7) osculatore ad una curva uscente dal punto ha in
generale per dimensione quella dello $(7) aumentata di s-r (purchè, ben
inteso, il numero ottenuto sia = x): se sulla superficie esiste una curva,
nei punti della quale quello spazio congiungente abbia dimensione minore,
chiamo la curva quast-asintotica Yr,s (i due indici 7, s dànno gli ordini
di osculazione dei due spazi osculatori alla superficie e alla curva il cui
spazio congiungente ha dimensione minore di quella che si avrebbe per una
curva generica).
Il teorema è il seguente:
Se lo S(k) osculatore generico di una superficie ha dimensione rego-
k(k +43)
2
essa è la superficie razionale normale F3° di Sra+s) che rappresenta la
lare e se la superficie possiede co? quasi-asintotiche Yr_ryk+1
‘totalità delle curve piane di ordine k. Quelle yn-rsn+1 appartengono ad
Sk e sono le curve razionali normali C* della superficie.
da
8. Dimostriamo il teor. per X = 2. Posto a = —
dI ELA
sulle y,.3 sono legati linearmente su di esse i punti (le cui coordinate si
ottengono ponendo l’indice ? alle x):
e To,= Ts(T,)
Do 00, LL ela, 400973, Fa +30 Lr02)
ove
F, — 730 + 3a*t, — Srl, - ax98T8 ;
ciò può esprimersi scrivendo che sulle 71,3
il
I
Î
| 00° + 2a, +-a0%7,°
| Fa + B(011 + ate
intendendo con questa notazione di annullare i determinanti del 5° ordine
estratti dalla matrice (a 5 righe ed x + 1 colonne).
Alle equazioni così indicate non è in generale possibile soddisfare ; ma
se per ipotesi sulla superficie esistono co * y1,3, le precedenti debbono ridursi
ad un'unica equazione differenziale del 2° ordine in #2; per la loro compa-
tibilità, considerate come equazioni lineari in 7, occorre e basta che,
qualunque sia t,, risulti (1)
(*) Questa, che per me è condiz. necess. e suffic. per l’esistenza delle 00? Yi, , è,
per z=5, l'equazione da cui parte il prof. Segre. “
4. Vogliamo provare che le y,,3, definite dalla (1), sono piane. As-
sunte cv! di esse come linee 7,(€7 = = 0), si ha
(3) g30 = (290, 210,00, %)
indicando la parentesi a secondo membro una combinazione lineare di 4 e
delle derivate scritte, i cui coefficienti, funzioni di 7, ,7,, sono indipendenti
dall'indice 7 delle x; in altri termini, si ha, per le scelta delle linee 7,,
un’equaz. lin. omog. a derivate parz. del 3° ordine, soddisfatta da tutte le x; .
In forza di questa, l’annullarsi del coefficiente di «, nella (2) dà l’altra
equazione
(4) a = (290,00, x10 20, 2)
{si potrebbero ricavare altre equazioni annullando nella (2) i coefficienti
delle successive potenze di 73, ma non ce n'è bisogno].
Scriviamo le condizioni d'integrabilità fra (3) e (4), tenendo conto che,
per essere S(2) = Ss, le x non possono essere soluzioni di equaz. a derivate
parz. lin. omog. del 2° ordine.
La derivata 31, tratta dalla (3), contiene x° se e solo se la (3) con-
tiene 7°! ; ma essa deve coincidere, in forza delle equazioni stesse, con la
espressione di x ricavata dalla (4) che 707% contiene x°® ; quindi, non esi-
stendo equazioni che permettano di esprimere x°* per mezzo di altre derivate
d'ordine < 3, nella (3) deve mancare x°', cioè si ha
(3) 23° — (290, g10 2)
e questa esprime proprio che le curve 7, , cioè tutte le y,,3, sono piane.
5. Si proietti ora la superficie, data in S,, da una sua corda sopra un
Sn-s: alle co! curve piane passanti per ciascuno dei punti di appoggio cor-
rispondono, sulla superficie proiezione, rette: questa è dunque doppiamente
rigata (non potendo i due sistemi di rette coincidere per la genericità della
corda) e non è piana, altrimenti la superficie data starebbe in S, contro la
ipotesi S(2) = S; ; quindi è una quadrica, e perciò la superficie data è la
Fi di Veronese, c. v. d.
— 251 —
6. I caratteri salienti del procedimento, che si conservano nella dimo-
strazione relativa al caso generale, emergono dalle osservazioni seguenti :
1) l’esistenza di 00° linee proiettivamente specializzate sulla super-
ticie, cioè la possibilità di soddisfare con una stessa funzione 7:(t,) alle con-
dizioni raccolte in (1), dà luogo ad un sistema di equazioni a derivate
parziali soddisfatte dalle coordinate di tutti i punti della superficie ;
2) l’uso (di alcune) delle condizioni d’integrabilità che hanno signi-
ficato geometrico evidente (e non di tutte; una sola nel caso trattato) dà
subito un carattere notevole di quelle linee (l’esser piane);
3) la determinazione della superficie (algebricità, ordine, ambiente)
segue ormai da sole considerazioni geometriche (senza più ricorrere alle
equazioni a derivate parziali del problema).
Matematica. — Ze superficie ellittiche il cui determinante
è un numero composto. Nota II del dott. OscAR CHISINI, presen-
tata dal Corrispondente F. ENRIQUES (').
3. Veniamo ora alla costruzione delle nostre superficie ellittiche F rap-
presentate sul cilindro ellittico ® di equazione g(xy) = 0, contato x volte,
avendosi una curva di diramazione composta delle sezioni 3 = cost.
Cominciamo col ricordare che quando un punto P del cilindro ® si
muove su di questo ritornando in sè stesso, gli x punti di F: P, P....Pa,
corrispondenti di P, subiscono delle sostituzioni che formano un gruppo
abeliano I° (*?); e poichè questo I ammette come sottogruppo il gruppo G
{delle sostituzioni che si ottengono movendo P sopra una sezione 4 = cost.
del cilindro) il quale è transitivo sugli x punti P), ... P,, segue che /° coin-
cide con G (infatti un gruppo abeliano transitivo possiede una sola opera-
zione che porti P, in P; ed ha ordine uguale al grado).
L'osservazione fatta esprime che la sostituzione relativa a una curva di
diramazione =" %; nel caso ciclico (in cui G è generato da una sola ope-
razione 7r) sarà del tipo ri, e nel caso non ciclico (in cui G è generato
da 7, e 71) sarà invece del tipo 7,71 7r,"2i .
Ora si potrà avere una superficie F avente il gruppo indicato scrivendo :
nel caso ciclico
(3) X=1w(xy)0(2) g(xy) = 0
Y=y,Z=z
con 0(2) = ZZ(e — ki)fi;
(1) Presentata nella seduta del 17 aprile 1921.
(2) Cfr. E. EnRIQUES, op. cit., $ 6 (pag. 18 dell'estratto).
— 252 —
e nel caso non ciclico
(4) \x_-V% (27) 6 geo (2y) ds(2 p(ey) = 0 *
ESM
con 0,()=I(— ki, 0,(c) = I(s — kijtei
(n="v,v,,v:= 0: con 9 > 1)
ove wv=0,w.,=0,w,=0 sono curve aventi un contatto d'ordine x — 1,
v\—1,v:—1, ovunque incontriamo la gp.
Conviene dire che la superficie F di cui si è scritta l'equazione è
proprio di determinante x e non minore di x quando la curva ellittica K
sia irriducibile.
La distinzione delle superficie F_ birazionalmente diverse, si collega
a quella della distinzione delle curve ellittiche n-ple K, tuttavia non coin-
cide con essa, potendosi avere superficie F_ diverse relative a curve K
identiche, non solo nel caso in cui siano differenti i sistemi di curve di
diramazione 2 = %;, ma anche nel caso in cui questi coincidano : il che
vedremo esattamente in una prossima Nota (n. 5).
4. Vogliamo ora esaminare quando la curva K rappresentata nei due
casi rispettivamente dalle equazioni (1) e (2) risulti irriducibile, e quando
si ottengano così funzioni X birazionalmene distinte.
Cominciamo dal caso ciclico, in cui G è generato da una sostituzione
= (1,2,..), e assumiamo come modello proiettivo della curva ellittica
una cubica g3(27)=0; su questa le rette del piano segheranno una gî
definita dalla relazione
ud us +u=0 (Mod. w,, 07)
essendo %,,»,%3z i valori dell'integrale ellittico w nei tre punti di un
gruppo della gì, ed @, , 0, i periodi di detto integrale relativi ai cicli A e B.
Si consideri ora una curva d'ordine x y(xy) =0 avente con @ tre
contatti x-punti: questi saranno definiti dalla relazione
n(u + 2 +3) =0 (mod. @, , ©):
qualora i tre contatti della w appartengano alla serie (n°592 parte della
g37 segata dalle curve di ordine x)
Sa (mod. 0), 03),
(12)
wtutuz=r7+s
la funzione
X=]W(cy), g(2y)= 0
— 253 —
ammette relativamente ai cicli A e B di g, le sostituzioni
dee (2)
essendo (1,2,...) la sostituzione che si ottiene moltiplicando il radicale
27T
_ d ae
no n°
E si avverta che se ” è un numero primo con x esiste una sostitu-
zione 7 che trasforma
per «= cos
AZ ini (125
È)
B==(1,2,... n) in 8'=(1,2,... n),
sicchè si ottiene una funzione X birazionalmenle identica alla precedente,
ove la curva w abbia i tre contatti appartenenti alla gî definita da
%w Ww
uu pu = DT +A87 (mod. 0), 63).
;
E non vi può essere altra X birazionalmente identica alla precedente:
infatti siano @' e 8" le sostituzioni relative ad A e B per una siffatta X:
saranno @' e #' simili ad @ e f, cioè
GA i ae
ma poichè @ e # generano tutto G, sarà 7 = a", e 7 = a'i8" riuscirà
una potenza di 77,77 =", onde appare che 7 trasforma 77 in n° e che l è
primo con n.
Tutte le possibili funzioni X, cicliche d'ordine x, si ottengono dunque
in corrispondenza di curve w, d'ordine 7, tritangenti alla 9; e la condi-
zione di irriducibilità è data, evidentemente, dall'essere primi fra loro i tre
numerì 7, s, 2, il che porta, come è chiaro, che i punti di contatto della w
non siano equivalenti a quelli di una curva di ordine m, divisore di x,
avente con tre contatti m-punti.
Ci conviene ora definire come szmzli (rispetto al numero x) due gruppi
D e D' di contatto di due curve w e w" quando appartengano alle due gî.
Wi Way
7 + 3% (mod. ws, 0) €
utbutu=r
un du + us = hr 4h 28 (mod. 0,, 03)
ove h è primo con x.
‘
(*) Cfr. la mia Nota in questi Rendiconti: Sulle superfici di Riemann multiple:
prive di punti di diramazione », 17 gennaio 1915.
RENDICONTI. 1921, Vol, XXX, 2° Sem. voi
— 254 —
Indicando con T un gruppo della g5 segato dalle rette, si vede che fra
i gruppi simili D e D' sussiste la relazione di equivalenza
D'+(f—1)T=4D (A primo con x)
-o la simmetrica
D+(4-1)T=%D' (X primo con x)
dove 44 =1 mod. x. ;
L'osservazione precedente dice che al gruppo D', simile al gruppo D,
- corrispondono le sostituzioni a' = a" , #" = #*, simili alle sostituzioni & e $
relative al D, e viceversa.
Pertanto si conclude che il numero delle curve z-ple ciclicle K, bira-
zionalmente distinte, è dato dal numero delle coppie di numeri 7 ed s
(compresi tra 1 ed x) primi con r, diviso per il numero dei valori % primi
con x e ad esso inferiori: ciascuna di queste K è definita in rapporto alla
posizione dei punti critici apparenti (contatti di w e ), avendosi fusioni
X di una stessa famiglia in corrispondenza a gruppi simili.
Passiamo ora al caso non ciclico.
La curva K, i cui punti si esprimono mediante due radicali d'ordine
v, @ », portanti su w, e w>, e della quale abbiamo assunto l’ espressione
@) x {aprano o
può essere considerata come la curva delle coppie dei punti omologhi di due
‘curve K, e K» di equazioni rispettivamente
DA Va
x=l/w, X:=/W: , (9(xy)=0
ove si assumano come omologhi due punti di K, e K, corrispondenti a un
medesimo punto di 4 (aventi uguali le coordinate x e y). Si vede così che
K riuscirà irriducibile (o meno) insieme alla detta corrispondenza [vs v}]
ira ene i”
Ora è chiaro che se le terne di contatto di y, e w. sono simili rispetto
a un numero v, divisore comune di v, e vs, le funzioni
v v
X=VW e X:=V/Ws.
‘risulteranno identiche, e puichè
v v
Xi (Ae a (Ko)
— 255 —
la corrispondenza suddetta si spezza in v corrispondenze, rispetto a ciascuna
delle quali i v, punti di K, (relativi a un medesimo punto di ) si divi-
dono in v gruppi T, di n punti, e similmente i v, punti di K3 si divi-
dono in v gruppi I di si punti.
E viceversa, se la corrispondenza [vs v] si spezzasse in »v corrispon-
denze, i v, punti di K, si dividerebbero in v gruppi T e i v, punti di
K, si dividerebbero in v gruppi 7:, avendosi corrispondenza biunivoca fra
iT,@iLT:; e poichè è chiaro che i gruppi FT e 73 sarebbero i cicli di 77) e
zi, (un T, 0 un T> venendo distinto entro i v analoghi da una radice
yesim), le due funzioni Xj e Xs; riuscirebbero identiche e riuscirebbero
quindi simili, rispetto al numero v, i due gruppi di contatto di yw, e W:.
Si conclude che la condizione di irriducibilità della curva K data
dalla (2) è che siano anzitutto irriducibili le K, e K3 cicliche (caso già
considerato) e che le terne di contatto di w, e W, non siano simili ri-
spetto ad alcun numero v divisore di vs (e di v)).
Dopo di ciò vediamo le condizioni di identità per le funzioni X.. Sup-
poniamo anzitutto per semplicità che v,, in generale multiplo di vs (vr: =
= Qv3), sia ad esso eguale (rr=vs,0=1). In questo caso si ottiene
una sola famiglia di curve K. Infatti le sostituzioni @ e 8, il cui periodo
è divisore di v,, per generare tutto il G d'ordine v, v» = vî, devono avere
il periodo v, ed essere indipendenti. E poichè due coppie di operazioni @
e 8, a' e 8' indipendenti e di egual periodo sono sempre trasformate l’una
nell’altra mediante una conveniente 7, segue l'asserto. (Il quale asserto è
’ ejg: «x 1 «Lu
d'accordo col fatto che sopra una curva ellittica vi è una sola y , ellittica
)
e che questa risulta identica alla curva stessa).
Per passare al caso generale (vr) = 0vs, 0 > 1) si osservi che in questo
la K è ottenuta estraendo una radice gs" sulla K data da
v
vi V y,(x4) + Vwe(79)
‘o anche estraendo separatamente due radici d'ordine vr, sulla
aa Q
x=VW(2y);
poichè l'estrazione delle due radici v,°5'®° dà origine a una sola famiglia
di curve, segue dal confronto dei due modi con cui è ottenibile una stessa
K, che le K bdirazionalmente distinte corrispondono alle varie terne di
contatto della w, dissimili rispetto al numero o .
Matomatica. — Sull’equazione delle vibrazioni trasversali di
un'asta solida, elastica e omogenea. Nota I del dott. FRANCESCO
SBRANA, presentata dal Corrisp. TEDONE (1).
1. L'equazione indefinita delle vibrazioni trasversali di un’asta solida,
elastica e omogenea, se si suppone di poter trascurare l’effetto prodotto, sulle
vibrazioni, dal peso dell'asta stessa, sì riduce facilmente alla seguente forma:
224 dY°
(1)
L'equazione (1) ha diverse proprietà in comune colla nota equazione
del calore. Come quest'ultima, infatti, essa è di tipo parabolico, ed ha per
caratteristiche le rette y = costante. Seguendo lo stesso procedimento, usato
dal Volterra per l'equazione del calore (*). si può, anche per la (1), stabilire
una formula analoga alla formula di Green, relativa all'equazione del po-
tenziale. La difficoltà sostanziale consiste, com'è intuitivo, nel determinare
la soluzione fondamentale della (1) (‘), che a me è riuscito di ottenere
sotto una forma notevolmente semplice, come mi propongo di mostrare bre-
vemente in questa Nota.
2. Come per l'equazione del calore, anche per la (1) è agevole stabilire
un teorema di unicità.
Consideriamo, nel piano xy, una linea aperta, s(yo), che abbia gli
estremi, A e B, su una caratteristica y = yo, col senso positivo che vada
da A verso B, e tale, che le ordinate di tutti gli altri suoi punti siano
inferiori ad y,. Supporremo che ogni altra caratteristica, che incontri la
linea, abbia con essa due soli punti in comune (?). Si potrà allora decom-
(1) Pervenuta all'Accademia il 1° luglio 1921.
(2) Cfr. Kirchhoff, Vorlesungen iiber Mechanik, 1897, 298te Vorles., $ 6.
(3) Lecons sur l'intégration des éq. diff. aux dérivées part., 1912, 10me leg.
(4) Per la ricerca della soluzione fondamentale delle equazioni paraboliche alle de-
rivate parziali, di ordine superiore al secondo, ved. Block, Arkiv for Math., Astron. o.
Fysik, Bd. 7, 8,9.
(3) Si deve eccettuare, tra esse, quella di ordinata minima, che avrà comune colla
curva un sol punto. Le considerazioni che seguono valgono però anche se la curva con-
tiene un tratto di caratteristica y = %, dove % sia una costante, inferiore alle ordinate
di tutti gli altri punti di s(yo), e se la curva si estende all'infinito, purchè si introdu-
cano convenienti ipotesi sul comportamento all'infinito della funzione w .
— 257 —
porre la linea in due rami, rappresentabili mediante le equazioni :
e= Sy) , € =E(9), (AM) xy SU S(Yo), € Us ian punto di S(yo), 0 del suo
contorno.
— 258 —
3. Si riconosce subito che la (1) è autoaggiunta. Se u ed @ sono so-
luzioni SR di (1), in S( da DONDE
sl == da° da > da da * e dY A
da U V 3
avendosi, in S(Yo), È _ nia = 0: risulta
SY) »
[ve , Yo)dx - [va + U dy).
€ (Yo) 8(Yo)
Sceglieremo come funzione (x,y) la funzione
Lo TX
2Vyo—y
(3) (XY X0 Yo) = (XV — 0) ( (n p° — cos p°) dp +
0
SEMEDDA (do — x) nah) i
ni lar ae n LIE
(ove intendiamo che il radicale sia preso positivamente), la quale sodisfa
alla (1) come funzione di x,y, e di #,,%o- Con questa scelta, la (2) non
è più applicabile nella regione S(y,), a causa della singolarità che presen-
tano, per y= 7, @ e le sue derivate. Però essa è applicabile in ogni re-
gione S(Yo — «), corrispondente a una caratteristica y=y,— £,(£>0),
che incontri s(yo). Avremo, in questa ipotesi,
£3(Yo — 8)
du da
(4) (a Sito a) de = for 02)
E (Yo—£) S(Yo — 8)
Facciamo ora tendere e a zero, supponendo il punto 0= (o, %o), interno
al segmento AB. Troviamo così, facilmente (1),
Es(Yo—8) Eo(Yo—8)
: da dU
5 lim u)de—— 27 U(xo è nai («3 da—o0,
(5) = Ur hei V2r (20 3 Yo); im | Y SUE
E (Yo—8) E(Yo—£)
per cui,
(6) V/2rr u(x0 30) = lim |(V dx + Udy).
e=0 5(Y—£)
(!) Per ciò conviene tener presenti le note formule :
+00 +0 pa
DI seng*dp =/, cosp°dp = VE ;
0 — 900 2
cfr., p. es., Riemann-Weber, Part. Diff.-Gleich. der math. Physik, 1e" Bd., (1910), $ 15
form. (15).
— 259 —
Matematica. — Sopra il numero delle classi di forme arit-
metiche definite di Hermite. — Nota I del dott. ALBERTO BEDA-
RIDA, presentata dal Socio L. BIANCHI (').
1. Generalità. Il Lipschitz (*), con procedimenti di Aritmetica pura, ha
determinato, per le forme aritmetiche di Gauss e di Dirichlet, le relazioni
tra i numeri delle classi di forme, quando i determinanti differiscano per
un fattore quadrato. Come è noto, si trova, per tali forme, che uno dei due
numeri è sempre un divisore dell'altro.
Noi ci siamo proposti di applicare tali procedimenti alle forme aritme-
tiche di Hermite (*), appartenenti al campo di Gauss, o corpo K(VY —1);
cioè alle forme del tipo :
(1) f=(a,b,c)= axco + bxyo + docoy + 040 è
ove 4 e c sono interi razionali, è e è, interi complessi coniugati di Gauss,
x,y le variabili appartenenti a questo campo, xo, yo le loro coniugate.
L'espressione 4 = 50, — ac è il determinante delle forme (1).
In questa Nota ci occuperemo delle forme di Hermite definite (4 < 0);
e diremo subito che, per le forme in considerazione, si penetra più pro-,
fondamente nel metodo del Lipschitz e ciò con sviluppi più ampi e più vari.
Per le forme aritmetiche definite di Hermite (primitive) (*) non si
giunge alla medesima conclusione osservata per le forme aritmetiche di Gauss
e di Dirichlet; ma, precisamente: se 4’ = 4p* oppure d'= damn, = 4Q
(esclusi i casi particolari 4 = — 1,—2, —3), ove p è un numero primo
razionale nel campo di Gauss (p=3 (mod. 4)) e 77 è un numero primo
complesso in questo campo (9g primo nel campo dei numeri interi ra-
zionali, =1 (mod. 4) oppure g= 2), il numero delle classi di forme
(*) Pervenuta all'Accademia il 24 giugno 1921.
(?) Lipschitz, Crelle's Journal, 58, 54 Bdd.
(3) Hermite, Oeuvres, tom. I, pag. 235 e seg.; oppure Crelle’s Journal, 47 Bd.
(4) Una forma del tipo (1), di Hermite, si dirà primitiva, quando gli interi a, è,
do, c non hanno in comune alcun fattore intero razionale. Una forma primitiva si dirà
di prima o di seconda specie secondo che dei coefficienti a e c uno almeno è dispari
oppure nov. Per l’esistenza delle forme primitive di seconda specie deve aversi 4=1
(mod. 4), oppure 4= 2 (mod. 4).
— 260 —
aritmetiche definite di Hermite, a determinante 4°, è sempre una combdina-
zione lineare, intera, omogenea, a coefficienti interi razionali, di due oppure
tre numeri delle classi di due, oppure tre, ben determinati insiemi di classi
di forme aritmetiche definite di Hermite, a determinante 4, secondo che si
tratta di forme primitive di prima oppure di seconda specie.
Queste relazioni si estendono al caso di un intero composto (razionale
o complesso di Gauss). x
La ragione di questa differenza di risultati riposa sul fatto che i pro-
cedimenti del Lipschitz sono intimamente legati alla considerazione del
gruppo automorfo aritmetico delle forme; gruppo che per le forme di Gauss
e di Dirichlet è perfettamente determinato dal determinante delle forme,
mentre per le forme (definite) di Hermite il determinante non definisce
completamente il tipo del gruppo automorfo aritmetico.
L’equivalenza aritmetica delle nostre forme sarà l'equivalenza aritme-
tica propria, cioè quella rispetto al gruppo delle sostituzioni (E }) ove a,
8B,y e d sono interi di Gauss, tali che xd — fr= + 1.
2. Proposizioni fondumentali. La ricerca si fonda sopra le seguenti pro-
posizioni. Per brevità, escluderemo il caso 7r=1 +. Si ha:
Data una forma di Hermite (*) (definita od indefinita), f'=(a',b' ,c'),
a determinante Auu, ove n è un numero primo nel corpo K(V—1), pri-
mitiva di prima 0 di seconda specie, esistono sempre forme di Hermite
(definite od indefinite), a determinante 4, rispettivamente primitive di
prima 0 di seconda specie, che, con sostituzioni aritmetiche a modulo u,
si trasformano nella forma considerata f'. Tali forme costituiscono una
ed una sola classe.
Di qui segue:
Tra le classi di forme di Hermite (definite od indefinite), a deter-
minante 4, primitive di prima 0 di seconda specie, e le classi di forme
(definite od indefinite) di Hermite, a determinante Auu , rispettivamente
primitive di prima 0 di seconda specie, è stabilita una corrispondenza,
in modo che ad una classe di forme 4 determinante 4, primitive di
prima o di seconda specie, corrispondono n(n => 1) classi di forme a deter-
minante Auw,, rispettivamente primitive di prima e di seconda specie,
e, viceversa, ad una classe di queste corrisponde, rispettivamente, una ed
una sola classe delle prime.
Le forme di Hermite siano ora definite (A < 0) e, ad es., positive. È
noto (?) che il loro gruppo automorfo aritmetico è un gruppo finito.
(*) Tacitamente intendiamo che le forme di Hermite che si considerano siano arit-
metiche ed appartenenti al corpo R(f25901
(*) Bianchi: Math. Ann., 38 Bd.
— 261 —
Escludendo i casi 4A=—1,—2,—3, si ha: le forme aritmetiche
«definite di Hermite, primitive di prima specie, hanno per gruppo auto-
morfo aritmetico unicamente gruppi degli ordini 2 e 4; quelle di
seconda specie possono avere gruppi anche di ordine 6.
Inoltre si ha:
I valori del numero n dipendono, unicamente, dal determinante 4 ,
dal numero primo w e dall'ordine dei gruppi automorfi aritmetici delle
forme a determinante 4, appartenenti alla classe che si considera.
Fisica. — Sul potenziale di risonanza e di ionizzazione
nei vapori misti di sodio e di potassio con mercurio (*). Nota I
di ApoLFO CAMPETTI, presentata dal Socio ANDREA NACCARI (°).
1°) In una Nota precedente, pubblicata nei Rendiconti di questa
Accademia (*), esaminai il comportamento di una miscela di vapori di
potassio e sodio rispetto al. potenziale di ionizzazione e di risonanza, rile-
vando come quest'ultimo risulti di qualche poco aumentato per ognuno dei
due vapori metallici, quando sono presenti vapori dell'altro. Effettivamente,
in quelle condizioni di esperienza, dato l’uguale riscaldamento dei due metalli
e la notevole differenza delle loro tensioni di vapore ad una stessa temperatura,
nella camera di ionizzazione era presente, in ogni esperienza, uno solo dei due
vapori in misura notevole, figurando l’altro solo in piccola quantità.
Intanto, circa contemporaneamente, Horton e Bailey (‘) pubblicavano un
interessante lavoro sull'effetto di una traccia di impurità (dovuta a vapori di
mercurio) nelle misure della velocità di ionizzazione per gli elettroni nel-
l’elio, per il quale gas, secondo precedenti ricerche dello stesso Horton (5) e
di Goucher (°), tra loro in abbastanza buon accordo. era stato trovato essere
circa 20,4 Volt il potenziale di prima eccitazione o risonanza e 25,5 Volt
circa quello di ionizzazione.
Nelle esperienze ora citate di Horton e Bailey l’impurità è dovuta a
mercurio, il quale agisce anche in quantità minima; avendosi per la sua
presenza traccie di ionizzazione già a circa 21 Volt e riconoscendosi a
questo potenziale nella luminosità presentata dal gas la linea del mercurio
350 A, ma nessuna dell’elio; l'emissione dell’elio si inizia solo al
disopra di 25 Volt. Siccome il potenziale di risonanza dell’elio è di circa 20 Volt,
(1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Fisica della R. Università di Sassari.
(?) Pervenuta all'Accademia il 1° settembre 1921.
(3) Rend. Lincei, vol. XXIX, 1920; 2° semestre.
(4) Phil. Mag., vol. 40, n. 238, 1920.
(5) Proc. Roy. Soc, 1919.
(8) Proc. Phys. Soc. of London, 1920,
RenpiconTI. 1921, Vol. XXX, 2° Sem. 34
— 262 —
gli AA. ritengono che al disopra di questo potenziale la radiazione di riso-
naza dell’elio ionizzi il vapore di mercurio presente: onde l'emissione della
linea sopraindicata.
2°) Nelle presenti esperienze, in continuazione delle precedenti richia-
mate in principio, ho voluto esaminare quale influenza abbia sul potenziale
di risonanza e di ionizzazione dei vapori di sodio o dei vapori di potassio
la presenza di vapori di mercurio a tensioni diverse; certamente anche nelle
esperienze con vapori di sodio o potassio puri non si può escludere per lo
più la presenza di vapori di mercurio (come traccie) provenienti dalla pompa,
vapori che si possono eliminare più o meno completamente con varî espe-
dienti, di cui il più efficace è la condensazione con aria liquida nel tubo
di comunicazione della pompa coll’apparecchio, mezzo che non ho mai avuto
a mia disposizione.
Ma l'ottimo accordo nei valori di risonanza e di ionizzazione ottenuti pei
vapori di iodio e potassio nelle altrui e nelle mie esperienze (esperienze in cui i
vapori di mercurio erano più o meno perfettamente eliminati) mostra che in
questo caso traccie soltanto di vapori di mercurio non debbono avere azione
sensibile, probabilmente perchè (al contrario di ciò che accade per l'elio) i
potenziali di risonanza e di ionizzazione del vapore di mercurio puro sono
superiori ai corrispondenti potenziali pei vapori di sodio e di potassio.
8°) L'apparecchio adoperato in queste esperienze non differisce sostan-
zialmente da quello usato nelle precedenti, se non per aver sostituito al
tubo aperto ai due estremi (chiuso naturalmente dai tappi di sostegno della
camera di ionizzazione e del giunto a smeriglio per la pompa Gaede) una
grossa provetta di vetro circa delle stesse dimensioni, della quale circa i
due terzi sono circondati da una stufa elettrica a tre settori. Il mercurio
restava sul fondo e veniva riscaldato mediante un settore della stufa; il
sodio od il potassio erano posti invece in una capsuletta di nichel in cor-
rispondenza di un secondo settore, mentre un terzo riscaldava la regione del
tubo contenente la camera di ionizzazione, consistente, come al solito, di un:
cilindro di nichel, di un cilindro coassiale di rete nichellata e del filamento
che, portato all'incandescenza, costituisce la sorgente di elettroni; coppie
termoelettriche nichel rame servivano a misurare Ja temperatura delle varie
regioni del tubo. Adoperai dapprima come sorgente di elettroni un filamento
di tungsteno portato all'incandescenza; poi, essendomi stato impossibile pro-
curarmi filamenti nuovi (e quindi non fragili) di questo metallo, mi servi
di una spiralina di filo platino ricoperto di ossidi (specialmente ossido dì
calcio) col noto procedimento.
La determinazione del potenziale di risonanza e di ionizzazione nelle
esperienze precedenti si otteneva dalle due curve (o dai dati numerici rela-
tivi) che dànno, in funzione della differenza di potenziale acceleratore, una
la intensità della corrente tra la rete e il cilindro esterno (malgrado un campo.
— 263 —
ritardatore applicato tra rete e filamento) e l’altra la intensità totale della
corrente dal tilamento. Anzi in quelle esperienze la prima curva non pre-
sentava una rapida ascesa se non per un potenziale superiore a quello di
ionizzazione (e ciò perchè si usava una debole emissione elettronica, per avere
più netti i massimi e minimi della curva stessa) e perciò essa non poteva
servire a determinare il potenziale di ionizzazione che veniva ricavato dalla
seconda curva. Nelle esperienze attuali, avendo a disposizione un solo galva-
nometro di sensibilità sufficiente, si poteva tracciare solo la prima curva;
e perciò i potenziali di ionizzazione si ottenevano con discreta approssima-
zione, tenendo conto del punto in cui essa curva subisce un rapido aumento
di ordinata e sempre avuto riguardo alla caduta di potenziale corrispondente
alla velocità iniziale di emissione degli elettroni. Questo però è possibile
soltanto se la emissione elettronica del filamento è assai abbondante (il
che si ottiene aumentandone la temperatura o la superficie od entrambe
contemporaneamente), senza di che questo rapido incremento di ordinata
(mascherato dai minimi della curva) si ottiene solo per un potenziale
acceleratore assai più elevato di quello che occorre per la prima ioniz-
zazione.
Così in due esperienze relative al potassio puro, nella prima delle quali
la caduta di potenziale corrispondente alla velocità iniziale di emissione
degli elettroni era di 0,67 Volt e nella seconda (essendo più elevata la
temperatura del filamento) di 1,08 Volt, si ottennero curve delle quali solo
la seconda si presta a determinare il potenziale di ionizzazione.
Sui risultati delle esperienze e sulle conclusioni che se né possono
trarre si dirà in una Nota successiva.
Fisica. — Birifrangenza magnetica dei fumi prodotti da un
arco ad elettrodi metallici (*). Nota di L. TreRI, presentata dal Socio
O. M. CorBINO (°). |
La comunicazione di Elihu Thomson su A Novel Magneto- Optical Effect
pubblicata su Nature del 23 giugno n. 2645, pag. 520, mi ha fatto sorgere
l'idea che il fenomeno dovesse essere accompagnato da birifrangenza ma-
gnetica.
La sorgente luminosa da me adoperata è una lampadina Nernst col
filamento verticale. Un pennello di luce pressochè parallela proveniente da
essa, attraversa un prisma di Nicol la cui sezione principale è a 45° dal-
l'orizzonte, sfiora secondo un diametro il piano superiore di una bobina
(*) Lavoro eseguito nell'Istituto Fisico della R. Università di Roma.
(?) Pervenuta all’ Accademia il 27 luglio 1921,
— 264 —
circolare piatta disposta orizzontalmente e finalmente un secondo Nicol in-
erociato col primo. Al disotto della bobina è disposta opportunamente una
lampada ad arco con elettrodi metallici, la quale, eccitata con una corrente
di 30 ampere e 140 volt, dà abbondanti fumi. Questi vengono condotti nella
porzione del campo magnetico attraversato dalla luce polarizzata, mediante
un tubo di rame superiormente coassiale colla bobina e di forma opportuna
onde eliminare la luce proveniente dalla lampada ad arco nella zona di os-
servazione. La bobina ha il diametro interno di 16 cm., l’esterno di 28
ed è alta 6 cm.: con essa può generarsi un campo magnetico di parecchie
decine di Gauss.
Con l’arco ad elettrodi di ferro, i fumi giallognoli che si producono in
seguito alla condensazione dei vapori di ferro, escono abbondantemente dal
tubo cilindrico di rame in modo che il pennello di luce polarizzata passa
attraverso un denso strato di fumo. In queste condizioni, sotto l'azione del
campo magnetico generato dalla bobina, compare luce attraverso i Nicol
inerociati, luce che permane finchè agisce il campo.
Da esperienze preliminari si è potuto accertare che il fenomeno presenta
i seguenti caratteri: i
1°) rotando opportunamente il Nicol analizzatore si ha il fenomeno
della polarizzazione cromatica.
2°) con luce sensibilmente monocromatica, non si riesce a ottenere
l'estinzione con la rotazione del Nicol analizzatore. Col compensatore di
Babinet si ha un sensibile spostamento delle frange quando si eccita il campo:
si è così potuto accertare che trattasi di birifrangenza positiva.
3° con luce polarizzata in un piano parallelo o normale alla direzione.
del campo, il fenomeno non ha più luogo. Inoltre, se la bobina che ge-
nera il campo, si dispone in direzione verticale, il fenomeno c’è se l’asse
della bobina è normale alla direzione del fascio luminoso polarizzato; non
ha più luogo se l’asse della bobina coincide con la direzione di propaga-
zione della luce polarizzata.
Prove eseguite con arco ad elettrodi di rame, hanno dato risultati com-
pletamente negativi col precedente dispositivo; ma ciò è dovuto al fatto che
il campo è troppo debole: sostituendo il campo generato dalla bobina con
quello di una potente elettro-calamita, anche per i fumi di rame l'effetto
esiste.
— 265 —
Chimica. — Carvomentoli levogiri dal fellandrene (*). Nota I
del dott. Vincenzo PAOLINI, presentata dal Corrisp. A. PERA-
TONER (°).
.
Qualche anno fa ho pubblicato alcune Note sul Carvomentolo (*) dal
carvenone, l'alcool terpenico secondario C,0Hx00, indicato anche come tetra-
idrocarveolo, esaidrocarvacrolo, p-mentan-01 [2], di cui sono riuscito ad in-
dividuare due antipodi ottici. Per queste mie indagini, dirette all'isolamento
di modificazioni stereoisomere, un particolare interesse presentava il carvo-
mentolo otticamente attivo, che Wallach ed Herbig (4) avevano ottenuto dal
nitro-fellandrene mediante riduzione con alcool e sodio. Ed invero, data la
formula di costituzione del carvomentolo
ZH:
CUOH
ne deriva la possibilità di esistenza di 8 stereoisomeri attivi per la presenza
dei 3 atomi di carbonio asimmetrici, laddove i diversi carvomentoli finora
preparati con differenti mezzi e da varî materiali di partenza, ma sempre
per riduzione di sostanze non sature, o non godono dell'attività rispetto alla
luce polarizzata (racemi), o se pure la presentano, per molte ragioni non
possono neppur essi considerarsi come sostanze uniche ed omogenee, per le
quali, a detto del Semmler altra volta da me riferito, si rende necessario
lo studio dei rapporti reciproci dei prodotti formanti mescolanze.
Ed è tanto vero ciò, che precisamente a proposito del Carvomentolo
attivo, ottenuto nella riduzione del nitro-fellandrene, di cui ora appunto
(*) Lavoro eseguito nell'Istituto Chimico Farmaceutico della R. Università di Roma.
(*) Pervenuta all'Accademia il 16 agosto 1921.
(3) R. Accad. dei Lincei, vol. XXVIII, 2° sem., pp. 82 e 134.
(4) Annalen. 287, pag. 371 (1895).
— 266 —
tratterò, Wallach si limita a parlare di un alcool levogiro, facilmente rico-
noscibile per l'odore caratteristico e per la ossidabilità a chetone corrispon-
dente, ma evita di fornire alcun dato che riguardi la deviazione ottica. Onde
è giustificato di ritenere un tale prodotto, che pure risponde esattamente
alla formula C.0Hs00, come non puro; ed è sommamente probabile che
l'impurezza sia rappresentata da un (o da più di un) alcool isomero, anche
esso otticamente attivo.
Non mi indugerò quì sul metodo di cui mi sono avvalso per risolvere
il "presente problema. Esso non è stato dissimile da quello che ho a mano a
mano elaborato per l'isolamento di altri alcooli terpenici, descritto in pre-
cedenti Memorie e anche riassunto nelle ricerche sui Carvomentoli dal Car-
venone; consiste in una particolare preparazione ed in speciali depurazioni
degli ftalati acidi degli alcooli, effettuate con esclusione di ogni riscalda-
mento, in modo da giungere, senza alterazione alcuna delle sostanze così
ottenute, molli e resinose, a prodotti cristallini ben definiti, ricorrendo anche,
secondo la bisogna, a trasformazioni in ftalati doppi dell'alcool e di un al-
caloide, oppure dell'alcool e di un metallo.
Dirò solamente che nel caso presente dei carvomentoli dal fellandrene,
il lavoro venne reso meno faticoso che in casi precedenti dalla natura degli
ftalati acidi, che più facilmente, e ancora grezzi, passano allo stato solido,
a differenza di quanto avevo sperimentato sui carvomentoli dal carvenone,
i cui ftalati acidi, in condizioni simili, restano molli e resinosi.
La riduzione del nitrofellandrene, preparato esattamente secondo le
norme date dal Wallach mediante sodio ed alcool, mi fornì un alcool di
partenza, carvomentolo levogiro, che aveva in tubo da 100 mm. la rotazione.
ottica
— 99, 50” donde [o]op = — 10° 83'.
Questo prodotto diede nella eterificazione a freddo con anidride ftalica
un etere acido che si presentava dapprima come massa semifiuida, appicci-
caticcia, la quale alle temperature invernali induriva gradatamente sotto
acqua e si lasciava depurare a mezzo di una serie sistematica di frazio-
namenti per precipitazioni dalla soluzione benzolica mediante ligroina. Quando
il prodotto era diventato meno impuro, era possibile di depurarlo ad oltranza
addirittura per cristallizzazioni réiterate dalla benzina di petrolio (70 - 80°).
Io sono giunto così ad un etere sinistrogiro, dal p. f. 89°, con [a]}o =
= — 459,04’, che non solo nella sua composizione corrisponde alla for-
mula di uno ftalato acido di carvomentolo HOOO.CsH,.C00C,6H19, ma che
deve inoltre considerarsi come sostanza unica, giacchè comunque ricristalliz-
zata non muta affatto il suo punto di fusione, nè il suo potere rotatorio
specifico.
— 267 —
Per saponificazione di questo etere ho ottenuto un l-carvomentolo puro,
‘che si differenzia subito dall’alcool di partenza per il suo potere rotatorio
notevolmente più elevato, essendo in tubo da 100 m/m = —18°,30’”, donde
[a]) = —20°,38'. Questo possiede anch'esso i caratteri di una sostanza
unica, perchè per trattamento con anidride ftalica fornisce quantitativamente,
e senza formazione di prodotti secondarii, subito lo ftalato suddetto, fusi-
bile ad 89°.
Che l'alcool isolato è veramente un puro carvomentolo levogiro, viene
confermato inoltre dal fatto che lo ftalato acido grezzo, molle, di partenza
contiene l'etere di un secondo alcool, isomero al precedente e dotato di po-
tere rotatorio più basso non solo, ma più basso altresì di quello del car-
vomentolo di origine con [a], = — 10°, 83".
Infatti questo ftalato acido, più solubile di quello fusibile a 89°, viene
lasciato mano mano indietro nelle acque madri di depurazione di quest’'ul-
timo. Da esso infine si giunge al Carvomentolo libero, pure sinistrogiro con
[a], = —8°,63', mediante saponificazione opportuna.
Faccio in ultimo rilevare che la fellandren-ammina CioHioNH., la
quale insieme al carvomentolo prende origine nel processo di riduzione del
nitro-fellandrene, rappresenta con verosimiglianza anch'essa un miscuglio
di ammine isomere. Opportunamente diazotata, fornisce successivamente un
alcool con ap = — 9,50" cioè perfettamente identico a quello che si origina
direttamente nel processo di riduzione, e che rappresenta una mescolanza di
prodotti levogiri a potere rotatorio differente.
Per la nomenclatura degli alcooli carvomentolici finora isolati propongo
le seguenti indicazioni:
Prodotto dall'a—fellandrene con [a], = — 20°,38'", 1-@.Carvomentolo
” ” ” » =— 8°,63', 1-8.Carvomentolo
” dal Carvenone » == 1°,82", d-y. Carvomentolo
” ” n =— 1°,85, 1-y. Carvomentolo
Chimica. — Azossiammidi e pirroli ('). Nota di ANTONIO Pie-
RONI, presentata dal Socio A. ANGELI (?).
I derivati pirrolici sono molto diffusi negli organismi ed anche molto
interessanti dal punto di vista biochimico, ma per la mancanza di reazioni
nette, atte a riconoscerli ed a isolarli poco sì sa di essi ed il loro signifi-
cato biologico ci sfugge completamente. Ho creduto quindi opportuno intra-
prendere le qui descritte ricerche allo scopo di rendere facile il riconosci-
(1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica organica del R. Istituto di Studî
superiori in Firenze.
(*) Pervenuta all'Accademia il 24 settembre 1921.
— 268 —
mento del pirrolo e dei suoi più semplici derivati. Già da tempo è noto per
i lavori di O. Fischer e Hepp('), che il cloruro di fenildiazonio reagisce
con il pirrolo e con alcuni suoi derivati, in modo che il residuo azoico va
a legarsi al nucleo pirrolico preferibilmente in posizione a, se però questa
non è libera sì lega in posizione #, infatti essi prepararono
HC— CH
CoH edi Lomo,
NH
ed il benzolazo-a-a'-dimetilpirrolo. Più tardi Plancher e Soncini (*) otten-
nero altri composti azoici derivati dal fenil e dal «-8'-dimetilpirrolo e tro-
varono che soltanto gli @-azoderivati reagiscono con l’isocianato di fenile
per cui ammisero che quelli di fronte al detto reattivo possono tautomeriz-
zarsi e dare derivati idrazonici. Anche l’a-metilindolo reagisce, come dimostrò.
Ph. Wagner, con il cloruro di fenildiazonio per dare l’azoderivato corri-
spondente.
Data la stretta analogia che esiste fra i sali del diazobenzolo e le
azossiammidi ed i vantaggi che queste presentano sui primi per il loro modo
di reagire regolare e pronto, era prevedibile che le azossiammidi fossero in
grado di entrare in reazione non solo con il pirrolo, ma anche con altri suoi
derivati, coi quali i precitati sali o non reagiscono o dànno composti non
isolabili. I fatti hanno confermato questa previsione.
Quella che fra le azossiammidi meglio si presta allo scopo è la p.bro-
mofenilazossicarbonammide che si ottiene con tutta facilità dal p.bromofenil-
diazonitrile sciolto in etere umido per azione dell'acido cloridrico gassoso
e successiva ossidazione con peridrol in ambiente acetico. Essa è rappresen-
tata dalla formula:
Br CH, N=NCONH,
Il
O
Preparazione del «-a'-p.bromobenzolazopirrolo
"1 | [i
Br CGH,N=NC N A E Br
(*) B., 19, 225.
(3) G. Ch., 32, II, 447.
— 269 —
Si mettono a reagire raffreddando con acqua quantità rispettivamente
proporzionali di pirrolo (una molecola) e di p.bromoazossicarbonammide (due
molecole) sciolte in pochissimo alcool, indi si aggiunge un leggero eccesso
di potassa; la soluzione si colora immediatamente in rosso violetto .intenso,
mentre ha luogo un leggero sviluppo gassoso. Dopo qualche tempo si depo-
sitano dei cristalli costituiti per la massima parte da carbonato di potassio,
allora diluendo con acqua si ottiene la separazione di un bel prodotto cri-
stallino di un color rosso intenso a riflessi rameici, solubile in alcool, in
etere, solubilissimo in benzolo; fonde a 208°.
La stessa reazione si ha anche operando in soluzione acquosa; senonchè
in questo caso il rendimento è minore e il prodotto che si ottiene è mesco-
lato a resine da cui si separa non tanto facilmente.
Anche l'acido «-pirrolcarbonico trattato con la p.bromofenilazossicarbo-
nammide dà l’a-e'-p.bromofenilazopirrolo, mentre l'a-a'-dimetilpirrolo trat-
tato in modo analogo sia con la fenilazocarbonammide che con la p.bromo-
fenilazossicarbonammide, dà i $-azocorrispondenti
HC,_—-CN=NC;H; Rea CH, Br
cd | . CHz EE E . CH3
NH NH
di cui il primo fonde a 134° e l’altro a 152°.
L’a-acetil- e benzoilpirrolo reagiscono anch'essi sempre in soluzione
alcalina con l’azossicarbonammide; dall’acetilpirrolo a seconda della quan-
tità dell'ammide reagente e dell’alcali si ottiene il mono acetilazoderivato
o il biazoderivato
HC—--CH HC__CH
CH;C0. d (EE Br Br a QUE Br
Zi
NH NH
il primo è un prodotto di color giallo cristallizzato in lamine; fonde a 168°.
Dal benzoilpirrolo invece non si ha che un unico azoderivato prodotto
di color giallo, cristallizzato in lamine; fonde a 200°.
L'indolo che si può considerare come un pirrolo bisostituito, mentre
non reagisce col cloruro di fenildiazonio o dà prodotti che non fu possibile
isolare (secondo Plancher e Soncini), reagisce invece con le azossicarbonam-
midi (sempre in soluzione alcalina) tanto che mi fu possibile ottenere due
azoderivati corrispondenti e cioè:
RENDICONTI. 1921, Vol. XXX. 2° Sem. 95
— 270 —
H H
0 o,
ne e] VENI i{ Y dl (HIBI
HO N Du: W Ho d x A
6 NH
H È
prodotti ben cristallizzati in belle lamine di colore giallo oro il primo, che
fonde a 130° e giallo rosso l'altro, che fonde a 165°. Poichè trattando l’ in-
dolo con cloruro di fenildiazonio i succitati autori non riuscirono ad isolare
il corrispondente azoderivato e poichè ottennero invece azoderivati con l’a-
metil- e «-fenilindolo, attribuirono ciò al diverso comportamento dell’indolo
rispetto ai suoi omologhi; per i risultati da me ottenuti questa supposizione,
nel caso considerato, non è più sostenibile. Mi propongo di estendere in se-
guito queste mie ricerche, poichè il modo descritto tanto facile e sicuro per
caratterizzare pirrolo ed indolo ed i loro derivati, semplificherà molto lo
studio di queste sostanze che giorno per giorno vanno diventando sempre
più interessanti nel campo della biochimica (1).
Chimica fisica. — Solubilità del perelorato ammonico nel-
l’acqua. Nota di ARRIGo MazzuccHELLI e ALFonso Rosa (?),
presentata dal Socio KE. PATERNÒ (f).
Il perclorato ammonico è un sale del quale, nonostante la sua notevole
importanza scientifica e tecnica, non si conoscono ancora con precisione i
rapporti di solubilità nell'acqua. Il presente lavoro è destinato a fornire qual-
che dato in proposito.
Le misure sono state eseguite su un preparato che è stato da noi de-
purato per ricristallizzazione: la sua soluzione non precipitava con ammo-
niaca, e dava reazioni negative per cloruri, calcio e magnesio.
Il contenuto in sale delle soluzioni sature era determinato tirando a
secco, in pesafiltri tarato, un peso noto del liquido e tenendo poi in stufa
ad acqua bollente sino a peso costante. Esperienze preliminari, eseguite ri-
prendendo con un po' di acqua e tirando a secco un paio di volte un peso
(') Per brevità venne soppressa in questa Nota la parte sperimentale coi relativi
risultati analitici, che verrà pubblicata in altra parte.
(2) Lavoro eseguito nell'Istituto chimico della R. Università di Roma.
(*) Pervenuta all'Accademia il 14 ottobre 1921,
— 271 —
noto di sale, ci avevano mostrato che esso peso non varia per simile trat-
tamento, e quindi che una possibile idrolisi con eliminazione di un po’ di
ammoniaca non ha luogo, in queste condizioni, per un ammontare apprez-
zabile.
La preparazione delle soluzioni sature ha avuto luogo con tecnica di-
versa, a seconda delle temperature. Fino a 35° si è usato il sistema, più
semplice, di far girare per un certo tempo in un termostato due bottigliette
(ben chiuse con tappo ricoperto da cappuccio di gomma) contenenti acqua
e un eccesso di sale, una delle quali era stata mantenuta per un certo
tempo, agitando, a temperatura superiore di 10°-15° a quella dell'esperienza,
in maniera che l'equilibrio fosse raggiunto dai due estremi opposti, della
soluzione non satura e della soprasatura. Il liquido veniva poi prelevato con
una pipetta (eventualmente riscaldata) attraverso uno strato filtrante di
ovatta (sebbene per lo più superfluo), versandone poi immediatamente una
porzione nel pesafiltri.
Per le temperature più elevate si usò un dispositivo sostanzialmente
uguale a quello proposto da Pawlewski (*): una grossa provetta, contenente
il sale e la soluzione, è chiusa con un tappo a due fori, per uno dei quali
passa un refrigerante verticale con un agitatore girante, mentre per l’altro
passa un tubo a fg, di piccolo lume, mediante il quale, a saturazione rag-
giunta, si sifona un po' di liquido in un pesafiltro ugualmente chiuso con
tappo a due fori, pel secondo dei quali passa un tubo aspirante. Il tutto
sta immerso in un grande bagno mantenuto a temperatura opportuna.
Per la solubilità a 0° si usò una grossa provetta con agitatore immersa
tino a 3 cm. sopra l'altezza interna del liquido nel ghiaccio pesto, ben cal-
cato. Dovendo prelevare la soluzione colla pipetta a strato filtrante, si tenne
per un certo tempo la estremità di quest'ultima immersa nel liquido, per
raffreddare anch'essa fino a 0°.
Si è anche fatta una misura al punto eutettico, raffreddando con ghiac-
cio e sale una grossa provetta con soluzione satura a temperatura ordinaria
sino a separazione del crioidrato, riconoscibile all'aspetto di massa bianca
compatta, e alla fermata di un termometro. Allora la provetta è stata in-
trodotta dentro un'altra più ampia, immersa nello stesso miscuglio frigorifico
che faceva da mantello d'aria; si è agitato qualche tempo per assicurare
l'equilibrio fra le due fasi, e poi si è letto il termometro e prelevato il
campione con pipetta raffreddata.
Si ottennero così i risultati che riportiamo nella tabella seguente,
espressi in gr. di sale per cento gr. di soluzione, in base alle pesate nel-
l'aria, cioè senza riduzione al vuoto. Qualora nella colonna « trovato » siano
(') Ber. Chem. Ges., 32, 1899, (1040), ovvero Stihler, Ardeitsmethoden der anor-
ganischen Chemie, III, 1 (505).
— 272 —
più di una cifra, esse corrispondono a esperienze in duplicato, e (m) ne dà
la media. Il « calcolato » è ottenuto con una formula che diamo più oltre.
Temp. Gr. sale °/, trovato Gr. sale °/, calcolato
— 2,72 (eut.) 9,84 TAZZA
09 10,727; 10,727; (m) 10,73 10,70
+ 15,2 15,989; 15,915; (2) 15,95 16,26
25,2. 19,912; 19868; (m) 19,89 19,83
34,0 93 991 823,818%(02)023132 23,30
45,1 27,64 27,54
55.2 31,55. 31,47
65,1 85,37 35.36
75,0 39,05 39,31
84,7 42,54 43,23.
»
Come si vede la solubilità eutettica rientra bene nella serie: è però da
notare che ricalcolandone il peso molecolare del perclorato ammonico, in
base alla formula crioscopica m = 1,85 9/t, dove 9 sono i gr. di sale per
cento gr. di acqua (e cioè 10,92) e £ l'abbassamento termometrico, si trova
54,9: ciò che, essendo 117,5 il valore stechiometrico, porta a 7 = 2,14;
mentre, d'altra parte, il tenore della soluzione non è tale da potersi sen-
z'altro pensare alla cosiddetta anomalia delle soluzioni concentrate. La cosa
richiede ulteriore studio.
Si è cercato di calcolare una formula che esprimesse i nostri risultati.
Perciò si son riportati questi su carta millimetrata; poi, mediante un regolo
di acciaio pieghevole, si è tracciata una curva regolare che vi si adattasse,
con piccole differenze all'incirca uguali, di più e di meno (metodo ben noto
per conguagliare graficamente gli scarti), e su questa curva si son letti i
valori corrispondenti a 0°, 10°, 20°, ..., 80°.
Con questo sistema di numeri (che pei valori tondi della temperatura
si presta meglio al calcolo) si è studiata una formula di 2° grado, e si è
trovato infine
s = 10,696 + 0,3617.t + 0,000263.#? ,
secondo la quale son calcolati i valori della tabella.
In questo laboratorio si è anche misurata la densità delle soluzioni
acquose di perclorato ammonico e ne sarà riferito in seguito.
— 273 —
Chimica biologica. — Pirrolo e Melanuria('). Nota VI di
PreTRO SACCARDI, presentata dal Socio A. ANGELI (°)..
Nelle numerosissime analisi d’orine eseguite su individui melanotici, o
dopo ossidazione intraorganica di composti pirrolici, noto una rimarchevole
concomitanza fra le reazioni di ossidazione di tali orine (*) e la diazoreazione
di Ehrlich. Potei accertarmi di ciò in:
4) ESPERIMENTI DI MELANURIA NATURALE, che furono eseguiti
sulle orine di un giovane trentaquattrenne ricoverato nella clinica chirurgica
di questa Università per papillomi melanotici estesissimi alcuni dei quali
furono estirpati, ma poi fu rimandato con dichiarazione d’incurabilità. Le
orine, che all'emissione sono aranciate, diventano poi rossicce e quindi brune
senza presentare all'analisi aleunchè di patologico salvo un imbrunimento
notevole con i reattivi altre volte usati per la ricerca del melanogeno. La
reazione di Thormihlen è lieve, la diazoreazione è pure lieve.
Un altro giovane trentaduenne, curato per diagnosi di encefalite alcoolica
ha presentato importanti fenomeni di nefrite, Le orine, analizzate da me
solo a guarigione quasi ottenuta, erano di colore giallo-aranciato, non pre-
sentavano altro che tracce d'albumina, imbrunivano lievemente col tempo
all'aria e davano colorazioni brune con i reattivi del melanogeno. Jl Thor-
mihlen era positivo, la diazoreazione ben netta. Durante una settimana le
orine quotidiane presentano sempre più debole la reazione di Thormihlen
parallelamente alla diazoreazione ed alle reazioni di ossidazione. Dopo
un’altra settimana il paziente, venuto a congedarsi, non mostrava nelle orine
che tracce minime delle suddette reazioni.
0) ESPERIMENTI DI MELANURIA ARTIFICIALE. — Avendo io ingerito
gr. 0,5-0-8 di pirrolo, ed in altra epoca gr.0,5 di a-@ di metilpirrolo, la
diazoreazione si manifestò subito all'apparire delle reazioni di ossidazione
cessando allorchè l'organismo mostrò d'avere eliminato tutti i prodotti pir-
rolici. Gli stesi fenomeni si hanno per iniezione sottocutanee di pirrolo, di a-@
dimetilpirrolo e di cloridrato di pirrolina. Avendo eseguite diecine e diecine
(1) Lavoro eseguito nel Laboratorio Chimico della L. Università di Camerino.
(*) Pervenuta all'Accademia il 6 giugno 1921.
(3) Pirolo e melanuria, Nota I. Questi Rendic. XXVIII, 1° sem., 1919. Nota IL
Ibid., XXVIII, 2° sem., 1919. Nota III. Gazz. Chim. Ital., L, II, fasc. III. Nota IV. Ibid., LI,
II, fasc. I. Nota. V. Boll. Soc. Eustachiana, XIX, 1° sem., 1921.
— 274 —
di analisi di orine melanotiche naturali ed artificiali, posso assicurare che
mai è venuta meno la concomitanza fra la reazione di Thormihlen e la
diazoreazione di Ehrlich. Dopo ciò ho motivo di aspettarmi che essa non
manchi neppure nelle orine che presentano la Fleischreaktion di Arnold.
Nè si può obiettare che le reazioni constatate nelle orine si debbano ai
composti pirrolici iniettati non solo perchè i composti studiati sono facil-
mente ossidabili (il pirrolo e l'a-@ dimetilpirrolo si alterano anche all'aria
ed alla luce) ma anche perchè il melanogeno, che da quelle sostanze com-
pare nelle orine, non passa in etere come dovrebbe avvenire se il pirrolo 0-
l’a-x dimetilpirrolo si eliminassero inalterati.
Da tutto ciò è logico sospettare che la diazoreazione di Ebhrlich, si
debba ad alcuni complessi ciclici della molecola proteica a cui non possono
essere estranei derivati del pirrolo come lo confermano altri fatti più oltre
accennati.
Ho notato inoltre che orine di cavie e di conigli, dopo ingestione di
composti pirrolici studiati, sono brune fino dall'emissione; le orine umane
sono invece aranciate all'emissione e non doventano brune all'aria, soprat-
tutto alla superficie, altro che dopo la fermentazione ammoniacale. Il mela-
nogeno non sì libera o si manifesta adunque nella sua fase ossidativa, adunque
altro che in ambiente alcalino, che nelle orine degli erbivori già preesiste,
mentre nelle orine umane è subordinato a processi fermentativi che le ren-
dono alcaline. Si potrebbe da ciò sospettare che il melanogeno — prodotto
labile intermedio fra composti pirrolici e melanine — sia una base debole
spostata dalla base più forte (ammoniaca), oppure un sale di un acido debole
con l’ammoniaca, tant'è vero che le orine melanotiche brune perdono il loro
colore per acidificazione con acidi diluiti e non rimbruniscono all’aria altro
che con ammoniaca. L'idrato di potassa o di soda pare invece che tolgano.
loro definitivamente questa proprietà.
Esperimenti intesi ad isolare il malonogeno non sono, fino ad ora, riu-
sciti; il melanogeno, come sì disse, è insolubile fin tutti i solventi anidri
comunemente usati, è invece solubile in alcool metilico ed etilico. Al metodo
di Eppinger, che consiste nel trattare con solfuro ammonico il precipitato
ottenuto dalle orine melanotiche acidificate con acido solforico e trattate con
solfato mercurico, può far seguito quello citato dal Pighini della estrazione
amilica delle orine appena emesse. Infatti l'alcool amilico finisce per colo-
rarsi col tempo in bruno od in rosso e dà assai più accentuata la diazorea-
zione e le jaltre reazioni di ossidazione. I liquidi estratti non rimangono
però privi di melanogeno e, d'altra parte, è difficile estrarre il melanogeno
dall’alcool amilico senza ossidarlo.
Il melanogeno però si può avere sotto forma concentrata e separato da
molte sostanze contenute nell’orina senza alterare le sue proprietà.
Basta infatti acidificare con acido acetico un'orina melanotica naturale
.
— 275 —
od artificiale, trattarla con lieve eccesso d’acetato di piombo, spiombare con»
acido soltidrico ed eliminare l'acido solfidrico concentrando a bh. m. per otte-
nere un liquido che, salvo la reazione di Thormihlen, dà assai più intense
le reazioni del melanogeno, mentre il precipitato ottenuto con acetato di
piombo, decomposto con acido solfidrico, non mostra traccia di melanogeno.
Tali soluzioni, lasciate all'aria doventano brune. Il melanogeno adunque è.
precipitato dal solfato mercurico non dall'acetato di piombo. Tali orine così
trattate, dànno, per evaporazione a b. m. un residuo preciso giallo (che fornisce
la reazione del bastoncino d’abete intriso di acido cloridrico) da cui l'alcool
etilico assoluto estrae, fra altre sostanze, anche il melanogeno riconoscibile
alle comuni reazioni. Tal liquido alcoolico, lasciato a sè, tenderebbe ad
imbrunire e presenta dicroismo verde come le orine fortemente melanotiche,
e, per evaporazione a b. m., lascia un residuo giallo pastoso che presto si
cosparge di minutissimi cristalli tabulari, che, raccolti ed esaminati, non
dànno le reazioni del melanogeno. Allo scopo di isolare dal residuo così otte -
nuto altre sostanze non inerenti alle nostre ricerche, il residuo fu ripreso con
acqua e dializzato. Si constatò che il melanogeno passa attraverso la mem-
brana, talchè, dopo dodici ore il liquido primitivo più non dà le reazioni del
melanogeno. Questa sostanza è adunque un cristalloide. Ho provato inoltre
che il melanogeno non passa in corrente di vapore. Il liquido così ottenuto
per dialisi, evaporato a b. m. lascia infine un liquido denso, rosso-scuro che
con i comuni reattivi del melanogeno dà forte imbrunimento e quindi pre-
cipitato bruno.
Mi riserbo ad ulteriori esperienze l'isolamento e lo studio di questa
interessantissima sostanza.
Ma ritornando alla diazoreazione di Ehrlick che ha formato la ragione
principale di questa Nota ricorderò come essa, data classicamente da
questo autore come uno dei segni diagnostici più costanti e più sicuri del
tifo addominale e della tubercolosi polmonare, fu poi constatata in tante e
così svariate forme morbose per cui è caduta in disuso nel campo medico
che l’attribuisce all'acido cromoossiproteinico (secondo Bocchi e Ghelfi) o
a’ pigmenti biliari come vorrebbero altri autori (Penzolt, Weyl, Fabbri ecc.)
o più erratamente a sostanze a struttura fenolica di cui non si sa quali e
perchè.
Si è invece d'accordo nell’attribuirla ad alterazioni del ricambio albu-
minoideo, e su questo ci sì avvicina, a mio parere, di più al vero, perchè.
essa è positiva nel morbo di Addison, tumori melanotici, ferite di ghiandole
surrenali, malaria, influenza ed in altri stati morbosi infettivi che alterano
il metabolismo albuminoideo, ed affermano forse il giusto quelli che l’'attri-
buiscono ad acidi proteinici o biliari giacchè è noto (Neuki e Zaneschi) che
l’urocromo, l’urobilina, la bilirubina ecc. sono dello stesso gruppo dell’emo-
globina, composti del pirrolo e che il pirrolo entra a formare le sostanze-
proteiche.
— 276 —
È noto pure che granuli di malaria si trovano nel corpo del plasmodio
della malaria per attribuire veramente la diazoreazione di Ehrlich ad un
anormale ricambio organico degli albuminoidi per cui prodotti pirrolici cir-
colano e vengono eliminati con le orine invece di essere normalmente
ossidati.
Confermerebbe questo nuovo ed importante fatto che si riferisce alla
diazoreazione di Ehrlich chi potesse constatare sempre la presenza di pro-
dotti pirrolici nelle orine di malati non melanotici che dànno comunemente
la diazoreazzone.
Le mie ricerche in merito non si sono fin quì estese che a poche ana-
lisi di orine di tifosi, tubercolotici e malarici in atto ed hanno confermato,
senza alcuna eccezione, che la diazoreazione è sempre accompagnata da un
anello rosso-bruno nella prova dell’Heller e da sicure e ben definite reazioni
di ossidazione con i reattivi in uso pel melanogeno.
Ciò confermerebbe l'ipotesi che la diazoreazione di Ehrlich sia dovuta
principalmente a prodotti pirrolici, fatto questo che mi riserbo di controllare
estendendo le presenti ricerche al maggior numero possibile di orine di malati
in cui è sicura la diazoreazione di Ehrlich.
La melanuria adunque può esistere anche indipendentemente da quelli
stati morbosi e gravi che portano ai melanomi e può significare uno sala
patologico anche lieve dovuto ad anomalie del ricambio organico.
Faccio in ultimo noto che al reattivo di Ehrlich, incomodo perchè va
preparato al momento dell’uso, si può con risultati più netti e con agio
maggiore sostituire l'azossicarbonamide (') descritta dal prof. A. Angeli.
Chimica fisiologica. — .Su/ valore alimentare dei semi del-
lErvum Ervilia (?). Nota II di SABATO Visco, presentata dal Cor-
rispondente DomeNICO Lomonaco (*).
« Nell’unico ratto che ingerì farina di semi di ervo in quantità tale
« da sopravvivere per un lungo periodo di tempo, al quarantesimo giorno
« di esperimento si osservò in pieno sviluppo una complessa sindrome mor-
« bosa a carico del sistema nervoso. Essa regredì poi prontamente in seguito
« alla somministrazione di un infuso a freddo di cruschello di Andropògon
« Sorghum, e di qualche goccia di un preparato commerciale di vitamine ».
Riferimmo quest’osservazione in una nostra Nota precedente (3) e riferimmo
pure come su di essa noi basassimo l'ipotesi della carenza dei semi dell'Ervum
(*) Questi Rendiconti 26, I, (1917), pag. 207.
(*) Ricerche eseguite nell'Istituto di Chimica Fisiologica della R. Università di
Roma, diretto dal prof. Domenico Lo Monaco.
(3) Pervenuta all'Accademia 1°11 agosto 1921.
— 277 —
Ervilia. Perchè però quest’ipotesi acquistasse maggior valore occorreva suf-
fragarla con una nuova e più importante serie di fatti, e perciò ritenemmo
necessario di istituire al riguardo altri esperimenti, intesi non solo a con-
fermare la supposta carenza, ma anche a definirne la natura.
Come animali da esperimento ci servimmo di colombi giovani e l’ervo
«che ad essi somministrammo proveniva dal raccolto del 1920 e conservava
integra la proprietà di germogliare.
Riportiamo i protocolli delle esperienze fatte:
Colombo A. Bianco, del peso di grammi 280. Si inizia l'esperimento il 21 feb-
‘braio del 1921, alimentandolo esclusivamente con semi di ervo accuratamente scelti e lavati
e dei quali mangia quotidianamente circa trenta grammi. Nei primi quattro giorni viene
imbeccato, 6 marzo peso gr. 335, 8 marzo peso gr. 342, 10 marzo peso gr. 350, 12 marzo
peso gr. 359, 15 marzo peso gr. 350, 17 marzo peso gr. 338, 19 marzo peso gr. 325,
21 marzo peso gr. 310, 22 marzo peso gr. 298, l'animale mangia poco, 23 marzo peso
«gr. 286, l’animale non ha mangiato, è sonnolento, messo fuori della gabbia si muove
poco, la deambulazione è però normale ed il volo è sostenuto, 24 marzo peso gr. 274,
non ha mangiato, le feci sono diarroiche e con reazione acida al tornasole, l’animale si
regge male sulle gambe, spinto a camminare fa pochi passi con andatura pareto-spastica
dopo i quali incomincia a piegare il corpo a destra ed a sinistra, allarga le ali per ri-
stabilire l’equilibrio, ma non vi riesce e perciò è costretto a fermarsi e ad adagiarsi sul
ventre, 25 marzo, mangia poco, feci diarroiche con reazione acida. La sindrome osservata
ieri appare un po’ più accentuata; il volo è meno sostenuto, 26 marzo, sindrome immu-
‘tata: gli si somministrano alcune gocce di un preparato commerciale di vitamine e si
mette nell'acqua che deve bere un po’ di cruschello di Andropògon sorghum, 27 marzo,
l’animale ha mangiato di più, si regge meglio sulle gambe, e cammina alquanto spedi-
tamente dando segni meno marcati di stanchezza. Gli si somministrano altre poche gocce
del solito preparato commerciale di vitamine, e si continua a mettere nell'acqua che deve
‘bere un po’ di cruschello di Andropògon sorghum, 28 marzo peso gr. 338, l’animale mangia
abbondantemente, la sindrome morbosa è quasi del tutto scomparsa, si continua nel trat-
tamento terapeutico dei giorni precedenti, 29 marzo peso gr. 845, l’animale sta bene.
Da questa prima indagine sperimentale deducemmo che con l’alimen-
tazione esclusiva di semi di £rvum Ervilia si poteva provocare nel colombo
una sindrome uguale a quella che si determina nello stesso animale con
l’alimentazione esclusiva con riso brillato, e che, come in questo caso anche in
quello ogni fatto morboso si dileguava in seguito alla somministrazione di
sostanze contenenti vitamine antiberiberiche. Ciò ci autorizzò a concludere
che nel colombo alimentato con semi di £7rvum Ervilia, i fatti morbosi
manifestatisi dovevano identificarsi conla Polinewuritisgallinarum dell’Eichmann
‘e come questa essere la conseguenza di un avitaminosi.
Esaurita la partita di semi di Zrvum Ervilia con la quale avevamo
iniziati gli esperimenti, fummo costretti a sospendere per qualche tempo le
ricerche fino a che ci riuscì di procurarcene un’altra che però aveva subita
un’infestione di coleotteri, i quali certamente con il loro contenuto in vita-
mine avrebbero influenzato il risultato delle esperienze. Di fronte all’impos-
sibilità assoluta di scegliere i semi uno per uno ed in quantità sufficiente ai
RENDICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sem. 36
— 278 —
bisogni degli animali per un lungo periodo di tempo, fummo costretti a modi-
ficare il dispositivo delle nostre indagini, e perciò stabilimmo di provo-.
care la polineurite col riso brillato e di curarla poi con la somministrazione
di semi di ervo.
Evidentemente se nei semi dell’ervo erano contenute vitamine antibe-
riberiche, essi dovevano comportarsi come il riso intero, il frumento ece. ecc.
nel trattamento della polineurite sperimentale, e ciò tanto più perchè nessuna
specificità è stata ancora dimostrata per lo stesso tipo di vitamina secondo
che provenga dalle leguminose o dalle graminacee.
Trascriviamo i protocolli di questo secondo gruppo di esperienze.
Colombo A. Bianco, quello stesso del primo esperimento, dal 80 marzo mangia
ervo (quello infestato), il 14 aprile non presenta ancora nessun fatto di polinemite, pesa
gr. 390. Il 15 aprile si incominciò ad alimentare imbeccandolo esclusivamente con riso
brillato e lavato, peso gr. 390, 16 peso gr. 384, 17 peso gr. 368, ricurgita una parte del
riso somministratogli, 18 peso gr. 353, 19 peso gr. 858, rigurgita, gas nel gozzo, 20 peso
gr. 350 rigurgita il cibo, gas nel gozzo, 21 peso gr. 382, id. id. 22 peso gr. 325, id. id.
23 peso gr. 320, camminando inciampica e zoppica con l’arto destro, 24 nel camminare
fenomeni pareto-spastici più accentuati di ieri. L'animale stando in piedi spesso barcolla.
Cammirando inciampa, talora trascina l'arto sinistro, 25 fenomeni polineuritici multipli,
gli si somministrano circa 30 gr. di semi di ervo scelti, per quanto è possibile, accura-
tamente, e ripetutamente lavati, 26 sindrome immutata, si somministra ervo, 27 nessun
miglioramento, si somministra ervo, 28 nessun miglioramento, si somministra ervo ed un
po' di eruschello di Andropdgon sorghum, 29 si nota un apprezzabile miglioramento
della sindrome polineuritica. Altro cruschello, 80 il miglioramento è ancora più accen-
tuato. Altro cruschello, 1° maggio, l’animale è quasi guarito, ancora eruschello. 2 maggio,
l'animale è guarito, da oggi si sospende la somministrazione di cruschello di Andropggon
sorghum, e si alimenta soltanto con semi di ervo (partita infestata), fino al 24 giugno,
in cui si rimette di nuovo ad alimentazione esclusiva di riso brillato e lavato. Pesa
gr. 360, il 29 giugno, l’animale mangia poco, pesa gr. 354. Il 2 di luglio l’animale pesa
gr. 320 è sonnolento, messo fuori della gabbia non si muove, spinto a camminare inciam-
pica e cade. Il volo è però sostenuto, non mangia, 8 luglio, peso gr. 300, sindrome poli-
veuritica molto accentuato, gli si somministrano 80 gr. di semi di ervo, per quanto è
possibile accuratamente scelti e ripetutamente lavati. Mangia spontaneamente, 4 peso
gr. 310, sindrome immutata, il gozzo si vuota lentamente. Altri 30 gr. di ervo, 5 peso
gr. 322, nessun miglioramento, altri 39 gr. di ervo, 6 peso gr. 330, nessun migliora-
mento nella deambulazione, si nota un lieve peggioramento a carico della mobilità delle
ali per cui il volo non è possibile, altri 30 gr. di ervo, 7 peso gr. 842, condizioni im-
mutate, altri 30 gr. di ervo, 8 peso gr. 850, condizioni immutate, si sospende l’esperi-
mento.
Piccione B. Nero, giovane, del peso di gr. 318. Si inizia l'esperimento il 16 aprile
del 1921 alimentandolo esclusivamente con semi di ervo, (qualità infestata) si imbecca
per tutta la durata dell'esperienza: Aumenta sempre di peso fino a raggiungere gr. 355, il 7 di
giugno, giorno in cui si mette ad alimentazione esclusiva di riso brillato, e repetutamente
lavato. Non presenta nessun fatto di polineurite. Il giorno 10 giugno pesa gr. 337, rigur-
gita 18 gr. di riso sui 30 somministratigli, gas nel gozzo. Continua sempre a rigurgitare
una buona parte del riso che gli si somministra, a perdere di peso ed a presentare gas
nel gozzo. Il 18 giugno è poco vivace, rigurgita 27 gr. di riso dei 30 somministratigli,
pesa gr. 261, 19 giugno, peso gr. 254, spinto a camminare fa pochi passi e poi inciam=
ROTA
pica. Lasciato cadere vola normalmente 20 sindrome polineuritica alquanto più accentuata.
