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Zerweck riusci- ranno ad ottenere i corrispondenti nitroderivati, essi potranno dire che la nitrazione dei pirroli alchilati procede in modo straordinariamente netto; per parte mia naturalmente, io non intendo di occuparmi con tentativi di questo genere perchè non desidero perdere il. mio tempo. Nel caso particolare del pirrolo ancora a suo tempo io ho posto in ri- lievo il fatto che nel mentre questa sostanza viene prontamente ossidata dal permanganato, il pirrilmetilchetone è stabile rispetto allo stesso reattivo. Anche per quanto riguarda il lavoro sopra le aldeidi pirroliche, gli stessi autori (') tralasciano di accennare alla sintesi delle stesse e delle aldeidi indoliche eseguite nel mio laboratorio per mezzo degli eteri formici in pre- senza di alcoolato sodico (reazione di Claisen); questa sintesi rende molto probabile che tali sostanze possano in alcuni casì reagire come derivati ossi- maetilenici : CC d Je.con LI oro NH N e ciò spiegherebbe come questi prodotti, che nella sintesi si ottengono sotto forma dei rispettivi sali di sodio, nei loro caratteri ed in molte reazioni non presentino il comportamento delle aldeidi ordinarie (*). (1) Berichte, 55 (1922), 1942. (2) Confronta i lavori riassuntivi di A. Angeli e L. Alessandri: R. A. L., 23 (1914), II, 93; 24 (1915), II, 194. 22-18; pesa Queste anomalie avevano più tardi richiamata l’attenzione di Emilio Fischer (1); egli infatti, senza conoscere i miei lavori, aveva detto che « nel- l’aldeide a-carbopiriolica si può ammettere una relazione fra gruppo aldei- dico ed immidico che le attuali formole non prendono in considerazione ». lo non ho mancato di richiamare l’attenzione dell'eminente chimico tedesco sul fatto che prima di lui io aveva espresso lo stesso concetto, ed in data 18 ottobre 1913 egli mì rispose che non aveva pubblicata nessuna nuova for- mola per le pirrolaldeidi, per quanto avesse pensato molto allo schema: de yu. OHioI) CH e che d'altra parte egli aveva presa conoscenza incompleta del mio lavoro perchè nel Chem. Zentralblatt non sono riportate le formole da me prese in considerazione. Geometria. — Su complessi covarianti di tre complessi li- neari a due a due în involuzione. Nota IV del Corrispondente LuIGi BERZOLARI (°). 15. Accenniamo ad altre proprietà che si hanno in relazione con com- plessi di natura più generale dei precedenti. Data una retta 7 di coordinate pix, le due generatrici di S' ad essa appoggiate sì ottengono sostituendo nelle equazioni (4) d'una tale genera- trice, al posto di 4, le radici dell'equazione quadratica (12). Se dunque tra questa e la (6) si elimina 4, l'equazione risultante, cui può darsi la forma 9(K5 + K3)° o? + 6(Kf— K3)(K + Kî)o + 4KKî — (K3— K3)}=0, sarà soddisfatta dai valori di @ che, in virtù della (6), spettano ai due gruppi di J determinati dalle due anzidette generatrici di S'. Chiamando « il birapporto di tali due gruppi e dei due gruppi equi- anarmonici di J, si avrà (18) (a — 1)* 2° — 12(a + 1) K K:K3Kî=>0. Quest'equazione rappresenta dunque il complesso di ottavo grado, luogo delle rette » tali che i due gruppi di J cui appartengono le generatrici (1) Berichte, 46 (1918), 2510, (2) Presentata nella seduta del 18 giugno 1922. N di S' appoggiate ad 7 formano il birapporto « con i due gruppi equianar- monici della stessa J. Per a==—1 si ottiene £, com'era da prevedere, perchè due gruppi di J separati armonicamente dai due gruppi equianarmonici sono tra loro apolari (1). Analogamente, per la (10), l'equazione (19) (a + 1)} KO — 9(a— 1)° K?K3K3=0 rappresenta il complesso di sesto grado luogo delle rette 7 tali che le due generatrici di S' incontrate da 7 e le due che S' ha iu comune con la qua- drica corrispondente (n. 3) ad 7 hanno, entro S'", il birapporto @«. Per a = 1 si ottiene la proprietà che ha servito nel n. 6 a definire ®. Dalla (18) per @a=1 e dalla (l') per a=—1 risultano, per l’in- sieme dei complessi K,,K:,K3. proprietà, che non istiamo ad enunciare. Ponendo sia a=2 e sia a=1, la (19), in virtù dell’identità (17), diviene (Ki + K3) (Kî + Kî) (Ki + K3)=0. Perciò tutte e sole le rette che incontrano una delle sei rette d; d; hanno la proprietà che le due generatrici di S' appoggiate ad una tal retta 7 e le due poste nella quadrica corrispondente ad 7 formano un gruppo ar- monico, ma in guisa da essere coniugate una della prima coppia e una della seconda. Le seconde polari della coppia di generatrici di S' incontranti una retta 7, rispetto alle due quaterne equianarmoniche di J, son date dalle equazioni (© V8ps1 + ipa) A — 2î (e — pa) 24 ipa © V3pu=0, in cui bisogna prendere i segni superiori o gl'inferiori. Le rette r, tali che quelle seconde polari abbiano il birapporto «, formano il complesso di quarto grado 4a(Kt+ Ki + Ki) — (30° — 20 +3)0=0. Si ottiene così una definizione geometrica dei singoli complessi del fascio determinato da ® e £ (considerato ai n. 13 e 14). Per «= 1, da una delle identità (14) risulta un nuovo significato geometrico dei complessi quadratici K' e K". (1) Cfr. la mia Nota II: Zntorno alla rappresentazione delie forme binarie cubiche e biquadratiche sulla cubica gobba, Rend. del Circolo Mat. di Palermo, vol. 5 (1891), pae. 33 (n. 17). AE A Le seconde polari della coppia di generatrici di S' poste sulla quadrica ‘corrispondente ad una retta 7. rispetto alle due quaterne equianarmoniche «di J, sono date da ( Pre — Por) (ipa VB Pas) 2° + 2i (pù — pa) è + (Pro — Pz) (== V3 pa — tpu)=0 prendendo i segni superiori o gl’inferiori. Perciò l’equazione da©* — 3(a-+1)° K KtK:K= rappresenta il complesso di ottavo grado delle rette, per le quali le due «deite seconde polari hanno il birapporto «. Pera=— 1: Il complesso © è il luogo delle rette r tali che, se si considerano de due generatrici di S' situate sulla quadrica corrispondente ad una retta r, e di esse, entro S', le seconde polari rispetto ai due gruppi equianarmonici dell'involuzione 3, le due coppie di generatrici di S' così risultanti si separano armonicamente. 16. Consideriamo un qualsiasi complesso covariante della terna K,, K,, K3. Il sno cono avente per vertice un punto y è covariante dell'angolo tetraedro che ha per facce i piani focali di y rispetto ai complessi lineari Li ,...,L, (n. 7). Se ne deduce (1): L'equazione di ogni complesso covariante della terna di complessi linetri a due a due în involuzione rappresentati dalle (1) si ottiene (salvo un eventuale fattore K, K, K3) eguagliando a zero una forma sim- metrica dei quadrati delle espressioni K,.Ks,K3 contenute nelle stesse (1). Perciò lutti i complessi covarianti ili una siffatta terna (astraendo dall'eventuale presenza della terna stessa) sono di grado pari. Una facile discussione conduce inoltre alle proprietà: I complessi (1) hanno un solo complesso covariante di secondo grado, el è quello delle tangenti alla qualrica Q. Essi hanno una sola coppia covariante di complessi qualratici, cioè la coppia K',K". I complessi covarianti del quarto grado costituiscono un fascio, al ‘quale appartengono © ed £, lu coppia dei complessi qualratici K',K", la quaterna dei complessi lineari Li, ..., Ly, e il complesso delle tangenti «a Q contato due volte. Per ciascuno di essi il cono avente il vertice în un punto generico ha per piani bitangenti i piani focali del punto rispetto «ad L,,...,L4y, con le stesse generatrici ‘li contatto, che sono pure gene- ratrici del cono circoscritto dal punto alla quadrica Q. (1) Cfr. Ciani. Contributo alla teoria del gruppo di 168 collineazioni piane, Ann. «di Matem., Serie III, vol. 5 (1900), pag. 33 (n. 12). 17. Posto per brevità (20) [(u,v,w)= 0 l'equazione di un complesso covariante della terna (1), cosicchè, se / è una» forma ternaria simmetrica d'ordine , in «,v,w, il complesso sarà del grado 2n. Le rette singolari del complesso si hanno associando alla (20) l'equazione U\ di ) (i ) na "(3 +o(3 RI dw ei e siccome questa è simmetrica in x,v,% e di grado 4n — 2 nelle coordi-- nate, così: La congruenza delle rette singolari di un complesso di grado 2n: covariante della terna (1) sì scompone in 4n(2n — 1) congruenze lineari. Le direttrici di queste congruenze appartengono tutte al regolo S' (ma: non, in generale, al complesso considerato), e vi formano 2n(2n —1) gruppi (distinti 0 no) dell’involuzione J. È poi evidente che: Le generatrici del regolo S sono 2n-ple per il complesso, in quanto il cono del complesso avente per vertice un punto generico di Q consta: di 2n piani passanti per la generatrice di S che esce dal punto. 18. Per il num. prec, non si può parlare di superficie singolare di un complesso covariante della terna (1), a meno che non si voglia dar questo- nome alla quadrica Q, contata un certo numero di volte. Più in generale, la terna (1) non possiede altra superficie covariante- che Q; anzi la proprietà sussiste, e può dimostrarsi in modo assai semplice, indipendentemente dall'ipotesi che i tre dati complessi siano a due a due- in involuzione. In altri termini: Tre complessi lineari qualunque non hanno altra superficie cova- riante che la quadrica cui appartiene il loro regolo comune. Infatti siano S questo regolo, S' il regolo ad esso incidente, contenente le direttrici delle tre congruenze lineari che i dati complessi hanno a due: a due in comune, @ la quadrica su cui S ed S' sono tracciati. Tra le omo- grafie che mutano in sè ciascuno dei dati complessi, vi sono le 008 che ten» gono fisse le rette di S', poichè ognuna di esse, tenendo fissi i complessi speciali della rete determinata dai dati complessi, tien fissi tutti i com- plessi della rete. Queste 00% omografie formano un gruppo G:, e non sono. altro che le omografie biassiali aventi gli assi nel regolo S... ME Ciò premesso, una superficie F, che sia covariante dei tre dati com- plessi, sarà mutata in sè dal G3, quindi ogni suo punto sarà unito per al- meno co! omografie del Gz stesso, di conseguenza per omografie diverse dall’identità. Ma le omografie biassiali considerate, diverse dall’'identità, hanno tutti i loro punti uniti su Q, dunque ogni punto di F appartiene aQ. Avvertenza. — Nella 12 di queste Note del prof. BERZOLARI (pag. 421 del vol. precedente di questi Rendiconti) a causa di una svista nell'impagi- nazione, il brano che comincia alla riga 92 della pag. 422, con le formule (3) che termina con la riga 18 di pag. 423, deve essere invece inserito dopo. la 4* riga di pag. 424. NOTE PRESENTATE DA SOCI Teoria dei Numeri. — Sopra /a teoria delle forme aritme- tiche. Nota I del dott. MARIO BEDARIDA, presentata dal Corrispon- dente Guipo FuBINI (!). 1. Nella presente Nota ci proponiamo di stabilire una relazione tra il numero dei generi in cui si ripartiscono le classi di forme di Dirichlet, (forme binarie quadratiche a coefficienti e variabili interi algebrici) nel corpo K(Y'—1), ed a determinante intero razionale D, ed il numero dei generi in cui si ripartiscono le classi di forme di Gauss (forme binarie quadratiche a coefficienti e variabili interi ordinari) aventi il medesimo determinante (3). Tale relazione, ci permetterà di enunciare un teorema sopra il numero delle classi ancipiti (ambigue), ossia sopra le classi di forme aritmetiche a periodo 2. Inoltre, partendo da alcuni risultati di Dirichlet, intorno al numero delle classi di forme aritmetiche, nel corpo K(V=1), a determinante razio- nale (*), determineremo un'espressione del numero delle classi di forme di Gauss, da cui si potrà dedurre un teorema sopra il numero delle classi dupli- cate, cioè sopra le classi di forme aritmetiche che sono il quadrato di altre (1) Presentata nella seduta del 18 giugno 1922. (2) Per la teoria dei generi delle forme di Dirichlet, cfr. la mia Nota: /! genere nelle forme aritmetiche di Dirichlet, secondo un teorema di Eisenstein. Rend. Ist. Lomb. Serie II, vol. LIV, fasc. VI-X (1921) pas. 204 e seg. (3) Cfr. la mia Nota: Sopra due teoremi di Dirichlet. Annali di Mat., T. XXXI, serie III (1922), pag. 121 e sego. RENDICONTI. 1922. Vol. XXXI, 2° Sem. o dg S classi : questo teorema, come si vedrà, ha molta simiglianza con quello di Dirichlet, che racchiude i risultati a cui noi alludiamo (1). 2. Sia: P il prodotto degli 7 fattori primi, razionali, dispari, distinti «di D, che sono =3 (mod. 4); Q il prodotto degli s fattori primi, razionali, dispari, distinti di D, che sono =1 (mod. 4); u la massima potenza di 2 ivi contenuta. Nel caso di s = 0, si porrà Q=1. Indichiamo con g il nu- mero dei generi in cui si ripartiscono le classi di forme di Dirichlet a deter- minante D, con g' il numero analogo per le classi di forme di Gauss aventi lo stesso determinante e con 9°’ il numero analogo perle classi di forme di ‘Gauss a determinante 2#*! Q.. Ciò posto, abbiamo (?): per D=1 (mod. 4) è g=2"+* den » D==8 (mod. 4) » g=2"** oo Dis Re = DI » D=0 (mod. 8) » g=27+?5+? gi rent gli » D==2 (mod. 8), » g=0feistt Chigi — ital gii » D=4 (mod. 8) » g=2"+?541 , g =27* Rn = 29 » D=6 (mod. 8) » g=2"+?5+1 ge gii = 25 Dall’ispezione di questi risultati, si deduce : Il numero dei generi in cui si ripartiscono le classi di forme di Dirichlet, a determinante intero razionale D, è uguale al prodotto del numero dei generi în cui si ripartiscono le classi di forme di Gauss a «determinante D, per il numero analogo relativo alle classi di forme di Gauss a determinante 2t*! Q, se D=3 (mod. 4)e D=0,4 (mod. 8); ne é 1 doppio, se D=1 (mod. 4) e D="2,6 (mod. 8): indicando u la massima poienza di 2 che enira in D e Q 0 prodotto dei suoi fattori primi. razionali, dispari, diversi, che sono =1 (mod. 4). 3. È ben noto che tanto per le forme di Gauss, quanto per le forme di Dirichlet, il numero dei generi uguaglia sempre il numero delle classi ancipiti (a periodo 2) e quindi, il teorema ora enunciato si trasforma in «quest'altro : Il numero delle classi di forme di Dirichlet a determinante intero razionale D, ancipiti (ambigue) è uguale al prodotto del numero delle classi di forme di Gauss a determinante D, ancipiti, per il numero delle classi di forme di Gauss a determinante 2*! Q, ancipiti, se D=3 (mod. 4) (1) Le forme che si considerano in questa Nota sono primitive di prima specie. Quelle di Dirichlet apparterranno sempre al corpo K(V—1). (*) I valori di g si ottengono dalla tabella inserita a pag. 212 della mia Nota cit.: Il genere, ecc. Infatti, ad es.: se D=2 (mod. 8) è pure D=2 [mod. (1+è)°] aven- «dosi 8=(14 2)5.2; è quindi subito visibile il corrispondente valore di 9g. Per quelli «di g' e 9g", cfr. ades.: Bachmann, Die Arithmetik der quadratischen Formen, p. 108 seg. et . e D=0,4 (mod. 8); ne è invece il doppio se D= 1 (mod. 4)e D=2,6 (mod. 8); ove u e Q conservano è significati dati nell'enunciato precedente. 4. Consideriamo ora le classi di forme di Dirichlet, a determinante intero razionale D, duplicate; cioè quelle forme che sono il quadrato di altre classi. Indicando con H il numero totale delle classi di forme di Dirichlet, con M quello delle classi duplicate e con 4 il numero dei relativi carat- teri, si ha: (1) Me d — ganl Siano /’ ed /, il numero totale delle classi di forme di Gauss, rispet- tivamente a determinante -— D e —D, abbiamo, per un noto teorema di Dirichlet : H=2hh, oppure H=kh,, secondo che l'equazione indeterminata (1° — Du° = — 1, ammette soluzioni intere razionali, oppure no (1). Tale risultato si può trasformare in quest'altro (*?): se D=8 (mod. 4) “oppure D=0,4,6 (mod. 8) si ha sempre H=#%,, se D=1 (mod. 4) ‘oppure D="2 (mod. 8), si ha H= 2/%?,, oppure H=#%, secondo che la equazione suddetta ammette soluzioni intere razionali oppure no. Inoltre: se D=1,3 (mod. 4)è A=r + 2541, seD=0 (mod. 8) ‘è A=r+2s8+3, e se D=2,4,6 (mod. 8) è A=r+2s+2. In conseguenza, la (1) si trasforma come segue: hl per D=1 (mod. 4) è M= a oppure math secondo che l'equazione indeterminata {® -- Du? = — 1 ammette soluzioni intere razionali oppure no, h} : per D=3 (mod. 4) è Mg i san ; i hhi per D=0 (mod. 8) è M= gretari per D=2 (mod. 8) è M I oppure M = Sa ‘secondo che la suddetta equazione ha soluzioni intere razionali oppure no, h hi gr+2s+) Ù per D=="4,6 (mod. 8) è M= (*) Cfr. mia Nota cit.: Sopra due teoremi di Dirichlet. (2) Cfr. Enciclopédie des sciences Math. Tom. I, vol. 3, fase. 2, pag. 115. ro Ora. se indichiamo con wm;, il numero delle classi di forme di Gauss, a determinante — D, duplicate, le precedenti relazioni si possono anche: scrivere : } per D=1 (mod. 4) è M= ser mi, oppure M= È Mi , 928 ECCO h h per D=2 (mod. 8) è M=_;. oppure M = secondo che l'equazione indeterminata sopra scritta ammette, oppure no, soluzioni intere razionali, h TC gs+l per D==3 (mod. 4) e D=0,4,6 (mod. $) è M Mi + Inoltre. se consideriamo le classi di forme di Dirichlet, duplicate, a determinante — D, il loro numero è ancora M (!). Quanto precede ci offre quindi il risultato : Indicando con h il numero totale delle classi di forme di Gauss a determinante D, con M ed m,, i numeri delle classi di forme, rispettiva- mente di Dirichlet e di Gouss, a determinante — D, duplicate, e, con s il numero dei fattori primi, razionali, dispari, diversi di D, che sono = 1 (mod. 4), st ha sempre: M M li "29—Mloppurena/e:— ttt" mi Mi secondo che l'equazione indeterminata t*° — Du° = —1 ammette soluzioni intere razionali oppure no; escluso il caso D=1 (mod. 4). in cui si ha invece : M M li = 2° EMO N puro 2a My Mi secondo che l'equazione suddetta ammette soluzioni intere razionali op- pure 0 no. ° 5. Indichiamo ora con wm il numero delle classi di forme di Gauss a determinante -- D, duplicate e con 4 il numero dei relativi caratteri ; abbiamo : cx h (2) Uia gu1 1 e, se D=1 (mod. 4) è A=7r+s, seD=0 (mod. 8) ì A=r4+5+2, negli altri casi è A=r+s+1. (3) Ciò si può vedere facilmente ripetendo il ragionamento fatto in nota a pag. 125. del mio lavoro citato: Sopra due teoremi, ecc. e. Il risultato del numero precedente, tenendo conto della (2), ci conduce ‘al teorema : Il numero M delle classi di forme di Dirichlet, a determinante intero razionale D, duplicate, è sempre legato ai numeri m cd m, delle classi di forme di Gauss duplicate. rispettivamente a determinante De —D. dalle relazioni : M=2"-!mm, oppure M=2"mm,, secondo che l'equazione indeterminata 1° — Du? = —1 non ammette, oppure ammette, soluzioni intere razionali, escluso il caso D=0 (mod. 8) (1), in cui st ha invece: M=2"mm,; ove r indica sempre il numero dei fattori primi, razionali, dispari, diversi di D, che sono =3 (mod. 4). Si noti la simiglianza di questo teorema, con quello, dovuto a Diri- chlet, sopra il numero totale delle classi di forme a coefficienti e variabili interi del corpo o/e 1). a determinante intero, razionale, che abbiamo «considerato in principio del numero precedente. Matematica. — Soluzione di qualche tipo di equazione dijfe- renziale ad indice qualunque. Nota del prof. Pro ScatIZzI S.4., presentata dal Socio T. Levi-CIvITA (°). Il primo cenno di tali equazioni è stato dato da Eulero (3); molto più diffusamente ne trattò Liouville (*), applicandole alla risoluzione di impor- tanti problemi geometrici e tisico-matematici. Considereremo in questa Nota qualche tipo particolare, ma non privo d'interesse, che si può far dipendere dall’integrazione di equazioni differenziali ordinarie. Come è naturale, risguar- deremo risoluta un'equazione funzionale che involge derivate d'ordine qua- lunque, quando riesca di ridurla ad ordinarie equazioni differenziali. Richia- merò anzitutto qui le formule recentemente date dalla signorina Angela Molinari (*) per la derivazione ad indice negativo e positivo, dovendomene (*) In questo caso l’equazione suddetta non ha soluzioni intere razionali. (2) Pervenuta all'Accademia il 1° luglio 1922. (3) Eulero, De progressionibus trascendentibus. (4) J. Liouville, Sur quelzues questions de Géométrie et de Mécanique et sur un nouveau genre de Calcul pour résoudre ces questions. Journal de l' Ecole Polytechnique, XXI cahier. (5) A. Molinari, Derivazione ad indice qualunque. gi valere per la risoluzione esplicita delle equazioni suaccennate. Esse sono le seguenti: i c (x È n-1 (1) Dr a = de dN "x (x peli Do) a Die essendo 2 = — m + N, con N minimo intero non inferiore ad n. La /(4) deve supporsi tale che risultino convergenti gli integrali dei secondi membri. 2. PRIMO TIPO. Sia l’equazione differenziale [2] D"oy + g(2)D"1y 4 --- 4 x(x) D»y = R(2), nella qnale P(x) , ...., x(x) , R(2) sono funzioni arbitrarie e le Nis(s=06le 2) sono altrettanti indici qualunque, soggetti però alla condizione nn — ns= N, intero (r=0,1,2,...,($—-1),(s+1),...,7). Si vede subito che per mezzo della trasformazione JD la [2] diviene un'equazione ad indici interi, il cui integral generale F(x), sostituito in luogo di w, ci darà, ben s'intende, in quel campo funzionale in cui le operazioni sono legittime, l’integral generale della [2]. Ossia per [1] La (x REM E)! N 2 nb. Fe PO de. 8. SECONDO TIPO. [3] Dia y=ky+y(2), dove 4 rappresenta una costante, g(x) una funzione arbitraria. Se operiamo nella [3] la trasformazione [5] y=utj Du, otterremo immediatamente l'equazione ad indice intero mu=kut kg(2), PR il cui integral generale supporremo, come sopra, espresso da F(x). Basterà allora sostituirlo nella [5], in cui, ben s'intende, l'operazione D"->% va esplicitata a norma delle [1] per ottenere la cercata risoluzione della [3]. 4.@TERZO TIPO. [6] D"y | 4D":y = gp(2) dove m,m, sono qualunque. Anche questo tipo è facilmente integrabile per mezzo di una preliminare trasformazione qualora si verifichi la condizione 1 uN Infatti, con questo mezzo, la [6] viene a ridursi senz'altro al tipo {3]. Meccanica. — Sopra un erroneo calcolo numerico relativo alle figure ellissoidali d'equilibrio di masse fluide rotanti. Nota di Tommaso Bogcro, presentata dal Socio T. Levi-CiviTA (*). È ben noto dalla Meccanica razionale che, in un sistema materiale iso- lato, il momento della quantità di moto, rispetto al baricentro del sistema, è un vettore costante (*). Orbene, considerando il moto di rotazione d’in- sieme di una massa fluida, avente già una figura permanente, come l’ultimo stadio di una serie precedente di moti non rigidi della massa gassosa pri- mitiva e supponendo trascurabile l’e'fetto degli attriti interni, nonchè quello delle azioni esterne, si può applicare la citata proprietà, e ritenere quindi costante, durante il moto della massa, il momento della quantità di moto di essa rispetto al suo baricentro. Perciò tale quantità di moto si può riguardare, osserva Liouville (8), come il vero dato fisico del problema, a preferenza della velocità angolare di rotazione. Supponendo data questa quantità di moto (invece della velocità ango- lare) e cercando quali sono le possibili forme di superficie d'equilibrio ellis- soidali per la massa rotante, si trova, com'è ben noto, che esiste sempre uno ed un solo ellissoide di rotazione, mentre se l’ellissoide è a tre assi dise- guali 2a, 25,2c, bisogna che sia soddisfatta una certa condizione. (1) Presentata nella seduta del 18 giugno 1922. (2) Cfr. ad es. C. Burali-Forti e T. Boggio, Meccanica razionale, pag. 3083 (Colle- zione Lattes, Torino, a. 1921). (3) Liouville, Sur les figures ellipsoidales à trois axes inégaua, ete. (Journal de Ma- thématiques, t. XVI, a. 1851). et Precisamente, se si pone: si ct /aalelenii—i02/h20 sì trova che una certa funzione F(s.) delle variabili s,f ha un minimo corrispondente al caso di s=#, e questo valore minimo sarebbe, s&condo il Tisserand (1) eguale a 0,3643, in guisa dunque che si dovrebbe avere F(s,t) > 0,3643. Ora, questo valore è errato, perchè, come ora mostrerò, il vero valore di tale minimo è invece 1,5374. È però strano che tale svista sia passata finora inosservata, giacchè l’erroneo risultato del Tisserand è pure riprodotto in un noto trattato del Pizzetti (?), nonchè in un recentissimo libro di Appell (8). * * * Jl valor minimo di F(s,/) è espresso, colle notazioni del Tisserand, da (1) Vi=40?8U,, ove: a=0,3396, U,=0,18709; ora, un esame superficiale della (1) mostra senz'altro che, essendo a-?£#> 1, sì ha necessariamente V, > 4 X 0,18709 = 0,74836, il che prova già l’inat- tendibilità del risultato del Tisserand. Calcolando coi logaritmi si ha poi: logV, = log (4U)— 53 logr, (2) log V\ = 1,8741106 — 1,6873118 = 0,1867988, da cui: che è il valore cercato. Perciò si ba F(s,4) > 1,5374. Osservazione. Se, nella (2), invece di fare la differenza dei due loga- ritmi, se ne fa la somma, si ha log Vi== 1,5614224, onde Vi=0,36427, che è il risultato dato dal Tisserand. (‘iò mostra che la svista del Tisse- rand consiste nell'aver fatto la somma, invece che la differenza, dei loga- ritmi che figurano nella (2). (*) Tisserand, 7raité de mécanique céleste, t. II, pag. 107 (Gauthier-Villars; Paris, anno 1891). (*) Pizzetti, Principii della teoria meccanica della figura dei pianeti, pag. 154 (Spoerri, Pisa, a. 1913). (®) Appell, Z’raité de mécamique rationnelle, t. IV, pag. 75 (Gauthier-Villars, Paris, anno 1921). CS —- Geometria. — Nuova trattazione della geometria proiettivo- «differenziale delle curve piane. Nota III di Gustavo SANNIA, presentata dal Socio EnRrICo D’OvipIo (*). 10. Il fascio di coniche aventi un contatto di 3° ordine con TY in P è in- -dividuato dalla Z*= 0 ( contata due volte) e dalla Y* — 2XZ=0, perchè dalle (28) sì ha Y: — 2XZ=— /0‘/2 + 05/5 + 120/64 (70%, — 61) 07/517 — (29) — (100% + 1854, + 252/* + 21) 08/712 + (56/4, — 48l, — — 252/*), — 16/2) 09/712 + Ro. Da (28) e (29) segue, poi, che (30) Y°? — 2XZ + 2/Z? = 05,10 — /07/42 —(214- 1351, + 352//») 08/712 + + (28/° — 43/3) 09/7124 Rio, -@ quindi che (31) Y°4IZ° —2XZ=0 è la conica osculatrice (contatto di 4° ordine) di T in P. 11. Or consideriamo él fascio di cubiche aventi contatto di 7° ordine con T în P. Dalle (28) e (30) si ha Q,(X,Y,Z)=5(Y° — 2XZ 4 2/Z°)Y — 42? = — [08/28 — (63 + 450, + 1760//3)o9/7124+- Ro. (32) \Q.(X,Y,Z)=5(X3—2XZ-| 2/2) (7X— 6/2) — 14YZ? = — (567 + 450, + 1760//3) 08/612 + \ + (240/2 — 35/2) 09/712 + Rao, «quindi Sd (Q,(Y,Y,Z)=5(Y° +IZ°— 2XZ)Y_-4Z3=0, (85) (Q,(X,Y,Z)=5(Y°? +IZ? — 2XZ)(7X— 3IZ) — 14YZ*— 0 sono due cubiche (basi) del detto fascio (84) a®,(X,Y,Z)+59,(X,Y,Z)=0 (a,5 cost). (1) Presentata nella seduta del 2 giugno 1922. RenNDICONTI. 1922. Vol. XXXI, 2° Sem. 9 Me Basta dare ad « e d valori il cui rapporto sia invariante per coll. (cioè, una funzione di o, di I e delle derivate di I rispetto a 0) affinchè la cubica (34) risulti definita in modo invariante per collineazioni. E di. alcune di queste possiamo dare definizioni geometriche. 12. Così: per (35) a= (1194045 1288 I la (34) è la cubica osculatrice (contatto di 8° ordine) dî F in P, che è surosculatrice se (36) 7(126 + 45 I, + 880 II2) (1134 + 451, + 88112) + + 6121(1201*—8515)=0 (8). Se la (36) è soddisfatta in tutti i punti di Y°, questa coincide con la cubica osculatrice: quindi Ze cubiche sono caratterizzate dall'identità (36). 