem conidiophori exilienti efformata), transverse pluriseptata, fusca, curvula, callo glutinoso atro, fragile inter se lateraliter conjuncta et catenulas sinuosas efformantia. T. gummiparus. Hyphis mycelicis ramosis, septatis, aliis tenuioribus in substrato penetrantibus, 2-5 w crassis, hyalinis; aliis superficialibus, (') Saccardo P. A., SyUoge fungorum, vol. IV, pag. 395. — 116 — crassioribus 6 usque attingentibus, verrucis atro-olivaceis irregularibus crustaeformibus conspersis; conidiophoris simplicibus, vel saepius furcato—ra- mosis, septatis sub-cylindricis, sursum attenuatis, in catenulas conidiorum abeuntibus, hyalinis; conidis mesendogenis, initio ellipsoideis, hyalinis de- mum varie incurvatis, falculiformibus, vel navicularibus, triseptatis ad septa non vel vix constrictis, atro-olivaceis, 19-26x 7-7 u, superioribus cellulae apicali inferiorum lateraliter haerentibus ibique substantia gummosa fragili aterrima agglutinatis et catenulas longiusculas efformantibus. Hab. In caulibus marcescentibus loco humido “asservatis Dianthi Ca- ryophylli. Romae. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Fig. 15. — Conidio maturo al primo accenno di germinazione. » 16, 17, 18, 19, 20. — Conidi in diversi stadi di germinazione. » 21, 22. — Conidi germinati in ritardo presentanti le ernie. n 23. — Giovane conidio germinante. » 24, 26. — Conidi germinanti con le cellule rigonfiate fino a divenire sterile. » 25. — Conidi presentanti fusione dei tubi di germinazione. n 27. — Conidio a germinazione perforante. » 28. — Conidio con le quattro cellule disarticolate. n 29. — Estremità di un conidioforo con l’abbozzo di un microconidio apicale. » 80, 31. — Microconidi laterali. » 32. — Microconidio, 38. — Microconidio germinato. GA RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI pervenute all’ Accademia durante le ferie del 1921. (Ogni Memoria o Nota porta a pie’ di pagina la data d'arrivo). ANNA - Mineralogia. — Sui cristalli misti stereoisomeri nella serie clinozotsite-epidoto ('). Nota II del Corrispondente FEBRUCCIO Zam- BONINI (°). L'asse ottico emergente da (001) si scorge, adoperando un microscopio Leitz con l'obiettivo 7, all'orlo o addirittura appena fuori del campo, pro- prietà, anche questa, tipica per le clinozoisiti, come è detto nel mio lavoro citato. Da misure eseguite in varî cristallini risulta che l’asse ottico emer- gente da (001) forma con la normale alla base un angolo vero w' di 30° 37’ (apparente nell'aria di 60° 45) per la luce del sodio (*). In base alla ta- bella data a pag. 95 del mio lavoro, si dedurrebbe, per questi cristalli di Monte Tovo, un tenore in ferriepidoto di appena il 2,4°/, circa, ossia un contenuto in Fe, 03 uguale a 1% circa: si avrebbe, perciò, a che fare con una clinozoisite notevolmente meno ferrifera di quella classica della Gosler- wand, studiata da Weinschenk. Questo risultato viene perfettamente confermato dalla determinazione dell'indice medio di rifrazione 7,. In un bellissimo cristallo, che ha per- messo misure di rara esattezza, io ho trovato, adoperando come prismi ri- frangenti quelli formati dalle due coppie di faccie (001)-(100) e (001)-(100), (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Mineralogia dell’Università di Torino. (2) Presentata all'Accademia il 16 agosto 1921. (3) Da c:np=6°32" e 2V—= 99935’ si calcola un valore di 30° 50’ per — 118 — ‘e servendomi del monocromatore di Voigt, come pure delle righe del litio ‘e del talio: Li Cc D TI E Ra = 1.7091 1.7098 1.7135 1.7183 1.7191 Valori praticamente identici, o, anche, addirittura leggermente inferiori, ho ottenuto in altri cristallini. Ora, è da notare che il Kehldorfer ha tro- vato, per la luce del sodio, 7m = 1.7138 nella clinozoisite, ritenuta pres- sochè priva di ferro, dell'Alpe Schwarzenstein, sicchè i cristalli studiati di Monte Tovo dovrebbero anche loro essere poverissimi in ferro (*). Ma, se così fosse, si dovrebbe avere, per 2Vn,» un valore prossimo a quello osser- vato dal Kehldorfer, e, cioè, 114°40'(?) (luce del sodio). In realtà, però, non è così. In un cristallo assai bello, io ho trovato 2Vo= 101° 53’ 2Vwra = 99° 85' 2V7,= 97°32' (intorno a wp). La misura fu eseguita servendosi della coppia di faccie parallele data dal pinacoide } 100}: il cristallo fu immerso in uno joduro di metilene di indice di rifrazione (per la luce del sodio), molto vicino a quello #m del minerale, sicchè l'errore dovuto al’ fatto che l’asse 7, dell’indicatrice non è esattamente normale a } 100}, diventa trascurabile. Come si vede, il valore di 2Vy, è assai diverso da quelli trovati dal Kehldorfer e dal Goldschlag nei loro cristalli senza ferro, ed è, invece, molto . prossimo a quello dato da Weinschenk (98°20' per la luce del sodio) per i cristalli della Goslerwand, nei quali, però, nm==1,7195 e l'angolo che l’asse ottico visibile su (001) forma con la normale alla base è, nell'aria, soltanto di 48° circa. Si ha, perciò, fra le varie determinazioni ottiche eseguite, un disaccordo notevole, rispetto a quanto è stato osservato in altre clinozoisiti. Ad ogni modo, dal complesso delle indagini riferite sembrerebbe logico il dedurre che i cristalli di Monte Tovo dei quali ci occupiamo devono contenere una quantità di Fe,0, inferiore a quella trovata da Weinschenk nei cristalli della Goslerwand (1.68%). Se non che, i saggi analitici danno la smentita la più completa a tale previsione. Io ho scelto uno ad uno gr. 0.1109 di cri- stalli limpidi, trasparenti, omogenei: per ciascuno di essi constatai la posi- zione dell'asse ottico emergente dalla base. Sono, perciò, sicuro, che quei cristalli avevano tutti, almeno sensibilmente, le stesse proprietà. Il ferro totale risultò uguale a 5.77% Fes0:. Su altri gr. 0.127 fu eseguita una determinazione di ferro ferroso, la quale dette FeO=0.61%. Si ha, perciò, (1) Goldschlag dà, per i cristalli dell'Alpe Schwarzenstein, #m = 1,7172, ossia un va- lore sensibilmente più alto di quello trovato da Kehldorfer, sicchè i cristalli di Monte ‘Tovo dovrebbero contenere una quantità negativa di ferro ferrico, essendone già pressochè privi quelli tirolesi. (2) 113° 47’ secondo Goldschlag. — 119 — un tenore in Fe; 0; uguale a 5,1%, ossia il triplo della quantità conte- nuta nei cristalli della Goslerwand (*). Nei cristalli analizzati di Monte Tovo il ferriepidoto è presente, perciò, nella notevole quantità di 11.5%: in base alle formule che sono indubbiamente valide per molti epidoti e clinozoi- siti, si dovrebbe avere 2V,,== 80° 49’, mentre si è, in realtà, osservato 2V,, = 99° 35’. La differenza è troppo forte per poterla spiegare con cause dipendenti dalle esperienze. È da notare, ancora, che i cristalli di Monte Tovo sono vicini, per la loro composizione chimica, a quelli di Huntington e di Val Maigels con 12.8 e 13.1% rispettivamente di ferriepidoto: or bene, in essi, come si è già riferito, sono stati trovati, per 2Va,o i va- lori di 90932’ e di 85°, differentissimi da quelli da me osservati nei cri- stalli di Monte Tovo. ln una lamina parallela a (010) ho misurato la birifrangenza col com- pensatore di Babinet, ed ho trovato ny — n, =0,012 per la luce del sodio. Questa birifrangenza è dello stesso ordine di grandezza di quella osservata nei cristalli « anomali » di Huntington, della valle di Ziller, ecc. Nè è da credere che il comportamento di questi cristalli sia eccezio- nale. Sempre a Monte Tovo, io ho trovato un grande cristallo, che misu- rava un centimetro e mezzo nella direzione dell'asse 4, schiacciato secondo la base. Presentava la combinazione semplicissima } 001} {100} {111{. Per una piccola porzione, nettamente distinta dal resto, che è di colore giallo chiaro, era giallo verdastro. La porzione più estesa aveva la polvere perfet- tamente bianca, e la composizione chimica è risultata la seguente: Si 0, 38.64 Al,0; 29.35 Fes 0; 5.42 Fe0 0.40 Mn0 0.09 Mg0 0.15 Ca0 24.02 Hs0 + 1.98 Sa= 100.05. Nell'ossido di calcio si ricercò lo stronzio, che sembrò essere completa- mente assente; se vi è, non può trovarsi che in una quantità indetermi- nabile con la sostanza impiegata (0,5 gr. di minerale). Le parti giallo-chiare di questo cristallo hanno una composizione m olto vicina a quella dei piccoli cristalli tozzi già descritti, dei quali, però, non possiedono il vivo splendore caratteristico. Una sezione parallela a (010) presenta struttura perfettamente uniforme ed estingue contemporaneam ente in tutte le sue parti, anche in luce bianca. Una direzione di massima estin- zione forma, per la luce del sodio, un angolo di 3°30' con [001] nell’an- () È inutile che io dica come il valore da me trovato per Fe,03 nei cristalli di Monte Tovo sia, per quanto è possibile, esatto. La determinazione fu fatta prima volu- metricamente col permanganato di potassio, poi gravimetricamente, separando il ferro dall’alluminio, precipitati insieme, mediante il solfuro d’ammonio in presenza di acido tartarico. Del resto, una seconda determinazione, eseguita su materiale un po’ men o per- fetto del primo, ha condotto allo stesso risultato, che è confermato, inoltre, dall’e same del grande cristallo, del quale è parola in seguito. RenpIcONTI 1921, Vol. XXX, 2° Sem. 16 — 120 — golo ottuso B. La struttura uniforme in luce parallela non è, però, che un'apparenza: in realtà, le proprietà ottiche variano sensibilmente nelle di- verse plaghe. Così, per 2Vn, io ho trovato, per la luce del sodio, valori variabili fra 101°80' e 98°30': come valore medio, si può prendere 2V,,== 100920". In una plaga di una lamina parallela a (100) io ho mi- surato : ua =n022: AN — 90 2Vr,= 81920". Il valore medio di 2V ag è vicino a quello trovato nei cristallini già descritti, ed anche per la dispersione si ha pieno accordo: nei cristallini si ha, infatti, intorno alla bisettrice positiva, 2V,, — 2V;= 4°21’, mentre nel grande cristallo si è trovato 2V,,—2V,,= 3°58'. È notevole il fatto che la dispersione dell'angolo degli assi ottici è, in questi cristalli di Monte Tovo, assai più forte di quella osservata da Weinschenk nella clinozoisite della Goslerwand, che al minerale di Monte Tovo è molto vicina per il va- lore di 2Vy,, ma che presenta 2V,, — 2V,, = 2°10'ca soltanto. Nella va- rietà di Huntington, che contiene una quantità di Fe, 0; quasi uguale a quella dei cristalli di Monte Tovo la dispersione è molto debole: la diffe- renza 2Ha,, — 2Ha,; non è che di 0°4l' secondo Forbes. Abbiamo, così, veduto nel giacimento di Monte Tovo, coesistere clino- zoisiti « normali » per il valore di 2V ed altre, invece, con proprietà ottiche in netto contrasto con la composizione chimica. Il fatto non è isolato, anzi, al contrario, esso si verifica in altri giacimenti, compreso quello classico e tipico della Goslerwand. Le analisi e le ricerche ottiche sono state eseguite dal Weinschenk sui cristallini limpidi, di colore roseo chiaro. Oltre questi cristalli, se ne trovano, in quella località, anche degli altri che, per gra- dazioni, si può dire, infinite, passano agli epidoti. Generalmente, vengono considerate come clinozoisite anche le masserelle lamellari, tra le quali, tal- volta, compaiono cristalli mal conformati, di colore roseo-carnicino chiaro, poco splendenti ed imperfettamente trasparenti. Queste masserelle sono uno dei costituenti della roccia nella quale si rinviene la clinozoisite tipica, e somigliano molto, per aspetto, ad alcune varietà di Chiampernotto, in val d’Ala. Al microscopio appaiono del tutto inalterate, ad onta del loro scarso. splendore. La composizione chimica delle masserelle in questione della Gos- lerwand è la seguente: Si0O, 38.92 A1,0; 29.34 Fe,03 5.16 FeO 0.27 Mn 0.07 Mg0 0.09 Cao 23.94 H.0+ 2.05 Sa = 99.84. Come si vede, questa composizione è assai diversa da quella dei cri- stalli analizzati da Weinschenk (*), ed è molto vicina, invece, a quella dei (1) L'analisi di Weinschenk è la seguente: Si 0, 39.06 Al, 03 32.47 Fe, 0; 1.68 FeO 0.29 MnOtr. Ca 0 24.53 H,0 2.01 Sa= 100.14. — 121 — cristalli di Monte Tovo già descritti. Anche per le proprietà ottiche si ha accordo con questi ultimi: una lamina parallela a (100) ha dato 2V, = = 80’/,°(Na). In tre plaghe di un'altra lamina, pure parallela a (100), ho trovato, sempre per la luce del sodio, 2V,, = 78° 42°, 79048’, 80022". Quest'ultima misura era più esatta. Come media di tutte le misure si può prendere 80°. Dimodochè questi cristalli lamellari, ad onta della loro dif- ferente composizione, possiedono un angolo degli assi ottici sensibilmente uguale a quello dei cristallini, tanto meno ferriferi, studiati da Weinschenk. Da (001) emerge un asse ottico verso l'orlo del campo, ma un po’ meno inclinato che nei cristallini di Monte Tovo.° In una lamina tagliata parallelamente a (010) in un geminato costi- tuito da due individui, io ho trovato che le direzioni di massima estinzione prossime a [001] formavano, nei due individui del geminato, un angolo di 8°30' per la luce del sodio: si ha, perciò. c:7, = 4°15'(Na) nell'angolo ottuso 8. La lamina era abbastanza omogenea: anch'essa, contrariamente a quello che avviene nella clinozoisite tipica, presentava estinzione nettissima, anche in luce bianca. Si è già accennato agli epidoti poco ferriferi di St. Bathélemy, stu- diati dal Millosevich, il quale ha trovato che i cristalli con 3.25 °/0 Fes 03 sono positivi, mentre quelli con 5.25 °/, sono negativi. Lo stesso Millose- vich ha già accennato alla grande variabilità di composizione e di proprietà ottiche degli epidoti di quel giacimento. Grazie alla cortesia dei Colleghi ed amici proff. Millosevich e Pelloux, io ho potuto studiare alcuni cristalli raccolti in quel vallone, e, specialmente, ad Issologne. Essi sono o molto piccoli, chiarissimi, pressochè incolori, ovvero, e questi sono i più frequenti ed i più adatti a misure, di un colore grigio più o meno cupo, e possono, allora, raggiungere anche 3-4 mm. nella direzione dell'asse è. Da uno dei campioni donatimi dal prof. Pelloux, io ho potuto isolare alcuni cristalli grigi: in due di essi ho misurato 2V, servendomi, al solito, di lamine pa- rallele a }109}. Un cristallo ha dato 2V,, = 92°, l'altro 2V,, = 92°30", ambedue per la luce del sodio. Ho scelto, allora, altri cinque cristallini, nei quali l'asse emergente da (001) era inclinato come nei due nei quali si era misurato 2 V, sicchè appare verosimile che dovessero essere ad essi identici anche per composizione. La determinazione del ferro totale, eseguita con ogni cura, ha dato 6.97°/, Fes 03; dedotta una tenue quantità di Fe 0, determinata su altri cristalli dello stesso campione, si può ritenere che Fes 03 ammonti a 6.8°/,, il che equivale a 15.4°/, di ferriepidoto. Ora, per una tale quantità di ferriepidoto, la mia formula dà 2V,, = 84° 14', mentre si è misurato 870930" — 88°. Dal valore medio trovato di 2 VES = 87045’ si calcola 4.5°/, Fe: 03 e 10.1°/, di ferriepidoto. Le differenze sono troppo forti per essere spiegate con errori di determinazioni. — 122 — Da un altro campione ho isolato dei cristallini grigi, nei quali 2Va, è stato trovato variabile, in diversi individui, fra 94°30' e 91°30' (per la luce del sodio): il loro contenuto in Fe. 03 (compreso Fe O, presente, del resto, in quantità molto piccola) ascende a 6 °/, circa. Si tratta, perciò, di cristalli analoghi, per composizione e valore di 2V,, a quelli di Camp- Ras nell'Ariège. Anche nel vallone di St. Barthélemy, come a Monte Tovo ed alla Goslerwand, si trovano associati termini veramente clinozoisitici nel senso di Weinschenk, ad altri che sono, sì, otticamente positivi, ma che si presentano notevolmente più ferriferi di quel che dovrebbero. Ricorderò ancora un notevole cristallo del Monte Bianco. Si tratta di un bel geminato secondo la solita legge: piano di geminazione {100}, il quale raggiunge 1,5 cm. nella direzione di 2. I due individui del geminato non sono di uguale colore: uno è di un bel giallo ambrato, l’altro sensibil- mente più chiaro. Le mie ricerche sono state eseguite su un frammento dell’individuo giallo ambrato. Mediante un prisma naturale (001)T(101) ed il monocromatore di Voigt, io ho trovato B Cc D E F An = 11492 1.7209 1.7259 1.7324 1.7388 MEMORIE E NOTE PRESENTATE DA SOCI Matematica — Sopra un'equazione funzionale. Nota IV di Pra NALLI, presentata dal Corrisp. G. BAGNERA ('). 4. Risulta dalla (6) della Nota precedente che all'interno del cerchio 4} = ; 01 la (4) ha una ed una sola soluzione derivabile in (0,4) che X si può mettere sotto la forma [(0) e = VIA ; Potremmo anche dire che nel detto cerchio la funzione [1 — 4 9(0)] «() si può rappresentare con una serie di potenze di 4 che, fissato 4, converge uniformemente rispetto ad x in (0, a). Per il calcolo di (7) e delle /1.n(x) osserveremo che per avere la g(x) basterà calcolare la ,,0(x)lo dalla equazione in w1,;;(x) del n. pre- cedente, per #=2 e 4= 4, [equazione che rientra nel tipo (1)] e tenere poi conto della (7). Avuta la (x), dalla (8), nelle vicinanze del punto 4=0, si ha (1) Presentata nella seduta del 6 marzo 1921. — 123 — a) = (0) g(2) Y 2° 9"(0)+ 2° fim(2) e confrontando questo sviluppo con l’altro: x(x)= \ 4"/x(x), troviamo n=0 (9) fn(e) = f(0) 9"(0) po(2) 4- fum(2) e da questa sì ricava la /1,n(x). Le /1,n(x) si annullano tutte per 2 = 0. La yo(x) si può anche calcolare in un altro modo. Siccome la serie ES 1 7 3 I 2° fim(x) converge per A=%, = To n=0 k E 0 n=» 9"(0) e perciò dalla (9) . RO LCA a e da questa si trae go(x) se /(0) +0. Ciò potrebbe anche esprimersi in modo diverso. Le funzioni /1(@),/s(x),... sono le z/erate di f(x) per mezzo dell'operazione lineare S definita dalla eguaglianza Xx (0.400) S[9(9]= v(2) glez) + [ "N(2,5) g(s) ds + f P(2,3) 9(9) ds 0) 0 e si vede che il rapporto tra la iterata di ordine » di /(x) e g"(0) se f(0) #0 ha per limite una funzione fondamentale relativa all'operazione S, mi ossia ha per limite una funzione (x) soddisfacente all'equazione funzionale corrispondente alla costante caratteristica 1 n 70) S[g(2)]}= g(2). St ha g(0) = (0). Se invece f(0)= 0 tale limite è sero. 5. Finora abbiamo trovato che la soluzione (x) della (4) derivabile in (0, a) è funzione analitica di 4 all'interno del cerchio et «|g (0)| dotata di un solo punto singolare, e precisamente di un polo nel punto 1 (0) A=-— col residuo — — (2). 10) 90) 9 La soluzione (x) trovata ammette derivata seconda — perchè u'(x) è derivabile — e si ha — 124 — (10) «'(a)= 1| g(a)u'(ax) de Ns(w, s) "(s) ds + +f Eat LOT +. dove N;(x,8), Pe(x,5), g2(7) sono formate per mezzo di N,(x,8), P1(2,5), ag(x) come N(x,s), P,(2,5), 9(x) lo sono per mezzo di N(4,5), P(7,5), 9(2). In quanto ad w'(0) esso si ricava dalla (5) e si trova Au0) g1(0) + /'(0) TO ossia, sostituendo ad (0) il suo valore già ricavato dalla (4), r(0) = LO 110) +1 — 2900) 100) —_ [1—Ag(0)]}[1—4@g(0)] Se denotiamo con ws;i(x) (£=1,2,83) la soluzione dell'equazione (11) usi(a)=4 [e g(e) us i(@x) +S Ns(x, 8) U2,;(8) ds + at ol °° Ps(00,8) u9;(8) ds | Ll(0), dove poniamo la(2) =/"(2) , la,s(e)=%1(2) , l20s(2) =g2(2). la (10) ci dà u"(a) = U2,1(1) + 44(0) u2,2(2) +- 4%‘(0) v9,3(7) e di qui : (12) o)= | (eun) + + w(0) |: +2f @—-5 040) & | + (0) È +1f" Gs d | e questa, per ogni valore di 4 interno al cerchio |Z| < e diverso SERI a*|g(0)| 1 1 dal sedi 90) = @9(0) seconda. 1 Per 7= À, = & 9(0) se il numeratore del valore w'(0) tratto dalla (5) risulta nullo, se è cioè G=goal , è l'unica soluzione della (4) che ammetta derivata la (4) ammette soluzione derivabile finita solo — 125 — Si avrà allora una soluzione prendendo vo) =f —8) 8h + f(0) È 0) o, la G2=1}0) i ria 5) unr(5)|1 di + 77 dove cou la notazione |, messa dopo una funzione dipendente da 4, inten- diamo che in essa si deve porre 4= 4, . . La più generale soluzione si avrà dalla particolare ora trovata aggiun- gendo c g,(7), con e costante arbitraria e pi()=£ + dh (1 — È) Uaa(5)|1d8; <:(x) è funzione fondamentale relativa all'operazione S del n. 4, corrispon- dente alla costante caratteristica Z,. Concludiamo così che all'interno del cerchio |Z| = la (4) am- 1 a*|9(0)| mette una ed una sola soluzione dotata di derivata seconda che sì può met- ‘tere sotto la forma [(0) (13) are Po(1) + LO) MO). ARE, + Lu t La flo, ‘come si deduce facilmente dalla (12). Da questa si deduce anche che [1 —4g(0)] [L1 — 4@&g(0)] all’interno del cerchio suddetto è una serie di potenze di Z che, fissato Z, converge uniformemente rispetto ad x in (0, a). Per avere la ;(+) bisogna calcolare la us,3(2)|, dalla (11) per 7=3 e 4=A,, e si ha così da risolvere una equazione del tipo (1). Avuta la ,(4) si trovano le /s,(4) eguagliando i ‘coefficienti delle stesse potenze di Z nello sviluppo u(x)= > 4" /n(2x) ed n20 in quello che si ottiene dalla (13) sviluppando in serie di potenze di 4 nelle vicinanze del punto X= 0. Si ha così face) = 9"(0)}/(0) go) +| OMO +10) Ja" 910) + fan) ‘e da questa si ricava la /s,n(x). Da quest'ultima eguaglianza ricaviamo anche che il limite per x = 00 del rapporto tra la iterata n°" di una funzione /(x) dotata di derivata ‘seconda e che si annulla per c=0, e la potenza pesima di ag(0) = 7 — 126 — è /'(0) g,(x), e quindi se /'(0) + si ha un altro procedimento di cal- colo per ottenere la (x). f (0) li=4.9(0) le /s, (x) si annullano per x = 0. Anche le derivate prime di queste fun- zioni si annullano per # = 0. Ciò si vede subito derivando la (18) rispetto ad x e facendo poi x=0, tenendo conto che è gi(0)=1, g;(0) = 40 %,2(0)|0 e ricavando il valore %,s(0)|o dalla equazione in v,,» del n. 3; si trova SANE q:(0) così (0) = a=V10 0) secondo membro della (13) per «= 0, l'analogo valore della derivata del primo membro è stato già ricavato dalla (5), eguagliando i due valori tro- Siccome poi è (0) = e (x) si annulla per x=0, tutte Si può calcolare così il valore della derivata del 00 viamo > 2"/sn(0)=0, cioè /sn(0)=0, come avevamo asserito. n=0 6. Ed ora in generale possiamo dire che la (4) ammette una soluzione ed una sola dotata di derivate di qualunque ordine. Tale soluzione è fun- zione meromorfa di 4 avente come poli semplici i punti 45, 41,42, .... con 1 a" g(0)” Si ha precisamente n= h 0) È 1 di), «e Tg Ora o inci = 1 ° aa 1a! 9(0) Pn-r(2) "a Di À fa,m(4) , all’interno del cerchio |A) <= ——— e" |9(0)|" Pn-1(x) ammette derivate di qualunque ordine e si annulla per x = 0: insieme con le sue prime x — 2 derivate, la derivata (2 —1)"® per x=0 prende il valore (2—1)!, ,-:(x) è funzione fondamentale relativa all’ope- razione S del n. 4 corrispondente alla costante caratteristica Zn-1. n-1(2) si può ottenere risolvendo un’equazione del tipo (1), oppure in un altro modo. che discende immediatamente da quanto ora diciamo. Sia f(x) una funzione dotata di derivate fino all'ordine x e sia f(0)=0, f"(0)=0, .... /@>(0)=0 e denotiamo con /,(),/s(x),.... le iterate di /(x) per mezzo dell’opera- zione S del n. 4. Si ha allora PARO F p ‘ fm) (n= “(MM = (n—-1)! lim —_____. f (0) gn_1(1) = (# ) Der [an g(0)]" — 127 — Le funzioni fn,m() (m=1,2,83,...) ammettono derivate di qualunque ordine e si annullano per x=0 insieme alle loro prime n — 1 derivate. In seguito diremo come si calcolano le costanti #9, 1,» An-1; cono- sciute queste costanti e le funzioni «o(x), g1(%),... Pn-1(7) si possono cal- colare le f,,m(7), perchè si ha 9"(0) [ho Po(€) + ha ou pi(2) + ho am Pr(1) + COSO da han au Pn-1(2)] t Ffnm(£) cm fm(2) . Matematica. — Realizzazione cinematica del parallelismo superficiale. Nota di E. PERSICO, presentata dl Socio T. Levi- CIVITA ('). Tue + Consideriamo una superficie rigida S, convessa almeno in una certa re- gione, e avente del resto tale configurazione da potere materialmente roto- lare sopra un piano è, finchè il contatto si mantiene nella regione suddetta. Con l'intesa di rispettare questa limitazione, immaginiamo di far roto- lare S su w, senza strisciamento, nè giro (pivotement dei francesi), in modo che il punto di contatto Q percorra una. assegnata curva T di S. Queste condizioni possono sempre venire soddisfatte, e determinano in modo unico il movimento. Difatti, se esse sono soddisfatte, il moto è in ogni istante una rotazione intorno a un assì passante per Q e giacente in è, quindi tangente a S, e la superficie rigata X, luogo, nel sistema mobile, di questi assi istantanei di rotazione, contiene la curva T ed ha tutte le generatrici tangenti ad S nei punti di questa curva: essa è dunque la sviluppabile cir- coscritta ad S lungo T, e il moto si può individuare mediante il rotola- mento di questa sviluppabile sul piano ©; viceversa, il moto definito dal rotolamento della sviluppabile circoscritta ad S lungo T su è soddisfa le condizioni suaccennate. Nel movimente ora descritto, l’asse istantaneo di rotazione (caratteristica della sviluppabile circoscritta) e la tangente alla curva T sono sempre, come è noto, due tangenti coniugate della superficie $, il che mostra ancora che, data la curva T, è in generale definito, in cia- scun punto di essa, l’asse istantaneo di rotazione. Sono eccettuati quei punti parabolici, nei quali eventualmente ia T avesse la direzione asintotica, poichè in tali condizioni la direzione coniugata di questa rispetto alla indicatrice è indeterminata: in questi punti la rotazione istantanea è nulla, perchè due punti infinitamente vicini di T hanno il medesimo piano tangente. Se tutti ì punti di un tratto AB di T sono di questa specie (se cioè il tratto AB coincide con un tratto piano di asintotica) la superficie tocca un piano lungo questo tratto, e il punto di contatto di S con w non è più determinato: si (*) Presentata nella seduta del 2 maggio 1921. RENDICONTI 1921, Vol. XXX, 2° Sem. i 17 — 128 — immaginerà allora, per definire il rotolamento, che quando la linea AB si adagia sul piano w, il punto Q passi da A a B senza che la superficie si muova (1). Tenuta presente tale convenzione, è facile riconoscere che, immaginando ipoteticamente la X come solidale con S nel suo rotolamento, la X stessa rimane sviluppata sul piano w. Basta considerare il movimento come una successione di rotazioni elementari intorno alle generatrici 9, gs 93... di 3. ed osservare che la rotazione elementare intorno a 9,, la quale porta gs ad adagiarsi su ©, coincide con l'operazione di sviluppo dell'elemento di sviluppabile 9, 9s sul piano w stesso; quindi, nel rotolamento descritto, gli elementi 9, 92, 9293, ... della sviluppabile X vengono successivamente ad assumere nel piano w le posizioni stesse che assumerebbero simultaneamente per effetto del materiale sviluppo. Tutto ciò premesso, ricordo che, secondo il prof. Levi-Civita (?), due direzioni spiccate da punti di T tangenzialmente alla S, si dicono parallele (rispetto alla curva di trasporto T) quando, considerate come appartenenti alla sviluppabile circoscritta X, sono parallele nella metrica di X, e di- vengono quindi parallele in senso ordinario nello sviluppo di >. Ne viene che, se in due punti della curva T si immaginano spiccate due direzioni superficialmente parallele rispetto alla curva medesima, esse, nel rotolamento testè definito di S su ©, vengono a coincidere con due direzioni di w paral- lele in senso ordinario. Il trasporto per parallelismo lungo una curva T, arbitrariamente assegnata su una superficie S, (purchè siano rispettate le re- strizioni accennate in principio), può dunque materialmente effettuarsi. fa- cendo rotolare la superficie stessa, in modo che il punto di contatto per- corra la curva T, su un piano solcato da rette parallele vicinissime, capaci di lasciare sulla superficie l'impronta della loro direzione: le direzioni che, ad operazione compiuta, si trovano impresse lungo la curva T, sono superfi- cialmente parallele rispetto alla curva stessa. (*) Il punto di contatto cessa altresì di essere definito quando la curva TT tagli un tratto piano di asintotica; si prenderà allora come punto Q la intersezione in discorso. (2) Cfr. la Memoria, Mozione di parallelismo, ete., nei Rend. del Circe. Matem. di Palermo, tom. XLII, 1917. La caratterizzazione geometrica surriferita fu introdotta dal prof. Levi-Civita nelle conferenze da lui tenute in Spagna, attualmente in corso di stampa per cura dell’ Institut d' Estudis Catalans di Barcellona. — 129 — Matematica. — Sopra è sistemi complementari dei sistem: non chiusi di funzioni ortogonali. Nota II di CARLO SEVERINI, presentata dal Corrispondente O. TEDONE ('). 4. Si aggreghi (°) al sistema (1) la funzione w;,(x). Se dopo ciò esi- stono ancora funzioni ortogonali alla w;,(x) ed alle (1), il numero delle (9) dovrà essere > 1, e per qualche v > 0 saranno la w;, (1) ela w,(4) quasi dappertutto in (2,2) linearmente indipendenti. Detta infatti nell'ipotesi con- traria 9,(7) una soluzione effettiva delle equazioni integrali "5 a) fa 0(r)y,(x)de=0 , | 6 6(x) Va(a :) do = 0 = Resti poichè if oa LA Va |} = , b n 0 2 =) [61 (x)]? da f [2 (a) — D_ Ak” Vi(e) | do, b n . lim f 0,(x) [20 — DA” Vo) | de=0, n=2%0 va 0 ‘ * ni Pi, (2) 0,(a)de =0, e quindi ° risulta «donde segue, per la prima delle (11), (12) fot) gx) de =0. è Allo stesso modo si trova (13) i il 6,(2) w(x) do = 0 (755 to), se la i i (14) wi(c) = 0 Piola) + ci Pix), (1) Presentata nella seduta del 6 marzo 1921. (3) Cfr. Nota I, in questi Rendiconti, fasc. 3-4, sem. 2°, pag. 92. — 130 — ove co e ci indicano due costanti non entrambe nulle, soddisfa all’ equa- zione (2). Poichè una combinazione lineare, come la (14), soddisfacente alla (2), si può sempre formare nel caso che di questa proprietà goda la ;(x), assumendo cc = 0, c;=#0, risulta ($ 3) dalla (12) e dalla (13) ò 0: si 0,(x) pi(a) de = 0 (1 =0 129950595 contro l'ipotesi che non esistano soluzioni effettive per le (4). Detto ora j, il più piccolo valore di éy, pel quale le wi,(«), Viy(£) sono. quasi dappertutto in (a, è) linearmente indipendenti, ammesso che esistano funzioni ortogonali a w;,(x),w;.(x) ed alle (1), si vede in modo analogo che le (9) debbono essere in numero > 2, e che per qualche i, >. le wi, (2), W; (x), wWiy() sono quasi dappertutto linearmente indipendenti in (4, d). Così continuando si viene a determinare un sistema finito o numerabile di funzioni (5) gui Vit) Jo" lo che normalizzato dà luogo ad un sistema complementare del sistema (1). Se infatti potesse esistere una soluzione effettiva 6(x) delle equazioni integrali fo) yWy(a)de =0 , So Va) de =0 (030 091626095 Za a si avrebbe b_ (16) f 0(x) pr(a)de =0 (= 041527 25E Inoltre per ogni dj, (v=0,1,2,..), essendo al (LADRO v A w(a) = Cyppyle) + ci Pi(£) (ce 0) ci) una combinazione lineare a coefficienti costanti di g;(x) e di alcune delle 4jy(x) in numero finito pi, soddisfacente alla (2), combinazione lineare, la cui esistenza è provata dalle considerazioni sopra svolte, risulterebbe ancora b_ (17) 5) 6(4) w;(a)dr =0 (Py, vr = 070820055 Dalla (16) e dalla (17) si dedurrebbe infine b f 6(x) gi(x) de = 0 (028 ciò che è impossibile. — 131 — 5. Per la costruzione di un sistema complementare del sistema (1) in- teressa, come ben si vede, tener conto soltanto delle funzioni (8), che non. soddisfano alla (2), e di cui nessuna combinazione lineare a coefficienti co- stanti, non tutti nulli, può ancora soddisfare alla (2). Escludendo via via dal sistema (3) le funzioni, che non godono di queste proprietà, se ne de- duce il sistema (18) 9;,(2) G=0,1,2, composto di tutte e sole le funzioni (3) utili alla costruzione del detto si- stema complementare. Diremo che le (18) costituiscono un sistema fondamentale per la chiu- sura del sistema (1). Dal concetto di sistema fondamentale per la chiusura di un sistema non chiuso di funzioni ortogonali e normali scaturisce senz'altro un impor- tante teorema, dovato al prof. Cipolla (*), contenente una condizione neces- saria e sufficiente, affinchè questo ammetta un sistema complementare finito, composto di un determinato numero di funzioni. 6. Resta ora ad assegnare la legge, colla quale via via si determinano le funzioni del sistema fondamentale (18), di cui la prima %;,(x) coincide, come si è detto, colla prima delle funzioni (3), che non soddisfano alla (2). Ammesso in generale di aver determinato le prime x funzioni (18), se sì pone "db v ONE dij = | gi(1) pie) de — DARA (i,j=0,1,2,..), a 0 sarà jn il più piccolo valore dell'indice i >jn-1, pel quale risulta Aj sil Ajizja + 00000000. Misna dj; iy djs i, Ujgzjar + 00000000 djs, Ta dj, ch (19) O. DORAO - 3 - 0. Uni sil QUjn1,Î3 eaeltoi e e egere Ujn-1sin-1 UjnmzrÎy QUiysji Qiysja tocteo0c00 0. di, sini Qiyriy (3) Cfr. Cipolla, Sui sistemi di funzioni ortogonali, che ammettono un sistema com: plementare finito [ Rend. della R. Accad. delle scienze fisiche e matematiche di Napoli (1915), $ 8]. — 182 — La (19) esprime infatti la condizione necessaria e sufficiente, affinchè la forma quadratica delle % variabili x,,22,..., n i | x n—l n—l È g n È N» . A 2 £ Uj.sio Vu Lo Hi 2%n Dai dj 3 iy Xu + Qiy,iy Zu "ia sia definita positiva, come si vede osservando che definita positiva è per ipotesi la forma quadratica delle 7 — 1 variabili x,, 42, Xn-1: nl n_l D. È o, Usio Lp Lo ’ MU lo È È i e che pertanto deve aversi Qjiisji Dji,jg cre 00. dj sip Ajgijr OUjazja core000 Qjarjo MERO: SPE TER E >0 (0=1,2,...,m— 1). Qjosji QUjoija 00000. Ao 3 jo La determinazione degli indici ;, ed il calcolo dei coefficienti @;,;, possono riuscire più semplici, se in particolare, come sistema (3), si assume un sistema chiuso di funzioni ortogonali e normali. Fisica. — Potere emissivo di alcuni metalli ed ossidi (0). Nota della dott. Marya KAHaNOwICZ, presentata dal Corrispondente M. CANTONE (°). Mentre per il corpo nero le leggi che governano l'emissione dell'energia raggiante hanno oramai assunto il carattere di leggi teoriche, per i corpi non neri si attraversa ancora la fase puramente empirica, poichè la teoria elettromagnetica ci fornisce qualche indizio circa l'emissione dei corpi spe- culari e non ci indica nessun elemento per i corpi non conduttori. Il pro- blema si presenta difficile anche dal punto di vista sperimentale per le difficoltà che si incontrano nella determinazione della temperatura e nel confronto col corpo nero. Coi varî metodi finora seguìti, la determinazione della temperatura non è rigorosa, o per le differenze che si stabiliscono fra l'interno dell'involucro e la superficie emittente (*), o per le incertezze che presenta in generale la pirometria ottica. Il dispositivo da me realizzato presenta il vantaggio di assicurare molto bene la temperatura, poichè la lamina viene riscaldata (1) Presentata nella seduta del 20 marzo 1921. (2) Lavoro eseguito nell'Istituto di Fisica sperimentale della R. Università di Napoli. (3) Vanno ricordate in proposito la scatola di Lummer e la spirale di Pirani. — 133 — in un involucro a temperatura uniforme, l'inconveniente della radiazione dell’involuero è stato quasi del tutto eliminato per il tipo di ricevitore messo in uso, giacchè le radiazioni provenienti da punti sfocati rispetto alla lente pirometrica influiscono pochissimo sul sistema termometrico ricevente. Le esperienze furono eseguite con lamine sottili e piane, le quali ve- nivano riscaldate in un forno elettrico, e la temperatura da esse raggiunta ‘ si deduceva dalle indicazioni di un elemento Le Chatelier accuratamente graduato (*). Si curò di disporre la saldatura quasi a contatto colla la- mina e di mantenere tutto il sistema nella regione del forno dove la tem- peratura si mantiene abbastanza uniforme. Come ricevitore serviva il can- nocchiale pirometrico di Féry colla lente di fiuorina (usato col limitatore di circa 5 mm. di diametro) messo nettamente a fuoco rispetto alla lamina, procurando così di eliminare possibilmente i raggi provenienti dalle pareti del forno. Nel formulare i valori sperimentali riguardanti gli ossidi, ho notato che la funzione empirica di Paschen finora comunemente ammessa (1) E=%T", dove E indica l'energia irradiata alla tetnhperatura assoluta T e % ed x sono parametri caratteristici della sostanza in esame, non si adatta in alcun modo ai valori da me ottenuti: 1°) perchè gli errori residui abbastanza rilevanti hanno carattere progressivo; 2°) perchè l'esponente 7 dipende dall’intervallo di temperatura in cui è stato dedotto; 3°) perchè in base alla (1) non si riesce a stabilire una graduatoria per gli ossidi nel loro rapporto al corpo nero. Invece colla funzione da me dedotta _ CT Le et (2) E dove e è la base dei logaritmi Neperiani, non solo si toglie l'andamento sistematico degli errori, resi peraltro trascurabili, ma i parametri caratte- ristici della sostanza vengono ridotti ad uno solo, indicato con e, poichè C sì mantiene con buona approssimazione costante per tutti gli ossidi (v. ta- bella 1). Per ciascun ossido furono eseguite tre serie di esperienze in un inter- vallo di temperature compreso fra 300 e 1100° C., e si ottennero i seguenti risultati : (*) Kahanowiez, Rendiconti Lincei, vol. XXVI, serie 5%, pag. 439; vol. XXVIII, serie 52, pag. 73. — 134 — TABELLA l. Ossido di ferro Ossido di rame Ossido di nichel Platino platinato grigio RE n Cc © (0) C, G C (0) e 1,32 X 10719[385.0] 1,33 x 10=10|411.8| 1,36 X 10-19/492.2)| 1.33 X 10-19/621.8 1,29 369 3| 1,34 419.6| 1,37 514.7] 1,85 640.2 1,29 387.2) 1,37 434.6| 1,35 505.3| 1.34 603.4 eee | 2___ | | —________——|-—-_ Media: | 1,30 X 10719380.5]| 1,35 X 10=19/422,0| 1,36 X 10-!°504.1| 1,34 X 10-19[621,8 I valori di E sono espressi in divisioni della scala del galvanometro, inserito nel circuito pirometrico, ammettendo che si verifichi una legge di proporzionalità fra le indicazioni pirometriche e le quantità di energia ri- cevuta. Questo computo relativo interessa soltanto il parametro C, poichè i valori di c risultano indipendenti dall’unità adottata: essi costituiscono quindi delle caratteristiche assolute dell'ossido a cui si riferiscono. In altri termini, tutti gli ossidi si comportano come corpi grigi, i quali si avvici- nano tanto più al corpo nero, quanto più piccola è la c corrispondente; il caso limite di c=0 dovrebbe risultare per il corpo nero: si dedurrebbe c allora che la funzione e ® rappresenta il potere emissivo relativo. Orbene, dai valori riportati nella tabella II, i quali sono stati calco- lati in base all’espressione a risulta che: 1) i dati ottenuti per l’os- sido di nichel sono in buon accordo con quelli di Foote (*'); 2) fra l'emissione dell’ossido di ferro e quella del platino speculare sì verifica lo stesso rap- porto che si riscontra nelle esperienze di Lummer (?); e siccome i risultati di Foote e di Lummer hanno carattere assoluto, perchè sono stati dedotti dal confronto col corpo nero, ritengo che la considerazione fatta intorno al- l'esponenziale sia giustiticata e che C corrisponda alla costante della legge di Stefan-Boltzmann. Ho creduto opportuno di estendere lo studio anche al platino platinato grigio (platino coperto di nero di platino e trasformato in grigio nel forno stesso) per vedere il comportamento rispetto alla (2) di una superficie matta per quanto non annerita. L'andamento dei residui prova che anche in questo caso la (2) si adatta abbastanza bene, per cui credo di poter concludere che essa rappresenti in generale l'emissione delle superfici speculari, il che (1) Bulletin of the Bureau of Standards, vol, II, n. 1, pag. 59. (?) Verhandlungen der Phys. Ges. Berlin, 17, 106-111, 189». — 135 — «del resto ho avuto occasione di verificare anche nel caso del marmo e del- l'amianto. Per i metalli la teoria elettromagnetica ci suggerisce il tipo di funzione (4) E "s Sam , n=5 dove X è una funzione della resistenza specifica del metallo. Fermandosi al primo termine, Aschkinass deduce E=/(y) T5, alla quale si adattano ‘bene i valori di Lummer per il platino; Foote (*) estende la funzione fino al secondo termine ed ottiene E = /(y0) T° — g(yo) T°, alla quale si adat- tano abbastanza bene alcune misure da lui eseguite sul platino coi mezzi della pirometria ottica. Per i tre metalli da me rivisti ho ottenuto rispet- tivamente: k n 8,78 X 10715 5,1 per il platino 54,30 4,9 per l'oro 1,28 5,5 per il nichel fino a 350° C. 1,14 5,5 per il nichel da 380° a 580° C. Rilevo particolarmente i risultati per il nichel, dai quali si deduce un «cambiamento nella legge di emissione in corrispondenza del punto critico magnetico di questo metallo, dove, come è noto, ha luogo anche un cam- biamento nella legge di variazione della resistenza elettrica in funzione della temperatura. Il fatto che l'esponente resta inalterato nella trasforma- zione dimostra che questo metallo si comporta secondo le previsioni teoriche, e l’esponente frazionario indica che la funzione di Foote si adatterebbe meglio. Nondimeno non ho creduto opportuno di spingere oltre la ricerca numerica, perchè le esperienze si riferiscono ad un intervallo di temperatura relativamente breve, notandosi verso i 500° i primi segni di ossidazione. . In base alle considerazioni fatte, si deduce il seguente andamento per il potere emissivo relativo delle sostanze in esame: (*) Bulletin of the Bureau of Standards, vol. II, n. 4, pag. 607. RENDICONTI. 1921, Vol. XXX, 2° Sem. 18 — 136 — TABELLA II. n Ossido Ossido Ossido Platino pla- È T È di Ferro di Rame di Nichel |tinato grigio Platino | Oro x RIO 600 | 0,580 | 0495 | 0,482 | 0,355 | 0,111 | 0208 |540| 0120 200 | 0,581 | 0547 | 0487 | o411 | 0130 | 024 | 570} 0,130 800 | 0622 | 0,590 | 0,533 | 0460 | 0,148 | 0277 | 600| o14i 900 | 0,655 | 0626 | 0571 | 0501 | 0,167 | 0312 |630| 0151 1000 | 0,688 | 0,656 | 0,604 | 0,537 | 0,185 | 0,347 | 650} 0,14 1100 | 0708 | 0681 | 0,632 | 0569 | 0204 | 0,381 | 700| 0,158 1200 | 0,728 | 0,704 | 0,657 | 0596 | 0222 | 0416 | 750| 0,175 1300 | 0,746 | 0,723 | 0,679 | 0,620 | 0241 | 0451 |800| 0,198 1400 | 0,762 | o,z40 | 0,698 | 0641 | 0,260 Ci 2 Pi ole emissivo celativo Il metodo adoperato ha bisogno di qualche osservazione. Il riscalda- mento prodotto per mezzo di un forno potrebbe alterare i risultati sia per l'energia che deriva dalle pareti e viene riflessa verso il ricevitore dalla lamina emittente, sia per l'energia che arriva al ricevitore direttamente dalle pareti, perchè non è sufficientemente intercettata dal diaframma. La prima parte interessa particolarmente i metalli, perchè dotati di grande po- tere riflettente. In quanto alla seconda parte è da osservare che per il modo in cui ci si presenta la funzione (2), l’energia estranea, perchè non dovuta alla lamina emittente, si deve ripercuotere integralmente sul valore di C, — 137 — il che non altera i risultati finali. Per quel che riguarda l'assorbimento prodotto dalla lente di fluorina, pare che non vi sieno effetti sensibili, nel senso che sono di un ordine di grandezza troppo piccolo per influire in modo apprezzabile sui valori finali del potere emissivo relativo. ConcLusioni. — 1) Gli ossidi si comportano come corpi grigi, la cui emissione segue la legge E = CT* e ®, dove C, a quel che pare, rappre- senta, col nostro sistema di misure relative, la costante della legge di Ste- fan-Boltzmann e c è il parametro caratteristico della sostanza emittente. 2) I metalli seguono una legge di emissione conforme alle deduzioni teoriche di Drude e di Planck fatte in base alla teoria di Maxwell. Rendo grazie al prof. Cantone per gli innumerevoli aiuti e consigli dei quali mi è stato largo durante questo lavoro. Chimica. — L'ossidazione dell’acetil-p-aminoazobenzolo. (*). Nota di PasseRINI MARIO, presentata dal Socio corrisp. G. PEL- LIZZARI (°). Poichè dalla reazione del p-isonitrilazobenzolo con acido peracetico, di cui ho fatto cenno in altra Nota (*), potevano formarsi tanto l’acetil-p- -aminoazobenzolo quanto i suoi prodotti di ossidazione, ho creduto oppor- tuno studiare l’azione di tale ossidante direttamente sull’acetil-p-amino- azobenzolo. Come è noto (‘), quando si sottopone il p-aminoazobenzolo in solu- zione acetica all’azione dell’acqua ossigenata, l’ossidazione si porta in primo tempo sul gruppo aminico dando luogo a formazione di trisazobenzolo e insistendo nell’ossidazione si giunge al trisazossibenzolo. Ossidando invece l’acetil-p-aminoazobenzolo, ho potuto constatare, come speravo, che il gruppo acetile protegge il gruppo aminico dalla azione ossi- dante dell'acido peracetico che agisce direttamente e soltanto sul gruppo azoico. (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica-farmaceutica del R. Istituto supe- riore di Firenze. (2) Presentata nella seduta del 6 marzo 1921. (3) Gazzetta chimica Italiana, vol. L, parte II, pag. 340. (4) Valori B., Questi Rendiconti, vol. XXIII, 2° sem., pag, 213, — 138 — I resultati di queste esperienze costituiscono inoltre una conferma di quanto A. Angeli (') ha dimostrato circa la struttura degli azossicomposti, poichè ho potuto ottenere le due forme isomeriche dell’acetil-p-aminoazos- sibenzolo. La separazione dei due derivati acetilici è una operazione assai diffi- cile per cui, dopo aver ottenute due piccole quantità di questi composti puri, ho trovato conveniente saponificare con potassa alcoolica il miscuglio dei due prodotti trasformandoli nei respettivi aminoderivati che sì purificano più facilmente: da questi poi per trattamento con anidride acetica tornai agli acetilderivati corrispondenti. Allo scopo di determinare quale forma fosse da assegnare loro, in luogo dell’azione del bromo o dell'acido nitrico col metodo proposto da A. Angeli (*), sono ricorso ad ossidare i due aminoderivati, trasformandoli nei due trisazos- sibenzoli isomeri che, delle quattro forme possibili, possono prendere origine da una siffatta ossidazione. E poichè uno di questi trisazossicomposti corrispondeva esattamente a quello già descritto da A. Angeli (3), rimaneva stabilita per l’altro la se- conda forma e di conseguenza venivano pure determinate le forme degli acetili e amino-derivati dai quali questi poliazossicomposti avevano preso origine nel modo che è indicato dal seguente schema. CH;_N=N-CsH,_NH-C0—-CH; acetil-p-aminoazobenzolo I A. CHraNsNs CHaNH=C0=CH5 LI B CHaN=Na Hi =NH=C0=CHE Il acetil-p-aminoazossibenzolo p. f. 166° acetil-p-aminoazossibenzolo p. f. 1429-1439 Il A V V CH;N=N—-C;Hy-NH,y Il C,H;-N=N—C;H,-NH, Il 0) p-aminoazossibenzolo p. f. 134°-136° I CH;-N=N-C,H,-N=N-C;H,-N=N-G;N; Il I I o) trisazossibenzolo p. f. 223° (1) Questi Rendiconti, vol. XXII, 1° (2) Questi Rendiconti, vol. XXII, 1° (3) Questi Rendiconti, vol. XXII, 1° p-aminoazossibenzolo p. f. 114° } CN; N=N-CGgoN,N=N-GN,NeN-CoNs Il Il Il (0) (0) (0) trisazossibenzolo p. f. 230° sem., pp. 201-282. sem., pp. 201-282. sem., pag. 356. — 139 — - A e B acetil-p-aminoazossibenzoli. — Gr. 5 di acetil-p-aminoazo- benzolo (') disciolti in ce. 50 di acido acetico glaciale ed addizionati di cc. 3 di acqua ossigenata (Perhydrol Merk-30%) furono scaldati a 50°-60° per 5 giorni, aggiungendo ancora acqua ossigenata ogni qualvolta se ne ri- scontrava difetto nella soluzione. Per aggiunta di acqua si ottenne un precipitato cristallino giallo ver- dastro che decolorato in soluzione alcoolica con carbone animale e quindi ripreso con benzolo, fornì una piccola quantità di un composto cristallino in grossi prismetti rifrangenti, poco colorati in giallo chiaro, che furono sepa- rati dopo la loro formazione decantando la soluzione benzolica ancor calda. Dopo ripetute cristallizzazioni fondevano a 166° con leggero rammollimento a 160°. Sono assai solubili in etare, alcool e benzolo. Gr. 0,0782 disseccati a 100° diedero cc. 11 di N alla temperatura di 9° ed alla pressione di 747 mm. N % Trovato 16,74. Calcolato per C,4H,30,N: — — 16,47. Per raffreddamento le acque madri benzoliche deposero ancora di questa sostanza, però mescolata ad un altro prodotto in fini aghetti leggeri, quasi incolori, riuniti in masserelle raggiate. Una piccola porzione di questo secondo AI fu potuta isolare per concentrazione della soluzione benzolica. Cristallizzata più volte da benzolo fondeva a 142°-143° e nei solventi organici si scioglieva egualmente bene come la precedente sostanza. Gr. 0,0975 essicccati a 100° diedero ce. 13.8 di N alla temperatura di 119,5 ed alla pressione di 762 mm. N% Trovato 16,78, Calcolato per CH ,30,N3 — 16,47. La mescolanza di questi due composti ha punto di fusione intermedio fra quelli delle due sostanze pure. A e B p-aminoazossibenzoli. — Gr. 3 del miscuglio dei due acetil- p-aminoazossibenzoli sciolti in poco alcool e bolliti per un'ora con ce. 2 di soluzione alcoolica di potassa al 25 °/0, per aggiunta di acqua fornirono un precipitato giallo cristallino che, ripreso con benzolo, dopo ripetute cristalliz- zazioni depose gr. 0,7 di una sostanza giallo-chiaro in aghetti ben formati p. f. 134°-136° assai solubili in benzolo, alcool ed etere solforico. Gr. 0,1745 disseccati a 100° fornirono gr. 0,43819 di CO, e gr. 0,0844 di Hs0. Gr. 0,0764 diedero ce. 12,7 di N alla temperatura di 9° ed alla pres- sione di 750 mm. Trovato: C°/ 67,50 H°/ 5,42 N°/o 19,87. Calcolato per C,:H110N3:C°/ 67,60 H°/, 5,16 N°/, 19,72. (1) All’acetil-p-aminoazobenzolo viene comunemente assegna'o un punto di fusione 146°; l’acetile da me impiegato, cristallizzato da alcool fino a punto di fusione costante, fondeva a 1579, — 140 — Per trattamento con anidride acetica rigenerò l’acetil-p-aminoazossi- benzolo p. f. 1660. Le acque madri benzoliche concentrate fornirono un altro composto che dopo ripetute cristallizzazioni da etere solforico si presentava in laminette giallo-chiare lucenti p. f. 114°. Tale sostanza pesava gr. 1,2. Da gr. 0,1616 essiccati a 80°-90° si ebbero gr. 0,3989 di CO. e gr. 0,0789 di H,0. Trovato: C°/, 67,32 H% 5,47. Calcolato per C,:H,j0N3 C% 67,60 H % 5,16. L'anidride acetica trasforma questo composto nell’acetil-derivato p. f. 1420-1430, Nelle acque madri idroalcooliche della saponificazione venne riscontrata la presenza di acido acetico. Ossidazione dei due aminoazossibenzoli isomeri. — Gr. 0,2 dell'amino- azossibenzolo p. f. 114° sciolto in ce. 2 acido acetico glaciale vennero ri- scaldati a 60°-70° per cinque giorni con cc. 2 di acqua ossigenata (Perhy- drol Merk 30 %). Il precipitato formatosi, raccolto su filtro e cristallizzato più volte da benzolo si presentava in scagliette lucenti giallo-oro p. f. 230° con decom- posizione a 240°. Gr. 0,0380 essiccati a 100° diedero cc. 6,2 di N alla temperatura di 11° ed alla pressione di 759 mm. N °/o Trovato 19,58. Calcolato per Ca H1g03N — 19,18. Gr. 0,2 dell'aminoazossibenzolo p. f. 1349-1360 ossidato in modo iden- tico a quello ora descritto diedero una sostanza in scagliette lucenti rosso- rame p. f. 223°. Da gr. 0,0347 si ebbero ce. 5,6 di N alla temperatura di 11°,5 ed alla pressione di 757 mm. N°/, Trovato 19,29. Calcolato per CoyH,303 N — 19,18. Geologia. — Su l'età e posizione di alcuni scisti delle Alpi. Nota di MicueLE GorTANI e PaoLo VInASsA DE REGNY, presen- tata dal Socio T. TARAMELLI ('). Nel corso dei nostri rilevamenti nelle Alpi Carniche ci siamo venuti formando la convinzione, basata su documenti paleontologici e osservazioni - in sito, che la grande massa scistosa dell’alta Carnia sia neocarbonifera (?) e trasgressiva sui terreni siluriani e devoniani curvati nella piegatura varisca. (1) Presentata nella seduta del 6 marzo 1921. (2) Ciò non toglie che vi possano essere qua e là piccoli lembi di Carbonifero più antico; che cioè la trasgressione si sia localmente iniziata nell’Eocarbonico superiore 0 nel Mesocarbonico. — l4l — Estendendo le nostre indagini, abbiamo riconosciuto la stessa età e posizione alle masse scistose dell'alto Comelico e delle Caravanche occiden- tali; e, non ostante il metamorfismo ed il più fitto ripiegamento, ci si sono dimostrati carboniferi e trasgressivi anche gli scisti del versante settentrio- nale delle Carniche. Nell'ultima campagna geologica, grazie alla possibilità di fare nuove accurate ricerche nella val della Gaila, abbiamo constatato che fanno parte della formazione carbonifera trasgressiva anche filladi quarzose e scisti filla- dici già ritenuti cambriani o più antichi dai precedenti rilevatori. Il note- vole metamorfismo di cotesti scisti non può far meraviglia, anche se con- frontato con la facies normale di scisti carboniferi non lontani, quando si ponga mente al metamorfismo intenso dei contigui calcari devoniani e si- luriani, anche a brevissima distanza da calcari delle stesse età, zeppi di fossili ben conservati (?). Filladi e scisti filladici di aspetto analogo a quelli della val Gaila, e anche di posizione, per quanto ci sembra, non dissimile, ricorrono nelle con- tigue catene delle Alpi Orientali, dalla Carniola e dalla Stiria per la Ca- rinzia al Tirolo e Trentino. dove hanno amplissima diffusione e d’onde si estendono ancora nelle Alpi Centrali e Occidentali. È generale, dove non siano intervenuti speciali disturbi tettonici, la posizione di tali scisti al di sotto della formazione eopermica (detta, nelle Alvi Orientali, « di Val Gardena »); ma la loro giacitura trasgressiva sulle rocce del Paleozoico antico non fu sinora riconosciuta dagli autori che li hanno studiati. Spesse volte (e questo è anzi generale in tutta la regione a ‘occidente delle Carniche), non furono neppure riconosciute nè supposte le formazioni silurico-devoniche, sia per il loro intenso metamorfismo, sia per aver gli autori cominciato il loro studio nelle regioni di metamorfismo in- tenso anzichè da quelle ove la serie non ha subìto modificazioni profonde. Le nostre escursioni.in varî punti delle Alpi ci fanno invece pensare che il Paleozoico carnico, per serie di terreni e per motivo tettonico, possa essere meno isolato di quanto si è finora ritenuto; e che in particolare la trasgressione carbonifera possa avere una importanza finora insospettata nella geologia alpina. Accenniamo ad esempio alle formazioni scistose connesse con rocce erut- tive, di età paleozoica a tutt'oggi indeterminata, sviluppate fin nelle pro- paggini orientali delle Alpi Giulie e delle Caravanche, che il Teller ha bene descritte e delle quali è già stata rilevata la perfetta analogia con le consimili formazioni della Carnia (da noi dimostrate carbonifere); accen- (1) Metamorfosati in filladi analoghe a quelle ora accennate si presentano del resto anche gli scisti circostanti alla Pietrabianca, al Peralba, all’Avanza ecc. nelle Carniche ‘occidentali: scisti che abbiamo dimostrato carboniferi in base alle loro condizioni di giacitura e di posizione. — 142 — niamo agli scisti e ai calcari metamorfici della Pusteria, specie dopo gli studî della Furlani, e delle Alpi della Gaila, specie dopo gli accurati studî del Geyer; accenniamo agli scisti filladici coperti dai porfidi quarziferi eo- permici del Trentino e dell'alto Adige. Ci vien pure fatto di pensare agli scisti di Rendena nel gruppo dell'Adamello ripetutamente descritti dal Sa- lomon, e alle filladi delle Alpi di Recoaro e della zona fra Bellano e Va- renna, ecc.; anche presso Lugano il Giimbel segnalò a suo tempo filladi con conglomerati a Calamites passanti alla formazione permiana con arenarie di Val Gardena e porfidi. Il Suess intuì carboniferi i noti « scisti di Casanna » del Theobald, ed essi sembrano veramente tali leggendo la descrizione del Paulcke. Non intendiamo di tare con ciò affermazioni nè generalizzazioni, nè tanto meno di risolvere problemi geologici di cui non ci dissimuliamo la diffi- coltà e l'importanza; ma soltanto accennarne alcuni, a cui più facilmente corre il pensiero, indicando una possibile via di soluzione. Mentre da ogni parte ferve la ricerca di interpretazioni nuove e sempre: più ardite, noi pensiamo che possa giovare trar partito dal progresso degli studî per riesaminare al lume delle attuali conoscenze le osservazioni e le idee dei geologi della passata generazione. Vulcanologia. — Di un solfuro di ferro delle fumarole sot- tomarine di Vulcano (Isole Eolie) formatosi nel 1916. Nota di O. DE FIoRE, presentata dal Corrisp. F. MILLOSEVICH (*). In una precedente pubblicazione (2) ho reso noto come nel 1916, presso il Faraglione di Levante, nel luogo indicato comunemente col nome di « Acqua calda », in riva al mare e proseguendo verso nord, fra le roccie, nelle quali il mare si insinuava e batteva, v'era una piccola distesa d'acque marine nere. Il colore era dovuto ad una sostanza in sospensione, della quale. m'occuperò più tardi. Presso il luogo ove nel 1913 (*) furono eseguite le ri- (1) Presentata nella seduta del 17 aprile 1921. (2) De Fiore O., / fenomeni avvenuti a Vulcano (Isole Eolie) nel 1916. Soc. Sism. Ital, XXII, 1919. La Nota in questione fa parte d'una serie di pubblicazioni dei risul- tati raccolti in occasione d'una Missione Governativa per lo studio dell’attività dei vul- cani siciliani nel 1916. Fin'ora è stato pubblicato quanto segue: De Fiore O., / terremoti di Filicudi (Isole Eolie) nel 1916. Soc. Geogr. tIal., 1917, fol. 4-5, Roma; De Fiore O., Le eruzioni radiali storiche di Stromboli. Soc. Geogr. Ital., 1919, 431-45, Roma; De Fiore 0., / fenomeni eruttivi, sismici e pseudo-vulcanici avvenuti all’ Etna nel 1916. Soc. Sism. Ital. XXI. Risultati generali si trovano in Riccò A., Platania, G°; Platania, Gi; De Fiore O., Sul recente risveglio dei vulcani attivi Etna, Stromboli, Vulcano. Soc. Sism. Ital, XXI, 1917-18. (3) De Fiore O., / fenomeni avvenuti a Vulcano dal 1890 al 1913. Rivista Vulcae nologica, I, 57-73; II, 12-66, 1914-15, Berlino. — 143 — cerche sulla variazione di livello e temperatura delle sorgenti termali, che ivi sgorgano fra le sabbie, sulla battigia vera un violento gorgoglìo pro- dotto da una fumarola che assumeva l'aspetto di un minuscolo geyser in pe- renne attività. La temperatura, misurata con un pirometro elettrico era di 104,0 (X, 11). Nelle due vaschette suddette, l'acqua era limpida, se lasciata in calma. 1 gas che vi gorgogliavano erano: CO, ,H,S, SO: con reazioni forti e spiccate. Le vicine acque del mare limpido, trattate con una solu- zione di acetato di piombo alcalinizzata, davano un precipitato bianco; CO» esisteva in debole quantità; SO, era sicuramente assente. Le acque nere, di cui sopra, davano le stesse reazioni, se filtrate: in caso contrario, con acetato di piombo alcalinizzato davano un precipitato nero per la presenza di HS. Lungo la spiaggia, sulla battigia e poco più su, verso l'entroterra, sulla stretta linea sabbiosa che finisce alle prime roccie, le esalazioni emanavano dalle sabbie e su queste deponevasi dello zolfo, che avrebbe potuto essere abbondante, se le onde non avessero, tratto tratto, spazzata la spiaggia. At- torno alla zona a zolfo v'era la solita zona a solfati: venivano emessi Hs0, CO»,, HsS ed SO; in piccola quantità. La temperatura della fumarola esa- minata era di 100°,0, ma in un punto delle sabbie saliva fino a 100°,5. Queste erano le condizioni dell'ambiente nel quale si formava la sostanza nera che intorbidava il mare. Pér raccoglierla disposi una serie di bottiglie a collo largo e di larghi bicchieri di vetro, che collocai in un luogo ad una certa distanza dalle fumarole più attive, per sottrarle all’azione dei gas emessi da queste ed all’azione della loro temperatura. In questi recipienti versavo l'acqua del mare raccolta con secchi di legno, preventivamente lavati accu- ratamente con l’acqua stessa del mare. Quando la sostanza nera s'era depo- sitata in fondo ai recipienti, aspiravo l’acqua marina limpida, lasciandone solo qualche centimetro per proteggere la sostanza nera e versavo nel reci- piente nuova acqua nera. L'operazione era proseguita senza interruzione allor- quando io ero nei dintorni-immediati del Faraglione e sospesa solo quando ero sul cratere od in mare. In una settimana di decantazioni effettive, da oltre 300 litri d'acqua marina raccolsi alcuni grammi della sostanza nera, che conservai in bottiglia a t.s. e paraffinata. Nel 1917 eseguii una prima analisi (I) della sostanza, nell'Istituto di chimica della R. Università di Roma ed al sen. Paternò rivolgo qui le mie vivissime grazie, come anche al prof. Bellucci pei consigli che spesso mi diede durante queste ed altre ricerche. Una seconda analisi, di controllo, fu eseguita nel 1920 all'Istituto Vulcanologico di Napoli, dal mio collega dott. Jakob (Il). Aggiungo che mentre io mi limitai alla sola determinazione del ferro e dello zolfo, spin- gendo l’analisi tino alla terza decimale, il dott. Jakob determinò anche il manganese ( che quasi sempre accompagna i minerali di ferro) e condusse l’analisi fino alla quarta decimale. I risultati sono sufficientemente concor- danti ove si consideri la grande impurezza della sostanza e la probabile va- RenpIcONTI. 1921, Vol. XXX, 2° Sem. 19 — 144 — riazione, benchè lieve, di composizione, che deve presentare la massa ana- lizzata. Della sostanza esiste ancora piccola quantità: una porzione di questa è stata da me donata al Museo mineralogico della R. Università di Roma. La sostanza presentasi come una impalpabile polvere grigio-bruna, di aspetto sub-metallico, quando è in massa. Si vede chiaramente che è inqui- nata da sabbia marina. Non fu eseguita alcuna analisi delle acque marine, iper le ragioni che esporrò più tardi. Del resto, è facile intuire quali siano le sostanze che, trovandosi disciolte in questa, possono avere partecipato alla formazione del deposito nero. L'analisi del materiale purificato ha dato i risultati che seguono: I II S..... 0,100 0,1001 Fe... . 0,166 0,1675 Ma a nd. Die che possiamo porre sotto: S:Fe::1,04:1,00. L'eccesso di zolfo può spie- garsi o colla difficoltà di separare tutto lo zolfo in una sostanza così poco pura o piuttosto col fatto che S libero si trovava in sospensione nelle acque marine. Infatti, come ho già detto nella Nota citata, presso il Faraglione, in mare si notava dello zolfo tenuto in sospensione nell'acqua, in minutis- sime particelle d'aspetto fioccoso. Il solfuro in questione non può essere riferito ad una forma mineralo- gica definita. Per la sua composizione, tanto se assumiamo il rapporto 1,04::1,00, quanto quello 1,00::1,00 (tenendo conto delle osservazioni già fatte sulla probabile origine dell’eccesso dello zolfo), possiamo ritenerlo un solfuro di ferro, corrispondente alla forma mineralogicamente definita della Pirrotina. Osservo, a proposito del rapporto 1,04::1,00, che credo che in taluni casi la formula della Pirrotina possa essere realmente Fe, Sn+1, 12 quale si avvicinerebbe molto di più al rapporto stabilito per l’amorfa so- stanza di Vulcano. Credo utili alcune osservazioni sulla giacitura e genesi di questo sol- turo di ferro, specialmente perchè le fumarole sottomarine sono state raris- simamente studiate e poco conosciamo delle loro funzioni. Nel tratto di mare, dove fu raccolta la sostanza esistevano delle fumarole sottomarine (vedi Nota citata) ad HsS, CO. Al largo, dove le acque non venivano a contatto con la spiaggia, l'H,S ossidandosi produceva zolfo, il quale si trovava in forma di esili filamenti fioccosi, come ho già detto, conferendo un aspetto lattiginoso al mare. Ho già osservato, in altro mio studio, « che non è impro- babile che a seconda se è mescolata all'aria, all'acqua ed a seconda dei varî modi coi quali è emessa, l'SO, dà reazioni variate e complicatissime ed è difficile, per tutto ciò, stabilire se molti dei gas solforosi provengono dal magma o da varie reazioni successive. La produzione di HyS è dovuta a — 145 — reazioni perturbatrici ed avviene specialmente in presenza di molta acqua. In tali condizioni non credo che possa esistere SO, almeno in quantità ri- levante: ciò spiega perchè le fumarole sottomarine e quelle dei Faraglioni ‘che si svolgono in un suolo impregnato di acqua siano ad H.S. Questo gas proviene evidentemente da reazioni dell'SO: coll'acqua marina o libera 0 infiltratasi nelle rocce permeabili e porose ». Le ricerche del 1916 confer- mano tal modo di vedere. L'HsS che trovasi nel mare può provenire da una trasformazione dell’SO, in presenza dell'acqua marina: lo spessore di questa fa sì che non giunga SO; alla superficie e che la trasformazione in HyS sia ‘completa. Questo modo di vedere è pienamente confermato dal fatto che mentre SO, era sicuramente assente nelle acque del mare, lo stesso SO, «gorgogliava nelle vaschette scavate sulla spiaggia, appunto perchè era resa impossibile, con un piccolo spessore di acqua, la trasformazione completa in H,5. Qualunque sia la provenienza, diretta o da trasformazione di SO,, l’H,S gorgogliando nelle acque di mare, fredde, si ossida in quelle condi- zioni e dà quell'S fioccoso al quale ho già accennato varie volte. Questo tipo di fumarola sottomarina di Vulcano si potrebbe chiamare « di mare (re- lativamente) profondo ». Sulla spiaggia erano attive fe fumarole con H:0 , HyS, S0,, CO» pro- ducenti solfati e zolfo. Le roccie sono profondamente alterate per secolarì ‘azioni chimiche, che hanno trasformato il massiccio del Faraglione di Le- vante in uno straordinario giacimento di allumi, comuni e rari. Naturalmente, questi allumi, di produzione antica o recente o contemporanea, venivano di- sciolti dalle acque marine, spesso tiepide, come ho già descritto nella Nota citata. Allora si verificavano le condizioni seguenti: sviluppo di HsS gorgo- gliante in un'acqua contenente in soluzioni degli allumi. Quelli che possono avere concorso alla formazione del solfuro di ferro delle acque marine sono la Coquimbite, l’Alotrichite, la Millosevichite, la Pisanite, la Voltaite e la Metavoltina, che certamente sono disciolti nelle acque marine battenti il Fa- raglione. Ho già detto che non è stata fatta alcuna analisi delle acque del mare ‘e ciò appunto perchè è intuitiva, in quel luogo, la presenza di soluzioni di tutti i solfati esistenti al Faraglione e sulla spiaggia. Intorno a questi ed alla loro giacitura ed aggruppamenti, rimando al mio studio del 19153. Pro- cedendo per esclusione, possiamo senz’altro supporre che il FeS del quale ci occupiamo provenga da reazioni avvenute fra i solfati di ferro disciolti nell'acqua marina e l'H.S delle fumarole. Questa sembrami essere la genesi più naturale e semplice del solfuro di ferro: dall'azione di H,S (di produzione diretta o da trasformazione di SO.) «gorgogliante in acque marine contenenti in soluzione solfati di ferro. La differenza fra queste fumarole e quelle che ho dette « di mare pro- fondo » consiste nel fatto che esse si aprono in spessori lievi di acque, che — 146 — si riscaldano con facilità (io misurai fino a 60° fra le roccie) che conten- gono allumi in soluzione e zolfo in sospensione, distaccati dalle roccie. Le temperature variano continuamente per azione del moto ondoso e con esse variano le condizioni di formazioni di HyS, di S per ossidazione di quello e degli altri prodotti per azione del primo sugli allumi soluti. Queste fuma- role potrebbero chiamarsi « di spiaggia » o « di mare poco profondo ». No- terò che in esse prosperano numerose alghe, raccolte da me e studiate dal Forti. Biologia. — Temperatura e migrazioni verticali delle uova di Teleostei ('). Nota del dott. Errore REMOTTI, presentata dal Socio B. GRASSI (°). È noto come le uova di Teleostei si rinvengano tanto alla superficie quanto al fondo del mare, come in istrati più o meno lontani dal pelo d’acqua. Lu ragione per cui uova incapaci di mantenersi in superficie, possono trovarsi, invece, sospese in istrati più o meno profondi, devesi ricercare nella compressibìlità dell'acqua marina, in conseguenza della quale il peso spe- cifico aumenta col crescere della pressione e questa leggera ma crescente variazione di densità, può finire col mantenere sospeso l'uovo che nello strato superiore accennava ancora ad immergersi. Ad accrescere la densità dell'acqua di mare, negli strati inferiori, con- corre la temperatura, la quale diventa, specialmente nelle stagioni calde, sempre più bassa dalla superficie in giù. Nel considerare l’azione termica, come fattore determinante la sospen- sione delle uova in istrati più o meno profondi, non si tenne mai conto dell'effetto che le variazioni di essa producono sull'uovo stesso. Huxley attribuiva alla temperatura una grande influenza sulla quan- tità di uova che potevano trovarsi a galla. In generale, poi, si ammetteva che tanto il raffreddamento quanto la compressibilità dell’acqua concorressero, aumentando il peso specifico degli strati inferiori, a frenare ed a sospendere l'uovo nella discesa; mentre alcune esperienze che ora esporremo, e che ver- ranno ampiamente svolte in una Memoria a parte, ci porterebbero ad affermare che: la diminuzione di temperatura concorre all'immersione delle uova. Poniamo, intanto, l'uovo in un lungo tubo pieno di acqua marina por- tata all'esatta densità dell'uovo stesso ed alla temperatura ambiente; in tal modo l’uovo resta in equilibrio a qualsiasi livello scelto, non accennando (1) Lavoro eseguito nell'Istituto centrale di Biologia marina in Messina diretto da. L. Sanzo. (2) Presentata nella seduta del 6 marzo 1921. — 147 — spostamento alcuno lungo la verticale. Ma una piccola variazione di peso specifico del liquido, basta per rompere la quiete e spingere l'uovo ad im- mergersi od a raggiungere la superficie dell'acqua. Se poniamo, ora, il tubo in un liquido a temperatura costante, ma 2r/e- riore a quella dell'ambiente, vediamo l'uovo perdere l'equilibrio ed immer- gersi a poco a poco. Quest immersione, che potrebbe attribuirsi a correnti determinate in seno al liquido da fenomeni convettivi, sarebbe, invece, dovuta ad una vera modificazione di densità subìta dall'uovo in seguito alla diminuita tempe- ratura. Già a priori potremmo escludere l’azione convettiva poichè questa do- vrebbe manifestarsi, durante il raffreddamento del liquido, con moto discen- dente lungo la parete del tubo — prima a raffreddarsi — e al moto discen- dente farebba riscontro una corrente di compensazione ascendente delle par- ticelle liquide più centrali del tubo stesso. Quindi, se convettive fossero le cause del movimento dell'uovo, questo discenderebbe lungo i fianchi del tubo e risalirebbe verso il centro. Ebbene. ciò non si verifica, qualunque sia la distanza dell'uovo dall'asse del tubo. Ma la certezza ci viene data dall'esperimento in cui con l’esclusione di qualsiasi movimento delle par- ticelle del liquido, contenuto nel tubo, l’approfondimento dell'uovo si verifica ugualmente col diminuire della temperatura. Poniamo in due tubi, uguali. e tersi, l'acqua tolta da un recipiente più capace, nel quale l'uovo, a temperatura normale, aveva raggiunto l'equilibrio. Questi tubi vengono, poi, immersi in un liquido a temperatura inferiore. Se in uno di essi lasciamo cadere polvere di licopodio ed attendiamo fino a che siano spenti tutti i movimenti dell'acqua percettibili mediante i cor- puscoli in sospensione, è da supporre che anche nell’altro tubo, avente forma, capacità e condizioni fisiche uguali, si ristabilisca la quiete. Prendiamo, ora, mediante una pipetta, l'uovo, in equilibrio nel recipiente grande a tempe- ratura normale, e poniamolo nel secondo tube: dopo una leggera esitazione, durante la quale l'uovo sembra voglia risalire, esso finisce, anche in questa esperienza, col dirigersi al fondo. Per la diminuita temperatura, l’acqua è aumentata di densità e do- vrebbe spingere l'uovo in alto; e così in effetto, sarebbe avvenuto, se questo non avesse subìto alcuna modificazione, mentre, dal suo modo di comportarsi, dobbiamo ammettere non solo che l'uovo aumenti di peso specifico, ma che l'aumento sia tale da superare l'incremento di densità dell'acqua. Potremmo esprimerci col dire che l'uovo possiede un coefficiente di di- latazione cubica superiore a quello dell’acqua marina. La ragione per la quale, dopo un rapido abbassamento di temperatura, la pesca delle uova in superficie è poco rimunerativa, si potrebbe benissimo attribuire a questo fenomeno. — 148 — Possiamu ora domandarci: le uova galleggianti, una volta raggiunta e superata la densità dello strato superficiale, dovranno continuare sempre più ad immergersi col diminuire della temperatura ? Se la diminuzione procede continua — e sempre che il coefficiente di dilatazione termica dell'uovo resti superiore a quello dell'acqua marina col variare della pressione — è chiaro come ciò dovrebbe propriamente acca- dere; e nel Mediterraneo, dove si verifica un simile andamento termico fino a 250 metri di profondità, l'uovo, iniziata l'immersione, verrebbe sollecitato. a superare quel limite; oltre il quale subentra l’eterno tepore di 13° circa e non è più possibile alcuna variazione di peso specifico, dovuta ad effetto. termico. Ma non cessa. con ciò, di manifestarsi la compressione, la quale, crescendo via via con la potenza degli strati, accompagna l’acqua fino al- l'estremo fondo del bacino, aumentandone progressivamente la densità. Se l'uovo può trovare l'equilibrio negli strati inferiori, dovrà attribuirsi esclusivamente a questo secondo fattore. Ora sarebbe anche facile comprendere in qual maniera l’uovo, emesso a profondità, giunga in superficie: basta che al momento dell'emissione pre- senti una densità lievemente inferiore a quella dell'ambiente, per iniziare il movimento di ascesa. Ma, diminuendo la densità degli strati sovrastanti, in funzione della temperatura, il piccolo incremento citato finirebbe coll’esaurirsi, ed il movi- mento di ascesa coll’arrestarsi se l'uovo non rispondesse con un maggior aumento di volume, in virtù del suo più grande coefficiente di dilatazione termica. La densità dell'ambiente di emissione darebbe, per così dire, la spinta iniziale e il resto del movimento si compirebbe per una funzione della temperatura. Nelle condizioni ideali, dunque, le uova verrebbero sollecitate non solo ad immergersi, ma anche ad emergere, ed allorchè vengono pescate nel primo strato del nostro mare, bisognerebbe considerarle in moto per raggiun - gere la superficie o la profondità oltre i 250 metri. Occorre, però, tener pre- sente che l’incontro di correnti o strati più caldi o più freddi, turbando le condizioni di una progressiva diminuzione di temperatura, può creare delle barriere di arresto o d’imprigionamento delle uova. Nei mari freddi, dove in certe stagioni la temperatura cresce con la profondità, si avrebbe uno spostamento verticale delle uova in senso con- trario a quello dei nostri mari, e verrebbe favorita la sospensione di esse alla superficie. Tali condizioni potrebbero trovare una certa relazione con la pescosità dei mari nordici. Quanto abbiamo detto venne osservato a pressione normale, mentre l’uovo, nelle sue migrazioni verticali, è soggetto a pressioni varie e di intensità non trascurabili; onde giustamente sorge il dubbio che al variare delle con- — 149 — dizioni fisiche di ambiente, possa variare di valore il suo coefficiente di dila- tazione cubica. Le esperienze che abbiamo in corso su questo riguardo potranno fare luce sull'argomento. Intanto possiamo affermare che il coefficiente di dila- tazione termica dell'acqua marina, cresce col crescere della pressione (1) e, precisamente in un mare a salinità 37 °/0, e fra 2° e 249, occorre scendere oltre 3000 metri, per trovare un aumento nel sopradetto coefficiente pari al, Se anche l'uovo presenti un analogo comportamento — nel quale caso il fenomeno descritto a pressione normale, lungi dall'essere scosso, verrebbe esagerato — sarà detto in una prossima Memoria. Fisiologia comparata. — Sull’ influenza della nutrizione con tessuti iodati d' Invertebrati sulle larve di Bufo vulgaris (?). Nota del dott. GruLio COTRONEI, presentata dal Socio B. GRASSI (?). In ricerche precedenti ho studiato l'influenza che nutrizioni costituite da diversi organismi, lontani nella posizione sistematica, hanno nell'accresci- mento e nella metamorfosi degli Anfibi Anuri. Con la presente Nota mi li- mito a riferire qualche risultato ottenuto finora dando come nutrizione tes- suti iodati d’ Invertebrati a larve di Bufo vulgaris. Fin dal mio primo lavoro sull'argomento (1913) io espressi il proposito di sperimentare l’azione dell’iodio sui girini, per spiegare l'influenza chi- mica della nutrizione con tiroide: i miei esperimenti, eseguiti fin dal 1913, furono però tutti negativi; le esperienze con iodo-gelatina Sclavo resa più consistente con agar, l'alimentazione con alghe marine del golfo di Napoli che contengono naturalmente iodio, mi dettero risultati poco apprezzabili. Non ho mai creduto riferiré questi esperimenti infruttuosi, che dovetti poi interrompere a causa della guerra. Ho visto, in seguito, che altri ricerca- tori (Giacomini e altri) facendo i miei medesimi esperimenti non ebbero risultati molto dissimili. Soltanto a Giacomini parve nel 1914 di rilevare che la iodo-gelatina esercitasse una lieve azione acceleratrice, che natural- mente non poteva paragonarsi all'influenza ben più intensa esplicata dalla nutrizione con tiroide. Risultati ben più fortunati si sono avuti seguendo altra via. Giacomini comunicò nel 1918 che un'alimentazione fatta con milza lodata di agnello, produceva negli Anfibi Anuri una rapida metamorfosi sì (*) Bjerknes, Dynamie Meteorology and Hydrografie, Washington, 1910. (2) Lavoro eseguito nell'Istituto d’Anatomia e Fisiologia comparata della R. Univer-- sità di Roma. (3) Presentata nella seduta del 3 aprile 1921. — 150 — da ottenere un effetto analogo a quello della tiroide e antagonista a quello della milza non iodata; giacchè è noto che la milza come il timo ostacola la metamorfosi. Con più recenti e estese ricerche Giacomini (1) ha dimostrato come molti tessuti e organi di agnello sottoposti a un trattamento iodato manifestano la medesima influenza acceleratrice esercitata dalla tiroide: i varî organi e tessuti mostrano tuttavia un comportamento differente circa la rapidità dell influenza acceleratrice: il cervello iodato agisce assai lentamente, e il grasso d'agnello iodato ha dato risultati negativi; il cuore iodato (mu- scolo cardiaco) manifesta un'azione molto più rapida della carne iodata (mu- scoli scheletrici). Merita di essere ricordato, per chiarire l'impostazione delle presenti ricerche, che esperienze con alghe iodate dettero al Giacomini risultati sempre negativi. Anche esperienze con algho marine contenenti iodio (Morse) furono negative. È stato ricordato, in proposito, che l'iodio può trovarsi in tali casi combinato in forma inorganica. I risultati finora ottenuti sui tessuti iodati si riferiscono, per quanto io sappia, soltanto a tessuti e organi di Vertebrati; di organismi cioè nei quali cè un organo, la tiroide, dove l’iodio si deposita in notevole quantità, e nei quali l’iodio può trovarsi anche in altri organi. Si sa pure che in alcuni organismi marini (Invertebrati) è stata notata la presenza dell'iodio. Ma in quale forma l'iodio può combinarsi con le sostanze proteiche degli Inverte- brati? Sono attive queste possibili combinazioni iodate degli Invertebrati sullo sviluppo di quegli organismi (Vertebrati) dove c'è un organo, la tiroide, che esplica tanta influenza sullo sviluppo, influenza che viene appunto riferita all’iodio in combinazione organica? Ho cominciato le mie esperienze in proposito con musculatura iodata di Crostacei e di Molluschi seguendo il procedimento tecnico fatto conoscere dal Giacomini. Per i Crostacei ho scelto la Squilla mantis (*), per i Mol- luschi, le Telline (Donax venustus). Piccoli pezzetti di musculatura della Squilla e piccoli pezzetti del piede (ricco di musculatura) deile Telline ve- nivano messi nella seguente soluzione iodo-iodurata: Ioduro di potassio. . . . .grammi 2 Todio: or. eee ” 1 ACQUI el RE ” 100 I tessuti venivano tenuti per 24 ore (e anche più) in questa soluzione, la quale rapidamente si decolorava, e questo mi dimostrava che i detti tes- (!) Giacomini E., Ulteriori esperimenti di nutrizione di girini di Rana con di- versi organi e tessuti todati. Rendiconti R. Accademia Scienze di Bologna, seduta del 25 maggio 1919-1920. (2) Ho sperimentato anche con il Peneus caramote. — 151 — suti sottraevano iodio alla soluzione (e pertanto conviene rinnovare la solu- zione iodo-iodurata). Dopo un lavaggio in acqua si somministravano questi pezzetti iodati a lotti separati di larve di Bufo vulgaris che presentavano appena un lieve accenno degli arti posteriori. Ho preferito sperimentare con temperatura abbastanza elevata (25°-260), risultando da mie precedenti ri- cerche che in tal modo sì favorisce di molto l’azione acceleratrice della ti- roide. Ho osservato che ì girini mangiavano i pezzettini di musculatura che ad essi somministravo. Dopo pochi giorni di tale trattamento mi sono accorto che in entrambi i lotti, e in tutti gli esemplari in esperimento, si manifestava l’azione acce- leratrice dell’iodio, così come risultava dalle ‘esperienze di Giacomini con i tessuti iodati di Vertebrati. Questo acceleramento nei processi differenzia- tivi diventava più accentuato nei giorni successivi. Con nutrizione fatta con piede (musculatura) iodato di Tellina ho ottenuto una notevole atrofia della coda, acceleramento nella differenziazione degli arti, emissione dell'arto ante- riore sinistro, e notevoli trasformazioni dell'apparato digerente: nello stesso tempo l’acceleramento si è dimostrato meno rapido nel lotto nutrito con mu- sculatura iodata di Squilla mantis (*). Ne concludo che in linea generale le sostanze proteiche iodate degli Invertebrati agiscono come le sostanze proteiche iodate dei Vertebrati, ricor- dando cioè l’effetto manifestato della tiroide: più estese ricerche sono tut- tavia necessarie per accertare la possibile differente influenza acceleratrice fra sostanze proteiche iodate di differenti gruppi di Invertebrati. (1) Questo minore acceleramento avuto con la Squilla mantis viene riferito per fedeltà espositiva, ma non se ne può trarre ancora nessuna conclusione. G. 0. ReNDICONTI, 1921, Vol. XXX, 2° Sem 20 ‘ Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 13 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 22 MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3% MEMORIE della Classe di sciense morali, storiche e filologiche. Vol. IV. V. VI. VII. VIII : Serie 3* — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. IL (1, 2). — Il. (1, 2), — HI-XIX. MreMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiehe. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpICONTI. Vol. I-VII. (1884-91). i MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII MEMORIE della Classe di sciense morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. i Vol. 1-XXX. (1892-1921). Fasc. 12°, Sem. 1°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XXX. (1862-1921). Fasc. 1°-3°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. XIII, fasc. 5°. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. Vol. XIV. Vol. XV. XVI. Fasc. 7. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI ; DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI ] Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni annata c per tutta l’Italia è di L. 108; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono ceselusivamente dai seguenti editori-librai: ULRICO HoepLi. — Misano, Pisa è Napoli. P. MagLIONE & C. STRINI (successori di E. Loescher & C.) —- Roma. RENDICONTI — Agosto 1921. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTR DI SOCI pervenute all'Accademia durante le ferie del 1921. Maggi. Calcolo delle discontinuità delle derivate di ordine superiore dello spostamento d’equilibrio elastico : GT Majorana. Sull’assorbimento della atavitiiono NE Enia ; MIND ReO Zambonini. Sui cristalli misti stereoisomeri nella serie Hina dia Nota I k MEMORIE E NOTE PRESENTATE DA SOCI Nalli. Sopra un'equazione funzionale. Nota III (pres. dal Corrisp. Bagnera) . ; Picone. Sulla equazione integrale di Fredholm a nucleo non limitato (pres. dal Cio 5 Severini. Sopra i sistemi complementari dei sistemi non chiusi di funzioni ortogonali. Nota I (pres dal Corrisp. Z’edone) . . . . die Terracini. Sul modulo delle forme contenenti una Vacca di Segre di dal Soc Segre). Gortani La serie paleozoica delle Alpi Carniche (pres. dal Socio 7. Taramelli) . . Rovereto. Lo svolgimento dei fenomeni carsici (pres. dal Socio /ssel). . LL... Grandi. Intorno al ciclo biologico dell’Aploneura lentisci Pass. (Hemipoa tia ptera-Aphidoidea) (pres. dal Socio Silvestri) LL... e Sereni. Ricerche morfologiche sul preparato centrale di rospo miete. ‘dial Corrisp. Bagliabii Comanducci Cortini. Tylomyces gummiparus n. sp., prototipo di un nuovo genere di Ifomiceti. Caratteri biologici e sistematica del fungo. Nota II (pres. dal Socio Pirotta) MKMORIE E NOTE DI SOCI Zambonini. Sui cristalli misti stereoisomeri nella serie clinozoisite-epidoto. Nota II. . . MEMORIE E NOTE PRESENTATE DA SO:CI Nalli. Sopra un'equazione funzionale. Nota IV (pres. dal Corrisp. Bagnera) . .\. . .. Persico. Realizzazione cinematica del parallelismo superficiale (pres. dal Socio Levi- Civita) Severini. Sopra i sistemi complementari dei sistemi non chiusi di funzioni ortogonali. Nota II (pres. dal Corrisp. Z'edone) . . . . . Fapicgeno 3 PARE Kahanowicz. Potere emissivo di alcuni metalli ed Lr (Di . al Cai Coda Passerini. L'ossidazione dell’acetil-p-aminoazobenzolo (pres. dal Corrisp. Pellizzari) . Gortani e Vinassa de Regny. Su l’età e posizione di alcuni scisti delle Alpi (pres. dal Socio 7°. Zaramelli)\ i... «ne ARI RA PMI IZ De Fiore. Di un solfuro di Hero dhe PARCO n di Vulcano (Isole Eolie) for- matosi nel 1916 (pres. dal Corrisp. Millosevich) | . LL... Iemotti. Temperatura e migrazioni verticali delle uova di Teleostei (pres. dal 00 Grassi) Cotronei. Sull’influenza della nutrizione con tessuti iodati d’Invertebrati sulle larve di Bufo vulgaris (pres. dal Socio Grass). ene ANAAO RA VESTA K. Mancini, Cancelhere dell’ Accademia, responsabile $ n x % LA 122 127 129 132 137 140 142 146 i 149. AUG 23 1924 €}; 4 Nilt0i 96y 116888 £ DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEEENHI SHARE LINDA RENDICONTI. Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume X X X.° — Fascicolo 506° Comunicazioni pervenute all’ Accademia durante le ferie del 1921. 2° SEMESTRE. TIP. DELLA R. ACCAD. NAZIONALE DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1921 | ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE 1. Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Inoltrei Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Renpiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: i 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- giche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estransi, nelle due sedute mensili del- l'Accademia. nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un'annata. 2. Le Note di Soci o Corrisponidenti non possono oltrepassare le 5 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, non possono superare le 3 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comuricazioni 50 estratt* gratis ai Soci 3 Corrispondan’i, e 30 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus» sioui verbali che si fanno nel seno dell’Acca» demia; tuttavia se Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. SII: I. Le Note che ‘oltrepassino i limiti ndi- . cati al paragrafo precedente e le Memorie pro» priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - @) Con una proposta a stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o in sunto o in esteso. senza pregindizio dell'art. 26 dello Statuto - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell'Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta, pubblica nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 80se estranei. La spesa di ur numero di copie in più. che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. al RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI pervenute all’ Accademia durante le ferie del 1921. (Ogni Memoria o Nota porta a pie’ di pagina la data d'arrivo). nr _ TTT” Mineralogia. — Sulla presenza della nesquehonite nelle cave d'amianto di Franscia in Val Lanterna. Nota del Socio ETTORE ARTINI (1). Durante un'escursione fatta nello scorso agosto alle cave di amianto di Val Lanterna (Val Malenco), in compagnia dell'amico signor Pietro Sigismund, noto collezionista e conoscitore dei minerali di Valtellina, abbiamo potuto osservare come la roccia peridotitica più o meno serpentinizzata che forma la matrice dell'amianto sia qua e là chiazzata da patine biancastre; ma queste di solito hanno l’aspetto di sostanza farinosa, decomposta, tale da non incoraggiar punto ad uno studio che se ne prefigga la determinazione pre- cisa. Solo in una località, sulla volta e sulle pareti interne della prima cava a sinistra che incontra chi sale da Tornadri, quasi in faccia al così detto « Ristoro » di Franscia, il signor Sigismund notò alcune incrostazioni di un bel bianco candido e di aspetto freschissimo, che con molta pazienza, e non senza fatica, riuscì a staccare, insieme a frammenti della roccia. In altra escursione poi, fatta più tardi, dietro mia preghiera, egli potè racco- gliere un materiale anche più vasto, che pure mise gentilmente a mia dispo- sizione, Il minerale forma sulla roccia serpentinosa delle crostine bianche, con- crezionate, con tendenza a forme mammellonari o botrioidali minute, di spessore vario, per lo più esile, ma che non di rado raggiunge due e anche (1) Pervenuta all'Accademia il 23 settembre 1921. RenpiconTI, 1921. Vol. XXX, 2° Sem. 21 — 154 — tre millimetri; la struttura è evidentemente cristallina, bacillare-raggiata; i singoli individui, che qualche volta sporgono dalla superficie, come pri- smetti isolati, senza tuttavia raggiungere mai la perfezione di cristallini misurabili, sono incolori e trasparenti, o translucidi; la lucentezza è piut- tosto vitrea che sericea. Sopra le più grosse croste cristalline si osservano poi esili ciuffetti o sferoliti, a struttura fibroso-raggiata assai più fina, che spiccano per la loro bianchezza, più nivea ed opaca; qua e là si notano tuttavia passaggi graduali dall’uno all’altro tipo di sostanza. Nell'insieme, l'aspetto e la struttura ricordano alquanto quelli di certe aragoniti concre- zionate. L'analisi qualitativa, condotta sopra la sostanza a struttura bacillare, accuratamente liberata dai grumetti bianchi opachi (dalla rocccia sottostante le crostine più grosse si staccano anche troppo facilmente), mi ha rivelato la presenza di MgO, CO;, H;0, senza apprezzabili quantità di altre sostanze. Il materiale per l’analisi quantitativa fu facile a procurare, purissimo, in due porzioni di circa 20 cgr. l'una. Sulla prima di esse determinai anzitutto la perdita di H,0 a 135°; poi la perdita totale di H,0 -- CO, alla calcina- zione; nel residuo, sciolto in HCI diluito, e precipitato secondo le regole con fosfato sodico-ammonico, dosai Mg0. L'altra porzione mi permise di deter- minare H,0 totale, col metodo del tubo Brush-Penfield; metodo i) quale sarà forse, teoricamente, meno preciso di quello classico del tubo a combustione, ma che in questi casi ritengo in pratica preferibile, perchè più semplice e rapido, meno soggetto a incidenti spiacevoli, e sufficientemente esatto (1). I risultati ottenuti sono i seguenti (I), posti a confronto con quelli (Il) teorici calcolati (?) per la nesquehonite Mg CO. 3H,0: I II Mg0 29.14 29.14 CO, 31.90 31.80 H,0 39.51 39.06 100.55 100.00 (1) Due prove preliminari fatte su 20 egr. di nesquehonite sintetica, con questo metodo, mi hanno dato per risultato valori quasi identici ai teorici. (2) È singolare che nel grosso Mandbuch der Mineralchemie di C. Doelter(vol. I, pag. 262) per la composizione teorica della nesquehonite siano riportati tali e quali i dati errati di Genth e Penfield ( Veber Lansfordit, Nesquehonit und Pseudomorphosen von Ne. squehonit nach Lansfordit. — Zeit f. Kryst. XVII, 1890, pag. 561), cioè 31.38 °/, COs, 28.29 Mg0, 39.13 H.0, senza nemmeno accorgersi che la somma”di questi tre valori è ben lontana dal raggiungere 100. Anche nel Dana (System, VI edit., 1892, pag. 301) la composizione della nesquehonite è errata, benchè assai meno grossolanamente: Mg0 29.0, CO» 31.4, Ha0 39.1 — 155 — Il confronto fra le due serie di valori permette di stabilire senza alcun dubbio che le nostre croste cristalline spettano precisamente alla nesquehonite, minerale per quanto io so nuovo per l'Italia, e per le cave di amianto in generale. Il risultato non mi stupì menomamente, perchè già l'aspetto e la struttura del minerale mi avevano lasciato riconoscere che non si trattava affatto di idromagnesite, la quale ha struttura lamellare e lucentezza madreperlacea, e nemmeno di artinite, che possiede invece una struttura fibrosa assai più fina e lucentezza piuttosto sericea. Il p. sp., determinato su prismetti quasi perfettamente isolati. e su gruppetti trasparenti, in soluzione di Thoulet, mi diede il valore di 1.834, che credo abbastanza esatto, e che corrisponde perfettamente a quello della nesquehonite. Lo studio ottico dovette necessariamente limitarsi alla osservazione microscopica di prismetti staccati per frantumazione o schiacciamento dolce delle crostine, oppure per raschiatura di alcuni tra eli sferoliti più distinti. In queste prove potei constatare l’esistenza di una sfaldatura abbastanza facile, parallela all’allungamento. Il minerale ha basso potere rifrangente e birifrazione energica. L'estin- zione avviene parallelamente e normalmente all’allungamento, il cui carat- tere ottico è talora positivo e talora negativo; gli individui cristallini sono biassici, con piano degli A. O. normale all'allungamento. Da alcune sezioni, a più debole birifrazione e allungamento negativo, esce.normalmente la bisettrice acuta, negativa; l'angolo dagli A. O. nell'olio di garofani appare mediamente grande, ma nettamente minore di 90°; la dispersione degli A. O. è estremamente debole, anzi appena sensibile: o 1.540) e l'angolo degli A. O. è nella nesquehonite un poco meno aperto che nell'altra. Tuttavia la distin- zione è facilissima: basta per ciò servirsi del valore di #, che nell'artinite è quasi esattamente = 1.535, mentre nella nesquehonite è notevolmente più basso ; poche fibrille immerse in olio di garofani permettono di rilevare, mediante l'osservazione della linea di Becke, la spiccata diversità. Questo confronto, fatto da me ‘servendomi di alcuni aghetti di artinite, tolti da un campione tipico, gemello di quello analizzato da Brugnatelli, ha confermato in ogni parte le osservazioni di questi, segnando tra le due specie una così evidente differenza, da rendere impossibile ogni confusione. Quanto ai fiocchetti e sferoliti più bianchi e più leggeri, dei quali un'ana- lisi quantitativa non era possibile, per troppa scarsità di materiale, dopo un accurato saggio qualitativo, che mi permise di scoprirvi solamente Mg0, CO: e H.0, li sottoposi pure all'esame ottico, dal quale risultò che anch'essi constano di nesquehonite, in fibrille più esili, ma con proprietà perfetta- mente identiche a quelle dei più grossi prismi che formano le croste sot- tostanti. Ho accennato prima alla determinazione dell'acqua che il minerale perde a 1359; questa perdita, per la nesquehonite naturale, dopo cinque ore di riscaldamento, mi risultò = 24.51 °/, ciò che corrisponde a circa 2H.0. Per verificare il comportamento anche della nesquehonite sintetica, scaldai, in parecchie riprese di 2-3 ore per volta, una porzione di quasi mezzo grammo di questa sostanza, cristallizzata purissima, e finissimamente macinata, alla temperatura di 135°, mantenuta costante con sufficiente preci- sione. Dopo 4 ore la sostanza aveva perduto 26.05 °, H,0, ciò che corri- sponde esattamente a ?/; del contenuto totale, ossia a 2 H:0. La terza mole- cola d’acqua sembra non eliminarsi che con molto maggiore lentezza e difficoltà; infatti, dopo 17 ore di ulteriore riscaldamento a 135°, la sostanza aveva subito una maggior perdita di peso di solo 2.01 °/, con un modulo orario assai piccolo, ma abbastanza costante. La perdita più bassa, di solo 24.51 °/,, ottenuta in 5 ore con la nesquehonite naturale dipende, credo, dal fatto che questa era stata macinata alquanto più grossolanamente (*). Gli autori che hanno avuto occasione di studiare la nesquehonite non ‘sono nemmeno molto precisi intorno alla disidratabilità del composto alla (1) Vedasi a questo proposito: Cesaro, Sur la MNesquéhonite (Acad, R. de Belgique. Bull. de la C1. de Sciences, 1910, pag. 749); questo autore vorrebbe addirittura interpretare la nesquehonite come un ortocarbonato acido biidrato. Ricordo anche le esperienze di H. Leitmeier sulla disidratazione del carbonato pentaidrato di Mg (Die Absdtze des Mine- ralwassers von Rohitsch-Sauerbrunn in Steiermark. Zeit. f. Kryst. XLVII, 1910, pag. 104). Senza fermarmi qui a fare la critica della « curva di disidratazione » tracciata da Leitmeier, noto che tale curva presenta un brusco flesso precisamente in un punto che corrisponde alla perdita di 4/5 dell'acqua del pentaidrato, e cioè a Mg CO. H30. — 157 — temperatura ordinaria: mentre infatti Genth e Penfield (1. c., v. Nota 1) trovarono che il minerale di Nesquehoning-Mine, essiccato per tre giorni su acido solforico, perdette solo 0.1 °/, e riferiscono questa piccola perdita a tracce di lansfordite aderente, secondo Friedel (') la perdita di peso sem- brerebbe essere abbastanza rapida, e in due mesi mell’aria secca avrebbe raggiunto 10.36 °/,. Lacroix nota che, esposto all’aria, il minerale sbianca e diventa opaco, perdendo acqua (*); ciò che conferma l'osservazione di Friedel sul campione di La Mure, il quale dopo varî anni di giacenza nella raccolta de l'£cole des mines era diventato opaco e come stiorito alla super- ficie mentre aveva conservato l'aspetto primitivo nelle parti interne. Del resto, l'osservazione dell'alterazione per perdita d'acqua nell'aria secca per il carbonato Mg CO;. 