Volo normale, trattiene un po’ di riso, gas nel gozzo, feci diarriche con reazione acida,
21 deambulazione quasi impossibile, volo abbastanza sostenuto, 22 sindrome immutato,
rigurgita tutto il riso somministratogli, peso gr. 29, si imbecca con 30 gr. di semi di
ervo accuratamente scelti e ripetutamente lavati, 23 peso gr. 256, non si ha rigurgito, sindrome
immutato, altri 30 gr. di semi di ervo, 24 peso gr. 267 durante la notterigurgita qualche seme di
ervo, feci verdi diarriche con reazione acida, sindrome forse un po’ aggravata, certamente non
migliorata, 25 peso gr. 260, volo meno sostenuto, durante la notte l’animale rigurgita un
po' di ervo, altri 39 gr. di ervo, 26, 27, 28, 29, 30 giugno, condizioni stazionarie, 1° luglio
peso gr. 270, si apprezza un lieve ma evidente miglioramento della diambulazione, volo
sempre poco sostenuto, 4 continua il miglioramento ma sempre in misura molto breve,
5-6 sindrome immutata, 7 peso gr. 266, sindrome alquanto migliorata, 8 si sospende
l'esperimento.
Colombo C. Nero, giovane del peso di gr. 295, si mette in esperimento il 28 aprile
alimentandolo esclusivamente con riso brillato e lavato. Il 18 maggio, al mattino la sin-
drome polineuritica incomincia a manifestarsi, alla sera è già in pieno sviluppo. Il 19 si
alimenta esclusivamente con semi di ervo, la sindrome non si modifica nei giorni seguenti
sino al 29 di maggio. Il 30 si osserva un lieve miglioramento (?). Il 1° di giugno lo
stato dell'animale è stazionario. Gli si somministra un po’ di cruschello di Andropògon
sorghum, 2 giugno, miglioramento molto notevole, 4 giugno, l’animale appare quasi del.
tutto guarito, 6 giugno, l’animale sta bene.
Dai protocolli sopra riportati rileviamo che:
1°) in un colombo dopo trenta giorni di alimentazione esclusiva con
semi di Zrvum Ervilia si manifestò una netta, se pur non grave, sindrome
polineuritica che regredì rapidamente e completamente in seguito alla sommi-
nistrazione di sostanze ricche di vitamine antiberiberiche;
2°) in due colombi (in uno due volte) alimentati per un certo tempo
con semi di ervo (qualità infestata) in seguito alla somministrazione esclu-
siva di riso brillato comparve precocemente (in un caso per due volte suit
8 giorni) una netta sindrome polineuritica ;
3°) in tre piccioni resi polineuritici col riso brillato (in uno due
volte) la somministrazione di semi Zrvum £Zrvilia in quantità elevata,
influenzò la sindrome morbosa soltanto lentissimamente ed incompletamente.
Hssa invece regredì sollecitamente e totalmente quando fu aggiunta all’ali-
mentazione una piccola quantità di cruschello di Andropògon Sorghum.
Dai dati riferiti risulta che i semi maturi dell'Ervum Ervilia conten-
gono uno scarso quantitativo di vitamine antiberiberiche.
— 280 —
Geologia. — Motizie sopra alcune interessanti formazioni del
Supracretaceo del bacino di Eraclea nell’ Asta Minore. Nota I
dell’ing. SEconDo FRANCHI, presentata dal Socio CARLO FABRIZIO
PARONA (').
Per le notizie datene dal Ralli e da Douvillé, è nota ai geologi la
costituzione della parte meno alta del Cretaceo che ricopre il Carbonifero
del bacino di Eraclea; ma della costituzione singolarissima della parte supe-
riore di esso, comprendente forse tutto il Supracretaceo, si ebbero finora molto
scarse ed inesatte notizie. Avendo io percorso, lo scorso autunno, la parte
‘orientale di quel bacino, sono in grado di dare un piccolo contributo alla
conoscenza di quest’ultima serie, la quale è particolarmente interessante per
la sua costituzione litologica (?).
Al di sopra delle arenarie, dette dal Ralli « grés de Vély-Bey », sopra-
stanti ai calcarî dolomitici urgo-aptiani, e aventi in alcune regioni la potenza
di parecchie centinaia di metri, si osserva presso Neiren, 15 km. a levante
di Eraclea, un'altra formazione arenacea, litoiogicamente un po’ diversa, che
io distinguerò col nome di « arenarie di Neiren », notevoli per includere,
nel complesso di arenarie chiare in strati sottili, dei banchi di calcari brec-
ciosi, con frammenti di rudiste, di calcari arenacei, e di arenarie con elementi
di carbone e della vere lenti di carbone detritico, che sembra di origine
secondaria. La loro potenza complessiva può essere superiore ai cento metri.
Presso Neiren, e a levante e a ponente di tale località, queste arenarie
sono ricoperte da un'altra formazione interesssantissima, che dirò « forma-
zione delle colate di roccie diabasiche », Ja quale, a sua volta, viene rico-
perta, in perfetta concordanza, da una potente formazione, costituita preva-
lentemente da tufi e da colate di roccie vulcaniche, che io, pel suo tipico
sviluppo nei dintorni e sotto la città stessa di Eraclea, distinguerò col nome
« formazione vulcanica di Eraclea ». Di queste due ultime formazioni io
desidero dare qualche notizia con questa nota preliminare.
(1) Pervenuta all'Accademia il 29 luglio 1921.
(3) Queste notizie furono racccolte nel cerso di una Missione tecnica, mandata colà
dalla « Società Alti forni e Acciaieria di Terni », ed io debbo rendere sentite grazie
all'illustrissimo signor Presidente, ing. Giuseppe Orlando e all’ingegnere G. Biancotto,
ispettore delle miniere della Società? perchè, oltre alle gite di interesse minerario, essi
vollero favorire, per quanto il tempo lo permetteva, quelle di puro interesse scientifico.
oi
FORMAZIONE DELLE COLATE DI ROCCIE DIABASICHE. — Essa è costi-
tuita da un complesso di arenarie e marne bigie, cinerognole o policrome, verdi,
bluastre, ecc. e da scisti argillosi (argilloliti di Ralli) rossastri, nel quale sono
inserite numerose ed estese e talora potenti colate di roccie diabasiche, che
ne sono la parte più caratteristica.
Questa formazione è stata da me ossservata per l'estensione di una tren-
tina di chilometri fra Deirmen-Agzi, a 5 km. da Eraclea, e i dintorni di
Balcik, nell'alta valle del fiume Gillik, sfociante a sud di quella città. Le
diverse colate sovrapposte sono separate talora da sottilissime zone di depo-
siti marnoso-arenacei, per cui si deve pensare alla loro effusione subacquea.
Le roccie diabasiche presentano costantemente e con grande evidenza, una
divisibilità globulare, che potremmo anche dire glubulare-cipollinica od a
cipolla, talchè la superficie loro è sempre cosparsa di grossi cogoli nei varî
studî della loro liberazione dall’involuero cipolliforme, o liberi od anche
dislocati e rotolati. Sulle strade mulattiere in tali roccie incassate e sulle parti
erose dai torrenti, sulla superficie spianata per effetto delle diverse azioni
meccaniche, le traccie ellittico circolari concentriche delle superficie di divi-
sibilità permettono subito distinguere tali roccie.
Esse sono dî colore verde e smorto, non mostrano inclusi riconoscibili
ad occhio nudo, e, causa lo stato di generale profonda alterazione, anche al
microscopio, coi preparati finora esaminati, non ne è stata possibile una
esatta determinazione petrografica. Solo si riconoscono, in mezzo a parti alte-
rate indetinibili, dei resti di pirosseno, e dei felspati molto alterati e
indeterminabili, presentanti numerosissime inclusioni minute tondeggianti, di
natura vetrosa. Solo lo studio di numerosi preparati potrà permettere una
rigorosa definizione litologica, e di giudicare se la particolare struttura sia
dovuta alla origine subacquea delle colate.
La divisione globulare è nota in molte roccie diabasiche eoceniche della
Toscana e della Liguria: notissima è quella della massa di Prete Michele,
illustrata dall’Issel nell'opera Liguria geologica e preistorica. Lo Zac-
cagna la osservò in molte masse diabasiche della Valle del Serchio e della
costa di Levanto. Ivi la si vede dalla ferrovia, in un taglio di torrente, fra
due gallerie; e io stesso la osservai in una massa diabasica interessantissima,
associata con eutotidi, presso Voltaggio.
Ma in quest’ultima località i cogoli ellissoidali che si separano facil-
mente dalla roccia, possiedono costituzione mineralogica zonare a guisa
delle variole delle varioliti; si tratta cioè ivi di una divisibilità che è in
diretto rapporto colle variazioni di costituzione della roccia, come avviene ad
esempio, in modo ben visibile, per la grande scala del fenomeno, nelle dioriti
orbiculari di Corsica.
Invece nelle roccie diabasiche di Eraclea, la natura litologica della
roccia sembra indipendente, ed invariabile, dalle sfoglie cipolliformi, alla
— 282 —
superficie e al centro dei cogoli; così che pare si tratti di una divisibilità
di origine fisica, alla guisa di quelle colonnari o a lastre di molte roccie
vulcaniche, dovute alle particolari leggi secondo le quali avvenne la contra-
zione delle masse rocciose, durante il loro raffreddamento. Una analoga divi-
sibilità, ma molto meno bella, io osservai nei noti melafiri del Biellese.
Alcune riescite fotografie, mostranti il fenomeno in tutta la sua evidenza,
sono state da me presentate alla riunione iemale di quest'anno della Società
geologica, e una di esse è stata riprodotta, come illustrazione della comu-
nicazione.
L'età di questa formazione non è ben precisata, non avendomi offerto
fossili; ma, essendo separata dai calcari urgo-aptiani delle potenti masse di
arenarie di Vély-Bey e di Neiren, e venendo essa ricoperta da una forma-
zione molto unitaria, che vedremo essere senoniana, noi possiamo ritenere
come probabile che essa appartenga al Turoniano.
Mineralogia. — Sulla lublinite di Sassari (*). Nota di Ema-
NUELE QuERCIGH, presentata dal Socio ErtroRE ARTINI (?).
La lublinite, rinvenuta in Italia finora da Galdieri nel 1913 (*) è stata
recentemente osservata, da me, in Sardegna, nei dintorni di Sassari,
L'interesse che presenta questo minerale caratteristico, costituito da
aghetti microscopici ad estinzione costantemente inclinata, tanto da venir
ritenuto sicuramente monoclino (*) finchè non ne venne dimostrata l’identità,
oramai indiscussa (°), colla calcite (6), è accresciuto dal fatto che ci sono
tuttora ignote le condizioni e le cause della sua formazione e sconosciuto qual-
siasi metodo di sintesi, come pure dall’incertezza che permane, giustificata,
riguardo alla sua maggiore o minore diffusione in natura.
Espongo, perciò, in questa Nota, le osservazioni eseguite sulla lublinite
della nuova località.
Poco lungi dall'abitato di Sassari, seguendo la strada chiamata Scala
de’ Pintori, che percorre il Colle dei Cappuccini, fin là dov’essa, inta-
gliandosi nel calcare miocenico, scende verso la collina detta Monte Bian-
(!) Lavoro eseguito nell’Istituto di Mineralogia della R. Università di Sassari.
(*) Pervenuta all'Accademia il 15 luglio 1921.
(3) A. Galdieri. Su di una calcite feltriforme di Nocera. Annali della R. Scuola di
Agricoltura di Portici, vol. XI (1913).
(4) R. Lang. Lublinit die monocline Modification des Calciumcarbonats. Neues Jahrb.
‘f. Min. Geol. u. Pal. Beilageband 38 (1914) 121.
(?) Johnston, Merwin, Williamson. 7'he several forms of calcium carbonate American
Journ. of Science 41 (1916) 490; P. Niggli u. K. Fasey, Zeitschrif f. Kryst. 56 (1921) 227.
(9) E. Quercigh, Sulla vera natura della lublinite ecc. Rivista di Min. e crist.
ital, 44 (1916) 65.
— 283 —
chino, si osserva, nel calcare laterale, qualche litoclase che si mostra parzial-
mente rivestito da uno strato di materiale leggero, pulverulento, assai soffice,
di spessore variabile fino a circa due millimetri, di color bianco, sovente assai
puro, talora latteo, o più marcatamente giallastro, o grigiastro, sempre ben
distinto dalla massa calcarea più o meno alterata e marnosa.
Esaminata al microscopio, questa polvere si presenta perfettamente cri-
stallina e costituita da un'infinità di aghetti microscopici, trasparenti, inco-
lori, fortemente birifrangenti.
La loro lunghezza, generalmente inferiore al millimetro, arriva talvolta
a mm. 1,3 e lo spessore non supera mm. 0,005; essi sono tutti indipen-
denti fra loro e senza alcun accenno a geminazione. All’ortoscopio presentano
estinzione inclinata rispetto alla direzione d'allungamento, i valori dell’an-
golo d'estinzione variano in limiti abbastanza estesi: da un minimo di
circa 35° ad un massimo di 50° mantenendosi generalmente oscillanti intorno
a questo massimo.
L'esame ottico al conoscopio non risulta conclusivo per lo spessore assai
ridotto dei cristallini.
L'indice di rifrazione è dell'ordine di grandezza dell'a-monobromonafta-
lina (1,66) nella direzione dell’allungamento e risulta paragonabile a quello
dell’olio di ricino (1,48) nella direzione normale.
È facile constatare, all’analisi, che il minerale è costituito in modo
quasi esclusivo da carbonato di calcio; esso contiene però notevoli quantità
di acqua (fino all'11 °/,) che viene facilmente ceduta, in ambiente secco,
già alla temperatura ordinaria.
Si deve ammettere che si tratti di acqua di condensazione superficiale,
perchè la trasparenza e le proprietà ottiche dei cristallini non mutano col
contenuto in acqua, nè colla sua completa eliminazione. Questa proprietà della
lublinite, già osservata da Jwanoff e Tschirwinsky sul materiale delle marne
eoceniche di Gora Pulawska (Lublino), che conteneva il 37.56 % d’H.0, fu
notata in seguito generalmente, quantunque in proporzioni minori, da quanti
sì occuparono di questo minerale; essa non si deve attribuire solo allo stato
di estrema divisione della. lublinite, perchè altri minerali in condizioni
identiche non presentano affatto, o solo in modo attennatissimo, il fenomeno,
ma si deve ammettere che la natura stessa del composto Ca CO; vi influisca.
Tracce di sostanze organiche, che pur furono riscontrate da Morozewicz nella
lublinite di Wysokie (Lublino), non esistono in quella di Sassari, in cui però
l'analisi microchimica rivela la presenza di Mg, Si ed AI, escludendo quella
del Na, K, Fe, P ed (NH,). Si può arguire che la natura del minerale ne
renda per lo meno ardua l'impresa di scevrarlo da piccole quantità di sostanze
estranee, come del resto è provato dalle altre analisi che si conoscono:
infatti Morozewicz trovò per quello di Wysokie 1.04 % di jimpurezze inor-
ganiche, quello di Gora Pulawska diede in due analisi rispettivamente
— 284 —
il 0.75 % ed il 0.46 % di residuo insolubile, quello di Bochotniza analiz-
zato da F. Borkowsky presentava il 3 % di sostanze estranee, il Lang in
quello della Diessenertal trovò il 0.48 % fra Al:0;, Fes0:, Si0, e Mgo0,
mentre Galdieri riscontrò, nella lublinite di Nocera, 112 % di residuo inso-
lubile.
La lublinite di Sassari diede all'analisi la seguente composizione cen-
tesimale:
Cao 55.86
CO, 43.47
SiO, 0.13
A1303 0.15
Mg0 0.21
99.82
ciò che ne conferma la purezza relativamente elevata.
La densità, determinata sul materiale secco col metodo della sospen-
sione in soluzioni di tetrabromuro d’acetilene e toluclo, risultò identica a
quella della calcite (2.72).
Credo che i valori, più bassi, ottenuti da Jwanoff (2.63) e da Tschir-
winsky (2.626) per la lublinite di Gora Pulawska, da Lang (2.65) per quelle
della Diessenertal e da Galdieri (2.67) per quello di Nocera, si debbano
spiegare colle difficoltà sperimentali che si incontrano nell’allontanare even-
tuali microscopiche bollicine gassose persistentemente aderenti a cristallini
dotati di superficie così vasta in rapporto al peso; anche l'umidità, che facil-
mente viene condensata dalla lublinite secca, deve portare un errore quando
il liquido usato non scioglie l'acqua; infatti basta, ad esempio, il 2 % d'acqua
per abbassare la densità reale di 2.72 e quella apparente di 2.68, e forse
non è casuale la coincidenza fra il peso specifico di 2.67 trovato appunto
dapprima pel minerale di Nocera e la percentuale d'acqua (1.79 %) con-
tenutavi, mentre lo stesso minerale di Nocera, sperimentato allo stato di
perfetta secchezza, mi risultò decisamente più denso di 2.70 (1).
Per quanto riguarda la reazione di Meigen, originaria o modificata, e
quella di Thugutt, la lublinite di Sassari si comporta, come quella di Nocera,
identicamente alla calcite di dimensioni paragonabili.
Sulle condizioni naturali di formazione della lublinite e sua sintesi,
le mie ricerche, tuttora in corso, non mi permettono per il momento di
definire il problema, su di esso mi riservo di ritornare in breve, limitandomi
ora ad esporre la convinzione formatami, che questo minerale debba essere,
in natura, molto più diffuso di quanto risulta dalle osservazioni note finora.
(3) L. e. pag. 83.
— 2859 —
Biologia. — Osservazioni sul tappeto lucido dei mammiferi
domestici ('). Nota I del dott. AnceLo CEsARE BRUNI, presentata
dal Socio BeNnEDETTO MoRrPURGO (*).
È noto che gli occhi di molti mammiferi in presenza di minima quan-
tità di luce sono capaci di emanare dei bagliori, e che tale fenomeno è
dovuto sopratutto alla presenza di un tratto speciale della coroide — il
tappeto lucido — il quale macroscopicamente appare come un’area dell’emi-
sfero posteriore dell’occhio elegantemente colorata ed iridescente. All'esame
istologico di quest'area si trova, immediatamente all'esterno della lamina
corio-capillare, tra questa e la lamina vascolosa, uno strato speciale — il
tappeto propriamente detto — che nei carnivori e nei pinnipedi consta di
parecchi ordini di cellule appiattite, in altri mammiferi (ungulati, cetacei) è
costituito essenzialmente di varî piani di fasci paralleli di fine fibre colla-
gene ondulose, come quelle delle stoffe marezzate, cosparsi di nuclei. Per
ciò vennero distinti da Bruùcke il tappeto fibroso ed il tappeto cellulare.
Sia cellulare o fibroso il tappeto non ha vasi proprî, ma è attraversato
quasi perpendicolarmente e ad intervalli regolari da quelli, che stabiliscono
la relazione tra lamina corio-capillare e vascolosa; in corrispondenza di esso
l’epitelio retinico non è pigmentato o lo è scarsamente. Si ammette da tutti
che l’iridescenza caratteristica sia dovuta a fenomeni d'interferenza e di
diffrazione della luce; la funzione pare sia quella di favorire la visione cre-
puscolare.
Secondo l'opinione dominante le cellule del tappeto cellulare, o iridociti,
dovrebbero le loro proprietà ottiche all'essere infarcite ciascuna di un'enorme
quantità di finissimi cristalli aghiformi, disposti in parecchi fasci, aventî
direzioni diverse, il che si osserverebbe anche nel tappeto e nell’argentea
dei pesci.
È un fatto veramente singolare, che un organo, cui è lecito attribuire
la medesima funzione in tutti i mammiferi, nei quali esiste, si presenti con
due strutture fondamentalmente diverse; ciò spiega i tentativi fatti per dimo-
strare un ponte di passaggio fra le due strutture (Piitter, Franz).
(1) Lavoro eseguito negli Istituti anatomici dell’Università di Torino (direttore pro-
fessore G. Levi) e della Scuola sup. di Medicina veterinaria (direttore prof, U. Zimmerl).
(*) Pervenuta all'Accademia il 27 luglio 1921.
RENDICONTI. 1921, Vol, XXX, 2° Sem. 37
— 286 —
Io ho studiato il tappeto fibroso nel bue nel montone e nel cavallo, il
tappeto cellulare nel cane e nel gatto. Nulla di più di quanto è noto ho
potuto mettere in evidenza pel tappeto fibroso; pel cellulare invece ho rac-
colti alcuni dati, che meritano di essere approfonditi.
Nel cane gli iridociti piatti, poligonali, di 5-7 w di spessore, di 25-30 «
di diametro, sono ben distinti gli uni dagli altri. Ciascuno contiene nel
citoplasma molte lunghe e fine fibrille, disposte in diversi piani paralleli alla
superficie del tappeto. In uno stesso piano tutte le fibrille sono parallele
Fig. I. Tappeto lucido di gatto adulto. Disposizione sinciziale degli iridociti.
‘Fissazione Carnoy, colorazione ematossilina ferrica. Camera lucida, 1334, d. (ridotta a 1/2).
fra di loro, rettilinee, ma non rigide; le fibrille di un piano intersecano
sotto angoli diversi quelle dei piani adiacenti. Esistono inoltre in qualche
‘cellula fasci di fibrille perpendicolari alla superficie del tappeto. Nessuna
fibrilla passa da una cellula all'altra. Ogni iridocito possiede al centro un
nucleo ovale appiattito. I vari piani di cellule sono separati da setti con-
nettivi continui, che aderiscono ai vasi attraversanti il tappeto. In sezioni
a piatto si dimostra che questi setti constano di una delicatissima rete
elastica e di fibre collagene sparpagliate; di più contengono fascetti di
fibrille connettive, presentanti la stessa ondulazione, che hanno i fasci del
tappeto fibroso.
Nel gatto adulto troviamo anzitutto una meno netta separazione tra le
singole cellule; dove la separazione è più evidente, i limiti cellulari sono
«segnati soltanto dalla brusca interruzione dei sistemi di fibrille. In altri
— 287 —
punti anche i fasci di fibrille acquistano una maggior lunghezza e si fanno
più ondulati, alcuni si possono seguire per oltre 100 w, quindi l'insieme
del tessuto acquista un aspetto nettamente sinciziale (fig. 1). Ciò non toglie
che si vedano qua e là degli spazi chiari tra fasci di fibrille bruscamente
interrotti. Le fibrille stesse sono meglio individualizzate che nel cane. I
setti di separazione tra i singoli ordini di cellule sono sottilissimi ed incom-
pleti, essendo limitati all’intorno dei vasi; non contengono nè fibre elastiche,
nè fibre collagene raccolte in fasci.
Nessun dubbio che le fibrille da me illustrate negli iridociti del gatto
e del cane corrispondano alle formazioni, che furono fino ad oggi conside-
rate come cristalli, ma è evidente che la descrizione che ne fu data non è
esatta, come pure errata ne è l'interpretazione. Si iratta certamente di
fibrille plasmatiche, che si avvicinano a quelle dell'epidermide e delle mucose,
e non di cristalli.
Stabilito questo, volli vedere se eventualmente esistessero caratteri
comuni tra le fibrille endocellulari degli iridociti e quelle d'aspetto collageno
del tappeto fibroso. Esclusa la corrispondenza dei caratteri tintoriali, ricorsi
alla digestione con pancreatina; le fibrille degli iridociti vennero digerite,
non così quelle del tappeto fibroso. Resta dunque assodato che le fibrille
delle due forme di tappeto non sono della stessa natura. Ma v'è di più:
abbiamo visto che nel cane i setti connettivi tra i varî piani di iridociti
contengono fascetti collageni isolati, identici pei loro caratteri a quelli del
tappeto fibroso. Quì, sebbene in quantità molto diversa, sono rappresentati i
due tipi di struttura del tappeto.
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RENDICONTI
DELLE SEDUTE
DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE
DEI LINCEI
Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali.
MEMORIE E NOTE DI SOCI
pervenute all’ Accademia durante le ferie del 1921.
(Ogni Memoria o Nota porta a pie’ di pagina la data d’arrivo).
NANNA
Pa
Fisica. — Sull'assorbimento della gravitazione. Nota II del
Corrisp. Quirino MAJORANA (').
CONSIDERAZIONI SULL'USO DELLA BILANCIA. — Queste mie ricerche spe-
rimentali si fondano sull’uso di una bilancia con un grado di sensibilità
eccezionale, variabile a seconda dei casi fra 130 e 370 mm. per mg.; nelle
letture si apprezza ad occhio il decimo di mm. Così sperimentando, si com-
prende come possa intervenire qualche causa perturbatrice o di errore, che
di solito non è presa in considerazione. La prima di esse è la variabilità
della sensibilità della bilancia col tempo di carica, con l'intervallo di tempo
cioè, compreso tra l’istante in cui si abbassa il giogo e quello in cui si fa
la lettura. Si elimina tale causa di errore, portando quel tempo ad un mi-
nimo di 4 o 5 ore, e talvolta sino a qualche settimana.
CURVATURA DELLO SPIGOLO DEL COLTELLO. — È questa una seconda
causa di errore assai complessa, di cui dirò ora brevemente. Lo spigolo di
un coltello (acciaio od agata) di una bilancia non può esattamente consistere
nella retta geometrica, determinata dall’incontro dei piani limitanti il col-
tello ed inclinati l’uno sull'altro per un angolo di circa 70°. Se così fosse,
il peso del giogo e quello dei due carichi verrebbe a riversarsi su una zona
superficiale infinitesima, il che è assurdo. Per cui, anche se la lavorazione
di un coltello è in origine praticamente perfetta, lo spigolo di questo finisce
per smussarsi ed assumere un profilo tondeggiante, sia pure in misura ap-
(1) Pervenuta all'Accademia il 19 settembre 1921.
— 290 —
pena percettibile. La sezione normale allo spigolo consiste dunque in una
certa curva variabile da caso a caso, che ha un raggio di curvatura (raggio
di curvatura del coltello) diverso da zero, al punto di tangenza col piano
di agata di appoggio. Trascuro per altro, per ragioni di semplicità, di con-
siderare gli inevitabili fenomeni di deformazione elastica che pur debbono
avvenire al detto punto di tangenza. Inoltre, è chiaro che, se inconvenienti
si manifestano per l'imperfezione dei coltelli, essi provengono da tutti e tre
i coltelli della bilancia. Ma io prescindo anche da ciò, e le considerazioni
che svolgo, si riferiscono a quanto avverrebbe se solo il coltello centrale
fosse difettoso. Ecco ora quali conseguenze si possono prevedere, in base alle
esposte considerazioni.
CENTRO DI OSCILLAZIONE VERO DELLA BILANCIA. — In conseguenza
della curvatura del coltello, il centro di oscillazione della bilancia viene ad
essere alquanto rialzato, rispetto al punto di appoggio, e precisamente di un
segmento uguale al raggio di curvatura al punto di contatto. All'oscillare
della bilancia, il centro di oscillazione può esser dunque mutevole, se il
profilo dello spigolo del coltello non è circolare, e propriamente si sposterà
lungo l'evoluta, o luogo dei centri di curvatura, del profilo stesso.
SENSIBILITÀ DELLA BILANCIA. — Questa è espressa, come è noto, dalla
formula
da db
ecR Da
dove da è l'angolo per cui si sposta il giogo, sotto l'azione del sovraccarico
dP; è è il braccio della bilancia; P è il peso totale del giogo e dei due
carichi; d è la distanza fra il centro di oscillazione (centro di curvatura al
punto di tangenza fra coltello e piano di appoggio) ed il centro di gravità
del sistema.
Può ora mutare (p. e. in conseguenza dell'aggiunta di un lieve soprac-
carico) la posizione di equilibrio della bilancia. Si potranno allora dare tre casi:
1° Za curvatura del coltello è costante ; sarà anche costante d, e
quindi anche la sensibilità della bilancia, al variare della sua inclinazione.
2° La curvatura del coltello va decrescendo dal punto centrale
verso le parti laterati del suo profilo (come dal vertice di una parabola); si
vede allora che il 4 va crescendo, e quindi la sensibilità va decrescendo.
3° Za curvatura del coltello va crescendo (come dal punto di mi-
nima curvatura di un’ellisse); in tal caso il d va decrescendo, e la sensi-
bilità va crescendo.
Di questi tre casi, sembra che il terzo sia quello che con maggiore
probabilità si verifica in pratica; ciò risulta dalle mie esperienze, come
farò vedere.
EFFETTO DI UNA ROTAZIONE DEL SOSTEGNO. — Questa rotazione, ge-
nerabile, p. e., mediante la manovra delle viti calanti ai piedi di una qua-
— 291 —
lunque bilancia, e che si trasferisce al piano di appoggio del coltello, va:
considerata solo se avviene intorno ad un asse parallelo allo spigolo del col-
tello. Essa non avrebbe inoltre alcuna influenza sulla posizione di riposo del.
giogo, se lo spigolo fosse idealmente perfetto. Ma in realtà si deve supporre.
che esso ha curvatura finita e, nel caso più semplice, che il suo profilo sia
rappresentabile p. e. con un arco di cerchio MCN (fig. 1), di centro O. Sia
AB il piano di appoggio, inizialmente orizzontale ; esso, per la rotazione si.
trasferisce in A'B'. Ma con ciò il centro di gravità G del sistema non resterebbe.
Fia. 1.
più contenuto sulla verticale passante per il nuovo punto di tangenza C';
occorrerà necessariamente che il coltello ruoti o meglio rotol? sul piano di
appoggio. Suppongo per comodità di figura che il punto O- rimanga fisso nello
spazio; descrivo l'arco di cerchio GG', con centro in 0; il punto G' sulla
verticale per C', corrisponde alla nuova posizione del centro di gravità.
L'angolo GOG =@, è quello per ‘cui ha ruotato il giogo od il coltello, il
quale ha assunto la posizione M'C’'N', con punto di contatto, in generale, dis-
simmetrico ; l'angolo COC" = 8, è quello per cui ha ruotato il piano di ap-
poggio, essendo i suoi lati rispettivamente normali ad AB ed A'B". Condu-.
cansi EG” e DC’ normali ad OG. Si ha, essendo 00 = 7, ed 0G=4d:
E =D =rsen?=4dsena:.,
ossia:
e, per piccoli angoli,
(1)
Ben es
Da cui si vede che se 7 =d, sarà @ = #, cioè: se dl raggio di curvatura
è uguale alla distanza fra i centri di curvatura e di gravità, il giogo
ruota esattamente per lo stesso angolo per cui ruota il piano di appoggio.
Se 7 = d, sarà corrispondentemente a f, cioè : l'angolo di rotazione
«del giogo sarà minore 0 maggiore di quello del piano di appoggio, a seconda
‘che sia il centro di gravità al di sotto od al disopra del punto di appoggio.
Dall’espressione :
d=r SOIT,
sen a
‘sì vede che, potendo al massimo essere sena=1, non potrà mai avvenire,
per l'equilibrio, che
d cn xa, prende-
chi
i»
iS
remo co=l e per x>0 si dovrà avere
Cn
On = Cn +77 (PAT
come risulta dalla (1) eguagliando i coefficienti delle stessa potenze di x
nei due membri; quindi
n(n+1)
RIA E AIA
“Said ==)... (12)
Dunque, l'espressione generale di w,(x) è la seguente funzione intera di x:
(mem) (n-M+1)
(co) a 2 Voti
L'E Se at aa
Un)= 2 Tia) a
Ciò si vede integrando successivamente (x) tra i limiti (0,x) in base
alla (1').
Per a=0, &m(x) si riduce ad x”.
2. Supponiamo che una funzione /(x) analitica regolare nelle vicinanze
del punto x = 0, si possa sviluppare intorno a questo punto in una serie
uniformemente convergente di funzioni v, cioè mettere sotto la forma
Dia Un(2).
Si può esprimere facilmente il coefficiente a, per mezzo dei valori che
prendono la funzione /(x) e le sue prime x derivate nel punto 4 = 0.
Dimostreremo che si ha;
1 al
a Se ie_—e—__ > PI ;
(2) “coli ea
Intanto la formola è vera per 2» =" 0, perchè /(0) =, e per x=1,
perchè
f'(a)= dove) + an vo(.e) + 2ae ui (e) + +
(04
e perciò /"(0)=@,%(0) + a;, ed essendo w(0) = cè
1T_-a
=—af0)
i =/[f'(0)— il
— 297 —
Ammettiamo vera la (2) fino ad a, e dimostriamola per @n+1-
Derivando /{x) n+1 volte, troviamo:
e) = % USO (0) se ni ul (x) + 214 ul! (9) -È ona
Us(x)
. + (+1)! dnos (40) + (4-2)! (nor (2) + ec È +e),
e perxa=0:
(3) (0) = do u*"(0) DS di ul” (0) + SE -- (a+ 1) ro
Tenendo conto delle espressioni di 49, 41,..-@4n, Cerchiamo il coefficiente
di /*(0) (XK <%) nella somma dei primi x | 1 termini del secondo membro
della (3). Esso è
n—-k r
3 1 SV RI ER e n-k-r+1
(4) 21) (1—a)(1—a?) s(1— ef) U; ?(0).
Per X = 1, aggiungendo a questa somma un altro termine dedotto da
quello generale facendo r=n—% + 1, otteniamo il prodotto di (a—-k+-1)!
per il coefficiente di posto n—-%k+-2 nello sviluppo di (x) in serie di
funzioni v, ed essendo tale coefficiente nullo, concludiamo che la somma (4)
è eguale a
anht1
SI (e _w=._ —"——_t_—_tr_rr__t_ .
(5) cal (1—@)(1—@?)...(1—a-k+1)
Ora mostreremo che l'eguaglianza tra le due espressioni (4) e (5) sus-
siste anche per X= 0; ossia, tenendo conto del valore «f—"*"(0), dimo-
streremo che la differenza tra (4) e (5), cioè
(N=r+1) (N-r+2)
AE ZI ATE SY Rae e Re e
è nulla.
Se dividiamo tutto per «"+!, l’identità da dimostrare si riduce alla
seguente:
(ner) maer+1)
n+l 1 a 2
ZIA — a)(1—a?)... (1 — a) (1—a)(1—a?)...(1—a"+"-1) iù
Denotiamo il primo membro con An+:: per le ipotesi fatte è A, = 0.
Per 7 > 1 decomponiamo il numeratore 1 del primo fattore del ter-
mine corrispondente in A,., nelle due parti 1— a" ed a"; A,,, si potrà
allora decomporre in due somme: la prima è A, ed è nulla, rimane
— 298 —
(Mr) (M-r+1)
n+l
Sile PAS
r=ò (1—a)...(1—@") (1—a)...(1— a+!)
Per 7 = n il secondo fattore del termine generico di questa somma si
può decomporre nella somma di queste due parti:
Mer) mer+1) (M-r+1) (n-r+2)
a s a 2
ene ES)
ed allora A,,, si decompone in due parti: una è A,a” e l’altra A,,,@"*!.
Abbiamo così A,,,=A,,,@*, A,.,==0. Dalla (8) ricaviamo così
anTh+!
o)... (1—-@
cosicchè la (2) è vera anche per il coefficiente 4,,,,.
3. In seguito sarà dimostrato che una funzione analitica regolare all’in-
terno di un cerchio avente centro nell'origine si sviluppa in serie di fun-
zioni x che converge uniformemente in qualunque regione izterna al cerchio.
Avremo in particolare in tutto il piano, in base all'espressione di a,
per /(x)= l:
{94 (0)= > Lyra TI ZIE FP(0) + (+1)! 404,
Sd SO reo
e da questa, per derivazione, si ottiene lo sviluppo di w;(x):
Ù SE < Si 0)
(7) be SClra ai
Ed ora siamo in grado di dare una formola che presenta una grande
analogia con quella di Maclaurin.
Sia /(x) una funzione reale che ammetta derivate fino -all’ordine r in
ogni punto dell’intervallo (0, x), 7 >0.
Poniamo
f@=/0 wu +| 110 -77/ (0) Ju) +
; a — ir O+- +1 ia) i
Una), We)
ae i O
con v intero positivo.
Si denoti con F(2) la funzione che si ottiene cambiando nel secondo
membro l'argomento x di ciascuna delle u in x —, ed in 4 l'argomento
— 299 —
«o della / e delle sue derivate. Si ha F(0)=F(x)=/(x), quindi la deri-
vata di F(s) si annulla in un punto £ interno all'intervallo (0, x).
Ora si trova facilmente
=| © — gf @+-<+(1 (1-0) =q lay! © | Ù
Une (7 Der 8)
(a 1)!
dove con 9,(x) denotiamo la somma dei termini dello sviluppo di (x) @
partire dall’(n + 1)"°.
) H(a) — f(8) gole — 3),
Da F'(f)=0 ricaviamo la seguente espressione per il resto
u(x) H(£)
«della formola (8)
[man iar®+-+ agli 8]
A e)
uv. (2 — È) v(n—1)! ud È) v
Mostriamo che l’ultima parte di questo resto tende a zero al tendere di 7
ad 0.
Si ha um(e) > x"; poi, essendo
Um(2) = m(" (e — E) wo(£) dé
abbiamo un(x) < €" wo(x), quindi
In(£)_ | INACANI (2)
Uy_i (2) gv
Ma
e Aa)
ACI] => (1—-@)..(1- a") m! >
& ant! EIA
< Uo(2) 5, (1—-@).. (1-84) ml!’
quindi
Ind) re I n A
si) Zuo(2) di a(1-—@) (1-4) ml
La diseguaglianza si rafforza se al primo membro si mette « — È al
posto di x; wr
omtl da
Infe — USIAZE
(0) (1—-a)...(1—a®H) mi
ur (LT
=) a al cd Un@)
le =) HO
io e ale 5) n!
che è analoga a quella di Lagrange nella formola di Maclaurin.
Da essa deduciamo che se /(x) ammette derivate di qualunque or-
dine ed /(€) si mantiene limitata qualunque sieno x e & in (0,),
f(x) si può sviluppare in serie di funzioni w(x), perchè il resto tende a
zero. Infatti, il valore assoluto della prima parte del resto non supera
1 due
=Aul£) (1—-@)... (1—-@") n!
con A costante, e quest'ultima espressione tende a zero al tendere di x ad co.
Così, p. es., troviamo subito lo sviluppo di e7®
(0) SS (CI ld
n=0
Matematica. — Sull’equazione delle vibrazioni trasversali
di un’asta solida, elastica e omogenea. Nota II del dott. FRAN-
cesco SBRANA, presentata dal Corrispondente 0. TEDONE (').
4. Per determinare il limite del secondo membro della (4), osserviamo
che le funzioni ar, si annullano su tutta la caratteristica y= %0, ©
se: ; î dia da r FER e,
quindi anche nei punti A e B, che si > , negli stessi punti, diventano
CEVEgRA : TRI d« cio : AR) a
infinite di ordine 3’ mentre mn ha un infinito di ordine 3° La ricerca del
limite propostoci si riduce quindi alla ricerca del limite:
» d'a
i Mr OO)
e=0
S(Yo—£)
(1) Pervenuta all'Accademia il 1° luglio 1921.
(2) È chiaro che l’esistenza di questo limite risulta senz'altro da quanto precede.
vi
Si noti che È tende, in A e B, a infinito di ordine maggiore d'uno, cambiando però
infinite volte di segno.
— 301 —
Per raggiungere questo scopo, introduciamo la funzione :
Lo TI
2Vyo—y
(7) B(x,Y;%0o,Y) = — (Lo 2( (sen 9° +- cos 9°) dp +
+e 9 (sen Gelli co MELI (>),
ove, ancora, intendiamo il radicale sia preso positivamente. Come subito:
si vede, è
(8) ei
e, quindi, con una integrazione per parti, abbiamo subito,
(9) lim n (= udy= VE (ua + Us)
e=0
S(Yo—8)
a) dÒ du dB 2
+([(8 de De) de io + ndy |
di 8(Yo)
db
Gl’integrali a secondo membro sono ora integrali propri, poichè n è:
finita in A e B, mentr in questi stessi punti, di
ordine Li Risulta così determinato il limite del secondo membro della (6).
Se poi si nota che tra le funzioni @ e f sussiste anche la relazione
db da
da? 9dY
(10)
nel limite anzidetto, i termini
2
{and ine
(Yo) 8(Y
si elidono. Inoltre, per ottenere una maggiore simmetria nelle formule defi-
nitive, abbiamo, ancora in conseguenza della (8), e con una nuova integra--
zione per parti :
RENDICONTI,; 1921, Vol, XXX, 2° Sem. 39
— 302 —
(11) i (tata) VE le, — 5001 (3) +
+ la — 5001(38)|- J 8 (3,0 + ag)
$(Yo)
Riunendo tutti i precedenti risultati, e posto, per brevità :
(12) Ha VE IG LISI DE: se da +
dY da?
8(Yo)
db du du. da dè du
rt re ae PESATA d È
LE RATE at sl ’ |
‘otteniamo, infine :
na) 2 (0, Y0) = + un + [Lo — 51(4)] È #
+ [x — 5(Yo)] i + H(%01%o)-
La (13) sussiste, se 0=(x,,%0) è interno al segmento AB. Se 0 è
‘fuori del segmento stesso, si dimostra, similmente. la formula :
(14) (en, (E) DE
— [on — 8:00] (E) = H(20,%).
‘ove si deve scegliere il segno = secondochè xo > $e(Y0) : 0 xo < F1(Y0) -
5. Come nella formula del Volterra, relativa all'equazione del calore,
nella (13) compaiono, oltre alle funzioni al contorno, che determinano la
soluzione della equazione differenziale, altre funzioni, che occorre eliminare,
se ci proponiamo di risolvere, per l'equazione stessa, il problema di Cauchy,
corrispondente al contorno considerato. Si riconosce facilmente, che tale eli-
minazione si può effettuare, come nella formula citata del Volterra, se il
«contorno s ha forme speciali, e negli stessi casi dal Volterra contemplati.
— 303 —
Matematica. -—— Sopra i numero delle classi di forme arit-
metiche definite di Hermite. — Nota II del dott. ALBERTO BeDA-
RIDA, presentata dal Socio L. BrANCHI (').
8. Conclusioni. I risultati precedenti ci hanno permesso di scrivere le
seguenti relazioni, che formano l'oggetto delle attuali ricerche.
a) Siano h(4) ed hAuu) (A) È 5 TT
dicali d'ordine vr, e v», che figurano in X rispettivamente per e, = cos oa se
Ji
.____ IT TT : I; Sa.
+ isen — e per es, = cos — | z7sen —, onde le stesse sostituzioni {1 735°
sono presentate dalla funzione
DA Va
Vyigt + Vidi è dalla Verdi "pl Var Di
quindi, ove si prendano come w,=0 e w,==0 due curve d'ordine «, -+
+ b, —1 e db>+a,—1,ì gruppi dei punti di contatto v, — punto e
vo — punto di Wi w' =0 e wyw==0 con la p= 0 sono equivalenti a
quelli delle ywî' wr" = 0 e yi wî° = 0 (giacchè dalle serie cui appartengono
i gruppi di contatto dipendono le sostituzioni subìte dai radicali).
Pertanto, indicati con D,, Da, Di, Dj, le terne di contatto delle
Yi, Ws, Wi ,ws, e con T la terna segata da una retta, saranno
(5) @aD +3 Da =D + (41 +8 —1)T:a,D1 + doDs= DI +(a0-+d:
le condizioni perchè le X,X' siano identiche.
Analogalmente a quanto è stato fatto nel caso ciclico, definiremo come
simili (rispetto ai numeri v, e 2) le coppie di gruppi D, e Di, Di e Di,
soddisfacenti alle (5).
Passando ora dalle curve alle superficie, si consideri una superficie F"
data da
(4) O x=IVE+VAE se) =0 0
NES
— 308 —
birazionalmente identica alla F data dalle (4). Per le sezioni 2 = cost. do-
vranno anzitutto essere soddisfatte le condizioni di similitudine (5), le quali
dicono che le sostituzioni sui punti di F' (cioè sui valori dei radicali della
sua equazione) relative ai cicli C; si ottengono dalle analoghe sui punti di
F. cambiando
n, e7n,inag=nA nl 6 v=nl' nh,
questo dunque dovrà accadere oltre che per i cicli C; non nulli, anche per
cicli avvolgenti le superficie di diramazione date (sulla varietà riemanniana
del cilindro ®) dalle equazioni
9(2)=0 , 9,(e)=0, 0()=0 , 0(4)=0.
Il polinomio 0; dovrà dunque differire da 90: gl: per un fattore 03 ele-
vato all’esponente v,, e l'analogo dicasi per 05; dovrà cioè essere
afrot'— 61 0r*, opa 09
Riassumendo, le condizioni perchè due superficie F_ ed F' rappresen-
tate dalle (4) e (4') riescano birazionalmente identiche sono che:
1°) le coppie dei gruppi di contatto delle curve Wi, W.,Wi,W,
siano simili, soddisfacendo alle relazioni
a D, + 0 Da = DI + (a + dr 1)T, 0D + doDa = Di + (48 + da — 1)T,
avendosi 4, primo con 0 = i: b, divisore di o, 4="a,0 — ag9b, primo
4)
«CON Va;
20) esistano due polinomi 6, e 0» tali che 0% odi — 96%: gir ga —
0508".
In particolare, ove si voglia, 09,= 0 , 9» = 03, dovremo avere:
a,==l , =) , bg=1 9 as= 0 ’
sicchè le terne dei punti di contatto di W, e Wi, Ws e ws debbono essere
equivalenti.
NOTA. I risultati esposti sono stati ottenuti poggiando sul teorema di
Abel, che dà la definizione trascendente delle serie lineari : ai risultati
stessi si potrebbe pervenire per via analitica in base ai teoremi delle tra-
sformazioni delle funzioni ellittiche, o anche per via puramente algebrica,
partendo dal teorema d'esistenza, usando le formule numerative inerenti alla
divisione delle serie, ed osservando che Vy, e Vw? danno lo stesso irrazio-
nale ove sia % primo con n. Ma non crediamo necessario diffonderci qui su
«questa seconda via.
— 309 —
Fisica matematica. — Una nuova teoria dello spostamento
delle linee spettrali. Nota di GiuLio KRALL, presentata dal Socio
T. LevI-CIVITA (1).
La teoria generale di relatività dà il mezzo per calcolare la variazione
apparente che un campo gravitazionale produce sulla frequenza di un oscillatore.
Allo stesso risultato si può pervenire in modo elementare, associando
alle nozioni fondamentali dell'ottica e della meccanica classica unicamente
i due postulati di materializzazione e di quantizzazione dell'energia. Così il
problema viene posto sotto un aspetto accessibile all’intuizione diretta.
Infatti, consideriamo un oscillatore atomico che, tanto per fissare le
idee, si trovi sul sole. Esso emette, ogni qualvolta un elettrone passa da
un'orbita possibile ad un’altra, una quantità di energia data da:
(1) hv = Em &n
La (1) esprime la condizione di frequenza di Bohr; em ed «, rappresen-
tano i valori dell’energia dell'elettrone nelle due orbite possibili, % la
costante universale di Plank e v la frequenza.
Per il principio di materializzazione dell'energia, la massa del quanto
sarà data da:
dove e è la velocità della luce.
Allorchè questo quanto dovrà raggiungere l'osservatore posto a distanza
infinita, o almeno tale che il valore del potenziale possa essere praticamente
considerato nullo, la sua energia di posizione, ossia il potenziale (il che è
quanto dire la funzione potenziale cambiata di segno) si troverà incremen-
tata di
AR ULI
Ta re
se K è la costante di Newton, 7 il raggio del sole, M la sua massa.
Ammettiamo, poichè una tale ammissione ci sembra naturale e spontanea,
(') Pervenuta all'Accademia il 28 settembre 1921.
RenpICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sem. 40
— 310 —
che non ci sia differenza qualitativa fra questa energia (di posizione) addi-
zionale e la energia %v che il quanto possedeva sul Sole. Sicchè quando:
il quanto sarà giunto a distanza infinita, un osservatore che ne misurasse-
l'energia, la troverebbe uguale a:
hv
hv + K ca M
e potrebbe argomentare che il campo gravitazionale è modificata la frequenza.
dell’oscillatore in modo da ridurla ad un valore:
OY
che la semplice equazione
M hy
hvo = hyv | K Pa ai
gli può fornire. Da questa infatti si ottiene
I M
Ca) »=v(1+K3).
; 3 : M
e chiamando il potenziale — K 7 600 Pa, Segue:
&) eli a) Di
e?
Ko
, M DT 3
Il valore = — K va che si ottiene dalla (2,) coincide con quello
calcolato da Einstein.
Concludendo vediamo come applicando il principio di materializzazione-
e di conservazione dell'energia, unitamente alla teoria dei quanti che domina
il modello atomico di Bohr, siamo giunti al risultato che un campo gravi-
tazionale modifica la frequenza di un oscillatore relativamente ad un osser-
vatore che si trovi in punto dello spazio per il quale il potenziale del campo
assuma un valore differente da quello che à nel punto in cui si trova l’oscil-
latore.
Notiamo che se il potenziale nel punto in cui si trova l’atomo è il
valore ga, e quello assunto nel punto in cui si trova l'osservatore è o ,
l’espressione più generale por la frequenza è data da :
Pa — Po
Vo = "(1 = fa)
che per go = 0 ricade nella (2).
— 311 —
Chimica. — Nuovo metodo di dosaggio dell’arsenico negli
acciai (*). Nota di C. Mazzetti e P. AGOSTINI, presentata dal
Corr. N. PARRAVANO (?).
Per il dosaggio dell’arsenico negli acciai sono stati proposti numerosi
metodi i quali suggeriscono di operare sostanzialmente nell’una o nell’altra
delle due maniere seguenti:
1°) precipitare l’arsenico allo stato di solfuro e pesarlo come tale o
come piroarseniato di magnesio;
2°) separare l’arsenico per distillazione allo stato di cloruro e dosarlo
o volumetricamente con iodio o KBr03, oppure per pesata come piroarseniato
o solfuro.
Il metodo di dosaggio più generalmente usato nelle acciaierie è quello
riportato da Ledebur: si scioglie l'acciaio in acido nitrico, si evapora a secco
la soluzione, si arroventa il residuo fino a che non si sviluppano più fumi
rossi di ipoazotide, si riprende con HCl, si addiziona il liquido di KBr e
solfato di idrazina e si distilla. Nel distillato si dosa l'arsenico con KBr0,
e metilarancio come indicatore.
Oltre il solfato di idrazina, varie altre sostanze sono state consigliate
come riducenti dell’arsenico, così il solfato ferroso (*), il cloruro ferroso (*),
il cloruro rameoso (5), e recentemente anche il rame (°).
Questo procedimento che, nelle mani di un analista sperimentato, dà
ottimi risultati, presenta però degli inconvenienti.
Anzitutto le varie manipolazioni immobilizzano per troppo tempo l’ope-
ratore, e, in secondo luogo, nel riprendere con acido cloridrico il residuo arro-
ventato si possono avere facilmente perdite di arsenico.
E ciò senza tener conto che volendo rinunciare, come sempre si fa, a
pesare l’arsenico, la titolazione con KBr 0; consigliata da Gyòry (7) e gene-
(!) Lavoro eseguito nell'Istituto Chimico della R. Università di Roma.
(3) Pervenuta all'Accademia il 17 agosto 1921.
(3) Blair, Chemical Analysis of Jron, 88 edizione, p. 194.
(4) Brearley-Borvin, Béranger, 1905, p. 145.
(5) Villavecchia, Chim. anal. applicata. vol. 1, p. 240.
(6) Compagno, Giorn. di Chim. Ind, ed appl. II, 1920, 493.
(7) Zeit. analvt. Ch. 32, 415.
— 312 —
ralmente oggi adoperata, presenta l'inconveniente di dosare qualunque altra
sostanza riducente che eventualmente possa trovarsi presente nel liquido
da saggiare.
Si è pensato perciò di sostituire a questo metodo un altro che offra
una maggiore sicurezza di risultati e sia più facile e spedito a eseguirsi.
Tralasciando i documenti analitici che giustificano il nostro modo di operare —
e cho saranno esposti dettagliatameute altrove — ci limiteremo quì ad indi-
care senz'altro il nuovo metodo di dosaggio che noi proponiamo.
Gr. 10 di truccioli di acciaio si trattano con 80 ce. di acqua regia
(1 acido nitrico -+- 3 acido cloridrico) che vengono aggiunti a piccole
porzioni. Si opera in capsula di porcellana coperta da vetro. Compiuta la solu-
zione si porta a secco su bagno di sabbia), si riprende il residuo con 60-80 ce.
di acido cloridrico, si filtra il liquido attraverso crogiuolo di Gooch per sepa-
rare silice e carbone, si travasa il liquido in una bevuta da 500 cc. e si
aggiungono circa 75 ce. di reattivo di Bettendorf (400 gr. di SnCl.. 2H,0
in 1000 di HCI di densità 1,18).
Si chiude la beuta con pera di Kjehldall e la si porta a b, m. man-
tenuto ad una temperntura fra i 40 e 50°. Si lascia la beuta a caldo fino
a che tutto l’arsenico si sia depositato nel fondo. Si filtra attraverso filtro
Berzelius con leggera aspirazione e si lava con acqua fino a scomparsa della
reazione del ferro. Si asporta il filtro dall’imbuto e lo si introduce in un
matraccio da 100 cc. in cui sono contenuti 20-30 ce, di acqua. Si dibatte
il liquido in maniera da spappolare bene il filtro.
Si aggiungono 10-15 ce. di J N/10, si porta, agitando, l’As in soluzione
e si titola in presenza di fosfato o di bicarbonato fino a colorazione violetto- -
rosea con salda d’amido (') (yellowish-pink).
Le prove sono state fatte con due metalli Standard inglesi, un acciaio
ed una ghisa ematite, ed un acciaio di cui si è determinato per confronto
il contenuto in As col metodo di Ledebur.
I risultati ottenuti sono i seguenti:
(*) Washburn, Am. Chem. Soc. 30-43 (1908).
— 313 —
As °/o
Tipo del campione As trovato vu Differenza
trovato nominale
Acciaio basico 0.0140 0140 0.140
È » {_,| 00143 | 0.143 | 0.140 | +0003
ha
(SI
Ghisa ematite/ È | 0.0051 | 0.051 | 0.042 | +-0.009
A a \ | 00050 | 0.050 | 0.042 | + 0,008
P 3 0.0050 | 0050 | 0.042 | + 0.008
| | Titolazione
| Î | Ledebur
Acciaio a 0,10 di C.| 00090 | 0.090
a » »|0.0095| 0095 0.098
”» ”» » | 0.0096 | 0096 0.095
” ” n | 0.0094 | 0.094
Come si vede i risultati non potrebbero essere più concordanti e noi
crediamo perciò di poter proporre l’uso del nostro metodo accanto, e in molti
casi a preferenza, di quello di Ledebur.
Chimica. — Carvomentoli levogiri dal fellandrene (*). Nota II
del dott. Vincenzo PAOLINI, presentata dal Corrisp. A. PERA-
TONER (°).
L’a-fellandrene (3), che servì da materiale di partenza per le mie ri-
cerche, aveva le seguenti costanti:
p. eb. 75° a 15 mm; d go = 0,848 ; np, = 1,4769; ap = — 81930"
vale a dire presentava tutti i caratteri del fellandrene che si ricava per di-
stillazione frazionata dell'olio di Eucalyptus amygdalina (‘).
Nitrosito di a-fellandrene. — Gr. 100 di fellandrene disciolti in 559 ce.
di ligroino sì versano in un vaso di vetro sottile sopra una soluzione di 37 gr.
di acido solforico in 150 cc. di acqua, e si raffredda molto bene. Mentre si
mantiene il contenuto del vaso in leggiera agitazione, si fanno arrivare al
fondo, molto lentamente, gr. 230 di una soluzione di nitrito sodico al 44%.
(') Lavoro eseguito nell'Istituto Chimico-Farmaceutico nella R. Università di Roma.
(*) Pervenuta all'Accademia il 16 agosto 1921.
(3) Colgo l’occasione per ringraziare sentitamente la Casa Schimmel e C. di Lipsia
che disinteressatamente mise a mia disposizione una notevole quantità di materiale di
ricerca.
(*) Die atherischen Oele - II Auflage von E. Gildemeister, pag. 340.
— 314 —
L'operazione dura circa un'ora ed un quarto. Il precipitato voluminoso viene
raccolto, ben lavato, e purificato col metodo descritto dal Wallach (!), per
precipitazione con alcool metilico da una soluzione molto concentrata in clo-
roformio. Si presenta in cristalli aghiformi, completamente bianchi, fusibili
a 105°, dotati di tutti gli altri caratteri fisici del nitrosito del @—fellandrene.
Nitro- a. fellandrene (®). — Gr. 10 di nitrosito di fellandrene vengono
introdotti poco a poco in una soluzione ben raffreddata di potassa alcoolica,
fatta con gr. 10 di idrato potassico, gr. 10 di acqua, ce. 90 di alcool asso-
luto. Dopo qualche ora al liquido limpido aggiungendo acido solforico di-
luito, precipita il nitrofellandrene come olio giallo, di odore di chinone, irri-
tante gli occhi. Distillato in corrente di vapore ed estratto con etere, viene
distillato nel vuoto; bolle a 134-138, sotto 12 mm. di pressione.
Riduzione del nitro- «.fellandrene. — In una soluzione di gr. 20 di
nitrofellandrene in ce. 800 di alcool assoluto si introducono gr. 70 di sodio
tanto rapidamente, da mantenere uno sviluppo vivace di idrogeno. A reazione
finita si diluisce con acqua e si distilla con vapore. Il distillato risulta da
un miscuglio di chetone C,6H,g0, tetraidrocarvone, dell'alcool corrispondente,
e di fellandrenammina, sostanze che si separano facilmente raccogliendo il
distillato in una soluzione di acido ossalico. Agitando con etere passa nel
solvente il miscuglio di chetone e di alcool. mentre la base resta salificata.
Per evaporazione dell'etere rimane un olio che presenta l'odore caratteristico
del carvomentolo; viene purificato assoggettandolo ad una nuova riduzione
con sodio ed alcool etilico.
Il carvomentolo così ottenuto presenta i seguenti caratteri:
p. eb. 218° (corr) ; dio = 0.9073 ; 21; = 1,468
ep= — 99,50’ (tubo lungo 1 dm) onde [a]p= — 10°, 83".
Ftalato acido di l-a.carvomentolo. — Gr. 10 di carvomentolo di ri-
duzione, disciolti in 40-50 cc. di benzina di petrolio (60-7C°), si fanno
reagire con un eccesso di sodio metallico (gr. 3 invece di 1,5) per 10-12
ore, e dopo questo tempo la soluzione del sale sodico, decantata dall'eccesso
del metallo, si fa gocciolare nella quantità teorica di anidride ftalica (gr. 9,5),
sospesa in 300-400 cc. di etere di petrolio. Dopo riposo di 48 ore, al pro-
dotto della reazione si aggiungono 300-400 ce. di acqua lievemente alcalina
per idrato sodico; in tale modo si asporta in forma di sale sodico quasi
tutto l’etere ftalico acido. Il liquido alcalino, lavato con etere di petrolio,
si acidifica con acido solforico diluito; separasi rapidamente l’etere acido in
forma di sostanza oleosa, giallognola, che per soggiorno sott'acqua alle tem-
perature invernali di 8-15° poco a poco indurisce.
(*) Annalen, 287, pag. 373.
(2) Annalen 336, pag. 31.
— 315 —
Questo derivato ftalico è un miscuglio di diversi eteri; sottoponendolo,
‘infatti, ad una serie di precipitazioni frazionate mediante ligroina dalla sua
soluzione benzolica, il punto di fusione si eleva notevolmente, e da ultimo
per cristallizzazione dall'etere di petrolio bollente si ricava una bella so-
‘stanza in ciuffetti di aghi bianchi, il cui punto di fusione 89° ed il cui po-
tere rotatorio specifico [a]p =-- 45°,04 non si alterano per cristallizza-
‘zione ulteriore dalla benzina, o pure dall'alcool.
All'analisi: gr. 0.401 di sostanza consumarono ce. 13,15 di Na0H3t,
‘mentre un acido monobasico COOH. CsH..C,5H,g richiede ce. 13,17 di alcali.
Rotazione: sostanza gr. 13,319: alcool assoluto 100 cc. an = — 12°,00'
(tubo lungo 2 dm) onde [a]p = — 45°, 04".
l-a.Carvomentolo. — Gr. 15 del puro ftalato acido precedente furono
disciolti in 60-70 cc. di potassa alcoolica doppio normale, e la soluzione
venne riscaldata per !/, ora a bagno maria. Dopo diluizione con acqua si
distillò in corrente di vapore. Lo strato galleggiante di carvomentolo venne
disciolto in etere, la soluzione eterea disseccata con carbonato potassico; per
‘evaporazione del solvente rimase il carvomentolo bollente tutto a 218° (corr.).
Liquido denso, incoloro, di odore aromatico gradevole; sinistrogiro:
d,50 = 0,9074 ; np.so = 1,463 ; ap = — 189,80" (tubo lungo 1 dm)
onde [a]p = — 20°, 88'.
I-B.Carvomentolo e suoi ftalati. — Le acque madri riunite di cri-
‘stallizzazione dello ftalato acido sopra descritto, lasciano depositare un se-
condo ftalato, molle sciropposo, restio ad ogni solidificazione. Si presta però
alla preparazione di un sale doppio con l'argento, cristallino, che sì ottiene
precipitando con nitrato argentico la soluzione dell'etere acido in acqua
‘aggiunta della quantità strettamente calcolata di ammoniaca. Lo ftalato
«doppio argentico è insolubile in acqua. solubile in cloroformio, facilmente
cristallizzabile dall'alcool. Fonde a 175-176°.
Rimettendone in libertà l’etere acido, permanentemente molle resinoso,
‘e saponificato questo con potassa alcoolica, sì ricava per distillazione col
‘vapore un carvomentolo sinistrogiro, dalle seguenti costanti :
p. eb. 218° (corr) ; di; = 0,9071 ; npis = 1,463
en = — 7°,50' (tubo lungo 1 dm) ; onde [a], = — 8°. 63".
— 316 —
Chimica. — Di alcuni prodotti di ossidazione del pirrolo (!).
Nota di ANTONIO PIERONI, presentata dal Socio A. ANGELI (°).
La tendenza che ha il pirrolo a formare per azione degli ossidanti pro-
dotti neri o bruni, per il loro aspetto ed il loro comportamento del tutto
simili alle melanine naturali, tanto diffuse negli organismi, fece supporre
ad Angeli la possibile esistenza di relazioni fra pirrolo e melanine. Data
questa supposizione, al fine di giungere a qualche risultato sulla natura delle
“5melanine stesse, era naturale che si istituissero anzitutto ricerche per la
determinazione della struttura dei neri di pirrolo.
Alla soluzione di questo importante problema, si pensò che si potesse
giungere sia sottoponendo i neri di pirrolo a processi di demolizione, sia
studiando direttamente i prodotti di ossidazione graduale del pirrolo, ed anche
ricercando in quale modo i nuclei pirrolici sono capaci di legarsi fra loro,
o con altri nuclei per dare complessi analoghi ai neri in questione.
Scopo delle presenti ricerche è appunto lo studio del più semplice pro-
dotto di ossidazione del pirrolo che precede la formazione del nero corri-
spondente e dei prodotti che si ottengono fra alcuni metil-pirroli ed il
chinone.
Se si lascia a temperatura ambiente per sette giorni circa una soluzione
di gr. 37 di pirrolo in gr. 350 di acido acetico e gr. 37 di peridrol, e si
neutralizza il prodotto della reazione con carbonato di calcio, indi si estrae
la massa con cloroformio, si riesce ad isolare un prodotto (*) che dal benzolo
si separa in aghi brillanti di color bianco, fondenti a 136° con annerimento.
La sua formula corrispondentemente ai risultati analitici è:
CxHioN:0
ed il suo peso molecolare, per via crioscopica, è risultato di 159, mentre
il calcolato è 150. Scaldato, i suoi vapori colorano intensamente in rosso
con fuscello di abete bagnato con acido cloridrico.
Dalle sue soluzioni, a contatto con l'ossigeno atmosferico, si separa, a
lungo andare, nero di pirrolo.
(') Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica organica del R. Istituto di Studî
Superiori di Firenze.
(3) Pervenuta all'Accademia il 5 settembre 1921.
(3) Angeli e Lutri, Gazzetta Chimica, 50 (1920) vol. I, pag. 128.
— 817 —
In soluzione acquosa precipita con nitrato d'argento leggermente ammo-
niacale; con una soluzione di iodio in ioduro di potassio in presenza di po-
tassa caustica, dà un prodotto grigio che fonde a 163° decomponendosi e
svolgendo vaporì violetti di iodo. Bollito con potassa diluita non libera ammo-
niaca, non reagisce con acetato di fenilidrazina. Trattato con dimetilamino-
benzaldeide e acido cloridrico dà colorazione violetta meno fugace di quella
che nelle stesse condizioni si ha col pirrolo. Con cloruro ferrico o con ni-
trito di sodio ed acido acetico, dà, dopo qualche tempo, un pulviscolo nero-
bruno. L’ossidipirrolo, che così si può chiamare il nuovo prodotto, sciolto
in acido acetico concentrato e trattato con peridrol alla temperatura del
b. m. dà succinimmide ed una sostanza densa sciropposa insolubile in ben-
zolo, solubile in acqua, alla quale impartisce reazione acida. Se si bolle a
ricadere con potassa per circa un'ora e dopo raffreddamento si ossida con
permanganato, indi si filtra, sì concentra, si acidifica ed infine si estrae con
etere; per evaporazione si ottiene un prodotto bianco cristallino, che dà la
reazione del fuscello e fonde, non completamente purificato, a 180°; scaldato
debolmente con acido solforico diluito si colora in rosso. Sciolto in alcool
e trattato con p.bromofenilazossicarbonammide (e ) in s0-
luzione alcalina si colora in rosso violetto.
Questi caratteri fisici e le reazioni qualitative descritte sono proprie
dell'acido a-pirrolcarbonico.
Data la piccolissima quantità di prodotto che avevo a disposizione, non
mi fu possibile fare nessuna determinazione quantitativa.
L'ossidipirrolo sciolto in alcool per aggiunta di un eccesso di p.bromo-
fenilazossicarbonammide e alcune goccie di una soluzione alcoolica di po-
tassa dà un'intensa colorazione rosso violetto da cui per evaporazione e ri-
cristallizzazione dal benzolo, si riesce ad isolare il di-p.bromofenilazopirrolo
HC_-CH
TT
I ne
Cristallizzato in begli aghi di color rosso a riflessi rameici fonde a 208° (1).
Lo stesso prodotto si ottiene anche dall’acido a-pirrolcarbonico in soluzione
alcoolica per azione della bromoazossicarbonammide e potassa.
Per il comportamento dell’ossidipirrolo rispetto all’ossigeno atmosferico
ed agli ossidanti, come il cloruro ferrico, per cui si forma il bruno nero
caratteristico derivante dal pirrolo e rispetto al permanganato per cui si
forma l'acido @-carbopirrolico e per tutte le altre reazioni descritte, ma spe-
(1) Su questo prodotto dirò dettagliatamente in altra Nota.
ReENDICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sem. 41
— 318 —
‘cialmente per quest'ultima, comune all'acido «-pirrolcarbonico, si deduce che
la sua formula di costituzione è rappresentata verosimilmente da:
HC
TI di
ia e
NH NH
o da altra a questa tautomera dove anche non resta esclusa la possibilità
dell’ossidipirrolo a condensarsi, in condizioni opportune, con altri nuclei pir-
rolici od ossipirrolici per generare complessi sempre più grossi e sempre più
colorati dal bianco lievemente grigio al nero.
Come già fu detto più sopra allo scopo di indagare sulla capacità del
pirrolo a legarsi anche con altre molecole sotto l'azione di ossidanti, feci
contemporaneamente altre ricerche sottoponendo il 2-5 ed il 2-4 dimetil-
pirrolo all'azione del chinone sia in soluzione acquosa sia alcoolica ed ace-
tica. In tutti i casi si ottiene una soluzione che va colorandosi intensamente
e rapidamente dal giallo al violetto e al bruno e più tardi depone una pol-
vere bruno-nera costituita da due porzioni una solubile e l’altra insolubile
nell’acido acetico concentrato. Queste trattate con alcali dànno delle soluzioni
bruno, limpide, da cui si separano per acidificazione. Analizzate diedero
entrambe per gli elementi componenti delle percentuali a cui corrisponde bene
la formula
CisHisNO;
per cui supposi che i due prodotti bruno neri ottenuti potessero anche deri-
vare da tre molecole di chinone riunite in un modo qualunque ad un residuo
ammoniacale proveniente da processi di decomposizione dei pirroli, senonchè
tale ipotesi si dimostrò subito insostenibile. Se si pone in soluzione acetica
chinone ed acetato d’ammonio si separa dopo alcuni giorni una polvere nero-
bruna del tutto simile a quelle che si ottengono fra chinone e dimetilpirroli,
ma mentre queste scaldate con o senza potassa dànno fumi che colorano in
rosso il fuscello d’abete bagnato in acido cloridrico, l'altra nelle stesse con-
dizioni, dà fumi che non lo colorano affatto, mentre odorano intensamente
di fenolo. La polvere nero-bruna ottenuta dal chinone ed acetato d’ammonio
analizzata diede per gli elementi componenti percentuali a cui corrisponde
bene la formula
Cie HoNOg .
Inoltre i neri ottenuti dal chinone e i dimetilpirroli, ossidati prima con
permanganato, quindi con bicromato potassico ed acido solforico, diedero,
— 319 —
come prodotto finale, acido acetico che riconobbi con le reazioni che condu-
cono all’ossido di cacodile e all’acetato di etile; invece il nero ottenuto con
acetato d'ammonio e chinone per ossidazione con permanganato e bicromato
potassico, come detto più sopra, non dà acido acetico; per cui si deve con-
cludere che l'acido acetico che si ottiene nel primo caso è dovuto alla pre.
senza dei metili legati al nucleo pirrolico. Si ha dunque ragione di ammet-
tere come probabile per l'uno la formula:
(CH,03):NH
per gli altri invece la seguente:
(CH3):| —YNH(C5H30;):.
Dai fatti descritti risulta che i pirroli sostituiti sono capaci di legarsi
ad anelli chinonici tanto con atomi di carbonio in @ quanto in 8. Il fatto poi
che la composizione centesimale del nero solubile in acido acetico e di quello
insolubile è identica, dimostra che questo è un polimero dell’altro e che la
formula scritta non è che l’espressione più semplice del prodotto di reazione
fra chinone e dimetilpirroli. Deve dunque avvenire, per questi composti, un
fatto analogo a quello per cui dalla fenilchinondiimmina, gialla, sì passa
al nero di anilina.
Due molecole di chinondiimmina
NH=CH,j=N—CgH;
unendosi fra loro formano una immina ‘azzurra, la smeraldina od azzurrina
CHsN=C;H=N—CGH,— NH. CH,. NH;
da questa per ossidazione con biosside di piombo si ha un’immina rossa:
CHs-N=CGH=NT—CGH,.N=CH,= NH
e da due molecole di questa finalmente il nero di anilina:
CH; N=C;H, =N—-CGHNH—CH,N=CH,N=C,H,=NH .
— 320 —
Chimica. — // punto di ebullizione delle miscele idroalcoo-
liche-zuccherine (*). Nota dî U. PRATOLONGO, presentata dal Socio
A. MENOZZI (?).
La commissione — Dumas, Desains e Thenard — incaricata nel 1876
dall'Accademia delle scienze di Parigi di sottoporre a controllo l'apparecchio.
Malligand per la determinazione ebulliometrica dell’alcool nei vini, aveva
rilevato. inducendole dai risultati delle ricerche da essa istituite, alcune ano-
malie nel comportamento ebullioscopico del glucosio e del fruttosio in solu-
zione idroalcoolica.
Rilevata l'anomalia, la commissione si propose allora di approfondire
lo studio (*); nè la commissione, per quanto è a me noto, ha mantenuto il
proposito, nè altri l’ha finora raccolto ed eseguito.
Sottoponendo a nuova indagine i fondamenti del metodo ebulliometrico.
di determinazione dell'alcool nei vini, ho dedicato una serie di ricerche spe-
rimentali alla determinazione dell'influenza che i costituenti normali del
vino spiegano sul punto di ebullizione delle miscele idroalcooliche.
Riscontrate le anomalie di comportamento ebullioscopico già supposte
dalla commissione, ho creduto peraltro opportuno, dato l'interesse e la singo-
larità delle anomalie stesse, estendere l'indagine oltre i limiti di variabilità
di composizione dei vini, all'intero campo, o almeno alla sua parte accessi-
bile, di variabilità delle soluzioni idroalcooliche-zuccherine, così che le ano-
malie risultanti nel campo della composizione dei vini rientrassero nel quadro.
generale delle anomalie di comportamento delie soluzioni idroalcooliche-zuc-
cherine.
I risultati conseguiti in tale ricerca formano l'oggetto della presente
Nota.
Sebbene dal punto di vista applicativo il comportamento ebullioscopico
delle soluzioni idroalcooliche di glucosio e quello delle soluzioni idroalcoo-
liche di fruttosio fossero ugualmente interessanti, pure la difficoltà di otte-
nere fruttosio puro in quantità sufficiente non mi ha consentito di estendere
la ricerca stessa all'intero sistema acqua-alcool etilico-fruttosio. Lo studio
(') Lavoro eseguito nel Laboratorio di chimica agraria della R. Scuola superiore
d’agricoltura in Milano.
(*?) Presentata nella seduta del 3 aprile 1921.
(3) C. R. de l’Académie des sciences, vol. 80, pag. 1124, an. 1875.
— 321 —
di questo sistema ha dovuto esser limitato ad alcuni punti più interessanti
dal punto di vista applicativo.
Lo studio del sistema acqua-alcool etilico-glucosio è stato invece SR
alla parte accessibile dell'intero sistema.
Le determinazioni dei punti di ebullizione delle miscele idroalcooliche
zuccherine vennero compiute in un apparecchio ebullioscopico di foggia con-
sueta, munito di refrigerante ad acqua. A norma dell’approssimazione ri-
chiesta o consentita dalla determinazione, la misura della temperatura era
data da un termometro Beckmann al centesimo di grado o da un termo-
metro al decimo.
Dato il forte mutamento di composizione che le miscele idroalcooliche
subiscono pel fatto dell'ebullizione, la determinazione dei punti di ebulli-
zione delle miscele idroalcooliche zuccherine presenta singolari difficoltà, che
possono essere superate solo con l'adozione di alcuni accorgimenti e di
qualche convenzione.
I risultati ottenuti mantengono il loro valore comparativo solo ove si
mantenga rigorosamente costante la frazione di distillato che bagna il refri-
gerante e quindi l'errore connesso alla variazione di composizione della mi-
scela bollente pel fatto della parziale distillazione; il che implica che si
mantenga rigorosamente costante la sorgente calorifera e regolare l’ebulli-
zione, evitando con gli accorgimenti consueti anche i piccoli sovrariscalda-
menti.
Data l'incertezza delle correzioni, ho preferito dare i dati incorretti,
‘che riescono perciò solo approssimati nel loro valore assoluto, ma che man-
tengono il loro valore relativo.
Le determinazioni sono state compiute a pressione atmosferica normale
o così poco diversa da rendere trascurabili le correzioni relative.
Le miscele vennero preparate con acqua ed alcool puro a 99,5% e con
glucosio puro e anidro.
Il glucosio di cui mi sono servito per la preparazione delle miscele
era in parte di mia preparazione e in parte di preparazione del prof. Con-
tardi, che me lo ha gentilmente favorito.
I due prodotti erano stati ottenuti per idrolisi dal saccarosio e cristal-
lizzati da alcool.
La rotazione specifica dei due prodotti era rispettivamente
[a]}= 52. — (= 022%
Quali punti di ebullizione delle miscele idroalcooliche ho adottati quelli
ottenuti e pubblicati da W. A. Noyes e R. R. Warfel (Journal Americ.
Chem. Society, 23, 463, an. 1901).