13. Importante è la cubica base 2, =0, caratterizzata da ciò: è la unica cubica del fascio che abbia un punto doppio în P (*4). Dicesi (con Wilczynski) cubica nodale penosculante di P in P. Perchè P è un n per la cubica, le cui tangenti sono le rette t ed n (n. 5) (°°). Con ciò risulta geometricamente definita la normale protettiva n (38), quindi anche (,Hy.N:N.0H Non ci è stato possibile dallo studio dei bromo- e nitro-derivati stabi- lire la posizione dell'ossigeno azoico, perchè tanto il bromo, quanto l'acido nitrico agiscono su di e:so prevalentemente ossidando, formando cioè deri- vati chinonici, mentre i derivati di sostituzione si formano in così piccola quantità da non permettere uno studio completo. La struttura si può invece stabilire in modo preciso dalla reazione con acido nitroso. È noto infatti da recenti ricerche (*) che l'acido nitroso reagisce con l'aggruppamento: = N.C;H,.(0H), in cui l'ossidrile è in posizione para rispetto all'’azoto, per dare un nitroderivato, in eni il gruppo nitrico è in posizione orto rispetto all’ossidrile: - ALII, . = N.CGH,.0H — =N.GH; CHs.N(:0)=N LA FAN | | | | NO To di NARNTE î OH OH In modo simile che con l'acido nitroso l’azossinaftolo reagisce anche con fenilazossicarbonamide oppure con i sali di diazonio in presenza di al- cali per formare un benzolazo-benzolazossi-naftolo fondente a 197°. La rea- zione ha luogo in quanto i primi passano a diazotato normale (1): CH;.N=N.CONH; Il 0 NESCH;N-NA Il CH,.N=N DA O | OH il quale rappresenta un composto contenente due doppî legami « gemelli », come ha l'acido nitroso nella sua possibile forma tautomera (*): CH, N=NH HEN=0 Il 6 (0) I diazotati normali e l'acido nitroso presentano un'analogia di compor- tamento rispetto ui fenoli, perchè reagiscono con gli stessi per dare rispet- tivamente benzolazofenoli e nitrosofenoli; termini intermedî, molto labili, sa- rebbero in questo caso rispettivamente diazoeteri, già isolati in alcune rea- zioni da Dimroth (3), e eteri nitrosi, di cui già è stata ammessa la forma- zione in casi analoghi (*): (1) Questi Rendiconti, 26 (1917), 1° sem., 207; G., 5/ (1921), I 35. (2) Questi Rendiconti, 3/ (1922), 1° sem., 287. (®) B.. 41 (1908), 4016. (4) Questi Rendiconti, 3/ (1922). CHE N=NH + HO-CsHy ESS CoHgs.N=N.0CHs si Il O === CHEN. CoA OH US H0 (HH, |0-N.00,H | ONTO Il O Ammettendo dunque che fra il benzolazossinaftolo e il sale di diazonio la reazione proceda in modo analogo a quanto avviene per l'acido nitroso, si avrebbe una conferma ulteriore della struttura da noi attribuita all'azos- sinaftolo e la formula probabile del benzolazo-benzolazossi-naftolo sarebbe: CH,.N(:0)=N C,H,.N(:0)=N ANTA FASE | I | | | N=N.C,H VARA dt OH OH Dell’ossidazione del 3° isomero benzolazonaftolo (II), poco possiamo dire, essendo le ricerche appena iniziate. Per il trattamento con acqua ossi- genata fornisce un composto colorato in rosso chiaro fondente a 160° circa, che non abbiamo ulteriormente studiato ('). Litologia. — Di due colate laviche dei dintorni di Manziana (Lazio). Nota del dott. Gustavo CumINn, presentata dal Socio F. MIt- LOSEVICH (°). Il territorio a sud-est di Manziana è costituito da tutì semilitoidi inter- calati da banchi di tufo argilloso. Dall'alto in basso si notano i seguenti terrenì : Un banco di tufo giallo-bruno semilitoide ricco d’inclusi lavici più o meno alterati e di blocchi calcarei talvolta profondamente metamorfosati. Questo tufo affiora in tutta la parte più alta del territorio ed è potente dai 10 ai 15 metri circa. Spesso esso racchiude dei nidi di pozzolana che vengono sfruttati per usì locali. (4) La presente Nuta verrà pubblicata per esteso su altro periodico. (2) Pervenuta all'Accademia il 12 luglio 1922. AA A questo tufo segue un complesso di tufi alterati di vario colore; tra î diversi banchi si nota per la sua costanza uno strato dai 30 ai 50 centi- metri di spessore di caolino biancastro impuro. Il complesso tufaceo potente dai 2 ai 3 metri racchiude qua e là delle lenti di tufo argilloso a grana minuta. di colore giallo vivo che potrebbe forse venir utilizzato come terra colorante. Inferiormente a questi tufi argillosi, si osserva un tufo litoide compatto di colore grigiastro con inclusi lavici e calcarei molto più piccoli e meno frecuenti di quelli che si trovano nel tufo semilitoide. Il tufo litoide affiora nei fianchi dei fossi che scenduno verso i Monti del Sasso e ne costituisce le pareti a strapiombo. Tra questi terreni affiorano, nel limite settentrionale della Macchia della Manziana presso il « Casale di Porchereccia » due piccole correnti laviche. La più settentrionale affiora per un tratto di poco più di 100 metri e di essa sì può ben osservare in diversi tagli la sua costituzione. La parte supertìi- ciale come la sua base sono scoriacee, mentre che la parte interna è com- patta e di colore azzurro cupo. ll materiale litorlde di questa colata viene adoperato per confezionare del pietrisco stradale. La colata è segnata nella carta geologica pubblicata dal Tittoni (*). La roccia è di colore azzurro cupo a grana minuta sì che non gi riesce a distinguere ad occhio nudo i suoi componenti salvo qualche raro cristallo di pirosseno e di leucite del primo tempo. Al microscopio si notano in una massa fondamentale composta di micro- liti pirossenici e granuli di magnetite, abbondanti cristalli di leucite e di pirosseno monoclino. La leucite si presenta tanto in cristalli del primo che del secondo tempo; i primi sono molto più scarsi ed appaiono di solito in frammenti irregolari. I fenocristalli di leucite hanno le lamelle di geminazione polisintetica ben marcate, ciò che nou si osserva nei cristalli del secondo tempo che sono di solito a spigoli arrotondati. Scarse sono le inclusioni nella leucite e non si presentano che raramente disposte a corona. Esse sono costituite principal- mente da magnetite; l’augite e l'apatite come pure le inclusioni vetrose sono meno frequenti. La leucite mostra la ben nota trasformazione in feldspati; le modalità secondo le quali avviene questa trasformazione sono le stesse che sì osser- vano per le leucititi del Vulcano Laziale (?). I feldspati che si sono originati per via secondaria hanno di solito la forma di granuli, raramente se ne osservano di quelli allungati secondo lo- (1) T. Tittoni, La regione trachitica dell'Agro Sabatino e Cerrite. Boll. Soc. Geol Ital., vol. IV, Roma, 1885. (2) Sabatini, / vulcani dell’Italia centrale. Parte l: Vulcano laziale. Mem. descritt. Cart. geol. d'Ital., vol. X, pag. 155 e seg., Roma, 1900. SIR, A spigolo 010/001. Le misure d'estinzione eseguite sulla faccia (001) hanno dati i seguenti valori: 49, DO: PASS 90, e quella sulla faccia (010): — 18°, — 159, — 79, — 9° trattasi quindi princi- palmente di andesina e labradorite, rara lubradorite-bytownitica. Spesso tali feldspati sono geminati secondo la legge di Carlsbad. Non mancano dei granuli riferibili al s27/4740 che è molto meno fre- quente dei faldspati calco-sodici. Il pirosseno monociino sì presenta anch'esso tanto di prima che di se- conda generazione: quello del primo tempo è più frequente che la lencite riferibile allo stesso periodo. L'estinzione nella zona dell'asse verticale oscilla tra i 39 ed i 42 gradi; trattasi perciò di uugite. Essa è di colore verde- pallido sino a verde-bottiglia ed è raramente pleocroica. I fenoeristalli si presentano ben idiomorfi. si notano le seguenti forme cristalline. {100} }o10} jE 40}. Spesso si osservano cristalli zonati con bordo più chiaro e con angolo d'estinzione maggiore che nel nucleo piu colorato, raramente appare qualche accenno alla struttura a clessidra frequenti pure sono i geminati per com- penetrazione, mentre mancano quelli polisintetici secondo (100). Caratteri fisici identici presentano i microliti di solito poco sviluppati in lunghezza secondo l’asse c; non si notano però in essi zonature e gemi- nazioni. Le inclusioni nell’augite sono rare; si osservano qualche granulo di ma- gnetite e più raramente ancora della biotite pleocroica in piccole lamelle. Magnetite in granuli, diotite in piccole lamelle ed apatite ben idio- morfa si trovano anche sparse nella massa fondamentale, ma le due ultime molto raramente. La seconda colata lavica affiora lungo una carrareccia che passa in trincea e che dal Casale di Porchereccia va alla frazione di Quadroni. , Essa non è stata notata sinora in nessuna carta geologica e devesi ri- tenere perciò sinora sconosciuta. La colata affiora per 50 metri circa ed ha uno spessore di 3,5 metri — essa giace tra i tufi argillosi, ed è più antica di quella precedentemente descritta che giace nel tufo semi litoide La roccia è di colore azzurro, e ad occhio nudo si osservano oltre a pochi cristalli di augite delle piccole macchiette bianche che non sono altro che leucite alterata. Il microscopio svela lo stato di profonda alterazione di questa roccia. La massa fondamentale è velata da prodotti ferruginosi, che lasciano però ancora distinguere nettamente i microliti augitici. Nella massa fondamentale RenbICONTI. 1922, Vol. XXXI, 2° Sem. i sa (A sì osservano, come nella roccia precedente, dei fenocristalli di augite e della leucite; quest'ultima abbastanza frequente nel primo tempo, è in gran parte trasformata in caolino, solo in pochi cristalli si osserva il nucleo intatto ed allora con geminazioni polisintetiche ben visibili; anche le inclusioni costi- tuite principalmente da magnetite a disposizione regolare sono alterate. Sui bordi dei cristalli appaiono pure dei feldspati derivati dalla leucite per il solito fenomeno di trasformazione e che per le loro caratteristiche ottiche sono da riferirsi in gran parte al sazz4dizo. solo pochi sono feldspati calco- sodici ed appartengono principalmente all’andesina ed all'oligoclasio; la la- bradorite vi è rara. L'augite in fenocristalli e microliti presenta i caratteri già ricordati e le stesse inclusioni. Frequente nella massa fondamentale è la magnelite in parte alterata, rara la diotite e l'apatite. Le due rocce esaminate sono due lencititi propriamente dette e differi- scono tra di loro solo per la frequenza dei loro minerali nel primo tempo e per le dimensioni dei fenocristalli leucitici che sono più grandi nella se- conda roccia. 3 L'analisi chimica eseguita su di un campione della prima colata mi ha dato il seguente risultato : Si0, 45,29% 000; 510% Al,0gz 17,09% Fe,0; 7,37 » FeO 3,68 » Ca0- L06555 Mg0 4,05 » Na;0 3,94 » K30 6,82 » H,0 a 110° 0,33 » Totale 99,73 Formula magmatica secondo Osann. S'50,8. A 9,1. C 2,1. F 26,8. (K20595; 850,8. .a 4,8. c2,1. f 14-14 Formula magmatica secondo Loewinson- Lessing. 2,23 RO.Rs03. 3,57 Si0,; R.0:RO=1:2,61; Na,0-K,0:=1:1,28; a=1,12; 8= 89,92. 3 Se confrontiamo le roccie esaminate con quelle già studiate dei Vulcani Sabatini, non troviamo che la leucitite di Crocicchie descritta dal Washington (1) simile ad esse per composizione mineralogica e che concorda anche nella composizione chimica: alto tenore in CaO e K,0. Si differenzia però nel rapporto tra Fe0O ed Fe;0;; nella roccia di Manziana il secondo supera (‘) Washington H, G., Some analyses af Italian volcanic Rocks. Am. Journ. of Sc., vol. IX, New-Haven, 1900. tale e quasi del doppio il primo. mentre nella leucitite descritta dal Washington Fe0O ed Fe.0; quasi si uguagliano come si rileva dallo specchietto se- guente: pb) II (?) Si0, 45,29 47,89 RO: £ 0 51 0,77 Al303 . 17,09 18,25 Fes0} . - US 4,93 beer Bs. 3,68 3,64 IMPONE. È. 4,05 3,68 CAO... & 10,65 8,70 NASO Ta 1 - 3.94 2,60 TEO a AME 6,82 5,23 HO OSATO 0,35 0,65 Tornei 99,73 99,34 Formula magmatica secondo Osann. Il S 50,8. A-9,1. C 2,1. F 26,9. K 0,59; Si90}S. dad: Sie 2 i JA A. II S 54,9. A 8,7. C 3,7. F 20,8. K 0,68; sodo a 5 2,2, fi 15.032. Formula magmatica secondo Loewinson-Lessing. I 2,23 RO.R:0; 3,57 SiO,; R,0._RO=1:2,61; Na:0:K,0=1:1,23; e=1,12; f=89,92. II 2,04 RO . R,0, SIIT STO: R.OsRO=1:498= Na. 0rkKo0_4df20ieta=12 e = 1042, Nè la composizione del magma varia rispetto a quello pure leucitico del Vulcano Laziale, dove i varî elementi sono rappresentati in rapporti quasi identici. (1) Leucitite di Manziana — Cumin anal. (2) ” di Crocicchie — Washington anal. Butanica. — Sopra alcuni risultati di ricerche colturali e di esperimenti di ibridazione nel gen. Bellis('). Nota dei dott. Enrico CARANO e VALERIA BAMBACIONI, presentata dal Socio R. PrROTTA (?). Da parecchi anni ci occupiamo delio studio del genere Ze/lis e già ab- biamo fatte, oltre a numerose osservazioni su piante spontanee di diverse provenienze d'Italia. ma specialmente del Lazio, molte esperienze colturali e svariate ibridazioni In questa Nota riferiamo brevemente su alcuni dati delle nostre ricerche; in un prossimo lavoro, alla cui compilazione già attendiamo, procureremo di dare maggiori dettagli. Speciale attenzione abbiamo messa nel seguire il ciclo annuale della vesetazione epigea della Zeilis perennis, ed abbiamo generalmente consta- tato che gl’individui di questa specie al termine della fioritura, quando sono per andare iu riposo, si mostrano, in relazione col numero delle calatidi prodotte, ramificati, talora anzi abbondautemente ramificati; ciò che dimostra infondata l'affermazione di alcuni libri di sistematica che la Bellis perennis sia «a fusto semplice ». I rami nei singoli individui talora sono molto corti, in modo che riescono poco evidenti fra le numerose foglie raccolte in rosetta, talora invece si allungano considerevolmente e le foglie si presentano sparse su di essi. Ma fra gi individui a rami lunghi e gl'individui a rami brevi non esiste alcuna sostanziale differenza essendo congiunti gli uni cogli altri da una numerosa serie di gradi di transizione. Nonpertanto gl individui con rami appariscenti vengono comunemente ascritti nelle opere di sistematica ad un'altra specie, alla Be//is hybrida Ten. Effettivamente nella diagnosi del Tenore (*) non figura nessun'altra sostanziale differenza fra la sua specie e la B. perennis, all'infuori della presenza nella prima di « molti fusti ra- mosi ascendenti fogliosi », che mancherebbero nella seconda. Noi abbiamo fatto numerose prove allerando delle piante da acheni delle più diverse pro- venienze, ed abbiamo constatato che, facendo variare opportunamente le con- dizioni di ambiente, si ottengono da acheni di piante a rami brevissimi individui a rami molto lunghi e da acheni di Bellis hybrida Ten. piante (*) Lavoro eseguito nel R. Istituto Botanico di Roma. (2) Pervenuta all'Accademia il 9 agosto 1922. (*) Tenore M., Flora medica universale della prov. di Napoli. 1821, tom. II, pag. 64. SERI pe che per la brevità dei loro rami non potrebbero ascriversi che a £. perennis. Da ciò abbiamo logicamente concluso che la specie tenoreana è semplice- mente rappresentata da individui di 2e//78 perennis in avanzata fioritura. quindi molto ramificati, i quali, in condizioni speciali di ambiente (terreno sciolto, fertile, relativamente umido, illuminazione non intensa) allungano più o meno considerevolmente gl'internodì dei loro rami. Quando il Tenore per la prima volta descrisse la suna specie, avanzò l'ipotesi che essa potesse essere un ibrido fra la 2. gerennis L. e la B. annua L., perchè avrebbe della prima « la durata e la statura » e della seconda «il fusto ramoso foglioso ». La ramificazione del fusto della 8. hybrida non è affatto paragonabile, secondo il nostro esame, alla ramificazione del fusto della /#. annua, invece è del tutto uguale a quella del fusto della B. perennis, prescindendo dalla lunghezza degli internodi che è variabilissima. Fin dal 1917 noi abbiamo operato gl'ineroci reciproci fra B. perernnis e B. annua ed abbiamo ottenuto degli ibridi. che, incrociati fra loro, ci banno dato una seconda generazione. Daremo nel lavoro di prossima pubbli- cazione, sia le modalità con cui abbiamo proceduto nelle impollinazioni artiti- ciali, sia le descrizioni di questi ibridi. Per ora ci limitiamo ad affermare che fra i nostri ibridi e la specie del Tenore non esiste la benchè minima affinità. Gl individui della prima generazione degl’ibridi artificiali sono annui, intermedî pei loro caratteri fra le specie genitrici, ma con tendeuza verso la B. annua. Gl' individui della seconda generazione si disgiungono, ma anche fra essi si nota una maggiore somiglianza con la 2. arzua. Ma fra la 5. perennis e la B. annua esistono anche gl'ibridi spon- tanei, che noì abbiamo raccolti in gran numero in diverse località della campagna romana. Anche di questi ibridi daremo in seguito maggiori det- tagli, rilevando qui semplicemente che essi sono uguali ai nostri ibridi spe- rimentali e non hanno invece nulla di comune con la 2. fybrida Ten. Nelle nostre esperienze d’inerocio abbiamo voluto verificare anche l’ipo- tesi del De Candolle (*), il quale, pur ammettendo come entità distinta la B. hybrida Ten., ritiene però che questa specie abbia caratteri intermedî fra la B. perennis e la B. silvestris Cvr. e che perciò possa aver avuto origine da un incrocio fra dette specie. L'ibrido da noi ottenuto fra 2. s2/- vestris, impiegata come individuo pistillifero e £. perernzs, adoperata come individuo staminifero, è affinissimo a 2. si/vestris, ma assolutamente si di- stacca dalla pianta tenoreana. Dalle prove colturali dunque, dagli esperimenti d’ ibridazione, oltre che dalle numerose osservazioni fatte in natura, noì siamo indotti a concludere che la 5. hybrida Ten. non può essere ritenuta come una entità distinta dalla 8. perennis. (1) De Candolle A. P., Prodromus systematis naturalis regni vegetabilis. Parisiis, pars V, 1836, pag. 304. E e Biologia generale. — Azione ionizzante degli enzimi (*). Nota di L. PETRI, presentata dal Socio OrESTE MaTTIROLO (?). È stato ammesso recentemente (Barendrecht) (*) che, almeno per alcuni enzimi, come quelli dei disaccaridi e l'ureasi, l’azione specifica si svolga per irraggiamento di energia che verrebbe completamente assorbita dalle mole- cole della sostanza fermentescibile. Questa concezione, che può essere consi- derata come una modificazione della vecchia idea del Liebig(*) sul mecca- nismo d’azione degli enzimi, trova un appoggio nei resultati dello studio sulla velocità della reazione per condizioni diverse di concentrazione dell’en- zima e della sostanza su cui questo agisce, e non è in antitesi con le opi- nioni attualmente dominanti [Lewis (®), Dhar (6), Trautz (7), Perrin (8)] sul meccanismo d'azione dei catalizzatori chimici e sulla natura dell’energia che è causa diretta dell'attivazione delle molecole. capaci di reagire in un si- stema chimico in trasformazione (Langevin). D'altra parte alcuni dei processi di sintesi e di scissione che nell’organismo vivente sonc effettuati da enzimi, si possono ottenere sperimentalmente 2n vz/ro sotto l’azione dei raggi ultra- violetti. Possono quindi ritenersi giustificate quelle ricerche che per altre vie possono esser tentate per trovare una conferma dell’attendibilità delle nuove vedute esposte dal Barendrecht. Così ci si può porre il quesito se enzimi attivi, in presenza di minime quantità della sostanza da modificare, disper- dano una parte dell’energia emessa dalla loro molecola, e se una simile di- spersione possa dar origine a fenomeni secondarî, apprezzabili e misurabili con mezzi d'indagine convenientemente sensibili. (*) Ricerche eseguite nel Laboratorio di Patologia e Fisiologia del R. Istituto Su- periore Forestale di Firenze. (2) Pervenuta all'Accademia il 24 luglio 1922. (8) Recueil des travaux chim. des Pays-Bas, ser. IV, tom. 39, 1920, pp. 2-87. Cfr. anche Zeitschr. f. phys. Chemie, 40, 1904, pag. 456, Biochem. Journ., 1913, pag. 559. (*) Ann. d. Chem. u. Pharm., 80, 1839, pp. 250, 263. (5) Journ. Chem. Soc., 1914, pag. 2330; Scientia, XXV, 1919, pag. 450. (65) Proc. Kon. Akad. Wetensch, Amsterdam, 1916; Journ. Chem. Soc., 1917, pag. 690. ; " (7?) Z. an. Chem., 104. (3) CAS ENSSIXMII,tO. Mancando per ora qualsiasi dato intorno alla natura della presunta ra- diazione degli enzimi ('), ho ritenuto interessante stabilire se l’aria che tro- vasi a contatto della superticie libera di un liquido contenente un enzima attivo, diventi in modo apprezzabile conduttrice dell'elettricità, in confronto a quando l'enzima sla reso inattivo, conservando inalterate le altre condi- zioni dell'esperienza. Come è noto, la ionizzazione dei gas costituisce un fenomeno rivelatore oltremodo sensibile di alcune forme di irradiazione di energia, tanto che oggi siamo in grado di svelare tracce intinitesime di sostanze radioattive basando il metodo di ricerca sopra l’azione ionizzante di quest'ultime, me- todo che è ancora più sensibile di quello spettroscopico. Nelle mie ricerche ho adoperato un elettroscopio a foglia di alluminio, di capacità elettrica minima e la cui sensibilità è tale da rendere apprez- zabile e misurabile la corrente di saturazione prodotta nell'aria da gr. 20 di solfato di potassio in polvere ripartito in uno strato di 2 mm. di spes- sore e di 65 cm?. di superficie. Una simile corrente di saturazione, parago- nata a quella prodotta dall’ossido di uranio (U30g) ha l'intensità di 1,44. 10714 ampère e per cm?. 2.21. 1075 amp. (?) L’elettroscopio è stato costruito appositamente sul tipo del microelettro- scopio di C. T. R. Wilson, in cui la foglia e la piccola asta che la porta funzionano direttamente da corpo di dispersione nella camera di ionizzazione, o, più esattamente, è la stessa scatola metallica in cui è contenuta la foglia che forma una delle armature del condensatore di misura, mentre la foglia e il suo supporto costituiscono l'altra armatura. Un dispositivo particolare permette di rendere secca l’aria che è a contatto dell'isolante (ambra) in cui è fissata l'asta. Un microscopio, con oculare micrometrico, ingrandisce 160 volte gli spostamenti del sistema mobile dovuti alla dispersione della carica. È così reso possibile di utilizzare un piccolissimo angolo di deviazione, evitando le cause di errore dovute alla variazione della sensibilità ai volt e alla variazione della capacità in dipendenza dell'angolo di deviazione. La maggiore sensibilità è compresa fra 200 e 300 volt. La variazione minima apprezzabile del potenziale è di 0,16 volt. La fuga sponianea è di 0,0009 volt sec. nell'aria secca. i I resultati delle prime ricerche eseguite sono stati i seguenti: come agenti ionizzanti si sono dimostrati sino ad ora completamente inattivi i (') Secondo Barendrecht dalla molecola dell’enzima sarebbero emessi elettroni. (2) La?debole radioattività del potassio, dovuta all'emissione di raggi #8 e y, fu sco- perta nel 1905 da J. G. Thomson (Philos. May., X, pag. 584) e confermata poi da N. R, Campbell (Proc. Cambridge Philos. Soc., XIV, 1906-08). Più recentemente è stata sot- toposta aTrigorosofcontrollo e misura da E. Henriot (Ann. de Chimie et Physique, XXV, XXIV, 1912), il quale ha trovato che uno strato di K3S0, puro (Kahlbaum) determina. una corrente_di saturazione di 2,74. 10-19 amp. per cm. (gr. 0,5). Pino 15 preparati secchi. in polvere, di enzimi che si trovano in commercio (pepsina, amilasi, panereatina, tripsina) convenientemente posti in acqua a reazione acida, neutra o alcalina secondo i casi. Apprezzabilmente attivo sì è rive- lato un preparato di pancreas secco ottenuto secondo il metodo di Kihne e fornito alcuni anni ta dalla ditta G. Grùbler di Lipsia. Con nuovo materiale, acquistato ultimamente, i resultati sono stati negativi. Devo far notare però che si trattava in questo caso di un preparato in polvere con caratteri del tutto simili alla pancreatina delle farmacie Incoraggianti sono stati i resultati ottenuti col materiale fornito da tessuti vegetali vivi contenenti enzimi. come lo seuze/lo delle cariossidi ger- ininanti di Zea Mays ed i semi di Soja hispida. Come è noto, lo scutello dell'embrione delle graminacee è un organo eminentemente secretore, che entra in funzione durante la germinazione se- cernendo una quantità relativamente grande di citasi e di amilasi per la divestione delle riserve idrocarbonate contenute nell’albume. Per etfettuare le esperieuze si è procedato nel modo seguente. Gr. 5 di scutelli, isolati dalle cariossidi in germinazione, erano pestati nel mortaio con polvere di vetro e nn po d'acqua distillata. La poltiglia così ottenuta era versata in una bacinella di vetro del diametro di 9 cm. e posta nella camera di ioniz- zazione dell'elettroscopio. alla distanza di 8 cm. dalla foglia di alluminio. L'esperienza veniva iniziata dopo mezz'ora da che l'apparecchio era stato caricato, per evitare l'errore dovuto a un assorbimento di carica da parte dell'isolante. Autecedentemente a ciascuna espciienza, veniva eseguita una prova di controllo ponendo nella camera di ionizzazione la stessa bacinella di vetro con poltiglia di scutelli di granturco sottoposti per 20 minuti a una temperatura di 100° C. Numerose esperienze hanno dato dei resultati quasi costanti che pos- sono essere riassunti come segue: ‘l'empo impiegato dalla foglia dell’elettroscopio a percorrere 1 div. dell’oc. micr. Scutelli di cariussidi semplicemente rigonfiati in acqua LL... 0. +... 10” ” ” alllinizio dell'afeernminazione ee RIO; n » dopo 2 giorni di ” Ilia le e SO) a » Dad,» ” ERO RAD ”» » » » L) n | HecCl, ST eg e CT 10° D) ” » » ”» ”» Scalda tia el000 Ca 10° » ” n 4 » E) Ae A i 8 Ossido di Uranio ”(U:03)Npericm?. (OMR 07,4” Fuga spontanea dell'apparecchio di misura (nell'aria secca). /. 0.0.0. 20 ” ” ” RARA MERA a UTI A) A I AINLO, (') La corrente di saturazione prodotta ha l'intensità di 5,78, 10718 ampère per cem. Il campione è stato preparato secondo il metodo indicato da Mac Coy e G. C. Ashman (Le Radium, V, 1908, pag. 362). Pe porse La lunghezza delle germinazioni al terzo giorno era di 30 mm. in media. La poltiglia di scutelli resta attiva per 20 o 30 minuti, poi la sua azione ionizzante si attenua sino a scomparire del tutto. Si prolunga anche per un'ora se si ricopre con un foglio di carta la superficie della poltiglia. In alcune esperienze è stato raggiunto un massimo di attività corrispondente alla velocità di scarica di 1 divisione in 50”. Paragonando questa attività di ionizzazione degli scutelli a quella dell'ossido di uranio, l'intensità della corrente di saturazione sì può ritenere che sia compresa fra 0,74.107!5 e 0,17. 