3H,0 ottenuto artificialmente è assai vecchia, e risale a Berzelins. Per mia parte, io posso solamente affermare che la nesquehonite artificiale, sottratta all'azione dell’aria libera mediante semplice chiusura in tubo di vetro con tappo di sughero, si conserva perfettamente per varî anni, senza apprezzabile perdita d'acqua; il parallelo fatto da taluno con la disi- dratabilità della laumontite mi par dunque alquanto esagerato. L'alterazione spontanea all'aria secca e la pur nota decomponibilità della nesquehonite in presenza di considerevoli quantità d’acqua, con forma- zione di un sale basico, spiegano secondo il concorde parere degli autori la grandissima rarità in natura di questo carbonato, ch'è precisamente quello il quale più facilmente si ottiene artificialmente, alla temperatura ordinaria, per evaporazione di una soluzione di Mg CO; in acqua ricca di COs. Nel caso nostro, le croste di nesquehonite si sono potute formare e conservare perchè appunto il cielo e le pareti della cava, donde esse furono staccate, sono ‘al riparo dal dilavamento per opera delle acque piovane. La forma- zione della nesquehonite di Franscia è certo recente, e dovuta ad acque di sgocciolamento, provenienti da infiltrazioni nella roccia sovrastante; oltre a formare incrostazioni lungo lievi screpolature, essa fu infatti rinvenuta 2 tappezzare anche l'imbocco di un foro da mina. Quanto ad un possibile nesso genetico tra la nesquehonite e l’artinite, io non vorrei osare di negarlo in modo assoluto, ma mi sembra affatto impro- babile; più razionale è pensare che mentre la nesquehonite costituisce un prodotto attuale, formatosi alla temperatura e alla pressione ordinaria, idromagnesite e artinite si siano formate in condizioni diverse dalle attuali di superficie, a temperatura e pressione alquanto più elevate (5). (1) Ch. Friedel. — Sur Za nesquéhonite. — Bull. de la Soc. Frane. de Mingralogie, XIX, 1891, pag. 60. (°) A. Lacroix. — Minéralogie de la France et de ses colonies. — Tome III pag. 789. (3) L. Brugnatelli. — /dromagnesite ed artinite di Emarese. — Rendie. R. Ist. Lomb. di Sc. e Lett. XXXVI1, 1903, pag. 824. — 158 — Chimica fisica. — Analisi termica del sistema zolfo-p.diclo- robenzolo (*). Nota del Corrisp. G. BRruNI e di C. PELIZZOLA (?). Nonostante il largo impiego dello zolfo nella pratica e la sua relati- vamente facile miscibilità con svariate sostanze organiche, poco o nnlla è noto di quantitativo circa il comportamento di sistemi binarî dello zolfo con tali sostanze. Anche sulla solubilità dello zolfo in solventi organici non si hanno che dati sparsi (*), generalmente antiquati, poco attendibili e non pro- porzionati all'importanza che essi avrebbero in pratica. Una estensione delle nostre cognizioni su questo punto è assai desiderata. L'unica serie di osservazioni un po' comprensiva e sistematica fu fatta da W. Alexejew (‘) nelle sue classiche ricerche sulla solubilità reciproca dei liquidi e sui punti critici di soluzione. Egli esaminò la miscibilità dello zolfo con benzolo, clorobenzolo, to- luolo, anilina e senfolo e trovò che, in tutti questi casi si ha formazione di due strati liquidi. Egli determinò in tutti questi casi l'andamento della doppia curva di solubilità, stabilì che essa corrisponde con molta approssi- mazione alla regola del diametro retto e fissò i punti critici di soluzione. Dato lo scopo del lavoro Alexejew trascurò completamente le curve di separazione delle fasi solide. Noi abbiamo esaminato il sistema zolfo-p.diclorobenzolo che si presentava interessante per varie ragioni. Anzitutto dall'esame delle curve di miscibilità dello zolfo col benzolo e col monoclorobenzolo, su cui ritornerò in seguito, risulta che la solubilità aumenta di molto passando dal primo al secondo; ossia coll’ introduzione di un atomo di cloro nella molecola del solvente. Così la temperatura critica di soluzione si abbassa da 1629,8 a 117°,0. Era interessante vedere se la solubilità continui ad aumentare passando dal mono al diclorobenzolo. Inoltre la temperatura di solidificazione del p.diclorobenzolo rendeva fa- cile esaminare tutte le curve di separazione delle fasì cristalline. L'esame fu compiuto col metodo termico seguendo le curve di raffred- damento con un termometro in decimi; le miscele fino a 5% di zolfo fu- rono rideterminate con un Beckmann operando come nel metodo crioscopico. (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Ricerche Chimiche e Chimico-Fisiche della Società Italiana Pirelli in Milano, diretto dal prof. G. Bruni. (2) Pervenuta all'Accademia il 24 agosto 1921. () Landolt Bornstein Tabellen, 4% ediz., Berlin, 1912, pag. 579. (4) Wied. Ann. 28, 305 (1886). — 159 — La temperatura di separazione dei due strati venivano determinate osser- vando il punto di intorbidamento della miscela liquida. Lo zolfo impiegato era stato depurato per cristallizzazione dal benzolo ; il p.diclorobenzolo per distillazione. I risultati sono riassunti nella seguente tabella : grammi di zolfo Temp. di inizio Temp. di Temp. in 100 gr. di miscela di cristallizzazione intorbidamento Kutectica 100 113° — — 95 107 .2 = = 90 101.4 —_ 499.8 30 99 .05 = 49 .8 TO 98.4 101° 50 .8 70 97.4 102 50 4 60 96.5 104 DOT 50 96 .9 101 .8 50.7 45 96 .8 100 .2 50 .7 40 MIGRSE) 96.5 SU 30 94 .6 — 51 20 86 .6 — 51 .2 15 79 .6 = ol .2 10 67.8 — 51.5 5) 51 .5 (51°.32) (1) = 51.9 d 52.2 (51.98) (1) = 50.8 1 52 .6 (52 .58)(1) — 51 0 52 .9 (52 .90) (') = = L'interpretazione dei risultati si ha senza alcuna difficoltà dall'esame del diagramma fig. 1. La curva AB rappresenta la separazione del p.diclo- robenzolo. La temperatura eutectica giace intorno a 51° e ad una concen- trazione di poco superiore a 5%. Lungo la curva BC sì separa lo zolfo cristallino, essa dovrebbe rigorosamente essere divisa in due tratti incon- trantisi al punto di trasformazione dello zolfo. Siccome questo casualmente coincide quasi esattamente colla orizzontale del limite di separazione dei due strati liquidi, non si riesce ad osservare il gomito relativo. La curva CDE corrisponde alla separazione in due strati; tutte le mi- scele liquide aventi concentrazioni fra CE mostrano prima l’' intorbidamento, quindi un primo arresto di incipiente cristallizzazione alla medesima tem- (1) Temperature osservate con termometro Beckmann. 120 — 160 — peratura e infine l'arresto eutectico. L’orizzontale limite giace intorno a 97° e fra le concentrazioni 40° e 78 circa. Il punto critico di soluzione è & circa 104° e 60% di zolfo. Finalmente la curva FE rappresenta la separazione dello zolfo mono- clino. Tutte le soluzioni di questo tratto dànno l'arresto di incipiente cri- stallizzazione, l'arresto alla orizzontale 97° e quello eutectico. Esse subiscono: Eco Tempera lee ro d » è 8 » DI n DI ® kh Sr. di zoffo see 700 Pia di pretsce la anche la trasformazione da monoclino in rombico, ma siccome la tempera- tura relativa, come si è detto, coincide quasi coll'orizzontale 97°, il punto relativo non si osserva distinto. È interessante confrontare la curva CDE colle curve di miscibilità re- ciproca dello zolfo con benzolo e con monoclorobenzolo; il confronto risulta dal diagramma fig. 2. Si vede che conformemente alla previsione l'aumento di solubilità continua a crescere passando dal monocloro al diclorobenzolo. In- fatti la zona di esìstenza dei due strati liquidi nel sistema zolfo-p.dicloro- benzolo è caratterizzata dalla sua estrema strettezza nel senso delle tempe- rature. Il suo campo di esistenza è infatti di soli 7° (da 97° a 104°), mentre 170 160 150 140 130 — 161 — quello del sistema zolfo-monoclorobenzolo è di almeno 30° e quello del si- stema zolfo-benzolo di almeno 55°. (È da notarsi che i punti di intorbida- menti più bassi osservati da Alexejew nelle soluzioni meno ricche in zolfo YA er Te nperalia Tempera luca si Zoifo + Bernzolo LU 0 + Monoctorobenzolo TIE: P NictrroCenzolo G°. di zoo see 100 9% de smetscele- (2) 70 20 do 40 VI2) 60 o 60 b.7) 790 sono con grande probabilità punti metastabili). Per quanto si può rilevare anche la curva CDE segue la regola del diametro retto, il quale ultimo coincide quasi esattamente con la verticale di ascissa 60, ciò che conferma. la posizione del punto critico. RenDICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sem. 22 70 160 140 150 — 162 — Abbiamo voluto infine esaminare lo stato molecolare dello zolfo sciolto nel p.diclorobenzolo, approfittando delle determinazioni fatte lungo la curva AB. Nella tabella seguente sono dati i risultati ottenuti ricalcolando le concen- trazioni per riferirle a 100 gr. di solvente e usando come costante criosco- pica del p.diclorobenzolo K = 77 (1): Concentrazioni Abbassamenti Pesi molecolari 1.01 0.32 243 3.09 0.92 258 6.28 1.58 256 Sg = 256 Come era prevedibile la molecola dello zolfo è quindi ottoatomica come in tutti gli altri solventi normali, Si possono anche utilizzare le due concentrazioni a 90 e 95% di zolfo per avere un dato circa la costante crioscopica dello zolfo monoclino che non è nota. Si ottengono rispettivamente i valori 148 e 143 che non pos- sono essere riguardati che come largamente approssimativi. Mineralogia. — Sur cristalli misti stereoisomeri nella serie clinozorsite-epidoto (*). Nota III del Corrispondente FERRUCCIO Zam- BONINI (°). Col totalrefrattometro, tre diverse faccie hanno dato n, =1.7196, 1.7194, 1.7200 per la luce del sodio: per w, si sono avuti dei valori un poco più oscillanti, e, cioè, 1.7330, 1.7336 e 1.7341, sempre per la luce del sodio. Prendendo i valori medî di 7, e di 7g e quello di x, ottenuto col prisma, si ha: ip = L71197 Rin — d/259 ng = 1.733(6). Mediate una bella sezione parallela a (100) ho determinato l’angolo degli assi ottici, trovando (*) 2V,,== 36° 36’ (B) 85° 18’ (Na) 84° 25’ (E) In altre plaghe, per la luce del sodio, ho misurato 2 V,, =84° 32',85°38', 85030". Una seconda lamina parallela a (100), molto uniforme, ha dato 2V,,=85034' (B) 84936" (Na) 83°24' (E) Come media di tutte le misure per la luce del sodio si ha 85097". (1) Auwers, V. Landolt Bérnstein Tabellen, pag. 793. (3) Lavoro eseguito nell'Istituto di Mineralogia dell'Università di Torino. (*) Pervenuta all'Accademia il 16 agosto 1921. (4) Dai tre indici di rifrazione si calcola 2V,, = 84° 9' (Na), e l'accordo può ri- tenersi sufficiente, data l'incertezza nella quarta decimale, specialmente per ng. — 163 — L'angolo apparente che l’asse ottico emergente dalla base forma con la normale alla faccia stessa è risultato un po’ variabile. In una lamina, ai due estremi, si è trovato 34917’ e 35°22'; una seconda lamina ha dato 34°18' (parte centrale) e 34°51' (verso un estremo): infine, in una terza lamina di sfaldatura si sono avuti valori più bassi, 32°48' nel centro, 33°283' ad un estremo. Tutte le misure sono state eseguite con la luce del sodio: la loro media è 34°10' (l’angolo vero w' risulta, quindi, di 19°). In una lamina parallela a (010), una direzione di massima estinzione ng formava, per la luce del sodio, un angolo variabile da 24°10' a 25°30' «con la traccia di (001), nell'angolo ottuso #. Ne segue che x, giace nel- l'angolo ottuso 8, e forma con e un angolo che da circa 1!/3° si riduce fin quasi a 0°. In un’altra sezione (010) si è avuto [100]: ng= 23° (1). Il pleocroismo è nitido soltanto nelle lamine di spessore considerevole. In alcune di 2 mm. di spessore ho osservato: np = giallo verdastro pallidissimo Am = giallo vino molto chiaro ng = verde giallastro chiaro. Se lo spessore è inferiore ad un terzo di millimetro, il pleocroismo diventa insensibile. Utilizzando in parte il materiale adoperato per le ricerche ottiche ed in parte altro riconosciuto ad esso identico, ho trovato Fe, 0, 7.20 °/0. Fe0 0.29 °/o. Il ferriepidoto ammonta, perciò, a 16.3 °/0. Dalla mia for mula si calcola 2V,, == 83° 98 (Na), ossia un valore nettamente inferiore a quelli misurati direttamente. L'anomalia è, però, ancora più notevole per Nim, più basso che nell'epidoto del Rothenkopf, che contiene appena 3.52 °/, Fe. 03. Per un epidoto normale di uguale composizione ci si aspetterebbe m== 1.788 circa. Degno di nota è anche il trovarsi 7, nell’angolo ottuso #8. pur essendo Va <90°. Nella tabella seguente si trovano riuniti i valori dell'angolo degli assi ottici per la luce del sodio ed il contenuto in ossido ferrico ed in ferriepi- doto per varî termini della serie clinozoisite-epidoto. Î I il Î | Î Î | | | | | | | | | | | Il Tar EMO Fi = a = ce Ceo o = = ; = E E2 di 2 = E FCRARFE e Sa: 3 8 Cas ES Re ES SA ho d (0bt) sh SA LE SZ S iS Po o 29 ° Co. SS Iata ei so EI Pia ( SN = 5 ‘a Lai | Dl “ (9) | asi E = 2Vap «++ +|98°20791°10"| 89° 167|990835/1100° |90932"| 930 81’|85° 87° 45/| 980 357] 870 46'|85° 7’ |810 — 11/30 % Fea0,. È 1.68 3.01 3.02 5.1 5.16 6.67 9.75 5.79 6.8 6.81 6.97 7.20 7.30 16.6 ‘QFerriepidoto] 3.8 6.8 | 8 LORDI RZ: lc: 13.1 | 154 | 15.4 | 15.8 | 16.8 e (1) Dai valori medî di 2V e di ©' si calcola [100]: n = 23!/5°. — 164 — Anche facendo larga parte alle eventuali manchevolezze delle determi- nazioni (‘), dipendenti sia dalle misure, sia dall’essere spesso i cristalli di epidoto costituiti di parti a composizione chimica diversa (*), dalla tabella che precede risulta evidente che nella serie clinozoisite-epidoto vi sono ter- mini nei quali ad una composizione chimica quasi identica corrispondono valori anche molto diversi dell'angolo degli assi ottici e viceversa. Nè l «anomalia » si limita all'angolo degli assi ottici. Consideriamo, per esempio, alcuni valori di #, per la luce del sodio: =% =é sÉ SE 5. cm Î5 TT 37 Sa | 58 | 45 | 58 | #8 [dk | ii | SE 0 EL 3 SP zi ss DE 33 BE 0È Re Be 353 SIG sE #$ 58 cio BE SIG SE E sN n De = ad S SN No + » « | 1.7172 | 1.7195 | 1.7291 | 17135.|-1.716 |1.7146a| 1.7196 | 1.7244 | 1.7259 1.7149 OgHea0: 0 1.68 3.52 | 5.1 5.67 5.75 6.81 6.97 7.20 Anche in questo caso, noi troviamo quasi lo stesso valore di 2 in cri- stalli con quantità assai diverse di Fe, 03. Fenomeni dello stesso genere si verificano se si osserva la dispersione dell'angolo degli assi ottici intorno alla bisettrice acuta. La differenza tra i valori per la luce del sodio e quella del tallio (o per le linee D ed E in altri casi) risulta dal seguente prospetto: (1) Così, io ho osservato che dagli indici di rifrazione misurati da Forbes si calco- lano, per 2V, dei valori molto diversi da quelli effettivamente trovati. Ciò dipende dal fatto che la terza cifra decimale degli indici è incerta, mentre il valore trovato di 2 V è approssimativamente esatto, essendo stato dedotto dalla misura diretta di 2 H, e 2 Ho. (®) È certo che le determinazioni ottiche vanno ripetute nelle varie parti di uno stesso cristallo, e per le analisi si devono impiegare o gli stessi frammenti usati per le misure ottiche od altri riconosciuti positivamente ad essi analoghi. Così operando, si ot- terrà una composizione chimica media, corrispondente alla media dei valori trovati per le proprietà ottiche. Il presente lavoro mostra chiaramente come queste ultime possano presentare sensibili variazioni nelle diverse plaghe di cristalli apparentemente omogenei, sicchè non ripetendo le misure in differenti regioni del cristallo, si otterrebbero dei va- lori non corrispondenti affatto alla composizione chimica, che è necessariamente la media di quella delle singole plaghe. — 165 — D a- Far TS IS del CE = ros 3° EI BE 35 cin 3 E 25 SÌ Ss 25 RS SS 2 È a 8 23 die ER 32 © a 2-2 $ S aq de Purg 23 28 ss SE SS SE LS IS NE | sì | se | SS | 8° | ES | *$ | #3 < E È e E = 2 = 2V,-2Ve...| — 496’ | —1°20"|+1°16"| — 2°3" |— 0°54"|4-0°58"a | +0°27"| + 0011’ . JO12% % Fes 0... 0 1.68 3.52 5.1 6.81 7.20 9.67 13.67 (0) Anche qui è evidente, che i cristalli di Monte Tovo, dell’Inverness- shire e del Monte Bianco si comportano in modo diverso dagli altri (*). Se noi esaminiamo le singole tabelle riportate, o, meglio ancora, se noi ricorriamo a dei metodi grafici di rappresentazione, vediamo subito che i cri- stalli finora studiati possono essere nettamente divisi in due gruppi. Uno di essi è costituito dalla clinozoisite della valle di Ziller, della Goslerwand e di Monte Tovo e dagli epidoti del Rothenkopf, di val Maigel, delle Lu- sette presso Ala, di Quenast, della Schwarze Wand, di Pfarrerb, della Knap- penwand, del Rauhbeerstein, ecc., da quei cristalli misti, cioè, nei quali le proprietà fisiche sono in evidente relazione con la composizione chimica, sicchè vengono ad essere soddisfatte le regole ben note sulle proprietà fisiche delle soluzioni solide. Questo primo gruppo può essere chiamato dei cristalli misti normali. Al secondo gruppo appartengono, invece, alcuni dei cristalli di Monte Tovo, della Goslerwand, del Monte Bianco e di St. Barthélemy, oltre a quelli di Huntington, di Camp-Ras, dell'Inverness-shire, della valle di Ziller, in una parola tutti quei cristalli misti che hanno un comporta- mento ben diverso da quelli del primo gruppo, e che possiamo, perciò, chia- mare cristalli misti anomali (?). Il secondo gruppo è molto fre- quente nei giacimenti di val d’Ala: ad esso appartengono di certo, come mo- strerò altrove, quei cristalli di colore chiaro che nel 1915 la dott. F. Balzac, in base al valore di 2, misurato in alcuni di essi, riferì a termini clino- zoisitici. (') Lo stesso fenomeno si verifica anche per la birifrangenza ed è probabile si ma- nifesti pure per il peso specifico, ma per questo non dispongo di valori abbastanza atten- dibili e numerosi, sicchè mi riprometto di trattarne in seguito, dopo che avrò potuto ese- guire delle nuove determinazioni. (2) È da osservare che l'intensità della anomalia può essere molto diversa per le varie proprietà fisiche. Così, il cristallo del Monte Bianco studiato è quasi normale per 2V, ma si differenzia assai dalla serie tipica per gli indici di rifrazione, la posi- zione di np, ecc. Ne segue che l'appartenenza di un cristallo misto all’una od all’altra serie non può sempre con certezza essere stabilita in base ad un solo dato ottico. — 166 — L'esistenza delle due serie di cristalli misti, normale ed anomala, mi sembra risulti stabilita in modo indubbio da quanto si è esposto nelle pa- gine precedenti: si tratta di trovare la ragione di questo fenomeno, che, come accennavo in principio del presente scritto, appare, a prima vista al- meno, in pieno contrasto con le nostre cognizioni intorno ai cristalli misti. In realtà, una spiegazione persuasiva ed elegante è facile a trovarsi. La formula dell’epidoto può scriversi così: Cas (Al, Fe); (OH)(Si0,);. Due ipotesi sì contendono il campo intorno alla funzione dell’ossidrile, che Tschermak, Vernadskij ed altri vorrebbero legato al calcio, mentre Groth ritiene sia unito all’alluminio. Per quanto attraente sia la prima .ipotesi, specialmente nella forma scelta dal Vernadskij ('), a me sembra che quella di Groth debba essere preferita senza esitazione. Se il ferro è legato all'ossi- drile, appare plausibile il fatto ben noto che, in seguito all'eliminazione dell’acqua ad alta temperatura, il ferro ferrico dell'epidoto tende a passare a ferroso, mentre se l’ossidrile fosse legato al calcio, specialmente col tipo di formula proposto da Vernadskij, non apparirebbe ben chiaro perchè l’eli- minazione dell’acqua dovesse influire in modo così particolare sul ferro. La formula della clinozoisite può, per tanto, venire scritta così : Als [si 0. ] Al1(0H). Ora, passando dalla clinozoisite all’epidoto, è evidente 3Cas che la sostituzione del ferro ferrico all'alluminio può farsi in ben tre modi diversi: a) il ferro ferrico può sostituire soltanto l'alluminio legato all'ossi- drile; 3) può prendere solamente il posto dell’alluminio indipendente dal- l’ossidrile; c) finalmente, il ferro ferrico può sostituirsi sia all'uno, che al- l’altro. Supponiamo che nell'edificio cristallino di una clinozoisite pura venga sostituito tanto alluminio, che il cristallo misto risultante contenga, per esempio, 5°/, Fes 03. A seconda che tutto questo ferro ferrico prenderà il posto, nella struttura cristallina, di alcuni degli atomi di alluminio legati all’ossidrile ovvero di alcuni degli altri, o, ancora, ne sostituirà sia dei primi, che dei secondi, è chiaro che noi otterremo tre diversi cristalli misti, differenti fra loro per la posizione che gli atomi di ferro occupano nell’edi- ficio cristallino e, quindi, nello spazio: si tratta, in altre parole, di cristalli misti stereoisomeri. Le loro proprietà fisiche devono essere necessariamente differenti. Si spiega, così, come nella serie clinozoisite-epidoto possano aversi cristalli misti con composizione chimica praticamente identica, ma con pro- prietà ottiche notevolmente diverse. (1) La formula dell’epidoto è scritta da Vernadskij 3 Ca(Al,Fe)a (Si04) . Ca(OH).. Corrisponde, perciò, ad uno di quei composti di un sale con un idrato, nel rapporto 3 : 1, dei quali il Werner ha mostrato l’importanza. Evidenti sarebbero le relazioni con l’anortite, il che presenta un interesse particolare, pensando che l’epidoto è uno dei frequenti pro- dotti di trasformazione dei plagioclasi. Il passaggio dall'anortite all’epidoto si spiega, però, facilmente anche con la formula di Groth. — 167 — Delle tre possibilità indicate di sostituzione del ferro ferrico all’allu- minio della clinozoisite la 2) è da escludersi. Infatti, per quanto sì è detto, appare estremamente probabile che negli epidoti il ferro sia, almeno in parte, legato all'ossidrile. Rimangono, perciò, le due possibilità 4) e €). Ora, è suggestivo il fatto che, a sostituzione completa dell'alluminio del gruppo A1(0H), si giunge ad una formula Cas Al»[Fe(0H)](Si0,)3, la quale ri- chiede 16.49 0/, Fes 0;, ossia una quantità di ossido ferrico che corrisponde sensibilmente, od è di pochissimo inferiore, alle percentuali trovate nelle pistaziti più ferrifere finora studiate. E si tratta, come nel caso dei cristalli del Rauhbeerstein, presso Zòptau, di pistaziti « normali ». Sembra, perciò, che nella serie clinozoisite-epidoto sia sopratutto l'alluminio del gruppo A1(0H) quello che viene sostituito dal ferro-ferrico, pur essendo, però, na- turalmente, possibile anche una sostituzione del resto dell'alluminio, sosti- tuzione che indubbiamente avviene nelle piemontiti e nelle ortiti, ma che sembra, a giudicare almeno dai dati esistenti, piuttosto limitata, nella mag- gior parte dei casi ('). (!) Le tre formule Ca, Al, [Ce (OH)](Si0,); e le due analoghe con Fe (OH) e Mn(0H) richiedono rispettivamente 18, 21,1 e 21,15% A1,0;. Nelle buone analisi di piemontiti Als 03 non scende al disotto del 15-16°/, e sale anche a 22.52 e 22.079/, (piemontiti di Otakisan (Giappone) e di Monterey-Station, nel Maryland). Nelle migliori analisi di ortiti Al,03 di rado è inferiore al 15%, e non scende mai sotto all’8-9%. W. Eitel (Die Grenzen der Mischkristallbildung in den Mineralien der Epidotgruppe Ig Neues Jahrbuch fir Min. Geol. u. s. w. 1918, XLII Beil. Bd. 173). ha sostenuto recen- temente che la concezione di Tschermak-Ludwig, secondo la quale i cristalli misti della serie clinozoisite-epidoto dovrebbero essere costituiti dai due composti Cas Al; (0H)(Si0,)3 e Cay Al, Fe(OH)(Si0;)3, è da considerarsi troppo ristretta, perchè, nella proiezione, alcuni dei punti rappresentativi delle analisi si allontanano dalla congiungente i due punti corrispondenti a quei due composti. Non mi è possibile il discutere qui il lavoro di Eitel: ad ogni modo, non è dubbio, che il composto fondamentale dell’epidoto è sempre Cas (Al, Fe);(0H)(Si0,)s. Tutt'al più, alcune analisi fanno sorgere il dubbio che pos- sano entrare, nella costituzione del minerale, piccole quantità di un qualche altro com- posto finora non definito; ma, anche ammesso che questo risultato sia per essere confer- mato da nuove ricerche, esso non tocca il presente lavoro, perchè i cristalli misti presi in esame rispondono perfettamente, entro i limiti delle incertezze delle analisi, alla for- mula generale di Ludwig. — 163 — MEMORIE E NOTE PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Caratierizzazione intrinseca di elementi li- neari rispetto al parallelismo. Nota di ENRICO BOMPIANI, presen- tata dal Socio T. Levi-CIVITA (*). 1. Il parallelismo, entro una V,, fra direzioni (2) dipende generalmente dal cammino lungo il quale si esegue il trasporto: l’ indipendenza da questo è proprietà esclusiva degli spazî euclidei; se la V, contiene una congruenza di curve (00”-!) a parallelismo completo (cioè indip. dal cammino) quelle sono geodetiche ortogonali ad 00! V,_, totalmente geodetiche e l'elemento lineare di V, è perciò del tipo (di Levi-Civita): n—I ds dog &ifdor— i è din (E 003 Bn) ddp] 1 U Accanto a questi due risultati, che caratterizzano tipi di elementi linearî partendo dal parallelismo, se ne possono porre altri derivanti dall’ imporre «alla V, determinati comportamenti rispetto ad esso. 2. Le nozioni seguenti potranno servire allo scopo: a) Si dirà aurostABILE una V,-, (0 Vx) di V, tale che una dire- zione di V,-, trasportata per parallelismo (risp. a V,) lungo cammini di Vy-, si porti sempre in una direzione di V,_, (con ciò nor si esige che il risul- tato sia indipendente dal cammino). B) Un sistema di co! V,,_, in V, si dirà STABILE se una direzione di una V,-,, trasportata lungo cammini qualsiansi in V,, dà sempre luogo ad una direzione di una V,-, (quindi le V,_, sono necessariamente autostabili ; ma zon viceversa: 00! V,_, autostabili non formano generalmente un sistema di stabilità). y) Se in V,, esiste una congruenza ( co") di curve parallele per qual- siasi cammino eseguito sopra 00° V,.-1, queste si diranno Vn_, D'INDIFFE- RENZA per la congruenza. È chiaro come si possano dare altri criterî, simili ai precedenti, per la caratterizzazione invariantiva di elementi lineari rispetto al parallelismo: ecco alcuni risultati. 8. SISTEMA 00° DI Vn-,1 AUTOSTABILI. (1) Presentata nella seduta del 17 aprile 1921. (2) Per la definizione, e le proprietà che seguono, del parallelismo vedasi la Memoria di T. Levi-Civita: Mozione di parallelismo in una varietà qualunque ece. (Rend. Cire. Matem. di Palermo, t. XLII, 1917;). — 169 — Si trova che il ds? è del tipo di Hadamard n=l ds Dal gus En) d2i dir d- Gan(L1, 3 Cn) dei I quindi; Se una Vn possiede c0* Va. auto-stabili queste sono totalmente geo- detiche e le loro traiettorie ortogonali pongono fra esse una corrispon- denza per applicabilità; il parallelismo entro una V,-, è quello subor- ‘dinato în essa dal parallelismo ambiente. Quindi se il risultato del trasporto per parallelismo (rispetto a V7) di una direzione di Vn-, entro Vn_, non dipende dal cammino seguito le Vn_, sono euclidee, e nl ds? — 59 dell Arn(Ciy ser Cn) den. 1 (] 4. SISTEMA STABILE DI 00! V,_i. Si trova che il ds? è del tipo di Levi-Civita: n—1l ds? —_d È dig (L1 peg Car) dd dog + dan; sE se una Vn contiene un sistema stabile di co' V,_, queste sono totalmente geodetiche e le traiettorie ortogonali sono geodetiche. : È questa un'altra proprietà caratteristica del ds* di Levi-Civita (oltre quella di contenere una congruenza a parallelismo completo). . Dalle proprietà del parallelismo si ricava poi che se una Vn contiene k ‘congruenze (linearmente indipendenti) a parallelismo completo si ha ds do, dda a pal dh ove do,-:x è un elemento lineare nelle sole variabili x) ,..., 4,-x; una tale Vn si può sempre costruire in uno spazio euclideo di dimensione cioè è di classe <(n—-%)(n —%X— 1)/2; quindi è euclidea per 4=n—1: Condizione necessaria e sufficiente affinchè una V, sia euclidea è che contenga n—1 congruenze di curve a parallelismo completo (0 n—1 st- stemi di stabilità) (*). (*) Siccome l’indipendenza del parallelismo dal cammino si esprime annullando i simboli di Riemann, (4, lm) =0, questo risultato dà una nuova via geometrica d’inte- grazione di queste equazioni. RENDICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sem. 25) — 170 — 5. CONGRUENZA [NORMALE] pi cuRrvE IN V, con V,_1 ORTOGONALI D'INDIFFERENZA. i Si trova ancora l'elemento lineare di Hadamard (n. 3), quindi una. nuova proprietà caratteristica di esso. 6. PROPRIETÀ CARATTERISTICA DELLE CONGRUENZE DI CURVE CHE AMMETTONO VARIETÀ D'INDIFFERENZA. Occorre richiamare la definizione di asse di una faccetta a due dimen- sioni in V,, ('): è tale una direzione (che in generale esiste ed è unica per x dispari, e non esiste per 7 pari) che trasportata per parallelismo lungo un circuito infinitesimo chiuso eseguito sulla faccetta ritorna al punto di par- tenza su sè stessa. Allora si dimostra che affinchè 00! V,,_, sì possano con- siderare come V,_, d'indifferenza per una congruenza di curve occorre e basta che 1°) ogni faccetta a due dimensioni di V,_, abbia un asse (in V,); 2°) gli assi di tutte queste faccette per un punto coincidano; 8°) gli assi relativi a punti infinitamente vicini di una V,_, siano paralleli. Se ciò accade la congruenza è quella inviluppata dagli assi delle V,_,. In particolare per x = 3 le due prime condizioni sono sempre soddi- sfatte; posto ds° = 4,1 dx,° + 24,3 dx, dx» + 429 dx» + 433 da3”, i para- metri relativi agli assi delle faccette 473 = 0 sono g = a©/R con R=| Zan e a&® (le a‘ sono i simboli di Ricci); quindi, tenendo conto della condizione ultima si ha: Dato un sistema co di superficie in Vs, per sapere se esse possano considerarsi come superficie d' indifferenza per una congruenza di curve, non c'è che da verificare se le espressioni y° = a“/R soddisfano alle equazioni DI CRANE $ 21) (0) DEI — (i) > da 115% (î simboli ti essendo calcolati per l'ultimo ds? scritto); se ciò accade, la congruenza è quella degli assi (definita dai parametri y®). 7. CONGRUENZA DI CURVE CON SUPERFICIE D' INDIFFERENZA EQUIDI- STANTI SECONDO QUELLE CURVE. Se le curve della congruenza sono linee di equidistanza (obliqua, chè altrimenti si ritorna sul 4s* di Levi-Civita) per le superficie d’ indifferenza si ha che: /a corrispondenza stabilita fra queste dalle linee della con- (?) Vedasi la mia Memoria: Stud/ sugli spazi curvi: del parallelismo in una va- rietà qualunque, parte II (Atti R_Istit. Veneto, 1921 attualmente in corso di stampa). — 71 - gruenza è un’applicabilità e il ds* è riducibile al tipo ds? — do? —- 2413 da, dxrs + Das3 drs dxrs + Uba con (do è un elemento lineare binario). Di più: se mella corrispondenza nominata si corrispondono le curve contenute nella V, e normali a quelle della congruenza, questa è normale e al ds* si può dare la forme ds*=[d1 (1,2) — D° (u—u1)] du 4 des (Un) dus + D° (us) du; le curve della congruenza sono le %3(du, = du. = 0) e le superficie d’ indiffe- renza sono rappresentate da u3 — u, = cost. (se ® = cost. si ritorna sul ds? di Levi-Civita): le superficie u = cost. contenenti le curve della congruenza sono a curvatura nulla e le linee nominate sono geodetiche per esse. Inoltre : la Vs contiene altre co* superficie applicabili fra loro e su quelle d'in- differenza (le us +, = cost.). 8. CONGRUENZA DI CURVE APPARTENENTI AD 00' SUPERFICIE D'IN- DIFFERENZA PER ESSE. Se le superficie d’indifferenza contengono le curve della congruenza queste sono geodetiche e quelle a curvatura nulla; al ds* può darsi la forma P) LI MELE) go, ds 4 ars (1150) dt + 2 Ùn 2 (Zi ’ do) da, das + daî ds? — Qui Ù Xe . La) daî “ca 2%3 e in particolare, se la congruenza è ortogonale ds° = d1(21,%8, X3) daî + a22 (21, Lo) dei + dai (dx, = dx, = 0, linee della congruenza; dr, = 0 superficie d' indifferenza). Le traiettorie ortogonali (x,) alle superficie d'indifferenza (fra loro applica- bili) n0n determinano un'isometria, ma un’affinità fra gl’intorni di punti corrispondenti (in cui sono direzioni di uguaglianza quelle della congruenza); se si assumono nuove linee x, che determinino l'applicabilità si hanno i tipi nl dI: ) + 2x(2,,%x2) de, dra + dai + dai ds° = an (x, %8, 3) dad +-2w40(2,, €) de das + da + dai. ds? = Gn (1,2, t3) dad +2 W(c1,%2)d3 dx, des + — 1722 — Matematica. — Le superficie ellittiche il cui determinante è un numero composto. Nota I del dott. OscAaR CHISINI, presen- tata dal Corrispondente F. EnRIQUES ('). IntRopuzione. — Nella Memoria Sulle superficie algebriche di ge- nere geometrico zero (*) Enriques ha dimostrato che le superficie di genere geometrico p, = 0 e di genere mumerico pa = — 1 appartengono alla fa- miglia generale delle superficie ellittiche, la quale riesce definita dal pos- sesso di due fasci di curve intersecantisi in un certo numero x di punti: un fascio lineare di curve ellittiche K, tutte di egual modulo, e un fascio ellittico di curve C di genere #(= 0), del pari fra loro birazionalmente identiche. I gruppi di x punti intersezioni delle C e K formano un’involu- zione I, generata da un gruppo abeliano di trasformazioni della superficie in se stessa. Una superficie F del tipo indicato si lascia rappresentare sopra un ci. lindro ellittico multiplo d'ordine x: 9g(xy)=="0, con una curva di dirama- zione composta di sezioni piane z=cost; il numero x (per il significato che assume in rapporto alla teoria delle trasformazioni delle funzioni ellittiche) riceve il nome di determinante della nostra superficie ellittica F. Nella citata Memoria di Enriques, partendo dal cilindro multiplo, ven- gono effettivamente costruite (in due maniere: mercè le funzioni ellittiche e con procedimento algebrico) le F, per cui il determinante è un numero primo, ciò che richiede l’estrazione di un radicale portante sopra una fun- zione razionale dei punti di 4 moltiplicata per un polimonio in 4. Quanto alle superficie ellittiche il cui determinante è un numero composto, l'A si è limitato a recare l'esempio del caso ciclico in cui interviene ancora un solo radicale (o due radicali sovrapposti). Ma Bagnera e De Franchis nei loro studi sulle superficie iperellittiche hanno incontrato altri esempi di (par- ticolari) superficie ellittiche (in cui il determinante è un numero composto) non appartenenti al tipo ciclico e per le quali intervengono due radicali non sovrapposti. Da queste ricerche viene posto il problema generale di: « Costruire per # qualunque (non primo) le superficie rappresentate sul cilindro ellittico g(xy)= 0 contato x volte con una curva di diramazione composta di sezioni piane <= cost.» e così di classificare le superficie ellittiche il cui deter- (1) Presentata nella seduta del 3 aprile 1921, (2) Rendiconti del Circolo matematico di Palermo, t. XX (1905). — 173 — minante n è un numero composto. Tale scopo appunto è quello del pre- sente lavoro. 1. La costruzione dei cilindri multipli anzidetti si riconduce a quella delle curve multiple sezioni #2 = cost., nonchè alla costruzione dèlle rette multiple generatrici del cilindro. Per ciò che concerne le dette curve < = cost. il problema è di «costruire le curve ellittiche multiple d'ordine » rappre- sentate sopra una @ ellittica senza punti di diramazione ». E da questo problema, che ha di per se stesso notevole interesse, con- viene qui prendere le mosse. Sia dunque K una curva ellittica irriducibile rappresentata sulla ellittica contata x volte: siano P, P....P, gli x punti di K corrispondenti a un punto P di g. Si consideri la riemanniana della curva g realizzata da un toro T, generato dalla rotazione di un cerchio intorno a un asse ver- ticale v (complanare con esso); su T avremo due serie di cerchi: cerchi verticali che indicheremo con A e cerchi orizzontati che indicheremo con B, i quali costituiscono le due serie di cicli fondamentali del toro. Quando il punto P descrive un cerchio A, i punti P,P,...P, si permuteranno se- condo una certa sostituzione «, e similmente secondo una sostituzione f8, quando P descrive B: mancando su g punti di diramazione, @ e #° non va-- riano quando A e B si muovono entro le rispettive serie, ed essendo K irri- ducibile, le due sostituzioni @ e # generano un gruppo G transitivo. E si riconosce che G è abeliano : infatti trasformare A con B equivale a far ruo- tare A intorno all’asse v fino a tornare in sè, e riuscendo così A uguale al suo trasformato mediante B, sarà similmente @ = f@8-!; essendo dunque permutabili le due operazioni generatrici di G, lo saranno anche tutte le altre che appartengono al G stesso. Il gruppo abeliano G può essere ciclico, venendo allora generato da una sostituzione 77 di periodo n, di cui @ e £ sono delle potenze; ma importa in ogni caso costruire la base di G. A tale scopo si designino con @ e è i periodi di @ e #8, e si decom- pongano in fattori primi scrivendo : di QQ bi bas di a=P, P, Pi» b=P pr e Pj dove qualcuno degli esponenti può essere uguale a zero. Potremo distinguere i nostri fattori primi p in due categorie di numeri pa e px, designando con Pr un fattore per cui sia an < by e con px un fattore per cui sia invece ax > da. Fatta questa distinzione porremo 7 uguale al prodotto dei fattori della prima categoria elevati agli esponenti a, : — 174 — . e similmente n= I pi | Poniamo inoltre Tal , 9 a b — $ —T_NSSS . m n è chiaro che le quattro coppie di numeri m e n, m e r, n es, res, sono coppie di numeri primi fra loro e che il prodotto 7s è il minimo co- mune multiplo di a e d. Ora consideriamo l'operazione mi= ap: il periodo di 77, sarà », =rs, essendo i periodi ” ed s di a" e £" primi fra loro. Questo periodo v, sarà il massimo possibile che appartenga ad un'ope- razione di G, ed anzi ogni altro periodo sarà divisore di v,, come è chiaro osservando che G è generato dalle operazioni permutabili a e 8, e che », è il minimo comune multiplo dei loro periodi a e 8. Dopo ciò, definita l’operazione n=a" fs, dimostriamo che 77, e 7 generano tutto G. A tale scopo si osserverà che entro il gruppo ciclico G,, generato da 7,, sono contenute le a” e 8" (e così in quello generato da 77 sono contenute @" e 8°), come segue dall’essere primi fra loro i periodi 7 ed s di a" e {”. Ora poichè m ed 7 sono primi fra loro ed mr =, e" ed a” generano per moltiplicazione l’intero gruppo delle a potenze di «, e così pure £" e 8° generano l’intero gruppo delle 2 potenze di f; per conseguenza 77, e 7 dànno l’intero gruppo G generato da @ e $. Ora si consideri il periodo vs di 77 relativo al gruppo ciclico G, (sarà v,= 1 solo nel caso che G sia ciclico, coincidendo allora con G,): avremo Vide = ml È essendo #m x il periodo di 77, sarà mn Vv TORO Vv) =—_, 006u= —_ Vv, V9 u mu sicchè, essendo v, multiplo di mx, w appare multiplo di v, . Allora l'operazione u IAA — 175 — ha il periodo assoluto vs uguale al periodo relativo rispetto a G,, ed essa, insieme a 7, , genera l’intero G, sicchè n= vv». Siamo dunque riusciti a costruire le due sostituzioni indipendenti 77, e 77, che formano la base del gruppo abeliano G; € 77 sarà un'effettiva sostituzione qualora G non sia ‘ciclico coincidendo con G, . 2. Esaminata la struttura del gruppo G, veniamo alla costruzione ef- fettiva delle curve n— ple K. Distingueremo due casi, secondochè G è ‘ciclico 0 no. i a) Caso ciclico. — Sia X (xy) la funzione algebrica del punto P di che vale a separare gli x punti P, P» ... P,, ad esso corrispondenti, che appartengono a K: data la ciclicità del gruppo G, secondo cui si per- mutano P, P» ... P, quando P si muove comunque sulla riemanniana di g, sarà X funzione razionale delle coordinate x,y del punto P e di un radicale n-esimo portante sopra di esse ('); e — per una conveniente trasformazione birazionale — potremo addirittura scrivere per K le equazioni 1) X=/yW(xy) , g(ey)=0. Non essendovi su g punti di diramazione, la curva v(2y)=0 avrà — ovunque incontri la g — un contatto r-punto. Ed è chiaro che — ove soddisfi a detta condizione — ogni curva K del tipo 1) corrisponde a una multipla ciclica, priva di punti di diramazione e quindi di genere pra l 5) Caso non ciclico. — Il gruppo G abeliano d'ordine n = v7% sia generato dalle due sostituzioni base 77, e 773 di periodi v, e rs (ri multiplo di v»). Allora la funzione X che vale a staccare gli x punti P, Ps... Ph sarà esprimibile razionalmente per le coordinate x, y del punto P e di due radicali d'ordine v, e vs portanti separatamente sopra di esse (2); e — per una conveniente trasformazione birazionale — potremo addirittura scrivere per K le equazioni : Vi Va 2) X=lW(2y) +YY2(2) | 49(y)0. dove la curva y,(2y)=0 ha un contatto v, — punto ovunque incontri @, e la w:(2y) = 0 ha similmente contatti vr, —- punti. Ed è chiaro che ove wi e ws soddisfino alle dette condizioni, ogni funzione X del tipo 2) corrisponde a una curva ellittica multipla rappresentata sulla g@ contata n=», volte col gruppo di monodromia G. Vedremo poi per i due casi quando si abbiano curve K irriducibili e come si caratterizzino le K birazionalmente distinte. (1) Cfr. p. es. Bianchi, Lezioni sulla teoria dei gruppi di sostituzioni... (Pisa, 1900), cap. VI, $$ 74, 75. (2) Cfr. p. es. Bianchi, op. cit., cap. VI, $ 76. — 176 — Meccanica. — Un nuovo caso di integrabilità nel problema dei due corpi di massa variabile. Nota della dott.s58 CARLA MAa- DERNI, presentata dal Socio T. Levi-Civita (!). Espongo un nuovo caso di integrabilità per l'equazione differenziale del moto nel problema dei due corpi di massa variabile e cioè quando la massa è funzione lineare del tempo e l'attrazione è inversamente proporzio- nale alla quinta potenza delle distanze. Questo nuovo caso può assumere una certa importanza nella teoria delle molecole gassose : ed in ogni modo è l’unico conosciuto dopo quello ben noto del Metschersky (cioè quando la 1 forza è Newtoniana e si ha M() = 7===>=""=3; n) Cominciamo ad osservare che la forza attrattiva agisce nella direzione della distanza reciproca e quindi il moto è piano ed ha luogo con la legge delle aree. Per determinare il movimento abbiamo allora le due equazioni differenziali : (1) er — = € , 3=3—f Senza nulla togliere alla generalità del problema possiamo supporre la costante delle aree c ed il coefficiente attrattivo / eguale all'unità ; e inoltre possiamo scegliere l'origine dei tempi e l’unità di tempo in modo che si abbia a=0, d=1. > : Eliminando Di, il sistema (1) diventa: (2) r=-— Per integrare questa equazione differenziale del 2° ordine poniamo : Lo era (3) ni—iedz (ur essendo e la base dei logaritmi naturali. Facendo la derivata prima di 7 rispetto a #, ricordando cho f è fun- zione di 4, avremo: (1) Presentata nella seduta del 2 maggio 1921. de 1-1 -è Tape 2? zbe?s e derivando una seconda volta 2 I Essa (5) dll, Fip 4" ' 3" designando evidentemente derivate di 4 rapporto a 4. Ricavati dalle (3) e (4) i valori di È e zi li sostituisco nella (2) assieme alla (5). Abbiamo : 3 53; A PE O a su € 2+ e € ii a: e riducendo : 1 ; 1 1 TÀ —-g-Ld = — TP 4 sn 23 gd Moltiplico ambo i membri di questa equazione per 2 4’. Integrando ter- mine a termine e ordinando si ha: s=]a i+ ga VA dove % è una costante di integrazione. Quindi : = i e bi renne 22 — Da + » Se poniamo : e=i il nostro integrale si trasforma nel seguente: deraa ; — up GP a Al. 2 respinto è — 0} ln+7 Questo integrale ellittico si può ridurre alla forma normale di Le- gendre facendo le posizioni : RENDICONTI. 1921, Vol. XXX, 2° Sem. 24 — 178 — u=a+(F—a)y pete n= E y_— a (0 essendo « , f e y le tre radici del polinomio di 3° grado: ; uì — u® + hu + ; che si può mettere anche sotto la forma: 3 (u—a)(u—B)(u—y). Il nostro integrale diviene . 1 dy i=—; — ii ma tt) o, ciò che è lo stesso: JÌ s 7 RR TEA 2 Vio-a di 71 __rr_r__ro—_————————_es{ (14 29)Vy1—-y)(1—K®%y) Vl Ponendo ora y= x, avremo: dx FISSA c|/3 (yY— a) (1 -+ na) Y (1 — a?) (1 — K?2?) Siamo così pervenuti a un integrale di III specie di Legendre che ci dà il valore di 4. Conosciuto 4 in funzione di 3, per la prima equazione del sistema (1) possiamo avere anche 4 e quindi il moto risulta perfetta- mente determinato. Fisica. — Punti di trasformazione di alcuni metalli e leghe in rapporto al potere emissivo ('). Nota della dott. MaRyA KAHA- NowICz, presentata dal Corrisp. M. CANTONE (?). Lo studio del potere emissivo del nichel quale funzione della tempera- tura ha dimostrato che questa proprietà al pari delle proprietà elettriche e magnetiche sì presta benissimo per rilevare le trasformazioni interne che subisce il metallo sotto l’azione dei processi termici. Ho creduto perciò opportuno di applicare il metodo ad altri metalli e leghe per delineare le modalità con cui si compie il fenomeno dal punto di vista energetico. Il dispositivo sperimentale era quello adoperato nello studio generale dell'emissione metallica: le lamine venivano riscaldate in un forno elettrico (*) Lavoro eseguito nell’Istituto di Fisica sperimentale della R. Università di Napoli. (2) Presentata nella seduta del 3 aprile 1921. — 179 — «dove quasi a contatto con esse si collocava la saldatura di un elemento Le ‘Chatelier, e l'energia irradiata era misurata dalle indicazioni di un galva- nometro inserito nel circuito del cannocchiale pirometrico di Féry, il quale serviva da ricevitore. Fra le trasformazioni osservate vi sono quelle di natura chimica (ossi- dazioni), le quali sono accompagnate da un’emissione di calore, e quelle di ‘natura fisica (variazioni nella struttura), le quali si compiono con un assor- bimento di calore. Il fenomeno è bene illustrato nel caso del /erro (v. ta- bella e fig. I), dove il potere emissivo, il quale in media sì accresce di 0,0009 ‘per grado per il metallo, subisce un brusco incremento fino a raggiungere il valore di 0,0046 per grado durante l'ossidazione, vale a dire aumenta bruscamente nel rapporto di 1 a 5; invece intorno al punto critico magne- tico il potere emissivo, il quale in media aumentava di 0,0006 per grado, ‘subisce una rapida diminuzione che ammonta a 0,037 per 10°, vale a dire decresce in rapporto di 1 a 6. Rispetto all'assorbimento di calore con cui procede Ja trasformazione ‘nell'intorno del puato critico del metallo, noto una completa analogia con ‘un particolare caso di fusione che ho avuto occasione di constatare durante un’altra ricerca, e precisamente colla fusione dei metalli ossidati. Per i metalli in cui tutta la massa partecipa al passaggio di stato, come ad es. per l'argento, oro, si riscontra una notevole diminuzione del- l'energia emessa; invece per quelli in cui dopo la fusione persiste lo strato superficiale, come ad es. alluminio, rame, vi è solo un arresto nell'energia sirradiata, il quale dura finchè tutto il metallo è passato nello stato liquido. Nella trasformazione del ferro si nota un arresto nell’emissione du- rante la fase culminante del processo, cioè da 727° a 739° C.; però le con- dizioni normali per quanto alterate, poichè il metallo è diventato più spe- culare, si stabiliscono solo dopo i 776°C. Riuscì vantaggioso di eseguire lo studio, anzichè secondo le curve energetiche, secondo l'andamento che presenta colla temperatura il potere emissivo relativo (a meno di una costante) da noi indicato con pudore E indica l'energia irradiata, valutata .in divisioni del galvanometro pirometrico, alla temperatura assoluta T. Ossidazione del ferro. T 549 598 626 646 695 728 782 883 917 979 E 1,3 2,2 3,2 5,3. 11,9 18,8 26,67 37,3 58,0 78,1 Trasformazione del ferro. T 815 851 884 930 960 7000 7011 1013 1023 1050 1092 1147 1192 E 86,6 45,5 546 690 8Q0 949 955 96,6 101,1 1130 135,6 1739 2147 — 180 — [] I ECT, Per lo studio del comportamento anomalo delle leghe furono scelte due leghe di acciaio al nichel, una irreversibile (8 %), e l’altra reversibile (una delle varietà di platinite). Il campione 8% fu ridotto in lamina in due modi diversi: un pezzo fu assottigliato per mezzo del tornio e della lima, e un altro fu parecchie volte riscaldato e dopo ogni ricuocimento passato per il laminatoio, in modo che dallo spessore iniziale di 2 mm. venne ridotto a 0,4 mm., e ciò allo scopo di produrre un notevole incrudimento. Al riscaldamento, si constatò una trasformazione in entrambi i cam- pioni, ma con modalità ben diverse. Nel metallo grezzo la trasformazione è breve e brusca da 586° a 601° C., e con una perdita di calore nel rap- porto da 1 a 3 (v. tabella e fig. II). Nel metallo inerudito il processo è lungo e lento, con una zona di trasformazione da 520° a 635° C., nella quale si distinguono tre fasi: nella iniziale fino a 546° C. la perdita di calore è massima, e l'energia irradiata si riduce nel rapporto di 1 a 2,5; poì segue una fase stazionaria fino a 593° C., in cui il calore impiegato per la tras- formazione è compensato dall'aumento di energia raggiante in seguito all'in- cremento di temperatura; nella fase di ritorno l'energia si accresce nel rap- porto presso a poco uguale a quello della fase iniziale. Acciaio al nichel $S% grezzo. AR 748. 770 810 859 874 888 915 950 975 E 21,4 25,7 33,7 45,1 47,9 51,6 62,3 73,3 83,6 Acciaio al nichel 8% incrudito. T 732 760 794 814 837 866 902 920 956 987 E 19,2 24,6 811 33,9 36,9 42,3 50,8 «59,4 74,3 87,8 0,900x 109 03504 1079 d.200x10"" A BICI SO Un particolare di natura analoga è stato osservato dal Le Chatelier (') nella variazione di resistenza colla temperatura di una lega di ferro con 5 % di nichel. Mentre nel filo crudo egli nota due punti di trasformazione, nel filo ricotto, perchè cimentato per temperatura decrescenti, i due punti si uniscono in uno solo. Si può concludere quindi che l’inerudimento anche dal punto di vista termico rende la lega meno omogenea, poichè rende più estesa e più marcata la zona di trasformazione, e quindi più difficile il pas- saggio verso il nuovo assetto. (!) Comptes Rendus, 1890, pag. 458. — 182 — Il campione di plazirnite da me esaminato subì un forte incrudimento,, perchè fu ridotto in lamina sottoponendo una spirale di filo di 2 mm. alla com- pressione in un maglio. In questa lega si vedono nettamente i punti critici dei metalli componenti, uno a 525° C. probabilmente dovuto al nichel, e l’altro verso i 700° C., in corrispondenza al punto singolare del ferro (v. ta- bella e fig. III). L'aggiunta del secondo metallo fa abbassare ciascun punto. rispetto alla sua posizione nel metallo puro; l’incrudimento poi fa estendere. la seconda trasformazione ad una zona da 560° a 708° C. Rispetto all'energia impiegata, le due trasformazioni si comportano presso a poco in modo iden- tico, poichè nell'intorno di ciascun punto critico l'energia emessa viene ri- dotta nel rapporto di 1a 1,6; si tratta evidentemente di un processo meno. energico rispetto a quello che si compie nei metalli puri e nelle leghe irre- versibili. Platinite. sl 514 551 599 632 664 691 724 770 800 832 900 E 1,3 DI 4,2 5,8 7,7 10,2 14,3 21,8 28,5 36,9 54,2 950 981 1017 1053 1088 73,3 88,6 104,2 121,3 140,0 Riassumendo sì conclude che: 1°) Il potere emissivo costituisce un mezzo molto sensibile per rile- vare le modificazioni di struttura che subisce il metallo sottoposto a pro- cessi termici: il metodo presenta anche il prezioso vantaggio di fornire un: mezzo per l'apprezzamento della quantità di calore messa in gioco durante la trasformazione. 2°) Dal punto di vista energetico le trasformazioni di struttura si comportano come la fusione dei metalli ossidati, e il calore impiegato è mi- nore nelle leghe che nei metalli puri. 3°) L’incrudimento delle leghe rende più estesa la zona di trasfor- mazione. Ringrazio il prof. Cantone per tutti gli aiuti e consigli dei quali mi è stato prodigo durante questa ricerca. — 183 — Paleontologia. — Z’Ordoviciano nel Caracoràm orientale. Nota di MicHELE GORTANI, presentata dal Corrisp. G. DAINELLI (*). Tra le faune paleozoiche scoperte e raccolte dai proff. Dainelli e Ma- rinelli nell'Asia centrale, e delle quali essi mi vollero cortesemente affidare lo studio, hanno speciale importanza tre piccole faune ordoviciane rinvenute in tre livelli immediatamente sovrapposti, nella parte orientale della catena del Caracorùm. Lo studio dei fossili è tutt'altro che agevole, date le scarse affinità con le faune ordoviciane note e dato il cattivo stato di conservazione della mas- sima parte degli esemplari. Molte sono le forme nuove, che ritengo inutile citare in questa Nota; ricorderò invece i principali generi rappresentati, per dare un'idea meno vaga del carattere complessivo di tali avanzi. Nello strato inferiore, che per l’assoluta prevalenza di Andoceras e Orthoceras può definirsi strato a Ortoceratidi, ho riconosciuto : Orthis (Triplecia) sp. Calymene birmanica Reed Sphaeronis? sp. Asaphus n. f. (af. pachyophtalmus Endoceras Wahlenbergi, Foord Schmied.). Orthoceras n. f. (af. novator Barr.). Nileus Armadillo Dalm. sp. O. n. f. (gruppo dell'O. annulatum Illaenus Esmarcki Schloth. sp. Sow.). Proétus n. f. Anche il Nileus Armadillo è abbastanza frequente. Nello strato medio, dove prevalgono le forme di OrtRzs (s. 1), ho de- terminato: Orthis calligramma Dalm. | Bellerophon sp. O. (Schuchertella) planissima Reed Endoceras Wuhlenbergi Foord O. (Dalmanites) Mansuyi Reed Orthoceras sp. (gruppo dell'O. annu- O. (Triplecia) sp. latum). Neobolus n. f. Illaenus cfr. Esmarcki Schloth. sp. I. af. spitiensis Reed. (*) Presentata nella seduta del 2 maggio 1921. — 184 — Lo strato superiore è contraddistinto da grande abbondanza di Gaste- ropodi mal conservati (forme larghe e piatte di Raphistoma) e di Orthidae: Orthis testudinaria Dalm. Bellerophon n. f. O. testudinaria v. shanensis Reed —Raphistoma cfr. qualteriatum Schloth. O. calligramma Dalm. Sp. O. cfr. alternata Sow. R. nn. ff. O. tibetica Salter Asaphus Emodi Salter O? (Dalmanella) basalis v. muthen- Illaenus sp. sis Reed Phacops n. f. Benchè scarse di numero, le forme determinabili con sicurezza permet- tono tuttavia un riferimento cronologico abbastanza preciso. CARTINA SCHEMATICA DEGLI AFFIORAMENTI SILURIANI FOSSILIFERI NELL'AsiA CENTRALE. de NIENTE uu uptitiry,, ct, vi uu (PSI, NTTULI , \ ur UA Gotlandiano Ordoviciano Ordoviciano Nuovo7Taffioramento e Gotlandiano ordoviciano Lo strato inferiore ha tre specie che si possono considerare fossili guida per l’Ordoviciano profondo: Endoceras Wahlenbergi (=. duplex Auct. pl.), Illaenus Esmarcki è Nileus Armadillo, proprie del livello corrispondente all'Arenig inglese. Allo stesso livello appartiene anche la Calymene bir- manica. — 185 — Nello strato medio, Ortoceratidi e Trilobiti son rari; l’Endoceras Wah- lenbergî è però ancora presente, e vi è una forma che sembra identica all'I/laenus Esmarcki. Le svariate Orthidae accennano invece a un’età più recente; l’Orthis calligramma è dell’Ordoviciano medio e superiore, l’0. planissima e VO. Mansuyi sono state rinvenute nella Birmania settentrio- nale in un orizzonte che pare riferibile al Gotlandiano inferiore. Considerazioni analoghe si possono fare per le Or/hidae dello strato superiore, benchè 1°O. tesiudinaria e lO. tibetica siano schiettamente Ordo- viciane (Ordoviciano medio e alto); dell'Ordoviciano medio è proprio il Ra- phistoma qualteriatum. Nell'insieme, l’età ordoviciana di tutti tre gli strati mi sembra fuori di discussione. Procedendo dall'inferiore al superiore, pare che alla diffe- renza di /acies si accompagni un procedere verso più giovani termini della serie, senza però raggiungere ancora la base del Gotlandiano. La scoperta di una così antica formazione paleozoica nel Caracorùm orientale ha notevole interesse per la geologia stratigrafica. Nulla finora ne faceva supporre l’esistenza, all'infuori di un accenno molto vago contenuto nella relazione preliminare del Dainelli e del Marinelli ('). E le formazioni siluriane note finora nell'Asia centrale sono così rade, scarse e limitate alle catene periferiche (cfr. l'unita cartina), che l’attuale rinvenimento, a circa 300 km. di distanza dai più prossimi, dà luce nuova e inattesa anche sulla struttura dell'interno dell’altipiano tibetano. Chimica biologica. — Pirrolo e melanuria (*). Nota IV di PIETRO SACCARDI, presentata dal Socio A. ANGELI (*). Dopo i risultati ottenuti nell’ossidazione intraorganica ed enzimatica del pirrolo ho voluto sperimentare in modo analogo l’a-a-dimetipirrolo: HC CH noe loca NH per vedere soprattutto, se, non ostante i due metili, potesse dare origine a melanina. L'a-a-dimetilpirrolo è un liquido di odore caratteristico, altre volte avvertito in cani tenuti a solo regime carneo, e, come il pirrolo, assai so- (') In Dainelli G. e Marinelli O., Relazione preliminare sui lavori scientifici della spedizione De Filippi al Karakoràm (1913-14). Riv. Geogr. Ital., XXII, 1915, estr. di 21 pagine. A pag. 14 si accenna alla possibile esistenza di qualche piano più antico del Carbonifero. (?) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica della L. Università di Camerino. (3) Presèntata nella seduta del 8 giugno 1921. ReNvICONTI 1921, Vol. XXX, 2° Sem. 25 — 186 — lubile in alcool e solventi anidri, pochissimo solubile in acqua. In acqua lievemente alcalina prima s'emulsiona, poi finisce per sciogliersi imparten- dole colorazione giallognola. A differenza del pirrolo (*) il suo comportamento in vitro con i comuni reattivi del pirrolo e del melanogeno è il seguente: REATTIVI dopo 12. ore dopo 24 ure dopo 24 ore dopo 48 ore SEIO d’assorbimento So nulla nulla color giallo-scur l i i lla di Trana g -scuro | color arancio | rosso-arancio |nulla di notevole i ac. nitroso giallo giallo-rosso rossastro rossastro rossastro nia ”» miscela cromica nulla color giallo arancione rosso-scuro rosso-scuro »_ n o) I acqua di cloro nulla nulla nulla nulla nulla n» n » ac. nitrico conc.to giallo giallo giallo giallo giallo ozono nulla nulla nulla nulla nulla n n ” Da cui risulia che il comportamento dell’a-a-dimetilpirrolo coi suddetti reattivi, è, relativamente a reazioni del pirrolo e del melanogeno, completa- mente negativo. Solo la reazione di Thormtiblen è positiva, però essa è così caratteristica che si distingue nettamente da quella data da pirrolo e da melanogeno ottenuto per ossidazione intraorganica del pirrolo. Infatti, mentre nella reazione di Thormahlen, il colore azzurro ottenuto con acido acetico è più o meno stabile a seconda della quantità di mela- nogeno, e passa al vinoso per dar luogo infine ad un precipitato bleu, il colore azzurro ottenuto con le soluzioni acquose di @-@-dimetilpirrolo vira subito in verde che passa al giallo nel termine di due ore. Questo diverso comportamento del nitroprussiato sodico colle soluzioni di a-@-dimetilpirrolo e che chiameremo lab-Thormàhlen servirà assai nelle analisi delle orine più oltre esposte. Le esperienze di ossidazione intraorganica dell’a-@-dimetilpirrolo, furono intraprese su di un coniglio del peso di kgr. 2,400 a cui furono iniettati ce. 2 di una soluzione acquosa all'1%, lievemente alcalina per soda di a a- dimetilpirrolo, e, dopo 12 ore, non avendo orinato, altri 2 cc. (1) Pirrolo e melanuria. Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, vol. XXVIII, ser. 52, I° sem., fasc. 8°, pag. 310; vol. XXVIII, ser. 5", II° sem., fase. 3°, pp. 85-86. — 187 — Il coniglio sta benissimo. L'orina, ottenuta solo 28 ore dopo la prima iniezione presenta tutti i caratteri analitici delle orine normali, solo è più scura e tende ad imbrunire all'aria. L'orina ottenuta dopo iniezione di gr. 0,50 di a-a-dimetipirrolo, propinato in una sola volta, in soluzione come sopra, presenta invece forte dicroismo verde, come dopo iniezione di pari dose di pirrolo, senza però accusare neppure ora, traccia alcuna di urobilina o di pigmenti biliari. Il coniglio non presenta nessun fatto infiammatorio locale e nessuna colorazione notevole alla pelle od ai peli; l'iniezione s'è mostrata indolora e l'organismo si comporta rispetto all'’a-@-dimetilpirrolo come verso un composto a lui familiare al pari del pirrolo. Le orine, divenute scure, tornano del colore naturale per acidificazione, con la quale scompare anche il dicroismo, ma non ritornano scure per successiva alcalinificazione con soda o con potassa. Esse presentano tutte le reazioni altre volte riscontrate nelle ricerche sul pirrolo, e cioè: Positivo il vero Thormahlen e quindi co- Thormahlen. . . . . . .< lorazione azzurra stabile con acido ace- | tico e conseguente viraggio al rosso. Colorazione bruna, oppure bell’anello bruno se i liquidi si tengono separati, indi | precipitato nero. Con cloruro ferrico ed acido \ cloridrico. Con acido nitrico cone. (Heller). } Anello bruno come sopra. Con acido solforico ed una | no ui goccia di bieromato al 10%. | Intorbidamento e quindi precipitato bruno. a : : si on uzi i- : Con soluzione acetica di ni- | Colorazione bruna persistente. trito potassico . . . . . | Con acqua di cloro . . . . }Colorazione bruna. Diazoreazione di Ehrlich . . ) Positiva. Dalla reazione di Ehrlich consegue che insieme a composti pirro- lici (Thormîhlen) si eliminano sostanze inerenti o no al melanogeno che dànno positiva tale reazione. Le orine del coniglio mostrano lievi, ma positive, le reazioni del me- lanogeno in orine raccolte anche diverse ore dopo (anche 18) la prima rac- colta delle orine e ciò a differenza di quelle ottenute dopo iniezione di pirrolo. Le acque di lavaggio dell'etere con cui furono sbattute queste orine non mostrano più forti le suddette reazioni. Da questi risultati, e specialmente dalla suddetta reazione di Thor- mihlen, si deduce che mentre in vitro l’a-a-dimetilpirrolo non dà melano- geno, introdotto nell'organismo animale si modifica profondamente certo sme- — 188 — tilandosi, poichè anche ad alte dosi di @-@-dimetilpirrolo le orine non mo- strano maì la lab-reazione di Thormahlen. Nulla di più facile che, al pari di tante altre sostanze metilate, l'organismo carbossili l'a-@-dimetilpirrolo per ossidazione dei metili, e che, forse per questi carbossili, l'anello pirro- lico sì leghi al resto della molecola del melanogeno. Infatti ossidando cau- tamente con permanganato potassico una soluzione lievemente alcalina di alcune gocce di «-a-dimetilpirrolo, si ha un liquido che dà ancora il lab- Thormahlen, ma che reagisce anche con gli ossidanti, per quanto meno inten- samente del melanogeno. Nelle precedenti Note affermai come melanuria si aveva benissimo anche per ingestione di pirrolo. Per confronto ho ingerito a distanza di 2 ore gr. 0,5 di «-a-dimetilpirrolo. La sostanza è ributtante al gusto ma non rigurgita come il pirrolo e non dà disturbo alcuno. Però le orine, sempre normalissime, non cominciano a dare la reazione di Thormàhlen altro che 6-8 ore dopo l' inge- stione. Esse sono di color rosso-arancio, imbruniscono poco col tempo ed alle altre reazioni si comportano come le orine lievemente melanotiche. La diazo- reazione è lieve come il Thormihlen. L'eliminazione dell’e-a-dimetilpirrolo è lentissima. Le acque di lavaggio dell'etere con cui furono dibattute queste orine non mostrano più accentuate le suddette reazioni. Cio dimostra che l'eliminazione dell’a-a-dimetilpirrolo, propinato per via orale, è più lenta di quello dato sottocute e più lenta e più debole assai di quella ottenuta per ingestione di pirrolo. Forse non solo il fegato lo accumula per più lungo tempo, ma l'organismo deve evidentemente faticare di più che per il pirrolo ad ossidarlo ed a distruggerlo. In ogni caso il lab-Thormàhlen più non esiste nelle orine che presentano invece i neri di ossidazione come non li presenta l'a-a-dimetilpirrolo in vitro e mostrano la presenza di un melanogeno di reazioni identiche a quello ottenuto per iniezione od ingestione di pirrolo. L'a-a-dimetilpirrolo si presenta anch'esso come una sostanza non estranea all'organismo animale. Inoltre, allo scopo di fare un parallelo fra l'ossidazione enzimatica del pirrolo e dell’a-a-dimetilpirrolo ho posto in tubi da saggio con succhi sterili di patata, di fegato e di milza bovini gr. 0,50 caduno di a-@-dimetilpirrolo, mantenendoli in termostato a 38 cg. Dopo alcuni giorni i succhi sono di- ventati rossi e non accennano ad imbrunire ulteriormente. Il filtrato rosso non dà più il lab-Thormàhlen. L'ossidazione enzimatica in vitro non basta adunque a trasformare l’a-a- dimetilpirrolo in melanogeno e melanina. Ho così ottenuto una graduazione fra ossidazione per via ipodermica orale ed enzimatica dell’a-a-dimetilpirrolo. Compio il grato dovere di ringraziare il prof. A. Angeli per un cam- pione di «-a-dimetilpirrolo messo a mia disposizione. — 189 — Ghimica. — Swi dorati. Sistema (NH,),0 — B.0; — H;0 (a 0° e a 10°) (*). Nota V di UmBERTO SBorcI e LeoNnELLO MEZZETTI, presentata dal Socio R. NasInI (°). Riferiamo sommariamente sui risultati ottenuti nello studio di questo sistema alle temperature di 0° e di 10°. I criterî di studio, i dispositivi sperimentali ed i metodi analitici ado- prati sono quelli stessi delle ricerche a 30° e a 60° eseguite da uno di noi (solo e in collaborazione) e già descritte in questi Rendiconti (*). Per quanto riguarda i dispositivi termostatici, rimandiamo, per risparmio di spazio, ad altra Nota (*) che descrive esperienze eseguite a 0° e a 10°; i dispositivi là adoperati servirono anche per le presenti ricerche. Nella tabella I riportiamo i risultati ottenuti alla temperatura di 0°; nella tabella II quelli alla temperatura di 10°; nella fig. 1 e nella fig. 2 questi risultati sono espressi graficamente in diagrammi triangolari di Roo- zeboom. (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale della R. Università di Pisa. (2) Presentata nella seduta del 19 giugno 1921. (3) U. Sborgi, Sui dorati, Sistema (NH,),0 — B303 — H30. Nota I, questi Rendi- conti, vol. XXI, serie 5°, 2° sem., pag. 855; Nota II, ibid, vol. XXII, serie 58, 1° sem., pag. 90: U. Sborgi e F. Mecacci, Sistema suddetto, Nota III, ibid., vol. XXV, serie 58, 2° sem., pag. 386, e Nota IV (erroneamente indicata come Nota III), ibid., vol, XXIV, serie 5°, 1° sem., pag. 1225. (4) U. Sborgi e C. Franco, Gazz. Chim. Ital. 41, p. 2. 1. TaBeLLA I. — Temperatura 0°. — 190 — Sostanze poste a reagire N. d'ordine 1 H;B0;+ H,0 2a H3B03 + 1 .5.8+H30 db 3a » ”» n db 4a 1.5.8 + H,0 ò sa 1.2.4-+1.5.8+ H,0 6a 12451585 H10 Tal 124+H,0 È 1.244 NH,0H+H30 9 ’ » n 10 n» ) 11 » ” WA, Tempo di agitazione | Composizione della soluzione Composizione del Resto (NH1)30%|B.03% 1.462 0.37508 | 3.240 0.37546 |3.261 0.37805 |3.2511 03746 |3.240 0.52251 |3.4504 0.51065 |3.4447 | 1.3120 |5.428 1.3170 |5.4247 1.3169 |5.429 1.3189 |5.489 1.015 2.739 18.075 |0.9372 18.10 0.9145 28.623 |0.503] 45.21 0.40 62.91 0.20 98 538 96.38492 96.36354 96.37035 96 3854 96.02709 96.044065 93.260 93.2583 93.2541 93.1921 96.246 80.9878 80.9855 70.8739 94.39 136.89 H,0% |NH,):0% 1.752 2.4818 12.490 8.0964 19.482 25.60 30.54 30.905 B.03% | H,0 % 36.055 38.312 44.881 32.372 33.294 26 03 32.20 40.67 Temperatara 0° Fia 1 H3B03 62.1798 {H3B03-+-1.5.8 59.2062 ” 1.5.8 43.129 | 1.5.8—1.2.4 59.5316 n 1.2.4 47.304 ” 48.37 » 36.80 ” 28.425 ” — 191 — Segue TaBELLA II. N. d'ordine 36a|1.2.4.+-NH,0H+H30 poste a reagire Tempo di agitazione “ (c-) Composizione della soluzione (NH):0% 7.1128 7.14216 7.1433 8 3252 8 3428 8 3532 8.900 8.901 8.910 8.873 8.946 9.2536 9.2644 9.266 9.4066 9.107 9.4098 10-109 10.109 10.102 10.832 10.840 11.788 11.798 11.790 11.84 11.86 11 86 15.876 15.881 15.885 20.026 20.309 20.312 20.312 20.42 20.450 20.456 20.72 20.75 22.776 22.793 22.81 25.01 45.37 52.84 B:03 % | H20 % [(NH,)30% Composizione del Resto B:03% | H:0% 2.2366 |90.6506 2.238. |90.61984 2.2105 |90. 6462 2.065 |89.6098 20913 |89.5559 2.092 |89.5948 1.9481 |89.1502 1.94904/89.14996 1.9296 |89.1604 2.084 |89.043 2023 |89.031 1.9656 /98.7708 1.9671 |98.7685 1.9763 [98.7577 1.8801 |98.7133 1.8859 |98.7071 1.8975 |98.6927 1.8618 |88.0292 1.863 |88.028 1.861 |88.8037 1.7897 |87.3783 1.7807 |87.3798 1.6774 |86.5343 1.6767 |86.5253 1.6763 |86.5337 1 6488 |86:5112 1.6475 |86 50 1.6419 |86.4921 13675 [82.7565 1 2516 |82.8674 1.2518 |82.8652 1.0323 |78.9417 1.032 |78 659 1.038. [78.650 1.0264 |78.6616 0.951 |78.629 0.9519 [78.5981 0.94694|78.59706 0.9472 [78 3328 0.90731|78.34269 0.81646|76.40754 0.86818|76 33882 0.8146 |76.3754 0.97 |74.02 0.67 [53.96 0.48. [47.18 16.673 18.486 16.60 18.126 17.176 16.055 17.16 17.612 16.993 18.28 17.45 20.57 21.25 21.399 22.61 22.45 29 41 30.94 | 39.906 415.97 38.639 46.546 34.372 37.004 38.03 31 118 35.016 84 67 37.63 36.79 43.421 35.243 43 494 35.904 44.185 51.085 43.267 44.097 44.420 35.174 48.178 42.426 40.72 47.483 42.374 42.88 32.96 32.27 1.2.4 — 192 — TaBeLLA II. — Temperatura 10°. N. d’ordine Sostanze poste a reagire H,BO, + H,0 H,B0,+ 1.5.8 » ” 1.5.8-+-H20 1.5.8 +1.2.4-+ H30 ” n ” n ” n n ” ” n n n» ’ ui Li n» n n” bt) n Tempo di agitazione Composizione della soluzione (NH,):0% 0.1576 0.1586 0.3476 0.3462 0.3495 0.47936 0.47603 0.4911 0.4929 0.4935 0.4969 0.4973 0.50054 0.5033 0.51386 0.51505 0.6813 0.7060 0.9548 0.96115 0.9575 0.9792 0.9954 0.9973 1.03995 1.0406 1.045 1.045 1.2982 1.300 1.300 1.388 1.3887 1.7249 17277 1.883: 1.8932 1.9028 1.9793 1.987 1.9824 1.9834 1.9897 1.985 { B.0:% | 19635 2.0995 2.7995 | 3.7358 3.8143 3.8341 43312 4.3587 4 4167 4.4713 4.4367 4517 4.469 4.3681 4.3737 44364 4.4454 4.6949 4.698 5.2705 5.3055 5.2655 5.4386 5.6274 5.2067 5.4142 5.4813 5.502 5.509 6.2078 6.2074 6.2454 6 5692 6.5648 7.6205 7.6221 7.8436 8.104 8.158 8.2516 8.2506 8.3295 8.3122 8.2505 8.262 H.0 % [(NH):0% 98.0365 97.0429 97.0419 95.9166 95.8395 95.8164 95 18944 95.16527 95.0922 95.0358 95.0698 94.9861 95.0337 95.13136 95,123 95.04974 95.03935 94 6238 94.596 93.7744 93.73335 93.777 93 5822 93 3772 93.796 93 54585 93.4781 93.453 93.446 92.494 92.4926 92.4543 92.0428 92.0475 90.6546 90.6502 90.2734 90.0028 89.9392 89.7691 89.7624 89.6881 89.7040 89.7598 89.753 Composizione del Resto 0.09969 0.13408 836705 2.1633 4.3078 4.251 6.6374 . 4.9252 5 8482 6.5217 6.256 6.3148 6.8025 7.2396 6.459 5.215 15.068 6.4515 12.766 B:03% l 37.13 |62.77031 37.63 39.608 35.907 39.33 41.726 |54.023 45.548 33.034 51.841 42.712 48.145 |45.630 43.572 91.334 49.915 |42.845 44.28. |49.261 48.356 [46.429 47.628 |37.304 35.55 41.06 |46.174 H,0 % 62.23592 96.7215 61.9297 56.3622 47.8146 62.0408 42.3108 50.7663 50.1132 41.8635 57.9985 H,B0, H;B0;—1.5.8 .» 1.5.8—1.2.4 » — 193 — Segue TABELLA N. d’ordine poste a reagire Sostanze Tempo di agitazione 21a|1.5.84+-1.24+H,0 | 96 304|1.2.44+NH,0H-+H,0| 24 36 ”» 24 36 72 84 Composizione della soluzione Composizione del Resto (NH 1)20%| B203% 1.9059 1.9067 1.9126 1.8762 1.8796 , 1.8882 1.7213 17255 1.732 1.349 1.7261 1.7311 1.7322 1,6921 1.6956 1.7026 1.653 1.656 1.659 1.569 1.573 1.5836 1.4225 1.4246 1.402 1.4036 1.4171 1.4177 1.528 1.538 1.811 1.813 1.815 1.855 2.813 2.8278 2.8304 4.7832 4.7854 4.789 5.0467 5.0527 5.0632 7.109 7.115 7.125 7 810 1.825 7.829 1.546 7.5996 1.5642 6.7862 6.8438 6.8257 6.795 6.7636 6.7682 6.774 6.5976 6.5552 6.567 6.3637 6.364 6.3834 5.7927 5.794 5.794 3.9461 3.873 3.848 3.8317 3.802 3.8770 3.4267 3.4179 3.172 2.935 2.972 3.0494 2.738 2.740 2.041 24454 2.412 2.449 2.4733 2.4810 2.4732 2.2181 2.2047 2.2034 H.0 % 90.2841 90.2683 90.2584 90 5778 90.5208 90.5503 91.4925 91.4307 91.4423 91.4701 91.5103 91.5007 914938 STA 065 91.7492 91.7304 91.9833 EELSE 91.9576 92.6383 92.6329 92.6224 94.7314 94.7024 94.75 94.7647 94.7809 94.7053 95.0453 95.0441 95.017 95.252 95.213 95.0956 94.444 94.4322 94.4286 92.7714 92.7656 92.762 92.480 92.4663 92.4636 90.6729 90.6803 90.6716 RENDICONTI. 1921. Vol. XXX. 2° Sem. (NH4):0%| B203% 14.259 15.774 12.332 12.92 12.482 16.225 13.80 14.297 13.511 13.168 16.314 16.3907 16.75 18.215 15.89 39.56 45.704 39.939 35.032 34.984 45.65 37.93 88.091 37.037 43.521 43.369 43.569 45.413 48.264 44.272 H,0 % 46.181 40.522 47.729 52.048 03.184 38.125 48.27 47.612 ————__________________m——______——_——__—_—_———______—_—_—_——— e ee——_.-.-—+—+—.;)._!T | —_—————— b[ 49.452 43.311 40.317 40.0403 87.837 33.581 39.838 26 — 194 — A 0° e a 10° non compariscono nuovi borati di ammonio. Si hanno an- ‘cora l’1-5-8 e l’1-2-4 già trovati ad altre temperature. Come si vede dai grafici, i due borati possono sciogliersi in acqua, senza subire decomposizione, alle temperature considerate. [ompera lu ra 10° Fre. 2. La solubilità di essi e dell'acido borico è riportata nelle seguenti ta- ‘belle, espressa in grammi del composto anidro e idrato per 100 gr. di so- luzione e per 100 gr. di acqua. Temp. 0° | H;B0; | B:03 1-5 i | 1-2-4 gr. gr. gr. gr. gr. gros. Per 100 gr. soluzione. . | 2.5908 1.462 3.9572 9.375? 3.7578 5.1677 Per 100 gr. acqua. . i 2.6597 1.4887 4,1203 5.6812 3.9042 5.449 Ì Temp. 10° H;B0, | B,0; | 1-5 ! 1-5-8 1-2 | 1-24 gr. gr ( gr n gr. _gr. gr. Per 100 gr. soluzione. . | 3.4794 1.9635 5.3935 7.3266 5.24 7.206 Per 100gr. acqua... . 3.6048 2 0036 5.7010 7.9061 9.53 7.166 Lo studio di questo sistema si sta ora completando per temperature più ‘elevate (fino a 90°). Quando tale studio sarà terminato, si esamineranno com- . parativamente i risultati ottenuti riunendoli nel diagramma temperatura- «concentrazione. — 195 — Biologia. — Sulla presenza della Meleagrina nel mare libico. Nota I di BRUNELLI Gustavo, presentata dal Socio BAT- TIsTA GRASSI ('). Il Ministero delle Colonie ha inviato in esame all’Ispettorato generale per la pesca alcune perle di piccole dimensioni e un frammento di conchiglia e in seguito tre valve portatemi dal comm. Ottone Schanzer di provenienza libica (Tripoli, Zuara e Buchemez) e che riconobbi senza alcun dubbio da iscri- versi al genere Meleagrina. Dapprima fui assai meravigliato di questo reperto, sebbene già nella fauna mediterranea del Carus trovisi menzionata la Mel/eagrina Savigny Monteros. La mia meraviglia diminuì riscontrando che il Dautzemberg aveva già segnalato la Meleagrina, oltre che nel mare Egiziano, a Gabes in Tunisia. Il nuovo reperto però è interessantissimo, perchè rappresenta l’anello di una ca- tena che segnerebbe l'itinerario della migrazione della Mel/eagrina attraverso il canale di Suez, donde il Dautzemberg la ritiene migrata in seguito all’aper- tura dell'istmo, oppure potrebbe prestarsi all’ipotesi contraria della estesa pre- senza della Meleagrina nella costa nord africana, anche innanzi all'apertura dell’istmo, presenza che sarebbe sfuggita alle precedenti indagini dei malaco- logici e dei biogeografi. Ambedue le opinioni meritano di essere discusse. La presenza del genere Me/eagrina nel Mediterraneo è stata segnalata per la prima volta da Gaudion. Vassel ha trovato la Meleagrina radiata Desh a Porto Said, poco dopo l'apertura dell'istmo di Suez, e diversi esemplari ne sono stati raccolti anche nei mercati di Alessandria. Alcuni autori hanno descritto questa Meleagrina come una specie nuova; nel 1878 Monterosato fu informato che si pescava in abbondanza una ostrica perlifera nel porto di Alessandria, alla quale egli diede il nome di Meleagrina Savigny, pur domandando se fosse stata importata dal Mar Rosso, e questo dubbio trovasi menzionato anche nel trattato di Carus sulla fauna mediterranea. Le Melea- grine sono poi state segnalate nel golfo di Gabes da Vassel (1889) e da Chevreux (1892). Nella campagna de la Melita questo ultimo ha trovato delle Meleagrine nella costa a Sud di Sidi Jamur (nella costa ovest dell’isola di Djerba), al largo della Skhira a 22 metri di profondità, all’ovest della penisola di Khedima, nella spiaggia della baia di Surkennis, a nord dell'oued Gabes M. Bavay ha riscontrato (1893) diversi esemplari adulti e giovani aderenti a un cavo sottomarino dell’isola di Djerba. L'ostrica perlifera si è sviluppata a tal punto nel golfo di Gabes, che in tutta la estensione della baia di Surkennis, M. Chevreux ha osservato un cordone litorale di cinquanta centimetri di spessore, ciò che secondo me è in rapporto con speciali condizioni etologiche batimetriche, in cui deter- minate specie di Meleagrine prolificano gregariamente. Dautzemberg cercando di risolvere la quistione dell'origine di questa Meleagrina ha comparato (*) Presentata nella seduta del 6 marzo 1921. — 196 — diversi campioni di provenienza eritrea (mar Russo, Suez) e delle specie del Mediterraneo provenienti da Alessandria e dal golfo di Gabes. Esso non ha trovato, come esporremo in seguito, alcuna differenza apprezzabile tra le conchiglie di questi campioni e conclude che questo mollusco, la Meleagrina radiata Desh, originario del mar Rosso si è introdotto nel Mediterraneo recentemente, dopo la apertura dell'istmo di Suez. Nessuna meraviglia che questa colonizzazione sia avvenuta, dopo che sappiamo che la migrazione della fauna malacologica a traverso l’istmo è ormai un fatto scientificamente controllato. Il canale di Suez, aperto dopo il 1869, è assai difficile a passarsi per. la maggior parte delle specie a causa, come ricorda Cuénot, della interpo- sizione dei laghi amari ad acque sovrasalate (75 grammi di sale per litro, in luogo di 45 grammi del mar Rosso); ed infatti in trenta anni su 14 specie di pesci tanto del mar Rosso quanto del Mediterraneo, ne sono passate sei sole in un senso o nell’altro e si allontanarono molto poco dalla imboccatura del canale. Una decina di molluschi del mar Rosso sono invece passati nel Mediterraneo e tre soli in senso inverso. Le migrazioni o meglio le dispersioni dei mol- luschi costituiscono un problema che ha sempre appassionato i biogeografi. Le condizioni fisico-biologiche della dispersione dei molluschi, special- mente di acqua dolce e terrestri, sono state analizzate dai diversi autori e riassunte nel trattato di Harry Wallis Kew. S'intende che per i molluschi marini gli effetti delle correnti hanno una importanza fondamentale. Nel caso che ci occupa la dispersione, o meglio la irradiazione della specie, si spiega facilmente con la presenza di correnti costiere, sebbene lo studio idrografico del Mediterraneo non sia ancora completo nella zona litoranea che ci occupa. Come riporta anche il Cusgnot nella seconda edizione della sua opera, si è anche supposto che la Meleagrina radiata sia migrata nel Mediter- raneo attaccata alla chiglia delle navi, è così che sarebbe migrata sino a Malta. L'ipotesi del Dautzenberg sembra dunque a prima vista la più pro- babile, sebbene già nel Miocene vi sia stata una colonizzazione del Medi- terraneo dalla regione indo-pacifica attraverso il mar Rosso. Certamente un mollusco così appariscente e pregiato fin dai più antichi tempi non si spiega come sarebbe passato inosservato nel secolo XVIII e nella prima metà del secolo scorso, quando gli studî malacologici per giunta erano già in voga. È vero che Seurat ricorda che le ostriche perlifere esistevano antica- mente sulle coste della Mauritania e in particolare del Marocco. Plinio segnala le perle sulla costa della Mauritania, e al XVI secolo se ne fa ancora menzione nella baia di Melillah. Disgraziatamente questi dati come tutte le notizie biologiche di tempi così remoti, debbono accogliersi con beneficio d'inventario. La quistione dell'antica presenza della Meleagrina sulle coste mediterranee, ripeto, potrà risolversi coll’ausilio anche della paleontologia. Non è per muovere alcuna obiezione all’ipotesi del Dautzenberg circa la migrazione della Meleagrina dal mar Rosso, ma per esporre lo stato attuale delle nostre conoscenze che io riporto qui alcuni dati. — 197 — Il mar Rosso e il Mediterraneo hanno comunicato durante il periodo miocenico. Lo studio della fauna terziaria miocenica e pliocenica del peri- metro del Mediterraneo, mostra che questo mare ha ricevuto degli elementi provenienti dall'Oceano indiano, dall’ovest dell'Africa e delle acque che bagnano l’ Europa del Nord. Tuttavia dal punto di vista malacologico la Provincia indo-pacifica è ben delimitata e il mar Rosso, che si considera in appendice alla stessa, ha una fauna malacologica assai ricca. Come ricorda il Fischer la dissimiglianza della fauna mediterranea ed eritrea ha colpito tutti i viaggiatori che hanno viaggiato nel mar Rosso. Ma durante lungo tempo un errore, accreditato da Philippi e accettato senza controllo da Forbes e da Woodward, ha fatto prevalere nella scienza questa errata proposizione che il mar Rosso racchiuda il 10 per 100 delle specie comuni al mediter- raneo. Su 375 molluschi (questi dati sono anteriori all'apertura dell’ istmo di Suez) provenienti dal viaggio di Hemphrich e di Ehrenberg, 73 specie vivreb- bero contemporaneamente nel mar Rosso e nel Mediterraneo. Ma Fischer ha constatato che queste pretese specie comuni appartengono esclusivamente alla fauna mediterranea. D'altra parte su 818 specie di Suez, Mac-Andrew non ha trovato che tre specie mediterranee: Pecfen varius, Solecurtus coarctatus e Volvula acuminata. Così che in sostanza anche ammessa una prima migrazione di specie dal mar Rosso nel Mediterraneo nel miocene, questa sembra sia avvenuta entro limiti assai modesti. Ulteriori studî ci diranno se la Mel/eagrina delle coste nord africane debba ritenersi sicuramente migrata in tempo recente dal mar Rosso. Uno studio approfondito della specie anche dal punto di vista anatomico mi sembra necessario, poichè senza recare offesa ai malacologici, la sistematica a sola base di conchiliologia è una scienza un po' tramontata. Le sole tre valve inviatemi non permettono in questo senso uno studio del problema. A prescindere da quanto dice il Seurat che molti autori pen- sano che l’ostrica perlifera delle diverse regioni del globo appartengono alla sola specie Meleagrina margaritifera, ciò che ormai nessuno più ammet- terebbe, è certo che lo studio delle specie del genere Me/eagrina anche dal punto di vista etologico merita attenzione Nel mar Rosso anche gli indigeni distinguono la ostrica delle madre- perle (sadaf), Meleagrina margaritifera, da quella delle perle (bulbul), che per i sistematici si identifica colla Me/eagrina muricata, e la quale sarebbe di diametro minore non eccedente i 7 cm. Quello degli esemplari libici da me esaminati misura circa 9 cm., superiore cioè a quello della Meleagrina muricata e inferiore a quello della Meleagrina margaritifera, le cui valve sono anche di spessore assai più notevole, ma d'altra parte anche se ammet- tiamo una migrazione recente delle Meleagrine dal mar Rosso, non è da escludersi che nel mar Libico esse presentino qualche particolare carattere di adattamento all'ambiente o biaiometamorfosi. — 198 — Fisiologia. — Sulla deamidazione enzimatica dell’asparagina in diverse specie animali e sul significato fisiologico della sua presenza nell'organismo (*). Nota di ANTONINO CLEMENTI, presen- tata dal Corrisp. SILvESTRO BAGLIONI (°). Nel corso di indagini dirette all'elaborazione di un nuovo metodo per lo studio del fenomeno della deamidazione enzimatica dell’asparagina la mia attenzione è stata attratta dalla mancanza del potere deamidante in alcuni preparati di erepsina intestinale di cane. Poichè mancano notizie circa il fenomeno della deamidazione enzimatica dell’asparagina nel cane e nei car- nivori in genere, io fui indotto a ricercare se il fatto osservato rappresenti non un fenomeno fortuito e isolato, ma piuttosto un carattere differenziale tra carnivori ed erbivori. Intrapresi perciò lo studio sistematico della deami- dazione enzimatica dell'asparagina nella serie dei vertebrati e degli inver- tebrati; i risultati delle mie ricerche, che qui riferisco, essendo in accordo nelle loro linee essenziali con la tesi suesposta permettono di formulare una nuova interpretazione circa il significato fisiologico della presenza di questo fenomeno nell'organismo animale. Il procedimento da me seguito per riconoscere la deamidazione dell’asparagina diffe- risce dai metodi precedenti adoperati dagli altri autori che sono tutti fondati sul dosaggio, mediante distillazione, dell’ammoniaca, che si sviluppa dall’asparagina e rispetto ai quali ha il vantaggio di essere più rapido e di permettere di sperimentare con piccole quantità di asparagina; esso consiste nella titolazione diretta al formolo dell’asparagina,. e si fonda sul principio che l'azoto amidico dell’asparagina non è titolabile col metodo del formolo, mentre diventa titolabile quando si trasformi in azoto ammoniacale. Nelle nostre esperienze abbiamo adoperata la poltiglia degli organi da esaminare, che si otteneva pestando frammenti di organi in mortaio con polvere di quarzo; un campione della polti- glia veniva mescolato con l’asparagina e un campione uguale in volume veniva posto in termostato alla temperatura di 379-40° C. dopo aggiunta di toluolo: dopo alcuni giorni si eseguiva la titolazione al formolo. I fatti assodati nelle ricerche eseguite facendo agire sull'asparagina la poltiglia di organi si possono riassumere sinteticamente in questi termini: 1°) La deamidazione della asparagina è operata da molti organi e tessuti dei mammiferi erbivori (cavia, vitello, antilope) e dei mammiferi onnivori (ratto bianco, maiale), ma non è operata da alcun organo e da alcun tessuto dei mammiferi carnivori (cane, gatto, pipistrello). Tra gli organi quello che con più costanza deamidizza l’asparagina è rappresentato dal fegato: in alcuni casi (cavia) anche il sangue e, propriamente, il siero di sangue può operare la deamidazione dell'asparagina. Gli organi dell'uomo a differenza di quelli di altri onnivori non hanno il potere di deamidare l'asparagina. (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Fisiologia della R. Università di Roma. (3) Presentata nella seduta del 3 aprile 1921. — 199 — 2°) La deamidazione dell’asparagina è operata dal fegato e dal rene. degli uccelli (gallina, gazza ladra, capinera, civetta e falchetto); gli uccelli in genere si comportano rispetto al fenomeno della deamidazione dell’aspa- ragina come i mammiferi onnivori: in effetti secondo gli A. anche i rapaci, sebbene siano prevalentemente carnivori, possono in mancanza di alimenti di origine animale, cibarsi anche di semi. 3°) La deamidazione dell’asparagina non è operata da alcun organo e da alcun tessuto di Zamensis Viridiflavus, di Emis Europea e di Testudo Graeca sacrificate durante il periodo del letargo: la mancanza di osserva- zioni in individui sacrificati durante il periodo estivo non mì ha permesso di stabilire se l'assenza del fenomeno sia in questi vertebrati costante o solo conseguente allo stato letargico. 4°) La deamidazione dell’asparagina non è operata da alcun organo . e da alcun tessuto di Triton Cr. e di Bufo Vulgaris, i quali, come è noto, sono carnivori. 5°) La deamidazione dall’asparagina non è operata dagli organi di Ciprinus Auritus. 6°) La deamidazione dell'asparagina non è operata da alcun organo o da alcun tessuto dell'organismo degli invertebrati, sia erbivori (Helix po- matia, Cavolaria), sia carnivori (Seppia, Ditiscus). Le considerazioni degne di maggior rilievo, che crediamo di poter fare in base ai fatti suesposti, sono le seguenti: a) Il fermento che opera la deamidazione dell’asparagina (aspara- ginasi) contrariamente a quanto era ritenuto fin ora (0. v. Firth e Fried- mann) (*), non è un fermento comune a tutti gli organi e tessuti animali, ma esistono vertebrati presso i quali esso manca, come esistono tessuti nei quali esso è assente. Per quanto si riferisce ai mammiferi possiamo enunciare una legge, che ne regola la distribuzione, in questi termini: èl fermento dea- midante l’asparagina è generalmente presente nell'organismo dei mammi- feri erbivori e în quello dei mammiferi onnivori, mentre è assente nell’or- ganismo dei mammiferi carnivori. La presenza di un fermento deamidante l’asparagina nella classe dei mammiferi appare dunque core un fenomeno avente rapporti di dipendenza non coi processi di degradazione metabolica della molecola proteica, come finora si è ritenuto, ma piuttosto colla natura dell’alimentazione della specie e, propriamente, come un fenomeno di adat- tamento biochimico tilogenetico dell'organismo alla presezza o all'assenza nell’alimento dell’asparagina, la quale, come è noto, si trova in molti ali- meuti di origine vegetale, mentre manca in quelli di origine animale. 5) Dal punto di vista teleologico la mancanza del fermento, che de- termina la deamidazione dell’asparagina, nei secreti digerenti (succo intesti- nale di coniglio, bile di cavia) e la sua presenza negli organi interni o anche nel siero di sangue (cavia) fa pensare, che il fenomeno della deamida- (1) O. V. Firth e Friedmann. Biochem. Zeitsch. 26, 1900. — 200 — zione dell'asparagina è un fenomeno di digestione interna, che ha verosimil- mente un significato nutritivo o assimilativo; infatti l’asparagina viene trasformata per il processo della deamidazione in acido aspartico, cioè viene trasformata in un aminoacido, che come tale normalmente prende parte alla costituzione chimica dell’edificio molecolare delle sostanze proteiche. L'as- senza del fermento nell'organismo dei mammiferi carnivori e la sua pre- senza in quello dei mammiferi erbivori od onnivori ci darebbe così la spie- gazione di un fatto osservato dai fisiologi dell'ultimo ventennio del secolo scorso (Weiske, Kennepohl, Schulze), che è rimasto senza spiegazione fino ad oggi, e cioè, che l’asparagina somministrata ai mammiferi esercita un'azione di risparmio dei proteici più spiccata negli erbivori e negli onnivori, che non nei carnivori, cioè in quei mammiferi, nei quali è presente il fer- mento deamidante l'asparagina. c) La mancanza del fermento, che opera la deamidazione dell’aspa- ragina, nel fegato di cane, dalle cui proteine durante l’'autolisi, secondo Jacoby, si mette in libertà dell'ammoniaca, fa pensare che possono esistere nel fegato di cane fermenti analoghi, ma in ogni caso distinti dal fermento, che opera la deamidazione dell’asparagina, al quale possiamo applicare la denominazione di asparaginasi e che l’ammoniaca presente nella molecola proteica possa essere legata anche ad aminoacidi diversi dall'acido aspartico. d) Da un punto di vista generale si può pensare che per adattamento filogenetico gli organi interni (fegato) 0 anche il tessuto sanguigno possono elaborare fermenti atti a scindere sostanze azotate alimentari a costituzione chimica semplice e perfettamente definita, che giungono nel circolo sanguigno dall’ intestino, mentre tale attitudine è stata dimostrata finora solo per gli organi digerenti (ghiandole salivari, mucosa intestinale). Verosimilmente questo dell’asparaginasi rappresenta il caso più semplice di tutta una categoria, finora non nota, di fermenti specifici degli organi interni o del tessuto sanguigno forma- tisi per adattamento biochimico filogenetico dell'organismo animale alla speciale costituzione chimica degli alimenti. La presenza dell’asparaginasi anche nel siero di sangue (cavia), ci impone la soluzione di un problema avente speciale interesse per la dottrina dell'alimentazione ed, insieme, per la dottrina dei fermenti chiamati protettivi da Abderhalden, e, propriamente, del problema che si riferisce alla possibilità di determinare la formazione dell'asparaginasi nel siero di sangue o nel fegato dei mammiferi carnivori mediante la sommini- strazione artificiale prolungata per via orale o per via sottocutanea o per via endovenosa dell’asparagina; ci riserviamo di riferire i risultati delle ricerche aventi attinenza con questo problema e con altre questioni connesse alla bio- logia del fermento in questione, il cui significato appare diverso e la cui importanza fisiologica appare maggiore di quanto finora sia stato general- ‘mente ammesso. G. C RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI pervenute all'Accademia durante le ferie del 1921. (Ogni Memoria o Nota porta a pie’ di pagina la data d'arrivo). _r_TT——"—"—"—"—"<"—*—"<"—" < Astronomia. — Sopra il limite interno della zona astero+ dica. Nota del Corrispondente GrusePPE ARMELLINI ('). 1. In questa breve Nota espongo, come conseguenza dei risultati otte- nuti nel mio lavoro sul pianetino Hurgaria (*), un'osservazione destinata a rettificare un'opinione diffusissima tra gli astronomi sul limite interno della zona degli asteroidi. 2. Come è noto, se escludiamo il pianetino eccezionale Z7ros ed il Gruppo Troiano (Ettore, Achille ecc.), l'anello asteroidico è compreso tra Marte e Giove e precisamente tra le distanze medie 1,95 (HAungaria) e 4,26 (Thule). Il numero dei pianetini scoperti si avvicina ormai al migliaio; ma è assai probabile che essi siano soltanto dei nuclei maggiori disseminati in un vero sciame di corpuscoli che sfuggono alle nostre osservazioni. L'anello presenta poi delle lacune che, fino a pochi anni fa, sì attribuivano unicamente a perturbazioni di risonanza, vale a dire alla commensurabilità del moto medio con quello di Giove. Newcomb fu il primo. per quanto so, a porre in dubbio questa spie- gazione allora universalmente accettata, e la sua acuta previsione onora veramente l'ingegno del grande astronomo americano. Più tardi i nuovi metodi scoperti dal Poincaré, i quali come egli stesso ebbe a dire valgono precisamente in quei casì dove gli antichi fallivano, ed i lavori consecutivi (*) Pervenuta all'Accademia il 19 settembre 1921. (2) Cfr. Rend. Lincei, seduta del 19 dec, 1920. RenpICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sein. 27 — 202 — per opera di molti astronomi, confermarono le idee del Newcomb e mo- strarono che la sola attrazione di Giove non basta per spiegare completa- mente le lacune dell'anello asteroidico. « IL semble donc resulter — scrive giustamente (*) a questo proposito l'André — de l'ensemble de ces travaur que trés vraisemblablement, si les lacunes n'avaient point eristé de l'origine, les perturbations de Jupiter n’auratîent pas suffi à les produire et que par suite elles existaient sans doute déjà immediatement après la formation des asteroides ». Ben inteso, le lacune sono sempre strettamente connesse con Giove. Soltanto non è forse il pianeta che le abbia prodotte direttamente, ma piut- tosto la posizione di Giove e quella delle lacune dipendono da un'unica causa (“) cosmogonica. 3. Ciò posto è importante osservare come si ripeta ora per il limite interno della zona asteroidica una spiegazione analoga a quella data in passato per le lacune. Fino a poco tempo fa, si credeva infatti che l’inclinazione dei pianetini che sono situati alla distanza media 1,95 cioè assai vicino (*) al preteso « Punto di Leverrier » fosse soggetta ad oscillazioni fortissime (per Hungaria p. es. superiori a cénquantatre gradi). E poichè l'anello asteroidico pro- priamente detto termina alla distanza 1,95, gli astronomi spiegano ora questo limite con l’esistenza del « Punto di Leverrier » precisamente come pochi anni or sono spiegavano le lacune dell'anello con la teoria delle perturba- zioni di risonanza. Lo stesso André ha accettato senza riserve questa opinione scrivendo (*) che « cette remarque curieuse — cioè le perturbazioni straor- dinariamente forti alla distanza 1.95 — explique la limitation intérieure de l’anneau; ce qui est fort importanti ». 4. Ma come è caduta l’antica teoria delle lacune, così anche questa apparentemente brillante spiegazione del limite interno non può più sussi- stere dopo i nuovi lavori sul pianetino Hungaria e sul Punto di Leverrier. Il prof. Charlier infatti ha portato i cinquantatre gradi della teoria di Leverrier a soli diciassette (*) e nella mia citata Nota io ho potuto ridurli a soli tre gradi e mezzo. Hungaria ed i pianetini situati a quella distanza cessano quindi di essere singolari e la pretesa spiegazione del limite interno dell'anello asteroidico viene quindi a crollare dalle fondamenta. In altre parole erano state trovate perturbazioni eccezionali alla di- (*) In connessione con questo fatto è curioso osservare che le distanze 2,34 e .3,58 date dalla mia legge empirica (D = 1,58*; cfr. Rend. Lincei, seduta 4 marzo 1917) pos» sono interpretarsi come appartenenti ai pianetini Vesta (2,36) e Camilla (3,48) oppure anche alle due lacune principali (2,5 e 3,3). (2) Ch. André, Les planètes et leur origine, pag. 102. (3) Ann. de l'Observ. H., T IL (4) Op. cit., pag. 104. (5) Cfr. Mechanik des Himmels, vol. I., pag. 428 e seg. — 203 — stanza 1,95 perchè si consideravano è soli primi termini. Se sì tiene conto invece dei termini superiori (') -— come è stato fatto dal prof. Charlier nelle equazioni che io ho integrato nella mia citata Nota — le perturbazioni di- vengono quasi normali, e quindi insufficienti a dar ragione dell’esistenza del limite interno dell'anello asteroidico. 