— 322 —
Per le soluzioni acquoso-zuccherine mi sono valso dei risultati ebullio-
scopici pubblicati da F. Jiittner (Zeitschr. Physik. Chemie, 38, 108, an. 1901).
La serie dei dati ebullioscopici ottenuti è raccolta nella tabella se-
guente.
Il diagramma che segue dà la traduzione grafica dei dati raccolti nella
tabella precedente.
Glucosio
Acqua Alcool etilico
I punti di ebullizione delle miscele idro-alcooliche-zuccherine.
I PUNTI DI EBOLLIZIONE DELLE SOLUZIONI IDROALCOOLICHE-ZUCCHERINE..
IL SISTEMA ACQUA - ALCOOL ETILICO - GLUCOSIO.
0 3 Dì Tra De
COMPOSIZIONE DELLA MISCELA
°/, in peso
PunTO
DI EBULLIZIONE
a pressione
Acqua Alcool etilico Glucosio normale
= 100. — 33 78300
2.5 97.5 = 18.191
Db. 95. — —_ 78.177
7.5 92.5 = 78.241
dior 90. — = 78.328
lot 85. — = 78.645
205 80. — na 79.050
25. — oa = 79.505
don 711. = 79.862
35. — 65. — = 80.438
doi Do. — = 81.77
52. — 48. — = 82.48
65. — do. — = 83.87
TA. Lod == 85,41
80. — 20. — “i 87.32
A 10. — = 91.80
94. 5 9.5 = 94.84
rio 3.— = EHFIi
98. — 2. = 98.05
Sb = = 98.95
91.56 | — 8.44 100.271
83.7 —_ 16.3 100.618
79.4 _ 20. 6 100.780
lo _ 28.4 101.180
64.7 — 85.3 101.613
92. 62 3.85 3. 58 96.06
88. 09 8. 68 8.23 96.16
84. 30 7.35 8.35 93.14
80. 50 11.10 8.40 90.55
33. 33 33. 33 33. 34 81.6
66. 68 16. 66 16. 66 88.2
16. 66 66. 68 16. 66 80.1
41. 67 41. 67 16. 66 82.0
o0= 25. 25. — 83.5
25 — 50. — 25. — 80.5
20. — 20. — 60. — 81.7
60. — 10. — 30. — 90.5
40. — 15. — doge 83.5
10. — 60. — Sl — VER!
15.— 40. — 45. 79.8
30. — 10. — 606= 87.4
10. — 30, — 60.— 80.1
W. A. Noyes e R. R. Warfel.
F. Jiittner (1).
U. Pratolongo.
() Le percentuali sono calcolate sui dati forniti dall'autore.
ddt
Il diagramma precedente, che traduce e illustra i risultati delle deter-
minazioni ebulliometriche eseguite, rivela chiaramente il carattere e la mi-
sura dell'anomalia ebullioscopica delle soluzioni idroalcooliche zuccherine,
già rilevate dalla Commissione Dumas-Desains-Thenard.
Se l'anomalia non raggiunge i valori presunti dalla commissione (1),
essa costituisce tuttavia una singolarità notevole per sè e per l'interesse che
essa offre nei riguardi dell'ebulliometria applicata.
Per quanto è dato arguire in base al limitato numero di ricerche com-
piute, il comportamento ebullioscopico del /ruttosto in soluzione idroalcoo-
lica, si rivela del tutto analogo a quello del glucosio. Il diagramma prece-
dente può ugualmente essere assunto a rappresentazione grafica del sistema
acqua-alcool etilico-fruttosio.
Chimica. — Azione dell’Aspergillus glaucus sulla
glicerina (®). Nota di F. TraeTTA-MoscA e MARGHERITA PRETI,
presentata dal Socio E. PATERNÒ (°).
In un lavoro precedente, il dott. F. Traetta-Mosca (4) facendo fermentare
delle soluzioni di saccarosio, glucosio, levulosio, alle quali si aggiungevano
i soliti sali nutritivi, con un tipo di Aspergillus glaucus isolato da lui,
ottenne come risultato della fermentazione una sostanza cristallizzata in
aghi prismatici bianchi, fusibili a 154°, solubili in acqua, in alcool, in ace-
tone. Questa sostanza dava con cloruro ferrico una intensa colorazione rosso-
vinosa, ed aveva la composizione CsHg0,.
Abbiamo voluto sottoporre all’azione dello stesso Aspergillus la glice-
rina, per vedere se si otteneva la medesima sostanza, oppure qualche altro
prodotto fermentativo.
Abbiamo preparato perciò delle soluzioni di glicerina al 3% con i co-
muni sali nutritizii, e, dopo sterilizzazione, le abbiamo innestate con la
(') La commissione aveva supposto (loc. cit., pag. 1124) che il glucosio e il frut-
tosio potessero abbassare il punto di ebullizione delle miscele idroalcooliche. Le deter-
minazioni eseguite dimostrano che il fatto è reale solo per gli alti titoli alcoolici — al
disopra del 15 % in volume — o per gli alti titoli zuccherini — al disopra del 10 % —
quindi fuori del campo di variabilità di composizione dei vini. Si deve peraltro rilevare
(ciò che pare è sfuggito alla commissione) che una soluzione idroalcoolica-zuccherina di
composizione sia pure compresa entro tali limiti, presenta un punto di ebullizione supe-
riore a quello del solvente, ma inferiore a quello della soluzione idroalcoolica di egual
titolo alcoolico. Per maggiori dettagli mi richiamo ad un mio recente lavoro, ch'è
apparso nel Giornale di chimica industriale ed applicata, vol. III, nn. 4, 6 e 7, an. 1921,
(2) Lavoro eseguito nell’ Istituto chimico della R. Università di Roma.
(8) Pervenuta il 5 agosto 1921.
(4) Ann. di chimica appl., V. I, pag. 477 (1914).
— 325 —
muffa, e tenute in termostato a 37° per due mesi. La muffa si è sviluppata
rigogliosamente alla superficie. Indi previa filtrazione si è estratto il liquido
con etere acetico, e distillato questo a piccolo volume, per raffreddamento
si separa una sostanza cristallina. Ricristallizzata dall’acetone in presenza di
carbone animale, si ottiene in cristalli aghiformi prismatici fusibili a 154°,
bianchi, solubili in acqua, alcool acetone, meno in etere acetico ed in etere
solforico, insolubile in benzolo, cloroformio, instabile al permanganato (prova
di Bayer). Con cloruro ferrico si colora in rosso vinoso intenso.
Analisi: sostanza gr. 0,1576; CO,=gr. 0,2956; H.0O=gr. 0,0653;
C=51,15%; H=4,53%.
Calcolato per CsH50,4; C= 50,7%; H=4,2%.
Determinazione del peso molecolare (crioscopia in acqua distillata).
N Concentrazione Abbassamento P. M.
1 0,8547 0,11 140
2 1,6827 0,25 124
Calcolato per C6Hs0, =142.
Come si vede dall'analisi, dai caratteri fisici e chimici, questa sostanza
è identica a quella ottenuta dal dott. F. Traetta-Mosca dalla fermentazione
del saccarosio, glucosio, e levulosio mediante lo stesso Aspergillus, ed ha con
essa eguale il comportamento verso il cloruro ferrico.
Nel lavoro citato, tenendo presente che la sostanza dava un composto
di-benzoilico e uno biacetilico, e che doveva contenere due doppî legami (per
la prova di Bayer, e perchè addizionava 4 atomi di idrogeno) e che aveva
proprietà acido, il dott. F. Traetta-Mosca credette attribuirle la struttura di
un lattone.
Però sembrandoci questa poco probabile abbiamo preparato altri com-
posti, per meglio chiarirne la struttura.
Preparazione dell'etere metilico. — In una soluzione eterea di diazo-
metano (ottenuta da 10 c.c. di nitroso-metil-uretano) si introducono a poco
a poco gr. 3 di sostanza ben polverizzata e secca. Ad ogni aggiunta si ha
un vivace sviluppo di gas, e nel liquido etereo si separa una sostanza cri-
stallina raggruppata in fiocchi. Si raccoglie questa su filtro, si lava con etere,
e si cristallizza dall’etere acetico. Si hanno così aghi bianchi fondenti a 165°,
che non dànno più la colorazione con cloruro ferrico.
Analisi: sostanza gr. 0,2234; CO, = gr. 0,4420; H.0 = gr. 0,1040;
C= 53,96%; H= 5,20%.
Calcolato per C;Hy03:0CH3 C= 54,47%; H=5,12%.
Dai risultati dell'analisi si scorge come la metilazione deve essere avve-
nuta in un solo dei due ossidrili; e tenendo presente ciò che suole avvenire
RenpICONTI. 1921: Vol. XXX, 2° Sem. 42
— 326 —
ordinariamente, si deve supporre metilato l'ossidrile appartenente al nucleo,
e perciò l’altro ossidrile deve appartenere ad un gruppo alcoolico.
Azione degli alcali terrosi sull’etere metilico. —— La scissione è stata
fatta con idrato di bario e con idrato di calcio, 1 gr. di etere si fa bollire per
due ore a fiamma diretta con 5 gr. dell'alcali (CaO pura stemperata prima,
o idrato di bario filtrato) e 120 gr. di acqua in un pallone munito refri-
gerante a ricadere, evitando l'accesso dell'anidride carbonica con un tubo a
potassa. Il liquido da giallognolo diviene gradatamente giallo intenso. Si
distilla dipoi lentamente il contenuto del pallone sino a metà del volume.
In questa idrolisi era da prevedere che si fosse formato un composto
chetonico, il quale doveva ricercarsi nel distillato e degli acidi che dove-
vano ricercarsi nel residuo.
Il distillato odora fortemente di frutta, riduce il Fehling ed il nitrato
di argento ammoniacale, dà la reazione de! iodoformio.
Ne abbiamo preparato il p-nitro-fenilidrazone. Al distillato aggiungiamo
p-nitro-fenilidrazina in soluzione acquosa-cloridrica ed acetato sodico in eccesso.
Il liquido s’intorbida subito e dopo un po’ di tempo lascia separare abbondanti
cristalli aghiformi setacei, gialli. Questi raccolti sul filtro fondono a 110°.
Determinazione di N: sostanza gr. 0,1632; N=cc. 25,4; T. 11;
P702 See N 13,620
Calcolato per il p-nitro fenilidrazone dell'etere metilacetolico C,6H1303N3:
Ni 138300
Si forma quindi nell'idrolisi etere metilacetolico.
Il residuo del trattamento con barite, dopo distillato circa metà del
volume. si tratta con CO, per eliminare il Ba, si filtra e nel filtrato si
fanno i seguenti saggi per identificare l'acido formico : 1°) un po’ del li-
quido si fa bollire con cloruro mercurico, si separa una polvere bianca di
calomelano; 2°) un altro poco bollito con nitrato d'argento, separa argento
metallico e forma lo specchio; 3°) un altro poco con cloruro ferrico dà una
colorazione rosso sangne e per ebollizione separa un precipitato.
Per identificare l'acido ossalico, il residuo del trattamento con idrato
di calcio lo sciogliamo con acido cloridrico, si alcalinizza con NH ed aci-
difica con acido acetico; si ha un residuo cristallino che al microscopio
mostra i noti cristalli di ossalato di calcio.
Azione dell’NH, sull'etere metilico e formazione del piridone. —
Un gr. di etere metilico si mette in una capsula, si scioglie in NH; e si
riscalda a bagno-maria per tre ore avvertendo di aggiungere l’ammoniaca
man mano che si evapora, ed in ultimo si porta a secco. Si ottiene un re-
siduo carbonioso, che si riprende con acqua, si riscalda con carbone animale
e si filtra. Il filtrato si concentra fin quasi a secco, si ottiene così una so-
stanza in aghi. Cristallizzata in alcool si presenta in aghi bianchi, rag-«
— 327 —
gruppati a rosetta e fondenti a 95°. Con cloruro ferrico dà una colorazione
gialla intensa.
Analisi: sostanza gr. 0,1537; N c.c. 8,4; T. 299; P. 7645; N= 8,99%.
Calcolato per C-HsO3N: N= 9,04%.
Nel lavoro citato il dott. F. Traetta-Mosca credette attribuire alla so-
stanza da lui isolata la struttura
| Ù |
CH;,—COH=C—CH=C0HT—C0
considerando che essa aveva natura acida, dava un derivato biacetilico, ed
uno dibenzoilico, era instabile al permanganato, ed addizionava 4 atomi di
idrogeno in presenza di nero di palladio.
Avendo ottenuto l'istessa sostanza dall’azione dell’Aspergillus glaucus
sulla glicerina, e poichè in soluzione acquosa con cloruro ferrico dà una
intensa colorazione rosso vinosa, ci ricorda quella che dànno gli ossipironi.
Anche questa in soluzione eterea dà un etere monometilico per mezzo
del diazometano, e quindi dei due ossidrili presenti nella molecola uno solo
viene metilato, forse perchè è un ossidrile unito all’anello pironico; l’altro
che non viene metilato probabilmente è un ossidrile alcoolico.
L'etere metilico con NH, lascia sostituire un O con NH dando una so-
stanza con i caratteri di un piridone.
Per azione degli alcali (idrato di bario o di calcio) sull'etere metilico,
questo come i derivati pironici si scinde in prodotti da cui è facile risalire
alla formola di struttura Noi abbiamo identificato l'ac. formico, l'ac. ossa-
lico, l'etere metilacetolico.
In base a questo modo di scissione sì possono assegnare la formola:
HCO—TC0—C--0—CH; HC—TCO—--C—0—CH;
| | oppure | |
HO—0—C—CH,0H HOH,C—C——0——CH
Quindi la sostanza proveniente dall'azione dell’ Aspergi//us glaucus sul
saccarosio, glucosio, levulosio, glicerina, sarebbe molto simile al maltolo stu-
diato dal prof. Peratoner (*), differendo da questo per contenere un ossidrile
nel gruppo metile.
Al maltolo il prof. reratoner attribuì la formola:
(*) Gazz. chim. it., V. XXXVI, p. 1, pag. 33 (1906).
— 328 —
Ho c0=G.0H
I I
HO—0—C—CH,
alla nostra sostanza può quindi attribuirsi quella:
HO-—C0-C—0H
| |
HO—0——C—CH;0H
È degno di nota che questa sostanza ottenuta prima di ora da corpi
contenenti catene di 6 atomi di carbonio, nel caso della formazione della
glicerina rappresenta un vero prodotto di sintesi.
Cristallografia. — Sulla forma cristallina della cusparina
CH, N0;. Nota di MARIA DE AnoELIS ('), presentata dal Socio
ETTORE ARTINI (°).
Fin dal 1883 Kérner e Bobringer (*) estrassero dalla corteccia di An-
gustura (Cusparia trifoliata) un alcaloide caratteristico, della composizione
rappresentata dalla formula C,9 Hi; NO; (p.f.= 92°), al quale diedero il
nome di cusparina. Il prof. Kòrner mi favorì varî bellissimi cristalli, ot-
tenuti da miscela di alcool ed etere, del cui studio morfologico ed ottico
espongo qui i risultati :
Sistema monoclino, classe prismatica:
a:b:c=1.2496:1:1.1678
B= 690.49
Forme osservate :
1100} , 4001} , {011} ;3101}-, {I01}, $110f , 3111} 3 T11} ; J1127
L’abito dei cristalli ottenuti da miscela di alcool ed etere è tozzamente
prismatico ; lo sviluppo relativo delle facce è rappresentato fedelmente dalla
fig. 1. Sciogliendo in etere-acetico alcuni di questi cristalli, sono riuscita ad
ottenere delle combinazioni più semplici, con prevalenza di }100} , {110},
(!) Lavoro eseguito nel laboratorio di mineralogia del Museo Civico di storia na-
turale di Milano.
(?) Pervenuta all'Accademia il 1° agosto 1921.
(3) G. Korner e C. Bohringer: Intorno agli alcaloidi della corteccia di Angustura.
Rendic. R Ist. Lombardo, vol. XVI, 1883, pag. 320.
1101} , jÎo1!
binaria.
alquanto allungati secondo l’asse di simmetria
— 329 —
ANGOLI OSSERVATI
SPIGOLI ANGOLI
misurati ni | CAT | sil calcolati
(100).(110) 6 49°.17-499,52" 490,33/ +
(001).(011) 6 47.389-47.45 47.373 *
(011),(110) 6 44.16-44.47 44,31 *
(110).(110) 12 98.45-99.24 99.6 990.6”
(100).(101) 5 85.50-36.53 86.15 4 36.16 I
(101).(001) li 33.21 33.33
(101).(110) 1 od 58.54 58.27 I
(100).(101) 6 57.8-58.11 57.41 57.52
(101).(101) 5 85.47-86.21 86.3 + 85.52
(101) (110) 1 N 69.47 69.49
(011).(001) 2 47.12-48.— 47.36 47.37 3
(011).(101) 1 RESECar 55.11 55.50
(111).(110) 5 30.6-30,40 30.25 1 30.21
(111).(001) 2 46.12- 46.58 46.85 46.42 I
(111).(011) 5 27.54-28.17 28.11 28.7
(111).(101) 4 34.31-34.59 84.40 34.98
(111).(111) 4 69.10-69.30 69.17 69.16
(111).(100) 2 67.45-68,21 68.3 67.47
(I11).(101) 3 44.24-44,39 44.33 1 44.41
(111) (011) 8 35.1-35.56 d0I23 35.40
(111).(I110) 8 38.21-39.4 38.41 I 38.42
(111).(II1) 2 89.1-89.37 89.19 89.22
(112).(011) ò 27.21-27.84 27.26 1 27.30
(112).(101) 2 88,14-38.27 38.20 38.10
(112).(111) 6 50.57—51.14 51.8 51.4 1
(112) (111) 4 23.52-24,28 24.9 I 24.19 3
(112)(111) 4 86,29-86.52 86.41 86.38
(112).(I12) 4 99,51-60.36 60.9 60.8
— 330 —
Sfaldatura distinta non osservata.
La sostanza è incolora, con una leggera. ma sensibile, fluorescenza az-
zurro violetta.
Piano degli assi ottici parallelo al piano di simmetria; la bisettrice
acuta, positiva, esce quasi normalmente da (101); l’ottusa quasi normalmente
da (101). Dispersione inclinata non molto forte, ma evidente. Dispersione
degli assi ottici sensibile: o
Romanese. Sulle modificazioni morfologiche delle cellule coltivate in vitro al momento
fuellasmortestmiesstdaliCorrisp: SMOnPurgdo) IO E I 0 NS
DIO
RT,
.
MEMORIE E NOTE DI SOCI
pervenute all’ Accademia durante le ferie del 1921.
Grassi. L'Anofele può propagare la malaria anche direttamente ? Nota II Ka
MEMORIE E NOTE PRESENTATE DA SOCI ©
lità delle curve piane algebriche di dato ordine (pres. dal Socio Casei b
Chisini. Le superficie ellittiche il cui determinante è un numero composto. Nota II ta. 2
dal Corrisp. Erriques) . CERO NA I TO RU .VEtoAG
Sbrana. Sull’equazione delle vibrazioni trasversali di un'asta solida, elastica e omogenea.
Nota I (pres. dal Corrisp. Z'edone) . ea
Bedarida. Sopra il numero delle classi di forme aritmetiche definite di Hermite. dia a
(pres. dal Socio Bianchi) . TORI ;
Campetti. Sul potenziale di risonanza e di ionizzazione nei vapori misti di sodio e di po-
tassio con mercurio. Nota I (pres. dal Socio Naccari) . RIA Se i
Tieri. Birifrangenza magnetica dei fumi prodotti da un arco ad elettrodi metallici (pres. na
dal Socio Cordino) . . . . ; pr
Paolini. Carvomentoli levogiri dal fellandrene. Nota I (pres. deo de
Pieroni. Azossiammidi e a (pres. dal Socio RS
Saccardi. Pirrolo e Melanuria. Nota VI (pres. dal Socio Angeli) —
Visco. Sul valore alimentare dei semi dell'Ervum Ervilia. Nota II L00 dal Corri
Lo po Se A
Eraclea nell'Asia Minore. Nota I (pres. dal Socio Parona) .
Quercigh. Sulla tublinite di Sassari (pres. dal Socio Artini) . . ........ BE di
Bruni. Osservazioni sul tappeto lucido dei mammiferi domestici: Nota I (pres. dal Socio. DE
x Morpurgo) . O to
207
MEMORIE E NOTE DI SOCI.
Majorana. Sull’assorbimento della gravitazione. Nota Data
Y
rd am K
imensile
DELLA
| RBALE ACCADEMIA NAZIONALE
SW DEI LIxcri
SERI UNA
RENDICONTI
“
Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali.
Volume XXX. — Fascicolo 9°
Seduta del 6 novembre 1921.
2° SEMESTRE
TIP. DELLA R. ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI
> PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI
1921
ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO
PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE
LI
Col 1892 si è miziata la Serie quinta delle
pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei.
Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano
una pubblicazione distinta per ciascuna delledue
Classi. Peri Renpiconti della Classe di scienze
fisiche, matematiche e naturali valgono le norme
seguenti:
1. I Rendiconti della Classe di scienze fi-
siche, matematiche e naturali si pubblicano re»
golarmente due volte al mese; essi contengono
le Note ed i titoli delle Memorie presentate da
Soci e estranei, nelle due sedute mensili del:
l'Accademia. nonchè il bollettino bibliografico.
Dodici fascicoli compongono un volume;
.due volumi formano un’annata. ‘
2. Le Note di Soci o Corrispondenti non
possono oltrepassare le 5 pagine di stampa.
Le Note di estranei presentate da Soci, che
ne assumono la responsabilità, non possono
superare le 3 pagine.
3. L'Accademia dà per queste comunicazioni
50 estratti gratis ai Soci s Corrisponder‘i, e 30
agli estranei; qualora l'autore ne desideri un
numero maggiore, il sovrappiù della spesa è
posta a suo carico.
4.1 Rendiconti non riproducono le discus»
zioni verbali che si fanno nel seno dell’Acos-
demia; tuttavia se Soci, che vi hanno preso
parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi
sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta
stante, una Nota ver iscritto.
IT.
I. Le Note che oltrepassino i limiti ndi-
cati al paragrafo precedente. e le Memorie pro-
priamente dette sono senz'altro inserite nei
Volumi accademici se provergono da Soci o
‘ da Corrispondenti. Per le Memorie presentate
da estranei, la Presidenza nomina una Com.
missione la quale esamina il lavoro e ne rife-
risce in una prossima tornata della Classe.
2. La relazione conclude con una delle se-
guenti risoluzioni. - 4) Con una proposte a
stampa della Memoria negli Atti dell Accade-
mia o in sunto o iu esteso, senza pregiudizio
dell'art. 26 delio Statuto è) Col desiderio
di far conoscere taluni fatti o ragionamenti
contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra-
ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro-.
posta dell’invio della Memoria agli Archivi
dell’Accademia.
3. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre-
cedente, la relazione è letta in seduta, pubblica
nell'ultimo in seduta segreta.
4. A chi presenti una Memoria per esame.
data ricevuta con lettera, nella quale si avzerte
che i manoscritti non vengono restituiti agli
autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26
dello Statuto.
5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au-
tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 80 se
estranei. La spesa di un numero di copie in più
che fosse richiesto, è messo a carico degli
autori,
“di
È
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9
da
29
bei si
RENDICONTI
DELLE SEDUTE
DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE
DEI LINCEI
Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali.
eee e O,
Seduta del 6 novembre 1921.
V. VoLTERRA, Vicepresidente.
MEMORIE E NOTE DI SOCI
Chimica. — Sopra il comportamento e le proprietà di aleuni
derivati aromatici. Nota del Socio A. ANGELI (').
In due comunicazioni fatte recentemente a questa Accademia (*), ho
fatto notare che 7» alcuni derivati aromatici orto e parasostituiti i due
radicali si comportano come se fossero direttamente uniti fra di loro:
B A
GECO Li
A B
vale a dire che possono reagire l'un con l’altro come se l'anello aromatico
non esistesse. In questa Nota accennerò brevemente ad altre reazioni che si
trovano descritte nella letteratura e che riguardano un analogo comporta-
mento che presentano alcuni altri derivati aromatici, nei quali però i due
sostituenti non occupano le posizioni orto o para, ma sono situati in residui
aromatici diversi, che a loro volta possono essere congiunti direttamente fra
di loro ovvero anche separati da gruppi atomici caratteristici.
Siccome l'argomento non è stato studiato finora in modo sistematico,
io mi devo limitare a citare i pochi esempi sparsi che ho trovati descritti
da parte di diversi autori; essi si riferiscono principalmente a derivati ossi-
(*) Pervenuta all'Accademia il 20 ottobre 1921,
(2) Questi Rendiconti 26 (1917), 1° sem., pag. 480; 29 (1920), 1° sem., pag. 375,
RenpICcONTI. 1921; Vol, XXX, 2° sem. 44
— 342 —
drilici ed ammidati, che sono in generale più facilmente accessibili e nei
quali le analogie in parola si manifestano in modo più spiccato.
Come ho posto in rilievo ancora nella prima Nota, acqua ossigenata ed
idrochinone sì comportano in modo analogo rispetto agli ossidanti; tutte e
due le sostanze perdono una molecola di idrogeno e nel primo caso si ha
sviluppo di ossigeno e nel secondo formazione di chinone:
OH 0 OH
ei Gc
VA
SAROIH,
OH \0H "NO
Come risulta dalie esperienze di Willstétter e Kalb (*), anche il p-dios-
sidifenile può subire un analogo processo di ossidazione per trasformarsi in
p-difenochinone :
(HO). C, H4. CH (0H) > O0—CoHa=CE 108
La stessa facoltà di fornire il corrispondente chinone viene presentata
pure dal p-biossistilbene, come hanno dimostrato gli interessanti studî di
T. Zincke (2):
(HO).C,H,.CH=CH.C,H,.(0H) —> 0=CH,=CH.CH=t,H,=0.
Questa proprietà viene invece a mancare quando i due anelli aromatici
sono riuniti da un residuo saturo, il metilene
(HO) .C, H,.CH,.C, H, . (0H)
Al pari degli ordinari chinoni, anche le nuove sostanze, con i corri-
spondenti derivati ossidrilati di partenza, forniscono i chinidroni.
Non è necessario che la catena che unisce i residui aromatici sia co-
stituita da atomi di carbonio. giacchè anche ìl p-biossiazofenolo può subire
un processo di ossidazione che corrisponde a quelli ora accennati (*):
(HO). Gr,.N=N.CH,.(0H) —> 0=GH=N—N=GCH,=0]
In una mia Nota precedente ho esposto le ragioni per le quali si deve
ammettere che, in alcuni processi di ossidazione dell'idrazina, in una prima
fare sì formi il termine
HN=NH
il quale successivamente si polimerizza e si scinde in acido azotidrico ed
ammoniaca (4):
HN.N=N.NH —> N=N=NH+NH,
(*) Berliner Berichte 38 (1905), pag. 1232.
(2) Liebig*s Annalen, 335 (1904), pag. 157.
{8) Willstàtter e Benz, Berichte 39 (1906), pag. 3484
(4) Questi Rendiconti 19 (1910), 2° sem., pag. 94.
DR i e
In modo analogo Ia o-chinondiimmina, che rappresenta il primo termine
di ossidazione della o-fenilendiammina, si polimerizza per dare l’'ortodiam-
mino azobenzolo :
QUINN > H.N.GH.N=N.G, H,.NH,
Come ha dimostrato Willstàtter, nello stesso modo si comporta anche
la benzidina, quando venga ossidata nelle opportune condizioni ('):
HN=CH,.CGH=NH — H,N.CH,.GH.N=N.GH,.GH, NH,
Tali esempi dimostrano dunque che, anche in questi casi, ossidrili ed
amminogruppi, nei processi di ossidazione, si comportano come se fossero si-
tuati in posizione orto ovvero para di uno stesso anello aromatico.
Questo per quanto riguarda il comportamento chimico; ma anche per
quel che si riferisce alle proprietà fisiche, e precisamente al colore, sì
sono potute notare alcune analogie che sono molto interessanti.
P. Friedlinder e F. Risse (*) hanno posto in rilievo che i colori della
cianina che differiscono per inserzione di — CH= CH— fra i gruppi cro-
mofori si rassomigliano fra di loro. I colori azoici che fornisce la benzidina,
H.N.CH,.GH,. NH,
si rassomigliano a quelli che derivano dal p-diamminostilbene,
HsNC Hi. CH=CH.C Ha, N H,
mentre invece ciò non si verifica più nel caso dei derivati del p-diammino-
difeniletano,
H,N.,GN..CB,s.CH,.C.Hy. NH,
nel quale i due residui aromatici sono riuniti dalla catena satura
EHEH
Anche i derivati
00 00
c,H{__Ve=cH-cH=CC CH,
nn? \NH/
200. 700
CH SC=CH-CH=CH-CH=0<{K__>C,.H,
\NH \NH
e co co
CNS ron
SE: de
o een ci=01-cu=e De
S
nei loro caratteri rassomigliano rispettivamente all’indaco ed al tioindaco
(1) Berliner Berichte, 39 (1906), pag. 3474.
(*) Berliner Berichte, 47 (1914), pag. 1919.
— 344 —
Si vede subito che in tutti questi casi i vari anelli sono congiunti fra
loro direttamente ovvero sono uniti per mezzo di catene non sature caratte-
ristiche; da quanto finora si conosce sembra invece che le analogie di pro-
prietà più non sussistano quando gli anelli sono congiunti da catene sature.
Come è noto, Ciamician e Ciusa ('), per spiegare le analogie da me
poste in rilievo riguardo al comportamento dei derivati orto e parasostituiti
del benzolo, hanno fatto l'ipotesi molto ingegnosa che nelle reazioni in pa-
rola i due residui sostituenti possano in una prima fase staccarsi dall'anello
aromatico, reagire fra di loro e poi, così mutati, riprendere ciascuno il posto
primitivo. Questa ipotesi, che è in buona armonia anche con altri fatti, si
presta assai bene a spiegare le regolarità e le analogie finora osservate.
Nel caso particolare degli esempi riportati nella presente Nota, e che
si riferiscono al comportamento ed alle proprietà fisiche di derivati nei quali
i sostituenti sono situati in anelli aromatici differenti, e che a loro volta
possono essere direttamente uniti fra di loro ovvero anche per mezzo di ca-
tene non sature caratteristiche, si potrebbe anche ammettere che certi
sistemi di catene, costituite da anelli aromatici ovvero anche da anelli aro-
matici e residui non saturi, possiedano una forma di « conducibilità » rispetto
ai sostituenti situati in determinate posizioni, i quali per tal modo verreb-
bero a comportarsi come se fossero congiunti direttamente fra di loro. I re-
sidui saturi agirebbero invece come « isolatori ».
Forse a questo modo si potrebbe spiegare anche il fatto interessante,
sul quale soprattutto il compianto Johannes Thiele ha richiamato l’atten-
zione (?), che i sistemi contenenti due doppi legami coniugati
SICH C n Sri
addizionano p.es. due atomi di idrogeno ovvero di alogeno ai carboni estremi.
Sopra queste considerazioni ritornerò in una prossima Nota.
Biologia. — Razze biologiche di Anofeli. Nota del Socio
B. GRASSI.
Questa Nota sarà pubblicata in un prossimo fascicolo.
(*) Questi Rendiconti 30 (1921), 1° sem. pag. 72.
(2) Liebig*s Annalen 306 (1899), pag. 87.
— 545 —
Meccanica. — Constatazioni sulle scie aerodinamiche. Nota
del Corrisp. G. ArtURO CROcco (').
Le indagini sulla reintegrazione della velocità del vento dietro gli
ostacoli della quale ho discorso in una precedente Nota (*) hanno condotto
a rilievi interessanti la resistenza al moto di corpi in traslazione nell'aria,
che crediamo opportuno di esporre sebbene non ancora completi.
Gli esperimenti si sono svolti nell'impianto aerodinamico dell’ Istituto
Sperimentale Aeronautico (*) esponendo alla corrente della galleria aerodina-
mica dapprima un dzsco circolare sottile, poi un prisma rettangolare che l’at-
traversava da parte a parte (‘): ed esaminando le velocità e le pressioni
nella zona perturbata dietro quegli ostacoli, detta om/ra aerodinamica 0,
se sì pensa all'equivalente fenomeno della traslazione del corpo in aria ferma,
semplicemente seza (5).
Le velocità di strascinamento residue dell'aria lungo la scia in quest'ul-
timo caso, corrispondono allora alle velocità perdute nel caso della cor-
rente (5).
Se chiamiamo con % l'altezza del rettangolo sezion retta del prisma o il
diametro del disco, e con d la distanza orizzontale da esso, lungo l’asse della
(*) Presentata nella seduta del 3 giugno 1921.
(3) Cfr. questi Rendiconti, pag. 151.
(*) Per gentile concessione del suo attuale Direttore Col. R. Verduzio; e per cura
personale dell’ing. Bertozzi d'Olmeyda il quale da parecchi anni magistralmente dirige
la Sezione Aerodinamica, e che mi auguro vorrà direttamente esporre in questi Rendi-
conti le cure particolari richieste da simili delicatissime esperienze.
(4) Le esperienze sul disco, richiedendo maggiore preparazione sperimentale sono
state sospese per dar luogo all'apparecchiatura tuttavia in corso. Quelle sul prisma
furono invece proseguite e ad esse principalmente mi riferisco nella presente Nota.
(°) Vedi in proposito il fondamentale lavoro di T°. Levi-Civita, Scie e leggi di resi-
stenza, Rena. Circe. mat di Palermo, tomo XXIII, 1907.
(5) Non è facile eseguire dircite indagini sulla scia di un corpo mobile in aria
ferma perchè il fenomeno non è stazionario: e per renderlo tale occorrerebbe muoversi
insieme al corpo: il che appunto — relativamente — si tenta di compiere nelle gallerie
aerodinamiche generandovi una corrente aerea di velocità egnale e contraria a quella del
corpo e tenendo questo immobile insieme allo sperimentatore. L’equivalenza non è tut-
tavia perfetta perchè la corrente aerea ha limitate dimensioni e non possono rendersi
identiche le condizioni ai limiti: ma le cose stesse che esponiamo e quelle che ci ripromet-
tiamo di esporre in seguito potranno arrecar luce anche su questo punto controverso,
— (84605
scia, del punto sperimentato, la velocità, V, della corrente a valle del-
l'ostacolo riferita alla velocità, Vo, a monte (prese entrambe positive nel
senso della corrente) è riportata nella seguente tabella, la quale contiene
anche le velocità perdute v= V, — V (1):
VELOCITÀ PERDUTE
DISTANZA VELOCITÀ V DELLA CORRENTE e .
d E Dese done per Vo= 10 m/sec
4 Disco | Prisma Disco | Prisma
|
0.5 Mio: | — 2,50 13.81 19,50
1 Sat 0 15,65 14,10
1.5 Siri (NO -— 4,50 14,76 14,50
9 = — 3,50 11,75 13,50
25 +426 | + 2,06 5.70 7,94
3 6,00 4,45 4,00 5,55
3.5 7,08 5,47 2,92 4,52
7,88 | 5,91 2,12 4,08
5 8,60 6,25 1,40 3,74
6 890 | 6,40 1,10 3,60
920 | 6,62 0,80 3,28
10 9.34 6,80 0,66 3,20
20 9,64 | 7,56 (> SN 2,44
In entrambi i casi la velocità sull'asse della scia è inizialmente in senso
opposto a quello della corrente; indi si annulla, e poi assume valori posi-
tivi, rapidamente crescenti nel caso del disco e più lentamente nel caso
del rettangolo.
Pensando per contro al fenomeno della scia generata dal corpo mobile
nell'aria ferma, le colonne 4% e 5° che dànno le velocità perdute, darebbero
anche le velocità di strascinamento dell'aria lungo l'asse della scia. prese
positive nel senso del moto del corpo: e si dedurrebbe che in tal fenomeno
l'aria segue il corpo dapprima con velocilé maggiori di quella del corpo
stesso, poi con eguali velocità e infine con velocità sempre decrescenti; che
nel caso del disco diventano ad esempio trascurabili a oltre venti diametri
dal disco.
Se ora passiamo ad esaminare la velocità della corrente fuori dell'asse
della scia. spostandoci, per ogni distanza, d. orizzontale, anche verticalmente
a varie altezze, y; troviamo per il prisma rettangolare i risultati raccolti
nel quadro appresso inserito.
(1) Trattasi evidentemente di velocità medie nel tempo, giacchè a causa del feno-
meno turbolento, le velocità istantanee sono variabili in uno stesso punto della scia,
— 347 —
_—rrrrk-@\-t&--==*-=-=-=-=-*=-=-==="=-=---=-==“““““«““««““““=<=
Y VELOCITÀ PERDUTE PERDITE DI CARICO
allesza v=V— Vo; per Vo= 10 m/sec =
Mena in sezioni distanti dall’ostacolo in mm. d’acqua per de = 10 m/sec
PNRA rispettivamente alle distanze
della I d ( d d _|d d d d
sie | 33 |73?|1=3|F=4|1=!0 cur] |t- a
0 14.2 13.5 5.60 4.3 3.2 || 12.2 11.85 8.60 6.50
1 13.1 12.3 5.30 42 3 12.1 11 60 8.40 6.40
2 10.5 9.5 4.70 3.8 Zed \MRLIRO, 11.10 7.90 6.10
3 7.2 6.1 3.80 DI 2.5 113 970 7.10 5.40
4 35 3.4 2.60 23) 2.1 9 | 7.50 5.70 4.60
4.5 1.9 1.9 1.90 1.9 1.9 © DA ra e
Ò 0 0.6 1.20 1.4 157 3 (GIO 4.30 3.70
6 —24| —16 0.20 0.8 1.4 02 | 2.40 2.70 2.70
falce ca ez o L1|] o1 | 050 | 110 | 1.80
8 — 21] —18| —070| —Q01 0.8 0.05 0.15 060 1.20
10 — 14 | — 1.8 | — 0.60| —03 0.3 DES 0.05 0.30 0.60
13 — 0.7) — 0.6 | — 0.50) —04| —Q01 SÒ Dr 0.15 0.20
16 | —05 | —04 | — 0.30| —0.2| — 0.15 pr VIa 0.05 0,10
19 — 0.3 | — 0.2| — 0.10] — 0.05] — 0.1 E A 5 0.05
Esaminando il quadro, si osserva anzitutto che la parte notevole del
fenomeno della scia è localizzata nelle vicinanze dell'asse. In ogni sezione
le decrescenze delle velocità perdute, allontanandosi dall'asse, sono assai
regolari: e queste cadono rapidamente verso valori assoluti piccolissimi. In
secondo luogo si osserva l’esistenza di valori negativi notevoli: e cioè di
zone della scia ove si ha un evidente guadagno di velocità; e, nell'equi-
valente fenomeno del corpo mobile, se l'equivalenza sussiste, una massa
d'aria spinta in senso opposto al moto del corpo. Questi valori negativi
vanno decrescendo via via che le sezioni sono più lontane dal corpo: mentre
la parte positiva va allargandosi. Si nota infine — come singolarità speri-
mentale — che all'altezza dî 45 mm. (per un rettangolo alto 50) le velocità
della scia risultano eguali in tutte le sezioni sperimentate.
Queste le constatazioni sperimentali dirette. Osserveremo che gli esplo-
ratori di velocità non possono ritenersi strumenti di alta precisione: e che
non si può affermare l'uniformità preventiva della velocità del vento nella
galleria a meno delle differenze di pochi centimetri al secondo cui queste
misure dànno luogo.
Sotto tali restrizioni, vediamo a quali constatazioni indirette si può
addivenire.
Anzitutto, per la costanza della sezione della galleria, si deve avere un
flusso di corrente costante. Ora entro il campo sperimentato, che non si estende
— 348 —
sino alle pareti della galleria, si osserva che le velocità perdute si com-
pensano in gran parte, ma non interamente, tra loro. È quindi probabile che
le piccole velocità negative si estendano al di là del campo sperimentato,
per ottenere la compensazione completa.
In altri termini per la costanza della portata deve aversi, in ogni sezione,
se consideriamo un tratto di scia corrispondente a una larghezza di sbarra-
mento eguale ad un metro e supponiamo la densità costante (1):
(1) | V dy = costante = f Vo dYo ,
v/Y — Yo
quando si estendano gli integrali sino alle pareti terminali della galleria.
Facendo l'ipotesi che la corrente la occupi tutta quanta, senza singo-
larità, cioè che {= faro, in fal caso potremo assumere dy = dyo
vy
Yo
e dovremmo trovare
(2) DI (Vo V)dy= fo -dy= zero;
y si
y
il che, come abbiamo accennato, non sì verifica entro il campo sperimentato.
Posto ciò, proponiamoci di calcolare la variazione nel tempo della quar-
tità di moto della corrente dovuta all’azione dell'ostacolo: cioè la derivata
rispetto a { della quantità di moto, M, di un tronco di corrente di un metro
di larghezza, esteso in altezza sino alle pareti della galleria e compreso in
lunghezza fra la sezione a monte, yo, e quella a valle, y. Avremo, com'è
notorio, prendendo positivi i guadagni e chiamando w la densità:
(8) dI nf vidy— n f Vidy,=— n f Vody
dt y Yo y
nella quale abbiamo introdotto la relazione (1): ottenendo una espressione
valevole in ogni caso e già da noi indicata sin dal 1911 (?).
Se poi ammettiamo la esatta compensazione stabilita dalla (2), la (3)
sì trasforma nella
Y ‘ Y
y
che risulta essenzialmente positiva.
(') Le variazioui di densita sono infatti di un ordine di grandezza assai più piccolo
di quello delle misure in questione.
(2) Sulla teoria analitica dell'elica. Rendiconti Stab. Costr. Aer.
GAI
Sta di fatto che calcolando l'espressione (3) anche senza introdurvi
la (2), noi l’abbiamo trovata per tutte le sezioni sperimentate nettamente
positiva; risultato degno di nota, giacchè la presenza dell'ostacolo faceva
piuttosto pensare a una perdita anzichè a un guadayno nella quantità di
moto. Se poi ci si riferisce al caso del corpo mobile in aria ferma appare
a prima vista paradossale che nella scia generata da questo sì verifichi un
acquisto di quantità di moto in senso opposto al moto del corpo, anzichè
nello stesso senso. |
Ciò posto, se chiamiamo con p, e p le pressioni statiche a monte e a
valle, nelle sezioni terminali del tronco di corrente innanzi definito, e indi-
chiamo con R la resistenza del corpo mobile o meglio l'azione da esso eser-
citata contro la corrente, aggiungendo a questa l'incremento 7 dell'azione
esercitata dalle pareti della galleria, dovremo avere, per l'equilibrio del
tronco:
Rtr= | Po dyo — | pay.
240, Y
Ma per evitare la difficile misura delle pressioni statiche, le trasformeremo
in pressioni totali, p +3 wV?. introducendo nella precedente espressione
per ci il suo valore rappresentato dalle (3). Si avrà allora, con agevoli
trasformazioni, chiamando P le pressioni totali anzidette:
(5) R+r=( P.dyp— | Pay +3 | Vody
=0YN CSO) ua
nella quale le P sono facilmente misurabili, e anche con maggior precisione
delle velocità, mediante un tubo di Pitot semplice.
Se nella (5) poniamo d/= dy,, e supponiamo vera la (2), essa diviene
n
(6) R4r=((P,—P)dy—£ ( ody.
Ya duvy
espressione più comoda giacchè contiene soltanto le differenze di P, che si
ottengono per contrasto manometrico.
Queste differenze P, — P_che potremo chiamare cadute di pressione
o perdite di carico noi abbiamo misurato e riportato alle colonne 7,8, 9,10
della precedente tabella. Come sì vede si è effettivamente in presenza di
perdite di carico rilevanti e ben circoscritte in zone vicine all'asse della scia.
Calcolando la (6) noi abbiamo trovato per R+7 valori superiori a
quolli effettivamente misurati di R; ma ci promettiamo di tornare su di
essi in una successiva Nota, dopo che potremo disporre delle esperienze del
disco, e di quanto occorre per discutere la eliminazione della incognita 7 e
l’infuenza della limitazione della corrente d'aria.
RenbICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sem 45
— 350 —
Fisica. — Sull'assorbimento della gravitazione. Nota III del
Corrisp. Quirino MAJORANA (').
CRITERII SPERIMENTALI PRELIMINARI. — Come ho già detto nella Nota I,
nelle nuove esperienze ho sostituito ai 104 Kg. di mercurio 9603 Kg. di
piombo foggiati in un cubo di 95 cm. di lato. Occorreva quindi, anche per
tale massa, tanto superiore alla prima, studiare il modo di avvicinarla od
allontanarla dalla sfera di piombo, che doveva subirne l’azione schermante.
Stabilita anzitutto la convenienza di scomporre in due parti (prismi a base
rettangolare che chiamerò semplicemente 7 piombi) la massa totale, per
la facilità della manovra a ciò necessaria, due metodi si sarebbero potuti
realizzare praticamente: o far scorrere su rotaie perfettamente piane e levi-
gate le dette parti della massa, sostenute da appositi carrelli; oppure far
ruotare queste intorno a due robusti assi verticali eccentrici. Scartai il primo
metodo, perchè non dava affidamento di conveniente traduzione pratica, in
conseguenza delle possibili scosse provenienti dallo scorrimento dei carrelli
sulle rotaie; e mi attenni al secondo, che lasciava prevedere una mobilità
dolce e silenziosa delle masse di piombo, quantunque, come dirò appresso,
accompagnata da deformazioni periodiche (più notevoli che non col primo
metodo) di tutto l’edificio nel quale si sperimenta.
Non insisto, per non dilungarmi troppo, su altri eriterî preliminari che
mi guidarono nella realizzazione del complesso dispositivo necessario alle
nuove esperienze, benchè a questo io sia arrivato a traverso una serie di
successive modificazioni, specie in quanto riguarda gli accessorî della bilan-
cia. Infatti, avendo cominciato nella primavera 1919 il montaggio delle masse
di piombo, iniziai nell'inverno 1920 quello della bilancia, e non potei ren-
dermi conto completamente di tutte le singole cause di errore (principalmente
di quelle che hanno occasionato lo studio di cui nella Nota II) se non nel-
l'aprile di quest'anno. Solo nel periodo aprile-luglio 1921, ho potuto eseguire
le misure che mi sembrano definitive e di cui dirò in seguito. Passo quindi
a descrivere la disposizione suddetta.
CONGEGNO DI MANOVRA DEI PIOMBI. — In un sotterraneo del Labora-
torio di Fisica del Politecnico di Torino, sono state fissate due armature gi-
revoli intorno ad assi verticali, imperniate in cuscinetti a sfere, con reggi-
spinte, pure a sfere, in basso. Esse appariscono sovrapposte in una sola ABCD
(1) Pervenuta all'Accademia il 18 ottobre 1921.
e
— 351 —
nella fig. 2; ma in realtà sono distinte ed i loro assi sono discosti per em. 47,5
(valore corrispondente alla metà del lato del cubo di piombo). I due cusci-
netti in A, e gli altri due in B, sono rispettivamente murati con solide
grappe in ferro, nello spessore della vòlta e del pavimento. Le dette arma-
ture sono in legno, e ciascun tratto di esse, AB, CD, DB, è costituito da 4
tavole di pitch-pine spesse 5 cm., e larghe 20 o 22 cm. Dei rinforzi 0 col-
legamenti (non segnati in figura) fatti con lamine di ferro spesse 4 oppure
10 mm, e dei bulloni di ferro di 29 mm. di diametro, completano le due
armature, che nel loro insieme furono calcolate cortesemente dal mio collega
prof. M. Panetti. I due blocchi di piombo, composti ciascuno da 144 pani
(come già dissi), appariscono quadrati in figura e sì proiettano sovrapposti
in PP. Essi pesano ciascuno circa 5 tonnellate, e sono appoggiati sui bracci CD
delle due armature. Ciascuno di essi genera così, in A e B, sforzi orizzon-
tali opposti di circa 2 tonnellate; per cui l’edificio, dove è montato l’appa-
recchio, è soggetto ad una coppia il cui braccio verticale AB è uguale a 4
metri e ciascuna delle due forze orizzontali è di 4 tonnellate. Grazie ai cu-
scinetti a sfere, le armature possono venir ruotate facilmente, in sensi op-
posti, di 180°, in guisa che le due masse di piombo vengano a combaciare
— 992 —
alla sinistra della figura, in P'P. La coppia suddetta avrà allora ruotato
intorno al suo braccio, di 180°; ma, nelle posizioni intermedie, il suo valore
sì riduce notevolmente, ed anzi, a 90°, va a zero, perchè le rotazioni delle
due armature avvengono in senso opposto; per tale posizione angolare le spinte
orizzontali sulla vòlta o sul pavimento si controbilanciano esattamente. Si
comprende, ora, come una sollecitazione di tale genere possa occasionare
qualche deformazione elastica periodica nelle parti dell’edificio, all’alternarsi
delle posizioni delle armature. Ritornerò su ciò in seguito.
Su ciascuno dei due bracci CD delle due armature trovasi una robusta
zattera Z in legno, di 15 X 47,5 X 95 cem, sostenuta da tre viti calanti in
ferro, per la livellazione. Su ciascuna delle due zattere sono appoggiati,
come in una costruzione con conci di pietra esattamente lavorati, i 144 pani
di piombo di 8X8 X 47.5 cm. Il peso dei singoli pani non è, per difetto
costruttivo, esattamente costante; in media esso è di Kg. 33,390, con un
errore medio di circa 100 gr. Ma tale variabilità non può avere conseguenze
dannose, dato il numero notevole (288) dei varî pani.
La rotazione delle due armature avviene, come si è detto, in senso
opposto e, mediante opportuni arresti regolabili, è limitata a solo 1809;
con ciò sì viene a costituire il cubo di piombo completo, a volontà in PP,
oppure in P'P'. Codesta rotazione è comandata elettricamente dal posto di
osservastone, sito nel piano superiore, nella guisa seguente: Una rotaia curva
orizzontale in ferro RR, che nella figura apparisce rettilinea, larga circa 5 cm.,
è sostenuta mediante apposite colonnine QQ, a circa 80 cm. dal pavimento.
Essa ha la forma di due semicerchi raccordati, aventi un raggio di m. 2,50,
e, ciascuno, il centro su di un asse di rotazione AB delle armature. Ogni
armatura porta una tavoletta K incernierata sul proprio tratto BD; su di
essa è fissato un piccolo motorino elettrico a corrente continua di !/3 HP.
Tale motorino può fare girare, con forte riduzione di velocità, mediante una
vite perpetua, una ruota 7, il cui bordo guarnito di caucciù, per il peso della
tavoletta K e del sovrastante motorino, grava ed aderisce sulla rotaia R;
al girare di ciascun motorino, le due masse di piombo PP sono trasportate
alternativamente dall'una all'altra posizione estrema; tali posizioni distano
m. 2,90 fra i loro centri. Mediante opportune connessioni elettriche, è facile
eseguire l'inversione della marcia dei motorini; le posizioni dei due piombi
sono in ogni istante controllate dal posto di osservazione mediante l’accen-
sione o lo spegnimento di sei piccole lampadine (simili a quelle di un mul-
tiplo telefonico), in conseguenza di opportuni contatti elettrici che si verifi-
cano al ruotar delle armature, tra le tavolette K e la rotaia R. Così, oltre
poter a piacere invertire la marcia dei due piombi, se ne può rallentare la
velocità, facendo in modo che essi, assai dolcemente e senza scosse, vadano
ogni volta a raggiungere l'estremo della loro corsa. Il tempo necessario per
un trasferimento dei piombi da PP a P'P', o viceversa, è di circa 2'30".
— 359 —
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— 354 —
La BILANCIA. — Essa è indicata nella stessa fig. 2, in H; è poggiata
su un piano di marmo T, sostenuto da due pilastrini in muratura, costruiti
sul pavimento del locale sovrastante al sotterraneo contenente. i piombi.
La bilancia, come nelle vecchie esperienze, è rinchiusa nella custodia già
altra volta descritta, capace di resistere al vuoto atmosferico; dal lato destro
di tale custodia pende un tubo L di ottone di 25 mm. di diametro, termi-
nante in una sfera, pure di ottone, cava M, di 70 mm. di diametro; tale
appendice serve a contenere e proteggere la sfera massiccia di piombo di
6 cm. di diametro, pesante 1274 gr., attaccata, mediante un filo di ottone
di 0,3 mm. di diametro (e della lunghezza di circa 4 metri) al braccio destro
della bilancia. Una scanalatura semicilindrica S, ed una nicchia semisferica N,
praticate su ciascuno dei due prismi di piombo, permettono di accostare
questi alla custodia M, senza toccarla, e di costituire così il cubo scher-
mante P'P’, intorno alla sfera di piombo contenuta in M. È facile, mediante
le sei viti calanti delle due zattere Z, oltre che portar allo stesso livello le
facce orizzontali superiori e, rispettivamente, inferiori dei due piombi, rego-
lare la posizione del cubo così risultante, rispetto alla sfera di piombo, in
guisa che il centro di questa coincida con quello del cubo. Ciò, perchè nel
tubo L sono delle piccole finestre (non indicate in figura, per la piccolezza
di questa) chiuse con vetro, a traverso le quali si possono puntare con un
catetometro degli ingrossamenti del filo di sospensione come quello indicato
con Z nella fig. 4 a pag. 485, vol. XXVIII di questi Rendiconti. Così, si
correggono errori di aggiustaggio reciproco tra sfera e cubo, nel sezso ver-
ticale. Sarebbe stato desiderabile poter fare altrettanto per il senso 0rizzon-
tale; ma si comprende come non sarebbe stato facile dotare i prismi PP di
mobilità laterale sui bracci CD, data la loro grande massa. Per cui mi son
limitato ad aggiustare preventivamente tali prismi orizzontalmente, con la
migliore approssimazione possibile; nel corso delle esperienze si sono in se-
guito corretti quegli spostamenti manifestantisi inevitabilmente, in conse-
guenza delle deformazioni delle armature ABCD, mediante corrispondenti
spostamenti della sfera M, insieme con tutta la bilancia. Del resto, come
già altra volta feci notare, anche un errore relativamente notevole (qualche
millimetro) di aggiustaggio laterale non può dare sensibile componente attrat-
tiva verticale tra il cubo e la sfera.
Venendo ora a parlare più dettagliatamente della bilancia e delle sue
ulteriori particolarità costruttive, avverto che queste sono assai più numerose
che non nella prima serie di esperienze, principalmente in conseguenza della
maggior complicazione del nuovo dispositivo. La bilancia con i suoi acces-
sorî è meglio rappresentata nella fig. 3, di cui mi riservo di dare ampia
spiegazione nelle prossime Note.
— 355 —
MEMORIE E NOTE PRESENTATE DA SOCI
Matematica. — Sulle relazioni fra le misure di un insieme
variabile e dell'insieme suo limite. Nota del dott. GABRIELE MAM-
MANA, presentata dal Socio Luror BIANCHI (').
In una Nota sugli integrali dipendenti da parametri, attualmente in
corso di stampa presso il Circolo matematico di Catania, stabilisco che un
integrale
n
99) = f/trodp
E(9)
esteso a un insieme E(%) variabile col punto 4, è continuo se
(1) lim m [E(9) + E(99) — E()E(7)]=0
q'=q
e chiamo insiemi variabili con continuità gli insiemi che soddisfano alla (1).
D'altra parte si ha già il concetto di limite di un insieme variabile (?)
per modo che si sarebbe indotti a dire che un insieme varia in modo con-
tinuo quando
(2) lim E(7) = E(9).
q=q
Di questa relazione di limite si è fin ora detto soltanto che
lim m E(g)= m E(9).
DT
In questa Nota dimostrerò che vale invece la relazione (1) che è più si-
gnificativa, in quanto per essa sì mette in evidenza come, col tendere di
qa q le parti non comuni all'insieme limite E(q) ed all'insieme E(g')
finiscono per acquistare e conservare poi sempre misura piccola come si
vuole. Così resta pure provato che la (2) ha di conseguenza la (1); vice-
versa la (2) in generale non consegue dalla (1), di modo che la definizione
(!) Pervenuta all'Accademia il 28 luglio 1921.
(2) Veramente il limite viene definito (ved. De La Vallée Poussin: Les intéyrales de
Lebes gue, ete., Paris, Gauthier-Villars et C., 1916, pag. 8) per una successione illimitata
di insiemi; però l’estensione al caso di un insieme E(g) variabile con un punto è im-
mediata: basterà, per questo, definire lim E(9') l'insieme che ha per funzione caratteri-
q'=q
ntica il limite (quando esiste) per g' tendente a 9 della funzione caratteristica corri-
spondente a E(9’). Il limite così definito (si può dimostrare) è misurabile, se lo sono
gli insiemi E(9’) considerati, e la sua misura è limite delle misure in E(9’) degli in-
siemi stessi.
— 356 —
di insieme variabile con continuità, da me data, viene ad avere significato
più largo di quello espresso dalla (2).
Per semplicità mi limiterò qui a considerare solo il caso di una suc-
cessione illimitata di insiemi; l'estensione, del resto, al caso di un insieme
E(g) variabile è immediata [ved. la nota (*) della pag. prec. ].
Si abbia la successione convergente di insiemi misurabili
(1) TOGO DSS] DAGIRNO
e sla
E=limE,
Pn, € p,(p= lim g,) indichino rispettivamente le funzioni caratteristiche
di E, e di E.
Fra le misure dei termini della (1) e del limite E, intanto, vale la
relazione (!)
(2) lim|mE—-mE,|= 0.
N20
Consideriamo l’altra successione che si ottiene dalla (1) moltiplicandone
i termini per E:
(3) ERO EE, RES
dico che questa è convergente ed il suo Inmite è ancora E.
Invero, la funzione caratteristica @, del termine generale EE, è data,
come è noto, dal prodotto delle caratteristiche di E e di E,, ; cioè ®, = gg
Ora si ha
n°
lim ®, = lim gg, = g lim pg = gp? @
n= N=ZDN n=%
e quindi la (3) converge, ed ha per limite l'insieme che ha per caratte-
ristica, cioè l'insieme E. Ciò poteva anche vedersi direttamente. applicando
i teoremi elementari sui limiti di insiemi.
Ma la misura del limite di una successione di insiemi, è limite delle
misure degli insiemi stessi: perciò
lim (ME— mEE,)=0 e, per la (2), anche
(4) lim (mE, — mEE,)= 0.
n=w
A queste due relazioni possiamo sostituire la relazione unica equivalente
(5) lim m(E+E, — EE,)=0.
n=
1) De La Vallée Poussin, opera citata, pag. 27.
] pag
ie
Inversamente: Data la (1), ogni insieme F che soddifi alle condizioni
espresse dalla (5) o, ciò che fa lo stesso, dalle (4), e cioè
lim (mF — mFE,)= 0 e lim(mE, — mFE.)=0,
può differire dal limite E della (1) al più per insiemi di misura nulla.
Infatti dalla ipotesi consegue
mF = lim mFE,, e limmE,=mE = limmF&,,
n=% n= n=
da cui mF = mE.
D'altra parte, se si considera la successione FE, , FE.,... FE,... pei
teoremi elementari sui limiti di insiemi si ha ()
lim EE, =imE imeE,= FE,
NZ NED n=
quindi anche
mFE = lim FE,
n=
e per conseguenza, infine,
mE=mE=mFK;
ciò che dimostra quanto si è asserito.
Nora. L'esistenza di un insieme F che soddisfi alle condizioni di cui
sopra, rispetto ad una qualunque successione di insiemi, non basta, in gene-
rale, ad assicurare la convergenza della successione stessa, come sì può con-
statare dal seguente
Esempio. Consideriamo l’insieme costituito da tutti i punti di un cir-
colo C, ad eccezione di quelli appartenenti ad un suo raggio ». Facciamo
rotare C intorno al proprio centro successivamente per angoli di ainpiezza
07%, 2w0,3w... 0 (60 + 277); indichiamo con Co, CC, + Cna (6) gli
insiemi corrispondenti alle successive rotazioni, e con 70, 71,723 -.7n i
raggi di punti esclusi rispettivamente di C,, Cs... 0... Ora, se w è com-
mensurabile con 277, per un certo valore 72 di x e pei suoi multipli, C riprende
la posizione iniziale e perciò in un qualunque punto di 7, (per esempio) la fun-
zione caratteristica n di C,, col crescere di n, assume alternativamente
valori uguali a zero e a uno, e non ha limite; e lo stesso avverrà della (6).
Invece, se w è incommensurabile con 277, C non riprende mai una stessa po-
sizione, per quanto cresca 7; quindi in un punto P_ qualunque interno a C
la 4, 0 è sempre uno, qualunque sia 7 (cioè 7, non passa mai per P),o0
assume il valore zero solo per un dato valore m di n, e poi per n > # ri-
torna ancora e rimane sempre 1. In ogni caso il suo limite per n = cv
esiste ed è uno nei punti interni a C, e zero nei punti esterni; e la (6) per
conseguenza ha per limite l'insieme (dominio) di tutti i punti di C.
(1) Ved. De La Vallée Poussin, opera citata, pag. 10,
RENDICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sem. 46
— 358 —
D'altra parte il dominio costituito da tutti i punti di C gode, tanto
nel primo come nel secondo caso, delle proprietà espresse dalla (5).
Possiamo enunciare il teorema:
Teorema. Condizione necessaria perchè un insieme E sia limite di una
successione di insiemi E, , E., ... En,.. è che
lim m (E + E, — EE) sia=0.
Nes 0
Questa condizione non basta in generale ad assicurare l'esistenza del
limite della successione stessa; però, se questo esiste, può differire da E al
più per insiemi di misura nulla.
Ma si può dire di più, e cioè: Fra i termini di una successione di
insiemi E, , E, E3,...,E,.... e il suo limite E, intercede la relazione
lim (E+ E, — EE,)=0 che è caratteristica del limite; in altri termini:
n=%
La condizione necessaria e sufficiente affinchè un insieme E sia limite di
una data successione, è che la successione formata colle parti non comuni
a E e ai termini della data successione, converga non soltanto verso un in-
sieme di misura nulla [come risulta dalla (5)], ma addirittura verso l’in-
sieme nullo. Così, per esempio, nel caso di insiemi superficiali la succes-
sione delle parti non comuni, di cui sopra, non potrebbe tendere neanche
a delle linee o a dei punti isolati. Tutto ciò ci darà ragione del perchè
la (5) non assicura la convergenza della successione.
Infatti: conservando le notazioni del precedente paragrafo, prendiamo
a considerare la successione (E+E,— EE,), per (2=1,2,3,....) formata
colle parti non comuni a E e ai termini della (1), e calcoliamone la carat-
teristica /, del termine generale, in funzione delle caratteristiche 4 e @,
rispettivamente di E ed F,. Applicando i teoremi sulle funzioni caratteri-
stiche (1), sì ha
In=1-(1—-9)(1— n) — 99n=P+ 9 — 299n
che potremo anche scrivere:
In=p + pi — 299 = (9 —- n°,
e quindi //=P— Pn.
Ora, se E= lim &,, cioè g=limg,, sarà lim/,=0 e per con-
n=% n=%
seguenza lim (E + E, — EE,)=0. Viceversa da quest'ultima consegue la
prima, ciò che dimostra il nostro asserto.
(1) De La Vallée Poussin, op. cit., pag. 7.
Matematica. — Sugli integrali abeliani riducibili. Nota di
GaETANO ScoRza, presentata dal Socio Gurpo CastTELNUOVO (').
In uno dei miei corsi di lezioni di geometria superiore di questi ul-
timi anni ebbi occasione di far rilevare che il procedimento aritmetico ben
noto, indicato dal Weierstrass per stabilire l'esistenza di sistemi di periodi
ridotti per un integrale abeliano riducibile, poteva essere utilmente sosti-
tuito con un ragionamento di più succinta eleganza e di maggiore efficacia
pratica.
Data l’importanza della questione, non mi pare inutile di pubblicare qui
quel mio ragionamento, tanto più che, a causa forse di una definizione non
felice dei periodi ridotti di un integrale riducibile che si trova in qualche
libro, non è mancato chi ha creduto di poter sostituire il procedimento di
Weierstrass con un ragionamento affatto inadeguato allo scopo.
1. Sia J un integrale abeliano (di 1° specie) riducibile, appartenente
a una curva di genere p, e siano
Wi, e, d2p
i suoi periodi a un sistema normale di tagli della riemanniana corrispon-
dente alla curva.
Poi si supponga che 7(= 1) sia il massimo numero di relazioni lineari
omogenee indipendenti a coefficienti interi passanti tra le w°; e che
Qin +... dh A,,2p dop =" 04
Gr, 0, +... + Gr,sp op = 0
siano 7 di codeste relazioni formanti Vase minima per l'insieme delle rela-
zioni lineari omogenee a coefficienti interi intercedenti fra le ©;.
Per teoremi notissimi di analisi indeterminata, la matrice
(1)
dios dip
(2)
Ur isnirsp
sarà di caratteristica 7, e il massimo comune divisore dei suoi minori di
ordine 7 sarà 1 (?).
(') Pervenuta all'Accademia il 15 luglio 1921.
(*) Per tutte le affermazioni contenute nel testo vedi, p. es., iln. 1 della mia Me-
moria: Sulle varietà abeliane contenenti congruenze abeliane (Rendiconti del Circolo
Matematico di Palermo, t. XLIII, 1918-1919, pp. 213-288).
— 560 —
Ma allora, in virtù di un bel teorema di Hermite-Frobenius (1), è pos-
sibile costruire un determinante unimodnlare a elementi interi di ordine
2p, così che delle sue righe le prime 7° siano appunto le righe delle (2).
Siano
Wi se) Areapo
Aap,1 q 000 4 A2p,2p
le rimanenti righe di un tal determinante, e si ponga
Or+1,1 01 + + Ar+1,20 Dop =" Q,,
(3) Pelia TO
dop, di +t dUAIE A2p,2p dep Lop-r .
Le (8) mostrano che £,,..., sp, sono periodi di J; le (1) e (3),
prese insieme, essendo unimodulare il determinante delle 4;;(î,j=1,... 29),
mostrano che ciascuna delle w; è una combinazione lineare omogenea a
coefficienti interi delle 2, ,..., 2,p_y; dunque
(4) OOo re
è un sistema di periodi ridotti (primitivi) di J.
Dopo di che è ben noto ed è anche ben chiaro come ogni altro tale
sistema possa essere dedotto dal sistema (4).
Avvertasi che, dato il significato di 7, tra i periodi (4) non può pas-
sare alcuna relazione lineare omogenea a coefficienti interi non tutti nulli.
Fisica. — Sul potenziale di risonanza e di ionizzazione nei va-
pori misti di sodio e potassio con mercurio (*). Nota II di ApoLFO
CAMPETTI, presentata dal Socio AnpREA NACCARI (*).
1. Seguendo il metodo indicato nella Nota precedente, furono determi-
nate le intensità di corrente tra rete e cilindro (malgrado un campo ritar-
datore costante) in funzione del potenziale acceleratore applicato tra filamento
e rete, e si tracciarono le curve relative, prendendo come ascisse le diffe-
renze di potenziale in Volt (ogni divisione equivale a due Volt) e come ordi-
nate le intensità di corrente in unità arbitrarie. Per evitare sovrapposizioni
delle curve, ad ogni curva viene spostata l'origine.
(1) Vedi, per es., FROBENIUS: Z’heorie der linearen Formen mit ganzen Coefficienten
[Journal fir die reine und angewandte Mathematik; Bd. 86 (1879), pp. 146-208], $ 8.
(2) Lavoro eseguito nell'Istituto di Fisica della R. Università di Sassari.
(9) Pervenuta all'Accademia il 1° settembre 1921.
— 861 —
Tenendo conto delle curve tracciate (e dei dati numerici relativi che
qui non son» riferiti per disteso) e osservando che l’ascissa x, del primo
massimo rappresenta il potenziale di risonanza p, più il potenziale p, corri-
spondente alla velocità con cui vengono emessi gli elettroni dal filamento
incandescente, che il secondo massimo x, rappresenta il doppio del poten-
“ziale di risonanza più il potenziale iniziale, si hanno le relazioni
x1= Pr + Po s Lo = 2Pr + Po
e perciò si ricavano po e pr. Così pure, col metodo indicato nella Nota pre-
cedente, si ottiene il potenziale di ionizzazione p;.
Furono eseguite prima esperienze di controllo con sodio puro (curva 1°,
la 2* esperienza non essendo rappresentata in figura), con potassio puro (3, 4)
e con vapore di mercurio (5): altre esperienze si riferiscono a sodio e mer-
curio (6, 7,8), a potassio e mefcurio (9, 10, 11).
Nelle tabelle che seguono, { è la temperatura della camera di ionizza-
zione (superiore di una ventina di gradi a quella della regione ove vengono
ridotti in vapore il sodio ed il potassio), 4, la temperatura del mercurio,
per le esperienze in cui esso è presente al fondo dell'apparecchio; i numeri
della prima colonna corrispondono a quelli delle curve della figura.
TABELLA I. TABELLA II.
|: po |pr| pi É o |n Pr | pi
1 | Na |425°|121|2,13| 5,16 6| Na + Hg |421° | 450-500 | 1,84 |2,27 [5,34
2| Na |417°|1,07(214| 5,22 7 | Na + Hg |418°|50°-650| 1,50 | 2,30 | 5,30
3/K |s25°[067|157| — 9| K-+ Hg|3150|450-500|1,06|1,68|4,41
4|K |319°|1,08|1,58| 4,38 10] K-+ Hg|325°|60°-650|1,05|1,70 4,45
5 | Hg |300°|1,50|4,95| 10,50
2. Per l'intelligenza di queste tabelle riassuntive e della figura rela-
tiva conviene fare le seguenti osservazioni: a) La tensione del vapore di
mercurio nella camera di ionizzazione non si può precisare con sicurezza,
trattandosi di un processo di diffusione di vapore dalla parte inferiore del-
l’apparecchio alla superiore sempre in comunicazione colla pompa Gaede in
azione, non potendosi quindi applicare il principio della parete fredda; d'altra
parte, alcune goccioline di mercurio, provenienti dalla condensazione nella re-
gione superiore fredda del tubo, ricadendo eventualmente attraverso alla ca-
mera di ionizzazione, possono dare temporaneamente una più elevata concen-
trazione di vapore di. mercurio, producendo così qualche irregolarità nelle
esperienze. 2) Per quanto riguarda i dati e le curve relative ai metalli puri,
niente è da osservare in particolare, perchè i potenziali ottenuti corrispondono
TE
a quelli delle esperienze precedenti; riguardo alle miscele di vapori, Ja
curva 6 presenta due massimi che (come risulta dai dati numerici delle misure
qui non riferiti) corrispondono a 0,93 e 3,10 Volts (3,10 — 0,83 = 2,27) e un
massimo poco marcato, corrispondente, aggiungendo il potenziale iniziale, circa
al potenziale di risonanza del mercurio. La 7 presenta pure due massimi corrispon-
&
dl
Ì
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3
BESsSSsSss
denti al vapore di sodio a 0,80 e 3,10 Volts; ma il massimo corrispondente al
mercurio non appare, probabilmente perchè coperto dalla relativamente rapida
ascesa della curva; la 8 non permette più Ja determinazione di p, e Pi»
essendovi un solo massimo per il sodio, mentre il secondo appartiene al
mercurio. Analogamente si comportano le curve 9,10, 11 ottenute con K
e Hg, essendo nelle 8 e 11 la temperatura del mercurio di circa 800, È
notevole il fatto che la 8 indica un rapido aumento di corrente a circa 6,7
Volt, valore che non corrisponde al potenziale di ionizzazione del sodio, nè
, del mercurio; tuttavia numerose esperienze qui non riferite hanno dato il me-
desimo risultato con notevole accordo (vedansi analogamente le curve delle
— 363 —
esperienze precedenti). c) La scala assai ridotta del disegno nel senso oriz-
zontale (per economia di spazio) fa apparire l'ascesa delle curve, per es. in
corrispondenza del potenziale di ionizzazione, in ogni caso molto rapida; in
realtà, come risultò dai dati numerici delle esperienze, per le curve relative
a vapori misti, il potenziale di ionizzazione non resta determinato con molta
precisione.
Concludendo, si può enunciare il risultato che la presenza del vapore
di mercurio altera sensibilmente il potenziale di risonanza dei vapori di
sodio e potassio: meno ben delerminata è l'azione sul potenziale di toniz-
zazione.
Tale risultato dovrebbe essere posto in relazione col comportamento
ottico di tali vapori misti, esaminandone cioè la radiazione corrispondente.
Questo esame però, dovendolo operare in apparecchi fortemente riscaldati entro
stufa elettrica, dati i mezzi attualmente a mia disposizione, non mi è stato
ancora possibile.
Fisica terrestre. — / terremoti mondiali del 1916 e lOs-
servatorio di Rocca di Papa. Nota II di G. AGAMENNONE, pre-
sentata dal Socio V. CERULLI (').
In una Nota nrecedente (?) ho esposto che dei 59 più importanti terre-
moti mondiali del 1916, ben 48 furono segnalati a Rocca di Papa. Per for-
marsi un’idea delle distanze da cui vi giunsero, trovo che le medesime
variano
9 Km.
5 volte da 3° a 10° d'arco di circolo mass., cioè da 330 a 1110 c.
3 ” 44 » 56 ” ” ” 4880 » 6220 »
5 ” 71 » 80 ” ” ” 7880 » 8880 »
19 ” 83 » 90 ’ ’ ” 9210 » 10000 »
9 ” 91 » 100 È ” ” 10100 » 11100 »
5 ’ 116 » 134 ’ ’ ’ 12880 » 14870 »
2 ’ 152 » 156 ” ” ’ 16870 » 17320 »
Da ciò sì vede che 15 telesismi provennero da distanze varianti da 330
fino a 8880 km.; altri 28, cioè più della metà del totale, ebbero origine
a distanze corrispondenti all'incirca a quella d'un intero quadrante terrestre
(da 9210 a 11100 km.) e ben 7 ebbero l'epicentro ancor più remoto, fino
ad avvicinarsi all'antipodo!
(*) Presentata nella seduta del 6 marzo 1921.
(2) / terremoti mondiali del 1916, Rend, della R. Acc. dei Lincei, seduta del 6 feb-
braio 1921.
— 364 —
Per chi avesse vaghezza di conoscere la distribuzione geografica degli
epicentri di tutti i predetti 59 terremoti mondiali, osservo che ben 40 se
ne trovano a longitudini orientali, e precisamente: 1 in Romagna, 1 nell'Alto
Adriatico, 1 in Croazia, 1 nella penisola Balcanica, 1 nelle Alpi transilva-
niche, 2 in Asia Minore e Persia, 2 tra il Polo nord e la Russia settentrio-
nale, 4 nella catena montuosa dell’Indostan settentrionale, 4 nel golfo di
Bengala, Sumatra e adiacenze, 3 alle Isole Filippine, 2 a Formosa, 9 nel
Giappone o nelle vicine acque del Pacifico, 2 nelle Isole Aleutine, 7 nella
Nuova Guinea o vicinanze. I restanti 19 epicentri hanno, invece, longitu-
dine occidentale, e cioè: 2 nelle Antille, 3 nel Messico meridionale o nel
Pacifico presso il Messico e S. Salvator, 4 nella Columbia e Venezuela, 1 al
Perù, 3 presso le frontiere tra la Bolivia, il Brasile, l'Argentina ed il Cile,
4 nell’Alaska o nel Panifico presso le Aleutine, 2 alle Isole Samoa presso
l'Australia e la Nuova Zelanda. E resta così provato, una volta di più, come
le onde sismiche giungano in Italia con maggior frequenza dall'oriente in
confronto dell'occidente; e nel caso nostro il rapporto è circa doppio!