107 ampère per cm?. Se la poltiglia vien preparata, anzichè coi soli scutelli, anche con tutta la cariosside e la giovane piautina, nessuna azione ionizzante vien rilevata dall'elettroscopio (*). Eguale resultato si ottiene, come è indicato nella ta- bella, dalla poltiglia di sentelli sottoposta alla temperatura di 100° C. per 20 minuti o da quella a cuì sia stato aggiunto del sublimato corrosivo. I semi di Soja, ridotti in polvere e posti in acqua, cedono rapidamente a questa un’ureasi molto attiva. Le esperienze sono state eseguite con una simile poltiglia di cui l'acqua era stata resa leggermente alcalina con car- bonato sodico per neutralizzare la debole acidità del succo cellulare del parenchima cotiledonare. La curva dell’azione ionizzante in un'ora è indicata dal numero delle divisioni della scala percorse dalla foglia ogni 10 minnti e cioè: 8, 16, 20, 28.8 In altre esperienze la velocità di scarica dell’elettroscopio si è conservata costante per un’ora ed è stata di 8 divisioni ogni 10 minuti. Se si paragona questa azione ionizzante a quella dell’ossido di uranio, l'intensità della cor- rente di saturazione si può calcolare approssimativamente in 0,44, 107!° am- père per cm?. La stessa poltiglia, preparata con semi di Soja, ma con aggiunta di bicloruro di mercurio, determina una velocità di scarica che non supera 1 di- visione della scala ogni 10 minuti primi. L'azione ionizzante si trasmette nell’aria del condensatore di misura anche attraverso un cartoncino, ma non attraverso un foglio di stagnola. Nelle esperienze suesposte era da escludersi assolutamente l'intervento di microrganismi, giacchè la poltiglia veniva preparata rapidamente e posta subito nel condensatore dell'apparecchio. Sono state fatte prove anche in pre- senza di timolo e sempre con i medesimi resultati. Riservandomi di discutere i resultati ottenuti non appena saranno com- piute ulteriori ricerche ora in corso, desidero porre in evidenza il fatto che (!) E senza dubbio per una condizione analoga che Lancien e Thomas hanno otte- nuto resultati negativi sperimentando con succhi cellulari di piante vive (C. R. Soc. de Biologie, 1909). RENDICONTI. 1912. Vol. XXXI, 2° Sem. 8 SLI, a la debole azione ionizzante, osservata in queste esperienze, si presenta in corrispondenza della massima attività dell'enzima e può essere interpretata come un effetto secondario di questa stessa attività o di una proprietà della sostanza vivente durante il processo della secrezione enzimatica. Si tratta in ogni caso di una proprietà delle molecole, non degli atomi, giacchè basta l’azione del sublimato o del calore per farla scomparire. Anche le ceneri dei tessuti seminali adoperati in queste esperienze si sono dimostrate completamente inattive. È dunque una proprietà della sostanza vivente, o di un suo prodotto immediato, che non ha niente a che fare con la radioattività ben nota di alcuni corpi semplici. L'azione ioniz- zante osservata non può quindi essere attribuita alla presenza nei semi di tracce di sostanze radioattive, come in altri casi è stato verificato (*), ma, sino a prova contraria, può essere interpretata come una manifestazione se- condaria di una particolare forma dell'energia vitale. Biologia. — Ancora sulla biofotogenesi. Nota Il di SiLvia MoRTARA, presentata dal Corrisp. RAFFAELE (?). In seguito ‘alla critica fatta dal prof. Pierantoni (*) ad una mia prima Nota sulla biofotogenesi, credo opportuno ritornare sopra alcuni punti, che forse in quel mio breve resoconto non sono abbastanza chiariti, e possono aver dato luogo a false interpretazioni sul valore delle mie osservazioni. Ho cercato di dimostrare che non si può ritenere accertata la necessità della simbiosi per la produzione della luce nei Cefalopodi, perchè vedevo nelle ultime ricerche sull'argomento una evidente tendenza a generalizzare questa ipotesi; tendenza tale che il lettore non sufficientemente edotto del- l'argomento, era ormai tratto a riguardare la simbiosi come la più frequente, se non l’unica causa della biofotogenesi in questo gruppo di animali. Qua- lunque critica faccia alle mie osservazioni, il prof. Pierantoni dovrà pure riconoscere che in base alle sue ricerche sugli organi luminosi di Sepiola, Rondeletia e Carybditeuthis (Pyroteuthis), egli non aveva affermato soltanto che in queste specie vi è una simbiosi fisiologica ed ereditaria di batterî fotogeni negli organi luminosi, ma, estendendo i suoi risultati ai Cefalopodi in genere, non aveva esitato a concludere (*): « tutte queste considerazioni « ed osservazioni permettono di considerare tutti gli organi luminosi dei « Cefalopodi (in apparenza di forma e costituzione così varia) come appar- (1) Stoklasa J, Biochem Zeitschrift, Bd. 108, 1920, pag. 109. (2) Pervenuta all'Accademia il 13 luglio 1922. (3) in Rend. Acc. Lincei, vol. 31, fasc. 9° [1922]. (4) in Arch. Zool. Italiano, vol. IX, pag. 208 [1920]. TESA ea « tenenti ad un unico tipo e come originantisi in un unico modo, e permet- « tono di ritenere unica anche la natura della sostanza luminosa sulla quale « tanto si è discusso, e che appare così di origine costantemente ed essen- « zialmente batterica, per quanto più o meno trasformata da speciali con- « dizioni di vita dei microrganismi che la costituiscono, ossia secondo che « i batterî liberamente si moltiplichino in cavità relativamente ampie e co- « municanti con l'esterno ( Sepio/a. Rondelelti), ovvero si siano adattati alla « vita endocellulare come nelle cellule del nucleo luminoso degli organi fo- « togeni dei Cefalopodi abissali ». Nè può avere dimenticato di avere così esposto in altra parte dello stesso studio le proprie conclusioni: « tutta una serie di Cefalopodi di media « profondità ( Sepiola, Rondeletia, ecc.) da cui probabilmente sono derivati « questi abissali (Carybditenthis e forme affini) per successivo adattamento « alla vita di profondità, hanno organi luminosi la cui sorgente di luce è «un ammasso di batterî fotogeni ». Partendo dalle osservazioni su Carybditeuthis (Pyroteuthis), che del resto credo abbisognino di un più rigoroso controllo, egli ha creduto di poter estendere le sue conclusioni non solo al gruppo degli 0egopsida, ma addirittura ai Cefalopodi abissali (1); come d'altra parte dalle osservazioni su Sepiola e Rondelelia aveva concluso: « non corre ormai alcun dubbio sulla « origine batterica della luminescenza dei Sepiolidi »(?), estendendo senz'altro a tutto questo gruppo le sue vedute sulla origine mierorganica della luce e sulla simbiosi ereditaria. I brani riferiti ed altri. che mi sembra superfluo riportare qui, indi- cano in mode non equivoco quali fossero nel 1920 le idee del Pierantoni a proposito della natura,microrganica della luminosità nei Cefalopodi; non essendosi successivamente più occupato in modo particolare di questi ani- mali, non mi risulta affatto che egli abbia modificato menomamente le sue. idee durante il 1921. Anzi, facendo una accurata revisione di tutti i lavori sulla luminosità animale, pubblicati dal Pierantoni dal 1914 in poi, sarebbe facile mostrare come le sue conclusioni sulla natura mierorganica della luminescenza ani- male, limitate da principio, vadano poco a poco estendendosi e generalizzan- dosi sempre più a partire dai lampiridi e dai sepiolidi, poi ai cefalopodi abis- sali, ai cefalopodi in genere, e in fine anche ai Crostacei (3), ai Pirosomi e ai Pesci (‘); ma preferisco rimandare ai singoli lavori del Pierantoni, senza dubbio ben noti a chi si interessi dell'argomento. (*) in Arch. Zool. Italiano, vol. IX [1920]. (2) in Boll. Soc. Nat., Napoli, vol. XXXIII, anno XXXIV, pag. 59 [1920]. (3) in pubbl. Staz. Zool. Napoli, vol. III [1921]. (‘) in Riv. di Biologia, vol. III [1921]. Con le mie recenti osservazioni io ho voluto soltanto cercare di limi- tare il campo di affermazioni, che mi sembravano estendersi troppo al di là del vero; e, per quanto scarsa importanza il Pierantoni sembri attribuire alle mie ricerche, sono lieta di vedere che egli finisce coll'aderire, almeno in parte, alle mie conclusioni. Infatti egli dichiara (riferendosi ai miei studî sui Cefalopodi) di non essersi (!) « mai sognato di dire che per aversi la lu- « minescenza sia necessaria la simbiosi batterica », col che evidentemente recede dalle affermazioni dianzi citate (pag. 55) e specialmente dall’aver sostenuto che nei Cefalopodi la sostanza luminosa appare di origine costar- temente ed essenzialmente batterica; e sembra perfino disposto a rinunciare a tutto quanto aveva dato come dimostrato sulla ereditarietà dei batterî fo- togeni viventi negli organi luminosi dei Sepiolidi, poichè ammette che si possa estendere a questi « l'ipotesi che i batterî costituenti la parte fotogena « degli organi luminosi, possano talora aver origine dall’esterno »(?). È vero che egli ha riscontrato un tale fenomeno nella ghiandola accessoria di Lo- ligo forbesi, ma è pur vero che si tratta nel caso attuale precisamente di quella Sepiola intermedia per la quale egli ha formulato la parte della sua teoria che riguarda la trasmissione ereditaria dei germi fotogeni, esaminando le uova deposte in acquario e i primi stadî di sviluppo (8). L'Heteroteuthis dispar, che io ho preso in esame, è un Sepiolide, e come tale dovrebbe rientrare senz'altro fra le forme, per le quali il Pierantoni ha varie volte ammessa implicitamente dimostrata la natura batterica della sor- gente luminosa. Nè può avere alcuna importanza il fatto che questa specie viva a 1200-1500 metri, per ammettere teoricamente una diversa costitu- zione della sorgente luminosa, dato che il Pierantoni stesso in forme di pro- fondità ancora maggiore (Pyroteuthbis) ha già osservata nel nucleo fotogeno la presenza di batterî, più o meno modificati dalla simbiosi (vedi pag. 55). Eppure le mie ricerche mostrano chiaramente che in Heteroteuthis manca qualsiasi traccia di batterî simbiotici; ed io desidero appunto mettere bene in chiaro che, se essi esistono in qualche specie (come simbioti o come semplici commensali), non è prudente ammettere la loro presenza in forme affini, quando pure si limitino le conclusioni ad un gruppo determinato, o sì parli di organi apparentemente dello stesso tipo. Il fenomeno è assai più complesso di quel che sì possa pensare e la soluzione mi sembra tutt'altro che pros- sima. Così per esempio l'organo fotogeno di Heteroteuthis, che a primo aspetto presenta funzionamento e struttura assai simili a quelli di altri Sepiolidi ( Sepiola e Rondeletia), ne risulta del tutto differente ad un esame attento, per la sua (*) in Rend. Ace. Lincei, vol. XXXI, pag. 385 [1922]. (2) in Rend. Acc. Lincei, nota cit., pag. 387. « (#) in pubbl. Staz. Zool. Napoli, vol. JI [1918]. struttura fondamentalmente ghiandolare. La porzione fotogena è formata da un insieme di tubuli, nell'epitelio ghiandolare dei quali con opportune colo- razioni è facilissimo differenziare î granuli della secrezione. dentro il plasma delle singole cellule. Il secreto si va accumulando verso la superficie secer- nente e finirà poi col versarsi nel lume dei vatî tubuli, dove appare, nei preparati, in forma di grosse gocce amorfe. I tubuli, che costituiscono la parte secernente dell'organo, si raccolgono medialmente in due larghi condotti, che sboccano per mezzo di due pori su due papille sporgenti dalla superficie esterna dell'organo luminoso Le papille sono visibilissime a occhio nudo. Mi sembra quindi che non si possa supporre. come vorrebbe il Pierantoni, rudimentale la comunicazione di tali organi con l'esterno, poichè i con- dotti di sbocco appaiono così chiaramente dall'esterno e dalle sezioni, e poichè esiste un controllo irrefutabile nelle osservazioni del Mayer(') e del Dahlgren (*) che hanno potuto ripetutamente vedere la emissione di un se- creto luminoso, tenendo esemplari vivi di //eferotenthis in acquario. L'organo fotoseno è in questo caso certamente dunque ghiandolare e funzionante come tale. Voler interpretare le granulazioni grossolane e amorfe del secreto, che riempiono i tubuli, come ammassi di batterì non è assolutamente possibile, non avendone il minimo aspetto»; basta il confronto tra le sezioni di questi organi e quelle di organi contenenti realmente dei batterî. per convincere che siamo in presenza di un fenomeno assolutamente differente. Nè si può pensare a riportare la natura della sostanza luminosa a quei tipi di sostanza granulosa di aleuni Cefalopodi abissali. nei cui granuli il Pierantoni vorrebbe vedere una particolare moditicazione di simbionti adattati a vita endocel- lulare, trattandosi in Heterotenthis di un tipo di struttura completamente diverso da quelli. Quanto ai dubbî espressi dal Pierantoni sul cattivo stato del materiale da me studiato, devo notare: che gli esemplari presi in esame non erano affatto raccolti spiaggiati (come egli afferma non so su qual fondamento), ma erano stati pescati vivi a Messina e messi subito in ghiaccio, secondo il metodo dal Pierantoni stesso consigliatomi, sotto il controllo del prof. Sanzo. Niente di strano quindi che siano arrivati a Roma in ottimo stato di conservazione. Anzi prove di controllo. eseguite su altre specie, mi hanno dimostrato che, dove realmente esistono dei batterî fotogeni, non è tanto fa- cile che muoiano e tanto meno che ne scompaiano le traccie. se pure siano tenuti a lungo in ghiaccio. Del resto, quando anche il Pierantoni volesse negare ogni valore alle prove delle mie culture ed a quelle fatte col materiale fresco, non so perchè passi completamente sotto silenzio quelle fornite dallo studio di organi con- (1) in Zool. Anz., Bd. 32 [1908]. (®) in Journ. Franklin Inst. (pag. 1-75), [1916]. SIDE servati che da sole bastano certo a dare argomenti sufficienti per la di- mostrazione della mia tesi. Gli esemplari fissati erano stati quasi tutti cat- turati vivi; quindi se i batterî non si sono rivelati mai, in nessuna sezione, con nessun metodo di colorazione, non mi sembra davvero di aver troppo osato concludendone che in Heteroteuthis non esistono batterî dentro l'organo luminoso. Questo fatto dovrebbe bastare per lo meno, per ammettere che non può dirsi costante la natura microrganica della luce nei Cefalopodi in ge- nere e nei Sepiolidi in specie. Organi sezionati ne ho esaminati molti e devo escludere che le strut- ture osservate possano esser dovute a difetti di tecnica o che i batterî non fossero riconoscibili perchè alterati dai fissativi o degenerati; bo compiuto per questo tutti i controlli opportuni e necessarî. Nè il Pierantoni può aceusarmi di aver precipitato le mie conclusioni poichè le sue ricerche sui Cefalopodi abissali sono basate esclusivamente su materiale conservato e si riferiscono ad un'unica specie (Pyroteuthis mar- garitifera), e non è fuori luogo notare che, gli esemplari di questa specie, sì catturano a Messina in condizioni certamente peggiori di quelli di Z/ete- roteuthis dispar. Quanto allo sviluppo di batterî sulla muscolatura e sulla pelle di esem- plari, che avevo tenuti all'aria un paio di giorni dopo averli tirati fuori dal ghiaccio, è un fatto tanto generalmente noto, che ritengo inutile tornarci sopra. Mi interessa invece spiegare (se non lo ho detto abbastanza chiara- mente nella mia prima Nota) che da un organo intero, pestato nel mortaio, per provarne tutto il contenuto, non ho avuto, nè potevo avere, sviluppo di germi nelle culture, dato che l'esame è stato fatto dal materiale appena tirato fuori dal ghiaccio. che la superficie esterna dell'organo era stata ste- rilizzata e che nell'interno non c'erano batterî d’aleun genere, come hanno dimostrato le ricerche sul materiale fissato, di cui ho parlato sopra. Se fosse comparso « qualche puntino luminoso » o se avessi avuto sviluppo di altri germi, questo avrebbe semplicemente dimostrato che non avevo usato tutte le precauzioni necessarie per garantire il contenuto dell'organo luminoso da inquinamenti esterni. Tutto il valore dell'esperienza sta proprio nel fatto che le culture hanno dato costantemente risultato negativo, essendo rimasti i tubi di cultura, in ogni caso, sterili, I Fisiolozia. — Alimentazione e funzione sessuale. Ricerche sperimentali su. ratti albini. Nota del dott. RENATO POLLITZER, presentata dal Corrisp. S. BagGLIONI ('). Scopo della presente Nota è di riferire brevemente su alcune alterazioni prodotte dall'alimentazione incongrua nei testicoli di ratti albini in via di sviluppo ed adulti. Condizioni indispensabili per tali ricerche negli animali in via di sviluppo è che questi vivano sufficientemente a lungo, così da arri- vare ad un’età corrispondente a quella di ratti adulti. Sono riuscito ad otte- nere ciò oltre che con speciali accorgimenti (pulizia, temperatura dell’am- biente. somministrazione di acqua a sufficienza) alimentando ratti albini del- l'età di circa un mese e del peso di 35 gr., nei primi 1-2 mesi con un miscuglio di farina di grano e farina di granoturco a parti eguali, con l’ag- giunta di circa il 10% di latte in polvere, il tutto sterilizzato all'autoclave per 1/»-1 ora alla temperatura di 120° C.; nei mesi successivi con polenta preparata con farina di granturco sterilizzata condita con sale, con pasta di frumento sterilizzata e con frittata fatta di albume d’uovo, olio di semi, amido e sale, fritta nell'olio di semi. Questi cibi sono mangiati in quantità e volentieri. Coppie di ratti albini in tal modo alimentati per un periodo di 4-5 mesi, crescono stentatamente raggiungendo alla tine di tale periodo i maschi un peso di 125 gr., le femmine di 110 gr. invece di 225 gr. e 150 gr. rag- giunti da maschi e femmine della stessa covata tenuti ad alimentazione mista normale (pane, patate, riso, erbaggi, frutta). Mentre inoltre nelle coppie nor- mali si ha il primo parto all’età di circa tre mesi, ciò che dimostra con certezza che all’età di 2-'/, mesi maschi e femmine hanno raggiunta la ma- turità sessuale, le coppie devitaminizzate non prolificano nemmeno all’età di 6 mesi. Nei ratti maschi devitaminizzati i testicoli si sviluppano più tardiva- mente che nei ratti normali, nè raggiungono volume eguale a quello di questi ultimi. Se dopo alcuni (5-6) mesi di devitaminizzazione si rimet- tono questi ratti ad alimentazione normale, essi aumentano di peso molto lentamente e progressivamente; ì maschi neppure quando hanno raggiunto un peso eguale o superiore a quello di ratti maschi adulti (più di 200 gr., mentre i ratti normali del peso di 140 gr. sono già sessualmente maturi) e dopo un periodo di alimentazione normale di 4-5 mesi rendono gravide le femmine normali adulte con le quali convivono. Evidentemente il periodo di devitaminizzazione durante lo sviluppo ha prodotto nell'organismo dei (*) Pervenuta all'Accademia il 14 luglio 1922. > Bee ratti modificazioni tali da rendere questi animali, se non permanentemente, almeno per un considerevole periodo della loro vita, incapaci di riproduzione. Questa incapacità non sembra dipendere da lesioni della ghiandola se- minale, perchè i testicoli di questi ratti contengono spermatozoi normali per mobilità e resistenza alla temperatura ambiente in mezzo liquido; ma piut- tosto sembra dipendere da lesioni della ghiandola interstiziale. Le lesioni nelle ghiandole interstiziali potrebbero essere tali da impe- dire la secrezione dell'ormone che, secondo Baglioni ('), ecciterebbe ì centri sessuali. D'altra parte ho visto che ratti adulti normali, buoni riproduttori, dopo poche settimane di detta alimentazione priva di vitamine, non rendono più gravide le femmine normali; però riacquistano tale potenza dopo un breve periodo di alimentazione normale. Biologia. — Ulteriori ricerche sull’inanizione (*). Nota pre- liminare del dott. UmBeRTO D’AnconNA, presentata dal Socio B. (GRASSI (8). Riassumo nella presente Nota alcune osservazioni sul comportamento dell'apparato digerente dell'anguilla sottoposta a digiuno, osservazioni fatte in continuazione di quelle da me già pubblicate in esteso (4). Come ho già allora accennato, uno degli scopi delle presenti ricerche è quello di conoscere le condizioni di nutrizione delle anguille che vengono pescate a mare in abito di nozze, studio che io ho già iniziato su un certo numero di esemplari pro- venienti da Messina. Nella presente Nota espongo: 1°) le mie osservazioni sul fegato delle anguille che già mi servirono per l'esame del tubo digerente; 2°) le modifti- cazioni riscontrate, sia nel tubo digerente, che nel fegato, in un'anguilla gialla del lotto 23 settembre 1919, wecisa l'11 luglio 1921 (657 giorni di digiuno) e che, seguendo la nomenclatura del mio precedente lavoro, chiamo Angquitla M. Le modificazioni che ho osservate nel fegato sono perfettamente concor- danti con quanto ho notato nelle varie parti del tubo digerente. |l primo cambiamento che si manilesta è l’impiccolimento cellulare dovuto alla di- minuzione e poi alla scomparsa dei granuli di secreto Contemporaneamente (') Zeitschr. f. alle Physiol, 14, 1912, pag. 193. (2) Lavoro eseguito nell'Istituto di Anatomia comparata della R. Università di Roma. (3) Pervenuta all'Accademia il 3 luglio 1922. (1) Effetti dell'inanizione sul tubo digerente dell'anguilla. R. Comit. Talassogr. Ital., Mem. LXXXI, 1921. Se. il lume dei canalicoli biliari si riduce divenendo virtuale (*). Molto presto si hanno modificazioni nel nucleo che impiccolisce e in cui il nucleolo non sì presenta più così distinto come nei casi normali, la sostanza cromatica appare più uniformemente distribuita. L’impiccolimento delle cellule continua anche dopo la scomparsa dei granuli di secreto, probabilmente per atrofia del citoplasma stesso, nel quale si manifestano anche altre alterazioni. Fra queste la più imponente è la comparsa di vacuoli, molto grossi e numerosi in alcuni esemplari (Ar- quilla H, 213 giorni di digiuno). In preparati fissati in acido osmico si vedono abbondanti goccioline nere, senza dubbio gocce di grasso contenute nei vacuoli notati cogli altri metodi di colorazione. Anche nel fegato, come negli altri organi da me esaminati, si ha una minore colorabilità delle cel- lule, un aspetto granuloso del citoplasma, forma più o meno irregolare dei nuclei. Il connettivo che circonda i vasi e quello della capsula di Glisson appaiono più voluminosi (aumento relativo, non assoluto) e più compatti. Negli esemplari tenuti più a lungo a digiuno si ha abbondanza di sangue nei vasi come ho già notato per gli altri organi. I più interessanti reperti si hanno nel fegato dell’Anguilla M di cui tratterò più avanti. Per l’impiccolimento delle cellule epatiche è molto eloquente la se- guente tabella che mostra una diminuzione di volume molto maggiore che negli elementi, sia di rivestimento che ghiandolari, del tubo digerente. Io sono dell'avviso che tale imponenza del fenomeno debba essere ascritta appunto alla scomparsa delle sostanze metaplasmatiche, abbondanti nel fegato in rap- porto colla funzione ghiandolare (vedasi la forte diminuzione che presenta già la Anguilla C). (OENÒ [Wear Diametro cellule a. +. +. +. .]| 16.4 | 16,1 | 13.0 | 10.1 | 10,8 9.5 9.9 | 11.1 8.9 7.9 7.6 Volume cellule @3 (2) . +... | 4511 | 4178 | 2587 | 1030 | 1260 857 970 | 1368 705 493 439 Diametro nuclei 2?r. . . . . 6.3 6.5 5.7 5.0 4,8 4.5 4,2 4.9 3,8 3.7 3.6 Volume nuclei ia IR etto 131 143 97 65 58 48 39 6l 29 26 24 (1) Anche Cotronei nel Petromyzor trova che « l'atrofia (da digiuno) del parenchima epatico contribuisce a far perdere il lume dei canalicoli biliari » (Rendiconti Lincei, se- duta del 5 febbraio 1922). (2) Avrei desiderato prendere anche per queste cellule, grossolanamente cubiche, tre misure, come feci per le cellule ghiandolari dello stomaco, ma dovetti rinunziare a tale idea perchè, se nel fegato normale è distinguibile la disposizione iu tubuli, ciò non è più possibile nel lungo digiuno. Perciò l’unico metodo seguibile per calcolare il volume delle cellule è stato quello di elevare al cubo il diametro. La notevole deviazione che si osserva nell’esemplare #7 è dovuta probabilmente alla fortissima vacuolizzazione delle cellule. RENDICONTI. 1922, Vol. XXXI, 2° Sem. 9 MST: ga L'Anguilla M, come ho già detto, fu tenuta a digiuno per quasi 22 mesi. All'atto dell'uccisione mostravasi ancora molto vivace, aveva una lunghezza di 31,5 cm., un peso finale di 21,5 gr., perdita del 61,5%. Accanto all’ Amia dello Smallwood è questo il caso di più lungo digiuno esaminato istologi- camente. All'esame microscopico l’esofago presenta un aspetto uguale a quello visto negli altri esemplari tenuti a lungo digiuno. La stessa cosa si ha nello stomaco, l’impiccolimento degli elementi cellulari è però più accentuato (83,2% rispetto all'Anguzlla A e 80,5 % rispetto alla 2 — ambedue nor- mali — per le cellule ghiandolari; 42,0% per i nuclei delle stesse). Lo stesso aspetto generale lo presenta anche l’ intestino, qui pure l'atrofia cellulare (elementi epiteliali di rivestimento) è molto accentuata: 65,9% di riduzione in confronto all'esemplare A e 66,2 %, in confronto al B per la cellula, 53,8%, rispettivamente 52,0 % per il nucleo. Le cellule mucipare, a differenza delle altre anguille digiunanti, sono ancora ricche di muco. Nella tonaca muscolare la trama connettivale appare ben più evidente che normal- mente, come se essa fosse molto meno ridotta che le fibre muscolari; lo stesso si osserva nello stomaco. Nè nello stomaco, nè nell'intestino noto l'iperemia vista negli altri esemplari. Notevole è il fatto che nell'intestino posteriore si hanno abbondanti casi di morte cellulare. In alcune zono si vedono le cellule epiteliali pro- fondamente alterate, con limiti confusi, nuclei frammentati; altrove si ve- dono le stesse cellule libere nel lume intestinale, di forma più o meno ton- deggiante, vacuolizzate, granulose; altrove infine si hanno degli ammassi informi con frammenti di nuclei. Estese zone invece presentano le cellule ancora di aspetto normale (1). Unisco una tabella di misure degli elementi dello stomaco e dell’ inte- stino dell'AnguzlZa M prese secondo il metodo da me altrove usato. Stomaco. Cellule epiteliali di rivestimento: Cellule ghiandolari: Altezza totale cellule . . . .. 25,7 Altezza cellule. © 0. + MINI Altezza porzione inferiore . . . 14,7 Targhezza cellule Sese 9,1 ” ” superiore. . . 11,0 Lunghezza cellule. di ti Reano Larghezza cellule . . . . .. 51 Volume? cellulent i te e 1022 Lunghezzasnucleit. i. ti. 855 Diametro; muclelit, Cene 5,1 Larghezza nuclei . . . . .. 8,2 Volumemuclelt Nt 69 (') Alla bibliografia pubblicata nel mio lavoro precedente devo aggiungere la se- guente Nota sfuggita alla mia attenzione: Yung, /n/luence de l'inanition sur les cellules epitheliales. Arch. sc. phys. nat., Geneve, XXXVIII, 1914. Non hanno che scarsa attinenza col mio lavoro le due Note del Corti: Ricerche sulla minuta struttura della mucosa intestinale di ittiopsidi dopo lungo digiuno, e Ri- cerche sulla minuta struttura della mucosa intestinale di pesci in rapporto a diversi momenti funzionali. Bull. sc. med., Bologna, 1920. Sp} pa Intestino. Cellule epiteliali cilindrich<: Cellule mucipare: Altezza cellule. . . . .. .. 