5. Riepilogando noi giungiamo alla conclusione che le particolarità dell'anello asteroidico (limiti e lacune) non possono essere spiegate con la sola Meccanica Celeste (*°) come per tanti anni si era creduto: esse sem- brano dovute a cause cosmogoniche piuttosto che a perturbazioni meccaniche. Mineralogia. — Su cristalli misti stereoisomeri nella serie clinozotsite-epitodo (*). Nota IV del Corrispondente FERRUCCIO ZAm- BONINI (*). Se si verifica il caso @ (sostituzione del solo alluminio legato all’ossi- drile) avremo la serie normale di cristalli misti: se, al contrario. il ferro ferrico prende il posto azche di parte dell'alluminio indipendente dall’ossi- drile si origineranno i cristalli misti che abbiamo chiamato anomali (°). Si comprende anche facilmente come possano aversi dei cristalli misti con le proprietà ottiche di termini clinozoisitici, ma con un contenuto in ferro ferrico così elevato, che, se si trattasse della serie normale, sarebbe caratteristico di termini schiettamente epidotici. Tale è il caso dei cristalli di Monte Tovo con 5.1°/o Fe» 03, della Goslerwand con 5.169/, Fe» 03, di Huntington, ecc. In base a quanto abbiamo esposto, ci possiamo dare ragione del feno- meno, pensando che solo una piccola parte del ferro ferrico contenuto in (*) Un esempio analogo, divenuto ormai classico, si ha nell’Accelerazione Secolare della luna. Tenendo conto dei soli primi termini (Zaplace) l'accordo tra teoria ed osser- vazione sembrava perfetto; ma quando Adams volle considerare anche i termini superiori si notò subito un’importante divergenza, che sembra dovuta all’azione delle maree (Delaunay). (3) Sembra invece che il limite superiore dell'anello asteroidico che si trova presso. Thule alla distanza 4,26 (escludendo il Gruppò Troiano che ha un’esistenza separata) si spieghi meccanicamente con le curve limiti di Hill. La teoria è però ancora dubbia, ed io mi propongo di esaminare in un’altra occasione questo punto importantissimo del- l'astronomia asteroidica. (*) Lavoro eseguito nell’Istituto di Mineralogia dell'Università dì Torino. (4) Pervenuta all'Accademia il 16 agosto 1921. (5) Poichè il ferro ferrico è isomorfogeno al più alto grado con l’alluminio, si com- prende bene come nello stesso giacimento possano trovarsi cristalli misti normali ed ano- mali, essendo, evidentemente, sufficienti variazioni di poco momento nelle condizioni di formazione, perchè sia favorita la sostituzione di uno o dell’altro tipo di atomi di allu- minio della clinozoisite. Mi sembra perfino possibile che in uno stesso cristallo possano aversi parti normali e parti anomale. — 204 — quei cristalli sostituisca l'alluminio del gruppo A1(0H), mentre il resto rimpiazzerebbe l'alluminio indipendente dall'ossidrile. La struttura cristal- lina della clinozoisite risulterà lievemente modificata, perchè dei caratteri- stici gruppi Al(0H) ben pochi saranno stati sostituiti, e quanto agli altri atomi di alluminio, sui quali principalmente si esercita la sostituzione, essi sono assai più numerosi degli altri (precisamente il doppio), sicchè il loro posto può essere occupato dal ferro ferrico in proporzioni più considerevoli, senza che sì determinino delle modificazioni profonde nelle proprietà fisiche dell'edificio cristallino. Potremo, perciò, dire che nei cristalli misti anomali della serie cli- noizisite-epidoto le proprietà « clinozoisitiche » (') saranno tanto più accen- tuate, quanto minore sarà la quantità di alluminio unita all’ossidrile che viene sostituita dal ferro ferrico (?). (!) Per « proprietà clinozoisitiche » intendo appunto il carattere ottico positivo, la birifrangenza debole, gli indici di rifrazione più bassi che nei termini epidotici e pista» zitici; x, nell'angolo ottuso 8, ecc. Poichè i cristalli di Monte Tovo con 5,1% Fes0; pos siedono per #, un valore inferiore a quello della clinozoisite senza ferro e 2Va, = 99935" sembra lecito ammettere che l’effetto sulle proprietà ottiche della sostituzione dell’allu- minio indipendente dall’ossidrile, è l'opposto di quello determinato dalla sostituzione nei gruppi Al(OH). Ed invero, nei cristalli misti anomali di Huntington, di Monte Tovo, di Camp-Ras ecc. i valori degli indici principali di rifrazione sono inferiori a quelli della clinozoisite tipica (pur presentando per 2Va, dei valori molto piò vicini a 90° dei cristalli di Monte Tovo), mentre nella serie normali di cristalli misti gli indici di rifrazione crescono rapidamente col tenore in ferro ferrico. (?) Da molti si ritiene, che. dopo i recenti lavori sulla struttura dei cristalli, il concetto di molecola abbia perduto ogni valore per le sostanze allo stato cristallino. In realtà, è stato dimostrato che i legami che tengono uniti gli atomi nei reticoli spa- ziali cristallini sono della stessa natura delle valenze chimiche. Mi limiterò a rammen- tare i lavori del Padoa, pubblicati nei Rendiconti di questa Accademia-nel 1918 e nel 1919, e quelli importantissimi di K. Fajans e von Steiger (Berichte der Deutschen chem. Gesellsch. 1920, LIII, 643 e 666), i quali, indipendentemente da Padoa, hanno mostrato che l’energia dei legami atomici nel diamante e nella grafite è dello stesso ordine di grandezza di quella che si ha negli idrocarburi rispettivamente della serie alifatica e dell’aromatica. Del resto, che i legami atomici della molecola chimica debbano restare conservati allo stato cristallino, risulta senz'altro dal fatto che in molti casi, nei quali i fenomeni non sono turbati da polimerizzazione o da altre cause, il colore che si ha in soluzione liquida, diluita, rimane conservato allo stato solido. Basterà ricordare il clo- ruro cromico verde e quello violetto, numerosi idrati che hanno colorazione caratteristica in soluzione ed allo stato cristallino, solido, le soluzioni di jodio nel benzolo e nel ci- cloesano, studiate da Bruni e da Amadori, che sono rosee sia allo stato liquido, che al solido, le soluzioni di nitrosobenzolo in nitrobenzolo, pure esaminate dal Bruni, che con- servano un colore verde azzurro brillante nelle soluzioni liquide e nelle solide. Abbiamo, poi, i molteplici esempî di sali con anione colorato, che presentano, sempre che non vi sieno cause perturbatrici, lo stesso colore in soluzione ed allo stato cristallino. Una di- stinzione fra gli atomi di alluminio che nella formula della clinozoisite appaiono oppure no legati all’ossidrile appare, perciò, giustificata anche negli edifici cristallini del mi- nerale. — 205 — Le cose sono, del resto, rese ancora più complicate dalla possibilità di un altro fenomeno. In recenti ricerche di grandissima importanza sia teorica, che pratica, il Tammann (') ha mostrato che la distribuzione dei componenti di un cristallo misto può essere, limitandoci a considerare i casì estremi e senza entrare in dettagli non consentiti dallo spazio del quale posso disporre, uniforme o normale, come egli la chiama, ovvero 7rrego- lare. A seconda che si verifica l'una o l’altra di queste due distribuzioni nel reticolo spaziale, otterremo, a parità di composizione chimica, due cri- stalli misti, che possiamo ben dire con Tammann stereoisomeri, e che avranno proprietà anche molto diverse, come lo stesso Tammann ha potuto dimostrare non solo per i cristalli misti di alcuni metalli, ma anche per quelli di certe coppie di sali. È da notare che i cristalli misti stereoisomeri di Tammann si differenziano da quelli studiati nella serie clinozoisite-epidoto, per il fatto fondamentale che, mentre nei primi sì ha una diversa sostitu- zione di atomi dello stesso elemento e con uguale funzione chimica (?), nei secondi la sostituzione si esplica ancora su atomi dello stesso elemento (l'al- luminio), ma con diversa funzione (legati ovvero no all'ossidrile) (*). Nei casi studiati da Tammann si ha una steroeisomeria puramente cristallina: nei cristalli misti della serie clinozoisite-epidoto si ha, invece, a che fare con una stereoisomeria chimica e cristallina nello stesso tempo. È molto probabile che il genere di stereoisomeria cristallina studiato da Tammann abbia scarsa importanza nel gruppo epidoto. Infatti, il Tam- mann ha trovato che la distribuzione irregolare si verifica quando la forma- zione dei cristalli misti ha luogo rapidamente ed in condizioni tali da im- pedire trasposizioni degli atomi nel reticolo. Ora, i cristalli di epidoto e di clinozoisite si sono certamente formati abbastanza lentamente, a temperatura relativamente alta per rendere possibili gli intensi fenomeni di metamorfismo, in seguito ai quali, appunto, quei cristalli si originarono, sicchè è verosimile che in essi si abbia, per lo meno dominante, la distribuzione normale degli atomi. Ma la distribuzione irre- golare dei gruppi Al(0H) divenuti Fe (OH) non può, però, escludersi, sicchè in certi casi può darsi che ad essa debbano ascriversi, almeno in parte, le «anomalie » osservate nella serie clinozoisite-epidoto. I risultati del presente lavoro tendono a diminuire la portata pratica delle relazioni trovate fra composizione chimica e proprietà fisiche (special (1) Mischkristallreihen und ihre Atomverteilung. Leipzig 1919 (Anche Zeitsch. fiir anorg. u, allg. Chemie 1919, CVII). (8) Così si verifica, per esempio, che nei cristalli misti stereoisomeri di NaCl e Ag Cl sono atomi di sodio di differente posizione nello spazio quelli che vengono sosti- tuiti dall’argento, ma è evidente che tutti gli atomi di sodio del reticolo spaziale del elo- ruro di sodio hanno lo stesso valore chimico. (3) La diversità di funzione degli atomi di alluminio sostituiti può spiegare la forte differenza di colore che si osserva fra certi epidoti con composizione quasi identica. — 206 — mente ottiche) in certe serie di cristalli misti naturali. Il loro impiego, infatti, è necessariamente limitato ai cristalli misti « normali », mentre è evidente che, in molti casi, specialmente quando si tratta di microliti for- matisi rapidamente, la distribuzione irregolare degli atomi studiata da Tam- mann appare assai verosimile. Ora, è da notare che nello studio microsco- pico delle roccie, si usa applicare senz'altro alla determinazione dei micro- liti, per esempio dei plagioclasi, i risultati dello studio dei grandi cristalli, magari delle geodi, originatisi in condizioni ben diverse, il che non appare, oggi, affatto giustificato, perchè, mentre questi ultimi possiedono molto pro- babilmente la struttura « normale », manca ogni certezza che altrettanto si verifichi sempre nei microliti. Anche il tipo di stereoisomeria che abbiamo veduto verificarsi, secondo ogni probabilità, nei cristalli misti della serie clinozoisite-epidoto, è verosi- milmente assai diffuso in natura. Intanto, esso può esistere nelle piemontiti e nelle ortiti ('), nelle quali, anzi, le cose sono complicate dal fatto che l'alluminio può essere sostituito non soltanto dal ferro ferrico, ma anche dal manganese trivalente e dai metalli del gruppo del cerio, lasciando, così, scorgere la possibilità di svariati cristalli misti stereoisomeri con composi- zione centesimale identica. In generale, si può dire che il tipo in questione di stereoisomeria dei cristalli misti può riscontrarsi in tutti quei minerali nei quali un dato elemento possiede atomi con diversa funzione chimica. Un esempio eminente, che, per la sua importanza, mi propongo di trattare a parte, è dato dai complicati cristalli misti con elementi trivalenti, dei gruppi dei pivosseni e degli antiboli. Tutti quei minerali, poi, che possono essere considerati come composti di un sale e di un alogenuro o di un idrato dello stesso metallo, si trovano nello stesso caso. Così, per esempio, nei minerali del gruppo humite, la formula dei quali si può scrivere Mg» Si0, . n Mg (F,0H)., il magnesio può essere in parte rimpiazzato dal ferro e, molto subordinatamente, dal manganese. È chiaro che si avranno cristalli misti con proprietà diverse, a seconda che sarà sostituito il magnesio legato al fluoro (o all'ossidrile), ovvero l’altro. Un caso analogo si verifica nella elvina. Così pure, nella complessa serie davyna-microsommite, nella quale, come ho già notato nella mia Mineralogia vesuviana, sembra disperato il tentativo di trovare un nesso preciso fra la composizione chimica e le pro- prietà ottiche, i cristalli misti stereoisomeri devono essere molto frequenti. Prescindendo da ogni ipotesi, la formula di quei minerali sì può scrivere, nel caso dei termini ipotetici puramente sodici, Nas Al, Sis Os . x Na:(C0;, SO, , Cl.). Ma il sodio è sempre accompagnato dal calcio e, spessissimo, dal potassio, e questi elementi potranno sostituirsi sia al sodio dell'allu- (1) Può esistere, naturalmente, anche nella zoisite, della quale può spiegare quanto di poco chiaro rimane nelle proprietà ottiche, dopo il felice tentativo di Becke di porle in relazione col contenuto in ferro ferrico. — 207 — mosilicato, sia a quello unito a CO;, a SO,, a Cl (?). Gli esempî potreb- bero moltiplicarsi, ma mi limiterò ad accennare, in un altro gruppo di mi- nerali, all'apatite. Il calcio dell’apatite può essere sostituito dallo stronzio, dal bario, dal piombo, ma non sarà, certo, indifferente, che la sostituzione avvenga nel calcio del fosfato od in quello dell’alogenuro. Consideriamo la clorapatite pura 3 Caz3 (PO,),.Ca Cl, : la sostituzione parziale del piombo al calcio ci darà dei termini di passaggio alla piro- morfite, ma è evidente che due cristalli contenenti la stessa quantità di piombo, ma le formule dei quali debbano scriversi 3(Ca , Pb) (PO,).. Ca Cl, e 3Ca3(PO,):. PbCl. dovranno necessariamente possedere proprietà fisiche diverse (*). Da quanto si è esposto nel presente lavoro risulta che la composizione chimica dei cristalli misti della serie clinozoisite-epidoto non può essere de- terminata sempre sicuramente in base alle proprietà ottiche, il che, di certo, costituisce un forte svantaggio dal punto di vista petrografico. Weinschenk ha proposto di chiamare clinozoisiti quei cristalli misti che si avvicinano per la loro composizione chimica alla zoisite rombica (*), che sono ottica- mente positivi e possiedono una rifrangenza ed una birifrazione più deboli degli epidoti propriamente detti. In essi si ha, poi, n, nell’angolo ottuso f. Siccome, ora, conosciamo con tutta certezza dei cristalli misti che pos- siedono tutti e tre i caratteri ottici indicati, ma non la composizione chi- mica richiesta da Weinschenk, essendo essi molto più ferriferi, ne segue che non è possibile riconoscere la clinozoisite di Weinschenk in base alle sole proprietà ottiche. Dal punto di vista pratico, occorre, perciò, moditi- care la definizione di Weinschenk, e chiamare « clinozoisiti » tutti i cristalli misti otticamente positivi, epidoti e pistaziti quelli negativi, senza preoccu- parsi della loro composizione. Poichè è difficile determinare 2 V nelle sezioni sottili, dato il suo valore elevato, per la diagnosi è molto importante la de- terminazione degli indici di rifrazione e dell'angolo che l’asse ottico emer- gente da (001) forma con la normale alla faccia. Se questo angolo supera i 35° nell'aria e #m non sorpassa 1.72 si può essere, almeno per quanto se ne sa fin'oggi, quasi certi di avere a che fare con clinozoisiti, che possono ‘essere, però, sia normali, sia anomali. (1) Ragionamenti analoghi possono farsi per il gruppo wernerite. (2) Così pure, io ho mostrato, alcuni anni or sono, che, preparando la clorapatite col metodo di Forchhammer, è possibile sostituire una piccola parte del calcio col sodio. È chiaro che quest’ultimo elemento può prendere il posto sia del calcio del fosfato, sia di quello legato al cloro, sia di tutti e due. (*) Weinschenk si riferiva alle zoisiti povere in ossido ferrico, come quelle da lui studiate, che ne contenevano 1.07 e 2.78 9/0. Sono, del resto, le zoisiti più comuni, perchè su 53 analisi raccolte da Eitel, in una quindicina soltanto Fes 0, supera il 4°/,. E quasi tutte sono imperfette, perchè prive della determinazione del ferro ferroso: non poche sono molto antiche o di dubbia attendibilità. — 208 — Le varietà anomali si distinguono facilmente da quelle normali per il valore di #,, spesso più basso di quello della clinozoisite pura, priva di ferro, e, in ogni caso, inferiore a quello deducibile dal valore trovato per 2 V. Esse possiedono, inoltre, almeno in generale, una birifrangenza un po’ più alta delle clinozoisiti normali ('). Infine, per lo meno nelle lamine non eccessiva- mente sottili, presentano, per lo più, estinzione completa anche in luce bianca, il che non si verifica, come è noto, nelle clinozoisiti tipiche (?). MEMORIE E NOTE PRESENTATE DA SOCI — Matematica. — Sulla risoluzione dell’equazioni algebriche mediante le funzioni ipergeometriche. Nota di GrusePrPE BELAR- DINELLI, presentata dal Socio S. PINCHERLE (8). Le recenti Note del sig. Richard Birckeland pubblicate nei Comptes Rendus de l’Académie des Sciences (‘) sulla risoluzione dell’equazioni alge- briche mediante le funzioni ipergeometriche, mi danno occasione di far no- tare come i suoi risultati siano contenuti in quelli indicati da tempo dal compianto prof. Capelli (?) e completati in una mia Memoria pubblicata recentemente negli Annali di Matematica (5). 11 Capelli considera l’equa- zione algebrica generale. (1) 0(Y) = Gny" + an-14" + dnoy' Li +@y+a0=0 e dà delle variazioni po P) ... pr rispettivamente ai coefficienti 4, 4, ... Un ed (*) Il trovarsi 7, nell'angolo ottuso 8 non può considerarsi come una caratteristica sicura della clinozoisite. Così, i cristalli di val Maigels con 5.79 9/, Fes 0, e 2Vap 4900 presentano #p nell'angolo ottuso f, secondo Grubenmann. Altrettanto accade per i cri- stalli dell'Inverness-shire, positivi per la luce del tallio, ma negativi per quella del sodio, e per quello del Monte Bianco studiato nel presente lavoro. {2) È opportuno notare, che la possibilità di esistenza di cristalli misti stereoiso- meri nella serie clinozoisite-epidoto è indipendente da qualunque interpretazione della formula bruta della clinozoisite. Poichè, infatti, in essa esistono tre atomi di alluminio (sei se si prende la formula doppia), si comprende senz'altro come il ferro ferrico possa sostituire, nell'edificio cristallino, atomi di alluminio in posizione diversa, dando luogo a cristalli misti stereoisomeri. Ammettendo la interpretazione di Groth della formula della clinozoisite la spiegazione dell’esistenza di cristalli misti stereoisomeri è resa più perspicua ed elegante. (3) Presentata nella seduta del 2 maggio 1921. (4) Tomo 171 (1920), pag. 778 e pag. 1370. Tomo 172 (1921), pag. 309. (9) Rend. della R. Accad. Scienze fis. e matem. di Napoli, 1907. (9) Annali di matematica, Tomo XXIX, Serie III (1920), pag. 251 e segg. — 209 — ottiene l'equazione trasformata (2) f(4) = (Gn + Pn) Y + + (Gn + Par) ++ (01 +2)Y 4 (00 4+- dp) = 0. Indicando con ©, una radice semplice e finita della (1), la (2) deter- mina quel ramo (funzione analitica monodroma) delle psp ..?, che per Po= Pi ="P2 = = Pa==0 assnme il valore 0, ramo che in un campo (R) definito da mod pj< R (£=0,1,2,..,%) sarà rappresentato da uno svi- luppo della forma (8) ARES Uo1...Cn dove le @ assumono valori interi positivi o nulli qualsivogliano. Determina poi le condizioni di convergenza della serie (3) ed il coefficiente Aee,...@n ed ottiene: a— 1! 1 cr (4) A Ca 0 Ti fo [— 0(y)] 4) ceola;l... an! ove fp=a, + 2a, +-+ na, e a=a9d+ a+ + @n e —- n er L)é N : 8 B+E-0-1 (5) Siae Gila Gal RIO ru (AT ed. s i ba» 8... bin e UAN . incui A=h0 +23 + +(o_-1)%, e h=ho bh 44h, è Do= 9 (00): 0! ove 0 sta ad indicare la derivata o-esima calcolata nel punto w. Nella mia Memoria stabilisco differenti forme del coefficiente Aa@,...@n e studio l'integrale (') ia Wo) esteso ad un cerchietto c che circonda la radice © e non contenente nel- l'interno altre radici della 6(y)= 0, dove @ è intero positivo e possibile l’integrazione per parti e la derivazione sotto il segno d'integrale. Indicando con €, ©,... ©,_, le altre radici della 6(y)=0 e ponendo che (y) sia tale che (7) Bn g(7) + Bn 9(9)=0 (') Pincherle S., Sulle funzioni ipergeometriche. Giorn. Battaglini, 1894, pag. 209. RENDICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° sem. « 28 — 210 — -0Ve B,=y(/—-@)(Y— 2)... (/— n). i=n—l B,- = — B IH (gi/= ;) + i=n—l +e Di (Y—- 0) (4 2)... (YI) (Y WI) (Y — n) ‘ne viene p(y) = 9° (4 — 1)... (Y — n) ed al! (1)(a+n— 2)... (a—1) (8) ul @n Cola... Gn 2rrî a% W(#0) Poichè se g(y) è l'integrale di un'equazione differenziale del primo ordine (7), l'integrale (6) è l'integrale dell'equazione differenziale lineare d'ordine % del Pochammer (1): Ba w® + (Bi +(" ) 2) )yov + +((e+a—29)5+(75 *)or)uer++ +((2t279)ae4(* +=?) na)o=o n— l enuncio il teorema che i coefficienti Ae,a,...e, dello sviluppo in serie di una radice di un'equazione algebrica di grado sono funzioni ipergeometriche -del Pochammer di ordine x. Considero poi l'equazione trinomia (9) [(y)=y +py +9= «ottenuta dall'equazione (gg paio per una variazione p al coefficiente di y” che in 0(y) è uguale allo zero, .e determinati i punti critici e formata la stella di Mittag-Leftler ottengo la funzione algebrica in serie di polinomi che la rappresenta in tutto il «campo di validità. Indicando con o(P), @1:(P),-.-,Pn-:(?) le # radici «della (9) ho 99) = Dc 0 + da, P+ + da, 0,9") . 4) Pochammer, Journal de Crelle, Tomo 71 (1870), pag. 324. ove ra + 1 «2° ( n) = = AO Lon (9=0,1,2,..n—1) ed 4,3%, > «da, numeri che vengono una volta tanto determinati. Poi (e ottengo le radici dell'equazione e Mieli doi mediante sviluppi in serie di polinomi i cui coefficienti sono funzioni iper- geometriche di o(7) 9:(P)... pn-1(P) serie di polinomi procedenti secondo le potenze di m. E così di seguito sino all’equazione di grado x avente i coefficienti prefissati per modo che stabilisco un metodo generale per la ri- soluzione dell’equazioni algebriche mediante le funzioni ipergeometriche: ri- sultati in cui sono contenuti quelli del sig. Birckeland. Infatti, considerando l'equazione algebrica di grado x sotto la forma eee eee) el indicando con y, (97=0,1,2,..,% —1) le x radici, egli ottiene (10) gg = + DO pepe... per A Nel © (SUL Z:PETI CEI Gianni (È, È, DI En-1) ove c è una radice primitiva dell'equazione y"-!1=1,la somma —Îd estesa A102...0Nn—- 1 ai valori 0,1,..,n—1 per tutte le a, ed è Spi s=oz +-2a34--+(a-2)an1— 4 1 (e) (11) CORI MR A, Ag... Une Come vedesi, Ae,a,..an-1 è una formazione particolare di (5) ed è evi- dente che (12) Rertizm;i se, | Ke, ca+1,0,,.-0n Ri Kacg...0n1+1 Ka, sape a Ka, egli Ka,a,.. An sono funzioni razionali dell’indice x. Definendo come si fa da molti autori, come funzioni ipergeometriche quelle funzioni di più variabili che sviluppate in serie come le (11) hanno tutti i rapporti (12) dei coefficienti funzioni razionali dell'indice », si vede che le Aa,ag...«n-1, Sono funzioni ipergeometriche e ciò non è che una conseguenza del mio teorema per il quale i coefficienti sono funzioni ipergeometriche generalizzate nel senso di Pochammer. — 212 — Matematica. — Divisori di un numero. Nota di Pier ANDREA FonTEBASSO, presentata dal Socio T. Levi-Civita (1). 1. La ricerca dei divisori di un numero è certamente uno degli argo- menti più importanti della teoria dei numeri e, come insegna l’Aritmetica elementare, essa si effettua applicando il noto Crivello di Eratostene. Lasciando i numeri pari (potendo sempre ridurre la ricerca dei divisori di un numero pari alla ricerca dei divisori di un numero dispari) si sa che la determinazione di tutti i divisori di un numero dispari N è al più dell'ordine E È essendo K=Ey/N. Io mi propongo nella presente Nota di indicare un nuovo algoritmo costruttivo di tutti i divisori di un numero dispari N. In verità se il nuovo metodo presenta grande vantaggio per la rapidità con la quale si effettuano i successivi tentativi, non presenta sempre un vantaggio rispetto al loro numero, perchè può in definitiva risultare dell'or- N+1 2 Però il procedimento che esporrò è, a mio parere, di un qualche in- teresse oltre per il modo col quale procede, anche perchè consente di as- segnare con un minor numero di tentativi di quelli richiesti col metodo or- dinario, i divisori complementari «,d (a > d) che soddisfano alle condizioni a<2K 0 a+25<3K secondo che col metodo classico si proceda nel senso da 1 a K o viceversa. 2. TEOREMA. — Dato un numero dispari N, posto — K. dine sì formi la successione (1) 2K4+1T-R;2K+3;2K+5;..... N e da questa l'altra (2) 2K+1—-R; 4K+4T-R;6K+9—-R,..... () Presentata nella seduta del 2 maggio 1921. — 213 — i cui termini sono il primo termine della (1), la somma dei primi due, la somma dei primi tre ecc., la somma di tutti i termini. Ad ogni ter- mine della (2) che è quadrato (*), corrisponde una coppia di divisori complementari disuguali di N e propriamente se è quadrato l'emmesimo termine m° + 2mK — R, ad esempio (3) m° + 2mK — R= n°, KHkmz=n sono due divisori complementari di N. Reciprocamente, ad ogni coppia di divisori di N, complementari e disuguali, corrisponde nella (2) un termine che è quadrato e propria- mente se î divisori sono a,b (a > bd) è quadrato il termine della (2) che a+b0b—-2K 2 è somma di (*) termini della (1); da questo quadrato si ha la coppia di divisori a,b. Per dimostrare la prima parte del Teorema, cioè che K + m © # sono due divisori complementari di N, basterà provare che il loro prodotto è uguale ad N. Infatti : (K+m+a)(K+m—n)=K° | m?° + 2mK — n° e per la (3) =K°+m° +2mK —m? — 2mK+R =K?+R =N come appunto si doveva dimostrare. Siano ora a,d5 (a >bd) due divisori complementari di N e proviamo che il termine della (2) che è somma di Sie termini della (1) è un quadrato. Infatti, ricordando che l'ennesimo termine della (2) è dato da a+ dò —2K mì? —2mK —R ponendo m = 5 , sì ha il termine della (2) (1) Si otterrà sempre almeno un quadrato, perchè tale è certamente la somma di N—1)\? di tutti i termini, somma che è uguale ad ( ) : 2 (2) ur è uguale o minore al numero dei termini della (2), perchè essendo a+5—2K _N—-2K+1 a+b8=N+1 si ha anche: 9 = 2 ed è appunto questo valore il numero dei termini della (2). — 214 — -L'2K- ri R_ __ 0° + 5° + 4K* + 2ab — 4aK — 46K + 4aK + 40K — 8K° — 4R? —— CONTI SE (ann) _ @+6 + 2ab — 4(K®° + R) 4 _a+6° + 2ab — 4N a 4 __aè + b° | 2ab — 4ab bl 4 AE AIA sE 2 che è un quadrato. Da questo quadrato, operando come si è detto, si hanno i divisori al E IO a+ bT—-2K a—d pyit'o28, 3 e K4ftiodk ao? cioè, riducendo, rispettivamente a, come appunto si doveva provare. 3. Esempio. Per N=59055827 si ha: = E |/59055827 = 7684 11971 (resto) formata la successione analoga alla (2) si trova che il secondo termine 18769 di questa è un quadrato e propriamente il quadrato di 137: 7823 7684 +- 2 137 = L; 7549 saranno due divisori complementari del dato numero e propriamente due divisori primi. 4. Osservazione. Indicando con 4,d due divisori complementari di N ottenuti dall'’emmesimo termine della (2) quadrato di x si ha a=K-+m+ b=K+4m—n dalle quali b (4) m=0t° x a— bd EI — 215 — La (4) ci dice che il numero dei tentativi per trovare una coppia’ di divisori complementari di un numero dispari N è uguale alla diffe- renza fra la media aritmetica e la parte intera della media geometrica dei divisori stessi. 5. Da quanto precede si ricava la regola per trovare tutti i divisori di un numero dispari N, notando che se il numero è un quadrato, oltre i divisori trovati bisogna considerare il divisore K. Si ha poi che Za condizione necessaria e sufficiente perchè un uumero N sta primo è che la (2) abbia quadrato solo l’ultimo termine. 6. Ricordando che se il prodotto di due numeri è costante, la loro. somma è tanto minore quanto è minore la loro differenza, indicando, ad esempio, con 000 tutti i divisori di N disposti in ordine di grandezza, dalla (4) si ha che nella loro determinazione si troveranno successivamente le coppie di divi- sori è9,6;a,4d;1,N cioè, incominciando dalla coppia più centrale, le coppie successive di divisori equidistanti dagli estremi. Da ciò si ricava che se il numero N non è divisibile per nessun nu- mero primo inferiore ad un numero primo p, per trovare i divisori di N,. l’unità ed N esclusi, basta limitare la (2) ad un numero di termini dato da. 7. Proviamo ora che il metodo esposto presenta dei vantaggi, oltre che per il procedimento più rapido nei varî tentativi, anche per il numero di questi per coppie di divisori complementari a,% (a >bd) che soddisfano alle relazioni: (5) a<2K:; (6) a +25 <38K secondo che col procedimento classico si proceda da sinistra a destra o- viceversa. Infatti, nel primo caso il numero dei tentativi per determinare a, è: INR, d 9a è E3 , col nuovo metodo d, — K e poichè dalla (5) si ha a+bT—-2K 4, I, = I cos° 2 ®, sen? n . da cui wi to°D, — © ol i Vi, La formula è indeterminata, come è ovvio, solo pei punti appartenenti alle frangie della II famiglia. Potremo quindi affermare che « la tangente del doppio dell'angolo, che «gli assi principali di dilatazione di una particella in un punto formano — 220 — « cogli assi fissi scelti ad arbitrio, è data dalla radice quadrata del rapporto -« fra le intensità delle luci emergenti nel punto, rispettivamente quando « l'azimut della sezione principale del polarizzatore rispetto agli assi fissi è « 0° e 45°. La regola è valida ovunque, eccetto pei punti delle frangie « della II famiglia ». È però opportuno osservare che anche in tal caso si potrà generalmente determinare l'orientamento delle particelle, per ragioni di continuità, non essendo le frangie della II famiglia luogo di singolarità alcuna rispetto al- l'orientamento. Desidero ringraziare il prof. 0. M. Corbino per il suo interessamento allo svolgersi di questo tema. Petrografia. — Sopra un basalto e un calcare a qlauconite di Campofiorito presso Palermo ('). Nota di P. ComuccI, presen- tata dal Corrisp. F. MILLOSEVICA (°). In questa breve Nota descrivo due rocce di Campofiorito presso Palermo messe a mia disposizione dal prof. De Stefani. L’una è un basalto, l’altra «ana roccia calcarea di aspetto arenaceo, contenente, in forma di minuta diffu- sione, abbondante glauconite. Macroscopicamente il basalto appare compatto ed uniforme, finamente «microcristallino, quasi afanitico di colore grigio nerastro. | Al microscopio risulta una struttura che direi in parte intersertale e in parte ofitica, sia perchè l'augite se in massima parte è allotriomorfa si pre- ‘senta anche in prismetti idiomorfi, sia perchè la sostanza vetrosa riempie gli spazî angolosi lasciati dai componenti essenziali, plagioclasio e pirosseno, assumendo aspetto cuneiforme. Dei minerali costituenti tale basalto il più abbondante è il plagioclasio ‘in liste idiomorfe non piccole, intrecciate fra loro del tutto inalterate. Più spesso gli individui di plagioclasio sono geminati con le due leggi insieme combinate albite-carlsbad, cui talvolta si unisce la legge del peri- clino. La rifrazione è di molto maggiore di quella del balsamo anche ri- spetto ad a'. Per le estinzioni simmetriche delle lamine geminate con legge dell’al- ‘bite e normali A4(010) ho avuto valori diversi, in alcuni casi aggirantisi fra 20° e 26°, in altri, più frequenti assai, valori compresi fra 33° e 380. Sembra dunque che il plagioclasio, pure essendo un termine di natura ba- (') Lavoro eseguito nel Gabinetto di Mineralogia del R. Istituto di Studî Superiori «di Firenze. (*) Presentata nella seduta del 19 giugno 1921. — 221 — sica, abbia composizione assai variabile da un termine labradoritico piuttosto» acido ad un termine quasi bitownitico. Questo carattere è confermato dalle misure delle estinzioni ottenute per geminati doppî albite-carlsbad, per le quali ho ottenuto: I II 34° 200 55% di anortite 35 20 96 » ” 36 18 57 » ” 36 20 58 » ’ 32 28 60 » ” 40 23 68 > ” 38 14 70 » ’ L'elemento pîrossenico è un’augite a lieve tinta violacea e quindi debol- mente titanifera, in parte allotriomorfa e riempiente gli interstizî fra le liste feldispatiche, in parte idiomorfa in individui prismatici. In alcune lamine più spesse si ha un lievissimo accenno a pleocroismo. La rifrazione e biri- frazione sono sempre molto forti. Per un inizio di alterazione assume tal- volta un tenue colore verdastro e una lieve diminuzione della sua birifran- genza, ma in generale è freschissima. Nelle lamine di sfaldatura prismatica le massime estinzioni misurate hanno raggiunto il valore di 430-440 e:C. Peridoto sembra che manchi del tutto e lo conferma il tenore relativamente basso di MgO avuto nell’analisi. Come ho già accennato, è presente invece un vetro di colore avana e devetrificato. Più abbondante è poi una sostanza giallastra o verde costituita da un insieme di fitte e finissime fibrille e scagliuzze birifrangenti con aspetto quasi sericitico. In alcune laminette di dimensioni un pochino maggiori ho potuto riconoscere pleocroismo assai forte dal verde giallognolo al verde cupo ed estinzioni a 0°. Parmi si tratti di materiale celadonitico assai comune, come è noto, in rocce vulcaniche basiche. La presenza, ed in piccola quantità, della potassa trovata nelle roccie avvalorerebbe tale ipotesi. In altri punti il materiale celadonitico è misto a calcite di origine estranea che poi forma da sola esili venuzze nella roccia, la quale dà effervescenza palese con acido cloridrico a freddo. In alcuni casi sembra quasi che il materiale celadonitico provenga dalla decomposizione della sostanza vetrosa, e il fatto che i principali costi- tuenti cristallizzati di questo basalto sono poco o punto alterati conferme- rebbe questo supposto. — 222 — L'analisi della roccia ha dato i risultati seguenti: Dis a el AAT Tico tons AS 1 19) AL:0;:-. ee en He0g :L Poi A ERICE ed Be 2 o RI Mn0 604 METE DR Ca È da a Ma0. i 4 I 350) 50, a ila ER) Nas0” i agito af A HO. 4. helle RR 8) Costa cone ade ASSISI BO Ra 100,11 Dai risultati analitici, con eliminazione della calcite presente, calco- lata in base al quantitativo avuto di CO,, e dell’acqua, si ricava la seguente formula magmatica secondo il metodo di Osann: 51,41 | 11,76) 10,90] 19,92] 8,51 | 5,52 | 5,12 | 9,36 Secondo Loewinson-Lessing la formula magmatica sarebbe: Si0,:R»0;:RO = 3,56:1:1,34 Gi MODA B = 66 R.0:RO = 1:2,68 Na0:K:0 = 1:0,142. Nella roccia calcarea fu separata la glauconite in stato puro, prima trattando la polvere della roccia con acido acetico assai diluito per asportare tutta la calcite e in seguito frazionando la polvere residua mediante il li- quido del Thoulet ridotto alla densità di 2,70: la glauconite andava a fondo molto lentamente, cosicchè è da presumere che la densità di essa di pochis- simo superi un tale valore. Rimaneva a galla nel liquido del Thoulet una polvere piuttosto scarsa biancastra formata probabilmente di frammenti. di quarzo, riconoscibili qua e là anche al microscopio, e da uno scarso residuo argilloso-ocraceo che rimane indietro anche quando si tratta la roccia con acido cloridrico di media concentrazione. — 223 — La ricerca del magnesio nel calcare dava risultato negativo. Per la ri- «cerca di P,0; la roccia fu trattata a bagnomaria con acido nitrico e quindi al filtrato fu aggiunto molibdato ammonico: ottenni una reazione decisa- ‘mente positiva. Il fosfato è contenuto esclusivamente nel calcare perchè la :glauconite, trattata separatamente, non dava affatto reazione. L'analisi quantitativa della Glauconite diede i risultati seguenti: dA Rapporti molecolari Sio < ..0°0L.. 46,70 0,778 AMO a dl 0,055 Hier: RA de lt) 01) 0,135 (014 SONNO n 0. 0,033 Ca... 0. 0,63 0,011 Mg0 . |... 4,6 0,108 Kaos i 00 0,073 ROME oe, I 0,028 Pio See LIA 0,637 101,23 Rispetto alla formula della glauconite è noto che le analisi, essendo «discordi fra loro, non conducono a una composizione ben definita. Dell'ana- lisi riportate nel trattato di Hintze ne ho considerate soltanto 12, cioè tutte «quelle nelle quali fu eseguita separatamente la determinazione del ferro fer- roso e ferrico, necessaria per la discussione della formula. I rapporti mole- ‘colari, fatti Si0, = 1, non dànno nessuna costanza tanto rispetto al complesso delle basi trivalenti, quanto delle bivalenti e delle monovalenti, anche com- prendendo l’acqua fra quest'ultime. Nè maggiormente costante risulta il rap- porto fra la silice da una parte e il complesso di tutte le basi, e nemmeno ‘è riuscito il tentativo di interpretare questo rapporto variabile fra acido e base come conseguenza della mescolanza in proporzioni variabili di due sili- ‘cati, uno più basico, per esempio ortosilicato, ed uno più aci», per esempio ‘metasilicato. Non credo che meriti insistere su tali tentativi che, nel mo- mento presente, darebbero luogo a resultati complicati, per di più senza una base sufficiente sperimentale. Al microscopio i granuletti di glauconite appaiono sempre di colore verdastro, ma non affatto pleocroici: hanno forma ovale. tondeggiante e il «diametro nei più grossi supera di poco mezzo millimetro. Adoperando forti ingrandimenti risultano formati di squamette birifrangenti, fittamente serrate -ed intrecciate fra di loro; quindi la loro struttura pò dirsi criptocristallina. La roccia calcarea poi, inchiudente il minerale, appare riccamente fossili- fera e precisamente ricca di resti di conchiglie di foraminifere. Mi è stato — 224 — possibile identificare i generi seguenti: 7rz/oculina, Biloculina, Globigerina,. Testilaria, Nummulites, Ortofragmina ed inoltre frammenti di alga Nullipora. La presenza contemporanea dei due generi Nummulites ed Ortofragmina autorizzano a collocare questa roccia nel terziario inferiore e precisamente- nell’eocene. Come è stato riscontrato diverse volte, anche in questo. caso nell’ interno. delle piccole conchiglie di foraminifere si osservano delle piccole concentra- zioni di glauconia. Chimica. — Sopra /a tautomeria della buccocanfora e una: trasformazione del mentone in tetraidrocarvone (*). Nota di GuiDo CusmanO, presentata dal Socio A. ANGELI (?). Nel 1906 Semmler e Me Kenzie (*), facendo agire l'ozono in presenza d'acqua sull’ossimetilenmentone (1) | /N=CH.0H 3 E P vai CS ottennero artificialmente, per la prima volta, la buccocanfora o diosfenol,. componente dell’essenza di Diosma crestata. Poichè essa dà una monossima, è solubile negli alcali caustici acquosi e forma monoeteri alchilici e acidilici, quegli autori ritennero che, invece della struttura di p-mentandione 2-3 (II) prevedibile dalla reazione, convenisse alla sostanza una delle forme eno- liche (III o IV) del chetone stesso: (III) È. 2 A > (Mi o ‘0 | | | ARS AS 7 E scelsero la formola (III) perchè la buccocanfora, ossidata con ozono. (') Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica organica del R. Istituto di Studî Superiori di Firenze. (2) Presentata nella seduta del 19 giugno 1921. (3) B. 39, 1158. — 2259 — in presenza d'acqua, fornisce acido «-isopropil-y-acetil-n-butirrico : (CH3).:CH . CH. CH,. CH, .CO. CH; | CO.0H. Non si può, tuttavia, escludere che la buccocanfora agisca anche se- condo altre forme, ad esempio la IV, perchè di nessuno dei derivati sopra- detti fu ripetuta l'ossidazione con ozono, per accertare se conservassero la struttura della sostanza primitiva (!). D'altra parte, si può rilevare che la. buccocanfora, sebbene possegga la molecola asimmetrica si conosce solamente sotto la forma inattiva, mentre è evidente che dall'ossimetilenmentone (I) si dovrebbe, ove mantenesse sempre la struttura III, poter ottenere ottica- mente attiva; tutto, invece, si spiega ammettendo che si racemizzi in un. passaggio tautomerico come il seguente: or 33 di n È VA una 250 S740E ZAN LA ZA Mi sono proposto di chiarire la questione, sperimentando sulla bucco- canfora con processi di riduzione. Difatti, addizionando due atomi d' idrogeno a una molecola di questa sostanza si perverrà a un ossimentone (V), se essa conserva la formola attribuitale da Seramler e Me Kenzie; e invece a un ossitetraidrocarvone (VI) se agisce sotto l'altra forma enolica: AR LX VA a n 9 i NV 4 ARS e all'uno o all’altro chetoalcool, se agisce come dichetone; naturalmente si potrà, anche, pervenire al miscuglio dei due prodotti di riduzione. È ovvio che la formazione dell'ossitetraidrocarvone (VI) — da solo o con l’isomero — è l’unica istruttiva e stabilirebbe la proprietà della buccocanfora d’agire tau- tomericamente: con la formola III rispetto a l'ozono, e con le altre, II e IV, o una di esse, rispetto all’ idrogeno. (1) Ultimamente 0. Wallach e M. Gerhardt (Liebig*s Ann. 414 346 [1917]) hanno segnalato una forma di buccocanfora che fonde a 38° e che con facilità si muta nele l’altra generalmente descritta che fonde a 82°. RENDICONTI, 1921. Vol. XXX, 2° Sem. 30 — 226 — Ho eseguito la riduzione parziale della buccocanfora, valendomi del me- ‘todo catalitico, cioè facendola reagire, in presenza di nero di platino, con la quantità equimolecolare d’idrogeno. Si perviene a varii prodotti; ma fra di essi, appunto, si ha l’ossitetraidrocarvone (VI), che ho identificato trasfor- mandolo nel chetone fondamentale. Poichè la buccocanfora si può ottenere dal mentone, il sudetto risultato ‘costituisce un passaggio da questo chetone al tetraidrocarvone, ciò che, per quanto sappia, non si era ancora osservato. Ora, come ho dimostrato già dal 1913 (*), la buccocanfora si può avere dal mentone, oltre che per il tra- mite del derivato ossimetilenico (I) anche per il tramite del derivato «a' bibromurato (VII): con le mie nuove esperienze risulta quindi realizzata questa serie di passaggi: I | AR / Br /N0H NA AN AN | Jeeeo0eeeR INA NA 7) osculatore ad una curva uscente dal punto ha in generale per dimensione quella dello $(7) aumentata di s-r (purchè, ben inteso, il numero ottenuto sia = x): se sulla superficie esiste una curva, nei punti della quale quello spazio congiungente abbia dimensione minore, chiamo la curva quast-asintotica Yr,s (i due indici 7, s dànno gli ordini di osculazione dei due spazi osculatori alla superficie e alla curva il cui spazio congiungente ha dimensione minore di quella che si avrebbe per una curva generica). Il teorema è il seguente: Se lo S(k) osculatore generico di una superficie ha dimensione rego- k(k +43) 2 essa è la superficie razionale normale F3° di Sra+s) che rappresenta la lare e se la superficie possiede co? quasi-asintotiche Yr_ryk+1 ‘totalità delle curve piane di ordine k. Quelle yn-rsn+1 appartengono ad Sk e sono le curve razionali normali C* della superficie. da 8. Dimostriamo il teor. per X = 2. Posto a = — dI ELA sulle y,.3 sono legati linearmente su di esse i punti (le cui coordinate si ottengono ponendo l’indice ? alle x): e To,= Ts(T,) Do 00, LL ela, 400973, Fa +30 Lr02) ove F, — 730 + 3a*t, — Srl, - ax98T8 ; ciò può esprimersi scrivendo che sulle 71,3 il I Î | 00° + 2a, +-a0%7,° | Fa + B(011 + ate intendendo con questa notazione di annullare i determinanti del 5° ordine estratti dalla matrice (a 5 righe ed x + 1 colonne). Alle equazioni così indicate non è in generale possibile soddisfare ; ma se per ipotesi sulla superficie esistono co * y1,3, le precedenti debbono ridursi ad un'unica equazione differenziale del 2° ordine in #2; per la loro compa- tibilità, considerate come equazioni lineari in 7, occorre e basta che, qualunque sia t,, risulti (1) (*) Questa, che per me è condiz. necess. e suffic. per l’esistenza delle 00? Yi, , è, per z=5, l'equazione da cui parte il prof. Segre. “ 4. Vogliamo provare che le y,,3, definite dalla (1), sono piane. As- sunte cv! di esse come linee 7,(€7 = = 0), si ha (3) g30 = (290, 210,00, %) indicando la parentesi a secondo membro una combinazione lineare di 4 e delle derivate scritte, i cui coefficienti, funzioni di 7, ,7,, sono indipendenti dall'indice 7 delle x; in altri termini, si ha, per le scelta delle linee 7,, un’equaz. lin. omog. a derivate parz. del 3° ordine, soddisfatta da tutte le x; . In forza di questa, l’annullarsi del coefficiente di «, nella (2) dà l’altra equazione (4) a = (290,00, x10 20, 2) {si potrebbero ricavare altre equazioni annullando nella (2) i coefficienti delle successive potenze di 73, ma non ce n'è bisogno]. Scriviamo le condizioni d'integrabilità fra (3) e (4), tenendo conto che, per essere S(2) = Ss, le x non possono essere soluzioni di equaz. a derivate parz. lin. omog. del 2° ordine. La derivata 31, tratta dalla (3), contiene x° se e solo se la (3) con- tiene 7°! ; ma essa deve coincidere, in forza delle equazioni stesse, con la espressione di x ricavata dalla (4) che 707% contiene x°® ; quindi, non esi- stendo equazioni che permettano di esprimere x°* per mezzo di altre derivate d'ordine < 3, nella (3) deve mancare x°', cioè si ha (3) 23° — (290, g10 2) e questa esprime proprio che le curve 7, , cioè tutte le y,,3, sono piane. 5. Si proietti ora la superficie, data in S,, da una sua corda sopra un Sn-s: alle co! curve piane passanti per ciascuno dei punti di appoggio cor- rispondono, sulla superficie proiezione, rette: questa è dunque doppiamente rigata (non potendo i due sistemi di rette coincidere per la genericità della corda) e non è piana, altrimenti la superficie data starebbe in S, contro la ipotesi S(2) = S; ; quindi è una quadrica, e perciò la superficie data è la Fi di Veronese, c. v. d. — 251 — 6. I caratteri salienti del procedimento, che si conservano nella dimo- strazione relativa al caso generale, emergono dalle osservazioni seguenti : 1) l’esistenza di 00° linee proiettivamente specializzate sulla super- ticie, cioè la possibilità di soddisfare con una stessa funzione 7:(t,) alle con- dizioni raccolte in (1), dà luogo ad un sistema di equazioni a derivate parziali soddisfatte dalle coordinate di tutti i punti della superficie ; 2) l’uso (di alcune) delle condizioni d’integrabilità che hanno signi- ficato geometrico evidente (e non di tutte; una sola nel caso trattato) dà subito un carattere notevole di quelle linee (l’esser piane); 3) la determinazione della superficie (algebricità, ordine, ambiente) segue ormai da sole considerazioni geometriche (senza più ricorrere alle equazioni a derivate parziali del problema). Matematica. — Ze superficie ellittiche il cui determinante è un numero composto. Nota II del dott. OscAR CHISINI, presen- tata dal Corrispondente F. ENRIQUES ('). 3. Veniamo ora alla costruzione delle nostre superficie ellittiche F rap- presentate sul cilindro ellittico ® di equazione g(xy) = 0, contato x volte, avendosi una curva di diramazione composta delle sezioni 3 = cost. Cominciamo col ricordare che quando un punto P del cilindro ® si muove su di questo ritornando in sè stesso, gli x punti di F: P, P....Pa, corrispondenti di P, subiscono delle sostituzioni che formano un gruppo abeliano I° (*?); e poichè questo I ammette come sottogruppo il gruppo G {delle sostituzioni che si ottengono movendo P sopra una sezione 4 = cost. del cilindro) il quale è transitivo sugli x punti P), ... P,, segue che /° coin- cide con G (infatti un gruppo abeliano transitivo possiede una sola opera- zione che porti P, in P; ed ha ordine uguale al grado). L'osservazione fatta esprime che la sostituzione relativa a una curva di diramazione =" %; nel caso ciclico (in cui G è generato da una sola ope- razione 7r) sarà del tipo ri, e nel caso non ciclico (in cui G è generato da 7, e 71) sarà invece del tipo 7,71 7r,"2i . Ora si potrà avere una superficie F avente il gruppo indicato scrivendo : nel caso ciclico (3) X=1w(xy)0(2) g(xy) = 0 Y=y,Z=z con 0(2) = ZZ(e — ki)fi; (1) Presentata nella seduta del 17 aprile 1921. (2) Cfr. E. EnRIQUES, op. cit., $ 6 (pag. 18 dell'estratto). — 252 — e nel caso non ciclico (4) \x_-V% (27) 6 geo (2y) ds(2 p(ey) = 0 * ESM con 0,()=I(— ki, 0,(c) = I(s — kijtei (n="v,v,,v:= 0: con 9 > 1) ove wv=0,w.,=0,w,=0 sono curve aventi un contatto d'ordine x — 1, v\—1,v:—1, ovunque incontriamo la gp. Conviene dire che la superficie F di cui si è scritta l'equazione è proprio di determinante x e non minore di x quando la curva ellittica K sia irriducibile. La distinzione delle superficie F_ birazionalmente diverse, si collega a quella della distinzione delle curve ellittiche n-ple K, tuttavia non coin- cide con essa, potendosi avere superficie F_ diverse relative a curve K identiche, non solo nel caso in cui siano differenti i sistemi di curve di diramazione 2 = %;, ma anche nel caso in cui questi coincidano : il che vedremo esattamente in una prossima Nota (n. 5). 4. Vogliamo ora esaminare quando la curva K rappresentata nei due casi rispettivamente dalle equazioni (1) e (2) risulti irriducibile, e quando si ottengano così funzioni X birazionalmene distinte. Cominciamo dal caso ciclico, in cui G è generato da una sostituzione = (1,2,..), e assumiamo come modello proiettivo della curva ellittica una cubica g3(27)=0; su questa le rette del piano segheranno una gî definita dalla relazione ud us +u=0 (Mod. w,, 07) essendo %,,»,%3z i valori dell'integrale ellittico w nei tre punti di un gruppo della gì, ed @, , 0, i periodi di detto integrale relativi ai cicli A e B. Si consideri ora una curva d'ordine x y(xy) =0 avente con @ tre contatti x-punti: questi saranno definiti dalla relazione n(u + 2 +3) =0 (mod. @, , ©): qualora i tre contatti della w appartengano alla serie (n°592 parte della g37 segata dalle curve di ordine x) Sa (mod. 0), 03), (12) wtutuz=r7+s la funzione X=]W(cy), g(2y)= 0 — 253 — ammette relativamente ai cicli A e B di g, le sostituzioni dee (2) essendo (1,2,...) la sostituzione che si ottiene moltiplicando il radicale 27T _ d ae no n° E si avverta che se ” è un numero primo con x esiste una sostitu- zione 7 che trasforma per «= cos AZ ini (125 È) B==(1,2,... n) in 8'=(1,2,... n), sicchè si ottiene una funzione X birazionalmenle identica alla precedente, ove la curva w abbia i tre contatti appartenenti alla gî definita da %w Ww uu pu = DT +A87 (mod. 0), 63). ; E non vi può essere altra X birazionalmente identica alla precedente: infatti siano @' e 8" le sostituzioni relative ad A e B per una siffatta X: saranno @' e #' simili ad @ e f, cioè GA i ae ma poichè @ e # generano tutto G, sarà 7 = a", e 7 = a'i8" riuscirà una potenza di 77,77 =", onde appare che 7 trasforma 77 in n° e che l è primo con n. Tutte le possibili funzioni X, cicliche d'ordine x, si ottengono dunque in corrispondenza di curve w, d'ordine 7, tritangenti alla 9; e la condi- zione di irriducibilità è data, evidentemente, dall'essere primi fra loro i tre numerì 7, s, 2, il che porta, come è chiaro, che i punti di contatto della w non siano equivalenti a quelli di una curva di ordine m, divisore di x, avente con tre contatti m-punti. Ci conviene ora definire come szmzli (rispetto al numero x) due gruppi D e D' di contatto di due curve w e w" quando appartengano alle due gî. Wi Way 7 + 3% (mod. ws, 0) € utbutu=r un du + us = hr 4h 28 (mod. 0,, 03) ove h è primo con x. ‘ (*) Cfr. la mia Nota in questi Rendiconti: Sulle superfici di Riemann multiple: prive di punti di diramazione », 17 gennaio 1915. RENDICONTI. 1921, Vol, XXX, 2° Sem. voi — 254 — Indicando con T un gruppo della g5 segato dalle rette, si vede che fra i gruppi simili D e D' sussiste la relazione di equivalenza D'+(f—1)T=4D (A primo con x) -o la simmetrica D+(4-1)T=%D' (X primo con x) dove 44 =1 mod. x. ; L'osservazione precedente dice che al gruppo D', simile al gruppo D, - corrispondono le sostituzioni a' = a" , #" = #*, simili alle sostituzioni & e $ relative al D, e viceversa. Pertanto si conclude che il numero delle curve z-ple ciclicle K, bira- zionalmente distinte, è dato dal numero delle coppie di numeri 7 ed s (compresi tra 1 ed x) primi con r, diviso per il numero dei valori % primi con x e ad esso inferiori: ciascuna di queste K è definita in rapporto alla posizione dei punti critici apparenti (contatti di w e ), avendosi fusioni X di una stessa famiglia in corrispondenza a gruppi simili. Passiamo ora al caso non ciclico. La curva K, i cui punti si esprimono mediante due radicali d'ordine v, @ », portanti su w, e w>, e della quale abbiamo assunto l’ espressione @) x {aprano o può essere considerata come la curva delle coppie dei punti omologhi di due ‘curve K, e K» di equazioni rispettivamente DA Va x=l/w, X:=/W: , (9(xy)=0 ove si assumano come omologhi due punti di K, e K, corrispondenti a un medesimo punto di 4 (aventi uguali le coordinate x e y). Si vede così che K riuscirà irriducibile (o meno) insieme alla detta corrispondenza [vs v}] ira ene i” Ora è chiaro che se le terne di contatto di y, e w. sono simili rispetto a un numero v, divisore comune di v, e vs, le funzioni v v X=VW e X:=V/Ws. ‘risulteranno identiche, e puichè v v Xi (Ae a (Ko) — 255 — la corrispondenza suddetta si spezza in v corrispondenze, rispetto a ciascuna delle quali i v, punti di K, (relativi a un medesimo punto di ) si divi- dono in v gruppi T, di n punti, e similmente i v, punti di K3 si divi- dono in v gruppi I di si punti. E viceversa, se la corrispondenza [vs v] si spezzasse in »v corrispon- denze, i v, punti di K, si dividerebbero in v gruppi T e i v, punti di K, si dividerebbero in v gruppi 7:, avendosi corrispondenza biunivoca fra iT,@iLT:; e poichè è chiaro che i gruppi FT e 73 sarebbero i cicli di 77) e zi, (un T, 0 un T> venendo distinto entro i v analoghi da una radice yesim), le due funzioni Xj e Xs; riuscirebbero identiche e riuscirebbero quindi simili, rispetto al numero v, i due gruppi di contatto di yw, e W:. Si conclude che la condizione di irriducibilità della curva K data dalla (2) è che siano anzitutto irriducibili le K, e K3 cicliche (caso già considerato) e che le terne di contatto di w, e W, non siano simili ri- spetto ad alcun numero v divisore di vs (e di v)). Dopo di ciò vediamo le condizioni di identità per le funzioni X.. Sup- poniamo anzitutto per semplicità che v,, in generale multiplo di vs (vr: = = Qv3), sia ad esso eguale (rr=vs,0=1). In questo caso si ottiene una sola famiglia di curve K. Infatti le sostituzioni @ e 8, il cui periodo è divisore di v,, per generare tutto il G d'ordine v, v» = vî, devono avere il periodo v, ed essere indipendenti. E poichè due coppie di operazioni @ e 8, a' e 8' indipendenti e di egual periodo sono sempre trasformate l’una nell’altra mediante una conveniente 7, segue l'asserto. (Il quale asserto è ’ ejg: «x 1 «Lu d'accordo col fatto che sopra una curva ellittica vi è una sola y , ellittica ) e che questa risulta identica alla curva stessa). Per passare al caso generale (vr) = 0vs, 0 > 1) si osservi che in questo la K è ottenuta estraendo una radice gs" sulla K data da v vi V y,(x4) + Vwe(79) ‘o anche estraendo separatamente due radici d'ordine vr, sulla aa Q x=VW(2y); poichè l'estrazione delle due radici v,°5'®° dà origine a una sola famiglia di curve, segue dal confronto dei due modi con cui è ottenibile una stessa K, che le K bdirazionalmente distinte corrispondono alle varie terne di contatto della w, dissimili rispetto al numero o . Matomatica. — Sull’equazione delle vibrazioni trasversali di un'asta solida, elastica e omogenea. Nota I del dott. FRANCESCO SBRANA, presentata dal Corrisp. TEDONE (1). 1. L'equazione indefinita delle vibrazioni trasversali di un’asta solida, elastica e omogenea, se si suppone di poter trascurare l’effetto prodotto, sulle vibrazioni, dal peso dell'asta stessa, sì riduce facilmente alla seguente forma: 224 dY° (1) L'equazione (1) ha diverse proprietà in comune colla nota equazione del calore. Come quest'ultima, infatti, essa è di tipo parabolico, ed ha per caratteristiche le rette y = costante. Seguendo lo stesso procedimento, usato dal Volterra per l'equazione del calore (*). si può, anche per la (1), stabilire una formula analoga alla formula di Green, relativa all'equazione del po- tenziale. La difficoltà sostanziale consiste, com'è intuitivo, nel determinare la soluzione fondamentale della (1) (‘), che a me è riuscito di ottenere sotto una forma notevolmente semplice, come mi propongo di mostrare bre- vemente in questa Nota. 2. Come per l'equazione del calore, anche per la (1) è agevole stabilire un teorema di unicità. Consideriamo, nel piano xy, una linea aperta, s(yo), che abbia gli estremi, A e B, su una caratteristica y = yo, col senso positivo che vada da A verso B, e tale, che le ordinate di tutti gli altri suoi punti siano inferiori ad y,. Supporremo che ogni altra caratteristica, che incontri la linea, abbia con essa due soli punti in comune (?). Si potrà allora decom- (1) Pervenuta all'Accademia il 1° luglio 1921. (2) Cfr. Kirchhoff, Vorlesungen iiber Mechanik, 1897, 298te Vorles., $ 6. (3) Lecons sur l'intégration des éq. diff. aux dérivées part., 1912, 10me leg. (4) Per la ricerca della soluzione fondamentale delle equazioni paraboliche alle de- rivate parziali, di ordine superiore al secondo, ved. Block, Arkiv for Math., Astron. o. Fysik, Bd. 7, 8,9. (3) Si deve eccettuare, tra esse, quella di ordinata minima, che avrà comune colla curva un sol punto. Le considerazioni che seguono valgono però anche se la curva con- tiene un tratto di caratteristica y = %, dove % sia una costante, inferiore alle ordinate di tutti gli altri punti di s(yo), e se la curva si estende all'infinito, purchè si introdu- cano convenienti ipotesi sul comportamento all'infinito della funzione w . — 257 — porre la linea in due rami, rappresentabili mediante le equazioni : e= Sy) , € =E(9), (AM) xy SU S(Yo), € Us ian punto di S(yo), 0 del suo contorno. — 258 — 3. Si riconosce subito che la (1) è autoaggiunta. Se u ed @ sono so- luzioni SR di (1), in S( da DONDE sl == da° da > da da * e dY A da U V 3 avendosi, in S(Yo), È _ nia = 0: risulta SY) » [ve , Yo)dx - [va + U dy). € (Yo) 8(Yo) Sceglieremo come funzione (x,y) la funzione Lo TX 2Vyo—y (3) (XY X0 Yo) = (XV — 0) ( (n p° — cos p°) dp + 0 SEMEDDA (do — x) nah) i ni lar ae n LIE (ove intendiamo che il radicale sia preso positivamente), la quale sodisfa alla (1) come funzione di x,y, e di #,,%o- Con questa scelta, la (2) non è più applicabile nella regione S(y,), a causa della singolarità che presen- tano, per y= 7, @ e le sue derivate. Però essa è applicabile in ogni re- gione S(Yo — «), corrispondente a una caratteristica y=y,— £,(£>0), che incontri s(yo). Avremo, in questa ipotesi, £3(Yo — 8) du da (4) (a Sito a) de = for 02) E (Yo—£) S(Yo — 8) Facciamo ora tendere e a zero, supponendo il punto 0= (o, %o), interno al segmento AB. Troviamo così, facilmente (1), Es(Yo—8) Eo(Yo—8) : da dU 5 lim u)de—— 27 U(xo è nai («3 da—o0, (5) = Ur hei V2r (20 3 Yo); im | Y SUE E (Yo—8) E(Yo—£) per cui, (6) V/2rr u(x0 30) = lim |(V dx + Udy). e=0 5(Y—£) (!) Per ciò conviene tener presenti le note formule : +00 +0 pa DI seng*dp =/, cosp°dp = VE ; 0 — 900 2 cfr., p. es., Riemann-Weber, Part. Diff.-Gleich. der math. Physik, 1e" Bd., (1910), $ 15 form. (15). — 259 — Matematica. — Sopra il numero delle classi di forme arit- metiche definite di Hermite. — Nota I del dott. ALBERTO BEDA- RIDA, presentata dal Socio L. BIANCHI ('). 1. Generalità. Il Lipschitz (*), con procedimenti di Aritmetica pura, ha determinato, per le forme aritmetiche di Gauss e di Dirichlet, le relazioni tra i numeri delle classi di forme, quando i determinanti differiscano per un fattore quadrato. Come è noto, si trova, per tali forme, che uno dei due numeri è sempre un divisore dell'altro. Noi ci siamo proposti di applicare tali procedimenti alle forme aritme- tiche di Hermite (*), appartenenti al campo di Gauss, o corpo K(VY —1); cioè alle forme del tipo : (1) f=(a,b,c)= axco + bxyo + docoy + 040 è ove 4 e c sono interi razionali, è e è, interi complessi coniugati di Gauss, x,y le variabili appartenenti a questo campo, xo, yo le loro coniugate. L'espressione 4 = 50, — ac è il determinante delle forme (1). In questa Nota ci occuperemo delle forme di Hermite definite (4 < 0); e diremo subito che, per le forme in considerazione, si penetra più pro-, fondamente nel metodo del Lipschitz e ciò con sviluppi più ampi e più vari. Per le forme aritmetiche definite di Hermite (primitive) (*) non si giunge alla medesima conclusione osservata per le forme aritmetiche di Gauss e di Dirichlet; ma, precisamente: se 4’ = 4p* oppure d'= damn, = 4Q (esclusi i casi particolari 4 = — 1,—2, —3), ove p è un numero primo razionale nel campo di Gauss (p=3 (mod. 4)) e 77 è un numero primo complesso in questo campo (9g primo nel campo dei numeri interi ra- zionali, =1 (mod. 4) oppure g= 2), il numero delle classi di forme (*) Pervenuta all'Accademia il 24 giugno 1921. (?) Lipschitz, Crelle's Journal, 58, 54 Bdd. (3) Hermite, Oeuvres, tom. I, pag. 235 e seg.; oppure Crelle’s Journal, 47 Bd. (4) Una forma del tipo (1), di Hermite, si dirà primitiva, quando gli interi a, è, do, c non hanno in comune alcun fattore intero razionale. Una forma primitiva si dirà di prima o di seconda specie secondo che dei coefficienti a e c uno almeno è dispari oppure nov. Per l’esistenza delle forme primitive di seconda specie deve aversi 4=1 (mod. 4), oppure 4= 2 (mod. 4). — 260 — aritmetiche definite di Hermite, a determinante 4°, è sempre una combdina- zione lineare, intera, omogenea, a coefficienti interi razionali, di due oppure tre numeri delle classi di due, oppure tre, ben determinati insiemi di classi di forme aritmetiche definite di Hermite, a determinante 4, secondo che si tratta di forme primitive di prima oppure di seconda specie. Queste relazioni si estendono al caso di un intero composto (razionale o complesso di Gauss). x La ragione di questa differenza di risultati riposa sul fatto che i pro- cedimenti del Lipschitz sono intimamente legati alla considerazione del gruppo automorfo aritmetico delle forme; gruppo che per le forme di Gauss e di Dirichlet è perfettamente determinato dal determinante delle forme, mentre per le forme (definite) di Hermite il determinante non definisce completamente il tipo del gruppo automorfo aritmetico. L’equivalenza aritmetica delle nostre forme sarà l'equivalenza aritme- tica propria, cioè quella rispetto al gruppo delle sostituzioni (E }) ove a, 8B,y e d sono interi di Gauss, tali che xd — fr= + 1. 2. Proposizioni fondumentali. La ricerca si fonda sopra le seguenti pro- posizioni. Per brevità, escluderemo il caso 7r=1 +. Si ha: Data una forma di Hermite (*) (definita od indefinita), f'=(a',b' ,c'), a determinante Auu, ove n è un numero primo nel corpo K(V—1), pri- mitiva di prima 0 di seconda specie, esistono sempre forme di Hermite (definite od indefinite), a determinante 4, rispettivamente primitive di prima 0 di seconda specie, che, con sostituzioni aritmetiche a modulo u, si trasformano nella forma considerata f'. Tali forme costituiscono una ed una sola classe. Di qui segue: Tra le classi di forme di Hermite (definite od indefinite), a deter- minante 4, primitive di prima 0 di seconda specie, e le classi di forme (definite od indefinite) di Hermite, a determinante Auu , rispettivamente primitive di prima 0 di seconda specie, è stabilita una corrispondenza, in modo che ad una classe di forme 4 determinante 4, primitive di prima o di seconda specie, corrispondono n(n => 1) classi di forme a deter- minante Auw,, rispettivamente primitive di prima e di seconda specie, e, viceversa, ad una classe di queste corrisponde, rispettivamente, una ed una sola classe delle prime. Le forme di Hermite siano ora definite (A < 0) e, ad es., positive. È noto (?) che il loro gruppo automorfo aritmetico è un gruppo finito. (*) Tacitamente intendiamo che le forme di Hermite che si considerano siano arit- metiche ed appartenenti al corpo R(f25901 (*) Bianchi: Math. Ann., 38 Bd. — 261 — Escludendo i casi 4A=—1,—2,—3, si ha: le forme aritmetiche «definite di Hermite, primitive di prima specie, hanno per gruppo auto- morfo aritmetico unicamente gruppi degli ordini 2 e 4; quelle di seconda specie possono avere gruppi anche di ordine 6. Inoltre si ha: I valori del numero n dipendono, unicamente, dal determinante 4 , dal numero primo w e dall'ordine dei gruppi automorfi aritmetici delle forme a determinante 4, appartenenti alla classe che si considera. Fisica. — Sul potenziale di risonanza e di ionizzazione nei vapori misti di sodio e di potassio con mercurio (*). Nota I di ApoLFO CAMPETTI, presentata dal Socio ANDREA NACCARI (°). 1°) In una Nota precedente, pubblicata nei Rendiconti di questa Accademia (*), esaminai il comportamento di una miscela di vapori di potassio e sodio rispetto al. potenziale di ionizzazione e di risonanza, rile- vando come quest'ultimo risulti di qualche poco aumentato per ognuno dei due vapori metallici, quando sono presenti vapori dell'altro. Effettivamente, in quelle condizioni di esperienza, dato l’uguale riscaldamento dei due metalli e la notevole differenza delle loro tensioni di vapore ad una stessa temperatura, nella camera di ionizzazione era presente, in ogni esperienza, uno solo dei due vapori in misura notevole, figurando l’altro solo in piccola quantità. Intanto, circa contemporaneamente, Horton e Bailey (‘) pubblicavano un interessante lavoro sull'effetto di una traccia di impurità (dovuta a vapori di mercurio) nelle misure della velocità di ionizzazione per gli elettroni nel- l’elio, per il quale gas, secondo precedenti ricerche dello stesso Horton (5) e di Goucher (°), tra loro in abbastanza buon accordo. era stato trovato essere circa 20,4 Volt il potenziale di prima eccitazione o risonanza e 25,5 Volt circa quello di ionizzazione. Nelle esperienze ora citate di Horton e Bailey l’impurità è dovuta a mercurio, il quale agisce anche in quantità minima; avendosi per la sua presenza traccie di ionizzazione già a circa 21 Volt e riconoscendosi a questo potenziale nella luminosità presentata dal gas la linea del mercurio 350 A, ma nessuna dell’elio; l'emissione dell’elio si inizia solo al disopra di 25 Volt. Siccome il potenziale di risonanza dell’elio è di circa 20 Volt, (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Fisica della R. Università di Sassari. (?) Pervenuta all'Accademia il 1° settembre 1921. (3) Rend. Lincei, vol. XXIX, 1920; 2° semestre. (4) Phil. Mag., vol. 40, n. 238, 1920. (5) Proc. Roy. Soc, 1919. (8) Proc. Phys. Soc. of London, 1920, RenpiconTI. 1921, Vol. XXX, 2° Sem. 34 — 262 — gli AA. ritengono che al disopra di questo potenziale la radiazione di riso- naza dell’elio ionizzi il vapore di mercurio presente: onde l'emissione della linea sopraindicata. 2°) Nelle presenti esperienze, in continuazione delle precedenti richia- mate in principio, ho voluto esaminare quale influenza abbia sul potenziale di risonanza e di ionizzazione dei vapori di sodio o dei vapori di potassio la presenza di vapori di mercurio a tensioni diverse; certamente anche nelle esperienze con vapori di sodio o potassio puri non si può escludere per lo più la presenza di vapori di mercurio (come traccie) provenienti dalla pompa, vapori che si possono eliminare più o meno completamente con varî espe- dienti, di cui il più efficace è la condensazione con aria liquida nel tubo di comunicazione della pompa coll’apparecchio, mezzo che non ho mai avuto a mia disposizione. Ma l'ottimo accordo nei valori di risonanza e di ionizzazione ottenuti pei vapori di iodio e potassio nelle altrui e nelle mie esperienze (esperienze in cui i vapori di mercurio erano più o meno perfettamente eliminati) mostra che in questo caso traccie soltanto di vapori di mercurio non debbono avere azione sensibile, probabilmente perchè (al contrario di ciò che accade per l'elio) i potenziali di risonanza e di ionizzazione del vapore di mercurio puro sono superiori ai corrispondenti potenziali pei vapori di sodio e di potassio. 8°) L'apparecchio adoperato in queste esperienze non differisce sostan- zialmente da quello usato nelle precedenti, se non per aver sostituito al tubo aperto ai due estremi (chiuso naturalmente dai tappi di sostegno della camera di ionizzazione e del giunto a smeriglio per la pompa Gaede) una grossa provetta di vetro circa delle stesse dimensioni, della quale circa i due terzi sono circondati da una stufa elettrica a tre settori. Il mercurio restava sul fondo e veniva riscaldato mediante un settore della stufa; il sodio od il potassio erano posti invece in una capsuletta di nichel in cor- rispondenza di un secondo settore, mentre un terzo riscaldava la regione del tubo contenente la camera di ionizzazione, consistente, come al solito, di un: cilindro di nichel, di un cilindro coassiale di rete nichellata e del filamento che, portato all'incandescenza, costituisce la sorgente di elettroni; coppie termoelettriche nichel rame servivano a misurare Ja temperatura delle varie regioni del tubo. Adoperai dapprima come sorgente di elettroni un filamento di tungsteno portato all'incandescenza; poi, essendomi stato impossibile pro- curarmi filamenti nuovi (e quindi non fragili) di questo metallo, mi servi di una spiralina di filo platino ricoperto di ossidi (specialmente ossido dì calcio) col noto procedimento. La determinazione del potenziale di risonanza e di ionizzazione nelle esperienze precedenti si otteneva dalle due curve (o dai dati numerici rela- tivi) che dànno, in funzione della differenza di potenziale acceleratore, una la intensità della corrente tra la rete e il cilindro esterno (malgrado un campo. — 263 — ritardatore applicato tra rete e filamento) e l’altra la intensità totale della corrente dal tilamento. Anzi in quelle esperienze la prima curva non pre- sentava una rapida ascesa se non per un potenziale superiore a quello di ionizzazione (e ciò perchè si usava una debole emissione elettronica, per avere più netti i massimi e minimi della curva stessa) e perciò essa non poteva servire a determinare il potenziale di ionizzazione che veniva ricavato dalla seconda curva. Nelle esperienze attuali, avendo a disposizione un solo galva- nometro di sensibilità sufficiente, si poteva tracciare solo la prima curva; e perciò i potenziali di ionizzazione si ottenevano con discreta approssima- zione, tenendo conto del punto in cui essa curva subisce un rapido aumento di ordinata e sempre avuto riguardo alla caduta di potenziale corrispondente alla velocità iniziale di emissione degli elettroni. Questo però è possibile soltanto se la emissione elettronica del filamento è assai abbondante (il che si ottiene aumentandone la temperatura o la superficie od entrambe contemporaneamente), senza di che questo rapido incremento di ordinata (mascherato dai minimi della curva) si ottiene solo per un potenziale acceleratore assai più elevato di quello che occorre per la prima ioniz- zazione. Così in due esperienze relative al potassio puro, nella prima delle quali la caduta di potenziale corrispondente alla velocità iniziale di emissione degli elettroni era di 0,67 Volt e nella seconda (essendo più elevata la temperatura del filamento) di 1,08 Volt, si ottennero curve delle quali solo la seconda si presta a determinare il potenziale di ionizzazione. Sui risultati delle esperienze e sulle conclusioni che se né possono trarre si dirà in una Nota successiva. Fisica. — Birifrangenza magnetica dei fumi prodotti da un arco ad elettrodi metallici (*). Nota di L. TreRI, presentata dal Socio O. M. CorBINO (°). | La comunicazione di Elihu Thomson su A Novel Magneto- Optical Effect pubblicata su Nature del 23 giugno n. 2645, pag. 520, mi ha fatto sorgere l'idea che il fenomeno dovesse essere accompagnato da birifrangenza ma- gnetica. La sorgente luminosa da me adoperata è una lampadina Nernst col filamento verticale. Un pennello di luce pressochè parallela proveniente da essa, attraversa un prisma di Nicol la cui sezione principale è a 45° dal- l'orizzonte, sfiora secondo un diametro il piano superiore di una bobina (*) Lavoro eseguito nell'Istituto Fisico della R. Università di Roma. (?) Pervenuta all’ Accademia il 27 luglio 1921, — 264 — circolare piatta disposta orizzontalmente e finalmente un secondo Nicol in- erociato col primo. Al disotto della bobina è disposta opportunamente una lampada ad arco con elettrodi metallici, la quale, eccitata con una corrente di 30 ampere e 140 volt, dà abbondanti fumi. Questi vengono condotti nella porzione del campo magnetico attraversato dalla luce polarizzata, mediante un tubo di rame superiormente coassiale colla bobina e di forma opportuna onde eliminare la luce proveniente dalla lampada ad arco nella zona di os- servazione. La bobina ha il diametro interno di 16 cm., l’esterno di 28 ed è alta 6 cm.: con essa può generarsi un campo magnetico di parecchie decine di Gauss. Con l’arco ad elettrodi di ferro, i fumi giallognoli che si producono in seguito alla condensazione dei vapori di ferro, escono abbondantemente dal tubo cilindrico di rame in modo che il pennello di luce polarizzata passa attraverso un denso strato di fumo. In queste condizioni, sotto l'azione del campo magnetico generato dalla bobina, compare luce attraverso i Nicol inerociati, luce che permane finchè agisce il campo. Da esperienze preliminari si è potuto accertare che il fenomeno presenta i seguenti caratteri: i 1°) rotando opportunamente il Nicol analizzatore si ha il fenomeno della polarizzazione cromatica. 2°) con luce sensibilmente monocromatica, non si riesce a ottenere l'estinzione con la rotazione del Nicol analizzatore. Col compensatore di Babinet si ha un sensibile spostamento delle frange quando si eccita il campo: si è così potuto accertare che trattasi di birifrangenza positiva. 3° con luce polarizzata in un piano parallelo o normale alla direzione. del campo, il fenomeno non ha più luogo. Inoltre, se la bobina che ge- nera il campo, si dispone in direzione verticale, il fenomeno c’è se l’asse della bobina è normale alla direzione del fascio luminoso polarizzato; non ha più luogo se l’asse della bobina coincide con la direzione di propaga- zione della luce polarizzata. Prove eseguite con arco ad elettrodi di rame, hanno dato risultati com- pletamente negativi col precedente dispositivo; ma ciò è dovuto al fatto che il campo è troppo debole: sostituendo il campo generato dalla bobina con quello di una potente elettro-calamita, anche per i fumi di rame l'effetto esiste. — 265 — Chimica. — Carvomentoli levogiri dal fellandrene (*). Nota I del dott. Vincenzo PAOLINI, presentata dal Corrisp. A. PERA- TONER (°). . Qualche anno fa ho pubblicato alcune Note sul Carvomentolo (*) dal carvenone, l'alcool terpenico secondario C,0Hx00, indicato anche come tetra- idrocarveolo, esaidrocarvacrolo, p-mentan-01 [2], di cui sono riuscito ad in- dividuare due antipodi ottici. Per queste mie indagini, dirette all'isolamento di modificazioni stereoisomere, un particolare interesse presentava il carvo- mentolo otticamente attivo, che Wallach ed Herbig (4) avevano ottenuto dal nitro-fellandrene mediante riduzione con alcool e sodio. Ed invero, data la formula di costituzione del carvomentolo ZH: CUOH ne deriva la possibilità di esistenza di 8 stereoisomeri attivi per la presenza dei 3 atomi di carbonio asimmetrici, laddove i diversi carvomentoli finora preparati con differenti mezzi e da varî materiali di partenza, ma sempre per riduzione di sostanze non sature, o non godono dell'attività rispetto alla luce polarizzata (racemi), o se pure la presentano, per molte ragioni non possono neppur essi considerarsi come sostanze uniche ed omogenee, per le quali, a detto del Semmler altra volta da me riferito, si rende necessario lo studio dei rapporti reciproci dei prodotti formanti mescolanze. Ed è tanto vero ciò, che precisamente a proposito del Carvomentolo attivo, ottenuto nella riduzione del nitro-fellandrene, di cui ora appunto (*) Lavoro eseguito nell'Istituto Chimico Farmaceutico della R. Università di Roma. (*) Pervenuta all'Accademia il 16 agosto 1921. (3) R. Accad. dei Lincei, vol. XXVIII, 2° sem., pp. 82 e 134. (4) Annalen. 287, pag. 371 (1895). — 266 — tratterò, Wallach si limita a parlare di un alcool levogiro, facilmente rico- noscibile per l'odore caratteristico e per la ossidabilità a chetone corrispon- dente, ma evita di fornire alcun dato che riguardi la deviazione ottica. Onde è giustificato di ritenere un tale prodotto, che pure risponde esattamente alla formula C.0Hs00, come non puro; ed è sommamente probabile che l'impurezza sia rappresentata da un (o da più di un) alcool isomero, anche esso otticamente attivo. Non mi indugerò quì sul metodo di cui mi sono avvalso per risolvere il "presente problema. Esso non è stato dissimile da quello che ho a mano a mano elaborato per l'isolamento di altri alcooli terpenici, descritto in pre- cedenti Memorie e anche riassunto nelle ricerche sui Carvomentoli dal Car- venone; consiste in una particolare preparazione ed in speciali depurazioni degli ftalati acidi degli alcooli, effettuate con esclusione di ogni riscalda- mento, in modo da giungere, senza alterazione alcuna delle sostanze così ottenute, molli e resinose, a prodotti cristallini ben definiti, ricorrendo anche, secondo la bisogna, a trasformazioni in ftalati doppi dell'alcool e di un al- caloide, oppure dell'alcool e di un metallo. Dirò solamente che nel caso presente dei carvomentoli dal fellandrene, il lavoro venne reso meno faticoso che in casi precedenti dalla natura degli ftalati acidi, che più facilmente, e ancora grezzi, passano allo stato solido, a differenza di quanto avevo sperimentato sui carvomentoli dal carvenone, i cui ftalati acidi, in condizioni simili, restano molli e resinosi. La riduzione del nitrofellandrene, preparato esattamente secondo le norme date dal Wallach mediante sodio ed alcool, mi fornì un alcool di partenza, carvomentolo levogiro, che aveva in tubo da 100 mm. la rotazione. ottica — 99, 50” donde [o]op = — 10° 83'. Questo prodotto diede nella eterificazione a freddo con anidride ftalica un etere acido che si presentava dapprima come massa semifiuida, appicci- caticcia, la quale alle temperature invernali induriva gradatamente sotto acqua e si lasciava depurare a mezzo di una serie sistematica di frazio- namenti per precipitazioni dalla soluzione benzolica mediante ligroina. Quando il prodotto era diventato meno impuro, era possibile di depurarlo ad oltranza addirittura per cristallizzazioni réiterate dalla benzina di petrolio (70 - 80°). Io sono giunto così ad un etere sinistrogiro, dal p. f. 89°, con [a]}o = = — 459,04’, che non solo nella sua composizione corrisponde alla for- mula di uno ftalato acido di carvomentolo HOOO.CsH,.C00C,6H19, ma che deve inoltre considerarsi come sostanza unica, giacchè comunque ricristalliz- zata non muta affatto il suo punto di fusione, nè il suo potere rotatorio specifico. — 267 — Per saponificazione di questo etere ho ottenuto un l-carvomentolo puro, ‘che si differenzia subito dall’alcool di partenza per il suo potere rotatorio notevolmente più elevato, essendo in tubo da 100 m/m = —18°,30’”, donde [a]) = —20°,38'. Questo possiede anch'esso i caratteri di una sostanza unica, perchè per trattamento con anidride ftalica fornisce quantitativamente, e senza formazione di prodotti secondarii, subito lo ftalato suddetto, fusi- bile ad 89°. Che l'alcool isolato è veramente un puro carvomentolo levogiro, viene confermato inoltre dal fatto che lo ftalato acido grezzo, molle, di partenza contiene l'etere di un secondo alcool, isomero al precedente e dotato di po- tere rotatorio più basso non solo, ma più basso altresì di quello del car- vomentolo di origine con [a], = — 10°, 83". Infatti questo ftalato acido, più solubile di quello fusibile a 89°, viene lasciato mano mano indietro nelle acque madri di depurazione di quest’'ul- timo. Da esso infine si giunge al Carvomentolo libero, pure sinistrogiro con [a], = —8°,63', mediante saponificazione opportuna. Faccio in ultimo rilevare che la fellandren-ammina CioHioNH., la quale insieme al carvomentolo prende origine nel processo di riduzione del nitro-fellandrene, rappresenta con verosimiglianza anch'essa un miscuglio di ammine isomere. Opportunamente diazotata, fornisce successivamente un alcool con ap = — 9,50" cioè perfettamente identico a quello che si origina direttamente nel processo di riduzione, e che rappresenta una mescolanza di prodotti levogiri a potere rotatorio differente. Per la nomenclatura degli alcooli carvomentolici finora isolati propongo le seguenti indicazioni: Prodotto dall'a—fellandrene con [a], = — 20°,38'", 1-@.Carvomentolo ” ” ” » =— 8°,63', 1-8.Carvomentolo ” dal Carvenone » == 1°,82", d-y. Carvomentolo ” ” n =— 1°,85, 1-y. Carvomentolo Chimica. — Azossiammidi e pirroli ('). Nota di ANTONIO Pie- RONI, presentata dal Socio A. ANGELI (?). I derivati pirrolici sono molto diffusi negli organismi ed anche molto interessanti dal punto di vista biochimico, ma per la mancanza di reazioni nette, atte a riconoscerli ed a isolarli poco sì sa di essi ed il loro signifi- cato biologico ci sfugge completamente. Ho creduto quindi opportuno intra- prendere le qui descritte ricerche allo scopo di rendere facile il riconosci- (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica organica del R. Istituto di Studî superiori in Firenze. (*) Pervenuta all'Accademia il 24 settembre 1921. — 268 — mento del pirrolo e dei suoi più semplici derivati. Già da tempo è noto per i lavori di O. Fischer e Hepp('), che il cloruro di fenildiazonio reagisce con il pirrolo e con alcuni suoi derivati, in modo che il residuo azoico va a legarsi al nucleo pirrolico preferibilmente in posizione a, se però questa non è libera sì lega in posizione #, infatti essi prepararono HC— CH CoH edi Lomo, NH ed il benzolazo-a-a'-dimetilpirrolo. Più tardi Plancher e Soncini (*) otten- nero altri composti azoici derivati dal fenil e dal «-8'-dimetilpirrolo e tro- varono che soltanto gli @-azoderivati reagiscono con l’isocianato di fenile per cui ammisero che quelli di fronte al detto reattivo possono tautomeriz- zarsi e dare derivati idrazonici. Anche l’a-metilindolo reagisce, come dimostrò. Ph. Wagner, con il cloruro di fenildiazonio per dare l’azoderivato corri- spondente. Data la stretta analogia che esiste fra i sali del diazobenzolo e le azossiammidi ed i vantaggi che queste presentano sui primi per il loro modo di reagire regolare e pronto, era prevedibile che le azossiammidi fossero in grado di entrare in reazione non solo con il pirrolo, ma anche con altri suoi derivati, coi quali i precitati sali o non reagiscono o dànno composti non isolabili. I fatti hanno confermato questa previsione. Quella che fra le azossiammidi meglio si presta allo scopo è la p.bro- mofenilazossicarbonammide che si ottiene con tutta facilità dal p.bromofenil- diazonitrile sciolto in etere umido per azione dell'acido cloridrico gassoso e successiva ossidazione con peridrol in ambiente acetico. Essa è rappresen- tata dalla formula: Br CH, N=NCONH, Il O Preparazione del «-a'-p.bromobenzolazopirrolo "1 | [i Br CGH,N=NC N A E Br (*) B., 19, 225. (3) G. Ch., 32, II, 447. — 269 — Si mettono a reagire raffreddando con acqua quantità rispettivamente proporzionali di pirrolo (una molecola) e di p.bromoazossicarbonammide (due molecole) sciolte in pochissimo alcool, indi si aggiunge un leggero eccesso di potassa; la soluzione si colora immediatamente in rosso violetto .intenso, mentre ha luogo un leggero sviluppo gassoso. Dopo qualche tempo si depo- sitano dei cristalli costituiti per la massima parte da carbonato di potassio, allora diluendo con acqua si ottiene la separazione di un bel prodotto cri- stallino di un color rosso intenso a riflessi rameici, solubile in alcool, in etere, solubilissimo in benzolo; fonde a 208°. La stessa reazione si ha anche operando in soluzione acquosa; senonchè in questo caso il rendimento è minore e il prodotto che si ottiene è mesco- lato a resine da cui si separa non tanto facilmente. Anche l'acido «-pirrolcarbonico trattato con la p.bromofenilazossicarbo- nammide dà l’a-e'-p.bromofenilazopirrolo, mentre l'a-a'-dimetilpirrolo trat- tato in modo analogo sia con la fenilazocarbonammide che con la p.bromo- fenilazossicarbonammide, dà i $-azocorrispondenti HC,_—-CN=NC;H; Rea CH, Br cd | . CHz EE E . CH3 NH NH di cui il primo fonde a 134° e l’altro a 152°. L’a-acetil- e benzoilpirrolo reagiscono anch'essi sempre in soluzione alcalina con l’azossicarbonammide; dall’acetilpirrolo a seconda della quan- tità dell'ammide reagente e dell’alcali si ottiene il mono acetilazoderivato o il biazoderivato HC—--CH HC__CH CH;C0. d (EE Br Br a QUE Br Zi NH NH il primo è un prodotto di color giallo cristallizzato in lamine; fonde a 168°. Dal benzoilpirrolo invece non si ha che un unico azoderivato prodotto di color giallo, cristallizzato in lamine; fonde a 200°. L'indolo che si può considerare come un pirrolo bisostituito, mentre non reagisce col cloruro di fenildiazonio o dà prodotti che non fu possibile isolare (secondo Plancher e Soncini), reagisce invece con le azossicarbonam- midi (sempre in soluzione alcalina) tanto che mi fu possibile ottenere due azoderivati corrispondenti e cioè: RENDICONTI. 1921, Vol. XXX. 2° Sem. 95 — 270 — H H 0 o, ne e] VENI i{ Y dl (HIBI HO N Du: W Ho d x A 6 NH H È prodotti ben cristallizzati in belle lamine di colore giallo oro il primo, che fonde a 130° e giallo rosso l'altro, che fonde a 165°. Poichè trattando l’ in- dolo con cloruro di fenildiazonio i succitati autori non riuscirono ad isolare il corrispondente azoderivato e poichè ottennero invece azoderivati con l’a- metil- e «-fenilindolo, attribuirono ciò al diverso comportamento dell’indolo rispetto ai suoi omologhi; per i risultati da me ottenuti questa supposizione, nel caso considerato, non è più sostenibile. Mi propongo di estendere in se- guito queste mie ricerche, poichè il modo descritto tanto facile e sicuro per caratterizzare pirrolo ed indolo ed i loro derivati, semplificherà molto lo studio di queste sostanze che giorno per giorno vanno diventando sempre più interessanti nel campo della biochimica (1). Chimica fisica. — Solubilità del perelorato ammonico nel- l’acqua. Nota di ARRIGo MazzuccHELLI e ALFonso Rosa (?), presentata dal Socio KE. PATERNÒ (f). Il perclorato ammonico è un sale del quale, nonostante la sua notevole importanza scientifica e tecnica, non si conoscono ancora con precisione i rapporti di solubilità nell'acqua. Il presente lavoro è destinato a fornire qual- che dato in proposito. Le misure sono state eseguite su un preparato che è stato da noi de- purato per ricristallizzazione: la sua soluzione non precipitava con ammo- niaca, e dava reazioni negative per cloruri, calcio e magnesio. Il contenuto in sale delle soluzioni sature era determinato tirando a secco, in pesafiltri tarato, un peso noto del liquido e tenendo poi in stufa ad acqua bollente sino a peso costante. Esperienze preliminari, eseguite ri- prendendo con un po' di acqua e tirando a secco un paio di volte un peso (') Per brevità venne soppressa in questa Nota la parte sperimentale coi relativi risultati analitici, che verrà pubblicata in altra parte. (2) Lavoro eseguito nell'Istituto chimico della R. Università di Roma. (*) Pervenuta all'Accademia il 14 ottobre 1921, — 271 — noto di sale, ci avevano mostrato che esso peso non varia per simile trat- tamento, e quindi che una possibile idrolisi con eliminazione di un po’ di ammoniaca non ha luogo, in queste condizioni, per un ammontare apprez- zabile. La preparazione delle soluzioni sature ha avuto luogo con tecnica di- versa, a seconda delle temperature. Fino a 35° si è usato il sistema, più semplice, di far girare per un certo tempo in un termostato due bottigliette (ben chiuse con tappo ricoperto da cappuccio di gomma) contenenti acqua e un eccesso di sale, una delle quali era stata mantenuta per un certo tempo, agitando, a temperatura superiore di 10°-15° a quella dell'esperienza, in maniera che l'equilibrio fosse raggiunto dai due estremi opposti, della soluzione non satura e della soprasatura. Il liquido veniva poi prelevato con una pipetta (eventualmente riscaldata) attraverso uno strato filtrante di ovatta (sebbene per lo più superfluo), versandone poi immediatamente una porzione nel pesafiltri. Per le temperature più elevate si usò un dispositivo sostanzialmente uguale a quello proposto da Pawlewski (*): una grossa provetta, contenente il sale e la soluzione, è chiusa con un tappo a due fori, per uno dei quali passa un refrigerante verticale con un agitatore girante, mentre per l’altro passa un tubo a fg, di piccolo lume, mediante il quale, a saturazione rag- giunta, si sifona un po' di liquido in un pesafiltro ugualmente chiuso con tappo a due fori, pel secondo dei quali passa un tubo aspirante. Il tutto sta immerso in un grande bagno mantenuto a temperatura opportuna. Per la solubilità a 0° si usò una grossa provetta con agitatore immersa tino a 3 cm. sopra l'altezza interna del liquido nel ghiaccio pesto, ben cal- cato. Dovendo prelevare la soluzione colla pipetta a strato filtrante, si tenne per un certo tempo la estremità di quest'ultima immersa nel liquido, per raffreddare anch'essa fino a 0°. Si è anche fatta una misura al punto eutettico, raffreddando con ghiac- cio e sale una grossa provetta con soluzione satura a temperatura ordinaria sino a separazione del crioidrato, riconoscibile all'aspetto di massa bianca compatta, e alla fermata di un termometro. Allora la provetta è stata in- trodotta dentro un'altra più ampia, immersa nello stesso miscuglio frigorifico che faceva da mantello d'aria; si è agitato qualche tempo per assicurare l'equilibrio fra le due fasi, e poi si è letto il termometro e prelevato il campione con pipetta raffreddata. Si ottennero così i risultati che riportiamo nella tabella seguente, espressi in gr. di sale per cento gr. di soluzione, in base alle pesate nel- l'aria, cioè senza riduzione al vuoto. Qualora nella colonna « trovato » siano (') Ber. Chem. Ges., 32, 1899, (1040), ovvero Stihler, Ardeitsmethoden der anor- ganischen Chemie, III, 1 (505). — 272 — più di una cifra, esse corrispondono a esperienze in duplicato, e (m) ne dà la media. Il « calcolato » è ottenuto con una formula che diamo più oltre. Temp. Gr. sale °/, trovato Gr. sale °/, calcolato — 2,72 (eut.) 9,84 TAZZA 09 10,727; 10,727; (m) 10,73 10,70 + 15,2 15,989; 15,915; (2) 15,95 16,26 25,2. 19,912; 19868; (m) 19,89 19,83 34,0 93 991 823,818%(02)023132 23,30 45,1 27,64 27,54 55.2 31,55. 31,47 65,1 85,37 35.36 75,0 39,05 39,31 84,7 42,54 43,23. » Come si vede la solubilità eutettica rientra bene nella serie: è però da notare che ricalcolandone il peso molecolare del perclorato ammonico, in base alla formula crioscopica m = 1,85 9/t, dove 9 sono i gr. di sale per cento gr. di acqua (e cioè 10,92) e £ l'abbassamento termometrico, si trova 54,9: ciò che, essendo 117,5 il valore stechiometrico, porta a 7 = 2,14; mentre, d'altra parte, il tenore della soluzione non è tale da potersi sen- z'altro pensare alla cosiddetta anomalia delle soluzioni concentrate. La cosa richiede ulteriore studio. Si è cercato di calcolare una formula che esprimesse i nostri risultati. Perciò si son riportati questi su carta millimetrata; poi, mediante un regolo di acciaio pieghevole, si è tracciata una curva regolare che vi si adattasse, con piccole differenze all'incirca uguali, di più e di meno (metodo ben noto per conguagliare graficamente gli scarti), e su questa curva si son letti i valori corrispondenti a 0°, 10°, 20°, ..., 80°. Con questo sistema di numeri (che pei valori tondi della temperatura si presta meglio al calcolo) si è studiata una formula di 2° grado, e si è trovato infine s = 10,696 + 0,3617.t + 0,000263.#? , secondo la quale son calcolati i valori della tabella. In questo laboratorio si è anche misurata la densità delle soluzioni acquose di perclorato ammonico e ne sarà riferito in seguito. — 273 — Chimica biologica. — Pirrolo e Melanuria('). Nota VI di PreTRO SACCARDI, presentata dal Socio A. ANGELI (°).. Nelle numerosissime analisi d’orine eseguite su individui melanotici, o dopo ossidazione intraorganica di composti pirrolici, noto una rimarchevole concomitanza fra le reazioni di ossidazione di tali orine (*) e la diazoreazione di Ehrlich. Potei accertarmi di ciò in: 4) ESPERIMENTI DI MELANURIA NATURALE, che furono eseguiti sulle orine di un giovane trentaquattrenne ricoverato nella clinica chirurgica di questa Università per papillomi melanotici estesissimi alcuni dei quali furono estirpati, ma poi fu rimandato con dichiarazione d’incurabilità. Le orine, che all'emissione sono aranciate, diventano poi rossicce e quindi brune senza presentare all'analisi aleunchè di patologico salvo un imbrunimento notevole con i reattivi altre volte usati per la ricerca del melanogeno. La reazione di Thormihlen è lieve, la diazoreazione è pure lieve. Un altro giovane trentaduenne, curato per diagnosi di encefalite alcoolica ha presentato importanti fenomeni di nefrite, Le orine, analizzate da me solo a guarigione quasi ottenuta, erano di colore giallo-aranciato, non pre- sentavano altro che tracce d'albumina, imbrunivano lievemente col tempo all'aria e davano colorazioni brune con i reattivi del melanogeno. Jl Thor- mihlen era positivo, la diazoreazione ben netta. Durante una settimana le orine quotidiane presentano sempre più debole la reazione di Thormihlen parallelamente alla diazoreazione ed alle reazioni di ossidazione. Dopo un’altra settimana il paziente, venuto a congedarsi, non mostrava nelle orine che tracce minime delle suddette reazioni. 