Sommando i predetti 59 telesismi con gli altri 72, meno bene deter-
minati e generalmente meno intensi, troviamo un totale di 131, dei quali 67
registrati a Rocca di Papa, 63 a Moncalieri e 20 a Monte Cassino, trala-
sciando gli altri 2 osservatorî di Padova e Valle di Pompei, pei quali man-
cano i dati per gli ultimi mesi del 1916. Il numero totale di terremoti,
registrati in detto anno a Rocca di Papa, Moncalieri e Monte Cassino, è
stato rispettivamente di 507, 221 e 221('); e se da queste cifre sottrag-
ghiamo il numero dei telesismi (rispettivamente 67, 63 e 20), rimangono 440.
registrazioni per Rocca di Papa. 158 per Moncalieri e 201 per Monte Cas-
sino. Di queste ultime, certamente molte sono state causate da fenomeni si-
smici italiani, ma la maggior parte son dovute a terremoti avvenuti fuori
del Regno e persino extra-europei, ma che tuttavia devono essere stati, in
generale, di moderata intensità, tale da perturbare bensì più o meno debol-
mente i nostri sismograti, ma non quelli a distanze più ragguardevoli, per cui
non si è creduto di classificarli tra i cosiddetti mondiali. Può anche essere
avvenuto che, a causa della guerra, molti osservatorî già non funzionassero
più nel 1916, oppure che il compilatore dei terremoti mondiali di detto
anno non abbia potuto conoscere affatto, o almeno in tempo utile, le osser-
vazioni eseguite in altre località. Ne segue che il numero dei telesismi, con
epicentro più o meno lontano, registrati nei predetti tre osservatorî, deve
restare bene al di sopra di quelli sopra riportati.
Comunque sia, rimane bene assodato il fatto che con i moderni e sen-
(!) A Padova furono registrati 96 terremoti nei primi 9 mesi, ed a Valle di Pompei 48
nei due primi quadrimestri. Supponendo un’uguale frequenza media per i restanti mesi
dell'anno, si sarebbero avute in tutto 128 registrazioni per la 1%, e 72 per la 22 località.
— 365 —
sibilissimi sismografi vanno sempre più crescendo i sismi registrati, e prova
ne è il ragguardevole numero di quelli (507) segnalati a Rocca di Papa
nel 1916. A spiegare poi la maggior quantità di registrazioni in detto osser-
vatorio in confronto di Moncalieri — in cui pur funzionavano parecchi e po-
tenti strumenti, tenuti con somma cura e perizia — bisogna considerare che
Rocca di Papa è circondata da molti ed attivi focolari sismici, e che, tro-
vandosi più ad oriente, è in grado di registrare più visibilmente l'arrivo
delle onde sismiche, talvolta debolissime, che giungono, quale eco lontana,
dai numerosi terremoti delle Calabrie, della Sicilia, del Mar Tonio, della
Grecia, della Balcania ecc. La superiorità poi di Rocca di Papa, in confronto
di Monte Cassino, è certamente dovuta al maggior numero ed alla maggiore
potenza degli apparati posseduti.
Da quanto ho esposto a proposito di Rocca di Papa, emerge la neces.
sità di aumentare l’attuale ristrettissimo personale di quell'osservatorio (di-
rettore, assistente e custode) il quale è rimasto invariato tin dalla fondazione
del medesimo (anno 1889), quando, per la scarsissima sensibilità degli stru-
menti allora in uso, si potevano tutt'al più registrare qualche diecina di
terremoti all'anno, e quasi tutti avvertiti dalle persone! E bisogna anche
riflettere che se con tutta l’abnegazione del personale si riesce a stento a
compiere l’analisi del numero stragrande dei sismi registrati ('), manca la
possibilità di discutere ed utilizzare le osservazioni, per dedicarsi a studî
sintetici, che sono appunto quelli che fanno progredire la scienza, sicchè
disgraziatamente resta in gran parte frustrato lo scopo precipuo pel quale fu
fondato l'osservatorio.
Da ultimo, è bene ch'io faccia rilevare, anche in questa occasione, che
il numero dei sismi registrati a Rocca di Papa sarebbe ancor più considere-
vole se, a causa della sua troppa altitudine, gli strumenti non ne restassero
più o meno perturbati dai forti venti che lassù quasi sempre imperversano;
e talora la perturbazione raggiunge tale intensità da render vana la ricerca
di sismogrammi, anche d'una certa importanza, registrati altrove, e, a più
forte ragione, di quelli più o meno microscopici, eppur sempre utili ai nostri
studî. Si aggiunga il frequente disturbo, arrecato ai sismografi e perfino ai
sismoscopii, dal suouo delle campane del sottostante paese, specialmente nei
giorni festivi, e così pure quello proveniente dai lavori in una vicinissima
cava di pietre, e si resterà pienamente convinti che l'ubicazione dell'osser-
vatorio, giudicata opportuna dal mio predecessore, quando gli strumenti non
erano allora in gcado di risentire gli effetti delle predette cause di pertur-
bazione, risulta ormai inadatta per le moderne esigenze della sismometria;
(*) Per non parlare che delle sole repliche del terremoto Marsicano del 1915 regi-
strate a Rocca di Papa, esse sommano alla bellezza di 1275 dal 13 gennaio al 30 giu-
gno 1915.
IRENDICONTI, 1921. Vol. XXX, 2° Sem. 47
— 366 —
e perciò sarebbe logico, dopo l'esperienza di più d'un trentennio, che l’osser-
vatorio venisse trasferito in altra località meglio rispondente ai fini scientifici
per i quali fu decretato.
Alla comunicazione del prof. Agamennone il Socio V. CERULLI, che co-
nosce bene l'osservatorio di Rocca di Papa, aggiunge di esser convinto anche
lui che il trasferimento del medesimo ormai s' imponga nell'interesse degli
studî sismici, ed opina che potrebbe sorgere senz'altro nei dintorni della stessa
Capitale in località sufficientemente lontana da strade rotabili e da linee tram-
viarie e ferroviarie. A tal riguardo, egli fa riflettere che molti altri osservatorî
somiglianti importantissimi, tanto in Italia quanto all’estero, si trovano pre-
cisamente presso grandi città e perfino entro le stesse; e che qualche even-
tuale disturbo, causato dall'attività umana, è largamente compensato dai
numerosi vantaggi provenienti dalla immediata vicinanza di un grande centro
intellettuale, munito di istituti scientifici, biblioteche, laboratorî, officine mec-
caniche ecc. Ad ogni modo, fa rilevare che le eventuali cause di perturba-
zione su apparati sismici in Roma non saranno certo più numerose e dan-
nose di quelle sopra esposte dall'Agamennone per l'osservatorio di Rocca
di Papa.
A tal proposito gli piace di ricordare come un sismografo installato fin
dal 1909 al Collegio Romano, nell'atrio del R. Uff. Centr di Met. e Geod.
e, cioè, proprio nel centro di Roma, ha reso e rende ancora preziosi servigi,
col registrare numerosi terremoti e talvolta alcuni, la cui registrazione viene
perduta a Rocca di Papa per il forte disturbo del vento (*). Se si volesse un
osservatorio sismico che risentisse il meno possibile le perturbazioni atmo-
sferiche e quelle derivanti dall'attività umana, non sarebbe difficile farlo
sorgere in una località propizia poco esposta ai venti e distante da centri
abitati e da vie rotabili, tramviarie e ferroviarie; ma, in tal caso, sarebbe
pur necessario dotarlo di ben più larghi mezzi di quelli ora concessi agli
attuali osservatorî, e soprattutto per provvedere alle forti spese di una suffi-
ciente biblioteca e di una conveniente officina meccanica. Oltracciò, sarebbe
indispensabile retribuire gli impiegati con stipendî proporzionati ai gravis-
simi sacrifici imposti ad essi ed alle loro famiglie, do, fatto di dover vivere
segregati dal consorzio umano!
A tal proposito, ricorda che il chiarissimo consocio prof. Ròiti, nelle
ferie del 1918, ebbe a comunicare a quest Accademia alcune sue idee intorno
all'Osservatorio Vesuviano, e tra le altre considerazioni diceva che « sarebbe
(*) Le registrazioni sismiche a Roma nel triennio 1910-1912. Rivista di astron. e
scienze affini, anno VII, maggio 1913, Torino, 5
— 367 —
inumano ed antiscientifico pretendere la permanenza di un personale di
ruolo là su relegato, che dovesse consacrarsi esclusivamente allo studio
dei problemi offerti dal Vesuvio », cd aggiungeva che « mon è possibile
compier lassù un corso metodico e continuativo di ricerche scientifiche,
e ciò non solo în considerazione del personale........ »; e più sotto:
stili. per le rimanenti operazioni e deduzioni di carattere conti-
nuativo è indispensabile stabilire una sede in Napoli........ e che gli
impiegati scientifici di ruolo agiranno comunemente nella sede di Napoli
e solo occasionalmente all'Osservatorio ». Ma se per il Vesuvio è ovvio che
debba esistere un permanente punto di osservazione nei suoi fianchi, quale
sentinella avanzata, questa necessità non si vede per l'osservatorio di Rocca
di Papa il quale, per le ragioni accennate dall’Agamennone, sì trova in gran
disagio in quel paese di montagna, anzi con evidente danno della scienza
e sacrificio inutile del personale. E tanto meno si vede la necessità che lo
stesso direttore vi abbia a risiedere in permanenza, quando si consideri che
all'osservatorio stesso abitano già l'assistente ed il custode, e non v'è nep-
pure posto per l'abitazione del direttore, costretto a dimorare nel sottostante
paese.
Meccanica. — Sul calcolo dell'energia del vento. Nota I pre-
liminare del dott. MARIO TENANI, presentata dal Corrisp. G. ARTURO
Crocco (*).
1. In un recente lavoro è stato dimostrato che, nel caso ideale in cui
non esistano perdite per attrito e per vortici, l'energia utilizzata da un mo-
tore a vento in un determinato intervallo di tempo raggiunge al massimo
i due terzi di quella posseduta dall'aria in moto che ha attraversato la
macchina stessa; e siccome il rendimento delle migliori eliche attuali può
raggiungere l'85-90%, nelle migliori condizioni di funzionamento, si ha in
definitivo che l'energia utilizzata può raggiungere la metà di quella posse-
duta dall'aria che attraversa il motore (?).
Poichè la forza viva dell'unità di volume d'aria in moto è proporzio-
nale al quadrato della sua velocità e attraverso il motore a vento passano
in ogni secondo, per ogni unità di superficie, tante unità di volume d’aria
quanto è la velocità del vento, risulta che la potenza utilizzabile in ogni
istante è proporzionale al cubo della velocità suddetta. Se la superficie in-
teressata del motore a vento è S mq. se « indica la massa di 1 me. d'aria,
(1) Presentata nella seduta del 6 marzo 1921.
(*) W. Hoff, Zertsch. fi Flugtechnik und Motorluftschiffhart, 15 agosto 1920.
— 368 —
V la velocità del vento in m/sec. e se 0 è il rendimento dell'organo pro-
pulsivo, la potenza P del motore in kgm/sec. sarà:
2a e e in cavalli vapore: pra
225
Il lavoro prodotto in un determinato periodo di tempo T sarà l’inte-
grale di tale funzione esteso a tale intervallo di tempo; e da esso si potrà
dedurre, dividendo pel tempo, la potenza media P', nella località considerata.
Sarà quindi in cavalli-vapore (ritenendo 4 praticamente costante e
uguale ad 4,, media annua della densità dell'aria)
pre ey
m "= 5957 iI oV8dT .
In tale integrale potremo sostituire a 0, variabile con la velocità del
vento, un valore costante @,m intermedio fra gli estremi fra cui varia @
quando il motore è in funzione, e scrivere
bio
3
Li V3dT
Slo Om ii î
‘225 Da
Si ritrova così che la potenza media di un motore a vento in un de-
terminato periodo di tempo si può ritenere proporzionale alla media dei
cubi delle velocità osservate del vento. Questa media permette un comodo
co :fronto tra le varie località nel medesimo intervallo di tempo; fra i vari
intervalli di tempo (mesi) nella stessa località; fra le varie altezze a cui
sia possibile collocare il motore a vento.
2. Il col. Crocco, avviandomi a queste ricerche destinate a servire di
base a suoi studi sulle applicazioni pratiche dei motori a vento, trovò co-
modo definire come media efficace della velocità del vento in un dato periodo
di tempo e in una data località, la radice cubica della media suddetta.
Essa rappresenta infatti la velocità costante che avrebbe dovuto avere il
vento in quella località, durante l'intervallo considerato di tempo, per dare
al motore a vento una potenza costantemente uguale alla potenza media e
cioè per fornire il medesimo lavoro meccanico. Questa media serve pertanto
a caratterizzare le varie località e a dare un'idea della convenienza o meno
dell'impianto dei motori a vento e del loro uso in determinati periodi di
tempo.
Dopo quanto si è detto si vede che le conclusioni basate sulla consi-
derazione delle medie aritmetiche della velocità del vento, quali comune-
mente sono offerte dalle pubblicazioni meteorologiche, possono condurre a
risultati del tutto errati e non sono utilizzabili a questo scopo.
Lo studio della forza motrice del vento richiede invece una elabora-
zione delle osservazioni anemometriche che tenga conto dei cubi delle ve-
locità osservate e che finora non era stata tentata.
LU
P,=
— 369 +
Scopo di questo lavoro è quello di dar conto dei metodi seguiti e dei
risultati conseguiti nella via dianzi fissata, in alcuni casi particolari già
esaminati e dimostrare l'interesse che può offrire uno studio completo del
problema, che, utilizzando le osservazioni anemometriche esistenti per le
varie località, riuscirà a dare un’idea generale della convenienza di adottare
su larga scala tale sorgente d'energia e fisserà nettamente gli scopi a cui
essa sì adatta.
3. Il calcolo della media dei cubi si presenta a prima vista estrema-
mente complicato, se si pensa che la velocità del vento è estremamente va-
riabile col tempo specie in prossimità del suolo. Riflettendo però che le
oscillazioni a breve periodo, causate dagli ostacoli del suolo, intorno alla
velocità media presentata dal vento e che determinano la struttura del vento
o la sua /urbolenza, non possono essere seguite o sfruttate da una macchina
che coinvolga parti dotate di forti momenti d'inerzia, basta riferirsi pel cal-
colo ai valori medii della velocità del vento, come quelli che verrebbero in-
dicati da un anemometro del tipo Robinson a registrazione continua. Ciò
posto è facile trasformare la curva di registrazione che rappresenta l'anda-
mento della velocità del vento col tempo, in una curva che rappresenti in-
vece l'andamento del cubo della velocità del vento (ordinata) col tempo
(ascissa); basterà poi calcolare l’ordinata media del diagramma ottenuto, per
avere senz'altro la media dei cubi cercata e dedurne subito la velocità
efficace.
Nella maggior parte dei casi non si possiede una registrazione continua
della velocità del vento, ma solo i valori della velocità media durante un
certo breve periodo intorno a una o più determinate ore del giorno. In tal
caso la media dei cubi non si può eseguire nel senso sopra indicato; ma ì
rapporti tra la media dei cuhi delle velocità osservate alle stesse ore per
il considerato periodo di tempo in due luoghi diversi, ci daranno modo di
eseguire utili confronti presso a poco equivalenti per quanto riguarda la
convenienza dei luoghi, l'andamento annuo della potenza, ece. al calcolo
sopra accennato.
Per la trasformazione del diagramma, nei casi che ho dovuto esaminare,
ho ideato uno speciale pantografo che permette di passare direttamente alla
curva di registrazione alla curva dei cubi; ma nei casi di osservazioni di-
screte è forse più comodo seguire uno di questi due procedimenti: a) grafico,
descrivendo il diagramma su carta che potremo chiamare semi-cubica a so-
miglianza dell'ordinaria carta semi-logaritmica e deducendo l'ordinata media
con un planimetro; b) statistico, determinando la frequenza dei singoli valori
della velocità del vento, moltiplicando poi per i rispettivi cubi e calcolando
la media di questi aritmeticamente.
— Be
Petrografia. — Su la « Italite » e la « Vesbite» di H. S.
Washington. Nota di U. PANICHI, presentata dal Socio ETTORE
ARTINI (’).
Il prof. Washington del Carnegie Geophysical Laboratory di Washington,
in un suo recente viaggio in Italia ebbe in dono un frammento di roccia
(circa 80 grammi), quasi totalmente costituito da cristalletti leucitici e con
l'indicazione di provenienza dai pressi di S. Carlo, sul fianco occidentale
del vulcano di Roccamonfina, dove la roccia costituirebbe « una vera corrente
lavica con una lunghezza di più di 100 metri ed uno spessore notevole » (?).
Il prof. Washington, che ha esaminato il frammento, ha dato alla roccia,
con pensiero molto gentile, il nome di /talzte. Egli poi ha proposto anche
il nome Vesbite per la roccia costituente un « blocco rigettato » del Monte
Somma, formato da. leucite e da melilite. Tale roccia però potrebbe, secondo
l'Autore, chiamarsi anche //alite melilitica (8).
Ora, poichè la regione di Roccamonfina fu da me percorsa e studiata
negli anni scorsi (4), senza che la suddetta colata mì si presentasse, io sono
tornato espressamente a visitare il fianco occidentale del gran cono e spe-
cialmente le vicinanze del paese di S. Carlo; ma neppure in questa nuova
visita ho potuto osservarla.
Ciò fa pensare alla possibilità che il campione esaminato dal professore
Washington rappresenti non un tipo di roccia in colata, ma solo un piccolo
blocco corrispondente ad un prodotto o di concentrazione magmatica, o di
alterazione intereraterica. Questa supposizione troverebbe appoggio nel fatto
che di tali blocchi essenzialmente leucitici se ne possono osservare dissemi-
nati anche altrove, come ad esempio, nel Vulcano Laziale e nel M. Somma.
Ad ogni modo io non ho trovato a Roccamonfina neppure in blocchi
erratici questo tipo tutto leucitico; ma non credo impossibile che in rocce
ricchissime di leuciti, come ad esempio nelle tefriti dei pressi di Ponte, si
possano anche rinvenire noduli, quali masse costitutive accessorie, simili a
quella descritta da Washington.
(!) Pervenuta all'Accademia il 10 ottobre 1921.
(?) H. S. Washington, Sull' /talite: un nuovo tipo di roccia leucitica. Rend. della
R. Ace. dei Lincei, seduta 4 giugno 1920, pag. 425.
(*) Id., id., pag. 431.
(4) U. Panichi, Ricerche petrografiche su la Regione Aurunca. Lavoro terminato
sulla fine del 1919 e tuttora in corso di stampa presso la Soc. Ital. di Scienze, detta
dei XL.
— 371 —
Ora, se l'esistenza della colata di //alite di S. Carlo non venisse con-
fermata, mi pare (e forse anche il prof. Washington sarà di questa opinione)
che non sarebbe più necessaria la creazione di un nome nuovo di roccia per
una masserella accessoria; e, ad ogni modo, riterrei che il bel nome Z/alite
potrebbe venir riservato ad altra roccia o minerale che fossero in avvenire
scoperti come tipicamente esistenti ìn Italia.
Ed anche per il blocco del M. Somma, non sarebbe allora da conser-
vare nè il nome di //alzte melilitica, una volta soppresso quello di //alize,
nè quello di Vesbz/e, trattandosi di un semplice blocco rigettato, molto più
che tal nome potrebbe anche creare qualche confusione col nome Vesdina,
proprio di un minerale assai raro della stessa località.
AGGIUNTA SULLE BOZZE.
1l dott. Blane (che donò al prof. Washington alcuni campioni di varie
località, fra cui quello leucitico in questione), da me interpellato, mi ha
detto che ritiene esser nata confusione fra i campioni da lui forniti, come
del resto egli comunicò allo stesso prof. Washington fino da quando ebbe
comunicazione della sua Nota.
La gentile risposta del dott. Blanc mi rende evidentemente ancor più
sicuro del risultato negativo delle ricerche da me fatte in proposito presso
S. Carlo.
Chimica. — Carvomentoli attivi dalla riduzione del carvone
con platino ('). Nota del dott. V. PAOLINI, presentata dal Corrisp.
A. PERATONER (°).
In alcune precedenti Note (*) ho comunicato i risultati delle mie prime
indagini sui carvomentoli, dirette essenzialmente a separare ed individuare
i diversi isomeri otticamente attivi, di cui la formula di costituzione di
p.mentanol[2] lasciava prevedere l'esistenza in numero di 8 a causa di tre
atomi di carbonio asimmetrici. Alle ricerche sul composto racemico dal car-
venone, e sul prodotto levogiro dall’a-fellandrene, faccio seguire nella pre-
sente Nota lo studio di un altro carvomentolo levogiro, segnalato fin dal
(') Lavoro eseguito nell'Istituto Chimico Farmaceutico della R. Università di Roma.
(2) Presentata all'Accademia il 16 agosto 1921.
(*) R. Accademia dei Lincei [5] 28, 2°, 82; 134. Vedi anche i fascicoli precedenti
del presente volume.
— 372 —
1911 dal Vavon (!), ma che ora ho riconosciuto anch'esso quale miscuglio
di isomeri ottici.
Il carvomentolo in parola, ottenuto da questo autore per riduzione di-
retta del carvone ordinario (destrogiro) mediante platino ed idrogeno, pré-
sentava la rotazione ottica specifica [a]p = — 24°, 7”.
Preparandomi questo alcool di partenza secondo le indicazioni del Va-
von, ma curando di giungere alla riduzione completa per assorbimento della
quantità teorica di idrogeno, ho ricavato un prodotto che presentava tutte
le proprietà descritte. tranne del potere rotatorio, che ho trovato notevol-
mente più basso, cioè [a]p = — 2°, 75.
Mi sorse subito il sospetto di essere di fronte ad un corpo non unico,
ma, non essendo racemo, costituito da un miscuglio di isomeri ottici. di cui
l’uno o l’altro potesse prevalere a seconda del modo di riduzione. E tale
assunto mi venne confermato dalla separazione accurata dei componenti del
miscuglio, che ho operato nel modo in precedenza già da me descritto e
caratterizzato come « metodo a freddo » di preparazione e di purificazione di
ftalati acidi dell'alcool terpenico. Nel caso in specie poi il lavoro è riuscito
particolarmente faticoso per la natura persistentemente molle e resinosa
degli eteri ftalici, che poterono venire ridotti a sostanze cristallizzabili e
pure solamente a traverso ripetute trasformazioni in ftalati doppî di alcool
e di argento, e di alcool e stricnina.
Potei isolare in tal modo due carvomentoli, uno destrogiro con [@]p =
= + 89,29", l'altro levogiro con [a]p=—8°,54', i quali con ogni pro-
babilità stanno nel rapporto di antipodi ottici.
Merita intanto di essere notato, che di questi due carvomentoli quello
levogiro sembra identico con uno degli isomeri levogiri, che avevo ricavato
dal prodotto di riduzione del nitro «.fellandrene, e che possiede eguale po-
tere rotatorio specifico [a]p = — 89,65".
Essendo questo prodotto precedentemente stato designato come 1-f. car-
vomentolo, ne seguirebbe che per ì carromentoli della presente Nota si debba
mantenere la notazione di d-8.carvomentolo e 1-8. carvomentolo.
Ftalato di d-B.carvomentolo e stricnina. — L'etere ftalico acido (?)
dell'alcool di riduzione, sciropposo, nella salificazione con stricnina fornisce
un prodotto solido, e non pastoso, solamente se prima è stato alquanto de-
purato attraverso il sale doppio argentico, cristallizzabile dall'alcool; depu-
razione del resto che lascia l'etere acido sempre sciropposo. Il sale doppiù di
stricnina solido, preparato poi con l'alcaloide libero, si scinde in due fra-
zioni dotate di solubilità marcatamente diverse in alcool-etere. La frazione
di sale meno solubile è destrogira. Facilmente solubile in alcool, viene ri-
(1) Comptes rendus, 153, 68 (1911).
(2) Per la modalità della preparazione vedi le Note precedenti sui Carvomentoli.
— 373 —
eristallizzatà ad oltranza da quello diluito, sino ad avere costanti il punto
di fusione a 154° ed il potere rotatorio [@]p = +15°,84' (in alcool asso-
luto).
Ftalato acido di d-B.carvomentolo. — Si ottiene cristallizzabile sol-
tanto dal puro sale di stricnina precedente, agitandone la soluzione alcoolica
con eccesso di acido cloridrico diluito. Comunque ricristallizzato non muta
il suo punto di fusione a 85°, nè il potere rotatorio specifico [@]p =
= + 38,53". Rappresenta quindi una sostanza unica.
Gr. 0,355 consumarono ce. 11,6 di Na0H7s, mentre un acido mono-
basico HOOC.C;H,.C00C,H;y richiede ce. 11,67.
d-B. Carvomentolo. — Saponificando lo ftalato acido si ottiene un car-
vomentolo destrogiro con [@]p = + 8°,29' che è sostanza unica, perchè dal-
l'anidride ftalica a freddo, senza formazione di alcun altro prodotto secon-
dario, viene eterificato direttamente allo ftalato acido destrogiro, fusibile a 85°,
p. eb. 218° (corr) ; d,;e= 0,9074 ; pg = 1,464
Carvomentolo gr. 15,064; alcool assoluto 100 ce.; ap = + 29,530’ (tubo
lungo 2 dm.) onde [a]p = + 89,29".
Ftalato di l-B.carvomentolo ed argento. — Le acque madri di cri-
stallizzazione del sale di stricnina destrogiro contengono un altro sale di
questo alcaloide, estremamente solubile, ma sciropposo, che però è sinistro-
giro. Per isolare questo non giova, come prima, lo ftalato acido corrispon-
dente, che si libera dal sale di stricnina sempre molle e resinoso. Bisogna
depurarlo attraverso il suo sale di argento, che viene precipitato dalla so-
luzione acquosa del sale ammoniacale (privo di ogni eccesso di ammoniaca)
mediante nitrato argentico. Cristallizzato dall'alcool etilico costituisce lami-
nette bianche, soffici, che fondono a .180-182° (1).
l-B. Carvomentolo. — Rigenerando dal sale d'argento precedente l’etere
acido dell'alcool, persiste ancora lo stato sciropposo di esso. Il carvomentolo
corrispondente si isola per saponificazione della massa sciropposa così depu-
rata, e per distillazione a vapor d'acqua.
p. eb. 218° (corr) ; de = 0,90783 ; 2pi5= 1,463
Carvomentolo gr. 14,621; alcool assoluto 100 cc. : ap= — 2°,30
(tubo lungo 2 dm), onde [a]p = — 8°, 54/.
(1) Il sale argentico, precedentemente preparato, del prodotto dal fellandrene, sembra
meno puro, dapoichè fonde qualche grado prima, ed è anche lievemente colorato in
giallino.
RENDICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sem. 48
— 374 —
Chimica. — Azossiammidi e diazocomposti. Nota dî ANTONIO
PIERONI, presentata dal Socio A. ANGELI (').
La fenilazocarbonammide fu ottenuta la prima volta da O. Widman (?)
per spontanea trasformazione del nitrosofenilsemicarbazide ed in seguito per
ossidazione del fenilsemicarbazide con permanganato in presenza di acido
solforico. Più tardi Thiele (3) consigliò di eseguire l'ossidazione con perman-
ganato in ambiente neutro, cioè in presenza di solfato di magnesio e quindi
di portare in soluzione il biossido di manganese e l’idrato di magnesio for-
matosi con anidride solforosa.
Io ò creduto opportuno di sostituire con l'acido ossalico l’anidride sol-
forosa, che durante la reazione viene in parte ossidata ad acido solforico, il
quale decompone l’ammide formatasi. Soltanto pochi annì or sono Angeli (°)
riprese lo studio di detta ammide:
CH;N:NCONH,
e dimostrò che questa si decompone in presenza di potassa caustica per dare
in un primo tempo:
Co H;N: NCOOK
sale molto instabile che a sua jvolta reagisce con l’alcali libero per dare car-
bonato di potassio e fenildimmide; CH; N:NH-> e quindi
CH ce7Na:
Dimostrò inoltre che allo stesso modo di tutti gli azoderivati l’ammide
di Widman, trattata con acqua ossigenata, in soluzione di acido acetico gla-
ciale dà l’azossiderivato corrispondente :
CHsN:NCONH,
Î
0
Composto di grande interesse poichè è stretta analogia con i derivati
del diazobenzolo; in ambiente alcalino esso reagisce anche più prontamente
e nettamente degli stessi composti diazoici, così con il 8 naftolo dà l’azo-
derivato corrispondente dal caratteristico colore rosso scarlatto.
(!) Pervenuta all'Accademia il 5 settembre 1921.
(*) B. 28, 1925,
(3) I. c. 2599.
(4) R. A. L., 26, I, sem. 207 (1917).
— 375 —
Allo scopo di generalizzare le interessanti reazioni accennate e di
portare un certo contributo alla tanto dibattuta questione riguardante la
struttura ed il comportamento dell’idrato di diazobenzolo, è creduto oppor-
tuno intraprendere lo studio di altre ammidi e di alcuni nitrili.
Qui mi limito ad esporre brevemente i risultati ottenuti con le seguenti
sostanze :
C, Hi N:N CON H,; BrGH,N:NCON Hi; NO. G H, N:NCO NH;;
Br CO H4N:N CN; NO, GH.N:NCN; BrrGH3 N:NCONH..
La bi- la mono bromo e la nitroazocarbonammide vennero da me
preparate con metodi differenti da quello seguìto da Widman per la sua
ammide, metodi che verranno descriti in altra parte.
Ad eccezione della bibromofenilazocarbonammide tutte le altre più o meno
facilmente per azione dell'acqua ossigenata in acido acetico glaciale, diedero
l’azossiderivato corrispondente alla formula generale
RN:N.CONH,
I
(0)
Per quello che si sa dopo i lavori di Angeli sulla costituzione degli
azossi composti (*) devono esistere le due forme isomere:
RN: N. CO NII, RN:NCO NH;
I
Il
0 0
ma poichè le ricerche dirette nel senso di ottenerle finora non condussero
al voluto risultato e nel dubbio che gli azossiderivati ottenuti corrispondes-
sero a sostanze più complesse esprimibili p. es. con la formula
R.N_N.CO NH,
of No
A
R.N-N.CO NH;
o con altre simili è voluto determinare il peso molecolare della fenìlazossi-
carbonammide il quale risultò di 160, mentre il calcolato per €, Hy N: OCONH
è 165.
La costituzione della p.bromofenilazossiammide è stata anche riconfermata
dalla facilità con la quale sì lascia ridurre. La sua soluzione acquosa alcoolica
trattata con polvere di zinco ed acido acetico si decolora immediatamente;
se al liquido filtrato si aggiunge permanganato di potassio in quantità suffi-
ciente si depone la p. bromofenilazocarbonammide cristallizzata in sottili
aghi di colore giallo aranciato.
(*) G., Ch, XLVI, II, pag. 67.
— 376 —
Dunque la trasformazione dell’una sostanza nell’altra si ottiene con
relativa facilità nel senso rapresentato dallo schema:
H.0,
Ce H, Br enti (O H, Br
N
| H; |
NCO NH, N.CONH,
<— N=0
Devo ancora aggiungere a proposito di questa azossiammide che essa
reagisce in soluzione acquosa con ipobromito di potassio senza sviluppo
gassoso, il prodotto della reazione con #8 naftolo si colora in bruno, succes-
sivamente dà un leggero sviluppo gassoso e formazione di bromofenilazof-
naftolo. Mi riservo di studiare ulteriormente questa reazione.
La p. nitroazossicarbonammide, che si ottiene al solito modo per azione
dell'aqua ossigenata sull’ammide corrispondente sciolta in acido acetico gla-
ciale è meno stabile della corrispondente ammide bromurata. Ciò è dovuto
al gruppo NO, che più stabile e più negativo dell’azossigruppo tende ad
eliminarlo; per una ragione analoga gli acidi p. e m, aminobenzoici, trat-
tati opportunamente con nitrito di sodio e ciamuro di potassio, anche se si
opera a —79, dànno luogo spontaneamente alle trasformazioni seguenti:
COOH COOH Coo H COOH
6, H, —> 6, H, > 6. HL —> 6, H,
NH, N ON CONE,
N.CN
mentre la p. nitro e la p. bromoanilina trattate allo stesso modo a 0°,
dànno il diazonitrile corrispondente relativamente stabile.
Il p. nitro e p. bromonitrile (forme anti) sciolti in acido acetico e
trattati con acqua ossigenata reagiscono in modo analogo secondo la reazione
seguente:
RN:NCN + H.0,= ECONO
0
Bamberger e 0. Baudisch (!) trattarono in ambiente neutro con acqua
ossigenata il p. clorodiazobenzolo, ottennero per la massima parte la p. elo-
roazocarboneammide e piccole quantità di nitrosofenilidrossilammina la cui
formazione fu dai citati autori spiegata con l'equazione seguente:
280
CIO, N:N.CN +H.0, = CI. CH NC + HCN
NH
(3) B. 45, 2154.
— 377 —
ma per i fatti da me stabiliti questa interpretazione non è esatta; più con-
forme alla realtà è quella data da Angeli (*). Egli previde che si doveva
formare prima l'azossinitrile
CIC, HE, N:NCN+H,0,=C1C,H,N:NCN+H;0
Il
da cui per idrolisi
H,0
CIGH,N:NCN —> CICGH,N:N.0H e HCN (3
Il Il
0
La 2 — 4 bibromofenilazocarbonammide nelle ordinarie condizioni di
esperienze non dà l'azossiderivato corrispondente; evidentemente il carattere,
il numero, e la posizione dei sostituenti nel gruppo benzenico esercitano
una grande infuenza sulla capacità del diazogruppo ad addizionare stabil-
mente un atomo d'ossigeno.
Tutte le azossiammidi quì descritte, mostrano una grande analogia coi
diazocomposti; oltre reagire con il # naftolo reagiscono come questi col
pirrolo e derivati, compreso l'indolo, coi fenoli, con l'etere acetacetico, col
nitroetano, ma di queste reazioni mi occupo particolarmente in altra Nota.
Della p. bromoazossicarbonammide trattata opportunamente con potassa
caustica, sono riuscito ad isolare il sale potassico dell'acido corrispondente
Br CH, N:N.C00 K.
I
0
che è il sale del primo azossiacido noto.
Questo con gli acidi svolge anidride carbonica, con il 8 naftolo mani-
festa intensamente la reazione dei diazocomposti; così resta dimostrato che
le azossiammidi con gli alcali, subiscono le seguenti trasformazioni:
BrGH, N:NCONH; > BrC;H, N:N COOH > BrGH,N:NH >
Î [ I
(0) O 0
> BrGH,N:N.0H.
È noto che i due isomeri
CH; N:NC,H,0H e C,H, N:NC, H OH
Î Î
(0) (0)
per ossidazione dànno entrambi (‘, H; N: NOH.
(*) R. A. L. LXXVI, 1° sem., pag. 212.
— 378 —
A cui si deve arrivare attraverso le trasformazioni:
CH N:NGHOH > CH; N:N.C00H > CH; N:NH \ (5
Il I
Il
o) lo) (0) |
CoHsN:N.0H
C.E,N:NC,H/0H> CH, N:NC007 => CHIN-NM N 0
Il Il Il
O O i (6
La nitrosoammina della fonilurea:
CHiN—N:0
I
CO N H,
in ambiente alcalino con # naftolo dà, come i diazoderivati e le azossiam-
midi il fenilazonaftolo.
Tutto dunque induce a credere che possano esistere i due isomeri:
C,HsN:NH e C,N;N:NH
Il Il
0
(osicchè, come già ammise Angeli, i diazotati normali sarebbero rap-
presentati dalle formule generali
I R Il R
|
Hantzsch ammette invece che ai diazotati normali ed agli iso corrispon-
dano rispettivamente le formule :
R N e RN
I
HO.N N.0H
le quali differiscono unicamente dalla loro configurazione e quindi male
spiegano il diverso comportamento dei varî derivati del diazobenzolo e spe-
cialmente la grande facilità con cuii diazonormali prendono parte a molte
reazioni. Questa invece è resa più comprensibile se si ammette nei diazotati,
come è espresso nelle formule I e II l'esistenza di un sistema di doppi
legami gemelli (').
(!) La presente Nota coi relativi dati sperimentali verrà pubblicata per esteso in
altro periodico.
— sig
Chimica fisiologica. — Sul! valore alimentare dei semi del-
Ervum Ervilia('). Nota III di SapaTO Visco, presentata
dal Corrisp. D. Lo Monaco (?).
In una Nota precedente (*) riferimmo come due ratti alimentati esclu-
sivamente con farina di semi di ZArvum £rvilia perdessero continuamente
di peso, e come poi morissero l'uno al 18° giorno di esperimento e l’altro
al 20° giorno, avendo perduto rispettivamente il 39 ed il 41.3 °/, del peso
iniziale. Continuando le ricerche, il fatto ci si è ripetuto costantemente, come
si rileva da quest’altri due protocolli che riassumiamo.
Ratto A, bianco, maschio, pesa gr. 238. Si mette in esperimento il 14 maggio del 1921,
alimentandolo esclusivamente con farina di semi di 4rvum £Ervilia. Perde continuamente
di peso, ed il 16 di giugno si trova morto. Pesa gr. 13°. In 32 giorni ha perduto il 42 °/o
del proprio peso. Nulla all'esame necroscopico.
Ratto 8, bianco, maschio, pesa gr. 145. Si mette in esperimento il 15 maggio del 1921,
alimentandolo esclusivamente con farina di semi di 4rvum £Ervilia. Perde continuamente
di peso ed il 16 giugno si trova morto. Pesa gr. 83. In 32 giorni ha perduto il 41,9 °/e
del proprio peso. Nulla all’esame necroscopico.
Se questi risultati dimostravano in modo indubbio che i ratti alimen-
tati soltanto con farina di semi di ervo perdevano continuamente di peso,
fino ad un limite incompatibile con la vita, nulla però ci rivelavano sulle
cause intime che determinavano tale continua ed inesorabile perdita di peso,
che, ipoteticamente, poteva dipendere tanto da qualche principio tossico pre-
sente nei semi e capace di provocare nn'esagerata 0 abnorme scomposizione
di qualche tessuto o l'alterazione di qualche organo dell'animale in esperi-
mento, quanto dall'insufficienza quantitativa o qualitativa del cibo ingerito.
Nuove ricerche si rendevano perciò necessarie. Nostra prima cura fu quella
di sgomberare il terreno delle indagini dalla prima ipotesi; e perciò som-
ministrammo a due ratti una certa quantità di estratto acquoso dei semi di
Ervum Ervilia, preparato come segue: In un apparecchio a spostamento si
estraeva con acqua distillata una certa quantità di semi ridotti in polvere
finissima; l’estratto si defecava con acetato barico di piombo, si allontanava
(!) Ricerche eseguite nell'Istituto di chimica fisiologica della R. Università di Roma,
diretto dal prof. D. Lo Monaco.
(®) Pervenuta all'Accademia 1'11 agosto 1921.
(*) Ved. questi Rendiconti, fasc. 79-89, ottobre 1921.
— 380 —
il piombo con H°S, si filtrava ed il filtrato si concentrava a bagno maria.
Si otteneva così una massa molle di colore giallo bruno, attaccaticcia, igro-
scopica, con sapore urente, con reazione acida al tornasole, insolubile nel-
l'etere, nell’alcool assoluto, nell’acetone, solubilissima in alcool, riducente il
liquido di Fehling, ecc. ecc. Col metodo descritto, che poi è uno di quelli
più comunemente usato per l'estrazione dei glicosidi, si ottenevano da 1 kg.
di farina di ervo, circa 10-12 gr. della sostanza descritta, e costituita in
massima parte, come risulta da alcune ricerche iniziate in questo laboratorio
dal dottor Giuseppe Salimei, da due glicosidi diversi. Riassumiamo i protocolli
di queste esperienze.
Ratto A, bianco, femmina, pesa gr. 166. Si mette in esperimento il 2 maggio 1921,
alimentandolo con farina di ceci, contenente il 10 °/, di estratto di ervo. Il 6 maggio si
aggiunge a tale alimentazione un miscuglio a parti uguali di grasso di bue ed estratto
di ervo. Il 9 maggio l’animale pesa gr. 170. In sette giorni ha complessivamente ingeriti
11 grammi di estratto di ervo, ed ha guadagnato 4 grammi in peso. Appare sana, è incinta,
ed il 18 dello stesso mese partorisce 8 figli vivi che però non allatta.
Ratto 8, bianco, maschio, pesa gr. 220. Si mette in esperimento il 6 maggio 1921,
alimentandolo con farina di frumento contenente il 10 °/o di estratto di ervo. Il 16 maggio
pesa gr. 221. In 10 giorni ha ingeriti complessivamente gr. 14 di estratto di ervo, ed ha
guadagnato 1 grammo in peso. Appare sano.
Assodato così che i glicosidi estraibili dall’ervo col metodo indicato non
influenzavano affatto il peso degli animali, passiamo a verificare quale delle
due altre ipotesi indicate trovasse rispondenza nei fatti. Le ricerche biblio-
grafiche, eseguite per conoscere la costituzione chimica dei semi dell’ 4rvum
Ervilia, hanno dato risultati negativi. Il Wehmer (*) dice che essa è uguale
a quella dell’ #7vum Zeus, ma ciò, volendo compiere un'indagine rigorosa
sul valore. del seme in oggetto, non poteva appagarci; perciò ne riprendemmo
l'esame ottenendo i seguenti valori medi: sostanze azotate, 23.6 °/,; sostanze
non azotate, 62.49 °/,; ceneri, 3.45 9/0; acqua, 13.15 °/,; amido, 52.90 °/g;
cellulosa, 5,50 °/,; grasso, 1.09 °/,. Anche questo terzo gruppo di esperi-
menti fu eseguito sui ratti tenuti in gabbie da ricambio in maniera da poter
raccogliere separatamente le orine dalle feci, ed ai quali somministrammo,
come alimento, del pane fatto con farina di ervo impastata con acqua, senza
lievito, e cotto nella stufa a secco a temperatura non superiore ai 90° C.
Come alimento di confronto scegliemmo il pane di farina di 7riticum sa-
tivum. Tanto di un pane quanto dell'altro determinammo quotidianamente
il contenuto in H°O, e tre volte per settimana il contenuto in azoto col
metodo di Kjeldahl.
Riassumiamo nelle tabelle seguenti i risultati ottenuti.
(1) Wehmer C., Die Pflanzenstoffe, Jena, 1911.
Ratto n. 1.
— 381 —
TABELLA A.
ALIMENTAZIONE: Pane fatto con farina di semi di £rvum Ervilia.
; Azot Bilancio dell’azot
Alimento | Azoto Feci Pea RO ee Pe Peso
GIORNI ingerito | ingerito emesse | con le feci assorbito Î6 oa dell'animale
1a La Ds Pe De = "là = =
Grammi Grammi Grammi Grammi Grammi Grammi Grammi
(0) _ — —_ — — _ —_ — 220,000
1 7,677 0,233 2,210 0,067 0,166 0,199 —_ 0,033| 219,000
O) 6,413| 0,194] 0,730) 0,026| 0,168] 0,190 — 0,022 | 209,000
3 4,288| 0,129] 1,248] 0,035] 0,094) 0,120) — 0,026 | 203,000
4 6,050 0,183 1,211 0,049 0,134 0,140 = 0,006| 198,000
5 6,305 0,191 1,017 0,034 0,157 0,186 —_ 0,029 | 197,000
6 5,027 0,152 1,548 0,056 0,096 0,227 — 0,131} 190,000
7 8,575 0,260 1,513 0,049 0,211 0,257 — 0,046 | 187,000
Totali | 44,335 1,942 9,477 0,316 1,026 1,319 — 0,293 | — gr. 33
Percentuali . | 2354 74,46 128.56 — 28.56 |—15,0°/o
Ratto n. 1.
TABELLA B.
ALIMENTAZIONE: Pane fatto con farina di semi di Ervum Ervilia.
Az Bilancio dell’azot
Alimento Azoto Feci ui Azoto Ando DIS di Peso
. . ; , eliminato u con .
GIORNI ingerito ingerito emesse | con le feci assorbito locato dell'animale
e ne 2a = & D L — na
Grammi Grammi Grammi Grammi Grammi Grammi Grammi
0 — — = _ cs _ —_ — 187,000
1 7,852 0,238 2,073 0,065 04/5 0,277 — 0,104| 186,000
2 10,040 0,305 3,179 0,071 0,234 0,252 —_ 0,018| 184,000
3 10,180 0,309 2,480 0,072 0,237 0,252 _ 0,015 | 181,000
4 9,513 0,289 2,998 0,086 0,203 0,252 — 0,049 | 175,000
5 10,100 0307 1#2.05, 0,055 0,252 0,258 —_ 0,006 | 174,000
6 8,620 0,261 2,018 0,081 0,150 0,207 — 0,027 | 170,000
7 6,855 0,233 1,388 0,057 0,176 0,209 0,033 | 168,000
Totali | 63,160 1,942| 15,283 0,487 1,455 1,707 —_ 0,252 | — gr. 19
Percentuali . . | 25.08 74,92 124.19 — 14.19 |-10,1%
RENDICONTI, 1921, Vol. XXX, 2° Sem. 49
— 382 —
Ratto n. 1.
TABELLA C.
ALIMENTAZIONE: Pane fatto con farina di cariossidi di Triticum sativum.
| Azoti Bi i :
Alimento | Azoto Feci Arto IE AL Viel SIaita |P Peso
ì ; . i eliminato a con ;
GIORNI ingerito ingerito emesse | con le fici assorbito Totoro dell’animale
» sa pa A > 2 + — e
Grammi Grammi Grammi Grammi Grammi Grammi Grammi
0 - — — - — —_ - — | 168,000
1 11,290|° 0,203 2,158 0,081 0,122 0,204 — 0,082 | 168,000
2 9,865 0,177 1,243 0,042 0,135 0,111 0,024 — 167,000
3 10,318 0,185 0,663 0,028 0,157 0138 0,019 — 167,000
4 10,470 0,188 0,695 0,028 0,160 0,137 0,023 — 167,000
5 10,345 0,186 1,188 0,015 0,171| 0,141 0,030 —_ 168,000
6 9,530 0,171 0,315 0,011 0,160 0,120 0,040 — 170,000
ti 10,548 0,189 0,795 0,032 0,157 0,120 0,037 — 171,000
Totali | 72,366 1,299 7,057 0,237 1,062 0,971 0,091 — |+ gr. 3,0
Percentuali . . .| 18,24 | 81.76 91.43 8.57 — |[|+178%
Ratto n. 2.
TABELLA A.
ALIMENTAZIONE: Pane fatto con farina di cariossidi di 7riticum salivum.
Azoto Azoto Bilancio dell'azoto
Alimento Azoto Feci Aule Azoto eliminato Peso
È : . . eliminato ì con È
GIORNI ingerito | ingerito emesse | con le feci assorbito Tororine dell'animale
> NE DI 1a: 2a Si + — ha
Grammi Grammi Grammi Grammi Grammi Grammi Grammi
0 — — — _ — — — — 230,000
1 10,040 0,180 1,058 0,050 0,130 0,115 0,015 — 225,000
2 10,705 0,192 1,403 0,046 0,146 0,095 0,051 —_ 220,000
3 10,035 0,180 1,078 0,036 0,144 0,084 0,060 — 219,000
4 9,781 0,177 0,750 0,028 0,149 0,100 0,049 = 216,000
ò 11,935 0,204 0,725 0,028 0,176 0,134 0,042 — 216,000
6 10,045 0,180 0,315 0,008 0,172 0,109 0,063 —_ 216,000
7 11,503 0,207 0,930 0,033 0,174 0,128 0,046 — 217,000
Totali | 73,444 1,320 5,259 0,229 1,091 0,765 0,326 — | gr. 13
Percentuali . . .| 17.35 | 82.65 | 70.11 |+-29.89| — |—5,64%
Ratto n. 2.
— 383 —
TABELLA B.
ALIMENTAZIONE: Pane fatto con farina di semi di Ervum Ervilia.
Azoto Azoto Bilancio dell'azoto
Alimento Azoto Feci AO, Azoto eliminato Peso
GIORNI ingerito ingerito emesse | con le feci assorbito To IRR | dell'animale
= > sE È Pi P. iL = Di
Grammi Grammi Grammi Grammi Grammi Grammi | Grammi
0 = Le e CS DE - e — | 217,000
1 7,190 0,244 0,978 0.035 0,209 0,166 0,043 — 209,000
2 3,185 0,108 1,195 0,040 0,068 0,149 — | 0,081) 200,000
3 5,082 0,172 0,855 0,037 0,135 0,229 —_ 0,094| 193,000
4 5,269 0,179 1,300 0,058 0.121 0,249 _ 0,128 | 187,000
5 6,930 01235 1,650 0,073 0,162 0,251 — 0,089 | 186,000
6 7,150 0,245 1,750 0,076 0,167 0,252 — 0,115| 184,000
7 8,707 0,296 2,985 0,088 0,208 0,285 — 0,075 | 182,500
Totali | 43,513 1,477| 10,713 0,407 1,070 1,609 _ 0,539 | — gr. 35
Percentuali .| 27.48 72.52 150.37 -- 50.37 |—16.12 °/o
Ratto n. 2.
TABELLA C.
ALIMENTAZIONE: Pane fatto con farina di semi di Ervwn Ervilia.
Azoti Bilancio dell'azot
Alimento Azoto Feci Tai Azoto cunasto NESS sele Peso
GIORNI ingerito ingerito emesse | con le feci assorbito TO Siae dell'animale
De de 2° e Pa se L — 2a.
Grammi Grammi Grammi Grammi Grammi Grammi Grammi
0 na a SE na ze 2. De — | 182,000
1 6,695 0,227 1,635 0,061 0,166 0,246 —_ 0,080 | 180,000
di 7,293 0,248 1,905 0,088 0,160 0,264 — 0,104| 175,000
3 7,100 0,241 2,185 0,093 0,148 0,248 _ 0,100} 171,000
4 6,945 0,236 1,092 0,053 0,183 0,280 — 0,097 | 165,000
5 6,700 0 227 1,910 0,085 0,139 0,233 _ 0.094| 163,000
6 6,573 0,222 1,925 0,092 0,150 0,252 _ 0,122) 161,000
7 6,739 0,229| 1,645] 0,074| 0,155| 0,258| — 0,098 | 157,000
Totali | 48,045| 1,630| 12,297 0,549) 1081] 1776| — 0,695 | — gr. 25
Percentuali 33.68 | 66.32 164.29 — 64.29 |—13,66°/e
— 384 —
Paragonando il valore alimentare del pane di cariossidi di Triticum
sativum, con quello del pane di semi di £rvum Ervilia, si rileva che:
1°) nell’alimentazione con pane di ervo l'azoto eliminato con le feci
raggiunge sempre una cifra più alta, tanto in via assoluta quanto in via
proporzionale a quella dell'azoto ingerito, che non nell'alimentazione con pane
di frumento;
2°) il minimum di azoto, che nell’alimentazione con pane di frumento
si raggiunge e supera con un quantitativo di esso uguale ad x, nell’alimen-
tazione con pane di ervo non si raggiunge nè con quantitativi uguali ad ,
nè con quelli uguali ad x + y.
Da quanto abbiamo esposto risulta che i ratti alimentati con semi di
Ervum Ervilia perdono continuamente di peso sino ad un limite incompa-
tibile con la vita, perchè col cibo che quotidianamente ingeriscono non arri-
vano a coprire nè i loro fabbisogni energetici, nè quelli azotati. Dei due
deficit ha maggiore importanza quello azotato, perchè potrebbe eventualmente
dipendere dal fatto che nella molecola proteica dell’ervo manchi qualcuno
degli amino-acidi indispensabili all'economia dell’organismo dei ratti. La
emissione di azoto urinario in quantità oscillanti dal 24 al 64°/, in più
di quello assorbito, farebbe pensare che l’aumentata scomposizione delle pro-
teine dei ratti in esperimento sia la conseguenza della necessità di fornire
al loro organismo qualche radicale di aminoacido indispensabile all'economia
animale, e non quella di soddisfarne i bisogni energetici. Un confronto tra
di loro delle tabelle A dei ratti n. 1 e n. 2 ci fa sembrare probabile questo
modo di vedere. Ambedue gli animali perdono di peso; ma, mentre quello
indicato col n. 2 assicura il suo bilancio azotato con, in media, gr. 0,095
di azoto al giorno, e copre i fabbisogni energetici bruciando le sue riserve
di grassi; il secondo, pur ingerendo in media gr. 0,146 di azoto al giorno
e pur disponendo di un abbondante tessuto adiposo, disintegra parte delle
sue proteine, ma in misura così esigua {gr. 1.85 circa in una settimana (molti-
plicatore 6.25) = calorie 1.6 al giorno] da rendere poco probabile che siano
impiegate a colmare i fabbisogni energetici dell'animale. Ancora più dimostra-
tiva è la tabella 2 del ratto indicato col n. 2, in cui, pur essendo aumentato
l'azoto ingerito (in media gr. 0,208 per giorno); del 12°/, nei confronti
della settimana precedente, il deficit dell'azoto è aumentato di una cifra
quasi uguale (13 °/,); ebbene, se la disintegrazione delle sostanze proteiche
dipendesse da esigenze energetiche, in questo caso avrebbe dovuto essere
maggiore, perchè l’animale non disponeva più di grandi riserve di grasso,
avendo già perduto nella prima settimana circa 33 grammi di peso. Ciò non
ostante, non ritenendo affatto di aver dimostrato con questo che le proteine
dell'ervo siauo incomplete, abbiamo ripreso lo studio dell'argomento adottando
un diverso dispositivo sperimentale, col quale speriamo di potere ottenere
risultati più certamente conclusivi.
— $95
Biologia. — Osservazioni sugli strati limitanti esterni dello
ialoscheletro nelle forme larvali dei Murenoidi . Nota I del
dott. UmBERTO D’ANcONA, presentata dal socio B. Grassi (').
Come è noto, fino dal 1893 Grassi e Calandruccio (?) avevano notato
nei Leptocefali una particolare formazione circondante gli organi assili, e la
avevano chiamata scheletro gelatinoso (iuloscheletro). In seguito Grassi, con-
tinuando le sue ricerche sull'argomento, osservò che questo ialoscheletro pre-
senta esternamente, nelle parti in cui confina colla muscolatura del tronco,
una zona limitante costituita, andando dall'esterno (dalla muscolatura) verso
l’interno (lo ialoscheletro), dai seguenti strati: 1°) uno strato di tubuli pa-
ralleli alle fibre muscolari, provvisti di nuclei e verosimilmente aventi il
valore di cellule; 2°) uno strato gelatinoso ; 3°) uno strato di fibre oblique ;
4°) un secondo strato di fibre oblique inerocianti le prime; 5°) un endote-
lio a cellule allungate; 6°) un secondo endotelio, a cellule poligonali, sepa-
rato dal primo da una lacuna.
Questo interessante reperto, come pure le altre ricerche sulla morfolo-
gia dei Murenoidi, rimase inedito, essendo il Grassi passato nel 18983 a
studiare altri argomenti. In seguito altri autori non fecero attenzione a queste
formazioni. Il Sella (*) le accenna soltanto chiamandole strasî limitanti
periferici, ma non entra in maggiori particolari.
L'argomento meritava di essere ulteriormente approfondito e perciò ne
ripresi l'esame su consiglio del prof. Grassi, che mise gentilmente a mia
disposizione l'abbondante materiale, in parte raccolto e preparato per le sue
ricerche e in parte continuato a raccogliere anche in questi ultimi anni, e
mi affidò, sotto gli auspicii del R. Comitato Talassografico, lo studio della
parte morfologica della sua opera sui Murenoidi.
I còmpiti che mi proposi furono: descrivere particolarmente le forma-
zioni in parola nelle varie specie di Murenoidi; vedere quale origine ave-
vano e se potevano essere messe in relazione colle condizioni esistenti in
forme inferiori (Amphioxus); vedere come si comportavano nell’ulteriore svi-
luppo e quale significato funzionale potevano avere.
(1) Dall’Istituto di anatomia comparata della R. Università di Roma.
(*) Grassi e Calandruccio, Ulteriori ricerche sui Leptocefali. Rendiconti R. Accad.
Lincei, ser. 5, vol. II, 1° sem., pag. 450 (1893).
(3) Sella M., Sullo sviluppo dello scheletro assiale dei Murenoidi. R. Comitato
talassogr. ital, Mem. V. (1912).
308
(Quì mi limito ad accennare brevemente ad alcuno di questi punti che
formano oggetto di ricerche tuttora in corso.
Oltre che delle sezioni, mi sono valso principalmente di preparati per
dilacerazione ottenuti togliendo i due strati muscolari del tronco e lasciando
allo scoperto lo ialoscheletro. In tal modo gli strati limitanti rimangono in
parte aderenti a quest'ultimo e possono venir esaminati sia a fresco sia con
svariate colorazioni.
Tra le forme esaminate (Congromuraena mystax, Conger conger,
Anguilla anguilla, Ophisoma balearicum, Tilurus hyalinus, T. trichiurus),
ho trovato che i preparati migliori si ottengono dagli esemplari di C. mystax
e perciò, e anche per l'abbondanza del materiale, ho studiato principalmente
questa specie, cui essenzialmente si riferisce la seguente descrizione. Nelle
altre specie esaminate ho riscontrato condizioni simili.
Il primo degli strati osservati dal Grassi, quello dei tubuli, sì presenta
nelle sezioni trasversali formato da due membranelle, l'una saldata allo
strato muscolare, l’altra allo strato gelatinoso, riunite fra loro da tanti se-
pimenti perpendicolari in modo da formare attrettanti tubuli a sezione più
o meno quadrangolare. Addossati alla membranella mediale si notano dei
nuclei appiattiti.
Nei preparati per dilacerazione i tubuli si presentano di fronte, sepa-
rati da linee longitudinali (che talvolta appaiono doppie), parallele alle fibre
muscolari. Spessissimo si notano, nei tubuli, dei precipitati provenienti pro-
babilmente da liquidi contenutivi, I nuclei, già osservati nelle sezioni, sono
seriati, per lo più molto regolarmente, in linee oblique poste nel mezzo di
ciascun miomero e seguenti l'andamento di questo; più raramente sono
un po’ più disordinati, ma mai ho osservato in un miomero più di un nu-
cleo per tubulo. In corrispondenza ai miocommi, nei preparati per dilacera-
zione, lo strato dei tubuli appare generalmente strappato; però, nei tratti in
cui rimane conservato, si osserva che i singoli tubuli terminano affusolati
cogli estremi alternati, quelli di un miomero tra quelli del miomero adia-
cente. Nelle sezioni si vedono i miocommi attraversare lo strato tubulare e
penetrare nello strato gelatinoso. Ritengo quindi di poter considerare i tu-
buli come altrettante cellule occupate quasi completamente da un vacuolo
ripieno di un contenuto liquido.
Tra lo strato dei tubuli e lo strato muscolare appaiono spesso delle
cellule stellate, probabilmente connettivali.
Medialmente ai tubuli segue, come s’è detto, uno strato gelatinoso, piut-
tosto spesso nelle semilarve, più sottile nelle larve. Questa differenza è spe-
cialmente evidente nell’ O. dalearicum. Nei Tiluri lo strato è molto sottile.
In esso strato gelatinoso, nelle forme giovani, non sì distinguono nè fibre
nè cellule; in alcune fra le semilarve più progredite invece si vedono delle
cellule connettivali penetrarvi assieme colle fibre dei miocommi o al dorso
— 387 —
e al ventre dal connettivo sottostante all’epidermide. Nello strato gelatinoso
decorrono dei vasi sanguigni in ordine metamerico.
I due strati di fibre possono dirsi immersi nella parte più interna dello
strato gelatinoso. I fasci di fibre dello strato mediale sono più fitti, più
sottili e più diritti; quelli dello strato laterale (almeno nei preparati) più
radi, più robusti e più ondulati. Nei Tiluri e nell’ O. dalearicum invece
ambedue gli strati presentano fasci ugualmente sottili. Le fibre (special-
mente quelle dello strato laterale) non si vedono che indistintamente a fresco
o colle più comuni colorazioni; sono invece meglio evidenti in preparati per
dilacerazione colorati coll’ematossilina ferrica di Heidenhain, meglio
ancora coi metodi di Bielschowsky - Levi e di Achucarro - Rio Hortega.
Le fibre dello strato mediale hanno un andamento quasi normale alla
direzione dei miomeri ; così, corrispondentemente alle pieghe a = di questi
(in cui si ha cioè nel mezzo un vertice rivolto verso il capo, e nelle parti
dorsale e ventrale due rivolti verso la coda) ('), si ha nelle fibre una curva
in corrispondenza all’asse del corpo colla convessità rivolta verso la coda,
e due curve (una dorsale e una ventrale) colle convessità dirette in senso
cefalico. Le curve delle fibre sono però più dolci che gli angoli dei mio-
commi, e così quelle incontrano questi con degli angoli più o meno acuti.
Un simile decorso hanno anche le fibre dello strato laterale, però in
senso opposto ; esse ripetono all'incirca l'andamento dei miomeri, ma la cur-
vatura loro è molto meno rilevante che quella dello strato mediale. In con-
seguenza i due strati di fibre formano una sorta di graticcio.
Lo strato endoteliale laterale è addossato allo strato di fibre mediale
tanto da sembrar sitnato nello stesso piano; esso consta di cellule allun-
gate nello stesso senso di queste fibre. In ciascuna cellula si nota un nucleo
per lo più ovale, più o meno allungato nel senso della maggior lunghezza,
talvolta incurvato a semiluna (p. es. in 0. balearicum).
L’endotelio più interno riveste lo ialoscheletro ed è formato da cellule
poligonali col nucleo generalmente a semiluna.
Tra i due strati endoteliali esiste la lacuna notata dal Grassi, lacura
nella quale nelle sezioni si osservano spesso delle sostanze coagulate. Questa
lacuna, per quanto nei preparati sia talvolta molto ampia, è verosimile che
în vivo sia quasi virtuale. Nelle sezioni generalmente la lacuna appare con-
tinua, talvolta però sembra divisa da setti sottili; se questi siano dei veri
setti oppure se risultino soltanto da sostanza coagulata, non posso dirlo.
Certo è soltanto che in corrispondenza all'asse del corpo la lacuna è at-
traversata dai nervi spinali e che qui è realmente settata. Nei preparati
per dilacerazione gli strati di fibre e gli endotelii sembrano continui anche
in corrispondenza ai miocommi.
(1) Nei Tiluri, come è noto, questi ultimi mancano.
i) a
MEMORIE
DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI
1. Bompiani E. « Proprietà differenziali caratteristiche di enti alge.
brici ». Pres. dal Socio CASTELNUOVO.
2. SapupPo R. « Sul fenomeno dell’assorbimento gravitazionale ». Pres,
dal SEGRETARIO.
3. PonTREMOLI A. « La doppia rifrazione accidentale meccanica nei li-
quidi ». Pres. dal Socio CorBino.
4. CorRoNEI G. « Correlazioni e differenziazioni. (Ricerche sperimentali
sullo sviluppo degli Anfibi) ». Pres. dal Socio Grass.
5. Jucci C. « Sulla differenziazione delle caste nella società dei Ter-
mitidi. I Neotenici ». Pres. Ip.
PERSONALE ACCADEMICO
Il Presidente VoLTERRA nell’iniziare, colla odierna seduta, i lavori del
nuovo anno accademico, manda un cordiale saluto ai Colleghi e particolar-
mente all'on. Corbino, che è tra i Soci presenti, al quale porge vivi ringra-
ziamenti per aver condotto a termine le pratiche relative all'assestamento
finanziario dell'Accademia, per il corrente anno accademico. Coll’aiuto otte-
nuto dal Governo, quest'ultima è stata rimessa in grado di esplicare la
propria alta funzione, diretta a favorire gli studî e il progresso scientifico del
nostro paese.
Il Presidente VoLTERRA accenna alle perdite che l'Accademia subì du-
rante le ferie, nelle persone del Socio nazionale prof. ANTONINO BorzÌ,
morto il 24 agosto passato, e del Socio straniero prof. GABRIELE LIPPMANN,
mancato ai vivi il 12 luglio. Dei due Accademici il Presidente fa una breve
ed affettuosa commemorazione, ricordando del Borzì la bella carriera scien-
tifica, durante la quale ebbe ad occuparsi dei più svariati rami della bota-
nica, e la vasta sua cultura; dà poscia comunicazione dei ringraziamenti tras-
messi, per mezzo del Socio AnGELITTI, dalla famiglia del defunto Collega
in occasione delle condoglianze inviatele dall’ Accademia. Anche del Socio
Lippmann, mancato ai vivi durante il suo viaggio di ritorno da una missione
al Canadà, il Presidente ricorda i meriti scientifici; e principalmente mette in
rilievo gli studî sulla elettrocapillarità e sul principio della conservazione del-
l'elettricità, che condussero a importantissimi risultati, e la scoperta della
— 389 —
fotografia dei colori riprodotti per interferenza, in condizioni identiche a quelle
della natura. Il Presidente propone, e la Classe approva, che alla vedova
dell'illustre Socio straniero siano mandate le condoglianze dell'Accademia.
Il PRESIDENTE annuncia poscia che hanno inviato ringraziamenti al-
l'Accademia per la loro recente elezione:
i Soci nazionali: CANTONE, CaNnAVARI, DarneLLI, Dr LEGGE, GAR-
Basso, FANTOLI, MaRcoLONGO, MILLOSEVICH;
i Soci corrispondenti: ANTONIAZZI, ARMELLINI, BemPorap, MARI-
NELLI, PALAZZO, PARRAVANO, PUCCIANTI, ZAMBONINI;
e i Soci stranieri: De La VALLEE Poussin, EinstEIN, GuyYE, Woop.
Lo stesso Presidente aggiunge che il prof. FEDERICO GioLITTI non ha
accettato la nomina a Corrispondente.
PRESENTAZIONE DI LIBRI
Il Segretario CAstELNUOVO presenta le pubblicazioni giunte in dono, se-
gnalando quelle dei Socî: FANTOLI, Il lago di Como e l'Adda emissario
nella condizione idraulica odierna e nella divisata regolazione del deflusso
mediante opere mobili di trattenuta e di scarico; Favaro, Adversaria
Galileiana, serie 6°; Intorno ad una nuova edizione delle opere letterarie
di Galileo; Iprimordi dell’osservatorio astronomico di Padova, opera po-
stuma di G. Lorenzoni; SEVERI, Zezioni sulla geometria algebrica, tradu-
zione tedesca del dott. Lòftler, nella quale trovansi aggiunti in appendice
alcuni importanti articoli che non comparivano nell'edizione italiana. Lo
stesso Segretario richiama l’attenzione della Classe anche sul vol. VII delle
Lettere di Jac. Berzelius, pubblicate dalla R. Accademia delle scienze di
Svezia; sopra due volumi della ristampa dell'opera, The scientific Papers
of the Honourable Henry Cavendish; e sul volume contenente i risultati
della Spedizione britannica (Terra nova) al polo antartico, del 1910-1913.
Il Presidente VoLTERRA presenta la pubblicazione del Socio straniero
LAcROIX: Zes pierres de Madagascar, e fa omaggio, a nome dell'edi-
tore Hermann, dell’opera: Zspace, Temps et Gravitation di A. S. EDDINGTON.
Menziona inoltre una pubblicazione del Rice Institut del Texas, dedicata
a commemorazioni di Dante; tra queste ne segnala una del prof. Evans sul
viaggio dantesco considerato dal punto di vista scientifico.
Il Socio Levi-Civita fa omaggio del primo fascicolo delle Abhand-
lungen di cui inizia ora la pubblicazione il Seminario matematico della Uni-
versità di Amburgo.
RENDICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sea, 50
— 390 —
AFFARI DIVERSI
Il Presidente VoLTERRA presenta varî pieghi suggellati,
esser deposti negli Archivi accademici, dai signori:
Bruni, PaIs e PASTORI.
Dà comunicazione di un voto dell'Accademia Reale di scienze fisiche
e matematiche di Napoli al Ministro della P. Istruzione e al Ministro della
Guerra, voto relativo all'acquisto dei libri nei paesi ex-nemici. L’Acca-
demia si associa a tale voto.
inviati per
BARRICELLI, BIANCO,
Il Segretario CastELNUOvo dà parte di un invito per il Congresso in-
ternazionale di Geologia che si terrà nel Belgio pala seconda quindicina
del mese di agosto dell'anno prossimo.
G. C.
OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA
presentate nella seduta del 6 novembre 1921.
BarREL J. — The Piedmont Terraces of
the Northern Appalachians (From the
« American Journal of Science », vo-
lume XLIX, pp. 227-428). New Haven,
1920, 89.
BerzeLIUs F. — Bref genom H. G. Sé-
derbaum. Uppsala, 1920. 8°, pp. 1-
336.
Broca A. — Chirurgie de guerre et d’a-
près-guerre. Paris, 1921. 89, pp. 1-vI,
1-479.
Bryan K. —. Origin of Rock Tanks and
Charcos (From the « American Jour-
nal of Science », vol. L, pp. 187-206).
New Haven, 1920. 89.
CavenpiscH I. R. S. — Scientific Papers,
vol. I, II. Cambridge, 1921. 89, pp. 1-
452, 1-496.
Care Ca. — Terrestrial Magnetism (Bri-
tish Antartic Expedition 1910-18).
London, 1921. 4°, pp. r-x1t, 1-548,
De Rey-PaeLHADE J. — Les ferments
d’hydrogénation. Toulouse, 1921. 8°,
pp. 1-8.
EppInGTON A. S. — Espace, temps et gra-
vitation. Paris, 1921. 8°, pp. I-xII,
1-262. e
FanToLI (G. — Il lago di Como e l’Adda
emissario. Milano, 1921. 89, pp. I-x1x,
1-306.
Favaro A — Adversaria Galilaeiana (Estr.
dagli « Atti e Memorie della R. Acca-
demia di scienze, lettere ed arti di
Padova », vol. XXXVII). Padova, 1921.
8°, pp. 1-35.
Favaro ANTONIO. — I primordii dell’Os-
servatorio astronomico di Padova
(Estr. da « Contributo del R. Istituto
Veneto di scienze, lettere ed arti alla
celebrazione del VII centenario della
Università di Padova»). Venezia, 1921.
89, pp. 1-94.
— 391 —
Fataro A. — Indice dei rotuli dello
Studio di Padova (Estr. da « Contri-
buto del R. Istituto Veneto di scienze,
lettere ed arti alla celebrazione del
VII centenario della Università di Pa-
dova »). Venezia, 1921. 89, pp. 1-27.
Favaro A. — Inturno ad una nuova edi-
zione di opere letterarie di Galileo
(Estr. dagli « Atti e Memorie della
R. Accademia di scienze, lettere ed
arti in Padova », vol. XXXVII). Pa-
dova, 1921. 8°, pp. 1-11.
Foà P. — Virchow in Italien (Estr. da
« Virchow® Archiv », Bd. 235, pp. 379-
384). Berlin, 1921. 8°.
Fusco P. — La sifilide ereditaria e acqui-
sita in rapporto alle malattie del corpo
umano, vol. III. Philadelphia, 1921,
8°, pp. 1-413.
GaBa L. — Cenno necrologico ed elenco
degli scritti di Giovanni Celoria (Estr.
dal « Bollettino bimensuale della So-
cietà meteorologica italiana », nn. 7-
8-9). Torino, 1921. 8°, pp. 1-12.
Hume G. S. — The Stratigraphy and geo-
logic Relations of the paleozoic Outlier
of Lake Timiskaming (Fromthe « Ame-
ricanJournal of Science », vol L, p. 293-
309). New Haven, 1920. 8°.
JonnsTtone J. H. L. — The relative Acti-
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which it is in Radioactive Equilibrium
(From the « American Journal of
science », vol. L. New Haven, 1920. 8°,
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KemmeRrLING G L. L. — De geologie en
geomorphologie van den Idyen. Ba-
tavia, 1920. 49, pp. 1-xv, 1-162.
Lacrorx A. — Les Pierres de Madagascar
(Extr. de la « Revue scientifique »,
1921). Paris, 1921. 8°, pp. 1-59).
LivraGHI E — Memoria scientifica e studio
tecnico industriale delle alluvioni del
Ticino. Milano, 1921, 8°, pp. 1-47,
LockveR W. J. — The spectrum of Cas-
siopee in relation to those of a Cygni
and 7 Cygni (Repr. from the « Mon-
thly Notices of the Royal Astronomi-
cal Society n, vol. LXXXI, pp. 495-
501). Edinburg, 1921. 89.
LumigRe A. — Ròle des colloîdes chez
les ètres vivants. Paris, 1921. 8°,
pp. Iivini, 1-311.
Mancini N. — Magnetizzazione della elet-
tricità. Firenze, 1921. 8°, pp. 1-89.
MartEL E. A. — Nouveau traité des caux
souterraines. Paris, 1921. 8°, pp. 1-838.
Mascart J. — Sur l’établissement des
moyennes en Météorologie (Extr. des
« Comptes rendus des séances de l’Aca-
démie des sciences », tome 173). Paris,
1921. foll. pp. 13.
MatTEINI C. — Equazioni delle caratteri-
stiche delle dinamo (Estr. dal Gior-
nale l’ « Elettrotecnica »). Varese,
1921, 4°, pp. 1-10.
MontIBELLI A. — Memoria scientifica e
studio tecnico industriale delle allu-
vioni del Ticino. Milano, 1921. 8°,
pp. 1-47.
MoureT M. G. — Antoine Chézy, histoire
d'une formule d'hydraulique (Extr. des
« Annales des Ponts et Chaussées »,
tom, II, pp. 165-268). Paris, 1921. 8°.
NoetHER M. — Hieronymus Georg Zeuthen
(Sond. aus « Mathematische Annalen »,
Band ®3). Berlin, 1921. 8°, pp. 1-23.
Pubblicazioni della R. Specola di Collu-
rania, vol. I, serie A e serie B. Roma,
1921.
Reyes C. — Potere endocrine della Ti-
roide nei rapporti col gozzo e col
cretinismo ; nella etiologia della ca-
chessia strumipriva; nei rapporti con
l’opoterapia e con la tiroidectonica,
Riposto, 1921. 8°, pp. 1-6.
Ricuarp S. L. — New tertiary Artio-
dactyls (From the « American Journal]
of science », vol. I, pp. 83-130). New
Haven, 1910. 8°.
RicHarp. S. L. — An upper carbonife-
rous Footprint from Attlebora, Mas-
sachusetts (From the « American Jour-
nal of Science », vol. I, pp. 233-236).
New Haven, 1920. 89.
RuruerForD M. -- New species of Oli-
gocene (White River) Felidae (From
the « American Journal of Science »,
vol. L, pp. 207-024). New Haven,
1920, 8°,
See T. J. J. — New Theory of the Ae-
ther (Repr. from « Astronomische Nach-
richten », nn. 5079, 5085, pp. 234-154).
Kiel, 1921. 4°.
SiLvestRI F. — A new species of Termi- -
taphis (Hemiptera Heteroptera) from
India (Extr. da « Records of the In-
dian Museum », vol. XXII, pp. 71-74).
Calcutta, 1921. 89.
SeverI F. — Vorlesungen iber algebrai-
sche Geometrie. Berlin, 1921 89,
pp. xv, 1-408.
SorpIina U. — Sul generatore a induzione
eccitato mediante condensatori (Estr:
dal Giornale 1° « Elettrotecnica »). Va-
rese, 1921. 49, pp. 1-10.
TroxELL E. L. — A Tiny Oligocene Ur
tiodactyl, Hypisodus Alacer (From the
« Amer. Journ. of Science», vol. XLIX,
pp. 391-398). New Haven, 1920. 89.
VoseL H. — Vergleichende Betrachtungen
iiber das variskische Gebirge am
Rhein und in Oberschlesien unter Be-
riicksichtigung der darin auftretenden
nutzbaren Lagerstàtten (Sonderabdruck
aus der « Zeitschrift des Oberschlesi-
schen Berg- und Hiittenminnischen Ve-
reins », Jahrgang 1921). Kattowitz,
1921. 8°, pp. 1-21.