28,0 Altezza teca - . . .. . + 198 Larghezza cellule... ./.. .° 2,8 Larchezzaikteca i ne 9 Volume cellule... ... 0. 148 Lunghezza nuclei. . . .... 9,0 Larghezza nuclei . . . ....° 3,2 Volume nucler. . < ... 48 Il fegato in alcune zone presenta le proprie cellule fortemente vacuo- lizzate, in altre invece senza vacuoli e molto ridotte di volume; corrispon- dentemente coll’acido osmico si vedono delle gocc'oline nere. Nella zona più periferica del fegato si vedono in alcuni punti delle masse granulose piut- tosto debolmente colorate, con pochi nuclei irregolarmente sparsi, più o meno alterati. L’imp'ccolimento delle cellule è del 90,2% (in confronto ad A), ri- spettivamente dell'89,5 % (confronto 8); quello dei nuclei dell'81,7 %,, ri- spettivamente dell'83,2%. È notevole il ristagno del sangue; talvolta si vedono, nei comuni prepa- rati coll’ematossilina-eosina, delle emazie colorate in bruno, anzichè in rosso, e coi nuclei scoloriti o altrimenti alterati. Nelle cellule epatiche appaiono numerosi granuli giallastri, qua e là si vedono gruppi di cellule comple- tamente infarcite, sì che il tessuto si presenta sparso abbondantemente, spe- cialmente in prossimitì ai vasi, di tali macchie pigmentate. Col metodo di Unna (fucsina fenica e tannino) ho riconosciuto trattarsi di pigmento ema- tico. Nella capsula di Glisson ci sono frequenti linfociti. Il fatto che appare più evidente da queste mie ricerche è la grandis- sima riduzione che alcuni elementi cellulari possono subire nel digiuno e l’entità di queste atrofie appare imponentissima in confronto a quelle che altri trovarono in animali omotermi anche prossimi a morte per inanizione ('). Ciò concorda con quanto risulta dalle ricerche fisiologiche che tendono ad ascrivere la morte da digiuno non a fenomeni atrofici, ma a una sorta di autointossicazione (Lipschitz, Piitter) (*@). Concorda con ciò anche la interes- sante constatazione della scarsa mortalità cellulare nel digiuno, per cui — anche confrontando i dati degli altri-autori — ritengo che negli animali poco resistenti all'inanizione la morte dell’individuo precede in genere quella dei (*) Si confrontino i risultati miei con quelli di Morgulis (1911, 1915). (2) Lipschitz, Zur allgemeine Physiologie des Hungers. Braunschweig, 1915; Piitter, Der Mungertod. Naturw. Berlin, 9, 1921 (recensione di Korschelt in Zool. Be- richt, Bd. I). cm gi singoli elementi, invece negli animali molto resistenti si possono avere ne- crosì cellulari più o meno estese anche prima della morte dell'individuo. Dalle suesposte ricerche emerge anche la diversa resistenza all’inanizione dei singoli organi, dei singoli tessuti, dei singoli elementi cellulari. Questi i fatti che più mi interessa metter qui in evidenza; altrove mi riserbo di esporre più ampiamente queste mie ricerche e di discuterne più dettagliatamente i risultati. Pubblicazioni della R. Accademia Nazionale dei Lincei. Serie 1% — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). È Vol. II. (1874-75). Vol. HT. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. ‘2% MEMORIE de/la Classe di scienze, fisiche, matematiche e naturali. 3 MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. } ; Vol. IV. V. VI. VII. VOI. ‘Serie 3* — TransunTI. Vol. I-VIH. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. IL (1,2). — II. (1, 2). — II-XIX. MemoRrIE della Classe’ di scienze morali, storiche e- filologiche. Vol. 1-XIII. Serie 4% — Renpiconti. Vol. I-VII. (1884-91). _ MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XXXI. (1892-1922). Fasc. 4°, Sem. 2°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XXXI. (1862-1922). Fasc. 4°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. XIII, Fase. 15°. MreMmoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. Vol. XIV. Vol. XV. XVI. Fase. 9°. NotIZIE DEGLI Scavi DI AnticHITÀ. Vol. I-XIX. Fasc. 10-80, CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AT RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia Nazionale dei Lincei si pub- blicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispondenti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni annata e per tutta I’Italia è di L. 108; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai: ULRICO HoepLi. — Milano, Pisa e Napoli. P. MagLione &-C. StRINI (successori di E. Loescher & C.) —- Roma. RENDICONTI — Agosto 1922. INDICE % Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Pa MEMORIK K NOTE DI SOCI pervenute all’ Accademia durante le ferie del 1922. Rovereto. A proposito del diapirismo , . Mie Pag. NOTE PRESENTATE DA SOCI Bigiavi e Cerchiai, L'ossidazione dei benzolazonaftoli (pres. dal Socio Angeli) . . . . » Cumin. Didue colate laviche dei dintorni di Manziana (Lazio) (pres. dal Socio Millosevich) +,» Carano e Bambacioni Valeria. ‘Sopra alcuni risultati di ricerche culturali. e di esperi- menti di ibridazione nel gen. Bellis (pres. dal Socio Pirotta) |... 0...» Petri. Azione ionizzante degli enzimi (pres.-dal Socio Mattirolo) . ....... ISISIEDI Mortara Silvia. Ancora sulla biofotogenesi. Nota II (prés. dal Corrisp. Raffaele) . 0. n Pellitzer. Alimentazione e funzione sessuale. Ricerche sperimentali sui ratti albini (pre- sentata. dal DELE OC CIO pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle. due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono . le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese ; essi contengono le Note edi titoli delle Memorie presentate da. Sci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume ; due volumi formano un’annata. 2, Le Note di Soci o Corrispondenti non .possono oltrepassare le 6 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, ehe ne assumono la responsabilità, non possono superare le 4 pagine. 3. L’Accadertfia dà per queste comunica- zioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispa identi, e 30 agli estranei ; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’ Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per i critto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’altro inscritte nei Volumi accademici-se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe, 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta a stampa della Memoria negli Atti dell’ Accade mia oinunsunto o in esteso, ‘senza pregiudizio dell’art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- “ziamento all’antore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. | 8. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta, pubblica nell’ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. È 5. L'Accademia dà sratis 50 estratti agli au- |. tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti ; 30 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI pervenute all'Accademia durante le ferie del 1922. (Ogni Memoria o Nota porta a pie' di pagina la data d'arrivo). PRPREFTA nn Cristallografia. — Sulla forma cristallina del clorito sodico tritdrato. Nota del Socio ErrorE ARTINI ('). Come è noto, il clorito di sodio venne preparato solo recentemente, dal prof. G. R. Levi (?), il quale me Jo affidò per lo studio cristallografico, insieme a varî altri cloriti da lui ottenuti. Riservandomi di render noti più tardi i caratteri morfologico-ottici degli altri sali, che meno si prestano a ricerche complete, credo utile intanto, anche per cousentire al giusto desi- derio del chimico, di esporre senza ritardo i risultati dello studio cristallo- grafico del sale NaC10,.3Hs0, il quale fra tutti è il più stabile, e si presenta in distinti cristalli. e Sistema triclino, cl. pinacoidale: a:b:c=0.404L1:1:0.6353. (o) , (0) 7 — 78.49 a= 103.43 4 B= 61.59 8= 119.8 So y=MW81.46 4. Forme osservate: NOLO 00 RITO: LIOP, SOIT ASNOT1I , 3T123 , SITI. (1) Pervenuta all’Accalemia il 1° settembre 1922. (2) G. R. Levi, Cloriti di sodio e di altri metalli, Rendic. d. R. Accad. dei Lincei. Seduta del 9 marzo 1922. RENDICONTI, 1922. Vol. XXXI, 2° Sem. 10 > J660= I cristalli pazientemente preparati, in due riprese, dal prof. Levi, espres- samente a scopo di studio morfologico, furono ottenuti da acqua. Essi sono abbastanza grossi, ma per lo più alquanto imperfetti; devono essere misurati rapida- mente, perchè sono igroscopici all'aria umida, e nel- l'aria secca si decompongono; strofinandoli con una tela fina, per meglio asciugarli, se ne accelera sensi- bilmente l’alterazione. Tra i molti avuti ne scelsi quattro (uno dei quali molto bello e completo), che mi permisero di deter- minare le costanti con precisione sufficente. L'abito comune è prismatico, allungato secondo l'asse verticale, e un poco appiattito secondo } 010}, come risulta dalla fig. 1, che per maggiore chiarezza rappresenta il cristallo proiettato sul piano orizzontale. VIS 3 ANGOLI OSSERVATI incon O SPIGOLI ISTE] Numero Limiti Medie CALCOLATI (010)-(110) | 6 1136/51” 71°41" (LI) (110) | 5 39.43 - 40.— 39.55 39/57 (110) - (010) 5 68,19 - 68,28 63.292 * (00) (Ii = 52,18 599 (011)-(001) 1 Pa 26.25 26.24 (010) » :001) 4 78.48 — 78.57 78.50 78.49 (001) - (011) 4 31.28 — 31.53 81.42. | (011) - (010) 4 69.18 - 69.42 69.29 * (010) - (112) 3 61.1 — 61.44 61.19 61.8 (112) - (I12 3 32.22 — 82.49 32.37 32.44, (112) - (010 4 85.53 — 86.6 i 86.2 86.8 (110) - (001) 1 = 59.5 | 59,7 (001) - (112) | 1 sE 50.18 50.5 (112) I = 70.38 70.47 4 (110) - (001 Med 68.6 - 68.23 68.12 | > (001) (1129) | 3 48.6 - 48,30 4819 | 484 (112) - (I10 2 63.42 - 63.50 63.46 63.44 (110) - (011) 1 — 56.9 | 56.9 (011) (112) 1 Le 40.55 40.39 (112) - (110) i di 82.58 0 Gi 8300 (170) . (011) 2 56.18 - 56.45 56.31F | 56.30 (0I1) - (I12) } 49.58 - 50.17 50.8 | ‘49,331 (112) - (110) 2 73.20 — 78.49 73.841 73.57 2a {pa Sfaldatura abbastanza facile e perfetta secondo } 010. Sulla (010) una direzione di estinzione fa circa 6° con l'asse verticale, nell'angolo piano acuto [110 .010].[011. 010]. Sarebbe stato desiderabile poter confrontare la forma cristallina del clorito con quella del nitrito sodico: ma di questo è nota finora la sola forma anidra, studiata da Fock (1). Chimica. — L’isomorfismo del fluoborato e del permanga- nato di potassio (*). Nota del Corrisp. FERRUCCIO ZAMBONINI (*). In recenti lavori, Irving Langmuir(*) ha esteso grandemente la teoria dell’« atomo cubico » di G. N. Lewis, tanto da farne sorgere una nuova teoria della valenza: la teoria dell’ottetto. Le idee di Langmuir hanno vivamente interessato gli studiosi, e sono state già oggetto di notevoli applicazioni: così, per esempio, W. L. Bragg (?) ha saputo trarne grande partito nella sua Memoria sulla disposizione degli atomi nei cristalli. Dalla sua teoria dell'ottetto, Langmuir ha dedotto che, se dei composti formati dallo stesso numero di atomi, possiedono anche uguale numero to- tale di elettroni, questi ultimi possono disporsi allo stesso modo, nel qual caso i composti od i gruppi di atomi considerati sono detti isosterici. Se- condo Langmuir, i composti isosterici devono presentare notevole somiglianza nelle loro proprietà fisiche, fra le quali è compresa, naturalmente, la forma cristallina. Langmuir, anzi, ha elencato addirittura un certo numero di « casi tipici » di isomorfismo, basati sull’isosterismo. Veramente, Langmuir adopera il termine « isomorfismo » in un senso profondamente diverso da quello generalmente usato. Ed invero, per Langmuir isomorfismo sta ad indi- care semplicemente la « somiglianza di forma cristallina » di due sostanze, prescindendo completamente dal criterio della loro capacità a formare cristalli misti, criterio che è considerato come fondamentale non soltanto da Kopp e da Retgers, ricordati da Lang- muir, ma anche dallo stesso scopritore dell’isomorfismo, E. Mitscherlich (9), e da tutti coloro, poi, che vogliono sfuggire al pericolo, grandissimo, di confondere l’isogonismo con l'isomorfismo. E, infatti, ben noto, che gli angoli che formano fra loro i piani reti- (1) P. Groth, Chenvsche Krystallographie, II, pag. 18. (*) Lavoro eseguito nell'Istituto di Mineralogia dell’Università di Torino. (*) Pervenuta all'Accademia 1°8 agosto 1922. (4) Isomorphism, Isosterism and Covalence. Journ. Amer. Chem. Soc., 1919, XLI, 1543, 5) The arrangement of Atoms in Crystals. Phil. Mag., 1920 (62), XL, 169. (6) Basta leggere in proposito la seconda Memoria di Mitscherlich sull’isomorfismo, , pubblicata negli Ann. chim. phys., 1821, XIX, e quanto riferisce Arzruni nella sua Physif. Chemie der krystalle, pag. 85. CACGRRE colati fondamentali delle sostanze finora studiate cristallograficamente si raggru)] ano intorno a certi particolari valori, i quali corrispondono, evidentemente. a condizioni di equilibri» più stabile dei sistemi di punti. Si hanno, c. sì, i cristalli ipoesagonali, pseudo- tetragonali, pseudocubici. È chiaro, perciò, che potrà osservarsi « somiglianza di forma cristallina » puramente accidentale fra composti peri quali non può non apparire dispe- rato il tentativo di ricercare delle relazioni chimiche anche lontane. Basterà ricordare il notissimo esempio del borace e dell’augite. In realtà. quando esiste vero e proprio isomorfismo, la miscibilità allo stato solido, sia pure molto limitata, non manca mai: talvolta, non è facile dimostrarne l’esistenza, ed occorre porsi in particolari condizioni sperimentali. come io ho mostrato verificarsi nel caso dei molibdati normali di ittrio e di piombo, come pure dei tungstati di bismuto e di piombo. Tra gli esempî di isomorfismo illustrati dal Langmuir, ve ne è uno che ha richiamato in particolar modo la mia attenzione, ed è quello costituito da KCIO,.BaS0, e KBF,. Secondo Langmuir, sono isosterì CI0,7,S0,7 7: sì spiegano, perciò, le relazioni cristallografiche, note da lungo tempo, fra KCIO, e BaSO,. Quanto all’isomorfismo di KBF, con gli altri due com- posti, Langmuir osserva che nei composti tipici ad ottetto, quali sarebbero appunto i solfati ed i perclorati, l'ossigeno ha la covalenza 1, come il fluoro: quest’ultimo può sostituirsi, perciò, atomo ad atomo, all’ossigeno. Langmuir ascrive a Th. V. Barker (!) il merito di aver scoperto l’iso- mortismo del fluoborato di potassio col perclorato di potassio e con i solfati del gruppo della baritina, come pure l'altro di averlo spiegato abbandonando la teoria ordinaria della valenza e ricorrendo, invece, ai numeri di coordi- nazione di Werner. È perfettamente vero che il Barker, nel 1912, ha asserito che, mentre l’isomorfismo dei due primi termini della sua settima serie (KC1O,, BaSO,, KBF,) era stato già men- zionato da Marignac nel 1867, quello del terzo membro, il fluoborato di potassio, veniva annunziato per la prima volta. Ed è anche vero, che il Barker ha cercato di spiegarlo mediante la teoria werneriana dei numeri di coordinazione. Anzi, il Barker ha affermato di avere egli per il primo tratto partito di quella teoria per spiegare casi non usuali di isomorfismo, In verità, il Barker è stato preceduto di ben se/fe anni dallo scrittore di queste pagine. In un lavoro che aveva un titolo molto modesto, pubbli- cato nel 1905 in un periodico assai diffuso (*), io ho descritto cristallografi- camente il fluoborato di rubidio, ed ho notato che i fluoborati di potassio e di rubidio presentano una netta ed innegabile somiglianza di forma cri- stallina con i perclorati, periodati e permanganati, pure rombici, degli stessi metalli. Soggiungevo che la sostituzione del rubidio al potassio produce la stessa variazione delle costanti cristallografiche sia nel caso dei sali BF,X', (!) Studies in Chemical Orystallography. Part I. Co-ordination, Isomorphism and Valency. 'rans. Chem. Soc., 1912, CI. 2484. i (2) Beitrdge cur lrystallographischen Kenntnis einiger imorganischen Verbindungen. Zeitsch. fiir Kryst., 1905, XLI, 60-61. Son che in quello dei composti Mn0,X', e che i volumi molecolari di BF,Rb e di MnO,Rb sono molto vicini. Affermavo, perciò, essere molto improbabile che le relazioni cristallografiche constatate fra fluoborati e perclorati, perman- ganati, ecc., alcalini fossero accidentali. Quanto alla spiegazione del fatto, dopo aver notato che era impossibile ricorrere alle idee di Hiortdahl], perchè la somma delle valenze degli atomi componenti le molecole era diversa nei fluoborati e nei permanganati, ecec., osservavo che era già noto come la sostituzione di un atomo di ossigeno ad uno di fluoro in diversi casi (Mo0,F,Cu-4H,0 e Mo0F;Cu-4Hs0 ecc.) non produceva variazioni notevoli della struttura cristallina: il fatto da me trovato indicava che altrettanto può accadere quando quattro atomi di ossiì- geno vengono sostituiti da quattro di finoro. E concludevo: « Io credo, che una spiegazione ai fatti da me osservati sia da ricercare nei begli studî di Werner sulla costituzione dei composti inorganici. Werner ha mostrato, che atomi plurivalenti possono occupare un solo numero di coordinazione di altri atomi, col che gli riuscì di porre in relazione i fluo- e fiuossisali del va- nadio, dell'uranio, del molibdeno e tungsteno; la stessa ipotesi, la quale. come mostrò Werner, è di importanza fondamentale, può spiegare molto fa- cilmente la ‘somiglianza cristallografica teovata fra BF,X' e Mn0,X' >». Io sono stato, quindi, non solo molto esplicito, ma anche, per quel che riguarda i fluoborati ed i perclorati, permanganati ece., assai più preciso e completo del Barker, non essendomi contentato di ravvicinare le costanti cristallografiche di quei composti, come si è limitato a fare, ripeto, sette anni dopo di me, lo studioso inglese. Ma non è per fare rivendicazioni di priorità, che giudico ora, come già nel 1912, perfettamente inutili, quando la priorità stessa non può essere dubbia per gli sperimentatori che studiano diligentemente la letteratura degli argomenti che imprendono a trattare, che io torno ad occuparmi dei fluobo- rati, e dei perclorati e permanganati, dei metalli alcalini. Una questione fondamentale, infatti, attende sempre la sua soluzione: i fluoborati alcalini sono isomorti con i perclorati e permanganati alcalini, ovvero presentano con questi ultimi soltanto relazioni cristallografiche? ‘La domanda, dopo quanto si è esposto nelle pagine precedenti, non è oziosa: non bastano, infatti, delle concordanze cristallografiche, anche molto notevoli, per stabilire l’isomorfismo di due composti, e può riuscire fallace perfino la quasi identità di strattura cristallina. Un esempio tipico, già invo- cato di recente da V. M. Goldschmidt ('), lo si ha nella coppia oro-allu- minio. Questi due elementi possiedono struttura cristallina identica entro il centesimo di Angstròm (2): ciò non ostante, almeno per quanto mi è noto, (1) Arystallographie und Metallkunde. Zeitsch. fir Metallkande, 1921, XI1I, 449 e 518, (2) La struttura sia dell’alluminio, che dell’oro, è quella del reticolo cubico a faccie centrate: in ambedue, il lato del cubo elementare con 4 atomi misura 4,07 À. ATO la miscibilità è limitatissima, tanto che i cristalli misti più ricchi in allu- minio non contengono che 2% in peso di questo metallo, secondo C. T. Hey- cock e F. H. Neville (*). Viceversa, oro e rame, con notevole differenza delle dimensioni del cubo elementare (?), dànno cristalli misti in tutte le propor- zioni: argento e rame, invece, con la stessa differenza, sono miscibili molto limitatamente. Ho, perciò, cercato di stabilire in modo positivo se i fluoborati alca- lini sono o no in grado di dare cristalli misti con i corrispondenti perclo- rati e permanganati. Per le mie esperienze, io ho scelto il fluoborato ed il permanganato di potassio. Data l'intensa colorazione di quest'ultimo com- posto, era prevedibile a priori che sarebbe riuscito facile l’accertare una miscibilità anche molto tenue del fiuoborato di potassio col permanganato dello stesso metallo. Pesi uguali (un grammo) dei due sali furono disciolti a caldo in acqua, in una capsula di platino. Col raffreddarsi della soluzione si ebbe un primo deposito cristallino : nei giorni successivi se ne separarono degli altri, che furono tenuti distinti. Ciascun de- posito fu sempre accuratamente e ripetutamente asciugato fra carta bibula, in modo da liberare i cristallini per quanto era possibile dalle acque madri, ricche in permanganato. Il primo deposito separato, abbastanza abbondante, era costituito da minuti cristallini, i quali, in massa, presentavano un colore porpora chiaro. Esaminati al microscopio, risultarono, per trasparenza, di un colore violaceo assai chiaro, come quello delle soluzioni molto diluite di permanganato po- tassico. Erano tutti perfettamente omogenei, ed il colore appariva diluto. Non tutti i cristalli avevano la stessa intensità di colore: in alcuni la co- lorazione era debolissima. Secondo Brugnatellìi(*), i cristalli di filuoborato potassico, ottenuti per evaporazione delle soluzioni pure, sono allungati se- condo l’asse 4, mentre quelli che si formano nelle reazioni microchimiche sono estesi nel senso di 6. I cristallini contenenti permanganato potassico sono, invece, presso a poco ugualmente estesi nelle direzioni c e d: sovente sono un po’ allungati secondo ec. Ho riscontrato in essi le forme mw}11{ e d}102} dominanti. e c}001| sempre esile: l’habitus dei cristalli più allun- gati nella direzione dell'asse verticale corrisponde a quello della fig. 527 del vol. II della Chemische Krystallographie di P. Groth, che rappresenta uno dei tipi comuni nel perelorato di potassio. Alcune poche misure prese nei cristalli di fluoborato potassico contenenti perman- ganato, si accordano con i valori calcolati da Brugnatelli per il composto puro. Così, per (102):(I102) io ho trovato 78° 11’ e 78° 14’ (78° 10' calc.). La zona [001] sembra essere piuttusto disturbata: in uno stesso cristallo io ho misurato (110):(110)= 76° 51’ e (110):(I10)= 76° 10’: il valore teorico è 76° 36’, secondo Brugnatelli. ; (1) Proc. Roy. Society, serie A, 1914, XC, 560. (2) Il lato del cubo elementare con quattro atomi misura 3,61 À. nel rame, 4,07 nel- l'oro; nell'argento, si ha praticamente lo' stesso valore che nell’oro (4,06 À.) (#) Rend. Accad. Linci, 1894 (5), III, (I), 339. Psr) ga I cristalli misti in questione non presentano pleocroismo, come era, del resto, da aspettarsi. Retgers (!), infatti, riferisce che gli aghetti esilissimi, tra- sparenti di KMn0O, non sono pleocroici, e che altrettanto accade nei cristalli di KCIO, che contengono poco KMn0,. Il secondo deposito separato era costituito da cristalli molto minuti, i quali in massa possedevano un bel colore rosso vinoso, molto più intenso di quello osservato nel primo deposito. Anche questi cristalli al microscopio apparvero omogenei, trasparenti. Il loro babitus era molto variabile: alcuni, molto piccoli, si presentavano presso a poco ugualmente estesi secondo due degli assi cristallografici, mentre i più grandi erano allungati. as Dese a meda _ di | ! j I ì U Ù I | | I | ' | I ! | Î I | | I Il | | Ù I | A za | I I I | i fr «4 | Ì I I I I | | I ] | pi FESISAI (Za x p = S i - \ x L S eZ Fre. l. Anche in questo caso, mediante misure goniometriche, fu possibile stabilire che la direzione di allungamento era l’asse c. Nella fig. 1 è riprodotto uno di tali cristalli, nel quale furono identificate le forme m {110}, d|102} , c{001} e a{100}. Alcuni valori misurati sono i seguenti: (110):(110) = 76° 29’ mis. 76° 36” calce. Brugnatelli (110):(II0) = 76 34 » 76 36 (102):(102)=78 35» 78 10 (001):(102)=39 10» 39 5 I cristalli di fluoborato potassico del secondo deposito non contenevano che 0,4% KMn0,. (*) Zeitsch. phys. Chemie, 1891, VIII, 14-15. Sy (9 AA Un terzo deposito conteneva già dei cristallini di permanganato potas- sico quasi puro. Il quarto ed ultimo deposito, raccolto dopo diversi giorni, si componeva quasi esclusivamente di cristalli di permanganato potassico, mescolati a pochi minuti cristallini di fluoborato potassico contenenti KMn0,, identici a quelli del secondo deposito. Interessante è il fatto, che, spezzando alcuni cristalli di permanganato, si è trovato che essi contenevano un nucleo. di fluoborato rosso vinoso; è evidente, perciò, che in quei casi il perman- ganato sì era depositato intorno ad un cristallino preesistente di KBF,, con- tenente un poco di KMnO,. I cristalli di permanganato. esaminati accura- tamente, si sono dimostrati privi di fluoborato, del quale non possono con- tenere che tutt'al più traccie. Groth, Muthmann e Barker(') sono d'accordo nello stabilire che i cristalli di per- manganato potassico che si ottengono da soluzioni acquose non contenenti altre sostanze sono costantemente prismatici secondo {102}. I cristalli che si sono separati, invece, dalla soluzione contenente KBF, sono, in buon numero, molto diversi, e, precisamente, schiav- ve È di Fia. 2. ciati secondo una coppia di faccie parallele di {110}, nel qual caso possono anche essere allungati nel senso dello spigolo di combinazione di quelle faccie col pinacoide base, come mostra la fig. 2, che rappresenta un tipo estremo, con le forme a{100}, è {010}, c {001}, m4110}, d{102}, 9|011}, 0{111}. Altri cristalli, invece, non sono così allungati, e nemmeno tanto tabulari, ed appaiono, allora, corti e tozzi. I cristalli del tipo ordinario sono decisamente rari. Si tratta, in genere, di cristalli notevolmente perturbati, tanto che l'angolo (001):(110) differisce in alcuni casi perfino di 18’ da 90°, ed in uno stesso cristallo per i quattro angoli (001):(111),(001):(I11),(00I):(III) e (001):(11I) si sono trovati valori oscillanti fra 63° 40’ e 64°46’, pur essendo le misure da considerarsi come buone. Altri angoli, invece, sono costanti: così, per (001):(011) si sono misurati valori compresi fra 52° 23' e 52° 25’, mentre il valore teorico di Muthmann è 52° 28/2. Anche l’angolo (102):(102). ha dato valori normali: 78° 20’ (78° 18’ calc.). (1) Per le indicazioni bibliografiche cfr. Chemische Krystallographie di Groth,. II, 168. 