0) ESPERIMENTI DI MELANURIA ARTIFICIALE. — Avendo io ingerito gr. 0,5-0-8 di pirrolo, ed in altra epoca gr.0,5 di a-@ di metilpirrolo, la diazoreazione si manifestò subito all'apparire delle reazioni di ossidazione cessando allorchè l'organismo mostrò d'avere eliminato tutti i prodotti pir- rolici. Gli stesi fenomeni si hanno per iniezione sottocutanee di pirrolo, di a-@ dimetilpirrolo e di cloridrato di pirrolina. Avendo eseguite diecine e diecine (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio Chimico della L. Università di Camerino. (*) Pervenuta all'Accademia il 6 giugno 1921. (3) Pirolo e melanuria, Nota I. Questi Rendic. XXVIII, 1° sem., 1919. Nota IL Ibid., XXVIII, 2° sem., 1919. Nota III. Gazz. Chim. Ital., L, II, fasc. III. Nota IV. Ibid., LI, II, fasc. I. Nota. V. Boll. Soc. Eustachiana, XIX, 1° sem., 1921. — 274 — di analisi di orine melanotiche naturali ed artificiali, posso assicurare che mai è venuta meno la concomitanza fra la reazione di Thormihlen e la diazoreazione di Ehrlich. Dopo ciò ho motivo di aspettarmi che essa non manchi neppure nelle orine che presentano la Fleischreaktion di Arnold. Nè si può obiettare che le reazioni constatate nelle orine si debbano ai composti pirrolici iniettati non solo perchè i composti studiati sono facil- mente ossidabili (il pirrolo e l'a-@ dimetilpirrolo si alterano anche all'aria ed alla luce) ma anche perchè il melanogeno, che da quelle sostanze com- pare nelle orine, non passa in etere come dovrebbe avvenire se il pirrolo 0- l’a-x dimetilpirrolo si eliminassero inalterati. Da tutto ciò è logico sospettare che la diazoreazione di Ebhrlich, si debba ad alcuni complessi ciclici della molecola proteica a cui non possono essere estranei derivati del pirrolo come lo confermano altri fatti più oltre accennati. Ho notato inoltre che orine di cavie e di conigli, dopo ingestione di composti pirrolici studiati, sono brune fino dall'emissione; le orine umane sono invece aranciate all'emissione e non doventano brune all'aria, soprat- tutto alla superficie, altro che dopo la fermentazione ammoniacale. Il mela- nogeno non sì libera o si manifesta adunque nella sua fase ossidativa, adunque altro che in ambiente alcalino, che nelle orine degli erbivori già preesiste, mentre nelle orine umane è subordinato a processi fermentativi che le ren- dono alcaline. Si potrebbe da ciò sospettare che il melanogeno — prodotto labile intermedio fra composti pirrolici e melanine — sia una base debole spostata dalla base più forte (ammoniaca), oppure un sale di un acido debole con l’ammoniaca, tant'è vero che le orine melanotiche brune perdono il loro colore per acidificazione con acidi diluiti e non rimbruniscono all’aria altro che con ammoniaca. L'idrato di potassa o di soda pare invece che tolgano. loro definitivamente questa proprietà. Esperimenti intesi ad isolare il malonogeno non sono, fino ad ora, riu- sciti; il melanogeno, come sì disse, è insolubile fin tutti i solventi anidri comunemente usati, è invece solubile in alcool metilico ed etilico. Al metodo di Eppinger, che consiste nel trattare con solfuro ammonico il precipitato ottenuto dalle orine melanotiche acidificate con acido solforico e trattate con solfato mercurico, può far seguito quello citato dal Pighini della estrazione amilica delle orine appena emesse. Infatti l'alcool amilico finisce per colo- rarsi col tempo in bruno od in rosso e dà assai più accentuata la diazorea- zione e le jaltre reazioni di ossidazione. I liquidi estratti non rimangono però privi di melanogeno e, d'altra parte, è difficile estrarre il melanogeno dall’alcool amilico senza ossidarlo. Il melanogeno però si può avere sotto forma concentrata e separato da molte sostanze contenute nell’orina senza alterare le sue proprietà. Basta infatti acidificare con acido acetico un'orina melanotica naturale . — 275 — od artificiale, trattarla con lieve eccesso d’acetato di piombo, spiombare con» acido soltidrico ed eliminare l'acido solfidrico concentrando a bh. m. per otte- nere un liquido che, salvo la reazione di Thormihlen, dà assai più intense le reazioni del melanogeno, mentre il precipitato ottenuto con acetato di piombo, decomposto con acido solfidrico, non mostra traccia di melanogeno. Tali soluzioni, lasciate all'aria doventano brune. Il melanogeno adunque è. precipitato dal solfato mercurico non dall'acetato di piombo. Tali orine così trattate, dànno, per evaporazione a b. m. un residuo preciso giallo (che fornisce la reazione del bastoncino d’abete intriso di acido cloridrico) da cui l'alcool etilico assoluto estrae, fra altre sostanze, anche il melanogeno riconoscibile alle comuni reazioni. Tal liquido alcoolico, lasciato a sè, tenderebbe ad imbrunire e presenta dicroismo verde come le orine fortemente melanotiche, e, per evaporazione a b. m., lascia un residuo giallo pastoso che presto si cosparge di minutissimi cristalli tabulari, che, raccolti ed esaminati, non dànno le reazioni del melanogeno. Allo scopo di isolare dal residuo così otte - nuto altre sostanze non inerenti alle nostre ricerche, il residuo fu ripreso con acqua e dializzato. Si constatò che il melanogeno passa attraverso la mem- brana, talchè, dopo dodici ore il liquido primitivo più non dà le reazioni del melanogeno. Questa sostanza è adunque un cristalloide. Ho provato inoltre che il melanogeno non passa in corrente di vapore. Il liquido così ottenuto per dialisi, evaporato a b. m. lascia infine un liquido denso, rosso-scuro che con i comuni reattivi del melanogeno dà forte imbrunimento e quindi pre- cipitato bruno. Mi riserbo ad ulteriori esperienze l'isolamento e lo studio di questa interessantissima sostanza. Ma ritornando alla diazoreazione di Ehrlick che ha formato la ragione principale di questa Nota ricorderò come essa, data classicamente da questo autore come uno dei segni diagnostici più costanti e più sicuri del tifo addominale e della tubercolosi polmonare, fu poi constatata in tante e così svariate forme morbose per cui è caduta in disuso nel campo medico che l’attribuisce all'acido cromoossiproteinico (secondo Bocchi e Ghelfi) o a’ pigmenti biliari come vorrebbero altri autori (Penzolt, Weyl, Fabbri ecc.) o più erratamente a sostanze a struttura fenolica di cui non si sa quali e perchè. Si è invece d'accordo nell’attribuirla ad alterazioni del ricambio albu- minoideo, e su questo ci sì avvicina, a mio parere, di più al vero, perchè. essa è positiva nel morbo di Addison, tumori melanotici, ferite di ghiandole surrenali, malaria, influenza ed in altri stati morbosi infettivi che alterano il metabolismo albuminoideo, ed affermano forse il giusto quelli che l’'attri- buiscono ad acidi proteinici o biliari giacchè è noto (Neuki e Zaneschi) che l’urocromo, l’urobilina, la bilirubina ecc. sono dello stesso gruppo dell’emo- globina, composti del pirrolo e che il pirrolo entra a formare le sostanze- proteiche. — 276 — È noto pure che granuli di malaria si trovano nel corpo del plasmodio della malaria per attribuire veramente la diazoreazione di Ehrlich ad un anormale ricambio organico degli albuminoidi per cui prodotti pirrolici cir- colano e vengono eliminati con le orine invece di essere normalmente ossidati. Confermerebbe questo nuovo ed importante fatto che si riferisce alla diazoreazione di Ehrlich chi potesse constatare sempre la presenza di pro- dotti pirrolici nelle orine di malati non melanotici che dànno comunemente la diazoreazzone. Le mie ricerche in merito non si sono fin quì estese che a poche ana- lisi di orine di tifosi, tubercolotici e malarici in atto ed hanno confermato, senza alcuna eccezione, che la diazoreazione è sempre accompagnata da un anello rosso-bruno nella prova dell’Heller e da sicure e ben definite reazioni di ossidazione con i reattivi in uso pel melanogeno. Ciò confermerebbe l'ipotesi che la diazoreazione di Ehrlich sia dovuta principalmente a prodotti pirrolici, fatto questo che mi riserbo di controllare estendendo le presenti ricerche al maggior numero possibile di orine di malati in cui è sicura la diazoreazione di Ehrlich. La melanuria adunque può esistere anche indipendentemente da quelli stati morbosi e gravi che portano ai melanomi e può significare uno sala patologico anche lieve dovuto ad anomalie del ricambio organico. Faccio in ultimo noto che al reattivo di Ehrlich, incomodo perchè va preparato al momento dell’uso, si può con risultati più netti e con agio maggiore sostituire l'azossicarbonamide (') descritta dal prof. A. Angeli. Chimica fisiologica. — .Su/ valore alimentare dei semi del- lErvum Ervilia (?). Nota II di SABATO Visco, presentata dal Cor- rispondente DomeNICO Lomonaco (*). « Nell’unico ratto che ingerì farina di semi di ervo in quantità tale « da sopravvivere per un lungo periodo di tempo, al quarantesimo giorno « di esperimento si osservò in pieno sviluppo una complessa sindrome mor- « bosa a carico del sistema nervoso. Essa regredì poi prontamente in seguito « alla somministrazione di un infuso a freddo di cruschello di Andropògon « Sorghum, e di qualche goccia di un preparato commerciale di vitamine ». Riferimmo quest’osservazione in una nostra Nota precedente (3) e riferimmo pure come su di essa noi basassimo l'ipotesi della carenza dei semi dell'Ervum (*) Questi Rendiconti 26, I, (1917), pag. 207. (*) Ricerche eseguite nell'Istituto di Chimica Fisiologica della R. Università di Roma, diretto dal prof. Domenico Lo Monaco. (3) Pervenuta all'Accademia 1°11 agosto 1921. — 277 — Ervilia. Perchè però quest’ipotesi acquistasse maggior valore occorreva suf- fragarla con una nuova e più importante serie di fatti, e perciò ritenemmo necessario di istituire al riguardo altri esperimenti, intesi non solo a con- fermare la supposta carenza, ma anche a definirne la natura. Come animali da esperimento ci servimmo di colombi giovani e l’ervo «che ad essi somministrammo proveniva dal raccolto del 1920 e conservava integra la proprietà di germogliare. Riportiamo i protocolli delle esperienze fatte: Colombo A. Bianco, del peso di grammi 280. Si inizia l'esperimento il 21 feb- ‘braio del 1921, alimentandolo esclusivamente con semi di ervo accuratamente scelti e lavati e dei quali mangia quotidianamente circa trenta grammi. Nei primi quattro giorni viene imbeccato, 6 marzo peso gr. 335, 8 marzo peso gr. 342, 10 marzo peso gr. 350, 12 marzo peso gr. 359, 15 marzo peso gr. 350, 17 marzo peso gr. 338, 19 marzo peso gr. 325, 21 marzo peso gr. 310, 22 marzo peso gr. 298, l'animale mangia poco, 23 marzo peso «gr. 286, l’animale non ha mangiato, è sonnolento, messo fuori della gabbia si muove poco, la deambulazione è però normale ed il volo è sostenuto, 24 marzo peso gr. 274, non ha mangiato, le feci sono diarroiche e con reazione acida al tornasole, l’animale si regge male sulle gambe, spinto a camminare fa pochi passi con andatura pareto-spastica dopo i quali incomincia a piegare il corpo a destra ed a sinistra, allarga le ali per ri- stabilire l’equilibrio, ma non vi riesce e perciò è costretto a fermarsi e ad adagiarsi sul ventre, 25 marzo, mangia poco, feci diarroiche con reazione acida. La sindrome osservata ieri appare un po’ più accentuata; il volo è meno sostenuto, 26 marzo, sindrome immu- ‘tata: gli si somministrano alcune gocce di un preparato commerciale di vitamine e si mette nell'acqua che deve bere un po’ di cruschello di Andropògon sorghum, 27 marzo, l’animale ha mangiato di più, si regge meglio sulle gambe, e cammina alquanto spedi- tamente dando segni meno marcati di stanchezza. Gli si somministrano altre poche gocce del solito preparato commerciale di vitamine, e si continua a mettere nell'acqua che deve ‘bere un po’ di cruschello di Andropògon sorghum, 28 marzo peso gr. 338, l’animale mangia abbondantemente, la sindrome morbosa è quasi del tutto scomparsa, si continua nel trat- tamento terapeutico dei giorni precedenti, 29 marzo peso gr. 845, l’animale sta bene. Da questa prima indagine sperimentale deducemmo che con l’alimen- tazione esclusiva di semi di £rvum Ervilia si poteva provocare nel colombo una sindrome uguale a quella che si determina nello stesso animale con l’alimentazione esclusiva con riso brillato, e che, come in questo caso anche in quello ogni fatto morboso si dileguava in seguito alla somministrazione di sostanze contenenti vitamine antiberiberiche. Ciò ci autorizzò a concludere che nel colombo alimentato con semi di £7rvum Ervilia, i fatti morbosi manifestatisi dovevano identificarsi conla Polinewuritisgallinarum dell’Eichmann ‘e come questa essere la conseguenza di un avitaminosi. Esaurita la partita di semi di Zrvum Ervilia con la quale avevamo iniziati gli esperimenti, fummo costretti a sospendere per qualche tempo le ricerche fino a che ci riuscì di procurarcene un’altra che però aveva subita un’infestione di coleotteri, i quali certamente con il loro contenuto in vita- mine avrebbero influenzato il risultato delle esperienze. Di fronte all’impos- sibilità assoluta di scegliere i semi uno per uno ed in quantità sufficiente ai RENDICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sem. 36 — 278 — bisogni degli animali per un lungo periodo di tempo, fummo costretti a modi- ficare il dispositivo delle nostre indagini, e perciò stabilimmo di provo-. care la polineurite col riso brillato e di curarla poi con la somministrazione di semi di ervo. Evidentemente se nei semi dell’ervo erano contenute vitamine antibe- riberiche, essi dovevano comportarsi come il riso intero, il frumento ece. ecc. nel trattamento della polineurite sperimentale, e ciò tanto più perchè nessuna specificità è stata ancora dimostrata per lo stesso tipo di vitamina secondo che provenga dalle leguminose o dalle graminacee. Trascriviamo i protocolli di questo secondo gruppo di esperienze. Colombo A. Bianco, quello stesso del primo esperimento, dal 80 marzo mangia ervo (quello infestato), il 14 aprile non presenta ancora nessun fatto di polinemite, pesa gr. 390. Il 15 aprile si incominciò ad alimentare imbeccandolo esclusivamente con riso brillato e lavato, peso gr. 390, 16 peso gr. 384, 17 peso gr. 368, ricurgita una parte del riso somministratogli, 18 peso gr. 353, 19 peso gr. 858, rigurgita, gas nel gozzo, 20 peso gr. 350 rigurgita il cibo, gas nel gozzo, 21 peso gr. 382, id. id. 22 peso gr. 325, id. id. 23 peso gr. 320, camminando inciampica e zoppica con l’arto destro, 24 nel camminare fenomeni pareto-spastici più accentuati di ieri. L'animale stando in piedi spesso barcolla. Cammirando inciampa, talora trascina l'arto sinistro, 25 fenomeni polineuritici multipli, gli si somministrano circa 30 gr. di semi di ervo scelti, per quanto è possibile, accura- tamente, e ripetutamente lavati, 26 sindrome immutata, si somministra ervo, 27 nessun miglioramento, si somministra ervo, 28 nessun miglioramento, si somministra ervo ed un po' di eruschello di Andropdgon sorghum, 29 si nota un apprezzabile miglioramento della sindrome polineuritica. Altro cruschello, 80 il miglioramento è ancora più accen- tuato. Altro cruschello, 1° maggio, l’animale è quasi guarito, ancora eruschello. 2 maggio, l'animale è guarito, da oggi si sospende la somministrazione di cruschello di Andropggon sorghum, e si alimenta soltanto con semi di ervo (partita infestata), fino al 24 giugno, in cui si rimette di nuovo ad alimentazione esclusiva di riso brillato e lavato. Pesa gr. 360, il 29 giugno, l’animale mangia poco, pesa gr. 354. Il 2 di luglio l’animale pesa gr. 320 è sonnolento, messo fuori della gabbia non si muove, spinto a camminare inciam- pica e cade. Il volo è però sostenuto, non mangia, 8 luglio, peso gr. 300, sindrome poli- veuritica molto accentuato, gli si somministrano 80 gr. di semi di ervo, per quanto è possibile accuratamente scelti e ripetutamente lavati. Mangia spontaneamente, 4 peso gr. 310, sindrome immutata, il gozzo si vuota lentamente. Altri 30 gr. di ervo, 5 peso gr. 322, nessun miglioramento, altri 39 gr. di ervo, 6 peso gr. 330, nessun migliora- mento nella deambulazione, si nota un lieve peggioramento a carico della mobilità delle ali per cui il volo non è possibile, altri 30 gr. di ervo, 7 peso gr. 842, condizioni im- mutate, altri 30 gr. di ervo, 8 peso gr. 850, condizioni immutate, si sospende l’esperi- mento. Piccione B. Nero, giovane, del peso di gr. 318. Si inizia l'esperimento il 16 aprile del 1921 alimentandolo esclusivamente con semi di ervo, (qualità infestata) si imbecca per tutta la durata dell'esperienza: Aumenta sempre di peso fino a raggiungere gr. 355, il 7 di giugno, giorno in cui si mette ad alimentazione esclusiva di riso brillato, e repetutamente lavato. Non presenta nessun fatto di polineurite. Il giorno 10 giugno pesa gr. 337, rigur- gita 18 gr. di riso sui 30 somministratigli, gas nel gozzo. Continua sempre a rigurgitare una buona parte del riso che gli si somministra, a perdere di peso ed a presentare gas nel gozzo. Il 18 giugno è poco vivace, rigurgita 27 gr. di riso dei 30 somministratigli, pesa gr. 261, 19 giugno, peso gr. 254, spinto a camminare fa pochi passi e poi inciam= ROTA pica. Lasciato cadere vola normalmente 20 sindrome polineuritica alquanto più accentuata. Volo normale, trattiene un po’ di riso, gas nel gozzo, feci diarriche con reazione acida, 21 deambulazione quasi impossibile, volo abbastanza sostenuto, 22 sindrome immutato, rigurgita tutto il riso somministratogli, peso gr. 29, si imbecca con 30 gr. di semi di ervo accuratamente scelti e ripetutamente lavati, 23 peso gr. 256, non si ha rigurgito, sindrome immutato, altri 30 gr. di semi di ervo, 24 peso gr. 267 durante la notterigurgita qualche seme di ervo, feci verdi diarriche con reazione acida, sindrome forse un po’ aggravata, certamente non migliorata, 25 peso gr. 260, volo meno sostenuto, durante la notte l’animale rigurgita un po' di ervo, altri 39 gr. di ervo, 26, 27, 28, 29, 30 giugno, condizioni stazionarie, 1° luglio peso gr. 270, si apprezza un lieve ma evidente miglioramento della diambulazione, volo sempre poco sostenuto, 4 continua il miglioramento ma sempre in misura molto breve, 5-6 sindrome immutata, 7 peso gr. 266, sindrome alquanto migliorata, 8 si sospende l'esperimento. Colombo C. Nero, giovane del peso di gr. 295, si mette in esperimento il 28 aprile alimentandolo esclusivamente con riso brillato e lavato. Il 18 maggio, al mattino la sin- drome polineuritica incomincia a manifestarsi, alla sera è già in pieno sviluppo. Il 19 si alimenta esclusivamente con semi di ervo, la sindrome non si modifica nei giorni seguenti sino al 29 di maggio. Il 30 si osserva un lieve miglioramento (?). Il 1° di giugno lo stato dell'animale è stazionario. Gli si somministra un po’ di cruschello di Andropògon sorghum, 2 giugno, miglioramento molto notevole, 4 giugno, l’animale appare quasi del. tutto guarito, 6 giugno, l’animale sta bene. Dai protocolli sopra riportati rileviamo che: 1°) in un colombo dopo trenta giorni di alimentazione esclusiva con semi di Zrvum Ervilia si manifestò una netta, se pur non grave, sindrome polineuritica che regredì rapidamente e completamente in seguito alla sommi- nistrazione di sostanze ricche di vitamine antiberiberiche; 2°) in due colombi (in uno due volte) alimentati per un certo tempo con semi di ervo (qualità infestata) in seguito alla somministrazione esclu- siva di riso brillato comparve precocemente (in un caso per due volte suit 8 giorni) una netta sindrome polineuritica ; 3°) in tre piccioni resi polineuritici col riso brillato (in uno due volte) la somministrazione di semi Zrvum £Zrvilia in quantità elevata, influenzò la sindrome morbosa soltanto lentissimamente ed incompletamente. Hssa invece regredì sollecitamente e totalmente quando fu aggiunta all’ali- mentazione una piccola quantità di cruschello di Andropògon Sorghum. Dai dati riferiti risulta che i semi maturi dell'Ervum Ervilia conten- gono uno scarso quantitativo di vitamine antiberiberiche. — 280 — Geologia. — Motizie sopra alcune interessanti formazioni del Supracretaceo del bacino di Eraclea nell’ Asta Minore. Nota I dell’ing. SEconDo FRANCHI, presentata dal Socio CARLO FABRIZIO PARONA ('). Per le notizie datene dal Ralli e da Douvillé, è nota ai geologi la costituzione della parte meno alta del Cretaceo che ricopre il Carbonifero del bacino di Eraclea; ma della costituzione singolarissima della parte supe- riore di esso, comprendente forse tutto il Supracretaceo, si ebbero finora molto scarse ed inesatte notizie. Avendo io percorso, lo scorso autunno, la parte ‘orientale di quel bacino, sono in grado di dare un piccolo contributo alla conoscenza di quest’ultima serie, la quale è particolarmente interessante per la sua costituzione litologica (?). Al di sopra delle arenarie, dette dal Ralli « grés de Vély-Bey », sopra- stanti ai calcarî dolomitici urgo-aptiani, e aventi in alcune regioni la potenza di parecchie centinaia di metri, si osserva presso Neiren, 15 km. a levante di Eraclea, un'altra formazione arenacea, litoiogicamente un po’ diversa, che io distinguerò col nome di « arenarie di Neiren », notevoli per includere, nel complesso di arenarie chiare in strati sottili, dei banchi di calcari brec- ciosi, con frammenti di rudiste, di calcari arenacei, e di arenarie con elementi di carbone e della vere lenti di carbone detritico, che sembra di origine secondaria. La loro potenza complessiva può essere superiore ai cento metri. Presso Neiren, e a levante e a ponente di tale località, queste arenarie sono ricoperte da un'altra formazione interesssantissima, che dirò « forma- zione delle colate di roccie diabasiche », Ja quale, a sua volta, viene rico- perta, in perfetta concordanza, da una potente formazione, costituita preva- lentemente da tufi e da colate di roccie vulcaniche, che io, pel suo tipico sviluppo nei dintorni e sotto la città stessa di Eraclea, distinguerò col nome « formazione vulcanica di Eraclea ». Di queste due ultime formazioni io desidero dare qualche notizia con questa nota preliminare. (1) Pervenuta all'Accademia il 29 luglio 1921. (3) Queste notizie furono racccolte nel cerso di una Missione tecnica, mandata colà dalla « Società Alti forni e Acciaieria di Terni », ed io debbo rendere sentite grazie all'illustrissimo signor Presidente, ing. Giuseppe Orlando e all’ingegnere G. Biancotto, ispettore delle miniere della Società? perchè, oltre alle gite di interesse minerario, essi vollero favorire, per quanto il tempo lo permetteva, quelle di puro interesse scientifico. oi FORMAZIONE DELLE COLATE DI ROCCIE DIABASICHE. — Essa è costi- tuita da un complesso di arenarie e marne bigie, cinerognole o policrome, verdi, bluastre, ecc. e da scisti argillosi (argilloliti di Ralli) rossastri, nel quale sono inserite numerose ed estese e talora potenti colate di roccie diabasiche, che ne sono la parte più caratteristica. Questa formazione è stata da me ossservata per l'estensione di una tren- tina di chilometri fra Deirmen-Agzi, a 5 km. da Eraclea, e i dintorni di Balcik, nell'alta valle del fiume Gillik, sfociante a sud di quella città. Le diverse colate sovrapposte sono separate talora da sottilissime zone di depo- siti marnoso-arenacei, per cui si deve pensare alla loro effusione subacquea. Le roccie diabasiche presentano costantemente e con grande evidenza, una divisibilità globulare, che potremmo anche dire glubulare-cipollinica od a cipolla, talchè la superficie loro è sempre cosparsa di grossi cogoli nei varî studî della loro liberazione dall’involuero cipolliforme, o liberi od anche dislocati e rotolati. Sulle strade mulattiere in tali roccie incassate e sulle parti erose dai torrenti, sulla superficie spianata per effetto delle diverse azioni meccaniche, le traccie ellittico circolari concentriche delle superficie di divi- sibilità permettono subito distinguere tali roccie. Esse sono dî colore verde e smorto, non mostrano inclusi riconoscibili ad occhio nudo, e, causa lo stato di generale profonda alterazione, anche al microscopio, coi preparati finora esaminati, non ne è stata possibile una esatta determinazione petrografica. Solo si riconoscono, in mezzo a parti alte- rate indetinibili, dei resti di pirosseno, e dei felspati molto alterati e indeterminabili, presentanti numerosissime inclusioni minute tondeggianti, di natura vetrosa. Solo lo studio di numerosi preparati potrà permettere una rigorosa definizione litologica, e di giudicare se la particolare struttura sia dovuta alla origine subacquea delle colate. La divisione globulare è nota in molte roccie diabasiche eoceniche della Toscana e della Liguria: notissima è quella della massa di Prete Michele, illustrata dall’Issel nell'opera Liguria geologica e preistorica. Lo Zac- cagna la osservò in molte masse diabasiche della Valle del Serchio e della costa di Levanto. Ivi la si vede dalla ferrovia, in un taglio di torrente, fra due gallerie; e io stesso la osservai in una massa diabasica interessantissima, associata con eutotidi, presso Voltaggio. Ma in quest’ultima località i cogoli ellissoidali che si separano facil- mente dalla roccia, possiedono costituzione mineralogica zonare a guisa delle variole delle varioliti; si tratta cioè ivi di una divisibilità che è in diretto rapporto colle variazioni di costituzione della roccia, come avviene ad esempio, in modo ben visibile, per la grande scala del fenomeno, nelle dioriti orbiculari di Corsica. Invece nelle roccie diabasiche di Eraclea, la natura litologica della roccia sembra indipendente, ed invariabile, dalle sfoglie cipolliformi, alla — 282 — superficie e al centro dei cogoli; così che pare si tratti di una divisibilità di origine fisica, alla guisa di quelle colonnari o a lastre di molte roccie vulcaniche, dovute alle particolari leggi secondo le quali avvenne la contra- zione delle masse rocciose, durante il loro raffreddamento. Una analoga divi- sibilità, ma molto meno bella, io osservai nei noti melafiri del Biellese. Alcune riescite fotografie, mostranti il fenomeno in tutta la sua evidenza, sono state da me presentate alla riunione iemale di quest'anno della Società geologica, e una di esse è stata riprodotta, come illustrazione della comu- nicazione. L'età di questa formazione non è ben precisata, non avendomi offerto fossili; ma, essendo separata dai calcari urgo-aptiani delle potenti masse di arenarie di Vély-Bey e di Neiren, e venendo essa ricoperta da una forma- zione molto unitaria, che vedremo essere senoniana, noi possiamo ritenere come probabile che essa appartenga al Turoniano. Mineralogia. — Sulla lublinite di Sassari (*). Nota di Ema- NUELE QuERCIGH, presentata dal Socio ErtroRE ARTINI (?). La lublinite, rinvenuta in Italia finora da Galdieri nel 1913 (*) è stata recentemente osservata, da me, in Sardegna, nei dintorni di Sassari, L'interesse che presenta questo minerale caratteristico, costituito da aghetti microscopici ad estinzione costantemente inclinata, tanto da venir ritenuto sicuramente monoclino (*) finchè non ne venne dimostrata l’identità, oramai indiscussa (°), colla calcite (6), è accresciuto dal fatto che ci sono tuttora ignote le condizioni e le cause della sua formazione e sconosciuto qual- siasi metodo di sintesi, come pure dall’incertezza che permane, giustificata, riguardo alla sua maggiore o minore diffusione in natura. Espongo, perciò, in questa Nota, le osservazioni eseguite sulla lublinite della nuova località. Poco lungi dall'abitato di Sassari, seguendo la strada chiamata Scala de’ Pintori, che percorre il Colle dei Cappuccini, fin là dov’essa, inta- gliandosi nel calcare miocenico, scende verso la collina detta Monte Bian- (!) Lavoro eseguito nell’Istituto di Mineralogia della R. Università di Sassari. (*) Pervenuta all'Accademia il 15 luglio 1921. (3) A. Galdieri. Su di una calcite feltriforme di Nocera. Annali della R. Scuola di Agricoltura di Portici, vol. XI (1913). (4) R. Lang. Lublinit die monocline Modification des Calciumcarbonats. Neues Jahrb. ‘f. Min. Geol. u. Pal. Beilageband 38 (1914) 121. (?) Johnston, Merwin, Williamson. 7'he several forms of calcium carbonate American Journ. of Science 41 (1916) 490; P. Niggli u. K. Fasey, Zeitschrif f. Kryst. 56 (1921) 227. (9) E. Quercigh, Sulla vera natura della lublinite ecc. Rivista di Min. e crist. ital, 44 (1916) 65. — 283 — chino, si osserva, nel calcare laterale, qualche litoclase che si mostra parzial- mente rivestito da uno strato di materiale leggero, pulverulento, assai soffice, di spessore variabile fino a circa due millimetri, di color bianco, sovente assai puro, talora latteo, o più marcatamente giallastro, o grigiastro, sempre ben distinto dalla massa calcarea più o meno alterata e marnosa. Esaminata al microscopio, questa polvere si presenta perfettamente cri- stallina e costituita da un'infinità di aghetti microscopici, trasparenti, inco- lori, fortemente birifrangenti. La loro lunghezza, generalmente inferiore al millimetro, arriva talvolta a mm. 1,3 e lo spessore non supera mm. 0,005; essi sono tutti indipen- denti fra loro e senza alcun accenno a geminazione. All’ortoscopio presentano estinzione inclinata rispetto alla direzione d'allungamento, i valori dell’an- golo d'estinzione variano in limiti abbastanza estesi: da un minimo di circa 35° ad un massimo di 50° mantenendosi generalmente oscillanti intorno a questo massimo. L'esame ottico al conoscopio non risulta conclusivo per lo spessore assai ridotto dei cristallini. L'indice di rifrazione è dell'ordine di grandezza dell'a-monobromonafta- lina (1,66) nella direzione dell’allungamento e risulta paragonabile a quello dell’olio di ricino (1,48) nella direzione normale. È facile constatare, all’analisi, che il minerale è costituito in modo quasi esclusivo da carbonato di calcio; esso contiene però notevoli quantità di acqua (fino all'11 °/,) che viene facilmente ceduta, in ambiente secco, già alla temperatura ordinaria. Si deve ammettere che si tratti di acqua di condensazione superficiale, perchè la trasparenza e le proprietà ottiche dei cristallini non mutano col contenuto in acqua, nè colla sua completa eliminazione. Questa proprietà della lublinite, già osservata da Jwanoff e Tschirwinsky sul materiale delle marne eoceniche di Gora Pulawska (Lublino), che conteneva il 37.56 % d’H.0, fu notata in seguito generalmente, quantunque in proporzioni minori, da quanti sì occuparono di questo minerale; essa non si deve attribuire solo allo stato di estrema divisione della. lublinite, perchè altri minerali in condizioni identiche non presentano affatto, o solo in modo attennatissimo, il fenomeno, ma si deve ammettere che la natura stessa del composto Ca CO; vi influisca. Tracce di sostanze organiche, che pur furono riscontrate da Morozewicz nella lublinite di Wysokie (Lublino), non esistono in quella di Sassari, in cui però l'analisi microchimica rivela la presenza di Mg, Si ed AI, escludendo quella del Na, K, Fe, P ed (NH,). Si può arguire che la natura del minerale ne renda per lo meno ardua l'impresa di scevrarlo da piccole quantità di sostanze estranee, come del resto è provato dalle altre analisi che si conoscono: infatti Morozewicz trovò per quello di Wysokie 1.04 % di jimpurezze inor- ganiche, quello di Gora Pulawska diede in due analisi rispettivamente — 284 — il 0.75 % ed il 0.46 % di residuo insolubile, quello di Bochotniza analiz- zato da F. Borkowsky presentava il 3 % di sostanze estranee, il Lang in quello della Diessenertal trovò il 0.48 % fra Al:0;, Fes0:, Si0, e Mgo0, mentre Galdieri riscontrò, nella lublinite di Nocera, 112 % di residuo inso- lubile. La lublinite di Sassari diede all'analisi la seguente composizione cen- tesimale: Cao 55.86 CO, 43.47 SiO, 0.13 A1303 0.15 Mg0 0.21 99.82 ciò che ne conferma la purezza relativamente elevata. La densità, determinata sul materiale secco col metodo della sospen- sione in soluzioni di tetrabromuro d’acetilene e toluclo, risultò identica a quella della calcite (2.72). Credo che i valori, più bassi, ottenuti da Jwanoff (2.63) e da Tschir- winsky (2.626) per la lublinite di Gora Pulawska, da Lang (2.65) per quelle della Diessenertal e da Galdieri (2.67) per quello di Nocera, si debbano spiegare colle difficoltà sperimentali che si incontrano nell’allontanare even- tuali microscopiche bollicine gassose persistentemente aderenti a cristallini dotati di superficie così vasta in rapporto al peso; anche l'umidità, che facil- mente viene condensata dalla lublinite secca, deve portare un errore quando il liquido usato non scioglie l'acqua; infatti basta, ad esempio, il 2 % d'acqua per abbassare la densità reale di 2.72 e quella apparente di 2.68, e forse non è casuale la coincidenza fra il peso specifico di 2.67 trovato appunto dapprima pel minerale di Nocera e la percentuale d'acqua (1.79 %) con- tenutavi, mentre lo stesso minerale di Nocera, sperimentato allo stato di perfetta secchezza, mi risultò decisamente più denso di 2.70 (1). Per quanto riguarda la reazione di Meigen, originaria o modificata, e quella di Thugutt, la lublinite di Sassari si comporta, come quella di Nocera, identicamente alla calcite di dimensioni paragonabili. Sulle condizioni naturali di formazione della lublinite e sua sintesi, le mie ricerche, tuttora in corso, non mi permettono per il momento di definire il problema, su di esso mi riservo di ritornare in breve, limitandomi ora ad esporre la convinzione formatami, che questo minerale debba essere, in natura, molto più diffuso di quanto risulta dalle osservazioni note finora. (3) L. e. pag. 83. — 2859 — Biologia. — Osservazioni sul tappeto lucido dei mammiferi domestici ('). Nota I del dott. AnceLo CEsARE BRUNI, presentata dal Socio BeNnEDETTO MoRrPURGO (*). È noto che gli occhi di molti mammiferi in presenza di minima quan- tità di luce sono capaci di emanare dei bagliori, e che tale fenomeno è dovuto sopratutto alla presenza di un tratto speciale della coroide — il tappeto lucido — il quale macroscopicamente appare come un’area dell’emi- sfero posteriore dell’occhio elegantemente colorata ed iridescente. All'esame istologico di quest'area si trova, immediatamente all'esterno della lamina corio-capillare, tra questa e la lamina vascolosa, uno strato speciale — il tappeto propriamente detto — che nei carnivori e nei pinnipedi consta di parecchi ordini di cellule appiattite, in altri mammiferi (ungulati, cetacei) è costituito essenzialmente di varî piani di fasci paralleli di fine fibre colla- gene ondulose, come quelle delle stoffe marezzate, cosparsi di nuclei. Per ciò vennero distinti da Bruùcke il tappeto fibroso ed il tappeto cellulare. Sia cellulare o fibroso il tappeto non ha vasi proprî, ma è attraversato quasi perpendicolarmente e ad intervalli regolari da quelli, che stabiliscono la relazione tra lamina corio-capillare e vascolosa; in corrispondenza di esso l’epitelio retinico non è pigmentato o lo è scarsamente. Si ammette da tutti che l’iridescenza caratteristica sia dovuta a fenomeni d'interferenza e di diffrazione della luce; la funzione pare sia quella di favorire la visione cre- puscolare. Secondo l'opinione dominante le cellule del tappeto cellulare, o iridociti, dovrebbero le loro proprietà ottiche all'essere infarcite ciascuna di un'enorme quantità di finissimi cristalli aghiformi, disposti in parecchi fasci, aventî direzioni diverse, il che si osserverebbe anche nel tappeto e nell’argentea dei pesci. È un fatto veramente singolare, che un organo, cui è lecito attribuire la medesima funzione in tutti i mammiferi, nei quali esiste, si presenti con due strutture fondamentalmente diverse; ciò spiega i tentativi fatti per dimo- strare un ponte di passaggio fra le due strutture (Piitter, Franz). (1) Lavoro eseguito negli Istituti anatomici dell’Università di Torino (direttore pro- fessore G. Levi) e della Scuola sup. di Medicina veterinaria (direttore prof, U. Zimmerl). (*) Pervenuta all'Accademia il 27 luglio 1921. RENDICONTI. 1921, Vol, XXX, 2° Sem. 37 — 286 — Io ho studiato il tappeto fibroso nel bue nel montone e nel cavallo, il tappeto cellulare nel cane e nel gatto. Nulla di più di quanto è noto ho potuto mettere in evidenza pel tappeto fibroso; pel cellulare invece ho rac- colti alcuni dati, che meritano di essere approfonditi. Nel cane gli iridociti piatti, poligonali, di 5-7 w di spessore, di 25-30 « di diametro, sono ben distinti gli uni dagli altri. Ciascuno contiene nel citoplasma molte lunghe e fine fibrille, disposte in diversi piani paralleli alla superficie del tappeto. In uno stesso piano tutte le fibrille sono parallele Fig. I. Tappeto lucido di gatto adulto. Disposizione sinciziale degli iridociti. ‘Fissazione Carnoy, colorazione ematossilina ferrica. Camera lucida, 1334, d. (ridotta a 1/2). fra di loro, rettilinee, ma non rigide; le fibrille di un piano intersecano sotto angoli diversi quelle dei piani adiacenti. Esistono inoltre in qualche ‘cellula fasci di fibrille perpendicolari alla superficie del tappeto. Nessuna fibrilla passa da una cellula all'altra. Ogni iridocito possiede al centro un nucleo ovale appiattito. I vari piani di cellule sono separati da setti con- nettivi continui, che aderiscono ai vasi attraversanti il tappeto. In sezioni a piatto si dimostra che questi setti constano di una delicatissima rete elastica e di fibre collagene sparpagliate; di più contengono fascetti di fibrille connettive, presentanti la stessa ondulazione, che hanno i fasci del tappeto fibroso. Nel gatto adulto troviamo anzitutto una meno netta separazione tra le singole cellule; dove la separazione è più evidente, i limiti cellulari sono «segnati soltanto dalla brusca interruzione dei sistemi di fibrille. In altri — 287 — punti anche i fasci di fibrille acquistano una maggior lunghezza e si fanno più ondulati, alcuni si possono seguire per oltre 100 w, quindi l'insieme del tessuto acquista un aspetto nettamente sinciziale (fig. 1). Ciò non toglie che si vedano qua e là degli spazi chiari tra fasci di fibrille bruscamente interrotti. Le fibrille stesse sono meglio individualizzate che nel cane. I setti di separazione tra i singoli ordini di cellule sono sottilissimi ed incom- pleti, essendo limitati all’intorno dei vasi; non contengono nè fibre elastiche, nè fibre collagene raccolte in fasci. Nessun dubbio che le fibrille da me illustrate negli iridociti del gatto e del cane corrispondano alle formazioni, che furono fino ad oggi conside- rate come cristalli, ma è evidente che la descrizione che ne fu data non è esatta, come pure errata ne è l'interpretazione. Si iratta certamente di fibrille plasmatiche, che si avvicinano a quelle dell'epidermide e delle mucose, e non di cristalli. Stabilito questo, volli vedere se eventualmente esistessero caratteri comuni tra le fibrille endocellulari degli iridociti e quelle d'aspetto collageno del tappeto fibroso. Esclusa la corrispondenza dei caratteri tintoriali, ricorsi alla digestione con pancreatina; le fibrille degli iridociti vennero digerite, non così quelle del tappeto fibroso. Resta dunque assodato che le fibrille delle due forme di tappeto non sono della stessa natura. Ma v'è di più: abbiamo visto che nel cane i setti connettivi tra i varî piani di iridociti contengono fascetti collageni isolati, identici pei loro caratteri a quelli del tappeto fibroso. Quì, sebbene in quantità molto diversa, sono rappresentati i due tipi di struttura del tappeto. ball A LZ ° / WS diven Anonzgige fr (INVASI E } bas ir mey Ri 9 si Bi = Li a Biz allo: UUERTA Faster . ci ala. © Fio {SE i A va ma RIT Daan. bag : } Hi 05°) a not de Î, HU FRE meda (tas J csi Sr V _ hi Ù ) La RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI pervenute all’ Accademia durante le ferie del 1921. (Ogni Memoria o Nota porta a pie’ di pagina la data d’arrivo). NANNA Pa Fisica. — Sull'assorbimento della gravitazione. Nota II del Corrisp. Quirino MAJORANA ('). CONSIDERAZIONI SULL'USO DELLA BILANCIA. — Queste mie ricerche spe- rimentali si fondano sull’uso di una bilancia con un grado di sensibilità eccezionale, variabile a seconda dei casi fra 130 e 370 mm. per mg.; nelle letture si apprezza ad occhio il decimo di mm. Così sperimentando, si com- prende come possa intervenire qualche causa perturbatrice o di errore, che di solito non è presa in considerazione. La prima di esse è la variabilità della sensibilità della bilancia col tempo di carica, con l'intervallo di tempo cioè, compreso tra l’istante in cui si abbassa il giogo e quello in cui si fa la lettura. Si elimina tale causa di errore, portando quel tempo ad un mi- nimo di 4 o 5 ore, e talvolta sino a qualche settimana. CURVATURA DELLO SPIGOLO DEL COLTELLO. — È questa una seconda causa di errore assai complessa, di cui dirò ora brevemente. Lo spigolo di un coltello (acciaio od agata) di una bilancia non può esattamente consistere nella retta geometrica, determinata dall’incontro dei piani limitanti il col- tello ed inclinati l’uno sull'altro per un angolo di circa 70°. Se così fosse, il peso del giogo e quello dei due carichi verrebbe a riversarsi su una zona superficiale infinitesima, il che è assurdo. Per cui, anche se la lavorazione di un coltello è in origine praticamente perfetta, lo spigolo di questo finisce per smussarsi ed assumere un profilo tondeggiante, sia pure in misura ap- (1) Pervenuta all'Accademia il 19 settembre 1921. — 290 — pena percettibile. La sezione normale allo spigolo consiste dunque in una certa curva variabile da caso a caso, che ha un raggio di curvatura (raggio di curvatura del coltello) diverso da zero, al punto di tangenza col piano di agata di appoggio. Trascuro per altro, per ragioni di semplicità, di con- siderare gli inevitabili fenomeni di deformazione elastica che pur debbono avvenire al detto punto di tangenza. Inoltre, è chiaro che, se inconvenienti si manifestano per l'imperfezione dei coltelli, essi provengono da tutti e tre i coltelli della bilancia. Ma io prescindo anche da ciò, e le considerazioni che svolgo, si riferiscono a quanto avverrebbe se solo il coltello centrale fosse difettoso. Ecco ora quali conseguenze si possono prevedere, in base alle esposte considerazioni. CENTRO DI OSCILLAZIONE VERO DELLA BILANCIA. — In conseguenza della curvatura del coltello, il centro di oscillazione della bilancia viene ad essere alquanto rialzato, rispetto al punto di appoggio, e precisamente di un segmento uguale al raggio di curvatura al punto di contatto. All'oscillare della bilancia, il centro di oscillazione può esser dunque mutevole, se il profilo dello spigolo del coltello non è circolare, e propriamente si sposterà lungo l'evoluta, o luogo dei centri di curvatura, del profilo stesso. SENSIBILITÀ DELLA BILANCIA. — Questa è espressa, come è noto, dalla formula da db ecR Da dove da è l'angolo per cui si sposta il giogo, sotto l'azione del sovraccarico dP; è è il braccio della bilancia; P è il peso totale del giogo e dei due carichi; d è la distanza fra il centro di oscillazione (centro di curvatura al punto di tangenza fra coltello e piano di appoggio) ed il centro di gravità del sistema. Può ora mutare (p. e. in conseguenza dell'aggiunta di un lieve soprac- carico) la posizione di equilibrio della bilancia. Si potranno allora dare tre casi: 1° Za curvatura del coltello è costante ; sarà anche costante d, e quindi anche la sensibilità della bilancia, al variare della sua inclinazione. 2° La curvatura del coltello va decrescendo dal punto centrale verso le parti laterati del suo profilo (come dal vertice di una parabola); si vede allora che il 4 va crescendo, e quindi la sensibilità va decrescendo. 3° Za curvatura del coltello va crescendo (come dal punto di mi- nima curvatura di un’ellisse); in tal caso il d va decrescendo, e la sensi- bilità va crescendo. Di questi tre casi, sembra che il terzo sia quello che con maggiore probabilità si verifica in pratica; ciò risulta dalle mie esperienze, come farò vedere. EFFETTO DI UNA ROTAZIONE DEL SOSTEGNO. — Questa rotazione, ge- nerabile, p. e., mediante la manovra delle viti calanti ai piedi di una qua- — 291 — lunque bilancia, e che si trasferisce al piano di appoggio del coltello, va: considerata solo se avviene intorno ad un asse parallelo allo spigolo del col- tello. Essa non avrebbe inoltre alcuna influenza sulla posizione di riposo del. giogo, se lo spigolo fosse idealmente perfetto. Ma in realtà si deve supporre. che esso ha curvatura finita e, nel caso più semplice, che il suo profilo sia rappresentabile p. e. con un arco di cerchio MCN (fig. 1), di centro O. Sia AB il piano di appoggio, inizialmente orizzontale ; esso, per la rotazione si. trasferisce in A'B'. Ma con ciò il centro di gravità G del sistema non resterebbe. Fia. 1. più contenuto sulla verticale passante per il nuovo punto di tangenza C'; occorrerà necessariamente che il coltello ruoti o meglio rotol? sul piano di appoggio. Suppongo per comodità di figura che il punto O- rimanga fisso nello spazio; descrivo l'arco di cerchio GG', con centro in 0; il punto G' sulla verticale per C', corrisponde alla nuova posizione del centro di gravità. L'angolo GOG =@, è quello per ‘cui ha ruotato il giogo od il coltello, il quale ha assunto la posizione M'C’'N', con punto di contatto, in generale, dis- simmetrico ; l'angolo COC" = 8, è quello per cui ha ruotato il piano di ap- poggio, essendo i suoi lati rispettivamente normali ad AB ed A'B". Condu-. cansi EG” e DC’ normali ad OG. Si ha, essendo 00 = 7, ed 0G=4d: E =D =rsen?=4dsena:., ossia: e, per piccoli angoli, (1) Ben es Da cui si vede che se 7 =d, sarà @ = #, cioè: se dl raggio di curvatura è uguale alla distanza fra i centri di curvatura e di gravità, il giogo ruota esattamente per lo stesso angolo per cui ruota il piano di appoggio. Se 7 = d, sarà corrispondentemente a f, cioè : l'angolo di rotazione «del giogo sarà minore 0 maggiore di quello del piano di appoggio, a seconda ‘che sia il centro di gravità al di sotto od al disopra del punto di appoggio. Dall’espressione : d=r SOIT, sen a ‘sì vede che, potendo al massimo essere sena=1, non potrà mai avvenire, per l'equilibrio, che d cn xa, prende- chi i» iS remo co=l e per x>0 si dovrà avere Cn On = Cn +77 (PAT come risulta dalla (1) eguagliando i coefficienti delle stessa potenze di x nei due membri; quindi n(n+1) RIA E AIA “Said ==)... (12) Dunque, l'espressione generale di w,(x) è la seguente funzione intera di x: (mem) (n-M+1) (co) a 2 Voti L'E Se at aa Un)= 2 Tia) a Ciò si vede integrando successivamente (x) tra i limiti (0,x) in base alla (1'). Per a=0, &m(x) si riduce ad x”. 2. Supponiamo che una funzione /(x) analitica regolare nelle vicinanze del punto x = 0, si possa sviluppare intorno a questo punto in una serie uniformemente convergente di funzioni v, cioè mettere sotto la forma Dia Un(2). Si può esprimere facilmente il coefficiente a, per mezzo dei valori che prendono la funzione /(x) e le sue prime x derivate nel punto 4 = 0. Dimostreremo che si ha; 1 al a Se ie_—e—__ > PI ; (2) “coli ea Intanto la formola è vera per 2» =" 0, perchè /(0) =, e per x=1, perchè f'(a)= dove) + an vo(.e) + 2ae ui (e) + + (04 e perciò /"(0)=@,%(0) + a;, ed essendo w(0) = cè 1T_-a =—af0) i =/[f'(0)— il — 297 — Ammettiamo vera la (2) fino ad a, e dimostriamola per @n+1- Derivando /{x) n+1 volte, troviamo: e) = % USO (0) se ni ul (x) + 214 ul! (9) -È ona Us(x) . + (+1)! dnos (40) + (4-2)! (nor (2) + ec È +e), e perxa=0: (3) (0) = do u*"(0) DS di ul” (0) + SE -- (a+ 1) ro Tenendo conto delle espressioni di 49, 41,..-@4n, Cerchiamo il coefficiente di /*(0) (XK <%) nella somma dei primi x | 1 termini del secondo membro della (3). Esso è n—-k r 3 1 SV RI ER e n-k-r+1 (4) 21) (1—a)(1—a?) s(1— ef) U; ?(0). Per X = 1, aggiungendo a questa somma un altro termine dedotto da quello generale facendo r=n—% + 1, otteniamo il prodotto di (a—-k+-1)! per il coefficiente di posto n—-%k+-2 nello sviluppo di (x) in serie di funzioni v, ed essendo tale coefficiente nullo, concludiamo che la somma (4) è eguale a anht1 SI (e _w=._ —"——_t_—_tr_rr__t_ . (5) cal (1—@)(1—@?)...(1—a-k+1) Ora mostreremo che l'eguaglianza tra le due espressioni (4) e (5) sus- siste anche per X= 0; ossia, tenendo conto del valore «f—"*"(0), dimo- streremo che la differenza tra (4) e (5), cioè (N=r+1) (N-r+2) AE ZI ATE SY Rae e Re e è nulla. Se dividiamo tutto per «"+!, l’identità da dimostrare si riduce alla seguente: (ner) maer+1) n+l 1 a 2 ZIA — a)(1—a?)... (1 — a) (1—a)(1—a?)...(1—a"+"-1) iù Denotiamo il primo membro con An+:: per le ipotesi fatte è A, = 0. Per 7 > 1 decomponiamo il numeratore 1 del primo fattore del ter- mine corrispondente in A,., nelle due parti 1— a" ed a"; A,,, si potrà allora decomporre in due somme: la prima è A, ed è nulla, rimane — 298 — (Mr) (M-r+1) n+l Sile PAS r=ò (1—a)...(1—@") (1—a)...(1— a+!) Per 7 = n il secondo fattore del termine generico di questa somma si può decomporre nella somma di queste due parti: Mer) mer+1) (M-r+1) (n-r+2) a s a 2 ene ES) ed allora A,,, si decompone in due parti: una è A,a” e l’altra A,,,@"*!. Abbiamo così A,,,=A,,,@*, A,.,==0. Dalla (8) ricaviamo così anTh+! o)... (1—-@ cosicchè la (2) è vera anche per il coefficiente 4,,,,. 3. In seguito sarà dimostrato che una funzione analitica regolare all’in- terno di un cerchio avente centro nell'origine si sviluppa in serie di fun- zioni x che converge uniformemente in qualunque regione izterna al cerchio. Avremo in particolare in tutto il piano, in base all'espressione di a, per /(x)= l: {94 (0)= > Lyra TI ZIE FP(0) + (+1)! 404, Sd SO reo e da questa, per derivazione, si ottiene lo sviluppo di w;(x): Ù SE < Si 0) (7) be SClra ai Ed ora siamo in grado di dare una formola che presenta una grande analogia con quella di Maclaurin. Sia /(x) una funzione reale che ammetta derivate fino -all’ordine r in ogni punto dell’intervallo (0, x), 7 >0. Poniamo f@=/0 wu +| 110 -77/ (0) Ju) + ; a — ir O+- +1 ia) i Una), We) ae i O con v intero positivo. Si denoti con F(2) la funzione che si ottiene cambiando nel secondo membro l'argomento x di ciascuna delle u in x —, ed in 4 l'argomento — 299 — «o della / e delle sue derivate. Si ha F(0)=F(x)=/(x), quindi la deri- vata di F(s) si annulla in un punto £ interno all'intervallo (0, x). Ora si trova facilmente =| © — gf @+-<+(1 (1-0) =q lay! © | Ù Une (7 Der 8) (a 1)! dove con 9,(x) denotiamo la somma dei termini dello sviluppo di (x) @ partire dall’(n + 1)"°. ) H(a) — f(8) gole — 3), Da F'(f)=0 ricaviamo la seguente espressione per il resto u(x) H(£) «della formola (8) [man iar®+-+ agli 8] A e) uv. (2 — È) v(n—1)! ud È) v Mostriamo che l’ultima parte di questo resto tende a zero al tendere di 7 ad 0. Si ha um(e) > x"; poi, essendo Um(2) = m(" (e — E) wo(£) dé abbiamo un(x) < €" wo(x), quindi In(£)_ | INACANI (2) Uy_i (2) gv Ma e Aa) ACI] => (1—-@)..(1- a") m! > & ant! EIA < Uo(2) 5, (1—-@).. (1-84) ml!’ quindi Ind) re I n A si) Zuo(2) di a(1-—@) (1-4) ml La diseguaglianza si rafforza se al primo membro si mette « — È al posto di x; wr omtl da Infe — USIAZE (0) (1—-a)...(1—a®H) mi ur (LT =) a al cd Un@) le =) HO io e ale 5) n! che è analoga a quella di Lagrange nella formola di Maclaurin. Da essa deduciamo che se /(x) ammette derivate di qualunque or- dine ed /(€) si mantiene limitata qualunque sieno x e & in (0,), f(x) si può sviluppare in serie di funzioni w(x), perchè il resto tende a zero. Infatti, il valore assoluto della prima parte del resto non supera 1 due =Aul£) (1—-@)... (1—-@") n! con A costante, e quest'ultima espressione tende a zero al tendere di x ad co. Così, p. es., troviamo subito lo sviluppo di e7® (0) SS (CI ld n=0 Matematica. — Sull’equazione delle vibrazioni trasversali di un’asta solida, elastica e omogenea. Nota II del dott. FRAN- cesco SBRANA, presentata dal Corrispondente 0. TEDONE ('). 4. Per determinare il limite del secondo membro della (4), osserviamo che le funzioni ar, si annullano su tutta la caratteristica y= %0, © se: ; î dia da r FER e, quindi anche nei punti A e B, che si > , negli stessi punti, diventano CEVEgRA : TRI d« cio : AR) a infinite di ordine 3’ mentre mn ha un infinito di ordine 3° La ricerca del limite propostoci si riduce quindi alla ricerca del limite: » d'a i Mr OO) e=0 S(Yo—£) (1) Pervenuta all'Accademia il 1° luglio 1921. (2) È chiaro che l’esistenza di questo limite risulta senz'altro da quanto precede. vi Si noti che È tende, in A e B, a infinito di ordine maggiore d'uno, cambiando però infinite volte di segno. — 301 — Per raggiungere questo scopo, introduciamo la funzione : Lo TI 2Vyo—y (7) B(x,Y;%0o,Y) = — (Lo 2( (sen 9° +- cos 9°) dp + +e 9 (sen Gelli co MELI (>), ove, ancora, intendiamo il radicale sia preso positivamente. Come subito: si vede, è (8) ei e, quindi, con una integrazione per parti, abbiamo subito, (9) lim n (= udy= VE (ua + Us) e=0 S(Yo—8) a) dÒ du dB 2 +([(8 de De) de io + ndy | di 8(Yo) db Gl’integrali a secondo membro sono ora integrali propri, poichè n è: finita in A e B, mentr in questi stessi punti, di ordine Li Risulta così determinato il limite del secondo membro della (6). Se poi si nota che tra le funzioni @ e f sussiste anche la relazione db da da? 9dY (10) nel limite anzidetto, i termini 2 {and ine (Yo) 8(Y si elidono. Inoltre, per ottenere una maggiore simmetria nelle formule defi- nitive, abbiamo, ancora in conseguenza della (8), e con una nuova integra-- zione per parti : RENDICONTI,; 1921, Vol, XXX, 2° Sem. 39 — 302 — (11) i (tata) VE le, — 5001 (3) + + la — 5001(38)|- J 8 (3,0 + ag) $(Yo) Riunendo tutti i precedenti risultati, e posto, per brevità : (12) Ha VE IG LISI DE: se da + dY da? 8(Yo) db du du. da dè du rt re ae PESATA d È LE RATE at sl ’ | ‘otteniamo, infine : na) 2 (0, Y0) = + un + [Lo — 51(4)] È # + [x — 5(Yo)] i + H(%01%o)- La (13) sussiste, se 0=(x,,%0) è interno al segmento AB. Se 0 è ‘fuori del segmento stesso, si dimostra, similmente. la formula : (14) (en, (E) DE — [on — 8:00] (E) = H(20,%). ‘ove si deve scegliere il segno = secondochè xo > $e(Y0) : 0 xo < F1(Y0) - 5. Come nella formula del Volterra, relativa all'equazione del calore, nella (13) compaiono, oltre alle funzioni al contorno, che determinano la soluzione della equazione differenziale, altre funzioni, che occorre eliminare, se ci proponiamo di risolvere, per l'equazione stessa, il problema di Cauchy, corrispondente al contorno considerato. Si riconosce facilmente, che tale eli- minazione si può effettuare, come nella formula citata del Volterra, se il «contorno s ha forme speciali, e negli stessi casi dal Volterra contemplati. — 303 — Matematica. -—— Sopra i numero delle classi di forme arit- metiche definite di Hermite. — Nota II del dott. ALBERTO BeDA- RIDA, presentata dal Socio L. BrANCHI ('). 8. Conclusioni. I risultati precedenti ci hanno permesso di scrivere le seguenti relazioni, che formano l'oggetto delle attuali ricerche. a) Siano h(4) ed hAuu) (A) È 5 TT dicali d'ordine vr, e v», che figurano in X rispettivamente per e, = cos oa se Ji .____ IT TT : I; Sa. + isen — e per es, = cos — | z7sen —, onde le stesse sostituzioni {1 735° sono presentate dalla funzione DA Va Vyigt + Vidi è dalla Verdi "pl Var Di quindi, ove si prendano come w,=0 e w,==0 due curve d'ordine «, -+ + b, —1 e db>+a,—1,ì gruppi dei punti di contatto v, — punto e vo — punto di Wi w' =0 e wyw==0 con la p= 0 sono equivalenti a quelli delle ywî' wr" = 0 e yi wî° = 0 (giacchè dalle serie cui appartengono i gruppi di contatto dipendono le sostituzioni subìte dai radicali). Pertanto, indicati con D,, Da, Di, Dj, le terne di contatto delle Yi, Ws, Wi ,ws, e con T la terna segata da una retta, saranno (5) @aD +3 Da =D + (41 +8 —1)T:a,D1 + doDs= DI +(a0-+d: le condizioni perchè le X,X' siano identiche. Analogalmente a quanto è stato fatto nel caso ciclico, definiremo come simili (rispetto ai numeri v, e 2) le coppie di gruppi D, e Di, Di e Di, soddisfacenti alle (5). Passando ora dalle curve alle superficie, si consideri una superficie F" data da (4) O x=IVE+VAE se) =0 0 NES — 308 — birazionalmente identica alla F data dalle (4). Per le sezioni 2 = cost. do- vranno anzitutto essere soddisfatte le condizioni di similitudine (5), le quali dicono che le sostituzioni sui punti di F' (cioè sui valori dei radicali della sua equazione) relative ai cicli C; si ottengono dalle analoghe sui punti di F. cambiando n, e7n,inag=nA nl 6 v=nl' nh, questo dunque dovrà accadere oltre che per i cicli C; non nulli, anche per cicli avvolgenti le superficie di diramazione date (sulla varietà riemanniana del cilindro ®) dalle equazioni 9(2)=0 , 9,(e)=0, 0()=0 , 0(4)=0. Il polinomio 0; dovrà dunque differire da 90: gl: per un fattore 03 ele- vato all’esponente v,, e l'analogo dicasi per 05; dovrà cioè essere afrot'— 61 0r*, opa 09 Riassumendo, le condizioni perchè due superficie F_ ed F' rappresen- tate dalle (4) e (4') riescano birazionalmente identiche sono che: 1°) le coppie dei gruppi di contatto delle curve Wi, W.,Wi,W, siano simili, soddisfacendo alle relazioni a D, + 0 Da = DI + (a + dr 1)T, 0D + doDa = Di + (48 + da — 1)T, avendosi 4, primo con 0 = i: b, divisore di o, 4="a,0 — ag9b, primo 4) «CON Va; 20) esistano due polinomi 6, e 0» tali che 0% odi — 96%: gir ga — 0508". In particolare, ove si voglia, 09,= 0 , 9» = 03, dovremo avere: a,==l , =) , bg=1 9 as= 0 ’ sicchè le terne dei punti di contatto di W, e Wi, Ws e ws debbono essere equivalenti. NOTA. I risultati esposti sono stati ottenuti poggiando sul teorema di Abel, che dà la definizione trascendente delle serie lineari : ai risultati stessi si potrebbe pervenire per via analitica in base ai teoremi delle tra- sformazioni delle funzioni ellittiche, o anche per via puramente algebrica, partendo dal teorema d'esistenza, usando le formule numerative inerenti alla divisione delle serie, ed osservando che Vy, e Vw? danno lo stesso irrazio- nale ove sia % primo con n. Ma non crediamo necessario diffonderci qui su «questa seconda via. — 309 — Fisica matematica. — Una nuova teoria dello spostamento delle linee spettrali. Nota di GiuLio KRALL, presentata dal Socio T. LevI-CIVITA (1). La teoria generale di relatività dà il mezzo per calcolare la variazione apparente che un campo gravitazionale produce sulla frequenza di un oscillatore. Allo stesso risultato si può pervenire in modo elementare, associando alle nozioni fondamentali dell'ottica e della meccanica classica unicamente i due postulati di materializzazione e di quantizzazione dell'energia. Così il problema viene posto sotto un aspetto accessibile all’intuizione diretta. Infatti, consideriamo un oscillatore atomico che, tanto per fissare le idee, si trovi sul sole. Esso emette, ogni qualvolta un elettrone passa da un'orbita possibile ad un’altra, una quantità di energia data da: (1) hv = Em &n La (1) esprime la condizione di frequenza di Bohr; em ed «, rappresen- tano i valori dell’energia dell'elettrone nelle due orbite possibili, % la costante universale di Plank e v la frequenza. Per il principio di materializzazione dell'energia, la massa del quanto sarà data da: dove e è la velocità della luce. Allorchè questo quanto dovrà raggiungere l'osservatore posto a distanza infinita, o almeno tale che il valore del potenziale possa essere praticamente considerato nullo, la sua energia di posizione, ossia il potenziale (il che è quanto dire la funzione potenziale cambiata di segno) si troverà incremen- tata di AR ULI Ta re se K è la costante di Newton, 7 il raggio del sole, M la sua massa. Ammettiamo, poichè una tale ammissione ci sembra naturale e spontanea, (') Pervenuta all'Accademia il 28 settembre 1921. RenpICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sem. 40 — 310 — che non ci sia differenza qualitativa fra questa energia (di posizione) addi- zionale e la energia %v che il quanto possedeva sul Sole. Sicchè quando: il quanto sarà giunto a distanza infinita, un osservatore che ne misurasse- l'energia, la troverebbe uguale a: hv hv + K ca M e potrebbe argomentare che il campo gravitazionale è modificata la frequenza. dell’oscillatore in modo da ridurla ad un valore: OY che la semplice equazione M hy hvo = hyv | K Pa ai gli può fornire. Da questa infatti si ottiene I M Ca) »=v(1+K3). ; 3 : M e chiamando il potenziale — K 7 600 Pa, Segue: &) eli a) Di e? Ko , M DT 3 Il valore = — K va che si ottiene dalla (2,) coincide con quello calcolato da Einstein. Concludendo vediamo come applicando il principio di materializzazione- e di conservazione dell'energia, unitamente alla teoria dei quanti che domina il modello atomico di Bohr, siamo giunti al risultato che un campo gravi- tazionale modifica la frequenza di un oscillatore relativamente ad un osser- vatore che si trovi in punto dello spazio per il quale il potenziale del campo assuma un valore differente da quello che à nel punto in cui si trova l’oscil- latore. Notiamo che se il potenziale nel punto in cui si trova l’atomo è il valore ga, e quello assunto nel punto in cui si trova l'osservatore è o , l’espressione più generale por la frequenza è data da : Pa — Po Vo = "(1 = fa) che per go = 0 ricade nella (2). — 311 — Chimica. — Nuovo metodo di dosaggio dell’arsenico negli acciai (*). Nota di C. Mazzetti e P. AGOSTINI, presentata dal Corr. N. PARRAVANO (?). Per il dosaggio dell’arsenico negli acciai sono stati proposti numerosi metodi i quali suggeriscono di operare sostanzialmente nell’una o nell’altra delle due maniere seguenti: 1°) precipitare l’arsenico allo stato di solfuro e pesarlo come tale o come piroarseniato di magnesio; 2°) separare l’arsenico per distillazione allo stato di cloruro e dosarlo o volumetricamente con iodio o KBr03, oppure per pesata come piroarseniato o solfuro. Il metodo di dosaggio più generalmente usato nelle acciaierie è quello riportato da Ledebur: si scioglie l'acciaio in acido nitrico, si evapora a secco la soluzione, si arroventa il residuo fino a che non si sviluppano più fumi rossi di ipoazotide, si riprende con HCl, si addiziona il liquido di KBr e solfato di idrazina e si distilla. Nel distillato si dosa l'arsenico con KBr0, e metilarancio come indicatore. Oltre il solfato di idrazina, varie altre sostanze sono state consigliate come riducenti dell’arsenico, così il solfato ferroso (*), il cloruro ferroso (*), il cloruro rameoso (5), e recentemente anche il rame (°). Questo procedimento che, nelle mani di un analista sperimentato, dà ottimi risultati, presenta però degli inconvenienti. Anzitutto le varie manipolazioni immobilizzano per troppo tempo l’ope- ratore, e, in secondo luogo, nel riprendere con acido cloridrico il residuo arro- ventato si possono avere facilmente perdite di arsenico. E ciò senza tener conto che volendo rinunciare, come sempre si fa, a pesare l’arsenico, la titolazione con KBr 0; consigliata da Gyòry (7) e gene- (!) Lavoro eseguito nell'Istituto Chimico della R. Università di Roma. (3) Pervenuta all'Accademia il 17 agosto 1921. (3) Blair, Chemical Analysis of Jron, 88 edizione, p. 194. (4) Brearley-Borvin, Béranger, 1905, p. 145. (5) Villavecchia, Chim. anal. applicata. vol. 1, p. 240. (6) Compagno, Giorn. di Chim. Ind, ed appl. II, 1920, 493. (7) Zeit. analvt. Ch. 32, 415. — 312 — ralmente oggi adoperata, presenta l'inconveniente di dosare qualunque altra sostanza riducente che eventualmente possa trovarsi presente nel liquido da saggiare. Si è pensato perciò di sostituire a questo metodo un altro che offra una maggiore sicurezza di risultati e sia più facile e spedito a eseguirsi. Tralasciando i documenti analitici che giustificano il nostro modo di operare — e cho saranno esposti dettagliatameute altrove — ci limiteremo quì ad indi- care senz'altro il nuovo metodo di dosaggio che noi proponiamo. Gr. 10 di truccioli di acciaio si trattano con 80 ce. di acqua regia (1 acido nitrico -+- 3 acido cloridrico) che vengono aggiunti a piccole porzioni. Si opera in capsula di porcellana coperta da vetro. Compiuta la solu- zione si porta a secco su bagno di sabbia), si riprende il residuo con 60-80 ce. di acido cloridrico, si filtra il liquido attraverso crogiuolo di Gooch per sepa- rare silice e carbone, si travasa il liquido in una bevuta da 500 cc. e si aggiungono circa 75 ce. di reattivo di Bettendorf (400 gr. di SnCl.. 2H,0 in 1000 di HCI di densità 1,18). Si chiude la beuta con pera di Kjehldall e la si porta a b, m. man- tenuto ad una temperntura fra i 40 e 50°. Si lascia la beuta a caldo fino a che tutto l’arsenico si sia depositato nel fondo. Si filtra attraverso filtro Berzelius con leggera aspirazione e si lava con acqua fino a scomparsa della reazione del ferro. Si asporta il filtro dall’imbuto e lo si introduce in un matraccio da 100 cc. in cui sono contenuti 20-30 ce, di acqua. Si dibatte il liquido in maniera da spappolare bene il filtro. Si aggiungono 10-15 ce. di J N/10, si porta, agitando, l’As in soluzione e si titola in presenza di fosfato o di bicarbonato fino a colorazione violetto- - rosea con salda d’amido (') (yellowish-pink). Le prove sono state fatte con due metalli Standard inglesi, un acciaio ed una ghisa ematite, ed un acciaio di cui si è determinato per confronto il contenuto in As col metodo di Ledebur. I risultati ottenuti sono i seguenti: (*) Washburn, Am. Chem. Soc. 30-43 (1908). — 313 — As °/o Tipo del campione As trovato vu Differenza trovato nominale Acciaio basico 0.0140 0140 0.140 È » {_,| 00143 | 0.143 | 0.140 | +0003 ha (SI Ghisa ematite/ È | 0.0051 | 0.051 | 0.042 | +-0.009 A a \ | 00050 | 0.050 | 0.042 | + 0,008 P 3 0.0050 | 0050 | 0.042 | + 0.008 | | Titolazione | Î | Ledebur Acciaio a 0,10 di C.| 00090 | 0.090 a » »|0.0095| 0095 0.098 ”» ”» » | 0.0096 | 0096 0.095 ” ” n | 0.0094 | 0.094 Come si vede i risultati non potrebbero essere più concordanti e noi crediamo perciò di poter proporre l’uso del nostro metodo accanto, e in molti casi a preferenza, di quello di Ledebur. Chimica. — Carvomentoli levogiri dal fellandrene (*). Nota II del dott. Vincenzo PAOLINI, presentata dal Corrisp. A. PERA- TONER (°). L’a-fellandrene (3), che servì da materiale di partenza per le mie ri- cerche, aveva le seguenti costanti: p. eb. 75° a 15 mm; d go = 0,848 ; np, = 1,4769; ap = — 81930" vale a dire presentava tutti i caratteri del fellandrene che si ricava per di- stillazione frazionata dell'olio di Eucalyptus amygdalina (‘). Nitrosito di a-fellandrene. — Gr. 100 di fellandrene disciolti in 559 ce. di ligroino sì versano in un vaso di vetro sottile sopra una soluzione di 37 gr. di acido solforico in 150 cc. di acqua, e si raffredda molto bene. Mentre si mantiene il contenuto del vaso in leggiera agitazione, si fanno arrivare al fondo, molto lentamente, gr. 230 di una soluzione di nitrito sodico al 44%. (') Lavoro eseguito nell'Istituto Chimico-Farmaceutico nella R. Università di Roma. (*) Pervenuta all'Accademia il 16 agosto 1921. (3) Colgo l’occasione per ringraziare sentitamente la Casa Schimmel e C. di Lipsia che disinteressatamente mise a mia disposizione una notevole quantità di materiale di ricerca. (*) Die atherischen Oele - II Auflage von E. Gildemeister, pag. 340. — 314 — L'operazione dura circa un'ora ed un quarto. Il precipitato voluminoso viene raccolto, ben lavato, e purificato col metodo descritto dal Wallach (!), per precipitazione con alcool metilico da una soluzione molto concentrata in clo- roformio. Si presenta in cristalli aghiformi, completamente bianchi, fusibili a 105°, dotati di tutti gli altri caratteri fisici del nitrosito del @—fellandrene. Nitro- a. fellandrene (®). — Gr. 10 di nitrosito di fellandrene vengono introdotti poco a poco in una soluzione ben raffreddata di potassa alcoolica, fatta con gr. 10 di idrato potassico, gr. 10 di acqua, ce. 90 di alcool asso- luto. Dopo qualche ora al liquido limpido aggiungendo acido solforico di- luito, precipita il nitrofellandrene come olio giallo, di odore di chinone, irri- tante gli occhi. Distillato in corrente di vapore ed estratto con etere, viene distillato nel vuoto; bolle a 134-138, sotto 12 mm. di pressione. Riduzione del nitro- «.fellandrene. — In una soluzione di gr. 20 di nitrofellandrene in ce. 800 di alcool assoluto si introducono gr. 70 di sodio tanto rapidamente, da mantenere uno sviluppo vivace di idrogeno. A reazione finita si diluisce con acqua e si distilla con vapore. Il distillato risulta da un miscuglio di chetone C,6H,g0, tetraidrocarvone, dell'alcool corrispondente, e di fellandrenammina, sostanze che si separano facilmente raccogliendo il distillato in una soluzione di acido ossalico. Agitando con etere passa nel solvente il miscuglio di chetone e di alcool. mentre la base resta salificata. Per evaporazione dell'etere rimane un olio che presenta l'odore caratteristico del carvomentolo; viene purificato assoggettandolo ad una nuova riduzione con sodio ed alcool etilico. Il carvomentolo così ottenuto presenta i seguenti caratteri: p. eb. 218° (corr) ; dio = 0.9073 ; 21; = 1,468 ep= — 99,50’ (tubo lungo 1 dm) onde [a]p= — 10°, 83". Ftalato acido di l-a.carvomentolo. — Gr. 10 di carvomentolo di ri- duzione, disciolti in 40-50 cc. di benzina di petrolio (60-7C°), si fanno reagire con un eccesso di sodio metallico (gr. 3 invece di 1,5) per 10-12 ore, e dopo questo tempo la soluzione del sale sodico, decantata dall'eccesso del metallo, si fa gocciolare nella quantità teorica di anidride ftalica (gr. 9,5), sospesa in 300-400 cc. di etere di petrolio. Dopo riposo di 48 ore, al pro- dotto della reazione si aggiungono 300-400 ce. di acqua lievemente alcalina per idrato sodico; in tale modo si asporta in forma di sale sodico quasi tutto l’etere ftalico acido. Il liquido alcalino, lavato con etere di petrolio, si acidifica con acido solforico diluito; separasi rapidamente l’etere acido in forma di sostanza oleosa, giallognola, che per soggiorno sott'acqua alle tem- perature invernali di 8-15° poco a poco indurisce. (*) Annalen, 287, pag. 373. (2) Annalen 336, pag. 31. — 315 — Questo derivato ftalico è un miscuglio di diversi eteri; sottoponendolo, ‘infatti, ad una serie di precipitazioni frazionate mediante ligroina dalla sua soluzione benzolica, il punto di fusione si eleva notevolmente, e da ultimo per cristallizzazione dall'etere di petrolio bollente si ricava una bella so- ‘stanza in ciuffetti di aghi bianchi, il cui punto di fusione 89° ed il cui po- tere rotatorio specifico [a]p =-- 45°,04 non si alterano per cristallizza- ‘zione ulteriore dalla benzina, o pure dall'alcool. All'analisi: gr. 0.401 di sostanza consumarono ce. 13,15 di Na0H3t, ‘mentre un acido monobasico COOH. CsH..C,5H,g richiede ce. 13,17 di alcali. Rotazione: sostanza gr. 13,319: alcool assoluto 100 cc. an = — 12°,00' (tubo lungo 2 dm) onde [a]p = — 45°, 04". l-a.Carvomentolo. — Gr. 15 del puro ftalato acido precedente furono disciolti in 60-70 cc. di potassa alcoolica doppio normale, e la soluzione venne riscaldata per !/, ora a bagno maria. Dopo diluizione con acqua si distillò in corrente di vapore. Lo strato galleggiante di carvomentolo venne disciolto in etere, la soluzione eterea disseccata con carbonato potassico; per ‘evaporazione del solvente rimase il carvomentolo bollente tutto a 218° (corr.). Liquido denso, incoloro, di odore aromatico gradevole; sinistrogiro: d,50 = 0,9074 ; np.so = 1,463 ; ap = — 189,80" (tubo lungo 1 dm) onde [a]p = — 20°, 88'. I-B.Carvomentolo e suoi ftalati. — Le acque madri riunite di cri- ‘stallizzazione dello ftalato acido sopra descritto, lasciano depositare un se- condo ftalato, molle sciropposo, restio ad ogni solidificazione. Si presta però alla preparazione di un sale doppio con l'argento, cristallino, che sì ottiene precipitando con nitrato argentico la soluzione dell'etere acido in acqua ‘aggiunta della quantità strettamente calcolata di ammoniaca. Lo ftalato «doppio argentico è insolubile in acqua. solubile in cloroformio, facilmente cristallizzabile dall'alcool. Fonde a 175-176°. Rimettendone in libertà l’etere acido, permanentemente molle resinoso, ‘e saponificato questo con potassa alcoolica, sì ricava per distillazione col ‘vapore un carvomentolo sinistrogiro, dalle seguenti costanti : p. eb. 218° (corr) ; di; = 0,9071 ; npis = 1,463 en = — 7°,50' (tubo lungo 1 dm) ; onde [a], = — 8°. 63". — 316 — Chimica. — Di alcuni prodotti di ossidazione del pirrolo (!). Nota di ANTONIO PIERONI, presentata dal Socio A. ANGELI (°). La tendenza che ha il pirrolo a formare per azione degli ossidanti pro- dotti neri o bruni, per il loro aspetto ed il loro comportamento del tutto simili alle melanine naturali, tanto diffuse negli organismi, fece supporre ad Angeli la possibile esistenza di relazioni fra pirrolo e melanine. Data questa supposizione, al fine di giungere a qualche risultato sulla natura delle “5melanine stesse, era naturale che si istituissero anzitutto ricerche per la determinazione della struttura dei neri di pirrolo. Alla soluzione di questo importante problema, si pensò che si potesse giungere sia sottoponendo i neri di pirrolo a processi di demolizione, sia studiando direttamente i prodotti di ossidazione graduale del pirrolo, ed anche ricercando in quale modo i nuclei pirrolici sono capaci di legarsi fra loro, o con altri nuclei per dare complessi analoghi ai neri in questione. Scopo delle presenti ricerche è appunto lo studio del più semplice pro- dotto di ossidazione del pirrolo che precede la formazione del nero corri- spondente e dei prodotti che si ottengono fra alcuni metil-pirroli ed il chinone. Se si lascia a temperatura ambiente per sette giorni circa una soluzione di gr. 37 di pirrolo in gr. 350 di acido acetico e gr. 37 di peridrol, e si neutralizza il prodotto della reazione con carbonato di calcio, indi si estrae la massa con cloroformio, si riesce ad isolare un prodotto (*) che dal benzolo si separa in aghi brillanti di color bianco, fondenti a 136° con annerimento. La sua formula corrispondentemente ai risultati analitici è: CxHioN:0 ed il suo peso molecolare, per via crioscopica, è risultato di 159, mentre il calcolato è 150. Scaldato, i suoi vapori colorano intensamente in rosso con fuscello di abete bagnato con acido cloridrico. Dalle sue soluzioni, a contatto con l'ossigeno atmosferico, si separa, a lungo andare, nero di pirrolo. (') Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica organica del R. Istituto di Studî Superiori di Firenze. (3) Pervenuta all'Accademia il 5 settembre 1921. (3) Angeli e Lutri, Gazzetta Chimica, 50 (1920) vol. I, pag. 128. — 817 — In soluzione acquosa precipita con nitrato d'argento leggermente ammo- niacale; con una soluzione di iodio in ioduro di potassio in presenza di po- tassa caustica, dà un prodotto grigio che fonde a 163° decomponendosi e svolgendo vaporì violetti di iodo. Bollito con potassa diluita non libera ammo- niaca, non reagisce con acetato di fenilidrazina. Trattato con dimetilamino- benzaldeide e acido cloridrico dà colorazione violetta meno fugace di quella che nelle stesse condizioni si ha col pirrolo. Con cloruro ferrico o con ni- trito di sodio ed acido acetico, dà, dopo qualche tempo, un pulviscolo nero- bruno. L’ossidipirrolo, che così si può chiamare il nuovo prodotto, sciolto in acido acetico concentrato e trattato con peridrol alla temperatura del b. m. dà succinimmide ed una sostanza densa sciropposa insolubile in ben- zolo, solubile in acqua, alla quale impartisce reazione acida. Se si bolle a ricadere con potassa per circa un'ora e dopo raffreddamento si ossida con permanganato, indi si filtra, sì concentra, si acidifica ed infine si estrae con etere; per evaporazione si ottiene un prodotto bianco cristallino, che dà la reazione del fuscello e fonde, non completamente purificato, a 180°; scaldato debolmente con acido solforico diluito si colora in rosso. Sciolto in alcool e trattato con p.bromofenilazossicarbonammide (e ) in s0- luzione alcalina si colora in rosso violetto. Questi caratteri fisici e le reazioni qualitative descritte sono proprie dell'acido a-pirrolcarbonico. Data la piccolissima quantità di prodotto che avevo a disposizione, non mi fu possibile fare nessuna determinazione quantitativa. L'ossidipirrolo sciolto in alcool per aggiunta di un eccesso di p.bromo- fenilazossicarbonammide e alcune goccie di una soluzione alcoolica di po- tassa dà un'intensa colorazione rosso violetto da cui per evaporazione e ri- cristallizzazione dal benzolo, si riesce ad isolare il di-p.bromofenilazopirrolo HC_-CH TT I ne Cristallizzato in begli aghi di color rosso a riflessi rameici fonde a 208° (1). Lo stesso prodotto si ottiene anche dall’acido a-pirrolcarbonico in soluzione alcoolica per azione della bromoazossicarbonammide e potassa. Per il comportamento dell’ossidipirrolo rispetto all’ossigeno atmosferico ed agli ossidanti, come il cloruro ferrico, per cui si forma il bruno nero caratteristico derivante dal pirrolo e rispetto al permanganato per cui si forma l'acido @-carbopirrolico e per tutte le altre reazioni descritte, ma spe- (1) Su questo prodotto dirò dettagliatamente in altra Nota. ReENDICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sem. 41 — 318 — ‘cialmente per quest'ultima, comune all'acido «-pirrolcarbonico, si deduce che la sua formula di costituzione è rappresentata verosimilmente da: HC TI di ia e NH NH o da altra a questa tautomera dove anche non resta esclusa la possibilità dell’ossidipirrolo a condensarsi, in condizioni opportune, con altri nuclei pir- rolici od ossipirrolici per generare complessi sempre più grossi e sempre più colorati dal bianco lievemente grigio al nero. Come già fu detto più sopra allo scopo di indagare sulla capacità del pirrolo a legarsi anche con altre molecole sotto l'azione di ossidanti, feci contemporaneamente altre ricerche sottoponendo il 2-5 ed il 2-4 dimetil- pirrolo all'azione del chinone sia in soluzione acquosa sia alcoolica ed ace- tica. In tutti i casi si ottiene una soluzione che va colorandosi intensamente e rapidamente dal giallo al violetto e al bruno e più tardi depone una pol- vere bruno-nera costituita da due porzioni una solubile e l’altra insolubile nell’acido acetico concentrato. Queste trattate con alcali dànno delle soluzioni bruno, limpide, da cui si separano per acidificazione. Analizzate diedero entrambe per gli elementi componenti delle percentuali a cui corrisponde bene la formula CisHisNO; per cui supposi che i due prodotti bruno neri ottenuti potessero anche deri- vare da tre molecole di chinone riunite in un modo qualunque ad un residuo ammoniacale proveniente da processi di decomposizione dei pirroli, senonchè tale ipotesi si dimostrò subito insostenibile. Se si pone in soluzione acetica chinone ed acetato d’ammonio si separa dopo alcuni giorni una polvere nero- bruna del tutto simile a quelle che si ottengono fra chinone e dimetilpirroli, ma mentre queste scaldate con o senza potassa dànno fumi che colorano in rosso il fuscello d’abete bagnato in acido cloridrico, l'altra nelle stesse con- dizioni, dà fumi che non lo colorano affatto, mentre odorano intensamente di fenolo. La polvere nero-bruna ottenuta dal chinone ed acetato d’ammonio analizzata diede per gli elementi componenti percentuali a cui corrisponde bene la formula Cie HoNOg . Inoltre i neri ottenuti dal chinone e i dimetilpirroli, ossidati prima con permanganato, quindi con bicromato potassico ed acido solforico, diedero, — 319 — come prodotto finale, acido acetico che riconobbi con le reazioni che condu- cono all’ossido di cacodile e all’acetato di etile; invece il nero ottenuto con acetato d'ammonio e chinone per ossidazione con permanganato e bicromato potassico, come detto più sopra, non dà acido acetico; per cui si deve con- cludere che l'acido acetico che si ottiene nel primo caso è dovuto alla pre. senza dei metili legati al nucleo pirrolico. Si ha dunque ragione di ammet- tere come probabile per l'uno la formula: (CH,03):NH per gli altri invece la seguente: (CH3):| —YNH(C5H30;):. Dai fatti descritti risulta che i pirroli sostituiti sono capaci di legarsi ad anelli chinonici tanto con atomi di carbonio in @ quanto in 8. Il fatto poi che la composizione centesimale del nero solubile in acido acetico e di quello insolubile è identica, dimostra che questo è un polimero dell’altro e che la formula scritta non è che l’espressione più semplice del prodotto di reazione fra chinone e dimetilpirroli. Deve dunque avvenire, per questi composti, un fatto analogo a quello per cui dalla fenilchinondiimmina, gialla, sì passa al nero di anilina. Due molecole di chinondiimmina NH=CH,j=N—CgH; unendosi fra loro formano una immina ‘azzurra, la smeraldina od azzurrina CHsN=C;H=N—CGH,— NH. CH,. NH; da questa per ossidazione con biosside di piombo si ha un’immina rossa: CHs-N=CGH=NT—CGH,.N=CH,= NH e da due molecole di questa finalmente il nero di anilina: CH; N=C;H, =N—-CGHNH—CH,N=CH,N=C,H,=NH . — 320 — Chimica. — // punto di ebullizione delle miscele idroalcoo- liche-zuccherine (*). Nota dî U. PRATOLONGO, presentata dal Socio A. MENOZZI (?). La commissione — Dumas, Desains e Thenard — incaricata nel 1876 dall'Accademia delle scienze di Parigi di sottoporre a controllo l'apparecchio. Malligand per la determinazione ebulliometrica dell’alcool nei vini, aveva rilevato. inducendole dai risultati delle ricerche da essa istituite, alcune ano- malie nel comportamento ebullioscopico del glucosio e del fruttosio in solu- zione idroalcoolica. Rilevata l'anomalia, la commissione si propose allora di approfondire lo studio (*); nè la commissione, per quanto è a me noto, ha mantenuto il proposito, nè altri l’ha finora raccolto ed eseguito. Sottoponendo a nuova indagine i fondamenti del metodo ebulliometrico. di determinazione dell'alcool nei vini, ho dedicato una serie di ricerche spe- rimentali alla determinazione dell'influenza che i costituenti normali del vino spiegano sul punto di ebullizione delle miscele idroalcooliche. Riscontrate le anomalie di comportamento ebullioscopico già supposte dalla commissione, ho creduto peraltro opportuno, dato l'interesse e la singo- larità delle anomalie stesse, estendere l'indagine oltre i limiti di variabilità di composizione dei vini, all'intero campo, o almeno alla sua parte accessi- bile, di variabilità delle soluzioni idroalcooliche-zuccherine, così che le ano- malie risultanti nel campo della composizione dei vini rientrassero nel quadro. generale delle anomalie di comportamento delie soluzioni idroalcooliche-zuc- cherine. I risultati conseguiti in tale ricerca formano l'oggetto della presente Nota. Sebbene dal punto di vista applicativo il comportamento ebullioscopico delle soluzioni idroalcooliche di glucosio e quello delle soluzioni idroalcoo- liche di fruttosio fossero ugualmente interessanti, pure la difficoltà di otte- nere fruttosio puro in quantità sufficiente non mi ha consentito di estendere la ricerca stessa all'intero sistema acqua-alcool etilico-fruttosio. Lo studio (') Lavoro eseguito nel Laboratorio di chimica agraria della R. Scuola superiore d’agricoltura in Milano. (*?) Presentata nella seduta del 3 aprile 1921. (3) C. R. de l’Académie des sciences, vol. 80, pag. 1124, an. 1875. — 321 — di questo sistema ha dovuto esser limitato ad alcuni punti più interessanti dal punto di vista applicativo. Lo studio del sistema acqua-alcool etilico-glucosio è stato invece SR alla parte accessibile dell'intero sistema. Le determinazioni dei punti di ebullizione delle miscele idroalcooliche zuccherine vennero compiute in un apparecchio ebullioscopico di foggia con- sueta, munito di refrigerante ad acqua. A norma dell’approssimazione ri- chiesta o consentita dalla determinazione, la misura della temperatura era data da un termometro Beckmann al centesimo di grado o da un termo- metro al decimo. Dato il forte mutamento di composizione che le miscele idroalcooliche subiscono pel fatto dell'ebullizione, la determinazione dei punti di ebulli- zione delle miscele idroalcooliche zuccherine presenta singolari difficoltà, che possono essere superate solo con l'adozione di alcuni accorgimenti e di qualche convenzione. I risultati ottenuti mantengono il loro valore comparativo solo ove si mantenga rigorosamente costante la frazione di distillato che bagna il refri- gerante e quindi l'errore connesso alla variazione di composizione della mi- scela bollente pel fatto della parziale distillazione; il che implica che si mantenga rigorosamente costante la sorgente calorifera e regolare l’ebulli- zione, evitando con gli accorgimenti consueti anche i piccoli sovrariscalda- menti. Data l'incertezza delle correzioni, ho preferito dare i dati incorretti, ‘che riescono perciò solo approssimati nel loro valore assoluto, ma che man- tengono il loro valore relativo. Le determinazioni sono state compiute a pressione atmosferica normale o così poco diversa da rendere trascurabili le correzioni relative. Le miscele vennero preparate con acqua ed alcool puro a 99,5% e con glucosio puro e anidro. Il glucosio di cui mi sono servito per la preparazione delle miscele era in parte di mia preparazione e in parte di preparazione del prof. Con- tardi, che me lo ha gentilmente favorito. I due prodotti erano stati ottenuti per idrolisi dal saccarosio e cristal- lizzati da alcool. La rotazione specifica dei due prodotti era rispettivamente [a]}= 52. — (= 022% Quali punti di ebullizione delle miscele idroalcooliche ho adottati quelli ottenuti e pubblicati da W. A. Noyes e R. R. Warfel (Journal Americ. Chem. Society, 23, 463, an. 1901). — 322 — Per le soluzioni acquoso-zuccherine mi sono valso dei risultati ebullio- scopici pubblicati da F. Jiittner (Zeitschr. Physik. Chemie, 38, 108, an. 1901). La serie dei dati ebullioscopici ottenuti è raccolta nella tabella se- guente. Il diagramma che segue dà la traduzione grafica dei dati raccolti nella tabella precedente. Glucosio Acqua Alcool etilico I punti di ebullizione delle miscele idro-alcooliche-zuccherine. I PUNTI DI EBOLLIZIONE DELLE SOLUZIONI IDROALCOOLICHE-ZUCCHERINE.. IL SISTEMA ACQUA - ALCOOL ETILICO - GLUCOSIO. 0 3 Dì Tra De COMPOSIZIONE DELLA MISCELA °/, in peso PunTO DI EBULLIZIONE a pressione Acqua Alcool etilico Glucosio normale = 100. — 33 78300 2.5 97.5 = 18.191 Db. 95. — —_ 78.177 7.5 92.5 = 78.241 dior 90. — = 78.328 lot 85. — = 78.645 205 80. — na 79.050 25. — oa = 79.505 don 711. = 79.862 35. — 65. — = 80.438 doi Do. — = 81.77 52. — 48. — = 82.48 65. — do. — = 83.87 TA. Lod == 85,41 80. — 20. — “i 87.32 A 10. — = 91.80 94. 5 9.5 = 94.84 rio 3.— = EHFIi 98. — 2. = 98.05 Sb = = 98.95 91.56 | — 8.44 100.271 83.7 —_ 16.3 100.618 79.4 _ 20. 6 100.780 lo _ 28.4 101.180 64.7 — 85.3 101.613 92. 62 3.85 3. 58 96.06 88. 09 8. 68 8.23 96.16 84. 30 7.35 8.35 93.14 80. 50 11.10 8.40 90.55 33. 33 33. 33 33. 34 81.6 66. 68 16. 66 16. 66 88.2 16. 66 66. 68 16. 66 80.1 41. 67 41. 67 16. 66 82.0 o0= 25. 25. — 83.5 25 — 50. — 25. — 80.5 20. — 20. — 60. — 81.7 60. — 10. — 30. — 90.5 40. — 15. — doge 83.5 10. — 60. — Sl — VER! 15.— 40. — 45. 79.8 30. — 10. — 606= 87.4 10. — 30, — 60.— 80.1 W. A. Noyes e R. R. Warfel. F. Jiittner (1). U. Pratolongo. () Le percentuali sono calcolate sui dati forniti dall'autore. ddt Il diagramma precedente, che traduce e illustra i risultati delle deter- minazioni ebulliometriche eseguite, rivela chiaramente il carattere e la mi- sura dell'anomalia ebullioscopica delle soluzioni idroalcooliche zuccherine, già rilevate dalla Commissione Dumas-Desains-Thenard. Se l'anomalia non raggiunge i valori presunti dalla commissione (1), essa costituisce tuttavia una singolarità notevole per sè e per l'interesse che essa offre nei riguardi dell'ebulliometria applicata. Per quanto è dato arguire in base al limitato numero di ricerche com- piute, il comportamento ebullioscopico del /ruttosto in soluzione idroalcoo- lica, si rivela del tutto analogo a quello del glucosio. Il diagramma prece- dente può ugualmente essere assunto a rappresentazione grafica del sistema acqua-alcool etilico-fruttosio. Chimica. — Azione dell’Aspergillus glaucus sulla glicerina (®). Nota di F. TraeTTA-MoscA e MARGHERITA PRETI, presentata dal Socio E. PATERNÒ (°). In un lavoro precedente, il dott. F. Traetta-Mosca (4) facendo fermentare delle soluzioni di saccarosio, glucosio, levulosio, alle quali si aggiungevano i soliti sali nutritivi, con un tipo di Aspergillus glaucus isolato da lui, ottenne come risultato della fermentazione una sostanza cristallizzata in aghi prismatici bianchi, fusibili a 154°, solubili in acqua, in alcool, in ace- tone. Questa sostanza dava con cloruro ferrico una intensa colorazione rosso- vinosa, ed aveva la composizione CsHg0,. Abbiamo voluto sottoporre all’azione dello stesso Aspergillus la glice- rina, per vedere se si otteneva la medesima sostanza, oppure qualche altro prodotto fermentativo. Abbiamo preparato perciò delle soluzioni di glicerina al 3% con i co- muni sali nutritizii, e, dopo sterilizzazione, le abbiamo innestate con la (') La commissione aveva supposto (loc. cit., pag. 1124) che il glucosio e il frut- tosio potessero abbassare il punto di ebullizione delle miscele idroalcooliche. Le deter- minazioni eseguite dimostrano che il fatto è reale solo per gli alti titoli alcoolici — al disopra del 15 % in volume — o per gli alti titoli zuccherini — al disopra del 10 % — quindi fuori del campo di variabilità di composizione dei vini. Si deve peraltro rilevare (ciò che pare è sfuggito alla commissione) che una soluzione idroalcoolica-zuccherina di composizione sia pure compresa entro tali limiti, presenta un punto di ebullizione supe- riore a quello del solvente, ma inferiore a quello della soluzione idroalcoolica di egual titolo alcoolico. Per maggiori dettagli mi richiamo ad un mio recente lavoro, ch'è apparso nel Giornale di chimica industriale ed applicata, vol. III, nn. 4, 6 e 7, an. 1921, (2) Lavoro eseguito nell’ Istituto chimico della R. Università di Roma. (8) Pervenuta il 5 agosto 1921. (4) Ann. di chimica appl., V. I, pag. 477 (1914). — 325 — muffa, e tenute in termostato a 37° per due mesi. La muffa si è sviluppata rigogliosamente alla superficie. Indi previa filtrazione si è estratto il liquido con etere acetico, e distillato questo a piccolo volume, per raffreddamento si separa una sostanza cristallina. Ricristallizzata dall’acetone in presenza di carbone animale, si ottiene in cristalli aghiformi prismatici fusibili a 154°, bianchi, solubili in acqua, alcool acetone, meno in etere acetico ed in etere solforico, insolubile in benzolo, cloroformio, instabile al permanganato (prova di Bayer). Con cloruro ferrico si colora in rosso vinoso intenso. Analisi: sostanza gr. 0,1576; CO,=gr. 0,2956; H.0O=gr. 0,0653; C=51,15%; H=4,53%. Calcolato per CsH50,4; C= 50,7%; H=4,2%. Determinazione del peso molecolare (crioscopia in acqua distillata). N Concentrazione Abbassamento P. M. 1 0,8547 0,11 140 2 1,6827 0,25 124 Calcolato per C6Hs0, =142. Come si vede dall'analisi, dai caratteri fisici e chimici, questa sostanza è identica a quella ottenuta dal dott. F. Traetta-Mosca dalla fermentazione del saccarosio, glucosio, e levulosio mediante lo stesso Aspergillus, ed ha con essa eguale il comportamento verso il cloruro ferrico. Nel lavoro citato, tenendo presente che la sostanza dava un composto di-benzoilico e uno biacetilico, e che doveva contenere due doppî legami (per la prova di Bayer, e perchè addizionava 4 atomi di idrogeno) e che aveva proprietà acido, il dott. F. Traetta-Mosca credette attribuirle la struttura di un lattone. Però sembrandoci questa poco probabile abbiamo preparato altri com- posti, per meglio chiarirne la struttura. Preparazione dell'etere metilico. — In una soluzione eterea di diazo- metano (ottenuta da 10 c.c. di nitroso-metil-uretano) si introducono a poco a poco gr. 3 di sostanza ben polverizzata e secca. Ad ogni aggiunta si ha un vivace sviluppo di gas, e nel liquido etereo si separa una sostanza cri- stallina raggruppata in fiocchi. Si raccoglie questa su filtro, si lava con etere, e si cristallizza dall’etere acetico. Si hanno così aghi bianchi fondenti a 165°, che non dànno più la colorazione con cloruro ferrico. Analisi: sostanza gr. 0,2234; CO, = gr. 0,4420; H.0 = gr. 0,1040; C= 53,96%; H= 5,20%. Calcolato per C;Hy03:0CH3 C= 54,47%; H=5,12%. Dai risultati dell'analisi si scorge come la metilazione deve essere avve- nuta in un solo dei due ossidrili; e tenendo presente ciò che suole avvenire RenpICONTI. 1921: Vol. XXX, 2° Sem. 42 — 326 — ordinariamente, si deve supporre metilato l'ossidrile appartenente al nucleo, e perciò l’altro ossidrile deve appartenere ad un gruppo alcoolico. Azione degli alcali terrosi sull’etere metilico. —— La scissione è stata fatta con idrato di bario e con idrato di calcio, 1 gr. di etere si fa bollire per due ore a fiamma diretta con 5 gr. dell'alcali (CaO pura stemperata prima, o idrato di bario filtrato) e 120 gr. di acqua in un pallone munito refri- gerante a ricadere, evitando l'accesso dell'anidride carbonica con un tubo a potassa. Il liquido da giallognolo diviene gradatamente giallo intenso. Si distilla dipoi lentamente il contenuto del pallone sino a metà del volume. In questa idrolisi era da prevedere che si fosse formato un composto chetonico, il quale doveva ricercarsi nel distillato e degli acidi che dove- vano ricercarsi nel residuo. Il distillato odora fortemente di frutta, riduce il Fehling ed il nitrato di argento ammoniacale, dà la reazione de! iodoformio. Ne abbiamo preparato il p-nitro-fenilidrazone. Al distillato aggiungiamo p-nitro-fenilidrazina in soluzione acquosa-cloridrica ed acetato sodico in eccesso. Il liquido s’intorbida subito e dopo un po’ di tempo lascia separare abbondanti cristalli aghiformi setacei, gialli. Questi raccolti sul filtro fondono a 110°. Determinazione di N: sostanza gr. 0,1632; N=cc. 25,4; T. 11; P702 See N 13,620 Calcolato per il p-nitro fenilidrazone dell'etere metilacetolico C,6H1303N3: Ni 138300 Si forma quindi nell'idrolisi etere metilacetolico. Il residuo del trattamento con barite, dopo distillato circa metà del volume. si tratta con CO, per eliminare il Ba, si filtra e nel filtrato si fanno i seguenti saggi per identificare l'acido formico : 1°) un po’ del li- quido si fa bollire con cloruro mercurico, si separa una polvere bianca di calomelano; 2°) un altro poco bollito con nitrato d'argento, separa argento metallico e forma lo specchio; 3°) un altro poco con cloruro ferrico dà una colorazione rosso sangne e per ebollizione separa un precipitato. Per identificare l'acido ossalico, il residuo del trattamento con idrato di calcio lo sciogliamo con acido cloridrico, si alcalinizza con NH ed aci- difica con acido acetico; si ha un residuo cristallino che al microscopio mostra i noti cristalli di ossalato di calcio. Azione dell’NH, sull'etere metilico e formazione del piridone. — Un gr. di etere metilico si mette in una capsula, si scioglie in NH; e si riscalda a bagno-maria per tre ore avvertendo di aggiungere l’ammoniaca man mano che si evapora, ed in ultimo si porta a secco. Si ottiene un re- siduo carbonioso, che si riprende con acqua, si riscalda con carbone animale e si filtra. Il filtrato si concentra fin quasi a secco, si ottiene così una so- stanza in aghi. Cristallizzata in alcool si presenta in aghi bianchi, rag-« — 327 — gruppati a rosetta e fondenti a 95°. Con cloruro ferrico dà una colorazione gialla intensa. Analisi: sostanza gr. 0,1537; N c.c. 8,4; T. 299; P. 7645; N= 8,99%. Calcolato per C-HsO3N: N= 9,04%. Nel lavoro citato il dott. F. Traetta-Mosca credette attribuire alla so- stanza da lui isolata la struttura | Ù | CH;,—COH=C—CH=C0HT—C0 considerando che essa aveva natura acida, dava un derivato biacetilico, ed uno dibenzoilico, era instabile al permanganato, ed addizionava 4 atomi di idrogeno in presenza di nero di palladio. Avendo ottenuto l'istessa sostanza dall’azione dell’Aspergillus glaucus sulla glicerina, e poichè in soluzione acquosa con cloruro ferrico dà una intensa colorazione rosso vinosa, ci ricorda quella che dànno gli ossipironi. Anche questa in soluzione eterea dà un etere monometilico per mezzo del diazometano, e quindi dei due ossidrili presenti nella molecola uno solo viene metilato, forse perchè è un ossidrile unito all’anello pironico; l’altro che non viene metilato probabilmente è un ossidrile alcoolico. L'etere metilico con NH, lascia sostituire un O con NH dando una so- stanza con i caratteri di un piridone. Per azione degli alcali (idrato di bario o di calcio) sull'etere metilico, questo come i derivati pironici si scinde in prodotti da cui è facile risalire alla formola di struttura Noi abbiamo identificato l'ac. formico, l'ac. ossa- lico, l'etere metilacetolico. In base a questo modo di scissione sì possono assegnare la formola: HCO—TC0—C--0—CH; HC—TCO—--C—0—CH; | | oppure | | HO—0—C—CH,0H HOH,C—C——0——CH Quindi la sostanza proveniente dall'azione dell’ Aspergi//us glaucus sul saccarosio, glucosio, levulosio, glicerina, sarebbe molto simile al maltolo stu- diato dal prof. Peratoner (*), differendo da questo per contenere un ossidrile nel gruppo metile. Al maltolo il prof. reratoner attribuì la formola: (*) Gazz. chim. it., V. XXXVI, p. 1, pag. 33 (1906). — 328 — Ho c0=G.0H I I HO—0—C—CH, alla nostra sostanza può quindi attribuirsi quella: HO-—C0-C—0H | | HO—0——C—CH;0H È degno di nota che questa sostanza ottenuta prima di ora da corpi contenenti catene di 6 atomi di carbonio, nel caso della formazione della glicerina rappresenta un vero prodotto di sintesi. Cristallografia. — Sulla forma cristallina della cusparina CH, N0;. Nota di MARIA DE AnoELIS ('), presentata dal Socio ETTORE ARTINI (°). Fin dal 1883 Kérner e Bobringer (*) estrassero dalla corteccia di An- gustura (Cusparia trifoliata) un alcaloide caratteristico, della composizione rappresentata dalla formula C,9 Hi; NO; (p.f.= 92°), al quale diedero il nome di cusparina. Il prof. Kòrner mi favorì varî bellissimi cristalli, ot- tenuti da miscela di alcool ed etere, del cui studio morfologico ed ottico espongo qui i risultati : Sistema monoclino, classe prismatica: a:b:c=1.2496:1:1.1678 B= 690.49 Forme osservate : 1100} , 4001} , {011} ;3101}-, {I01}, $110f , 3111} 3 T11} ; J1127 L’abito dei cristalli ottenuti da miscela di alcool ed etere è tozzamente prismatico ; lo sviluppo relativo delle facce è rappresentato fedelmente dalla fig. 1. Sciogliendo in etere-acetico alcuni di questi cristalli, sono riuscita ad ottenere delle combinazioni più semplici, con prevalenza di }100} , {110}, (!) Lavoro eseguito nel laboratorio di mineralogia del Museo Civico di storia na- turale di Milano. (?) Pervenuta all'Accademia il 1° agosto 1921. (3) G. Korner e C. Bohringer: Intorno agli alcaloidi della corteccia di Angustura. Rendic. R Ist. Lombardo, vol. XVI, 1883, pag. 320. 1101} , jÎo1! binaria. alquanto allungati secondo l’asse di simmetria — 329 — ANGOLI OSSERVATI SPIGOLI ANGOLI misurati ni | CAT | sil calcolati (100).(110) 6 49°.17-499,52" 490,33/ + (001).(011) 6 47.389-47.45 47.373 * (011),(110) 6 44.16-44.47 44,31 * (110).(110) 12 98.45-99.24 99.6 990.6” (100).(101) 5 85.50-36.53 86.15 4 36.16 I (101).(001) li 33.21 33.33 (101).(110) 1 od 58.54 58.27 I (100).(101) 6 57.8-58.11 57.41 57.52 (101).(101) 5 85.47-86.21 86.3 + 85.52 (101) (110) 1 N 69.47 69.49 (011).(001) 2 47.12-48.— 47.36 47.37 3 (011).(101) 1 RESECar 55.11 55.50 (111).(110) 5 30.6-30,40 30.25 1 30.21 (111).(001) 2 46.12- 46.58 46.85 46.42 I (111).(011) 5 27.54-28.17 28.11 28.7 (111).(101) 4 34.31-34.59 84.40 34.98 (111).(111) 4 69.10-69.30 69.17 69.16 (111).(100) 2 67.45-68,21 68.3 67.47 (I11).(101) 3 44.24-44,39 44.33 1 44.41 (111) (011) 8 35.1-35.56 d0I23 35.40 (111).