Wrkient W. H. — The Spectra of the
temporary Stars. California, 1920. 49,
pp. 1-26.
PRESENTAZIONE DI LIBRI
x
Castel uovo ( (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle dei
Soci Fantoli, Favaro, ISAAC ORMEI MAREA MII E RONN e III
I; (Presidente) Fa menzione di alcune pubblicazioni del Socio straniero Lacroix e
signori Eddingion CM SR a e e I EER e
ivita. Offre una pubblicazione del Seminario matematico della Università di Amburgo
AFFARI DIVERSI
dii
(Segretario). Comunica un invito per il Coneresso internazionale di Geologia,
terrà nel Belgio a metà del prossimo aMnongn e
Classe di scienze fisiche. matematiche
Seduta del 6 novembre 1921
MEMORIKR E NOTE DI SOCI
Angeli. Sopra il comportamento e le proprietà di alcuni derivati aromatici
Grassi. Razze biologiche di Anofeli (*). . 0... . so na
Orocco. Constatazioni sulle scie aerodinamiche . . .
Majorana. Sull’assorbimento della gravitazione. Nota III.
MEMORIE E NOTE PRESENTATE DA SOCI
Mammana. Sulle relazioni fra le misure di un insieme variabile e dell'insieme suo limite
(presidal&Socios Bia) LI E
Scorza. Sugli integrali abeliani riducibili (pres. dal ca CastcInuovo): :
Campetti. Sul potenziale di risonanza e di ionizzazione nei vapori misti di sodio e potassio
con mercurio. Nota Il (pres. dal Socio Naccar) I.
Agamennone. I terremoti mondiali n 1916 e l'Osservatorio di Rocca di Papa. Nota IL È
(pres. dal Socio Cerulli) . RIZANE RO
Cerulli. Osservazioni sulla 2 comunicazione SSR dia SI
een
Panichi. Su la «Italite » e la « Vesbite » di H. S. Washington (pres. dal Socio Artini)
T'enani. Sul calcolo dell’energia del vento. Nota I (pres. dal di Crocco) . .
Paolini. Carvomentoli attivi dalla riduzione del carvone con platino (pres. dal Corrisp.
PREPALONER)" vi LEE A IR II IL ERI
Pieroni. Azossiammidi e diazocomposti (pres. dal Socio Angeli) . PIRA
Visco. Sul ‘valore alimentare dei semi dell’Ervum Ervilia. Nota II (pres. dal Corrîsp..
Lo Monaco) . RR CARA RE Ke
- . . . . . ta
D'Ancona. Osservazioni i. strati limitanti esterni dello ialoscheletro nelle forme larvali
dei Murenoidi. Nota I (pres dal Socio Grassi) .
Li
i È
MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI
Bompiani. Proprietà differenziali caratteristiche di enti algebrici (pres. dal Sueio Cota
Sapuppo. Sul fenomeno dell’assorbimento gravitazionale (pres. dal Segretario) .
Pontremoli. La doppia rifrazione accidentale meccanica nei liquidi (pres. dal. Socio ani
Cotronei. Correlazioni e differenziazioni. (Ricerche Rn) sullo sviluppo degli Anfibi)
(pres. dal Socio Grassi) . LL EA e en I
Jucci. Sulla differenziazione delle caste nella società dei ‘I l'ermitidi.. I Neotenioi (pres. mo
(*) Questa Nota sarà pubblicata in un prossimo fiscionlo
x
REALE ACCADEMIA NAZIONALE.
| I DEI LINCEI
= Rest Be QD EN TA:
\
005 RENDICONTI
Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali.
Volume XXX.° — Fascicolo 100
È lA novero 1921.
2° SEMESTRE
TIP. DELLA R. ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI
- PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI
1921
ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO
PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE
l.
Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle
pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei.
Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano
una pubblicazione distinta per ciascuna delledue
Classi. Peri Renpiconti della Classe di scienze
fisiche, matematiche e naturali valgono le norme
seguenti:
1. I Rendiconti della Classe di scienze fi-
siche, matematiche e naturali si pubblicano re-
golarmente due volte al mese; essi contengono
le Note ed i titoli delle Memorie presentate da
Soci e estransi, nelle due sedute mensili del
l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico.
Dodici fascicoli compongono un volume;
due volumi formano un'annata.
2. Le Note di Soci o Corrisponlenti non
possono oltrepassare le 5 pagine di stampa.
Le Note di estranei presentate da Soci, che
ne assumono la responsabilità, non possono
superare le 3 pagine.
3. L'Accademia dà per queste comunicazioni
50 estratti gratis ai Soci s Corrisponden4i, e 30
agli estranei; qualora l'autore ne desideri un
numero maggiore, il sovrappiù della spesa è
posta a suo carico.
4. I Rendiconti non riproducono le discus=
sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca-
demia; tuttavia se Soci, che vi hanno preso
parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi
sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta
stante, una Nota per iscritto.
II. ;
I. Le Note che oltrepassino i limiti ndi-
cati al paragrafo precedente e le Memorie pro: .
priamente dette, sono senz’altro inserite nei
Volumi accademici se provengono da Soci o
da Corrispondenti. Per le Memorie presentate
da estranei, la Presidenza nomina una Com-
missione la quale esamina il lavoro e ne rife-
risce in una prossima tornata della Classe.
2. La relazione conclude con una delle se-
guenti risoluzioni. - a) Con una proposta a
stampa della Memoria negli Atti dell'Accade-
mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio
dell'art. 26 dello Statuto. 3) Col desiderio
di far conoscere taluni fatti o ragionamenti
contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra-
ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro-
posta dell'invio della Memoria agli Archivi
dell’Accademia.
3. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre-
cedente, la relazione è letta in seduta, pubblica
nell'ultimo in seduta segreta.
4. A chi presenti una Memoria per esame
data ricevuta con lettera, nella quale si avverte
che i manoscritti non vengono restituiti agli
autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26
dello Statuto.
5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au-
tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti ; 80 se
estranei. La spesa.di un numero di copie in più
che fosse richiesto, è messo a carico degli
| autori.
RENDICONTI
DELLE SEDUTE
DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE
DEI LINCEI
Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali.
O
Seduta del 20 novembre 1921.
F. D’Ovipro, Presidente.
MEMORIE E NOTE DI SOCI
Botanica agraria. — Su la Vite selvatica della Maremma.
Nota del Corrispondente Bracio Lonao (').
Abbondante e rigogliosa cresce nella Maremma toscana la Vite selva-
tica (Vitis vinifera silvestris) come ho avuto occasione di constatare du-
rante un mio soggiorno estivo nel corrente anno. Spesso i suoi fusti gigan-
teschi come immani serpenti avvolgono ì tronchi degli alberi ed i suoi rami
contorcendosi nelle più strane guise, come le liane della vegetazione tropi-
cale, salgono fin sui più alti alberi ricadendo in mille festoni. Abbondanti
pendono i grappoli dell'uva, chiamata in Maremma « zampina », costituita
da acini piccoli, neri e di cui nel luogo si fa vino, detto anche « zampino ».
Uno dei più grossi fusti da me visti misurava m. 0,92 di circonferenza, e
mi si disse che ve ne erano altri più grossi ancora. Queste richiamano alla
mente le Viti selvatiche degli Etruschi menzionate da Plinio quando dice
che precisamente a Populonia si ammirava una statua di Giove scolpita in
un tronco di Vite.
Tali colossi, che destarono la mia meraviglia di Botanico, m’indussero
ad alcune considerazioni d’indole agraria. Sta di fatto che queste Viti sel-
vatiche presentano uno straordinario rigoglio ed una grande produttività non
(1) Presentata nella seduta del 6 novembre 1921.
RenpICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sem. 51
— 394 —
ostante che nessun aiuto abbiano avuto da parte dell'uomo. Potrebbe ciò.
far pensare che esse siano resistenti a varie malattie che tormentano la
Vite coltivata ? Circa ad Oidio e Peronospora le osservazioni da me fatte
e le informazioni assunte mi farebbero rispondere affermativamente. Circa
a Fillossera è da notare che siamo in zona fillosserata e che tuttavia, come
si è detto, le Viti selvatiche sono rigogliosissime.
Si tratta dunque di una razza di Vite selvatica veramente resistente
alle varie malattie che tanto ostacolano la coltivazione della Vite dome-
stica? E allora perchè non si tenta di stabilire con adeguati esperimenti se
e in qual misura la nostra Vite selvatica si addimostri resistente in cultura,
allo scopo di ricorrere ad essa nella ricostituzione dei vigneti come finora
si è fatto con le Viti americane ?
Agli egregi signori Maruzzi e Morghen, possidenti di Maremma, che-
gentilmente mi accompagnavano nella gita, io tracciavo il programma degli
esperimenti da farsi, e che qui brevemente accennerò nell’augurio che anche
altri possano essere invogliati a tentarli.
Prima di tutto fare una piantata di Viti selvatiche in terreni fillosse-
rati per vedere se anche le piante provenienti da magliuoli, o anche da
semi, abbiano resistenza alla Fillossera, perchè può venire il sospetto che-
la resistenza delle grosse îpiante (veramente ne ho vedute anche delle pic-
cole) sia dovuta allo straordinario sviluppo che certamente deve avere il
loro sistema radicale.
Nel caso, come sarebbe da augurarsi, che gli esperimenti diano esito.
positivo, allora innestare le razze di Vite coltivata sulla nostra Vite selva-
tica, come ora si fa sulle Viti americane. In tal modo sì avrebbe maggiore
affinità tra il soggetto e l'innesto, ed è da supporsi anche maggiore rigo-
glio, maggiore longevità, non che eliminazione di qualche altro inconveniente
lamentato con l'innesto su le Viti americane. Notai, ai margini dei
campi, qualche innesto tentato già dai contadini con buoni risultati; però
gl'innesti erano stati praticati senza rimuovere dal posto, ove erano nate,
le piante di Vite selvatica.
Consigliavo inoltre — dati i risultati non completamente soddisfacenti.
finora avuti dagli ibridi produttori diretti — di provare ad ottenere dei
meticci tra la mostra Vite selvatica e la domestica (prendendo il polline
ora dalla Vite selvatica ora dalle razze di Vite coltivata), e di scegliere
poi tra i meticci quelli che si addimostreranno più vantaggiosi.
Non resta che da provare; soltanto i risultati degli esperimenti ci
diranno se e fino a qual punto la nostra Vite selvatica potrebbe essere uti-
lizzata nella viticultura.
— 395 —
MEMORIE E NOTE PRESENTATE DA SOCI
Matematica. — Sulle varietà contenenti più serie di super-
ficie totalmente geodetiche. Nota di ENRICO BomPIANI, presentata
dal Socio T. LEvI-CIVITA.
1. È noto che se una V,; possiede co! superficie totalmente geodetiche
(tali cioè che ogni geodetica di una di esse è geodetica per V;), il suo ele-
mento lineare ha la forma data da Hadamard (')
2
ssi SI Un(11 3 12) di dar + a33(71 , 2, 13) dr$
I
quando le superficie tot. geod. siano le dex: = 0.
Qui mi propongo di caratterizzare le V; che posseggono due serie co!
di sup. tot. geod. con la condizione che la congruenza delle loro linee d’in-
tersezione sia normale.
3
2. Se entro una V,, definita metricamente dal Gi Aip(%1,%2,%3) dx;d2x,
1
2_
è data una superficie col porre 2;= %; (1,2) e di ds* = > bis (U,,2) du dus,
1
condizione necessaria e sufficiente affinchè questa risulti totalmente geode-
tica per la V3 è che si abbia (?)
di xi dr (78) (00) dip da
(ere EEA Ni . é ) 4 Reso SE)
dU, dUs “e ci 2
VA dun ti6' ld Sa dun dÙ
Per esprimere p. es. che le superficie 4x3 = 0 (sulle quali si può as-
sumere %, = %;, 2, = %2) sono tot. geod. basta scrivere i simboli } {, ed }{a
(1) J. Hadamard, Sur les éléments linéaires à plusieurs dimensions [ Bull. Sciences
Mathém., t. XXV, 1901]; ivi sono determinate anche le V3 con “co? superficie tot. geod.,
ma non le V3 con più serie co! di tali superficie. G. Ricci, nella Nota Sulle superficie
geodetiche in una varietà qualunque e in particolare nelle varietà a tre dimensioni
[Rend. Acc. Lincei, vol. XII, serie 52, 1903,], ha ripreso il problema in generale e, nel
caso delle V3, ha determinato le caratteristiche geometriche di quelle contenenti 00?
sup. tot. geod., in relazione alle curvature e congruenze principali in esse contenute.
(*) In questa forma si trovano nella mia Memoria: Stud? sugli spazi curvi; la 29
forma fondam. di una Vm in Vn [Atti R. Istituto Veneto di Scienze ecc., in corso di
stampa, 1921,].
— 396 —
in funzione di simboli di Christoffel di 1 specie relativi a Vs, [ Ja, e si
ottiene
a! X, + a8® XS + al83) Xx, = 0
che deve esser soddisfatta da
ik ih ck .
x=|| x=[5] x%=|5 | PESO
Di qua, riferita la Vz alle co! sup. tot. geod. e alle loro traiettorie or-
togonali, si ha il risultato citato di Hadamard.
3. Esistano.in Vs due serie co! di sup. tot. geod., facenti parte di un
sistema triplo ortogonale. Si ha subito
ds? = daî + Agg(%1 si 479) dxi + a33(21 . X3) dai 5
cioè: se una Vs contiene due serie co! di sup. tot. geod. facenti parte di
un sistema triplo ortogonale, le superficie di una stessa serie sono fra
loro applicabili e l'applicabilità è determinata dalle traiettorie ortogonali
alle superficie della serie considerata; e viceversa.
Se poi esiste una terza serie di sup. tot. geod. passanti per la con-
gruenza d’intersezione delle due prime, si trova
s= 0°(x1) (dat + dai + dx);
quindi: se in una Vs contenente due serie di sup. tot. geod. facenti parte
di un sistema triplo ortogonale esiste una terza serie di sup. tot. geod.
passanti per la congruenza d'intersezione delle due prime, la Vs contiene
co? sup. tot. geod. passanti per la congruenza ed è rappresentabile con-
formemente sopra uno Sz euclideo.
Fra queste sono le V3 a curvatura costante.
4. La V; contenga due serie co! di sup. tot. geod. nor ortogonali fra
di loro, con congruenza d'intersezione normale. Assunte le sup. ortog. alla
congruenza come dx, =0 e quelle tot. geod. come dr. =0, de =0,
Go=@3=0; 4340.
Le equazioni da soddisfare sono
a X, + a8 X3=0
a Y, + a®® Y,=0
per x=|5 |. xs=| 5 | (ANZI v=[5 | cupa
(@,k=1,9).
Da esse si ricava
ds° = 0?(x)) [dat 4 F (e de +2 dx, dx + et da8)]
— 397 —
con F,4,u funzioni soltanto di xs, 73 legate dalle equazioni
RA Lo e Ree1
dI9 BILE dI? dI3
d log F ne DIA d log (e+#— 1) ero dlog(e+*te— 1)
da dI dI3 PIE
d(4-- u) => Oi ae Sa a diloglent bol:
Os dI dT3 0, Du: DI: 4
sicchè, prese due funzioni Z, w soddisfacenti a quest’ultima, con la condi-
zione A+ wu +0, si ha F con una quadratura.
Le ultime equazioni esprimono che linee coordinate (vs 0 +3) sopra una
superficie dr, = 0 sono per essa geodetiche; riferendo queste superficie ad
un sistema di geodetiche e alle loro traiettorie ortogonali, si ha (r=7):
ds° = 6°(x)[dx® + dy* + G(y,3) da*];
questo ds?, come si vede subito, contiene 00° sup. tot. geod. (altro risultato
di Hadamard); quindi:
Condizione necessaria e sufficiente affinchè una Vs contenga x? sup.
tot. geod. è che essa contenga due serie co! di sup. tot. gèod. NON orto-
gonalî con congruenza d’intersezione normale (*).
L'interesse di questo risultato sta nel fatto che si ritrova il ds? di
Hadamard partendo da ipotesi molto meno restrittive: una delle co? sup.
tot. geod. è individuata da una geodetica di una sup. ortogonale alla con-
gruenza più volte nominata e contiene le co! geodetiche di V3 che vi si
appoggiano.
Tutte le V, tot. geod. sono applicabili fra loro e sopra superficie di
rotazione (Ricci, loc. cit.).
5. Numerose proprietà di queste Vz seguono da una delle due forme:
adottate per il ds?.
: Due superficie tot. geod. si tagliano lungo tutta la geodetica d’inter-
IA : .
sezione sotto angolo costante TRA 2 ) (*); Ze geodetiche di una
(*) Questo fatto è in intima relazione con l'altro (Ricci) che la congruenza ortogo-
nale ad co! sup. tot. geod. è principale e che non possono esistere due congruenze prin-
cipali non ortogonali, se non se hanno co, cioè la Vs ha necessariamente due curva-
ture principali uguali, ecc.
(?) Ciò è chiaro geometricamente. L'angolo delle due sup. tot. geod. per un punto
è l'angolo delle linee 2,,43 che vi passano: se il punto si sposta lungo una geodetica
della congruenza, gli elementi lineari di #$, 73 si spostano per parallelismo di Levi-Civita
(perchè formano sempre lo stesso angolo 7/2 con la geodetica ed appartengono in ogni
posizione a sup. tot. geod.): in questo spostamento il loro angolo, per una proprietà nota
del parallelismo, non varia.
— 398 —
superficie x, = cost. hanno tutte la stessa curvatura geodetica (risp. a V3)
in tutti i loro punti (È 5) il quadrato di questa è la curvatura re-
lativa della superficie rispetto a Vs (differenza fra la curvatura gaussiana
e la curvatura riemanniana secondo la stessa giacitura), cioè: Ze Vs orto-
gonali alla congruenza sono a curvatura relativa costante.
Di più: è costante la curvatura riemanniana della V. per tutte le
.giaciture tangenti alla congruenza e in tutti î punti di una V, ad essa
ortogonale (poichè dipende soltanto da 0).
Per caratterizzare fra le nostre Vz quelle per le quali le V, normali
alla congruenza sono a curvatura gaussiana costante, possiamo servirci di un
teorema di Finsterwalder (1): esse contengono, oltre alle due serie co! di
sup. tot. geod. da cui siamo partiti, altre due serie 00! contenenti la con-
gruenza d'intersezione delle due prime, rappresentabili linearmente per mezzo
dei parametri i quali, uguagliati a zero, individuano le due serie date.
Infine, se le due serie co! date si tagliano ovunque sotto lo stesso an-
golo «@w (# 77/2), le Vs normali alla congruenza loro intersezione sono euclidee
e si ritrova il ds° = 0%,)(drî + dx + dx3) dato al n. 3 partendo da
un'altra proprietà. Queste V, si costruiscono in S; con equazioni parame-
triche del tipo À
m=[(0) 0089 1 = f(0) cos g
Ya = f(t) sen @ ya = f(t) sen g
6. Scritto il ds? di una V3 del tipo esaminato nella forma ds° = 0*(x,) dsî,
si osserva che il dsî è del tipo di Levi-Civita [contenente una congruenza
a parallelismo completo (*)]; sicchè:
Ogni Vs con due serie di sup. tot. geod. non ortogonali a congruenza
d'intersezione normale è rappresentabile in modo conforme sopra una Vi
dello stesso tipo in cui però le superficie ortogonali alla congruenza sono
pure totalmente geodetiche, e la congruenza è a parallelismo completo
(la Vor se non è già euclidea, si costruisce in uno S, euclideo).
Il modulo della rappresentazione .è costante sulle sup. ortog. alla con-
gruenza: sicchè queste si corrispondono in modo isometrico-simile.
(*) Cfr. Jahresberieht d. Deutsch. Mathem.: Vereinigung, Bd. V, Leipzig 1899,
pp. 50-51.
(2) T. Levi-Civita, Nozione di parallelismo in una varietà qualunque, ecc. [ Rend.
Circe. Matem. di Palermo, tomo XLII, 1917,].
— 399 —
Matematica. — Sulle trasformazioni T dei sistemi tripli
coniugati di superficie. Nota del prof. L. P. ErseNnHART (Princeton),
presentata dal Socio L. BiancHI (!).
1. Se le coordinate cartesiane x. y, z di un punto M nello spazio
sono funzioni dei tre parametri %,, ws, 3, affinchè le superficie u, = cost.
us = cost. , u3 = cost., formino un sistema triplo coniugato C. è necessario
e sufficiente che x, y, 4 soddisfino alle equazioni
2°6 = dloga, 39, dloga. d0
dUi dUs a dU2 dUI dUI dUs
0 3°0 fe d log 4s 39 dlog as 30
(1) dUs dU3 dUZ IU? dUs da
d°0 = dlogaz d68 , dloga, dd
dUZ dUI dUI dU3 dU3 dUi
dove le funzioni a; (f=1, 2, 3) verificano le tre condizioni
2) dai __ dloga; dai è dlogar da;
dj dUn = dun dU du dr
avendo indicato con é, j, £ una permutazione ciclica degli indiei 1,2,3.
Se 6 è una soluzione delle (1), le funzioni
DE IL CARRO (MR OR
i) dalla ga
n)
sono soluzioni del sistema che si ottiene da (1) cangiandovi le 4; nelle a,
date da
Il sistema C, di coordinate #, 7, 5, si dirà un frasformato radiale
di C.
2 Siccome le a; soddisfano le (2), le sei equazioni
dhi , dloga; as
(3) flv (+)
(1) Presentata nella seduta del 3 giugno 1921.
— 400 —
nelle tre funzioni %,,%e,%z sono compatibili. Se abbiamo un sistema di
soluzioni di queste, sono compatibili, per 7=1,2,3, le equazioni
da da dwy dy da de |
(6) "cisl AI deo
dUi QU dUi QQUi Wi dUi
e le funzioni 2', y', 2‘, definite così per quadrature, soddisfano le tre equazioni
_2°0" __ >dloga; 20" , dloga; 9
dui du du di dui du;
(7)
Ne segue che queste funzioni sono le coordinate di un sistema .C', tale che
le tangenti alle curve di parametro «; di C e C", in punti corrispondenti,
sono parallele; e diremo che Ce C' sono sistemi tripli coniugati paralleli .
3. Se 0 è una soluzione delle (1), la funzione 0', definita da
0 _,,2
>= o (E_ME2E9O
(8)
è una soluzione delle (7); diremo che essa è la soluzione delle (7) corri-
spondente alla soluzione 0 delle (1). Ed ora, se definiamo le tre funzioni
E 3Y1,%, con equazioni della forma
0
(9) ZL % Gai
ne deduciamo, derivando,
ao — TS) )
(10 == 0a
10) di 0"? (è dUi dui hi dui \0'}'
avendo posto
(11) t,=h0 —0'.
Derivando le (10) rapporto a %;, si vede che «,,%,,4, sono soluzioni
delle tre equazioni
(12) DO pre: dloga 1i DO, de dlog di; PL
dui duj du di du di”
dove si è posto
Adi ti
(13) ai="wg
Dunque il punto di coordinate x,,y1,z, descrive un sistema triplo
coniugato C,. Se ora prendiamo due superficie %; = cost. dei sistemi C e C,
rispettivamente, le rette che uniscono i punti corrispondenti definiti dalle
(9) formano una congruenza le cui sviluppabili tagliano queste superficie
nelle linee u;= cost., ux== cost., come ho dimostrato in altro luogo (!),
(1) Trans. Amer. Math. Soc., vol. 18 (1917), p. 109
— 401 —
e le superficie sono nella relazione di una trasformazione T, come ivi è
stata definita. Perciò diciamo che le equazioni (9) definiscono una trasfor-
mazione T di C in C,. Una tale trasformazione è determinata da un sistema
parallelo C' e da una soluzione @ del sistema (1). Dalle (10) si vede che
il trasformato radiale Ci di C”, definito dalle
,
SEE
(14) {= yr°
3 () ; Ii . i
è parallelo a C,, e che 07 = — TE, dii gio 5020 le corrispondenti so-
luzioni delle equazioni per C, e Ci. Inoltre le formule
0
aX== Zi == gi 4h)
definiscono C come un trasformato T di C,.
Se C, e C» sono trasformati T di C, per mezzo dei sistemi C' e OC"
paralleli a C e delle soluzioni 0,, 6, delle (1), e con 0}, 03; 01°", 05 in-
dichiamo le soluzioni corrispondenti per le equazioni relative a C' e C”,
allora ìl sistema Cs, definito dalle equazioni della forma
019 6,
0 ; di
= US Zio 05 . 0% = by gl ,
.è un trasformato T di C,, C». Siccome @; e 05° contengono costanti arbi-
trarie additive, esistono co !? di tali sistemi Cs.
4. La condizione necessaria e sufficiente perchè il sistema C colle equa-
zioni (1) sia ortogonale, che cioè si abbia
x dr da
_ i dj
=0(*#j=1,2,3),
è che 6= Xx? sia una soluzione delle (1). Un tale sistema si dirà un si-
stema O. Se un sistema è O, anche ogni suo parallelo è un sistema 0.
Supponiamo di avere un sistema O ed un suo parallelo 0". Se nelle
(9) poniamo 0' = Xx"? e la corrispondente @ data delle (8), il sistema tra-
sformato C è un sistema O. Si vede facilmente che questa è la trasforma-
zione generalizzata di Ribaucour trattata da Bianchi (*), e in particolare
i sistemi paralleli 0' e Oi sono in relazione d'inversione, come segue dalle (14).
5. Il Bianchi (*) ha dimostrato che ogni sistema triplo coniugato nello
spazio euclideo dà origine ad una infinità di spazî normali, pei quali le di-
rezioni principali sono tangenti alle curve parametriche. Quindi i risultati.
precedenti conducono a trasformazioni degli spazî normali.
(*) Questi Rendiconti serie 5, vol. 34 (1915) p. 161.
(*) Annali, serie 3%, vol. 23 (1914) p. 141.
RENDICONTI. 1921. Vol. XXX. 2° Sem. 52
— 402 —
Matematica. — Su di una classe di equazioni alle derivate
funzionali. Nota I di FrANcESCO TRICOMI, presentata dal Socio
V. VOLTERRA ('). 4
1. Nella teoria delle funzioni di linee si presentano. oltre alle equa-
zioni integrali ed integro-differenziali, delle altre equazioni, di un carattere
più elevato, che il prof. Volterra (*) ha chiamato equazioni alle derivate
funzionali. Queste equazioni possono riguardarsi come caso limite per x > 00
delle equazioni a derivate parziali con x variabili indipendenti; pertanto
esse potranno trattarsi con metodi ottenuti estendendo opportunamente quelli
che si adoperano per le equazioni differenziali. Nella presente Nota e in
un'altra che seguirà mi permetto di mostrare appunto come, generalizzando
il eosì detto primo metodo «li Jacobi per la integrazione delle equazioni a
derivate parziali del prim'ordine e giovandosi della feconda teoria delle equa-
zioni integrali, si pervenga all'integrazione di una classe molto generale di
equazioni quudratiche alle derivate funzionali del prim'ordine.
2. Sia V una funzione incognita della linea [x] (nel senso di Volterra)
e della variabilgg numerica 2. e sia [p] la linea definita dalla condizione
che la sua ordinata in un punto qualsiasì & dell'intervallo (a, è) in cui si
suppone data [x], sia uguale al valore della derivata prima di V rispetto
alla linea [x], presa nel punto &. Allora una relazione del tipo
IV
E, H(<.[e].[p]})=0
(1)
dove H è una fanzione regolare, assegnata di 2. [x] e [p]. sarà una di
quelle equazioni alle derivate funzionali di cui poc'anzi si diceva.
L'equazione (1) si è presentata al prof. Volterra (3) studiando un si-
stema integro-differenziale importante che può scriversi sotto la forma
©) ELE lime, e Le C0)) EN a, (2],C2])
(ASS
convenendo d'indicare coi simboli H',,)&) e H'lx& le derivate prime della
(1) Presentata nella seduta del 2 maggio 1921.
(*) Zegons sur les fonctions de lignes (Paris, Gauthier-Villars, 1913), pag. 61.
(*) Equazioni integro-differenziali ed equazioni alle derivate funzionali [ Rendic.
R. Ace, dei Lincei, serie 52, vol. 23, (1° sem. 1914)].
— 403 —
funzione H prese ordinatamente rispetto alla linea [ p] e al punto È e ri-
spetto alla linea [x] e al punto &. Nel sistema (2) le incognite sono le
«due linee [+4] e [p] che si riguardano dipendenti dalla variabile #; in altri
termini le incognite sono le due funzioni ordinarie a due variabili
9p(ì,3)=[x](f) e w(E,2)=[p2](5).
Propriamente il Volterra ha dimostrato come, conoscendo una soluzione V
della (1) contenente una linea arbitraria (e che perciò potrà chiamarsi un
integrale completo dell'equazione), sia possibile risolvere agevolmente il
sistema (2).
È però facile vedere che anche la reciproca di questa proposizione è
vera, e cioè che se è possibile determinare una soluzione del sistema (2)
della forma
(3) [x](f)=(8,2,(2],[2]) . [p](È) = w(8,3,(2],[8]).
dove [a] e [db] sono due linee arbitrarie aventi il significato di valori
imiziali di [x] e [ p] per 3 uguale ad un certo 2°, e se inoltre la fun-
zione è tale che la prima delle (3) possa risolversi rispetto a [b]: al-
lora la funzione
.
() VG, [].(M)=[ (90 Maa+
+SELSP rime (6, (0). CH) CAI) e — RIE 29M de
nella cui espressione devono pensarsi sostituiti alle linee [ p] e [b] è loro
valori tratti dalle (3), fornirà un integrale completo della (1).
La dimostrazione è un'ovvia generalizzazione di quella che serve nella
teoria delle equazioni a derivate parziali per istabilire il primo metodo di
Jacobi (1), e noi la ometteremo per brevità.
3. In una sua Nota (?), il prof. Volterra ha risoluto l'equazione (1),
per mezzo di una serie di potenze di composizione, in un caso che corri-
sponde a quello di H funzione bilineare, cioè della forma
bach
H= f" (EM, [e] Mm C9]6) dae.
Noi ci proponiamo di mostrare come, avvalendosi invece del teorema enun-
ciato nel $ precedente e della teoria delle equazioni integrali, sia possibile
(*) Cfr. p. es. Goursat, Lecons sur l'intégr. des éq. aux dérivées partielles du pre-
mier ordre (Paris, Hermann, 1891), pag. 136.
(") Sulle equazioni alle derivate funzionali [Rendic. R. Ace. dei Lincei, serie 5,
vol. 23, (1° sem. 1914)].
— 404 —
risolvere l'equazione in discorso anche nel caso che H sia una funzione qua-
* dratica di tipo generale, cioè abbia la forma
6) H=A@0+//jBm9 IM+BM IS
X \c:(m :O 21M) [e 16) + 07,5) [2 ](M) 216) + Com, I [PIMC#]0) (an de
dove A, B,,... C3 sono certe funzioni assegnate.
Nel caso in esame il sistema (2) diviene
PIO Be,9+/} cm.8) (10) +20. [01M fn;
(Oa }
PILIO _ _R@,A— f°420,1,8) Ce] + 0.8) Ce] dani
(ia =M#=0)
che, con un artificio perfettamente simile a quello che si adopera per risol-
vere i sistemi di equazioni integrali (*), e supponendo inoltre, per comodità,
pi
a-=0,b=}, può porsi sotto la forma dell'equazione integro-differenziale
unica
= dIP(E.4)
(7) >
dove @ e K sono funzioni note e la funzione incognita ®($,2) è uguale
ad [x](F) per (0 <=E<4+) ed uguale invece a [ p](5) per ({ co da quello che si adopera per integrare un sistema
di n equazioni differenziali simultanee del tipo
dpi(2)/dz = @;(2) + i P1(2) + Zio Pa(4) + + kin Pal), (£=1,2,...2),
sistema di cui l'equazione (7) è il caso limite per x => co. Cerchiamo
dunque di soddisfare la (7) ponendo
(8) fmea,da=*—-0
dove / e 0 sono due funzioni e # una costante da determinarsi.
Moltiplicando la (7) per /($) dé, integrando fra 0 ed 1 e tenendo
conto della (8) si ha
Sona KEN 04M
O _L ( /0)alt,)de=0;
(1) Cfr. p. es. Vivanti, Elementi della teoria delle equazioni integrali lineari (Mi-
lano, Hoepli, 1916), pag. 278.
w
== 40
ma quest'uguaglianza dovrà essere verificata identicamente, dunque dovrà , .
essere
(9) r@m=7f KE.) f(E)de=0 , 2 hg = {0 a(£,3) d&.
La prima di queste due formule si interpetra immediatamente nella teoria
delle equazioni integrali di Fredholm: essa ci dice che 1/£ ed f(£) devono
essere un parametro ed una corrispondente funzione parametrica associata
del nucleo K(E,n). Quanto all'altra, essa ci consente di calcolare facil-
mente la funzione @ fissati che siano X ed /, e precisamente si trova
(10) | o(2) = Cet - {© y(E,4) dE
avendo indicato con C una costante arbitraria ed avendo posto
(11) regna flat.
Matematica. — Sopra alcuni sviluppi in serie. Nota II di
Pia NALLI, presentata dal Corrisp. GrusePPE BAGNERA (').
4. Passiamo ora a dimostrare quanto abbiamo asserito al n. 3 sulla rap-
presentazione di una funzione /(z) analitica regolare all’interno di un cer-
chio C con centro nell'origine.
Si ha
lun(2)|= u(12)) = wo(le))|e|".
Intanto, se 0 è minore del raggio di C, si potrà fissare una costante A
tale da avere, per qualunque », i
POI A
f(2) Si DI In Un(%) ’
n=0
derivando termine a termine e tenendo conto della (7), troviamo
— ant! do
f'(a)= 2A (FD aa ==dhÙt RSerS ro de [ux(0).
Dallo sviluppo di /(x) si può ottenere quello di una sua fanzione in-
tegrale F(x):
Anna n DE OLA F(0)
de. = Tiabi, a)... (1 — 0) al in(C}e
Così dalla (6) otteniamo
A S (040 È Untm(90) 4
Rezia Dì (1—- a)... (1—-@") (nm)! |
6. Quando è noto lo sviluppo di /(x), si ottiene quello della funzione
S[/(x)], dove S è l'operazione funzionale definita al n. 1, moltiplicando i.
coefficienti di /(x) ordinatamente per 1,a,a?,
Infatti
S| Zeta |= XS la] = Tarare).
n=0 n=0
n=0
Viceversa, conosciuto lo sviluppo di S[/(x)], si trova quello di /(x)
dividendo i coefficienti del primo rispettivamente per 1,@,@?*,.....
Così si ha un altro metodo per trovare lo sviluppo di e. Essendo
S[e]=1, dalla (6) otteniamo subito la (9).
Così ancora, essendo
1 ca x x
si De] n° ro
dalla (9) possiamo formare subito lo sviluppo di
E lt—a@
ac
e perciò quello di e ©.
Si trova così
7. Lo sviluppo di e ® si può anche ottenere con un metodo generale
che permette di trovare lo sviluppo di i(£) quando è noto quello di /(x).
Si ha
; 1 n+
(10) Uni®) Lg a un(3) ls)= a" (1, (2) + da seni
e, cambiando x in n
e perciò, se (2) = \ anu,(2),
Servendoci di questa formula ne possiamo ottenere un'altra che dà lo
sviluppo di /(az). Se denotiamo con d,, d1, da, ... i coefficienti dello svi-
luppo di /(ax), si deve avere
do = do
dn USS)
ie (ia Oa
e da questa si ricava
CEL +
In = nl an (n Diani ++ (1° 0],
cioè
(11) ie x o[n!an—(_—1)!an1 + +(—- 10°
n=0
Un(x)
sl ni
In particolare si ha
3 Untm(®)
umar)= m! SI BI, LO Lio i I
ee a)
8. Applicando i risultati dei tre ultimi numeri, possiamo trovare lo.
sviluppo di x" e-® con m intero e positivo.
Per m= 1 si ha
Stbcaliecae
— 408 —
quindi, dopo avere trovato con la (11) lo sviluppo di e-*, potremo formare
..quello del primo membro ed in seguito quello di x e-®. Troviamo così
00 — 3° n+l a MA STA
1 Un(2)
si ua A) =) ni
Per m= 2, abbiamo
uac
S[x? e]=2 Î seeds;
0
dc
‘conoscendo già lo sviluppo di x e-”, possiamo formare quello di sem ds
9
0
(e445)
poi quello di 1° se7* ds e perciò quello di x* e; troviamo così
0
2 pe —. C MER 20| 10 penna nu_2 iii re
a° e ai 1) |a o (=
Ere VI)
a) Ta — a)... ce ni
Facilmente si trova in generale
c n—- 1 n_-2\) 1
ed Il per n+m I
quer mi 2 ( 1) fonica cia
(n—-38
| 1 m_1 1 a(1)
40) coi Cilccsini
9. Abbiamo trovato lo sviluppo di x e-* con un metodo particolare. Ora
esporremo un metodo che permette di trovare lo sviluppo di x f(x) quando
è noto quello di /(x). Ci occorre a questo scopo lo sviluppo di «%,(2).
Questa funzione si annulla per 7 = 0 insieme con le sue prime 7 derivate:
quindi il suo sviluppo comincia col termine in %,+, ed il primo coefficiente
è l’unità, come facilmente si vede. Il coefficiente a,+x di %,+x Sì calcola
nel seguente modo:
Si ha
S[xru.(a)}] = ecuaa) + o Un(s) ds =
; DR 1 "QI
So i an Une: (8) ds,
e, per la (10),
dea Un+o(@ €)
(n +1) (2-+2)"
Al primo membro il coefficiente di u,+,x è @"** a,+:, nella prima parte
Sleu,(0)]= e" cu,(2)
i anti ?
‘del secondo membro è a"+! a,,,, nella seconda parte è — (—1)' n! —;
(+4)!
— 409 —
sarà dunque
arti O,4k = ant QAn4k — (— +k
n!
} n ga
(R+4 4)!
Da questa ricaviamo a,+x @ troviamo
Uns+r(1)
2 ,(8) = tt (0) +01 Y- ( boe si (up
10. Servendoci di questa formola, avremmo potuto trovare lo sviluppo
di xe”, ma i coefficienti si sarebbero presentati in forma meno semplice
di quella ottenuta al numero precedente.
La stessa osservazione si può fare relativamente allo sviluppo di x° u,(2).
Invece di ottenerlo da quello di xw,(x) moltiplicandolo per #, procederemo
nel seguente modo:
Abbiamo
Sle ua] = e? 2° u,(2) — Le I 5 $Un+i(8) d8 .
Chiamando @,+x il coefficiente di v,+x nello sviluppo di x* w,(x), sì ha
Maga ==, ed giur = di per #<2.
Per & => 3 il coefficiente di %,,x nel primo membro dell’ultima egua-
glianza è "+ a,+x, nella prima parte del secondo membro è @"+? a,4x, ©
facilmente si calcola il coefficiente analogo nella seconda parte del secondo
membro. Infatti si ha
L Un41 (2) = Un+2(X (x) A + (# t IO w (— 1)? ai Unskai(2)
5 1-1 n+44+1!
‘e perciò
3 È Ò Un43! De a SCENA k (denti Uner(2)-
J Si] (Sas di - (n E) eNr= rene n (IST mi
(e£4 0)
quindi in i) SUn+1(8) ds il coefficiente di w,+x(x) è
0
(7 cL 1)! al-3 alt fr
NE n+k ilo enel
{ 1) eugiie (ic lf ea I n 2).
i al
Possiamo così calcolare 4,,.x @ troviamo
A | k AA
L° un(x) = Un+s (a) +2! De 1) 1—- ak?
al3 oh-4 Un+a(£)
x (; paria ni) griglann) dina
RENDICONTI. 1921, Vol. XXX 2° Sem. 53
— 410 —
Con ouesto metodo non è difficile trovare la formola generale che dà
lo sviluppo di x" u,(x). Si trova
- | 00 al-m Une (x)
(12) X t(2) = nin (e) + al ml D (CD — qh-m Hk Epi
dove è
cn (a
o dee 0) cm | (- pjmi st)
+ ( 1) (io Eng ! li (passi
dove con P", denotiamo la somma dei prodotti di r fattori distinti scelti
tra le quantità
a a am 1 |
l-a’'1—-a8’U’1— akm1°
Per mezzo della (12) si può formare lo sviluppo del prodotto di due
funzioni quando è dato lo sviluppo di una in serie di funzioni (x) e quello.
dell'altra in serie di potenze di x.
Matematica. — Nuova dimostrazione della necessità della
condizione di Jacobi. Nota di M. PiconE, presentata dal Socio
L. BIANCHI (').
Sia D un dominio del piano (x,y) e T l'insieme di punti costituito
da tutti i punti dello spazio (x, y ,<) aventi per proiezione, sul detto piano,
punti di D. Sia /(x,y,) una funzione delle tre variabili 2, y,4, definita
in T, ivi continua con tutte le sue derivate parziali dei primi tre ordini.
Siano P,(2,,%1) e P2(7», y:) due punti interni di D e y= yo(x) una
curva estremale per l'integrale
La ”
J(Y) = [ Reggie
la quale passi per i punti P, e P, e stia completamente nell'interno di D.
Si ponga
dQ
fut yo) vo] = P(1) , farle, yo) vo(2)]} = Q(0) , E ab = A).
fyyle Yo) y(A]= Re),
e facciamo l'ipotesi che, in tutto l'intervallo (2,, xs), riesca R(2) + 0...
(1) Presentata nella seduta del 3 aprile 1921.
— dll —
Indichiamo con I° l’insieme [a. cui appartiene l'estremale y = yo(2)]
delle curve y= y(7), contenute in D, per le quali le funzioni y(7) sono
finite e continue con le loro derivate prime nell'intervallo (71,2) e verifi
cano le condizioni
(1) y(#1) =%Y y(ce) = Ye.
Per il più semplice problema del calcolo delle variazioni si ha allora
la seguente condizione di Jacobi:
Condizione necessaria perchè l'estremale y= y,(x) fornisca, nel
campo T°, un estremo per l'integrale J(y) è che una soluzione, nulla în 1),
dell'equazione differenziale del second'ordine nella u:
d n)
9 sd IAN A
(2) Ea LAu=0,
si mantenga sempre diversa da sero nell'interno di (x, , 12).
La necessità di tale condizione viene dimostrata facendo vedere che,
ove essa non si verifichi, è possibile, in un intorno comunque piccolo del-
l'estremale y = yo(*), costruire curve y = y() dell'insieme Y° per le quali
è J(y) > J(%) 0 curve per le quali è J(y)<4J(y0). Nelle costruzioni date
finora, almeno per quanto io so, sì son sempre dapprima ottenute curve
y=y(x), per le quali la funzione (7) è continua e verifica le (1), ma
ha però una derivata discontinua in uno o due punti di (7), 79).
Parmi che abbia interesse il notare. come appunto mi permetto di
fare con la Nota presente, una costruzione delle curve y= y(x), ora indi-
cate, con la quale si ottengono assaì semplicemente e direttamente curve
di T°, anzi parecchie famiglie di curve di T per le quali le funzioni y(x)
sono în (x,%>) finite e continue con le loro derivate dei primi pur
ordini. La costruzione è contenuta, sì può dire, in un teorema della mia
Tesi d’abilitazione: Sui valori eccezionali di un parametro da cui dipende
un'equazione differenziale lineare ordinaria del second'ordine (1).
Di ben maggiore interesse è poi il fatto che, considerando le cose dal
punto di vista della Nota presente, si arriva, come farò vedere in una Nota
futura, ad un'elegante nuova condizione necessaria per un estremo dell’in-
tegrale doppio
da dd
ie li da dy .
1. Per fissare le idee riterremo che, 7 (,, 2), sia sempre R(2)>0.
Supponiamo che non sia verificata la condizione di Jacobi, supponiamo cioè
che esista un integrale vw della (2) nullo in 2, e, ulteriormente, in un
punto zi interno all'intervallo (x, , 7»). Non potrà allora, com'è ben noto,
(*) Annali della R. Scuola Normale Superiore di Pisa, vol. XI.
— 412 —
«essere sempre, in (x, ,%2), A(x) <0, dovrà cioè A(7) prendere in (x, xa)
anche valori positivi (1).
Ciò posto, consideriamo l’equazione differenziale del second'ordine
(3) (RE) +z4v—o,
contenente il parametro 4. Indichiamo con u(r,; 4) quell’integrale di que-
st'equazione verificante le condizioni iniziali «(7,,4)=0, v'(x.,4)="1.
In virtù dei risultati ottenuti alle pagine 31 e 32 della citata mia tesi d'abi-
litazione, poichè la funzione A(x) prende in (,,%:) anche valori positivi,
possiamo affermare che:
Esiste una successione, sempre crescente e crescente all'infinito, di
valori positivi An, Àx , dx, ... per ciascuno dei quali si ha u(x, An) = 0.
Posto u(x, An) =un(x), n=0,1.2,.., questa funzione u,(x), che è,
per A= An, la soluzione della (3) verificante le condizioni iniziali un(r.)=0,
olo si annulla in x, e în xs e, ulteriormente, in n punti distinti
nell'interno dell'intervallo (x, 2). Infine, la u(x, 4), per i valori di 4
verificanti la limitazione 0 SALZA, non ha, oltre lo zero x,, alcun
altro punto di zero în (x,,%2), per i valori di 4 verificanti la limita-
sione in ZLA 0,
0,1, 20000)
(5) Sisde 0 CÀ
Ti
(1) Ed infatti la funzione o=RuÎ è nulla in 7; e in 2/,, mentre se fosse sem-
pre A(x) < 0 in (21, xa), la v sarebbe non decrescente in (2), 7»), poiehè
ft (nate) cn (Yad (0°) (fd
— 413 —
2. Dal teorema ora enunciato andiamo immediatamente a dedurre la
necessità della condizione di Jacobi. Sia (7) una qualunque funzione finita
e continua, in (7, , 73), con la sua derivata prima, e sia n(r)= N(z2)=0,
si può sempre determinare un numero positivo 0, tale che, per |s|< 0n.
la curva y= yo(@) + en(1) appartenga all'insieme T e di più la differenza
J(yo 487) — Jyo) abbia il segno di
Sat SE "er se + 207924 x.( I |aen
_.Lpe R(7) di -f ‘Aytda |.
Indichiamo con ©, ciò che diviene il numero @, quando si faccia
n= un(x). Per |e|, Sia, per fissare le
idee, A, <1 = 4y; si avrà allora, in forza delle (4) e (5),
Sn 6 (<0, pera=0,1,2,..,v—1,
p== lr ,
a i Cri {>0, pra=rv+1,v+2,....,
e quindi
seen dle i
J(yo 4 eun) — J(Yo); per || <0n, (>0, pera=v+1,v+2
la curva y= yo(7) non potrà dunque fornire un estremo per l’integrale J(y).
Troviamo le v famiglie di curve di F°:
y= ye) + eun) , lel 20 10.59 Cal 0.48 035
Aprile... 0 ie +. 19 0599 8.1 034 0.25
Maggio . .... 16 0.06 6.5 0.17 0.12
Giugno... .. 12 8.00 5.8 012 0.86
Ugl 16 i 2a 79 0.25 0.18
INCOSTO RES o 21 983 8.6 0.41 0.30
Settembre... 0. 15 8.86 71 023 0.16
Ottobre gerani 23 11.68 10.6 0.77 0.55
Novembre . . . . 21 11.18 ho) 0.61 0.44
Dicembre . . . . 18 14.00 11.6 1.00 072
Nella tabella ho calcolato, nella penultima colonna, il rapporto R tra
la potenza media sviluppata dal motore a vento nei vari mesi e la potenza
«del mese di dicembre, nell'ipotesi di un rendimento medio costante; nel-
l’ultima colonna, la potenza media mensile del motore per metro quadrato
nei vari mesi dell’anno, nell'ipotesi di un rendimento 0» costante eguale
‘a 0.85; al solito, ammettendo un rendimento medio @ diverso, basterà molti-
plicare i numeri per 0/0,85.
Tale confronto mi sembra di grande importanza nelle applicazioni poichè
‘ci dà l'idea del modo secondo il quale, nella località esaminata, varia la
‘potenza durante l’anno e può quindi condurre direttamente alla definizione
degli scopi da assegnare ad un impianto di motori a vento. Un simile esame
ripetuto per altre regioni, ad esempio le Puglie, potrebbe dimostrarci un
andamento molto diverso; sarebbe pertanto necessario estendere questi studi
‘e sopratutto esaminare i risultati di un considerevole numero di anni.
3. Sarebbe poi di grandissima importanza, seguendo le considerazioni
del Crocco ('), ripetere l'esame per diverse altezze sul suolo: in Italia non
‘sì posseggono però registrazioni anemometriche opportune nel medesimo
luogo; i casi esaminati in Germania dal Peppler lo avrebbero condotto a
ritenere (sulle sole medie aritmetiche, però) che non vi è convenienza di
‘elevare i motori a vento a più di 16 metri dal suolo. Sarebbe certamente
interessante vedere se tali conclusioni possano ritenersi giuste ove si facesse
(1) Crocco, Sull'energia disponibile dal vento. Questi Rendiconti, fasc. 5°, 19 sem.1 921.
dig
l'esame coi metodi qui proposti: ma ciò non ci è possibile poichè non posse-
diamo di quei luoghi che le medie aritmetiche.
Un calcolo da me fatto confrontando le potenze medie annue relative
alla stessa ora del giorno per Trapani, località in cui le osservazioni aero-
logiche hanno dimostrato un rapidissimo aumento della velocità con l'altezza,
mi hanno condotto ad osservare che la potenza media annua a 200 metri dal
suolo è circa 14 volte maggiore di quella ottenibile all'altezza dell'anemo-
metro. Lo studio di stazioni più opportunamente disposte potrebbe condurci
però a risultati assai interessanti e che riguardassero altezze assai minori
e praticamente raggiungibili.
Fisica. — // « cinematografo parlante » di Emilio Zeppieri.
Nota dell'ing. EnRIco VioLa, presentata dal Socio C. VioLa (°).
Le svariate rappresentazioni visive e uditive, mediante gli incessanti
perfezionamenti introdotti nelle macchine cinematografiche e nei fonografi,
hanno sempre allettato il pubblico, ma non gli hanno procurato finora il
godimento maggiore, di vedere finalmente attuata la combinazione sincrona
delle due riproduzioni, visiva e uditiva; i tentativi fatti in questo campo,
sopratutto per opera di Edison e di Gaumont, non riuscirono a risolvere in
modo soddisfacente il problema.
La sua soluzione geniale è stata riservata ad Emilio Zeppieri, che ot-
tenne il funzionamento sincrono e continuo dei due apparecchi; l'illusione
di vedere e sentire i protagonisti nella loro naturale attitudine, nell'atto
stesso onde sono animati, è veramente perfetta.
Il collegamento del cinematografo col fonografo richiede il trasporto sin-
cronico del moto dall'apparecchio projettante all'apparecchio parlante, tra-
sporto a distanza tentato dai varii autori, gli uni per via elettrica, gli altri
per via meccanica.
Abbandonato il sistema elettrico di trasmissione, come non rispondente
all'intento, Emilio Zeppieri ha risolto il sincronismo perfetto collegando il
projettore cinematografico col fonografo mediante un sistema meccanico, dove
lo stesso motore imprime il moto contemporaneamente ai due apparecchi
senza scosse nè perdite.
° L'apparecchio Zeppieri consiste delle seguenti parti :
a) un motore elettrico,
5) un projettore cinematografico ordinario,
c) un fonografo ad azione continuata,
d) una trasmissione meccanica.
(*) Pervenuta all’Accademia il 31 ottobre 1921.
— 417 —
Lo Zeppieri si serve, nel suo apparecchio, di pellicole cinematografiche-
e di dischi fonografici aventi le dimensioni usuali adottate in commercio ;
in vista di ciò egli ha dovuto adattarvisi e mantenere nei due apparecchi
le velocità di rotazione, che si usano nei projettori e nei fonografi comuni,
ossia rispettivamente di 120 e $0 giri al minuto primo.
Il motore prende d'ordinario l'energia dalla corrente industriale ed a
questa si uniforma. La velocità all'albero motore varia a seconda della cor-
rente impiegata, la quale d'ordinario è alternata trifasica a 42 o 50 periodi
con voltaggio limitato. In ogni caso la velocità sull'albero motore è molto
superiore a quella del projettore e del fonografo. Il sistema di trasmissione:
che varia a seconda delle distanze, provvede al collegamento delle tre mac-
chine (motore, projettore e fonografo); per semplicità delle cose la velocità
di rotazione dei mezzi di trasmissione è quella stessa, che riceve una delle tre
macchine collegate. p. es. di 120 giri, velocità nel projettore, mentre essa
si riduce a ?/3 nell’accoppiamento al fonografo. i
Per quanto riguarda la posizione che deve assumere il motore sull’'al-
bero di trasmissione, una breve considerazione elimina ogni dubbio. Infatti,
se l'albero di trasmissione ha una lunghezza considerevole, non conviene ap-
plicare il motore ad una estremità dell’albero, poichè la torsione porterebbe
una differenza di fase tra projettore e fonografo: in tal caso il motore ha
il suo vero collocamento in un punto intermedio; ma poichè le distanze
sono di solito relativamente piccole, non superiori a 30-35 ‘metri, e le re-
sistenze passive quasi eliminate, lo Zeppieri colloca il motore ad una estre-
mità, di preferenza vicino al projettore, ove l'operatore cinematografico può
facilmente sorvegliarne il funzionamento.
Il collegamento sincronico del projettore col fonografo non era il solo
problema che l'inventore doveva affrontare. Infatti l'apparecchio Zeppieri
sarebbe rimasto manchevole senza il funzionamento continuativo del fono-
grafo e senza il controllo del sincronismo.
La continuità dell’azione nel cinematografo è raggiunta da sè con la
notevole lunghezza delle ms usuali, ma, per ciò che riguarda il grammo-
fono, l’azione sua è limitata dalle solite dimensioni dei dischi; vi si richie-
deva perciò un meccanismo che permettesse l'intercalazione di più dischi
successivi fonografici senza interruzione. Un apparecchio studiato a tal uopo,
aggiunto al sincronismo, prende il nome di « odègrafo ».
Esso consta di due piatti orizzontali girevoli, posti l'uno accanto al-
l'altro, che assumono un moto alternato, e sui quali sono applicati i dischi
fonografici. Esaurita l’azione di un disco, il piatto portante si arresta ed:
entra in moto l’altro piatto e con esso il disco relativo ; a questo segue nuo-
vamente il primo, poi il secondo e così di seguito fino a che la successione
dei varî dischi compie l’azione determinata dai flms cinematografici. Si noti
che fra l’azione di un disco e quella dell’altro corre un tempo di 4 minuti
RENDICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sem. 54
— 418 —
primi, tale da bastare all'operaio per levare il disco dal piatto portante e
sostituirvi il successivo.
Per mantenere una tonalità perfetta nella riproduzione del suono, fu
necessario regolare il moto di rotazione dei piatti in modo da avere non solo
una velocità costante, ma altresì l'arresto immediato di un piatto e l’avvia-
mento istantaneo dell'altro. Un volano ed un regolatore a molla mantengono
il moto uniforme, mentre un ingegnoso sistema di leve aescatto fa sì che
al momento opportuno un piatto si fermi bruscamente, e l'altro si metta
subito in moto colla velocità conveniente.
Dell’odègrafo lo Zeppieri costruì un primo tipo ove, essendo la forza
motrice applicata ai perni verticali dei piatti girevoli, le forze d'inerzia sono
vinte da opportune molle regolabili. Un secondo tipo, fatto dopo lunghi
studi, è basato su un principio leggermente diverso, essendo la forza motrice
applicata alla periferia dei piatti mediante una funicella metallica, la cui
elasticità assorbe gli urti provenienti dalle forze d'inerzia. L'applicazione di
questa funicella metallica richiese una moditicazione nelle ordinarie’ corde
d'acciaio, poichè era indispensabile evitare i lievissimi scorrimenti che questa
poteva subire lungo la periferia dei piatti, e ciò per non perdere il sincro-
nismo. La funicella metallica porta quindi una serie, di sferette d'acciaio
fissate ad essa a distanze uguali. In corrispondenza di queste sferette vi
sono, nella periferia dei piatti, degli alloggiamenti, in modo che nel moto
di rotazione ogni scorrimento della funicella metallica è evitato.
Questo cordino metallico pallinato è stato dallo Zeppieri anche appli-
cato con successo alla trasmissione meccanica da una puleggia all'altra per
evitare gli ingranaggi e diminuirne gli attriti.
Il controllo del sincronismo si ottiene mediante due quadranti nell’o-
dègrafo e nel proiettore.
Il quadrante nell’odègrato porta due indici con due numerazioni di-
stinte. La durata di un disco è di 4’, nei quali esso compie 320 giri: la
prima numerazione inscritta in un cerchio porta 80 divisioni. e l'indice com-
pie, nei 4’, quattro giri; in corrispondenza di ogni giro l'altro indice compie
una divisione della seconda numerazione inscritta in un secondo cerchio di 8
divisioni, pari a 8 minuti. Per tal modo l'operatore che sorveglia l'odègrafo può
in ogni istante sapere esattamente quanti giri ha compiuto il disco che ruota.
Il quadrante del projettore è analogo al precedente, ma porta, oltre alle
due numerazioni suddette, una terza numerazione inscritta in un cerchio di
12 divisioni, corrispondenti a 12 fotogrammi della lm, che passano da-
vanti all'obbiettivo nel tempo in cui un disco compie un giro, cioè in !/go di
minuto primo. In corrispondenza di questo quadrante la lm porta una nu-
merazione progressiva per la successione dei fotogrammi, cosicchè riesce age-
vole rimettere la pellicola cinematografica in sincronismo coi dischi, quando
accadesse che tale sincronismo fosse perduto.
— 419 —
Nel caso di rottura della fm l'operatore cinematogratico ferma il mo-
tore elettrico, indi accomoda col solito sistema la pellicola, sostituendo,
ove fosse necessario, un breve tratto in bianco al posto di quei fotogrammi
che si fossero eventualmente tolti.
L'invenzione di Emilio Zeppieri completa e perfeziona il successo della
cinematogratia ordinaria, che è industria prevalentemente italiana, e tenderà
ad accostarsi all'arte lirica, che in Italia ha la sua culla gloriosa, per imi-
tarne i motivi.
Chimica. — / punti di ebullizione delle miscele idroalcoo-
liche a diverse pressioni. Nota di Uso PraTOLONGO (', presen-
tata dal Socio AncELO MENOZZI (?).
Allo scopo di risolvere alcuni problemi inerenti alla determinazione
ebulliometrica dell'alcool nei vini, alla costruzione e all'impiego degli ap-
parecchi relativi (*), ho fatto oggetto d'indagine l'influenza che sul punto
di ebullizione delle miscele idroalcooliche spiegano le variazioni di pressione.
Dei risultati conseguiti dò conto nella presente Nota, richiamandomi al
lavoro testè citato per le conseguenze di carattere applicativo che ne derivano.
La tensione del vapor acqueo a diverse temperature fu già oggetto di
classiche ricerche da parte di Regnault. Le tensioni di vapore dell’ alcool
etilico furono ripetutamente oggetto d'indagine, con risultati in sufficiente
accordo, se non del tutto coincidenti. Le determinazioni di Regnanult (*).
assegnano al punto di ebullizione dell'alcool una variazione di gradi 0 0339
per la variazione di pressione di un millimetro di mercurio, in prossimità
della pressione normale; le determinazioni di Schmidt (5) e di Noves e
Warfel (6) assegnano alla stessa variazione il valore 0,0333; le determi-
nazioni di Kahlbanm e v. Wirkner (7) attribuiscono alla stessa variazione
il valore 0,0317.
L'influenza della pressione sul punto di ebullizione delle miscele idroal-
cooliche non è stata sinora, per quanto è a me noto, oggetto di indagine.
Le determinazioni vennero compiute in un apparecchio ebullioscopico
Beckmann della foggia consueta, a triplice tubulatura.
Nella tubulatura mediana, più capace, era sospeso, a tenuta d’aria, un
refrigerante a ricadere. Lungo questa tubulatura, al disopra del refrigerante,
(1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica Agraria della R. Scuola Superiore
d'Agricoltura di Milano.
(2) Presentata nella seduta del 5 ciugno 1921.
(3) Cfr. Giornale di Chimica Industriale ed Applicata, vol, III, nn. 4, 6 e 7 (1921).
(4) Mémoires de l'Acad. des Sciences. Paris vol. 26, pag. 350, 1862; v. anche
Ramsay e Young, Journal Chem. Soc., vol. 47, pag. 640, 1885 e Phylos., Trans. vol. 177,
pag. 127. 1886.
(5) Zeitschr. Phys, Ch., vol. 8, pag. 633, 1891.
(9) Journal of the Americ. Chem. Soc.. vol. 238, pag. 464, 1901.
(7) Zeitschr, Phys, Ch., vol. 26, pag. 603, 1898.
— 420 —
sì apriva una tubulatura secondaria per la quale l'ebullioscopio era colle-
gato con l'apparecchio a vuoto.
Nelle due tubulature laterali erano innestati, sempre a tenuta d'aria,
due termometri: un termometro Beckmann diviso in centesimi di grado e
un termometro comune graduato a decimi di grado, sul quale peraltro, con
l’aiuto di una lente, era agevole leggere anche i ventesimi di grado.
L’apparecchio a vuoto era costituito da un comune aspiratore a caduta
d'acqua comunicante con una bottiglia tubulata, sufficientemente grande da
compensare “le oscillazioni di pressione dipendenti dall’incostante regime
dell’aspiratore. Sulla bottiglia era inserito il manometro a mercurio.
L'esperienza ha dimostrato che è pressochè impossibile, nelle condizioni
sperimentali adottate, ridurre gli errori inevitabili di osservazione al disotto
di un ventesimo di grado, mediamente; sì che riesce pressochè indifferente
eseguire le determinazioni sul termometro Beckmann a centesimi o sul ter-
mometro comune a ventesimi di grado; l’impiego di quest'ultimo, data la
piccola capacità termica del bulbo e la rapidità con cui assume la tempera-
tura del liquido bollente, presenta anche qualche vantaggio sull'impiego del
termometro Beckmann.
Tale difficoltà dipende evidentemente dalla difficoltà di mantenere co-
stante il regime di ebullizione e quindi di evitare le leggere variazioni di
tenore della soluzione idroalcoolica bollente in dipendenza dell'ineguale con-
centrazione del liquido bollente e del distillato; le piccole irregolari varia-
zioni di tenore che ne derivano dànno lmogo a sensibili variazioni momen-
tanee del punto di ebullizione, che oscilla perciò irregolarmente nei limiti
or ora enunciati.
Credo anche opportuno ricordare, sebbene si tratti di fenomeno normale,
che la natura del mezzo usato per evitare il soprariscaldamento delle mi-
scele in esame — perline di vetro, pezzetti di pomice, pezzetti di platino,
aria gorgogliante da un sottile capillare — non è senza influenza sui risul-
tati conseguiti, tanto da rendere inconfrontabili serie di dati ottenuti con
mezzi diversi.
I dati ebullioscopici conseguiti con l'impiego dell'apparecchio Beckmann
vennero controllati per gruppi con un apparecchio ebulliometrico metallico
a riscaldamento elettrico, quali si usano nella determinazione ebulliometrica
dell'alcool nel vino.
L'impiego di tale apparecchio consente di ridurre sensibilmente l'errore
medio di osservazione; i dati forniti da tale apparecchio s’accordano, nei
limiti degli errori d’osservazione, con quelli forniti dall’ apparecchio
Beckmann.
Considerato lo scopo della ricerca e le speciali difficoltà ad essa ine-
renti, ho determinato, anzi che i punti di ebullizione delle diverse miscele
a diverse pressioni, le variazioni del punto di ebullizione delle singole mi-
scele conseguenti ad una determinata variazione di pressione.
— 421 —
Allo scopo di conferire ai risultati sperimentali il più stretto valore
comparativo, ogni serie di determinazioni veniva compiuta su una stessa
miscela, mantenuta in condizioni identiche, salvo la pressione, alternando
irregolarmente le pressioni e ripetendo le determinazioni ad una stessa pres-
sione, sì da evitare o correggere gli errori dipendenti da modificazioni siste-
matiche nelle condizioni del sistema.
Le miscele idroalcooliche esaminate vennero costituite mescolando ac-
qua ed alcool puro — a 99,2% — nelle proporzioni volute.
Il tenore della soluzione in esame veniva determinato densimetrica-
mente prima e dopo ogni serie di determinazioni.
Ogni determinazione venne eseguita per lo meno in triplo, sì da avere
la misura degli errori sperimentali.
I risultati conseguiti sono raccolti nella tabella seguente :
Variazione del punto di ebullizione delle miscele idroalcooliche a diverse pressioni.
=
S pla SOLO Pressione Variazione DI
È del punto di ebullizione
E °o in peso | °/o in volume | mm. di mercurio
1 8.22 10.20 760 =
700 2.23 + 0.05
640 4.68 = 0.05
2 16.82 20.6 760 —
700 2.18 = 0.04
640 4,54 + 0.06
3 26.41 pi 760 —
700 2.14 + 0.06
640 4.46 = 0.05
4 37.45 44,9 ‘60 =
700 2.10 + 0.03
640 4.38 = 0.06
53) 47.50 55.2 760 _
700 2.06 = 0.05
640 4.80 * 0.06
6 58.27 66. 760 —_
700 2.03 + 0.06
640 4.24 + 0.05
7 68.49 15.5 760 —
700 2.— = 0.04
640 4.18 + 0.06
8 80.— 85.4 760 =
700 1.97 * 0.06
640 4.12 + 0.06
«JN: 92.46 95. 760 =
700 1.95 = 0.05
640 4.10 + 0.04
— 422 —
I risultati sperimentali raccolti nelle pagine precedenti e i dati già
noti sul punto di ebullizione delie miscele idroalcooliche a pressione nor-
male, consentono di compilare la tabella dei punti di ebullizione delle mi-
scele idroalcooliche a diverse pressioni.
Mi sono valso a tale scopo, per gli alti titoli alcoolici dal 92 al 100%.
di alcool dei dati conseguiti, nelle loro accurate determinazioni, da Noyes
e Warfel (1. c.). Nel campo dei medi e dei bassi titoli alcoolici mi sono
attenuto invece ai meno recenti dati di Gròning; i dati di Noyes e Warfel
presentano in questo campo sensibili discontinuità, dipendenti probabilmente
dall'impiego di diversi metodi di determinazione.
Nella tabella che segue, i dati riferentisi alla pressione normale sono
dal 2 al 13 tratti dalle tabelle del Gròning; i dati n. 14 e 15 sono tratti
dalla tabella di Noyes e Warfel.
I punti di ebullizione delle miscele idroalcooliche a diverse pressioni.
5 Tenore delle soluzioni
S idroalcooliche Punto di ebullizione
5 Alcool
z °/o in volume °fo in peso 760 mm. di merc. | 700 mm. di merc. | 640 mm. di mere.
1 _ _ 100.— STI 95.26
2 5. — 4.— 95.9 93.64 91.22
i) 10. — 8.04 92.6 90.37 £7.97
4 15.— 12.15 90.2 88.00 85.62
5 20. — 16.28 88.3 86.12 83.76
6 25. — 20.41 86.9 84.74 82.40.
7 30. — 24.69 85.7 83.56 81.24
8 40. — 33.39 84.1 81.99 79.70
) 50. — 42.52 82.8 80.73 78.48
10 60. — 52.20 81.7 79.67 77.46
11 70. — 62.50 80.8 78.80 76.62
12 80. — 73.59 79.9 77.92 75.76
13 90. — 85.75 79.1 77.14 74.99
14 95. — 92.46 78.24 76.29 74.14
103) 100. — 100.— 18.30 76.40 74.30
I dati riferentisi all'acqua — n. 1. — sono desunti dalla determina-
zione di Regnault. I dati riferentisi all'alcool etilico — n. 15 — sono
ottenuti sottraendo dal punto di ebullizione dell'alcool — 78,3 — (Noyes.
e Warfel) le differenze che risultano dalle determinazioni a diverse pres-
sioni di Kahlbaum e v. Wirkner (1. c.)
— 423 —
È appena necessario rilevare che i dati originali raccolti nella tabella
che precede riflettono necessariamente gli errori onde sono affette le determi-
nazioni dei punti di ebullizione delle miscele idroalcooliche a pressione
normale (Gròning, Noyes e Warfel) da cui sono derivati.
Il diagramma che segue espone graficamente i risultati stessi.
100°
980 \
960 \
Temperature di ebullizione
(00)
DI
o
PEA
Da
Ea
SU
SE rd
x.
ES
x I
i
x
CC
Xx 95
x
I a
Ii
—2 3
a == e)
be
Dar È
2
&
te
(2)
780 5
(60 >
a
Tl |
i |
Acqua Alcool etilico
I punti di ebullizione delle miscele idroalcooliche a diverse pressioni.
Poteva presentare qualche interesse, sopratutto dal punto di vista teo-
rico, la determinazione sperimentale delle concentrazioni idroaleooliche per
le quali è minimo il punto di ebullizione alle diverse pressioni.
Le curve di punti di ebullizione a diverse pressioni presentano peraltro
— come è agevole rilevare nel diagramma che illustra il presente lavoro —
nella regione del minimo così lieve curvatura, che la ricerca riesce assai de-
licata ed esige l’impiego di mezzi di misura di grande acutezza.
— 424 —
Chimica. — Sulla costituzione dei dipeptidi dell’acido aspar-
tico (*). Nota di C. RAVENNA, presentata dal Socio G. CIAMICIAN (°).
La teoria fa prevedere due dipeptidi dell'acido aspartico isomeri chimici
a seconda che nella condensazione una delle molecole di acido aspartico sia
impegnata per il carbossile che si trova in posizione @ rispetto al gruppo
— CH.NH, o per quello in posizione £:
COOH . CH, . CH(COOH). NH. CO. CH(NH.).CH,.COOH forma «
COOH . CH, . CH(COOH). NH. CO. CH,. CH(NH.). COOH forma £#
Il composto @ è stato ottenuto da Fischer e Koenigs (*) e la costitu-
zione è dedotta dal suo modo di formazione dall’acido dichetopiperazin-
diacetico.
Gli studî precedenti miei con G. Bosinelli (*) avevano dimostrato che
per ebollizione della soluzione di asparagina ordinaria si origina una sostanza
di composizione e caratteri identici a quelli descritti da Fischer e Koenigs
per il loro dipeptide. Ma poichè in uno studio successivo (*) abbiamo sta-.
bilito che tale sostanza, pure producendosi in larga misura dall’asparagina,
non si forma nè dalle soluzioni di acido aspartico nè da quelle di aspartato
ammonico, deducemmo che la condensazione iminica doveva avvenire non per
mezzo del carbossile libero di una delle molecole di asparagina, ma per mezzo
di quello che si trova allo stato di amide e che essendo esso in posizione £
rispetto al sruppo — CH.NH,, al dipeptide da noi ottenuto si dovesse asse-
gnare la struttura # e che fosse perciò da considerarsi non identico, ma
l'isomero chimico di quello di Fischer e Koenigs.
Per avere la prova sperimentale di tale deduzione teoretica ho prepa-
rato il dipeptide di Fischer e Koenigs nella presunzione che da un confronto
(!) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica agraria della R. Scuola superiore
di agricoltura a Portici.
(2) Presentata nella seduta del 6 novembre 1921.
(3) Berichte, XL, 2, 2048 (1907).
(4) Questi Rendiconti, XXVIII, 2, 113 e 137 (1919); Gazzetta chimica italiana,
XLIX, 2, 303 (1919).
(5) Questi Rendiconti, XXIX, 1, 1 (1920); Gazzetta chimica italiana, L, 1, 281 (1920).
— 425 —
più approfondito di esso col nostro, potesse emergere qualche proprietà atta
a differenziare i due isomeri. Per la preparazione, seguendo le indicazioni
degli autori, l’asparagina venne trasformata nell’etere dimetilico dell'acido
aspartico; questo fu condensato ad etere dimetilico dell'acido dichetopipera-
zindiacetico che saponificato diede l'acido corrispondente. Per trattamento
dell'acido con barite si ottiene il dipeptide.
Esso si presenta come una polvere bianca, soffice, amorfa, di sapore
acido. È solubilissimo nell'acqua; la soluzione concentrata è sciropposa e,
dallo sciroppo, rimescolato con alcool, si separa in breve il dipeptide polve-
rulento. A 120° si decompone rigonfiandosi senza fondere. Queste proprietà
sono quelle già descritte da Fischer e Koenigs, da me ora riconfermate, ma
peraltro identiche a quelle del nostro presunto #-dipeptide.
Ho cercato perciò di mettere in evidenza qualche altro carattere del-
l’acido asparagil.aspartico di Fischer e Koenigs. Se lo sì riscalda per 5-6 ore
in tubo da saggio aperto, alla temperatura di 210°, esso si trasforma in una
sostanza che per tutte le sue proprietà è stata riconosciuta identica al corpo
della composizione CgHyN:0, (l'antica imide fumarica) al quale già asse-
gnammo la costituzione di un’anidride dell'acido dichetopiperazindiacetico
(vedasi oltre) e che avevamo ottenuto, a suo tempo, anche dal nostro dipeptide.
Neppure nel contegno col riscaldamento potei quindi osservare alcuna diffe-
renza fra i due dipeptidi.
Caratteri differenziali evidenti li ebbi invece confrontando il contegno
dei due dipeptidi da un lato coll’acetato di piombo neutro e dall’altro col
solfato di rame e potassa caustica. Coll’acetato di piombo il nostro dipeptide
produce un precipitato voluminoso solubile, ma difficilmente, in eccesso di
reattivo; quello di Fischer e Koenigs precipita del pari abbondantemente
coll’acetato di piombo, ma il precipitato è assai facilmente solubile nell'ec-
cesso. Col solfato di rame e potassa caustica il nostro dipeptide dà, come
. è noto, nel modo più caratteristico la reazione del biureto; quello di Fischer
e Koenigs produce invece soltanto una colorazione nettamente azzurra.
Dopo avere in tal modo stabilito che il dipeptide di Ravenna e Bosi-
nelli non è identico, ma è l’isomero chimico di quello di Fischer e Koenigs,
per esaurire il programma che mi ero proposto rimaneva da accertare quali
dei due dipeptidi prenda origine dall’anidride dall'acido dichetopiperazindia-
cetico.
È stato detto a suo tempo che una tale anidride si forma per riscal-
damento sia del malato acido di ammonio che del f-dipeptide dell'acido
aspartico ed anche, come si è visto più sopra, dall’ @-dipeptide di Fischer
e Koenigs. Ad essa fu assegnata la costituzione sottoindicata da Ravenna e
Bosinelli i quali dimostrarono inoltre che per trattamento a freddo con acqua
di barite questo corpo si trasforma nell'acido asparagil-aspartico. Poichè,
confrontando le relative formule di struttura si osserva che a seconda del
RENDICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sem. 55
— 426 —
modo di apertura degli anelli può formarsi tanto l’uno quanto l’altro
dipeptide.
CO-—CH, COOH —CH, COTCH,
co co | Hoco |
Ì
N dn Hi DE; NH \CH
CH N CH NH ca i
NA o i
Co | ©ooH | ©ooH
CHi—C0 CH,— COOH CH, -—COOH
Anidride dell’acido a-dipeptide B-dipeptide
dichetopiperazindiacetico dell’acido aspartico dell’acido aspartico
e non essendovi d'altra parte ragioni per affermare a priorî quale dei due
possa prendere origine, ho preparato nuovamente, per risolvere la questione,
la detta anidride partendo sia dal malato acido di ammonio sia dai due
dipeptidi isomeri e sempre seguendo i procedimenti indicati nelle precedenti
Note, dalle anidridi delle tre provenienze ho preparato, per trattamento colla
barite, i rispettivi dipeptidi.