7 A Dalle esperienze eseguite, risulta accertato che KBF, e KMnO, possono dare cristalli misti, del tipo del fiuoborato, i quali contengono, operando nelle mie condizioni sperimentali. tutt'al più 04% KMnO,. La miscibilità allo stato solido è, perciò, assai piccola. Dal lato del permanganato potas- sico la miscibilità, poi, è praticamente nulla. Le nuove ricerche dimostrano che ben a ragione avevo sostenuto nel 1905 che le somiglianze cristallografiche da me accertate tra i fluoborati ed i perclorati e permanganati alcalini non erano accidentali: ora possiamo affer- mare che si tratta di vero e proprio isomorfismo, per quanto ridotto ad un grado assai limitato. come dimostra la scarsissima miscibilità allo stato solido, che si verifica, per giunta, soltanto dalla parte del fluoborato di potassio. In un prossimo lavoro riferirò intorno ai risultati ottenuti col fiuobo- rato ed il perclorato di potassio, come pure con questi composti, il perman- ganato potassico ed il solfato di bario. NOTE PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sugl spazi curvi. Nota di C. BurALI-FORTI, presentata dal Socio R. MaRrcoLonGO (!). Dò alcune formule per gli spazi curvi ad x dimensioni, riferendomi a cose già note (?). ” 1. Indichiamo con 4m, per m=2, la speciale H, [cfr. (9), n. 5] definita, ponendo : (1) (ene (n Mr) avendo P, 8 il significato già noto [cfr. (9)], e per la quale vale la for- mula notevole : (2) dh Ame — Ag diga Infatti. Da #8-1=1 si ha, differenziando e tenendo conto della (1) pertimi—2h dî*=— 83 (d8/dP) dP.81= — As dP.p, (1) Pervenuta all'Accademia il 23 giugno 1922. (2) Citerò i lavori seguenti che indicherò con (2), (2), ... (2). T. Boggio, (*) Geometria assoluta degli spazi curvi. Nota I. [Rend. Lincei, vol. XXVIII (1919), pp. 58-62]. — (°) /dem. Nota II (pp. 169-174) — (°) Sulla geometria assoluta degli spazi curvi. [Atti Acc. Torino, vol. LIV, (1918), pp. 186-200]. C. Burali-Forti, (9), Sugli operatori differenziali omografici. [Rend. Lincei, vol. XXV (1916), pp. 51-59]. — (2) Operatori per le iperomografie. [Atti Acc. Torino, vol. LVII (1922), pp. 285-292). ReNDICONTI. 1922. Vol. XXXI, 2° Sem. 11 e quindi, differenziando la (1), e per la (1) stessa, dAm = B-* (d'8/dPM) AP + d8-1 (Am-1g/APM-1) = AmyiAP — A30P Am. Se introduciamo l'operatore binario X , che sarà poi indispensabile anche in altre questioni, ponendo : (3) Ki, ua = Udo è ui Za ove 4, è una H, [cfr. (°), n. 5], 4, una H,; a un vettore arbitrario, ri- sultando 3(w,,y) una H,+,-1 (*), allora alla (2) può darsi la forma (4) din/dP =Una = HA 4) Si ha pure la formula importante | d(4An)= € Àm+:4P + KA434P.@Am, Ovvero l Gd(Am)/AP = Ame + IK 72, 04m). Infatti. Ricordando [cfr. (°), p. 59] che a= Kf.f, che dalla (d) si ha d8 = BAdP, e scrivendo, brevemente, 8 al posto di d*8/dP"; si ha, dalla (1), d(cAm) = d(KB. 8. 8-1, pen-0) — d(KB. pem-v) — KB. 8% dP + + K(842dP) BM-0 = cms: AP + KA30P . KB. Bim = Amr dP + L'Ri dEi 0. ded. Si ha pure in modo ovvio dalla (1) (6) A(BAm)/AP = Bim+ == d"B/dP" ; nè bisogna trascurare la formula [cfr. (9) per k applicato ad una Hm] (7) apo = che risulta da (1) perchè k(w,.w)=".k&,, ed inoltre [efr. (°), n. 4] kB = 8, da cui, successivamente, kg = pg, (1) La (3) non concorda con la (25) di (°) a p. 291; ma risulta più cpportuna la attuale (3), del resto concorde con la (25) nel caso particolare u=2 , v=1. La (25) di (2) è caso particolare della H,(&y , 4») che è pure una Hy+»-1, che definiamo ponendo: IHr(Uu , Mv) da La ario lin U Con la 4» si esprime la ® di Boggio: (8) Pp(a, a) =, [efr. (4), p. 59, (5)] e quindi 4, può chiamarsi iperomografia (H2) di Christoffel, poichè i sim- boli omonimi, a tre indici, si esprimono mediante @4, e 4» [ cfr. (°), p. 173]. 2. La 43 dà la @ di Boggio [cfr. (°), p. 61, (10)] (9) ©x(e,a,b)=7ba — x ab. Infatti. Si ha dalla (4): riva = 8 paia , dab="d 0 a parade: sottraendo, dalla definizione di © si ha la (9). Si può dare alla (9) un'altra forma introducendo l’operatore k*, tra H, e H, peru=2: (10) ‘ (k*wab=pw,ba , con a,D vettori arbitrari. Allora la (9) diviene subito (11) O,(a,a,bj=(k*—1)4ab, e quindi la (k* — 1): può chiamarsi la Hz di Riemann perchè per i sim- boli omonimi a quattro indici, si ha [cfr. (°), p. 173] | }ab,ed{=bX ©(a,c,dla=hbhX(k"—1)Z;cda, 12 (12) ( (ab, cd) =bX@©;(e,c,da=bX(k*— 1)aZ;cda (o Giova qui indicare una notevole proprietà della ©, e quindi di (k* —1)4,, non ancora nota: ( Ie" ©.(e,a,b)]=0. ovvero per la (11) (13) i | (DE (k* — 1)a"43=0, per m intero relativo. Infatti. Da (12) si ha subito (ab, cd) = — (ab, de); si ha pure[cfr. (°), p. 195, (23’)] (ab,cd)=(cd,ab); dunque (uu, cd)=0 che, per (12), vale anche per u vettore funzione di P. Si avrà dunque : etiXa©(a,a,b)e"!i=iXa"©,(e,a,b)e"i=0; (1) Poichè si ha dalla (10), k*(u,.2,)=,.k'u ,uS1,032. Tg — presi come vettori i quelli uri della dilatazione @ si ha che a"-i è pa- rallelo ad i e quindi 1Xateresa ba —0 che sommate per tutti gli i, formanti sistema ortogonale, dà appunto la prima (13) (1). i 3. Consideriamo la trasfo:mazione dello spazio rappresentativo P in quello P' [cfr. (®), p. 170] e indichiamo con 4,, per P', le H,, indicato con Àm per P. Si ha intanto: (14) (| Ag = 0] do/dP + k(430){ 0 ( A, 03 doguP'k(A50- 1) ont, Infatti. Per il do [efr. :°), p. 171, (5)], tenendo presente la (8), si ha [of (5) p. 280]: do = 0%, dl — As dP.o = 04,0-! UP — k(430) dl’ da cui risulta subito la prima (14); analogamente per la seconda. Persa A:#sihas (15) \ (£* — 1) A3= 0.3" }(k* — 1)Z3,0,0}.0 ( (it — 1) As = 0.90 {(k—1) 2,02, 0-}. 071 (2) Infatti. È noto [efr. (°), p. 171, (6); (°). p. 192, (16)] che ©.(a',a,b)=0-.©;(a,0a,0bh).0, da cui, per la (11), (k* — 1) Zgabe=0-1}(k*— 1)Z3.0a.0h .ccef= o.3'}(k* — 1) 43.0,0,0cfabe=0-7'"}(k* —1)4Z;,0,0}.ca.he, da cui, per l'arbitrarietà di a, b.c, risulta la prima delle (15) . La seconda in modo analogo; oppure dalla prima approtittando [efr. (°), p. 292, (28)] di una nota proprietà della 7'. (1) Ber m= | si ha la (18) operando con I, nella (17) di (©), p. 193. (2) La H'. peru 2 e v0 ReNDICONTI. 1922. Vol. XXXI, 2° Sem. 12 DI «Se è possibile fissare il campo di variabilità per % in modo che valga la (1), allora il coefflciente di %° dà il volume di «, quello di 2% l’area, quello di 77h° la lunghezza ed infine quello di 4/3 7743 la curvatura ». Nei casi ordinari le definizioni qui date coincidono evidentemente con quelle proposte da tutti gli altri autori. 2. Ciò premesso vengo alla dimostrazione della formola di Steiner (1) a cui accennavo dianzi. Tale formola serve a calcolare il volume del solido compreso fra due superficie parallele. Lo Steiner la ricava partendo dalla considerazione di superficie polie- driche parallele; io ne darò qui un'altra dimostrazione semplice e generale. Sia: a= (2,4), in cui f ammette le derivate parziali di tutti gli ordini che occorreranno, l'equazione d'una superficie o. Una superficie siffatta la dirò talvolta 7re- golare. Siano X, Y, Z i coseni direttori della normale nel punto (x,%,z) di o, ed 4 un numero reale assoluto; allora indico con o’ la superficie pa- rallela a o descritta dal punto di coordinate x',y",2' tali che: CEREA: y=ythY; a=gz+ AZ. Con Xx, X'y,X;, ecc. indicherò rispettivamente le derivate parziali di XY rispetto ad x, ad y, a _z, ecc.; e con do e do' gli elementi d'area nei punti corrispondenti (x ,y,4) ed (x',y',"). Allora, per il noto teorema. sulla trasformazione degli integrali multipli (Lagrange a. 1773), se ai vo- lumi ed alle aree si dà un segno: 1+hXx, DX 0 A STIRO PIANTO, hsZizana Za A] (=14 MX + Lo) +2 Ma se con 77 ed X si indicano rispettivamente la curvatura media e la curvatura totale di o, si ha: do! 1 d(y,3) de do day (Ia Viyza X'y Vo) c HSE yo e KI Ya; quindi : (6) do =(1+%4+ 4° K) do. Dalla (6) integrando si deduce che il volume Y del solido compreso fra le due superficie 0 e o' è dato da: (1) J. Steiner, Uber die parallele Flichen (a. 1840) (Gesam. Werke, 2 Bd., pp. 174-176). ' (7) V=h(do + h*/2(Hdo + h8/3fK do, che è la formola di Steiner (1). Una formola analoga alla precedente, si ha per il calcolo dell'area com- presa fra due linee parallele piane. Se si indicano con ds e ds' gli elementi d’arco in due punti corrispon- denti su due linee parallele piane Z ed L' alla distanza #, e con g il raggio di curvatura di Z, si ha: (8) ds = ds(1+ 7/0); e quindi l'area S compresa fra le due linee parallele è data da: (9) S=hfds + h2/2/ds/0 (2), In un’altra Nota calcolerò il volume compreso fra due superticie paral- lele con punti singolari (spigoli, vertici, ecc.) ed applicherò il risultato alla determinazione della lunghezza d'un solido con punti singolari; qui, invece, enuncerò soltanto alcune proprietà che sono conseguenze immediate delle mie definizioni e del teorema di Steiner. Sia 7 il solido racchiuso dalla superficie o considerata dianzi, solido che distinguerò con il qualificativo di regolare. Allora: IL solido regolare t ha: area eguale alla metà dell’area del suo con- torno ; lunghezza equale a 1/(27) moltiplicato per l'integrale, esteso 4 (1) Tale formola nei trattati di Geometria differenziale si dimostra — notoria- mente — con lunghi calcoli fondandosi sulle relazioni fra le grandezze fondamentali di 1° e di 2° ordine. (2) Ai concetti di lunghezza e di curvatura d’una linea piana si può giungere anche rifacendo nel piano delle considerazioni analoghe a quelle fatte nello spazio per giungere alle definizioni generali date nel n, 1. Infatti: Sia a un piano contenente la figura finita w; allora se si indica con «supa (0, kh)» la figura costituita dai punti di a la cui distanza da è minore od eguale ad h, facendo il calcolo materiale, si verifica che: Ar u= lim Areasupa(u, A), ki>Q0 Lon u=lim[Area supa(u,h&)— Ar ]/(24), ki> 0 Curv « Li [Area supa (u, à) — Aru— 2% Lonu]/(mh8), >0 ove il simbolo « Area» ha nel piano significato analogo a quello del simbolo « Volum » già usato nello spazio. In modo analogo ed ovvio si possono estendere le definizioni del n. 1 alle figure o campi ad x dimensioni. Per una tale figura, avrà quindi senso parlare di curvatara- integrale, lunghezza, area, volume, ecc. = 8] tutta la superficie che lo limita, della curvatura media del suo contorno ; curvatura eguale a 1/(4r1) moltiplicato per l'integrale, esteso a tutta la superficie che lo limita, della curvatura totale del suo contorno. Cioè: Art=1/2(do ; Lont =1/(27)(Hdo ; Cave = 1/(47)fKdo. Ogni superficie regolare chiusa ha lunghezza nulla, ed area e cur- vatura doppie di quelle del solido “a essa racchiuso. Per altri teoremi relativi ai solidi mu/tiplamenrte connessi; ed al cal- colo delle aree, lInnghezze e curvature della sfera, parallelipipedo rettangolo. cilindro circolare retto, cono circolare retto, poliedro convesso, prisma, pol'gono convesso, segmento, corona circolare, superficie sferica, superficie laterale d'un cilintro circolare retto, toro solido, superficie d’un paralle- lepipedo rettangolo, rimando alla mia Nota già citata. Come es., riporterò la seguente proposizione: Per una sfera solida, l'area è equale ad un mezzo dell’area del suo contorno; la lunghezza è eguale a quattro volte quella del suo raggio: la curvatura è eguale ad 1. Inoltre osservo che il procedimento ivi seguito è forse suscettibile di essere introdotto nella Scuola Media per il calcolo delle aree delle superficie curve: infatti si giunge a tali enti senza ricorrere al concetto di limite e facendo uso soltanto delle formole che danno i volumi dei solidi della geo- metria elementare. 3. Terminerò accennando ad alcuni risultati, che credo nuovi, ottenuti applicando le mie definizioni al corpo convesso. Ho dimostrato che: La curvatura d’una figura convessa è sempre eguale ad 1; ed ho trovato un notevole legame tra l’area del corpo convesso e quella della sua proiezione su un piano arbitrario, e tra la lunghezza del corpo convesso e quella della sua proiezione su un piano o su una retta arbitraria. Precisamente ho dimostrato che: ° L'area d'una figura convessa è equale a 1/(27r) moltiplicato per l'integrale sferico dell’area della proiezione della figura su un piano ar- bitrarto ; La lunghezza d'una figura convessa è eguale a 1/m° moltiplicato per l'integrale sferico della lunghezza della protezione della figura su un piano arbitrario ; 0d: è eguale a 1/(277) moltiplicato per l'integrale sferico della lunghezza della proiezione della figura su una retta arbitraria. Il concetto di integrale sferico è introdotto così: Siano g e 0 rispettivamente la longitudine e la colatitudine d'un punto d’una superficie sferica di centro un punto arbitrario O e di raggio unitario, e sia /(g,9) una funzione numerica di 4 e di @ definita per ogni punto di tale superficie; allora all’integrale: (2449 ATI sin 6 d 6 0) 0) ho dato il nome di integrale sferico di /. Quindi se x è un figura convessa ed 7 è il diametro di detta sfera passante per il punto di coordinate (@ 0), e con « Proj (w, 7)» e « Proj(w, Ir)» si indicano le figure costituite dalle proiezioni ortogonali dei punti di « ri- spettivamente sulla retta r o sul piano diametrale perpendicolare ad 7, i teoremi precedenti in formole si scrivono così: (10) Ar u=> (“ag (7 Area Proj (17) sin 0 40, 27/0 ‘0 (11) Lonu= = | Tg fr Lon Proj («, Ir)sin0 d0 = 0 0 1 (2 T . 2 = | dg f Lon Proj(w,7)sin0 d0. Si tenga presente che qui le aree e le lunghezze delle proiezioni si considerano in valore assoluto. Per le dimostrazioni di tali teoremi rimando ai numeri 3, 4 della Nota citata. Soltanto osservo che in esse ho fatto uso di alcune relazioni che legano l’area, la lunghezza e la curvatura del solido « sol(u,4)» rispettivamente con la derivata rispetto ad % del volume, dell’area e della lunghezza dello. stesso solido. Precisamente, nelle ipotesi del n° 1, si deduce: (12) Ar sol(u,h#)=1/2D Volumsol(#, A), (13) Lon sol(u, 7) = 1/mDArsol(z, A), (14) Curv sol (u, 4) = 1/4 D Lon sol(w, A), ove D indica la derivazione rispetto ad % (!). (4) O. Chisini, in un lavoro pubblicato dopo la presentazione di questa Nota all’Ac- cademia, (Ze proprietà di massimo dei poligoni e der poliedri circoscrittihili, del cerchio e della sfera; Period. di matem., serie IV, vol. II, n. 4, p. 858) approfitta del nuovo concetto di lunghezza di un solido, ed enuncia le seguenti eleganti proposizioni: « Fra i poliedri di cui è data ia lunghezza e la giacitura delle faccie quello di su- perficie massima è un poliedro circoscrittibile » ; « Fra i Solidi convessi di data lunghezza la sfera ha area massima ». (Aggiunta alle bozze di stampa). se gg Geometria. — Su/ parallelismo di Levi-Civita. Nota di G. Vi- TALI, presentata dal Corrispondente Gino LoRrIa (1). Nella presente nota mì riferisco alla nozione di parallelismo introdotta dal Prof. Levi-Civita (3) e mi domando: Dato uno spazio S, ad n dimensioni, esistono in esso degli spazi ad n-1 dimensioni in cui il parallelismo lungo una loro curva qualsiasi coin- cide col parallelismo in Sn lungo la stessa curva? Sia S,-, uno di tali spazi e ZY una sua geodetica. Le tangenti a Z° sono parallele lungo Y in S,-, (#); perchè lo siano anche in S, occorre che 7 sia geodetica di S, (4). Dunque perché un S,-, soddisfi alle condizioni richieste è necessario che tutte le geodetiche in Sn, stano geodetiche in S, 0 in altri termini occorre che esso sia uno spazio geodetico în S, (*). Io dico che questa condizione è anche sufficiente. Sia (1) ds? == D_ Us der da, 1 il quadrato dell'elemento lineare di S,. Se S, ammette uno spazio geodetico S,_, , noi possiamo immaginare scelte le coordinate curvilinee in modo che questo S,_, abbia 1’ equazione xn= 0. Indichiamo con a}, ciò che diventa 4, quando in esso si pone x, = 0. Il quadrato dell'elemento lineare di %,_, sarà dato da n_l (2) dolio der idx;i 1 (1) Pervenuta all'Accademia il 18 agosto 1922. (2) T. Levi-Civita Mozione di parallelismo in una varietà qualunque e conseguente specificazione geometrica della curvatura riemanniana. Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo, pag. 173-205. (3) T. Levi-Civita, 1. c. $ 7, pag. 183-184. (4) T. Levi-Civita. 1. c. $ 7, pag. 183-184. (5) v. L. Bianchi. Lezioni di Geometria differenziale, 2* edizione. Vol. 1°, cap. XII. $ 188, pag. 424. ioni I simboli di Christoffel di 2% specie relativi alla forma (2) si otter- ranno dai corrispondenti della forma (1) quando si pone-in essi x,=0 e li indicheremo con (5 )° ee=d2, nl) Ci (RES n—l) Poichè, tutte le geodetiche di S,-, sono geodetiche in Sn e per queste geodetiche deve essere 4, =0, sì avrà SI (red, dn _ 0) ln ds ds e. poichè in un punto qualunque di S,-, una geodetica di S,-, può avere qualunque direzione, sarà ire) (3) e (r,8=1,2,..a—1). Le equazioni di parallelismo in S,-, lungo una sua curva C qualunque sono dl Li (S) 3 ds "i; | dh .$ =0 (PEREZ «dove È, é*,...$"7! sono i parametri di direzione in S,-, di un sistema di parallele in S,-, lungo C. Considerando queste direzioni in S, si ha &"=0, inoltre per la curva C considerata in S, è 2, = 0 e TA 0. Per queste condizioni e per le uguaglianze (3) le &!, &*,...é"!,é = 0 soddisfano le ‘condizioni di parallelismo lungo C in Sn den y fre) dor, o e e i (=1,2..n). Resta così dimostrato che condizione necessaria e sufficiente perchè in uno spazio Sn-, di Sn U parallelismo lungo qualunque curva C di Sn coincida col parallelismo lungo la stessa curva C în Sn è che Sn-r Sia uno ‘spazio geodetico di S,. (1) Poichè deve essere Pei Suri) de dea ds? +%e) nds ds "i ‘v. L. Bianchi. Lezioni di geometria differenziale, 2* edizione, vol. 1, $ 157, pag. 339. (?) T. Levi-Civita, l. c., pag. 179. Roo Da un lavoro di Schur (!) risulta che condizione necessaria e suffi- ciente perchè un Sn abbia 0" Sn-, geodetici è che S, sia a curvatura di Riemann costante (*). Noi possiamo allora concludere che condizione neces- saria e sufficiente perchè in Sn esistano 0" Sn, in cui il paralielismo lungo qualsiasi linea coincida con quello in S, è che S, sia a curvatura: costante. Astrofisica. — Misure interferenziali sul disco del III° sa- tellite di Giove. Nota di MENTORE MacoINI, presentata dal Corri- spondente AzegLio BeMPORAD (°). Nella primavera di quest'anno, qualche tempo dopo il mio arrivo all’Os- servatorio di (‘atania, ho potuto far costruire, col permesso del direttore, dal tecnico signor Strano, un primo modello d'Interferometro, del tipo usato: da J. A. Anderson a Mount Wilson, che applicai all'equatoriale Merz di 33 cm. di apertura e di m. 5,57 di distanza focale. La piastra che porta le due- fenditure è situata a 60 cm. dal fuoco dell'obiettivo e può venire ruotata in angolo di posizione e la corrispondente rotazione si misura con apposito: cerchio posto presso l'oculare. Riserbandomi di dare a suo tempo una particolareggiata descrizione dello strumento, presento qui i risultati di un primo lavoro, da me intra- preso in vista di saggiarlo, sulla misura dell’allungamento del disco del IIT° satellite di Giove, Ganimede. La variazione di figura dei dischi dei quattro principali satelliti venne- constatata la prima volta nel 1892 da W. H. Pickering e confermata di poi da altri; le osservazioni più recenti sono quelle del Phillips, pubblicate in Monthly Notices, dic. 1921, il quale ha suggerito di misurare l'allunga- mento del disco con l’ Interferometro. Come è noto, la misura del diametro dei quattro principali satelliti di Giove costituì la prima applicazione deì metodì interferenziali all'astronomia per opera del Michelson nel 1890 e di Hamy nel 1898, ma ambedue questi autori considerarono il disco del satellite come perfettamente rotondo. Nelle presenti osservazioni ho avuto per scopo soltanto di determinare l'allungamento di figura, senza preoccuparmi di misurare il diametro appa- rente ormai noto. Dirò subito che in principio non speravo di ottenere dei buoni risultati perchè, come si sa, la superficie del III° satellite non è uniformemente lu- (1) F. Schur, Veber den Zusammenhang der Rame costanten Riemannschen Krim- mungmaasse mit den proiectiven Raiimen. Math. Annalen Bd. 27, anno 1886, pag. 537 e seguenti. (2) Di questa proposizione pubblicherò fra breve una dimostrazione. (3) Pervenuta all'Accademia il 16 agosto 1922. -- 89 — minosa, ma presenta delle macchie, certo non molto cospicue, ma capaci di: portare una influenza su misure così delicate come sono quelle di visibilità delle frange: tra gli altri il Pickering, il Douglass, il Comas Sola, hanno notata sul bordo del disco una macchietta brillante, simile alla calotta po- lare di Marte, circondata da regioni più cupe. In questa opinione venne a confermarmi anche la fortunata circostanza di un colloquio col prof. Hamy, allora in Italia, che mi fu largo di consigli e m'incoraggiò a tentare la ri- cerca allo scopo di studiare quale influenza può avere sulle misure la irre- golare illuminazione degli elementi della superficie che origina le frange. Nel frattempo il prof. \W. H. Pickering mi inviò una delle sue scale dì ellit- ticità da lui impiegate col rifrattore Boyden di Arequipa ed attualmente con quello di Giamaica; con questa ho potuto fare, di pari passo con le misure interferenziali, delle stime di ellitticità col metodo comunemente usato in questi studî. Allo scopo di usufruire della maggior quantità di luce possibile ho te- nute le fenditure molto larghe: così, detta 4 la loro larghezza e D la di- stanza dei loro assi, le osservazioni sono state eseguite coi rapporti di apertura d=0,3D d=0,44D d=0,5D:; come a suo tempo dimostrò Hamy (1) e come risulta da esperienze più recenti di Anaerson (*), le formole generali, valevoli per fenditure strette, sono applicabili, salvo leggere modificazioni, anche alle fenditure larghe. Anche nel caso limite d—0,5D le frange sul III° satellite sono state sempre visibili, quando la distanza D lo permetteva, quantunque l’immagine sia stata qualche volta agitata in una maniera tale che difficilmente avrebbe permesso di usare il micrometro. Tolti questi rari casi, la calma delle immagini che sì ha dal cielo di Sicilia e la bontà del- l'obiettivo Merz mi hanno permesso di constatare fino dalle prime sere un notevole cambiamento nella visibilità delle frange quando le fenditure veni- vano ruotate in angolo di posizione. Una misura completa con l’Interferometro consisteva nel determinare la visibilità delle frange sul disco del satellite in varî angoli di posizione. A questo scopo, stabilito il valore della distanza D per cui scomparivano le frange quando le fenditure erano orientate normalmente all'equatore del disco (supposto nello stesso piano dell’equatore di Giove) ruotavo l'Interfero- metro in angolo di posizione e determinavo la visibilità ad intervalli di 459, notando in più l'angolo in cui avveniva la visibilità massima e quello in cui avveniva la minima; l'ingrandimento usato fu di 850 volte. Ogni osser- vazione era preceduta da puntate in angolo di posizione dell'equatore di Giove a cui venivano poscia riferiti tutti gli altri angoli; il tempo impiegato per una misura completa era di circa due ore. (1) Bulletin Astronomique, tome XVI, 1899, pag. 257. (*) Astrophysical Journal, vol. LI, 1920, pag. 263. RenpICONTI. 1922. Vol. XXXI, 2° Sem. 13 La « visibilità » è stata ottenuta eguagliando un sistema ausiliario di frange a quelle date dal satellite. Il sistema ausiliario è prodotto nel campo dell’oculare da un insieme ottico laterale con fenditure regolabili; se 7 è il rapporto della larghezza delle fenditure dei due sistemi di frange, la « vi- sibilità » è data, secondo Michelson, dal rapporto 2 de og Prendendo per ascisse gli angoli di posizione e per ordinate i corri- spondenti valori di V ho tracciate le curve di visibilità delle frange. Queste curve presentano in generale due massimi e due minimi simmetrici, di- stanti 180°, ciò che sta ad indicare o che siamo in presenza di un corpo allungato o che la intensità luminosa non è distribuita in modo uniforme sul disco. L'amplitudine delle curve, ossia la differenza fra l'ordinata mas- sima e la minima, varia secondo la longitudine del satellite nell'orbita: essa è massima in prossimità delle due congiunzioni col pianeta, è minima e quasi nulla intorno a 270°, ossia alla elongazione occidentale, nella qual epoca il disco si presenta rotondo. Questo fatto può vedersi nella figura qui sotto che sì riferisce alle misure eseguite alle date 10 aprile e 15 aprile in cui il satellite era prossimo rispettivamente alla congiunzione superiore ed alla elongazione occidentale. == f RESCUE): T I T asl 1 al Te 0.9 Ca do a 0.7 je at 0.5 | L 10 È - 5 j IN i 0.8 |- = Ì pi Pr iI I 45° 90° 135° 180° 235° 270° 315° Fi. 1. Visibilità delle frange (ordinate) sul disco del satellite per varii angoli di posizione (ascisse). Curva superiore: 1922 Apr. 10 — Curva inferiore: Apr. 15. Una volta determinata la visibilità delle frange ai due massimi e ai due minimi, è possibile ottenere il valore dell’ellitticità corrispondente; una calibrazione dell'Interferometro su dischi di nota ellitticità mi è sembrata la migliore soluzione: i risultati verranno quanto prima pubblicati. La posizione dei due massimi e dei due minimi delle varie curve di visibilità si sposta da una data all'altra lungo l’asse delle ascisse, indicando, SE 59 come ha già fatto rilevare il Phillips, che l’angolo di posizione dell'asse maggiore dell'elissoide cambia con la longitudine del satellite. Le mie mi- sure non sono abbastanza numerose da permettere uno studio completo del fenomeno; sembra che passata la elongazione ovest ed iniziato l'allungamento, l'estremità nord dell'asse maggiore rimanga rivolta ad ovest del polo del- l'orbita fino all'elongazione est; da questa in poi sembra che la stessa estre- mità dell'asse sì rivolga verso est. i Nella tavola seguente sono raccolte le migliori osservazioni eseguite dal 1° aprile al 10 giugno, distribuite in sruppi di 30° di longitudine © a partire dalla congiunzione superiore geccentrica; ciascun gruppo è il medio di due o tre osservazioni. Nelle otto colonne appresso, intestato Vo... V315, sì trovano i valori medî delle « visibilità » osservate, e nelle colonne « e P sono rispettivamente l’amplitudine e l'angolo di posizione dell'estremità nord dell'asse maggiore dell’elissoide (1). Vis Voo Viss Viso Voss Varo Varo 10 | 0,75 Donare 0.55 | 0.70 | 0.97 | 0.80 | 0.60 30 {0.77 | 0.95|0.75|0.60| 0.70 | 0,95 | 0.80! 0.60 60 | 0.77} 0.90|0.87]0.67|0.60 | 0.80 | 0.93 | 0.75 90 | 0.55 | 0.85 | 0.95 | 0.80 | 0.65 | 0.75 | 0.95 | 0.85 120 | 0.75 | 0.75 | 0.90] 0.90 | 0.70 | 0.65 | 0.85 | 0.90 150 |[ 0.80] 0.70 | 0.85|0.90f 0.75 | 0.67 | 0.77 | 0.93 ed. [== | — e — a 210 [0.83 | 0 70 | 0.77 | 0.87 | 0.75 | 0.65 | 0.83 | 0.83 240 | 0.95 [0.97 | 0.97 | 1.00] 0.97 | 0.95 | 0.95 | 1.00 270 | 1.00] 1.00 | 1.00 | 1.00 | 1.00 | 1.00 | 1.00 | 1.00 300 | 0.601 0.75 | 0.85 0.75] 0 70|0.73|0.85|0 800.25 | 351 330 | 0.60] 0.85 | 0.90 | 0.77 | 0.65 | 0,75 | 0.90|080]|0.30| 340 DS D_ VD o I N (Vie) OR (ob Durante il mese di maggio insieme alle misure interferenziali eseguii anche delle stime con le scale inviatemi dal prof. Pickering; la relazione fra l’ellitticità e così determinata e l’amplitudine # risultò: e-C00. (l02% SMig4, 01:06. T,08680Ci0 112 1,14 e-05000. 20,11 70,18% 0,23% 072600029 0.31 0,34 Se poniamo in relazione i valori dell’amplitudine # con le longitudini @ vediamo che essi decrescono fino alla elongazione occidentale (O = 2709) salvo un leggero massimo alla elongazione orieutale (© = 90°), per poi cre- scere nuovamente. (1) I valori estremi sono corrispondenti a @ = 10° e @= 880° e, data la vicinanza del disco di Giove, sono ì più incerti. Per @ = 0° l’osservazione del satellite è impossibile perchè in tale longitudine esso è occultato d..l pianeta; per @= 180° il valore di e è quello dedotto da stime di ellitticità con le scale ed il valore di P è misurato col micrometro. 