(I110) 8 38.21-39.4 38.41 I 38.42 (111).(II1) 2 89.1-89.37 89.19 89.22 (112).(011) ò 27.21-27.84 27.26 1 27.30 (112).(101) 2 88,14-38.27 38.20 38.10 (112).(111) 6 50.57—51.14 51.8 51.4 1 (112) (111) 4 23.52-24,28 24.9 I 24.19 3 (112)(111) 4 86,29-86.52 86.41 86.38 (112).(I12) 4 99,51-60.36 60.9 60.8 — 330 — Sfaldatura distinta non osservata. La sostanza è incolora, con una leggera. ma sensibile, fluorescenza az- zurro violetta. Piano degli assi ottici parallelo al piano di simmetria; la bisettrice acuta, positiva, esce quasi normalmente da (101); l’ottusa quasi normalmente da (101). Dispersione inclinata non molto forte, ma evidente. Dispersione degli assi ottici sensibile: o Romanese. Sulle modificazioni morfologiche delle cellule coltivate in vitro al momento fuellasmortestmiesstdaliCorrisp: SMOnPurgdo) IO E I 0 NS DIO RT, . MEMORIE E NOTE DI SOCI pervenute all’ Accademia durante le ferie del 1921. Grassi. L'Anofele può propagare la malaria anche direttamente ? Nota II Ka MEMORIE E NOTE PRESENTATE DA SOCI © lità delle curve piane algebriche di dato ordine (pres. dal Socio Casei b Chisini. Le superficie ellittiche il cui determinante è un numero composto. Nota II ta. 2 dal Corrisp. Erriques) . CERO NA I TO RU .VEtoAG Sbrana. Sull’equazione delle vibrazioni trasversali di un'asta solida, elastica e omogenea. Nota I (pres. dal Corrisp. Z'edone) . ea Bedarida. Sopra il numero delle classi di forme aritmetiche definite di Hermite. dia a (pres. dal Socio Bianchi) . TORI ; Campetti. Sul potenziale di risonanza e di ionizzazione nei vapori misti di sodio e di po- tassio con mercurio. Nota I (pres. dal Socio Naccari) . RIA Se i Tieri. Birifrangenza magnetica dei fumi prodotti da un arco ad elettrodi metallici (pres. na dal Socio Cordino) . . . . ; pr Paolini. Carvomentoli levogiri dal fellandrene. Nota I (pres. deo de Pieroni. Azossiammidi e a (pres. dal Socio RS Saccardi. Pirrolo e Melanuria. Nota VI (pres. dal Socio Angeli) — Visco. Sul valore alimentare dei semi dell'Ervum Ervilia. Nota II L00 dal Corri Lo po Se A Eraclea nell'Asia Minore. Nota I (pres. dal Socio Parona) . Quercigh. Sulla tublinite di Sassari (pres. dal Socio Artini) . . ........ BE di Bruni. Osservazioni sul tappeto lucido dei mammiferi domestici: Nota I (pres. dal Socio. DE x Morpurgo) . O to 207 MEMORIE E NOTE DI SOCI. Majorana. Sull’assorbimento della gravitazione. Nota Data Y rd am K imensile DELLA | RBALE ACCADEMIA NAZIONALE SW DEI LIxcri SERI UNA RENDICONTI “ Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume XXX. — Fascicolo 9° Seduta del 6 novembre 1921. 2° SEMESTRE TIP. DELLA R. ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI > PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1921 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE LI Col 1892 si è miziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delledue Classi. Peri Renpiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re» golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del: l'Accademia. nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; .due volumi formano un’annata. ‘ 2. Le Note di Soci o Corrispondenti non possono oltrepassare le 5 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, non possono superare le 3 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci s Corrisponder‘i, e 30 agli estranei; qualora l'autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le discus» zioni verbali che si fanno nel seno dell’Acos- demia; tuttavia se Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota ver iscritto. IT. I. Le Note che oltrepassino i limiti ndi- cati al paragrafo precedente. e le Memorie pro- priamente dette sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provergono da Soci o ‘ da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com. missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una proposte a stampa della Memoria negli Atti dell Accade- mia o in sunto o iu esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 delio Statuto è) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro-. posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta, pubblica nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame. data ricevuta con lettera, nella quale si avzerte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 80 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli autori, “di È 3 9 da 29 bei si RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. eee e O, Seduta del 6 novembre 1921. V. VoLTERRA, Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI Chimica. — Sopra il comportamento e le proprietà di aleuni derivati aromatici. Nota del Socio A. ANGELI ('). In due comunicazioni fatte recentemente a questa Accademia (*), ho fatto notare che 7» alcuni derivati aromatici orto e parasostituiti i due radicali si comportano come se fossero direttamente uniti fra di loro: B A GECO Li A B vale a dire che possono reagire l'un con l’altro come se l'anello aromatico non esistesse. In questa Nota accennerò brevemente ad altre reazioni che si trovano descritte nella letteratura e che riguardano un analogo comporta- mento che presentano alcuni altri derivati aromatici, nei quali però i due sostituenti non occupano le posizioni orto o para, ma sono situati in residui aromatici diversi, che a loro volta possono essere congiunti direttamente fra di loro ovvero anche separati da gruppi atomici caratteristici. Siccome l'argomento non è stato studiato finora in modo sistematico, io mi devo limitare a citare i pochi esempi sparsi che ho trovati descritti da parte di diversi autori; essi si riferiscono principalmente a derivati ossi- (*) Pervenuta all'Accademia il 20 ottobre 1921, (2) Questi Rendiconti 26 (1917), 1° sem., pag. 480; 29 (1920), 1° sem., pag. 375, RenpICcONTI. 1921; Vol, XXX, 2° sem. 44 — 342 — drilici ed ammidati, che sono in generale più facilmente accessibili e nei quali le analogie in parola si manifestano in modo più spiccato. Come ho posto in rilievo ancora nella prima Nota, acqua ossigenata ed idrochinone sì comportano in modo analogo rispetto agli ossidanti; tutte e due le sostanze perdono una molecola di idrogeno e nel primo caso si ha sviluppo di ossigeno e nel secondo formazione di chinone: OH 0 OH ei Gc VA SAROIH, OH \0H "NO Come risulta dalie esperienze di Willstétter e Kalb (*), anche il p-dios- sidifenile può subire un analogo processo di ossidazione per trasformarsi in p-difenochinone : (HO). C, H4. CH (0H) > O0—CoHa=CE 108 La stessa facoltà di fornire il corrispondente chinone viene presentata pure dal p-biossistilbene, come hanno dimostrato gli interessanti studî di T. Zincke (2): (HO).C,H,.CH=CH.C,H,.(0H) —> 0=CH,=CH.CH=t,H,=0. Questa proprietà viene invece a mancare quando i due anelli aromatici sono riuniti da un residuo saturo, il metilene (HO) .C, H,.CH,.C, H, . (0H) Al pari degli ordinari chinoni, anche le nuove sostanze, con i corri- spondenti derivati ossidrilati di partenza, forniscono i chinidroni. Non è necessario che la catena che unisce i residui aromatici sia co- stituita da atomi di carbonio. giacchè anche ìl p-biossiazofenolo può subire un processo di ossidazione che corrisponde a quelli ora accennati (*): (HO). Gr,.N=N.CH,.(0H) —> 0=GH=N—N=GCH,=0] In una mia Nota precedente ho esposto le ragioni per le quali si deve ammettere che, in alcuni processi di ossidazione dell'idrazina, in una prima fare sì formi il termine HN=NH il quale successivamente si polimerizza e si scinde in acido azotidrico ed ammoniaca (4): HN.N=N.NH —> N=N=NH+NH, (*) Berliner Berichte 38 (1905), pag. 1232. (2) Liebig*s Annalen, 335 (1904), pag. 157. {8) Willstàtter e Benz, Berichte 39 (1906), pag. 3484 (4) Questi Rendiconti 19 (1910), 2° sem., pag. 94. DR i e In modo analogo Ia o-chinondiimmina, che rappresenta il primo termine di ossidazione della o-fenilendiammina, si polimerizza per dare l’'ortodiam- mino azobenzolo : QUINN > H.N.GH.N=N.G, H,.NH, Come ha dimostrato Willstàtter, nello stesso modo si comporta anche la benzidina, quando venga ossidata nelle opportune condizioni ('): HN=CH,.CGH=NH — H,N.CH,.GH.N=N.GH,.GH, NH, Tali esempi dimostrano dunque che, anche in questi casi, ossidrili ed amminogruppi, nei processi di ossidazione, si comportano come se fossero si- tuati in posizione orto ovvero para di uno stesso anello aromatico. Questo per quanto riguarda il comportamento chimico; ma anche per quel che si riferisce alle proprietà fisiche, e precisamente al colore, sì sono potute notare alcune analogie che sono molto interessanti. P. Friedlinder e F. Risse (*) hanno posto in rilievo che i colori della cianina che differiscono per inserzione di — CH= CH— fra i gruppi cro- mofori si rassomigliano fra di loro. I colori azoici che fornisce la benzidina, H.N.CH,.GH,. NH, si rassomigliano a quelli che derivano dal p-diamminostilbene, HsNC Hi. CH=CH.C Ha, N H, mentre invece ciò non si verifica più nel caso dei derivati del p-diammino- difeniletano, H,N.,GN..CB,s.CH,.C.Hy. NH, nel quale i due residui aromatici sono riuniti dalla catena satura EHEH Anche i derivati 00 00 c,H{__Ve=cH-cH=CC CH, nn? \NH/ 200. 700 CH SC=CH-CH=CH-CH=0<{K__>C,.H, \NH \NH e co co CNS ron SE: de o een ci=01-cu=e De S nei loro caratteri rassomigliano rispettivamente all’indaco ed al tioindaco (1) Berliner Berichte, 39 (1906), pag. 3474. (*) Berliner Berichte, 47 (1914), pag. 1919. — 344 — Si vede subito che in tutti questi casi i vari anelli sono congiunti fra loro direttamente ovvero sono uniti per mezzo di catene non sature caratte- ristiche; da quanto finora si conosce sembra invece che le analogie di pro- prietà più non sussistano quando gli anelli sono congiunti da catene sature. Come è noto, Ciamician e Ciusa ('), per spiegare le analogie da me poste in rilievo riguardo al comportamento dei derivati orto e parasostituiti del benzolo, hanno fatto l'ipotesi molto ingegnosa che nelle reazioni in pa- rola i due residui sostituenti possano in una prima fase staccarsi dall'anello aromatico, reagire fra di loro e poi, così mutati, riprendere ciascuno il posto primitivo. Questa ipotesi, che è in buona armonia anche con altri fatti, si presta assai bene a spiegare le regolarità e le analogie finora osservate. Nel caso particolare degli esempi riportati nella presente Nota, e che si riferiscono al comportamento ed alle proprietà fisiche di derivati nei quali i sostituenti sono situati in anelli aromatici differenti, e che a loro volta possono essere direttamente uniti fra di loro ovvero anche per mezzo di ca- tene non sature caratteristiche, si potrebbe anche ammettere che certi sistemi di catene, costituite da anelli aromatici ovvero anche da anelli aro- matici e residui non saturi, possiedano una forma di « conducibilità » rispetto ai sostituenti situati in determinate posizioni, i quali per tal modo verreb- bero a comportarsi come se fossero congiunti direttamente fra di loro. I re- sidui saturi agirebbero invece come « isolatori ». Forse a questo modo si potrebbe spiegare anche il fatto interessante, sul quale soprattutto il compianto Johannes Thiele ha richiamato l’atten- zione (?), che i sistemi contenenti due doppi legami coniugati SICH C n Sri addizionano p.es. due atomi di idrogeno ovvero di alogeno ai carboni estremi. Sopra queste considerazioni ritornerò in una prossima Nota. Biologia. — Razze biologiche di Anofeli. Nota del Socio B. GRASSI. Questa Nota sarà pubblicata in un prossimo fascicolo. (*) Questi Rendiconti 30 (1921), 1° sem. pag. 72. (2) Liebig*s Annalen 306 (1899), pag. 87. — 545 — Meccanica. — Constatazioni sulle scie aerodinamiche. Nota del Corrisp. G. ArtURO CROcco ('). Le indagini sulla reintegrazione della velocità del vento dietro gli ostacoli della quale ho discorso in una precedente Nota (*) hanno condotto a rilievi interessanti la resistenza al moto di corpi in traslazione nell'aria, che crediamo opportuno di esporre sebbene non ancora completi. Gli esperimenti si sono svolti nell'impianto aerodinamico dell’ Istituto Sperimentale Aeronautico (*) esponendo alla corrente della galleria aerodina- mica dapprima un dzsco circolare sottile, poi un prisma rettangolare che l’at- traversava da parte a parte (‘): ed esaminando le velocità e le pressioni nella zona perturbata dietro quegli ostacoli, detta om/ra aerodinamica 0, se sì pensa all'equivalente fenomeno della traslazione del corpo in aria ferma, semplicemente seza (5). Le velocità di strascinamento residue dell'aria lungo la scia in quest'ul- timo caso, corrispondono allora alle velocità perdute nel caso della cor- rente (5). Se chiamiamo con % l'altezza del rettangolo sezion retta del prisma o il diametro del disco, e con d la distanza orizzontale da esso, lungo l’asse della (*) Presentata nella seduta del 3 giugno 1921. (3) Cfr. questi Rendiconti, pag. 151. (*) Per gentile concessione del suo attuale Direttore Col. R. Verduzio; e per cura personale dell’ing. Bertozzi d'Olmeyda il quale da parecchi anni magistralmente dirige la Sezione Aerodinamica, e che mi auguro vorrà direttamente esporre in questi Rendi- conti le cure particolari richieste da simili delicatissime esperienze. (4) Le esperienze sul disco, richiedendo maggiore preparazione sperimentale sono state sospese per dar luogo all'apparecchiatura tuttavia in corso. Quelle sul prisma furono invece proseguite e ad esse principalmente mi riferisco nella presente Nota. (°) Vedi in proposito il fondamentale lavoro di T°. Levi-Civita, Scie e leggi di resi- stenza, Rena. Circe. mat di Palermo, tomo XXIII, 1907. (5) Non è facile eseguire dircite indagini sulla scia di un corpo mobile in aria ferma perchè il fenomeno non è stazionario: e per renderlo tale occorrerebbe muoversi insieme al corpo: il che appunto — relativamente — si tenta di compiere nelle gallerie aerodinamiche generandovi una corrente aerea di velocità egnale e contraria a quella del corpo e tenendo questo immobile insieme allo sperimentatore. L’equivalenza non è tut- tavia perfetta perchè la corrente aerea ha limitate dimensioni e non possono rendersi identiche le condizioni ai limiti: ma le cose stesse che esponiamo e quelle che ci ripromet- tiamo di esporre in seguito potranno arrecar luce anche su questo punto controverso, — (84605 scia, del punto sperimentato, la velocità, V, della corrente a valle del- l'ostacolo riferita alla velocità, Vo, a monte (prese entrambe positive nel senso della corrente) è riportata nella seguente tabella, la quale contiene anche le velocità perdute v= V, — V (1): VELOCITÀ PERDUTE DISTANZA VELOCITÀ V DELLA CORRENTE e . d E Dese done per Vo= 10 m/sec 4 Disco | Prisma Disco | Prisma | 0.5 Mio: | — 2,50 13.81 19,50 1 Sat 0 15,65 14,10 1.5 Siri (NO -— 4,50 14,76 14,50 9 = — 3,50 11,75 13,50 25 +426 | + 2,06 5.70 7,94 3 6,00 4,45 4,00 5,55 3.5 7,08 5,47 2,92 4,52 7,88 | 5,91 2,12 4,08 5 8,60 6,25 1,40 3,74 6 890 | 6,40 1,10 3,60 920 | 6,62 0,80 3,28 10 9.34 6,80 0,66 3,20 20 9,64 | 7,56 (> SN 2,44 In entrambi i casi la velocità sull'asse della scia è inizialmente in senso opposto a quello della corrente; indi si annulla, e poi assume valori posi- tivi, rapidamente crescenti nel caso del disco e più lentamente nel caso del rettangolo. Pensando per contro al fenomeno della scia generata dal corpo mobile nell'aria ferma, le colonne 4% e 5° che dànno le velocità perdute, darebbero anche le velocità di strascinamento dell'aria lungo l'asse della scia. prese positive nel senso del moto del corpo: e si dedurrebbe che in tal fenomeno l'aria segue il corpo dapprima con velocilé maggiori di quella del corpo stesso, poi con eguali velocità e infine con velocità sempre decrescenti; che nel caso del disco diventano ad esempio trascurabili a oltre venti diametri dal disco. Se ora passiamo ad esaminare la velocità della corrente fuori dell'asse della scia. spostandoci, per ogni distanza, d. orizzontale, anche verticalmente a varie altezze, y; troviamo per il prisma rettangolare i risultati raccolti nel quadro appresso inserito. (1) Trattasi evidentemente di velocità medie nel tempo, giacchè a causa del feno- meno turbolento, le velocità istantanee sono variabili in uno stesso punto della scia, — 347 — _—rrrrk-@\-t&--==*-=-=-=-=-*=-=-==="=-=---=-==“““““«““««““““=<= Y VELOCITÀ PERDUTE PERDITE DI CARICO allesza v=V— Vo; per Vo= 10 m/sec = Mena in sezioni distanti dall’ostacolo in mm. d’acqua per de = 10 m/sec PNRA rispettivamente alle distanze della I d ( d d _|d d d d sie | 33 |73?|1=3|F=4|1=!0 cur] |t- a 0 14.2 13.5 5.60 4.3 3.2 || 12.2 11.85 8.60 6.50 1 13.1 12.3 5.30 42 3 12.1 11 60 8.40 6.40 2 10.5 9.5 4.70 3.8 Zed \MRLIRO, 11.10 7.90 6.10 3 7.2 6.1 3.80 DI 2.5 113 970 7.10 5.40 4 35 3.4 2.60 23) 2.1 9 | 7.50 5.70 4.60 4.5 1.9 1.9 1.90 1.9 1.9 © DA ra e Ò 0 0.6 1.20 1.4 157 3 (GIO 4.30 3.70 6 —24| —16 0.20 0.8 1.4 02 | 2.40 2.70 2.70 falce ca ez o L1|] o1 | 050 | 110 | 1.80 8 — 21] —18| —070| —Q01 0.8 0.05 0.15 060 1.20 10 — 14 | — 1.8 | — 0.60| —03 0.3 DES 0.05 0.30 0.60 13 — 0.7) — 0.6 | — 0.50) —04| —Q01 SÒ Dr 0.15 0.20 16 | —05 | —04 | — 0.30| —0.2| — 0.15 pr VIa 0.05 0,10 19 — 0.3 | — 0.2| — 0.10] — 0.05] — 0.1 E A 5 0.05 Esaminando il quadro, si osserva anzitutto che la parte notevole del fenomeno della scia è localizzata nelle vicinanze dell'asse. In ogni sezione le decrescenze delle velocità perdute, allontanandosi dall'asse, sono assai regolari: e queste cadono rapidamente verso valori assoluti piccolissimi. In secondo luogo si osserva l’esistenza di valori negativi notevoli: e cioè di zone della scia ove si ha un evidente guadagno di velocità; e, nell'equi- valente fenomeno del corpo mobile, se l'equivalenza sussiste, una massa d'aria spinta in senso opposto al moto del corpo. Questi valori negativi vanno decrescendo via via che le sezioni sono più lontane dal corpo: mentre la parte positiva va allargandosi. Si nota infine — come singolarità speri- mentale — che all'altezza dî 45 mm. (per un rettangolo alto 50) le velocità della scia risultano eguali in tutte le sezioni sperimentate. Queste le constatazioni sperimentali dirette. Osserveremo che gli esplo- ratori di velocità non possono ritenersi strumenti di alta precisione: e che non si può affermare l'uniformità preventiva della velocità del vento nella galleria a meno delle differenze di pochi centimetri al secondo cui queste misure dànno luogo. Sotto tali restrizioni, vediamo a quali constatazioni indirette si può addivenire. Anzitutto, per la costanza della sezione della galleria, si deve avere un flusso di corrente costante. Ora entro il campo sperimentato, che non si estende — 348 — sino alle pareti della galleria, si osserva che le velocità perdute si com- pensano in gran parte, ma non interamente, tra loro. È quindi probabile che le piccole velocità negative si estendano al di là del campo sperimentato, per ottenere la compensazione completa. In altri termini per la costanza della portata deve aversi, in ogni sezione, se consideriamo un tratto di scia corrispondente a una larghezza di sbarra- mento eguale ad un metro e supponiamo la densità costante (1): (1) | V dy = costante = f Vo dYo , v/Y — Yo quando si estendano gli integrali sino alle pareti terminali della galleria. Facendo l'ipotesi che la corrente la occupi tutta quanta, senza singo- larità, cioè che {= faro, in fal caso potremo assumere dy = dyo vy Yo e dovremmo trovare (2) DI (Vo V)dy= fo -dy= zero; y si y il che, come abbiamo accennato, non sì verifica entro il campo sperimentato. Posto ciò, proponiamoci di calcolare la variazione nel tempo della quar- tità di moto della corrente dovuta all’azione dell'ostacolo: cioè la derivata rispetto a { della quantità di moto, M, di un tronco di corrente di un metro di larghezza, esteso in altezza sino alle pareti della galleria e compreso in lunghezza fra la sezione a monte, yo, e quella a valle, y. Avremo, com'è notorio, prendendo positivi i guadagni e chiamando w la densità: (8) dI nf vidy— n f Vidy,=— n f Vody dt y Yo y nella quale abbiamo introdotto la relazione (1): ottenendo una espressione valevole in ogni caso e già da noi indicata sin dal 1911 (?). Se poi ammettiamo la esatta compensazione stabilita dalla (2), la (3) sì trasforma nella Y ‘ Y y che risulta essenzialmente positiva. (') Le variazioui di densita sono infatti di un ordine di grandezza assai più piccolo di quello delle misure in questione. (2) Sulla teoria analitica dell'elica. Rendiconti Stab. Costr. Aer. GAI Sta di fatto che calcolando l'espressione (3) anche senza introdurvi la (2), noi l’abbiamo trovata per tutte le sezioni sperimentate nettamente positiva; risultato degno di nota, giacchè la presenza dell'ostacolo faceva piuttosto pensare a una perdita anzichè a un guadayno nella quantità di moto. Se poi ci si riferisce al caso del corpo mobile in aria ferma appare a prima vista paradossale che nella scia generata da questo sì verifichi un acquisto di quantità di moto in senso opposto al moto del corpo, anzichè nello stesso senso. | Ciò posto, se chiamiamo con p, e p le pressioni statiche a monte e a valle, nelle sezioni terminali del tronco di corrente innanzi definito, e indi- chiamo con R la resistenza del corpo mobile o meglio l'azione da esso eser- citata contro la corrente, aggiungendo a questa l'incremento 7 dell'azione esercitata dalle pareti della galleria, dovremo avere, per l'equilibrio del tronco: Rtr= | Po dyo — | pay. 240, Y Ma per evitare la difficile misura delle pressioni statiche, le trasformeremo in pressioni totali, p +3 wV?. introducendo nella precedente espressione per ci il suo valore rappresentato dalle (3). Si avrà allora, con agevoli trasformazioni, chiamando P le pressioni totali anzidette: (5) R+r=( P.dyp— | Pay +3 | Vody =0YN CSO) ua nella quale le P sono facilmente misurabili, e anche con maggior precisione delle velocità, mediante un tubo di Pitot semplice. Se nella (5) poniamo d/= dy,, e supponiamo vera la (2), essa diviene n (6) R4r=((P,—P)dy—£ ( ody. Ya duvy espressione più comoda giacchè contiene soltanto le differenze di P, che si ottengono per contrasto manometrico. Queste differenze P, — P_che potremo chiamare cadute di pressione o perdite di carico noi abbiamo misurato e riportato alle colonne 7,8, 9,10 della precedente tabella. Come sì vede si è effettivamente in presenza di perdite di carico rilevanti e ben circoscritte in zone vicine all'asse della scia. Calcolando la (6) noi abbiamo trovato per R+7 valori superiori a quolli effettivamente misurati di R; ma ci promettiamo di tornare su di essi in una successiva Nota, dopo che potremo disporre delle esperienze del disco, e di quanto occorre per discutere la eliminazione della incognita 7 e l’infuenza della limitazione della corrente d'aria. RenbICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sem 45 — 350 — Fisica. — Sull'assorbimento della gravitazione. Nota III del Corrisp. Quirino MAJORANA ('). CRITERII SPERIMENTALI PRELIMINARI. — Come ho già detto nella Nota I, nelle nuove esperienze ho sostituito ai 104 Kg. di mercurio 9603 Kg. di piombo foggiati in un cubo di 95 cm. di lato. Occorreva quindi, anche per tale massa, tanto superiore alla prima, studiare il modo di avvicinarla od allontanarla dalla sfera di piombo, che doveva subirne l’azione schermante. Stabilita anzitutto la convenienza di scomporre in due parti (prismi a base rettangolare che chiamerò semplicemente 7 piombi) la massa totale, per la facilità della manovra a ciò necessaria, due metodi si sarebbero potuti realizzare praticamente: o far scorrere su rotaie perfettamente piane e levi- gate le dette parti della massa, sostenute da appositi carrelli; oppure far ruotare queste intorno a due robusti assi verticali eccentrici. Scartai il primo metodo, perchè non dava affidamento di conveniente traduzione pratica, in conseguenza delle possibili scosse provenienti dallo scorrimento dei carrelli sulle rotaie; e mi attenni al secondo, che lasciava prevedere una mobilità dolce e silenziosa delle masse di piombo, quantunque, come dirò appresso, accompagnata da deformazioni periodiche (più notevoli che non col primo metodo) di tutto l’edificio nel quale si sperimenta. Non insisto, per non dilungarmi troppo, su altri eriterî preliminari che mi guidarono nella realizzazione del complesso dispositivo necessario alle nuove esperienze, benchè a questo io sia arrivato a traverso una serie di successive modificazioni, specie in quanto riguarda gli accessorî della bilan- cia. Infatti, avendo cominciato nella primavera 1919 il montaggio delle masse di piombo, iniziai nell'inverno 1920 quello della bilancia, e non potei ren- dermi conto completamente di tutte le singole cause di errore (principalmente di quelle che hanno occasionato lo studio di cui nella Nota II) se non nel- l'aprile di quest'anno. Solo nel periodo aprile-luglio 1921, ho potuto eseguire le misure che mi sembrano definitive e di cui dirò in seguito. Passo quindi a descrivere la disposizione suddetta. CONGEGNO DI MANOVRA DEI PIOMBI. — In un sotterraneo del Labora- torio di Fisica del Politecnico di Torino, sono state fissate due armature gi- revoli intorno ad assi verticali, imperniate in cuscinetti a sfere, con reggi- spinte, pure a sfere, in basso. Esse appariscono sovrapposte in una sola ABCD (1) Pervenuta all'Accademia il 18 ottobre 1921. e — 351 — nella fig. 2; ma in realtà sono distinte ed i loro assi sono discosti per em. 47,5 (valore corrispondente alla metà del lato del cubo di piombo). I due cusci- netti in A, e gli altri due in B, sono rispettivamente murati con solide grappe in ferro, nello spessore della vòlta e del pavimento. Le dette arma- ture sono in legno, e ciascun tratto di esse, AB, CD, DB, è costituito da 4 tavole di pitch-pine spesse 5 cm., e larghe 20 o 22 cm. Dei rinforzi 0 col- legamenti (non segnati in figura) fatti con lamine di ferro spesse 4 oppure 10 mm, e dei bulloni di ferro di 29 mm. di diametro, completano le due armature, che nel loro insieme furono calcolate cortesemente dal mio collega prof. M. Panetti. I due blocchi di piombo, composti ciascuno da 144 pani (come già dissi), appariscono quadrati in figura e sì proiettano sovrapposti in PP. Essi pesano ciascuno circa 5 tonnellate, e sono appoggiati sui bracci CD delle due armature. Ciascuno di essi genera così, in A e B, sforzi orizzon- tali opposti di circa 2 tonnellate; per cui l’edificio, dove è montato l’appa- recchio, è soggetto ad una coppia il cui braccio verticale AB è uguale a 4 metri e ciascuna delle due forze orizzontali è di 4 tonnellate. Grazie ai cu- scinetti a sfere, le armature possono venir ruotate facilmente, in sensi op- posti, di 180°, in guisa che le due masse di piombo vengano a combaciare — 992 — alla sinistra della figura, in P'P. La coppia suddetta avrà allora ruotato intorno al suo braccio, di 180°; ma, nelle posizioni intermedie, il suo valore sì riduce notevolmente, ed anzi, a 90°, va a zero, perchè le rotazioni delle due armature avvengono in senso opposto; per tale posizione angolare le spinte orizzontali sulla vòlta o sul pavimento si controbilanciano esattamente. Si comprende, ora, come una sollecitazione di tale genere possa occasionare qualche deformazione elastica periodica nelle parti dell’edificio, all’alternarsi delle posizioni delle armature. Ritornerò su ciò in seguito. Su ciascuno dei due bracci CD delle due armature trovasi una robusta zattera Z in legno, di 15 X 47,5 X 95 cem, sostenuta da tre viti calanti in ferro, per la livellazione. Su ciascuna delle due zattere sono appoggiati, come in una costruzione con conci di pietra esattamente lavorati, i 144 pani di piombo di 8X8 X 47.5 cm. Il peso dei singoli pani non è, per difetto costruttivo, esattamente costante; in media esso è di Kg. 33,390, con un errore medio di circa 100 gr. Ma tale variabilità non può avere conseguenze dannose, dato il numero notevole (288) dei varî pani. La rotazione delle due armature avviene, come si è detto, in senso opposto e, mediante opportuni arresti regolabili, è limitata a solo 1809; con ciò sì viene a costituire il cubo di piombo completo, a volontà in PP, oppure in P'P'. Codesta rotazione è comandata elettricamente dal posto di osservastone, sito nel piano superiore, nella guisa seguente: Una rotaia curva orizzontale in ferro RR, che nella figura apparisce rettilinea, larga circa 5 cm., è sostenuta mediante apposite colonnine QQ, a circa 80 cm. dal pavimento. Essa ha la forma di due semicerchi raccordati, aventi un raggio di m. 2,50, e, ciascuno, il centro su di un asse di rotazione AB delle armature. Ogni armatura porta una tavoletta K incernierata sul proprio tratto BD; su di essa è fissato un piccolo motorino elettrico a corrente continua di !/3 HP. Tale motorino può fare girare, con forte riduzione di velocità, mediante una vite perpetua, una ruota 7, il cui bordo guarnito di caucciù, per il peso della tavoletta K e del sovrastante motorino, grava ed aderisce sulla rotaia R; al girare di ciascun motorino, le due masse di piombo PP sono trasportate alternativamente dall'una all'altra posizione estrema; tali posizioni distano m. 2,90 fra i loro centri. Mediante opportune connessioni elettriche, è facile eseguire l'inversione della marcia dei motorini; le posizioni dei due piombi sono in ogni istante controllate dal posto di osservazione mediante l’accen- sione o lo spegnimento di sei piccole lampadine (simili a quelle di un mul- tiplo telefonico), in conseguenza di opportuni contatti elettrici che si verifi- cano al ruotar delle armature, tra le tavolette K e la rotaia R. Così, oltre poter a piacere invertire la marcia dei due piombi, se ne può rallentare la velocità, facendo in modo che essi, assai dolcemente e senza scosse, vadano ogni volta a raggiungere l'estremo della loro corsa. Il tempo necessario per un trasferimento dei piombi da PP a P'P', o viceversa, è di circa 2'30". — 359 — 00° te LT] QuL DASLMLLLLA GUANUGAA na: CEZ) E TZZZ5 n 7 Ala PAIA Vil EZULAINIZ. A CAI IZ: iZINUINZ: ZI i Ù | SS | agito: La IIZZZIZZA È (44 | / FE 7 — 354 — La BILANCIA. — Essa è indicata nella stessa fig. 2, in H; è poggiata su un piano di marmo T, sostenuto da due pilastrini in muratura, costruiti sul pavimento del locale sovrastante al sotterraneo contenente. i piombi. La bilancia, come nelle vecchie esperienze, è rinchiusa nella custodia già altra volta descritta, capace di resistere al vuoto atmosferico; dal lato destro di tale custodia pende un tubo L di ottone di 25 mm. di diametro, termi- nante in una sfera, pure di ottone, cava M, di 70 mm. di diametro; tale appendice serve a contenere e proteggere la sfera massiccia di piombo di 6 cm. di diametro, pesante 1274 gr., attaccata, mediante un filo di ottone di 0,3 mm. di diametro (e della lunghezza di circa 4 metri) al braccio destro della bilancia. Una scanalatura semicilindrica S, ed una nicchia semisferica N, praticate su ciascuno dei due prismi di piombo, permettono di accostare questi alla custodia M, senza toccarla, e di costituire così il cubo scher- mante P'P’, intorno alla sfera di piombo contenuta in M. È facile, mediante le sei viti calanti delle due zattere Z, oltre che portar allo stesso livello le facce orizzontali superiori e, rispettivamente, inferiori dei due piombi, rego- lare la posizione del cubo così risultante, rispetto alla sfera di piombo, in guisa che il centro di questa coincida con quello del cubo. Ciò, perchè nel tubo L sono delle piccole finestre (non indicate in figura, per la piccolezza di questa) chiuse con vetro, a traverso le quali si possono puntare con un catetometro degli ingrossamenti del filo di sospensione come quello indicato con Z nella fig. 4 a pag. 485, vol. XXVIII di questi Rendiconti. Così, si correggono errori di aggiustaggio reciproco tra sfera e cubo, nel sezso ver- ticale. Sarebbe stato desiderabile poter fare altrettanto per il senso 0rizzon- tale; ma si comprende come non sarebbe stato facile dotare i prismi PP di mobilità laterale sui bracci CD, data la loro grande massa. Per cui mi son limitato ad aggiustare preventivamente tali prismi orizzontalmente, con la migliore approssimazione possibile; nel corso delle esperienze si sono in se- guito corretti quegli spostamenti manifestantisi inevitabilmente, in conse- guenza delle deformazioni delle armature ABCD, mediante corrispondenti spostamenti della sfera M, insieme con tutta la bilancia. Del resto, come già altra volta feci notare, anche un errore relativamente notevole (qualche millimetro) di aggiustaggio laterale non può dare sensibile componente attrat- tiva verticale tra il cubo e la sfera. Venendo ora a parlare più dettagliatamente della bilancia e delle sue ulteriori particolarità costruttive, avverto che queste sono assai più numerose che non nella prima serie di esperienze, principalmente in conseguenza della maggior complicazione del nuovo dispositivo. La bilancia con i suoi acces- sorî è meglio rappresentata nella fig. 3, di cui mi riservo di dare ampia spiegazione nelle prossime Note. — 355 — MEMORIE E NOTE PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sulle relazioni fra le misure di un insieme variabile e dell'insieme suo limite. Nota del dott. GABRIELE MAM- MANA, presentata dal Socio Luror BIANCHI ('). In una Nota sugli integrali dipendenti da parametri, attualmente in corso di stampa presso il Circolo matematico di Catania, stabilisco che un integrale n 99) = f/trodp E(9) esteso a un insieme E(%) variabile col punto 4, è continuo se (1) lim m [E(9) + E(99) — E()E(7)]=0 q'=q e chiamo insiemi variabili con continuità gli insiemi che soddisfano alla (1). D'altra parte si ha già il concetto di limite di un insieme variabile (?) per modo che si sarebbe indotti a dire che un insieme varia in modo con- tinuo quando (2) lim E(7) = E(9). q=q Di questa relazione di limite si è fin ora detto soltanto che lim m E(g)= m E(9). DT In questa Nota dimostrerò che vale invece la relazione (1) che è più si- gnificativa, in quanto per essa sì mette in evidenza come, col tendere di qa q le parti non comuni all'insieme limite E(q) ed all'insieme E(g') finiscono per acquistare e conservare poi sempre misura piccola come si vuole. Così resta pure provato che la (2) ha di conseguenza la (1); vice- versa la (2) in generale non consegue dalla (1), di modo che la definizione (!) Pervenuta all'Accademia il 28 luglio 1921. (2) Veramente il limite viene definito (ved. De La Vallée Poussin: Les intéyrales de Lebes gue, ete., Paris, Gauthier-Villars et C., 1916, pag. 8) per una successione illimitata di insiemi; però l’estensione al caso di un insieme E(g) variabile con un punto è im- mediata: basterà, per questo, definire lim E(9') l'insieme che ha per funzione caratteri- q'=q ntica il limite (quando esiste) per g' tendente a 9 della funzione caratteristica corri- spondente a E(9’). Il limite così definito (si può dimostrare) è misurabile, se lo sono gli insiemi E(9’) considerati, e la sua misura è limite delle misure in E(9’) degli in- siemi stessi. — 356 — di insieme variabile con continuità, da me data, viene ad avere significato più largo di quello espresso dalla (2). Per semplicità mi limiterò qui a considerare solo il caso di una suc- cessione illimitata di insiemi; l'estensione, del resto, al caso di un insieme E(g) variabile è immediata [ved. la nota (*) della pag. prec. ]. Si abbia la successione convergente di insiemi misurabili (1) TOGO DSS] DAGIRNO e sla E=limE, Pn, € p,(p= lim g,) indichino rispettivamente le funzioni caratteristiche di E, e di E. Fra le misure dei termini della (1) e del limite E, intanto, vale la relazione (!) (2) lim|mE—-mE,|= 0. N20 Consideriamo l’altra successione che si ottiene dalla (1) moltiplicandone i termini per E: (3) ERO EE, RES dico che questa è convergente ed il suo Inmite è ancora E. Invero, la funzione caratteristica @, del termine generale EE, è data, come è noto, dal prodotto delle caratteristiche di E e di E,, ; cioè ®, = gg Ora si ha n° lim ®, = lim gg, = g lim pg = gp? @ n= N=ZDN n=% e quindi la (3) converge, ed ha per limite l'insieme che ha per caratte- ristica, cioè l'insieme E. Ciò poteva anche vedersi direttamente. applicando i teoremi elementari sui limiti di insiemi. Ma la misura del limite di una successione di insiemi, è limite delle misure degli insiemi stessi: perciò lim (ME— mEE,)=0 e, per la (2), anche (4) lim (mE, — mEE,)= 0. n=w A queste due relazioni possiamo sostituire la relazione unica equivalente (5) lim m(E+E, — EE,)=0. n= 1) De La Vallée Poussin, opera citata, pag. 27. ] pag ie Inversamente: Data la (1), ogni insieme F che soddifi alle condizioni espresse dalla (5) o, ciò che fa lo stesso, dalle (4), e cioè lim (mF — mFE,)= 0 e lim(mE, — mFE.)=0, può differire dal limite E della (1) al più per insiemi di misura nulla. Infatti dalla ipotesi consegue mF = lim mFE,, e limmE,=mE = limmF&,, n=% n= n= da cui mF = mE. D'altra parte, se si considera la successione FE, , FE.,... FE,... pei teoremi elementari sui limiti di insiemi si ha () lim EE, =imE imeE,= FE, NZ NED n= quindi anche mFE = lim FE, n= e per conseguenza, infine, mE=mE=mFK; ciò che dimostra quanto si è asserito. Nora. L'esistenza di un insieme F che soddisfi alle condizioni di cui sopra, rispetto ad una qualunque successione di insiemi, non basta, in gene- rale, ad assicurare la convergenza della successione stessa, come sì può con- statare dal seguente Esempio. Consideriamo l’insieme costituito da tutti i punti di un cir- colo C, ad eccezione di quelli appartenenti ad un suo raggio ». Facciamo rotare C intorno al proprio centro successivamente per angoli di ainpiezza 07%, 2w0,3w... 0 (60 + 277); indichiamo con Co, CC, + Cna (6) gli insiemi corrispondenti alle successive rotazioni, e con 70, 71,723 -.7n i raggi di punti esclusi rispettivamente di C,, Cs... 0... Ora, se w è com- mensurabile con 277, per un certo valore 72 di x e pei suoi multipli, C riprende la posizione iniziale e perciò in un qualunque punto di 7, (per esempio) la fun- zione caratteristica n di C,, col crescere di n, assume alternativamente valori uguali a zero e a uno, e non ha limite; e lo stesso avverrà della (6). Invece, se w è incommensurabile con 277, C non riprende mai una stessa po- sizione, per quanto cresca 7; quindi in un punto P_ qualunque interno a C la 4, 0 è sempre uno, qualunque sia 7 (cioè 7, non passa mai per P),o0 assume il valore zero solo per un dato valore m di n, e poi per n > # ri- torna ancora e rimane sempre 1. In ogni caso il suo limite per n = cv esiste ed è uno nei punti interni a C, e zero nei punti esterni; e la (6) per conseguenza ha per limite l'insieme (dominio) di tutti i punti di C. (1) Ved. De La Vallée Poussin, opera citata, pag. 10, RENDICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sem. 46 — 358 — D'altra parte il dominio costituito da tutti i punti di C gode, tanto nel primo come nel secondo caso, delle proprietà espresse dalla (5). Possiamo enunciare il teorema: Teorema. Condizione necessaria perchè un insieme E sia limite di una successione di insiemi E, , E., ... En,.. è che lim m (E + E, — EE) sia=0. Nes 0 Questa condizione non basta in generale ad assicurare l'esistenza del limite della successione stessa; però, se questo esiste, può differire da E al più per insiemi di misura nulla. Ma si può dire di più, e cioè: Fra i termini di una successione di insiemi E, , E, E3,...,E,.... e il suo limite E, intercede la relazione lim (E+ E, — EE,)=0 che è caratteristica del limite; in altri termini: n=% La condizione necessaria e sufficiente affinchè un insieme E sia limite di una data successione, è che la successione formata colle parti non comuni a E e ai termini della data successione, converga non soltanto verso un in- sieme di misura nulla [come risulta dalla (5)], ma addirittura verso l’in- sieme nullo. Così, per esempio, nel caso di insiemi superficiali la succes- sione delle parti non comuni, di cui sopra, non potrebbe tendere neanche a delle linee o a dei punti isolati. Tutto ciò ci darà ragione del perchè la (5) non assicura la convergenza della successione. Infatti: conservando le notazioni del precedente paragrafo, prendiamo a considerare la successione (E+E,— EE,), per (2=1,2,3,....) formata colle parti non comuni a E e ai termini della (1), e calcoliamone la carat- teristica /, del termine generale, in funzione delle caratteristiche 4 e @, rispettivamente di E ed F,. Applicando i teoremi sulle funzioni caratteri- stiche (1), sì ha In=1-(1—-9)(1— n) — 99n=P+ 9 — 299n che potremo anche scrivere: In=p + pi — 299 = (9 —- n°, e quindi //=P— Pn. Ora, se E= lim &,, cioè g=limg,, sarà lim/,=0 e per con- n=% n=% seguenza lim (E + E, — EE,)=0. Viceversa da quest'ultima consegue la prima, ciò che dimostra il nostro asserto. (1) De La Vallée Poussin, op. cit., pag. 7. Matematica. — Sugli integrali abeliani riducibili. Nota di GaETANO ScoRza, presentata dal Socio Gurpo CastTELNUOVO ('). In uno dei miei corsi di lezioni di geometria superiore di questi ul- timi anni ebbi occasione di far rilevare che il procedimento aritmetico ben noto, indicato dal Weierstrass per stabilire l'esistenza di sistemi di periodi ridotti per un integrale abeliano riducibile, poteva essere utilmente sosti- tuito con un ragionamento di più succinta eleganza e di maggiore efficacia pratica. Data l’importanza della questione, non mi pare inutile di pubblicare qui quel mio ragionamento, tanto più che, a causa forse di una definizione non felice dei periodi ridotti di un integrale riducibile che si trova in qualche libro, non è mancato chi ha creduto di poter sostituire il procedimento di Weierstrass con un ragionamento affatto inadeguato allo scopo. 1. Sia J un integrale abeliano (di 1° specie) riducibile, appartenente a una curva di genere p, e siano Wi, e, d2p i suoi periodi a un sistema normale di tagli della riemanniana corrispon- dente alla curva. Poi si supponga che 7(= 1) sia il massimo numero di relazioni lineari omogenee indipendenti a coefficienti interi passanti tra le w°; e che Qin +... dh A,,2p dop =" 04 Gr, 0, +... + Gr,sp op = 0 siano 7 di codeste relazioni formanti Vase minima per l'insieme delle rela- zioni lineari omogenee a coefficienti interi intercedenti fra le ©;. Per teoremi notissimi di analisi indeterminata, la matrice (1) dios dip (2) Ur isnirsp sarà di caratteristica 7, e il massimo comune divisore dei suoi minori di ordine 7 sarà 1 (?). (') Pervenuta all'Accademia il 15 luglio 1921. (*) Per tutte le affermazioni contenute nel testo vedi, p. es., iln. 1 della mia Me- moria: Sulle varietà abeliane contenenti congruenze abeliane (Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo, t. XLIII, 1918-1919, pp. 213-288). — 560 — Ma allora, in virtù di un bel teorema di Hermite-Frobenius (1), è pos- sibile costruire un determinante unimodnlare a elementi interi di ordine 2p, così che delle sue righe le prime 7° siano appunto le righe delle (2). Siano Wi se) Areapo Aap,1 q 000 4 A2p,2p le rimanenti righe di un tal determinante, e si ponga Or+1,1 01 + + Ar+1,20 Dop =" Q,, (3) Pelia TO dop, di +t dUAIE A2p,2p dep Lop-r . Le (8) mostrano che £,,..., sp, sono periodi di J; le (1) e (3), prese insieme, essendo unimodulare il determinante delle 4;;(î,j=1,... 29), mostrano che ciascuna delle w; è una combinazione lineare omogenea a coefficienti interi delle 2, ,..., 2,p_y; dunque (4) OOo re è un sistema di periodi ridotti (primitivi) di J. Dopo di che è ben noto ed è anche ben chiaro come ogni altro tale sistema possa essere dedotto dal sistema (4). Avvertasi che, dato il significato di 7, tra i periodi (4) non può pas- sare alcuna relazione lineare omogenea a coefficienti interi non tutti nulli. Fisica. — Sul potenziale di risonanza e di ionizzazione nei va- pori misti di sodio e potassio con mercurio (*). Nota II di ApoLFO CAMPETTI, presentata dal Socio AnpREA NACCARI (*). 1. Seguendo il metodo indicato nella Nota precedente, furono determi- nate le intensità di corrente tra rete e cilindro (malgrado un campo ritar- datore costante) in funzione del potenziale acceleratore applicato tra filamento e rete, e si tracciarono le curve relative, prendendo come ascisse le diffe- renze di potenziale in Volt (ogni divisione equivale a due Volt) e come ordi- nate le intensità di corrente in unità arbitrarie. Per evitare sovrapposizioni delle curve, ad ogni curva viene spostata l'origine. (1) Vedi, per es., FROBENIUS: Z’heorie der linearen Formen mit ganzen Coefficienten [Journal fir die reine und angewandte Mathematik; Bd. 86 (1879), pp. 146-208], $ 8. (2) Lavoro eseguito nell'Istituto di Fisica della R. Università di Sassari. (9) Pervenuta all'Accademia il 1° settembre 1921. — 861 — Tenendo conto delle curve tracciate (e dei dati numerici relativi che qui non son» riferiti per disteso) e osservando che l’ascissa x, del primo massimo rappresenta il potenziale di risonanza p, più il potenziale p, corri- spondente alla velocità con cui vengono emessi gli elettroni dal filamento incandescente, che il secondo massimo x, rappresenta il doppio del poten- “ziale di risonanza più il potenziale iniziale, si hanno le relazioni x1= Pr + Po s Lo = 2Pr + Po e perciò si ricavano po e pr. Così pure, col metodo indicato nella Nota pre- cedente, si ottiene il potenziale di ionizzazione p;. Furono eseguite prima esperienze di controllo con sodio puro (curva 1°, la 2* esperienza non essendo rappresentata in figura), con potassio puro (3, 4) e con vapore di mercurio (5): altre esperienze si riferiscono a sodio e mer- curio (6, 7,8), a potassio e mefcurio (9, 10, 11). Nelle tabelle che seguono, { è la temperatura della camera di ionizza- zione (superiore di una ventina di gradi a quella della regione ove vengono ridotti in vapore il sodio ed il potassio), 4, la temperatura del mercurio, per le esperienze in cui esso è presente al fondo dell'apparecchio; i numeri della prima colonna corrispondono a quelli delle curve della figura. TABELLA I. TABELLA II. |: po |pr| pi É o |n Pr | pi 1 | Na |425°|121|2,13| 5,16 6| Na + Hg |421° | 450-500 | 1,84 |2,27 [5,34 2| Na |417°|1,07(214| 5,22 7 | Na + Hg |418°|50°-650| 1,50 | 2,30 | 5,30 3/K |s25°[067|157| — 9| K-+ Hg|3150|450-500|1,06|1,68|4,41 4|K |319°|1,08|1,58| 4,38 10] K-+ Hg|325°|60°-650|1,05|1,70 4,45 5 | Hg |300°|1,50|4,95| 10,50 2. Per l'intelligenza di queste tabelle riassuntive e della figura rela- tiva conviene fare le seguenti osservazioni: a) La tensione del vapore di mercurio nella camera di ionizzazione non si può precisare con sicurezza, trattandosi di un processo di diffusione di vapore dalla parte inferiore del- l’apparecchio alla superiore sempre in comunicazione colla pompa Gaede in azione, non potendosi quindi applicare il principio della parete fredda; d'altra parte, alcune goccioline di mercurio, provenienti dalla condensazione nella re- gione superiore fredda del tubo, ricadendo eventualmente attraverso alla ca- mera di ionizzazione, possono dare temporaneamente una più elevata concen- trazione di vapore di. mercurio, producendo così qualche irregolarità nelle esperienze. 2) Per quanto riguarda i dati e le curve relative ai metalli puri, niente è da osservare in particolare, perchè i potenziali ottenuti corrispondono TE a quelli delle esperienze precedenti; riguardo alle miscele di vapori, Ja curva 6 presenta due massimi che (come risulta dai dati numerici delle misure qui non riferiti) corrispondono a 0,93 e 3,10 Volts (3,10 — 0,83 = 2,27) e un massimo poco marcato, corrispondente, aggiungendo il potenziale iniziale, circa al potenziale di risonanza del mercurio. La 7 presenta pure due massimi corrispon- & dl Ì EB zzeo / S (as i; AL Pa 90 O Te 80 x [o an EE 60 Lé NE CO ; DO Sega zaa Re la ao Eseries an | |. 3 BESsSSsSss denti al vapore di sodio a 0,80 e 3,10 Volts; ma il massimo corrispondente al mercurio non appare, probabilmente perchè coperto dalla relativamente rapida ascesa della curva; la 8 non permette più Ja determinazione di p, e Pi» essendovi un solo massimo per il sodio, mentre il secondo appartiene al mercurio. Analogamente si comportano le curve 9,10, 11 ottenute con K e Hg, essendo nelle 8 e 11 la temperatura del mercurio di circa 800, È notevole il fatto che la 8 indica un rapido aumento di corrente a circa 6,7 Volt, valore che non corrisponde al potenziale di ionizzazione del sodio, nè , del mercurio; tuttavia numerose esperienze qui non riferite hanno dato il me- desimo risultato con notevole accordo (vedansi analogamente le curve delle — 363 — esperienze precedenti). c) La scala assai ridotta del disegno nel senso oriz- zontale (per economia di spazio) fa apparire l'ascesa delle curve, per es. in corrispondenza del potenziale di ionizzazione, in ogni caso molto rapida; in realtà, come risultò dai dati numerici delle esperienze, per le curve relative a vapori misti, il potenziale di ionizzazione non resta determinato con molta precisione. Concludendo, si può enunciare il risultato che la presenza del vapore di mercurio altera sensibilmente il potenziale di risonanza dei vapori di sodio e potassio: meno ben delerminata è l'azione sul potenziale di toniz- zazione. Tale risultato dovrebbe essere posto in relazione col comportamento ottico di tali vapori misti, esaminandone cioè la radiazione corrispondente. Questo esame però, dovendolo operare in apparecchi fortemente riscaldati entro stufa elettrica, dati i mezzi attualmente a mia disposizione, non mi è stato ancora possibile. Fisica terrestre. — / terremoti mondiali del 1916 e lOs- servatorio di Rocca di Papa. Nota II di G. AGAMENNONE, pre- sentata dal Socio V. CERULLI ('). In una Nota nrecedente (?) ho esposto che dei 59 più importanti terre- moti mondiali del 1916, ben 48 furono segnalati a Rocca di Papa. Per for- marsi un’idea delle distanze da cui vi giunsero, trovo che le medesime variano 9 Km. 5 volte da 3° a 10° d'arco di circolo mass., cioè da 330 a 1110 c. 3 ” 44 » 56 ” ” ” 4880 » 6220 » 5 ” 71 » 80 ” ” ” 7880 » 8880 » 19 ” 83 » 90 ’ ’ ” 9210 » 10000 » 9 ” 91 » 100 È ” ” 10100 » 11100 » 5 ’ 116 » 134 ’ ’ ’ 12880 » 14870 » 2 ’ 152 » 156 ” ” ’ 16870 » 17320 » Da ciò sì vede che 15 telesismi provennero da distanze varianti da 330 fino a 8880 km.; altri 28, cioè più della metà del totale, ebbero origine a distanze corrispondenti all'incirca a quella d'un intero quadrante terrestre (da 9210 a 11100 km.) e ben 7 ebbero l'epicentro ancor più remoto, fino ad avvicinarsi all'antipodo! (*) Presentata nella seduta del 6 marzo 1921. (2) / terremoti mondiali del 1916, Rend, della R. Acc. dei Lincei, seduta del 6 feb- braio 1921. — 364 — Per chi avesse vaghezza di conoscere la distribuzione geografica degli epicentri di tutti i predetti 59 terremoti mondiali, osservo che ben 40 se ne trovano a longitudini orientali, e precisamente: 1 in Romagna, 1 nell'Alto Adriatico, 1 in Croazia, 1 nella penisola Balcanica, 1 nelle Alpi transilva- niche, 2 in Asia Minore e Persia, 2 tra il Polo nord e la Russia settentrio- nale, 4 nella catena montuosa dell’Indostan settentrionale, 4 nel golfo di Bengala, Sumatra e adiacenze, 3 alle Isole Filippine, 2 a Formosa, 9 nel Giappone o nelle vicine acque del Pacifico, 2 nelle Isole Aleutine, 7 nella Nuova Guinea o vicinanze. I restanti 19 epicentri hanno, invece, longitu- dine occidentale, e cioè: 2 nelle Antille, 3 nel Messico meridionale o nel Pacifico presso il Messico e S. Salvator, 4 nella Columbia e Venezuela, 1 al Perù, 3 presso le frontiere tra la Bolivia, il Brasile, l'Argentina ed il Cile, 4 nell’Alaska o nel Panifico presso le Aleutine, 2 alle Isole Samoa presso l'Australia e la Nuova Zelanda. E resta così provato, una volta di più, come le onde sismiche giungano in Italia con maggior frequenza dall'oriente in confronto dell'occidente; e nel caso nostro il rapporto è circa doppio! Sommando i predetti 59 telesismi con gli altri 72, meno bene deter- minati e generalmente meno intensi, troviamo un totale di 131, dei quali 67 registrati a Rocca di Papa, 63 a Moncalieri e 20 a Monte Cassino, trala- sciando gli altri 2 osservatorî di Padova e Valle di Pompei, pei quali man- cano i dati per gli ultimi mesi del 1916. Il numero totale di terremoti, registrati in detto anno a Rocca di Papa, Moncalieri e Monte Cassino, è stato rispettivamente di 507, 221 e 221('); e se da queste cifre sottrag- ghiamo il numero dei telesismi (rispettivamente 67, 63 e 20), rimangono 440. registrazioni per Rocca di Papa. 158 per Moncalieri e 201 per Monte Cas- sino. Di queste ultime, certamente molte sono state causate da fenomeni si- smici italiani, ma la maggior parte son dovute a terremoti avvenuti fuori del Regno e persino extra-europei, ma che tuttavia devono essere stati, in generale, di moderata intensità, tale da perturbare bensì più o meno debol- mente i nostri sismograti, ma non quelli a distanze più ragguardevoli, per cui non si è creduto di classificarli tra i cosiddetti mondiali. Può anche essere avvenuto che, a causa della guerra, molti osservatorî già non funzionassero più nel 1916, oppure che il compilatore dei terremoti mondiali di detto anno non abbia potuto conoscere affatto, o almeno in tempo utile, le osser- vazioni eseguite in altre località. Ne segue che il numero dei telesismi, con epicentro più o meno lontano, registrati nei predetti tre osservatorî, deve restare bene al di sopra di quelli sopra riportati. Comunque sia, rimane bene assodato il fatto che con i moderni e sen- (!) A Padova furono registrati 96 terremoti nei primi 9 mesi, ed a Valle di Pompei 48 nei due primi quadrimestri. Supponendo un’uguale frequenza media per i restanti mesi dell'anno, si sarebbero avute in tutto 128 registrazioni per la 1%, e 72 per la 22 località. — 365 — sibilissimi sismografi vanno sempre più crescendo i sismi registrati, e prova ne è il ragguardevole numero di quelli (507) segnalati a Rocca di Papa nel 1916. A spiegare poi la maggior quantità di registrazioni in detto osser- vatorio in confronto di Moncalieri — in cui pur funzionavano parecchi e po- tenti strumenti, tenuti con somma cura e perizia — bisogna considerare che Rocca di Papa è circondata da molti ed attivi focolari sismici, e che, tro- vandosi più ad oriente, è in grado di registrare più visibilmente l'arrivo delle onde sismiche, talvolta debolissime, che giungono, quale eco lontana, dai numerosi terremoti delle Calabrie, della Sicilia, del Mar Tonio, della Grecia, della Balcania ecc. La superiorità poi di Rocca di Papa, in confronto di Monte Cassino, è certamente dovuta al maggior numero ed alla maggiore potenza degli apparati posseduti. Da quanto ho esposto a proposito di Rocca di Papa, emerge la neces. sità di aumentare l’attuale ristrettissimo personale di quell'osservatorio (di- rettore, assistente e custode) il quale è rimasto invariato tin dalla fondazione del medesimo (anno 1889), quando, per la scarsissima sensibilità degli stru- menti allora in uso, si potevano tutt'al più registrare qualche diecina di terremoti all'anno, e quasi tutti avvertiti dalle persone! E bisogna anche riflettere che se con tutta l’abnegazione del personale si riesce a stento a compiere l’analisi del numero stragrande dei sismi registrati ('), manca la possibilità di discutere ed utilizzare le osservazioni, per dedicarsi a studî sintetici, che sono appunto quelli che fanno progredire la scienza, sicchè disgraziatamente resta in gran parte frustrato lo scopo precipuo pel quale fu fondato l'osservatorio. Da ultimo, è bene ch'io faccia rilevare, anche in questa occasione, che il numero dei sismi registrati a Rocca di Papa sarebbe ancor più considere- vole se, a causa della sua troppa altitudine, gli strumenti non ne restassero più o meno perturbati dai forti venti che lassù quasi sempre imperversano; e talora la perturbazione raggiunge tale intensità da render vana la ricerca di sismogrammi, anche d'una certa importanza, registrati altrove, e, a più forte ragione, di quelli più o meno microscopici, eppur sempre utili ai nostri studî. Si aggiunga il frequente disturbo, arrecato ai sismografi e perfino ai sismoscopii, dal suouo delle campane del sottostante paese, specialmente nei giorni festivi, e così pure quello proveniente dai lavori in una vicinissima cava di pietre, e si resterà pienamente convinti che l'ubicazione dell'osser- vatorio, giudicata opportuna dal mio predecessore, quando gli strumenti non erano allora in gcado di risentire gli effetti delle predette cause di pertur- bazione, risulta ormai inadatta per le moderne esigenze della sismometria; (*) Per non parlare che delle sole repliche del terremoto Marsicano del 1915 regi- strate a Rocca di Papa, esse sommano alla bellezza di 1275 dal 13 gennaio al 30 giu- gno 1915. IRENDICONTI, 1921. Vol. XXX, 2° Sem. 47 — 366 — e perciò sarebbe logico, dopo l'esperienza di più d'un trentennio, che l’osser- vatorio venisse trasferito in altra località meglio rispondente ai fini scientifici per i quali fu decretato. Alla comunicazione del prof. Agamennone il Socio V. CERULLI, che co- nosce bene l'osservatorio di Rocca di Papa, aggiunge di esser convinto anche lui che il trasferimento del medesimo ormai s' imponga nell'interesse degli studî sismici, ed opina che potrebbe sorgere senz'altro nei dintorni della stessa Capitale in località sufficientemente lontana da strade rotabili e da linee tram- viarie e ferroviarie. A tal riguardo, egli fa riflettere che molti altri osservatorî somiglianti importantissimi, tanto in Italia quanto all’estero, si trovano pre- cisamente presso grandi città e perfino entro le stesse; e che qualche even- tuale disturbo, causato dall'attività umana, è largamente compensato dai numerosi vantaggi provenienti dalla immediata vicinanza di un grande centro intellettuale, munito di istituti scientifici, biblioteche, laboratorî, officine mec- caniche ecc. Ad ogni modo, fa rilevare che le eventuali cause di perturba- zione su apparati sismici in Roma non saranno certo più numerose e dan- nose di quelle sopra esposte dall'Agamennone per l'osservatorio di Rocca di Papa. A tal proposito gli piace di ricordare come un sismografo installato fin dal 1909 al Collegio Romano, nell'atrio del R. Uff. Centr di Met. e Geod. e, cioè, proprio nel centro di Roma, ha reso e rende ancora preziosi servigi, col registrare numerosi terremoti e talvolta alcuni, la cui registrazione viene perduta a Rocca di Papa per il forte disturbo del vento (*). Se si volesse un osservatorio sismico che risentisse il meno possibile le perturbazioni atmo- sferiche e quelle derivanti dall'attività umana, non sarebbe difficile farlo sorgere in una località propizia poco esposta ai venti e distante da centri abitati e da vie rotabili, tramviarie e ferroviarie; ma, in tal caso, sarebbe pur necessario dotarlo di ben più larghi mezzi di quelli ora concessi agli attuali osservatorî, e soprattutto per provvedere alle forti spese di una suffi- ciente biblioteca e di una conveniente officina meccanica. Oltracciò, sarebbe indispensabile retribuire gli impiegati con stipendî proporzionati ai gravis- simi sacrifici imposti ad essi ed alle loro famiglie, do, fatto di dover vivere segregati dal consorzio umano! A tal proposito, ricorda che il chiarissimo consocio prof. Ròiti, nelle ferie del 1918, ebbe a comunicare a quest Accademia alcune sue idee intorno all'Osservatorio Vesuviano, e tra le altre considerazioni diceva che « sarebbe (*) Le registrazioni sismiche a Roma nel triennio 1910-1912. Rivista di astron. e scienze affini, anno VII, maggio 1913, Torino, 5 — 367 — inumano ed antiscientifico pretendere la permanenza di un personale di ruolo là su relegato, che dovesse consacrarsi esclusivamente allo studio dei problemi offerti dal Vesuvio », cd aggiungeva che « mon è possibile compier lassù un corso metodico e continuativo di ricerche scientifiche, e ciò non solo în considerazione del personale........ »; e più sotto: stili. per le rimanenti operazioni e deduzioni di carattere conti- nuativo è indispensabile stabilire una sede in Napoli........ e che gli impiegati scientifici di ruolo agiranno comunemente nella sede di Napoli e solo occasionalmente all'Osservatorio ». Ma se per il Vesuvio è ovvio che debba esistere un permanente punto di osservazione nei suoi fianchi, quale sentinella avanzata, questa necessità non si vede per l'osservatorio di Rocca di Papa il quale, per le ragioni accennate dall’Agamennone, sì trova in gran disagio in quel paese di montagna, anzi con evidente danno della scienza e sacrificio inutile del personale. E tanto meno si vede la necessità che lo stesso direttore vi abbia a risiedere in permanenza, quando si consideri che all'osservatorio stesso abitano già l'assistente ed il custode, e non v'è nep- pure posto per l'abitazione del direttore, costretto a dimorare nel sottostante paese. Meccanica. — Sul calcolo dell'energia del vento. Nota I pre- liminare del dott. MARIO TENANI, presentata dal Corrisp. G. ARTURO Crocco (*). 1. In un recente lavoro è stato dimostrato che, nel caso ideale in cui non esistano perdite per attrito e per vortici, l'energia utilizzata da un mo- tore a vento in un determinato intervallo di tempo raggiunge al massimo i due terzi di quella posseduta dall'aria in moto che ha attraversato la macchina stessa; e siccome il rendimento delle migliori eliche attuali può raggiungere l'85-90%, nelle migliori condizioni di funzionamento, si ha in definitivo che l'energia utilizzata può raggiungere la metà di quella posse- duta dall'aria che attraversa il motore (?). Poichè la forza viva dell'unità di volume d'aria in moto è proporzio- nale al quadrato della sua velocità e attraverso il motore a vento passano in ogni secondo, per ogni unità di superficie, tante unità di volume d’aria quanto è la velocità del vento, risulta che la potenza utilizzabile in ogni istante è proporzionale al cubo della velocità suddetta. Se la superficie in- teressata del motore a vento è S mq. se « indica la massa di 1 me. d'aria, (1) Presentata nella seduta del 6 marzo 1921. (*) W. Hoff, Zertsch. fi Flugtechnik und Motorluftschiffhart, 15 agosto 1920. — 368 — V la velocità del vento in m/sec. e se 0 è il rendimento dell'organo pro- pulsivo, la potenza P del motore in kgm/sec. sarà: 2a e e in cavalli vapore: pra 225 Il lavoro prodotto in un determinato periodo di tempo T sarà l’inte- grale di tale funzione esteso a tale intervallo di tempo; e da esso si potrà dedurre, dividendo pel tempo, la potenza media P', nella località considerata. Sarà quindi in cavalli-vapore (ritenendo 4 praticamente costante e uguale ad 4,, media annua della densità dell'aria) pre ey m "= 5957 iI oV8dT . In tale integrale potremo sostituire a 0, variabile con la velocità del vento, un valore costante @,m intermedio fra gli estremi fra cui varia @ quando il motore è in funzione, e scrivere bio 3 Li V3dT Slo Om ii î ‘225 Da Si ritrova così che la potenza media di un motore a vento in un de- terminato periodo di tempo si può ritenere proporzionale alla media dei cubi delle velocità osservate del vento. Questa media permette un comodo co :fronto tra le varie località nel medesimo intervallo di tempo; fra i vari intervalli di tempo (mesi) nella stessa località; fra le varie altezze a cui sia possibile collocare il motore a vento. 2. Il col. Crocco, avviandomi a queste ricerche destinate a servire di base a suoi studi sulle applicazioni pratiche dei motori a vento, trovò co- modo definire come media efficace della velocità del vento in un dato periodo di tempo e in una data località, la radice cubica della media suddetta. Essa rappresenta infatti la velocità costante che avrebbe dovuto avere il vento in quella località, durante l'intervallo considerato di tempo, per dare al motore a vento una potenza costantemente uguale alla potenza media e cioè per fornire il medesimo lavoro meccanico. Questa media serve pertanto a caratterizzare le varie località e a dare un'idea della convenienza o meno dell'impianto dei motori a vento e del loro uso in determinati periodi di tempo. Dopo quanto si è detto si vede che le conclusioni basate sulla consi- derazione delle medie aritmetiche della velocità del vento, quali comune- mente sono offerte dalle pubblicazioni meteorologiche, possono condurre a risultati del tutto errati e non sono utilizzabili a questo scopo. Lo studio della forza motrice del vento richiede invece una elabora- zione delle osservazioni anemometriche che tenga conto dei cubi delle ve- locità osservate e che finora non era stata tentata. LU P,= — 369 + Scopo di questo lavoro è quello di dar conto dei metodi seguiti e dei risultati conseguiti nella via dianzi fissata, in alcuni casi particolari già esaminati e dimostrare l'interesse che può offrire uno studio completo del problema, che, utilizzando le osservazioni anemometriche esistenti per le varie località, riuscirà a dare un’idea generale della convenienza di adottare su larga scala tale sorgente d'energia e fisserà nettamente gli scopi a cui essa sì adatta. 3. Il calcolo della media dei cubi si presenta a prima vista estrema- mente complicato, se si pensa che la velocità del vento è estremamente va- riabile col tempo specie in prossimità del suolo. Riflettendo però che le oscillazioni a breve periodo, causate dagli ostacoli del suolo, intorno alla velocità media presentata dal vento e che determinano la struttura del vento o la sua /urbolenza, non possono essere seguite o sfruttate da una macchina che coinvolga parti dotate di forti momenti d'inerzia, basta riferirsi pel cal- colo ai valori medii della velocità del vento, come quelli che verrebbero in- dicati da un anemometro del tipo Robinson a registrazione continua. Ciò posto è facile trasformare la curva di registrazione che rappresenta l'anda- mento della velocità del vento col tempo, in una curva che rappresenti in- vece l'andamento del cubo della velocità del vento (ordinata) col tempo (ascissa); basterà poi calcolare l’ordinata media del diagramma ottenuto, per avere senz'altro la media dei cubi cercata e dedurne subito la velocità efficace. Nella maggior parte dei casi non si possiede una registrazione continua della velocità del vento, ma solo i valori della velocità media durante un certo breve periodo intorno a una o più determinate ore del giorno. In tal caso la media dei cubi non si può eseguire nel senso sopra indicato; ma ì rapporti tra la media dei cuhi delle velocità osservate alle stesse ore per il considerato periodo di tempo in due luoghi diversi, ci daranno modo di eseguire utili confronti presso a poco equivalenti per quanto riguarda la convenienza dei luoghi, l'andamento annuo della potenza, ece. al calcolo sopra accennato. Per la trasformazione del diagramma, nei casi che ho dovuto esaminare, ho ideato uno speciale pantografo che permette di passare direttamente alla curva di registrazione alla curva dei cubi; ma nei casi di osservazioni di- screte è forse più comodo seguire uno di questi due procedimenti: a) grafico, descrivendo il diagramma su carta che potremo chiamare semi-cubica a so- miglianza dell'ordinaria carta semi-logaritmica e deducendo l'ordinata media con un planimetro; b) statistico, determinando la frequenza dei singoli valori della velocità del vento, moltiplicando poi per i rispettivi cubi e calcolando la media di questi aritmeticamente. — Be Petrografia. — Su la « Italite » e la « Vesbite» di H. S. Washington. Nota di U. PANICHI, presentata dal Socio ETTORE ARTINI (’). Il prof. Washington del Carnegie Geophysical Laboratory di Washington, in un suo recente viaggio in Italia ebbe in dono un frammento di roccia (circa 80 grammi), quasi totalmente costituito da cristalletti leucitici e con l'indicazione di provenienza dai pressi di S. Carlo, sul fianco occidentale del vulcano di Roccamonfina, dove la roccia costituirebbe « una vera corrente lavica con una lunghezza di più di 100 metri ed uno spessore notevole » (?). Il prof. Washington, che ha esaminato il frammento, ha dato alla roccia, con pensiero molto gentile, il nome di /talzte. Egli poi ha proposto anche il nome Vesbite per la roccia costituente un « blocco rigettato » del Monte Somma, formato da. leucite e da melilite. Tale roccia però potrebbe, secondo l'Autore, chiamarsi anche //alite melilitica (8). Ora, poichè la regione di Roccamonfina fu da me percorsa e studiata negli anni scorsi (4), senza che la suddetta colata mì si presentasse, io sono tornato espressamente a visitare il fianco occidentale del gran cono e spe- cialmente le vicinanze del paese di S. Carlo; ma neppure in questa nuova visita ho potuto osservarla. Ciò fa pensare alla possibilità che il campione esaminato dal professore Washington rappresenti non un tipo di roccia in colata, ma solo un piccolo blocco corrispondente ad un prodotto o di concentrazione magmatica, o di alterazione intereraterica. Questa supposizione troverebbe appoggio nel fatto che di tali blocchi essenzialmente leucitici se ne possono osservare dissemi- nati anche altrove, come ad esempio, nel Vulcano Laziale e nel M. Somma. Ad ogni modo io non ho trovato a Roccamonfina neppure in blocchi erratici questo tipo tutto leucitico; ma non credo impossibile che in rocce ricchissime di leuciti, come ad esempio nelle tefriti dei pressi di Ponte, si possano anche rinvenire noduli, quali masse costitutive accessorie, simili a quella descritta da Washington. (!) Pervenuta all'Accademia il 10 ottobre 1921. (?) H. S. Washington, Sull' /talite: un nuovo tipo di roccia leucitica. Rend. della R. Ace. dei Lincei, seduta 4 giugno 1920, pag. 425. (*) Id., id., pag. 431. (4) U. Panichi, Ricerche petrografiche su la Regione Aurunca. Lavoro terminato sulla fine del 1919 e tuttora in corso di stampa presso la Soc. Ital. di Scienze, detta dei XL. — 371 — Ora, se l'esistenza della colata di //alite di S. Carlo non venisse con- fermata, mi pare (e forse anche il prof. Washington sarà di questa opinione) che non sarebbe più necessaria la creazione di un nome nuovo di roccia per una masserella accessoria; e, ad ogni modo, riterrei che il bel nome Z/alite potrebbe venir riservato ad altra roccia o minerale che fossero in avvenire scoperti come tipicamente esistenti ìn Italia. Ed anche per il blocco del M. Somma, non sarebbe allora da conser- vare nè il nome di //alzte melilitica, una volta soppresso quello di //alize, nè quello di Vesbz/e, trattandosi di un semplice blocco rigettato, molto più che tal nome potrebbe anche creare qualche confusione col nome Vesdina, proprio di un minerale assai raro della stessa località. AGGIUNTA SULLE BOZZE. 1l dott. Blane (che donò al prof. Washington alcuni campioni di varie località, fra cui quello leucitico in questione), da me interpellato, mi ha detto che ritiene esser nata confusione fra i campioni da lui forniti, come del resto egli comunicò allo stesso prof. Washington fino da quando ebbe comunicazione della sua Nota. La gentile risposta del dott. Blanc mi rende evidentemente ancor più sicuro del risultato negativo delle ricerche da me fatte in proposito presso S. Carlo. Chimica. — Carvomentoli attivi dalla riduzione del carvone con platino ('). Nota del dott. V. PAOLINI, presentata dal Corrisp. A. PERATONER (°). In alcune precedenti Note (*) ho comunicato i risultati delle mie prime indagini sui carvomentoli, dirette essenzialmente a separare ed individuare i diversi isomeri otticamente attivi, di cui la formula di costituzione di p.mentanol[2] lasciava prevedere l'esistenza in numero di 8 a causa di tre atomi di carbonio asimmetrici. Alle ricerche sul composto racemico dal car- venone, e sul prodotto levogiro dall’a-fellandrene, faccio seguire nella pre- sente Nota lo studio di un altro carvomentolo levogiro, segnalato fin dal (') Lavoro eseguito nell'Istituto Chimico Farmaceutico della R. Università di Roma. (2) Presentata all'Accademia il 16 agosto 1921. (*) R. Accademia dei Lincei [5] 28, 2°, 82; 134. Vedi anche i fascicoli precedenti del presente volume. — 372 — 1911 dal Vavon (!), ma che ora ho riconosciuto anch'esso quale miscuglio di isomeri ottici. Il carvomentolo in parola, ottenuto da questo autore per riduzione di- retta del carvone ordinario (destrogiro) mediante platino ed idrogeno, pré- sentava la rotazione ottica specifica [a]p = — 24°, 7”. Preparandomi questo alcool di partenza secondo le indicazioni del Va- von, ma curando di giungere alla riduzione completa per assorbimento della quantità teorica di idrogeno, ho ricavato un prodotto che presentava tutte le proprietà descritte. tranne del potere rotatorio, che ho trovato notevol- mente più basso, cioè [a]p = — 2°, 75. Mi sorse subito il sospetto di essere di fronte ad un corpo non unico, ma, non essendo racemo, costituito da un miscuglio di isomeri ottici. di cui l’uno o l’altro potesse prevalere a seconda del modo di riduzione. E tale assunto mi venne confermato dalla separazione accurata dei componenti del miscuglio, che ho operato nel modo in precedenza già da me descritto e caratterizzato come « metodo a freddo » di preparazione e di purificazione di ftalati acidi dell'alcool terpenico. Nel caso in specie poi il lavoro è riuscito particolarmente faticoso per la natura persistentemente molle e resinosa degli eteri ftalici, che poterono venire ridotti a sostanze cristallizzabili e pure solamente a traverso ripetute trasformazioni in ftalati doppî di alcool e di argento, e di alcool e stricnina. Potei isolare in tal modo due carvomentoli, uno destrogiro con [@]p = = + 89,29", l'altro levogiro con [a]p=—8°,54', i quali con ogni pro- babilità stanno nel rapporto di antipodi ottici. Merita intanto di essere notato, che di questi due carvomentoli quello levogiro sembra identico con uno degli isomeri levogiri, che avevo ricavato dal prodotto di riduzione del nitro «.fellandrene, e che possiede eguale po- tere rotatorio specifico [a]p = — 89,65". Essendo questo prodotto precedentemente stato designato come 1-f. car- vomentolo, ne seguirebbe che per ì carromentoli della presente Nota si debba mantenere la notazione di d-8.carvomentolo e 1-8. carvomentolo. Ftalato di d-B.carvomentolo e stricnina. — L'etere ftalico acido (?) dell'alcool di riduzione, sciropposo, nella salificazione con stricnina fornisce un prodotto solido, e non pastoso, solamente se prima è stato alquanto de- purato attraverso il sale doppio argentico, cristallizzabile dall'alcool; depu- razione del resto che lascia l'etere acido sempre sciropposo. Il sale doppiù di stricnina solido, preparato poi con l'alcaloide libero, si scinde in due fra- zioni dotate di solubilità marcatamente diverse in alcool-etere. La frazione di sale meno solubile è destrogira. Facilmente solubile in alcool, viene ri- (1) Comptes rendus, 153, 68 (1911). (2) Per la modalità della preparazione vedi le Note precedenti sui Carvomentoli. — 373 — eristallizzatà ad oltranza da quello diluito, sino ad avere costanti il punto di fusione a 154° ed il potere rotatorio [@]p = +15°,84' (in alcool asso- luto). Ftalato acido di d-B.carvomentolo. — Si ottiene cristallizzabile sol- tanto dal puro sale di stricnina precedente, agitandone la soluzione alcoolica con eccesso di acido cloridrico diluito. Comunque ricristallizzato non muta il suo punto di fusione a 85°, nè il potere rotatorio specifico [@]p = = + 38,53". Rappresenta quindi una sostanza unica. Gr. 0,355 consumarono ce. 11,6 di Na0H7s, mentre un acido mono- basico HOOC.C;H,.C00C,H;y richiede ce. 11,67. d-B. Carvomentolo. — Saponificando lo ftalato acido si ottiene un car- vomentolo destrogiro con [@]p = + 8°,29' che è sostanza unica, perchè dal- l'anidride ftalica a freddo, senza formazione di alcun altro prodotto secon- dario, viene eterificato direttamente allo ftalato acido destrogiro, fusibile a 85°, p. eb. 218° (corr) ; d,;e= 0,9074 ; pg = 1,464 Carvomentolo gr. 15,064; alcool assoluto 100 ce.; ap = + 29,530’ (tubo lungo 2 dm.) onde [a]p = + 89,29". Ftalato di l-B.carvomentolo ed argento. — Le acque madri di cri- stallizzazione del sale di stricnina destrogiro contengono un altro sale di questo alcaloide, estremamente solubile, ma sciropposo, che però è sinistro- giro. Per isolare questo non giova, come prima, lo ftalato acido corrispon- dente, che si libera dal sale di stricnina sempre molle e resinoso. Bisogna depurarlo attraverso il suo sale di argento, che viene precipitato dalla so- luzione acquosa del sale ammoniacale (privo di ogni eccesso di ammoniaca) mediante nitrato argentico. Cristallizzato dall'alcool etilico costituisce lami- nette bianche, soffici, che fondono a .180-182° (1). l-B. Carvomentolo. — Rigenerando dal sale d'argento precedente l’etere acido dell'alcool, persiste ancora lo stato sciropposo di esso. Il carvomentolo corrispondente si isola per saponificazione della massa sciropposa così depu- rata, e per distillazione a vapor d'acqua. p. eb. 218° (corr) ; de = 0,90783 ; 2pi5= 1,463 Carvomentolo gr. 14,621; alcool assoluto 100 cc. : ap= — 2°,30 (tubo lungo 2 dm), onde [a]p = — 8°, 54/. (1) Il sale argentico, precedentemente preparato, del prodotto dal fellandrene, sembra meno puro, dapoichè fonde qualche grado prima, ed è anche lievemente colorato in giallino. RENDICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sem. 48 — 374 — Chimica. — Azossiammidi e diazocomposti. Nota dî ANTONIO PIERONI, presentata dal Socio A. ANGELI ('). La fenilazocarbonammide fu ottenuta la prima volta da O. Widman (?) per spontanea trasformazione del nitrosofenilsemicarbazide ed in seguito per ossidazione del fenilsemicarbazide con permanganato in presenza di acido solforico. Più tardi Thiele (3) consigliò di eseguire l'ossidazione con perman- ganato in ambiente neutro, cioè in presenza di solfato di magnesio e quindi di portare in soluzione il biossido di manganese e l’idrato di magnesio for- matosi con anidride solforosa. Io ò creduto opportuno di sostituire con l'acido ossalico l’anidride sol- forosa, che durante la reazione viene in parte ossidata ad acido solforico, il quale decompone l’ammide formatasi. Soltanto pochi annì or sono Angeli (°) riprese lo studio di detta ammide: CH;N:NCONH, e dimostrò che questa si decompone in presenza di potassa caustica per dare in un primo tempo: Co H;N: NCOOK sale molto instabile che a sua jvolta reagisce con l’alcali libero per dare car- bonato di potassio e fenildimmide; CH; N:NH-> e quindi CH ce7Na: Dimostrò inoltre che allo stesso modo di tutti gli azoderivati l’ammide di Widman, trattata con acqua ossigenata, in soluzione di acido acetico gla- ciale dà l’azossiderivato corrispondente : CHsN:NCONH, Î 0 Composto di grande interesse poichè è stretta analogia con i derivati del diazobenzolo; in ambiente alcalino esso reagisce anche più prontamente e nettamente degli stessi composti diazoici, così con il 8 naftolo dà l’azo- derivato corrispondente dal caratteristico colore rosso scarlatto. (!) Pervenuta all'Accademia il 5 settembre 1921. (*) B. 28, 1925, (3) I. c. 2599. (4) R. A. L., 26, I, sem. 207 (1917). — 375 — Allo scopo di generalizzare le interessanti reazioni accennate e di portare un certo contributo alla tanto dibattuta questione riguardante la struttura ed il comportamento dell’idrato di diazobenzolo, è creduto oppor- tuno intraprendere lo studio di altre ammidi e di alcuni nitrili. Qui mi limito ad esporre brevemente i risultati ottenuti con le seguenti sostanze : C, Hi N:N CON H,; BrGH,N:NCON Hi; NO. G H, N:NCO NH;; Br CO H4N:N CN; NO, GH.N:NCN; BrrGH3 N:NCONH.. La bi- la mono bromo e la nitroazocarbonammide vennero da me preparate con metodi differenti da quello seguìto da Widman per la sua ammide, metodi che verranno descriti in altra parte. Ad eccezione della bibromofenilazocarbonammide tutte le altre più o meno facilmente per azione dell'acqua ossigenata in acido acetico glaciale, diedero l’azossiderivato corrispondente alla formula generale RN:N.CONH, I (0) Per quello che si sa dopo i lavori di Angeli sulla costituzione degli azossi composti (*) devono esistere le due forme isomere: RN: N. CO NII, RN:NCO NH; I Il 0 0 ma poichè le ricerche dirette nel senso di ottenerle finora non condussero al voluto risultato e nel dubbio che gli azossiderivati ottenuti corrispondes- sero a sostanze più complesse esprimibili p. es. con la formula R.N_N.CO NH, of No A R.N-N.CO NH; o con altre simili è voluto determinare il peso molecolare della fenìlazossi- carbonammide il quale risultò di 160, mentre il calcolato per €, Hy N: OCONH è 165. La costituzione della p.bromofenilazossiammide è stata anche riconfermata dalla facilità con la quale sì lascia ridurre. La sua soluzione acquosa alcoolica trattata con polvere di zinco ed acido acetico si decolora immediatamente; se al liquido filtrato si aggiunge permanganato di potassio in quantità suffi- ciente si depone la p. bromofenilazocarbonammide cristallizzata in sottili aghi di colore giallo aranciato. (*) G., Ch, XLVI, II, pag. 67. — 376 — Dunque la trasformazione dell’una sostanza nell’altra si ottiene con relativa facilità nel senso rapresentato dallo schema: H.0, Ce H, Br enti (O H, Br N | H; | NCO NH, N.CONH, <— N=0 Devo ancora aggiungere a proposito di questa azossiammide che essa reagisce in soluzione acquosa con ipobromito di potassio senza sviluppo gassoso, il prodotto della reazione con #8 naftolo si colora in bruno, succes- sivamente dà un leggero sviluppo gassoso e formazione di bromofenilazof- naftolo. Mi riservo di studiare ulteriormente questa reazione. La p. nitroazossicarbonammide, che si ottiene al solito modo per azione dell'aqua ossigenata sull’ammide corrispondente sciolta in acido acetico gla- ciale è meno stabile della corrispondente ammide bromurata. Ciò è dovuto al gruppo NO, che più stabile e più negativo dell’azossigruppo tende ad eliminarlo; per una ragione analoga gli acidi p. e m, aminobenzoici, trat- tati opportunamente con nitrito di sodio e ciamuro di potassio, anche se si opera a —79, dànno luogo spontaneamente alle trasformazioni seguenti: COOH COOH Coo H COOH 6, H, —> 6, H, > 6. HL —> 6, H, NH, N ON CONE, N.CN mentre la p. nitro e la p. bromoanilina trattate allo stesso modo a 0°, dànno il diazonitrile corrispondente relativamente stabile. Il p. nitro e p. bromonitrile (forme anti) sciolti in acido acetico e trattati con acqua ossigenata reagiscono in modo analogo secondo la reazione seguente: RN:NCN + H.0,= ECONO 0 Bamberger e 0. Baudisch (!) trattarono in ambiente neutro con acqua ossigenata il p. clorodiazobenzolo, ottennero per la massima parte la p. elo- roazocarboneammide e piccole quantità di nitrosofenilidrossilammina la cui formazione fu dai citati autori spiegata con l'equazione seguente: 280 CIO, N:N.CN +H.0, = CI. CH NC + HCN NH (3) B. 45, 2154. — 377 — ma per i fatti da me stabiliti questa interpretazione non è esatta; più con- forme alla realtà è quella data da Angeli (*). Egli previde che si doveva formare prima l'azossinitrile CIC, HE, N:NCN+H,0,=C1C,H,N:NCN+H;0 Il da cui per idrolisi H,0 CIGH,N:NCN —> CICGH,N:N.0H e HCN (3 Il Il 0 La 2 — 4 bibromofenilazocarbonammide nelle ordinarie condizioni di esperienze non dà l'azossiderivato corrispondente; evidentemente il carattere, il numero, e la posizione dei sostituenti nel gruppo benzenico esercitano una grande infuenza sulla capacità del diazogruppo ad addizionare stabil- mente un atomo d'ossigeno. Tutte le azossiammidi quì descritte, mostrano una grande analogia coi diazocomposti; oltre reagire con il # naftolo reagiscono come questi col pirrolo e derivati, compreso l'indolo, coi fenoli, con l'etere acetacetico, col nitroetano, ma di queste reazioni mi occupo particolarmente in altra Nota. Della p. bromoazossicarbonammide trattata opportunamente con potassa caustica, sono riuscito ad isolare il sale potassico dell'acido corrispondente Br CH, N:N.C00 K. I 0 che è il sale del primo azossiacido noto. Questo con gli acidi svolge anidride carbonica, con il 8 naftolo mani- festa intensamente la reazione dei diazocomposti; così resta dimostrato che le azossiammidi con gli alcali, subiscono le seguenti trasformazioni: BrGH, N:NCONH; > BrC;H, N:N COOH > BrGH,N:NH > Î [ I (0) O 0 > BrGH,N:N.0H. È noto che i due isomeri CH; N:NC,H,0H e C,H, N:NC, H OH Î Î (0) (0) per ossidazione dànno entrambi (‘, H; N: NOH. (*) R. A. L. LXXVI, 1° sem., pag. 212. — 378 — A cui si deve arrivare attraverso le trasformazioni: CH N:NGHOH > CH; N:N.C00H > CH; N:NH \ (5 Il I Il o) lo) (0) | CoHsN:N.0H C.E,N:NC,H/0H> CH, N:NC007 => CHIN-NM N 0 Il Il Il O O i (6 La nitrosoammina della fonilurea: CHiN—N:0 I CO N H, in ambiente alcalino con # naftolo dà, come i diazoderivati e le azossiam- midi il fenilazonaftolo. Tutto dunque induce a credere che possano esistere i due isomeri: C,HsN:NH e C,N;N:NH Il Il 0 (osicchè, come già ammise Angeli, i diazotati normali sarebbero rap- presentati dalle formule generali I R Il R | Hantzsch ammette invece che ai diazotati normali ed agli iso corrispon- dano rispettivamente le formule : R N e RN I HO.N N.0H le quali differiscono unicamente dalla loro configurazione e quindi male spiegano il diverso comportamento dei varî derivati del diazobenzolo e spe- cialmente la grande facilità con cuii diazonormali prendono parte a molte reazioni. Questa invece è resa più comprensibile se si ammette nei diazotati, come è espresso nelle formule I e II l'esistenza di un sistema di doppi legami gemelli ('). (!) La presente Nota coi relativi dati sperimentali verrà pubblicata per esteso in altro periodico. — sig Chimica fisiologica. — Sul! valore alimentare dei semi del- Ervum Ervilia('). Nota III di SapaTO Visco, presentata dal Corrisp. D. Lo Monaco (?). In una Nota precedente (*) riferimmo come due ratti alimentati esclu- sivamente con farina di semi di ZArvum £rvilia perdessero continuamente di peso, e come poi morissero l'uno al 18° giorno di esperimento e l’altro al 20° giorno, avendo perduto rispettivamente il 39 ed il 41.3 °/, del peso iniziale. Continuando le ricerche, il fatto ci si è ripetuto costantemente, come si rileva da quest’altri due protocolli che riassumiamo. Ratto A, bianco, maschio, pesa gr. 238. Si mette in esperimento il 14 maggio del 1921, alimentandolo esclusivamente con farina di semi di 4rvum £Ervilia. Perde continuamente di peso, ed il 16 di giugno si trova morto. Pesa gr. 13°. In 32 giorni ha perduto il 42 °/o del proprio peso. Nulla all'esame necroscopico. Ratto 8, bianco, maschio, pesa gr. 145. Si mette in esperimento il 15 maggio del 1921, alimentandolo esclusivamente con farina di semi di 4rvum £Ervilia. Perde continuamente di peso ed il 16 giugno si trova morto. Pesa gr. 83. In 32 giorni ha perduto il 41,9 °/e del proprio peso. Nulla all’esame necroscopico. Se questi risultati dimostravano in modo indubbio che i ratti alimen- tati soltanto con farina di semi di ervo perdevano continuamente di peso, fino ad un limite incompatibile con la vita, nulla però ci rivelavano sulle cause intime che determinavano tale continua ed inesorabile perdita di peso, che, ipoteticamente, poteva dipendere tanto da qualche principio tossico pre- sente nei semi e capace di provocare nn'esagerata 0 abnorme scomposizione di qualche tessuto o l'alterazione di qualche organo dell'animale in esperi- mento, quanto dall'insufficienza quantitativa o qualitativa del cibo ingerito. Nuove ricerche si rendevano perciò necessarie. Nostra prima cura fu quella di sgomberare il terreno delle indagini dalla prima ipotesi; e perciò som- ministrammo a due ratti una certa quantità di estratto acquoso dei semi di Ervum Ervilia, preparato come segue: In un apparecchio a spostamento si estraeva con acqua distillata una certa quantità di semi ridotti in polvere finissima; l’estratto si defecava con acetato barico di piombo, si allontanava (!) Ricerche eseguite nell'Istituto di chimica fisiologica della R. Università di Roma, diretto dal prof. D. Lo Monaco. (®) Pervenuta all'Accademia 1'11 agosto 1921. (*) Ved. questi Rendiconti, fasc. 79-89, ottobre 1921. — 380 — il piombo con H°S, si filtrava ed il filtrato si concentrava a bagno maria. Si otteneva così una massa molle di colore giallo bruno, attaccaticcia, igro- scopica, con sapore urente, con reazione acida al tornasole, insolubile nel- l'etere, nell’alcool assoluto, nell’acetone, solubilissima in alcool, riducente il liquido di Fehling, ecc. ecc. Col metodo descritto, che poi è uno di quelli più comunemente usato per l'estrazione dei glicosidi, si ottenevano da 1 kg. di farina di ervo, circa 10-12 gr. della sostanza descritta, e costituita in massima parte, come risulta da alcune ricerche iniziate in questo laboratorio dal dottor Giuseppe Salimei, da due glicosidi diversi. Riassumiamo i protocolli di queste esperienze. Ratto A, bianco, femmina, pesa gr. 166. Si mette in esperimento il 2 maggio 1921, alimentandolo con farina di ceci, contenente il 10 °/, di estratto di ervo. Il 6 maggio si aggiunge a tale alimentazione un miscuglio a parti uguali di grasso di bue ed estratto di ervo. Il 9 maggio l’animale pesa gr. 170. In sette giorni ha complessivamente ingeriti 11 grammi di estratto di ervo, ed ha guadagnato 4 grammi in peso. Appare sana, è incinta, ed il 18 dello stesso mese partorisce 8 figli vivi che però non allatta. Ratto 8, bianco, maschio, pesa gr. 220. Si mette in esperimento il 6 maggio 1921, alimentandolo con farina di frumento contenente il 10 °/o di estratto di ervo. Il 16 maggio pesa gr. 221. In 10 giorni ha ingeriti complessivamente gr. 14 di estratto di ervo, ed ha guadagnato 1 grammo in peso. Appare sano. Assodato così che i glicosidi estraibili dall’ervo col metodo indicato non influenzavano affatto il peso degli animali, passiamo a verificare quale delle due altre ipotesi indicate trovasse rispondenza nei fatti. Le ricerche biblio- grafiche, eseguite per conoscere la costituzione chimica dei semi dell’ 4rvum Ervilia, hanno dato risultati negativi. Il Wehmer (*) dice che essa è uguale a quella dell’ #7vum Zeus, ma ciò, volendo compiere un'indagine rigorosa sul valore. del seme in oggetto, non poteva appagarci; perciò ne riprendemmo l'esame ottenendo i seguenti valori medi: sostanze azotate, 23.6 °/,; sostanze non azotate, 62.49 °/,; ceneri, 3.45 9/0; acqua, 13.15 °/,; amido, 52.90 °/g; cellulosa, 5,50 °/,; grasso, 1.09 °/,. Anche questo terzo gruppo di esperi- menti fu eseguito sui ratti tenuti in gabbie da ricambio in maniera da poter raccogliere separatamente le orine dalle feci, ed ai quali somministrammo, come alimento, del pane fatto con farina di ervo impastata con acqua, senza lievito, e cotto nella stufa a secco a temperatura non superiore ai 90° C. Come alimento di confronto scegliemmo il pane di farina di 7riticum sa- tivum. Tanto di un pane quanto dell'altro determinammo quotidianamente il contenuto in H°O, e tre volte per settimana il contenuto in azoto col metodo di Kjeldahl. Riassumiamo nelle tabelle seguenti i risultati ottenuti. (1) Wehmer C., Die Pflanzenstoffe, Jena, 1911. Ratto n. 1. — 381 — TABELLA A. ALIMENTAZIONE: Pane fatto con farina di semi di £rvum Ervilia. ; Azot Bilancio dell’azot Alimento | Azoto Feci Pea RO ee Pe Peso GIORNI ingerito | ingerito emesse | con le feci assorbito Î6 oa dell'animale 1a La Ds Pe De = "là = = Grammi Grammi Grammi Grammi Grammi Grammi Grammi (0) _ — —_ — — _ —_ — 220,000 1 7,677 0,233 2,210 0,067 0,166 0,199 —_ 0,033| 219,000 O) 6,413| 0,194] 0,730) 0,026| 0,168] 0,190 — 0,022 | 209,000 3 4,288| 0,129] 1,248] 0,035] 0,094) 0,120) — 0,026 | 203,000 4 6,050 0,183 1,211 0,049 0,134 0,140 = 0,006| 198,000 5 6,305 0,191 1,017 0,034 0,157 0,186 —_ 0,029 | 197,000 6 5,027 0,152 1,548 0,056 0,096 0,227 — 0,131} 190,000 7 8,575 0,260 1,513 0,049 0,211 0,257 — 0,046 | 187,000 Totali | 44,335 1,942 9,477 0,316 1,026 1,319 — 0,293 | — gr. 33 Percentuali . | 2354 74,46 128.56 — 28.56 |—15,0°/o Ratto n. 1. TABELLA B. ALIMENTAZIONE: Pane fatto con farina di semi di Ervum Ervilia. Az Bilancio dell’azot Alimento Azoto Feci ui Azoto Ando DIS di Peso . . ; , eliminato u con . GIORNI ingerito ingerito emesse | con le feci assorbito locato dell'animale e ne 2a = & D L — na Grammi Grammi Grammi Grammi Grammi Grammi Grammi 0 — — = _ cs _ —_ — 187,000 1 7,852 0,238 2,073 0,065 04/5 0,277 — 0,104| 186,000 2 10,040 0,305 3,179 0,071 0,234 0,252 —_ 0,018| 184,000 3 10,180 0,309 2,480 0,072 0,237 0,252 _ 0,015 | 181,000 4 9,513 0,289 2,998 0,086 0,203 0,252 — 0,049 | 175,000 5 10,100 0307 1#2.05, 0,055 0,252 0,258 —_ 0,006 | 174,000 6 8,620 0,261 2,018 0,081 0,150 0,207 — 0,027 | 170,000 7 6,855 0,233 1,388 0,057 0,176 0,209 0,033 | 168,000 Totali | 63,160 1,942| 15,283 0,487 1,455 1,707 —_ 0,252 | — gr. 19 Percentuali . . | 25.08 74,92 124.19 — 14.19 |-10,1% RENDICONTI, 1921, Vol. XXX, 2° Sem. 49 — 382 — Ratto n. 1. TABELLA C. ALIMENTAZIONE: Pane fatto con farina di cariossidi di Triticum sativum. | Azoti Bi i : Alimento | Azoto Feci Arto IE AL Viel SIaita |P Peso ì ; . i eliminato a con ; GIORNI ingerito ingerito emesse | con le fici assorbito Totoro dell’animale » sa pa A > 2 + — e Grammi Grammi Grammi Grammi Grammi Grammi Grammi 0 - — — - — —_ - — | 168,000 1 11,290|° 0,203 2,158 0,081 0,122 0,204 — 0,082 | 168,000 2 9,865 0,177 1,243 0,042 0,135 0,111 0,024 — 167,000 3 10,318 0,185 0,663 0,028 0,157 0138 0,019 — 167,000 4 10,470 0,188 0,695 0,028 0,160 0,137 0,023 — 167,000 5 10,345 0,186 1,188 0,015 0,171| 0,141 0,030 —_ 168,000 6 9,530 0,171 0,315 0,011 0,160 0,120 0,040 — 170,000 ti 10,548 0,189 0,795 0,032 0,157 0,120 0,037 — 171,000 Totali | 72,366 1,299 7,057 0,237 1,062 0,971 0,091 — |+ gr. 3,0 Percentuali . . .| 18,24 | 81.76 91.43 8.57 — |[|+178% Ratto n. 2. TABELLA A. ALIMENTAZIONE: Pane fatto con farina di cariossidi di 7riticum salivum. Azoto Azoto Bilancio dell'azoto Alimento Azoto Feci Aule Azoto eliminato Peso È : . . eliminato ì con È GIORNI ingerito | ingerito emesse | con le feci assorbito Tororine dell'animale > NE DI 1a: 2a Si + — ha Grammi Grammi Grammi Grammi Grammi Grammi Grammi 0 — — — _ — — — — 230,000 1 10,040 0,180 1,058 0,050 0,130 0,115 0,015 — 225,000 2 10,705 0,192 1,403 0,046 0,146 0,095 0,051 —_ 220,000 3 10,035 0,180 1,078 0,036 0,144 0,084 0,060 — 219,000 4 9,781 0,177 0,750 0,028 0,149 0,100 0,049 = 216,000 ò 11,935 0,204 0,725 0,028 0,176 0,134 0,042 — 216,000 6 10,045 0,180 0,315 0,008 0,172 0,109 0,063 —_ 216,000 7 11,503 0,207 0,930 0,033 0,174 0,128 0,046 — 217,000 Totali | 73,444 1,320 5,259 0,229 1,091 0,765 0,326 — | gr. 13 Percentuali . . .| 17.35 | 82.65 | 70.11 |+-29.89| — |—5,64% Ratto n. 2. — 383 — TABELLA B. ALIMENTAZIONE: Pane fatto con farina di semi di Ervum Ervilia. Azoto Azoto Bilancio dell'azoto Alimento Azoto Feci AO, Azoto eliminato Peso GIORNI ingerito ingerito emesse | con le feci assorbito To IRR | dell'animale = > sE È Pi P. iL = Di Grammi Grammi Grammi Grammi Grammi Grammi | Grammi 0 = Le e CS DE - e — | 217,000 1 7,190 0,244 0,978 0.035 0,209 0,166 0,043 — 209,000 2 3,185 0,108 1,195 0,040 0,068 0,149 — | 0,081) 200,000 3 5,082 0,172 0,855 0,037 0,135 0,229 —_ 0,094| 193,000 4 5,269 0,179 1,300 0,058 0.121 0,249 _ 0,128 | 187,000 5 6,930 01235 1,650 0,073 0,162 0,251 — 0,089 | 186,000 6 7,150 0,245 1,750 0,076 0,167 0,252 — 0,115| 184,000 7 8,707 0,296 2,985 0,088 0,208 0,285 — 0,075 | 182,500 Totali | 43,513 1,477| 10,713 0,407 1,070 1,609 _ 0,539 | — gr. 35 Percentuali .