Per riconoscerne la costituzione, le soluzioni di essi furono trattate da
un lato coll’acetato di piombo neutro e dall'altro con solfato di rame e
potassa caustica. In tutti e tre ì casi si ottenne coll’acetato di piombo un
precipitato difficilmente solubile in eccesso di reattivo ed il solfato di rame
colla soluzione alcalina manifestò positiva la reazione del biureto. Ciò sta
ad indicare che il dipeptide che si origina dall’anidride dell'acido dicheto-.
piperazindiacetico è l’isomero 8 e conferma inoltre che l'anidride è sempre
la stessa sia che provenga dal malato ammonico, sia dall'uno o dall'altro
dei dipeptidi.
Poichè si poteva peraltro pensare che dall’anidride dell'acido dicheto-
piperazindiacetico si fosse formato, col £ dipeptide, anche l'isomero «@ in
modo da aversi un equilibrio delle due forme, ho ricercato se l’ @-dipeptide
fosse stato presente. A tal fine, una parte del dipeptide ottenuto dall'ani-
dride venne trattata con acetato neutro di piombo in piccolo eccesso; dal
liquido filtrato che avrebbe dovuto contenere l’@-dipeptide, venne eliminato
il piombo con idrogeno solforato ed il nuovo filtrato fu evaporato nel vuoto.
Rimase un piccolo residuo sciropposo sul quale si eseguì la reazione del
biureto. Essa risultò positiva. Sembra perciò che dalla detta anidride si origini
esclusivamente il 8-dipeptide.
Le esperienze descritte in questa Nota, hanno dunque dimostrato, in
armonia colla supposizione esposta nella Nota precedente, che il dipeptide
dell'acido aspartico da noi ottenuto per ebollizione delle soluzioni acquose
dell'asparagina ordinaria (8-asparagina), non è identico, ma è l’isomero chi-
— 427 —
mico del dipeptide di Fischer e Koenigs, ed inoltre che anche al dipeptide
da noi ottenuto per via indiretta dall’anidride dell’acido dichetopiperazin-
diacetico è da assegnarsi la struttura del $-dipeptide. L'@-dipeptide con ogni
probabilità potrà peraltro ottenersi anch'esso per sintesi diretta dall’a-aspa-
ragina per ebollizione della sua soluzione acquosa. La questione potrà quindi
formare oggetto di ulteriori studî. Mi riservo inoltre di continuare le ricerche
sulla sintesi dei polipeptidi per mezzo delle amidi degli aminoacidi; argo-
mento che interessa il problema della funzione di questi corpi nei vegetali.
Ringrazio infine il dott. Ulderico Azzurrini per l’efficace aiuto che mi
prestò nell'esecuzione di queste esperienze.
Geomorfologia. — Lo svolgimento della morfologia costiera.
Nota di GAETANO ROVERETO, presentata dal Socio ARTURO IssEL (').
A un risultato non meno imperfetto si giunge quando col concetto di
un'azione ciclica si vogliono spiegare le forme delle coste (?).
Raoul Blanchard, ad esempio, studiando le coste della Provenza (8),
chiama sezili quelle della Camarga, mature le proprie alla penisoletta dei
Martigues, /endenti alla maturità le altre da Tolone alle Hyères, giovani
le distese da Marseilleveyre a Cassis. Eppure son tutti tratti di costa bat-
tuti dalla stessa onda e da egual tempo; onde è certo, che con simili di-
stinzioni si prescinde talmente dal modo di svolgimento fisico e geologico
del fenomeno, che il sistema sorpassa il fatto, ed è erroneo.
A parte la questione, che abolita la mozione tempo nella esplicazione
del fenomeno, si distinguono i diversi stadî su prevenzioni affatto conven-
zionali, bisogna anche dire, come con tal metodo venga abolita ogni esamina
«di quanto influiscano sulla forma della costa tutti i diversi e numerosi fat-
tori concomitanti e isolati, preparatori e determinatori della linea costiera,
in comparazione dei quali l’azione dell'onda, da cui deriverebbero le condi-
zioni caratterizzanti i varî stadî come forme, e non come svolgimenti, è di
una importanza molto secondaria.
Così, il Davis, con quei suoi suggestivi diagrammi in cui una costa
gradualmente si modifica per la continuata azione dell’onda (4), non considera
che le forme derivanti da questo solo agente, non sono precisabili con sicu-
rezza, poichè la composizione litologica, l'assetto stratigrafico, la posizione
geografica, lo stato morfologico, hanno su quel tratto di costa influenze più
‘chiare e meglio determinanti, o molto più attive, di quelle delle onde.
(1) Pervenuta all'Accademia il 18 ottobre 1921.
(?) Rend. Accad. Lincei, vol. XXIX, fasc. 30-49, 1920.
(3) Blanchard R., Les cotes de Provence. La Géogr., vol. XXIV, 1911.
:(4) Davis W. M., Practical exercises in physical geography. Boston, 1908.
— 428 —
Le alte falesie che troncano lunghi tratti della Riviera di Levante, non
sono solo dovute all'arretramento della costa sotto l’azione del mare: azioni
anteriori hanno preparato una costa ripida, sopra e sotto il livello del mare,
contro la quale l’ondazione ha prodotto quell’intaglio conferente a tale costa
l'aspetto che i geografi chiamerebbero giovane; e difatti, la sparizione dei
terrazzi marini quaternarî, la troncatura dei terrazzi fluviali dello stesso
periodo, le vallette longitudinali in posizione costiera, i mancati arretramenti
dove esistevano rocce più resistenti, tutto indica che le forme di tale co-
stiera sono recenti Ma l'insieme è antico: la riva di costa del quaternario
è per lunghi tratti sovrapposta a quella del pliocene.
Ma lungo la costa della Toscana esistono per notevoli distese forme
affatto differenti: abbiamo un retroterra, sorto dal mare pliocenico, a forme
ampie e dolci, quindi a false forme mature, e con una riva deposita, unita
e ragguagliata, che i geografi chiamerebbero serzie. Eppure la costa della
Toscana è più giovane di quella della Liguria, la sua linea di costa plioce-
nica bisogna cercarla molto lungi entro terra, e le differenze fra loro non sono do-
vute a diversità nelle azioni del mare, mà a quelle eudogene di sollevamento.
Quindi, con i dettami della geografia si può solo definire la condizione
morfologica, parlare di costa unita, ragguagliata, intaccata, frastagliata e si-
mili; con quelli della geologia stabilire i fenomeni endogeni che hanno pro-
dotto tanto l'emersione e il limite del continente, quanto la morfologia sot-
tomarina; con quelli della geomorfologia è possibile coordinare le osservazioni
fatte negli altri due campi, e riconoscere il modo di svolgimento delle varie
forme: svolgimento la cui continuazione, come si è visto dai confronti ora
fatti, non porta a determinate forme collegate a determinati stadî.
Lo studio delle coste presenta questa grande facilitazione, che la rap-
presentazione in piano delle stesse è senz'altro gran parte della descrizione
morfologica. Basta poca cognizione geologica per passare a comprendere le
condizioni strutturali e la storia genetica.
Per farsi un concetto più definito di questi accomunamenti si consideri,
ad esempio, che una costa ben vallonata, sommergendosi — condizione geo-
grafica e fatto geologico — dà luogo a forti rientranze che risalgono secondo.
i fondi delle valli: le parti fra queste sporgenti, sotto forma di capi e si-
mili, si conservano se costituite da roccia ben salda — condizione litolo-
gica — come nel caso delle rzas che sono in granito; per di più, con la
stessa roccia si ha una condizione particolare, quando sia intervenuta l’azione
dei ghiacciai — condizione fisica e agente geologico — che è quella dei fi0rdz.
Hanno ancora foggie differenti le insenature dipendenti da rocce stratificate,
e dallo stato di divisione e di pendenza di queste: le più singolari sono
quelle associate a strati orizzontali, cui d'ordinario si dà il nome di cade,
che io ho sostituito, per precisar meglio, con quello di marse ('): ne sono.
(1) Rovereto G., Studi di geomorfologia, pag. 509, 1908..
— 429 —
esempio le marse di Bonifacio (!), di Siracusa. di Malta, di Tobruk, ecc.; non
è quindi esatto. come fa il geografo Bruhnes (?), di riunire le cale alle rias.
Una variazione delle rias sono invece le calazche della Provenza, dal
primo loro descrittore, il geologo Fournier (3), attribuite ad una fratturazione
costiera, ma conseguenti invece da una sommersione più ridotta, di una costa
poco sollevata, in roccia porfiritica, resistente come la granitica; la loro diffe-
renziazione della rias consiste solo nel minore e più ristretto addentra-
mento, dovuto alla minore entità dell'incisione continentale e della som-
mersione.
Con le rias sono state accomunate anche le vallone della Dalmazia; però
è meglio continuare a tenerle distinte; perchè si tratta di rientranze, che
hanno, è vero, un'origine eguale a quella delle rias, ma presentano condi-
zioni differenti: sono addentrate in modo straordinario in una regione che,
per essere carsica, ha impedito alle correnti terrestri di colmarle con mate-
riali di trasporto.
Morfologia. — Intorno alla morfologia del cervello di Pr o-
teus anquineus e sull'esistenza del suo nervo ottico (Contri
buto allo studio comparativo del sistema nervoso centrale degli
Anfibi) (4). Nota del dott. EpoaRDO BENEDETTI, presentata dal Cor-
rispondente E. GIACOMINI (°).
Ho da qualche tempo intrapreso, quale contributo allo studio compara-
tivo del sistema nervoso centrale degli Anfibi e particolarmente degli Uro-
deli, una serie di ricerche intorno al cervello di Proteus anguineus, soprat-
tutto riguardo all'esistenza del sno nervo ottico e del cervelletto, che venne
negata dall'Edinger e dal Hirsch-Tabor.
In attesa che il lavoro, già condotto a buon punto, venga completato
e pubblicato per esteso, stimo frattanto opportuno di rendere noti i risul-
tati principali che ho potuto ricavare dalle indagini e dalle osservazioni da
me finora eseguite.
La struttura delle singole parti componenti il cervello di Proteo è estre-
mamente semplice. Vi ha una sostanza grigia centrale formata da elementi
(1) Il Giustiniani, geografo genovese della fine del secolo XV, così ricorda: « Bo-
nifacio..... ha un porto, ossia un canale, ovvero una cala ». Mss. in Biblioteca Berio.
(?) Brunhes J., Les calas des Baléares. La Géographie, vol. XXV, 1912.
(3) Fournier E., Études s‘rutigr. sur les calanques du l'ittoral des Bouches du Rhòne.
Feuill. d. Jeun. Natur., jull., 1894. ;
(4) Lavoro eseguito nell'Istituto di anatomia comparata dell’Università di Bologna.
(*) Presentata nella seduta del 6 novembre 1921.
— 430 —
cellulari insolitamente grandi, e perciò più scarsi che non in altri Anfibi, di-
sposti senza ordine apprezzabile immediatamente sopra l’ependima. Salvo rare
eccezioni, non si nota la formazione di distinti nuclei nervosi.
I ventricoli cerebrali e le comunicazioni tra questi (acquedotto del
Silvio, forami di Monro) sono senza confronto più ampii che non negli altri
Anfibi urodeli ed anuri, ove soltanto allo stadio larvale troviamo disposizioni
lontanamente simili a quelle del Proteo.
Se noi con Johnston, Kappers, Studnicka ed altri, consideriamo il telep-
cefalo. dei Pesci come evertito, e quello degli Anfibi anuri come invertito,
allora troviamo nel Proteo uno stato intermedio rispetto a questa rotazione
degli emisferi; perciò le singole regioni, funzionalmente identiche a quelle
di altri Anfibi superiori al Proteo, vengono in quest’ultimo animale a tro-
varsi in una posizione diversa rispetto alle medesime dei menzionati Anfibi.
La regione del septum negli emisferi del Proteo sporge in modo molto.
pronunciato nell'interno di ciascun ventricolo. Per questo motivo e anche
in causa della maggiore eversione rispetto agli emisferi di altri Anfibi uro-
deli e anuri, il contorno della sezione trasversale della cavità degli emisferi
non si presenta elittico, come in questi, ma spiccatamente triangolare.
Sempre in causa della maggiore eversione degli emisferi, la scissura
interemisferica è qui estremamente superficiale e scompare quasi nella por-
zione caudale degli emisferi. Negli altri Anfibi essa si mantiene per tutta.
la lunghezza degli emisferi stretta e profonda.
L'apparecchio olfattorio è sviluppatissimo e assume negli emisferi una
estensione molto maggiore che non negli altri Anfibi.
Il nervo olfattorio di ciascun lato si distribuisce, appena entrato nel
bulbo olfattorio, a due zone di glomeruli ben distinte e di grandezza pres-
sochè eguale; non presenta perciò la disposizione solita, conosciuta in altri
Anfibi, di una radice principale e una secondaria, essendo nel Proteo ambedue.
le radici di eguale potenza.
Le fibre nervose che formano il fascicolo prosencefalico mediale incro-
ciano nella lamina commessurale dorsalmente a quelle del fascicolo prosen-
cefalico laterale, immediatamente sotto alla « commissura pallii anterior ».
Questo comportamento, diverso da quanto finora iu descritto per gli Anfibi,
è dovuto: 4) alla grande estensione dell’area olfattoria; 2) all'ampiezza dei
forami interventricolari; c) all’eversione degli emisferi.
Tutta la porzione diencefalica è relativamente più estesa che non in altri
Anfibi, specialmente rispetto all’asse longitudinale.
La lamina infraneuroporica del pavimento diencefalico è straordinaria-
mente sviluppata in altezza, arrivando con la sua porzione dorsale in tutta
prossimità della parete dorsale diencefalica. Il recesso superiore o ventricolo.
comune è molto ampio, ha una forma del tutto diversa da quella che pre-
senta negli altri urodeli e comunica col III° ventricolo mediante uno stret-
— 49 —
tissimo canale, in seguito al comportamento della lamina infraneuroporica
dianzi descritto.
I gangli abenulari e la parafisi quali formazioni del tetto encefalico
sono molto più sviluppati che non in altri Anfibi. Al contrario, il sacco dorsale
(parte prossimale dell'organo pineale) è allo stato rudimentale.
I nuclei laterali ipotalamici, posti ai lati della porzione rostrale del
recesso infundibolare, sono senza confronto più sviluppati nel Proteo che non
in altri Antibi (Salamandra, Triton. Bufo. Rana) presi in esame.
Auche i corpi mammillari, situati nella regione ipotalamica, sono molto
più manifesti che non negli ora menzionati Anfibi.
È accertata nel Proteo la continuità del nervo ottico tra l'occhio e il
pavimento del diencefalo, e ciò contrariamente alle asserzioni di Edinger e
Hirsch-Tabor.
Durante il suo percorso extracraniale, l'esile nervo ottico del Proteo
penetra e corre per un breve tratto nell'interno del ramo oftalmico del tri-
gemino. Ciò vale a spiegarci la concezione che su tale nervo ebbe il Delle
Chiaie, ritenendolo un ramo della branca oftalmica del trigemino.
Alla base del cervello le fibre ottiche formano un tenue chiasma intra-
cerebrale.
Il mesencefalo è relativamente poco sviluppato, e la sostanza grigia del
tetto ottico mostra soltanto accenni a quella stratificazione che è propria del
tetto ottico degli altri Anfibi.
In causa del mancato sviluppo del tetto ottico, la parte dorsale del
mesencefalo, contrariamente a quanto si riscontra negli altri Anfibi epigei,
è più stretta che non la ventrale.
Il nucleo magnocellulare del tetto è straordinariamente sviluppato e vi-
sibile anche all’esterno nel cervello isolato e fissato in liquido di Miiller e
formalina, sotto l'aspetto di due striscie biancastre, che, partendo subito
dietro la commessura posteriore, decorrono ai lati della linea mediana dorsale
- e si riflettono poi lateralmente, seguendo il margine caudale del mesencefalo.
Contrariamente alle asserzioni di Edinger, esiste un cervelletto, rudi-
mentale nella sua porzione dorsale, bene sviluppato, e forse più che in altri
Urodeli, nelle porzioni laterali e ventrali. Queste parti sono addossate al
margine caudale laterale del mesencefalo e contengono numerose cellule che
si mettono in relazione, mediante le loro fibre, tanto col midollo allungato,
quanto con porzioni più rostrali del cervello.
Le fibre delle cellule ora menzionate, che si dirigono dorsalmente, si
accompagnano a delle altre che vengono dal midollo allungato, e insieme
con queste vanno a formare la commessura cerebellare (intertrigemina di
Edinger).
La porzione dorsale libera del cervelletto di Proteo rassomiglia in tutto
alla formazione omologa in larva di Salamandra; la porzione laterale e
-— 432 —
basale rassomiglia straordinariamente all’abbozzo di cervelletto in embrioni
di Teleosteo. i
I nervi cranici V, VII e X sono tutti oltremodo sviluppati. Nella re-
gione del vago le pareti del midollo allungato mostrano un ispessimento
ancora più manifesto che non nelle altre regioni. Viene così a formarsi un
piccolo « lobo del vago ». I gangli del V e VII sono separati.
Le radici più caudali del complesso del vago si riuniscono in un tronco
con decorso ascendente, che, a differenza di quanto si verifica in altri Anfibi,
non si unisce al tronco principale del vago, ma rimane autonomo; ricorda
esso con questo suo comportamento l'accessorio spinale degli Amnioti.
La vascolarizzazione dell'encefalo in generale è abbondantissima. I ca-
pillari sono molto grossi, ciò che non deve però meravigliarci, sapendo che
gli eritrociti del Proteo sono tra i più grandi di tutti i vertebrati.
Biologia. — Osservazioni sugli strati limitanti esterni del-
lo taloscheletro nelle forme larvali der Murenoidi ('). Nota IT del
dott. UMBERTO D’ANCONA, presentata dal Socio B. GrRassI.
Nella Nota precedente (2) ho descritto gli strati limitanti esternamente
lo ialoscheletro dei Murenoidi.
Tutti questi strati si seguono, nel modo già visto, tra la muscolatura
e lo ialoschelet:0; ventralmente e dorsalmente invece, dove nelle forme gio-
vani lo ialoscheletro non è ricoperto da muscolatura, si continuano soltanto
i due endotelii. Nelle forme più progredite, in cui la muscolatura circonda
tutto il corpo, dorsalmente e ventralmente i tubuli seguono la muscolatura,
gli endotelii lu ialoscheletro che così è tutto circondato dagli stessi. Lo strato
gelatinoso si continua nel connettivo cutaneo.
Le formazioni descritte si osservano tanto nelle larve quanto nelle semi-
larve. Già in prelarve appena sgusciate si rileva sicuramente la presenza
almeno dello strato dei tubuli e degli endotelii.
Nelle semilarve, man mano che si ha l'accorciamento del corpo e la
sua riduzione in senso dorso ventrale (*), si notano delle modificazioni negli
strati. I tubuli si assottigliano (‘), e, naturalmente unitamente ai miomeri.
(*) Dall’Istituto di anatomia comparata della R Università di Roma.
(3) Rendiconti R. Accad. Lincei, ser. 5%, vol. XXX, 2° sem.. pag. 385 (1921).
(8) Vedi Grassi, Metamorfosi dei Murenoidi. R. Comitato talassogr. ital, 1913.
(4) Per es. in una prima semilarva (nomenclatura secondo Grassi) di C' mystax,
lunga 150 mm., ho trovato un diametro medio dei tubuli di 9.9 4; in una seconda se-
mailarva di 117 mm. un diametro di 7,7 2; in una terza semilarva di 100 mm. un dia-
metro di 5,2 4; in una quarta semilurva di 95 mm. un diametro di 3,4 w.
î
- 433 —
si accorciano; gli strati di fibre e l'endotelio allungato diventano più fitti.
Nella C. mystax tutte queste modificazioni sono meglio evidenti nelle quarte
semilarve, che sono quelle più ridotte in lunghezza ed altezza.
In stadî più avanzati, contemporaneamente alla riduzione dello ialosche-
letro, si ha la scomparsa degli strati limitanti. Forse i tubuli sono i primi
a scomparire, mentre gli endotelii permangono fino a quando c'è traccia di
ialoscheletro. Nei Murenoidi in abito definitivo non vi è più traccia di tutte
queste formazioni, ma tra la muscolatura e lo scheletro assile c'è soltanto
un sottile strato connettivale
Passando a considerare il significato funzionale delle formazioni descritte.
è evidente che esso deve essere messo in rapporto colla locomozione.
I tubuli, a diretto contatto colle tibre muscolari, devono esercitare du-
rante la contrazione di queste una funzione antagonista tendendo, appena
cessata quella, a riportare in estensione il miomero accorciato.
I due strati di fibre connettivali colla disposizione di queste in senso
dorso-ventrale tengono unite le fibre muscolari durante la contrazione (1);
d'altro canto col loro incrociarsi obliquamente permettono ai singoli miomeri
di allungarsi e di accorciarsi; in terzo luogo i due strati offrono una resi-
stenza (*) alla pressione interna che, come osserva il Sella (*), sì sviluppa
durante il moto.
La funzione della lacuna tra i due strati endoteliali è probabilmente
quella di permettere una certa scorrevolezza della muscolatura sullo ialosche-
letro, che, secondo il Sella (4), deve essere rigido e poco comprimibile.
Alla fine della metamorfosi invece, per i movimenti più attivi dell’ani-
male, si rende necessaria una muscolatura più energica, che per conseguenza
ha bisogno di un appoggio più resistente e questo viene allora fornito dalla
colonna vertebrale, su cui i miocommi si inseriscono saldamente. In tali
condizioni devono scomparire sia lo ialoscheletro sia gli strati limitanti.
Concludendo si può dire che negli stadî larvali, correlativamente al
minor sviluppo della musculatura, ha gran parte nel movimento l'elasticità
della corda, dell’ialoscheletro e dello strato tubulare, formazioni che ten-
dono a riportare nell’estensione primitiva le parti contratte. Nelle forme in
abito definitivo invece il movimento cessa di essere in gran parte passivo
per diventare quasi completamente attivo, in relazione col maggiore sviluppo
della muscolatura.
(1) Cfr. Biedermann, Physiologie der Stita- und Skelettsubstanzen, in Handb. d.
vergl. Physiologie herausg. v. H. Winterstein, III Bd., I. Hilfte, 1914, pag. 939.
(2) Cfr. Biedermann, loc. cit.
(3) Sella, loc. cit., pag. 73.
(4) Sella, loc. cit.
RENDICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sam. 56
— 434 —
Biologia. — Muove ricerche sperimentali sullo sviluppo e
sulla metamorfosi degli Anfibi Anuri. (Sui problemi inerenti
agli innesti tra larve a litio e larve normali di Bufo vulgaris).
Nota del dott. GruLio CoTRONEI ('), presentata dal Socio B. GRASSI.
Riassumo un mio lavoro che va in stampa nell’ « Archivio Zoologico ».
Le presenti ricerche hanno avuto per scopo essenziale di fare risaltare con
nuovi procedimenti di esperienze combinate la natura delle correlazioni nello
sviluppo e nella metamorfosi degli Anfibi Anuri.
Trattando le uova in isviluppo di Bufo vulgaris con una soluzione di
cloruro di litio si osserva un'azione paralizzante : lo sviluppo viene rallen-
tato; alcuni organi risentono maggiormente quest’azione che si può tradurre
in malformazioni molto intense nella regione cefalica precordale.
Trattando, poi, le larve a litio che hanno potuto proseguire nel loro
sviluppo, ma che non presentano malformazioni tanto intense da impedirne
l’azione, con succo tiroideo messo in soluzione nell'acqua ambiente, ho po-
tuto osservare che le larve a litio, cui ora ci riferiamo, vanno in metamor-
fosi in ritardo rispetto alle larve normali della medesima età e che hanno
anche esse subito l’azione del succo tiroideo.
Ho tratto partito da questi risultati per procedere, mediante esperiénze
d’innesti, allo studio di alcuni problemi.
Ho pensato di unire ventralmente mediante innesti « alla Born » larve
a litio e larve normali di Bufo vulgaris (4-5 mm.). Ho unito tra loro
anche larve normali.
I problemi che mi sono proposto sulla base concreta dei miei esperi-
menti si possono riassumere nei seguenti :
Come si comporta lo sviluppo di una larva a litio quando vien messa
in unione permanente con una larva normale?
C'è uno scambio di sostanze che mette all'unisono, per dir così, lo
sviluppo delle due larve ?
Quando s’inizia questo eventuale scambio di sostanze ?
Qual'è il comportamento che presentano le due larve nella metamor-
fosì ?
‘1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Anatomia e Fisiologia comparata della R. Uni-
versità di Roma.
— 435 —
La riuscita completa dell'esperienza più difficile da me tentata presup-
poneva la riuscita successiva e associata di tre differenti esperienze. Gravis-
sime sono state pertanto le difficoltà tecniche incontrate e il lettore non si
stupisca nel sapere che soltanto per una coppia litio-normale sono riuscito
a raggiungere la fase di metamorfosi, con il trattamento con endotiroidina
(dell'Istituto sieroterapico milanese).
La larva a litio appartenente a questa coppia presentava malformazioni
nella regione preoculare per la cui descrizione rimando al lavoro in esteso;
‘ essa non era però delle più malformate, e in accordo con mie precedenti espe-
rienze ritengo che anche senza essere unita con una larva normale avrebbe
raggiunto il medesimo stadio di metamorfosi. Lo studio della coppia sud-
detta mi è stata più profittevole per i seguenti risultati.
Ho veduto che durante tutto il periodo di sviluppo che è andato dal-
l'operazione d'innesto fino a un periodo che io presumo corrisponda al ter-
mine dell’assorbimento vitellino, le due larve si sono sviluppate seguendo
ognuna le proprie caratteristiche individuali: la velocità di sviluppo è stata
maggiore nella larva normale che nella larva a litio. Al termine di detto
periodo si nota che le dimensioni delle due larve sono notevolmente diffe-
renti: la larva normale si presenta più grande. Ho iniziato in siffatte condizioni
il trattamento con endotiroidina (5 gocce per ogni 109 cc. di acqua am-
biente). Da principio all'osservazione macroscopica noto ancora il maggiore
sviluppo dell’arto posteriore nella larva normale rispetto alla larva a litio,
ma osservo in proposito che questo fatto bisogna considerarlo in riflesso alle
differenti condizioni iniziali. In seguito le due larve mostrano tendenza, a
mettersi all'unisono di sviluppo: questo fatto si rivela nei processi della
metamorfosi. L'esame istologico eseguito sul materiale fissato alcuni giorni
dopo che s'erano iniziati i primi sintomi della metamorfosi mi ha dimo-
strato che le due larve si presentavano in una medesima fase negli organi
che risentono i processi disintegrativi della metamorfosi (tubo intestinale,
coda). Anche negli altri organi tranne l'arto posteriore (non si tien conto delle
malformazioni) non riesco a notare differenza di condizione nelle due larve.
L'arto posteriore, invece, si presenta nella larva normale più avanti
nei processi differenziativi, che nella larva a litio.
L'arto anteriore non si è prestato per far risaltare un differente grado
differenziativo. Soltanto osservo che la larva a litio presenta l'arto anteriore
sinistro fuoruscito, mentre nella larva normale nessuno dei due arti (ante-
riori) è fuoruscito. Questo fatto è interpretato nel lavoro in esteso e non
ha importanza nel caso in esame per significare uno studio più avanzato
di metamorfosi.
Osservo inoltre che l'esame istologico mi ha dimostrato che l'unione
intima delle due larve era avvenuta con una comunicazione intestinale.
(Ansa intestinale comune nella regione di saldatura).
— 436 —
Dalle mie esperienze traggo le seguenti conclusioni:
Da principio, dall'operazione d'innesto fino presumibilmente al termine
dell'assorbimento vitellino, non c'è scambio di sostanze tra l’una larva e
l'altra che possa influire sul reciproco sviluppo. Ultimatosi il differenziamento
istologico e formatesi le vie di comunicazione si stabilisce tra le due larve uno
scambio di sostanze sì da culminare nel chimismo della metamorfosi, che
sì rivela nei processi disintegrativi in una stessa maniera nelle due larve.
L’arto posteriore, invece, rivela ancora la differente condizione dello sviluppo
embrionale.
Una deduzione delle precedenti conclusioni è che nello sviluppo em-
brionale fino al differenziamento istologico non esistono correlazioni umorali
o nervose che regolano a distanza lo sviluppo. Durante lo sviluppo suddetto
non esistono che correlazioni meccaniche (spaziali e di sostegno) e, da pre-
cisare, correlazioni chimiche di vicinanza.
Con altre esperienze su parti di Bu/o vulgaris isolate con tagli trasver-
sali ho veduto l'impossibilità per esse di raggiungere mercè un trattamento
tiroideo la fase di metamorfosi. Queste ultime esperienze possono conva-
lidare il concetto che per raggiungere la metamorfosi è necessaria, almeno
fino ad un certo punto, l'integrità funzionale dell'organismo.
MEMORIE
DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI
NEGRI G. Ze colonie vegetali xerotermiche della valle di Susa e l’ipo-
tesi « lacustre » del professore L. Buscalioni. Pres. dal Socio MATTIROLO.
G. C.
bblicazioni della scigta dei Lincei.
Serie 1* — Atti dell’Accademia SITA dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII.
i Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI.
Serie 22 — Vol. I. (1873-74).
Vol. II. (1874-75).
Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI.
2* MEMORIE de/la Classe di scienze fisiche,
matematiche e naturali.
3% MEMORIE della Classe di scienze morali,
| storiche e filologiche.
Vol IV. V. VI. VII. VIII
Serio 38 — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84).
MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali.
Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX.
MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche.
Vol. I-XIII.
Serie 4* — RenDICONTI. Vol. I-VII. (1884-91).
MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali.
Vol. I-VII
MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche.
Vol. I-X.
Serie 5* — RENDICONTI della Classe di ‘scienze fisiche, matematiche e naturali.
Vol. I-XXX. (1892-1921). Fasc. 12°, Sem. 1°.
RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche.
Vol. I-XXX. (1862-1921). Fasc. 1°-3°.
MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali.
Vol. XIII, fasc. 5°.
MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche.
Vol. I-XII. Vol. XIV. Vol. XV. XVI. Fasc. 7.
-
CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE
AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI
I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche
e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due
volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon-
denti ognuno ad un semestre. |
Il prezzo di associazione per ogni annata ce per tutta
l’Italia è di L. 108; per gli altri paesi le spese di posta in più.
Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti
editori-librai:
ULRICO HoePLi. — Mitano, Pisa è Napoli.
| P. MagLione & C. STRINI (successori di E. Loescher & C.) —- Roma.
i Nalli. Sopra alcuni sviluppi in serie. Nota II (pres. dal Corrisp. Bagnera) . . . .. +»
«Picone. Nuova dimostrazione della necessità della condizione di Jacobi (pres. dal Socio
Seduta 4 wo a
MEMORIE E NOTE DI SOCI
Longo. Su la Vite selvatica della Maremma >. . ./../.-...40 0 si
MEMORIE E NOTE PRESENTATE DA SOCI
Bompiani. Sulle varietà contenenti più serie di superficie totalmente geodetiche (pres dal
So nicaià i
Fisenhart. Sulle trasformazioni 7° dei sistemi tripli coniugati di superficie (pres. dal Socio
Bianchi). . >. iti e n I
Tricomi. Su di una classe di equazioni alle derivate funzionali. Nota I (pres. dal Socio sù
Volterra) >... Ni. Rata e AT
Bianchi): SCE A e.
Tenani. Sul calcolo dell’energia del vento. Nota II (pres. dal Corrisp. Croci: viel 3 ”
Viola. Il «cinematografo parlante » di Emilio Zeppieri (pres. dal Socio C. Viola). . . »
Pratolongo. I punti di ebullizione delle miscele idroalcooliche a diverse pressioni (pres. dal
Socio IMenozzi). ra LIL e e
Ravenna. Sulla costituzione dei dipeptidi dell'acido aspartico (pres. dal Socio Ciamician) ”
Rovereto. Lo svolgimento della morfologia costiera (pres. dal Socio Issel).. eo x ”o
Benedetti. Intorno alla morfologia del cervello di Proteus anguineus e sull’ esistenza |
del suo nervo ottico (Contributo allo studio comparativo del Cina nervoso centrale
degli Anfibi) (pres. dal'Corrisp* GIACOMO e Si i
D'Ancona. Osservazioni sugli strati limitanti esterni dello ialoscheletro nelle forme larvali a
dei Murenoidi. Nota II (pres. dal Socio Grassi). . . LL...
Cotronei. Nuove ricerche sperimentali sullo sviluppo e sulla metamorfosi degli Anfibi Anuri.
(Sui problemi inerenti agli innesti tra larve a litio e larve normali di B ufo vulgaris)
(pres: Sd) ice
MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI i
Negri. Le colonie vegetali xerotermiche della valle di Susa e l'ipotesi « lacustre n del
professore L. Buscalioni (pres. dal Socio Maftirolo) . . . . +. 06 + è se A 3
K. Mancini, Cancelliere dell’ Accademia, renponsabile faa SH
Leon oay et!
REALE ACCADEMIA NAZIONALE.
DEI LINCEI
ANNO CCCX VIII.
1921
Si; DUI NPA:
RENDICONTI
Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali.
Volume X X X.° — Fascicolo 11°
4 dicembre 1921.
2° SEMESTRE
ROMA
TIP. DELLA R. ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI
PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI
1921
ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO
PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE
Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delie
pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei,
inoltre i Rendiconti della nuova serie formano —
una pubblicazione distinta perciascuna delledue
Classi. Peri Renpiconti della Classe di scienze
fisiche, matematiche e naturali valgono le norme
seguenti:
1. I Rendiconti della Classe di scienze fi-
siche, matematiche e naturali si pubblicano re- .
. golarmente due volte al mese; essi contengono
le Note ed i titoli dello Memorie presentate da
Boci e estransi, nelle due sedute mensili del:
l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico.
Dodici fascicoli compongono un volume;
due volumi formano un’annata.
2 Le Note di Soci o Corrisponienti non
possono oltrepassare le 5 pagine di stampa.
Le Note di estranei presentate da Socî, che
ne assumono la responsabilità, non possono
superare le 3 pagine.
3. L'Accademia dà per queste comunicazioni
50 estratti gratis:ai Soci s Corrisponden'i, e 30 -
agli estranei; qualora l'autore ne desideri un ‘
numero maggiore, il sovrappiù della spesa è ;
posta a suo carico.
4.I Rendiconti non riproducono le discng-
sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca-
Gemia; tuttavia se Soci, che vi hanno preso
parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi
sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta .
stante, una Nota per iscritto,
II.
I. Le Note che oltrepassino i limiti ndi-
- cati al paragrafo precedente e le Memorie pro-
priamente dette, sono senz'altro inserite nei
Volumi accademici se provengono da Soti o
da Corrispondenti. Per le Memorie presentate .
da estranei, la Presidenza nomina una Com-
missione la quale esamina il lavoro e ne rife-
‘risce in una prossima tornata della Classe. ‘
2. La relazione conclude con una delle se-
guenti risoluzioni. - a) Con una proposta a
stampa della Memoria negli Atti dell Accade-
mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio
dell’art. 26 dello Statuto. è) Col desiderio
di far conoscere taluni fatti o ragionamenti. .
contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra-
ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro-
posta dell'invio della Memoria agli Archivi
dell’Accademia.
3. Nei primi tre casi, previsti dall'art. prè-
cedente, la relazione è letta in seduta, SIT
nell'ultimo in seduta segreta.
4. A chi presenti una Memoria per esame
data ricevuta con lettera, nella quale si avverte
che i manoscritti non vengono restituiti agli
autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26
dello Statuto.
5. L'Accademia dà gratis s0 estratti agli au
tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 30 se
estranei. La spesa di un numero di copie in più
che fosse richiesto, è messo a carico degli .
autori.
RENDICONTI
DELLE SEDUTE
DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE
DEI LINCEI
Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali.
n° ___r_—7TFTTFT—<-—*Tr—rr—rTr—r—"<—-"
4 dicembre 1921
MEMORIE E NOTE DI SOCI
Paleontologia.. — Silicospongie fossili della Liguria occi-
«dentale (*). Nota I. del Socio CARLO DE STEFANI (°).
CONCLUSIONI.
6
Non mi pare possibile determinare con qualche precisione i raggruppa-
‘menti delle singole specie di Dicsyoninae trovate nelle differenti località.
Via via che ho descritto i residui fossili, ho cercato paragonarli ad altre
specie conosciute; ma ciò feci alla ricerca d’un punto di ritrovo, non col-
l’idea di fare più o meno precise determinazioni.
1°) La specie a larghe maglie, apparentemente senza Epi ed Apo-rhîze,
con piccole ostia puntiformi, con spicule aculeate del Trias inferiore della
cava Negrotto ad Arenzano, distinta da ogni altra, può ritenersi un pas-
saggio fra le Zyssaciînae, note dai tempi Paleozoici fino ai mari odierni, e
le Dictyoninae note finora solo dal Trias in poi. Nel 1920 è comparsa una
pubblicazione di C. D. Walcott (Middle Cambrian Spongiae — Smithsonian
miscellaneous collections, vol. 67, n. 6, Washington) che attribuisce alle
Dictyoninae la nuova famiglia Vaurininae con l'unico genere Vauxia nel
+Cambriano medio della Columbia inglese, caratterizzato dalla coalescenza
reciproca dei singoli raggi dell'intreccio; ma questi sono tre situati in un
(*) Questi Rendiconti, vol. XXIX, 2° sem., fasc. 1°, an. 1920, pag. 16 e seguenti.
(2) Pervenuta all'Accademia il 30 settembre 1921.
RENDICONTI. 1921, Vol. XXX. 2° Sem. 57
— 438 —
piano ed un quarto che vi penetra ad angolo retto, perciò ben differenti
dalle Dictyoninie più recenti.
2°) L'altra specie della cava Negrotto è una vera Diciyonina come tutte
le altre degli strati successivi prese in esame. Essendo provvista, forse, di
Lychnische, rientrerebbe nella Tribù delle Zychriscos: che principiando.
nel Mesozoico, abbondantissime nella Creta, sono quasi scomparse oggi.
Come specie a sè è forse distinta perchè sprovvista di Aporhize ed Epirhize,
con ostin cinte da intreccio circolare e radiale.
3°) Poche tracce ho notato nel Trias medio e superiore e sarebbero tutte
della Tribù Mcexasterosa e torse della Subtribù ZWrcinataria quella della
parte superiore del Trias di Spotorno.
La specie del Calcare di Isoverde, forse una Zychriscosa, va distinta per
la forma delle sue aperture maggiori, siano canali acquiferi ovvero cavità
dei Paragaster come nei Polyblastidium della Creta.
4°) La specie del calcare e della quarzite di San Martino, attribuita.
all'Infralias e per lo meno al Mesozoico superiore, ritenni distinta, perchè è.
una Zychniscosa con frequenti espansioni ai punti d'inerocio, a maglie abba-
stanza regolari, fornite di ottusi aculei, e caratterizzata da Aporhize sporgenti
a forma di tubo, a quinconce con le Epirhize.
Le altre specie della zona dei terreni cristallini circostanti e sovrastanti
si distinguono, sebbene con varia incertezza, in due gruppi, le Hexasterosa
(Crocetta. Casa Bisognaschi, bivio sotto Casa Doria, verso il Rio Gea, tutte.
località prossime alla Crocetta e probabilmente Valle dell’Iso) e Zychni-
scosa quasi sempre con placche a forellini circolari (Crocetta, Palazzo Doria,
Campo Ligure. Cairo, Biscazza; Casa Buzzano, Costa di S. Alberto, Caffa-
rella. Stazione di Voltri, Mele). Sarebbe incerto a quale dei due tipi attri-
buire i resti del Cantarena e del Mulino di San Giovanni.
5°) La presenza di intreccio spirale intorno alle Aporhize delle Zych-
niscosa nello schisto della Biscazza e di Casa Buzzano potrebbe essere un
carattere atto a ravvicinare i relativi Spongiari a quello di Mele: l'intreccio
loro, abbastanza regolare. è senza aculei: alla Biscazza vi sono placchette
forate.
6°) Nella Zychniscosa di S. Alberto e del Mulino di San Giovanni,
intorno ai canali circolari meglio conservati, probabilmente Aporhize, è un
intreccio hexactinico periferico, radiale, con 0s/74 puntiformi di minutissimi
canali che penetrano nell'interno. Probabilmente ciò dipende solo dal mi-
gliore stato di conservazione, e non costituisce una specifica differenza dalle.
altre Zychniscosa.
7°) Mancano criterî assoluti per giudicare la spartizione delle Lychni-
scosa di Campo Ligure, della Caffarella, Palazzo Doria, Crocetta, Stazione di
Voltri, Cairo; loro carattere comune è di avere il reticolo allineato regolar-
mente a ventaglio in tutti i sensi longitudinale radiale, con maglie alquanto.
— 439 —
irregolari, spicule, talora con rari e brevi aculei, Aporhize circolari con in-
treccio radiale, Epirhize puntiformi con intreccio circostante quasi sempre,
per effetto di compressioni, conformato a losanga, caratteri comuni, questi
ultimi, con le Hexasterophora.
8°) Le Hexasterophor: della zona cristallina hanno comune allinea-
mento radiale regolare e maglie pure abbastanza regolari specialmente intorno
ai canali acquiferi, apparentemente senza aculei, ed inoltre, come la massima
parte delle Zychniscosa, Aporhize circolari, grandi, con intorno intreccio ra-
diale, talora internamente ramificato, ed Epirhize puntiformi o per lo meno
assai piccole, con intorno un intreccio di 6 o 7 giri a losanga.
9°) Dalle Hexasterosa del bivio sotto Casa Doria, della Crocetta, di
Casa Bisognaschi. si staccano forse quelle della Valle dell’ Iso e quelle verso il
Rio Gea che intorno alle Aporhize circolari mostrano un intreccio radiato a
stella con 6 o 7 raggi o più.
Già dissi come sia difficile e talora impossibile verificare l’esistenza di
parenchimali, anche per la presenza dei microscopici componenti minerali :
nondimeno la esistenza di Zezzi in certi casi mì parve probabile, ed un poco
meno quella di C/avulae e di altro. Sarebbero perciò incertamente Wnceina-
tarvae le H2xasterophora di Casa Bisognaschi e quelle di verso Rio (Gea,
del Bivio sotto Casa Doria, della Crocetta e di Valle dell’Iso; come le Lych-
niscosa di Campo Ligure, della Caffarella, della Costa di S. Alberto e di Pa-
lazzo Doria. 3
Il non aver trovato parenchimali nelle forme degli altri luoghi non
vuol dire che non vi esistano.
Debbo soggiungere che parenchimali di Zyehrniscosa fossili finora non
sì conoscono ; che secondo Schrammen, propugnatore della Tribù Zychm., queste
ripetono forme rispondenti alle exas/erosau e che alcuni autori anche recen-
tissimi non ammettono la separazione di quella Tribù.
È possibile dunque che fra le Wncinatariae si trovino tanto Hexast.
quanto Zychn. Le Dietyoninae che non presentano Wrcini possono apparte-
nere alla Subtribù Zaermzia o rimanere fra i numerosissimi tipi dncertae
sedis.
Fra gli altri Spongiarî diversi, dei quali rimasero scarsi ed eventuali
residui, notammo Hexasterophora Lyssacina nella zona cristallina della Cro-
cetta ed incertamente di Casa Bisognaschi e nella valle dell’ Iso e nel Trias
superiore di Voltaggio e di Spotarno; Moraxonia nella zona cristallina di
Casa Bazzano, del Mulino di San Giovanni, di Palazzo Doria, della Crocetta :
Tetracladinidae nella zona cristallina della Biscazza, della Crocetta, della
Stazione di Voltri, della valle dell'Iso e nel supposto Infralias di S. Mar-
tino; Rhizomorinae nella zona cristallina della Biscazza, di Campo Ligure,
di Palazzo Dorià, della Crocetta e di verso il Rio Gea, non che nel Trias
inferiore della Cava Negrotto e nella quarzite di S. Martino; Megarhizidae
— 440 —
a Palazzo Doria e alla Crocetta; Megamorinae nella zona cristallina della
valle dell’Iso e nell’ Infralias di S. Martino; ZMelomorinae fra S. Martino e
la Caffarella.
Non mancano nella compagine Hexactinica organismi calcarei prescin-
dendo dai calcari Triassici; cioè, nella zona cristallina, tracce di Ordulinae
o Globigerinae a Campo Ligure, Ordulinae e Biloculinae(?) nella valle del-
l'Iso, Miliolidi (Quinqueloculinae) di perfetta conservazione alla Biscazza
ed un piccolo frammento di Nummulites al Mulino di San Giovanni.
Il partito che si può trarre da tutti questi fossili non è molto grande;
ma è sufficiente per dare qualche risultato. Le Hexasterophora, Rhizomorina
e le Zyssacint durano dal Paleozoico in poi; ma le Dictyonina qui enume-
rate non si trovarono finora nel Paleozoico; a partire dal Trias, durano fino
all'attualità. Perciò le Quarziti, Anageniti ecc., sottostanti ai calcari trias-
sici di Arenzano, e conseguentemente delle altre località, secondo le condi-
zioni odierne non possono appartenere al periodo Carbonifero, cui per varie
induzioni le ho talora attribuite, ma debbono conservarsi nel Trias inferiore,
seguendo l'opinione dell'Issel e di varî altri. Parimente la zona cristallina
fra Genova e Savona, tanto fornita di Diclyonina, non può essere attribuita
al Paleozoico e specificamente al Permiano, come di recente si era fatto.
Contribuiscono a questa conclusione le Megarhizidae del Giura e della
Creta non viventi, le 7esracladinidae fossili dalla Creta in poi, le Zelo-
morince note per ora solo nella Creta. Non si deve dedurre senz'altro, dalle
suddette tribù di Spongiari, che si tratti di terreni Cretacei: è possibile e
direi certo che si trovino fra le Spugne ancora assai meno note nel Giura
e fra quelle, quasi generalmente ignote, dell'Eocene.
Rovereto e Parona hanno scoperto e descritto nella predetta zona, nella
regione di Montenotte superiore, non lungi dalla Crocetta, delle Radiolarie
che attribuirono prima al Permiano, poi al Giura, concludendo pur essi con
la esclusione del Permiano. Feci conoscere altrove. che le Radiolarie dei
diaspri giuresi d’Italia non furono ancora convenientemente studiate; che le
Radiolarie così dette Titoniche nei diaspri dell'Emilia illustrate da Vinassa
e Neviani appartengono invece sicuramente all’Eocene superiore, che non pure
dal Riist, ma dagli stessi italiani non fu sufficientemente tenuto conto del
lavoro, fondamentale per le basi che stabilì, del Pantanelli comprendente
anche le Radiolarie dei Diaspri dell'Eocene superiore. Queste cose ripeto per
mostrare che le conclusioni del Parona e del Rovereto sono suscettibili di
revisione.
Gli Schisti argillosi, contenenti già parecchi elementi microcristallini, e
le altre rocce che stanno ad Oriente della piega triassica estesa da Voltaggio
al Gazo nei bacini della Scrivia e della Polcevera, sono già attribuiti dalla
gran maggioranza dei geologi all’Eocene e da me all'Eocene superiore. Nè
prima, nè poi ho fatto ricerche di fossili nella parte centrale dei medesimi;
— 441 —
bensì ne feci alla base presso il contatto col Trias ed ho indicato le tracce
di Spongiari della Caffarella, della Biscazza, di Casa Buzzano, della valle
dell’ Iso, del Mulino di S. Giovanni e di altri luoghi sul Cantarena. Quest'ul-
timo luogo trovasi a Sud della piega calcarea e fa passaggio alla serie cri-
stallina del litorale occidentale. Nella compagine hecactinica trovai, come
dissi, un piccolo frammento di Nummulites. Ora, prescindendo dalle parvenze
generali degli Spongiari che sono identiche nella regione orientale poco cri-
stallina ed in quella occidentale che lo è di più, certo è che pure in minute
particolarità vi è rispondenza talora perfetta fra i ritrovamenti p. es. del
(‘antarena e della Costa di S. Alberto. della Caffarella e di Campo Ligure,
Palazzo Doria, Crocetta, Stazione di Voltri, Cairo, della valle dell’Iso e del
Rio Gea ecc. Devesi dunque concludere che ì terreni delle due regioni orien-
tale ed occidentale, come sono in continuazione fra loro ed in eguali circo-
stanze stratigrafiche, così trovansi nelle stesse condizioni paleontologiche ed
appartengono all’Eocene; anzi all’Eocene superiore.
Il mare nel quale viveano gli Spongiari doveva essere profondissimo fino
a varie migliaia di metri; nè ciò contrasta col ritrovamento delle Radiolarie
descritte dal Parona. Da molti anni ho sostenuto che l'Eocene superiore del-
l'Appennino settentrionale si è depositato a grande profondità. Nei Galestri
e negli Schisti argillosi della regione ad Est di Genova non risulta siano
Spongiari; bensì ne sono nei calcari e nella quarzite o piezraforte che li
accompagna. Forse la regione Eocenica della Liguria occidentale si formò
a profondità maggiore.
Può darsi che la grande profondità, oltre al contatto con le attivissime
eruzioni peridotiche e pirosseniche, abbia contribuito al maggiore meta-
morfismo di quelle rocce rispetto alle altre dell'Appennino. Due fatti meri-
tano di essere almeno incidentalmente notati; cioè: 1°) la frequenza fra Ie
dette rocce metamorfiche di minerali sodiferi come l’Albite ed il Glaucofane,
la qual cosa potrebbe mettersi in rapporto con la permeazione delle acque-
sodifere del profondo Oceano; 2°) la facile trasformazione delia Silice colloide
d'origine organica in Quarzo.
Non v'è dubbio che nella regione descritta una parte del Quarzo dei
Sericitoschisti, e perfino parecchi noduli lentiformi, sono di origine organica.
Fino a 40 anni sono il Diaspro era ritenuto d'origine filoniana pretta-
mente minerale; io ed il Pantanelli nel 1879 e nel 1880 ne constatammo
l'origine sedimentare, organica, da Radiolarie, e niuno più la contesta.
Così deve essere di molta parte del Quarzo derivato, come è noto da parec-
chio tempo, da Silice di Spongiari: nè ciò esclude che Quarzo sia formato
per secrezioni magmatiche e filoniane o sia derivato da agglomerazioni sab-
biose di origine meccanica. Nelle grandi profondità dei mari quest'ultima
origine sarebbe inverosimile. In conclusione ogni giorno più si dimostrano la
grande importanza del mondo organico nella formazione delle rocce terrestri.
— 442 —
e la necessità che lo studio litologico, per essere completo e per arrivare a
conclusioni generali positive, non sia disgiunto dallo studio micropaleonto-
logico.
Delicatissime Sz/ico-spongiae viventi sono raccolte frequentemente, seb-
bene con difficoltà, nella profondità dei mari. Non vi è quasi saggio di fondo
fuori del fango a G/obigerinae e di qualche altra zona, che non mostri re-
sidui di Hexactinellidae. Nel caso nostro ed in tanti altri simili si vede
a dirittura, per grandi altezze ed estensioni, il fondo degli antichi mari. Io
non mi occuperò più altramente di Spongiari, ma sono sicuro che se ne tro-
veranno per entro agli schisti cristallini delle Alpi Marittime e più oltre,
e che, studiati da persone più competenti, serviranno a determinare le età
geologiche.
Fisica. — Sull’assorbimento della gravitazione. Nota IV del
Corrisp. QuIRINC MAJORANA.
ATTENUAZIONE DELLE SCOSSE MECCANICHE SULLA BILANCIA. — Ricordo
che uno degli inconvenienti più gravi della vecchia disposizione, risiedeva
nelle perturbazioni esercitate dalle scosse meccaniche (vol. XXIX di questi
Rendiconti, p 26 e 27). Se allora potei eliminare tali inconvenienti, speri-
mentando di notte o nei giorni di sciopero, in questa seconda serie non
sarei probabilmente riuscito a vincere tutte le difficoltà sperimentali di cui
sarà detto, se avessi solo fatto altrettanto. Anzitutto, per ragioni di topo-
grafla locale, dovetti piazzare la bilancia in una sala del Politecnico di To-
rino prospiciente in via S. Francesco di Paola, per la quale frequente-
mente transitano pesanti carri e che è tagliata da linee tramviarie. In con-
seguenza di ciò, e forse anche per la presenza dell’appendice L (fig. 2,
nota III) lunga 4 metri, le scosse meccaniche alla bilancia erano assai più
violente che non nella prima serie di esperienze. Montata in priucipio la bilan-
cia, appoggiandola direttamente sul piano di marmo TT (fig. 3), al passag-
gio di un carro, l'indice luminoso sulla scala a 20 metri dal giogo, spariva
completamente in conseguenza di amplissimi traballamenti. Risolsi allora
di attutire tali scosse, mediante la sospensione elastica indicata nella figura.
Il piano in legno di base, LL, della bilancia è sostenuto da quattro robuste
molle di acciajo temprato (diametro del filo mm. 2,5; della molla cm. 2;
numero delle spire 40); di esse, le due anteriori MM si vedono nella figura.
Tali molle, sotto il peso della bilancia, si allungano di circa !/g, e si pos-
sono correggere le loro deformazioni progressive, che inevitabilmente si mani-
festano nei primi giorni della loro messa in opera, mediante le teste a vite VV.
[l beneficio che con tale disposizione si ottiene è enorme. Constatai in-
fatti, con sorpresa, che anche il passaggio dei più pesanti carri non pertur-
bava il libero oscillare della bilancia, restando l'indice Inminoso a 20 metti,
— 443 —
sempre nitido e risultando ben concordanti le diverse osservazioni. Non voglio
però dire che, in conseguenza di tale constatazione, sarebbe stato completa-
mente inutile sperimentare in periodi di assoluta tranquillità meccanica della
vita cittadina; chè anzi, sarebbe stato più vantaggioso sperimentare sempre
così. Ma il vantaggio sarebbe dipeso dalla riduzione di altra causa perturba-
trice: la irregolare influenza delle scosse meccaniche sull'isteresìi elastica
dell'edificio; su ciò ritornerò in seguito.
CONNESSIONE ELASTICA CON LA POMPA. — L'equipaggio mobile della
bilancia, insieme con i suoi accessorii, trovasi in un ambiente privo di aria,
per le ragioni già spiegate nelle prime ricerche. È vero che nella nuova di-
sposizione, gli errori relativi derivanti dalle eventuali perturbazioni termo-
metriche sono necessariamente più piccoli; infatti, da un canto essendo la
massa schermante superiore, la riduzione di peso da constatare deve essere
maggiore; e, dall'altro, i due prismi di piombo non possono subire variazioni
termometriche notevoli in conseguenza del loro movimento, a differenza del
mercurio che, nelle vecchie esperienze, era costretto a fluire dentro ristretti
tubi. Ma, comunque, la soppressione dell’aria intorno al giogo è anche ora
cosa utile. Per cui, come si vede nella fig. 3, è stata ancora usata la cu-
stodia di ottone, già altra volta descritta; e da essa viene estratta l’aria
mediante la pompa Gaede. La connessione con questa è fatta con un tubo
di vetro lungo m. 3,50 e di 1 cm, di diametro, piegato a spirale, non se-
‘© gnato in figura. Con ciò, pur essendo la pompa montata su di un tavolo ri-
gido separato, la elasticità dell'attacco della pompa non è compromessa, po-
tendo quella spirale molleggiare liberamente.
ComanDo DEL GIOGO. — Il sollevamento o l’abbassamento del giogo è
ottenuto ancora mediante la chiave G; questa è a tenuta d’aria, grazie al-
l’uso di un premistoppa con mercurio, già altra volta descritto.
ContRAPPESO E TARA. — La sfera di piombo (che chiamerò semplice-
mente /a sfera) che subisce l’azione schermante dei piombi, indicata in M
nella fig. 2, e non segnata nella fig. 3, è equilibrata dal contrappeso C
(fig. 3), costituito da una seconda sfera esattamente identica, già altra volta
adoperata. Ma nell'attuale dispositivo ho introdotto l’uso di una fara KK
costituita da due prismi di piombo, nel loro complesso pesanti come la sfera
od il contrappeso. La tara è rinchiusa in una scatola prismatica di ottone
NNN, che fa corpo con la custodia della bilancia, e nella quale si fa na-
turalmente anche il vuoto. Essa può essere agganciata a volontà al braccio
destro del giogo, in sostituzione della sfera; tale scambio è possibile me-
diante un congegno di agganciamento che si può comprendere esaminando
la fig. 3; le due chiavi a tenuta di vuoto (con premistoppa e mercurio),
B, e B:, servono a tale scopo. Si vede che, data la posizione indicata nel
disegno, apparisce sgarciata dal giogo la sfera, ed agganciata la tara. Ruo-
tando di 90° le due chiavi, si possono scambiare questi due pesi. È inu-
tile dire che tale scambio deve esser fatto a giogo alzato.
— 444 —
La ragione dell'uso della tara è intuitiva. Poichè inevitabilmente il
moto dei piombi nel sotterraneo occasiona perturbazioni sulla posizione di
riposo della bilancia, indipendenti dell'effetto che si studia, è bene fare
delle letture în bianco, vale a dire quando le due braccia della bilancia
sono cariche di masse, i cui pesi non subiscono azione schermante della
gravità, o, se mai, la subiscono in egual modo. Questo è precisamente il
caso del contrappeso e della tara.
EQUILIBRATORI A SABBIA. — Le tre masse (sfera, contrappeso, tara).
dovrebbero avere costruttivamente lo stesso valore, a meno di qualche cen-
tesimo di milligrammo, se si volesse che, procedendo ad osservazioni con
sfera-contrappeso oppure con tara-contrappeso, l'indice luminoso della bi-
lancia, di cui sarà detto appresso, non si scosti troppo da una certa posi-
zione media di equilibrio. Ma ciò corrisponderebbe ad un caso irrealizza-
bile in pratica. Effettivamente, anche ammettendo che quella triplice equa:
glianza fosse verificata, avviene che, oltre a non essere le braccia della bi-
lancia mai esattamente eguali, il rapporto fra queste varia continuamente .
per le cause più lievi. Basta per ciò, p. es., scaricare e ricaricare il giogo
(colla manovra della chiave H); o procedere allo scambio della sfera con
la tara {o viceversa); od anche lasciar intervenire lievi ma irregolari varia-
zioni termometriche; o lente progressive e spontanee deformazioni del giogo
e dei coltelli. Oltre a ciò, ha notevole influenza sul valore dei carichi effet-
tivi delle due braccia, il grado di rarefazione dell’aria. Infatti, lo stato su-
perficiale del giogo e dei suoi due carichi è variabile con quello, e, non
essendo tali carichi geometricamente simmetrici, possono subire variazioni
ineguali di peso.
Da tutto ciò deriva che occorre ogni volta, dopo abbassato il giogo,
e talvolta ogni 40 5 ore, procedere alla esatta livellazione di questo, ricon-
ducendo così l'indice luminoso intorno alla detta posizione media. Nelle vec-
chie esperienze procedevo a ciò senza rialzare il giogo, mediante l’uso del
cavalierino C (ved. fig. 4, vol. XXVIII, p. 485, loc. cit.). Ma allora ciò era pos-
sibile grazie alla rigidità del sostegno della bilancia, non affidata alle molle
come ora si è detto. Nell'attuale dispositivo non si può toccare, sia pure con
ogni delicatezza, la custodia molleggiante senza sregolare, o danneggiare nei col-
telli, il giogo. Occorreva dunque altro artificio: questo è costituito dagli equili-
bratori E, ed E. indicati nella fig. 3. Un recipiente cilindrico di vetro E,
rastremato in alto, è chiuso in basso da un disco di ottone sostenuto da un
tubicino di ottone # di 2 mm. di diametro interno. Questo tubicino è ma-
sticiato in una diramazione convenientemente inclinata, partente dalla parte
in vetro della custodia del contrappeso; il tubicino di ottone affiora sulla
faccia superiore del detto disco, che è cosparsa di sabbia o granuli di marmo.
Dalla rastremazione superiore di E, pende un filo metallico di cirea 0,2 mm.
di diametro, che sostiene un cilindretto P, di ferro, il quale viene ad ap-
— 445 —
poggiare con la sua punta inferiore sul disco cosparso di sabbia. Si possono
ora provocare dei movimenti di P, mediante una calamita dall'esterno di E,,
e con ciò far sì che qualche granello venga a cadere dentro il tubicino #,
e da questo condotto dentro la tazzetta semisferica F sostenuta dal contrap-
peso C. Con ciò, a volontà, si può aggiungere a questo qualche centesimo
di milligrammo.
A destra, l’equilibratore E, costruito in guisa analoga, ha doppia fun-
zione, chè infatti il comando magnetico del relativo cilindretto di ferro P,
può costringere i granelli di marmo a cadere a volontà in una delle due
tazzette portate rispettivamente dalla tara K, o dal filo di sospensione della
sfera.
Con questo triplice congegno si può in ogni tempo riequilibrare la
bilancia Naturalmente, poco alla volta si finisce per accumulare alquanta
sabbia nelle tre tazzette, esaurendosi così la provvista nell'interno dei ci-
lindri E, ed E,; ma ciò non costituisce grave inconveniente, bastando solo
ogni 2 o 3 mesi riaprire la bilancia per rimettere la sabbia nelle primitive
condizioni.
CAVALIERINO MAGNETICO. — Dal valore della sensibilità della bilancia
(millimetri di deviazione del raggio luminoso per 1 mg. di sovraccarico)
dipende la esatta valutazione degli effetti che si osservano. Ora la sensibi-
lità, come ho già detto. non è costante; e ciò in conseguenza di svariate
azioni, a cui ho accennato in parte nella nota II. Occorre dunque, nel corso
delle misure, determinarne il valore con una certa frequenza (almeno 4 volte
al giorno, a giogo permanentemente abbassato). Nelle vecchie esperienze mi
servivo, all'uopo, dello stesso cavalierino citato ; ma si comprende come nean-
che ora tale congegno sia utilizzabile ; l'ho dunque definitivamente abolito,
e sostituito con altro di fattura assai più squisita e delicata. Esso è il ca-
valierino magnetico indicato nella fig. 3, dentro al recipiente in vetro
A; As Ag. Questo forma corpo, al disopra della scatola N, con la custodia
del giogo della bilancia, ed è dunque anch'esso a tenuta d'aria; nel suo
tratto cilindrico A, si protende assialmente il filo di sospensione connesso
col braccio destro della bilancia, e destinato a sostenere a volontà la sfera
o la tara. Quel filo porta un ganeio al quale si accavalla un piccolissimo
cavalierino R di alluminio, rigorosamente tarato, del pese di circa 1 mg. Un
cilindretto di ferro P3, scorrevole dentro il tubo A3, comanda, come vedesi
in figura, un secondo gancio capace di sollevare il cavalierino, quando Pz è
portato verso destra.
Il comando di P3 è ottenuto magneticamente, mediante una piccola
calamita, dallo esterno di Az. Si può dunque, a volontà, rapidamente e senza
scosse, sovraccaricare od alleggerire il braccio destro della bilancia di 1 mg.
circa; e l’operazione può, senza pregiudizio per la tranquillità del giogo,
RENDICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sem. 58
— 446 —
esser ripetuta un numero qualsiasi di volte. Lo spostamento dell'indice lu-
minoso dà ogni volta il valore della cercata sensibilità.
Circa l’uso del cavalierino, occorre fare due avvertenze. La prima si ri-
ferisce alla sua taratura, che deve esser fatta accuratameute. Non basta
controllare con una bilancia sussidiaria il cavalierino di alluminio con il
peso di 1 mg. tolto da una pesiera, per quanto fornita dai migliori costrut-
tori. Infatti di solito, gli ultimi pesetti di questa hanno errore relativo no-
tevole e che può arrivare sino al 5 %. Ho preferito allora servirmi di una
microbilancia Nernst, nella guisa seguente: Il carico massimo sopportabile
da tale bilancia è di circa 2 mg.; ho costruito perciò cinquecento pesetti
(fili di ottone di 2 decimi di ""/m di diametro) aventi all'incirca tale valore;
ma tali che nel loro insieme pesano con tutta esattezza 1 grammo. Ciò è
possibile, servendosi di una bilancia sussidiaria, con approssimazione assai
grande. Indi ho notato le deviazioni del giogo della bilancia Nernst per
ciascuno dei cinquecento pesetti; esse variano intorno a 20 parti della scala
della bilancia stessa (e si apprezza ad occhio il decimo di parte). La somma
di tali deviazioni rappresenta la sensibilità della bilancia Nernst per
1 grammo, da cui si ha con tutta esattezza quella per milligrammo. È al-
lora possibile la taratura del cavalierino, con buonissima approssimazione.
La seconda avvertenza sì riferisce ad una inevitabile, per quanto pic-
cola, perturbazione magnetica. È ovvio anzitutto che l’adoprare la calamita
per muovere il cilindretto P; (od anche P, e P, degli equilibratori) possa
provocare spostamenti nella posizione del giogo, in conseguenza della pre-
senza dei coltelli o di altra parte di acciaio. Può anzi avvenire che tali
spostamenti siano in parte permanenti, anche dopo avere adoperata la cala- .
mita; ciò per il fatto che questa può occasionare variazioni permanenti nel
magnetismo proprio di quelle parti, e quindi una diversa azione del campo
magnetico terrestre. Oltre a ciò il cilindretto Pz in ferro può esercìtare una
qualche azione diretta specialmente sul prossimo coltello di destra; e tale
‘azione sarebbe diversa, a seconda che P; sia a destra o a sinistra. Derive-
rebbe dunque da tutto ciò un’erronea valutazione della sensibilità della bi-
lancia. Ora qui mi limito a dichiarare, per brevità espositiva, che opportuni
accertamenti, fatti con artificî che non deserivo, mi hanno convinto della tra-
scurabilità di queste cause di errore. Solo è da tener presente di non ser-
virsi mai di calamite troppo potenti; e sovrattutto di non accostarle mai
eccessivamente ai coltelli, dall’esterno della custodia. In caso diverso si pos-
sono occasionare spostamenti stabili nella posizione di equilibrio dell'indice
luminoso della bilancia, dell'ordine di qualche decimo di mm., tali cioè da
indurre in errore notevole nella valutazione del ricercato effetto.
— 447 —
MEMORIE E NOTE PRESENTATE DA SOCI
Matematica. — Sulla teoria generale delle corrispondenze
birazionali dello spazio. Nota III di D. MoNTESANO, presentata
dal Socio R. MaRcoLONGO.
In una corrispondenza birazionale K fra i punti di due spazi S, S', le
linee fondamentali ordinarie sono le linee basi dei due sistemi omaloidici
di superficie X, £' collegati alla corrispondenza; i punti fondamentali or-
dinari sono i punti comuni alle curve collegate alla corrispondenza, alle
curve cioè basi variabili dei fasci dei sistemi X,£' rispettivamente.
Una curva fondamentale è di 1% o di 22 specze secondochè nello spazio
a cui appartiene è o no incontrata fuori del gruppo dei punti fondamentali
dalle curve collegate alla corrispondenza.
Ora nella presente Nota io dimostro il teorema che: /x una corrispon-
denza birazionale K fra i punti di due spazi ordinari S,S', ad ogni curva
fondamentale o di 2° specie dello spasio S si associa una curva fonda-
mentale O" di 2% specie dello spazio S' in modo che ad ogni linea 7 che
st appoggi alla curva o in un punto generico P_corrisponde nella K uno
linea r' che si appoggia alla curva o' in un punto P' omologo del punto P
nella corrispondenza che la K determina fra i punti delle due linee omo-
loghe r,r'. Se la curva o è di ordine v e la curva o' è di ordine v', gli
ordini di multiplicità della curva o per le superficie del sistema X e
é
(old
della curva o' per le superficie del sistema E' si ottengono moltiplicando
i numeri v',v per un medesimo numero intero È.
Cremona ritenne che il numero % fosse sempre eguale ad 1 (*), mentre
tale numero può avere un valore arbitrario (*).
Per dimostrare il teorema enunciato occorrono le seguenti considerazioni:
Le superficie del sistema X abbiano in comune una curva o, lungo la
quale non si tocchino. Fissati ad arbitrio un punto generico P sulla 0 ed
un piano generico 7 nel fascio che ha per asse la tangente £ nel punto P
alla curva, restano determinati nello spazio S una rete 4 costituita dalle
(1) Cremona, Sulle trasformazioni razionali dello spazio, n°. ©. Opere, tomo 8°,
‘pag. 302.
(?) Cfr. le due prime mie Note Sulla teoria generale delle corrispondenze birazio-
mali dello spazio (Rend. di quest'Accademia, vol. XXVII, serie 5, 1918) e la Nota:
Principio di estensione nella teoria delle corrispondenze birazionali dello spazio (Rend.
Accademia Scienze Napoli, vol. XXVII, 1921).
— 4148 —
superficie del sistema 2 che sono tangenti al piano 7 nel punto P, e nello-
spazio S' un punto L' centro della stella di piani che nella K corrisponde-
alla rete 4.
Col variare del piano 7 attorno alla retta £, il punto L' descrive una
eurva razionale p'. Ora due casi possono darsi:
1° caso. Variando il punto P sulla curva 0, la curva p' varia
descrivendo una superficie di ordine 2’.
In tale caso è agevole riconoscere che ogni curva generica collegata
alla corrispondenza nello spazio S si appoggia alla curva o in x' punti non
fondamentali e che perciò la 0 è linea fondamentale di 1% specie.
2° caso. Variando il punto P sulla curva o, la curva p' coincide
in ogni sua posizione con una curva fissa o’.
In tale caso accadrà necessariamente che ad una stella di piani 4’ dello.
spazio S', avente il centro in un punto generico P' della curva 0’. corrispon-
derà nel sistema X una rete 4 formata da superficie che in ogni punto ge-
nerico P della curva o risulteranno tutte tangenti a 4 piani 7,,..., tx del
fascio che ha per asse la tangente / nel punto P alla 0; e propriamente ac-
cadrà che, tenendo fisso il punto P sulla o e facendo variare il punto P'
sulla o', il gruppo di piani 7, ,..., tx descriverà una involuzione Jp di grado £
nel fascio (4), perX> 1.
Ne segue che un fascio generico W della rete 4 differisce da un fa-
scio ® del sistema 2, che non presenti alcuna particolarità, soltanto in questo :
che, mentre due superficie generiche del fascio ® non hanno alcun contatto
in un punto generico della curva comune 0, accade invece per due superficie
generiche del fascio © che % falde dell'una superficie toccano rispettivamente
l falde dell’altra lungo la 0; e però, se la linea base variabile del fascio ®
è di ordine »', la linea base variabile del fascio & risulta di ordine n'— Xv,
se la curva o è di ordine ».
Corrispondentemente, mentre una retta dello spazio S', che non presenti
alcuna particolarità, incontra una superficie generica del sistema £' in 7'
punti, accade invece che nella stella (P'), che ha il centro in un punto ge-
nerico della curva 0', ‘una retta generica incontra l’anzidetta superficie sol-
tanto in n — Xv punti diversi da P'.
Ciò prova che la o' è linea fondamentale della ccrrispondenza e che.
l'ordine di multiplicità della curva per le superficie del sistema £'” è w'= n.
D'altra parte i piani tangenti in un punto generico P della curva 0
ad una superficie generica del sistema 2 sono tutti e soli i piani dei gruppi
della involuzione Jp dovuti alle reti 4 del sistema X omologhe delle stelle:
di piani che hanno i centri nei punti di sezione della curva o' col piano
omologo di quella superficie; e però il numero di tali piani è Xv', se 1 è-
l'ordine della curva o’.
— 449 —
Ciò equivale a dire che l'ordine di multiplicità della curva o per le
‘superficie del sistema X è u= %r'.
Ulteriormente si assuma nello spazio S' una linea 7’ che si appoggi alla
curva o' in un punto generico P' senza presentare alcun’altra particolarità.
Se la linea 7’ è di ordine z', accadrà che un piano generico dello
spazio S' segherà la 7’ in <' punti, mentre un piano generico della stella (P')
la segherà soltanto in 2 —1 punti diversi da P'.
Corrispondeutemente nello spazio S la linea 7 omologa della 7", mentre
‘sarà segata, fuori del gruppo dei punti e delle linee fondamentali, in «'
«punti da una superficie generica del sistema 2, avrà invece in comune,
fuori dell'anzidetto gruppo, soltanto x' — 1 punti con una superficie generica
della rete 4 omologa della stella di piani (P’), e però necessariamente la 7
‘sì appoggerà alla curva 0 in un punto P ed in questo punto sarà tangente
ad una retta situata in un piano del gruppo 7,,...,tx dell’involuzione Jp
dovuto alla rete 4. E il punto P sarà l’omologo del punto P' nella corri-
spondenza che la K determina fra i punti delle linee omologhe 7, 7".
Inversamente, ad una linea 7 dello spazio S, la quale si appoggi alla
curva o in un punto generico P senza presentare ulteriori particolarità, cor-
risponde nello spazio S' una linea 7’ la quale si appoggia alla curva o’ nel
punto P_ centro della stella di piani omologa della rete 4 formata dalle
superficie del sistema 2 che nel punto P sono tangenti al piano determinato
dalle tangenti in tale punto alle curve 0,7. E il punto P' sarà l’omologo
del punto P nella corrispondenza che la K determina fra i punti delle linee
omologhe 7, 7°.
Assumendo come linea 7° una retta generica dello spazio S' o come
linea 7 una retta generica dello spazio S, si riconosce che ognuna delle
curve 0,0' non è incontrata fuori del gruppo dei punti fondamentali da una
linea generica collegata alla corrispondenza nello spazio a cui la curva ap-
partiene, e che perciò le 0,0' sono curve fondamentali di 2*% specie della
corrispondenza.
Ne segue che nello spazio S' valgono per la curva o’ le proprietà di-
mostrate per la curva o nello spazio S: vale a dire che ad ogni linea
7' dello spazio S', che ‘si appoggi alla o' in un punto generico P', corri-
sponde nello spazio S una linea 7 che si appoggia ad una curva fondamen-
tale di 2% specie o* in un punto P omologo del punto P' nella corrispon-
denza che la K determina fra i punti delle due linee. Ma il punto P, per
quanto si è detto, è sulla curva 0, onde la 0* coincide con la 0, sicchè le
relazioni che intercedono fra le due curve sono invertibili: cioè ad ogni
stella di piani, che abbia il centro in un punto generico P della 0, corri-
sponde nello spazio S' una rete M' del sistema £° formata da superficie
‘che in ogni punto generico P' della o’ risultano tutte tangenti ai piani di
— 450 —
un gruppo di una involuzione Jer che si ha nel fascio che ha per asse la.
tangente nel punto P' alla 0°.
Se questa involuzione è di grado £4', sarà u=%'v'", sicchè X'=% e
ne segue il teorema.
Ai tipi di corrispondenza già da me determinati, che presentano coppie
di linee fondamentali di 2* specie omologhe, per le quali è X > 1, aggiun-
gerò il seguente:
Si supponga di avere due monoidi è,7* degli ordini #—1, » che
abbiano in comune il vertice O e p rette generiche 7, ,...,7, della stella (0)
multiple per entrambi degli ordini 0,,...,0p rispettivamente, per o = 1.
In tale caso resta determinato nello spazio S un sistema omaloidico X -
costituito da monoidi 7, = 0" rÎ' ... fc. Esso è quello che comprende il
monoide 77* e la rete degenere _4 costituita dalle superficie che si spezzano
nel monoide w e nei singoli piani della stella (0), sicchè la linea base
semplice c del sistema è la linea comune alle superficie w , 77* diversa dalle
Pri sr sTp-
Nel sistema, un fascio generico ha per base variabile una curva piana
e, = 0" eV e la Jacobiana è costituita dal monoide dato @,-, =
SR 29
Dr ..rpo,
3 (9076 rî Lo For c, contato due volte, e dal cono Y3m-,, = 087
che dal punto O proietta la ec.