23 4(0)7 AGRA La curva di variazione dell'amplitudine «, o dell'ellitticità che torna. lo stesso, rassomiglia alle curve di splendore dei satelliti; ciò può rilevarsi dalla tisura seguente in cui la linea punteggiata è quella che sì ottiene pe- requando le osservazioni eseguite da Wendell(!) sull’ottavo satellite di Sa- turno. Japetus. T Falsa sal ‘milani T 1087” 7 "I, Tr T5 7. 04 È 1 ' a A sc; /® 0,3. |P L ZA £ i 02 %o _ is a . 99 A O x 0.1 4 A | ET | 10% us x n ì + | n | dae Egon 2° | be | j L L —— L l DÌ dl A il I 30° 600° 90° 120° 150° 180° 210° 240° 270° 300° 330° Fis. 2 Curva superiore - II° sat. 2f - Variazione dell’ amplitudine e (ordin.) delle curve di visibilità con la longitudine nell’orbita (ascissc). Curva inferiore - VIII° sat. b_- Variazione della grandezza stellare (ordin.) con la longitudine nell'orbita (ascisse). Quanto precede parrebbe in favore all'ipotesi di una distribuzione ivre- golare, o almeno assai complicata, dell’intensità luminosa sulla superficie. di Ganimede. Da questo lato dunque le misure interferenziali non possono dare direttamente ragione dei fatti osservati, come d'altra parte non lo possono le misure micrometriche o le stime di ellitticità; però, a differenza di questi due ultimi metodi, le frange di Young si prestano ad un’analisi matema tica rigorosa. Un primo passo nella risoluzione del problema è stato fatto da Hamy nel caso in eni lo splendore del disco di un astro decresca in modo uniforme lungo un raggio (). che è il caso di un involucro atmosfe- rico assorbente o diffondente; osservazioni più numerose, istituite sopratutto allo scopo di fissare con la massima possibile esattezza le posizioni dei mas- simi e dei minimi di visibilità delle frange per una data distanza delle fenditure e per varî angoli di posizione, potranno permettere di giungere alla risoluzione del problema anche nel caso di una distribuzione meno sem- plice dello splendore, come è probabilmente il caso del III° satellite di Giove, (3) Annals of Harvard College Observatory, vol. LXIX. pag. 219. (2) Comptes Rendus de l’Ac. des Sc., tome 174, 1922, pag. 342. — 98 Astronomia. — Sulla massa delle stelle doppie spettrosco- piche. Nota di Groraio ABETTI, presentata dal Socio A. Di LeGGE ('). La massa dei sistemi binari spettroscopici non si può determinare con i soli elementi derivati dalle osservazioni spettrali. Nel caso più generale, e cioè quello in cui è stato osservato soltanto lo spettro della componente più luminosa, con gli elementi orbitali spettroscopici si può calcolare soltanto la funzione: mi sen® 7 e (Mi + ma)? dove mn, ed m, rappresentano le masse delle due componenti ed % l'incli- nazione del piano dell'orbita. Per quei sistemi per i quali è possibile l’os- servazione degli spettri di ambedue le componenti, con la conoscenza delle semi-amplitudini delle loro curve di velocità e degli elementi orbitali sì ri- cavano il rapporto delle masse e le quantità w, sen*7 e ms sen? 7. Già Ludendorff aveva mostrato (*), facendo le probabili ipotesi che il rapporto delle masse a e l'inclinazione è sieno costanti per tutte le classi LI. spettrali, come la massa totale dei sistemi spettroscopici diminuisca con l'avanzare del tipo spettrale dalle classi 0e a K, ciò che è in accordo con i risultati che si sono ottenuti per le stelle doppie visuali estesi recente- mente anche alle stelle singole (8). Ho accennato in una precedente Nota (4) alle relazioni che corrono fra gli spettri, la differenza di grandezza delle componenti le stelle doppie vi- suali e la loro massa. Nel compiere quella ricerca mi era sfuggito un som- mario (5) di un lavoro di Leonard non ancora pubblicato, per quanto io sappia, in extenso; di più contemporaneamente alla mia Nota veniva pub- (1) Pervenuta all'Accademia il 19 settembre 1922. (9) Astr. Nachr. 4520, 5046. (3) Seares, The Masses and Densities of the Stars. Astrophys. Journ., vol. LV, pag. 165. (4) Rend. Lincei, vol. XXXI, pag. 359, maggio 1922. (*) Z'he Spectra of the Components of visual double stars (Abstract). — Publ. Astr. Soc. of Pacific, vol. XXXIII, pag. 213, agosto 1921. blicato da Doig (!) un altro studio sullo stesso argomento. La ricerca di Leonard deve considerarsi fino a questo momento la più completa perchè egli ha potuto anche studiare direttamente spettri di stelle doppie apposita- mente fotografati all’osservatorio di Lick. Le sue conclusioni concordano con quelle dedotte da Doig e da me, e cioè il compagno secondario precede sempre nell’ ordine dell'evoluzione stellare il compagno principale, ma la differenza nelle classi spettrali delle due componenti sembra piuttosto dipendere dalla differenza di grandezza fra le due componenti che non dallo stadio di svi- luppo del sistema. In altre parole, secondo le ricerche di Leonard, se le due componenti sono uguali o pressochè ucuali in grandezza anche le loro classi spettrali sono uguali, con poche eccezioni fra le stelle giganti, e differiscono invece l'una dall'altra tanto più, quanto più aumenta la loro differenza di splendore. Naturalmente poichè in generale differenza di grandezza indica diversa lu- minosità e masse diverse, ne segue che quando la differenza di grandezza aumenta deve anche aumentare la differenza delle masse delle componenti e conseguentemente la differenza di ciasse spettrale e l'indice di colore. Si può vedere se queste relazioni si verifichino anche per i sistemi spet- troscopici valendosi del materiale finora raccolto. Prendendo prima a considerare le doppie spettroscopiche di cui sono state osservate ambedue le componenti e delle quali si conosce quindi il rapporto delle masse, si nota che gli spettri delle due componenti sono in maggioranza uguali o pressochè uguali fra di loro per le stelle del primo tipo di Secchi (?). Questo fatto trova analogia nei sistemi visuali (3) tanto più che per tali sistemi spettroscopici è possibile di osservare i due spettri combinati, probabilmente perchè le due componenti sono di grandezza uguale o quasi uguale e ciò fa prevedere che il loro rapporto delle masse deve es- sere prossimo all'unità. Dalla lista delle spettroscopiche binarie data da Aitken (4) con l’ag- giunta dei risultati più recenti che si trovano nelle pubblicazioni di Monte Wilson, Lick, Victoria in Canada etc. ho scelto tali sistemi dividendoli in tre gruppi secondo che appartengono alle classi da B a Bs, da Bs ad Az, e da As a G. Con la conoscenza della parallasse determinata direttamente od indirettamente a mezzo del moto proprio e della grandezza apparente, ho determinato la loro grandezza assoluta. Il rapporto delle masse segue (!) 7'he spectra of physically connected pairs and the Giant and Dwarf Theory. Monthly Notices of the R. A. S., vol. LXXXII, pag. 372, april 1922. i (3) Schlesinger and Baker, A comparative study of spectroscopic binaries. Publ. Allegheny observ., vol. I, n. 21, pag. 142, 1910. (3) Rend. Lincei, loc. cit., pag. 361. (4) The binary stars, pag. 296 e segg., New York, 1918. dagli elementi orbitali che danno le quantità wm, sen? ?, ms, sen? 7. Di più se sì estendono ai sistemi spettroscopici i risultati ottenuti da Seares nella sua magistrale ricerca sulle masse e densità delle stelle si potrà avere per ogni gruppo un'idea approssimata della massa totale dei sistemi apparte- nenti ai tre gruppi, deducendola dal diagramma (*) dato da Seares, in fun- zione della classe spettrale e grandezza assoluta media. Si ha così la seguente tabella: Spettro | Gr. ass. . : Mo mi + ma Nr. GRUPPO ì ; m,sen?i|mysent È . A medio media Mi ©=1 sistemi Billa B; B, — 16 8.6 6.1 0.71 = 0.06 | 101 11 Bs ad A; ASS + 0.2 2.4 1.9 0.80 = 0.04 6.8 22 As a G F, + 2.0 a 1.0 0.90 + 0.02 2.2 10 La massa totale dei sistemi dei varî gruppi conferma l'andamento tro- vato da Ludendorff con la trattazione di tutti i sistemi spettroscopici, di più si vede che il rapporto delle masse rimanendo in media prossimo al- l’unità, tende a crescere con l'avanzare della classe spettrale come già aveva notato Aitken (?). Se questa tendenza dipenda dalla differenza di grandezza delle componenti come per i sistemi visuali non si può dire perchè non si conoscono le dette grandezze. La conoscenza delle masse ci conduce a quella dell’inclinazione media dei piani delle orbite che risulta per tutti e tre i gruppi: =. Per un numero infinitamente grande di sistemi binari il valore medio di é risulta di 57° (3); nel caso particolare di questi sistemi l’inclinazione è maggiore perchè appunto per orbite molto inclinate è più probabile che sì possano separare gli spettri delle due componenti. Un altro gruppo di spettroscopiche binarie che fa parte delle stelle gi- ganti nel primo ramo dell'evoluzione stellare è quello delle Cefeidi. Per (1) Loc. cit., pag. 210. (2) Loc. cit., pag. 207. (3) Aitken, loc. cit., pag. 204. — 956 — queste la srandezza assoluta e la massa sono note con buona approssima- zione (') e se ne trovano quindici di spettroscopiche binarie per le quali si conosce il valore della funzione /. Inoltre poichè le Cefeidi sono variabili per le quali l'inclinazione del piano dell'orbita è certamente compresa fra 60° e 90°, si può ammettere che sia in media, per il gruppo, uguale a quella ‘trovata precedentemente e si avrà quindi: 1 . | Gr. ass. Ma Nr. Spettro m dio media | Mit Ma f | da, sicilia Fs — 24 7.2 0.004 0.09 15 Dal rapporto delle masse si nota, che mentre la componente principale appartiene alla classe delle stelle giganti, la secondaria apparterrebbe a «quella delle nane con una massa minore di quella del sole e quindi di tipo più avanzato di quella del compagno principale. Questo fatto, che è in ac- cordo con le variazioni osservate negli spettri delle Cefeidi durante le va- riazioni di luce (*), non lo è invece con ciò che si è trovato per i sistemi visuali appartenenti alla classe delle giganti (*) per le quali il compagno secondario precede nella sequenza delle classi spettrali il principale. Tale risultato si deve tuttavia considerare con riserva, dato che per le difficoltà di spiegare l’esistenza delle Cefeidi come sistemi binari spettroscopici, sono state avanzate teorie che si tratti piuttosto di stelle isolate soggette a pul- sazioni periodiche (*). In contrapposto alle Cefeidi per le quali il valore della funzione / è molto piccolo, stanno i sistemi di classe Oe con un valore di / notevol- mente maggiore (5); ma lo scarso numero di sistemi (quattro o cinque) finora studiato e la mancanza di dati sulla loro massa non permette di trarre per il momento alcuna conclusione. Restano infine da considerare i sistemi spettroscopici per i quali è stato osservato soltanto uno spettro e che sono i più numerosi. Dividiamo anche (*) Seares, loc. cit., pag. 209. (3) Contributions from th: Mount Wilson Obs., N 92, pag. 114 e N. 196, pag. 395. (3) Rend. Lincei, loc. cit., pag. 362. (4) Shapley, On the Nature and Cause of Cepheid variation. Cont. Mount Wilson, N. 92, 1914. (9) Ludendurff, loc. cit., pag. 110. (ty questi secondo le classi spettrali alle quali appartengono e di più, per le classi da F a K, separiamo i sistemi giganti da quelli nani. Calcolando come già si è detto la grandezza assoluta media, si può, dal diagramma di Seares, ricavare il valore approssimato della massa totale media dei sistemi appar- tenenti ai varî gruppi. Inoltre, col valore medio della funzione / e il valore probabile di sen? = 0.68 (1), anche il rapporto delle masse 2 81 cha Mi così la seguente tabella: Spettro | Gr. ass. l mb mo Mo Nr. GrUPrO ; . / , : medio media (Oil Ma sistemi B a Bz B, — 12 0.260 ET 0.52 27 Bs ad Az LO — 0.1 0.144 6.9 0.47 37 Î i 086 3.3 0.78 18 g1ganti re Fs È 59 2 (019 She + 31 0.058 14 0,65 922 Il rapporto delle masse è in media per tutti questi sistemi 0.60, in- feriore a quello trovato per i sistemi di cui sono stati osservati ambedue gli spettri, anche facendo le dovute riserve per l'incertezza dell’inclinazione 7. Questo risultato si può mettere in relazione appunto con la maggiore dif- ferenza di splendore che deve esistere fra le componenti di questi sistemi. Se esista un aumento del rapporto delle masse con l'avanzare del tipo non si può per il momento concludere perchè, data l'incertezza delle grandezze assolute provenienti in gran parte da parallassi indirette, la divisione fra sistemi giganti e nani delle classi F a K non è abbastanza netta da assi- curare una precisa valutazione della massa. In conclusione sembra che si possa estendere anche ai sistemi spettro- scopici binari il risultato trovato per i sistemi binari visuali, e cioè che il rapporto delle masse delle componenti si avvicina all'unità quando le gran- dezze e quindi i tipi spettrali delle due componenti tendono ad uguagliarsi. (1) Aitken, loc. cit., pag. 204. ReNDICONTI. 1922. Vol. XXXI, 2° Sem. 14 egg Meccanica. — Sul principio di equivalenza in relatività. Nota di EnRIco PERSICO, presentata dal Socio T. Levi-CrviTa (1). Si consideri la varietà spazio-tempo riferita a due diversi sistemi di coordinate x, , 1,42. X3, € Yo,Y1,%Y2,%s, i quali abbiano, in un asse- gnato punto P le seguenti proprietà: 1. La linea coordinata x, sia tangente alla linea coordinata yo, cioè, indicando con una sopralineatura (come faremo sempre) il valore di una quantità nel punto P, WU, _ VER 0; (1215253) 2. Lo spazio x, =cost. sia tangente in P allo spazio yy =cost., cioè do __ = dr 0; (11265) 3. Sulle linee x, e yo i parametri stessi (ai quali attribuiremo il significato di tempo) siano presi in modo, che i IX) À Vogliamo vedere in che relazione sta la gravità relativa al sistema x, con quella relativa al sistema y, considerate entrambe nel punto-istante P.. Notiamo che per l’ipotesi 1. i due sistemi di riferimento spaziali x, , xa, %3 € Y:13%» Y3 sono, in P, momentaneamente e localmente in quiete l'uno ri- spetto all’altro. La gravità X nel sistema x è, per definizione (*), uguale all’accelera- zione di un punto materiale libero, in quiete: le sue componenti X”, rife- (1) Pervenuta all'Accademia il 4 luglio 1922. (*) Cfr. "l. Levi Civita, ds? einsteiniani in campi newtoniani. Rend. Acc. Lincei, vol. XXVI (1917, 2° sem.), pag. 810. — 9) rite al sistema «1,2, 23 (per il che le distingueremo con l'indice x) si ricaveranno perciò dalle equazioni delle geodetiche, ponendovi a Xi _0; 0= be: ((,r=1,2,8) 900 V900 (dove 700 è, naturalmente, il coefficiente di dx} nella forma fondamentale ds?, e il punto indica derivazione rispetto a s); sarà quindi, con particolare riferimento al punto P (1) X= |" (r=1,2,3) Analogamente, la gravità esistente nel sistema y, riferita alle coordinate Y1:%2,Y3, Sarà, in P 10) Ti,=— {0 (@=1,2,3) Per confrontare questi due vettori, vogliamo riferirli allo stesso sistema di coordinate, p. es., Y1, 2 , 3; il che è possibile, perchè il vettore X, che appar- tiene allo spazio x) = cost., apparterrà, in virtù dell'ipotesi 2., anche allo spazio y,==cost., onde potremo riferire anch'esso al sistema %1,%»,%3: le sue componenti controvarianti relative a questo sistema, saranno denotate COMXXo: Esse sono, in virtù della comtrovarianza, e della (1) 3 xe na i, xs dYr gi Da (00) dYr Ezo* dI | $ E dIs e per una nota formula di Christoffel Di dDyr È (jk DI; dYa 9 Vir Njk SVARVE (2) i dI Dai a dX0 EE 00 Pos (rh d° = siga Vediamo il significato del 1° termine. Un punto, in quiete rispetto al sistema x, si muove, in generale, ri- spetto a y: se esso però si considera nel punto-istante P, la sua velocità — 100 — rispetto a y è nulla, e la sua accelerazione rispetto a y ha le componenti n d° Yr ‘Ivi Questo vettore A sì può chiamare (con una ovvia estensione di denomi- nazioni abituali) accelerazione del sistema x rispetto al sistema y, in P. Calcoliamola esplicitamente: dyr= SE dr, ly, = "= dxo quindi dYn _dYr. dYo dyo d%0 dI0° Differenziamo ancora AL Suri (Ss dYo _ dY | dt 0 dyYo DL DINA Io a e quindi dr _ _L_ [De dUo dUrd*Y0 - da dro dr d0 | dYo (Re) do Introducendo per le derivate i particolari valori che esse hanno in P, abbiamo ERE (Pm dys Du La (2) sì può dunque scrivere ossia, vettorialmente (3) ve. Se il sistema y, in particolare, è localmente geodetico in P, allora Y=0, e quindi (31) Ye lA È ovvio il significato fisico di queste formule: esse esprimono, in forma più precisa e più generale, il noto principio, secondo cui un osservatore, chiuso in una gabbia animata da moto uniformemente accelerato, non può distinguere gli effetti di questo moto da quelli di un campo gravitazionale uniforme e costante. A. Meccanica. — Sul/a velocità minima (*). Nota di ANTONIO SIGNORINI, presentata dal Socio T. Levi-Crvita (°). ... effettivamente, uniformandosi ad un procedimento più volte usato nella mia Memoria (*), senza difficoltà si dimostra in modo del tutto ri- goroso che nel moto (non rettilineo) di un punto grave in un mezzo resi- stente — almeno (‘) sotto ipotesi perfettamente legittime circa la funzione resistente — è sempre (00) velocità = v > una certa costante positiva. Anzi, quando si aggiunga l’ipotesi densità del mezzo=d = cost., senza maggiore sforzo e sempre senza alcuna incertezza si stabilisce il teorema (5): « Dentro il ramo discendente della traiettoria v presenta sempre uno «ed un solo estremo: un minimo positivo ». Nella dimostrazione che ora Le esporrò sfrutto ripetutamente la circo- i F(v stanza che non solo la funzione resistente F(v), ma pure il rapporto Mo v è da supporre costantemente crescente con v. Indico con @ l'inclinazione della traiettoria contata positivamente dal- l'orizzonte verso il basso e quindi scrivo l'equazione dell’odografa nella forma (2) = — cd F(v) con gd (v cos 6) v de c= cost. > 0. (1) Da una lettera al prof. Levi-Civita. (2) Pervenuta all'Accademia il 4 luglio 1922. (8) Un teorema di confronto in Balistica esterna ed alcune sue applicazioni. Ren- diconti del Circolo Matematico di Palermo, tomo XLIII, 1918-19. (4) Ad es., supponendo la resistenza di mezzo costante e superiore al peso del mobile (ciò che equivale al riferirsi al moto di un punto grave sopra un piano scabro d’inclinazione minore dell'angolo d'attrito) si trova che v si annulla per un valore finito di t, in corrispondenza del quale la tangente alla traiettoria si riduce verticale. (5) V. Siacci, Sulla velocità minima [[Riv. d’Artiglieria e Genio, vol. I e JI (1901)]. — 102 — Rappresento inoltre: con d, un limite inferiore dei valori presi da d al disotto dell’oriz- zonte; con dx un limite superiore dei valori presi da d nell'intero campo del moto; con v; la radice dell'equazione gi-=(C0m EV); con vw il più grande dei due valori vy (velocità iniziale) e ve; con g(= — ®;) l’angolo di proiezione, che, naturalmente, suppongo positivo e < 5 ? Per 0020 =0, dalla (2) risulta D <<"0 VvLVI D'altra parte, per oceci, ove sia so la (2) fornisce 0— cu Un V, 1 d “(eco cos 0) 1 1 (4) v? così 0 2A v, cost 0 Questa diseguaglianza, integrata tra 0, e 0. fornisce subito Vo COS P LSI9 (eg + tg0) Va L) SA, TÈ V, Vv, \ ; — cos0tg ® + sin@ AI sp 59 t sin ‘ed infine v, cos @ Va "? in +-9) Onde resta stabilito che lungo l’intera traiettoria è (1) v>v,c060>O. Introduco ora l'ipotesi Oi (CORIO 00 Per essa, se si deriva la (2) rispetto a 0 e successivamente sì pone 2 d =0, si trova Do =v>0. Ciò evidentemente basta per asserire che, ove il teorema enunciato non sussistesse (!), v dovrebbe essere decrescente ° DA IT in tutto l'intervallo (6, 2) ; : valore che, per IGHIS Chiamo, per un momento, v, il valore di v per 6 = le (1) e (8), certamente soddisfa alla relazione (1) La (1) è sufficiente perchè tanto ‘quanto 1 (e) yz v tg 9d6, I/60 «divengano infiniti per 6 >; ; — 104 — (6) 0 @ VEE Osservo che è, non può differire da v.. Invero la (2) può scriversi do _ 980 0—- cd F(v) dé g cos 6 e quindi, se insieme a v > 0 si avesse g_-còF(0)+0, dv ci TRAE colla (6). Dopo questo, per la dimostrazione del teorema basta escludere che — anche quando sia vv, > Ve —- possa essere TGS Me: Il i ag 0=— diverrebbe infinita come © —_: ciò che è in contrasto 2 cos é (7) DEDE . . . TT per ogni valore di @ interno a (0, 5). All'uopo procedo per assurdo, osservando che dalle (2) e (7) segue g d(v così) F(v) F(ve) GENS e NI BA, v dé e v IS 5 DE s cioè 1 d (v cos 0) 1 1 d(v eos) > __1 v? così 0 d0 Il secondo membro di questa diseguaglianza non differisce dal secondo membro della (4) altro che per lo scambio di v, con v.. Onde, gli stessi passaggi che portano dalla (4) alla (5) permettono attualmente di conclu- dere che dentro (0. z) sarebbe sempre v, 608 O, Uto) con igo,=tgg+ — ue Vo COS Rersor— £ — ©, si avrebbe dunque v CUICOSO <= vr. Resta così messo in evidenza che la ‘(7) è assurda. — 105 — Fisica. — Comportamento elastico del nichel ad alte tempe- rature (*). Nota del dott. WasHineton DeL REGNO, presentata dal Socio M. CANTONE (°). Io una mia precedente Nota (*) ho messo in evidenza il diverso com- portamento della tenacità del nichel a seconda che esso sì trova a tempera- ture inferiori o superiori a quella corrispondente alla trasformazione magne- tica. I valori dati per la tenacità furono riferiti alla sezione iniziale dei fili cimentati: uguali conclusioni sono da trarre, come si rileva dai dati che seguono e dalla fig. 1, qualora ci si riferisca alla tensione limite effettiva, cioè 40 k tr Da Fia L al rapporto fra il carico massimo e la sezione di rottura che può rilevarsi con grande esattezza col dispositivo del doppio filo usato in queste esperienze. Temperature 159. 100° 200° 200° 400° 5000 Tenacità riferita alla sezione iniziale Kgr. 52,40 50,95 50,15 49,39 48,55 35,78 ” b) ”» di rottura » 69,60 65,40 61,60 58,10 57,10 88,75 (') Lavoro eseguito nell'Istituto Fisico della R. Università di Napoli. (3) Pervenuta all'Accademia il 5 settembre 1922. (3) Rend, Reale Accad. Lincei, anno 1922, 1° sementre, fascicolo 11°, pag. 4. . RenpICONTI. 1922, Vol. XXXI, 2° Sem. LU) — 106 — In più è da rilevare un particolare di notevole interesse e cioè che fra 300° e 400° si ha una piccolissima diminuzione della tensione-limite effet- tiva, mentre prima e dopo di questa temperatura si hanno variazioni note- volmente maggiori con un andamento della curva che è quello caratteri- stico delle sostanze che presentano un'estesa zona di trasformazione. La rottura dei fili avveniva sempre su di uno dei tratti e quasi sempre nella parte mediana: le misure del diametro indicano l'uniformità della se- zione sia nel tratto rimasto intero sia nei tratti adiacenti alla zona di rot- tura. In questa, che presenta estensione piccolissima, si ha un'ulteriore di- minuzione del diametro non superiore ai due centesimi di questo valore: è da ritenere quindi che in quest'ultima fase della trazione si abbia un pro- cesso assai rapido al quale il filo non partecipa e che la sezione all'inizio di questa fase sia la vera sezione di rottura. L’uniformità della sezione ed il fatto che il valore della tenacità a temperatura ordinaria da me ottenuto corrisponde a quello avuto dal Cantone (*) con fili molto più lunghi, toglie ogni dubbio sulla possibile influenza dei legami agli estremi, dubbio che nel mio caso si presenta legittimo per la piccolissima lunghezza dei fili. d=0,510 r=69,6 69,7 69,4 69,6 69,6 media 69,6= 0,02 (Cantone) da=0,510 = 69.6 69,9 69,8 69,3 — media 69,6 + 0,2 (Del Regno) Dilatazione elastica Coefficiente Diamicno Contrazione zx HAL di Polen Temperatura 4A lineare cubica i 1 Lo 5 cada (d) d 4L di 4L ® L L 159 mm. 0,51 0.129 0.355 0.099 0.36 100° ” ” 0.112 0.304 0.085 0.36 | 2009 » » 0.099 0.276 0.077 | 0.36 | 000 ia 0.083 0210 0.046 | 039 | 4000 ” ” 0.080 0.205 0-045 | 0,39 5000 ” D) 0.043 0.108 0.024 | 09 (1) Atti del R. Istituto d'Incoraggiamento di Napoli, anno 1922. — 107 — Ulteriori ricerche eseguite con lo stesso dispositivo con l'aggiunta di una penna portata dal gambo del sistema sottoposto a trazione e scrivente sopra un tamburo girevole con sistema di orologeria, permettono di individuare altre interessanti modalità del comportamento elastico. Dalla tabella I si rileva innanzi tutto che a 300° si ha un valore della dilatazione elastica uguale a quello che sì ha alla temperatura di 400° mentre in due uguali intervalli di temperatura adiacenti a quello conside- rato si hanno fortissime variazioni della detta dilatazione. Ciò conferma che il nichel passa dallo stato di materiale avente le proprietà magnetiche a quello in cui queste mancano attraversando una zona assai estesa: in essa la sostanza presenta un comportamento elastico pressochè costante avendosi la stessa dilatazione ed una piccolissima variazione della tensione-limite effettiva. Si aggiunga che il maggior numero delle determinazioni che fu necessario eseguire alla temperatura di 300° fu dovuto al fatto che a questa tempe- ratura si avevano le maggiori difficoltà per il rilievo di valori concordanti: difatti mentre l’errore medio della media aritmetica (*) dei valori della tena- cità è compreso per le determinazioni alle diverse temperature fra 0,14 e 0,16 per quelle a 300° raggiunge il valore 0,25, ciò che conferma che a questa temperatura si hanno delle incertezze variabili da campione a cam- pione e caratteristiche dell'inizio di una trasformazione. Il dispositivo impiegato in questo studio non permette una rigorosa de- terminazione del coefficiente di Poisson. Tuttavia con determinazioni di spes- sore fatte con un buon palmer, assumendo come valore dei diametri la media di venti determinazioni fatte sulla lunghezza totale di cm. 25, e misurando gli allungamenti dovuti al carico iniziale con un catetometro e quelli dovuti al carico in acqua sui diagrammi rilevati in vera grandezza, è possibile ottenere valori medî del coefficiente di Poisson globale cioè del rapporto fra la contrazione e la dilatazione totale. I valori ottenuti indicano un piccolo aumento del detto coefficiente col crescere della temperatura: ciò è conforme alle previsioni teoriche e ad alcune esperienze di Stokes, Bock e Schafer per i quali il valore del coefficiente di Poisson tende, per tutte le sostanze, a 0,5 con l'avvicinarsi alla temperatura di fusione: il piccolo aumento da me avute pel nichel sarebbe dovuto all'essere, per le temperature raggiunte, ancora lontani dal punto di fusione di questo metallo. I diagrammi da me ottenuti iostrano inoltre che anche a tempera- ture diverse da quella ordinaria si hanno le discontinuità negli allunga- menti caratteristiche di questo metallo messe in evidenza dal Cantone, e che col crescere della temperatura i salti diventano più netti e di maggiore altezza. Tale fatto unitamente all'altro che con i due diversi metodi di ri- (1) Rend. Reale Accad. Lincei, anno 1922, 1° semestre, fascicolo 11°, pag. 465. — 108 — scaldamento da me già indicati (*), il maggior tempo di riscaldamento, a pa- rità di ogni altra condizione, rende più discontinuo il diagramma, escludono che queste singolarità siano dovute a mancanza di omogeneità della sostanza e confermano invece l'ipotesi del Cantone dell'assetto poco stabile dipendente da parziali lesioni interne prodotte da processi non perfettamente statici, le- sioni che è da ammettere diventino di maggiore entità, a parità di carico iniziale applicato, quanto più alta è la temperatura e più basso il valore della tenacità, ed, a parità di queste condizioni, quanto maggiore è il tempo di rienocimento della sostanza. Dalle esperienze risulta poi che a 400° i denti quasi scompaiono pur essendosi partiti dallo stesso carico iniziale ed avendosi un carico di rottura poco diverso da quello corrispondente alla temperatura di 300°. Alla tem- peratura di 500° il diagramma si presenta continuo malgrado si sia partiti dallo stesso carico iniziale e malgrado la notevole diminuita tenacità: essendo assai piccolo, in queste condizioni sperimentali, il tratto di diagramma otte- nuto, esperienze sono state fatte partendo da carichi iniziali più piccoli: mancano i denti e manca inoltre il tratto di notevole cedevolezza che pre- cede la rottura: la sostanza a questa temperatura assume un comportamento di sostanza fragile, comportamento che può dirsi s inizi verso i 400°. Riassumendo: dalle mie esperienze risulta : 1°) col passaggio dallo stato di materiale avente proprietà magne- tiche a quello di materiale non magnetico cambia nel nichel la legge di variazione della tenacità con la temperatura; 2°) questo passaggio è assai lento: ha luogo in tutto l'intervallo di temperature compreso fra 300° e 400° nel quale la sostanza presenta un comportamento elastico pressochè costante e cioè la stessa dilatazione ela: stica ed una piccolissima variazione della tensione limite; 3°) le discontinuità negli allungamenti si rendono più nette e di maggiore entità col crescere della temperatura con un massimo intorno ai 300°: a temperature maggiori. cioè per il nichel non avente proprietà magnetiche esse scompaiono; 4°) il riscaldamento fino a 400° aumenta la duttilità di questo me- tallo perchè mentre lo rende più malleabile solo di poco ne diminuisce la tenacità. (1) Rend. Reale Accad. Lincei. anno 1922, 1° semestre, fascicolo 11°, pag. 465. — 109 — Chimica. — Ossidazione della benzolazoresoreina (*). Nota di Dino Bigravi e GIULIO GIANNINI, presentata dal Socio A. ANGELI (°). La presente ricerca, che abbiamo appena iniziata, ba per scopo lo studio degli azossidifenoli. Abbiamo scelto un derivato della resorcina, perchè in essa i due ossidrili, per la loro posizione meta, di fronte agli agenti ossi- danti non hanno la tendenza a passare a forma chinonica, che invece pos- siedono pirocatechina e idrochinone. L'ossidazione della benzolazoresorcina (3): OH CONEN/O I Vor NA | N y J I OH OH INR TO o) ; NO OH i È LI Lon A con acqua ossigenata in acido acetico, dà origine ad uno dei due azosside- rivati, quando i due ossidrili siano protetti dal radicale acetilico. Dei due isomeri, che si dovrebbero formare in tali condizioni, abbiamo isolato il solo isomero £, si può supporre che l’altro, in contatto con l'eccesso di acqua ossigenata, venga da essa ulteriormente ossidato. L'attribuire alla forma @ una maggiore ossidabilità, anche con un reattivo blando come l’acqua ossigenata, trattandosi di un derivato della resorcina, può esser messo in relazione con (®) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica Organica del R. Istituto di Studî Superiori di Firenze. (2) Pervenuta all'Accademia il 25 luglio 1922. (*) È stato recentemente dimostrato (Hantzsch, B. 46, 1556) che le due forme fon- denti a 161° e 170° della benzolazoresorcina, erroneamente credute sterecisomere, diffe- riscono fra loro perchè la forma fondente a 161° contiene !