| 27.48 72.52 150.37 -- 50.37 |—16.12 °/o Ratto n. 2. TABELLA C. ALIMENTAZIONE: Pane fatto con farina di semi di Ervwn Ervilia. Azoti Bilancio dell'azot Alimento Azoto Feci Tai Azoto cunasto NESS sele Peso GIORNI ingerito ingerito emesse | con le feci assorbito TO Siae dell'animale De de 2° e Pa se L — 2a. Grammi Grammi Grammi Grammi Grammi Grammi Grammi 0 na a SE na ze 2. De — | 182,000 1 6,695 0,227 1,635 0,061 0,166 0,246 —_ 0,080 | 180,000 di 7,293 0,248 1,905 0,088 0,160 0,264 — 0,104| 175,000 3 7,100 0,241 2,185 0,093 0,148 0,248 _ 0,100} 171,000 4 6,945 0,236 1,092 0,053 0,183 0,280 — 0,097 | 165,000 5 6,700 0 227 1,910 0,085 0,139 0,233 _ 0.094| 163,000 6 6,573 0,222 1,925 0,092 0,150 0,252 _ 0,122) 161,000 7 6,739 0,229| 1,645] 0,074| 0,155| 0,258| — 0,098 | 157,000 Totali | 48,045| 1,630| 12,297 0,549) 1081] 1776| — 0,695 | — gr. 25 Percentuali 33.68 | 66.32 164.29 — 64.29 |—13,66°/e — 384 — Paragonando il valore alimentare del pane di cariossidi di Triticum sativum, con quello del pane di semi di £rvum Ervilia, si rileva che: 1°) nell’alimentazione con pane di ervo l'azoto eliminato con le feci raggiunge sempre una cifra più alta, tanto in via assoluta quanto in via proporzionale a quella dell'azoto ingerito, che non nell'alimentazione con pane di frumento; 2°) il minimum di azoto, che nell’alimentazione con pane di frumento si raggiunge e supera con un quantitativo di esso uguale ad x, nell’alimen- tazione con pane di ervo non si raggiunge nè con quantitativi uguali ad , nè con quelli uguali ad x + y. Da quanto abbiamo esposto risulta che i ratti alimentati con semi di Ervum Ervilia perdono continuamente di peso sino ad un limite incompa- tibile con la vita, perchè col cibo che quotidianamente ingeriscono non arri- vano a coprire nè i loro fabbisogni energetici, nè quelli azotati. Dei due deficit ha maggiore importanza quello azotato, perchè potrebbe eventualmente dipendere dal fatto che nella molecola proteica dell’ervo manchi qualcuno degli amino-acidi indispensabili all'economia dell’organismo dei ratti. La emissione di azoto urinario in quantità oscillanti dal 24 al 64°/, in più di quello assorbito, farebbe pensare che l’aumentata scomposizione delle pro- teine dei ratti in esperimento sia la conseguenza della necessità di fornire al loro organismo qualche radicale di aminoacido indispensabile all'economia animale, e non quella di soddisfarne i bisogni energetici. Un confronto tra di loro delle tabelle A dei ratti n. 1 e n. 2 ci fa sembrare probabile questo modo di vedere. Ambedue gli animali perdono di peso; ma, mentre quello indicato col n. 2 assicura il suo bilancio azotato con, in media, gr. 0,095 di azoto al giorno, e copre i fabbisogni energetici bruciando le sue riserve di grassi; il secondo, pur ingerendo in media gr. 0,146 di azoto al giorno e pur disponendo di un abbondante tessuto adiposo, disintegra parte delle sue proteine, ma in misura così esigua {gr. 1.85 circa in una settimana (molti- plicatore 6.25) = calorie 1.6 al giorno] da rendere poco probabile che siano impiegate a colmare i fabbisogni energetici dell'animale. Ancora più dimostra- tiva è la tabella 2 del ratto indicato col n. 2, in cui, pur essendo aumentato l'azoto ingerito (in media gr. 0,208 per giorno); del 12°/, nei confronti della settimana precedente, il deficit dell'azoto è aumentato di una cifra quasi uguale (13 °/,); ebbene, se la disintegrazione delle sostanze proteiche dipendesse da esigenze energetiche, in questo caso avrebbe dovuto essere maggiore, perchè l’animale non disponeva più di grandi riserve di grasso, avendo già perduto nella prima settimana circa 33 grammi di peso. Ciò non ostante, non ritenendo affatto di aver dimostrato con questo che le proteine dell'ervo siauo incomplete, abbiamo ripreso lo studio dell'argomento adottando un diverso dispositivo sperimentale, col quale speriamo di potere ottenere risultati più certamente conclusivi. — $95 Biologia. — Osservazioni sugli strati limitanti esterni dello ialoscheletro nelle forme larvali dei Murenoidi . Nota I del dott. UmBERTO D’ANcONA, presentata dal socio B. Grassi ('). Come è noto, fino dal 1893 Grassi e Calandruccio (?) avevano notato nei Leptocefali una particolare formazione circondante gli organi assili, e la avevano chiamata scheletro gelatinoso (iuloscheletro). In seguito Grassi, con- tinuando le sue ricerche sull'argomento, osservò che questo ialoscheletro pre- senta esternamente, nelle parti in cui confina colla muscolatura del tronco, una zona limitante costituita, andando dall'esterno (dalla muscolatura) verso l’interno (lo ialoscheletro), dai seguenti strati: 1°) uno strato di tubuli pa- ralleli alle fibre muscolari, provvisti di nuclei e verosimilmente aventi il valore di cellule; 2°) uno strato gelatinoso ; 3°) uno strato di fibre oblique ; 4°) un secondo strato di fibre oblique inerocianti le prime; 5°) un endote- lio a cellule allungate; 6°) un secondo endotelio, a cellule poligonali, sepa- rato dal primo da una lacuna. Questo interessante reperto, come pure le altre ricerche sulla morfolo- gia dei Murenoidi, rimase inedito, essendo il Grassi passato nel 18983 a studiare altri argomenti. In seguito altri autori non fecero attenzione a queste formazioni. Il Sella (*) le accenna soltanto chiamandole strasî limitanti periferici, ma non entra in maggiori particolari. L'argomento meritava di essere ulteriormente approfondito e perciò ne ripresi l'esame su consiglio del prof. Grassi, che mise gentilmente a mia disposizione l'abbondante materiale, in parte raccolto e preparato per le sue ricerche e in parte continuato a raccogliere anche in questi ultimi anni, e mi affidò, sotto gli auspicii del R. Comitato Talassografico, lo studio della parte morfologica della sua opera sui Murenoidi. I còmpiti che mi proposi furono: descrivere particolarmente le forma- zioni in parola nelle varie specie di Murenoidi; vedere quale origine ave- vano e se potevano essere messe in relazione colle condizioni esistenti in forme inferiori (Amphioxus); vedere come si comportavano nell’ulteriore svi- luppo e quale significato funzionale potevano avere. (1) Dall’Istituto di anatomia comparata della R. Università di Roma. (*) Grassi e Calandruccio, Ulteriori ricerche sui Leptocefali. Rendiconti R. Accad. Lincei, ser. 5, vol. II, 1° sem., pag. 450 (1893). (3) Sella M., Sullo sviluppo dello scheletro assiale dei Murenoidi. R. Comitato talassogr. ital, Mem. V. (1912). 308 (Quì mi limito ad accennare brevemente ad alcuno di questi punti che formano oggetto di ricerche tuttora in corso. Oltre che delle sezioni, mi sono valso principalmente di preparati per dilacerazione ottenuti togliendo i due strati muscolari del tronco e lasciando allo scoperto lo ialoscheletro. In tal modo gli strati limitanti rimangono in parte aderenti a quest'ultimo e possono venir esaminati sia a fresco sia con svariate colorazioni. Tra le forme esaminate (Congromuraena mystax, Conger conger, Anguilla anguilla, Ophisoma balearicum, Tilurus hyalinus, T. trichiurus), ho trovato che i preparati migliori si ottengono dagli esemplari di C. mystax e perciò, e anche per l'abbondanza del materiale, ho studiato principalmente questa specie, cui essenzialmente si riferisce la seguente descrizione. Nelle altre specie esaminate ho riscontrato condizioni simili. Il primo degli strati osservati dal Grassi, quello dei tubuli, sì presenta nelle sezioni trasversali formato da due membranelle, l'una saldata allo strato muscolare, l’altra allo strato gelatinoso, riunite fra loro da tanti se- pimenti perpendicolari in modo da formare attrettanti tubuli a sezione più o meno quadrangolare. Addossati alla membranella mediale si notano dei nuclei appiattiti. Nei preparati per dilacerazione i tubuli si presentano di fronte, sepa- rati da linee longitudinali (che talvolta appaiono doppie), parallele alle fibre muscolari. Spessissimo si notano, nei tubuli, dei precipitati provenienti pro- babilmente da liquidi contenutivi, I nuclei, già osservati nelle sezioni, sono seriati, per lo più molto regolarmente, in linee oblique poste nel mezzo di ciascun miomero e seguenti l'andamento di questo; più raramente sono un po’ più disordinati, ma mai ho osservato in un miomero più di un nu- cleo per tubulo. In corrispondenza ai miocommi, nei preparati per dilacera- zione, lo strato dei tubuli appare generalmente strappato; però, nei tratti in cui rimane conservato, si osserva che i singoli tubuli terminano affusolati cogli estremi alternati, quelli di un miomero tra quelli del miomero adia- cente. Nelle sezioni si vedono i miocommi attraversare lo strato tubulare e penetrare nello strato gelatinoso. Ritengo quindi di poter considerare i tu- buli come altrettante cellule occupate quasi completamente da un vacuolo ripieno di un contenuto liquido. Tra lo strato dei tubuli e lo strato muscolare appaiono spesso delle cellule stellate, probabilmente connettivali. Medialmente ai tubuli segue, come s’è detto, uno strato gelatinoso, piut- tosto spesso nelle semilarve, più sottile nelle larve. Questa differenza è spe- cialmente evidente nell’ O. dalearicum. Nei Tiluri lo strato è molto sottile. In esso strato gelatinoso, nelle forme giovani, non sì distinguono nè fibre nè cellule; in alcune fra le semilarve più progredite invece si vedono delle cellule connettivali penetrarvi assieme colle fibre dei miocommi o al dorso — 387 — e al ventre dal connettivo sottostante all’epidermide. Nello strato gelatinoso decorrono dei vasi sanguigni in ordine metamerico. I due strati di fibre possono dirsi immersi nella parte più interna dello strato gelatinoso. I fasci di fibre dello strato mediale sono più fitti, più sottili e più diritti; quelli dello strato laterale (almeno nei preparati) più radi, più robusti e più ondulati. Nei Tiluri e nell’ O. dalearicum invece ambedue gli strati presentano fasci ugualmente sottili. Le fibre (special- mente quelle dello strato laterale) non si vedono che indistintamente a fresco o colle più comuni colorazioni; sono invece meglio evidenti in preparati per dilacerazione colorati coll’ematossilina ferrica di Heidenhain, meglio ancora coi metodi di Bielschowsky - Levi e di Achucarro - Rio Hortega. Le fibre dello strato mediale hanno un andamento quasi normale alla direzione dei miomeri ; così, corrispondentemente alle pieghe a = di questi (in cui si ha cioè nel mezzo un vertice rivolto verso il capo, e nelle parti dorsale e ventrale due rivolti verso la coda) ('), si ha nelle fibre una curva in corrispondenza all’asse del corpo colla convessità rivolta verso la coda, e due curve (una dorsale e una ventrale) colle convessità dirette in senso cefalico. Le curve delle fibre sono però più dolci che gli angoli dei mio- commi, e così quelle incontrano questi con degli angoli più o meno acuti. Un simile decorso hanno anche le fibre dello strato laterale, però in senso opposto ; esse ripetono all'incirca l'andamento dei miomeri, ma la cur- vatura loro è molto meno rilevante che quella dello strato mediale. In con- seguenza i due strati di fibre formano una sorta di graticcio. Lo strato endoteliale laterale è addossato allo strato di fibre mediale tanto da sembrar sitnato nello stesso piano; esso consta di cellule allun- gate nello stesso senso di queste fibre. In ciascuna cellula si nota un nucleo per lo più ovale, più o meno allungato nel senso della maggior lunghezza, talvolta incurvato a semiluna (p. es. in 0. balearicum). L’endotelio più interno riveste lo ialoscheletro ed è formato da cellule poligonali col nucleo generalmente a semiluna. Tra i due strati endoteliali esiste la lacuna notata dal Grassi, lacura nella quale nelle sezioni si osservano spesso delle sostanze coagulate. Questa lacuna, per quanto nei preparati sia talvolta molto ampia, è verosimile che în vivo sia quasi virtuale. Nelle sezioni generalmente la lacuna appare con- tinua, talvolta però sembra divisa da setti sottili; se questi siano dei veri setti oppure se risultino soltanto da sostanza coagulata, non posso dirlo. Certo è soltanto che in corrispondenza all'asse del corpo la lacuna è at- traversata dai nervi spinali e che qui è realmente settata. Nei preparati per dilacerazione gli strati di fibre e gli endotelii sembrano continui anche in corrispondenza ai miocommi. (1) Nei Tiluri, come è noto, questi ultimi mancano. i) a MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI 1. Bompiani E. « Proprietà differenziali caratteristiche di enti alge. brici ». Pres. dal Socio CASTELNUOVO. 2. SapupPo R. « Sul fenomeno dell’assorbimento gravitazionale ». Pres, dal SEGRETARIO. 3. PonTREMOLI A. « La doppia rifrazione accidentale meccanica nei li- quidi ». Pres. dal Socio CorBino. 4. CorRoNEI G. « Correlazioni e differenziazioni. (Ricerche sperimentali sullo sviluppo degli Anfibi) ». Pres. dal Socio Grass. 5. Jucci C. « Sulla differenziazione delle caste nella società dei Ter- mitidi. I Neotenici ». Pres. Ip. PERSONALE ACCADEMICO Il Presidente VoLTERRA nell’iniziare, colla odierna seduta, i lavori del nuovo anno accademico, manda un cordiale saluto ai Colleghi e particolar- mente all'on. Corbino, che è tra i Soci presenti, al quale porge vivi ringra- ziamenti per aver condotto a termine le pratiche relative all'assestamento finanziario dell'Accademia, per il corrente anno accademico. Coll’aiuto otte- nuto dal Governo, quest'ultima è stata rimessa in grado di esplicare la propria alta funzione, diretta a favorire gli studî e il progresso scientifico del nostro paese. Il Presidente VoLTERRA accenna alle perdite che l'Accademia subì du- rante le ferie, nelle persone del Socio nazionale prof. ANTONINO BorzÌ, morto il 24 agosto passato, e del Socio straniero prof. GABRIELE LIPPMANN, mancato ai vivi il 12 luglio. Dei due Accademici il Presidente fa una breve ed affettuosa commemorazione, ricordando del Borzì la bella carriera scien- tifica, durante la quale ebbe ad occuparsi dei più svariati rami della bota- nica, e la vasta sua cultura; dà poscia comunicazione dei ringraziamenti tras- messi, per mezzo del Socio AnGELITTI, dalla famiglia del defunto Collega in occasione delle condoglianze inviatele dall’ Accademia. Anche del Socio Lippmann, mancato ai vivi durante il suo viaggio di ritorno da una missione al Canadà, il Presidente ricorda i meriti scientifici; e principalmente mette in rilievo gli studî sulla elettrocapillarità e sul principio della conservazione del- l'elettricità, che condussero a importantissimi risultati, e la scoperta della — 389 — fotografia dei colori riprodotti per interferenza, in condizioni identiche a quelle della natura. Il Presidente propone, e la Classe approva, che alla vedova dell'illustre Socio straniero siano mandate le condoglianze dell'Accademia. Il PRESIDENTE annuncia poscia che hanno inviato ringraziamenti al- l'Accademia per la loro recente elezione: i Soci nazionali: CANTONE, CaNnAVARI, DarneLLI, Dr LEGGE, GAR- Basso, FANTOLI, MaRcoLONGO, MILLOSEVICH; i Soci corrispondenti: ANTONIAZZI, ARMELLINI, BemPorap, MARI- NELLI, PALAZZO, PARRAVANO, PUCCIANTI, ZAMBONINI; e i Soci stranieri: De La VALLEE Poussin, EinstEIN, GuyYE, Woop. Lo stesso Presidente aggiunge che il prof. FEDERICO GioLITTI non ha accettato la nomina a Corrispondente. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario CAstELNUOVO presenta le pubblicazioni giunte in dono, se- gnalando quelle dei Socî: FANTOLI, Il lago di Como e l'Adda emissario nella condizione idraulica odierna e nella divisata regolazione del deflusso mediante opere mobili di trattenuta e di scarico; Favaro, Adversaria Galileiana, serie 6°; Intorno ad una nuova edizione delle opere letterarie di Galileo; Iprimordi dell’osservatorio astronomico di Padova, opera po- stuma di G. Lorenzoni; SEVERI, Zezioni sulla geometria algebrica, tradu- zione tedesca del dott. Lòftler, nella quale trovansi aggiunti in appendice alcuni importanti articoli che non comparivano nell'edizione italiana. Lo stesso Segretario richiama l’attenzione della Classe anche sul vol. VII delle Lettere di Jac. Berzelius, pubblicate dalla R. Accademia delle scienze di Svezia; sopra due volumi della ristampa dell'opera, The scientific Papers of the Honourable Henry Cavendish; e sul volume contenente i risultati della Spedizione britannica (Terra nova) al polo antartico, del 1910-1913. Il Presidente VoLTERRA presenta la pubblicazione del Socio straniero LAcROIX: Zes pierres de Madagascar, e fa omaggio, a nome dell'edi- tore Hermann, dell’opera: Zspace, Temps et Gravitation di A. S. EDDINGTON. Menziona inoltre una pubblicazione del Rice Institut del Texas, dedicata a commemorazioni di Dante; tra queste ne segnala una del prof. Evans sul viaggio dantesco considerato dal punto di vista scientifico. Il Socio Levi-Civita fa omaggio del primo fascicolo delle Abhand- lungen di cui inizia ora la pubblicazione il Seminario matematico della Uni- versità di Amburgo. RENDICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sea, 50 — 390 — AFFARI DIVERSI Il Presidente VoLTERRA presenta varî pieghi suggellati, esser deposti negli Archivi accademici, dai signori: Bruni, PaIs e PASTORI. Dà comunicazione di un voto dell'Accademia Reale di scienze fisiche e matematiche di Napoli al Ministro della P. Istruzione e al Ministro della Guerra, voto relativo all'acquisto dei libri nei paesi ex-nemici. L’Acca- demia si associa a tale voto. inviati per BARRICELLI, BIANCO, Il Segretario CastELNUOvo dà parte di un invito per il Congresso in- ternazionale di Geologia che si terrà nel Belgio pala seconda quindicina del mese di agosto dell'anno prossimo. G. C. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 6 novembre 1921. BarREL J. — The Piedmont Terraces of the Northern Appalachians (From the « American Journal of Science », vo- lume XLIX, pp. 227-428). New Haven, 1920, 89. BerzeLIUs F. — Bref genom H. G. Sé- derbaum. Uppsala, 1920. 8°, pp. 1- 336. Broca A. — Chirurgie de guerre et d’a- près-guerre. Paris, 1921. 89, pp. 1-vI, 1-479. Bryan K. —. Origin of Rock Tanks and Charcos (From the « American Jour- nal of Science », vol. L, pp. 187-206). New Haven, 1920. 89. CavenpiscH I. R. S. — Scientific Papers, vol. I, II. Cambridge, 1921. 89, pp. 1- 452, 1-496. Care Ca. — Terrestrial Magnetism (Bri- tish Antartic Expedition 1910-18). London, 1921. 4°, pp. r-x1t, 1-548, De Rey-PaeLHADE J. — Les ferments d’hydrogénation. Toulouse, 1921. 8°, pp. 1-8. EppInGTON A. S. — Espace, temps et gra- vitation. Paris, 1921. 8°, pp. I-xII, 1-262. e FanToLI (G. — Il lago di Como e l’Adda emissario. Milano, 1921. 89, pp. I-x1x, 1-306. Favaro A — Adversaria Galilaeiana (Estr. dagli « Atti e Memorie della R. Acca- demia di scienze, lettere ed arti di Padova », vol. XXXVII). Padova, 1921. 8°, pp. 1-35. Favaro ANTONIO. — I primordii dell’Os- servatorio astronomico di Padova (Estr. da « Contributo del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti alla celebrazione del VII centenario della Università di Padova»). Venezia, 1921. 89, pp. 1-94. — 391 — Fataro A. — Indice dei rotuli dello Studio di Padova (Estr. da « Contri- buto del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti alla celebrazione del VII centenario della Università di Pa- dova »). Venezia, 1921. 89, pp. 1-27. Favaro A. — Inturno ad una nuova edi- zione di opere letterarie di Galileo (Estr. dagli « Atti e Memorie della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Padova », vol. XXXVII). Pa- dova, 1921. 8°, pp. 1-11. Foà P. — Virchow in Italien (Estr. da « Virchow® Archiv », Bd. 235, pp. 379- 384). Berlin, 1921. 8°. Fusco P. — La sifilide ereditaria e acqui- sita in rapporto alle malattie del corpo umano, vol. III. Philadelphia, 1921, 8°, pp. 1-413. GaBa L. — Cenno necrologico ed elenco degli scritti di Giovanni Celoria (Estr. dal « Bollettino bimensuale della So- cietà meteorologica italiana », nn. 7- 8-9). Torino, 1921. 8°, pp. 1-12. Hume G. S. — The Stratigraphy and geo- logic Relations of the paleozoic Outlier of Lake Timiskaming (Fromthe « Ame- ricanJournal of Science », vol L, p. 293- 309). New Haven, 1920. 8°. JonnsTtone J. H. L. — The relative Acti- vity of Radium and the Uranium with which it is in Radioactive Equilibrium (From the « American Journal of science », vol. L. New Haven, 1920. 8°, pp. 1-19. KemmeRrLING G L. L. — De geologie en geomorphologie van den Idyen. Ba- tavia, 1920. 49, pp. 1-xv, 1-162. Lacrorx A. — Les Pierres de Madagascar (Extr. de la « Revue scientifique », 1921). Paris, 1921. 8°, pp. 1-59). LivraGHI E — Memoria scientifica e studio tecnico industriale delle alluvioni del Ticino. Milano, 1921, 8°, pp. 1-47, LockveR W. J. — The spectrum of Cas- siopee in relation to those of a Cygni and 7 Cygni (Repr. from the « Mon- thly Notices of the Royal Astronomi- cal Society n, vol. LXXXI, pp. 495- 501). Edinburg, 1921. 89. LumigRe A. — Ròle des colloîdes chez les ètres vivants. Paris, 1921. 8°, pp. Iivini, 1-311. Mancini N. — Magnetizzazione della elet- tricità. Firenze, 1921. 8°, pp. 1-89. MartEL E. A. — Nouveau traité des caux souterraines. Paris, 1921. 8°, pp. 1-838. Mascart J. — Sur l’établissement des moyennes en Météorologie (Extr. des « Comptes rendus des séances de l’Aca- démie des sciences », tome 173). Paris, 1921. foll. pp. 13. MatTEINI C. — Equazioni delle caratteri- stiche delle dinamo (Estr. dal Gior- nale l’ « Elettrotecnica »). Varese, 1921, 4°, pp. 1-10. MontIBELLI A. — Memoria scientifica e studio tecnico industriale delle allu- vioni del Ticino. Milano, 1921. 8°, pp. 1-47. MoureT M. G. — Antoine Chézy, histoire d'une formule d'hydraulique (Extr. des « Annales des Ponts et Chaussées », tom, II, pp. 165-268). Paris, 1921. 8°. NoetHER M. — Hieronymus Georg Zeuthen (Sond. aus « Mathematische Annalen », Band ®3). Berlin, 1921. 8°, pp. 1-23. Pubblicazioni della R. Specola di Collu- rania, vol. I, serie A e serie B. Roma, 1921. Reyes C. — Potere endocrine della Ti- roide nei rapporti col gozzo e col cretinismo ; nella etiologia della ca- chessia strumipriva; nei rapporti con l’opoterapia e con la tiroidectonica, Riposto, 1921. 8°, pp. 1-6. Ricuarp S. L. — New tertiary Artio- dactyls (From the « American Journal] of science », vol. I, pp. 83-130). New Haven, 1910. 8°. RicHarp. S. L. — An upper carbonife- rous Footprint from Attlebora, Mas- sachusetts (From the « American Jour- nal of Science », vol. I, pp. 233-236). New Haven, 1920. 89. RuruerForD M. -- New species of Oli- gocene (White River) Felidae (From the « American Journal of Science », vol. L, pp. 207-024). New Haven, 1920, 8°, See T. J. J. — New Theory of the Ae- ther (Repr. from « Astronomische Nach- richten », nn. 5079, 5085, pp. 234-154). Kiel, 1921. 4°. SiLvestRI F. — A new species of Termi- - taphis (Hemiptera Heteroptera) from India (Extr. da « Records of the In- dian Museum », vol. XXII, pp. 71-74). Calcutta, 1921. 89. SeverI F. — Vorlesungen iber algebrai- sche Geometrie. Berlin, 1921 89, pp. xv, 1-408. SorpIina U. — Sul generatore a induzione eccitato mediante condensatori (Estr: dal Giornale 1° « Elettrotecnica »). Va- rese, 1921. 49, pp. 1-10. TroxELL E. L. — A Tiny Oligocene Ur tiodactyl, Hypisodus Alacer (From the « Amer. Journ. of Science», vol. XLIX, pp. 391-398). New Haven, 1920. 89. VoseL H. — Vergleichende Betrachtungen iiber das variskische Gebirge am Rhein und in Oberschlesien unter Be- riicksichtigung der darin auftretenden nutzbaren Lagerstàtten (Sonderabdruck aus der « Zeitschrift des Oberschlesi- schen Berg- und Hiittenminnischen Ve- reins », Jahrgang 1921). Kattowitz, 1921. 8°, pp. 1-21. Wrkient W. H. — The Spectra of the temporary Stars. California, 1920. 49, pp. 1-26. PRESENTAZIONE DI LIBRI x Castel uovo ( (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle dei Soci Fantoli, Favaro, ISAAC ORMEI MAREA MII E RONN e III I; (Presidente) Fa menzione di alcune pubblicazioni del Socio straniero Lacroix e signori Eddingion CM SR a e e I EER e ivita. Offre una pubblicazione del Seminario matematico della Università di Amburgo AFFARI DIVERSI dii (Segretario). Comunica un invito per il Coneresso internazionale di Geologia, terrà nel Belgio a metà del prossimo aMnongn e Classe di scienze fisiche. matematiche Seduta del 6 novembre 1921 MEMORIKR E NOTE DI SOCI Angeli. Sopra il comportamento e le proprietà di alcuni derivati aromatici Grassi. Razze biologiche di Anofeli (*). . 0... . so na Orocco. Constatazioni sulle scie aerodinamiche . . . Majorana. Sull’assorbimento della gravitazione. Nota III. MEMORIE E NOTE PRESENTATE DA SOCI Mammana. Sulle relazioni fra le misure di un insieme variabile e dell'insieme suo limite (presidal&Socios Bia) LI E Scorza. Sugli integrali abeliani riducibili (pres. dal ca CastcInuovo): : Campetti. Sul potenziale di risonanza e di ionizzazione nei vapori misti di sodio e potassio con mercurio. Nota Il (pres. dal Socio Naccar) I. Agamennone. I terremoti mondiali n 1916 e l'Osservatorio di Rocca di Papa. Nota IL È (pres. dal Socio Cerulli) . RIZANE RO Cerulli. Osservazioni sulla 2 comunicazione SSR dia SI een Panichi. Su la «Italite » e la « Vesbite » di H. S. Washington (pres. dal Socio Artini) T'enani. Sul calcolo dell’energia del vento. Nota I (pres. dal di Crocco) . . Paolini. Carvomentoli attivi dalla riduzione del carvone con platino (pres. dal Corrisp. PREPALONER)" vi LEE A IR II IL ERI Pieroni. Azossiammidi e diazocomposti (pres. dal Socio Angeli) . PIRA Visco. Sul ‘valore alimentare dei semi dell’Ervum Ervilia. Nota II (pres. dal Corrîsp.. Lo Monaco) . RR CARA RE Ke - . . . . . ta D'Ancona. Osservazioni i. strati limitanti esterni dello ialoscheletro nelle forme larvali dei Murenoidi. Nota I (pres dal Socio Grassi) . Li i È MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Bompiani. Proprietà differenziali caratteristiche di enti algebrici (pres. dal Sueio Cota Sapuppo. Sul fenomeno dell’assorbimento gravitazionale (pres. dal Segretario) . Pontremoli. La doppia rifrazione accidentale meccanica nei liquidi (pres. dal. Socio ani Cotronei. Correlazioni e differenziazioni. (Ricerche Rn) sullo sviluppo degli Anfibi) (pres. dal Socio Grassi) . LL EA e en I Jucci. Sulla differenziazione delle caste nella società dei ‘I l'ermitidi.. I Neotenioi (pres. mo (*) Questa Nota sarà pubblicata in un prossimo fiscionlo x REALE ACCADEMIA NAZIONALE. | I DEI LINCEI = Rest Be QD EN TA: \ 005 RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume XXX.° — Fascicolo 100 È lA novero 1921. 2° SEMESTRE TIP. DELLA R. ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI - PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1921 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE l. Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delledue Classi. Peri Renpiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estransi, nelle due sedute mensili del l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un'annata. 2. Le Note di Soci o Corrisponlenti non possono oltrepassare le 5 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, non possono superare le 3 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci s Corrisponden4i, e 30 agli estranei; qualora l'autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus= sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. ; I. Le Note che oltrepassino i limiti ndi- cati al paragrafo precedente e le Memorie pro: . priamente dette, sono senz’altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta a stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta, pubblica nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti ; 80 se estranei. La spesa.di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli | autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. O Seduta del 20 novembre 1921. F. D’Ovipro, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI Botanica agraria. — Su la Vite selvatica della Maremma. Nota del Corrispondente Bracio Lonao ('). Abbondante e rigogliosa cresce nella Maremma toscana la Vite selva- tica (Vitis vinifera silvestris) come ho avuto occasione di constatare du- rante un mio soggiorno estivo nel corrente anno. Spesso i suoi fusti gigan- teschi come immani serpenti avvolgono ì tronchi degli alberi ed i suoi rami contorcendosi nelle più strane guise, come le liane della vegetazione tropi- cale, salgono fin sui più alti alberi ricadendo in mille festoni. Abbondanti pendono i grappoli dell'uva, chiamata in Maremma « zampina », costituita da acini piccoli, neri e di cui nel luogo si fa vino, detto anche « zampino ». Uno dei più grossi fusti da me visti misurava m. 0,92 di circonferenza, e mi si disse che ve ne erano altri più grossi ancora. Queste richiamano alla mente le Viti selvatiche degli Etruschi menzionate da Plinio quando dice che precisamente a Populonia si ammirava una statua di Giove scolpita in un tronco di Vite. Tali colossi, che destarono la mia meraviglia di Botanico, m’indussero ad alcune considerazioni d’indole agraria. Sta di fatto che queste Viti sel- vatiche presentano uno straordinario rigoglio ed una grande produttività non (1) Presentata nella seduta del 6 novembre 1921. RenpICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sem. 51 — 394 — ostante che nessun aiuto abbiano avuto da parte dell'uomo. Potrebbe ciò. far pensare che esse siano resistenti a varie malattie che tormentano la Vite coltivata ? Circa ad Oidio e Peronospora le osservazioni da me fatte e le informazioni assunte mi farebbero rispondere affermativamente. Circa a Fillossera è da notare che siamo in zona fillosserata e che tuttavia, come si è detto, le Viti selvatiche sono rigogliosissime. Si tratta dunque di una razza di Vite selvatica veramente resistente alle varie malattie che tanto ostacolano la coltivazione della Vite dome- stica? E allora perchè non si tenta di stabilire con adeguati esperimenti se e in qual misura la nostra Vite selvatica si addimostri resistente in cultura, allo scopo di ricorrere ad essa nella ricostituzione dei vigneti come finora si è fatto con le Viti americane ? Agli egregi signori Maruzzi e Morghen, possidenti di Maremma, che- gentilmente mi accompagnavano nella gita, io tracciavo il programma degli esperimenti da farsi, e che qui brevemente accennerò nell’augurio che anche altri possano essere invogliati a tentarli. Prima di tutto fare una piantata di Viti selvatiche in terreni fillosse- rati per vedere se anche le piante provenienti da magliuoli, o anche da semi, abbiano resistenza alla Fillossera, perchè può venire il sospetto che- la resistenza delle grosse îpiante (veramente ne ho vedute anche delle pic- cole) sia dovuta allo straordinario sviluppo che certamente deve avere il loro sistema radicale. Nel caso, come sarebbe da augurarsi, che gli esperimenti diano esito. positivo, allora innestare le razze di Vite coltivata sulla nostra Vite selva- tica, come ora si fa sulle Viti americane. In tal modo sì avrebbe maggiore affinità tra il soggetto e l'innesto, ed è da supporsi anche maggiore rigo- glio, maggiore longevità, non che eliminazione di qualche altro inconveniente lamentato con l'innesto su le Viti americane. Notai, ai margini dei campi, qualche innesto tentato già dai contadini con buoni risultati; però gl'innesti erano stati praticati senza rimuovere dal posto, ove erano nate, le piante di Vite selvatica. Consigliavo inoltre — dati i risultati non completamente soddisfacenti. finora avuti dagli ibridi produttori diretti — di provare ad ottenere dei meticci tra la mostra Vite selvatica e la domestica (prendendo il polline ora dalla Vite selvatica ora dalle razze di Vite coltivata), e di scegliere poi tra i meticci quelli che si addimostreranno più vantaggiosi. Non resta che da provare; soltanto i risultati degli esperimenti ci diranno se e fino a qual punto la nostra Vite selvatica potrebbe essere uti- lizzata nella viticultura. — 395 — MEMORIE E NOTE PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sulle varietà contenenti più serie di super- ficie totalmente geodetiche. Nota di ENRICO BomPIANI, presentata dal Socio T. LEvI-CIVITA. 1. È noto che se una V,; possiede co! superficie totalmente geodetiche (tali cioè che ogni geodetica di una di esse è geodetica per V;), il suo ele- mento lineare ha la forma data da Hadamard (') 2 ssi SI Un(11 3 12) di dar + a33(71 , 2, 13) dr$ I quando le superficie tot. geod. siano le dex: = 0. Qui mi propongo di caratterizzare le V; che posseggono due serie co! di sup. tot. geod. con la condizione che la congruenza delle loro linee d’in- tersezione sia normale. 3 2. Se entro una V,, definita metricamente dal Gi Aip(%1,%2,%3) dx;d2x, 1 2_ è data una superficie col porre 2;= %; (1,2) e di ds* = > bis (U,,2) du dus, 1 condizione necessaria e sufficiente affinchè questa risulti totalmente geode- tica per la V3 è che si abbia (?) di xi dr (78) (00) dip da (ere EEA Ni . é ) 4 Reso SE) dU, dUs “e ci 2 VA dun ti6' ld Sa dun dÙ Per esprimere p. es. che le superficie 4x3 = 0 (sulle quali si può as- sumere %, = %;, 2, = %2) sono tot. geod. basta scrivere i simboli } {, ed }{a (1) J. Hadamard, Sur les éléments linéaires à plusieurs dimensions [ Bull. Sciences Mathém., t. XXV, 1901]; ivi sono determinate anche le V3 con “co? superficie tot. geod., ma non le V3 con più serie co! di tali superficie. G. Ricci, nella Nota Sulle superficie geodetiche in una varietà qualunque e in particolare nelle varietà a tre dimensioni [Rend. Acc. Lincei, vol. XII, serie 52, 1903,], ha ripreso il problema in generale e, nel caso delle V3, ha determinato le caratteristiche geometriche di quelle contenenti 00? sup. tot. geod., in relazione alle curvature e congruenze principali in esse contenute. (*) In questa forma si trovano nella mia Memoria: Stud? sugli spazi curvi; la 29 forma fondam. di una Vm in Vn [Atti R. Istituto Veneto di Scienze ecc., in corso di stampa, 1921,]. — 396 — in funzione di simboli di Christoffel di 1 specie relativi a Vs, [ Ja, e si ottiene a! X, + a8® XS + al83) Xx, = 0 che deve esser soddisfatta da ik ih ck . x=|| x=[5] x%=|5 | PESO Di qua, riferita la Vz alle co! sup. tot. geod. e alle loro traiettorie or- togonali, si ha il risultato citato di Hadamard. 3. Esistano.in Vs due serie co! di sup. tot. geod., facenti parte di un sistema triplo ortogonale. Si ha subito ds? = daî + Agg(%1 si 479) dxi + a33(21 . X3) dai 5 cioè: se una Vs contiene due serie co! di sup. tot. geod. facenti parte di un sistema triplo ortogonale, le superficie di una stessa serie sono fra loro applicabili e l'applicabilità è determinata dalle traiettorie ortogonali alle superficie della serie considerata; e viceversa. Se poi esiste una terza serie di sup. tot. geod. passanti per la con- gruenza d’intersezione delle due prime, si trova s= 0°(x1) (dat + dai + dx); quindi: se in una Vs contenente due serie di sup. tot. geod. facenti parte di un sistema triplo ortogonale esiste una terza serie di sup. tot. geod. passanti per la congruenza d'intersezione delle due prime, la Vs contiene co? sup. tot. geod. passanti per la congruenza ed è rappresentabile con- formemente sopra uno Sz euclideo. Fra queste sono le V3 a curvatura costante. 4. La V; contenga due serie co! di sup. tot. geod. nor ortogonali fra di loro, con congruenza d'intersezione normale. Assunte le sup. ortog. alla congruenza come dx, =0 e quelle tot. geod. come dr. =0, de =0, Go=@3=0; 4340. Le equazioni da soddisfare sono a X, + a8 X3=0 a Y, + a®® Y,=0 per x=|5 |. xs=| 5 | (ANZI v=[5 | cupa (@,k=1,9). Da esse si ricava ds° = 0?(x)) [dat 4 F (e de +2 dx, dx + et da8)] — 397 — con F,4,u funzioni soltanto di xs, 73 legate dalle equazioni RA Lo e Ree1 dI9 BILE dI? dI3 d log F ne DIA d log (e+#— 1) ero dlog(e+*te— 1) da dI dI3 PIE d(4-- u) => Oi ae Sa a diloglent bol: Os dI dT3 0, Du: DI: 4 sicchè, prese due funzioni Z, w soddisfacenti a quest’ultima, con la condi- zione A+ wu +0, si ha F con una quadratura. Le ultime equazioni esprimono che linee coordinate (vs 0 +3) sopra una superficie dr, = 0 sono per essa geodetiche; riferendo queste superficie ad un sistema di geodetiche e alle loro traiettorie ortogonali, si ha (r=7): ds° = 6°(x)[dx® + dy* + G(y,3) da*]; questo ds?, come si vede subito, contiene 00° sup. tot. geod. (altro risultato di Hadamard); quindi: Condizione necessaria e sufficiente affinchè una Vs contenga x? sup. tot. geod. è che essa contenga due serie co! di sup. tot. gèod. NON orto- gonalî con congruenza d’intersezione normale (*). L'interesse di questo risultato sta nel fatto che si ritrova il ds? di Hadamard partendo da ipotesi molto meno restrittive: una delle co? sup. tot. geod. è individuata da una geodetica di una sup. ortogonale alla con- gruenza più volte nominata e contiene le co! geodetiche di V3 che vi si appoggiano. Tutte le V, tot. geod. sono applicabili fra loro e sopra superficie di rotazione (Ricci, loc. cit.). 5. Numerose proprietà di queste Vz seguono da una delle due forme: adottate per il ds?. : Due superficie tot. geod. si tagliano lungo tutta la geodetica d’inter- IA : . sezione sotto angolo costante TRA 2 ) (*); Ze geodetiche di una (*) Questo fatto è in intima relazione con l'altro (Ricci) che la congruenza ortogo- nale ad co! sup. tot. geod. è principale e che non possono esistere due congruenze prin- cipali non ortogonali, se non se hanno co, cioè la Vs ha necessariamente due curva- ture principali uguali, ecc. (?) Ciò è chiaro geometricamente. L'angolo delle due sup. tot. geod. per un punto è l'angolo delle linee 2,,43 che vi passano: se il punto si sposta lungo una geodetica della congruenza, gli elementi lineari di #$, 73 si spostano per parallelismo di Levi-Civita (perchè formano sempre lo stesso angolo 7/2 con la geodetica ed appartengono in ogni posizione a sup. tot. geod.): in questo spostamento il loro angolo, per una proprietà nota del parallelismo, non varia. — 398 — superficie x, = cost. hanno tutte la stessa curvatura geodetica (risp. a V3) in tutti i loro punti (È 5) il quadrato di questa è la curvatura re- lativa della superficie rispetto a Vs (differenza fra la curvatura gaussiana e la curvatura riemanniana secondo la stessa giacitura), cioè: Ze Vs orto- gonali alla congruenza sono a curvatura relativa costante. Di più: è costante la curvatura riemanniana della V. per tutte le .giaciture tangenti alla congruenza e in tutti î punti di una V, ad essa ortogonale (poichè dipende soltanto da 0). Per caratterizzare fra le nostre Vz quelle per le quali le V, normali alla congruenza sono a curvatura gaussiana costante, possiamo servirci di un teorema di Finsterwalder (1): esse contengono, oltre alle due serie co! di sup. tot. geod. da cui siamo partiti, altre due serie 00! contenenti la con- gruenza d'intersezione delle due prime, rappresentabili linearmente per mezzo dei parametri i quali, uguagliati a zero, individuano le due serie date. Infine, se le due serie co! date si tagliano ovunque sotto lo stesso an- golo «@w (# 77/2), le Vs normali alla congruenza loro intersezione sono euclidee e si ritrova il ds° = 0%,)(drî + dx + dx3) dato al n. 3 partendo da un'altra proprietà. Queste V, si costruiscono in S; con equazioni parame- triche del tipo À m=[(0) 0089 1 = f(0) cos g Ya = f(t) sen @ ya = f(t) sen g 6. Scritto il ds? di una V3 del tipo esaminato nella forma ds° = 0*(x,) dsî, si osserva che il dsî è del tipo di Levi-Civita [contenente una congruenza a parallelismo completo (*)]; sicchè: Ogni Vs con due serie di sup. tot. geod. non ortogonali a congruenza d'intersezione normale è rappresentabile in modo conforme sopra una Vi dello stesso tipo in cui però le superficie ortogonali alla congruenza sono pure totalmente geodetiche, e la congruenza è a parallelismo completo (la Vor se non è già euclidea, si costruisce in uno S, euclideo). Il modulo della rappresentazione .è costante sulle sup. ortog. alla con- gruenza: sicchè queste si corrispondono in modo isometrico-simile. (*) Cfr. Jahresberieht d. Deutsch. Mathem.: Vereinigung, Bd. V, Leipzig 1899, pp. 50-51. (2) T. Levi-Civita, Nozione di parallelismo in una varietà qualunque, ecc. [ Rend. Circe. Matem. di Palermo, tomo XLII, 1917,]. — 399 — Matematica. — Sulle trasformazioni T dei sistemi tripli coniugati di superficie. Nota del prof. L. P. ErseNnHART (Princeton), presentata dal Socio L. BiancHI (!). 1. Se le coordinate cartesiane x. y, z di un punto M nello spazio sono funzioni dei tre parametri %,, ws, 3, affinchè le superficie u, = cost. us = cost. , u3 = cost., formino un sistema triplo coniugato C. è necessario e sufficiente che x, y, 4 soddisfino alle equazioni 2°6 = dloga, 39, dloga. d0 dUi dUs a dU2 dUI dUI dUs 0 3°0 fe d log 4s 39 dlog as 30 (1) dUs dU3 dUZ IU? dUs da d°0 = dlogaz d68 , dloga, dd dUZ dUI dUI dU3 dU3 dUi dove le funzioni a; (f=1, 2, 3) verificano le tre condizioni 2) dai __ dloga; dai è dlogar da; dj dUn = dun dU du dr avendo indicato con é, j, £ una permutazione ciclica degli indiei 1,2,3. Se 6 è una soluzione delle (1), le funzioni DE IL CARRO (MR OR i) dalla ga n) sono soluzioni del sistema che si ottiene da (1) cangiandovi le 4; nelle a, date da Il sistema C, di coordinate #, 7, 5, si dirà un frasformato radiale di C. 2 Siccome le a; soddisfano le (2), le sei equazioni dhi , dloga; as (3) flv (+) (1) Presentata nella seduta del 3 giugno 1921. — 400 — nelle tre funzioni %,,%e,%z sono compatibili. Se abbiamo un sistema di soluzioni di queste, sono compatibili, per 7=1,2,3, le equazioni da da dwy dy da de | (6) "cisl AI deo dUi QU dUi QQUi Wi dUi e le funzioni 2', y', 2‘, definite così per quadrature, soddisfano le tre equazioni _2°0" __ >dloga; 20" , dloga; 9 dui du du di dui du; (7) Ne segue che queste funzioni sono le coordinate di un sistema .C', tale che le tangenti alle curve di parametro «; di C e C", in punti corrispondenti, sono parallele; e diremo che Ce C' sono sistemi tripli coniugati paralleli . 3. Se 0 è una soluzione delle (1), la funzione 0', definita da 0 _,,2 >= o (E_ME2E9O (8) è una soluzione delle (7); diremo che essa è la soluzione delle (7) corri- spondente alla soluzione 0 delle (1). Ed ora, se definiamo le tre funzioni E 3Y1,%, con equazioni della forma 0 (9) ZL % Gai ne deduciamo, derivando, ao — TS) ) (10 == 0a 10) di 0"? (è dUi dui hi dui \0'}' avendo posto (11) t,=h0 —0'. Derivando le (10) rapporto a %;, si vede che «,,%,,4, sono soluzioni delle tre equazioni (12) DO pre: dloga 1i DO, de dlog di; PL dui duj du di du di” dove si è posto Adi ti (13) ai="wg Dunque il punto di coordinate x,,y1,z, descrive un sistema triplo coniugato C,. Se ora prendiamo due superficie %; = cost. dei sistemi C e C, rispettivamente, le rette che uniscono i punti corrispondenti definiti dalle (9) formano una congruenza le cui sviluppabili tagliano queste superficie nelle linee u;= cost., ux== cost., come ho dimostrato in altro luogo (!), (1) Trans. Amer. Math. Soc., vol. 18 (1917), p. 109 — 401 — e le superficie sono nella relazione di una trasformazione T, come ivi è stata definita. Perciò diciamo che le equazioni (9) definiscono una trasfor- mazione T di C in C,. Una tale trasformazione è determinata da un sistema parallelo C' e da una soluzione @ del sistema (1). Dalle (10) si vede che il trasformato radiale Ci di C”, definito dalle , SEE (14) {= yr° 3 () ; Ii . i è parallelo a C,, e che 07 = — TE, dii gio 5020 le corrispondenti so- luzioni delle equazioni per C, e Ci. Inoltre le formule 0 aX== Zi == gi 4h) definiscono C come un trasformato T di C,. Se C, e C» sono trasformati T di C, per mezzo dei sistemi C' e OC" paralleli a C e delle soluzioni 0,, 6, delle (1), e con 0}, 03; 01°", 05 in- dichiamo le soluzioni corrispondenti per le equazioni relative a C' e C”, allora ìl sistema Cs, definito dalle equazioni della forma 019 6, 0 ; di = US Zio 05 . 0% = by gl , .è un trasformato T di C,, C». Siccome @; e 05° contengono costanti arbi- trarie additive, esistono co !? di tali sistemi Cs. 4. La condizione necessaria e sufficiente perchè il sistema C colle equa- zioni (1) sia ortogonale, che cioè si abbia x dr da _ i dj =0(*#j=1,2,3), è che 6= Xx? sia una soluzione delle (1). Un tale sistema si dirà un si- stema O. Se un sistema è O, anche ogni suo parallelo è un sistema 0. Supponiamo di avere un sistema O ed un suo parallelo 0". Se nelle (9) poniamo 0' = Xx"? e la corrispondente @ data delle (8), il sistema tra- sformato C è un sistema O. Si vede facilmente che questa è la trasforma- zione generalizzata di Ribaucour trattata da Bianchi (*), e in particolare i sistemi paralleli 0' e Oi sono in relazione d'inversione, come segue dalle (14). 5. Il Bianchi (*) ha dimostrato che ogni sistema triplo coniugato nello spazio euclideo dà origine ad una infinità di spazî normali, pei quali le di- rezioni principali sono tangenti alle curve parametriche. Quindi i risultati. precedenti conducono a trasformazioni degli spazî normali. (*) Questi Rendiconti serie 5, vol. 34 (1915) p. 161. (*) Annali, serie 3%, vol. 23 (1914) p. 141. RENDICONTI. 1921. Vol. XXX. 2° Sem. 52 — 402 — Matematica. — Su di una classe di equazioni alle derivate funzionali. Nota I di FrANcESCO TRICOMI, presentata dal Socio V. VOLTERRA ('). 4 1. Nella teoria delle funzioni di linee si presentano. oltre alle equa- zioni integrali ed integro-differenziali, delle altre equazioni, di un carattere più elevato, che il prof. Volterra (*) ha chiamato equazioni alle derivate funzionali. Queste equazioni possono riguardarsi come caso limite per x > 00 delle equazioni a derivate parziali con x variabili indipendenti; pertanto esse potranno trattarsi con metodi ottenuti estendendo opportunamente quelli che si adoperano per le equazioni differenziali. Nella presente Nota e in un'altra che seguirà mi permetto di mostrare appunto come, generalizzando il eosì detto primo metodo «li Jacobi per la integrazione delle equazioni a derivate parziali del prim'ordine e giovandosi della feconda teoria delle equa- zioni integrali, si pervenga all'integrazione di una classe molto generale di equazioni quudratiche alle derivate funzionali del prim'ordine. 2. Sia V una funzione incognita della linea [x] (nel senso di Volterra) e della variabilgg numerica 2. e sia [p] la linea definita dalla condizione che la sua ordinata in un punto qualsiasì & dell'intervallo (a, è) in cui si suppone data [x], sia uguale al valore della derivata prima di V rispetto alla linea [x], presa nel punto &. Allora una relazione del tipo IV E, H(<.[e].[p]})=0 (1) dove H è una fanzione regolare, assegnata di 2. [x] e [p]. sarà una di quelle equazioni alle derivate funzionali di cui poc'anzi si diceva. L'equazione (1) si è presentata al prof. Volterra (3) studiando un si- stema integro-differenziale importante che può scriversi sotto la forma ©) ELE lime, e Le C0)) EN a, (2],C2]) (ASS convenendo d'indicare coi simboli H',,)&) e H'lx& le derivate prime della (1) Presentata nella seduta del 2 maggio 1921. (*) Zegons sur les fonctions de lignes (Paris, Gauthier-Villars, 1913), pag. 61. (*) Equazioni integro-differenziali ed equazioni alle derivate funzionali [ Rendic. R. Ace, dei Lincei, serie 52, vol. 23, (1° sem. 1914)]. — 403 — funzione H prese ordinatamente rispetto alla linea [ p] e al punto È e ri- spetto alla linea [x] e al punto &. Nel sistema (2) le incognite sono le «due linee [+4] e [p] che si riguardano dipendenti dalla variabile #; in altri termini le incognite sono le due funzioni ordinarie a due variabili 9p(ì,3)=[x](f) e w(E,2)=[p2](5). Propriamente il Volterra ha dimostrato come, conoscendo una soluzione V della (1) contenente una linea arbitraria (e che perciò potrà chiamarsi un integrale completo dell'equazione), sia possibile risolvere agevolmente il sistema (2). È però facile vedere che anche la reciproca di questa proposizione è vera, e cioè che se è possibile determinare una soluzione del sistema (2) della forma (3) [x](f)=(8,2,(2],[2]) . [p](È) = w(8,3,(2],[8]). dove [a] e [db] sono due linee arbitrarie aventi il significato di valori imiziali di [x] e [ p] per 3 uguale ad un certo 2°, e se inoltre la fun- zione è tale che la prima delle (3) possa risolversi rispetto a [b]: al- lora la funzione . () VG, [].(M)=[ (90 Maa+ +SELSP rime (6, (0). CH) CAI) e — RIE 29M de nella cui espressione devono pensarsi sostituiti alle linee [ p] e [b] è loro valori tratti dalle (3), fornirà un integrale completo della (1). La dimostrazione è un'ovvia generalizzazione di quella che serve nella teoria delle equazioni a derivate parziali per istabilire il primo metodo di Jacobi (1), e noi la ometteremo per brevità. 3. In una sua Nota (?), il prof. Volterra ha risoluto l'equazione (1), per mezzo di una serie di potenze di composizione, in un caso che corri- sponde a quello di H funzione bilineare, cioè della forma bach H= f" (EM, [e] Mm C9]6) dae. Noi ci proponiamo di mostrare come, avvalendosi invece del teorema enun- ciato nel $ precedente e della teoria delle equazioni integrali, sia possibile (*) Cfr. p. es. Goursat, Lecons sur l'intégr. des éq. aux dérivées partielles du pre- mier ordre (Paris, Hermann, 1891), pag. 136. (") Sulle equazioni alle derivate funzionali [Rendic. R. Ace. dei Lincei, serie 5, vol. 23, (1° sem. 1914)]. — 404 — risolvere l'equazione in discorso anche nel caso che H sia una funzione qua- * dratica di tipo generale, cioè abbia la forma 6) H=A@0+//jBm9 IM+BM IS X \c:(m :O 21M) [e 16) + 07,5) [2 ](M) 216) + Com, I [PIMC#]0) (an de dove A, B,,... C3 sono certe funzioni assegnate. Nel caso in esame il sistema (2) diviene PIO Be,9+/} cm.8) (10) +20. [01M fn; (Oa } PILIO _ _R@,A— f°420,1,8) Ce] + 0.8) Ce] dani (ia =M#=0) che, con un artificio perfettamente simile a quello che si adopera per risol- vere i sistemi di equazioni integrali (*), e supponendo inoltre, per comodità, pi a-=0,b=}, può porsi sotto la forma dell'equazione integro-differenziale unica = dIP(E.4) (7) > dove @ e K sono funzioni note e la funzione incognita ®($,2) è uguale ad [x](F) per (0 <=E<4+) ed uguale invece a [ p](5) per ({ co da quello che si adopera per integrare un sistema di n equazioni differenziali simultanee del tipo dpi(2)/dz = @;(2) + i P1(2) + Zio Pa(4) + + kin Pal), (£=1,2,...2), sistema di cui l'equazione (7) è il caso limite per x => co. Cerchiamo dunque di soddisfare la (7) ponendo (8) fmea,da=*—-0 dove / e 0 sono due funzioni e # una costante da determinarsi. Moltiplicando la (7) per /($) dé, integrando fra 0 ed 1 e tenendo conto della (8) si ha Sona KEN 04M O _L ( /0)alt,)de=0; (1) Cfr. p. es. Vivanti, Elementi della teoria delle equazioni integrali lineari (Mi- lano, Hoepli, 1916), pag. 278. w == 40 ma quest'uguaglianza dovrà essere verificata identicamente, dunque dovrà , . essere (9) r@m=7f KE.) f(E)de=0 , 2 hg = {0 a(£,3) d&. La prima di queste due formule si interpetra immediatamente nella teoria delle equazioni integrali di Fredholm: essa ci dice che 1/£ ed f(£) devono essere un parametro ed una corrispondente funzione parametrica associata del nucleo K(E,n). Quanto all'altra, essa ci consente di calcolare facil- mente la funzione @ fissati che siano X ed /, e precisamente si trova (10) | o(2) = Cet - {© y(E,4) dE avendo indicato con C una costante arbitraria ed avendo posto (11) regna flat. Matematica. — Sopra alcuni sviluppi in serie. Nota II di Pia NALLI, presentata dal Corrisp. GrusePPE BAGNERA ('). 4. Passiamo ora a dimostrare quanto abbiamo asserito al n. 3 sulla rap- presentazione di una funzione /(z) analitica regolare all’interno di un cer- chio C con centro nell'origine. Si ha lun(2)|= u(12)) = wo(le))|e|". Intanto, se 0 è minore del raggio di C, si potrà fissare una costante A tale da avere, per qualunque », i POI A f(2) Si DI In Un(%) ’ n=0 derivando termine a termine e tenendo conto della (7), troviamo — ant! do f'(a)= 2A (FD aa ==dhÙt RSerS ro de [ux(0). Dallo sviluppo di /(x) si può ottenere quello di una sua fanzione in- tegrale F(x): Anna n DE OLA F(0) de. = Tiabi, a)... (1 — 0) al in(C}e Così dalla (6) otteniamo A S (040 È Untm(90) 4 Rezia Dì (1—- a)... (1—-@") (nm)! | 6. Quando è noto lo sviluppo di /(x), si ottiene quello della funzione S[/(x)], dove S è l'operazione funzionale definita al n. 1, moltiplicando i. coefficienti di /(x) ordinatamente per 1,a,a?, Infatti S| Zeta |= XS la] = Tarare). n=0 n=0 n=0 Viceversa, conosciuto lo sviluppo di S[/(x)], si trova quello di /(x) dividendo i coefficienti del primo rispettivamente per 1,@,@?*,..... Così si ha un altro metodo per trovare lo sviluppo di e. Essendo S[e]=1, dalla (6) otteniamo subito la (9). Così ancora, essendo 1 ca x x si De] n° ro dalla (9) possiamo formare subito lo sviluppo di E lt—a@ ac e perciò quello di e ©. Si trova così 7. Lo sviluppo di e ® si può anche ottenere con un metodo generale che permette di trovare lo sviluppo di i(£) quando è noto quello di /(x). Si ha ; 1 n+ (10) Uni®) Lg a un(3) ls)= a" (1, (2) + da seni e, cambiando x in n e perciò, se (2) = \ anu,(2), Servendoci di questa formula ne possiamo ottenere un'altra che dà lo sviluppo di /(az). Se denotiamo con d,, d1, da, ... i coefficienti dello svi- luppo di /(ax), si deve avere do = do dn USS) ie (ia Oa e da questa si ricava CEL + In = nl an (n Diani ++ (1° 0], cioè (11) ie x o[n!an—(_—1)!an1 + +(—- 10° n=0 Un(x) sl ni In particolare si ha 3 Untm(®) umar)= m! SI BI, LO Lio i I ee a) 8. Applicando i risultati dei tre ultimi numeri, possiamo trovare lo. sviluppo di x" e-® con m intero e positivo. Per m= 1 si ha Stbcaliecae — 408 — quindi, dopo avere trovato con la (11) lo sviluppo di e-*, potremo formare ..quello del primo membro ed in seguito quello di x e-®. Troviamo così 00 — 3° n+l a MA STA 1 Un(2) si ua A) =) ni Per m= 2, abbiamo uac S[x? e]=2 Î seeds; 3 il coefficiente di %,,x nel primo membro dell’ultima egua- glianza è "+ a,+x, nella prima parte del secondo membro è @"+? a,4x, © facilmente si calcola il coefficiente analogo nella seconda parte del secondo membro. Infatti si ha L Un41 (2) = Un+2(X (x) A + (# t IO w (— 1)? ai Unskai(2) 5 1-1 n+44+1! ‘e perciò 3 È Ò Un43! De a SCENA k (denti Uner(2)- J Si] (Sas di - (n E) eNr= rene n (IST mi (e£4 0) quindi in i) SUn+1(8) ds il coefficiente di w,+x(x) è 0 (7 cL 1)! al-3 alt fr NE n+k ilo enel { 1) eugiie (ic lf ea I n 2). i al Possiamo così calcolare 4,,.x @ troviamo A | k AA L° un(x) = Un+s (a) +2! De 1) 1—- ak? al3 oh-4 Un+a(£) x (; paria ni) griglann) dina RENDICONTI. 1921, Vol. XXX 2° Sem. 53 — 410 — Con ouesto metodo non è difficile trovare la formola generale che dà lo sviluppo di x" u,(x). Si trova - | 00 al-m Une (x) (12) X t(2) = nin (e) + al ml D (CD — qh-m Hk Epi dove è cn (a o dee 0) cm | (- pjmi st) + ( 1) (io Eng ! li (passi dove con P", denotiamo la somma dei prodotti di r fattori distinti scelti tra le quantità a a am 1 | l-a’'1—-a8’U’1— akm1° Per mezzo della (12) si può formare lo sviluppo del prodotto di due funzioni quando è dato lo sviluppo di una in serie di funzioni (x) e quello. dell'altra in serie di potenze di x. Matematica. — Nuova dimostrazione della necessità della condizione di Jacobi. Nota di M. PiconE, presentata dal Socio L. BIANCHI ('). Sia D un dominio del piano (x,y) e T l'insieme di punti costituito da tutti i punti dello spazio (x, y ,<) aventi per proiezione, sul detto piano, punti di D. Sia /(x,y,) una funzione delle tre variabili 2, y,4, definita in T, ivi continua con tutte le sue derivate parziali dei primi tre ordini. Siano P,(2,,%1) e P2(7», y:) due punti interni di D e y= yo(x) una curva estremale per l'integrale La ” J(Y) = [ Reggie la quale passi per i punti P, e P, e stia completamente nell'interno di D. Si ponga dQ fut yo) vo] = P(1) , farle, yo) vo(2)]} = Q(0) , E ab = A). fyyle Yo) y(A]= Re), e facciamo l'ipotesi che, in tutto l'intervallo (2,, xs), riesca R(2) + 0... (1) Presentata nella seduta del 3 aprile 1921. — dll — Indichiamo con I° l’insieme [a. cui appartiene l'estremale y = yo(2)] delle curve y= y(7), contenute in D, per le quali le funzioni y(7) sono finite e continue con le loro derivate prime nell'intervallo (71,2) e verifi cano le condizioni (1) y(#1) =%Y y(ce) = Ye. Per il più semplice problema del calcolo delle variazioni si ha allora la seguente condizione di Jacobi: Condizione necessaria perchè l'estremale y= y,(x) fornisca, nel campo T°, un estremo per l'integrale J(y) è che una soluzione, nulla în 1), dell'equazione differenziale del second'ordine nella u: d n) 9 sd IAN A (2) Ea LAu=0, si mantenga sempre diversa da sero nell'interno di (x, , 12). La necessità di tale condizione viene dimostrata facendo vedere che, ove essa non si verifichi, è possibile, in un intorno comunque piccolo del- l'estremale y = yo(*), costruire curve y = y() dell'insieme Y° per le quali è J(y) > J(%) 0 curve per le quali è J(y)<4J(y0). Nelle costruzioni date finora, almeno per quanto io so, sì son sempre dapprima ottenute curve y=y(x), per le quali la funzione (7) è continua e verifica le (1), ma ha però una derivata discontinua in uno o due punti di (7), 79). Parmi che abbia interesse il notare. come appunto mi permetto di fare con la Nota presente, una costruzione delle curve y= y(x), ora indi- cate, con la quale si ottengono assaì semplicemente e direttamente curve di T°, anzi parecchie famiglie di curve di T per le quali le funzioni y(x) sono în (x,%>) finite e continue con le loro derivate dei primi pur ordini. La costruzione è contenuta, sì può dire, in un teorema della mia Tesi d’abilitazione: Sui valori eccezionali di un parametro da cui dipende un'equazione differenziale lineare ordinaria del second'ordine (1). Di ben maggiore interesse è poi il fatto che, considerando le cose dal punto di vista della Nota presente, si arriva, come farò vedere in una Nota futura, ad un'elegante nuova condizione necessaria per un estremo dell’in- tegrale doppio da dd ie li da dy . 1. Per fissare le idee riterremo che, 7 (,, 2), sia sempre R(2)>0. Supponiamo che non sia verificata la condizione di Jacobi, supponiamo cioè che esista un integrale vw della (2) nullo in 2, e, ulteriormente, in un punto zi interno all'intervallo (x, , 7»). Non potrà allora, com'è ben noto, (*) Annali della R. Scuola Normale Superiore di Pisa, vol. XI. — 412 — «essere sempre, in (x, ,%2), A(x) <0, dovrà cioè A(7) prendere in (x, xa) anche valori positivi (1). Ciò posto, consideriamo l’equazione differenziale del second'ordine (3) (RE) +z4v—o, contenente il parametro 4. Indichiamo con u(r,; 4) quell’integrale di que- st'equazione verificante le condizioni iniziali «(7,,4)=0, v'(x.,4)="1. In virtù dei risultati ottenuti alle pagine 31 e 32 della citata mia tesi d'abi- litazione, poichè la funzione A(x) prende in (,,%:) anche valori positivi, possiamo affermare che: Esiste una successione, sempre crescente e crescente all'infinito, di valori positivi An, Àx , dx, ... per ciascuno dei quali si ha u(x, An) = 0. Posto u(x, An) =un(x), n=0,1.2,.., questa funzione u,(x), che è, per A= An, la soluzione della (3) verificante le condizioni iniziali un(r.)=0, olo si annulla in x, e în xs e, ulteriormente, in n punti distinti nell'interno dell'intervallo (x, 2). Infine, la u(x, 4), per i valori di 4 verificanti la limitazione 0 SALZA, non ha, oltre lo zero x,, alcun altro punto di zero în (x,,%2), per i valori di 4 verificanti la limita- sione in ZLA 0, 0,1, 20000) (5) Sisde 0 CÀ Ti (1) Ed infatti la funzione o=RuÎ è nulla in 7; e in 2/,, mentre se fosse sem- pre A(x) < 0 in (21, xa), la v sarebbe non decrescente in (2), 7»), poiehè ft (nate) cn (Yad (0°) (fd — 413 — 2. Dal teorema ora enunciato andiamo immediatamente a dedurre la necessità della condizione di Jacobi. Sia (7) una qualunque funzione finita e continua, in (7, , 73), con la sua derivata prima, e sia n(r)= N(z2)=0, si può sempre determinare un numero positivo 0, tale che, per |s|< 0n. la curva y= yo(@) + en(1) appartenga all'insieme T e di più la differenza J(yo 487) — Jyo) abbia il segno di Sat SE "er se + 207924 x.( I |aen _.Lpe R(7) di -f ‘Aytda |. Indichiamo con ©, ciò che diviene il numero @, quando si faccia n= un(x). Per |e|, Sia, per fissare le idee, A, <1 = 4y; si avrà allora, in forza delle (4) e (5), Sn 6 (<0, pera=0,1,2,..,v—1, p== lr , a i Cri {>0, pra=rv+1,v+2,...., e quindi seen dle i J(yo 4 eun) — J(Yo); per || <0n, (>0, pera=v+1,v+2 la curva y= yo(7) non potrà dunque fornire un estremo per l’integrale J(y). Troviamo le v famiglie di curve di F°: y= ye) + eun) , lel 20 10.59 Cal 0.48 035 Aprile... 0 ie +. 19 0599 8.1 034 0.25 Maggio . .... 16 0.06 6.5 0.17 0.12 Giugno... .. 12 8.00 5.8 012 0.86 Ugl 16 i 2a 79 0.25 0.18 INCOSTO RES o 21 983 8.6 0.41 0.30 Settembre... 0. 15 8.86 71 023 0.16 Ottobre gerani 23 11.68 10.6 0.77 0.55 Novembre . . . . 21 11.18 ho) 0.61 0.44 Dicembre . . . . 18 14.00 11.6 1.00 072 Nella tabella ho calcolato, nella penultima colonna, il rapporto R tra la potenza media sviluppata dal motore a vento nei vari mesi e la potenza «del mese di dicembre, nell'ipotesi di un rendimento medio costante; nel- l’ultima colonna, la potenza media mensile del motore per metro quadrato nei vari mesi dell’anno, nell'ipotesi di un rendimento 0» costante eguale ‘a 0.85; al solito, ammettendo un rendimento medio @ diverso, basterà molti- plicare i numeri per 0/0,85. Tale confronto mi sembra di grande importanza nelle applicazioni poichè ‘ci dà l'idea del modo secondo il quale, nella località esaminata, varia la ‘potenza durante l’anno e può quindi condurre direttamente alla definizione degli scopi da assegnare ad un impianto di motori a vento. Un simile esame ripetuto per altre regioni, ad esempio le Puglie, potrebbe dimostrarci un andamento molto diverso; sarebbe pertanto necessario estendere questi studi ‘e sopratutto esaminare i risultati di un considerevole numero di anni. 3. Sarebbe poi di grandissima importanza, seguendo le considerazioni del Crocco ('), ripetere l'esame per diverse altezze sul suolo: in Italia non ‘sì posseggono però registrazioni anemometriche opportune nel medesimo luogo; i casi esaminati in Germania dal Peppler lo avrebbero condotto a ritenere (sulle sole medie aritmetiche, però) che non vi è convenienza di ‘elevare i motori a vento a più di 16 metri dal suolo. Sarebbe certamente interessante vedere se tali conclusioni possano ritenersi giuste ove si facesse (1) Crocco, Sull'energia disponibile dal vento. Questi Rendiconti, fasc. 5°, 19 sem.1 921. dig l'esame coi metodi qui proposti: ma ciò non ci è possibile poichè non posse- diamo di quei luoghi che le medie aritmetiche. Un calcolo da me fatto confrontando le potenze medie annue relative alla stessa ora del giorno per Trapani, località in cui le osservazioni aero- logiche hanno dimostrato un rapidissimo aumento della velocità con l'altezza, mi hanno condotto ad osservare che la potenza media annua a 200 metri dal suolo è circa 14 volte maggiore di quella ottenibile all'altezza dell'anemo- metro. Lo studio di stazioni più opportunamente disposte potrebbe condurci però a risultati assai interessanti e che riguardassero altezze assai minori e praticamente raggiungibili. Fisica. — // « cinematografo parlante » di Emilio Zeppieri. Nota dell'ing. EnRIco VioLa, presentata dal Socio C. VioLa (°). Le svariate rappresentazioni visive e uditive, mediante gli incessanti perfezionamenti introdotti nelle macchine cinematografiche e nei fonografi, hanno sempre allettato il pubblico, ma non gli hanno procurato finora il godimento maggiore, di vedere finalmente attuata la combinazione sincrona delle due riproduzioni, visiva e uditiva; i tentativi fatti in questo campo, sopratutto per opera di Edison e di Gaumont, non riuscirono a risolvere in modo soddisfacente il problema. La sua soluzione geniale è stata riservata ad Emilio Zeppieri, che ot- tenne il funzionamento sincrono e continuo dei due apparecchi; l'illusione di vedere e sentire i protagonisti nella loro naturale attitudine, nell'atto stesso onde sono animati, è veramente perfetta. Il collegamento del cinematografo col fonografo richiede il trasporto sin- cronico del moto dall'apparecchio projettante all'apparecchio parlante, tra- sporto a distanza tentato dai varii autori, gli uni per via elettrica, gli altri per via meccanica. Abbandonato il sistema elettrico di trasmissione, come non rispondente all'intento, Emilio Zeppieri ha risolto il sincronismo perfetto collegando il projettore cinematografico col fonografo mediante un sistema meccanico, dove lo stesso motore imprime il moto contemporaneamente ai due apparecchi senza scosse nè perdite. ° L'apparecchio Zeppieri consiste delle seguenti parti : a) un motore elettrico, 5) un projettore cinematografico ordinario, c) un fonografo ad azione continuata, d) una trasmissione meccanica. (*) Pervenuta all’Accademia il 31 ottobre 1921. — 417 — Lo Zeppieri si serve, nel suo apparecchio, di pellicole cinematografiche- e di dischi fonografici aventi le dimensioni usuali adottate in commercio ; in vista di ciò egli ha dovuto adattarvisi e mantenere nei due apparecchi le velocità di rotazione, che si usano nei projettori e nei fonografi comuni, ossia rispettivamente di 120 e $0 giri al minuto primo. Il motore prende d'ordinario l'energia dalla corrente industriale ed a questa si uniforma. La velocità all'albero motore varia a seconda della cor- rente impiegata, la quale d'ordinario è alternata trifasica a 42 o 50 periodi con voltaggio limitato. In ogni caso la velocità sull'albero motore è molto superiore a quella del projettore e del fonografo. Il sistema di trasmissione: che varia a seconda delle distanze, provvede al collegamento delle tre mac- chine (motore, projettore e fonografo); per semplicità delle cose la velocità di rotazione dei mezzi di trasmissione è quella stessa, che riceve una delle tre macchine collegate. p. es. di 120 giri, velocità nel projettore, mentre essa si riduce a ?/3 nell’accoppiamento al fonografo. i Per quanto riguarda la posizione che deve assumere il motore sull’'al- bero di trasmissione, una breve considerazione elimina ogni dubbio. Infatti, se l'albero di trasmissione ha una lunghezza considerevole, non conviene ap- plicare il motore ad una estremità dell’albero, poichè la torsione porterebbe una differenza di fase tra projettore e fonografo: in tal caso il motore ha il suo vero collocamento in un punto intermedio; ma poichè le distanze sono di solito relativamente piccole, non superiori a 30-35 ‘metri, e le re- sistenze passive quasi eliminate, lo Zeppieri colloca il motore ad una estre- mità, di preferenza vicino al projettore, ove l'operatore cinematografico può facilmente sorvegliarne il funzionamento. Il collegamento sincronico del projettore col fonografo non era il solo problema che l'inventore doveva affrontare. Infatti l'apparecchio Zeppieri sarebbe rimasto manchevole senza il funzionamento continuativo del fono- grafo e senza il controllo del sincronismo. La continuità dell’azione nel cinematografo è raggiunta da sè con la notevole lunghezza delle ms usuali, ma, per ciò che riguarda il grammo- fono, l’azione sua è limitata dalle solite dimensioni dei dischi; vi si richie- deva perciò un meccanismo che permettesse l'intercalazione di più dischi successivi fonografici senza interruzione. Un apparecchio studiato a tal uopo, aggiunto al sincronismo, prende il nome di « odègrafo ». Esso consta di due piatti orizzontali girevoli, posti l'uno accanto al- l'altro, che assumono un moto alternato, e sui quali sono applicati i dischi fonografici. Esaurita l’azione di un disco, il piatto portante si arresta ed: entra in moto l’altro piatto e con esso il disco relativo ; a questo segue nuo- vamente il primo, poi il secondo e così di seguito fino a che la successione dei varî dischi compie l’azione determinata dai flms cinematografici. Si noti che fra l’azione di un disco e quella dell’altro corre un tempo di 4 minuti RENDICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sem. 54 — 418 — primi, tale da bastare all'operaio per levare il disco dal piatto portante e sostituirvi il successivo. Per mantenere una tonalità perfetta nella riproduzione del suono, fu necessario regolare il moto di rotazione dei piatti in modo da avere non solo una velocità costante, ma altresì l'arresto immediato di un piatto e l’avvia- mento istantaneo dell'altro. Un volano ed un regolatore a molla mantengono il moto uniforme, mentre un ingegnoso sistema di leve aescatto fa sì che al momento opportuno un piatto si fermi bruscamente, e l'altro si metta subito in moto colla velocità conveniente. Dell’odègrafo lo Zeppieri costruì un primo tipo ove, essendo la forza motrice applicata ai perni verticali dei piatti girevoli, le forze d'inerzia sono vinte da opportune molle regolabili. Un secondo tipo, fatto dopo lunghi studi, è basato su un principio leggermente diverso, essendo la forza motrice applicata alla periferia dei piatti mediante una funicella metallica, la cui elasticità assorbe gli urti provenienti dalle forze d'inerzia. L'applicazione di questa funicella metallica richiese una moditicazione nelle ordinarie’ corde d'acciaio, poichè era indispensabile evitare i lievissimi scorrimenti che questa poteva subire lungo la periferia dei piatti, e ciò per non perdere il sincro- nismo. La funicella metallica porta quindi una serie, di sferette d'acciaio fissate ad essa a distanze uguali. In corrispondenza di queste sferette vi sono, nella periferia dei piatti, degli alloggiamenti, in modo che nel moto di rotazione ogni scorrimento della funicella metallica è evitato. Questo cordino metallico pallinato è stato dallo Zeppieri anche appli- cato con successo alla trasmissione meccanica da una puleggia all'altra per evitare gli ingranaggi e diminuirne gli attriti. Il controllo del sincronismo si ottiene mediante due quadranti nell’o- dègrafo e nel proiettore. Il quadrante nell’odègrato porta due indici con due numerazioni di- stinte. La durata di un disco è di 4’, nei quali esso compie 320 giri: la prima numerazione inscritta in un cerchio porta 80 divisioni. e l'indice com- pie, nei 4’, quattro giri; in corrispondenza di ogni giro l'altro indice compie una divisione della seconda numerazione inscritta in un secondo cerchio di 8 divisioni, pari a 8 minuti. Per tal modo l'operatore che sorveglia l'odègrafo può in ogni istante sapere esattamente quanti giri ha compiuto il disco che ruota. Il quadrante del projettore è analogo al precedente, ma porta, oltre alle due numerazioni suddette, una terza numerazione inscritta in un cerchio di 12 divisioni, corrispondenti a 12 fotogrammi della lm, che passano da- vanti all'obbiettivo nel tempo in cui un disco compie un giro, cioè in !/go di minuto primo. In corrispondenza di questo quadrante la lm porta una nu- merazione progressiva per la successione dei fotogrammi, cosicchè riesce age- vole rimettere la pellicola cinematografica in sincronismo coi dischi, quando accadesse che tale sincronismo fosse perduto. — 419 — Nel caso di rottura della fm l'operatore cinematogratico ferma il mo- tore elettrico, indi accomoda col solito sistema la pellicola, sostituendo, ove fosse necessario, un breve tratto in bianco al posto di quei fotogrammi che si fossero eventualmente tolti. L'invenzione di Emilio Zeppieri completa e perfeziona il successo della cinematogratia ordinaria, che è industria prevalentemente italiana, e tenderà ad accostarsi all'arte lirica, che in Italia ha la sua culla gloriosa, per imi- tarne i motivi. Chimica. — / punti di ebullizione delle miscele idroalcoo- liche a diverse pressioni. Nota di Uso PraTOLONGO (', presen- tata dal Socio AncELO MENOZZI (?). Allo scopo di risolvere alcuni problemi inerenti alla determinazione ebulliometrica dell'alcool nei vini, alla costruzione e all'impiego degli ap- parecchi relativi (*), ho fatto oggetto d'indagine l'influenza che sul punto di ebullizione delle miscele idroalcooliche spiegano le variazioni di pressione. Dei risultati conseguiti dò conto nella presente Nota, richiamandomi al lavoro testè citato per le conseguenze di carattere applicativo che ne derivano. La tensione del vapor acqueo a diverse temperature fu già oggetto di classiche ricerche da parte di Regnault. Le tensioni di vapore dell’ alcool etilico furono ripetutamente oggetto d'indagine, con risultati in sufficiente accordo, se non del tutto coincidenti. Le determinazioni di Regnanult (*). assegnano al punto di ebullizione dell'alcool una variazione di gradi 0 0339 per la variazione di pressione di un millimetro di mercurio, in prossimità della pressione normale; le determinazioni di Schmidt (5) e di Noves e Warfel (6) assegnano alla stessa variazione il valore 0,0333; le determi- nazioni di Kahlbanm e v. Wirkner (7) attribuiscono alla stessa variazione il valore 0,0317. L'influenza della pressione sul punto di ebullizione delle miscele idroal- cooliche non è stata sinora, per quanto è a me noto, oggetto di indagine. Le determinazioni vennero compiute in un apparecchio ebullioscopico Beckmann della foggia consueta, a triplice tubulatura. Nella tubulatura mediana, più capace, era sospeso, a tenuta d’aria, un refrigerante a ricadere. Lungo questa tubulatura, al disopra del refrigerante, (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica Agraria della R. Scuola Superiore d'Agricoltura di Milano. (2) Presentata nella seduta del 5 ciugno 1921. (3) Cfr. Giornale di Chimica Industriale ed Applicata, vol, III, nn. 4, 6 e 7 (1921). (4) Mémoires de l'Acad. des Sciences. Paris vol. 26, pag. 350, 1862; v. anche Ramsay e Young, Journal Chem. Soc., vol. 47, pag. 640, 1885 e Phylos., Trans. vol. 177, pag. 127. 1886. (5) Zeitschr. Phys, Ch., vol. 8, pag. 633, 1891. (9) Journal of the Americ. Chem. Soc.. vol. 238, pag. 464, 1901. (7) Zeitschr, Phys, Ch., vol. 26, pag. 603, 1898. — 420 — sì apriva una tubulatura secondaria per la quale l'ebullioscopio era colle- gato con l'apparecchio a vuoto. Nelle due tubulature laterali erano innestati, sempre a tenuta d'aria, due termometri: un termometro Beckmann diviso in centesimi di grado e un termometro comune graduato a decimi di grado, sul quale peraltro, con l’aiuto di una lente, era agevole leggere anche i ventesimi di grado. L’apparecchio a vuoto era costituito da un comune aspiratore a caduta d'acqua comunicante con una bottiglia tubulata, sufficientemente grande da compensare “le oscillazioni di pressione dipendenti dall’incostante regime dell’aspiratore. Sulla bottiglia era inserito il manometro a mercurio. L'esperienza ha dimostrato che è pressochè impossibile, nelle condizioni sperimentali adottate, ridurre gli errori inevitabili di osservazione al disotto di un ventesimo di grado, mediamente; sì che riesce pressochè indifferente eseguire le determinazioni sul termometro Beckmann a centesimi o sul ter- mometro comune a ventesimi di grado; l’impiego di quest'ultimo, data la piccola capacità termica del bulbo e la rapidità con cui assume la tempera- tura del liquido bollente, presenta anche qualche vantaggio sull'impiego del termometro Beckmann. Tale difficoltà dipende evidentemente dalla difficoltà di mantenere co- stante il regime di ebullizione e quindi di evitare le leggere variazioni di tenore della soluzione idroalcoolica bollente in dipendenza dell'ineguale con- centrazione del liquido bollente e del distillato; le piccole irregolari varia- zioni di tenore che ne derivano dànno lmogo a sensibili variazioni momen- tanee del punto di ebullizione, che oscilla perciò irregolarmente nei limiti or ora enunciati. Credo anche opportuno ricordare, sebbene si tratti di fenomeno normale, che la natura del mezzo usato per evitare il soprariscaldamento delle mi- scele in esame — perline di vetro, pezzetti di pomice, pezzetti di platino, aria gorgogliante da un sottile capillare — non è senza influenza sui risul- tati conseguiti, tanto da rendere inconfrontabili serie di dati ottenuti con mezzi diversi. I dati ebullioscopici conseguiti con l'impiego dell'apparecchio Beckmann vennero controllati per gruppi con un apparecchio ebulliometrico metallico a riscaldamento elettrico, quali si usano nella determinazione ebulliometrica dell'alcool nel vino. L'impiego di tale apparecchio consente di ridurre sensibilmente l'errore medio di osservazione; i dati forniti da tale apparecchio s’accordano, nei limiti degli errori d’osservazione, con quelli forniti dall’ apparecchio Beckmann. Considerato lo scopo della ricerca e le speciali difficoltà ad essa ine- renti, ho determinato, anzi che i punti di ebullizione delle diverse miscele a diverse pressioni, le variazioni del punto di ebullizione delle singole mi- scele conseguenti ad una determinata variazione di pressione. — 421 — Allo scopo di conferire ai risultati sperimentali il più stretto valore comparativo, ogni serie di determinazioni veniva compiuta su una stessa miscela, mantenuta in condizioni identiche, salvo la pressione, alternando irregolarmente le pressioni e ripetendo le determinazioni ad una stessa pres- sione, sì da evitare o correggere gli errori dipendenti da modificazioni siste- matiche nelle condizioni del sistema. Le miscele idroalcooliche esaminate vennero costituite mescolando ac- qua ed alcool puro — a 99,2% — nelle proporzioni volute. Il tenore della soluzione in esame veniva determinato densimetrica- mente prima e dopo ogni serie di determinazioni. Ogni determinazione venne eseguita per lo meno in triplo, sì da avere la misura degli errori sperimentali. I risultati conseguiti sono raccolti nella tabella seguente : Variazione del punto di ebullizione delle miscele idroalcooliche a diverse pressioni. = S pla SOLO Pressione Variazione DI È del punto di ebullizione E °o in peso | °/o in volume | mm. di mercurio 1 8.22 10.20 760 = 700 2.23 + 0.05 640 4.68 = 0.05 2 16.82 20.6 760 — 700 2.18 = 0.04 640 4,54 + 0.06 3 26.41 pi 760 — 700 2.14 + 0.06 640 4.46 = 0.05 4 37.45 44,9 ‘60 = 700 2.10 + 0.03 640 4.38 = 0.06 53) 47.50 55.2 760 _ 700 2.06 = 0.05 640 4.80 * 0.06 6 58.27 66. 760 —_ 700 2.03 + 0.06 640 4.24 + 0.05 7 68.49 15.5 760 — 700 2.— = 0.04 640 4.18 + 0.06 8 80.— 85.4 760 = 700 1.97 * 0.06 640 4.12 + 0.06 «JN: 92.46 95. 760 = 700 1.95 = 0.05 640 4.10 + 0.04 — 422 — I risultati sperimentali raccolti nelle pagine precedenti e i dati già noti sul punto di ebullizione delie miscele idroalcooliche a pressione nor- male, consentono di compilare la tabella dei punti di ebullizione delle mi- scele idroalcooliche a diverse pressioni. Mi sono valso a tale scopo, per gli alti titoli alcoolici dal 92 al 100%. di alcool dei dati conseguiti, nelle loro accurate determinazioni, da Noyes e Warfel (1. c.). Nel campo dei medi e dei bassi titoli alcoolici mi sono attenuto invece ai meno recenti dati di Gròning; i dati di Noyes e Warfel presentano in questo campo sensibili discontinuità, dipendenti probabilmente dall'impiego di diversi metodi di determinazione. Nella tabella che segue, i dati riferentisi alla pressione normale sono dal 2 al 13 tratti dalle tabelle del Gròning; i dati n. 14 e 15 sono tratti dalla tabella di Noyes e Warfel. I punti di ebullizione delle miscele idroalcooliche a diverse pressioni. 5 Tenore delle soluzioni S idroalcooliche Punto di ebullizione 5 Alcool z °/o in volume °fo in peso 760 mm. di merc. | 700 mm. di merc. | 640 mm. di mere. 1 _ _ 100.— STI 95.26 2 5. — 4.— 95.9 93.64 91.22 i) 10. — 8.04 92.6 90.37 £7.97 4 15.— 12.15 90.2 88.00 85.62 5 20. — 16.28 88.3 86.12 83.76 6 25. — 20.41 86.9 84.74 82.40. 7 30. — 24.69 85.7 83.56 81.24 8 40. — 33.39 84.1 81.99 79.70 ) 50. — 42.52 82.8 80.73 78.48 10 60. — 52.20 81.7 79.67 77.46 11 70. — 62.50 80.8 78.80 76.62 12 80. — 73.59 79.9 77.92 75.76 13 90. — 85.75 79.1 77.14 74.99 14 95. — 92.46 78.24 76.29 74.14 103) 100. — 100.— 18.30 76.40 74.30 I dati riferentisi all'acqua — n. 1. — sono desunti dalla determina- zione di Regnault. I dati riferentisi all'alcool etilico — n. 15 — sono ottenuti sottraendo dal punto di ebullizione dell'alcool — 78,3 — (Noyes. e Warfel) le differenze che risultano dalle determinazioni a diverse pres- sioni di Kahlbaum e v. Wirkner (1. c.) — 423 — È appena necessario rilevare che i dati originali raccolti nella tabella che precede riflettono necessariamente gli errori onde sono affette le determi- nazioni dei punti di ebullizione delle miscele idroalcooliche a pressione normale (Gròning, Noyes e Warfel) da cui sono derivati. Il diagramma che segue espone graficamente i risultati stessi. 100° 980 \ 960 \ Temperature di ebullizione (00) DI o PEA Da Ea SU SE rd x. ES x I i x CC Xx 95 x I a Ii —2 3 a == e) be Dar È 2 & te (2) 780 5 (60 > a Tl | i | Acqua Alcool etilico I punti di ebullizione delle miscele idroalcooliche a diverse pressioni. Poteva presentare qualche interesse, sopratutto dal punto di vista teo- rico, la determinazione sperimentale delle concentrazioni idroaleooliche per le quali è minimo il punto di ebullizione alle diverse pressioni. Le curve di punti di ebullizione a diverse pressioni presentano peraltro — come è agevole rilevare nel diagramma che illustra il presente lavoro — nella regione del minimo così lieve curvatura, che la ricerca riesce assai de- licata ed esige l’impiego di mezzi di misura di grande acutezza. — 424 — Chimica. — Sulla costituzione dei dipeptidi dell’acido aspar- tico (*). Nota di C. RAVENNA, presentata dal Socio G. CIAMICIAN (°). La teoria fa prevedere due dipeptidi dell'acido aspartico isomeri chimici a seconda che nella condensazione una delle molecole di acido aspartico sia impegnata per il carbossile che si trova in posizione @ rispetto al gruppo — CH.NH, o per quello in posizione £: COOH . CH, . CH(COOH). NH. CO. CH(NH.).CH,.COOH forma « COOH . CH, . CH(COOH). NH. CO. CH,. CH(NH.). COOH forma £# Il composto @ è stato ottenuto da Fischer e Koenigs (*) e la costitu- zione è dedotta dal suo modo di formazione dall’acido dichetopiperazin- diacetico. Gli studî precedenti miei con G. Bosinelli (*) avevano dimostrato che per ebollizione della soluzione di asparagina ordinaria si origina una sostanza di composizione e caratteri identici a quelli descritti da Fischer e Koenigs per il loro dipeptide. Ma poichè in uno studio successivo (*) abbiamo sta-. bilito che tale sostanza, pure producendosi in larga misura dall’asparagina, non si forma nè dalle soluzioni di acido aspartico nè da quelle di aspartato ammonico, deducemmo che la condensazione iminica doveva avvenire non per mezzo del carbossile libero di una delle molecole di asparagina, ma per mezzo di quello che si trova allo stato di amide e che essendo esso in posizione £ rispetto al sruppo — CH.NH,, al dipeptide da noi ottenuto si dovesse asse- gnare la struttura # e che fosse perciò da considerarsi non identico, ma l'isomero chimico di quello di Fischer e Koenigs. Per avere la prova sperimentale di tale deduzione teoretica ho prepa- rato il dipeptide di Fischer e Koenigs nella presunzione che da un confronto (!) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica agraria della R. Scuola superiore di agricoltura a Portici. (2) Presentata nella seduta del 6 novembre 1921. (3) Berichte, XL, 2, 2048 (1907). (4) Questi Rendiconti, XXVIII, 2, 113 e 137 (1919); Gazzetta chimica italiana, XLIX, 2, 303 (1919). (5) Questi Rendiconti, XXIX, 1, 1 (1920); Gazzetta chimica italiana, L, 1, 281 (1920). — 425 — più approfondito di esso col nostro, potesse emergere qualche proprietà atta a differenziare i due isomeri. Per la preparazione, seguendo le indicazioni degli autori, l’asparagina venne trasformata nell’etere dimetilico dell'acido aspartico; questo fu condensato ad etere dimetilico dell'acido dichetopipera- zindiacetico che saponificato diede l'acido corrispondente. Per trattamento dell'acido con barite si ottiene il dipeptide. Esso si presenta come una polvere bianca, soffice, amorfa, di sapore acido. È solubilissimo nell'acqua; la soluzione concentrata è sciropposa e, dallo sciroppo, rimescolato con alcool, si separa in breve il dipeptide polve- rulento. A 120° si decompone rigonfiandosi senza fondere. Queste proprietà sono quelle già descritte da Fischer e Koenigs, da me ora riconfermate, ma peraltro identiche a quelle del nostro presunto #-dipeptide. Ho cercato perciò di mettere in evidenza qualche altro carattere del- l’acido asparagil.aspartico di Fischer e Koenigs. Se lo sì riscalda per 5-6 ore in tubo da saggio aperto, alla temperatura di 210°, esso si trasforma in una sostanza che per tutte le sue proprietà è stata riconosciuta identica al corpo della composizione CgHyN:0, (l'antica imide fumarica) al quale già asse- gnammo la costituzione di un’anidride dell'acido dichetopiperazindiacetico (vedasi oltre) e che avevamo ottenuto, a suo tempo, anche dal nostro dipeptide. Neppure nel contegno col riscaldamento potei quindi osservare alcuna diffe- renza fra i due dipeptidi. Caratteri differenziali evidenti li ebbi invece confrontando il contegno dei due dipeptidi da un lato coll’acetato di piombo neutro e dall’altro col solfato di rame e potassa caustica. Coll’acetato di piombo il nostro dipeptide produce un precipitato voluminoso solubile, ma difficilmente, in eccesso di reattivo; quello di Fischer e Koenigs precipita del pari abbondantemente coll’acetato di piombo, ma il precipitato è assai facilmente solubile nell'ec- cesso. Col solfato di rame e potassa caustica il nostro dipeptide dà, come . è noto, nel modo più caratteristico la reazione del biureto; quello di Fischer e Koenigs produce invece soltanto una colorazione nettamente azzurra. Dopo avere in tal modo stabilito che il dipeptide di Ravenna e Bosi- nelli non è identico, ma è l’isomero chimico di quello di Fischer e Koenigs, per esaurire il programma che mi ero proposto rimaneva da accertare quali dei due dipeptidi prenda origine dall’anidride dall'acido dichetopiperazindia- cetico. È stato detto a suo tempo che una tale anidride si forma per riscal- damento sia del malato acido di ammonio che del f-dipeptide dell'acido aspartico ed anche, come si è visto più sopra, dall’ @-dipeptide di Fischer e Koenigs. Ad essa fu assegnata la costituzione sottoindicata da Ravenna e Bosinelli i quali dimostrarono inoltre che per trattamento a freddo con acqua di barite questo corpo si trasforma nell'acido asparagil-aspartico. Poichè, confrontando le relative formule di struttura si osserva che a seconda del RENDICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sem. 55 — 426 — modo di apertura degli anelli può formarsi tanto l’uno quanto l’altro dipeptide. CO-—CH, COOH —CH, COTCH, co co | Hoco | Ì N dn Hi DE; NH \CH CH N CH NH ca i NA o i Co | ©ooH | ©ooH CHi—C0 CH,— COOH CH, -—COOH Anidride dell’acido a-dipeptide B-dipeptide dichetopiperazindiacetico dell’acido aspartico dell’acido aspartico e non essendovi d'altra parte ragioni per affermare a priorî quale dei due possa prendere origine, ho preparato nuovamente, per risolvere la questione, la detta anidride partendo sia dal malato acido di ammonio sia dai due dipeptidi isomeri e sempre seguendo i procedimenti indicati nelle precedenti Note, dalle anidridi delle tre provenienze ho preparato, per trattamento colla barite, i rispettivi dipeptidi. Per riconoscerne la costituzione, le soluzioni di essi furono trattate da un lato coll’acetato di piombo neutro e dall'altro con solfato di rame e potassa caustica. In tutti e tre ì casi si ottenne coll’acetato di piombo un precipitato difficilmente solubile in eccesso di reattivo ed il solfato di rame colla soluzione alcalina manifestò positiva la reazione del biureto. Ciò sta ad indicare che il dipeptide che si origina dall’anidride dell'acido dicheto-. piperazindiacetico è l’isomero 8 e conferma inoltre che l'anidride è sempre la stessa sia che provenga dal malato ammonico, sia dall'uno o dall'altro dei dipeptidi. Poichè si poteva peraltro pensare che dall’anidride dell'acido dicheto- piperazindiacetico si fosse formato, col £ dipeptide, anche l'isomero «@ in modo da aversi un equilibrio delle due forme, ho ricercato se l’ @-dipeptide fosse stato presente. A tal fine, una parte del dipeptide ottenuto dall'ani- dride venne trattata con acetato neutro di piombo in piccolo eccesso; dal liquido filtrato che avrebbe dovuto contenere l’@-dipeptide, venne eliminato il piombo con idrogeno solforato ed il nuovo filtrato fu evaporato nel vuoto. Rimase un piccolo residuo sciropposo sul quale si eseguì la reazione del biureto. Essa risultò positiva. Sembra perciò che dalla detta anidride si origini esclusivamente il 8-dipeptide. Le esperienze descritte in questa Nota, hanno dunque dimostrato, in armonia colla supposizione esposta nella Nota precedente, che il dipeptide dell'acido aspartico da noi ottenuto per ebollizione delle soluzioni acquose dell'asparagina ordinaria (8-asparagina), non è identico, ma è l’isomero chi- — 427 — mico del dipeptide di Fischer e Koenigs, ed inoltre che anche al dipeptide da noi ottenuto per via indiretta dall’anidride dell’acido dichetopiperazin- diacetico è da assegnarsi la struttura del $-dipeptide. L'@-dipeptide con ogni probabilità potrà peraltro ottenersi anch'esso per sintesi diretta dall’a-aspa- ragina per ebollizione della sua soluzione acquosa. La questione potrà quindi formare oggetto di ulteriori studî. Mi riservo inoltre di continuare le ricerche sulla sintesi dei polipeptidi per mezzo delle amidi degli aminoacidi; argo- mento che interessa il problema della funzione di questi corpi nei vegetali. Ringrazio infine il dott. Ulderico Azzurrini per l’efficace aiuto che mi prestò nell'esecuzione di queste esperienze. Geomorfologia. — Lo svolgimento della morfologia costiera. Nota di GAETANO ROVERETO, presentata dal Socio ARTURO IssEL ('). A un risultato non meno imperfetto si giunge quando col concetto di un'azione ciclica si vogliono spiegare le forme delle coste (?). Raoul Blanchard, ad esempio, studiando le coste della Provenza (8), chiama sezili quelle della Camarga, mature le proprie alla penisoletta dei Martigues, /endenti alla maturità le altre da Tolone alle Hyères, giovani le distese da Marseilleveyre a Cassis. Eppure son tutti tratti di costa bat- tuti dalla stessa onda e da egual tempo; onde è certo, che con simili di- stinzioni si prescinde talmente dal modo di svolgimento fisico e geologico del fenomeno, che il sistema sorpassa il fatto, ed è erroneo. A parte la questione, che abolita la mozione tempo nella esplicazione del fenomeno, si distinguono i diversi stadî su prevenzioni affatto conven- zionali, bisogna anche dire, come con tal metodo venga abolita ogni esamina «di quanto influiscano sulla forma della costa tutti i diversi e numerosi fat- tori concomitanti e isolati, preparatori e determinatori della linea costiera, in comparazione dei quali l’azione dell'onda, da cui deriverebbero le condi- zioni caratterizzanti i varî stadî come forme, e non come svolgimenti, è di una importanza molto secondaria. Così, il Davis, con quei suoi suggestivi diagrammi in cui una costa gradualmente si modifica per la continuata azione dell’onda (4), non considera che le forme derivanti da questo solo agente, non sono precisabili con sicu- rezza, poichè la composizione litologica, l'assetto stratigrafico, la posizione geografica, lo stato morfologico, hanno su quel tratto di costa influenze più ‘chiare e meglio determinanti, o molto più attive, di quelle delle onde. (1) Pervenuta all'Accademia il 18 ottobre 1921. (?) Rend. Accad. Lincei, vol. XXIX, fasc. 30-49, 1920. (3) Blanchard R., Les cotes de Provence. La Géogr., vol. XXIV, 1911. :(4) Davis W. M., Practical exercises in physical geography. Boston, 1908. — 428 — Le alte falesie che troncano lunghi tratti della Riviera di Levante, non sono solo dovute all'arretramento della costa sotto l’azione del mare: azioni anteriori hanno preparato una costa ripida, sopra e sotto il livello del mare, contro la quale l’ondazione ha prodotto quell’intaglio conferente a tale costa l'aspetto che i geografi chiamerebbero giovane; e difatti, la sparizione dei terrazzi marini quaternarî, la troncatura dei terrazzi fluviali dello stesso periodo, le vallette longitudinali in posizione costiera, i mancati arretramenti dove esistevano rocce più resistenti, tutto indica che le forme di tale co- stiera sono recenti Ma l'insieme è antico: la riva di costa del quaternario è per lunghi tratti sovrapposta a quella del pliocene. Ma lungo la costa della Toscana esistono per notevoli distese forme affatto differenti: abbiamo un retroterra, sorto dal mare pliocenico, a forme ampie e dolci, quindi a false forme mature, e con una riva deposita, unita e ragguagliata, che i geografi chiamerebbero serzie. Eppure la costa della Toscana è più giovane di quella della Liguria, la sua linea di costa plioce- nica bisogna cercarla molto lungi entro terra, e le differenze fra loro non sono do- vute a diversità nelle azioni del mare, mà a quelle eudogene di sollevamento. Quindi, con i dettami della geografia si può solo definire la condizione morfologica, parlare di costa unita, ragguagliata, intaccata, frastagliata e si- mili; con quelli della geologia stabilire i fenomeni endogeni che hanno pro- dotto tanto l'emersione e il limite del continente, quanto la morfologia sot- tomarina; con quelli della geomorfologia è possibile coordinare le osservazioni fatte negli altri due campi, e riconoscere il modo di svolgimento delle varie forme: svolgimento la cui continuazione, come si è visto dai confronti ora fatti, non porta a determinate forme collegate a determinati stadî. Lo studio delle coste presenta questa grande facilitazione, che la rap- presentazione in piano delle stesse è senz'altro gran parte della descrizione morfologica. Basta poca cognizione geologica per passare a comprendere le condizioni strutturali e la storia genetica. Per farsi un concetto più definito di questi accomunamenti si consideri, ad esempio, che una costa ben vallonata, sommergendosi — condizione geo- grafica e fatto geologico — dà luogo a forti rientranze che risalgono secondo. i fondi delle valli: le parti fra queste sporgenti, sotto forma di capi e si- mili, si conservano se costituite da roccia ben salda — condizione litolo- gica — come nel caso delle rzas che sono in granito; per di più, con la stessa roccia si ha una condizione particolare, quando sia intervenuta l’azione dei ghiacciai — condizione fisica e agente geologico — che è quella dei fi0rdz. Hanno ancora foggie differenti le insenature dipendenti da rocce stratificate, e dallo stato di divisione e di pendenza di queste: le più singolari sono quelle associate a strati orizzontali, cui d'ordinario si dà il nome di cade, che io ho sostituito, per precisar meglio, con quello di marse ('): ne sono. (1) Rovereto G., Studi di geomorfologia, pag. 509, 1908.. — 429 — esempio le marse di Bonifacio (!), di Siracusa. di Malta, di Tobruk, ecc.; non è quindi esatto. come fa il geografo Bruhnes (?), di riunire le cale alle rias. Una variazione delle rias sono invece le calazche della Provenza, dal primo loro descrittore, il geologo Fournier (3), attribuite ad una fratturazione costiera, ma conseguenti invece da una sommersione più ridotta, di una costa poco sollevata, in roccia porfiritica, resistente come la granitica; la loro diffe- renziazione della rias consiste solo nel minore e più ristretto addentra- mento, dovuto alla minore entità dell'incisione continentale e della som- mersione. Con le rias sono state accomunate anche le vallone della Dalmazia; però è meglio continuare a tenerle distinte; perchè si tratta di rientranze, che hanno, è vero, un'origine eguale a quella delle rias, ma presentano condi- zioni differenti: sono addentrate in modo straordinario in una regione che, per essere carsica, ha impedito alle correnti terrestri di colmarle con mate- riali di trasporto. Morfologia. — Intorno alla morfologia del cervello di Pr o- teus anquineus e sull'esistenza del suo nervo ottico (Contri buto allo studio comparativo del sistema nervoso centrale degli Anfibi) (4). Nota del dott. EpoaRDO BENEDETTI, presentata dal Cor- rispondente E. GIACOMINI (°). Ho da qualche tempo intrapreso, quale contributo allo studio compara- tivo del sistema nervoso centrale degli Anfibi e particolarmente degli Uro- deli, una serie di ricerche intorno al cervello di Proteus anguineus, soprat- tutto riguardo all'esistenza del sno nervo ottico e del cervelletto, che venne negata dall'Edinger e dal Hirsch-Tabor. In attesa che il lavoro, già condotto a buon punto, venga completato e pubblicato per esteso, stimo frattanto opportuno di rendere noti i risul- tati principali che ho potuto ricavare dalle indagini e dalle osservazioni da me finora eseguite. La struttura delle singole parti componenti il cervello di Proteo è estre- mamente semplice. Vi ha una sostanza grigia centrale formata da elementi (1) Il Giustiniani, geografo genovese della fine del secolo XV, così ricorda: « Bo- nifacio..... ha un porto, ossia un canale, ovvero una cala ». Mss. in Biblioteca Berio. (?) Brunhes J., Les calas des Baléares. La Géographie, vol. XXV, 1912. (3) Fournier E., Études s‘rutigr. sur les calanques du l'ittoral des Bouches du Rhòne. Feuill. d. Jeun. Natur., jull., 1894. ; (4) Lavoro eseguito nell'Istituto di anatomia comparata dell’Università di Bologna. (*) Presentata nella seduta del 6 novembre 1921. — 430 — cellulari insolitamente grandi, e perciò più scarsi che non in altri Anfibi, di- sposti senza ordine apprezzabile immediatamente sopra l’ependima. Salvo rare eccezioni, non si nota la formazione di distinti nuclei nervosi. I ventricoli cerebrali e le comunicazioni tra questi (acquedotto del Silvio, forami di Monro) sono senza confronto più ampii che non negli altri Anfibi urodeli ed anuri, ove soltanto allo stadio larvale troviamo disposizioni lontanamente simili a quelle del Proteo. Se noi con Johnston, Kappers, Studnicka ed altri, consideriamo il telep- cefalo. dei Pesci come evertito, e quello degli Anfibi anuri come invertito, allora troviamo nel Proteo uno stato intermedio rispetto a questa rotazione degli emisferi; perciò le singole regioni, funzionalmente identiche a quelle di altri Anfibi superiori al Proteo, vengono in quest’ultimo animale a tro- varsi in una posizione diversa rispetto alle medesime dei menzionati Anfibi. La regione