In una corrispondenza birazionale K fra gli spazi S, S' che tragga ori-
gine dal sistema X, le rette 7, ,... 7, che non sono incontrate fuori del punto
fondamentale O dalle curve ce, collegate alla corrispondenza nello spazio S,
sono linee fondamentali di 2% specie in tale spazio.
Per averne le omologhe occorre innanzi tutto considerare la stella di
piani (0') dello spazio S" che corrisponde alla rete degenere 4. Il punto 0',
centro di tale stella, corrisponde nella K al monoide fondamentale ®,_, ;
mentre i piani e i raggi della stella (0') corrispondono nella K ai piani
ed ai raggi della stella (0) con una omografia £ ben determinata.
Una linea generica 7 dello spazio S e la sua omologa 7' nell'altro
spazio sono proiettate rispettivamente dai punti O,0' secondo due coni che
si corrispondono nella omografia £; e propriamente due generatrici omologhe
dei due coni proiettano due punti corrispondenti delle due curve.
Perciò, se alle rette 7,,...,7p della stella (0) corrispondono nella
le rette 71,..,7, della stella (0'), qualora la linea r sì appoggi alla retta 7;
in un punto P, la linea 7' si appoggerà alla retta 7; in un punto P' che
sarà l'omologo del punto P nella corrispondenza che la K determina fra i
punti delle due linee 7,7". Ne segue che le linee fondamentali di 2° specie
dello spazio S' che corrispondono alle 7,,...,7p, sono le rette ART DOÈ
Inoltre per le rette 7;, 7 si ha v= v"=1, sicchè la 7; è multipla di or-
dine o;= 0; per le superficie del sistema omaloidico £' collegato alla
,
corrispondenza nello spazio S'. E se 0; >1, per le linee omologhe ri, 7;
sala e => l.
Il sistema £' innanzidetto è costituito da monoidi di ordine » aventi
il vertice nel punto O' e comprende una rete degenere, omologa della stella
di piani (0), costituita da superficie che si spezzano nei singoli piani della
Ù
stella (0') ed in un monoide fisso ©' omologo nella K del punto O'. Perciò.
il monoide @' è del tipo: @,_1 = 0"? 711... 7, ed il sistema &' è affatto ana-
logo al sistema X, risulta cioè costituito da superficie y,== 0"? 7191... 7°
che hanno ulteriormente in comune una linea semplice e' del monoide w'.
Alle linee fondamentali cc’ corrispondono rispettivamente nella K i
due coni fondamentali che proiettano le e’, c dai punti 0',0. Questi conì
sì corrispondono nella omografia £ in modo che, di due generatrici corri-
spondenti, l'una nello spazio S o nello spazio S' corrisponde per intero.
nella K al punto in cui l’altra si appoggia alla c' o alla e.
Con ciò la corrispondenza K può ritenersi perfettamente nota. Essa
comprende come caso particolare quella studiata da De Paolis. (!)
Matematica. — Sopra alcuni svicuppi in serie. Nota III di
Pia NALLI, presentata dal Corrisp. G. BAGNERA (°).
11. Si presenta ora il problema dello sviluppo del prodotto di due fun-
zioni rappresentate entrambe da serie di funzioni (2).
Occorre per questo lo sviluppo del prodotto %,(x)-vm(x). Esso potrebbe
ottenersi facendo il prodotto delle due serie di potenze di x che rappresen-
tano u,fx) ed wm(x) e sostituendo poi ad ogni potenza di x il suo svi-
luppo in serie di funzioni w.
Ora esporremo un metodo fondato sopra una formola di ricorrenza, il
quale permette di vedere quale è la forma generale dei coefficienti dello
sviluppo di w,(x)-m(£).
Tale formola esprime i coefficienti di 7 (2) linearmente ed omogenea-
mente per mezzo dei coefficienti di w}_1(x), cosicchè si può dire che i
coefficienti di (x) si esprimono linearmente ed omogeneamente per mezzo
di quelli di v;(x), e lo stesso si può quindi dire dei coefficienti del pro-
dotto %,(2)-m(x), come si intende facilmente quando si pensi alla forma
delle derivate dei quadrati delle w,(x).
La formola che otterremo permette non solo di calcolare i coefficienti
dello sviluppo di ui(x) quando si conoscono quelli di w;_,(x), ma permette
(') De Paolis, Sopra un sistema omaloidico formato da superficie di ordine n con.
un punto n-I-plo. Giornale di Matematiche, vol. XIII.
(2) Pervenuta all'Accademia il 9 settembre 1921.
— 452 —
«di calcolare i coefficienti di una (7) qualunque [a cominciare dalla v}(x)]
per ii fatto che il primo coefficiente non nullo in ciascuna delle wz(x) è
l’unità.
Per stabilire la formola in discorso, cominceremo con l’osservare che
ilo sviluppo di «;(x) deve cominciare col termine in usn(x). Poniamo allora
AG
È (2)
ica (2n)! an(€) îa (2n Cat DI Uan+:(£) ds
È chiaro che AM= (2n)!.
Abbiamo poi
ano! Un-1(£) = Un=1(@4) + 5 Un(ax) Ò
Quadrando i due membri ed integrando tra 0 ed x, otteniamo
4r 0 9 (0440)
ata { ui_ as ) ds = 1 Lf uz_1(8) ds + Un-1(8) Un(8) ds +
5 A NAS g
(e440)
È Ste (ce ES) ra
È uz(s) ds = : 30 un-1(8) ds + na us(ax) + val ur(s) ds
che possiamo anche scrivere
Si@)]= #3 e f u2_1(8) ds n° { uf_.(s) ds .
«/ 0 lo)
x
Nel primo membro il coefficiente di um(x) è E in si uî_1(s) ds
0
(n_1) (404
il coefficiente di um(x) è Bea , e finalmente in ol uz_1(s) ds il coeffi-
. i)
ciente di u,(x) è
AA I SITA "a en) +.. Dosi (—1) ym+i asc? | È
Avremo dunque
Mm) 2 (M-1) i 1 2 (RI) AE ASD + Vara + (— I AED L
Aim = Amoi alti on Jero m-2 m-3 2n-2 |
Così si vede che le A si esprimono linearmente ed omogeneamente
per mezzo delle ASP.
La formola ottenuta può servire al calcolo delle A? ed ecco in quale
modo.
Cambiamo in essa n in 27 +1edminmt4l:
Si
î nt n Jl
(9) Agip = + ARL 1)+
+ (+1? (n ADL. + DA).
Noi sappiamo che ASX = (2n)!. Calcoliamo ora A%,,. Nella (18) fac-
on+l*
ciamo m= 2% +1: il primo membro diventa 46,5) che è eguale a (2x+-2)!,
2n+2
‘al secondo membro tutto è noto fuorchè AW,,. Troviamo così
Sn + 1 a
(") SEE ! CI .
Asne1 (2n) % va I peSn
‘Se in questa cambiamo x in # --- 1, troviamo A&+Y, ed allora nella (13)
‘facciamo m=2n + 2: tutto sarà noto eccetto AX.,. , e troviamo allora
Mm. (nl 3a +2 e _ | ch
Adn+2 2)! (8 Sarpi ESD LT
Da questa otteniamo AS ed allora la (13), dove si faccia m=2r +3,
.ci darà
z 9n3° +4 36 n° | 45n + 14 a? a
ORE I A A A
HCl (3 (04 1)n+2)(n+-3) 1—e? 1 aa gl
Intd1 a 3n+1 e as
n+1l 1—-a na+1 1—-a l—-a3'
‘e così via, si possono ottenere le varie A,
Noi non continueremo questa ricerca delle A’; noteremo solo che AS?
2n+tk
al
‘è il prodotto di a
— per un polinomio in
A
di grado 4 —1 rispetto a tutti gli argomenti e di primo grado rispetto
‘a ciascuno.
Calcolati gli sviluppi delle «i, si possono avere, per mezzo di deriva-
zioni, quelli dei prodotti wn-%m.
12. Daremo ora lo sviluppo di ux(f2) con è qualunque.
Si ha
un(hx) = w(hax) + R (“uo(h9) ds,
e
RanpiconTI, 1921, Vol. XXX, 2° Sem. 59
DARA
cioè
(14) E) f i VOCI
(I
Ponendo v,(hx) = Mea) , abbiamo.
n=0
b=1,
S[e(k2)] = di by o
Sh us(h5) ds = Y bn la
a
e perciò
Solo) ds = Denton — bre ++ 19! da) sl)
0 n=1
Si dovrà dunque avere, eguagliando i coefficienti della stessa u, neli
due membri della (14),
ni nta AA
cioè
bn = (h—1) (bn One + + (1)! bo) ELE
Facilmente si trova
pi x
x[a-v73—1]- [0-0:£3= ui ]a-n x 3.
cioè
=(— 1)? a" EROI ha")
ba==(—1) (=) aLe)
Abbiamo dunque
Per A= a", con m intero e positivo, troviamo
dp) = SEE A
Uo(& x) 7a (E a) (1 — a*)...(1 — am) ZI hi È
X (1— a"+1) (1 — a##2)...(1— atm) sa a
— 455 —
Per m==1 si ritrova lo sviluppo di (ex).
il
Per h= — si trova
a
x nm (1-0 )...(1 ott) (2)
uo (a n) = 0) +Ya (1=@) (1223) e (1—- a") n!
e da questa, cambiando x in a"x, ricaviamo
nn+1
m nn DN a
(16) u(e)= wa") + Ze 2 X
% (NEI)
=) SI -(1— @) nl
Per un x fisso, il termine di posto x +-1 del secondo membro della
aca sà
precedente eguaglianza al tendere di m ad co tende ad ta) ol:
che è il termine di posto x + 1 nello sviluppo di vs(x) in serie di potenze
dis.
Dalla (15) otteniamo poi in generale lo sviluppo di ux(hx):
(17) uxha)=HRk! a sie » (— Pan Xx
x (1—-4)(1— ha).. ei Un+k (0) ) "all
I—-a(1—-a)..(1—-a) (+5)
e si possono ripetere relativamente alla ux(hx) le considerazioni fatte per
la wo(hx).
Si ha, per esempio,
(18) ux(x)= gar ta | sale” x) + DI an o
n=
a)
(1 A ali (1 <= sisi) (ella ACHE Edi
$ (1—- a)... (1—-@") (a 1)! (8) dé |
che è un altro modo di scrivere l’analoga della (16). Per m= 1 si ritrova
l'equazione funzionale ux(x) = i; S[ux()] a cui soddisfa la w. Per m qua-
lunque la (18) si può anche scrivere us) = Ta S"[ux(x)], dove con S”
denotiamo la potenza m"® dell'operazione S, ossia l'operazione lineare che
risulta dall’applicazione successiva della S per m volte.
— 456 —
La (17) ci dà in particolare
u(—2)=(—1) £! DE o) DM 1)" a” X
x + e)... (1-+a") wunes(2)
(STES .(1—-e°) (+4)!
Dalla (17) poi, facendo x =1 ed h=<%, ricaviamo il seguente svi-
luppo per la ux(x):
ux(1) < _1\n a”
ui th) (1—e@)(1—a?)..(1— a") i
_Un+r(1) (1)
(+5! (1—2)(1— a)... (1 a! 2) |
ua) Ela i
X
Matematica. — Su di una classe di equazioni alle derivate
funzionali. Nota II di Francesco TRICOMI, presentata dal Socio
V. VOLTERRA ().
5. Supponiamo per primo che il nucleo K($,) sia simmetrico e tale
che il sistema delle sue funzioni parametriche associate wi(€), ws(£),...
possa rendersi ortogonale e normale, il che d'ora innanzi supporremo sempre
sia già stato fatto. Inoltre supponiamo che, se i suoi parametri 4, , 4», .... non
sono in numero finito, le due serie 2, Pn/|4x| e Z4 Pî/|Ax|, dove Pa è il
massimo di |w,(#)|, siano entrambe convergenti.
In queste ipotesi, com'è noto, la serie Xn wWx(é) W(7)/An è uniforme-
mente convergente ed ha per somma K(É, 7); pertanto la (7) potrà seriversi
IP($, y
POE ale AA (YO) 0,2) 7
da cui, identificando w, con / e Giovandoni delle (8), (10) e (11),
IP(Î,8) _
da
dove si è posto
(13) un(2)=cne Da + n In(È, e) dé , né, )= ef a(8,9) esa ds,
0 0
(Rea
essendo le c, delle costanti arbitrarie.
(1) Presentata nella seduta del 2 maggio 1921.
— 457 —
È facile vedere che la serie Xn Wx(£) (2) /Zn è assolutamente ed uni-
formemente convergente, purchè l’insieme delle costanti arbitrarie cn sia li-
mitato. Infatti, supposto che |cx]= 0; allora, com'è facile vedere, si ha -
On = 0 + (sk + RE) RA,
(a=0,1,2,4)
‘avendo posto
B@d=f BE 10) de i fel I=ffat od, =,
Ne segue che se le due serie
(ee)
H(*,pla)j= Ye È"/a1 , HE, =8+ Eh,
‘sono convergenti, si avrà la soluzione
1 ; .
19) 2E,A=0®+ | Hl,7) (My +: Ea
«0
che per z= 0 si riduce manifestamente alla funzione arbitraria @(é).
Ora si verifica subito che
(20) Lan Kn] < (ANY, | Ke 8] < MZ0+1 | KA,
dunque la serie H, ammette come maggiorante la serie esponenziale 2,(ZN)"/n!
epperò è sempre assolutamente ed uniformemente convergente. Quanto alla
serie H, essa, in virtù della 2* delle (20), ammetterà come maggiorante
la serie MZ°* X, Ze | Kn e cioè, prescindendo dal fattore MZ°, la serie dei
moduli corrispondente allo sviluppo in serie di Z del nucleo risolvente del-
l'equazione di Fredholm
9_zf KE. g(n) dn = /(8)-
(1) Cfr. Tricomi, Sull'iterazione delle funzioni di linee [Giorn. di Mat. di Batta-
:glini, vol. 55 (1917)].
— 460 —
Ma essendo per ipotesi K un nucleo privo di parametri, il nucleo risolvente-
di quest'equazione è una funzione olomorfa di Z, dunque l’accennata serie-
dei moduli sarà convergente, epperò la serie H, convergerà assolutamente
ed uniformemente e la (19) resta quindi pienamente legittimata.
Se a(£É,n)=0, allora pure P=f,=f.=---=0 e la serie H..
sparisce dalla (19), che perciò in questo caso resta valida incondizionata-
mente ancorchè K abbia dei parametri. Si ritrova così la formola stabilita
dal prof. Volterra (*) in questo caso particolare.
Astronomia. — Sulla massa e il moto proprio del sistema
40 Eridani. Nota di GrorGio ABETTI, presentata dal Socio
A. Di LecgE.
Il sistema 40 Zridani (2 518=8GC 2109; a—= 42 10".7,d= — 7949’,
Eq. 1900), scoperto da W. Herschel nel 1783, è costituito da tre componenti,
di cui la A, di grandezza 4,5, ha uno dei maggiori moti proprî conosciuti,
comune anche alle altre componenti B e C di grandezze 9,4 e 10,8. La
componente B dista da A, all'epoca presente, 33” e da C 3”; con questa, B.
forma un sistema binario con un'orbita del periodo di 180 anni e con una
eccentricità che è la più piccola conosciuta per i sistemi binari visuali.
Un'orbita precisa non potrà essere calcolata fino a che non si conosca
con più esattezza la forma dell'orbita apparente nel quarto quadrante; tut-.
tavia una buona approssimazione è certo data dai seguenti elementi di Doo-
little che soddisfano bene alle osservazioni eseguite dalla scoperta fino a.
quelle ultime di Aitken (?) del 1912.
40 Eridani — Coppia BC
a
P=> 180.08
T= 1843.18
e= 0.134
= 4.79
OMO
i= 68°.25
o= 8319°.55.
(*) Nota già cit.: Sulle equazioni alle derivate funzionali.
(2) Lick Observatory Publ, vol. XII, pag. 29.
— 461 —
La parallasse di A è stata più volte determinata con metodi trigono-
metrici e recentemente anche con metodo spettroscopico a Monte Wilson, I va-
lori risultanti dai due metodi sono rispettivamente
iI IVI
e, se si adotta il secondo, si ottiene
grandezza assoluta di A = 6.2.
Il suo spettro appartiene alla classe /, quindi la componente A è una
stella rossa e nana. Poichè il moto proprio di B C è sensibilmente uguale
a quello della componente A, si può ammettere che le parallassi di B e C
sieno uguali a quella di A, donde si avrà:
grandezza assoluta di B= 11.1
” » di C —= 1255 .
Le somma delle masse del sistema BC, in unità della massa solare
risulta, per la terza legge di Keplero, usando per il periodo e il semiasse
maggiore i valori di Doolittle:
M+M =0.32 ©.
Delle masse dei sistemi visuali binari è questa una delle più piccole
finora determinate, e fra queste ricordiamo quella del sistema Ar%ger 60
che è 0,42 della massa solare (*). Mentre la grandezza assoluta della com-
ponente principale di Arzger 60 è 10,8, ed il suo spettro appartiene alla
classe Mb, cioè è una stella rossa e nana, invece nel sistema 40 Eridani
il compagno B appartiene alla classe A2 (2). i
Poichè la maggioranza delle stelle di classe A di cui si conosce la lu-
minosità è compresa fra i limiti di grandezza assoluta —2 e --4,la com-
ponente B di 40 Fridani è una stella anomala; ed infatti calcolandone la
densità, in base all'ipotesi generalmente ammessa della validità della legge
di Planck, risulta un valore inammissibile (3).
Anche la densità del sistema Kr%ger 60 risulta eccezionalmente grande
per ambedue le componenti, nonostante che appartengano alla classe M; e
quindi si deve concludere che per queste stelle nane la superficie di splen-
dore o il potere radiante sieno molto inferiori a quelli che comporterebbero
le loro caratteristiche spettrali.
(1) S. A. Mitchell, Z'he parallax of Kruger 60. Astr. Journal, n. 767, pag. 179.
(*) Recentemente è stato fotografato all’osservatorio Lick (Pubbl. Astr. Soc. Pacific.
Ottobre 1921, pag. 272) anche lo spettro di C che appartiene alla classe Md con la
riga Hg luminosa.
(3) E. Bernewitz, Veder die Dichten der Doppelsterne. Astr. Nachr., n. 5089, pag. 7.
RENDICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sem. 60
SL IUGOR I
I collegamenti micrometrici di B con A, eseguiti fin dall'epoca della
scoperta, dànno il modo di calcolare le masse delle due componenti B e C.
Con le misure che si trovano raccolte in 8GC e in Th. Lewis (!) e con
quelle, più recenti, di Aitken(?), ho formato 12 luoghi normali con gli an-
goli di posizione e le distanze, ridotti i primi all’equinozio 1850.0, ed ho
calcolato con gli elementi di Doolittle le coordinate di C rispetto a B per
le stesse epoche:
Coppia AB, eq. 1850 Coppia BC, eq. 1850
p | e OSSERVATORI Pe 20
1825.05 | 10760 | 8532 x 2345 | d'91
1836.04 | 107.40 | 83.50 x 1879 | 267
1851.22 | 10620 | 82.24 x 159.6 | 3.99
1855.71 | 106.15 | 8210 ox, Se 1548 | 418
1864.08 | 105.58 | 82.48 En, 4 1449 | 426
1878.05 | -105.46 | 81.38 0x5, 8 1270 | 362
188137 | 105.44 | 82.65 ox, H1 1215 | 3.38
1887.06 | 105.16 | 8174 | H1,En 109,8 | 2.95
188847 | 105.40 | 8210 HI, f 1065 | 2.85
1899.08 | 105.00 | 82.76 | Solà,A 727 | 2382
1904.70 | 105.03 | 8212 8 513 | 2.36
1912.05 | 10489 | 82.62 A 27.6 | 271
Trasformati questi angoli di posizione e distanze in differenze di ascen-
sione retta e declinazione, ho risolto due sistemi di dodici equazioni di con-
dizione ciascuno, uno per le « l’altro per le dò, contenenti come incognite le
differenze di ascensione retta e di declinazione per il 1825.0, il moto proprio
del centro di gravità del sistema BC rispetto ad A ed il rapporto:
e
fi
m
k= ga
della massa della componente C alla massa totale. I risultati sono i seguenti :
4a 1825.0 =— 80”.67 40 18250 =+26".44
Ma =+ ‘0%.007 # 00180 usi = RIO0O7I= N 012008
ki =+ 10048028 = AMORE R0
(*) Memoirs of the Royal Astr. Soc., vol. LVI.
(2) Lick Observatory Publ., vol. XII.
— 463 —
Il moto in d della coppia BC si presenta più favorevole del moto in @
nell'intervallo di tempo considerato per la determinazione di £; ed infatti
dalle equazioni in d si ha il risultato più attendibile.
La componente A è stata anche più volte collegata con stelle deboli,
designate in #GC con a di 11" e con d di 11".8, da cui si deducono indi-
retti collegamenti con B, i quali possono essere usati per ottenere altri va-
lori di X. Ho tentato il calcolo con queste stelle; ma, sia per la scarsa pre-
cisione dei collegamenti indiretti, sia perchè le osservazioni sono ancora poco
numerose, i valori di X non risultano sufficientemente esatti. Facendo il medio
pesato dei due 7 sopra trovati, si ottiene
s ]S
I
(=)
=
SS
«questo valore, con l’altro sopra trovato per la somma delle masse, dà
M=0.20 ©
M'—=0.12/0.
Per il sistema Ar%ger 60, con il rapporto delle masse dato da Ber-
newitz (*), e la massa totale sopra riferita, sì ottiene, per la componente A,
M =0.23 ®©; per la B, M’'=0.19 ©.
I collegamenti di A con a e è si prestano bene per calcolare il moto
proprio di A. Dalle osservazioni esistenti in Th. Lewis (loc. cit.) e 8GC (?)
‘si ottiene il seguente moto proprio ridotto al 1900:
compon. A ba=— 2".247 1 0".002 , us=—3".427 = 0".006
e sull’arco di cerchio massimo: w=4".087 in 2183°.0,
in buon accordo con quello che si trova nel Catalogo generale di Boss de-
dotto dalle osservazioni meridiane e ridotto alla stessa epoca:
na=— 2.226 + 0.002 , us=—8"435 +0”.002
u = 4.082 in 2120.7.
Il periodo di tempo trascorso dalle prime osservazioni di 40 Eridani
è ancora troppo breve per poter decidere se il moto proprio del centro di
gravità del sistema BC rispetto ad A sia un moto orbitale di lunghissimo
periodo (*) o se si tratti di moto proprio comune nella stessa direzione.
(1) Loc. cit., pag. 8.
(2) Cfr. anche: Burnham, Measures of proper motions stars, Washington, 1913,
pag. 122.
(3) Th. Lewis, loc. cit., pag. 114; Aitken, The binary stars, New York, 1918,
pag. 286.
— 464 —
Una differenza nel moto in d sembra posta fuori di dubbio da questi.
calcoli, dai quali si conclude il seguente moto proprio del centro di gravità.
del sistema BC per il 1900:
e.g. BC Ma= — 2”.240 + 0".013 , us= —3”.356 + 0".007
e sull'arco di cerchio massimo: u= 4”.024 in 2139.5.
Dal moto proprio e dalla parallasse di 40 Zridan: risulta la notevole
velocità di 88 chilometri per secondo nel piano normale alla visuale.
La velocità lungo la visuale, per quanto è a mia conoscenza, non è
stata ancora determinata.
Fisica. — L'effetto Hall nel Bismuto solidificato nel campo
magnetico. Nota di Tirri L. e PeRrsIco E. (*) presentata dal Socio
CorBINO (*).
Il fenomeno di Hall è stato ampiamente studiato sia nel Bi cristal--
lino. sia in quello isotropo. Ora se si tiene presente che in quest'ultimo.
l’isotropia non sî riferisce ai più piccoli elementi di volume, ma ha carat-
tere statistico, inquantochè risulta dalla uniforme distribuzione in tutte le
direzioni, degli assi dei singoli cristalli costituenti la massa metallica, si
avrà del Bi di proprietà intermedie fra i due, se si riuscirà a provocare
in un modo qualunque, al momento della solidificazione, una tendenza all’orien-
tamento degli assi dei cristalli in una direzione determinata. Poichè un
cristallo di Bi in un campo magnetico uniforme, tende a orientarsi col suo
asse principale parallelo al campo, si pensò che il campo magnetico dovesse
avere azione sull’orientamento dei cristalli durante la solidificazione. Se ciò.
avviene le proprietà del Bi, ottenuto in queste condizioni, dovranno assomi-
gliare a quelle del Bi cristallino, con l’asse nella direzione in cui era il
campo orientatore, e con una anisotropia presumibilmente minore; tutte le
direzioni normali a questa saranno evidentemente equivalenti fra loro.
Per verificare ciò, principalmente rispetto all'effetto Hall, abbiamo.
dapprima colato due cilindri eguali di Bi, facendo solidificare l'uno in un
campo magnetico di 7550 Gauss normale al suo asse e l'altro fuori del
campo. Da questi cilindri vennero tagliati due dischi del diametro di cm. 2,
e dello spessore di circa cm. 0,1, l’uno normale all'asse del cilindro (che
durante la solidificazione era verticale) e l’altro parallelo a questo: essi
(1) A Tieri è dovuta l’idea della ricerea; ad entrambi la parte sperimentale.
(*) Presentata nella seduta dell'8 maggio 1921.
Agp —
‘saranno nel seguito contrassegnati con una lettera, e cioè:
solidificazione o (orizz.) to p (paral. al campo orient.)
fuori del campo | , (verticale) ’ i
\
n (norm. al campo orient.)
Dal cilindro solidificato nel campo furono poi ricavate altre due coppie
«di dischi, dello stesso diametro dei precedenti, e dello spessore di cm. 0,05
:(p' e n°) e 0,15 (p” en”) nelle stesse orientazioni, rispettivamente, di p ed n.
I dischi di ciascuna coppia (0 e v; p ed x; p' ed x; p" ed n") furono
‘torniti insieme, per averli dello stesso spessore. Sul contorno di ognuno di
questi dischi, agli estremi di due diametri ortogonali, furono saldati quattro
‘elettrodi puntiformi (nei dischi p, p",p" una delle coppie di elettrodi è nella
direzione in cui agì il campo durante la solidificazione).
Alle misure dell'effetto Hall servì un galvanometro Siemens di 25 Ohms
di resistenza interna, cui ne furono aggiunti altri 100 nel circuito; in queste
condizioni il galvanometro era aperiodico ed abbastanza pronto per fare le
letture senza notevoli errori di origine termica. La corrente primaria che
percorreva il disco era di 0,1 ampere, e si chiudeva solo per il tempo neces-
‘sario alla lettura: il campo di circa 11000 gauss.
Come misura dell'effetto Hall si è presa la media di quattro letture,
‘fatte invertendo in tutti i modi possibili il campo e la corrente. Ecco i
risultati ottenuti per le varie coppie di dischi, prendendo la media di parecchie
‘migure :
o) 4,65 p) 5,78 DI) «1352 p') 4,45
v) 4,91 n) 447 n) 9,9 a") 1,22
diff. °/, —5,9 25,9 28,6 57
Come si vede la differenza per i due dischi (0 e v) solidificati fuori
‘del campo non è zero come sarebbe da aspettarsi: però è notevolmente minore
che per le altre coppîe. Essa può essere attribuita alle diverse condizioni
di raffreddamento dei due dischi, essendo l'uno (v) tagliato parallelamente
all'asse del cilindro nella parte più interna di questo, e l’altro (0) normal-
mente all'asse stesso: una analoga perturbazione avrà presumibilmente alte-
rato i risultati delle due coppie seguenti, diminuendo come si vede dal segno,
l'effetto del campo: quanto alla coppia p”, n°, per essa le condizioni di
raffreddamento erano notevolmente diverse che per le precedenti, essendo
tagliato il disco n" in prossimità della superficie del cilindro.
Si osservi incidentalmente che per ciascun disco furono fatte le osser-
vazioni impiegando alternativamente l'una e l’altra coppia di elettrodi opposti
«come elettrodi primari, e entro i limiti degli errori sperimentali si trovò valido
— 466 —
il principio di reciprocità (') anche nei dischi tagliati paralleli al campo +
inoltre ai dischi p' e x’ furono saldati altri quattro elettrodi a 45° dai prece-
denti, ottenendo sensibilmente gli stessi risultati, come pure si ottenne lo
stesso risultato dal disco 7’ con elettrodi distribuiti irregolarmente sul
contorno.
Da queste prime esperienze si poteva dunque concludere che per una
lamina tagliata parallelamente alla direzione del campo, l’effetto Hall è
notevolmente maggiore che per una lamina normale a questa. Per confermare
tale risultato, e per comparare le lamine solidificate nel campo con quelle:
solidificate fuori, abbiamo ripetuto l’esperienza con Bi di diversa prove-
nienza, modificandola come segue:
Per eliminare, per quanto possibile, l'influenza delle condizioni di raffred-
damento, abbiamo colato quattro cilindri (diam. 2,5 cm.) facendoli solidific are
tutti fra le espansioni polari del magnete; ma per due di essi (n. 2 e 4)
questo era eccitato, ed aveva un'intensità di 8250 gauss e-per gli altri due
(n. 1 e 3) no. Dalla parte più interna di ciascun cilindro fu ricavata una
lamina parallela all'asse (quindi verticale): le lamine 1 e 2 sono parallele
alla superficie delle espansioni polari, le lamine 3 e 4 sono normali a queste,.
cosicchè le lamine sono:
N. 1 solidif. senza campo e paral. alla sup. delle espans. polari.
Nig2in 0a col campo e normale al campo orientatore.
Nostra senza campo e normale alla sup. delle espans, polari.
N. 4 n» col campo e parallela al campo orientatore.
na (4)
6+ e S
di > -@(2)
54 °
tr ©
Ì A
Sea AA n n i tratiso.
Per le lamine 1 e 2 le condizioni di raffreddamento sono le stesse, e
così per la coppia 3 e 4: per le due coppie esse devono differire poco,
essendo determinata la differenza unicamente dalla orientazione delle lamine
rispetto alle espansioni polari, le quali erano separate dal Bi mediante uno
(1) V. Volterra, Nuovo Cimento, 9, 1915, pag. 23, Lownds, Drude Ann., 9 (1902);
pag. 677.
— 467 —
strato di amiantv e uno di vetro e quindi non dovevano agire termicamente
in modo notevole: tuttavia una piccola differenza c'è, come si vedrà dal
confronto delle lamine 1 e 3. Si prese anche un’altra precauzione per
evitare, al momento della colata, un troppo rapido raffreddamento supertfi-
ciale, e cioè si riscaldarono a circa 250°1 tubi di vetro fasciati di amianto nei
quali si colava il metallo, mediante una corrente elettrica che si interrompeva
appena riempiti i tubi. Per assicurarsi che le quattro lamine avessero lo
stesso spessore, esse furono tornite insieme: si diede loro la forma quadrata,
di cm, 2,2 di lato e cm. 0,1 circa di spessore e nel punto medio di ciasenn
lato fu saldato un elettrodo puntiforme.
L'effetto Hall, misurato nelle stesse condizioni delle esperienze prece-
denti, è dato dalla seguente tabella (deviazioni in cm.)
Campi Media Differenza °/o
} N. 1 N. 2 N. 3 N. 4
in Gauss N1e6e3|N264|N1e8|N.2094
4325 | 3,6 | 345| 3,70| 390 365] 3,67 2,7 12
il
8625 | 5,75 | Rosen isen 6300). 5,69) Soria 22
|
10975 | 645| 555 63 1 6,37 | 6,32 — 2,85 25
Si ricava da questa tabella, o dal diagramma che la riassume:
1° che fra i due dischi soliditicati nel campo esiste una differenza
nell’effetto Hall assai maggiore di quella che può essere determinata dalle
condizioni di raffreddamento, o da inomogeneità casuali, quale quella esistente
nell'altra coppia: inoltre nella prima coppia la differenza cresce col crescere
del campo mentre nella seconda le due curve s'intersecano; ciò che fa rite-
nere che le piccole differenze sull'effetto Hall siano dovute ad errori di
osservazioni.
2° che per ciascun valore del campo, la media delle deviazioni rela-
tive ai due dischi solidificati nel campo è eguale alla media delle devia-
zioni relative agli altri due. o
Dunque, nella lamina parallela al campo orientatore l’effetto Hall è
notevolmente più intenso che nel Bi ordinario, di altrettanto è inferiore
al’ordinario l'effetto Hall nella lamina normale al campo orientatore.
Dalle esperienze di Van Everdingen (') risulta che questo comporta-
mento è analogo a quello del Bi cristallino, quando si faccia corrispondere
l’asse principale alla direzione del campo orientatore; però, come è natu
rale nel Bi cristallino, l’anisotropia è maggiore e cioè non già del 25 °/;
circa, ma 230 % (per H = 4600) e 198 °/, per H = 2600.
Anche per queste lamine si osservò la validità del teorema di reci-
procità.
(1) Arc. de Sc. Phys. et Nat. (4) 11 1901, p. 433.
— 468 —
Chimica. — Sulla scomposizione dello iodolo (*). Nota di
R. Crusa, presentata dal Socio G. CIAMICIAN.
Secondo alcune considerazioni del prof. G. Ciamician e mie è possibile
l’esistenza dei complessi saturi
E ; CNH s C,S (2).
Tali complessi debbono essere, come molecole semplici, indubbiamente
assai instabili, nel senso che debbono possedere una grande tendenza a poli-
merizzarsi ed a dare origine alla grafite di benzolo ed ai composti (C4NH)n;
(C.S)n che potrebbero chiamarsi rispettivamente grafite di pirrolo e di tio-
fene. La presenza dell'azoto e dello zolfo nei carboni naturali ed artificiali
potrebbe essere una prova dell’esistenza di tali grafiti.
Per la preparazione del complesso C,NH, un metodo che a priori pro-
metteva di dare buoni risultati, era quello di partire dai composti poliiodu-
rati. È noto infatti che l’iodolo elimina facilmente iodio per riscaldamento :
nelle stesse condizioni d’esperienza l’iodoformio fornisce acetilene. Non era
perciò inverosimile che lo iodolo eliminando iodio desse origine al complesso
saturo C,4NH.
Sulla eliminazione dello iodio dallo iodolo non furono fatte finora ri-
‘cerche nè qualitative, nè quantitative: il risultato delle ricerche da me intra-
prese a questo scopo si può riassumere brevemente come segue.
Lo iodolo a pressione ordinaria e ridotta si scompone quasi improvvi-
samente a 150°, eliminando tre atomi di iodio, e lasciando un residuo inso-
lubile negli alcali, negli acidi e nei solventi ordinarî, amorfo, contenente
‘ancora iodio, che all’analisi dà numeri corrispondenti a quelli richiesti da
un composto della formula (C,JNHI)n
(C,NHI),n Calcolato N:7,63; 1:66,84
Trovato I » 67,24
’ II » 7,22 » 66,76
” II » 7,65
La I analisi si riferisce al residuo del riscaldamento nel vuoto dello
iodolo a 150° per tre ore (iodio eliminato 50,67 %, ossia 2,28 atomi).
(1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale della R. Universttà di Bologna.
(2) Questi Rendiconti, XXX, 1%, 72.
— 469 —
La II si riferisce al residuo del riscaldamento nel vuoto a 150° per
-sei ore (iodio eliminato 68,02%, ossia 3,06 atomi).
La III si riferisce al residuo del riscaldamento nel vuoto a 200° per
tre ore (iodio eliminato 64,12%, ossia 2,88 atomi).
Il composto (C,NHI),n al quale si potrebbe asseguare la formula più
semplice’
UCIMCO
III
ICONOUNS0I
” di anidride carbonica;
e sui campioni ottenuti si è studiato in che modo procede la ricristalliz-
zazione.
I bottoncini di oro furono ottenuti fondendo per due volte successive
rispettivamente nel vuoto, nell’ idrogeno e nell’ossigeno, del metallo pre-
ventivamente fuso all’aria. Il metallo, che era servito per le esperienze nel
vuoto, venne quindi impiegato per le prove con azoto fondendolo di nuovo
per due volte successive in ambiente di azoto.
Per le esperienze con anidride carbonica si adoperò invece il metallo
che era servito prima per le prove in ossigeno, rifondendolo, sempre due
volte, in ambiente di anidride carbonica.
(1) Inst. Metals, 8, 122 (1912).
(2) Inst. Metals, 16, 18 (1916).
(*) Inst. Metals, 16, 67 (1916).
(4) I. Soc. Ch. Ind., 36, 429 (1917).
(5) Int. Zeit. Metall, 9, 1 (1916).
(5) Inst. Metals, 9 (1912); ibid., 10 (1913),
(9) Inst. Metals, 12, 125 (1914).
— 483 —
I bottoncini di argento, avendo a disposizione una maggiore quantità
di metallo, furono preparati rifondendo nelle diverse condizioni il metallo
precedentemente fuso all'aria.
Numerose proprietà variano col grado di inerudimento di un metallo:
fra esse si presta ad una misura esatta la durezza. Per stabilire gli effetti
della ricottura, ci siamo perciò serviti della durezza misurata a mezzo dello
seleroscopio di Shore (*) che permette di lavorare speditamente e con cam-
pioni di metallo di spessori molto piccoli (fino a 0,6-0,7 mm.).
Le ricerche si riferiscono a metalli teneri e perciò si è adoperato lo
scleroscopio con il maglietto amplificatore. Dai valori così ottenuti si potrebbe
passare con una certa approssimazione ai valori di durezza Brinell; ma le
relazioni di durezza Shore e durezza Brinell non sono sempre ben nette, e
d'altra parte a noi non interessava stabilire valori assoluti di durezza.
I valori di durezza sono ‘ciascuno la media di almeno 10 osservazioni.
Lo scarto maggiore tra i valori ottenuti nelle 10 osservazioni non superava
mai le 3 unità.
I campioni, preparati fondendo nella maniera detta i due metalli, erano
in genere dei blocchetti di 7 mm. di altezza; essi venivano laminati a freddo
in modo da diminuirne successivamente l'altezza e ottenere lamine dello
spessore di 0,3 mm.
La ricotture vennero fatte: a 1009, 150°, 2009, 250°, 300°, 350°, 400°
nel caso dell’oro,.e a 100°, 110°, 120°, 130°, 150°, 200°, 8009, 400° nel
caso dell'argento, in stufe ad aria riscaldata a gas o elettricamente.
L'oro adoperato nelle esperienze aveva un titolo di 998/1000 e l’argento
di 999/1000. Dopo le fusioni il titolo in entrambi i casi era rimasto inal-
terato.
I risultati delle esperienze sono riassunti nei due diagrammi 1 e 2 dove
sono riportati sulla ordinata le durezze Shore e sull’ascissa i tempi di ri-
cottura. È evidente da essi l’azione ritardatrice che sulle velocità di ricri-
stallizzazione dei due metalli esercitano l'idrogeno in maggiore e l’azoto in
minore misura.
In entrambi i casi la curva di durezza per il metallo fuso nel vuoto
(circa 1 mm. di Hg.) ha wna posizione intermedia fra quelle dell'idrogeno
e dell'azoto, e quella dell'anidride carbonica e dell’ossigeno. Evidentemente
con la depressione usata non si riesce a liberare i due metalli dalle impu-
rezze gassose che contengono dopo la fusione all'aria.
La fusione in atmosfera di ossigeno dà il metallo che ricristallizza a
temperatura più bassa. L'ossigeno è perciò un purificatore di questi due me-
talli; e ciò corrisponde alla pratica, che viene seguìta in molte fonderie di
(1) L'apparecchio ci è stato messo cortesemente a disposizione dall'ing. Pavone della
ditta Coe e Clerici di Milano. All'uno e all’altra esprimiamo pubblicamente le nostre
più vive grazie.
— 434 —
rmmiòÒ____t2@r——_—__—m—m—É&——Tr_—_—_É_—_____ÉÉtb————m——ébÒ__ ——————__—_—_—_—__—m—mm————_—————————————————————————
Q 0° 700° 150° 200° 50° 300° BEZA 400°
Fic. 1.
so
/0 20 30 40
0
100° 150° 200° 250° d00° Jse° 400°
— 435 —
argento, di aggiungere al metallo fuso prima della solidificazione un po’ di
salnitro.
Se la ricristallizzazione è prodotta, come molti ritengono, dalla tensione
superficiale, questa notevole influenza che impurezze gassose esercitano sulla
ricristallizzazione non può meravigliare, poichè, alla stessa maniera che per
i liquidi, è presumibile che le impurezze producano l'abbassamento della ten-
sione superficiale anche nei solidi.
NOTE PRESENTATE DA SOCI
Matematica. — Le classi di forme aritmetiche di Dirichlet
appartenenti ai generi della specie principale. Nota I del dottor
ALBERTO MARIO BEDARIDA, presentata dal Corrisp. Gurpo FUBINI.
1. — Sia D un numero intero razionale e consideriamo le forme arit-
metiche, binarie, quadratiche di Dirichlet:
(1) f==(a,b,c)=ax* 4 2bexy 4 cy,
appartenenti al corpo RS) , 0 campo di Gauss, a determinante 9*— ac= D.
Indichiamo con pi, 2, ..., pr i fattori razionali, primi, dispari, diversi
di D, per i quali sia p.=3 (mod. 4), ((=1,2,...,7), quindi primi
anche nel corpo K({/— 1) ed invece con g1, 93, -.. gs i suoi fattori razionali,
primi, dispari, diversi, per i quali sia g;="1 (mod. 4), (f=1,2,...,5),
quindi scindibili, nel corpo KISS in due fattori primi coniugati g; =
= 7;N;,; e poniamo 7; = 24 ir" ed inoltre "r +-s="n.
Osserviamo che, nel seguito, le forme che considereremo saranno sempre
del tipo delle (1) ed inoltre, primitive di prima specie, cioè a, dD, c eda,
20, c, saranno due terne di numeri primi tra di loro, nel corpo K(Y/— 1);
e ciò sarà inteso tacitamente.
Consideriamo ora i generi definiti dalle seguenti relazioni (').
o [ia [dd
CARA) (Aa
e E LI A
fa
ire;
(1) Per la teoria dei generi delle forme di Dirichlet, cfr. la mia Nota: /l genere
nelle forme aritmetiche di Dirichlet, secondo un teorema di Eisenstein. Rend. Istituto
Lombardo di Scienze e Lettere, serie II, vol. LIV, fase. VI-X (1921).
ReENDICONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sem. 63
sigg
‘ove con /, ed fa indichiamo rispettivamente la parte reale ed il coefficiente
dell'immaginario della forma /. Notiamo esplicitamente che i caratteri @,
8 e y potranno anche non comparire tutti e tre, ma almeno uno, e ciò può
venire precisato facilmente ricorrendo alla tabella inserita a pagina 212
della mia Nota ora citata, e tenendo presente che il determinante è razionale.
I generi definiti dalle (2) si diranno, con Hilbert, generi della specie
principale. lì loro numero è, manifestamente, 2°.
Scopo del presente lavoro è di determinare, basandoci uricamente sopra
la teoria delle forme aritmetiche, le diverse categorie di classi di forme (?)
aritmetiche di Dirichlet, determinanti D, appartenenti ai generi della specie
principale (?).
2. — Introduciamo le seguenti detinizioni: diremo classe razionale,
una classe di forme aritmetiche di Dirichlet, a determinante D, quando
contiene una, e quindi infinite forme a coefficienti interi, razionali; classe
complessa, nel caso opposto.
La classe principale, contenendo la forma (1,0,-— D), è razionale.
Manifestamente le classi razionali costituiscono un sotto-gruppo del gruppo
di composizione () delle classi di forme di Dirichlet considerate. Segue: è/
numero delle classi razionali è sempre un divisore del numero totale delle
classi.
Consideriamo una classe razionale e sia m un intero razionale, rappre-
-sentato (propriamente o no) dalle sue forme e primo con 2D. Per note re-
lazioni tra il simbolo di Dirichlet e quello di Legendre (4), nel corpo
K(y—1), abbiamo:
GIS (atreno a] ri sa (e)
‘quindi
lallE]-+1% (gie li 20 008)
(!) L’equivalenza da noi considerata è l'equivalenza propria, quella cioè rispetto al
‘gruppo delle sostituzioni aritmetiche (7-5) nel corpo K(V —1), ove ad—py=+1.
7
(2) Hilbert, nella sua Memoria: Ueder den Dirichlet'schen biquadratischen Zahl-
kòrper. Math. Ann. 45 Bd., ha notato ($ 9 seg.) degli speciali corpi di Dirichlet, in cui
‘certe classi di ideali appartengono a determinati generi, che chiamò appunto generi della
specie principale. Agli ideali di questi corpi speciali di Dirichlet corrispondono le forme
di Dirichlet, nel corpo ASSI 1), a determinante intero razionale che noi consideriamo in
questo lavoro.
(3) Sulla composizione delle forme di Dirichlet, cfr. Bianchi: Sulle forme a coef-
ficienti ed indeterminate complesse. Atti Acc. Lincei, serie 48, vol. V, fasc. 8, pag. 589.
(4) Cfr. Dirichlet: Recherches sur les formes quadratiques à coefficients et à indé-
«terminées compleres. Crelle’s Journal, 24 Bd.
—kdgKe=
ed inoltre è, manifestamente: a —= +1, 8#=4+1,y=<+1 ben inteso,
tenendo presente quanto si è detto intorno a questi ultimi tre caratteri. Si
ha dunque: le classi razionali appartengono ai generi della specie prin-
cipale. Con questo, abbiamo una prima categoria di classe di forme di Di-
richlet, appartenenti ai detti generi.
Segue da quanto ora si è detto: una classe di forme aritmetiche, 4
determinante D, per la quale, tra i caratteri AL ove pi è un fattore
i
primo, dispari, razionale e="3 (mod. 4) di D, e di caratteri a, 8 e y
‘od alcuni di essi), almeno uno sia —1, è una classe complessa.
Da quest’ultima considerazione risulta l'esistenza, in generale, delle
classi complesse e così pure l'esistenza di generi contenenti esclusivamente
classi complesse. i
È facile vedere che : zi numero delle classi razionali è sempre un di-
visore del numero delle classi complesse.
Consideriamo le classi di forme aritmetiche di Dirichlet a determinante
D (primitive di prima specie) che contengono una, e quindi infinite, forme
del tipo (a, 20, c) ove a,d,c sono interi razionali, tali che — 0° — ae=D.
Tali classi saranno denominate: classi del tipo P. Esistono classi del
tipo P, razionali. (Ad esempio quelle contenenti forme del tipo (2,0,c),
ove 4 e c sono interi razionali tali che —ac = D). Inoltre, notiamo che est-
stono ciassi del tipo P, complesse. Intatti, considerata una forma (a, d, e)
a coefficienti interi, razionali, a determinante —D, primitiva di prima
specie, appartenente ad una classe non ancipite ('), la forma (a, id, -- ce)
apparterrà ad una classe P, di forme del tipo P, a determinante D, non
ancipite, manifestamente, e quindi complessa, perchè se fosse razionale la
classe P, coinciderebbe con la classe coniugata (®) P,, = Pi*, cioè P sarebbe
ancipite, il che non può essere.
Si ha ora: le classi complesse del tipo P. appartengono ai generi
della specie principale. Invero ciò è evidente quando si pensi che le forme
di tali classi rappresentano dei numeri interi, razionali e primi con 2D.
Abbiamo quindi una seconda categoria di classi di forme aritmetiche
di Dirichlet, appartenenti ai generi suddetti.
Notiamo che la totalità delle classi del tipo P, a determinante D,
costituiscono, come le classi razionali, un sottogruppo del gruppo di compo-
sizione delle classi di forme di Dirichlet, considerate e quindi: 7 numero
delle classi del tipo P, è sempre un divisore del numero totale delle classi.
(1) Una classe di forme (primitive di prima specie) si dice ancipite od ambigua,
quando composta con sè stessa oftre la classe principale.
(2) Cfr. N° seguente.
— 488 —
Componiamo ora una classe razionale, non del tipo P, con una classe
complessa del tipo P, si ottiene una classe che, per quanto si è esposto,
non è razionale e non è del tipo P. Ze classî così ottenute appartengono
generi della specie principale, poichè appartengono al genere composto
due generi dalle specie principale, che è ancora un tale genere.
Si ha quindi, in queste classi, una terza categoria di classi appartenenti
generi in considerazione.
Noi ci proponiamo ora di dimostrare che non esistono altre categorie
di classi di forme di Dirichlet, a determinante D, appartenenti ai generi
della specie principale. Per questo è necessario premettere due lemma, che |
esamineremo nel numero seguente.
SD,
a
d
(N
(a
a
a
Matematica. — Sul teorema di reciprocità delle funzioni di
Green. Nota di Tommaso Bocaro, presentata dal Socio T. Levi-
CIVITA.
In uno dei miei primi lavori (*) dimostrai, per le varie funzioni di
Green d'ordine 1, un teorema di reciprocità, analogo a quello ben noto sulla
ordinaria funzione di Green, e poco dopo trovai l’interpretazione fisica (*)
del teorema di reciprocità sulla funzione di Green di ordine 2.
In seguito ritornai sull'argomento (*) per stabilire altre proprietà di
tali funzioni.
Tale teorema di reciprocità si rivelò assai utile nella risoluzione del
problema delle vibrazioni delle piastre elastiche incastrate (‘).
In questo breve scritto espongo una nuova dimostrazione, semplicissima,
del citato teorema di reciprocità, valendomi di considerazioni analoghe a
quelle che ho fatio in altra occasione (°), per stabilire la trasformazione
delle funzioni poliarmoniche, mediante un'inversione per raggi vettori reciproci.
1. Sia © lo spazio limitato da una superficie chiusa 0, e consideriamo
(1) T. Boggio: Un teorema di reciprocità sulle funzioni di Green d'ordine qualunque
(Atti R. Accademia Scienze di Torino; vol. XXXV, a. 1900). Nel seguito citerò questo
lavoro colla notazione B,.
(2) T. Boggio: Sull'equilibrio delle piastre elastiche incastrate (questi Rendiconti,
serie 5, vol. X, 1° semestre 1901). ;
(*) l. Boggio: Sulle funzioni di Green d'ordine m (Rendiconti del Circolo Mate-
matico di Palermo, tomo XX, a. 1905). Nel seguito citerò questo lavoro colla notazione By.
(4) G. Lauricella: Sulle vibrazioni delle piastre elastiche incastrate (questi Ren-
diconti; serie 5*, vol. XVII, 2° sem. 1908).
(*) T. Boggio: Sopra una trasformazione delle funzioni poliarmoniche (Atti del
R, Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti; tomo LXVIII, a. 1909).
— 489 —
una funzione U, m-armonica in 7, cioè regolare in 7 e che soddisfa ivi al-
l'equazione indefinita
die tdiyorad de
j 5 Puri
È facile mostrare che tale funzione si può esprimere come somma di
funzioni potenziali (d'ordine superiore e poliarmoniche) di strati semplici e
doppi, distribuiti, con opportuna densità, sulla superficie o.
Per semplicità, supporremo m pari.
Per questo, ricordiamo anzitutto la formula (B,$3, B.$2):
m_l
(1) UP) br : (4° U. Dam
TRE
mio DA U)do,
ove, per brevità, si è posto
a=4n(2m — 2)! v=2m_—-3,
ed r indica la distanza del punto generico P di 7 da un punto variabile, 6
D/ indica la derivata secondo la normale interna della funzione generica /.
Diciamo poi U' la funzione m-armonica nello spazio indefinito 7’ esterno
alla superficie o, che si comporta all'infinito come una funzione potenziale
m-armonica, e che su o soddisfa alle condizioni seguenti, ove u = m/2:
2) (SRUTZTC/ALE (E 1)
2 SET i=0, svol);
(Dai U'=DA'U, i uri
applicando alle funzioni U' ed r*, che sono m-armoniche nello spazio 7’,
una nota formula (B, $3 , B» $ 2), si ottiene
m_l
0= > fai Ul Dari eee DAT) da
a,
T) /6
lo
sottraendo dalla (1) e ricordando le (2), risulta
m_-1l
AR IL [4U— UU"). Dam — gm, Da'(T —U)]do,
&
che può scriversi sotto la forma
(3) gui DI; fo Ddin — dir .Dh)do , n=u—1),
0 G
la quale dimostra la proprietà enunciata.
2. Consideriamo ora la funzione Y°, #-armonica in 7, e che nei punti
M di o soddisfa alle condizioni ai limiti:
(4) DI D{M0). @—0,1:2,.., 2-1),
— 490 —
MQ essendo la distanza del punto Q (polo), che si riguarda come fisso in
t, dal punto variabile M.
Questa funzione I° dicesi funzione preliminare di Green d'ordine m e
di 1° specie, mentre la funzione G= (MQ) — F si dice funzione di Green
d'ordine m e di 1° specie. La funzione I dipende dai punti M e Q e per-
ciò possiamo indicare con TY(M,Q) il valore in M della funzione T avente -
per polo Q.
È facile vedere (B, $2, B» $ 3) che le (4) possono essere sostituite dalle
seguenti (supposto m pari, come nel n. 1, ed n= m/2—1):
| A‘T(M, Q)= 4'(MQ),
Ù ( DA'T(M ) Q) = DA4'(MQ) (i =0 ’ 1 Ù RASO , n) a
Ciò premesso, se P_è un altro punto qualunque di 7, calcoliamo il
valore Y(P,Q) nel punto P, della funzione Y avente per polo Q; basta
applicare la (3), da cui si trae
CS
OO i 1 h:(Q, M)Dx4(MP) — SMP)". Dyh(Q, M) } doy,
ove M è un punto variabile su o, Dy indica la derivata normale interna
ac in M, e doy è l'elemento d'area attiguo ad M.
Applicando le (4'), si può pure scrivere
ar(P, ®=L, f, {A:(Q, M)Dudi F(M, P) — di FM, P).Dyh:(Q, M){ dow:
O (1
ma, con una formula analoga alla (5), si ha
ePM.2)= X,; (1 AAP, N)Dxd (NM — ZINM". Del(P, N) { des,
1 e
perciò, sostituendo,
n n
GEPLO ST mal 3 hi(Q, M) AP, N) DuDy4'id4i(NM) —
— hi(Q,M) Dudi4i NM). Dyh;(P, N) — h;(P, N)Dy4'4i(NM). Duhi(Q,M) +
+ 4'45(NM)*. Dyh;(P, N). Dudi(0, M) { dou dow . i
Ora è chiaro che il secondo membro non muta scambiando fra loro i
punti P,Q; perciò si conclude: F(P,Q) = T(Q, P), ciò che dimostra il
teorema di reciprocità.
La stessa dimostrazione si applica se m è dispari, ovvero se 7 è lo
spazio indefinito esterno a o, come pure se si considerano le funzioni di
Green delle varie specie (B, $6,B:$ 4), anche nel caso di quante si vo-
gliano variabili.
— 491 —
Matematica. — Sur les surfaces dont toutes les courbes de
Segre sont planes. Nota di EbuARD CECH, presentata dal Cor-
rispondente Guipo FUBINI.
Dans une Note récente (), j'ai démontré l'énoncé suivant: les plans
osculateurs des trois courbes de Segre (c'est-à-dire des courbes conjuguées
aux lignes d’osculation quadrique de Darboux) qui passent par un point
P d'une surface quelconque ont une droîte commune, soit t. Il s'ensuit que
les surfaces L ici considérées ont la propriété caractéristiques que fouzes
les droîtes © passent par un point fire 0. Les surfaces L sont isothermo-
asymptotiques (?), de sorte que l'on peut les définir par un système d'é-
quations aux dérivées partielles de la forme
d° %
e + 29 So +gy=0.
d°Y dY AA
(1) Si + 2g o +/fy=0, o?
Ceci étant, les conditions nécessaires et suffisantes pour une surface L
sont
d°P_n_dIP_dP_L IP
(2) dute Lo) TOOL. SL du
dp dP
O / de 9 È du
Soient 40, 4,, 42, des constantes telles que
(4) Gta +a=0,
et posons
(5) cdo,=u+vt+a, a =eu+e0v4 a, ce: =eut+e0v 4a,
La solution générale des équations (2) est
li 5
(La) p==— 320 + Sa + dr0),
(*) Rozpravy deské Akademie, Praga, 30€ année, 1921, n. 23.
(2) M. Fubini appelle ainsi les surfaces pour lesquelles les lignes de Darboux sont
définies par une équation du type du? + dv = 0.
— 492 —
les périodes de la fonction elliptique È étant quelconques. Toutefois, il y a
des solutions qui échappent à la représentation (L):
(Lo) gp = =; (cotg ar, + cotg ax, 4 cotg axes),
Is) 1 1
‘ = — f{_- L--. ==
(Lo) di a nia; +2),
(Lu) g= — 3 0otg ax Geo
Lo: 3
(Ls) vaso ((/—=04592)5
(Le) « = costante.
On peut distinguer bien nettement les six possibilités. Les plans des
courbes de Segre enveloppent toujours un cone algébrigue T de la 3"° classe
et, suivant le cas,
(Li) T est de genre un,
(Lo) T a un plan tangent double,
(13) T a un plan tangent stationnaire,
(L,) et (Ls) 7° se décompose en un céòne quadrique 7) et en un faisceau
i dont l’axe, dans le cas (Ls), appartient a 7).
(Le) T se décompose en trois faisceaux.
Ce résultat permet de trouver lies équations d'une surface L en termes
finis. Pour cela, je renvoie à un mémoire qui paraîtra prochainement dans les
Publications de la Faculté des Sciences de l'Université Masaryk, Brno.
Matematica. — Sopra certe equazioni integrali considerate
dal prof. Tedone. Nota del dott. FRANCESCO SBRANA, presentata
dal Corrispondente 0. TEDONE.
1. Il prof. Tedone, dalla formula che si ottiene applicando il metodo di
integrazione di Riemann all'equazione di Eulero e di Poisson con invarianti
eguali, e particolarizzando opportunamente la forma del contorno e i dati
su di esso, ha trovato che l'equazione integrale
(1) fa@r|-a3+41,1,- EE de= f(2),
con f(1)= 0, è risoluta dalla formula
O, w O (EA
(2) n= Pd + SOT] ORA ria or 0)
(1) Ved. 0. Tedone, questi Rendiconti, seduta 2 maggio 1920.
— 493 —
Nella (1) F è il solito simbolo di una funzione ipergeometrica costruita
con i parametri — 4,Z4-+1 ed 1, mentre F', nella (2), è la derivata di
questa funzione rispetto al quarto parametro. Posto, per brevità,
F[o]=F[-è,2+1,1;9],
per la coesistenza delle (1) e (2) è necessario e sufficiente che sia verificata
la relazione
coig Poli (Se, O (Gi 2S0))
® f, rl +Gg 22 |a |- TE ia 45 Èo }
In questa Nota ci proponiamo principalmente di dare una dimostra-
zione diretta della (3).
Anzitutto, posto x, = So x=<, alla (3) si può dare la forma
ca
cai È
vo (x — 26)? i A
di J i ui: dl È Fa
(1-%,)
= (E 4 Lo Di
Ricordiamo poi che F,[o] soddisfa all'’equazione differenziale
(5) c(1— 0)F[o] +(1— 20F:[0] +4(4+1)F;[c]=0,
BY
e che, posto ES 2019 abbiamo facilmente
4% Xo
’ Ea Ti
(1 — 2o)Fi[o]} = —-2x+_ zine ae getto],
' dì ci d
oc(1— 0)F{ [o] = — 2? 3g ra 0]+ 2a ca n F.[9];
per cui la cà sì può scrivere
d si
(8) I rl+ ei P[o]=0.
È 7 (1-2) .
Notiamo inoltre, che, facendo «è =1, e ponendo 7 = — ur sì
avrà, dalla tra
A(A
mo E rtg+2 i ie ag=o.
Dalle (6) e (7) deduciamo
2 aa) FINI P(-P4 r+ E PAR] =o,
RenpICcONTI. 1921, Vol. XXX, 2° Sem. È 64
— 494 —
e di qui, moltiplicando per de, e SARDI tra è limiti 1 e x, risulta
Lo P da
fORIIRIIS =|RIE RT TAI)
E poichè, per x«=1, poi
d CAMLAG e SUL (1 — 26)?
di Er da I oa Vedo Ti |— e]
4x Lo
segue, senz'altro, la (4).
2. In modo analogo al precedente si può dimostrare la formula
2 Ir — )It1— 2)
(8) È a el ine) dex =I(x1 — 20),
dimostrata anche per altra via dal prof. Tedone, che da essa ha dedotto la
soluzione della equazione
(9) 1 Islzo — 2) p(r)dae = Dro) — P(0),
sotto la forma
n (UASROT
(10) gr =) f 0 TER de,
e, quindi, di altre numerose equazioni integrali ua (De
Nelle (8), (9) e (10), è
(ca) 22N
GIN = NI e ss
Io(2) -" 2m(n!)®”
AMO
Posto, nella (8), , Tg -x=È, risulta
So I,(Èo — È)
(11) L bilia I($0) .
Per dimostrare la a basta notare che
(12) 0 (5) + IE) — & L(£) =
e che, similmente.
DA I 0
3 ge o(So ) delete (So — S) lolfo — $)=U".
Dalle (12) e (15) segue
(13)
ES, ) Ri A
DE Io(£0 Si \ Èo Ip(É) BIPET E = 0;
e quindi, moltiplicando per dÉ , e integrando, tra i limiti 0 e $,, otteniamo.
subito la (11).
(1) Questi Rendiconti, sedute 31 maggio 1913, 5 aprile 1914 e 21 marzo 1915,
) A
> EL — 9 LE) — LE
— 495 —
Matematica. — Sulle equazioni lineari alle derivate par-
ziali di 2° ordine, di tipo misto. Nota di FRANCESCO TRICOMI,.
presentata dal Corrisp. FRANCESCO SEVERI (').
I tre tipi tradizionali di equazioni lineari alle derivate parziali di 2°
ordine in due variabili indipendenti: ellittico, iperbolico e parabolico. sono
ben lungi dall’esaurire la classe di siffatte equazioni. Invero la determina-
zione del tipo dipende dal segno di una certa espressione formata coi coef-
ticienti dell'equazione, espressione che, essendo funzione delle variabili indi-
pendenti, in generale non conserverà lo stesso segno in tutto il piano x,y.
Sempre che ciò accada, noi diremo che l'equazione è di tipo misto.
Lo studio di queste equazioni di tipo misto, per quanto sia a mia cono-
scenza, è stato finora completamente trascurato. Io ho voluto occuparmene
pervenendo, con l’ausilio di quel possente strumento analitico costituito dalle
equazioni integrali, ai risultati che mi accingo ad esporre per sommi capi
qui appresso, riservando le dimostrazioni e tutti gli altri sviluppi ad una
Memoria che sarà pubblicata appena possibile.
Un primo problema che mi si è presentato è stato quello della ridu-
zione di un’equazione di tipo misto ad una forma da assumersi come cano-
nica. Ho trovato che, con delle sostituzioni di variabili rea/i, è sempre pos-
sibile porre l'equazione sotto la forma
(1) AALST, aa, NÉ +%, DE nt 09) da, y)= 0.
vor dy°
Nella (1) la curva che separa le regioni in cui l'equazione è di tipi diversi
(curva parabolica) è l’asse 2, al disopra del quale (semipiano y >+0) l’equa-
zione è di tipo ellittico, cioè ha le sue caratteristiche immaginarie,
mentre al disotto del medesimo (semipiano y< 0) è di tipo iperbolico e
le sue caratteristiche, reali, son rappresentate dall'equazione
(2) TA O =. )® s (C costante arbitraria).
Procedendo oltre, ho limitato le mie considerazioni all’equazione
(E)
via Di
che si ottiene uguagliando a zero la parte di 2° ordine della (1); così fa-
(1) Presentata nella seduta del 3 giugno 1921.
— 496 —
cendo son venuto ad imitare il processo di sviluppo storico, p. es. della
teoria delle equazioni di tipo ellittico, che per un primo e non breve pe-
riodo si limitò soltanto alla più semplice di esse: l’equazione di Laplace
Asg= 0. Per l'equazione (E) mi è stato possibile risolvere il problema
fondamentale della teoria delle equazioni a derivate parziali considerate dal
punto di vista delle funzioni di variabili reali, e cioè quello di trovare le
condizioni al contorno atte a determinare univocamente una soluzione parti-
colare in un certo campo. Naturalmente si tratterà di un campo attraversato
dalla curva parabolica, altrimenti il problema riguarderebbe solo apparen-
temente le equazioni di tipo misto.
Propriamente, servendomi del fatto che la (E) è una trasformata di una
particolare equazione di Eulero-Poisson ('), ho cominciato col cercare di
stabilire una relazione che legasse i valori
t(x) che una qualsiasi soluzione regolare (?) 4
della (E) riceve sul segmento AB staccato
sull’asse x dalle due caratteristiche uscenti
da un punto qualunque C del semipiano iper-
bolico, con quelli, g(x), che la medesima
soluzione riceve sul pezzo di caratteristica AC,
e coi valori v(z) che >#/dy riceve su AB.
Supponendo per semplicità che le ascisse di
A e B siano rispettivamente 0 ed 1, ho così
trovato l'equazione
x LIL
8) RCORITORSAM ERI
dove (x) è una funzione che si calcola facilmente nota che sia g(x), e y
è un coefficiente numerico.
Stabilita la (3), si perviene agevolmente al seguente TEOREMA DI
UNICITÀ:
Non può esistere più di una soluzione regolare della (E) assumente
valori arbitrariamente fissati sul pezzo di caratteristica AC e su di una
curva qualsiasi 0 congiungente A con B senza uscire dal semipiano
ellittico.
Successivamente, nell’intento di giungere all'inversione di questo teo-
rema, cioè a dimostrare l’esistenza della soluzione di cui esso assicura
l'unicità, ho considerato anzitutto il caso preliminare che i valori di 2 siano
assegnati sul contorno chiuso costituito dalla curva o e dal segmento AB,
(') Ved. G. Darboux, Legons sur la théorie gin. des surfaces ete., 2° éd. (Paris,
Gauthier-Villars, 1914-15), t. II, pag. 54 e seg. î
(2) Cioè finita e continua assieme alle sue derivate prime.
— 497 —
cominciando col dimostrare il teorema di esistenza nell'ipotesi che la curva o
sia una curva normale, cioè sia rappresentabile con una equazione del tipo
(4) (x — 0)? DI ; ZI (C, R costanti).
Indi, con un procedimento alternato, ho generalizzato il risultato ottenuto,
continuando a supporre soltanto che la curva o termini verso gli estremi A
e B con due archetti, sia pur piccolissimi, della curva normale € che passa
per A e B, e che. per la restante parte, non penetri mai nell'interno di €.
Questi risultati permettono agevolmente di riconoscere che il teorema
di esistenza generale potrà considerarsi acquisito, sotto le restrizioni accen-
nate, ove si riesca a dimostrare che è possibile calcolare effettivamente, te-
nendo conto delle imposte condizioni al contorno, i valori 7(x) che la so-
luzione z della (E) di cui occorre provare l'esistenza assume su AB.
A questo scopo non può certo bastare la sola (3), figurando in quest'equa-
zione anche la funzione r(x) che è incognita al pari di (x). Dovremo
dunque cercare di associare alla (3) un’altra equazione fra 7‘x) e v(x), da
ricavarsi tenendo conto della circostanza che 2 assume sulla curva o certi
valori dati /(0).
Per ottenere questa seconda equazione, l'idea più naturale sarebbe
quella di servirsi del metodo di Green. Però, nel caso in esame, questa via
non conduce al risultato desiderato e bisosna invece ricorrere alla formula
(6) ar f Wp dy=
=f()—y f le —y|}-(a+y— 2a) | »(y) dy,
0)
dove W*(x ,,y) è una funzione dipendente solo dalla forma di o ed /,(x)
nna funzione dipendente anche da /(0); formula in certo modo analoga a
quella di Green. La (5) sarà valida senza eccezioni per 0 < x 1 e le
funzioni W* ed /, si conserveranno sempre regolari nel medesimo inter-
vallo, purchè siano soddisfatte certe condizioni sufficienti, fra cui la prima
di quelle incontrate poco innanzi circa la forma di oc.
Noi supporremo senz'altro verificate queste condizioni. Allora la (5),
riguardata come una equazione integrale di Fredholm, 24 specie, in z(x),
sarà risolubile rispetto a questa funzione, permettendo, così di ricavarne il
valore che, sostituito nella (3), dà luogo all'equazione unica in v(x)
(6) 0 CEE v(y) dy =
si di |L—lesl®+6+4-22007*] vg) dy + y(2),
— 498 —
dove L(x ,y) è una funzione dipendente solo dalla forma di o, mentre w()
non dipende che dalle funzioni /.(7) e (x). A questo punto tutto è ridotto
a far vedere che è possibile risolvere quest'equazione.
La (6) è un'equazione integrale di tipo misto e di prima specie (*),
alla quale però non è applicabile il metodo di riduzione ad equazione di
Fredholm, 22 specie, indicato dall'Andreoli (loc. cit.)- Invece si riesce allo
scopo servendosi della formula di Abel e giovandosi inoltre del concetto di
valor principale di un integrale improprio, secondo Cauchy (°). Precisamente
in questo modo, supposte esistenti e finite le derivate della funzione g(x),
si riesce a trovare l’espressione esplicita di (x) per mezzo di un'altra fun-
zione y(x), la quale soddisfa ad una certa equazione integrale regolare di
Fredholm, 2* specie, che si vede facilmente «esser sempre risolubile.
Trovata così »(2) la (3) fornisce senz'altro (2).
Matematica. — Sulla condizione di chiusura di un sistema
di funzioni ortogonali. Nota di G. ViraLi, presentata dal Corri-
spondente TEDONE.
1. È noto che, se
(1) CACAO CO NCR CO IO
è un sistema di funzioni definite per ogni x per cui a < x 0.
— 499 —
è che, per ogni funzione /(x) sommabile in (a, 2) insieme col suo quadrato,
‘sia soddisfatta l'equazione di chiusura
@ fIrapa= Za 1.
dove
da = [0 piede ii —d72::5,0.)-
Sia e un numero qualunque compreso fra a e è, e indichiamo con /(x)
la funzione che è uguale ad 1 in (4,c) e uguale a zero in (c,0).
Per questo funzione la (2) ci dà
c 2
cant folode | ;
Mutando c in x, possiamo allora concludere che, se (1) è chiuso, è, per
ogni x în (a,b),
(3) a—a= di [Sao da li
Questa condizione è anche sufficiente perchè, se (1) non è chiusa,
esiste una funzione effettiva w(x) sommabile in (@, è) insieme col suo qua-
«drato, normale e ortogonale a tutte le (1), e, per la disuguaglianza di Bessel (2),
si ha
| Dif RO da îl se I F yw(x) da JÈ ah
da cui, per qualche ,
2 fo de | teli
perchè per qualche x è J ya) dr +0 (8).
2. Consideriamo il sistema di funzioni normali e ortogonali in (0, 277)
1 COS nX Sen na
== — —ioaà
V2r Va Va Lo )
1)
(!) Ved. ad es.: Severini, Sullu teoria di chiusura dei sistemi di funzioni ortogonali,
Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo, t. XXXVI (1913), pp. 177 e seg.
(2) Ved. p. es.: Severini, loc. cit.
(3) Vedi G. Vitali: Sulle funzioni ad integrale nullo (Rendiconti del Circolo Mate-
matico di Palermo; t. XX, 1905), pagg. 136-141.
— 500 —
Per dimostrare che è chiuso, basterà provare che
sE (I-
cioè che
2 Oi
colt
0, poichè
va=E 0,
che
(4) vieni nn 4
E poichè il 1° membro di (4) è proprio la serie di Fourier della fun-
zione
2
di I0°
CATA O o A
2 nr 3
che figura nel 2° nfiembro, per provare che il sistema (1°) è chiuso basta
provare che la funzione
Ho TT°
Sig rg:
è la somma della corrispondente serie di Fourier.
Ora la serie che figura nel 1° membro di (4) è uniformemente con-
vergente e quindi convergente verso una funzione continua: e allora, per pro-
vare che sussiste la (4), basta provare che non esiste una funzione continua
6(x) non dappertutto nulla, per cui
Lo e 60(a) de =0.
(5) ""4) sen n da = =0
| (Pe 6(x) cosna de= 0
0
(2.= 1,2998904) i
È noto che questo si prova molto facilmente (?). Per questa via la
(1) Ved. p. es.: Analisi algebrica di E. Cesaro (Fratelli Bocca, Torino), p. 143.
(2) Ved. per es.: Fubini, Lezioni di analisi matematica, 4% ed. STEN, pag. 444 e seg.
— 501 —
dimostrazione della chiusura del sistema (1’) resta evidentemente semplifi-
cata, poichè in sostanza, invece di dimostrare che il sistema (5) non ha
nessuna soluzione @(x) sommabile insieme col suo quadrato, ci riduciamo
a dover dimostrare che il sistema (5) non ha una soluzione continua non
dappertutto nulla.
Tale fatto vale per tutti i sistemi 1) (*), ma qui, per il sistema 1’)
discende in modo del tutto ovvio.
Antropologia. — Delle relazioni fra il peso e la statura
nell'uomo adulto. Nota del prof. FABIO FRASSETTO, presentata dal
Socio G. CIAMICIAN.
Fra i tanti rapporti che si sono proposti dai varî autori per stabilire
le relazioni fra il peso e la statura, quello che ha avuto il maggior successo
=. trovato dal Quetelet (*). Esso è stato infatti confer-
mato dal Gould e recentissimamente dal Davenport (*) in un accurato studio
critico concernente i varî indici di altezza-peso. Ma dai nostri studî, che qui
riassumiamo (4), si deduce che il rapporto P:S* non offre un valore abbastanza
costante da poterlo adottare come indice di normalità del peso rispetto alla
statura.
Ci siamo valsi dei dati raccolti nelle tavole XX e XXIV dell’Antro-
pometria militare del Livi (°), rappresentandoli graficamente (vedi figura).
Come origine delle stature (S) abbiamo scelto la statura di cm. 154, e a
partire da questo valore abbiamo contato sull’asse delle ordinate (O S) le
successive stature in centimetri, in modo che ad ogni em. della statura cor-
rispondesse un cm. sullo stesso asse. Come origine dei pesi (P) abbiamo scelto
il peso di Kg. 54 (le origini si possono sempre scegliere a piacere e secondo
opportunità), e a partire da questo valore abbiamo contato i pesi in chilo-
grammi, rappresentandoli in centimetri lungo l’asse delle ascisse (O P). I punti
d'incontro delle perpendicolari ai due suddetti assi, passanti per le varie
stature, ed i relativi pesi, uniti fra loro, determinarono (vedi figura) le due
è il rapporto
() Vedi Severini, 1. c.
(2) Quetelet A., Fisica sociale ossia svolgimento delle facoltà dell'uomo. Versione
in italiano dalla seconda edizione.
(3) Davenport C. B., Heigth- Weigth Index of-Build; Amer. Journ. Phys. Anthrop.,
vol. III, n. 4, an. 1920.
(4) Il lavoro per esteso sarà pubblicato in « La Medicina Italiana ». Anno III, n. 1,
Milano, 1922.
(3) Livi R., Antropometria militare. Parte II, pp. 121 e 152, Roma, 1905.
RanpiconTI, 1921, Vol. XXX, 2° Sem. 65
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SPIEGAZIONE DELLA FIGURA.
Diagramma della relazione fra il peso e la statura nei coscritti italimi.. — — —-— ——-*
Uurva relativa al peso medio per ogui centimetro di statura nei coscritti italiani fra
i 20ei23 anni e più. Numero totale dei misurati. 299.355 X — ——X—-——X.
Ibidem nei coscritti italiani di 20 anni, mai ammalati. Numero totale dei misu-
rati; 113.319.