/3 mol. Hs0. — 110 — la molto più sensibile azione ossidante che ha il permanganato (*) sopra il p-ossiazossibenzolo @ (p. f. 1560) rispetto al 8 (p. f. 118°). Da una lunga serie di lavori, eseguiti in quest'ultimo decennio, si può con sicurezza stabilire la struttura di un azossicomposto. Sono reattivi come bromo, acido nitrico, acido nitroso e forse i diazotati normali (?), che, con la loro azione selettiva di sostituzione sopra i residui aromatici, legati al- l'azoto azoico trivalente o pentavalente, hanno permesso di stabilire la po- sizione dell'ossigeno azoico in un azossicomposto asimmetrico. Sui quattro residui: (4) ()=N.CH;, (1) =N.C,H,, (III) =N.C;H,.0H,(IV)=N.C;H,.0H Il Il 0 ; Mo l’azione di questi reattivi è ben diversa. Mentre il primo (I) non ammette in alcun caso sostituzioni nel nucleo benzenico, il secondo (II) fa entrare facilmente un atomo di bromo o un residuo —NO, in posizione para al- l'azoto, ma non viene attaccato da reattivi più blandi come l'acido nitroso e i diazotati normali. L’ossigeno azoico protegge dunque molto fortemente il nucleo aromatico, forse perchè l'azoto azoico, in tal caso pentavalente, non ammette prodotti labili di addizione all’azoto, che facilmente si scindono, dando prodotti di sostituzione nell'anello benzenico. Ben diverso è il caso in cui questo nucleo contenga un ossidrile in po- sizione para all'azoto come in (III) e (IV) (non ancora studiato è il com- portamento di azossifenoli in cui l’ossidrile sia in posizione orto o meta, e appena iniziato è lo studio degli azossidifenoli). L'ossigeno ossidrilico favo- risce per proprio conto (*) l’entrata di sostituenti nel nucleo in posizione orto rispetto ad esso con reattivi piuttosto energici come bromo e acido ni- trico, ma di fronte all’acido nitroso (4) e ai diazotati normali, anche l’ossi- geno azoico fa sentire la sua influenza. (1) Angeli, G. 51, 35 (1921). (2) I diazotati normali: CsH;.N=NH , CH;.N=NH Il Il (0) (0) possono essere riavvicinati alla forma tautomera dell'acido nitroso: O=NH Ò . (3) Angeli, G. 46. II, 37 (1916). (4) R. A. L., 37, I (1922), pag. 489. = IIBh= Difatti dei due residui: CINCCRT-OH —N.C,H,.0H Il 0 il primo soltanto con un eccesso di acido nitroso reagisce per formare un nitroderivato, con il gruppo nitrico in orto all’ossidrile: INSONNI O) (1) (4) (1) N K0,(3) mentre il secondo è inerte all'azione di esso. Queste reazioni differenziali ci hanno dato modo di poter stabilire la posizione dell'ossigeno azoico nella nostra benzolazossiresorcina. Con tutta facilità essa fornisce un dibromoderivato, che per riduzione dà anilina, in cui quindi il bromo è entrato nel nucleo della resorcina, probabilmente nelle due posizioni orto rispetto agli ossidrili libere. Bromurando ulteriormente, si arriva, sempre facilmente, ad un tetrabromoderivato, che per riduzione dà la 2-4-dibromoanilina: due altri atomi di bromo sono quindi entrati nel- l’altro residuo, il quale certamente non potrà esser legato all'azoto pentava- lente contenente cioè l'ossigeno azoico, altrimenti in nessun caso avrebbe potuto ammettere sostituzioni. Resta dunque sufficientemente provata per il nostro azossiderivato la forma f: OH OH ASNENCN ES NN n ie A YA NH x OH INC ne VB; sd. Br LÌ /0H Questa azossiresorcina reagisce anche con acido nitroso in soluzione eterea; sinora però non siamo riusciti ad isolare un composto. Il cloruro di diazonio in soluzione alcalina forma una dibenzolazo-benzolazossi-resorcina, la cui struttura è probabilmente la seguente: OH (2) OH ANI) LS NRE NAS N ne nio Rat On on, oa N-N.C,H; La sua formazione si può spiegare ammettendo che come nei p-azossi- fenoli, 1-OH in posizione (4) non abbia influenza sulla sostituzione in una delle posizioni orto rispetto ad esso, perchè esso viene a trovarsi nelle con- dizioni del residuo già considerato (IV): —NFEC.H,-0H Î O mentre invece l'-OH in posizione (2) fa entrare in un primo tempo il residuo —N=N.C5H; in para: a) sE OH SAN SI ie e N= NCIH? poi, siccome viene a trovarsi in posizione para rispetto ad un azoto triva- lente, ammette l'entrata di un altro sostituente in posizione orto: OH UH —=N CN NINE CeH; Voce Li 4 N= NECiHE «NIN CHHS Siamo così venuti ad ammettere che, contrariamente a quanto si verifica per l' -OH in para, l’-OH, il quale si trovi in posizione orto rispetto all’azoto azoico, anche se quest'ultimo è pentavalente, permetta l’entrata del residuo: — N=N.C;H; nel nucleo. Infatti, mentre nella letteratura non abbiamo trovato cenno di formazione di azoderivati dal p-nitrofenolo, è stato da Noelting (*) preparato (1) B. 27, 1405 (1888). =— 18 — an azoderivato dall’o-nitrofenolo: o 0H o OH EN = NA ce LO NL Da N-NSCH: PARTE SPERIMENTALE. Diacetilderivato della B-benzolazossiresorcina: OCOCH; AAA È Ì | O .0COCH zi SA î Gr. 15 di diacetilderivato della benzolazoresorcina, ricristallizzati da etere di petrolio, si sciolgono in circa 100 gr. di acido acetico glaciale; alla so- luzione, colorata in rosso scuro, si aggiungono 80 ce3. di perhydrol (acqua ossige- nata 30%); si scalda a 60° per circa 36 ore. Si diluisce con acqua il li- -quido, che è notevolmente schiarito, e sì separa il precipitato cristallino (gr. 12), che viene seccato fra carta da filtro. Da poco alcool si ha in lunghi aghi setacei giallo-chiari fondenti a 102°; è molto solubile in acido acetico, «cloroformio, benzolo. Gr. 0,1197 di sostanza dànno gr. 0,0514 di Hs0 e gr. 0,2686 di CO.. Gr. 0,1721 di sostanza dànno cc3. 12,7 di azoto a 9° e 757 mm. Trovato Calcolato per C,6H1405N, C 61,22% 61,13 % H 4,80 » 4,85 » N 8.97 » 8,92 » 8-Benzolazossiresorcina : OH MIN I i N ti or Si prepara saponificando l’acetilderivato con idrato sodico acquoso; con motassa alcolica si ottiene un composto rosso-scuro fondente verso 190°, che RENDICONTI. 1922, Vol. XXXI, 2° Sem. 16 — 114 — ancora non abbiamo esaminato. Si versa un lieve eccesso di idrato sodico acquoso sopra l'acetilderivato finemente polverizzato, poi si diluisce con poca acqua e si scalda, agitando, a 70°. Si filtra la soluzione, intensamente co- lorata in rosso, e si acidifica con acido solforico diluito: precipita la ben- zolazossiresorcina in polvere cristallina giallo-marrone. Cristallizza da molto benzolo o da cloroformio in grani rossi, che pestati dànno una polvere giallo- marrone fondente a 144°. Gr. 0,1222 di sostanza dànno cc3. 12.5 di azoto a 9° e 753 mm. Trovato Calcolato per C,3H100gN, N 12,240 IMSA È poco solubile nei varî solventi a freddo; cristallizza da molta acqua in aghetti giallo aranciati. Solubile in alcali concentrati e diluiti con colo- razione rossa, viene riprecipitata dagli acidi, compreso l'acido carbonico. Per azione della luce si colora in rosso: esponendone alla luce una striscia di carta imbevuta di una soluzione benzolica diluita, dopo circa un'ora il co- lore da giallo-chiaro passa a rosso-scuro. Dal permanganato (soluz. 2%) la soluzione alcalina viene su rapidamente ossidata. Come per i p-azossifenoli, aggiungendo questo reattivo fino a che per circa un minuto persista il color roseo, e scaldando per coagulare il biossido di manganese, la soluzione filtrata contiene isodiazobenzolo e soltanto dopo acidificazione e successiva neutraliz- zazione si trasforma in diazotato normale, capace di copularsi con l’e-naftolo. Durante l'ossidazione non si è riscontrata la formazione di nitrosobenzolo. La soluzione, fortemente alcalina, agitata con un eccesso di cloruro di benzoile, separa il dibenzoilderivato in masse giallo-chiaro. Da ligroina leg- gera 0 da poco alcool si ha in aghetti giallo-chiari fondenti a 1139. Gr. 0,1456 di sostanza dànno cc. 7.8 di azoto a 90,4 (e: (D4.600mm: Trovato Calcolato per CseH,g0gN, N 6,43% 6,39%, Dibenzolazo benzolazossiresorcina: OH RR WAN NH | \ O OH VA IA N —= N ° CeH; Si prepara sciogliendo la benzolazossiresorcina in poco alcali e alla so- luzione raffreddata con ghiaccio, si aggiunge una soluzione contenente 2 mo- lecole circa di cloruro di diazonio: la colorazione del liquido passa dal rosso — 115 — al violaceo. Dopo due ore si acidifica con acido solforico diluito e si separa un prodotto cristallino rosso-violaceo, che si esaurisce per lungo tempo con benzolo. Si ottiene allora un composto rosso fondente a 220°, poco solubile nei solventi e in alcali. Gr. 0,0953 di sostanza dìnno cc'. 15,7 di azoto a 22° e 748 mm. Trovato Calcolato per Cs4H1s0gN: N IAA d9-20107 Benzolazossidibromoresoreina : OH > x ( | NE N. / SIE DO INI OTO De NA NA Br Ad 1 molecola di benzolazossiresorcina, sospesa in minutissimi cristal. lini in cloroformio, raffreddata esternamente a 0°, si aggiungono, lentamente e agitando, 2 molecole di bromo. Si osservano subito fumi di acido bromi- drico e il colore del liquido da giallo diviene rosso-bruno. Dopo circa !/, d'ora, si lascia svaporare il solvente in vetro da orologio, si lava il com- posto cristallino di color giallo-marrone, prima con soluzione di solfito, poi con acqua e si secca a b. m. Il rendimento è quasi teorico. Da benzolo cri- stallizza in cubetti giallo-verdastri trasparenti fondenti a 153°. Solubile in alcali con colorazione giallo-scura. Gr. 0,1367 di sostanza dànno ce? 8,5 di azoto a 129.5 e 747,6 mm. ‘Tl'rovato Calcolato per C,3Hs0,N,Br, N 7,81% 7,22% Per riduzione con zinco e acido acetico dà anilina. Si scioglie una pic- cola quantità di bromoderivato in acido acetico e si aggiunge un eccesso di polvere di zinco; il liquido si scolora rapidamente. Si filtra e si satura con soda caustica e subito si distilla in corrente di vapore. Il distillato con ipo- clorito di calcio dà la reazione dell'anilina e con cloroformio e potassa la reazione delle amine primarie. Tetrabromobencolazossiresoreina : Br OH CERNEN N I i Bir (0) | OH NA NA Br 6. Si tratta in piccole porzioni il dibromoderivato in polvere sottile con bromo in eccesso. La reazione è abbastanza vivace e accompagnata da svi- luppo di calore. Si svolgono fumi di acido bromidrico, si lava con soluzione di soltito, poi con acqua e si secca a b. m Cristallizza da molto benzolo e da xilolo in lunghi aghi rossi fondenti a 229° con decomposizione; è poco solubile negli altri solventi e in alcali, cui impartisce una colorazione rossa. (Gr. 0,1793 di sostanza dànno cc. 8 di azoto a 119,5 e 748 mm. 'l'rovato Calcolato per C,,HsO;NoBr, N 5,27% 5,14% Questo composto ridotto con stagno e acido cloridrico fornisce la 2-4-di- bromoanilina p. f. 78°. Si fa bollire a ricadere per circa 1 ora una soluzione alco- lica del composto con un eccesso di stagno e acido cloridrico; poi si distilla la maggior parte dell'alcol dalla soluzione che da rossa è ora appena colorata in giallo, e poi senza neppure alcalinizzare, trattandosi di una base debole. . si distilla in corrente di vapore: si ha la 2-4-dibromoanilina in lunghi aghi bianchi; essa risulta identica alla dibromoanilina ottenuta riducendo allo stesso modo il 2-4-dibromoazossibenzolo (!). Ghimica. — Sulle due forme dell’o-metil-cicloesanolo (*). Nota di L. MASCARELLI, presentata dal Socio R. NasInI (5). Nel resoconto della Società Chimica di Montpellier (*), Godchot rende conto delle proprietà di un o-metil-cicloesanolo da lui ottenuto, assieme a Bédos, facendo agire il ioduro di magnesio metile sull’ossido di cicloesene e riferisce che le proprietà riscontrate per tale sostanza . sono diverse da quelle trovate da Sabatier e Mailhe' che per primi ottenero l’o-metil-cicloe- sanolo riducendo, col loro ben noto processo di idrogenazione, l’o-metil-cresolo. Le differenze riscontrate da Godchot sono le seguenti: o-metil-cicloesanolo (Godchot) p. eb. 1163-1640 ” ” (Sabatier) » 164.5-165.50 feniluretano (Godchot) periti 81-82° Ù (Sabatier) - 1049. ftalato acido (Godchot) ” 99-100° ” ” (Sabatier) n 117-118° () Valori, R. A. L., 22, II, 125 (1913). (3) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica farmaceutica della R. Università di Torino. (3) Pervenuta all'Accademia il 2 settembre 1922. (4) Bull. Soc, Ch. de France, 3/, 537 (1922). — 117 — Inoltre Godchot osserva che il feniluretano e lo ftalato acido dell’o- metil-cicloesanolo da lui preparato sono più solubili dei corrispondenti deri- vati dell'o-metil-cicloesanolo di Sabatier e Mailhe. Per ispiegare tali divergenze l’autore pensa « qu'il est infiniment pro- bable que nous avons obtenu un orthométhyleycelohexanol isomère de celui préparé par hydrogénation de l'orthoerésol, et que cet isomère qui ne peut étre qu'un isomère de position, peut étre regardé comme l’'isomére cis ». Il caso, parmi, ricorda assai quello già da me illustrato a proposito. del decaidro-f-naftolo (*). Il decaidro-?-naftolo, preparato per la prima volta da Leroux(?) era stato descritto come fondente a 75°, mentre poco più tardi Ipatiew (3) ottenne lo stesso composto e gli attribuì il p. f. 99-100°. Du- rante alcune ricerche riguardanti i fenomeni di soluzione solida che si ve- rificano tra composti aromatici ed i relativi derivati completamente idroge- nati, era per me cosa di fondamentale importanza il conoscere con precisione il punto di fusione di detta sostanza. Ebbi allora l'occasione di dimostrare che, come era prevedibile teori- camente. il decaidro 8 naftolo doveva poter esistere in due forme ognuna delle quali rappresentava un racemo. Il caso dell’o-metil-cicloesanolo è forse anche più semplice di quello del decaidro-naftolo. Infatti l'o-metil cicloesanolo contiene due atomi di carbonio asimmetrici fra loro diversi nel valore di rotazione, quello che porta l'ossidrile e quello che porta il metile: per conseguenza, secondo la teoria, deve poter esistere in 2°—=4 forme otticamente attive, ciò che è reso evidente dal seguente schema: I II III IV (P. CH; CH, CH, pe og uo dna “orto —g CH, CH; CH. CH, E — + — + _ - + Dall’unione della I con la II (immagini speculari) e della III colla IV (id id.) risulteranno due racemi. Niuna meraviglia che nel processo di iso- lamento e di purificazione adottato da Sabatier e Mailhe si sia isolato uno dei racemi ed in quello di Godchot e Bédos si sia isolato l’altro. Ciò è (') Sulle due forme del decaidro-B-niftolo, L Mascarelli. Rend. R. Acc. Lincei, XX, II, 223 (1911); e Gazz. ch. it., 42, II, 12 (1912). (*) Compt. Rend, 740, 590 (1905). (3) Ber. d. D. Ch. Ges., 40, 1288 (1907). — 118 — quanto avvenne già in altri casi, tra i quali quello del decaidro-f-naftolo: Leroux ottenne il racemo fondente a 75°, Ipatiew il racemo fondente a 99-100°. Le differenze di solubilità tra il feniluretano e lo ftalato acido dei due o-metil-cicloesanoli notate da Godchot sono in buon accordo con la regola nota che le sostanze aventi punti di fusione più elevati, hanno pure una solubilità minore dei relativi isomeri aventi punti di fusione più bassi. Il contegno osservato da Godchot, cioè che l’o-metil-cicloesanolo da lui prepa- rato passa, nella ossidazione con acido cromico, ad o metil-cicloesanone avente tutti i caratteri di quello che già ottennero Sabatier e Mailhe, torna a conferma delle previsioni teoriche, poichè in tale ossidazione del gruppo alcolico secondario a gruppo chetonico scompare un atomo di carbonio asim- metrico (quello del gruppo alcolico secondario). Rimane quindi, in ogni caso, l’o-metil-cicloesanone avente un solo atomo di carbonio asimmetrico, il quale sarà costituito dalla miscela delle due forme otticamente attive possibili. Gli stessi ftalati acidi delle due forme di metil-cicloesanolo preparati da Godehot possono servire a separare i quattro isomeri attivi contenuti nei due racemi qualora si applichi il metodo di Pickard (1). La configurazione eis che Godenot ritiene come molto probabile per l’o-metil-cicloesanolo da lui preparato è con ogni verosomiglianza quella che gli spetta. poichè nella maggior parte dei casi gli isomeri czs, o i loro de- rivati, hanno punto di fusione più basso dei corrispondenti isomeri tras. È ancora prevedibile che il derivato cis possederà una densità ed un indice di rifrazione più elevati ed una rifrazione molecolare più bassa dell’ iso- mero /rans. In condizioni simili di asimmetria si trovano evidentemente molti deri- vati completamente (in taluni casi anche solo parzialmente) idrogenati di sostanze cieliche (). Infatti di parecchi è già stata compiuta la scissione, di molti però non è stato ancora in modo adeguato posta in evidenza la possibilità di esistenza di isomeriì otticamente attivi prevedibili teoricamente. Per limitarci alla isomeria dei metil-cicloesanoli è chiaro che pe! m-metil-cicloesanolo si devono ripetere gli stessi casi che per l’o-metil- cicloesanolo; che per il p metil-cicloesanolo invece il caso deve essere diverso. Il derivato para non contiene più atomi di carbonio asimmetrico, però esso può dar luogo al fenomeno della vera isomeria czs-/rans e per conseguenza deve esso pure esistere in due forme: naturalmente nessuna di queste sarà attiva nè sdoppiabile. Per incidenza notiamo che lo stesso cicloeptil-cicloeptanolo, pure prepa- rato da Godchot e Brun(*) deve obbedire agli stessi casi di isomeria ottica dell'o-metil-cicloesanolo. (1) Proceeding 25. 167 (1909); Soc. 99. 45 (1911). (*) Vedi la Nota sulle dne forme del decaidro-f-naftolo. (*) Bull. Soc. Chim. de France, 37, 538 (1922). = AI) Chimica. — Sulla preparazione del cloruro di boro (*). Nota di C. MazzetTI e F. DE CARLI, presentata dal Corrisp. N. PAR- RAVANO (°). Per la preparazione del cloruro di boro si trovano indicati nei trattati due metodi consistenti nel fare agire il cloro o sopra un miscuglio di anidride borica e carbone, o sul boro elementare. Il primo metodo non è di esecuzione molto agevole, ed il secondo ri- chiede un prodotto che non è facile a procurarsi ed è costoso. Infatti, anche colla magnesiotermia come è consigliata da Kroll (*), si riesce ad avere solo piccole quantità di boro. Avendo avuto a disposizione delle leghe di ferro boro preparate in questo Istituto dal prof. Parravano e sulle quali sarà riferito in seguito, abbiamo pensato di fare agire su di esse il cloro per ottenere cloruro di boro. Sono state adoperate due leghe aventi le seguenti composizioni: Boro Carbonio Silicio Manganese I) 19,5 0,52 2,68 15) 11) 10,4 0,69 4,75 RE Esse vennero introdotte in un tubo di porcellana riscaldato verso i 500° per il quale si faceva passare una lenta corrente di cloro ben secco. I pro- dotti gassosi sfuggenti dal tubo di reazione, venivano fatti passare attraverso ad un tubo ad U codato immerso in un miscuglio di ghiaccio e sale. L'esperienza ha dato ottimi risultati. Il cloruro grezzo ottenuto venne purificato con la distillazione frazionata: questa fu fatta su mercurio nell’ap- parecchio descritto da Vanino (*). A_18-20° il BCI3 passa quasi tutto, mentre il cloro non trattenuto dal mercurio (o dal rame) sfugge incondensato, e le altre impurezze (specialmente SiCl,), che bollono a temperature abbastanza più elevate di BCl3, restano indietro. 3 Con due distillazioni si ottiene agevolmente un prodotto che bolle quasi ‘completamente fra 17,5° e 18,50. Nelle tabelle di Landolt è riportato 18,230 per punto di ebollizione di BCl;. (') Lavoro eseguito nell’ Istituto Chimico della R. Università di Roma. (?) Pervenuta all'Accademia il 2 agosto 1922. (*) Zeit. anorg. Ch., 102, I (1918). (*) Handbuch der prip. Chem., Bd. 1, pag. 245. — 120 — Con questo metodo si è potuto così preparare tutto il cloruro di boro: occorrente per ricerche intorno alle quali sarà riferito in altra occasione. Abbiamo voluto anche stabilire il rendimento in tricloruro che si può praticamente realizzare con la detta preparazione. A questo scopo i prodotti gassosi della reazione sono stati raccolti in bocce di lavaggio contenenti acqua e nei liquidi ottenuti è stato dosato il boro. Ecco i risultati che si sono avuti: Con il ferro-boro 1): Lega adoperata BCI, trev. BUI; calcolato rendimento BC]; gr. 4,732 8,41 9,94 $4,6 gr. 5,047 9,62 10,40 91,7 gr. 4,971 9,82 10,33 95,06 Con il ferro-boro II): gr. 5,234 4,92 5,80 84,8 Attualmente sono in corso ricerche più precise per stabilire se la resa in BC]; può portarsi ad essere quantitativa (*). Chimica fisica. —— /r/luenza delle proteine della chiara d'uovo sulla tensione superficiale dell'acqua (*). Nota di G. QUAGLIARIELLO, presentata dal Socio FILIPPO BOTTAZZI (). I. — Scopo DELLE RICERCHE. È noto che le sostanze proteiche quando si sciolgono in acqua, purchè formino una vera soluzione colloidale e non una sospensione, hanno la pro- prietà di abbassare in grado maggiore o minore, ma sempre in misura apprez- zabile, la tensione superficiale dell’acqua. Questa proprietà è posseduta dalla siero-albumina, dalla siero-globulina, dalla gelatina, dalla emoglobina, dalla emocianina, dalla caseina, dalla latto-albumina ecc. Le uniche proteine che (1) Queste ricerche ed altre in corso riguardanti pure la chimica del boro sono state eseguite in parte con mezzi messi a nostra disposizione dell'on. senatore Principe Ginori Conti, Presidente della Società Buracifera di Larderello. Ci è grato dovere espri- mergli in pubblico le più vive grazie. (2) Lavoro eseguito nell'Istituto di Fisiologia della R. Università di Napoli. (3) Pervenuta all'Accademia il 16 agosto 1922. pare si differenziano, da questo punto di vista, da tutte le altre, sarebbero le proteine della chiara d'uovo. Secondo Iscovesco (*) infatti « cette notion classique (qui admet que les albumines diminuent la tension superficielle de l'eau) est absolument fausse en ce qui concerne l’ovalbumine ». Difatti, avendo egli misurato, col suo stalagmometro, la tensione superti- ciale di una chiara d'uovo battuta con tre volte il suo volume di acqua di- stillata, trovò che la soluzione torbida, che così si ottiene, ha una tensione superficiale (relativa a quella dell’acqua messa uguale a 1) di 1,0117. Avendo poi dializzata questa soluziore di chiara d'uovo per 48 ore, dopo filtrazione, trovò una tensione superticiale di 1,0369. E l’autore con- clude perciò che, contrariamente a ciò che accade per tutte le sostanze ba- totone, e cioè che la loro azione è più intensa in soluzioni saline che in acqua distillata, la ovalbumina ha una tensione più bassa in presenza di globuline e di sali che in assenza di questi. Ora questo comportamento singolare dell'ovalbumiua non è stato nè confermato, nè contraddetto da alcun autore. D'altra parte, nei trattati di chimica dei colloidi. si continua a considerare le sostanze proteiche in gene- rale fra i corpi più attivi nell'abbassare Ja tensione superficiale dell’acqua, senza accennare affatto, magari per negarle, alle ricerche di Iscovesco. Gli unici che ne fanno menzione sono Bottazzi (2) e Berczeller (8). Il Bottazzi, dopo aver brevemente citati i risultati dell’esperienze del- l'Iscovesco, che chiama sorprendenti, esprime il dubbio o che si tratti di un errore di misurazione, oppure che l'ovalbumina con la quale Iscovesco fece le sue determinazioni non fosse stata una soluzione colloidale, ma una sospensione. Berczeller, confrontando l’ influenza di varie sostanze proteiche sulla ten- sione superficiale dell'acqua, in una nota scrive: « Nach Iscovesco soll das Ovalbumin die Oberflichenspannung des Wasser sogar erhòhen. Ich habe- allerdings mit nicht reinen Ovalbuminlòsungen — nie eine Oberflàchen- spannugserh6hung boobachtet ». E, per quanto è a mia conoscenza, nessun altra notizia sull'argomento esiste nella letteratura. E però, stimando la questione non priva d'interesse, ho fatte le ricerche che qui brevemente riferisco. (1) Iscovesco, Études stalagmométriquis. La tension superficielle de l'ovoalbumine. Comp. rend. Soc. de Biol., LXIX, pag. 622, 1920. (*) Fil. Bottazzi, Physikalische chemische Untersuchumgen des Harnes ecc., in Neu- berg*s Handbuch. Der Harn usw., Berlin, 1911, pag. 1716. (3) L. Bercezeller, Stalagmometrische Studien an kolloiden und krystalloiden Lò- sungen, IT Mitteilung. Bioch, Zeitschr., Bd. 53, pag. 282, 1918. RenNpICONTI. 