del septum negli emisferi del Proteo sporge in modo molto. pronunciato nell'interno di ciascun ventricolo. Per questo motivo e anche in causa della maggiore eversione rispetto agli emisferi di altri Anfibi uro- deli e anuri, il contorno della sezione trasversale della cavità degli emisferi non si presenta elittico, come in questi, ma spiccatamente triangolare. Sempre in causa della maggiore eversione degli emisferi, la scissura interemisferica è qui estremamente superficiale e scompare quasi nella por- zione caudale degli emisferi. Negli altri Anfibi essa si mantiene per tutta. la lunghezza degli emisferi stretta e profonda. L'apparecchio olfattorio è sviluppatissimo e assume negli emisferi una estensione molto maggiore che non negli altri Anfibi. Il nervo olfattorio di ciascun lato si distribuisce, appena entrato nel bulbo olfattorio, a due zone di glomeruli ben distinte e di grandezza pres- sochè eguale; non presenta perciò la disposizione solita, conosciuta in altri Anfibi, di una radice principale e una secondaria, essendo nel Proteo ambedue. le radici di eguale potenza. Le fibre nervose che formano il fascicolo prosencefalico mediale incro- ciano nella lamina commessurale dorsalmente a quelle del fascicolo prosen- cefalico laterale, immediatamente sotto alla « commissura pallii anterior ». Questo comportamento, diverso da quanto finora iu descritto per gli Anfibi, è dovuto: 4) alla grande estensione dell’area olfattoria; 2) all'ampiezza dei forami interventricolari; c) all’eversione degli emisferi. Tutta la porzione diencefalica è relativamente più estesa che non in altri Anfibi, specialmente rispetto all’asse longitudinale. La lamina infraneuroporica del pavimento diencefalico è straordinaria- mente sviluppata in altezza, arrivando con la sua porzione dorsale in tutta prossimità della parete dorsale diencefalica. Il recesso superiore o ventricolo. comune è molto ampio, ha una forma del tutto diversa da quella che pre- senta negli altri urodeli e comunica col III° ventricolo mediante uno stret- — 49 — tissimo canale, in seguito al comportamento della lamina infraneuroporica dianzi descritto. I gangli abenulari e la parafisi quali formazioni del tetto encefalico sono molto più sviluppati che non in altri Anfibi. Al contrario, il sacco dorsale (parte prossimale dell'organo pineale) è allo stato rudimentale. I nuclei laterali ipotalamici, posti ai lati della porzione rostrale del recesso infundibolare, sono senza confronto più sviluppati nel Proteo che non in altri Antibi (Salamandra, Triton. Bufo. Rana) presi in esame. Auche i corpi mammillari, situati nella regione ipotalamica, sono molto più manifesti che non negli ora menzionati Anfibi. È accertata nel Proteo la continuità del nervo ottico tra l'occhio e il pavimento del diencefalo, e ciò contrariamente alle asserzioni di Edinger e Hirsch-Tabor. Durante il suo percorso extracraniale, l'esile nervo ottico del Proteo penetra e corre per un breve tratto nell'interno del ramo oftalmico del tri- gemino. Ciò vale a spiegarci la concezione che su tale nervo ebbe il Delle Chiaie, ritenendolo un ramo della branca oftalmica del trigemino. Alla base del cervello le fibre ottiche formano un tenue chiasma intra- cerebrale. Il mesencefalo è relativamente poco sviluppato, e la sostanza grigia del tetto ottico mostra soltanto accenni a quella stratificazione che è propria del tetto ottico degli altri Anfibi. In causa del mancato sviluppo del tetto ottico, la parte dorsale del mesencefalo, contrariamente a quanto si riscontra negli altri Anfibi epigei, è più stretta che non la ventrale. Il nucleo magnocellulare del tetto è straordinariamente sviluppato e vi- sibile anche all’esterno nel cervello isolato e fissato in liquido di Miiller e formalina, sotto l'aspetto di due striscie biancastre, che, partendo subito dietro la commessura posteriore, decorrono ai lati della linea mediana dorsale - e si riflettono poi lateralmente, seguendo il margine caudale del mesencefalo. Contrariamente alle asserzioni di Edinger, esiste un cervelletto, rudi- mentale nella sua porzione dorsale, bene sviluppato, e forse più che in altri Urodeli, nelle porzioni laterali e ventrali. Queste parti sono addossate al margine caudale laterale del mesencefalo e contengono numerose cellule che si mettono in relazione, mediante le loro fibre, tanto col midollo allungato, quanto con porzioni più rostrali del cervello. Le fibre delle cellule ora menzionate, che si dirigono dorsalmente, si accompagnano a delle altre che vengono dal midollo allungato, e insieme con queste vanno a formare la commessura cerebellare (intertrigemina di Edinger). La porzione dorsale libera del cervelletto di Proteo rassomiglia in tutto alla formazione omologa in larva di Salamandra; la porzione laterale e -— 432 — basale rassomiglia straordinariamente all’abbozzo di cervelletto in embrioni di Teleosteo. i I nervi cranici V, VII e X sono tutti oltremodo sviluppati. Nella re- gione del vago le pareti del midollo allungato mostrano un ispessimento ancora più manifesto che non nelle altre regioni. Viene così a formarsi un piccolo « lobo del vago ». I gangli del V e VII sono separati. Le radici più caudali del complesso del vago si riuniscono in un tronco con decorso ascendente, che, a differenza di quanto si verifica in altri Anfibi, non si unisce al tronco principale del vago, ma rimane autonomo; ricorda esso con questo suo comportamento l'accessorio spinale degli Amnioti. La vascolarizzazione dell'encefalo in generale è abbondantissima. I ca- pillari sono molto grossi, ciò che non deve però meravigliarci, sapendo che gli eritrociti del Proteo sono tra i più grandi di tutti i vertebrati. Biologia. — Osservazioni sugli strati limitanti esterni del- lo taloscheletro nelle forme larvali der Murenoidi ('). Nota IT del dott. UMBERTO D’ANCONA, presentata dal Socio B. GrRassI. Nella Nota precedente (2) ho descritto gli strati limitanti esternamente lo ialoscheletro dei Murenoidi. Tutti questi strati si seguono, nel modo già visto, tra la muscolatura e lo ialoschelet:0; ventralmente e dorsalmente invece, dove nelle forme gio- vani lo ialoscheletro non è ricoperto da muscolatura, si continuano soltanto i due endotelii. Nelle forme più progredite, in cui la muscolatura circonda tutto il corpo, dorsalmente e ventralmente i tubuli seguono la muscolatura, gli endotelii lu ialoscheletro che così è tutto circondato dagli stessi. Lo strato gelatinoso si continua nel connettivo cutaneo. Le formazioni descritte si osservano tanto nelle larve quanto nelle semi- larve. Già in prelarve appena sgusciate si rileva sicuramente la presenza almeno dello strato dei tubuli e degli endotelii. Nelle semilarve, man mano che si ha l'accorciamento del corpo e la sua riduzione in senso dorso ventrale (*), si notano delle modificazioni negli strati. I tubuli si assottigliano (‘), e, naturalmente unitamente ai miomeri. (*) Dall’Istituto di anatomia comparata della R Università di Roma. (3) Rendiconti R. Accad. Lincei, ser. 5%, vol. XXX, 2° sem.. pag. 385 (1921). (8) Vedi Grassi, Metamorfosi dei Murenoidi. R. Comitato talassogr. ital, 1913. (4) Per es. in una prima semilarva (nomenclatura secondo Grassi) di C' mystax, lunga 150 mm., ho trovato un diametro medio dei tubuli di 9.9 4; in una seconda se- mailarva di 117 mm. un diametro di 7,7 2; in una terza semilarva di 100 mm. un dia- metro di 5,2 4; in una quarta semilurva di 95 mm. un diametro di 3,4 w. î - 433 — si accorciano; gli strati di fibre e l'endotelio allungato diventano più fitti. Nella C. mystax tutte queste modificazioni sono meglio evidenti nelle quarte semilarve, che sono quelle più ridotte in lunghezza ed altezza. In stadî più avanzati, contemporaneamente alla riduzione dello ialosche- letro, si ha la scomparsa degli strati limitanti. Forse i tubuli sono i primi a scomparire, mentre gli endotelii permangono fino a quando c'è traccia di ialoscheletro. Nei Murenoidi in abito definitivo non vi è più traccia di tutte queste formazioni, ma tra la muscolatura e lo scheletro assile c'è soltanto un sottile strato connettivale Passando a considerare il significato funzionale delle formazioni descritte. è evidente che esso deve essere messo in rapporto colla locomozione. I tubuli, a diretto contatto colle tibre muscolari, devono esercitare du- rante la contrazione di queste una funzione antagonista tendendo, appena cessata quella, a riportare in estensione il miomero accorciato. I due strati di fibre connettivali colla disposizione di queste in senso dorso-ventrale tengono unite le fibre muscolari durante la contrazione (1); d'altro canto col loro incrociarsi obliquamente permettono ai singoli miomeri di allungarsi e di accorciarsi; in terzo luogo i due strati offrono una resi- stenza (*) alla pressione interna che, come osserva il Sella (*), sì sviluppa durante il moto. La funzione della lacuna tra i due strati endoteliali è probabilmente quella di permettere una certa scorrevolezza della muscolatura sullo ialosche- letro, che, secondo il Sella (4), deve essere rigido e poco comprimibile. Alla fine della metamorfosi invece, per i movimenti più attivi dell’ani- male, si rende necessaria una muscolatura più energica, che per conseguenza ha bisogno di un appoggio più resistente e questo viene allora fornito dalla colonna vertebrale, su cui i miocommi si inseriscono saldamente. In tali condizioni devono scomparire sia lo ialoscheletro sia gli strati limitanti. Concludendo si può dire che negli stadî larvali, correlativamente al minor sviluppo della musculatura, ha gran parte nel movimento l'elasticità della corda, dell’ialoscheletro e dello strato tubulare, formazioni che ten- dono a riportare nell’estensione primitiva le parti contratte. Nelle forme in abito definitivo invece il movimento cessa di essere in gran parte passivo per diventare quasi completamente attivo, in relazione col maggiore sviluppo della muscolatura. (1) Cfr. Biedermann, Physiologie der Stita- und Skelettsubstanzen, in Handb. d. vergl. Physiologie herausg. v. H. Winterstein, III Bd., I. Hilfte, 1914, pag. 939. (2) Cfr. Biedermann, loc. cit. (3) Sella, loc. cit., pag. 73. (4) Sella, loc. cit. RENDICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sam. 56 — 434 — Biologia. — Muove ricerche sperimentali sullo sviluppo e sulla metamorfosi degli Anfibi Anuri. (Sui problemi inerenti agli innesti tra larve a litio e larve normali di Bufo vulgaris). Nota del dott. GruLio CoTRONEI ('), presentata dal Socio B. GRASSI. Riassumo un mio lavoro che va in stampa nell’ « Archivio Zoologico ». Le presenti ricerche hanno avuto per scopo essenziale di fare risaltare con nuovi procedimenti di esperienze combinate la natura delle correlazioni nello sviluppo e nella metamorfosi degli Anfibi Anuri. Trattando le uova in isviluppo di Bufo vulgaris con una soluzione di cloruro di litio si osserva un'azione paralizzante : lo sviluppo viene rallen- tato; alcuni organi risentono maggiormente quest’azione che si può tradurre in malformazioni molto intense nella regione cefalica precordale. Trattando, poi, le larve a litio che hanno potuto proseguire nel loro sviluppo, ma che non presentano malformazioni tanto intense da impedirne l’azione, con succo tiroideo messo in soluzione nell'acqua ambiente, ho po- tuto osservare che le larve a litio, cui ora ci riferiamo, vanno in metamor- fosi in ritardo rispetto alle larve normali della medesima età e che hanno anche esse subito l’azione del succo tiroideo. Ho tratto partito da questi risultati per procedere, mediante esperiénze d’innesti, allo studio di alcuni problemi. Ho pensato di unire ventralmente mediante innesti « alla Born » larve a litio e larve normali di Bufo vulgaris (4-5 mm.). Ho unito tra loro anche larve normali. I problemi che mi sono proposto sulla base concreta dei miei esperi- menti si possono riassumere nei seguenti : Come si comporta lo sviluppo di una larva a litio quando vien messa in unione permanente con una larva normale? C'è uno scambio di sostanze che mette all'unisono, per dir così, lo sviluppo delle due larve ? Quando s’inizia questo eventuale scambio di sostanze ? Qual'è il comportamento che presentano le due larve nella metamor- fosì ? ‘1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Anatomia e Fisiologia comparata della R. Uni- versità di Roma. — 435 — La riuscita completa dell'esperienza più difficile da me tentata presup- poneva la riuscita successiva e associata di tre differenti esperienze. Gravis- sime sono state pertanto le difficoltà tecniche incontrate e il lettore non si stupisca nel sapere che soltanto per una coppia litio-normale sono riuscito a raggiungere la fase di metamorfosi, con il trattamento con endotiroidina (dell'Istituto sieroterapico milanese). La larva a litio appartenente a questa coppia presentava malformazioni nella regione preoculare per la cui descrizione rimando al lavoro in esteso; ‘ essa non era però delle più malformate, e in accordo con mie precedenti espe- rienze ritengo che anche senza essere unita con una larva normale avrebbe raggiunto il medesimo stadio di metamorfosi. Lo studio della coppia sud- detta mi è stata più profittevole per i seguenti risultati. Ho veduto che durante tutto il periodo di sviluppo che è andato dal- l'operazione d'innesto fino a un periodo che io presumo corrisponda al ter- mine dell’assorbimento vitellino, le due larve si sono sviluppate seguendo ognuna le proprie caratteristiche individuali: la velocità di sviluppo è stata maggiore nella larva normale che nella larva a litio. Al termine di detto periodo si nota che le dimensioni delle due larve sono notevolmente diffe- renti: la larva normale si presenta più grande. Ho iniziato in siffatte condizioni il trattamento con endotiroidina (5 gocce per ogni 109 cc. di acqua am- biente). Da principio all'osservazione macroscopica noto ancora il maggiore sviluppo dell’arto posteriore nella larva normale rispetto alla larva a litio, ma osservo in proposito che questo fatto bisogna considerarlo in riflesso alle differenti condizioni iniziali. In seguito le due larve mostrano tendenza, a mettersi all'unisono di sviluppo: questo fatto si rivela nei processi della metamorfosi. L'esame istologico eseguito sul materiale fissato alcuni giorni dopo che s'erano iniziati i primi sintomi della metamorfosi mi ha dimo- strato che le due larve si presentavano in una medesima fase negli organi che risentono i processi disintegrativi della metamorfosi (tubo intestinale, coda). Anche negli altri organi tranne l'arto posteriore (non si tien conto delle malformazioni) non riesco a notare differenza di condizione nelle due larve. L'arto posteriore, invece, si presenta nella larva normale più avanti nei processi differenziativi, che nella larva a litio. L'arto anteriore non si è prestato per far risaltare un differente grado differenziativo. Soltanto osservo che la larva a litio presenta l'arto anteriore sinistro fuoruscito, mentre nella larva normale nessuno dei due arti (ante- riori) è fuoruscito. Questo fatto è interpretato nel lavoro in esteso e non ha importanza nel caso in esame per significare uno studio più avanzato di metamorfosi. Osservo inoltre che l'esame istologico mi ha dimostrato che l'unione intima delle due larve era avvenuta con una comunicazione intestinale. (Ansa intestinale comune nella regione di saldatura). — 436 — Dalle mie esperienze traggo le seguenti conclusioni: Da principio, dall'operazione d'innesto fino presumibilmente al termine dell'assorbimento vitellino, non c'è scambio di sostanze tra l’una larva e l'altra che possa influire sul reciproco sviluppo. Ultimatosi il differenziamento istologico e formatesi le vie di comunicazione si stabilisce tra le due larve uno scambio di sostanze sì da culminare nel chimismo della metamorfosi, che sì rivela nei processi disintegrativi in una stessa maniera nelle due larve. L’arto posteriore, invece, rivela ancora la differente condizione dello sviluppo embrionale. Una deduzione delle precedenti conclusioni è che nello sviluppo em- brionale fino al differenziamento istologico non esistono correlazioni umorali o nervose che regolano a distanza lo sviluppo. Durante lo sviluppo suddetto non esistono che correlazioni meccaniche (spaziali e di sostegno) e, da pre- cisare, correlazioni chimiche di vicinanza. Con altre esperienze su parti di Bu/o vulgaris isolate con tagli trasver- sali ho veduto l'impossibilità per esse di raggiungere mercè un trattamento tiroideo la fase di metamorfosi. Queste ultime esperienze possono conva- lidare il concetto che per raggiungere la metamorfosi è necessaria, almeno fino ad un certo punto, l'integrità funzionale dell'organismo. MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI NEGRI G. Ze colonie vegetali xerotermiche della valle di Susa e l’ipo- tesi « lacustre » del professore L. Buscalioni. Pres. dal Socio MATTIROLO. G. C. bblicazioni della scigta dei Lincei. Serie 1* — Atti dell’Accademia SITA dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. i Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 22 — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2* MEMORIE de/la Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3% MEMORIE della Classe di scienze morali, | storiche e filologiche. Vol IV. V. VI. VII. VIII Serio 38 — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenDICONTI. Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di ‘scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XXX. (1892-1921). Fasc. 12°, Sem. 1°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XXX. (1862-1921). Fasc. 1°-3°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. XIII, fasc. 5°. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. Vol. XIV. Vol. XV. XVI. Fasc. 7. - CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. | Il prezzo di associazione per ogni annata ce per tutta l’Italia è di L. 108; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai: ULRICO HoePLi. — Mitano, Pisa è Napoli. | P. MagLione & C. STRINI (successori di E. Loescher & C.) —- Roma. i Nalli. Sopra alcuni sviluppi in serie. Nota II (pres. dal Corrisp. Bagnera) . . . .. +» «Picone. Nuova dimostrazione della necessità della condizione di Jacobi (pres. dal Socio Seduta 4 wo a MEMORIE E NOTE DI SOCI Longo. Su la Vite selvatica della Maremma >. . ./../.-...40 0 si MEMORIE E NOTE PRESENTATE DA SOCI Bompiani. Sulle varietà contenenti più serie di superficie totalmente geodetiche (pres dal So nicaià i Fisenhart. Sulle trasformazioni 7° dei sistemi tripli coniugati di superficie (pres. dal Socio Bianchi). . >. iti e n I Tricomi. Su di una classe di equazioni alle derivate funzionali. Nota I (pres. dal Socio sù Volterra) >... Ni. Rata e AT Bianchi): SCE A e. Tenani. Sul calcolo dell’energia del vento. Nota II (pres. dal Corrisp. Croci: viel 3 ” Viola. Il «cinematografo parlante » di Emilio Zeppieri (pres. dal Socio C. Viola). . . » Pratolongo. I punti di ebullizione delle miscele idroalcooliche a diverse pressioni (pres. dal Socio IMenozzi). ra LIL e e Ravenna. Sulla costituzione dei dipeptidi dell'acido aspartico (pres. dal Socio Ciamician) ” Rovereto. Lo svolgimento della morfologia costiera (pres. dal Socio Issel).. eo x ”o Benedetti. Intorno alla morfologia del cervello di Proteus anguineus e sull’ esistenza | del suo nervo ottico (Contributo allo studio comparativo del Cina nervoso centrale degli Anfibi) (pres. dal'Corrisp* GIACOMO e Si i D'Ancona. Osservazioni sugli strati limitanti esterni dello ialoscheletro nelle forme larvali a dei Murenoidi. Nota II (pres. dal Socio Grassi). . . LL... Cotronei. Nuove ricerche sperimentali sullo sviluppo e sulla metamorfosi degli Anfibi Anuri. (Sui problemi inerenti agli innesti tra larve a litio e larve normali di B ufo vulgaris) (pres: Sd) ice MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI i Negri. Le colonie vegetali xerotermiche della valle di Susa e l'ipotesi « lacustre n del professore L. Buscalioni (pres. dal Socio Maftirolo) . . . . +. 06 + è se A 3 K. Mancini, Cancelliere dell’ Accademia, renponsabile faa SH Leon oay et! REALE ACCADEMIA NAZIONALE. DEI LINCEI ANNO CCCX VIII. 1921 Si; DUI NPA: RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume X X X.° — Fascicolo 11° 4 dicembre 1921. 2° SEMESTRE ROMA TIP. DELLA R. ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1921 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delie pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, inoltre i Rendiconti della nuova serie formano — una pubblicazione distinta perciascuna delledue Classi. Peri Renpiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- . . golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli dello Memorie presentate da Boci e estransi, nelle due sedute mensili del: l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un’annata. 2 Le Note di Soci o Corrisponienti non possono oltrepassare le 5 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Socî, che ne assumono la responsabilità, non possono superare le 3 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis:ai Soci s Corrisponden'i, e 30 - agli estranei; qualora l'autore ne desideri un ‘ numero maggiore, il sovrappiù della spesa è ; posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discng- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- Gemia; tuttavia se Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta . stante, una Nota per iscritto, II. I. Le Note che oltrepassino i limiti ndi- - cati al paragrafo precedente e le Memorie pro- priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soti o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate . da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- ‘risce in una prossima tornata della Classe. ‘ 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta a stampa della Memoria negli Atti dell Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’art. 26 dello Statuto. è) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti. . contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall'art. prè- cedente, la relazione è letta in seduta, SIT nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis s0 estratti agli au tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 30 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli . autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. n° ___r_—7TFTTFT—<-—*Tr—rr—rTr—r—"<—-" 4 dicembre 1921 MEMORIE E NOTE DI SOCI Paleontologia.. — Silicospongie fossili della Liguria occi- «dentale (*). Nota I. del Socio CARLO DE STEFANI (°). CONCLUSIONI. 6 Non mi pare possibile determinare con qualche precisione i raggruppa- ‘menti delle singole specie di Dicsyoninae trovate nelle differenti località. Via via che ho descritto i residui fossili, ho cercato paragonarli ad altre specie conosciute; ma ciò feci alla ricerca d’un punto di ritrovo, non col- l’idea di fare più o meno precise determinazioni. 1°) La specie a larghe maglie, apparentemente senza Epi ed Apo-rhîze, con piccole ostia puntiformi, con spicule aculeate del Trias inferiore della cava Negrotto ad Arenzano, distinta da ogni altra, può ritenersi un pas- saggio fra le Zyssaciînae, note dai tempi Paleozoici fino ai mari odierni, e le Dictyoninae note finora solo dal Trias in poi. Nel 1920 è comparsa una pubblicazione di C. D. Walcott (Middle Cambrian Spongiae — Smithsonian miscellaneous collections, vol. 67, n. 6, Washington) che attribuisce alle Dictyoninae la nuova famiglia Vaurininae con l'unico genere Vauxia nel +Cambriano medio della Columbia inglese, caratterizzato dalla coalescenza reciproca dei singoli raggi dell'intreccio; ma questi sono tre situati in un (*) Questi Rendiconti, vol. XXIX, 2° sem., fasc. 1°, an. 1920, pag. 16 e seguenti. (2) Pervenuta all'Accademia il 30 settembre 1921. RENDICONTI. 1921, Vol. XXX. 2° Sem. 57 — 438 — piano ed un quarto che vi penetra ad angolo retto, perciò ben differenti dalle Dictyoninie più recenti. 2°) L'altra specie della cava Negrotto è una vera Diciyonina come tutte le altre degli strati successivi prese in esame. Essendo provvista, forse, di Lychnische, rientrerebbe nella Tribù delle Zychriscos: che principiando. nel Mesozoico, abbondantissime nella Creta, sono quasi scomparse oggi. Come specie a sè è forse distinta perchè sprovvista di Aporhize ed Epirhize, con ostin cinte da intreccio circolare e radiale. 3°) Poche tracce ho notato nel Trias medio e superiore e sarebbero tutte della Tribù Mcexasterosa e torse della Subtribù ZWrcinataria quella della parte superiore del Trias di Spotorno. La specie del Calcare di Isoverde, forse una Zychriscosa, va distinta per la forma delle sue aperture maggiori, siano canali acquiferi ovvero cavità dei Paragaster come nei Polyblastidium della Creta. 4°) La specie del calcare e della quarzite di San Martino, attribuita. all'Infralias e per lo meno al Mesozoico superiore, ritenni distinta, perchè è. una Zychniscosa con frequenti espansioni ai punti d'inerocio, a maglie abba- stanza regolari, fornite di ottusi aculei, e caratterizzata da Aporhize sporgenti a forma di tubo, a quinconce con le Epirhize. Le altre specie della zona dei terreni cristallini circostanti e sovrastanti si distinguono, sebbene con varia incertezza, in due gruppi, le Hexasterosa (Crocetta. Casa Bisognaschi, bivio sotto Casa Doria, verso il Rio Gea, tutte. località prossime alla Crocetta e probabilmente Valle dell’Iso) e Zychni- scosa quasi sempre con placche a forellini circolari (Crocetta, Palazzo Doria, Campo Ligure. Cairo, Biscazza; Casa Buzzano, Costa di S. Alberto, Caffa- rella. Stazione di Voltri, Mele). Sarebbe incerto a quale dei due tipi attri- buire i resti del Cantarena e del Mulino di San Giovanni. 5°) La presenza di intreccio spirale intorno alle Aporhize delle Zych- niscosa nello schisto della Biscazza e di Casa Buzzano potrebbe essere un carattere atto a ravvicinare i relativi Spongiari a quello di Mele: l'intreccio loro, abbastanza regolare. è senza aculei: alla Biscazza vi sono placchette forate. 6°) Nella Zychniscosa di S. Alberto e del Mulino di San Giovanni, intorno ai canali circolari meglio conservati, probabilmente Aporhize, è un intreccio hexactinico periferico, radiale, con 0s/74 puntiformi di minutissimi canali che penetrano nell'interno. Probabilmente ciò dipende solo dal mi- gliore stato di conservazione, e non costituisce una specifica differenza dalle. altre Zychniscosa. 7°) Mancano criterî assoluti per giudicare la spartizione delle Lychni- scosa di Campo Ligure, della Caffarella, Palazzo Doria, Crocetta, Stazione di Voltri, Cairo; loro carattere comune è di avere il reticolo allineato regolar- mente a ventaglio in tutti i sensi longitudinale radiale, con maglie alquanto. — 439 — irregolari, spicule, talora con rari e brevi aculei, Aporhize circolari con in- treccio radiale, Epirhize puntiformi con intreccio circostante quasi sempre, per effetto di compressioni, conformato a losanga, caratteri comuni, questi ultimi, con le Hexasterophora. 8°) Le Hexasterophor: della zona cristallina hanno comune allinea- mento radiale regolare e maglie pure abbastanza regolari specialmente intorno ai canali acquiferi, apparentemente senza aculei, ed inoltre, come la massima parte delle Zychniscosa, Aporhize circolari, grandi, con intorno intreccio ra- diale, talora internamente ramificato, ed Epirhize puntiformi o per lo meno assai piccole, con intorno un intreccio di 6 o 7 giri a losanga. 9°) Dalle Hexasterosa del bivio sotto Casa Doria, della Crocetta, di Casa Bisognaschi. si staccano forse quelle della Valle dell’ Iso e quelle verso il Rio Gea che intorno alle Aporhize circolari mostrano un intreccio radiato a stella con 6 o 7 raggi o più. Già dissi come sia difficile e talora impossibile verificare l’esistenza di parenchimali, anche per la presenza dei microscopici componenti minerali : nondimeno la esistenza di Zezzi in certi casi mì parve probabile, ed un poco meno quella di C/avulae e di altro. Sarebbero perciò incertamente Wnceina- tarvae le H2xasterophora di Casa Bisognaschi e quelle di verso Rio (Gea, del Bivio sotto Casa Doria, della Crocetta e di Valle dell’Iso; come le Lych- niscosa di Campo Ligure, della Caffarella, della Costa di S. Alberto e di Pa- lazzo Doria. 3 Il non aver trovato parenchimali nelle forme degli altri luoghi non vuol dire che non vi esistano. Debbo soggiungere che parenchimali di Zyehrniscosa fossili finora non sì conoscono ; che secondo Schrammen, propugnatore della Tribù Zychm., queste ripetono forme rispondenti alle exas/erosau e che alcuni autori anche recen- tissimi non ammettono la separazione di quella Tribù. È possibile dunque che fra le Wncinatariae si trovino tanto Hexast. quanto Zychn. Le Dietyoninae che non presentano Wrcini possono apparte- nere alla Subtribù Zaermzia o rimanere fra i numerosissimi tipi dncertae sedis. Fra gli altri Spongiarî diversi, dei quali rimasero scarsi ed eventuali residui, notammo Hexasterophora Lyssacina nella zona cristallina della Cro- cetta ed incertamente di Casa Bisognaschi e nella valle dell’ Iso e nel Trias superiore di Voltaggio e di Spotarno; Moraxonia nella zona cristallina di Casa Bazzano, del Mulino di San Giovanni, di Palazzo Doria, della Crocetta : Tetracladinidae nella zona cristallina della Biscazza, della Crocetta, della Stazione di Voltri, della valle dell'Iso e nel supposto Infralias di S. Mar- tino; Rhizomorinae nella zona cristallina della Biscazza, di Campo Ligure, di Palazzo Dorià, della Crocetta e di verso il Rio Gea, non che nel Trias inferiore della Cava Negrotto e nella quarzite di S. Martino; Megarhizidae — 440 — a Palazzo Doria e alla Crocetta; Megamorinae nella zona cristallina della valle dell’Iso e nell’ Infralias di S. Martino; ZMelomorinae fra S. Martino e la Caffarella. Non mancano nella compagine Hexactinica organismi calcarei prescin- dendo dai calcari Triassici; cioè, nella zona cristallina, tracce di Ordulinae o Globigerinae a Campo Ligure, Ordulinae e Biloculinae(?) nella valle del- l'Iso, Miliolidi (Quinqueloculinae) di perfetta conservazione alla Biscazza ed un piccolo frammento di Nummulites al Mulino di San Giovanni. Il partito che si può trarre da tutti questi fossili non è molto grande; ma è sufficiente per dare qualche risultato. Le Hexasterophora, Rhizomorina e le Zyssacint durano dal Paleozoico in poi; ma le Dictyonina qui enume- rate non si trovarono finora nel Paleozoico; a partire dal Trias, durano fino all'attualità. Perciò le Quarziti, Anageniti ecc., sottostanti ai calcari trias- sici di Arenzano, e conseguentemente delle altre località, secondo le condi- zioni odierne non possono appartenere al periodo Carbonifero, cui per varie induzioni le ho talora attribuite, ma debbono conservarsi nel Trias inferiore, seguendo l'opinione dell'Issel e di varî altri. Parimente la zona cristallina fra Genova e Savona, tanto fornita di Diclyonina, non può essere attribuita al Paleozoico e specificamente al Permiano, come di recente si era fatto. Contribuiscono a questa conclusione le Megarhizidae del Giura e della Creta non viventi, le 7esracladinidae fossili dalla Creta in poi, le Zelo- morince note per ora solo nella Creta. Non si deve dedurre senz'altro, dalle suddette tribù di Spongiari, che si tratti di terreni Cretacei: è possibile e direi certo che si trovino fra le Spugne ancora assai meno note nel Giura e fra quelle, quasi generalmente ignote, dell'Eocene. Rovereto e Parona hanno scoperto e descritto nella predetta zona, nella regione di Montenotte superiore, non lungi dalla Crocetta, delle Radiolarie che attribuirono prima al Permiano, poi al Giura, concludendo pur essi con la esclusione del Permiano. Feci conoscere altrove. che le Radiolarie dei diaspri giuresi d’Italia non furono ancora convenientemente studiate; che le Radiolarie così dette Titoniche nei diaspri dell'Emilia illustrate da Vinassa e Neviani appartengono invece sicuramente all’Eocene superiore, che non pure dal Riist, ma dagli stessi italiani non fu sufficientemente tenuto conto del lavoro, fondamentale per le basi che stabilì, del Pantanelli comprendente anche le Radiolarie dei Diaspri dell'Eocene superiore. Queste cose ripeto per mostrare che le conclusioni del Parona e del Rovereto sono suscettibili di revisione. Gli Schisti argillosi, contenenti già parecchi elementi microcristallini, e le altre rocce che stanno ad Oriente della piega triassica estesa da Voltaggio al Gazo nei bacini della Scrivia e della Polcevera, sono già attribuiti dalla gran maggioranza dei geologi all’Eocene e da me all'Eocene superiore. Nè prima, nè poi ho fatto ricerche di fossili nella parte centrale dei medesimi; — 441 — bensì ne feci alla base presso il contatto col Trias ed ho indicato le tracce di Spongiari della Caffarella, della Biscazza, di Casa Buzzano, della valle dell’ Iso, del Mulino di S. Giovanni e di altri luoghi sul Cantarena. Quest'ul- timo luogo trovasi a Sud della piega calcarea e fa passaggio alla serie cri- stallina del litorale occidentale. Nella compagine hecactinica trovai, come dissi, un piccolo frammento di Nummulites. Ora, prescindendo dalle parvenze generali degli Spongiari che sono identiche nella regione orientale poco cri- stallina ed in quella occidentale che lo è di più, certo è che pure in minute particolarità vi è rispondenza talora perfetta fra i ritrovamenti p. es. del (‘antarena e della Costa di S. Alberto. della Caffarella e di Campo Ligure, Palazzo Doria, Crocetta, Stazione di Voltri, Cairo, della valle dell’Iso e del Rio Gea ecc. Devesi dunque concludere che ì terreni delle due regioni orien- tale ed occidentale, come sono in continuazione fra loro ed in eguali circo- stanze stratigrafiche, così trovansi nelle stesse condizioni paleontologiche ed appartengono all’Eocene; anzi all’Eocene superiore. Il mare nel quale viveano gli Spongiari doveva essere profondissimo fino a varie migliaia di metri; nè ciò contrasta col ritrovamento delle Radiolarie descritte dal Parona. Da molti anni ho sostenuto che l'Eocene superiore del- l'Appennino settentrionale si è depositato a grande profondità. Nei Galestri e negli Schisti argillosi della regione ad Est di Genova non risulta siano Spongiari; bensì ne sono nei calcari e nella quarzite o piezraforte che li accompagna. Forse la regione Eocenica della Liguria occidentale si formò a profondità maggiore. Può darsi che la grande profondità, oltre al contatto con le attivissime eruzioni peridotiche e pirosseniche, abbia contribuito al maggiore meta- morfismo di quelle rocce rispetto alle altre dell'Appennino. Due fatti meri- tano di essere almeno incidentalmente notati; cioè: 1°) la frequenza fra Ie dette rocce metamorfiche di minerali sodiferi come l’Albite ed il Glaucofane, la qual cosa potrebbe mettersi in rapporto con la permeazione delle acque- sodifere del profondo Oceano; 2°) la facile trasformazione delia Silice colloide d'origine organica in Quarzo. Non v'è dubbio che nella regione descritta una parte del Quarzo dei Sericitoschisti, e perfino parecchi noduli lentiformi, sono di origine organica. Fino a 40 anni sono il Diaspro era ritenuto d'origine filoniana pretta- mente minerale; io ed il Pantanelli nel 1879 e nel 1880 ne constatammo l'origine sedimentare, organica, da Radiolarie, e niuno più la contesta. Così deve essere di molta parte del Quarzo derivato, come è noto da parec- chio tempo, da Silice di Spongiari: nè ciò esclude che Quarzo sia formato per secrezioni magmatiche e filoniane o sia derivato da agglomerazioni sab- biose di origine meccanica. Nelle grandi profondità dei mari quest'ultima origine sarebbe inverosimile. In conclusione ogni giorno più si dimostrano la grande importanza del mondo organico nella formazione delle rocce terrestri. — 442 — e la necessità che lo studio litologico, per essere completo e per arrivare a conclusioni generali positive, non sia disgiunto dallo studio micropaleonto- logico. Delicatissime Sz/ico-spongiae viventi sono raccolte frequentemente, seb- bene con difficoltà, nella profondità dei mari. Non vi è quasi saggio di fondo fuori del fango a G/obigerinae e di qualche altra zona, che non mostri re- sidui di Hexactinellidae. Nel caso nostro ed in tanti altri simili si vede a dirittura, per grandi altezze ed estensioni, il fondo degli antichi mari. Io non mi occuperò più altramente di Spongiari, ma sono sicuro che se ne tro- veranno per entro agli schisti cristallini delle Alpi Marittime e più oltre, e che, studiati da persone più competenti, serviranno a determinare le età geologiche. Fisica. — Sull’assorbimento della gravitazione. Nota IV del Corrisp. QuIRINC MAJORANA. ATTENUAZIONE DELLE SCOSSE MECCANICHE SULLA BILANCIA. — Ricordo che uno degli inconvenienti più gravi della vecchia disposizione, risiedeva nelle perturbazioni esercitate dalle scosse meccaniche (vol. XXIX di questi Rendiconti, p 26 e 27). Se allora potei eliminare tali inconvenienti, speri- mentando di notte o nei giorni di sciopero, in questa seconda serie non sarei probabilmente riuscito a vincere tutte le difficoltà sperimentali di cui sarà detto, se avessi solo fatto altrettanto. Anzitutto, per ragioni di topo- grafla locale, dovetti piazzare la bilancia in una sala del Politecnico di To- rino prospiciente in via S. Francesco di Paola, per la quale frequente- mente transitano pesanti carri e che è tagliata da linee tramviarie. In con- seguenza di ciò, e forse anche per la presenza dell’appendice L (fig. 2, nota III) lunga 4 metri, le scosse meccaniche alla bilancia erano assai più violente che non nella prima serie di esperienze. Montata in priucipio la bilan- cia, appoggiandola direttamente sul piano di marmo TT (fig. 3), al passag- gio di un carro, l'indice luminoso sulla scala a 20 metri dal giogo, spariva completamente in conseguenza di amplissimi traballamenti. Risolsi allora di attutire tali scosse, mediante la sospensione elastica indicata nella figura. Il piano in legno di base, LL, della bilancia è sostenuto da quattro robuste molle di acciajo temprato (diametro del filo mm. 2,5; della molla cm. 2; numero delle spire 40); di esse, le due anteriori MM si vedono nella figura. Tali molle, sotto il peso della bilancia, si allungano di circa !/g, e si pos- sono correggere le loro deformazioni progressive, che inevitabilmente si mani- festano nei primi giorni della loro messa in opera, mediante le teste a vite VV. [l beneficio che con tale disposizione si ottiene è enorme. Constatai in- fatti, con sorpresa, che anche il passaggio dei più pesanti carri non pertur- bava il libero oscillare della bilancia, restando l'indice Inminoso a 20 metti, — 443 — sempre nitido e risultando ben concordanti le diverse osservazioni. Non voglio però dire che, in conseguenza di tale constatazione, sarebbe stato completa- mente inutile sperimentare in periodi di assoluta tranquillità meccanica della vita cittadina; chè anzi, sarebbe stato più vantaggioso sperimentare sempre così. Ma il vantaggio sarebbe dipeso dalla riduzione di altra causa perturba- trice: la irregolare influenza delle scosse meccaniche sull'isteresìi elastica dell'edificio; su ciò ritornerò in seguito. CONNESSIONE ELASTICA CON LA POMPA. — L'equipaggio mobile della bilancia, insieme con i suoi accessorii, trovasi in un ambiente privo di aria, per le ragioni già spiegate nelle prime ricerche. È vero che nella nuova di- sposizione, gli errori relativi derivanti dalle eventuali perturbazioni termo- metriche sono necessariamente più piccoli; infatti, da un canto essendo la massa schermante superiore, la riduzione di peso da constatare deve essere maggiore; e, dall'altro, i due prismi di piombo non possono subire variazioni termometriche notevoli in conseguenza del loro movimento, a differenza del mercurio che, nelle vecchie esperienze, era costretto a fluire dentro ristretti tubi. Ma, comunque, la soppressione dell’aria intorno al giogo è anche ora cosa utile. Per cui, come si vede nella fig. 3, è stata ancora usata la cu- stodia di ottone, già altra volta descritta; e da essa viene estratta l’aria mediante la pompa Gaede. La connessione con questa è fatta con un tubo di vetro lungo m. 3,50 e di 1 cm, di diametro, piegato a spirale, non se- ‘© gnato in figura. Con ciò, pur essendo la pompa montata su di un tavolo ri- gido separato, la elasticità dell'attacco della pompa non è compromessa, po- tendo quella spirale molleggiare liberamente. ComanDo DEL GIOGO. — Il sollevamento o l’abbassamento del giogo è ottenuto ancora mediante la chiave G; questa è a tenuta d’aria, grazie al- l’uso di un premistoppa con mercurio, già altra volta descritto. ContRAPPESO E TARA. — La sfera di piombo (che chiamerò semplice- mente /a sfera) che subisce l’azione schermante dei piombi, indicata in M nella fig. 2, e non segnata nella fig. 3, è equilibrata dal contrappeso C (fig. 3), costituito da una seconda sfera esattamente identica, già altra volta adoperata. Ma nell'attuale dispositivo ho introdotto l’uso di una fara KK costituita da due prismi di piombo, nel loro complesso pesanti come la sfera od il contrappeso. La tara è rinchiusa in una scatola prismatica di ottone NNN, che fa corpo con la custodia della bilancia, e nella quale si fa na- turalmente anche il vuoto. Essa può essere agganciata a volontà al braccio destro del giogo, in sostituzione della sfera; tale scambio è possibile me- diante un congegno di agganciamento che si può comprendere esaminando la fig. 3; le due chiavi a tenuta di vuoto (con premistoppa e mercurio), B, e B:, servono a tale scopo. Si vede che, data la posizione indicata nel disegno, apparisce sgarciata dal giogo la sfera, ed agganciata la tara. Ruo- tando di 90° le due chiavi, si possono scambiare questi due pesi. È inu- tile dire che tale scambio deve esser fatto a giogo alzato. — 444 — La ragione dell'uso della tara è intuitiva. Poichè inevitabilmente il moto dei piombi nel sotterraneo occasiona perturbazioni sulla posizione di riposo della bilancia, indipendenti dell'effetto che si studia, è bene fare delle letture în bianco, vale a dire quando le due braccia della bilancia sono cariche di masse, i cui pesi non subiscono azione schermante della gravità, o, se mai, la subiscono in egual modo. Questo è precisamente il caso del contrappeso e della tara. EQUILIBRATORI A SABBIA. — Le tre masse (sfera, contrappeso, tara). dovrebbero avere costruttivamente lo stesso valore, a meno di qualche cen- tesimo di milligrammo, se si volesse che, procedendo ad osservazioni con sfera-contrappeso oppure con tara-contrappeso, l'indice luminoso della bi- lancia, di cui sarà detto appresso, non si scosti troppo da una certa posi- zione media di equilibrio. Ma ciò corrisponderebbe ad un caso irrealizza- bile in pratica. Effettivamente, anche ammettendo che quella triplice equa: glianza fosse verificata, avviene che, oltre a non essere le braccia della bi- lancia mai esattamente eguali, il rapporto fra queste varia continuamente . per le cause più lievi. Basta per ciò, p. es., scaricare e ricaricare il giogo (colla manovra della chiave H); o procedere allo scambio della sfera con la tara {o viceversa); od anche lasciar intervenire lievi ma irregolari varia- zioni termometriche; o lente progressive e spontanee deformazioni del giogo e dei coltelli. Oltre a ciò, ha notevole influenza sul valore dei carichi effet- tivi delle due braccia, il grado di rarefazione dell’aria. Infatti, lo stato su- perficiale del giogo e dei suoi due carichi è variabile con quello, e, non essendo tali carichi geometricamente simmetrici, possono subire variazioni ineguali di peso. Da tutto ciò deriva che occorre ogni volta, dopo abbassato il giogo, e talvolta ogni 40 5 ore, procedere alla esatta livellazione di questo, ricon- ducendo così l'indice luminoso intorno alla detta posizione media. Nelle vec- chie esperienze procedevo a ciò senza rialzare il giogo, mediante l’uso del cavalierino C (ved. fig. 4, vol. XXVIII, p. 485, loc. cit.). Ma allora ciò era pos- sibile grazie alla rigidità del sostegno della bilancia, non affidata alle molle come ora si è detto. Nell'attuale dispositivo non si può toccare, sia pure con ogni delicatezza, la custodia molleggiante senza sregolare, o danneggiare nei col- telli, il giogo. Occorreva dunque altro artificio: questo è costituito dagli equili- bratori E, ed E. indicati nella fig. 3. Un recipiente cilindrico di vetro E, rastremato in alto, è chiuso in basso da un disco di ottone sostenuto da un tubicino di ottone # di 2 mm. di diametro interno. Questo tubicino è ma- sticiato in una diramazione convenientemente inclinata, partente dalla parte in vetro della custodia del contrappeso; il tubicino di ottone affiora sulla faccia superiore del detto disco, che è cosparsa di sabbia o granuli di marmo. Dalla rastremazione superiore di E, pende un filo metallico di cirea 0,2 mm. di diametro, che sostiene un cilindretto P, di ferro, il quale viene ad ap- — 445 — poggiare con la sua punta inferiore sul disco cosparso di sabbia. Si possono ora provocare dei movimenti di P, mediante una calamita dall'esterno di E,, e con ciò far sì che qualche granello venga a cadere dentro il tubicino #, e da questo condotto dentro la tazzetta semisferica F sostenuta dal contrap- peso C. Con ciò, a volontà, si può aggiungere a questo qualche centesimo di milligrammo. A destra, l’equilibratore E, costruito in guisa analoga, ha doppia fun- zione, chè infatti il comando magnetico del relativo cilindretto di ferro P, può costringere i granelli di marmo a cadere a volontà in una delle due tazzette portate rispettivamente dalla tara K, o dal filo di sospensione della sfera. Con questo triplice congegno si può in ogni tempo riequilibrare la bilancia Naturalmente, poco alla volta si finisce per accumulare alquanta sabbia nelle tre tazzette, esaurendosi così la provvista nell'interno dei ci- lindri E, ed E,; ma ciò non costituisce grave inconveniente, bastando solo ogni 2 o 3 mesi riaprire la bilancia per rimettere la sabbia nelle primitive condizioni. CAVALIERINO MAGNETICO. — Dal valore della sensibilità della bilancia (millimetri di deviazione del raggio luminoso per 1 mg. di sovraccarico) dipende la esatta valutazione degli effetti che si osservano. Ora la sensibi- lità, come ho già detto. non è costante; e ciò in conseguenza di svariate azioni, a cui ho accennato in parte nella nota II. Occorre dunque, nel corso delle misure, determinarne il valore con una certa frequenza (almeno 4 volte al giorno, a giogo permanentemente abbassato). Nelle vecchie esperienze mi servivo, all'uopo, dello stesso cavalierino citato ; ma si comprende come nean- che ora tale congegno sia utilizzabile ; l'ho dunque definitivamente abolito, e sostituito con altro di fattura assai più squisita e delicata. Esso è il ca- valierino magnetico indicato nella fig. 3, dentro al recipiente in vetro A; As Ag. Questo forma corpo, al disopra della scatola N, con la custodia del giogo della bilancia, ed è dunque anch'esso a tenuta d'aria; nel suo tratto cilindrico A, si protende assialmente il filo di sospensione connesso col braccio destro della bilancia, e destinato a sostenere a volontà la sfera o la tara. Quel filo porta un ganeio al quale si accavalla un piccolissimo cavalierino R di alluminio, rigorosamente tarato, del pese di circa 1 mg. Un cilindretto di ferro P3, scorrevole dentro il tubo A3, comanda, come vedesi in figura, un secondo gancio capace di sollevare il cavalierino, quando Pz è portato verso destra. Il comando di P3 è ottenuto magneticamente, mediante una piccola calamita, dallo esterno di Az. Si può dunque, a volontà, rapidamente e senza scosse, sovraccaricare od alleggerire il braccio destro della bilancia di 1 mg. circa; e l’operazione può, senza pregiudizio per la tranquillità del giogo, RENDICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sem. 58 — 446 — esser ripetuta un numero qualsiasi di volte. Lo spostamento dell'indice lu- minoso dà ogni volta il valore della cercata sensibilità. Circa l’uso del cavalierino, occorre fare due avvertenze. La prima si ri- ferisce alla sua taratura, che deve esser fatta accuratameute. Non basta controllare con una bilancia sussidiaria il cavalierino di alluminio con il peso di 1 mg. tolto da una pesiera, per quanto fornita dai migliori costrut- tori. Infatti di solito, gli ultimi pesetti di questa hanno errore relativo no- tevole e che può arrivare sino al 5 %. Ho preferito allora servirmi di una microbilancia Nernst, nella guisa seguente: Il carico massimo sopportabile da tale bilancia è di circa 2 mg.; ho costruito perciò cinquecento pesetti (fili di ottone di 2 decimi di ""/m di diametro) aventi all'incirca tale valore; ma tali che nel loro insieme pesano con tutta esattezza 1 grammo. Ciò è possibile, servendosi di una bilancia sussidiaria, con approssimazione assai grande. Indi ho notato le deviazioni del giogo della bilancia Nernst per ciascuno dei cinquecento pesetti; esse variano intorno a 20 parti della scala della bilancia stessa (e si apprezza ad occhio il decimo di parte). La somma di tali deviazioni rappresenta la sensibilità della bilancia Nernst per 1 grammo, da cui si ha con tutta esattezza quella per milligrammo. È al- lora possibile la taratura del cavalierino, con buonissima approssimazione. La seconda avvertenza sì riferisce ad una inevitabile, per quanto pic- cola, perturbazione magnetica. È ovvio anzitutto che l’adoprare la calamita per muovere il cilindretto P; (od anche P, e P, degli equilibratori) possa provocare spostamenti nella posizione del giogo, in conseguenza della pre- senza dei coltelli o di altra parte di acciaio. Può anzi avvenire che tali spostamenti siano in parte permanenti, anche dopo avere adoperata la cala- . mita; ciò per il fatto che questa può occasionare variazioni permanenti nel magnetismo proprio di quelle parti, e quindi una diversa azione del campo magnetico terrestre. Oltre a ciò il cilindretto Pz in ferro può esercìtare una qualche azione diretta specialmente sul prossimo coltello di destra; e tale ‘azione sarebbe diversa, a seconda che P; sia a destra o a sinistra. Derive- rebbe dunque da tutto ciò un’erronea valutazione della sensibilità della bi- lancia. Ora qui mi limito a dichiarare, per brevità espositiva, che opportuni accertamenti, fatti con artificî che non deserivo, mi hanno convinto della tra- scurabilità di queste cause di errore. Solo è da tener presente di non ser- virsi mai di calamite troppo potenti; e sovrattutto di non accostarle mai eccessivamente ai coltelli, dall’esterno della custodia. In caso diverso si pos- sono occasionare spostamenti stabili nella posizione di equilibrio dell'indice luminoso della bilancia, dell'ordine di qualche decimo di mm., tali cioè da indurre in errore notevole nella valutazione del ricercato effetto. — 447 — MEMORIE E NOTE PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sulla teoria generale delle corrispondenze birazionali dello spazio. Nota III di D. MoNTESANO, presentata dal Socio R. MaRcoLONGO. In una corrispondenza birazionale K fra i punti di due spazi S, S', le linee fondamentali ordinarie sono le linee basi dei due sistemi omaloidici di superficie X, £' collegati alla corrispondenza; i punti fondamentali or- dinari sono i punti comuni alle curve collegate alla corrispondenza, alle curve cioè basi variabili dei fasci dei sistemi X,£' rispettivamente. Una curva fondamentale è di 1% o di 22 specze secondochè nello spazio a cui appartiene è o no incontrata fuori del gruppo dei punti fondamentali dalle curve collegate alla corrispondenza. Ora nella presente Nota io dimostro il teorema che: /x una corrispon- denza birazionale K fra i punti di due spazi ordinari S,S', ad ogni curva fondamentale o di 2° specie dello spasio S si associa una curva fonda- mentale O" di 2% specie dello spazio S' in modo che ad ogni linea 7 che st appoggi alla curva o in un punto generico P_corrisponde nella K uno linea r' che si appoggia alla curva o' in un punto P' omologo del punto P nella corrispondenza che la K determina fra i punti delle due linee omo- loghe r,r'. Se la curva o è di ordine v e la curva o' è di ordine v', gli ordini di multiplicità della curva o per le superficie del sistema X e é (old della curva o' per le superficie del sistema E' si ottengono moltiplicando i numeri v',v per un medesimo numero intero È. Cremona ritenne che il numero % fosse sempre eguale ad 1 (*), mentre tale numero può avere un valore arbitrario (*). Per dimostrare il teorema enunciato occorrono le seguenti considerazioni: Le superficie del sistema X abbiano in comune una curva o, lungo la quale non si tocchino. Fissati ad arbitrio un punto generico P sulla 0 ed un piano generico 7 nel fascio che ha per asse la tangente £ nel punto P alla curva, restano determinati nello spazio S una rete 4 costituita dalle (1) Cremona, Sulle trasformazioni razionali dello spazio, n°. ©. Opere, tomo 8°, ‘pag. 302. (?) Cfr. le due prime mie Note Sulla teoria generale delle corrispondenze birazio- mali dello spazio (Rend. di quest'Accademia, vol. XXVII, serie 5, 1918) e la Nota: Principio di estensione nella teoria delle corrispondenze birazionali dello spazio (Rend. Accademia Scienze Napoli, vol. XXVII, 1921). — 4148 — superficie del sistema 2 che sono tangenti al piano 7 nel punto P, e nello- spazio S' un punto L' centro della stella di piani che nella K corrisponde- alla rete 4. Col variare del piano 7 attorno alla retta £, il punto L' descrive una eurva razionale p'. Ora due casi possono darsi: 1° caso. Variando il punto P sulla curva 0, la curva p' varia descrivendo una superficie di ordine 2’. In tale caso è agevole riconoscere che ogni curva generica collegata alla corrispondenza nello spazio S si appoggia alla curva o in x' punti non fondamentali e che perciò la 0 è linea fondamentale di 1% specie. 2° caso. Variando il punto P sulla curva o, la curva p' coincide in ogni sua posizione con una curva fissa o’. In tale caso accadrà necessariamente che ad una stella di piani 4’ dello. spazio S', avente il centro in un punto generico P' della curva 0’. corrispon- derà nel sistema X una rete 4 formata da superficie che in ogni punto ge- nerico P della curva o risulteranno tutte tangenti a 4 piani 7,,..., tx del fascio che ha per asse la tangente / nel punto P alla 0; e propriamente ac- cadrà che, tenendo fisso il punto P sulla o e facendo variare il punto P' sulla o', il gruppo di piani 7, ,..., tx descriverà una involuzione Jp di grado £ nel fascio (4), perX> 1. Ne segue che un fascio generico W della rete 4 differisce da un fa- scio ® del sistema 2, che non presenti alcuna particolarità, soltanto in questo : che, mentre due superficie generiche del fascio ® non hanno alcun contatto in un punto generico della curva comune 0, accade invece per due superficie generiche del fascio © che % falde dell'una superficie toccano rispettivamente l falde dell’altra lungo la 0; e però, se la linea base variabile del fascio ® è di ordine »', la linea base variabile del fascio & risulta di ordine n'— Xv, se la curva o è di ordine ». Corrispondentemente, mentre una retta dello spazio S', che non presenti alcuna particolarità, incontra una superficie generica del sistema £' in 7' punti, accade invece che nella stella (P'), che ha il centro in un punto ge- nerico della curva 0', ‘una retta generica incontra l’anzidetta superficie sol- tanto in n — Xv punti diversi da P'. Ciò prova che la o' è linea fondamentale della ccrrispondenza e che. l'ordine di multiplicità della curva per le superficie del sistema £'” è w'= n. D'altra parte i piani tangenti in un punto generico P della curva 0 ad una superficie generica del sistema 2 sono tutti e soli i piani dei gruppi della involuzione Jp dovuti alle reti 4 del sistema X omologhe delle stelle: di piani che hanno i centri nei punti di sezione della curva o' col piano omologo di quella superficie; e però il numero di tali piani è Xv', se 1 è- l'ordine della curva o’. — 449 — Ciò equivale a dire che l'ordine di multiplicità della curva o per le ‘superficie del sistema X è u= %r'. Ulteriormente si assuma nello spazio S' una linea 7’ che si appoggi alla curva o' in un punto generico P' senza presentare alcun’altra particolarità. Se la linea 7’ è di ordine z', accadrà che un piano generico dello spazio S' segherà la 7’ in <' punti, mentre un piano generico della stella (P') la segherà soltanto in 2 —1 punti diversi da P'. Corrispondeutemente nello spazio S la linea 7 omologa della 7", mentre ‘sarà segata, fuori del gruppo dei punti e delle linee fondamentali, in «' «punti da una superficie generica del sistema 2, avrà invece in comune, fuori dell'anzidetto gruppo, soltanto x' — 1 punti con una superficie generica della rete 4 omologa della stella di piani (P’), e però necessariamente la 7 ‘sì appoggerà alla curva 0 in un punto P ed in questo punto sarà tangente ad una retta situata in un piano del gruppo 7,,...,tx dell’involuzione Jp dovuto alla rete 4. E il punto P sarà l’omologo del punto P' nella corri- spondenza che la K determina fra i punti delle linee omologhe 7, 7". Inversamente, ad una linea 7 dello spazio S, la quale si appoggi alla curva o in un punto generico P senza presentare ulteriori particolarità, cor- risponde nello spazio S' una linea 7’ la quale si appoggia alla curva o’ nel punto P_ centro della stella di piani omologa della rete 4 formata dalle superficie del sistema 2 che nel punto P sono tangenti al piano determinato dalle tangenti in tale punto alle curve 0,7. E il punto P' sarà l’omologo del punto P nella corrispondenza che la K determina fra i punti delle linee omologhe 7, 7°. Assumendo come linea 7° una retta generica dello spazio S' o come linea 7 una retta generica dello spazio S, si riconosce che ognuna delle curve 0,0' non è incontrata fuori del gruppo dei punti fondamentali da una linea generica collegata alla corrispondenza nello spazio a cui la curva ap- partiene, e che perciò le 0,0' sono curve fondamentali di 2*% specie della corrispondenza. Ne segue che nello spazio S' valgono per la curva o’ le proprietà di- mostrate per la curva o nello spazio S: vale a dire che ad ogni linea 7' dello spazio S', che ‘si appoggi alla o' in un punto generico P', corri- sponde nello spazio S una linea 7 che si appoggia ad una curva fondamen- tale di 2% specie o* in un punto P omologo del punto P' nella corrispon- denza che la K determina fra i punti delle due linee. Ma il punto P, per quanto si è detto, è sulla curva 0, onde la 0* coincide con la 0, sicchè le relazioni che intercedono fra le due curve sono invertibili: cioè ad ogni stella di piani, che abbia il centro in un punto generico P della 0, corri- sponde nello spazio S' una rete M' del sistema £° formata da superficie ‘che in ogni punto generico P' della o’ risultano tutte tangenti ai piani di — 450 — un gruppo di una involuzione Jer che si ha nel fascio che ha per asse la. tangente nel punto P' alla 0°. Se questa involuzione è di grado £4', sarà u=%'v'", sicchè X'=% e ne segue il teorema. Ai tipi di corrispondenza già da me determinati, che presentano coppie di linee fondamentali di 2* specie omologhe, per le quali è X > 1, aggiun- gerò il seguente: Si supponga di avere due monoidi è,7* degli ordini #—1, » che abbiano in comune il vertice O e p rette generiche 7, ,...,7, della stella (0) multiple per entrambi degli ordini 0,,...,0p rispettivamente, per o = 1. In tale caso resta determinato nello spazio S un sistema omaloidico X - costituito da monoidi 7, = 0" rÎ' ... fc. Esso è quello che comprende il monoide 77* e la rete degenere _4 costituita dalle superficie che si spezzano nel monoide w e nei singoli piani della stella (0), sicchè la linea base semplice c del sistema è la linea comune alle superficie w , 77* diversa dalle Pri sr sTp- Nel sistema, un fascio generico ha per base variabile una curva piana e, = 0" eV e la Jacobiana è costituita dal monoide dato @,-, = SR 29 Dr ..rpo, 3 (9076 rî Lo For c, contato due volte, e dal cono Y3m-,, = 087 che dal punto O proietta la ec. In una corrispondenza birazionale K fra gli spazi S, S' che tragga ori- gine dal sistema X, le rette 7, ,... 7, che non sono incontrate fuori del punto fondamentale O dalle curve ce, collegate alla corrispondenza nello spazio S, sono linee fondamentali di 2% specie in tale spazio. Per averne le omologhe occorre innanzi tutto considerare la stella di piani (0') dello spazio S" che corrisponde alla rete degenere 4. Il punto 0', centro di tale stella, corrisponde nella K al monoide fondamentale ®,_, ; mentre i piani e i raggi della stella (0') corrispondono nella K ai piani ed ai raggi della stella (0) con una omografia £ ben determinata. Una linea generica 7 dello spazio S e la sua omologa 7' nell'altro spazio sono proiettate rispettivamente dai punti O,0' secondo due coni che si corrispondono nella omografia £; e propriamente due generatrici omologhe dei due coni proiettano due punti corrispondenti delle due curve. Perciò, se alle rette 7,,...,7p della stella (0) corrispondono nella le rette 71,..,7, della stella (0'), qualora la linea r sì appoggi alla retta 7; in un punto P, la linea 7' si appoggerà alla retta 7; in un punto P' che sarà l'omologo del punto P nella corrispondenza che la K determina fra i punti delle due linee 7,7". Ne segue che le linee fondamentali di 2° specie dello spazio S' che corrispondono alle 7,,...,7p, sono le rette ART DOÈ Inoltre per le rette 7;, 7 si ha v= v"=1, sicchè la 7; è multipla di or- dine o;= 0; per le superficie del sistema omaloidico £' collegato alla , corrispondenza nello spazio S'. E se 0; >1, per le linee omologhe ri, 7; sala e => l. Il sistema £' innanzidetto è costituito da monoidi di ordine » aventi il vertice nel punto O' e comprende una rete degenere, omologa della stella di piani (0), costituita da superficie che si spezzano nei singoli piani della Ù stella (0') ed in un monoide fisso ©' omologo nella K del punto O'. Perciò. il monoide @' è del tipo: @,_1 = 0"? 711... 7, ed il sistema &' è affatto ana- logo al sistema X, risulta cioè costituito da superficie y,== 0"? 7191... 7° che hanno ulteriormente in comune una linea semplice e' del monoide w'. Alle linee fondamentali cc’ corrispondono rispettivamente nella K i due coni fondamentali che proiettano le e’, c dai punti 0',0. Questi conì sì corrispondono nella omografia £ in modo che, di due generatrici corri- spondenti, l'una nello spazio S o nello spazio S' corrisponde per intero. nella K al punto in cui l’altra si appoggia alla c' o alla e. Con ciò la corrispondenza K può ritenersi perfettamente nota. Essa comprende come caso particolare quella studiata da De Paolis. (!) Matematica. — Sopra alcuni svicuppi in serie. Nota III di Pia NALLI, presentata dal Corrisp. G. BAGNERA (°). 11. Si presenta ora il problema dello sviluppo del prodotto di due fun- zioni rappresentate entrambe da serie di funzioni (2). Occorre per questo lo sviluppo del prodotto %,(x)-vm(x). Esso potrebbe ottenersi facendo il prodotto delle due serie di potenze di x che rappresen- tano u,fx) ed wm(x) e sostituendo poi ad ogni potenza di x il suo svi- luppo in serie di funzioni w. Ora esporremo un metodo fondato sopra una formola di ricorrenza, il quale permette di vedere quale è la forma generale dei coefficienti dello sviluppo di w,(x)-m(£). Tale formola esprime i coefficienti di 7 (2) linearmente ed omogenea- mente per mezzo dei coefficienti di w}_1(x), cosicchè si può dire che i coefficienti di (x) si esprimono linearmente ed omogeneamente per mezzo di quelli di v;(x), e lo stesso si può quindi dire dei coefficienti del pro- dotto %,(2)-m(x), come si intende facilmente quando si pensi alla forma delle derivate dei quadrati delle w,(x). La formola che otterremo permette non solo di calcolare i coefficienti dello sviluppo di ui(x) quando si conoscono quelli di w;_,(x), ma permette (') De Paolis, Sopra un sistema omaloidico formato da superficie di ordine n con. un punto n-I-plo. Giornale di Matematiche, vol. XIII. (2) Pervenuta all'Accademia il 9 settembre 1921. — 452 — «di calcolare i coefficienti di una (7) qualunque [a cominciare dalla v}(x)] per ii fatto che il primo coefficiente non nullo in ciascuna delle wz(x) è l’unità. Per stabilire la formola in discorso, cominceremo con l’osservare che ilo sviluppo di «;(x) deve cominciare col termine in usn(x). Poniamo allora AG È (2) ica (2n)! an(€) îa (2n Cat DI Uan+:(£) ds È chiaro che AM= (2n)!. Abbiamo poi ano! Un-1(£) = Un=1(@4) + 5 Un(ax) Ò Quadrando i due membri ed integrando tra 0 ed x, otteniamo 4r 0 9 (0440) ata { ui_ as ) ds = 1 Lf uz_1(8) ds + Un-1(8) Un(8) ds + 5 A NAS g (e440) È Ste (ce ES) ra È uz(s) ds = : 30 un-1(8) ds + na us(ax) + val ur(s) ds che possiamo anche scrivere Si@)]= #3 e f u2_1(8) ds n° { uf_.(s) ds . «/ 0 lo) x Nel primo membro il coefficiente di um(x) è E in si uî_1(s) ds 0 (n_1) (404 il coefficiente di um(x) è Bea , e finalmente in ol uz_1(s) ds il coeffi- . i) ciente di u,(x) è AA I SITA "a en) +.. Dosi (—1) ym+i asc? | È Avremo dunque Mm) 2 (M-1) i 1 2 (RI) AE ASD + Vara + (— I AED L Aim = Amoi alti on Jero m-2 m-3 2n-2 | Così si vede che le A si esprimono linearmente ed omogeneamente per mezzo delle ASP. La formola ottenuta può servire al calcolo delle A? ed ecco in quale modo. Cambiamo in essa n in 27 +1edminmt4l: Si î nt n Jl (9) Agip = + ARL 1)+ + (+1? (n ADL. + DA). Noi sappiamo che ASX = (2n)!. Calcoliamo ora A%,,. Nella (18) fac- on+l* ciamo m= 2% +1: il primo membro diventa 46,5) che è eguale a (2x+-2)!, 2n+2 ‘al secondo membro tutto è noto fuorchè AW,,. Troviamo così Sn + 1 a (") SEE ! CI . Asne1 (2n) % va I peSn ‘Se in questa cambiamo x in # --- 1, troviamo A&+Y, ed allora nella (13) ‘facciamo m=2n + 2: tutto sarà noto eccetto AX.,. , e troviamo allora Mm. (nl 3a +2 e _ | ch Adn+2 2)! (8 Sarpi ESD LT Da questa otteniamo AS ed allora la (13), dove si faccia m=2r +3, .ci darà z 9n3° +4 36 n° | 45n + 14 a? a ORE I A A A HCl (3 (04 1)n+2)(n+-3) 1—e? 1 aa gl Intd1 a 3n+1 e as n+1l 1—-a na+1 1—-a l—-a3' ‘e così via, si possono ottenere le varie A, Noi non continueremo questa ricerca delle A’; noteremo solo che AS? 2n+tk al ‘è il prodotto di a — per un polinomio in A di grado 4 —1 rispetto a tutti gli argomenti e di primo grado rispetto ‘a ciascuno. Calcolati gli sviluppi delle «i, si possono avere, per mezzo di deriva- zioni, quelli dei prodotti wn-%m. 12. Daremo ora lo sviluppo di ux(f2) con è qualunque. Si ha un(hx) = w(hax) + R (“uo(h9) ds, e RanpiconTI, 1921, Vol. XXX, 2° Sem. 59 DARA cioè (14) E) f i VOCI (I Ponendo v,(hx) = Mea) , abbiamo. n=0 b=1, S[e(k2)] = di by o Sh us(h5) ds = Y bn la a e perciò Solo) ds = Denton — bre ++ 19! da) sl) 0 n=1 Si dovrà dunque avere, eguagliando i coefficienti della stessa u, neli due membri della (14), ni nta AA cioè bn = (h—1) (bn One + + (1)! bo) ELE Facilmente si trova pi x x[a-v73—1]- [0-0:£3= ui ]a-n x 3. cioè =(— 1)? a" EROI ha") ba==(—1) (=) aLe) Abbiamo dunque Per A= a", con m intero e positivo, troviamo dp) = SEE A Uo(& x) 7a (E a) (1 — a*)...(1 — am) ZI hi È X (1— a"+1) (1 — a##2)...(1— atm) sa a — 455 — Per m==1 si ritrova lo sviluppo di (ex). il Per h= — si trova a x nm (1-0 )...(1 ott) (2) uo (a n) = 0) +Ya (1=@) (1223) e (1—- a") n! e da questa, cambiando x in a"x, ricaviamo nn+1 m nn DN a (16) u(e)= wa") + Ze 2 X % (NEI) =) SI -(1— @) nl Per un x fisso, il termine di posto x +-1 del secondo membro della aca sà precedente eguaglianza al tendere di m ad co tende ad ta) ol: che è il termine di posto x + 1 nello sviluppo di vs(x) in serie di potenze dis. Dalla (15) otteniamo poi in generale lo sviluppo di ux(hx): (17) uxha)=HRk! a sie » (— Pan Xx x (1—-4)(1— ha).. ei Un+k (0) ) "all I—-a(1—-a)..(1—-a) (+5) e si possono ripetere relativamente alla ux(hx) le considerazioni fatte per la wo(hx). Si ha, per esempio, (18) ux(x)= gar ta | sale” x) + DI an o n= a) (1 A ali (1 <= sisi) (ella ACHE Edi $ (1—- a)... (1—-@") (a 1)! (8) dé | che è un altro modo di scrivere l’analoga della (16). Per m= 1 si ritrova l'equazione funzionale ux(x) = i; S[ux()] a cui soddisfa la w. Per m qua- lunque la (18) si può anche scrivere us) = Ta S"[ux(x)], dove con S” denotiamo la potenza m"® dell'operazione S, ossia l'operazione lineare che risulta dall’applicazione successiva della S per m volte. — 456 — La (17) ci dà in particolare u(—2)=(—1) £! DE o) DM 1)" a” X x + e)... (1-+a") wunes(2) (STES .(1—-e°) (+4)! Dalla (17) poi, facendo x =1 ed h=<%, ricaviamo il seguente svi- luppo per la ux(x): ux(1) < _1\n a” ui th) (1—e@)(1—a?)..(1— a") i _Un+r(1) (1) (+5! (1—2)(1— a)... (1 a! 2) | ua) Ela i X Matematica. — Su di una classe di equazioni alle derivate funzionali. Nota II di Francesco TRICOMI, presentata dal Socio V. VOLTERRA (). 5. Supponiamo per primo che il nucleo K($,) sia simmetrico e tale che il sistema delle sue funzioni parametriche associate wi(€), ws(£),... possa rendersi ortogonale e normale, il che d'ora innanzi supporremo sempre sia già stato fatto. Inoltre supponiamo che, se i suoi parametri 4, , 4», .... non sono in numero finito, le due serie 2, Pn/|4x| e Z4 Pî/|Ax|, dove Pa è il massimo di |w,(#)|, siano entrambe convergenti. In queste ipotesi, com'è noto, la serie Xn wWx(é) W(7)/An è uniforme- mente convergente ed ha per somma K(É, 7); pertanto la (7) potrà seriversi IP($, y POE ale AA (YO) 0,2) 7 da cui, identificando w, con / e Giovandoni delle (8), (10) e (11), IP(Î,8) _ da dove si è posto (13) un(2)=cne Da + n In(È, e) dé , né, )= ef a(8,9) esa ds, 0 0 (Rea essendo le c, delle costanti arbitrarie. (1) Presentata nella seduta del 2 maggio 1921. — 457 — È facile vedere che la serie Xn Wx(£) (2) /Zn è assolutamente ed uni- formemente convergente, purchè l’insieme delle costanti arbitrarie cn sia li- mitato. Infatti, supposto che |cx]= 0; allora, com'è facile vedere, si ha - On = 0 + (sk + RE) RA, (a=0,1,2,4) ‘avendo posto B@d=f BE 10) de i fel I=ffat od, =, Ne segue che se le due serie (ee) H(*,pla)j= Ye È"/a1 , HE, =8+ Eh, ‘sono convergenti, si avrà la soluzione 1 ; . 19) 2E,A=0®+ | Hl,7) (My +: Ea «0 che per z= 0 si riduce manifestamente alla funzione arbitraria @(é). Ora si verifica subito che (20) Lan Kn] < (ANY, | Ke 8] < MZ0+1 | KA, dunque la serie H, ammette come maggiorante la serie esponenziale 2,(ZN)"/n! epperò è sempre assolutamente ed uniformemente convergente. Quanto alla serie H, essa, in virtù della 2* delle (20), ammetterà come maggiorante la serie MZ°* X, Ze | Kn e cioè, prescindendo dal fattore MZ°, la serie dei moduli corrispondente allo sviluppo in serie di Z del nucleo risolvente del- l'equazione di Fredholm 9_zf KE. g(n) dn = /(8)- (1) Cfr. Tricomi, Sull'iterazione delle funzioni di linee [Giorn. di Mat. di Batta- :glini, vol. 55 (1917)]. — 460 — Ma essendo per ipotesi K un nucleo privo di parametri, il nucleo risolvente- di quest'equazione è una funzione olomorfa di Z, dunque l’accennata serie- dei moduli sarà convergente, epperò la serie H, convergerà assolutamente ed uniformemente e la (19) resta quindi pienamente legittimata. Se a(£É,n)=0, allora pure P=f,=f.=---=0 e la serie H.. sparisce dalla (19), che perciò in questo caso resta valida incondizionata- mente ancorchè K abbia dei parametri. Si ritrova così la formola stabilita dal prof. Volterra (*) in questo caso particolare. Astronomia. — Sulla massa e il moto proprio del sistema 40 Eridani. Nota di GrorGio ABETTI, presentata dal Socio A. Di LecgE. Il sistema 40 Zridani (2 518=8GC 2109; a—= 42 10".7,d= — 7949’, Eq. 1900), scoperto da W. Herschel nel 1783, è costituito da tre componenti, di cui la A, di grandezza 4,5, ha uno dei maggiori moti proprî conosciuti, comune anche alle altre componenti B e C di grandezze 9,4 e 10,8. La componente B dista da A, all'epoca presente, 33” e da C 3”; con questa, B. forma un sistema binario con un'orbita del periodo di 180 anni e con una eccentricità che è la più piccola conosciuta per i sistemi binari visuali. Un'orbita precisa non potrà essere calcolata fino a che non si conosca con più esattezza la forma dell'orbita apparente nel quarto quadrante; tut-. tavia una buona approssimazione è certo data dai seguenti elementi di Doo- little che soddisfano bene alle osservazioni eseguite dalla scoperta fino a. quelle ultime di Aitken (?) del 1912. 40 Eridani — Coppia BC a P=> 180.08 T= 1843.18 e= 0.134 = 4.79 OMO i= 68°.25 o= 8319°.55. (*) Nota già cit.: Sulle equazioni alle derivate funzionali. (2) Lick Observatory Publ, vol. XII, pag. 29. — 461 — La parallasse di A è stata più volte determinata con metodi trigono- metrici e recentemente anche con metodo spettroscopico a Monte Wilson, I va- lori risultanti dai due metodi sono rispettivamente iI IVI e, se si adotta il secondo, si ottiene grandezza assoluta di A = 6.2. Il suo spettro appartiene alla classe /, quindi la componente A è una stella rossa e nana. Poichè il moto proprio di B C è sensibilmente uguale a quello della componente A, si può ammettere che le parallassi di B e C sieno uguali a quella di A, donde si avrà: grandezza assoluta di B= 11.1 ” » di C —= 1255 . Le somma delle masse del sistema BC, in unità della massa solare risulta, per la terza legge di Keplero, usando per il periodo e il semiasse maggiore i valori di Doolittle: M+M =0.32 ©. Delle masse dei sistemi visuali binari è questa una delle più piccole finora determinate, e fra queste ricordiamo quella del sistema Ar%ger 60 che è 0,42 della massa solare (*). Mentre la grandezza assoluta della com- ponente principale di Arzger 60 è 10,8, ed il suo spettro appartiene alla classe Mb, cioè è una stella rossa e nana, invece nel sistema 40 Eridani il compagno B appartiene alla classe A2 (2). i Poichè la maggioranza delle stelle di classe A di cui si conosce la lu- minosità è compresa fra i limiti di grandezza assoluta —2 e --4,la com- ponente B di 40 Fridani è una stella anomala; ed infatti calcolandone la densità, in base all'ipotesi generalmente ammessa della validità della legge di Planck, risulta un valore inammissibile (3). Anche la densità del sistema Kr%ger 60 risulta eccezionalmente grande per ambedue le componenti, nonostante che appartengano alla classe M; e quindi si deve concludere che per queste stelle nane la superficie di splen- dore o il potere radiante sieno molto inferiori a quelli che comporterebbero le loro caratteristiche spettrali. (1) S. A. Mitchell, Z'he parallax of Kruger 60. Astr. Journal, n. 767, pag. 179. (*) Recentemente è stato fotografato all’osservatorio Lick (Pubbl. Astr. Soc. Pacific. Ottobre 1921, pag. 272) anche lo spettro di C che appartiene alla classe Md con la riga Hg luminosa. (3) E. Bernewitz, Veder die Dichten der Doppelsterne. Astr. Nachr., n. 5089, pag. 7. RENDICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sem. 60 SL IUGOR I I collegamenti micrometrici di B con A, eseguiti fin dall'epoca della scoperta, dànno il modo di calcolare le masse delle due componenti B e C. Con le misure che si trovano raccolte in 8GC e in Th. Lewis (!) e con quelle, più recenti, di Aitken(?), ho formato 12 luoghi normali con gli an- goli di posizione e le distanze, ridotti i primi all’equinozio 1850.0, ed ho calcolato con gli elementi di Doolittle le coordinate di C rispetto a B per le stesse epoche: Coppia AB, eq. 1850 Coppia BC, eq. 1850 p | e OSSERVATORI Pe 20 1825.05 | 10760 | 8532 x 2345 | d'91 1836.04 | 107.40 | 83.50 x 1879 | 267 1851.22 | 10620 | 82.24 x 159.6 | 3.99 1855.71 | 106.15 | 8210 ox, Se 1548 | 418 1864.08 | 105.58 | 82.48 En, 4 1449 | 426 1878.05 | -105.46 | 81.38 0x5, 8 1270 | 362 188137 | 105.44 | 82.65 ox, H1 1215 | 3.38 1887.06 | 105.16 | 8174 | H1,En 109,8 | 2.95 188847 | 105.40 | 8210 HI, f 1065 | 2.85 1899.08 | 105.00 | 82.76 | Solà,A 727 | 2382 1904.70 | 105.03 | 8212 8 513 | 2.36 1912.05 | 10489 | 82.62 A 27.6 | 271 Trasformati questi angoli di posizione e distanze in differenze di ascen- sione retta e declinazione, ho risolto due sistemi di dodici equazioni di con- dizione ciascuno, uno per le « l’altro per le dò, contenenti come incognite le differenze di ascensione retta e di declinazione per il 1825.0, il moto proprio del centro di gravità del sistema BC rispetto ad A ed il rapporto: e fi m k= ga della massa della componente C alla massa totale. I risultati sono i seguenti : 4a 1825.0 =— 80”.67 40 18250 =+26".44 Ma =+ ‘0%.007 # 00180 usi = RIO0O7I= N 012008 ki =+ 10048028 = AMORE R0 (*) Memoirs of the Royal Astr. Soc., vol. LVI. (2) Lick Observatory Publ., vol. XII. — 463 — Il moto in d della coppia BC si presenta più favorevole del moto in @ nell'intervallo di tempo considerato per la determinazione di £; ed infatti dalle equazioni in d si ha il risultato più attendibile. La componente A è stata anche più volte collegata con stelle deboli, designate in #GC con a di 11" e con d di 11".8, da cui si deducono indi- retti collegamenti con B, i quali possono essere usati per ottenere altri va- lori di X. Ho tentato il calcolo con queste stelle; ma, sia per la scarsa pre- cisione dei collegamenti indiretti, sia perchè le osservazioni sono ancora poco numerose, i valori di X non risultano sufficientemente esatti. Facendo il medio pesato dei due 7 sopra trovati, si ottiene s ]S I (=) = SS «questo valore, con l’altro sopra trovato per la somma delle masse, dà M=0.20 © M'—=0.12/0. Per il sistema Ar%ger 60, con il rapporto delle masse dato da Ber- newitz (*), e la massa totale sopra riferita, sì ottiene, per la componente A, M =0.23 ®©; per la B, M’'=0.19 ©. I collegamenti di A con a e è si prestano bene per calcolare il moto proprio di A. Dalle osservazioni esistenti in Th. Lewis (loc. cit.) e 8GC (?) ‘si ottiene il seguente moto proprio ridotto al 1900: compon. A ba=— 2".247 1 0".002 , us=—3".427 = 0".006 e sull’arco di cerchio massimo: w=4".087 in 2183°.0, in buon accordo con quello che si trova nel Catalogo generale di Boss de- dotto dalle osservazioni meridiane e ridotto alla stessa epoca: na=— 2.226 + 0.002 , us=—8"435 +0”.002 u = 4.082 in 2120.7. Il periodo di tempo trascorso dalle prime osservazioni di 40 Eridani è ancora troppo breve per poter decidere se il moto proprio del centro di gravità del sistema BC rispetto ad A sia un moto orbitale di lunghissimo periodo (*) o se si tratti di moto proprio comune nella stessa direzione. (1) Loc. cit., pag. 8. (2) Cfr. anche: Burnham, Measures of proper motions stars, Washington, 1913, pag. 122. (3) Th. Lewis, loc. cit., pag. 114; Aitken, The binary stars, New York, 1918, pag. 286. — 464 — Una differenza nel moto in d sembra posta fuori di dubbio da questi. calcoli, dai quali si conclude il seguente moto proprio del centro di gravità. del sistema BC per il 1900: e.g. BC Ma= — 2”.240 + 0".013 , us= —3”.356 + 0".007 e sull'arco di cerchio massimo: u= 4”.024 in 2139.5. Dal moto proprio e dalla parallasse di 40 Zridan: risulta la notevole velocità di 88 chilometri per secondo nel piano normale alla visuale. La velocità lungo la visuale, per quanto è a mia conoscenza, non è stata ancora determinata. Fisica. — L'effetto Hall nel Bismuto solidificato nel campo magnetico. Nota di Tirri L. e PeRrsIco E. (*) presentata dal Socio CorBINO (*). Il fenomeno di Hall è stato ampiamente studiato sia nel Bi cristal-- lino. sia in quello isotropo. Ora se si tiene presente che in quest'ultimo. l’isotropia non sî riferisce ai più piccoli elementi di volume, ma ha carat- tere statistico, inquantochè risulta dalla uniforme distribuzione in tutte le direzioni, degli assi dei singoli cristalli costituenti la massa metallica, si avrà del Bi di proprietà intermedie fra i due, se si riuscirà a provocare in un modo qualunque, al momento della solidificazione, una tendenza all’orien- tamento degli assi dei cristalli in una direzione determinata. Poichè un cristallo di Bi in un campo magnetico uniforme, tende a orientarsi col suo asse principale parallelo al campo, si pensò che il campo magnetico dovesse avere azione sull’orientamento dei cristalli durante la solidificazione. Se ciò. avviene le proprietà del Bi, ottenuto in queste condizioni, dovranno assomi- gliare a quelle del Bi cristallino, con l’asse nella direzione in cui era il campo orientatore, e con una anisotropia presumibilmente minore; tutte le direzioni normali a questa saranno evidentemente equivalenti fra loro. Per verificare ciò, principalmente rispetto all'effetto Hall, abbiamo. dapprima colato due cilindri eguali di Bi, facendo solidificare l'uno in un campo magnetico di 7550 Gauss normale al suo asse e l'altro fuori del campo. Da questi cilindri vennero tagliati due dischi del diametro di cm. 2, e dello spessore di circa cm. 0,1, l’uno normale all'asse del cilindro (che durante la solidificazione era verticale) e l’altro parallelo a questo: essi (1) A Tieri è dovuta l’idea della ricerea; ad entrambi la parte sperimentale. (*) Presentata nella seduta dell'8 maggio 1921. Agp — ‘saranno nel seguito contrassegnati con una lettera, e cioè: solidificazione o (orizz.) to p (paral. al campo orient.) fuori del campo | , (verticale) ’ i \ n (norm. al campo orient.) Dal cilindro solidificato nel campo furono poi ricavate altre due coppie «di dischi, dello stesso diametro dei precedenti, e dello spessore di cm. 0,05 :(p' e n°) e 0,15 (p” en”) nelle stesse orientazioni, rispettivamente, di p ed n. I dischi di ciascuna coppia (0 e v; p ed x; p' ed x; p" ed n") furono ‘torniti insieme, per averli dello stesso spessore. Sul contorno di ognuno di questi dischi, agli estremi di due diametri ortogonali, furono saldati quattro ‘elettrodi puntiformi (nei dischi p, p",p" una delle coppie di elettrodi è nella direzione in cui agì il campo durante la solidificazione). Alle misure dell'effetto Hall servì un galvanometro Siemens di 25 Ohms di resistenza interna, cui ne furono aggiunti altri 100 nel circuito; in queste condizioni il galvanometro era aperiodico ed abbastanza pronto per fare le letture senza notevoli errori di origine termica. La corrente primaria che percorreva il disco era di 0,1 ampere, e si chiudeva solo per il tempo neces- ‘sario alla lettura: il campo di circa 11000 gauss. Come misura dell'effetto Hall si è presa la media di quattro letture, ‘fatte invertendo in tutti i modi possibili il campo e la corrente. Ecco i risultati ottenuti per le varie coppie di dischi, prendendo la media di parecchie ‘migure : o) 4,65 p) 5,78 DI) «1352 p') 4,45 v) 4,91 n) 447 n) 9,9 a") 1,22 diff. °/, —5,9 25,9 28,6 57 Come si vede la differenza per i due dischi (0 e v) solidificati fuori ‘del campo non è zero come sarebbe da aspettarsi: però è notevolmente minore che per le altre coppîe. Essa può essere attribuita alle diverse condizioni di raffreddamento dei due dischi, essendo l'uno (v) tagliato parallelamente all'asse del cilindro nella parte più interna di questo, e l’altro (0) normal- mente all'asse stesso: una analoga perturbazione avrà presumibilmente alte- rato i risultati delle due coppie seguenti, diminuendo come si vede dal segno, l'effetto del campo: quanto alla coppia p”, n°, per essa le condizioni di raffreddamento erano notevolmente diverse che per le precedenti, essendo tagliato il disco n" in prossimità della superficie del cilindro. Si osservi incidentalmente che per ciascun disco furono fatte le osser- vazioni impiegando alternativamente l'una e l’altra coppia di elettrodi opposti «come elettrodi primari, e entro i limiti degli errori sperimentali si trovò valido — 466 — il principio di reciprocità (') anche nei dischi tagliati paralleli al campo + inoltre ai dischi p' e x’ furono saldati altri quattro elettrodi a 45° dai prece- denti, ottenendo sensibilmente gli stessi risultati, come pure si ottenne lo stesso risultato dal disco 7’ con elettrodi distribuiti irregolarmente sul contorno. Da queste prime esperienze si poteva dunque concludere che per una lamina tagliata parallelamente alla direzione del campo, l’effetto Hall è notevolmente maggiore che per una lamina normale a questa. Per confermare tale risultato, e per comparare le lamine solidificate nel campo con quelle: solidificate fuori, abbiamo ripetuto l’esperienza con Bi di diversa prove- nienza, modificandola come segue: Per eliminare, per quanto possibile, l'influenza delle condizioni di raffred- damento, abbiamo colato quattro cilindri (diam. 2,5 cm.) facendoli solidific are tutti fra le espansioni polari del magnete; ma per due di essi (n. 2 e 4) questo era eccitato, ed aveva un'intensità di 8250 gauss e-per gli altri due (n. 1 e 3) no. Dalla parte più interna di ciascun cilindro fu ricavata una lamina parallela all'asse (quindi verticale): le lamine 1 e 2 sono parallele alla superficie delle espansioni polari, le lamine 3 e 4 sono normali a queste,. cosicchè le lamine sono: N. 1 solidif. senza campo e paral. alla sup. delle espans. polari. Nig2in 0a col campo e normale al campo orientatore. Nostra senza campo e normale alla sup. delle espans, polari. N. 4 n» col campo e parallela al campo orientatore. na (4) 6+ e S di > -@(2) 54 ° tr © Ì A Sea AA n n i tratiso. Per le lamine 1 e 2 le condizioni di raffreddamento sono le stesse, e così per la coppia 3 e 4: per le due coppie esse devono differire poco, essendo determinata la differenza unicamente dalla orientazione delle lamine rispetto alle espansioni polari, le quali erano separate dal Bi mediante uno (1) V. Volterra, Nuovo Cimento, 9, 1915, pag. 23, Lownds, Drude Ann., 9 (1902); pag. 677. — 467 — strato di amiantv e uno di vetro e quindi non dovevano agire termicamente in modo notevole: tuttavia una piccola differenza c'è, come si vedrà dal confronto delle lamine 1 e 3. Si prese anche un’altra precauzione per evitare, al momento della colata, un troppo rapido raffreddamento supertfi- ciale, e cioè si riscaldarono a circa 250°1 tubi di vetro fasciati di amianto nei quali si colava il metallo, mediante una corrente elettrica che si interrompeva appena riempiti i tubi. Per assicurarsi che le quattro lamine avessero lo stesso spessore, esse furono tornite insieme: si diede loro la forma quadrata, di cm, 2,2 di lato e cm. 0,1 circa di spessore e nel punto medio di ciasenn lato fu saldato un elettrodo puntiforme. L'effetto Hall, misurato nelle stesse condizioni delle esperienze prece- denti, è dato dalla seguente tabella (deviazioni in cm.) Campi Media Differenza °/o } N. 1 N. 2 N. 3 N. 4 in Gauss N1e6e3|N264|N1e8|N.2094 4325 | 3,6 | 345| 3,70| 390 365] 3,67 2,7 12 il 8625 | 5,75 | Rosen isen 6300). 5,69) Soria 22 | 10975 | 645| 555 63 1 6,37 | 6,32 — 2,85 25 Si ricava da questa tabella, o dal diagramma che la riassume: 1° che fra i due dischi soliditicati nel campo esiste una differenza nell’effetto Hall assai maggiore di quella che può essere determinata dalle condizioni di raffreddamento, o da inomogeneità casuali, quale quella esistente nell'altra coppia: inoltre nella prima coppia la differenza cresce col crescere del campo mentre nella seconda le due curve s'intersecano; ciò che fa rite- nere che le piccole differenze sull'effetto Hall siano dovute ad errori di osservazioni. 2° che per ciascun valore del campo, la media delle deviazioni rela- tive ai due dischi solidificati nel campo è eguale alla media delle devia- zioni relative agli altri due. o Dunque, nella lamina parallela al campo orientatore l’effetto Hall è notevolmente più intenso che nel Bi ordinario, di altrettanto è inferiore al’ordinario l'effetto Hall nella lamina normale al campo orientatore. Dalle esperienze di Van Everdingen (') risulta che questo comporta- mento è analogo a quello del Bi cristallino, quando si faccia corrispondere l’asse principale alla direzione del campo orientatore; però, come è natu rale nel Bi cristallino, l’anisotropia è maggiore e cioè non già del 25 °/; circa, ma 230 % (per H = 4600) e 198 °/, per H = 2600. Anche per queste lamine si osservò la validità del teorema di reci- procità. (1) Arc. de Sc. Phys. et Nat. (4) 11 1901, p. 433. — 468 — Chimica. — Sulla scomposizione dello iodolo (*). Nota di R. Crusa, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Secondo alcune considerazioni del prof. G. Ciamician e mie è possibile l’esistenza dei complessi saturi E ; CNH s C,S (2). Tali complessi debbono essere, come molecole semplici, indubbiamente assai instabili, nel senso che debbono possedere una grande tendenza a poli- merizzarsi ed a dare origine alla grafite di benzolo ed ai composti (C4NH)n; (C.S)n che potrebbero chiamarsi rispettivamente grafite di pirrolo e di tio- fene. La presenza dell'azoto e dello zolfo nei carboni naturali ed artificiali potrebbe essere una prova dell’esistenza di tali grafiti. Per la preparazione del complesso C,NH, un metodo che a priori pro- metteva di dare buoni risultati, era quello di partire dai composti poliiodu- rati. È noto infatti che l’iodolo elimina facilmente iodio per riscaldamento : nelle stesse condizioni d’esperienza l’iodoformio fornisce acetilene. Non era perciò inverosimile che lo iodolo eliminando iodio desse origine al complesso saturo C,4NH. Sulla eliminazione dello iodio dallo iodolo non furono fatte finora ri- ‘cerche nè qualitative, nè quantitative: il risultato delle ricerche da me intra- prese a questo scopo si può riassumere brevemente come segue. Lo iodolo a pressione ordinaria e ridotta si scompone quasi improvvi- samente a 150°, eliminando tre atomi di iodio, e lasciando un residuo inso- lubile negli alcali, negli acidi e nei solventi ordinarî, amorfo, contenente ‘ancora iodio, che all’analisi dà numeri corrispondenti a quelli richiesti da un composto della formula (C,JNHI)n (C,NHI),n Calcolato N:7,63; 1:66,84 Trovato I » 67,24 ’ II » 7,22 » 66,76 ” II » 7,65 La I analisi si riferisce al residuo del riscaldamento nel vuoto dello iodolo a 150° per tre ore (iodio eliminato 50,67 %, ossia 2,28 atomi). (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale della R. Universttà di Bologna. (2) Questi Rendiconti, XXX, 1%, 72. — 469 — La II si riferisce al residuo del riscaldamento nel vuoto a 150° per -sei ore (iodio eliminato 68,02%, ossia 3,06 atomi). La III si riferisce al residuo del riscaldamento nel vuoto a 200° per tre ore (iodio eliminato 64,12%, ossia 2,88 atomi). Il composto (C,NHI),n al quale si potrebbe asseguare la formula più semplice’ UCIMCO III ICONOUNS0I ” di anidride carbonica; e sui campioni ottenuti si è studiato in che modo procede la ricristalliz- zazione. I bottoncini di oro furono ottenuti fondendo per due volte successive rispettivamente nel vuoto, nell’ idrogeno e nell’ossigeno, del metallo pre- ventivamente fuso all’aria. Il metallo, che era servito per le esperienze nel vuoto, venne quindi impiegato per le prove con azoto fondendolo di nuovo per due volte successive in ambiente di azoto. Per le esperienze con anidride carbonica si adoperò invece il metallo che era servito prima per le prove in ossigeno, rifondendolo, sempre due volte, in ambiente di anidride carbonica. (1) Inst. Metals, 8, 122 (1912). (2) Inst. Metals, 16, 18 (1916). (*) Inst. Metals, 16, 67 (1916). (4) I. Soc. Ch. Ind., 36, 429 (1917). (5) Int. Zeit. Metall, 9, 1 (1916). (5) Inst. Metals, 9 (1912); ibid., 10 (1913), (9) Inst. Metals, 12, 125 (1914). — 483 — I bottoncini di argento, avendo a disposizione una maggiore quantità di metallo, furono preparati rifondendo nelle diverse condizioni il metallo precedentemente fuso all'aria. Numerose proprietà variano col grado di inerudimento di un metallo: fra esse si presta ad una misura esatta la durezza. Per stabilire gli effetti della ricottura, ci siamo perciò serviti della durezza misurata a mezzo dello seleroscopio di Shore (*) che permette di lavorare speditamente e con cam- pioni di metallo di spessori molto piccoli (fino a 0,6-0,7 mm.). Le ricerche si riferiscono a metalli teneri e perciò si è adoperato lo scleroscopio con il maglietto amplificatore. Dai valori così ottenuti si potrebbe passare con una certa approssimazione ai valori di durezza Brinell; ma le relazioni di durezza Shore e durezza Brinell non sono sempre ben nette, e d'altra parte a noi non interessava stabilire valori assoluti di durezza. I valori di durezza sono ‘ciascuno la media di almeno 10 osservazioni. Lo scarto maggiore tra i valori ottenuti nelle 10 osservazioni non superava mai le 3 unità. I campioni, preparati fondendo nella maniera detta i due metalli, erano in genere dei blocchetti di 7 mm. di altezza; essi venivano laminati a freddo in modo da diminuirne successivamente l'altezza e ottenere lamine dello spessore di 0,3 mm. La ricotture vennero fatte: a 1009, 150°, 2009, 250°, 300°, 350°, 400° nel caso dell’oro,.e a 100°, 110°, 120°, 130°, 150°, 200°, 8009, 400° nel caso dell'argento, in stufe ad aria riscaldata a gas o elettricamente. L'oro adoperato nelle esperienze aveva un titolo di 998/1000 e l’argento di 999/1000. Dopo le fusioni il titolo in entrambi i casi era rimasto inal- terato. I risultati delle esperienze sono riassunti nei due diagrammi 1 e 2 dove sono riportati sulla ordinata le durezze Shore e sull’ascissa i tempi di ri- cottura. È evidente da essi l’azione ritardatrice che sulle velocità di ricri- stallizzazione dei due metalli esercitano l'idrogeno in maggiore e l’azoto in minore misura. In entrambi i casi la curva di durezza per il metallo fuso nel vuoto (circa 1 mm. di Hg.) ha wna posizione intermedia fra quelle dell'idrogeno e dell'azoto, e quella dell'anidride carbonica e dell’ossigeno. Evidentemente con la depressione usata non si riesce a liberare i due metalli dalle impu- rezze gassose che contengono dopo la fusione all'aria. La fusione in atmosfera di ossigeno dà il metallo che ricristallizza a temperatura più bassa. L'ossigeno è perciò un purificatore di questi due me- talli; e ciò corrisponde alla pratica, che viene seguìta in molte fonderie di (1) L'apparecchio ci è stato messo cortesemente a disposizione dall'ing. Pavone della ditta Coe e Clerici di Milano. All'uno e all’altra esprimiamo pubblicamente le nostre più vive grazie. — 434 — rmmiòÒ____t2@r——_—__—m—m—É&——Tr_—_—_É_—_____ÉÉtb————m——ébÒ__ ——————__—_—_—_—__—m—mm————_————————————————————————— Q 0° 700° 150° 200° 50° 300° BEZA 400° Fic. 1. so /0 20 30 40 0 100° 150° 200° 250° d00° Jse° 400° — 435 — argento, di aggiungere al metallo fuso prima della solidificazione un po’ di salnitro. Se la ricristallizzazione è prodotta, come molti ritengono, dalla tensione superficiale, questa notevole influenza che impurezze gassose esercitano sulla ricristallizzazione non può meravigliare, poichè, alla stessa maniera che per i liquidi, è presumibile che le impurezze producano l'abbassamento della ten- sione superficiale anche nei solidi. NOTE PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Le classi di forme aritmetiche di Dirichlet appartenenti ai generi della specie principale. Nota I del dottor ALBERTO MARIO BEDARIDA, presentata dal Corrisp. Gurpo FUBINI. 1. — Sia D un numero intero razionale e consideriamo le forme arit- metiche, binarie, quadratiche di Dirichlet: (1) f==(a,b,c)=ax* 4 2bexy 4 cy, appartenenti al corpo RS) , 0 campo di Gauss, a determinante 9*— ac= D. Indichiamo con pi, 2, ..., pr i fattori razionali, primi, dispari, diversi di D, per i quali sia p.=3 (mod. 4), ((=1,2,...,7), quindi primi anche nel corpo K({/— 1) ed invece con g1, 93, -.. gs i suoi fattori razionali, primi, dispari, diversi, per i quali sia g;="1 (mod. 4), (f=1,2,...,5), quindi scindibili, nel corpo KISS in due fattori primi coniugati g; = = 7;N;,; e poniamo 7; = 24 ir" ed inoltre "r +-s="n. Osserviamo che, nel seguito, le forme che considereremo saranno sempre del tipo delle (1) ed inoltre, primitive di prima specie, cioè a, dD, c eda, 20, c, saranno due terne di numeri primi tra di loro, nel corpo K(Y/— 1); e ciò sarà inteso tacitamente. Consideriamo ora i generi definiti dalle seguenti relazioni ('). o [ia [dd CARA) (Aa e E LI A fa ire; (1) Per la teoria dei generi delle forme di Dirichlet, cfr. la mia Nota: /l genere nelle forme aritmetiche di Dirichlet, secondo un teorema di Eisenstein. Rend. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, serie II, vol. LIV, fase. VI-X (1921). ReENDICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sem. 63 sigg ‘ove con /, ed fa indichiamo rispettivamente la parte reale ed il coefficiente dell'immaginario della forma /. Notiamo esplicitamente che i caratteri @, 8 e y potranno anche non comparire tutti e tre, ma almeno uno, e ciò può venire precisato facilmente ricorrendo alla tabella inserita a pagina 212 della mia Nota ora citata, e tenendo presente che il determinante è razionale. I generi definiti dalle (2) si diranno, con Hilbert, generi della specie principale. lì loro numero è, manifestamente, 2°. Scopo del presente lavoro è di determinare, basandoci uricamente sopra la teoria delle forme aritmetiche, le diverse categorie di classi di forme (?) aritmetiche di Dirichlet, determinanti D, appartenenti ai generi della specie principale (?). 