— 503 —
curve -—.— - X——X. Se ora consideriamo nella seconda curva la por-
zione AB, corrispondente al maggior numero delle osservazioni, vediamo che
‘essa è identificabile con una retta passante a due mm. dall'origine sulla
parte negativa dell'asse delle ascisse. Considerando questo valore come tra-
scurabile, possiamo ritenere la retta come passante per l'origine e procedere
«alla rappresentazione algebrica della retta AB, cercandone la sua equazione.
Se nell'equazione generale della retta, che di solito si rappresenta nel
piano XY con la formula
Y_-Yi=m(X— Xo),
noi facciamo
Y =ÉS$ = statura misurata in centimetri da zero
Yo = S= statura iniziale convenzionale (cm. 154)
X =P = peso corrispondente alla statura misurata
X,==Po= peso iniziale convenzionale (Kg. 54),
otteniamo la seguente equazione
S_-S = m(P— Po) (1)
il cui valore m (ricavato dalla coppia di valori S' = cm. 160, P' = Kg. 57.6),
è 1,60.
Si ha così che l'equazione della retta AB assume la forma sempli-
cissima
S— 154=1,60(P— 54),
dalla quale, per la statura avremo
S= 1,60 P+- 67,60 (2)
e per il peso
a S— 67,60 È
SOSTA (9)
sge: l'accrescimento della statura, a partire da cm. 154, sta all’accre-
scimento del peso, a partire da chilogrimmi 54, nel rapporto costante
espresso dal numero 1,60. A rigor di termini, questa legge e le enunciate
formule sono esatte e trovano la loro conferma sperimentale con grande
approssimazione per gli Italiani fra i 19 e i 22 anni, aventi stature com-
prese fra cm. 159 e 169, o pesi fra i 57 e i 63 chilogrammi; ma non sono
asualmente esatte per i valori al di sopra e al di sotto dei limiti sopra
segnati. e specialmente per i valori estremi della serie, rappresentati nel
nostro diagramma. Infatti, la curva comprendente questi valori non assume
‘vedi figura) la forma rettilinea, nè è in continuazione del tratto AB, che
I risultati da noi ottenuti possono riassumersi e tradursi nella seguente
le;
— 504 —
abbiamo assunto come funzione del nostro diagramma. Questo fatto potrebbe
spiegarsi dicendo che il numero delle osservazioni corrispondenti è piccolo:
e sembra probabile che per un numero maggiore, e sufficientemente grande
di osservazioni, sì troverebbe, anche per questi punti; un comportamento
analogo, o di poco differente da quello dei precedenti.
Arrivati a questo punto, l'importante problema pratico che ora scatu-
risce è quello di stabilire i limiti entro i quali, per ogni singola statura,
oscillano i relativi pesi, che possono considerarsi come fisiologici, e dei quali,
per ora, non conosciamo, con precisione, se non il valore medio normale,
rappresentato dalla formula (5), la quale si può chiamare, appunto per questo,
formula di normalità. Inoltre è di grande interesse, specialmente per il
clinico, il conoscere quali sono i pesi che, per ogni singola statura, possono
considerarsi come patologici, sia in eccesso, sia in difetto, e il determinarne,
di conseguenza, i varî gradi di grassezza e di magrezza.
ELEZIONI
Lo spoglio della votazione per la elezione del Segretario aggiunto della
Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, ha dato il risultato se-
guente: Votanti 41; maggioranza 21. — MirLosevicH ebbe voti 33; Pi-
ROTTA 2; Corsino 1; Grassi 1; Levi-Crvira 1; schede bianche o nulle 3.
Eletto MILLOSEVICH.
COMUNICAZIONI VARIE
Relazione dell’ Accademico Amministratore, intorno al Palazzo,
alla Pinacoteca e al Gabinetto delle stampe, approvata nella
adunanza del 16 dicembre 1921 dal Consiglio di presidenze
che ne deliberava la pubblicazione.
Poichè da parecchio tentpo e specialmente in questi ultimi anni sono avve-
nuti fatti e si sono presentate circostanze che sembra possano condurre a opi-
nioni erronee e produrre effetti dannosi per la nostra Accademia, ho creduto
necessario esporre lo stato vero delle cose in base ai documenti posseduti dalla
Accademia stessa a riguardo del Palazzo Accademico, della Galleria Corsini e
della Collezione delle stampe della Biblioteca Corsiniana.
Roma, 16 dicembre 1921.
L’Accademico Amministratore
Prof. RomuaLDo PIROTTA.
— 505 —
1. — Il Palazzo.
Poichè la leece 14 maggio 1881, n. 209, faceva obbligo allo Stato di costruire
il palazzo per l’ACCADEMIA DELLE SCIENZE (art. 3° della convenzione tra Governo
e Comune, annessa alla legge), si acquistava nel 1883, appunto per questo scopo,
il palazzo Corsini.
L’art. 4 del contratto di vendita del palazzo Corsini allo Stato (20 maggio
1883, rogito Vincenzo Castrucci) dice infatti :
« T Signori Principi Corsini vendono e il Sig. Duca Leopoldo Torlonia
in nome dello Stato compra il palazzo Corsini PER USO DELLA ACCADEMIA DELLE
SCIENZE E SEGNATAMENTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI E DEI MUSEI »:
«con espressa dichiarazione dei Signori venditori che non avrebbero essi
venduto e non lo avrebbero venduto al prezzo per cui lo vendono sE NON si
FOSSE DATA TALE DESTINAZIONE E SE DAL GOVERNO NON SI ASSUMESSE L'OBBLIGO,
CHE DA ESSO SI ASSUME, DI MANTENERLO ALLA DESTINAZIONE DI PALAZZO DELLA
ACCADEMIA E DEI MUSEI ».
E nel verbale di ricognizione, di consegna e di presa di possesso del palazzo
cià Corsini alla Lungara e DEI MOBILI IN ESSO ESISTENTI DESTINATI ALLA REALE
ACCADEMIA DEI LIncEI, in data 19 settembre 1883, sta scritto che il palazzo fu
venduto PER USO ESCLUSIVO DELLA ACCADEMIA DELLE SCIENZE e soprattutto
della REALE ACCADEMIA DEI LINcEI E DEI MUSEI.
Di fatti il Presidente della Accademia prendeva possesso a termini del
contratto, a nome dello Stato e PER USO DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI,
DI TUTTO IL PALAZZO E DEI MOBILI.
Non corre dunque alcun dubbio che il palazzo Corsini fu acquistato per la
Accademia dei Lincei, la quale, in seguito alle modificazioni apportate ai proprî
statuti, fu riconosciuta essere l'Accademia delle scienze nominata nella legge
14 maggio 1881 e per la quale Accademia dovevasi costruire il palazzo (decreto
reale 26 luglio 1883).
L’Accademia, del resto, ha fatto valere questo suo diritto ogni qualvolta si
è tentato di menomarlo. Così ad es. nell’aprile del 1901, a proposito del colloca-
mento del gruppo Ercole e Lica nel porticato al piano terreno dell’Accademia,
la Presidenza dichiarava ASSOLUTAMENTE TRANSITORIA l'ospitalità data al
gruppo del Canova che doveva essere collocato nella Galleria (verb. adunanza
Consiglio 14 marzo 1901) ; dichiarazione che veniva confermata nel 1902 allorchè
il direttore della Galleria nazionale d’arte antica pretendeva di avere dall’Ac-
cademia l’uso di tutto il porticato, sotto il quale era stato messo in deposito il
celebre gruppo (verb. suddetto, 16 marzo 1902).
E allorchè nel 1916 si parlava con insistenza del trasporto della Galleria Cor-
sini in altra sede, la Presidenza della Accademia, con lettera del 2 ottobre n. 72,
— 506 —
faceva conoscere al Ministero che le stanze della Galleria stessa erano state dalla
Accademia già destinate alla Biblioteca la quale aveva urgente bisogno di locali.
E a queste manifestazioni di possesso, il Ministero, come era naturale, non
ha avuto nulla da obbiettare.
2. — La Galleria Corsini.
Con l’art. 12 del contratto di vendita sopra ricordato i principi Corsini FANNO:
DONAZIONE ALLO STATO DELLA PINACOTECA (condizionatamente alla approva-
zione della legge 28 marzo 1871 sulla alienazione ad enti morali delle gallerie, bi-
blioteche ecc.).
Rimosso il vincolo di inalienabilità, fu fatto l’atto definitivo di donazione
della Pinacoteca Corsini allo Stato con atto del notaio Gaetano Magalli il 17 set-
tembre 1883, coll’intervento del presidente della Accademia.
Per effetto di questo atto « i principi Corsini DANNO, CEDONO E TRASMETTONO
ALLO STATO la pinacoteca, coll’obbliso di conservarla al PUBBLICO PERPETUO
uso »; onde l’effetto sia che una opera così gloriosa sia degnamente conservata
secondo gli intendimenti degli antenati principi Corsini fondatori e che attesti
e rimanga solenne testimonianza del loro affetto e di quello dei loro pronipoti
verso la città di Roma.
E mentre i rappresentanti dello Stato e dell’Accademia dichiararono Di
AVER RICEVUTO CONSEGNA DELL’INTERO SUBIETTO DONATO ED ESSERNE IN POS-
SESSO, viene per essie in nome degli enti morali che rispettivamente rappresentano
e verso la cittadinanza di Roma che godrà l’uso pubblico, FATTA SOLENNE pPRO-
MESSA CHE SARÀ ADEMPIUTO ALLE PRESCRIZIONI TUTTE contenute non tanto nel
citato contratto di vendita, quanto nel presente contratto di donazione come
nella legge dell’8 luglio 1883, n. 1461 (conservazione delle gallerie, ecc.).
Questa pinacoteca, come dall’art. 13 del suddetto contratto di vendita, è
costituita dai quadri e dagli oggetti d’arte contenuti e descritti nell’elenco lett. U
annesso al contratto, raccolti in NOVE CAMERE E UN GABINETTO (più pochi altri
fuori di galleria e cioè nell’appartamento di ricevimento, nella cappella e in un
magazzino) (vedi elenco dei quadri ed altri oggetti della Galleria Corsini quale
fu riconosciuto nel verbale di consegna 17 settembre 1883).
L’art. 14 del contratto ricordato stabilisce che lo Stato dovrà conservare la
Pinacoteca a pubblico uso; dice che esso POTRÀ TRASPORTARLA ALTROVE, purchè
sempre in Roma ed ANCHE RIUNIRLA AD ALTRE PINACOTECHE.
Da quanto sopra è stato esposto risulta chiaramente :
10 che la pinacoteca costituiva la galleria Corsini che occupava locali del
palazzo in NUMERO BEN DETERMINATO e comprendeva i QUADRI E GLI OGGETTI
D’ARTE ELENCATI LOCALE PER LOCALE, nell’allegato al contratto e nel verbale di
consegna ;
— 507 —
20 che questa pinacoteca è STATA DONATA ALLO STATO coll’obbligo di.
conservala al pubblico perpetuo uso, colla facoltà di trasportarla altrove in Roma
ed anche di RIUNIRLA ad altre pinacoteche, e colla solenne promessa che sarà.
adempiuto a tutte le prescrizioni del contratto di donazione.
Con lettera del 22 marzo 1895, n. di partenza 1588, il ministro della Pubblica
Istruzione (G. Baccelli) informava il presidente della Accademia (F. Brioschi)
che aveva divisato di RIUNIRE IN UNO IL MEGLIO DELLA GALLERIA Corsini, Tor-
LONIA, MONTE DI PIETÀ NEI LOCALI DELLA GALLERIA CORSINI, e diceva che GLI
ALTRI DIPINTI, quelli residuali DAL MEGLIO, ADORNASSERO LE SALE DELLA ACCA-
DEMIA, mentre le copie e i quadri di esigua importanza sarebbero collocati in
TRE STANZE CHE IL PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA VORRÀ DESTINARE. Chiedeva
al presidente di accogliere la proposta e il presidente, avutane autorizzazione dal.
Consiglio di Amministrazione (verbale adunanza 23 marzo 1895), con lettera del
26 stesso mese accettava. Si trattava dunque soltanto di collocare il MEGLIO
delle tre gallerie (gli oggetti VERAMENTE DEGNI, come è seritto in altra lettera
dello stesso ministro al presidente stesso data, n. di partenza 1587) NEI LOCALI.
DELLA GALLERIA CORSINI, cioè in un numero di sale ben determinato e cono-
sciuto. Gli altri quadri delle tre gallerie si dovevano distribuire nelle sale acca-
demiche PER SEMPLICE ORNAMENTO.
Il ministro informava il presidente della Accademia che aveva incaricato il
prof. Tadolini di reggere la direzione della GALLERIA CORSINI (così è ancora chia-
mata), e che a lui avrebbe potuto fare la consegna DEL MATERIALE ARTISTICO
E DEL MOBILIO DELLA GALLERIA. Il che fu fatto dal commesso Cecchi per delega-
zione del presidente.
Furono poi collocati nelle sale accademiche i quadri che dovevano servire,
come sopra è detto, per IL LORO ORNAMENTO.
Il Ministero intanto, senza che risulti dagli atti che fosse informata l’Accade-
mia, trasformava la Galleria Corsini in GALLERIA NAZIONALE DI ARTE ANTICA,
trasformazione contro la quale moveva reclamo il principe Corsini nel luglio del
1895 al presidente della Accadenmia, richiamando l’attenzione sulle condizioni
del contratto di vendita e dell’atto di donazione. i
Da allora l'Accademia non seppe più nulla della pinacoteca Corsini.
Non risulta da documenti in atti che l'Accademia sia mai stata informata di
quanto si faceva dal Ministero, dalla Direzione generale delle belle arti e dal di-
rettore della Galleria Nazionale di arte antica; ma è certo che nuovi quadri
venivano man mano collocatinelle sale dell’Accademia e che quelli che già vi erano
venivano spostati, sostituiti con altri, così che tutti i locali della Accademia sono
stati a poco a poco occupati. i
Soltanto una volta, forse in seguito ad osservazioni verbali fatte dalla Acca-
demia, il direttore della Galleria Nazionale e Gabinetto delle stampe (nuova
istituzione della quale non risulta che l'Accademia sia stata informata) inviava
— 508 —
al segretario dell’Ufficio di Presidenza ing. E. Mancini, in data 1° dicembre 1902,
n. protoc. 1506, una lettera colla quale ci trasmetteva UN ELENCO DEI QUADRI
CONSERVATI NEI LOCALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI, DAL QUALE CHIA-
RAMENTE RISULTA QUALI ERANO I QUADRI CHE CIASCUNA SALA AVEVA PRECEDEN-
TEMENTE E QUALI SONO QUELLI CHE IN ESSE ORA EFFETTIVAMENTE SI TROVANO.
Da questo elenco e da due altri che l'Accademia possiede (elenchi Tadolini)
risulta ancora una volta lo spostamento della disposizione dei quadri NEI LOCALI
ACCADEMICI, con occupazione di ogni vano anche nella Biblioteca, nei locali
concessi all’Istituto Storico Italiano, ece. ecc.
Dopo il 1902 l'Accademia non è più stata informata di quanto riguarda la
pinacoteca Corsini. Sta però di fatto che la Direzione della Galleria Nazionale di
arte antica considerava i locali accademici e il palazzo dell’Accademia come
aggregati in servizio della Galleria medesima, anche perchè il numero dei quadri
andava sempre più crescendo e si voleva ad ogni costo collocarii.
Fu specialmente in questi due ultimi anni che, senza alcuna richiesta di auto-
rizzazione, la Direzione della Galleria andava facendo un nuovo spostamento di
quadri che, senza alcuna comunicazione alla Amministrazione, veniva compiuto,
almeno da quanto riferisce l’economo, durante le ultime vacanze accademiche,
con un vero cambiamento nella qualità, numero, disposizione, collocamento dei
quadri delle sale accademiche, riducendone il numero, sostituendo i migliori, di-
sponendoli in modo che non risponde alla ornamentazione ma a criteri speciali
della Direzione della Galleria.
La quale, a mezzo della Direzione generale delle helle arti, pretende ancora
nuovi locali per collocarvi i molti quadri ammucchiati persino nel Gabinetto
delle Stampe !
Da quanto è sopra esposto risulta :
1° che nel 1895, DI PIENO ACCORDO TRA LA PRESIDENZA DELLA ACCADEMIA
E IL MINISTERO DELLA ISTRUZIONE, venivano riuniti nei locali della Galleria Cor-
sini gli oggetti VERAMENTE DEGNI, CIOÈ IL MEGLIO delle Gallerie Corsini, Torlonia
e Monte di Pietà, mentre i dipinti di quelle collezioni, che non appartenevano ai
veramente degni, avrebbero servito di ADORNAMENTO DELLE SALE ACCADEMICHE ;
2° chel’Accademia aveva accolto soLTANTO la proposta di collocare NELLE
SALE DELLA GALLERIA CORSINI ANCHE le più egregie opere delle Gallerie Torlonia
e Monte di Pietà, ed AVEVA coNcESSO che si collocassero SEMPLICEMENTE PER OR-
NAMENTO delle due sale i quadri meno degni, i quali quindi dovevano servire
PER USO DELLA ACCADEMIA;
3° che la Direzione della Galleria nazionale di arte antica, invadendo senza
‘alcun diritto e senza autorizzazione quasi tutti i locali del palazzo accademico,
ritenne che i locali accademici fossero adibiti ad uso della Galleria, e, senza chie-
dere autorizzazione e darne notizia all'Accademia, fece e disfece nelle sale accade-
miche e in tutti i locali dell’Accademia ; disponendo, levando, sostituendo quadri
ripetutamente come se fosse in casa propria, accumulando persino nelle sale del
— 509 —
“Gabinetto delle Stampe una quantità di quadri, e pretendendo ora di avere dalla
Accademia altri locali per collocarli ; i
40 che all'Accademia perciò viene ad essere imposto anche l’onere della,
‘custodia di quadri dei quali non conosce nè il numero, nè gli autori, nè il valore
artistico e venale, e che si sono andati continuamente cambiando e sostituendo.
Questo deplorevole stato di cose non può, non deve continuare. Che se 1° Ac-
cademia ha avuto il torto di non provvedere a tempo opportuno, provveda al-
meno ora, e, facendo rilevare a chi di ragione il modo di procedere della Direzione
«della Galleria di arte antica, rientri una buona volta nel pieno possesso dei suoi
diritti.
3. — La collezione delle stampe.
Coll’art. 12 del contratto di vendita del palazzo Corsini allo Stato, nella stessa
maniera più sopra ricordata, usata per la Galleria, i principi Corsini FANNO DO-
NAZIONE ALLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI DELLA BIBLIOTECA, confermandola
‘coll’atto definitivo di donazione rogito Gaetano Magalli del 17 settembre 1883
sopraricordato, nel quale atto è detto che i principi Corsini DÀNNO, CEDONO,
E TRASMETTONO ALLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI LA BIBLIOTECA, perchè
un’opera così gloriosa sia degnamente conservata secondo gli intendimenti voluti
dagli antenati principi Corsini fondatori.
E la donazione è accettata per parte della Accademia dal suo Presidente
(Q. Sella).
In questo atto di donazione sì trova la SOLENNE PROMESSA, FATTA per l’Ac-
cademia da parte del suo Presidente, che sarà ADEMPIUTO ALLE PRESCRIZIONI
TUTTE contenute non tanto nell’atto di vendita quanto nell’atto di donazione,
come nella legge 8 luglio 1883, n. 1461.
Come risulta dall’art. 13 del contratto di vendita, la Biblioteca comprende
LE STAMPE, I DISEGNI, 1 libri, i codici e i relativi scaffali contenuti nelle nove sale
o stanze nel lato nord al primo piano, dei quali, per ordine dello stesso articolo,
fu poi redatto il catalogo « da rappresentanti dei signori principi Corsini, della
Reale Accademia dei Lincei e del Governo ». L’art. 15 dello stesso contratto di-
spone poi che « la Reale Accademia dei Lincei sarà obbligata di conservare la Bi-
blioteca a pubblico uso col nome di Corsiniana e TENERLA SEMPRE NON SOLO IN
RomA MA ANCHE IN TRASTEVERE come dispose il cardinale Neri Corsini, uno dei
‘fondatori della Biblioteca stessa ».
Da quanto precede risulta chiaro e incontestabile :
1° che la Biblioteca, e quindi tutto ciò che la costituisce (STAMPE, DI-
SEGNI, libri, manoscritti), è stata DONATA dai principi Corsini ALLA REALE Acca-
'DEMIA, DEI LINCEI;
2° che di conseguenza l'Accademia stessa è LA SOLA ED UNICA PROPRIE-
‘TARIA della Biblioteca medesima e quindi di tutto ciò che la costituisce ;
RenpICcONTI. 1921. Vol. XXX, 2° Sem. 66
— olo
3° che la Biblioteca deve rimanere nel palazzo accademico e almeno sem-
pre nel Trastevere ;
4° che alla Accademia spetta la consERVAZIONE della Biblioteca e quindi
di TuTTo quanto la costituisce, e, di conseguenza, di stabilire le modalità
per questa conservazione.
Con lettera del 22 marzo 1895, n. di partenza 1587, il Ministro della Istruzione:
(G. Baccelli) scriveva al Presidente dell’Accademia che « st POTREBBERO CON-
VENIENTEMENTE ESPORRE NELLA SALA NONA DELLA GALLERIA CORSINI LE STAMPE
PRINCIPALI della raccolta conservata nella Biblioteca e disporre le altre nel modo
tenuto al Gabinetto delle stampe di Berlino, entro cassette in ordine di tempo e di
autori ». E chiedeva al presidente se voleva accogliere favorevolmente questa
proposta, nel qual caso avrebbe disposto per la sua definitiva attuazione.
Il Presidente (F. Brioschi), in seguito ad approvazione del'Consiglio di Ammi-
nistrazione (verb. adun. 23 marzo 1895), con lettera del 16 marzo 1895, n. pro-
toc. 11, accoglieva favorevolmente la proposta, perchè essa SODDISFACEVA AL
DESIDERIO ESPRESSO DA LUNGO TEMPO, che la preziosa raccolta delle stampe
donata alla Biblioteca dell’Accademia potesse essere esposta IN PUBBLICO IN
MODO CONVENIENTE.
Il Ministro, con lettera 30 marzo 1895, n. protoc. 1604 ringrazia il presidente
della Accademia PER IL FAVORE CON CUI AVEVA ACCOLTA LA PROPOSTA DEL-
L’AssETTO della insigne raccolta delle stampe e dei disegni.
Risulta dagli atti che 1°8 aprile stesso anno 1895, eon lettera n. protoc. 16,
il Presidente della Accademia mandava al comm. Tadolini — indicato dal mi-
nistro insieme col dr. P. Kristeller per la consegna delle stampe — il PROGETTO.
DI CONVENZIONE FRA IL MINISTERO E L'ACCADEMIA PER LA CONSEGNA CONDIZIO--
NATA DELLE STAMPE. Ma in atto questo progetto non si trova.
Dopo questa data, dall'Archivio non risulta più nulla.
Si sa però che nel 1898 11 ministro della Pubbhea Istruzione (L. Cremona), in
seguito a relazione di una commissione incaricata di esaminare l'andamento dei
lavori nel Gabinetto delle Stampe annesso alla Galleria nazionale di arte antica —
della raccolta delle quali RIMANE PROPRIETARIA L'ACCADEMIA DEI LINCEI, men-
tre la Direzione della Galleria NE HA SEMPLICEMENTE IL DEPOSITO — per adottare:
PROVVEDIMENTI PIÙ UTILI PER LA PIENA TUTELA DEL MATERIALE ARTISTICO
DEPOSITATO E PER IL MIGLIOR ANDAMENTO DEL SERVIZIO, con decreto ministe-
riale del 17 giugno 1898 istituiva una COMMISSIONE DI VIGILANZA, della quale
venivano chiamati a far parte un rappresentante della Accademia (presidente),
uno del Governo, uno del Comune di Roma e il direttore della Galleria nazio-
nale d’arte antica.
La quale Commissione di vigilanza aveva incarico di mettere in regola gli
atti di consegna, sorvegliare la esatta catalogazione, riconoscere quali stampe:
avessero bisogno di lavatura, prendere in consegna il sigillo col quale dovevano.
— 511 —
essere bollate tutte Je stampe prima che si procedesse alla remozione di esse dai
volumi nei quali si trovavano ; verificare se nei lavori di restauro o di lavatura
si procedeva secondo le migliori norme.
Questa Commissione — alla quale avrebbero potuto aggregarsi uno o due
eruditi nelle cose d’arte, la cui cooperazione si ritenesse necessaria — era incari-
cata anche di redigere e sottoporre alla approvazione del Ministro un regolamento
per il Gabinetto delle stampe, nel quale fossero indicate anche le norme da tenere
per l’esecuzione dei lavori e le proposte per il personale che dovrà attendervi.
Ditutto questo è cenno soltanto nel verbale del Consiglio di Amministrazione
del 3 luglio 1898, nel quale si trova che IL PROF. MONACI DÀ NOTIZIA DI PROVVEDI-
MENTI PRESI PER IL RIORDINAMENTO DEL GABINETTO DELLE STAMPE.
Pare che questa Commissione di vigilanza, presieduta dal rappresentante
della Accademia, abbia proposto il regolamento per il Gabinetto nazionale delle
stampe del quale sopra è detto, perchè in archivio esiste, senz’altro, una copra
DI UN REGOLAMENTO PER IL GABINETTO NAZIONALE DELLE STAMPE IN ROMA,
che appare sia stato approvato dal Ministro.
Con questo regolamento sistabilisceilmodo di compilazione dell’inventario,
le norme per le riparazioni alle stampe bisognose di restauro, per la registra-
zione, schedatura, bollatura, modo di dare in consultazione agli studiosi, fare i
prestiti, trarre copie, fare esposizioni ece.
Questo regolamento contiene anche la disposizione seguente :
« Entro il mese di luglio DI OGNI ANNO il direttore manderà al Ministero E
ALL’ACCADEMIA DEI LiNncEI una particolareggiata relazione sull'andamento del-
l’Istituto, indicando i nuovi acquisti, i restauri eseguiti, ilavori fatti ai cataloghi
e ì più urgenti bisogni e i mezzi per provvedervi ».
Delle riunioni della Commissione di vigilanza non risulta nulla negli atti,
che io sappia.
Il soLo DocuMENTO relativo a questo Gabinetto delle stampe è l’unica Re-
lazione (senza data) del direttore Federico Hermanin al presidente della Com-
missione di vigilanza prof. E. Monaci e da questi inviata al presidente della
Accademia con lettera senza data, e presentata alla Accademia nella adunanza
del 17 gennaio 1906 della classe di scienze morali (ved. Rendic. ser. 5%, vol. XV,
1906, pag. 354).
Il presidente Monaci scrive nella sua lettera che, di quanto sì fece dal 1896,
fu ragguagliato di TeMPo IN TEMPO il Ministero, e che mandava orala relazione
perchè l'Accademia, PUR SEMPRE PROPRIETARIA DI QUESTO TESORO (valutato
a non meno di tre milioni), aveva diritto di essere informata.
Ma la relazione del direttore contiene ben poche cose relative alla consi-
stenza della raccolta, alla sua sistemazione, al bilancio, al personale.
Dal 1906 ad oggi, malgrado l’obbligo della relazione annuale, non risulta
più nulla in atti. L'Accademia proprietaria è completamente messa da parte.
Tutto è fatto dal Direttore, il quale pare si sia arbitrariamente sostituito alla
— 512 —
Commissione di vigilanza. Egli ha fatto anche esposizioni con invito da parte
della Direzione del Gabinetto, senza che l'Accademia s1a nemmeno nominata.
Il Direttore si rivolge però all’Amministrazione e all'Accademia soltanto
per chiedere continuamente e con insistenza, privatamente e a mezzo della
Direzione generale delle belle arti, locali e locali per la sistemazione delle stampe
mentre l'Accademia, pur avendo sempre vivissimo il desiderio di disporre degna-
mente la sua collezione delle stampe (che si trova attualmente in locali riem-
piti disordinatamente di quadri) non lo può fare, avendo essa stessa bisogno
urgente di locali specialmente per la sistemazione della Biblioteca.
Da quanto è stato riassunto in questa parte della relazione, risulta :
1°) che nel 1895 l'Accademia accoglieva la richiesta fatta dal Ministero della,
Istruzione di esporre nella sALA NONA della Galleria Corsini le stampe principali
della raccolta Corsiniana di proprietà assoluta della Accademia, e di sistemare
le altre;
20) che, istituito più tardi il GABINETTO DELLE STAMPE, veniva nel 1898
istituita anche una COMMISSIONE DI VIGILANZA per il gabinetto medesimo ;
3°) che il direttore del Gabinetto DOVEVA PRESENTARE OGNI ANNO ALL’Ac-
CADEMIA UNA RELAZIONE sull’andamento del Gabinetto delle Stampe ; mentre
invece nel periodo 1898-1921 fu presentata una sola vorra (1902);
4°) che la Commissione di vigilanza e l'Accademia furono messe comple-
tamente da parte, e ìl Direttore arbitrariamente si sostituì alla Commissione
stessa;
5°) che mentre il Gabinetto delle stampe come la Galleria Corsini, ha i
suoi locali ben definiti, il direttore del Gabinetto, che è anche direttore della
Galleria, con la continua insistente richiesta di locali mostra di ritenere che
tutto il palazzo accademico debba servire per la Galleria e per il Gabinetto, e
quindi che non l'Accademia accolga nel suo palazzo la Galleria e il Gabinetto,
ma che questo e quella diano ospitalità all'Accademia.
Ora anche questa condizione di cose deve cessare al più presto possibile,
e la Commissione di vigilanza e l'Accademia devono immediatamente riprendere
i loro diritti e richiamare la direzione del Gabinetto delle stampe alla osservanza
serupolosa dei suoi doveri.
E questo anche perchè l'Accademia è obbligata, come lo Stato, per l’art. 19
del contratto di vendita del palazzo Corsini, di osservare quanto è disposto nel
contratto stesso E DI NULLA FARE O PERMETTERE AD ALTRI DI FARE SOTTO QUA-
LUNQUE TITOLO CONTRO DI ESSO.
L’Accademico Amministratore
Prof. RomuALDO PIROTTA.
— 513 —
OPERE PERVENUTE IN DONO ALL'ACCADEMIA
4 dicembre 1921.
AmecHIno F. — Obras completas y corre-
spondencia cientifica. Vol. I: Vita y
obras del Sabio; vol. II: Primeros tra-
bayos cientificos. La Plata, 1913. 8°,
pp 1-391, 1-765.
Amopeo F. — Un’applicazione del teorema
di Nicolò de Martino sulle volte a
padiglione (Estr. dal « Bollettino di
matematica», anno XVII). Bologna,
1921. 8°, pp. 1-4.
Amopeo F. — Anales del Congreso Nacio-
© nal de la Industria minera. Tomos I,
II, III, IV, V. VI, VII, VIII. Lima,
1919-21. 89, pp. rin, 1-691, 1-9],
i-viti, 1-208, r-1v, 1-98, 1-vi, 1-143,
I-v, 1-168, 1-96.
BaLpacci A. — Contributo alla flora au-
tunnale ed invernale dei dintorni di
Vallona (Estr. dal « Nuovo Giornale
botanico italiano n, vol. XXV, pp. 70-
86). Rocca S. Casciano, 1918. 8°.
BeGuINnoT A. — Anomalie fiorali costanti
in una forma coltivata di Veratrum
nigrum L. (Istr. dal « Bullettino della
Società botanica italiana », nn. IV-IX,
pp. 51-54). s. 1. 1920. 8°.
Beguinor A. — Brevi notizie sulla Digi-
talis Ambigua Murr. e sulle forme af-
fini in rapporto alla loro variabilità
(Estr. dal « Bullettino della Società
botanica italiana», 1921). s. 1 1921.
8°, pp. 1-8.
BeguInoT A. — Commemorazione del prof.
Pier Andrea Saccardo (Estratto dagli
«Atti e Memorie della R. Accademia
di Scienze, Lettere ed Arti di Padova »,
vol. XXXVI). Padova, 1920. 8°, pp.
1-39.
Beeuinor A. — Contributo alla flora au-
tunnale ed invernale dei dintorni di
Vallona (Estr. dal « Nuovo Giornale
botanico italiano», vol. XXV, pp. 70-
86). Rocca S. Casciano, 1918. 8°.
Beguirnor A. — La Botanica. Roma, 1920.
12°, pp. 1-116. È
Beuinor A. — La Palma nana (Chamae-
rops humilis L.) e l'industria del crine
vegetale iu Sicilia (Estr. dal « Bol-
lettino di studi ed informazioni del .
R. Giardino coloniale di Palermo n,
vol. V, fasc. ITI-IV). Palermo, 1921.
8°, pp. 1-12.
Beeuinor A. — L'Istituto e l'Orto bo-
tanico della R. Università di Padova
negli anni scolastici 1919-20 e 1920-
21. Padova, 1921. 8°, pp. 1-16.
Becuinor À. — Nuovi dati sul polimor-
fisme sessuale nei generi Chamaerops
L. e 7rachycarpus Wendl. (Estr. dal
« Nuovo Giornale botanico italiano »,
vol. XXV). Rocca S. Casciano, 1918.
8°, pp. 1-7.
BecuinoT A. — Ricerche culturali sulle
variazioni delle piante eseguite negli
anni 1915-1919 (Estr. dagli « Atti del
Reale Istituto Veneto di Scienze, Let-
tere ed Arti», tomo LXXIX, pp. 345-
875). Venezia, 1920, 8°.
BéeGuINnot A. — Ricerche intorno al poli-
morfismo della Stellaria media (L.) Cir.
in rapporto alle sue condizioni di esi -
stenza. Parte III, fasc. I, II. Padova,
1920. 8°, pp. 1-144, 145-196.
BeGuInor A. — Risultati generali sul po-
limorfismo sessuale nei generi Cha-
maerops L. e Trachycarpus. H. Wendl.
(Estr. dagli « Atti e Memorie della R.
Accademia di Scienze, Lettere ed Arti
di Padova» vol. XXV, pp. 177-185).
Padova, 1919. 8°.
BecuInor A. — Schedae ad Floram Ita-
licam exsiccatam, serie III, fasc. XIV.
Sancasciauo, 1921. 8°, pp. 176-244.
Beeuinor A. — Sopra un interessante
Tascadium esistente nel R. Orto Bo-
tanico di Padova (Estr. dal « Bollet-
tino della Società botanica italiana »,
n. IV-IX, 1920, pp. 55-60).s. 1.s. d. 89.
Benson W. N. — Tectonic Conditions ac-
companying Intrusion of Basic and
ultra Basic Igneous Rocks (From
the « Bull. Geol. Soc. Am.», vol.
XXXI, pp. 145-148). s. 1 e s. d. 89.
Benson N. W. — T'he Geology and Petro-
logy of the Great Serpentine Belt of
New Sonth Wales (From the « Pro-
ceedinos of the Linneau Society of
New South Wales», vol. 45, pp. 286-
423). Sydney, 1920. 8°.
Bizzozero E. — Malattie della pelle. To-
rino, 1922. 8°, pp. 1-x11, 1-140.
Boschi ed acque nella pro incia di Gorizia.
Gorizia, 1921. 89. pp. 1-68,
Bossirre R, E. — Le réglement d'avaries
du grand abordage. Paris, 1921. 129,
pp. 1-36.
Canpiani G. — Filosofia naturale e teoria
delle onde. Padova, 1921. 89,
Cavazzi D. — Grassi B. L'anofele può
propagare la malaria anche diret-
tamente? Nota II « Rend. Accademia
Lincei», vol. XXX, fasc. XI (Estr.
dalla « Rassegna delle Scienze biolo-
giche », anno III, pp. 106-111). Firenze,
1921. 8°.
Corties A. L. — Sir Normau Lockyer,
1836-1920 (Repr. from the « Astro-
physical Journal», vol. LIII, pp. 233-
248). Chicago, 1921. 8°,
De DonpeR Th. — La gravifique Ein-
steinienne. Paris, 1921. 4°, pp. 1-198.
De VeccHi P. — Modern Italian Surgery
and old Universities of Italy. New
York, 1921. 8°. pp rxvi, 1-249.
De Tonr G. B. — Intorno un gigantesco
pesce catturato nell'Adriatico (Estr.
dagli « Atti del Reale Istituto Veneto
— 514 —
di Scienze, Leltere ed Arti», tomo
LXXX, np 126-129). Venezia. 1921. 8°.
DeLGRosso M. — Sopra un caso di accre-
scimento parallelo nell’argentite di
Freiberg (Estr. dal « Bollettino della
Società geologica italiana », vol. XL,
pp. 48-50). Roma, 1920 8°.
Favaro A. — I lettori di matematiche
nella Università di Padova dal prin-
cipio del secolo XIV alla fine del XVI
(Estr. dalle « Memorie e documenti
per la Storia della Università di Pa-
dova», vol. I). Padova, 1921. 89.
pp. 1-70.
Figaro F. — Superficie di scorrimento e
forme di rottura varie nei solidi tesi
o compressi (Estr. dal « Giornale del
Genio civile, anno LIX). Roma, 1921.
8°, pp. 1-30.
Forti A. — Studi sula Flora della pit-
tura classica veronese (Estr. dal « Bol-
lettino Madonna Verona », anno XIV,
pp. 57-228). Verona, 1920. 8°.
FRANcHETTI A. — Studi ed osservazioni
sulla pellagra (Estr. da «Lo Speri-
mentale », anno LXXV). Firenze, 1921.
8°; pp. 1-94.
Gaspa L. — Giovanni Celoria. Notizie
della sua opera scientifica (Estr. dalle
« Memorie della Società Astronomica
italiana», vol. I). Roma, 1921. 8°,
pp. 1-10.
GaLLETTI DI CapilHac. R. C. — The
Framewoch of Wireless Telegraphy.
Cambridge, 1921. 8°. pp. 1-48.
HaLpane J. S. — Organism and envi-
ronment as illustrated by the Physio-
logy of Breathing. Oxford, 1917. 8°,
pp. r-xX1, 1-188.
HaLpane J. S. — Handbook to the Nor-
man Lockyer Observatory. London,
1921. 12°, pp. 1-85.
TvaLpi G.— Ilrendimento delle macchine
(Estr. dalla «Scienza per tutti», n, VI).
Milano, 1921. foll.
IvaLpi G. — La pressione d'urto e quella
dei gas secondo il metodo sperimen-
tale (Estr. dal « Politecnico », n. VI-
VII). Milano, 1921. 8°, pp. 1-36.
IvaLpi G. — La teoria eterea della luce,
del calore, dell’elettricità secondo il
metodo sperimentale (Estr. della «Ri-
vista tecnica d’elettricità e delle in-
venzioni»). Milano, 1921. 4°, pp. 1-24.
Lustie A. — Gli effetti dei gas asfissianti
e lagrimogeni studiati durante la guer-
ra (1916-1918) (Estr. dal «Giornale
di medicina militare »). Roma, 1921.
8°, pp. 1-31.
LustIiG. A. — Studi di osservazioni sulla
pellagra (Estr. da « Lo Sperimentale »,
an. LXXV). Firenze, 1921. 8°, pp. 1-94.
MARTELLI U. — Commemorazione di Odoar-
do Beccari. Firenze, 1921. 8°, pp. 1-61.
Mascart. J. — Notes a propos de quel-
ques mesures d’étoiles doubles (Extr.
du «Bulletin astronomique », tome I,
fasc. III, 1921). s. 1., 1921. 8°, pp. 1-16.
PeyRoneL B. — Un interessante parassita
del lupino non ancora segnalato in
Italia, Blepharospara terrestris(Sherb.)
Peyr. (Estr. dai « Rendiconti della
R. Accademia dei Lincei. », vol. XXIX,
pp. 194-197). Roma, 1920. 8°.
PeyRoneL B. — Report of the Committee
on British petrographic Nomenclature
(Repr. from the « Mineralogical Maga-
zine», vol XIX, pp. 137-147). London,
1921. 89.
SirvestrI F. — Contribuzioni alla coro-
scenza biologica degli Imenotteri pa-
rassiti. V. Sviluppo del Platygaster
dryamyiae Silv. (Fam. Proctotrupidae
(Estr. dal « Bollettino del Laboratorio
di Zoologia generale e agraria della
R. Scuola superiore d’Agricoltura in
Portici», vol XI, pp. 299-326). Por-
tici, 1921. 89.
SiuvestrI F. — Notizie della Cicala gri-
giastra (Z'ettigia orni L.) sulla Cicala
maggiore (Cicada plebeja Scop.), sui
loro parassiti e descrizione della loro
larva neonata e della ninfa (Estr. dal
« Bollettino del Laboratorio di Zoo-
logia generale e agraria della R. Scuola
superiore d’Agricoltura in Portici »,
vol. XV, pp. 121-204). Portici, 1921. 89.
SKINNER D. H. — Culture Areas in New
Zealand (Estr. dal «Journal of the
Polynesian Society», pp. 71-78). s.1.
es.d. 8°,
SKINNER D. H. — Shell Adzes of the Maori
(From the « Journal ofthe Polynesian
Society», vol. XXIX, pp. 200-201). s. 1.
CISSROMESO!
SKINNKER D. H. — The Awanui (Or Kai-
taia) Pare. s.1. e s.d. 89, pp. 1-3.
VarLor J. -— Annales de l’Observatoire
métegrologique physique et glaciaire
du Mont Blanc. Tome VIII. Paris, 1917.
40, pp. I-vI, 1-240.
WALLEN A. — Sur le contròle des annonces
de tempétes (Extr. de « Geografiska
Annaler ». 1921, pp. 267-277). s.l. e
s. d. 8°.
Zeppa C. — Sopra un modo di usare gli
areometri a volume costante per de-
terminare la densità dei liquidi. Ca-
gliari, 1921. 8°, pp. 1-6.
Zeppa C. — Sulla evaporazione dell’acqua.
Risultato delle osservazioni fatte nel
venticinquennio 1893-1917 nel R. Os-
servatorio meteorologico di Cagliari.
Cagliari, 1921, 8°, pp. 1-16.
ZEEMAN P. — Verhandelingen over Magneto-
optische Verschiynselen. Leiden, 1921,
89, pp. 1-xv, 1-841.
INDICE DEL VOLUME XXX, SERIE 5°. — RENDICONTI
1921 — 2° SEMESTRE.
INDICE PER AUTORI
A
ABETTI. « Sulle determinazioni di diffe-
renze di longitudine mediante la tele-
grafia senza fili ». 18.
— « Sul confronto fra osservazioni visuali
e fotografiche delle nebulose ». 47.
— « Sulla massa e il moto proprio del
sistema 40 Eridani ». 460.
AGAMENNONE. « I terremoti mondiali del
1916 e l’Osservatonio di Rocca di
Papa n. 60; 363.
Agostini. Ved. Mazzetti.
— Ved. Parravano.
ALBIS. « Indici di rifrazione della cancri-
nite, della zunyite e della orangite ».
472.
ANGELI. « Sopra il comportamento e la
proprietà di alcuni derivati aroma-
tici ». 341.
ARMELLINI. « Sopra il limite interno della
zona asteroidica ». 201.
ARrtINI. « Sulla presenza della nesqueho-
nite nelle cave d'amianto di Franscia
in Val Lanterna ». 153.
Artom. « Dati citologici sul tetraploidismo
dell'artemia salina di Margherita di
Savoia (Puglia) n. 66.
B
BeDARIDA. « Sopra il numero delle classi
di forme aritmetiche definite di Her-
mite ». 259; 303.
— « Le classi di forme ‘aritmetiche di
Dirichlet appartenenti ai generi della
specie principale ». 485.
BeLARDINELLI, « Sulla risoluzione delle
equazioni algebriche mediante le fun-
zioni ipergeometriche ». 208.
BenkDETTI. « Intorno alla morfologia del
cervello di Proteus anguineus
e sull'esistenza del suo nervo ottico
(contributo allo studio comparativo
del sistema nervoso centrale degli
Anfibî). 429,
Boggio. « Sul teorema di reciprocità delle
funzioni di Green ». 488.
Bompiani. « Caratterizzazione intrinseca
di elementi lineari rispetto al paral-
lelismo n. 168.
— « Proprietà differenziale caratteristica
delle superficie che rappresentano la
totalità delle curve piane algebriche
di dato ordine ». 248.
— « Sulle varietà contenenti più serie di
superficie totalmente geodetiche n.395,
— 516 —
Bompiani. Invia in esame la sua Memoria:
« Proprietà differenziali caratteristiche
di enti algebrici n; 388. È approvata:
477.
Borzì. Annuncio della sua morte. 388.
BRUNELLI. « Sulla presenza della Melea-
grina nel mare libico ». 195.
— « Sulla specie mediterranea del genere
Meleagrina ». 230.
BrunI. G. « Analisi termica del sistema
zolfo-p.diclorobenzolo ». 158.
— e PrtizzoLa. « Sulla presenza del man-
ganese nella gomma greggia, e sul-
l'origine della peciosità n. 37.
BrunI A. C. « Osservazioni sul tappeto lu-
cido dei mammiferi domestici ». 285;
395.
BuraLi-FortI. « Su i numeri reali e le
grandezze ». 26.
C
UampPeTTI. « Sul potenziale di risonanza
e di ionizzazione nei vapori misti di
sodio e di potassio con mercurio ».
261; 360.
CARDANI. « Disposizione sperimentale per
amplificare * l’effetto foto-elettrico
Hallwacs-Righi ». 478.
CasteLNUOVO (Segretario). Presenta le pub-
blicazioni giunte in dono, segnalando
quelle dei Soci Fantoli, Favaro, Se-
veri ecc. 389.
— Comunica un invito per il Congresso
internazionale di Geologia che si terrà
nel Belgio a metà del prossimo anno.
390.
Ceca. « Sur les surfaces dont toutes les
courbes de Segre sont planes ». 491.
CeruLLI. Osservazioni sulla Nota del pro-
fessore Agamennone: « If terremoti
mondiali del 1916 e l'osservatorio di
Rocca di Papa ». 366.
CuHisini. « Le superficie elettriche il cui
determinante è un numero composto ».
172; 251; 305.
Crusa. « Sulla scomposizione dello io-
dolo n. 468.
CLEMENTI. « Sulla deamidazione enzima»
tica dell’asparagina in diverse specie
animali, e sul significato fisiologico
della sua presenza nell’organismo »..
198.
Comanpucci - CorTINI. « Tylomyces.
gummiparus n. sp., prototipo di
un nuovo genere di Ifomiceti. Carat--
teri morfologici ». 68; 113.
Comucci. « Sopra un basalto e un calcare
a glauconite di Campofiorito presso
Palermo ». 220.
— « Sulla composizione chimica della stil- -
bite elbana ». 330.
Corsino. « Azione di un campo magne--
tico sul flusso di calore ». 7.
— « Sulla teoria dell'effetto Thomson ».
39.
CorRonEI. « Sull’influenza della nutrizione-
con tessuti iodati d’invertebrati sulle.
larve di Bufo vulgaris ». 149.
— « Nuove ricerche sperimentali sullo
sviluppo e sulla metamorfosi degli:
Anfibî anuri (sui problemi inerenti
agli innesti tra larve a litio e larve
normali di Bufo vulgaris) n. 484.
— Invia in esame la sua Memoria : « Cor-
relazioni e differenziazioni (ricerche
sperimentali sullo sviluppo degli An-
fibî) ». 388.
Crocco. « Constatazioni sulle scìe aero--
dinamiche n. 345.
Cusmano. « Sopra la tautomeria della buc--
cocanfora e una trasformazione del
mentone in tetraidrocarvone ». 224.
D
D'Ancona. « Osservazioni sugli strati li--
mitanti esterni dello ialoscheletro
nelle forme larvali dei Murenoidi ».
385; 432.
DE AnceLIs. « Sulla forma cristallina
della cusparina CioHigNO; n. 328.
De Frore. « Di un solfuro di ferro delle
fumarole sottomarine di Vulcano (is ole
Eolie), formatosi nel 1916 ». 142.
De STEFANI. « Silicospongie fossili della.
Liguria occidentale n. 437.
E
EisenHarT. « Sulle trasformazioni T dei,
sistemi tripli coniugati di superficie »..
399.
— 517 —
F
FonreBAsso. « Divisori di un numero ».
212.
FrancHI. « Notizie sopra alcune interes»
santi formazioni del Supracretaceo
del bacino di Eraclea nell'Asia Mi-
nore ». 280; 332
FrasseTTO. « Delle relazioni fra il peso
e la statura dell'uomo adulto ». 501,
G
GortANI. « La serie paleozoica delle Alpi
Carniche », 100.
— « L’Ordoviciano nel Caracorùm orien-
tale ». 183.
— e Vinassa pe ReGny. « Su l’età e po-
sizione di alcuni scisti delle Alpi n.
140.
GranpI. « Intorno al ciclo biologico del-
l'Aploneura lentisci Pass.
(Hemiptera-Homoptera-Aphidoidea) ».
107.
Grassi. « Razza biologica di Anofele che
non punge l’uomo. Un singolarissimo
caso di anofelismo e paludismo senza
malaria ». 11.
— « L'anofele può propagare la malaria
anche direttamente? n. 245.
— « Razze biologiche di anofeli n. 344,
I
Jucci. Invia in esame la sua Memoria:
« Sulla differenziazione delle caste
nella società dei Termitidi. I Neote-
nici n; 388. È approvata; 477.
K
KauHanow10z, « Potere emissivo di alcuni
metalli ed ossidi ». 132.
— « Punti di trasformazione di alcuni
metalli e leghe, in rapporto al potere
emissivo ». 178.
KrALL. « Una nuova teoria dello sposta-
mento delle linee spettrali ». 309.
L
LA Rosa. » Conducibilità e potere termo-
elettrico nel campo magnetico, se-
condo la teoria elettronica ». 57.
RenpIcONTI. 1921, Vol. XXX, 2° Sem.
Levi-Crvita. Fa omaggio di una pubblica»
zione del seminario matematico della
Università di Amburgo. 889,
LippMANN. Annuncio della sua morte. 388.
Longo. « Su la vite selvatica della ma-
remma ». 393.
M
MADERNI. « Un nuovo caso di integralità
nel problema dei due corpi di massa
variabile ». 176.
MarsTRINI. « Contributo alla conoscenza
degli enzimi. VII. Sulla ricomparsa
del potere amilolitico della saliva
umana, abolito dall’acido cloridico »,
237.
Maggi. « Calcolo della discontinuità delle
derivate di ordine superiore dello spo-
stamento di equilibrio elastico ». 71.
Masorana. « Sull’assorbimento della sra-
vitazione ». 75; 289; 350; 442,
Mammana. « Sulle relazioni fra le misure
di un insieme variabile e dell'insieme
suo limite ». 355.
MartiRoLO. « Contributo alla micologia
ipogea della Venezia Subalpina. Os-
servazioni sopra due Ipogei della Ci-
renaica e considerazioni intorno ai ge-
neri Tirmania e Perferia », 478.
MAzzETTI e Agostini. « Nuovo metodo di
dosaggio dell’arsenico negli acciai n.
311.
MazzuccueLLI e Rosa. « Solubilità del
perclorato ammonico nell'acqua ». 270.
— e PapoccHia. « Sopra l’azione dei gas
finamente divisi ». 469.
Mezzetti. Ved. Sborgi.
MiLLosevicÒ. È eletto Segretario aggiunto.
504.
Montesano. « Sulla teoria generale delle
corrispondenze birazionali dello spa-
zio n. 447.
MorpPurgo. « Conseguenze della nefrecto-
mia nei topi siamesi diseguali ». 13.
N
NALLI. « Sopra un’equazione funzionale ».
85; 122.
— « Sopra alcuni sviluppi in serie ».
295; 405; 451.
— 518
Neri. Invia in esame la sua Memoria:
« Le colonie vegetali xerotermiche
della val di Susa e l'ipotesi ‘ lacu-
stre’ del prof, L. Buscalioni »; 486.
È approvata; 477.
P
PanicHi. « Su la ‘ Italite® e la ‘ Vesbite ’
di H. S. Washington ». 370.
PaAoLINI. « Carvomentoli levogiri dal fel-
landrene ». 265; 312.
— « Carvomentoli attivi dalla riduzione
del carvone con platino ». 371.
Papoccnia. Ved. Mazzucchelli.
PARRAVANO e Agostini. « Influenza di im-
purezze gassose sulla ricristallizza-
zione dell'oro e dell'argento ». 481.
PasseRINI. « L'ossidazione dell’acetil-p—
aminoazobenzolo ». 137.
PeLIzzoLA. Ved. Bruni G.
PeROTTI. « Per la conoscenza dei rapporti
fra microrganismi e pianta verde »:
233.
‘Persico. « Realizzazione cinematica del
parallelismo superficiale ». 127.
— Ved. Tieri.
Perucca. « La misura delle differenze di
potenziale vere al contatto, col me-
todo di Lippmann-Pellat ». 54.
PEYRONEL. « Un Ifomicete dai conidi me-
soendogeni: Menispora micro-
spora n. sp. ». 29.
Picone. « Sulla equazione integrale di
Fredholm a nucleo non limitato »,
90.
— « Nuova dimostrazione della necessità
della condizione di Jacobi ». 410.
Pieroni. « Azossiammidi e pirroli ». 267.
— « Azossiammidi e diazocomposti ». 374,
— « Di alcuni prodotti di ossidazione del
pirrolo ». 316.
Pirorta. Relazione dell’Accademico am-
ministratore intorno al Palazzo, alla
Pinacoteca e al Gabinetto delle stampe,
approvata nella adunanza del 16 di-
cembre 1921 dal Consiglio di presi-
denza che ne deliberava la pubblica-
“zione. 504.
PontREMOLI. 4 Sul luogo fisico delle fran-
gie nella doppia rifrazione acciden-
tale meccanica di un liquido in moto
piano permanente ». 216.
— Invia in esame la sua Memoria: « La
doppia rifrazione accidentale mecca-
nica nei liquidi »; 388. È approvata;
477.
PratoLonGo. « 1l punto di ebullizione
delle miscele idroalcooliche-zucche-
rine n. 320.
— «I punti di ebullizione delle miscele
idroalcooliche a diverse pressioni ».
419.
Preti. Ved. 7raetta-Mosca.
Q
QuercieH. « Sulla lublimite di Sassari ».
282.
R
RavENNA. « Sulla costituzione dei dipeptidi
dell’acido aspartico ». 424.
RemoTTI. « Temperatura e migrazioni ver-
ticali delle uova di T'eleostei n. 146.
Ròrri. Annuncio della sua morte. 477.
RomanESsE. « Sulle modificazioni morfolo-
giche delle cellule coltivate ‘in vitro *
al momento della morte ». 337.
Rosa. Ved. Mazzucchelli.
RoverETo. « Lo svolgimento dei fenomeni
carsici ». 104.
— « Lo svolgimento della morfologia co-
stiera n. 427.
S
SaccarpI. « Pirrolo e melanuria ». 185;
227; 273.
Sapuppo. Invia in esame la sua Memoria:
« Sul fenomeno dell’assorbimento gra-
vitazionale n. 388.
Ssorci e MezzeTTI. « Sui borati. Sistema
(NH.)30 — B,0,—H;0(a0?e a 102)».
189.
SBRANA. « Sull’equazione delle vibrazioni
trasversali di un'asta solida, elastica
e omogenea n. 256; 300.
— « Sopra certe equazioni integrali con-
siderate dal prof. Tedone ». 492.
— 519 —
Scorza. « Sugli integrali abeliani riduci-
bili ». 359.
SERENI. « Ricerche morfologiche sul pre-
parato centrale di rospo ». 110.
SEVERINI. « Sopra i sistemi complemen-
tari dei sistemi non chiusi di funzioni
ortogenali n. 92; 129.
SisrranI. « Sulle curve di Bertrand ». 41.
SowieLiANA « Sulla profondità dei ghiac-
ciai ». 3.
STEFANINI. « Sulla costituzione geologica
della Cirenaica: II. Terreni oligoce-
nici, miocenici e postpliocenici ». 50.
T
TANTURRI. « Un’espressione nuova dei nu-
meri bernoulliani ». 44.
TenanI. « Sul calcolo dell'energia del
vento ». 867; 414.
TeRRACINI. « Sul modulo delle forme con-
tenenti una varietà di Segre r. 95.
Tigri. « Birifrangenza magnetica dei fumi
prodotti da un arco ad elettrodi me-
tallici ». 263.
— e Persico. « L'effetto Hall nel Bismuto
solidificato nel campo magnetico ».
464.
ToGLIATTI. « Sulle varietà a tre dimen-
sioni e di quart'ordine che son luoghi
di almeno oo! rette ». 22.
TraettA-MoscA e PRETI. « Azione del-
l’Aspergillus glaucus sulla gli-
cerina ». 324.
Tricomi. « Su di una classe di equazioni
alle derivate funzionali ». 402; 456.
— « Sulle equazioni lineari alle derivate
L
parziali di 2° ordine, di tipo misto ».
495.
V
Vinassa DE Reeny. Ved. Gortani.
VioLa E. « Il ‘ Cinematografo parlante *
di Emilio Zeppieri ». 416.
Visco. « Sul valore alimentare dei semi
dell’Ervum Ervilia ». 241; 276;
379.
ViraLI. « Sulla condizione di chiusura di
un sistema di funzioni ortogonali ».
498.
VoLTERRA (Vicepresidente). Nell'’inaugurare
l’anno accademico pronuncia alcune
parole di saluto per i Colleghi. 388.
— Annuncia la morte del Socio nazionale
Borzì e del Socio straniero Lippmann.
388; del Socio Aditi. 477.
— Comunica i ringraziamenti degli Acca»
demici di nuova nomina e aggiunge
che il prof. /. Giolitti non ha accet-
tato la nomina a Corrispondente. 389.
— Fa menzione di alcune pubblicazioni
del Socio straniero Lacroix e dei
sige. Eddington e Evans. 389.
— Presenta i pieghi suggellati inviati dai
signori Barricelli, Bianco, Bruni, Pais
e Pastori, e dà comunicazione di un
voto dell’Accademia Reale di scienze
fisiche e matematiche di Napoli. 390.
Z
ZaMBONINI. « Sui cristalli misti stereoiso-
meri nella serie clinozoirite-epidoto ».
80; 117; 162; 203.
— 520 —
INDICE PER MATERIE
A
AntROPOLOGIA, « Delle relazioni fra il peso
ela statura nell'uomo adulto ». F. Fras-
setto. 501.
Astronomia. «Sul confronto fra osserva-
zioni visuali e fotografiche delle nebu-
lose n. G. Abetti. 47.
— Sulle determinazioni di differenze di
longitudine mediante la telegrafia senza
fili». /d. 18.
— «Sopra il limite interno della zona
asteroidican. G. Armellini. 201.
— «Sulla massa e il moto proprio del
sistema 40 Eridani ». 460.
B
BATTERIOLOGIA AGRARIA. « Per la cono-
scenza dei rapporti fra microrganismi
e pianta verde n. A. Perotti. 283.
BroLogra. « Dati citologici sul tetraploi-
dismo dell’Artemia salina di Margherita
di Savoja (Puglia) n. C. Artom. 66.
— «Sulla presenza della Meleagrina
nel mare libico n. G. Brunelli. 195.
— «Sulla specie mediterranea del genere
Meleagrina». /d. 230.
— « Osservazioni sul tappeto lucido dei
mammiferi domestici ». A. C. Bruni.
285; 335.
— « Nuove ricerche sperimentali sullo svi-
luppo e sulla metamorfosi degli Anfibî
Anuri (Sui problemi inerenti agli inne-
sti tra larve a litio e larve normali di
Bufo vulgaris)». G. Cotronei. 484.
— «Osservazioni sugli strati limitanti
esterni dello ialoscheletro nelle forme
larvali dei Murenoidi ». Z. D'Ancona.
385; 432.
— «Intorno al ciclo biologico dell’ A plo-
neura lentisci Pass. (Hemiptera-
Homoptera-Aphidoidea)»n. G. Grandi.
107.
— « Razza biologica di Anofele che
non punge l'uomo. Un singolarissimo.
caso di anofelismo e paludismo senza
malaria ». B. Grassi. 11.
BroLoGIA. « Razze biologiche di anofeli ».
Id. 344.
— «Temperatura e migrazioni verticali
delle uova di Teleostei». . Remotti.
146.
— « Sulle modificazioni morfologiche delle
cellule coltivate ‘ în vitro * al momento
della morte ». A. Romanese. 387.
— « Ricerche morfologiche sul preparato
centrale di rospo». E. Sereni. 110.
BoranIca. «Tylomyces gummiparus
n. sp., prototipo di un nuovo genere
di Ifomiceti. Caratteri morfologici ».
J. Comanducci Gortini. 63; 113.
— « Contributo alla micologia ipogea della
Venezia Subalpina. Osservazioni sopra
due Ipogei della Cirenaica e considera-
zioni intorno ai generi Tirmania e
Perferia». 0. Mattirolo. 478.
— AGRARIA. «Su la vite selvatica della
Maremma ». 393.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. 390; 513.
C
CaHimica. « Sopra il comportamento e le
proprietà di alcuni derivati aromatici ».
A.lAngeli. 341.
— «Sulla scomposizione dello iodolo ».
È. Ciusa. 468.
— « Sopra la tautomeria della buccocan-
fora e una trasformazione del mentone
in tetraidrocarvone ». G. Cusmano. 224.
— «Nuovo metodo di dosaggio dell’arsenico
negli acciai».C. Mazzetti e P. Agostini.
811.
— « Carvomentoli levogiri dal fellan-
drene n. V. Paolini. 265; 313.
— « Carvomentoli attivi dalla riduzione del
carvone con platino ». /d. 371.
— «Influenza di impurezze gassose nella.
— 521 —
ricristallizzazione dell’oro e dell’argen»
to n. M. Parravano e P. Agostini. 481.
‘Chimica. « Aziossiammidi e pirroli ». A.
Pieroni. 267.
— «Di alcuni prodotti di ossidazione del
pirrolo ». /d. 316.
— « Azossiammidi e diazocomposti n. /d.
374.
— «l'ossidazione dell’acetil-p-aminoazo-
benzolo n. //. Passerini. 137.
— «Il punto dì ebullizione delle miscele
idroalcooliche-zuccherine ». Y. Prato-
longo. 320.
— «I punti di ebullizione delle miscele
idroalcooliche a diverse pressioni ».
Id. 419.
— «Sulla costituzione dei dipeptidi del-
l'acido aspartico n. C. Ravenna. 424.
— «Sui borati. Sistema (NH,)s0-B,03-H20
(a 0° e a 10°)». V. Sborgi e L. Mea-
zetti. 189.
— «Azione dell'Aspergillus glaucus
sulla glicerina ». . T'raetta- Mosca e
M. Preti. 324.
CHIMICA APPLICATA. «Sulla presenza del
manganese nella gomma greggia, e
sull’origine della peciosità n». G. Bruni
e C. Pelizzola. 31.
CHimica BIOLOGICA. « Pirrolo e melanuria ».
P. Saccardi. 185; 227; 273.
Chimica Fisica. « Analisi termica del siste-
ma zolfo-p-diclorobenzolo rn. G. Bruni.
158,
— «Solubilità del perclorato ammonico
nell'acqua». A. Mazzucchelli e A. Rosa.
270.
CHIMiIca FISIOLOGICA. « Sul valore alimen-
tare dei semi dell'Ervum Ervilia»n.
S. Visco. 241; 276; 379.
CHimicA GENERALE. « Sopra l’azione dei
gas finamente divisi ». A. Mazzucchelli
e B. Papocchia. 469.
CRISTALLOGRAFIA. « Sulla forma cristallina
della cusparina Cio H,y NO; ». M. De
Angelis. 328.
E
ELEZIONI. Elezione del Socio 7. Jillo-
sevich a Segretario aggiunto. 504.
F
Fisica. « Sul potenziale di risonanza e di
ionizzazione nei vapori misti di sodio
e di potassio con mercurio ». A. Cam
petti. 261; 360.
— « Disposizione sperimentale per ampli-
ficare l’effetto foto-elettrico Hallwacs-
Righi n. P. Cardani. 478.
— «Azione di un campo magnetico sul
flusso di calore ». 0. M. Corbino. 1.
— « Sullateoria dell'effetto Thomson ». /d.
83.
— «Potere emissivo di alcuni metalli ed
ossidi». M. Aahanowicz. 132.
— «Punti di trasformazione di alcuni me-
talli e leghe, in rapporto al potereemis-
sivo ». /d. 178.
— «Conducibilità e potere termoelettrico
nel campo magnetico, secondo la teoria
elettronica n. MJ. La Rosa. 57.
— «Sull’assorbimento della gravitazione ».
Q. Majorana. 75; 289; 350; 442.
— «La misura delle differenze di poten-
ziale vere al contatto, col metodo di
Lippmann-Pellat ». £. Perucca. 54.
— «Sul luogo fisico delle frangie nella
doppia rifrazione accidentale mecca-
nica di un liquido in moto piano per-
manente n. A. Pontremoli. 216.
— « Birifrangenza magnetica dei fumi pro-
dotti da un arco ad elettrodi metallici ».
L. Tieri. 263.
— «L'effetto Hall nel bismuto solidificato
nel campo magnetico n. /d. e £. Per-
sico. 464.
— «Il'Cinematografo parlante’ di Emilio
Zeppieri «. E. Viola. 416.
FISICA MATEMATICA. « Una nuova teoria
dello spostamento delle linee spettrali »,
G. Krall. 309.
— «Calcolo delle discontinuità delle deri-
vate di ordine superiore dello sposta-
mento d’equilibrio elastico ». A. .I/agg:.
hl
FisicA TERRESTRE. « I terremoti mondiali
del 1916, e l'osservatorio di Rocca di
Papa ». G. Agamennone. 60; 363.
— « Osservazioni sulla Nota del prof. Aga-
mennone: ‘I terremoti mondiali del
— 522 —
1916 e l'Osservatorio di Rocca di
Papa” ». V. Cerulli. 366.
FisicA TERRESTRE. « Sulla profondità dei
ghiacciai n. C. Somigliana. 3.
FisroLogia. « Sulla deamidazione enzima»
tica dell’asparagina in diverse specie
animali, e sul significato fisiologico
della sua presenza nell’organismo ».
A. Clementi. 198.
— « Contributo alla conoscenza degli enzimi:
VII. Sulla ricomparsa del potere ami-
lolitico della saliva umana, abolito dal-
l’acido cloridrico ». D. Maestrini. 237.
— « Conseguenze della nefrectomia nei
topi siamesi diseguali ». B. Morpurgo.
13.
FistoLoGIA COMPARATA. « Sull' influenza
della nutrizione con tessuti jodati
d’invertebrati sulle larve di Bufo
vulgaris». G. Cotronei. 149.
G
GroLocia. « Notizie sopra alcune interes»
santi formazioni del Supracretaceo del
bacino di Eraclea nell'Asia Minore n.
S. Franchi. 280; 332.
— « La serie paleozoica delle Alpi Car-
niche ». M. Gortani. 100.
— « Sulla costituzione geologica della Ci
renaica. II: Terreni oligocenici, mio-
cenici e postpliocenici n. &G. Stefa-
mini. 50.
— uSul’età e posizione di alcuni scisti
delle Alpi ». M. Gortani e P. Vinassa
de Regny. 140.
GeromorFoLogIa. « Lo svolgimento dei fe-
nomeni carsici n». G. Rovereto. 104.
— «Lo svolgimento della morfologia co-
stiera ». /d. 427.
M
MATEMATICA. « Sopra il numero delle classi
di forme aritmetiche definite di Her-
mite n. A. Bedarida. 259; 303.
— «Le classi di forme aritmetiche di
Dirichlet appartenenti ai generi della
specie principale n. /d. 485.
MATEMATICA. « Sulla risoluzione delle equa-
zioni algebriche mediante le funzioni
ipergeometriche ». G. Belardinelli.
208.
— « Sul teorema di reciprocità delle fun-
zioni di Green ». 7. Boggio. 488.
— « Caratterizzazione intrinseca di ele-
menti lineari rispetto al parallelismo ».
E. Bompiani. 168.
— « Proprietà differenziale caratteristica.
delle superficie che rappresentano la
totalità delle curve piane algebric he
di dato ordine ». /d. 248. ;
— « Sulle varietà contenenti più serie di
superficie totalmente geodetiche:»n. /d.
395.
— «Suinumeri reali e le grandezze «. C.
Burali-Forti. 26.
— «Sur les surfaces dont toutes les cour-
bes de Segre sont planes ». E. Cech.
491.
— «Le superficie ellittiche il cui deter-
minante è un numero composto ». 0;
Chisini. 172; 251; 305.
— « Sulle trasformazioni T dei sistemi
tripli coniugati di superficie n. Z. P:
Eisenhart. 399.
— « Divisori di un numero ». P. A. Fon-
tebasso. 212.
— «Sulle relazioni fra le misure di un
insieme variabile e dell'insieme suo
limite n. G. Mammana. 355.
— «Sulla teoria generale delle corrispon-
denze birazionali dello spazio ». D:
Montesano. 447.
— « Sopra un'equazione funzionale ». P.
Nalli. 85; 122.
— « Sopra alcuni sviluppi in serie ». /d.
295; 405; 451.
— « Realizzazione cinematica del paral-
lelismo superficiale ». E. Persico. 127.
— « Sulla equazione integrale di F redholm
a nucleo non limitato ». M. Picone.
90.
— « Nuova dimostrazione della necessità
della condizione di Jacobi ». Id. 410.
— « Sull’equazione delle vibrazioni tras-
versali di un'asta solida, elastica e-
omogenea n. F. Sbrana. 256; 300.
— 523 —
MATEMATICA. « Sopra certe equazioni inte-
grali considerate dal prof. T'edone ».
F. Sbrana. 492.
— «Sugli integrali abeliani riducibili ».
G. Scorza. 359.
— « Sopra i sistemi complementari dei
sistemi non chiusi di funzioni orto-
gonali n. C. Severini. 92; 129.
— « Sulle curve di Bertrand ». /. Sibt-
rani. 4l.
— « Un’ espressione nuova dei numeri
bernoulliani ». A. Tanturri. 44.
— « Sul modulo delle forme contenenti una
varietà di Segre n. A. T'erracini. 95.
— « Sulle varietà a tre dimensioni e di
quart'ordine che son luoghi di almeno
00° rette ». E. G. Togliatti. 22.
— «Su di una classe di equazioni alle
derivate funzionali ». F. Tricomi.
402; 456.
— « Sulle equazioni lineari alle derivate
parziali di 2° ordine, di tipo misto ».
Id. 495.
— «Sulla condizione di chiusura di un
sistema di funzioni ortogonali n. G.
Vitali. 498.
Meccanica. « Constatazioni sulle scìe aero-
dinamiche n. G. A. Crocco. 345.
— « Un nuovo caso di integrabilità nel
problema dei due corpi di massa va-
riabile ». C. Maderni. 176.
— «Sul calcolo dell’energia del vento ».
M. Tenani. 367; 414.
MicoLoGia. « Un Ifomicete dai conidi me-
soendogeni: Menispora micro-
spora n. sp. ». 8. Peyronel. 29.
MingraLogia. « Indici di rifrazione della
cancrinite, della zufizite e della oran-
gite n. M. Albis. 472.
— Sulla presenza della nesquehonite nelle
cave d'amianto di Franscia in Val
Lanterna n. E. Artini. 153.
— « Sulla composizione chimica della stil-
bite elbana n. P. Comucci. 830.
— « Sulla tublinite di Sassari ». 7. Quer-
cigh. 282.
— <« Sui cristalli misti stereoisomeri nella
serie clinozoisite-epidoto n. FM. Zam-
bonini. 80; 117; 162; 203.
Morrotocia. « Intorno alla morfologia del
cervello di Proteus anguineus e
sull’esistenza del suo mervo ottico.
(Contributo allo studio comparativo
del sistema nervoso centrale degli An--
fibî) n. E. Benedetti. 429.
N
NecRoLoGIE. Annuncio della morte del
Socio nazionale Borz?, 388; del Socio
straniero Lippmann, 388; del Socio.
nazionale Roici, 477.
p
ParEontoLogiA. Silicospongie fossili della.
Liguria occidentale n. C. De Stefani.
437.
.— « L'Ordoviciano nel Caracorùm orien-.
tale ». JM. Gortani. 183.
ParassitoLOGIA. « L’anofele può propa-
gare la malaria anche direttamente ? ».
B. Grassi. 245.
PreTROGRAFIA. « Sopra un basalto e un
calcare a glauconite di Campofiorito
presso Palermo n. P. Comucci. 220.
— « Sula ‘Italite* e la ‘ Vesbite ’ di H. S,
Washington n. Y. Panichi. 370.
R
RELAZIONE dell’ Accademico amministra-
tore, intorno al Palazzo, alla Pinaco-
teca e al Gabinetto delle stampe,
approvata nella adunanza del 16 di-
cembre 1921 dal Consiglio di presi-.
denza che ne deliberava la pabblica-
zione. A. Pirotta. 504.
V
VuLcanoLogia. « Di un solfuro di ferro
delle famarole sottomarine di Vulcano
(Isole Eolie), formatosi nel 1916 n.
O. De Fiore. 142.
ti Vi dt, i
Vate pieni
Sbrana. Sopra certe equazioni integrali considerate dal. prof. ‘Tedone (pres. dal Cor-
ERRO IO RO LA pap 492
Tricomi. Sulle equazioni lineari alle derivate. parziali di 2° ordine, di tipo misto (pres.
ili CA RE I A a I
Vitali. Sulla condizione di chiusura di un sistema di funzioni ortogonali (pres. dal Cor-
dis l’ MPRBEEIOE e .
Frassetto. Delle relazioni fra il peso e la statura nell’uomo adulto (pres. dal Socio Ciamician) >
(DL
©
(a
ELEZIONI
\
Risultato. della votazione per la elezione-del Segretario aggiunto . . ........ * 504
COMUNICAZIONI VARIE
Relazione dell'Accademico Amministratore, intorno al Palazzo, alla Pinacoteca e al Ga-
binetto delle stampe, approvata nella adunanza del 16 dicembre 1921 dal Consiglio
di presidenza che ne deliberava la pubblicazione. 0.0.0...
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RENDICONTI — Dicembre 1921.
INDICE
Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali.
Sell del 18 dicembre 1921.
Volterra (Vicepresidente). Dà annuncio della morte del Socio Roîti, e toglie la soduta
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RELAZIONI DI COMMISSIONI
Bompiani, Proprietà differenziali caratteristiche di enti aleebrici (Castelnuovo rel. è
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Pontremoli. La doppia rifrazione “accidentale meccanica nei liquidi (Zevi-Civita rel. e
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Negri. Le colonie vegetali xerotermiche della Val di Susa e l'ipotesi lacustre del pro-
fessore L. Buscaglioni (Mattino sa PRO ORIERI
Jucci. Sulla differenziazione delle caste. nella socvetà dei Termiliti: i Neotenici (Si
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MEMORIE K NOTE DI SOCI
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Mattirolo. Contributo alla Micologia Ipogea della Venezia Subalpina. — Osservazioni
sopra due Ipogei della Cirenaica e considerazioni intorno ai generi Tirmania: e
Perferia (*) CCL REZZA
Cardani. Disposizione sperimentale per amplificare l’effetto foto-elettrico Hallwaes-Righi
Parravano e Agostini. Influenza di impurezze gissose sulla ricristallizzazione dell'oro e
dell'argento. 3 iL SRO ORA ION
NOTE PRESENTATE DA SOCI
Bedarida. Le classi di forme aritmetiche di Dirichlet appartenenti ai generi della specie
principale. Nota I (pres. dal Corrisp. Fubizi) — & . i. SE
Boggio. Sul teorema di reciprocità delle funzioni di Green (pres. dal Socio Zevi- Civita)
Cech. Sur les mo dont toutes ‘les courbes de Segre sont planes (pres. dal Corrisp.
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(#4) Questi lavori saranno pubblicati nei volumi delle Iemorie.
{Segue în terza pagina).
KE. Mancini, Cancelliere dell’ Accademia, responsabile.
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