2. — Introduciamo le seguenti detinizioni: diremo classe razionale, una classe di forme aritmetiche di Dirichlet, a determinante D, quando contiene una, e quindi infinite forme a coefficienti interi, razionali; classe complessa, nel caso opposto. La classe principale, contenendo la forma (1,0,-— D), è razionale. Manifestamente le classi razionali costituiscono un sotto-gruppo del gruppo di composizione () delle classi di forme di Dirichlet considerate. Segue: è/ numero delle classi razionali è sempre un divisore del numero totale delle classi. Consideriamo una classe razionale e sia m un intero razionale, rappre- -sentato (propriamente o no) dalle sue forme e primo con 2D. Per note re- lazioni tra il simbolo di Dirichlet e quello di Legendre (4), nel corpo K(y—1), abbiamo: GIS (atreno a] ri sa (e) ‘quindi lallE]-+1% (gie li 20 008) (!) L’equivalenza da noi considerata è l'equivalenza propria, quella cioè rispetto al ‘gruppo delle sostituzioni aritmetiche (7-5) nel corpo K(V —1), ove ad—py=+1. 7 (2) Hilbert, nella sua Memoria: Ueder den Dirichlet'schen biquadratischen Zahl- kòrper. Math. Ann. 45 Bd., ha notato ($ 9 seg.) degli speciali corpi di Dirichlet, in cui ‘certe classi di ideali appartengono a determinati generi, che chiamò appunto generi della specie principale. Agli ideali di questi corpi speciali di Dirichlet corrispondono le forme di Dirichlet, nel corpo ASSI 1), a determinante intero razionale che noi consideriamo in questo lavoro. (3) Sulla composizione delle forme di Dirichlet, cfr. Bianchi: Sulle forme a coef- ficienti ed indeterminate complesse. Atti Acc. Lincei, serie 48, vol. V, fasc. 8, pag. 589. (4) Cfr. Dirichlet: Recherches sur les formes quadratiques à coefficients et à indé- «terminées compleres. Crelle’s Journal, 24 Bd. —kdgKe= ed inoltre è, manifestamente: a —= +1, 8#=4+1,y=<+1 ben inteso, tenendo presente quanto si è detto intorno a questi ultimi tre caratteri. Si ha dunque: le classi razionali appartengono ai generi della specie prin- cipale. Con questo, abbiamo una prima categoria di classe di forme di Di- richlet, appartenenti ai detti generi. Segue da quanto ora si è detto: una classe di forme aritmetiche, 4 determinante D, per la quale, tra i caratteri AL ove pi è un fattore i primo, dispari, razionale e="3 (mod. 4) di D, e di caratteri a, 8 e y ‘od alcuni di essi), almeno uno sia —1, è una classe complessa. Da quest’ultima considerazione risulta l'esistenza, in generale, delle classi complesse e così pure l'esistenza di generi contenenti esclusivamente classi complesse. i È facile vedere che : zi numero delle classi razionali è sempre un di- visore del numero delle classi complesse. Consideriamo le classi di forme aritmetiche di Dirichlet a determinante D (primitive di prima specie) che contengono una, e quindi infinite, forme del tipo (a, 20, c) ove a,d,c sono interi razionali, tali che — 0° — ae=D. Tali classi saranno denominate: classi del tipo P. Esistono classi del tipo P, razionali. (Ad esempio quelle contenenti forme del tipo (2,0,c), ove 4 e c sono interi razionali tali che —ac = D). Inoltre, notiamo che est- stono ciassi del tipo P, complesse. Intatti, considerata una forma (a, d, e) a coefficienti interi, razionali, a determinante —D, primitiva di prima specie, appartenente ad una classe non ancipite ('), la forma (a, id, -- ce) apparterrà ad una classe P, di forme del tipo P, a determinante D, non ancipite, manifestamente, e quindi complessa, perchè se fosse razionale la classe P, coinciderebbe con la classe coniugata (®) P,, = Pi*, cioè P sarebbe ancipite, il che non può essere. Si ha ora: le classi complesse del tipo P. appartengono ai generi della specie principale. Invero ciò è evidente quando si pensi che le forme di tali classi rappresentano dei numeri interi, razionali e primi con 2D. Abbiamo quindi una seconda categoria di classi di forme aritmetiche di Dirichlet, appartenenti ai generi suddetti. Notiamo che la totalità delle classi del tipo P, a determinante D, costituiscono, come le classi razionali, un sottogruppo del gruppo di compo- sizione delle classi di forme di Dirichlet, considerate e quindi: 7 numero delle classi del tipo P, è sempre un divisore del numero totale delle classi. (1) Una classe di forme (primitive di prima specie) si dice ancipite od ambigua, quando composta con sè stessa oftre la classe principale. (2) Cfr. N° seguente. — 488 — Componiamo ora una classe razionale, non del tipo P, con una classe complessa del tipo P, si ottiene una classe che, per quanto si è esposto, non è razionale e non è del tipo P. Ze classî così ottenute appartengono generi della specie principale, poichè appartengono al genere composto due generi dalle specie principale, che è ancora un tale genere. Si ha quindi, in queste classi, una terza categoria di classi appartenenti generi in considerazione. Noi ci proponiamo ora di dimostrare che non esistono altre categorie di classi di forme di Dirichlet, a determinante D, appartenenti ai generi della specie principale. Per questo è necessario premettere due lemma, che | esamineremo nel numero seguente. SD, a d (N (a a a Matematica. — Sul teorema di reciprocità delle funzioni di Green. Nota di Tommaso Bocaro, presentata dal Socio T. Levi- CIVITA. In uno dei miei primi lavori (*) dimostrai, per le varie funzioni di Green d'ordine 1, un teorema di reciprocità, analogo a quello ben noto sulla ordinaria funzione di Green, e poco dopo trovai l’interpretazione fisica (*) del teorema di reciprocità sulla funzione di Green di ordine 2. In seguito ritornai sull'argomento (*) per stabilire altre proprietà di tali funzioni. Tale teorema di reciprocità si rivelò assai utile nella risoluzione del problema delle vibrazioni delle piastre elastiche incastrate (‘). In questo breve scritto espongo una nuova dimostrazione, semplicissima, del citato teorema di reciprocità, valendomi di considerazioni analoghe a quelle che ho fatio in altra occasione (°), per stabilire la trasformazione delle funzioni poliarmoniche, mediante un'inversione per raggi vettori reciproci. 1. Sia © lo spazio limitato da una superficie chiusa 0, e consideriamo (1) T. Boggio: Un teorema di reciprocità sulle funzioni di Green d'ordine qualunque (Atti R. Accademia Scienze di Torino; vol. XXXV, a. 1900). Nel seguito citerò questo lavoro colla notazione B,. (2) T. Boggio: Sull'equilibrio delle piastre elastiche incastrate (questi Rendiconti, serie 5, vol. X, 1° semestre 1901). ; (*) l. Boggio: Sulle funzioni di Green d'ordine m (Rendiconti del Circolo Mate- matico di Palermo, tomo XX, a. 1905). Nel seguito citerò questo lavoro colla notazione By. (4) G. Lauricella: Sulle vibrazioni delle piastre elastiche incastrate (questi Ren- diconti; serie 5*, vol. XVII, 2° sem. 1908). (*) T. Boggio: Sopra una trasformazione delle funzioni poliarmoniche (Atti del R, Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti; tomo LXVIII, a. 1909). — 489 — una funzione U, m-armonica in 7, cioè regolare in 7 e che soddisfa ivi al- l'equazione indefinita die tdiyorad de j 5 Puri È facile mostrare che tale funzione si può esprimere come somma di funzioni potenziali (d'ordine superiore e poliarmoniche) di strati semplici e doppi, distribuiti, con opportuna densità, sulla superficie o. Per semplicità, supporremo m pari. Per questo, ricordiamo anzitutto la formula (B,$3, B.$2): m_l (1) UP) br : (4° U. Dam TRE mio DA U)do, ove, per brevità, si è posto a=4n(2m — 2)! v=2m_—-3, ed r indica la distanza del punto generico P di 7 da un punto variabile, 6 D/ indica la derivata secondo la normale interna della funzione generica /. Diciamo poi U' la funzione m-armonica nello spazio indefinito 7’ esterno alla superficie o, che si comporta all'infinito come una funzione potenziale m-armonica, e che su o soddisfa alle condizioni seguenti, ove u = m/2: 2) (SRUTZTC/ALE (E 1) 2 SET i=0, svol); (Dai U'=DA'U, i uri applicando alle funzioni U' ed r*, che sono m-armoniche nello spazio 7’, una nota formula (B, $3 , B» $ 2), si ottiene m_l 0= > fai Ul Dari eee DAT) da a, T) /6 lo sottraendo dalla (1) e ricordando le (2), risulta m_-1l AR IL [4U— UU"). Dam — gm, Da'(T —U)]do, & che può scriversi sotto la forma (3) gui DI; fo Ddin — dir .Dh)do , n=u—1), 0 G la quale dimostra la proprietà enunciata. 2. Consideriamo ora la funzione Y°, #-armonica in 7, e che nei punti M di o soddisfa alle condizioni ai limiti: (4) DI D{M0). @—0,1:2,.., 2-1), — 490 — MQ essendo la distanza del punto Q (polo), che si riguarda come fisso in t, dal punto variabile M. Questa funzione I° dicesi funzione preliminare di Green d'ordine m e di 1° specie, mentre la funzione G= (MQ) — F si dice funzione di Green d'ordine m e di 1° specie. La funzione I dipende dai punti M e Q e per- ciò possiamo indicare con TY(M,Q) il valore in M della funzione T avente - per polo Q. È facile vedere (B, $2, B» $ 3) che le (4) possono essere sostituite dalle seguenti (supposto m pari, come nel n. 1, ed n= m/2—1): | A‘T(M, Q)= 4'(MQ), Ù ( DA'T(M ) Q) = DA4'(MQ) (i =0 ’ 1 Ù RASO , n) a Ciò premesso, se P_è un altro punto qualunque di 7, calcoliamo il valore Y(P,Q) nel punto P, della funzione Y avente per polo Q; basta applicare la (3), da cui si trae CS OO i 1 h:(Q, M)Dx4(MP) — SMP)". Dyh(Q, M) } doy, ove M è un punto variabile su o, Dy indica la derivata normale interna ac in M, e doy è l'elemento d'area attiguo ad M. Applicando le (4'), si può pure scrivere ar(P, ®=L, f, {A:(Q, M)Dudi F(M, P) — di FM, P).Dyh:(Q, M){ dow: O (1 ma, con una formula analoga alla (5), si ha ePM.2)= X,; (1 AAP, N)Dxd (NM — ZINM". Del(P, N) { des, 1 e perciò, sostituendo, n n GEPLO ST mal 3 hi(Q, M) AP, N) DuDy4'id4i(NM) — — hi(Q,M) Dudi4i NM). Dyh;(P, N) — h;(P, N)Dy4'4i(NM). Duhi(Q,M) + + 4'45(NM)*. Dyh;(P, N). Dudi(0, M) { dou dow . i Ora è chiaro che il secondo membro non muta scambiando fra loro i punti P,Q; perciò si conclude: F(P,Q) = T(Q, P), ciò che dimostra il teorema di reciprocità. La stessa dimostrazione si applica se m è dispari, ovvero se 7 è lo spazio indefinito esterno a o, come pure se si considerano le funzioni di Green delle varie specie (B, $6,B:$ 4), anche nel caso di quante si vo- gliano variabili. — 491 — Matematica. — Sur les surfaces dont toutes les courbes de Segre sont planes. Nota di EbuARD CECH, presentata dal Cor- rispondente Guipo FUBINI. Dans une Note récente (), j'ai démontré l'énoncé suivant: les plans osculateurs des trois courbes de Segre (c'est-à-dire des courbes conjuguées aux lignes d’osculation quadrique de Darboux) qui passent par un point P d'une surface quelconque ont une droîte commune, soit t. Il s'ensuit que les surfaces L ici considérées ont la propriété caractéristiques que fouzes les droîtes © passent par un point fire 0. Les surfaces L sont isothermo- asymptotiques (?), de sorte que l'on peut les définir par un système d'é- quations aux dérivées partielles de la forme d° % e + 29 So +gy=0. d°Y dY AA (1) Si + 2g o +/fy=0, o? Ceci étant, les conditions nécessaires et suffisantes pour une surface L sont d°P_n_dIP_dP_L IP (2) dute Lo) TOOL. SL du dp dP O / de 9 È du Soient 40, 4,, 42, des constantes telles que (4) Gta +a=0, et posons (5) cdo,=u+vt+a, a =eu+e0v4 a, ce: =eut+e0v 4a, La solution générale des équations (2) est li 5 (La) p==— 320 + Sa + dr0), (*) Rozpravy deské Akademie, Praga, 30€ année, 1921, n. 23. (2) M. Fubini appelle ainsi les surfaces pour lesquelles les lignes de Darboux sont définies par une équation du type du? + dv = 0. — 492 — les périodes de la fonction elliptique È étant quelconques. Toutefois, il y a des solutions qui échappent à la représentation (L): (Lo) gp = =; (cotg ar, + cotg ax, 4 cotg axes), Is) 1 1 ‘ = — f{_- L--. == (Lo) di a nia; +2), (Lu) g= — 3 0otg ax Geo Lo: 3 (Ls) vaso ((/—=04592)5 (Le) « = costante. On peut distinguer bien nettement les six possibilités. Les plans des courbes de Segre enveloppent toujours un cone algébrigue T de la 3"° classe et, suivant le cas, (Li) T est de genre un, (Lo) T a un plan tangent double, (13) T a un plan tangent stationnaire, (L,) et (Ls) 7° se décompose en un céòne quadrique 7) et en un faisceau i dont l’axe, dans le cas (Ls), appartient a 7). (Le) T se décompose en trois faisceaux. Ce résultat permet de trouver lies équations d'une surface L en termes finis. Pour cela, je renvoie à un mémoire qui paraîtra prochainement dans les Publications de la Faculté des Sciences de l'Université Masaryk, Brno. Matematica. — Sopra certe equazioni integrali considerate dal prof. Tedone. Nota del dott. FRANCESCO SBRANA, presentata dal Corrispondente 0. TEDONE. 1. Il prof. Tedone, dalla formula che si ottiene applicando il metodo di integrazione di Riemann all'equazione di Eulero e di Poisson con invarianti eguali, e particolarizzando opportunamente la forma del contorno e i dati su di esso, ha trovato che l'equazione integrale (1) fa@r|-a3+41,1,- EE de= f(2), con f(1)= 0, è risoluta dalla formula O, w O (EA (2) n= Pd + SOT] ORA ria or 0) (1) Ved. 0. Tedone, questi Rendiconti, seduta 2 maggio 1920. — 493 — Nella (1) F è il solito simbolo di una funzione ipergeometrica costruita con i parametri — 4,Z4-+1 ed 1, mentre F', nella (2), è la derivata di questa funzione rispetto al quarto parametro. Posto, per brevità, F[o]=F[-è,2+1,1;9], per la coesistenza delle (1) e (2) è necessario e sufficiente che sia verificata la relazione coig Poli (Se, O (Gi 2S0)) ® f, rl +Gg 22 |a |- TE ia 45 Èo } In questa Nota ci proponiamo principalmente di dare una dimostra- zione diretta della (3). Anzitutto, posto x, = So x=<, alla (3) si può dare la forma ca cai È vo (x — 26)? i A di J i ui: dl È Fa (1-%,) = (E 4 Lo Di Ricordiamo poi che F,[o] soddisfa all'’equazione differenziale (5) c(1— 0)F[o] +(1— 20F:[0] +4(4+1)F;[c]=0, BY e che, posto ES 2019 abbiamo facilmente 4% Xo ’ Ea Ti (1 — 2o)Fi[o]} = —-2x+_ zine ae getto], ' dì ci d oc(1— 0)F{ [o] = — 2? 3g ra 0]+ 2a ca n F.[9]; per cui la cà sì può scrivere d si (8) I rl+ ei P[o]=0. È 7 (1-2) . Notiamo inoltre, che, facendo «è =1, e ponendo 7 = — ur sì avrà, dalla tra A(A mo E rtg+2 i ie ag=o. Dalle (6) e (7) deduciamo 2 aa) FINI P(-P4 r+ E PAR] =o, RenpICcONTI. 1921, Vol. XXX, 2° Sem. È 64 — 494 — e di qui, moltiplicando per de, e SARDI tra è limiti 1 e x, risulta Lo P da fORIIRIIS =|RIE RT TAI) E poichè, per x«=1, poi d CAMLAG e SUL (1 — 26)? di Er da I oa Vedo Ti |— e] 4x Lo segue, senz'altro, la (4). 2. In modo analogo al precedente si può dimostrare la formula 2 Ir — )It1— 2) (8) È a el ine) dex =I(x1 — 20), dimostrata anche per altra via dal prof. Tedone, che da essa ha dedotto la soluzione della equazione (9) 1 Islzo — 2) p(r)dae = Dro) — P(0), sotto la forma n (UASROT (10) gr =) f 0 TER de, e, quindi, di altre numerose equazioni integrali ua (De Nelle (8), (9) e (10), è (ca) 22N GIN = NI e ss Io(2) -" 2m(n!)®” AMO Posto, nella (8), , Tg -x=È, risulta So I,(Èo — È) (11) L bilia I($0) . Per dimostrare la a basta notare che (12) 0 (5) + IE) — & L(£) = e che, similmente. DA I 0 3 ge o(So ) delete (So — S) lolfo — $)=U". Dalle (12) e (15) segue (13) ES, ) Ri A DE Io(£0 Si \ Èo Ip(É) BIPET E = 0; e quindi, moltiplicando per dÉ , e integrando, tra i limiti 0 e $,, otteniamo. subito la (11). (1) Questi Rendiconti, sedute 31 maggio 1913, 5 aprile 1914 e 21 marzo 1915, ) A > EL — 9 LE) — LE — 495 — Matematica. — Sulle equazioni lineari alle derivate par- ziali di 2° ordine, di tipo misto. Nota di FRANCESCO TRICOMI,. presentata dal Corrisp. FRANCESCO SEVERI ('). I tre tipi tradizionali di equazioni lineari alle derivate parziali di 2° ordine in due variabili indipendenti: ellittico, iperbolico e parabolico. sono ben lungi dall’esaurire la classe di siffatte equazioni. Invero la determina- zione del tipo dipende dal segno di una certa espressione formata coi coef- ticienti dell'equazione, espressione che, essendo funzione delle variabili indi- pendenti, in generale non conserverà lo stesso segno in tutto il piano x,y. Sempre che ciò accada, noi diremo che l'equazione è di tipo misto. Lo studio di queste equazioni di tipo misto, per quanto sia a mia cono- scenza, è stato finora completamente trascurato. Io ho voluto occuparmene pervenendo, con l’ausilio di quel possente strumento analitico costituito dalle equazioni integrali, ai risultati che mi accingo ad esporre per sommi capi qui appresso, riservando le dimostrazioni e tutti gli altri sviluppi ad una Memoria che sarà pubblicata appena possibile. Un primo problema che mi si è presentato è stato quello della ridu- zione di un’equazione di tipo misto ad una forma da assumersi come cano- nica. Ho trovato che, con delle sostituzioni di variabili rea/i, è sempre pos- sibile porre l'equazione sotto la forma (1) AALST, aa, NÉ +%, DE nt 09) da, y)= 0. vor dy° Nella (1) la curva che separa le regioni in cui l'equazione è di tipi diversi (curva parabolica) è l’asse 2, al disopra del quale (semipiano y >+0) l’equa- zione è di tipo ellittico, cioè ha le sue caratteristiche immaginarie, mentre al disotto del medesimo (semipiano y< 0) è di tipo iperbolico e le sue caratteristiche, reali, son rappresentate dall'equazione (2) TA O =. )® s (C costante arbitraria). Procedendo oltre, ho limitato le mie considerazioni all’equazione (E) via Di che si ottiene uguagliando a zero la parte di 2° ordine della (1); così fa- (1) Presentata nella seduta del 3 giugno 1921. — 496 — cendo son venuto ad imitare il processo di sviluppo storico, p. es. della teoria delle equazioni di tipo ellittico, che per un primo e non breve pe- riodo si limitò soltanto alla più semplice di esse: l’equazione di Laplace Asg= 0. Per l'equazione (E) mi è stato possibile risolvere il problema fondamentale della teoria delle equazioni a derivate parziali considerate dal punto di vista delle funzioni di variabili reali, e cioè quello di trovare le condizioni al contorno atte a determinare univocamente una soluzione parti- colare in un certo campo. Naturalmente si tratterà di un campo attraversato dalla curva parabolica, altrimenti il problema riguarderebbe solo apparen- temente le equazioni di tipo misto. Propriamente, servendomi del fatto che la (E) è una trasformata di una particolare equazione di Eulero-Poisson ('), ho cominciato col cercare di stabilire una relazione che legasse i valori t(x) che una qualsiasi soluzione regolare (?) 4 della (E) riceve sul segmento AB staccato sull’asse x dalle due caratteristiche uscenti da un punto qualunque C del semipiano iper- bolico, con quelli, g(x), che la medesima soluzione riceve sul pezzo di caratteristica AC, e coi valori v(z) che >#/dy riceve su AB. Supponendo per semplicità che le ascisse di A e B siano rispettivamente 0 ed 1, ho così trovato l'equazione x LIL 8) RCORITORSAM ERI dove (x) è una funzione che si calcola facilmente nota che sia g(x), e y è un coefficiente numerico. Stabilita la (3), si perviene agevolmente al seguente TEOREMA DI UNICITÀ: Non può esistere più di una soluzione regolare della (E) assumente valori arbitrariamente fissati sul pezzo di caratteristica AC e su di una curva qualsiasi 0 congiungente A con B senza uscire dal semipiano ellittico. Successivamente, nell’intento di giungere all'inversione di questo teo- rema, cioè a dimostrare l’esistenza della soluzione di cui esso assicura l'unicità, ho considerato anzitutto il caso preliminare che i valori di 2 siano assegnati sul contorno chiuso costituito dalla curva o e dal segmento AB, (') Ved. G. Darboux, Legons sur la théorie gin. des surfaces ete., 2° éd. (Paris, Gauthier-Villars, 1914-15), t. II, pag. 54 e seg. î (2) Cioè finita e continua assieme alle sue derivate prime. — 497 — cominciando col dimostrare il teorema di esistenza nell'ipotesi che la curva o sia una curva normale, cioè sia rappresentabile con una equazione del tipo (4) (x — 0)? DI ; ZI (C, R costanti). Indi, con un procedimento alternato, ho generalizzato il risultato ottenuto, continuando a supporre soltanto che la curva o termini verso gli estremi A e B con due archetti, sia pur piccolissimi, della curva normale € che passa per A e B, e che. per la restante parte, non penetri mai nell'interno di €. Questi risultati permettono agevolmente di riconoscere che il teorema di esistenza generale potrà considerarsi acquisito, sotto le restrizioni accen- nate, ove si riesca a dimostrare che è possibile calcolare effettivamente, te- nendo conto delle imposte condizioni al contorno, i valori 7(x) che la so- luzione z della (E) di cui occorre provare l'esistenza assume su AB. A questo scopo non può certo bastare la sola (3), figurando in quest'equa- zione anche la funzione r(x) che è incognita al pari di (x). Dovremo dunque cercare di associare alla (3) un’altra equazione fra 7‘x) e v(x), da ricavarsi tenendo conto della circostanza che 2 assume sulla curva o certi valori dati /(0). Per ottenere questa seconda equazione, l'idea più naturale sarebbe quella di servirsi del metodo di Green. Però, nel caso in esame, questa via non conduce al risultato desiderato e bisosna invece ricorrere alla formula (6) ar f Wp dy= =f()—y f le —y|}-(a+y— 2a) | »(y) dy, 0) dove W*(x ,,y) è una funzione dipendente solo dalla forma di o ed /,(x) nna funzione dipendente anche da /(0); formula in certo modo analoga a quella di Green. La (5) sarà valida senza eccezioni per 0 < x 1 e le funzioni W* ed /, si conserveranno sempre regolari nel medesimo inter- vallo, purchè siano soddisfatte certe condizioni sufficienti, fra cui la prima di quelle incontrate poco innanzi circa la forma di oc. Noi supporremo senz'altro verificate queste condizioni. Allora la (5), riguardata come una equazione integrale di Fredholm, 24 specie, in z(x), sarà risolubile rispetto a questa funzione, permettendo, così di ricavarne il valore che, sostituito nella (3), dà luogo all'equazione unica in v(x) (6) 0 CEE v(y) dy = si di |L—lesl®+6+4-22007*] vg) dy + y(2), — 498 — dove L(x ,y) è una funzione dipendente solo dalla forma di o, mentre w() non dipende che dalle funzioni /.(7) e (x). A questo punto tutto è ridotto a far vedere che è possibile risolvere quest'equazione. La (6) è un'equazione integrale di tipo misto e di prima specie (*), alla quale però non è applicabile il metodo di riduzione ad equazione di Fredholm, 22 specie, indicato dall'Andreoli (loc. cit.)- Invece si riesce allo scopo servendosi della formula di Abel e giovandosi inoltre del concetto di valor principale di un integrale improprio, secondo Cauchy (°). Precisamente in questo modo, supposte esistenti e finite le derivate della funzione g(x), si riesce a trovare l’espressione esplicita di (x) per mezzo di un'altra fun- zione y(x), la quale soddisfa ad una certa equazione integrale regolare di Fredholm, 2* specie, che si vede facilmente «esser sempre risolubile. Trovata così »(2) la (3) fornisce senz'altro (2). Matematica. — Sulla condizione di chiusura di un sistema di funzioni ortogonali. Nota di G. ViraLi, presentata dal Corri- spondente TEDONE. 1. È noto che, se (1) CACAO CO NCR CO IO è un sistema di funzioni definite per ogni x per cui a < x 0. — 499 — è che, per ogni funzione /(x) sommabile in (a, 2) insieme col suo quadrato, ‘sia soddisfatta l'equazione di chiusura @ fIrapa= Za 1. dove da = [0 piede ii —d72::5,0.)- Sia e un numero qualunque compreso fra a e è, e indichiamo con /(x) la funzione che è uguale ad 1 in (4,c) e uguale a zero in (c,0). Per questo funzione la (2) ci dà c 2 cant folode | ; Mutando c in x, possiamo allora concludere che, se (1) è chiuso, è, per ogni x în (a,b), (3) a—a= di [Sao da li Questa condizione è anche sufficiente perchè, se (1) non è chiusa, esiste una funzione effettiva w(x) sommabile in (@, è) insieme col suo qua- «drato, normale e ortogonale a tutte le (1), e, per la disuguaglianza di Bessel (2), si ha | Dif RO da îl se I F yw(x) da JÈ ah da cui, per qualche , 2 fo de | teli perchè per qualche x è J ya) dr +0 (8). 2. Consideriamo il sistema di funzioni normali e ortogonali in (0, 277) 1 COS nX Sen na == — —ioaà V2r Va Va Lo ) 1) (!) Ved. ad es.: Severini, Sullu teoria di chiusura dei sistemi di funzioni ortogonali, Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo, t. XXXVI (1913), pp. 177 e seg. (2) Ved. p. es.: Severini, loc. cit. (3) Vedi G. Vitali: Sulle funzioni ad integrale nullo (Rendiconti del Circolo Mate- matico di Palermo; t. XX, 1905), pagg. 136-141. — 500 — Per dimostrare che è chiuso, basterà provare che sE (I- cioè che 2 Oi colt 0, poichè va=E 0, che (4) vieni nn 4 E poichè il 1° membro di (4) è proprio la serie di Fourier della fun- zione 2 di I0° CATA O o A 2 nr 3 che figura nel 2° nfiembro, per provare che il sistema (1°) è chiuso basta provare che la funzione Ho TT° Sig rg: è la somma della corrispondente serie di Fourier. Ora la serie che figura nel 1° membro di (4) è uniformemente con- vergente e quindi convergente verso una funzione continua: e allora, per pro- vare che sussiste la (4), basta provare che non esiste una funzione continua 6(x) non dappertutto nulla, per cui Lo e 60(a) de =0. (5) ""4) sen n da = =0 | (Pe 6(x) cosna de= 0 0 (2.= 1,2998904) i È noto che questo si prova molto facilmente (?). Per questa via la (1) Ved. p. es.: Analisi algebrica di E. Cesaro (Fratelli Bocca, Torino), p. 143. (2) Ved. per es.: Fubini, Lezioni di analisi matematica, 4% ed. STEN, pag. 444 e seg. — 501 — dimostrazione della chiusura del sistema (1’) resta evidentemente semplifi- cata, poichè in sostanza, invece di dimostrare che il sistema (5) non ha nessuna soluzione @(x) sommabile insieme col suo quadrato, ci riduciamo a dover dimostrare che il sistema (5) non ha una soluzione continua non dappertutto nulla. Tale fatto vale per tutti i sistemi 1) (*), ma qui, per il sistema 1’) discende in modo del tutto ovvio. Antropologia. — Delle relazioni fra il peso e la statura nell'uomo adulto. Nota del prof. FABIO FRASSETTO, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Fra i tanti rapporti che si sono proposti dai varî autori per stabilire le relazioni fra il peso e la statura, quello che ha avuto il maggior successo =. trovato dal Quetelet (*). Esso è stato infatti confer- mato dal Gould e recentissimamente dal Davenport (*) in un accurato studio critico concernente i varî indici di altezza-peso. Ma dai nostri studî, che qui riassumiamo (4), si deduce che il rapporto P:S* non offre un valore abbastanza costante da poterlo adottare come indice di normalità del peso rispetto alla statura. Ci siamo valsi dei dati raccolti nelle tavole XX e XXIV dell’Antro- pometria militare del Livi (°), rappresentandoli graficamente (vedi figura). Come origine delle stature (S) abbiamo scelto la statura di cm. 154, e a partire da questo valore abbiamo contato sull’asse delle ordinate (O S) le successive stature in centimetri, in modo che ad ogni em. della statura cor- rispondesse un cm. sullo stesso asse. Come origine dei pesi (P) abbiamo scelto il peso di Kg. 54 (le origini si possono sempre scegliere a piacere e secondo opportunità), e a partire da questo valore abbiamo contato i pesi in chilo- grammi, rappresentandoli in centimetri lungo l’asse delle ascisse (O P). I punti d'incontro delle perpendicolari ai due suddetti assi, passanti per le varie stature, ed i relativi pesi, uniti fra loro, determinarono (vedi figura) le due è il rapporto () Vedi Severini, 1. c. (2) Quetelet A., Fisica sociale ossia svolgimento delle facoltà dell'uomo. Versione in italiano dalla seconda edizione. (3) Davenport C. B., Heigth- Weigth Index of-Build; Amer. Journ. Phys. Anthrop., vol. III, n. 4, an. 1920. (4) Il lavoro per esteso sarà pubblicato in « La Medicina Italiana ». Anno III, n. 1, Milano, 1922. (3) Livi R., Antropometria militare. Parte II, pp. 121 e 152, Roma, 1905. RanpiconTI, 1921, Vol. XXX, 2° Sem. 65 î i ; TARE th ci TENORE TRN Ù Ù | i 33 $ iniili psi aaa e vena. 495 | pui i ia Ag Sa DD 56 57 58 59 60 6i 62 69 64 65 66 67/59 GO TOT Tg 08° Ce OOO I tai Te la li SPIEGAZIONE DELLA FIGURA. Diagramma della relazione fra il peso e la statura nei coscritti italimi.. — — —-— ——-* Uurva relativa al peso medio per ogui centimetro di statura nei coscritti italiani fra i 20ei23 anni e più. Numero totale dei misurati. 299.355 X — ——X—-——X. Ibidem nei coscritti italiani di 20 anni, mai ammalati. Numero totale dei misu- rati; 113.319. — 503 — curve -—.— - X——X. Se ora consideriamo nella seconda curva la por- zione AB, corrispondente al maggior numero delle osservazioni, vediamo che ‘essa è identificabile con una retta passante a due mm. dall'origine sulla parte negativa dell'asse delle ascisse. Considerando questo valore come tra- scurabile, possiamo ritenere la retta come passante per l'origine e procedere «alla rappresentazione algebrica della retta AB, cercandone la sua equazione. Se nell'equazione generale della retta, che di solito si rappresenta nel piano XY con la formula Y_-Yi=m(X— Xo), noi facciamo Y =ÉS$ = statura misurata in centimetri da zero Yo = S= statura iniziale convenzionale (cm. 154) X =P = peso corrispondente alla statura misurata X,==Po= peso iniziale convenzionale (Kg. 54), otteniamo la seguente equazione S_-S = m(P— Po) (1) il cui valore m (ricavato dalla coppia di valori S' = cm. 160, P' = Kg. 57.6), è 1,60. Si ha così che l'equazione della retta AB assume la forma sempli- cissima S— 154=1,60(P— 54), dalla quale, per la statura avremo S= 1,60 P+- 67,60 (2) e per il peso a S— 67,60 È SOSTA (9) sge: l'accrescimento della statura, a partire da cm. 154, sta all’accre- scimento del peso, a partire da chilogrimmi 54, nel rapporto costante espresso dal numero 1,60. A rigor di termini, questa legge e le enunciate formule sono esatte e trovano la loro conferma sperimentale con grande approssimazione per gli Italiani fra i 19 e i 22 anni, aventi stature com- prese fra cm. 159 e 169, o pesi fra i 57 e i 63 chilogrammi; ma non sono asualmente esatte per i valori al di sopra e al di sotto dei limiti sopra segnati. e specialmente per i valori estremi della serie, rappresentati nel nostro diagramma. Infatti, la curva comprendente questi valori non assume ‘vedi figura) la forma rettilinea, nè è in continuazione del tratto AB, che I risultati da noi ottenuti possono riassumersi e tradursi nella seguente le; — 504 — abbiamo assunto come funzione del nostro diagramma. Questo fatto potrebbe spiegarsi dicendo che il numero delle osservazioni corrispondenti è piccolo: e sembra probabile che per un numero maggiore, e sufficientemente grande di osservazioni, sì troverebbe, anche per questi punti; un comportamento analogo, o di poco differente da quello dei precedenti. Arrivati a questo punto, l'importante problema pratico che ora scatu- risce è quello di stabilire i limiti entro i quali, per ogni singola statura, oscillano i relativi pesi, che possono considerarsi come fisiologici, e dei quali, per ora, non conosciamo, con precisione, se non il valore medio normale, rappresentato dalla formula (5), la quale si può chiamare, appunto per questo, formula di normalità. Inoltre è di grande interesse, specialmente per il clinico, il conoscere quali sono i pesi che, per ogni singola statura, possono considerarsi come patologici, sia in eccesso, sia in difetto, e il determinarne, di conseguenza, i varî gradi di grassezza e di magrezza. ELEZIONI Lo spoglio della votazione per la elezione del Segretario aggiunto della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, ha dato il risultato se- guente: Votanti 41; maggioranza 21. — MirLosevicH ebbe voti 33; Pi- ROTTA 2; Corsino 1; Grassi 1; Levi-Crvira 1; schede bianche o nulle 3. Eletto MILLOSEVICH. COMUNICAZIONI VARIE Relazione dell’ Accademico Amministratore, intorno al Palazzo, alla Pinacoteca e al Gabinetto delle stampe, approvata nella adunanza del 16 dicembre 1921 dal Consiglio di presidenze che ne deliberava la pubblicazione. Poichè da parecchio tentpo e specialmente in questi ultimi anni sono avve- nuti fatti e si sono presentate circostanze che sembra possano condurre a opi- nioni erronee e produrre effetti dannosi per la nostra Accademia, ho creduto necessario esporre lo stato vero delle cose in base ai documenti posseduti dalla Accademia stessa a riguardo del Palazzo Accademico, della Galleria Corsini e della Collezione delle stampe della Biblioteca Corsiniana. Roma, 16 dicembre 1921. L’Accademico Amministratore Prof. RomuaLDo PIROTTA. — 505 — 1. — Il Palazzo. Poichè la leece 14 maggio 1881, n. 209, faceva obbligo allo Stato di costruire il palazzo per l’ACCADEMIA DELLE SCIENZE (art. 3° della convenzione tra Governo e Comune, annessa alla legge), si acquistava nel 1883, appunto per questo scopo, il palazzo Corsini. L’art. 4 del contratto di vendita del palazzo Corsini allo Stato (20 maggio 1883, rogito Vincenzo Castrucci) dice infatti : « T Signori Principi Corsini vendono e il Sig. Duca Leopoldo Torlonia in nome dello Stato compra il palazzo Corsini PER USO DELLA ACCADEMIA DELLE SCIENZE E SEGNATAMENTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI E DEI MUSEI »: «con espressa dichiarazione dei Signori venditori che non avrebbero essi venduto e non lo avrebbero venduto al prezzo per cui lo vendono sE NON si FOSSE DATA TALE DESTINAZIONE E SE DAL GOVERNO NON SI ASSUMESSE L'OBBLIGO, CHE DA ESSO SI ASSUME, DI MANTENERLO ALLA DESTINAZIONE DI PALAZZO DELLA ACCADEMIA E DEI MUSEI ». E nel verbale di ricognizione, di consegna e di presa di possesso del palazzo cià Corsini alla Lungara e DEI MOBILI IN ESSO ESISTENTI DESTINATI ALLA REALE ACCADEMIA DEI LIncEI, in data 19 settembre 1883, sta scritto che il palazzo fu venduto PER USO ESCLUSIVO DELLA ACCADEMIA DELLE SCIENZE e soprattutto della REALE ACCADEMIA DEI LINcEI E DEI MUSEI. Di fatti il Presidente della Accademia prendeva possesso a termini del contratto, a nome dello Stato e PER USO DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI, DI TUTTO IL PALAZZO E DEI MOBILI. Non corre dunque alcun dubbio che il palazzo Corsini fu acquistato per la Accademia dei Lincei, la quale, in seguito alle modificazioni apportate ai proprî statuti, fu riconosciuta essere l'Accademia delle scienze nominata nella legge 14 maggio 1881 e per la quale Accademia dovevasi costruire il palazzo (decreto reale 26 luglio 1883). L’Accademia, del resto, ha fatto valere questo suo diritto ogni qualvolta si è tentato di menomarlo. Così ad es. nell’aprile del 1901, a proposito del colloca- mento del gruppo Ercole e Lica nel porticato al piano terreno dell’Accademia, la Presidenza dichiarava ASSOLUTAMENTE TRANSITORIA l'ospitalità data al gruppo del Canova che doveva essere collocato nella Galleria (verb. adunanza Consiglio 14 marzo 1901) ; dichiarazione che veniva confermata nel 1902 allorchè il direttore della Galleria nazionale d’arte antica pretendeva di avere dall’Ac- cademia l’uso di tutto il porticato, sotto il quale era stato messo in deposito il celebre gruppo (verb. suddetto, 16 marzo 1902). E allorchè nel 1916 si parlava con insistenza del trasporto della Galleria Cor- sini in altra sede, la Presidenza della Accademia, con lettera del 2 ottobre n. 72, — 506 — faceva conoscere al Ministero che le stanze della Galleria stessa erano state dalla Accademia già destinate alla Biblioteca la quale aveva urgente bisogno di locali. E a queste manifestazioni di possesso, il Ministero, come era naturale, non ha avuto nulla da obbiettare. 2. — La Galleria Corsini. Con l’art. 12 del contratto di vendita sopra ricordato i principi Corsini FANNO: DONAZIONE ALLO STATO DELLA PINACOTECA (condizionatamente alla approva- zione della legge 28 marzo 1871 sulla alienazione ad enti morali delle gallerie, bi- blioteche ecc.). Rimosso il vincolo di inalienabilità, fu fatto l’atto definitivo di donazione della Pinacoteca Corsini allo Stato con atto del notaio Gaetano Magalli il 17 set- tembre 1883, coll’intervento del presidente della Accademia. Per effetto di questo atto « i principi Corsini DANNO, CEDONO E TRASMETTONO ALLO STATO la pinacoteca, coll’obbliso di conservarla al PUBBLICO PERPETUO uso »; onde l’effetto sia che una opera così gloriosa sia degnamente conservata secondo gli intendimenti degli antenati principi Corsini fondatori e che attesti e rimanga solenne testimonianza del loro affetto e di quello dei loro pronipoti verso la città di Roma. E mentre i rappresentanti dello Stato e dell’Accademia dichiararono Di AVER RICEVUTO CONSEGNA DELL’INTERO SUBIETTO DONATO ED ESSERNE IN POS- SESSO, viene per essie in nome degli enti morali che rispettivamente rappresentano e verso la cittadinanza di Roma che godrà l’uso pubblico, FATTA SOLENNE pPRO- MESSA CHE SARÀ ADEMPIUTO ALLE PRESCRIZIONI TUTTE contenute non tanto nel citato contratto di vendita, quanto nel presente contratto di donazione come nella legge dell’8 luglio 1883, n. 1461 (conservazione delle gallerie, ecc.). Questa pinacoteca, come dall’art. 13 del suddetto contratto di vendita, è costituita dai quadri e dagli oggetti d’arte contenuti e descritti nell’elenco lett. U annesso al contratto, raccolti in NOVE CAMERE E UN GABINETTO (più pochi altri fuori di galleria e cioè nell’appartamento di ricevimento, nella cappella e in un magazzino) (vedi elenco dei quadri ed altri oggetti della Galleria Corsini quale fu riconosciuto nel verbale di consegna 17 settembre 1883). L’art. 14 del contratto ricordato stabilisce che lo Stato dovrà conservare la Pinacoteca a pubblico uso; dice che esso POTRÀ TRASPORTARLA ALTROVE, purchè sempre in Roma ed ANCHE RIUNIRLA AD ALTRE PINACOTECHE. Da quanto sopra è stato esposto risulta chiaramente : 10 che la pinacoteca costituiva la galleria Corsini che occupava locali del palazzo in NUMERO BEN DETERMINATO e comprendeva i QUADRI E GLI OGGETTI D’ARTE ELENCATI LOCALE PER LOCALE, nell’allegato al contratto e nel verbale di consegna ; — 507 — 20 che questa pinacoteca è STATA DONATA ALLO STATO coll’obbligo di. conservala al pubblico perpetuo uso, colla facoltà di trasportarla altrove in Roma ed anche di RIUNIRLA ad altre pinacoteche, e colla solenne promessa che sarà. adempiuto a tutte le prescrizioni del contratto di donazione. Con lettera del 22 marzo 1895, n. di partenza 1588, il ministro della Pubblica Istruzione (G. Baccelli) informava il presidente della Accademia (F. Brioschi) che aveva divisato di RIUNIRE IN UNO IL MEGLIO DELLA GALLERIA Corsini, Tor- LONIA, MONTE DI PIETÀ NEI LOCALI DELLA GALLERIA CORSINI, e diceva che GLI ALTRI DIPINTI, quelli residuali DAL MEGLIO, ADORNASSERO LE SALE DELLA ACCA- DEMIA, mentre le copie e i quadri di esigua importanza sarebbero collocati in TRE STANZE CHE IL PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA VORRÀ DESTINARE. Chiedeva al presidente di accogliere la proposta e il presidente, avutane autorizzazione dal. Consiglio di Amministrazione (verbale adunanza 23 marzo 1895), con lettera del 26 stesso mese accettava. Si trattava dunque soltanto di collocare il MEGLIO delle tre gallerie (gli oggetti VERAMENTE DEGNI, come è seritto in altra lettera dello stesso ministro al presidente stesso data, n. di partenza 1587) NEI LOCALI. DELLA GALLERIA CORSINI, cioè in un numero di sale ben determinato e cono- sciuto. Gli altri quadri delle tre gallerie si dovevano distribuire nelle sale acca- demiche PER SEMPLICE ORNAMENTO. Il ministro informava il presidente della Accademia che aveva incaricato il prof. Tadolini di reggere la direzione della GALLERIA CORSINI (così è ancora chia- mata), e che a lui avrebbe potuto fare la consegna DEL MATERIALE ARTISTICO E DEL MOBILIO DELLA GALLERIA. Il che fu fatto dal commesso Cecchi per delega- zione del presidente. Furono poi collocati nelle sale accademiche i quadri che dovevano servire, come sopra è detto, per IL LORO ORNAMENTO. Il Ministero intanto, senza che risulti dagli atti che fosse informata l’Accade- mia, trasformava la Galleria Corsini in GALLERIA NAZIONALE DI ARTE ANTICA, trasformazione contro la quale moveva reclamo il principe Corsini nel luglio del 1895 al presidente della Accadenmia, richiamando l’attenzione sulle condizioni del contratto di vendita e dell’atto di donazione. i Da allora l'Accademia non seppe più nulla della pinacoteca Corsini. Non risulta da documenti in atti che l'Accademia sia mai stata informata di quanto si faceva dal Ministero, dalla Direzione generale delle belle arti e dal di- rettore della Galleria Nazionale di arte antica; ma è certo che nuovi quadri venivano man mano collocatinelle sale dell’Accademia e che quelli che già vi erano venivano spostati, sostituiti con altri, così che tutti i locali della Accademia sono stati a poco a poco occupati. i Soltanto una volta, forse in seguito ad osservazioni verbali fatte dalla Acca- demia, il direttore della Galleria Nazionale e Gabinetto delle stampe (nuova istituzione della quale non risulta che l'Accademia sia stata informata) inviava — 508 — al segretario dell’Ufficio di Presidenza ing. E. Mancini, in data 1° dicembre 1902, n. protoc. 1506, una lettera colla quale ci trasmetteva UN ELENCO DEI QUADRI CONSERVATI NEI LOCALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI, DAL QUALE CHIA- RAMENTE RISULTA QUALI ERANO I QUADRI CHE CIASCUNA SALA AVEVA PRECEDEN- TEMENTE E QUALI SONO QUELLI CHE IN ESSE ORA EFFETTIVAMENTE SI TROVANO. Da questo elenco e da due altri che l'Accademia possiede (elenchi Tadolini) risulta ancora una volta lo spostamento della disposizione dei quadri NEI LOCALI ACCADEMICI, con occupazione di ogni vano anche nella Biblioteca, nei locali concessi all’Istituto Storico Italiano, ece. ecc. Dopo il 1902 l'Accademia non è più stata informata di quanto riguarda la pinacoteca Corsini. Sta però di fatto che la Direzione della Galleria Nazionale di arte antica considerava i locali accademici e il palazzo dell’Accademia come aggregati in servizio della Galleria medesima, anche perchè il numero dei quadri andava sempre più crescendo e si voleva ad ogni costo collocarii. Fu specialmente in questi due ultimi anni che, senza alcuna richiesta di auto- rizzazione, la Direzione della Galleria andava facendo un nuovo spostamento di quadri che, senza alcuna comunicazione alla Amministrazione, veniva compiuto, almeno da quanto riferisce l’economo, durante le ultime vacanze accademiche, con un vero cambiamento nella qualità, numero, disposizione, collocamento dei quadri delle sale accademiche, riducendone il numero, sostituendo i migliori, di- sponendoli in modo che non risponde alla ornamentazione ma a criteri speciali della Direzione della Galleria. La quale, a mezzo della Direzione generale delle helle arti, pretende ancora nuovi locali per collocarvi i molti quadri ammucchiati persino nel Gabinetto delle Stampe ! Da quanto è sopra esposto risulta : 1° che nel 1895, DI PIENO ACCORDO TRA LA PRESIDENZA DELLA ACCADEMIA E IL MINISTERO DELLA ISTRUZIONE, venivano riuniti nei locali della Galleria Cor- sini gli oggetti VERAMENTE DEGNI, CIOÈ IL MEGLIO delle Gallerie Corsini, Torlonia e Monte di Pietà, mentre i dipinti di quelle collezioni, che non appartenevano ai veramente degni, avrebbero servito di ADORNAMENTO DELLE SALE ACCADEMICHE ; 2° chel’Accademia aveva accolto soLTANTO la proposta di collocare NELLE SALE DELLA GALLERIA CORSINI ANCHE le più egregie opere delle Gallerie Torlonia e Monte di Pietà, ed AVEVA coNcESSO che si collocassero SEMPLICEMENTE PER OR- NAMENTO delle due sale i quadri meno degni, i quali quindi dovevano servire PER USO DELLA ACCADEMIA; 3° che la Direzione della Galleria nazionale di arte antica, invadendo senza ‘alcun diritto e senza autorizzazione quasi tutti i locali del palazzo accademico, ritenne che i locali accademici fossero adibiti ad uso della Galleria, e, senza chie- dere autorizzazione e darne notizia all'Accademia, fece e disfece nelle sale accade- miche e in tutti i locali dell’Accademia ; disponendo, levando, sostituendo quadri ripetutamente come se fosse in casa propria, accumulando persino nelle sale del — 509 — “Gabinetto delle Stampe una quantità di quadri, e pretendendo ora di avere dalla Accademia altri locali per collocarli ; i 40 che all'Accademia perciò viene ad essere imposto anche l’onere della, ‘custodia di quadri dei quali non conosce nè il numero, nè gli autori, nè il valore artistico e venale, e che si sono andati continuamente cambiando e sostituendo. Questo deplorevole stato di cose non può, non deve continuare. Che se 1° Ac- cademia ha avuto il torto di non provvedere a tempo opportuno, provveda al- meno ora, e, facendo rilevare a chi di ragione il modo di procedere della Direzione «della Galleria di arte antica, rientri una buona volta nel pieno possesso dei suoi diritti. 3. — La collezione delle stampe. Coll’art. 12 del contratto di vendita del palazzo Corsini allo Stato, nella stessa maniera più sopra ricordata, usata per la Galleria, i principi Corsini FANNO DO- NAZIONE ALLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI DELLA BIBLIOTECA, confermandola ‘coll’atto definitivo di donazione rogito Gaetano Magalli del 17 settembre 1883 sopraricordato, nel quale atto è detto che i principi Corsini DÀNNO, CEDONO, E TRASMETTONO ALLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI LA BIBLIOTECA, perchè un’opera così gloriosa sia degnamente conservata secondo gli intendimenti voluti dagli antenati principi Corsini fondatori. E la donazione è accettata per parte della Accademia dal suo Presidente (Q. Sella). In questo atto di donazione sì trova la SOLENNE PROMESSA, FATTA per l’Ac- cademia da parte del suo Presidente, che sarà ADEMPIUTO ALLE PRESCRIZIONI TUTTE contenute non tanto nell’atto di vendita quanto nell’atto di donazione, come nella legge 8 luglio 1883, n. 1461. Come risulta dall’art. 13 del contratto di vendita, la Biblioteca comprende LE STAMPE, I DISEGNI, 1 libri, i codici e i relativi scaffali contenuti nelle nove sale o stanze nel lato nord al primo piano, dei quali, per ordine dello stesso articolo, fu poi redatto il catalogo « da rappresentanti dei signori principi Corsini, della Reale Accademia dei Lincei e del Governo ». L’art. 15 dello stesso contratto di- spone poi che « la Reale Accademia dei Lincei sarà obbligata di conservare la Bi- blioteca a pubblico uso col nome di Corsiniana e TENERLA SEMPRE NON SOLO IN RomA MA ANCHE IN TRASTEVERE come dispose il cardinale Neri Corsini, uno dei ‘fondatori della Biblioteca stessa ». Da quanto precede risulta chiaro e incontestabile : 1° che la Biblioteca, e quindi tutto ciò che la costituisce (STAMPE, DI- SEGNI, libri, manoscritti), è stata DONATA dai principi Corsini ALLA REALE Acca- 'DEMIA, DEI LINCEI; 2° che di conseguenza l'Accademia stessa è LA SOLA ED UNICA PROPRIE- ‘TARIA della Biblioteca medesima e quindi di tutto ciò che la costituisce ; RenpICcONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sem. 66 — olo 3° che la Biblioteca deve rimanere nel palazzo accademico e almeno sem- pre nel Trastevere ; 4° che alla Accademia spetta la consERVAZIONE della Biblioteca e quindi di TuTTo quanto la costituisce, e, di conseguenza, di stabilire le modalità per questa conservazione. Con lettera del 22 marzo 1895, n. di partenza 1587, il Ministro della Istruzione: (G. Baccelli) scriveva al Presidente dell’Accademia che « st POTREBBERO CON- VENIENTEMENTE ESPORRE NELLA SALA NONA DELLA GALLERIA CORSINI LE STAMPE PRINCIPALI della raccolta conservata nella Biblioteca e disporre le altre nel modo tenuto al Gabinetto delle stampe di Berlino, entro cassette in ordine di tempo e di autori ». E chiedeva al presidente se voleva accogliere favorevolmente questa proposta, nel qual caso avrebbe disposto per la sua definitiva attuazione. Il Presidente (F. Brioschi), in seguito ad approvazione del'Consiglio di Ammi- nistrazione (verb. adun. 23 marzo 1895), con lettera del 16 marzo 1895, n. pro- toc. 11, accoglieva favorevolmente la proposta, perchè essa SODDISFACEVA AL DESIDERIO ESPRESSO DA LUNGO TEMPO, che la preziosa raccolta delle stampe donata alla Biblioteca dell’Accademia potesse essere esposta IN PUBBLICO IN MODO CONVENIENTE. Il Ministro, con lettera 30 marzo 1895, n. protoc. 1604 ringrazia il presidente della Accademia PER IL FAVORE CON CUI AVEVA ACCOLTA LA PROPOSTA DEL- L’AssETTO della insigne raccolta delle stampe e dei disegni. Risulta dagli atti che 1°8 aprile stesso anno 1895, eon lettera n. protoc. 16, il Presidente della Accademia mandava al comm. Tadolini — indicato dal mi- nistro insieme col dr. P. Kristeller per la consegna delle stampe — il PROGETTO. DI CONVENZIONE FRA IL MINISTERO E L'ACCADEMIA PER LA CONSEGNA CONDIZIO-- NATA DELLE STAMPE. Ma in atto questo progetto non si trova. Dopo questa data, dall'Archivio non risulta più nulla. Si sa però che nel 1898 11 ministro della Pubbhea Istruzione (L. Cremona), in seguito a relazione di una commissione incaricata di esaminare l'andamento dei lavori nel Gabinetto delle Stampe annesso alla Galleria nazionale di arte antica — della raccolta delle quali RIMANE PROPRIETARIA L'ACCADEMIA DEI LINCEI, men- tre la Direzione della Galleria NE HA SEMPLICEMENTE IL DEPOSITO — per adottare: PROVVEDIMENTI PIÙ UTILI PER LA PIENA TUTELA DEL MATERIALE ARTISTICO DEPOSITATO E PER IL MIGLIOR ANDAMENTO DEL SERVIZIO, con decreto ministe- riale del 17 giugno 1898 istituiva una COMMISSIONE DI VIGILANZA, della quale venivano chiamati a far parte un rappresentante della Accademia (presidente), uno del Governo, uno del Comune di Roma e il direttore della Galleria nazio- nale d’arte antica. La quale Commissione di vigilanza aveva incarico di mettere in regola gli atti di consegna, sorvegliare la esatta catalogazione, riconoscere quali stampe: avessero bisogno di lavatura, prendere in consegna il sigillo col quale dovevano. — 511 — essere bollate tutte Je stampe prima che si procedesse alla remozione di esse dai volumi nei quali si trovavano ; verificare se nei lavori di restauro o di lavatura si procedeva secondo le migliori norme. Questa Commissione — alla quale avrebbero potuto aggregarsi uno o due eruditi nelle cose d’arte, la cui cooperazione si ritenesse necessaria — era incari- cata anche di redigere e sottoporre alla approvazione del Ministro un regolamento per il Gabinetto delle stampe, nel quale fossero indicate anche le norme da tenere per l’esecuzione dei lavori e le proposte per il personale che dovrà attendervi. Ditutto questo è cenno soltanto nel verbale del Consiglio di Amministrazione del 3 luglio 1898, nel quale si trova che IL PROF. MONACI DÀ NOTIZIA DI PROVVEDI- MENTI PRESI PER IL RIORDINAMENTO DEL GABINETTO DELLE STAMPE. Pare che questa Commissione di vigilanza, presieduta dal rappresentante della Accademia, abbia proposto il regolamento per il Gabinetto nazionale delle stampe del quale sopra è detto, perchè in archivio esiste, senz’altro, una copra DI UN REGOLAMENTO PER IL GABINETTO NAZIONALE DELLE STAMPE IN ROMA, che appare sia stato approvato dal Ministro. Con questo regolamento sistabilisceilmodo di compilazione dell’inventario, le norme per le riparazioni alle stampe bisognose di restauro, per la registra- zione, schedatura, bollatura, modo di dare in consultazione agli studiosi, fare i prestiti, trarre copie, fare esposizioni ece. Questo regolamento contiene anche la disposizione seguente : « Entro il mese di luglio DI OGNI ANNO il direttore manderà al Ministero E ALL’ACCADEMIA DEI LiNncEI una particolareggiata relazione sull'andamento del- l’Istituto, indicando i nuovi acquisti, i restauri eseguiti, ilavori fatti ai cataloghi e ì più urgenti bisogni e i mezzi per provvedervi ». Delle riunioni della Commissione di vigilanza non risulta nulla negli atti, che io sappia. Il soLo DocuMENTO relativo a questo Gabinetto delle stampe è l’unica Re- lazione (senza data) del direttore Federico Hermanin al presidente della Com- missione di vigilanza prof. E. Monaci e da questi inviata al presidente della Accademia con lettera senza data, e presentata alla Accademia nella adunanza del 17 gennaio 1906 della classe di scienze morali (ved. Rendic. ser. 5%, vol. XV, 1906, pag. 354). Il presidente Monaci scrive nella sua lettera che, di quanto sì fece dal 1896, fu ragguagliato di TeMPo IN TEMPO il Ministero, e che mandava orala relazione perchè l'Accademia, PUR SEMPRE PROPRIETARIA DI QUESTO TESORO (valutato a non meno di tre milioni), aveva diritto di essere informata. Ma la relazione del direttore contiene ben poche cose relative alla consi- stenza della raccolta, alla sua sistemazione, al bilancio, al personale. Dal 1906 ad oggi, malgrado l’obbligo della relazione annuale, non risulta più nulla in atti. L'Accademia proprietaria è completamente messa da parte. Tutto è fatto dal Direttore, il quale pare si sia arbitrariamente sostituito alla — 512 — Commissione di vigilanza. Egli ha fatto anche esposizioni con invito da parte della Direzione del Gabinetto, senza che l'Accademia s1a nemmeno nominata. Il Direttore si rivolge però all’Amministrazione e all'Accademia soltanto per chiedere continuamente e con insistenza, privatamente e a mezzo della Direzione generale delle belle arti, locali e locali per la sistemazione delle stampe mentre l'Accademia, pur avendo sempre vivissimo il desiderio di disporre degna- mente la sua collezione delle stampe (che si trova attualmente in locali riem- piti disordinatamente di quadri) non lo può fare, avendo essa stessa bisogno urgente di locali specialmente per la sistemazione della Biblioteca. Da quanto è stato riassunto in questa parte della relazione, risulta : 1°) che nel 1895 l'Accademia accoglieva la richiesta fatta dal Ministero della, Istruzione di esporre nella sALA NONA della Galleria Corsini le stampe principali della raccolta Corsiniana di proprietà assoluta della Accademia, e di sistemare le altre; 20) che, istituito più tardi il GABINETTO DELLE STAMPE, veniva nel 1898 istituita anche una COMMISSIONE DI VIGILANZA per il gabinetto medesimo ; 3°) che il direttore del Gabinetto DOVEVA PRESENTARE OGNI ANNO ALL’Ac- CADEMIA UNA RELAZIONE sull’andamento del Gabinetto delle Stampe ; mentre invece nel periodo 1898-1921 fu presentata una sola vorra (1902); 4°) che la Commissione di vigilanza e l'Accademia furono messe comple- tamente da parte, e ìl Direttore arbitrariamente si sostituì alla Commissione stessa; 5°) che mentre il Gabinetto delle stampe come la Galleria Corsini, ha i suoi locali ben definiti, il direttore del Gabinetto, che è anche direttore della Galleria, con la continua insistente richiesta di locali mostra di ritenere che tutto il palazzo accademico debba servire per la Galleria e per il Gabinetto, e quindi che non l'Accademia accolga nel suo palazzo la Galleria e il Gabinetto, ma che questo e quella diano ospitalità all'Accademia. Ora anche questa condizione di cose deve cessare al più presto possibile, e la Commissione di vigilanza e l'Accademia devono immediatamente riprendere i loro diritti e richiamare la direzione del Gabinetto delle stampe alla osservanza serupolosa dei suoi doveri. E questo anche perchè l'Accademia è obbligata, come lo Stato, per l’art. 19 del contratto di vendita del palazzo Corsini, di osservare quanto è disposto nel contratto stesso E DI NULLA FARE O PERMETTERE AD ALTRI DI FARE SOTTO QUA- LUNQUE TITOLO CONTRO DI ESSO. L’Accademico Amministratore Prof. RomuALDO PIROTTA. — 513 — OPERE PERVENUTE IN DONO ALL'ACCADEMIA 4 dicembre 1921. AmecHIno F. — Obras completas y corre- spondencia cientifica. Vol. I: Vita y obras del Sabio; vol. II: Primeros tra- bayos cientificos. La Plata, 1913. 8°, pp 1-391, 1-765. Amopeo F. — Un’applicazione del teorema di Nicolò de Martino sulle volte a padiglione (Estr. dal « Bollettino di matematica», anno XVII). Bologna, 1921. 8°, pp. 1-4. Amopeo F. — Anales del Congreso Nacio- © nal de la Industria minera. Tomos I, II, III, IV, V. VI, VII, VIII. Lima, 1919-21. 89, pp. rin, 1-691, 1-9], i-viti, 1-208, r-1v, 1-98, 1-vi, 1-143, I-v, 1-168, 1-96. BaLpacci A. — Contributo alla flora au- tunnale ed invernale dei dintorni di Vallona (Estr. dal « Nuovo Giornale botanico italiano n, vol. XXV, pp. 70- 86). Rocca S. Casciano, 1918. 8°. BeGuINnoT A. — Anomalie fiorali costanti in una forma coltivata di Veratrum nigrum L. (Istr. dal « Bullettino della Società botanica italiana », nn. IV-IX, pp. 51-54). s. 1. 1920. 8°. Beguinor A. — Brevi notizie sulla Digi- talis Ambigua Murr. e sulle forme af- fini in rapporto alla loro variabilità (Estr. dal « Bullettino della Società botanica italiana», 1921). s. 1 1921. 8°, pp. 1-8. BeguInoT A. — Commemorazione del prof. Pier Andrea Saccardo (Estratto dagli «Atti e Memorie della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova », vol. XXXVI). Padova, 1920. 8°, pp. 1-39. Beeuinor A. — Contributo alla flora au- tunnale ed invernale dei dintorni di Vallona (Estr. dal « Nuovo Giornale botanico italiano», vol. XXV, pp. 70- 86). Rocca S. Casciano, 1918. 8°. Beguirnor A. — La Botanica. Roma, 1920. 12°, pp. 1-116. È Beuinor A. — La Palma nana (Chamae- rops humilis L.) e l'industria del crine vegetale iu Sicilia (Estr. dal « Bol- lettino di studi ed informazioni del . R. Giardino coloniale di Palermo n, vol. V, fasc. ITI-IV). Palermo, 1921. 8°, pp. 1-12. Beeuinor A. — L'Istituto e l'Orto bo- tanico della R. Università di Padova negli anni scolastici 1919-20 e 1920- 21. Padova, 1921. 8°, pp. 1-16. Becuinor À. — Nuovi dati sul polimor- fisme sessuale nei generi Chamaerops L. e 7rachycarpus Wendl. (Estr. dal « Nuovo Giornale botanico italiano », vol. XXV). Rocca S. Casciano, 1918. 8°, pp. 1-7. BecuinoT A. — Ricerche culturali sulle variazioni delle piante eseguite negli anni 1915-1919 (Estr. dagli « Atti del Reale Istituto Veneto di Scienze, Let- tere ed Arti», tomo LXXIX, pp. 345- 875). Venezia, 1920, 8°. BéeGuINnot A. — Ricerche intorno al poli- morfismo della Stellaria media (L.) Cir. in rapporto alle sue condizioni di esi - stenza. Parte III, fasc. I, II. Padova, 1920. 8°, pp. 1-144, 145-196. BeGuInor A. — Risultati generali sul po- limorfismo sessuale nei generi Cha- maerops L. e Trachycarpus. H. Wendl. (Estr. dagli « Atti e Memorie della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova» vol. XXV, pp. 177-185). Padova, 1919. 8°. BecuInor A. — Schedae ad Floram Ita- licam exsiccatam, serie III, fasc. XIV. Sancasciauo, 1921. 8°, pp. 176-244. Beeuinor A. — Sopra un interessante Tascadium esistente nel R. Orto Bo- tanico di Padova (Estr. dal « Bollet- tino della Società botanica italiana », n. IV-IX, 1920, pp. 55-60).s. 1.s. d. 89. Benson W. N. — Tectonic Conditions ac- companying Intrusion of Basic and ultra Basic Igneous Rocks (From the « Bull. Geol. Soc. Am.», vol. XXXI, pp. 145-148). s. 1 e s. d. 89. Benson N. W. — T'he Geology and Petro- logy of the Great Serpentine Belt of New Sonth Wales (From the « Pro- ceedinos of the Linneau Society of New South Wales», vol. 45, pp. 286- 423). Sydney, 1920. 8°. Bizzozero E. — Malattie della pelle. To- rino, 1922. 8°, pp. 1-x11, 1-140. Boschi ed acque nella pro incia di Gorizia. Gorizia, 1921. 89. pp. 1-68, Bossirre R, E. — Le réglement d'avaries du grand abordage. Paris, 1921. 129, pp. 1-36. Canpiani G. — Filosofia naturale e teoria delle onde. Padova, 1921. 89, Cavazzi D. — Grassi B. L'anofele può propagare la malaria anche diret- tamente? Nota II « Rend. Accademia Lincei», vol. XXX, fasc. XI (Estr. dalla « Rassegna delle Scienze biolo- giche », anno III, pp. 106-111). Firenze, 1921. 8°. Corties A. L. — Sir Normau Lockyer, 1836-1920 (Repr. from the « Astro- physical Journal», vol. LIII, pp. 233- 248). Chicago, 1921. 8°, De DonpeR Th. — La gravifique Ein- steinienne. Paris, 1921. 4°, pp. 1-198. De VeccHi P. — Modern Italian Surgery and old Universities of Italy. New York, 1921. 8°. pp rxvi, 1-249. De Tonr G. B. — Intorno un gigantesco pesce catturato nell'Adriatico (Estr. dagli « Atti del Reale Istituto Veneto — 514 — di Scienze, Leltere ed Arti», tomo LXXX, np 126-129). Venezia. 1921. 8°. DeLGRosso M. — Sopra un caso di accre- scimento parallelo nell’argentite di Freiberg (Estr. dal « Bollettino della Società geologica italiana », vol. XL, pp. 48-50). Roma, 1920 8°. Favaro A. — I lettori di matematiche nella Università di Padova dal prin- cipio del secolo XIV alla fine del XVI (Estr. dalle « Memorie e documenti per la Storia della Università di Pa- dova», vol. I). Padova, 1921. 89. pp. 1-70. Figaro F. — Superficie di scorrimento e forme di rottura varie nei solidi tesi o compressi (Estr. dal « Giornale del Genio civile, anno LIX). Roma, 1921. 8°, pp. 1-30. Forti A. — Studi sula Flora della pit- tura classica veronese (Estr. dal « Bol- lettino Madonna Verona », anno XIV, pp. 57-228). Verona, 1920. 8°. FRANcHETTI A. — Studi ed osservazioni sulla pellagra (Estr. da «Lo Speri- mentale », anno LXXV). Firenze, 1921. 8°; pp. 1-94. Gaspa L. — Giovanni Celoria. Notizie della sua opera scientifica (Estr. dalle « Memorie della Società Astronomica italiana», vol. I). Roma, 1921. 8°, pp. 1-10. GaLLETTI DI CapilHac. R. C. — The Framewoch of Wireless Telegraphy. Cambridge, 1921. 8°. pp. 1-48. HaLpane J. S. — Organism and envi- ronment as illustrated by the Physio- logy of Breathing. Oxford, 1917. 8°, pp. r-xX1, 1-188. HaLpane J. S. — Handbook to the Nor- man Lockyer Observatory. London, 1921. 12°, pp. 1-85. TvaLpi G.— Ilrendimento delle macchine (Estr. dalla «Scienza per tutti», n, VI). Milano, 1921. foll. IvaLpi G. — La pressione d'urto e quella dei gas secondo il metodo sperimen- tale (Estr. dal « Politecnico », n. VI- VII). Milano, 1921. 8°, pp. 1-36. IvaLpi G. — La teoria eterea della luce, del calore, dell’elettricità secondo il metodo sperimentale (Estr. della «Ri- vista tecnica d’elettricità e delle in- venzioni»). Milano, 1921. 4°, pp. 1-24. Lustie A. — Gli effetti dei gas asfissianti e lagrimogeni studiati durante la guer- ra (1916-1918) (Estr. dal «Giornale di medicina militare »). Roma, 1921. 8°, pp. 1-31. LustIiG. A. — Studi di osservazioni sulla pellagra (Estr. da « Lo Sperimentale », an. LXXV). Firenze, 1921. 8°, pp. 1-94. MARTELLI U. — Commemorazione di Odoar- do Beccari. Firenze, 1921. 8°, pp. 1-61. Mascart. J. — Notes a propos de quel- ques mesures d’étoiles doubles (Extr. du «Bulletin astronomique », tome I, fasc. III, 1921). s. 1., 1921. 8°, pp. 1-16. PeyRoneL B. — Un interessante parassita del lupino non ancora segnalato in Italia, Blepharospara terrestris(Sherb.) Peyr. (Estr. dai « Rendiconti della R. Accademia dei Lincei. », vol. XXIX, pp. 194-197). Roma, 1920. 8°. PeyRoneL B. — Report of the Committee on British petrographic Nomenclature (Repr. from the « Mineralogical Maga- zine», vol XIX, pp. 137-147). London, 1921. 89. SirvestrI F. — Contribuzioni alla coro- scenza biologica degli Imenotteri pa- rassiti. V. Sviluppo del Platygaster dryamyiae Silv. (Fam. Proctotrupidae (Estr. dal « Bollettino del Laboratorio di Zoologia generale e agraria della R. Scuola superiore d’Agricoltura in Portici», vol XI, pp. 299-326). Por- tici, 1921. 89. SiuvestrI F. — Notizie della Cicala gri- giastra (Z'ettigia orni L.) sulla Cicala maggiore (Cicada plebeja Scop.), sui loro parassiti e descrizione della loro larva neonata e della ninfa (Estr. dal « Bollettino del Laboratorio di Zoo- logia generale e agraria della R. Scuola superiore d’Agricoltura in Portici », vol. XV, pp. 121-204). Portici, 1921. 89. SKINNER D. H. — Culture Areas in New Zealand (Estr. dal «Journal of the Polynesian Society», pp. 71-78). s.1. es.d. 8°, SKINNER D. H. — Shell Adzes of the Maori (From the « Journal ofthe Polynesian Society», vol. XXIX, pp. 200-201). s. 1. CISSROMESO! SKINNKER D. H. — The Awanui (Or Kai- taia) Pare. s.1. e s.d. 89, pp. 1-3. VarLor J. -— Annales de l’Observatoire métegrologique physique et glaciaire du Mont Blanc. Tome VIII. Paris, 1917. 40, pp. I-vI, 1-240. WALLEN A. — Sur le contròle des annonces de tempétes (Extr. de « Geografiska Annaler ». 1921, pp. 267-277). s.l. e s. d. 8°. Zeppa C. — Sopra un modo di usare gli areometri a volume costante per de- terminare la densità dei liquidi. Ca- gliari, 1921. 8°, pp. 1-6. Zeppa C. — Sulla evaporazione dell’acqua. Risultato delle osservazioni fatte nel venticinquennio 1893-1917 nel R. Os- servatorio meteorologico di Cagliari. Cagliari, 1921, 8°, pp. 1-16. ZEEMAN P. — Verhandelingen over Magneto- optische Verschiynselen. Leiden, 1921, 89, pp. 1-xv, 1-841. INDICE DEL VOLUME XXX, SERIE 5°. — RENDICONTI 1921 — 2° SEMESTRE. INDICE PER AUTORI A ABETTI. « Sulle determinazioni di diffe- renze di longitudine mediante la tele- grafia senza fili ». 18. — « Sul confronto fra osservazioni visuali e fotografiche delle nebulose ». 47. — « Sulla massa e il moto proprio del sistema 40 Eridani ». 460. AGAMENNONE. « I terremoti mondiali del 1916 e l’Osservatonio di Rocca di Papa n. 60; 363. Agostini. Ved. Mazzetti. — Ved. Parravano. ALBIS. « Indici di rifrazione della cancri- nite, della zunyite e della orangite ». 472. ANGELI. « Sopra il comportamento e la proprietà di alcuni derivati aroma- tici ». 341. ARMELLINI. « Sopra il limite interno della zona asteroidica ». 201. ARrtINI. « Sulla presenza della nesqueho- nite nelle cave d'amianto di Franscia in Val Lanterna ». 153. Artom. « Dati citologici sul tetraploidismo dell'artemia salina di Margherita di Savoia (Puglia) n. 66. B BeDARIDA. « Sopra il numero delle classi di forme aritmetiche definite di Her- mite ». 259; 303. — « Le classi di forme ‘aritmetiche di Dirichlet appartenenti ai generi della specie principale ». 485. BeLARDINELLI, « Sulla risoluzione delle equazioni algebriche mediante le fun- zioni ipergeometriche ». 208. BenkDETTI. « Intorno alla morfologia del cervello di Proteus anguineus e sull'esistenza del suo nervo ottico (contributo allo studio comparativo del sistema nervoso centrale degli Anfibî). 429, Boggio. « Sul teorema di reciprocità delle funzioni di Green ». 488. Bompiani. « Caratterizzazione intrinseca di elementi lineari rispetto al paral- lelismo n. 168. — « Proprietà differenziale caratteristica delle superficie che rappresentano la totalità delle curve piane algebriche di dato ordine ». 248. — « Sulle varietà contenenti più serie di superficie totalmente geodetiche n.395, — 516 — Bompiani. Invia in esame la sua Memoria: « Proprietà differenziali caratteristiche di enti algebrici n; 388. È approvata: 477. Borzì. Annuncio della sua morte. 388. BRUNELLI. « Sulla presenza della Melea- grina nel mare libico ». 195. — « Sulla specie mediterranea del genere Meleagrina ». 230. BrunI. G. « Analisi termica del sistema zolfo-p.diclorobenzolo ». 158. — e PrtizzoLa. « Sulla presenza del man- ganese nella gomma greggia, e sul- l'origine della peciosità n. 37. BrunI A. C. « Osservazioni sul tappeto lu- cido dei mammiferi domestici ». 285; 395. BuraLi-FortI. « Su i numeri reali e le grandezze ». 26. C UampPeTTI. « Sul potenziale di risonanza e di ionizzazione nei vapori misti di sodio e di potassio con mercurio ». 261; 360. CARDANI. « Disposizione sperimentale per amplificare * l’effetto foto-elettrico Hallwacs-Righi ». 478. CasteLNUOVO (Segretario). Presenta le pub- blicazioni giunte in dono, segnalando quelle dei Soci Fantoli, Favaro, Se- veri ecc. 389. — Comunica un invito per il Congresso internazionale di Geologia che si terrà nel Belgio a metà del prossimo anno. 390. Ceca. « Sur les surfaces dont toutes les courbes de Segre sont planes ». 491. CeruLLI. Osservazioni sulla Nota del pro- fessore Agamennone: « If terremoti mondiali del 1916 e l'osservatorio di Rocca di Papa ». 366. CuHisini. « Le superficie elettriche il cui determinante è un numero composto ». 172; 251; 305. Crusa. « Sulla scomposizione dello io- dolo n. 468. CLEMENTI. « Sulla deamidazione enzima» tica dell’asparagina in diverse specie animali, e sul significato fisiologico della sua presenza nell’organismo ».. 198. Comanpucci - CorTINI. « Tylomyces. gummiparus n. sp., prototipo di un nuovo genere di Ifomiceti. Carat-- teri morfologici ». 68; 113. Comucci. « Sopra un basalto e un calcare a glauconite di Campofiorito presso Palermo ». 220. — « Sulla composizione chimica della stil- - bite elbana ». 330. Corsino. « Azione di un campo magne-- tico sul flusso di calore ». 7. — « Sulla teoria dell'effetto Thomson ». 39. CorRonEI. « Sull’influenza della nutrizione- con tessuti iodati d’invertebrati sulle. larve di Bufo vulgaris ». 149. — « Nuove ricerche sperimentali sullo sviluppo e sulla metamorfosi degli: Anfibî anuri (sui problemi inerenti agli innesti tra larve a litio e larve normali di Bufo vulgaris) n. 484. — Invia in esame la sua Memoria : « Cor- relazioni e differenziazioni (ricerche sperimentali sullo sviluppo degli An- fibî) ». 388. Crocco. « Constatazioni sulle scìe aero-- dinamiche n. 345. Cusmano. « Sopra la tautomeria della buc-- cocanfora e una trasformazione del mentone in tetraidrocarvone ». 224. D D'Ancona. « Osservazioni sugli strati li-- mitanti esterni dello ialoscheletro nelle forme larvali dei Murenoidi ». 385; 432. DE AnceLIs. « Sulla forma cristallina della cusparina CioHigNO; n. 328. De Frore. « Di un solfuro di ferro delle fumarole sottomarine di Vulcano (is ole Eolie), formatosi nel 1916 ». 142. De STEFANI. « Silicospongie fossili della. Liguria occidentale n. 437. E EisenHarT. « Sulle trasformazioni T dei, sistemi tripli coniugati di superficie ».. 399. — 517 — F FonreBAsso. « Divisori di un numero ». 212. FrancHI. « Notizie sopra alcune interes» santi formazioni del Supracretaceo del bacino di Eraclea nell'Asia Mi- nore ». 280; 332 FrasseTTO. « Delle relazioni fra il peso e la statura dell'uomo adulto ». 501, G GortANI. « La serie paleozoica delle Alpi Carniche », 100. — « L’Ordoviciano nel Caracorùm orien- tale ». 183. — e Vinassa pe ReGny. « Su l’età e po- sizione di alcuni scisti delle Alpi n. 140. GranpI. « Intorno al ciclo biologico del- l'Aploneura lentisci Pass. (Hemiptera-Homoptera-Aphidoidea) ». 107. Grassi. « Razza biologica di Anofele che non punge l’uomo. Un singolarissimo caso di anofelismo e paludismo senza malaria ». 11. — « L'anofele può propagare la malaria anche direttamente? n. 245. — « Razze biologiche di anofeli n. 344, I Jucci. Invia in esame la sua Memoria: « Sulla differenziazione delle caste nella società dei Termitidi. I Neote- nici n; 388. È approvata; 477. K KauHanow10z, « Potere emissivo di alcuni metalli ed ossidi ». 132. — « Punti di trasformazione di alcuni metalli e leghe, in rapporto al potere emissivo ». 178. KrALL. « Una nuova teoria dello sposta- mento delle linee spettrali ». 309. L LA Rosa. » Conducibilità e potere termo- elettrico nel campo magnetico, se- condo la teoria elettronica ». 57. RenpIcONTI. 1921, Vol. XXX, 2° Sem. Levi-Crvita. Fa omaggio di una pubblica» zione del seminario matematico della Università di Amburgo. 889, LippMANN. Annuncio della sua morte. 388. Longo. « Su la vite selvatica della ma- remma ». 393. M MADERNI. « Un nuovo caso di integralità nel problema dei due corpi di massa variabile ». 176. MarsTRINI. « Contributo alla conoscenza degli enzimi. VII. Sulla ricomparsa del potere amilolitico della saliva umana, abolito dall’acido cloridico », 237. Maggi. « Calcolo della discontinuità delle derivate di ordine superiore dello spo- stamento di equilibrio elastico ». 71. Masorana. « Sull’assorbimento della sra- vitazione ». 75; 289; 350; 442, Mammana. « Sulle relazioni fra le misure di un insieme variabile e dell'insieme suo limite ». 355. MartiRoLO. « Contributo alla micologia ipogea della Venezia Subalpina. Os- servazioni sopra due Ipogei della Ci- renaica e considerazioni intorno ai ge- neri Tirmania e Perferia », 478. MAzzETTI e Agostini. « Nuovo metodo di dosaggio dell’arsenico negli acciai n. 311. MazzuccueLLI e Rosa. « Solubilità del perclorato ammonico nell'acqua ». 270. — e PapoccHia. « Sopra l’azione dei gas finamente divisi ». 469. Mezzetti. Ved. Sborgi. MiLLosevicÒ. È eletto Segretario aggiunto. 504. Montesano. « Sulla teoria generale delle corrispondenze birazionali dello spa- zio n. 447. MorpPurgo. « Conseguenze della nefrecto- mia nei topi siamesi diseguali ». 13. N NALLI. « Sopra un’equazione funzionale ». 85; 122. — « Sopra alcuni sviluppi in serie ». 295; 405; 451. — 518 Neri. Invia in esame la sua Memoria: « Le colonie vegetali xerotermiche della val di Susa e l'ipotesi ‘ lacu- stre’ del prof, L. Buscalioni »; 486. È approvata; 477. P PanicHi. « Su la ‘ Italite® e la ‘ Vesbite ’ di H. S. Washington ». 370. PaAoLINI. « Carvomentoli levogiri dal fel- landrene ». 265; 312. — « Carvomentoli attivi dalla riduzione del carvone con platino ». 371. Papoccnia. Ved. Mazzucchelli. PARRAVANO e Agostini. « Influenza di im- purezze gassose sulla ricristallizza- zione dell'oro e dell'argento ». 481. PasseRINI. « L'ossidazione dell’acetil-p— aminoazobenzolo ». 137. PeLIzzoLA. Ved. Bruni G. PeROTTI. « Per la conoscenza dei rapporti fra microrganismi e pianta verde »: 233. ‘Persico. « Realizzazione cinematica del parallelismo superficiale ». 127. — Ved. Tieri. Perucca. « La misura delle differenze di potenziale vere al contatto, col me- todo di Lippmann-Pellat ». 54. PEYRONEL. « Un Ifomicete dai conidi me- soendogeni: Menispora micro- spora n. sp. ». 29. Picone. « Sulla equazione integrale di Fredholm a nucleo non limitato », 90. — « Nuova dimostrazione della necessità della condizione di Jacobi ». 410. Pieroni. « Azossiammidi e pirroli ». 267. — « Azossiammidi e diazocomposti ». 374, — « Di alcuni prodotti di ossidazione del pirrolo ». 316. Pirorta. Relazione dell’Accademico am- ministratore intorno al Palazzo, alla Pinacoteca e al Gabinetto delle stampe, approvata nella adunanza del 16 di- cembre 1921 dal Consiglio di presi- denza che ne deliberava la pubblica- “zione. 504. PontREMOLI. 4 Sul luogo fisico delle fran- gie nella doppia rifrazione acciden- tale meccanica di un liquido in moto piano permanente ». 216. — Invia in esame la sua Memoria: « La doppia rifrazione accidentale mecca- nica nei liquidi »; 388. È approvata; 477. PratoLonGo. « 1l punto di ebullizione delle miscele idroalcooliche-zucche- rine n. 320. — «I punti di ebullizione delle miscele idroalcooliche a diverse pressioni ». 419. Preti. Ved. 7raetta-Mosca. Q QuercieH. « Sulla lublimite di Sassari ». 282. R RavENNA. « Sulla costituzione dei dipeptidi dell’acido aspartico ». 424. RemoTTI. « Temperatura e migrazioni ver- ticali delle uova di T'eleostei n. 146. Ròrri. Annuncio della sua morte. 477. RomanESsE. « Sulle modificazioni morfolo- giche delle cellule coltivate ‘in vitro * al momento della morte ». 337. Rosa. Ved. Mazzucchelli. RoverETo. « Lo svolgimento dei fenomeni carsici ». 104. — « Lo svolgimento della morfologia co- stiera n. 427. S SaccarpI. « Pirrolo e melanuria ». 185; 227; 273. Sapuppo. Invia in esame la sua Memoria: « Sul fenomeno dell’assorbimento gra- vitazionale n. 388. Ssorci e MezzeTTI. « Sui borati. Sistema (NH.)30 — B,0,—H;0(a0?e a 102)». 189. SBRANA. « Sull’equazione delle vibrazioni trasversali di un'asta solida, elastica e omogenea n. 256; 300. — « Sopra certe equazioni integrali con- siderate dal prof. Tedone ». 492. — 519 — Scorza. « Sugli integrali abeliani riduci- bili ». 359. SERENI. « Ricerche morfologiche sul pre- parato centrale di rospo ». 110. SEVERINI. « Sopra i sistemi complemen- tari dei sistemi non chiusi di funzioni ortogenali n. 92; 129. SisrranI. « Sulle curve di Bertrand ». 41. SowieLiANA « Sulla profondità dei ghiac- ciai ». 3. STEFANINI. « Sulla costituzione geologica della Cirenaica: II. Terreni oligoce- nici, miocenici e postpliocenici ». 50. T TANTURRI. « Un’espressione nuova dei nu- meri bernoulliani ». 44. TenanI. « Sul calcolo dell'energia del vento ». 867; 414. TeRRACINI. « Sul modulo delle forme con- tenenti una varietà di Segre r. 95. Tigri. « Birifrangenza magnetica dei fumi prodotti da un arco ad elettrodi me- tallici ». 263. — e Persico. « L'effetto Hall nel Bismuto solidificato nel campo magnetico ». 464. ToGLIATTI. « Sulle varietà a tre dimen- sioni e di quart'ordine che son luoghi di almeno oo! rette ». 22. TraettA-MoscA e PRETI. « Azione del- l’Aspergillus glaucus sulla gli- cerina ». 324. Tricomi. « Su di una classe di equazioni alle derivate funzionali ». 402; 456. — « Sulle equazioni lineari alle derivate L parziali di 2° ordine, di tipo misto ». 495. V Vinassa DE Reeny. Ved. Gortani. VioLa E. « Il ‘ Cinematografo parlante * di Emilio Zeppieri ». 416. Visco. « Sul valore alimentare dei semi dell’Ervum Ervilia ». 241; 276; 379. ViraLI. « Sulla condizione di chiusura di un sistema di funzioni ortogonali ». 498. VoLTERRA (Vicepresidente). Nell'’inaugurare l’anno accademico pronuncia alcune parole di saluto per i Colleghi. 388. — Annuncia la morte del Socio nazionale Borzì e del Socio straniero Lippmann. 388; del Socio Aditi. 477. — Comunica i ringraziamenti degli Acca» demici di nuova nomina e aggiunge che il prof. /. Giolitti non ha accet- tato la nomina a Corrispondente. 389. — Fa menzione di alcune pubblicazioni del Socio straniero Lacroix e dei sige. Eddington e Evans. 389. — Presenta i pieghi suggellati inviati dai signori Barricelli, Bianco, Bruni, Pais e Pastori, e dà comunicazione di un voto dell’Accademia Reale di scienze fisiche e matematiche di Napoli. 390. Z ZaMBONINI. « Sui cristalli misti stereoiso- meri nella serie clinozoirite-epidoto ». 80; 117; 162; 203. — 520 — INDICE PER MATERIE A AntROPOLOGIA, « Delle relazioni fra il peso ela statura nell'uomo adulto ». F. Fras- setto. 501. Astronomia. «Sul confronto fra osserva- zioni visuali e fotografiche delle nebu- lose n. G. Abetti. 47. — Sulle determinazioni di differenze di longitudine mediante la telegrafia senza fili». /d. 18. — «Sopra il limite interno della zona asteroidican. G. Armellini. 201. — «Sulla massa e il moto proprio del sistema 40 Eridani ». 460. B BATTERIOLOGIA AGRARIA. « Per la cono- scenza dei rapporti fra microrganismi e pianta verde n. A. Perotti. 283. BroLogra. « Dati citologici sul tetraploi- dismo dell’Artemia salina di Margherita di Savoja (Puglia) n. C. Artom. 66. — «Sulla presenza della Meleagrina nel mare libico n. G. Brunelli. 195. — «Sulla specie mediterranea del genere Meleagrina». /d. 230. — « Osservazioni sul tappeto lucido dei mammiferi domestici ». A. C. Bruni. 285; 335. — « Nuove ricerche sperimentali sullo svi- luppo e sulla metamorfosi degli Anfibî Anuri (Sui problemi inerenti agli inne- sti tra larve a litio e larve normali di Bufo vulgaris)». G. Cotronei. 484. — «Osservazioni sugli strati limitanti esterni dello ialoscheletro nelle forme larvali dei Murenoidi ». Z. D'Ancona. 385; 432. — «Intorno al ciclo biologico dell’ A plo- neura lentisci Pass. (Hemiptera- Homoptera-Aphidoidea)»n. G. Grandi. 107. — « Razza biologica di Anofele che non punge l'uomo. Un singolarissimo. caso di anofelismo e paludismo senza malaria ». B. Grassi. 11. BroLoGIA. « Razze biologiche di anofeli ». Id. 344. — «Temperatura e migrazioni verticali delle uova di Teleostei». . Remotti. 146. — « Sulle modificazioni morfologiche delle cellule coltivate ‘ în vitro * al momento della morte ». A. Romanese. 387. — « Ricerche morfologiche sul preparato centrale di rospo». E. Sereni. 110. BoranIca. «Tylomyces gummiparus n. sp., prototipo di un nuovo genere di Ifomiceti. Caratteri morfologici ». J. Comanducci Gortini. 63; 113. — « Contributo alla micologia ipogea della Venezia Subalpina. Osservazioni sopra due Ipogei della Cirenaica e considera- zioni intorno ai generi Tirmania e Perferia». 0. Mattirolo. 478. — AGRARIA. «Su la vite selvatica della Maremma ». 393. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. 390; 513. C CaHimica. « Sopra il comportamento e le proprietà di alcuni derivati aromatici ». A.lAngeli. 341. — «Sulla scomposizione dello iodolo ». È. Ciusa. 468. — « Sopra la tautomeria della buccocan- fora e una trasformazione del mentone in tetraidrocarvone ». G. Cusmano. 224. — «Nuovo metodo di dosaggio dell’arsenico negli acciai».C. Mazzetti e P. Agostini. 811. — « Carvomentoli levogiri dal fellan- drene n. V. Paolini. 265; 313. — « Carvomentoli attivi dalla riduzione del carvone con platino ». /d. 371. — «Influenza di impurezze gassose nella. — 521 — ricristallizzazione dell’oro e dell’argen» to n. M. Parravano e P. Agostini. 481. ‘Chimica. « Aziossiammidi e pirroli ». A. Pieroni. 267. — «Di alcuni prodotti di ossidazione del pirrolo ». /d. 316. — « Azossiammidi e diazocomposti n. /d. 374. — «l'ossidazione dell’acetil-p-aminoazo- benzolo n. //. Passerini. 137. — «Il punto dì ebullizione delle miscele idroalcooliche-zuccherine ». Y. Prato- longo. 320. — «I punti di ebullizione delle miscele idroalcooliche a diverse pressioni ». Id. 419. — «Sulla costituzione dei dipeptidi del- l'acido aspartico n. C. Ravenna. 424. — «Sui borati. Sistema (NH,)s0-B,03-H20 (a 0° e a 10°)». V. Sborgi e L. Mea- zetti. 189. — «Azione dell'Aspergillus glaucus sulla glicerina ». . T'raetta- Mosca e M. Preti. 324. CHIMICA APPLICATA. «Sulla presenza del manganese nella gomma greggia, e sull’origine della peciosità n». G. Bruni e C. Pelizzola. 31. CHimica BIOLOGICA. « Pirrolo e melanuria ». P. Saccardi. 185; 227; 273. Chimica Fisica. « Analisi termica del siste- ma zolfo-p-diclorobenzolo rn. G. Bruni. 158, — «Solubilità del perclorato ammonico nell'acqua». A. Mazzucchelli e A. Rosa. 270. CHIMiIca FISIOLOGICA. « Sul valore alimen- tare dei semi dell'Ervum Ervilia»n. S. Visco. 241; 276; 379. CHimicA GENERALE. « Sopra l’azione dei gas finamente divisi ». A. Mazzucchelli e B. Papocchia. 469. CRISTALLOGRAFIA. « Sulla forma cristallina della cusparina Cio H,y NO; ». M. De Angelis. 328. E ELEZIONI. Elezione del Socio 7. Jillo- sevich a Segretario aggiunto. 504. F Fisica. « Sul potenziale di risonanza e di ionizzazione nei vapori misti di sodio e di potassio con mercurio ». A. Cam petti. 261; 360. — « Disposizione sperimentale per ampli- ficare l’effetto foto-elettrico Hallwacs- Righi n. P. Cardani. 478. — «Azione di un campo magnetico sul flusso di calore ». 0. M. Corbino. 1. — « Sullateoria dell'effetto Thomson ». /d. 83. — «Potere emissivo di alcuni metalli ed ossidi». M. Aahanowicz. 132. — «Punti di trasformazione di alcuni me- talli e leghe, in rapporto al potereemis- sivo ». /d. 178. — «Conducibilità e potere termoelettrico nel campo magnetico, secondo la teoria elettronica n. MJ. La Rosa. 57. — «Sull’assorbimento della gravitazione ». Q. Majorana. 75; 289; 350; 442. — «La misura delle differenze di poten- ziale vere al contatto, col metodo di Lippmann-Pellat ». £. Perucca. 54. — «Sul luogo fisico delle frangie nella doppia rifrazione accidentale mecca- nica di un liquido in moto piano per- manente n. A. Pontremoli. 216. — « Birifrangenza magnetica dei fumi pro- dotti da un arco ad elettrodi metallici ». L. Tieri. 263. — «L'effetto Hall nel bismuto solidificato nel campo magnetico n. /d. e £. Per- sico. 464. — «Il'Cinematografo parlante’ di Emilio Zeppieri «. E. Viola. 416. FISICA MATEMATICA. « Una nuova teoria dello spostamento delle linee spettrali », G. Krall. 309. — «Calcolo delle discontinuità delle deri- vate di ordine superiore dello sposta- mento d’equilibrio elastico ». A. .I/agg:. hl FisicA TERRESTRE. « I terremoti mondiali del 1916, e l'osservatorio di Rocca di Papa ». G. Agamennone. 60; 363. — « Osservazioni sulla Nota del prof. Aga- mennone: ‘I terremoti mondiali del — 522 — 1916 e l'Osservatorio di Rocca di Papa” ». V. Cerulli. 366. FisicA TERRESTRE. « Sulla profondità dei ghiacciai n. C. Somigliana. 3. FisroLogia. « Sulla deamidazione enzima» tica dell’asparagina in diverse specie animali, e sul significato fisiologico della sua presenza nell’organismo ». A. Clementi. 198. — « Contributo alla conoscenza degli enzimi: VII. Sulla ricomparsa del potere ami- lolitico della saliva umana, abolito dal- l’acido cloridrico ». D. Maestrini. 237. — « Conseguenze della nefrectomia nei topi siamesi diseguali ». B. Morpurgo. 13. FistoLoGIA COMPARATA. « Sull' influenza della nutrizione con tessuti jodati d’invertebrati sulle larve di Bufo vulgaris». G. Cotronei. 149. G GroLocia. « Notizie sopra alcune interes» santi formazioni del Supracretaceo del bacino di Eraclea nell'Asia Minore n. S. Franchi. 280; 332. — « La serie paleozoica delle Alpi Car- niche ». M. Gortani. 100. — « Sulla costituzione geologica della Ci renaica. II: Terreni oligocenici, mio- cenici e postpliocenici n. &G. Stefa- mini. 50. — uSul’età e posizione di alcuni scisti delle Alpi ». M. Gortani e P. Vinassa de Regny. 140. GeromorFoLogIa. « Lo svolgimento dei fe- nomeni carsici n». G. Rovereto. 104. — «Lo svolgimento della morfologia co- stiera ». /d. 427. M MATEMATICA. « Sopra il numero delle classi di forme aritmetiche definite di Her- mite n. A. Bedarida. 259; 303. — «Le classi di forme aritmetiche di Dirichlet appartenenti ai generi della specie principale n. /d. 485. MATEMATICA. « Sulla risoluzione delle equa- zioni algebriche mediante le funzioni ipergeometriche ». G. Belardinelli. 208. — « Sul teorema di reciprocità delle fun- zioni di Green ». 7. Boggio. 488. — « Caratterizzazione intrinseca di ele- menti lineari rispetto al parallelismo ». E. Bompiani. 168. — « Proprietà differenziale caratteristica. delle superficie che rappresentano la totalità delle curve piane algebric he di dato ordine ». /d. 248. ; — « Sulle varietà contenenti più serie di superficie totalmente geodetiche:»n. /d. 395. — «Suinumeri reali e le grandezze «. C. Burali-Forti. 26. — «Sur les surfaces dont toutes les cour- bes de Segre sont planes ». E. Cech. 491. — «Le superficie ellittiche il cui deter- minante è un numero composto ». 0; Chisini. 172; 251; 305. — « Sulle trasformazioni T dei sistemi tripli coniugati di superficie n. Z. P: Eisenhart. 399. — « Divisori di un numero ». P. A. Fon- tebasso. 212. — «Sulle relazioni fra le misure di un insieme variabile e dell'insieme suo limite n. G. Mammana. 355. — «Sulla teoria generale delle corrispon- denze birazionali dello spazio ». D: Montesano. 447. — « Sopra un'equazione funzionale ». P. Nalli. 85; 122. — « Sopra alcuni sviluppi in serie ». /d. 295; 405; 451. — « Realizzazione cinematica del paral- lelismo superficiale ». E. Persico. 127. — « Sulla equazione integrale di F redholm a nucleo non limitato ». M. Picone. 90. — « Nuova dimostrazione della necessità della condizione di Jacobi ». Id. 410. — « Sull’equazione delle vibrazioni tras- versali di un'asta solida, elastica e- omogenea n. F. Sbrana. 256; 300. — 523 — MATEMATICA. « Sopra certe equazioni inte- grali considerate dal prof. T'edone ». F. Sbrana. 492. — «Sugli integrali abeliani riducibili ». G. Scorza. 359. — « Sopra i sistemi complementari dei sistemi non chiusi di funzioni orto- gonali n. C. Severini. 92; 129. — « Sulle curve di Bertrand ». /. Sibt- rani. 4l. — « Un’ espressione nuova dei numeri bernoulliani ». A. Tanturri. 44. — « Sul modulo delle forme contenenti una varietà di Segre n. A. T'erracini. 95. — « Sulle varietà a tre dimensioni e di quart'ordine che son luoghi di almeno 00° rette ». E. G. Togliatti. 22. — «Su di una classe di equazioni alle derivate funzionali ». F. Tricomi. 402; 456. — « Sulle equazioni lineari alle derivate parziali di 2° ordine, di tipo misto ». Id. 495. — «Sulla condizione di chiusura di un sistema di funzioni ortogonali n. G. Vitali. 498. Meccanica. « Constatazioni sulle scìe aero- dinamiche n. G. A. Crocco. 345. — « Un nuovo caso di integrabilità nel problema dei due corpi di massa va- riabile ». C. Maderni. 176. — «Sul calcolo dell’energia del vento ». M. Tenani. 367; 414. MicoLoGia. « Un Ifomicete dai conidi me- soendogeni: Menispora micro- spora n. sp. ». 8. Peyronel. 29. MingraLogia. « Indici di rifrazione della cancrinite, della zufizite e della oran- gite n. M. Albis. 472. — Sulla presenza della nesquehonite nelle cave d'amianto di Franscia in Val Lanterna n. E. Artini. 153. — « Sulla composizione chimica della stil- bite elbana n. P. Comucci. 830. — « Sulla tublinite di Sassari ». 7. Quer- cigh. 282. — <« Sui cristalli misti stereoisomeri nella serie clinozoisite-epidoto n. FM. Zam- bonini. 80; 117; 162; 203. Morrotocia. « Intorno alla morfologia del cervello di Proteus anguineus e sull’esistenza del suo mervo ottico. (Contributo allo studio comparativo del sistema nervoso centrale degli An-- fibî) n. E. Benedetti. 429. N NecRoLoGIE. Annuncio della morte del Socio nazionale Borz?, 388; del Socio straniero Lippmann, 388; del Socio. nazionale Roici, 477. p ParEontoLogiA. Silicospongie fossili della. Liguria occidentale n. C. De Stefani. 437. .— « L'Ordoviciano nel Caracorùm orien-. tale ». JM. Gortani. 183. ParassitoLOGIA. « L’anofele può propa- gare la malaria anche direttamente ? ». B. Grassi. 245. PreTROGRAFIA. « Sopra un basalto e un calcare a glauconite di Campofiorito presso Palermo n. P. Comucci. 220. — « Sula ‘Italite* e la ‘ Vesbite ’ di H. S, Washington n. Y. Panichi. 370. R RELAZIONE dell’ Accademico amministra- tore, intorno al Palazzo, alla Pinaco- teca e al Gabinetto delle stampe, approvata nella adunanza del 16 di- cembre 1921 dal Consiglio di presi-. denza che ne deliberava la pabblica- zione. A. Pirotta. 504. V VuLcanoLogia. « Di un solfuro di ferro delle famarole sottomarine di Vulcano (Isole Eolie), formatosi nel 1916 n. O. De Fiore. 142. ti Vi dt, i Vate pieni Sbrana. Sopra certe equazioni integrali considerate dal. prof. ‘Tedone (pres. dal Cor- ERRO IO RO LA pap 492 Tricomi. Sulle equazioni lineari alle derivate. parziali di 2° ordine, di tipo misto (pres. ili CA RE I A a I Vitali. Sulla condizione di chiusura di un sistema di funzioni ortogonali (pres. dal Cor- dis l’ MPRBEEIOE e . Frassetto. Delle relazioni fra il peso e la statura nell’uomo adulto (pres. dal Socio Ciamician) > (DL © (a ELEZIONI \ Risultato. della votazione per la elezione-del Segretario aggiunto . . ........ * 504 COMUNICAZIONI VARIE Relazione dell'Accademico Amministratore, intorno al Palazzo, alla Pinacoteca e al Ga- binetto delle stampe, approvata nella adunanza del 16 dicembre 1921 dal Consiglio di presidenza che ne deliberava la pubblicazione. 0.0.0... ISAINSROZRENO A BIBIMTOGRAFICOL A I RUI TI TTI RM Dl IRR PE VON I NRE e e EI a ASTE a RO Pa RIA a e e na RENDICONTI — Dicembre 1921. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Sell del 18 dicembre 1921. Volterra (Vicepresidente). Dà annuncio della morte del Socio Roîti, e toglie la soduta insegno Mil lutto; i xi e (OR RELAZIONI DI COMMISSIONI Bompiani, Proprietà differenziali caratteristiche di enti aleebrici (Castelnuovo rel. è Lemar a ERO PONE AO AES I Pontremoli. La doppia rifrazione “accidentale meccanica nei liquidi (Zevi-Civita rel. e CAROTE A: i n, SE Negri. Le colonie vegetali xerotermiche della Val di Susa e l'ipotesi lacustre del pro- fessore L. Buscaglioni (Mattino sa PRO ORIERI Jucci. Sulla differenziazione delle caste. nella socvetà dei Termiliti: i Neotenici (Si ves rele GIS TE COLI NOS MEMORIE K NOTE DI SOCI ® Mattirolo. Contributo alla Micologia Ipogea della Venezia Subalpina. — Osservazioni sopra due Ipogei della Cirenaica e considerazioni intorno ai generi Tirmania: e Perferia (*) CCL REZZA Cardani. Disposizione sperimentale per amplificare l’effetto foto-elettrico Hallwaes-Righi Parravano e Agostini. Influenza di impurezze gissose sulla ricristallizzazione dell'oro e dell'argento. 3 iL SRO ORA ION NOTE PRESENTATE DA SOCI Bedarida. Le classi di forme aritmetiche di Dirichlet appartenenti ai generi della specie principale. Nota I (pres. dal Corrisp. Fubizi) — & . i. SE Boggio. Sul teorema di reciprocità delle funzioni di Green (pres. dal Socio Zevi- Civita) Cech. Sur les mo dont toutes ‘les courbes de Segre sont planes (pres. dal Corrisp. TUA AR Sen a ae CERO AR E (#4) Questi lavori saranno pubblicati nei volumi delle Iemorie. {Segue în terza pagina). KE. Mancini, Cancelliere dell’ Accademia, responsabile. > CA ved, € UR gd Ig dè LIRA pe 4% dei SRI I Tola PONTE 49% vi fa} ini STAI Hi TT ANA pu Va sli di RE î alt RA n. E IE e Ar» PI eo TTECESTINNNOE al A M O] rene My T i ‘ 4 «sil UVE IRR ME IFICCILII i TTT Pa ALATI TM n SAMIR ° i or A 2.4 Aa dl ear, ui C) he Pr, ge” A a; Na, n pboncabhe i, fa rrepent,. Î| i A ESA ACT alta ZIA \ag® è ill REA AS LN qa za Py. PIPIPIPIAONINNA Rai MOLLI IIa Argan. PNT LLL supra HESEGAIO TIA COTORERIRERARRARNA]] IC Argsibl 216 ZZAAA Suo. fo pih Bi 4 ; A, i 2 A Aug af ala) barman phi (ai < Mq), \TTYAA f [a II si n ì E aio Av 4 MALA Ad e p-aors A, © La SS ERAA "#1 E (RRRR Y dan. / NN, SGRARISNRARA LI, AA ( Pop. gr LIRA Ta An PA pis 4, a AV 7 par -44, A Ac %, TL sd legal allo 5 an [ TAL Ù 4 4 ANY LA L Pi = tc A VII Ar I ' RA LIT ite v "i selen, alii: rata da; VALI ia l'agin i AMATE Cina di ES ULDT Man Me LAN # Nes 4: Aa x ! INTONA YA ARG piana: seguo DIL ajdazsa Th i VA & 9 ì id I I s (di al Nar > AAT e rine I ; ‘ Îipseso se lbbggigf 00 Pre AROTA SIA, sm (ILLE: PRETE SCIA Rd TITTI {| puntini, piasattru, i Jug USLLLI INR Annie AMMO une n "Por fregtesì Lo ef lacca DAD °° LIL hp, - LEacrggf TT | P) RIST TLELEnE PEJEPS auRi j È PUPO \ SP col sE 5: o fa No iesr a i. i BIOLA SPRAGII A lar Lee La 9 A Mr (SSPII fa rsa” È fi"! ‘> | stdizoo, ‘° peer VA perenne: NI, auisé : ne M Da VA III Aragi TO (| O Ne RARA INISIAA Ne è RISI YO > e, PRA | do” "ar [I 2 Lal IRAN Li, LA PAIETAA dI ONT LO fi a di Sq. nii LEALI Ti . dna bi È 9A 7 FR ìi | v vee NALO My 154 "o ve P DAI ML Aide Mrwss) AA MISSILI AGALITTO MIRA ila ee UL RIPARA e, HI Rao Ax È al \ ba. u 1 al o°-+ ire Vv fera »,? for prof re0s0* Frei al PRIA 48 28° Ag mn MANTRA hr alia ai Ala REAZIONE E VIEZARAA I \ | III i VÀ ta ate A PRESSA COTTE, Art dra ot al MAr di i a ia MA "t' ora so der ?*1! Ne fritto a ai Al TUT, ] ARI LAU ì IATA nuù si CURA patita MR ont vr frpa VIT (NINE La LIT af SA " | Rossa” coma” r Vit] i LEI A N i © ibescnen natante cover th A P'esi " ì Suly Na ft a E LINA ‘nerpporto, pt dl apr Max i Lara Vaglio rate MINNA E RSENZVE VARE avg... ni | NAVI IVUCLITAI ate Lafigia na... NELL) tiola W4 NINOILIVI IEILLITITTTITAAAf ! RIEN d- * LSULLORAE Ra + Paper? 2 sala LÌ Abu A A hag gi i laid |. i! siga «alia VELITI M ETIKTTL nopdastPgr®* PRIIZIA poorset LÀ DIA, PIPLIMOrI ì does! # ‘\ Y r N°" nia lthà ì Verne Arppd9 AA 4 nei; LIS b unt! Prr ARS careucgi pref. even pls zi vii ALI 2a vv i qa A 2 Ar Way, ‘ ij À i i ci anrPW zi z3d » lat UNE rea e È Si LITRO A ail i SAI Apia 00 IA... pe sggi’ e feti 0. LI P, Ve use gen ——_= iam Te = NAVALE ws 7 eRILIARAA == 5 Piadete . PIRA LI Sane 2 aebara s= ea VI aid N sg ita : N88 E° UT ho i ITA miu Ve ANA ug, di SUNEBTY “i (I PS rar i ; 3 dj ®» è. i=5 e cn VOLEE SeREnaLi: a pini 49 A Saggi e "Ai Na Ar 2082 0n, ee LITE î coli de dA sa9* FITTA 21}. MATO | PESI ott CEI SÌ pagg 0 tal 2 9 AT Pero Naga PREHTIIATTE x I VALLE "pid Messi A TAO ARI i MR = PIL - dI ‘ sob ui "> aL ap |P. Ra AE da w a Wi allea 3% TITTI sn = R 7 isà e SRRRIIA =, i di = MALI ALT Aka TAO AA n MERI tr li Li LI] SRRIRE | iù PAARA:! SUANA cu MIZIMRRIRA 1 1, pe ia IS N DIA mA 944900, i 1) ai PT i, : x Ù REDINI ARRE a a dà, TR bd n) CEI tatti aa. Zazie, Parto | Lee phi Mb : ò Peio CALATI AR a aan » ì @ $ \ A Ba a Mt anAaysupglt AR Ani ade VE pensa ALU Lotte Mb drpare Maasheo, g È pa ® o) . È & à DUE Liù SZ Nu i e LIV VIVIFI a; Ao RARA RAR ALI Î| gara MANA, Van x ARA, Bin ino | AAAIRA N°, al ee I YA Vada ANT / D) Adani, hi la Pini PR ai - î ieialele/ 7 Tr) TT Yor vago cn bi} via TE sa 4{T1 NOTI, ou # è Sie MA puis PALI TT A RI VV NS Ap A AMINA A Apa Pad ni INÒE, alii a2Aa,o,: An 3A n° INS Rana; Sini Ma TSE us ACRI TAR Mii TL ARR NOI I! È Paga ni in 3 pe» L | Yu Maia: N e sue 4e xa se À cdi FIR ARIDO. DIAM) potter nti e AA D" Nesi \ /UyX A RL ; ran tne an ar Pei, lado DIA, i 1, o Nalhra EN Ppedo anta VIZIBA: II Pill, I) dichia. IVI ua pre SRPRE IN7ION Sogn “«Up A Pao, Id fi a cita 9 Pero, 4? Peebig. i De Re” 1 PERE rasa: DERRAR PRE TA MY Yy AN nadia a nAGli si Aha EDI E-IR mantar 43 # naro ie PISSSI | n psi : | sm E a ; di INTATTI II IRrrenanonto RON pa Mat VILTITNO LL Lila ITTITL x È | \ LI N i Liar SM nni ..- dear n apo BL ALII a MAT and LS INPRRI VV TE IT Tinta vwèred nt “AA VLAN vit tao Missa i dr wash a IOPINTÌ do: Sa SY FERRI: MS9 "aa "ha Naga % | VI, RIA: Pl 29° sa pdl 7 LI } A Mad N Lf pr na A n n si fine TN9S \S VLILUYPA ti De 4042001" VADIONIOI ] 2) AREA A KS das. : Wa, Di a SAVATTOÌ ri NUR] 45 -9 a & 3 >» vo o TERI e ULNRAI re voi RRIGARI 2% 20) r fAARA, te SAR Lella ‘2%, 9 a TTT al ag lana i v dui > sa a A sell eta PA fi TT ALIA Da TATRTI BIT Maglio ARIIRRARA ; ì & di Qi x® Tal = n n_a® Za AR , a 4 èÈ lag a "n NIRA? 44,0 È ® NC al I AS tab ‘A LA Sta A vin ii È MTA Veri 1A Lerma lPTIPIRE igm ii copuritit ga