1922, Vol. XXXI, 2° Sem. 17 — 122 — II. — ESPERIMENTI. 1°) Una chiara d'uovo viene battuta con tre volumi di soluzione di NaCl 1%, e filtrata attraverso carta. Si determina la densità e il numero delle gocce (collo stalagmo- metro di Traube) del filtrato originale, e del filtrato mescolato in varie proporzioni con la stessa soluzione di NaCl. Durante tutta la ricerca si ha cura, in questo come nei successivi esperimenti, di mantenere approssimativamente costante il tempo di deflusso delle diverse soluzioni dallo stalagmometro. Il risultato di queste misure è riportato nella tabella I. TABELLA I. Tensione superficiale della chiara d'uovo variamente diluita con soluzione 1% NaCl. Cmerai ichiata duomo » Numero delle gocce Tensione superficiale 100 em8 di soluzione Densità 179/37° C. (*) o (T=17°C) relativa (+*) 0 1,007 | 53.30 al PARTO 1.008 53.95 0 988 5 1.0085 54,30 0.983 6.8 1.009 | 54.70 0,976 8.3 1.0095 | 55 60 0.961 10.7 10104 | SONE 0.955 1}: 1.011 | 56.50 0.947 18 1.0127 58 0.924 22 1.014 58.50 0.915 25 1.019 59.10 0.909 # La densità fu determinata sperimentalmente per le due soluzioni estreme e per due soluzioni intermedie: da questi dati sperimentali risultò che la densità, nei limiti delle concentrazioni adoperate, e nei limiti dell'errore sperimentale, può essere conside» rata come una funzione lineare della concentrazione; gli altri dati furono perciò calcolati. ** Latensione superficiale è espressa relativamente a quella della soluzione di NaC11 %, messa eguale a 1. Essa è calcolata con la formola seguente: = tens. i in cui d indica la densità e x il numero delle gocce di soluzione di ovalbumina. Lo stesso vale per gli esperimenti che seguono. 2°) Due chiare d'uovo vengono battute con due volumi di soluzione 1% di NaCl, e filtrate. Contenuto in proteine (all’albuminometro di Esbach): 4%. Si determina la densità * e il numero delle gocce del filtrato originale, e del fil- trato variamente diluito con la stessa soluzione 1% di NaCl. I risultati di questo esperimento sono riuniti nella tabella 2. — 123 — TABELLLA II. Tensione superficiale della chiara d'uovo variamente diluita con soluzione % di NaCl. Composizione del liquido esaminato Chiara d’uovo diluita a 1/3 con NaCl 1°/o em3 Concentrazione Numero Tensione Densità delle gocce superficiale bipole °/o dell’ ovoproteina (T=23°C) Soana 10 0 1.007 5430 1 1007 0.36 1.008 57.25 0.955 40 0.80 1.010 57,25 0 957 20 lE93 1.012 58.20 0.943 10 2: 1.015 59.10 DIOSE Ò 2.66 1.018 60.80 0.907 0 4 1.024 62.10 ().895 * La densità venne determinata solo per la soluzione originale 4%; per le altre concentrazioni venne calcolata, ammettendo che essa sia proporzionale alla concentra- zione. Lo stesso vale anche per gli esperimenti che seguono. 3°) Chiara d'uovo battuta con 3 volumi d’acqua distillata e dializzata per 15 giorni, in tubo di pergamena artificiale, contro acqua distillata satura di cloroformio. Le globu- line sono precipitate. Si filtra. Si ottiene un liquido leggermente opalescente. Si scaccia ogni traccia di cloroformio con una corrente d'aria. Di questa soluzione, che contiene circa 1'8°/00 di ovalbumina, si determina il numero delle gocce a varia diluizione. Il ri sultato delle misure è riportato nella tabella 3. TaBELLA III. Tensione superficiale dell’ ovalbumina dializzata. T = 24° C. Composizione delle soluzioni esaminate Composizione delle soluzioni esaminate Numero Numero A arie Snia delle gocce SR A A a delle gocce 10 0 54 10 0 55,65 ” 1 54,20 ” 1 55.45 ” 2 54.20 ” 2 55.20 » 3 54.30 ” 3 55.10 ” 4 54.30 ” A 55 ” ò 54.25 ” 5) 55 ” 6 54.30 n 6 54.90 ” TT 54.40 ” ‘ 55 ” 8 54.50 ” 8 DÒ - » 5) 54.70 ” 6) 54.70 ” 10 54.60 — 124 — 4°) La stessa soluzione di chiara d’uovo di cui all'esperimento 2°, è dializzata in tubo di collodion per 36 ore contro acqua corrente, e poi contro acqua distillata, satura di cloroformio, per 15 giorni. Si filtra. Il filtrato, perfettamente limpido, non contiene più tracce di ovoglobuline (prova con semisaturazione con (NH4),50). Contiene il 6°/50 di ovalbumina. La conduttività elettrica di tale soluzione a 21,5° C. è di 0,90009; e-sa è dunque poverissima di elettroliti, Si scaccia cun una corrente d’aria ogni traccia di cloroformio. i I valori di tensione superficiale ottenuti con questa soluzione, progressivamente di- luita con acqua distillata, sono esposti nella tabella 4. TapeLLa IV. Tensione superficiale di soluzione di ovalbumina dializzata uvaria concentrazione. Concentrazione ovalbumina Numero delle gocce Tensione superficiale Densità gr. °loo (T = 21,56) relativa 0 54 1.000 1 0.54 54.40 1.0002 0.992 1 54.70 1.0004 0.987 14 54.90 1 0006 0.983 1. 55.05 1.0008 0.980 2 55.30 1.0009 0.976 Da 55.80 1.0010 0969 2.5 56,20 1.0011 0.962 2.0 56.70 1.0011 0.955 al 57.30 1.0013 0945 35 57.30 1.0016 0.935 4 58.50 1.0018 0024 4.8 59 1.0019 0.017 5 59.40 1.0022 0.911 5.5 59.85 10025 0.50 6 60 1.0030 0/00 5°) Ovalbumina cristallizzata col metodo di Hofmeister, e dializzata sino a completa scomparsa della reazione dello zolfo. Concentrazione dell’albumina 2,5 °/oo . Si contano le gocce della soluzione originale, e della soluzione progressivamente diluita con acqua distillata. Il risultato è esposto nella tabella 5. — 125 — TABELLA V. Tensione superficiale di una soluzione di ovalbumina cristallizsata e dializzata, variamente diluita con H30. Numero delle gocca Composizione del liquido esaminato Ovalbumina gr. ° /oo (1 =20,50) Soluzione originale... 2.50 54.80 10 cm8 soluzione originale + 2 cm H,0 2.08 54.70 » n ” DI » 4 » ” 1.78 54.60 n» È) ” » 6» ” 1.56 54.40) » n » ” » 8 » ” 1.39 54.30 » » ” ”» » 10 » ” 1.25 54.20 ANequagdistillata i i 0 53.80 6°) Chiara d'uovo battuta con due volumi di acqua e filtrata. 20 cm? si addizio- nano con un volume eguale di soluzione satura di solfato di ammonio. Si filtra. Il pre- cipitato si discioglie in 20 cm? di acqua distillata. Esso dà gocce 59,8 contro 54,3 date dall'acqua collo stesso stalagmometro e alla stessa temperatura. 79) Il precipitato che si è raccolto nel fondo di un dializzatore, in seguito a 15 giorni «di dialisi di chiara d’uovo battuta con Hs0, si raccoglie, si centrifuga, e si lava due volte con H,0. Si agita poi con soluzione 1% di NaCI, e sì filtra. Il filtrato, opalescente, dà gocce 54,3, contro gocce 54,1 date dall'acqua allo stesso stalagmometro e alla stessa tem- peratura. Alla soluzione (o sospensione) di ovoglobulina (10 cm*) si aggiunge 1 goccia di NaOH ?/,9: la soluzione diviene Jimpida. e dà ora, sempre allo stesso stalagmometro, gocce 54,6. ° III — ConcLUSIONI. Dalle ricerche riferite risulta innanzi tutto che la chiara d’uovo abbassa la tensione superficiale dell’acqua. Ciò dimostra che l’affermazione di Isco- vesco è inesatta, e che non sì ha alcuna ragione per negare alle proteine della chiara d'uovo un'azione batotona; ma non può tuttavia, a stretto rigore, essere considerato come la prova di tale azione, giacchè nella chiara d'uovo sono contenute molte altre sostanze, sopra tutto di natura lipoidica. Ma questa — 126 — prova è raggiunta nell’esperimento 5°, in cui fu adoperata ovalbumina cri- stallizzata. i Che anche le ovoglobuline, purchè siano effettivamente in soluzione, abbassino poi la tensione superficiale nell'acqua, mi pare risulti dagli ultimi due esperimenti. Per altro non si può negare, che l’azione batotona delle proteine della chiara d'uovo, in confronto di quella di altre proteine, dell'emoglobina p. es., appare poco intensa: ma anche questi confronti devono essere fatti con molte cautele, innanzi tutto perchè essi esigerebbero, a rigore, la conoscenza del peso molecolare delle sostanze, del loro grado di salificazione e di dissocia- zione, ma poi anche per la difficoltà di lavorare con proteine perfettamente puriticate. Chimica fisiologica. — Z’azione della milza sul ricambio proteico intermedio (*). Nota del dott. SALvatoRE MARINO, presen- tata dal Corrisp. D. Lo Monaco (?). Le ricerche, che sono oggetto di questa Nota, hanno avuto, essenzial- mente, lo scopo di indagare il comportamento del ricambio proteico nei cani operati di asportazione della milza. Questo studio sembrava foriero di buoni risultati ed abbastanza incoraggiato da tutto quello che si. conosce sull’ar- sgomento. Infatti nella letteratura sono registrati numerosi dati, anche recenti, sia in riguardo all’azione della milza sulla respirazione, sia sul ricambio del ferro e dei grassi; però non risultano studî sistematici su quello proteico. Ma ciò, che più ci spingeva allo studio di questo dopo la splenectomia, è il fatto che, a quanto sembra, la milza ha influenza sulla digestione. Du- rante il processo digestivo la milza infatti sì congestiona, il che ad antichi osservatori bastò per ammettere che la milza esplica un'influenza sulla di- gestione; non mancarono però osservazioni e studî in senso contrario. Sui rapporti fra milza e processi digestivi è notevole il lavoro del Baccelli (8), che conclude, sulla base di osservazioni cliniche, che la milza esercita un'azione diretta ed importante sulla digestione delle sostanze albuminose. Questa ipotesi, contradetta specialmente da Schiff (4) ed Herzen (°), da Frouin ($), e da Silvestri (7), i quali, non soltanto negarono qualsiasi influenza (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica fisiologica della R. Università di Roma; (2) Pervenuta all’Accademia il 1° settembre 1922. (845) Citati da Tini, /e/luenza della milza e delle varie alterazioni spleniche sulla secrezione gastrica. Assisi, tip. Metastasio, 1909. (6) Resoconto del Congresso Internazionale dei fisiologi, Torino, 1901. (7) Riforma Medica. 1903. — 127 - della milza sulla digestione stomacale, ma sostennero altresì che, negli ani- mali smilzati, esiste costantemente un aumento del potere digerente dello stomaco, veniva invece sostenuta dalle ricerche di Lo Monaco e Tarulli(!), dalle quali risultò in modo evidente che la milza del cane, nel periodo della digestione, possiede un enzima proteolitico, che. come la pepsina, è capace di digerire la fibrina in mezzo acido. Queste ricerche, confermate da Hedin e Row-Land (*), furono più tardi riprese e confermate da Tarulli e Pa- seucci (3), da Tini (4) e da Betti(?), i quali inoltre aggiunsero che dei varî tessuti dell'organismo solo quello splenico possiede un potere proteolitico, e che negli animali, in seguito all'asportazione della milza, si ha una no- tevole diminuzione del potere digerente dello stomaco, che è possibile fare aumentare con la somministrazione di un infuso di milza congestionata. Degna di nota è l'osservazione di Betti (9) nel corso delle sue ricerche sugli ani- mali smilzati, i quali consumavano voracemente il loro cibo senza mai mo- strarsi sazi. Le recenti osservazioni di Richet (7) hanno ancora messo in rilievo e chia- rito l'importanza della milza sui fenomeni della nutrizione. Richet (8) ha dimostrato che i cani smilzati consumano, per mantenersi in equilibrio nu- tritizio, una quantità di alimenti molto superiori alla normale. Sebbene au- tori americani recentemente abbiano negato questo maggiore bisogno alimen- tare, il fatto è di notevole importanza e starebbe a dimostrare che la milza esplica un'azione sul metabolismo generale nel senso di rallentare il ricambio e quindi assicurare l'utilizzazione degli alimenti. La mancanza della milza dunque esalterebbe il ricambio. Un'indiretta conferma a questa ipotesi sembra possa dedursi dalle ricerche di Lombroso e Manetta (°) a proposito dell'azione che la milza esercita sul sneco pancreatico. Questi AA.. avendo trovato che, dopo l'asportazione della milza, la quantità del secreto pancrea- tico aumenta notevolmente, avanzarono l'ipotesi che questo fatto può forse rinforzare l'osservazione del Richet. Specialmente se si ammette che, in se- guito alla splenectomia, oltre la secrezione esterna del pancreas, aumenta anche quella interna, la quale, com'è noto, è altresì legata all’attività del ricambio materiale. Relativamente all’azione che la milza esplica sul ricambio proteico nella letteratura troviamo solo scarse e singole determinazioni ora dell'uno (1) Cit. da Luciani. Z'rattato di fisiologia dell’uomo. (2) Zeitschr. f. phys. chem. Bd. XII, (3) Resoconto del Congresso Internazionale dei fisiologi. l'orino, 1901. (4) Loc. cit. (5) Clinica Medica Italiana, 1909. (9) Ibid. (7) Journal de Physiol. et Path. générale, 1903, (8) Ibid. (?) IV Policlinico, 1915. — 128 ‘ed ora dell'altro elemento azotato. A quanto sembra l'asportazione della milza produce un lieve aumento dell'eliminazione dell’urea. Pearce, Perry, Pepper, Goldschmidt (*) studiando il metabolismo in un bambino con ittero emolitico prima e dopo la splenectomia, trovarono forte ritenzione di azoto otto giorni dopo l'operazione stessa, l’eliminazione dell’acido urico diminuita del 47%, la creatinina totale quasi normale, altri componenti azotati nell’urina senza variazioni dalla norma. Maggiore attenzione invece si è rivolta allo studio dell'eliminazione dell'acido urico in rapporto alla milza. Horbazewsky (*), avendo ottenuto dalla polpa splenica dell'acido urico, ritenne che la milza provvede alla sintesi dell'acido urico. Questa ipotesi, combattuta ed in seguito accettata da Kossel (*), confermata dal Giacosa (4), lascia però adito a dubbî e a serie obiezioni. Lo Monaco (*), avendo riscon- trato che nell'uomo, dopo la splenectomia l'eliminazione dell’acido urico con- tinua sempre, giustamente fa notare che, seppure la milza debba ritenersi come l'organo, dove prevalentemente sì forma acido urico, non sì può eselu- dere che anche altri organi disimpegnino tale funzione. Per quanto riguarda il sangue dei cani smilzati, il Bottazzi (9) riporta che in un primo tempo (40-50 giorni) dopo lo smilzamento si ha che: 1°) diminuisce notevolmente l’azoto percentuale degli eritrociti; 2°) diminuisce il residuo secco degli eritrociti del sangue in toto e del siero; 30) diminuisce il peso del corpo. In un secondo tempo sia l'azoto dei globuli rossi, come il residuo secco. ed il peso del corpo tornano ai valori normali ed accennano anzi a superarli. * * *% Le nostre ricerche sono state eseguite nel sangue defibrinato nel quale abbiamo ricercato l'azoto totale, l'azoto residuo e le sue frazioni, e ciò allo scopo di stabilire come si comporta l'elaborazione delle sostanze albuiminose nel metabolismo cellulare per effetto della mancanza della milza. Materiale di ricerca. — Abbiamo scelto cani di media taglia ed in buone condi- zioni di salute, che venivano mantenuti nello stesso ambiente ed a dieta costante. Questa era costituita da zuppa di pane e trippa ed in quantità tale da mantenere gli animali in equilibrio di peso. Le varie determinazioni dell'azuto venivano eseguite nel sangue defibrinato dell'animale, a digiuno, dopo almeno dieci giorni della dieta costante e dopo (1) Riassunto in Pathologica, 1916. (2) Cit. da Lo Monaco, Boll. Soc. Lancisiana Ospedali, Roma, 1895. (3 4) Cit. da Melis-Schirru, Il Policlinicv. anno 1899. (*) Loc. cit. (6) Lo Sperimentale, 1895, — 129 — vario tempo dalla splenectomia, che si praticava previa narcosi morfinica. Abbiamo messo in esperienza sei cani; di questi i primi due vennero a morte in varî periodi di tempo dopo la splenectomia. Le nostre esperienze vennero quindi condotte in modo com- ‘pleto su quattro cani. Tecnica biochimica. — Le ricerche biochimiche riguardano: 1°) il residuo secco; 2°) l'azoto totale; 39) l’azoto non precipitabile col tannino — azoto residuo —; 4°) l'azoto ureico; 59°) l'azoto ammoniacale; 6°) l'azoto titolabile al formolo, azoto degli amino-acidi. 1°) Residuo secco: venne determinato essiccando il sangue, defibrinato in pesa- filtro tarato, prima a temperatura di 60° per circa 12 ore e poi a 100°; indi in essicca- tore ad acido solforico fino a peso costante. 2°) Azoto totale: determinato col classico metodo di Kjeldhal e titolato con so- luzione di Na0H o 10 3°) Azoto non precipitabile col tannino: abbiamo dosato questo azoto sul filtrato ottenuto dal sangue leggermente acidificato e precipitato con soluzione di tannino al 5 % di recente preparato ed aggiunta di qualche grammo di NaCl. 4°) Azoto ureico: dopo avere, in esperienze preventive, sperimentato i diversi me- todi in uso, anche i più recenti (tranne quello ponderale proposto da Fosse perchè non ci fu possibile procurare in tempo lo Xantidrol), abbiamo scelto il metodo all’ipobromito previa precipitazione con acido tricloroacetico al 20%, servendoci dell’ureometro d'Am- bard, con tutti gli accorgimenti di tecnica, necessarî per ridurre al minimo gli errori del metodo. 5°, 6°) Azoto ammoniacale, azoto degli amino-acidi: abbiamo dosato su una por- zione del filtrato tannico seguendo i procedimenti di tecnica e gli accorgimenti indicati in una precedente Nota (1). RisuLTATI. — I risultati delle ricerche sono riuniti nella seguente ta- bella. I valori si riferiscono a sangue defibrinato fresco ed essiccato. (') Arch. farm. Sperim. Scienze affini 1922. d'enDICONTI. 1922. Vol. XXXI, 2° Sem. 18 TABELLA DEI VALORI % DI AZOTO È SUE FRAZIONI NEI CANI NORMALI E SMILZATI. ci Fa toh Residuo | REp AO | fo a Azoto AO | Agototderii aio Bél strato | ei renne 55 OSSERVAZIONI Zi ine: °/o | fresco | secco fresco secco fresco secco fresco secco | fresco secco usi | | Ì ‘ Normale ..| 8,700) 18,94/3,186|16,94 0,033 0,1742) 0,0207| 0.1098| 0,0018) 0,0095| 0,0043| 0,0227| Alimentazione: pane gr. 300, trippa bol- | | lita gr. 100. 1 Smilzato da | 80 giorni. 7,500) 14,98| 1,80/12,01 0,049) 0,8271| 0,0085| 0,0567| 0,0144| 0.0962 0,032] 0,2136| Idem. Smilzato da RO \ 186 giorni.| 9,100) 14,15) 1,80|12,01 0,041| 0,2897| 0,0325| 0,2296| 0,0015| 0,0106 0,004| 0,0282| Idem. | II ese DE CS Normale . .|10,600| 19,64|2,854|14,54| 0,039|0,1998| 0,027 0,1374 0,002) 0,0101|] 0,0068| 0,0340| Alimentazione come nel precedente ani- o \ male. | | Smilzato da K ag: 23 giorni . 9,700, 14,40|1,925/13,86 0,057| 0,3958| 0,018) 0,125 0,015) 0,1041 0.018| 0,125] 1dem. 2 Roo da : ‘180 giorni, | 10,500) 15,20) 2,13/14,01 0,046] 0,3026| 0,0328| 0,2157| 0,0012| 0,0078| 0,0082| 0,0539| Idem. ars REA A = SS ‘ Normale .. 8.9 18,40| 3,57 19,40. 0,392) 0,213) 0,031| 0,1684/0,001159| 0,0086) 0,0042| 0,0228) Alimentazione: gr. 250 di pane, gr. 100 ì \ di trippa bollita. | Smileato da E 45 giorni .| 7,600] 17,46] 1,37| 7,84| 0,05504|0,3152) 0,022) 0,126| 0,01159| 0,0663| 0,01765| 0,101|Idem. i STAR 6 Sara o . .| 14,500) 18,873,038|16,09| 0,03451|0,1828) 0,0208| 0,017 0,0034| 0,018] 0,0068) 0,036| Alimentazione: pane gr. 850, trippa gr. 100. 4 ) Smilzato da Kos 25 giorni .| 13,200] 16,46] 1,86|11,30 0,064) 0 3888) 0,1049) 0,1032 0,016) 0,0912 0,027| 0,164| Idem. | — BI — Dall'esame dell'annessa tabella risulta: 1°) il residuo secco del sangue defibrinato negli animali smilzati su- bisce una diminuzione sensibile rispetto agli stessi animali normali; 2°) l'azoto totale negli animali smilzati è diminuito notevolmente tanto in rapporto al sangue fresco, quanto al residuo secco; questa diminu- zione persiste anche dopo molto tempo dallo smilzamento; 3°) l’azoto residuo totale è notevolmente aumentato tanto nel primo mese dopo lo smilzamento, quanto anche dopo sei mesi dallo smilzamento; 4°) l'azoto ureico, in un primo tempo (30-45 giorni) dallo smilza- mento, si mostra sensibilmente diminuito, in un secondo tempo (dopo sei mesi) invece, è aumentato anche rispetto al valore normale; 5°) l'azoto degli amino-acidi aumentato notevolmente in un primo tempo, dopo molto tempo dallo smilzamento ‘ritorna o quasi alla quan- tità normale: 6°) l'azoto ammoniacale presenta un comportamento uguale a quello degli amino-acidi, aumenta in principio, diminuisce ritornando al limite quasi normale dopo molto tempo dallo smilzamento. Non è nostra intenzione per ora discutere i risultati ottenuti, essi però sembrano in rapporto con un aumentato catabolismo proteico e mettono quindi in rilievo l’importanza della milza come organo regolatore del me- tabolismo generale proteico. Inoltre è degno di nota che per quanto l'ani- male resti in vita ed in apparenti buone condizioni anche molto tempo dopo la splenectomia e si ristabilisca il peso del corpo, accennando per fino a su- perare quello iniziale, i valori dell’azoto totale e dell’azoto residuo non si riportano al normale. Sembra quindi che non sempre o non completamente entrino in giuoco quei fattori, che valgono a vicariare la funzione della milza. Chimica fisiologica. — Sul valore alimentare dei semi del- ’Ervum Ervilia('). Nota V di Sapato Visco, presentata dal Corrisp. D. Lo Monaco (?). Quando comunicammo che i ratti alimentati per tre mesi con un mi- scuglio di farina di semi di Ervum £Ervilia (90-95 %) e caseina (10-5 %) non perdevano peso, nè manifestavano segni morbosi di sorta, facemmo anche notare: che essi ingerivano di questo miscuglio notevoli quantità, mentre si alimentavano scarsamente quando erano mantenuti con sola farina di ervo (*). Questa osservazione ci fece sorgere qualche dubbio sulla funzione da asse- (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica Fisiologica della R. Università di Roma diretto dal prof. Domenico Lo Monaco. (*) Pervenuta all'Accademia 1°’8 settembre 1922. (8) S. Visco, Sul valore alimentare dei semi dell’Ervum Ervilia. Nota IV, Ren- diconti della R. Accademia Nazionale dei Lincei, vol. XXXI, fasc. 9°, 1922. So, — gnare alla proteina aggiunta all'alimento in esame, e, ritenendo che essa dovesse essere conosciuta con maggiore esattezza, prima di formulare al ri- guardo conclusioni detinitive, istituimmo una nuova serie di indagini delle quali trascriviamo qui i protocolli. Peso ER 5 % : È : TAVOLA Ta SRI GL TIZIO a esperti rm 2 SERI TAO RATIOS mi 1 ZL 3 DAS 618 IG10UN121IZIIISI61718 1920 21 22 23292526 27 2BLIZOR RITA i > 22232425, av à GN aa) saltò È Di een lori i AS ENANLEION L LI DA è 3 ni S a RANA Ò a | n i GS IN REEE Alimento I I CRE ' Ln Qammni t i L fc (ESE (e n T H+ TI BERE Gi IZ REESET Bi IN A BI REBRDO - | (Al CARE MANIE AL 12 Martha sera dela | Dr Avid dor 11 ‘e veri gr VENZ; Perito] dé h Lat e d+ sca | LL 10_ |:435ZA ci Ls Prvdra| ervrloa 32 DE | Ratto A (corrisponde al ratto A della Nota IV). Gennaio 16, pesa gr. 192. Alimen- tazione: 26:= gr. 169.27 = gr: 162; 28 —=/gr Febbraio 1o— farina di semi di Ervum Ervilia. 17 = gr. 191; 20= gr. 183; 21= gr. 175; 22=gr. 174; 23=gr. 173; 155; 18=gr. 190; 24= gr. 173: 19:= ‘eri1835 25 = gr. 173; 29 = gr. 150; 30=gr. 147; 81 = gr. 148. gr. 147; 2= gr. 143;3 = gr. 148; 4= gr. 142; Di 6= gr. 132; — 153 — 7=gr. 181: si osserva quanto segue: pelo arruffato. Colonna vertebrale incurvata con convessità dorsale. l'reno posteriore più basso che normalmente. Deambulazione lenta du- rante la quale gli arti posteriori appena si staccano dal suolo. 8= gr. 131; 9= gr. 133; 10= gr. 129, gli arti posteriori nel cammino vengono quasi trascinati; 11 = gr. 128; 12= gr. 120; 13= gr. 123, paresi netta negli arti posteriori; 14 = gr. 119; 15 l’ani- MZ: ea Se vr TETI A ie RATTOD. ingemmi | 7 2 34 56 vS9/0WNR13VAIS I 1XI8 19 202) QI32IITÙ% 27 25293031 32334 190 | L edo (A LL IZ | I ln HST ABORIN || \l | 185 ne 10 184 183 HH 182 IR 136 ne tica | | ] 5. DELERRÌ . Alimento | ingerito | I in'Qgammni 13 pena ld 4 eviti: 19, riva di sq de | (ANITIAA GU EIYU 4 11 Envu (1 OL } Adi oWoAlimina . i LI L male muore. Esame microscopico: nulla di particolarmente notevole. In 30 giorni di espe- rimento l’animale ha perduti 73 gr. di peso, pari al 38 % del peso iniziale. Ratto B (corrisponde al ratto B della Nota IV). Aprile 9, pesa gr. 186. Alimen- tazione: farina di semi di Ervum Ervilia 95%, caseina 5%. 10= gr. 186; 11= gr. 186; 12= gr. 188; 13= gr. 186; 14= gr. 187: 15=gr. 187. Alimentazione: farina di semi — 134 — di Ervum Ervilia. 16 = gr. 187; 17 = gr. 186; 18= gr. 186: 19= gr. 185; 20= gr. 184; 21 = gr. 182; 22= gr. 181; 23.= gr. 177; 24= gr. 172; 25—-gr. Il; (26/=ioraMizde 27 = gr. 165; 28= gr. 160; 29 = gr. 158; 30 = gr. 158. Maggio 1°= gr. 1566; 2= gr.155; 5= gr. 152; 4= gr. 150: si osservano lievi fatti di astenia a carico degli arti posteriori : 5= gr. 145; 6= 143, su un piano orizzontale l’animale si muove molto lentamente, con gli arti posteriori più divaricati dell'ordinario. I piedi posteriori sono ur po’ più estesi che normalmente, per modo che la faccia inferiore del tarso è quasi completamente in rapporto col piano sul quale l’animale si osserva. Stimolandolo perchè si muova, non si riesce a modificarne la lentezza dei movimeuti. Notasi inoltre, quando lo si sospinge avanti che, quasi, trascina il treno posteriore. Mai si erige sugli arti posteriori. Abdu- cendo ora uno ora l’altro arto, sia anteriormente che posteriormente, si nota che mentre gli anteriori vengono portati rapidamente nella posizione di prima, i posteriori riacqui- stano questa con evidente lentezza. Gli arti anteriori sono adoperati, come normalmente, per il muso, e nel far ciò l’animale non si erige mai sulle zampe posteriori sulle quali sta come accoccolato. La schiena è abnormemente curva. 7= gr. 138; 8= gr. 137; = gr. 185. Alimentazione: farina di semi di Zrvum Ervilia 90%, caseina puris- sima 10 %. 11= gr. 139; 12=gr. 145: 18= gr. 147; 14=g-. 152. La sindrome morbosa descritta è quasi completamente scomparsa. L'animale mostra una notevole vivacità 15=.gr. 157; 16= gr. 160; 17= gr. 166; 18=.gr. 167; 19 = pral69£ 20— gr. 172; 2i= er. 171; 22=gr.41l74;. 23. gr. 197; 24/= gr Mi v9525:=igraMl84 26= gr. 185; 27 = gr. 186; 28=gr. 184; 29= gr. 185 Alimentazione: farina di semi di Ervum Ervilia 95%, caseina purissima 5%. 30 = gr. 186; 31= gr. 188, Giugno, 1°= gr 186;2= gr. 186;3 = gr. 187;4=gr. 186;5= gr. 186;6= gr. 189; 7= gr. 188; = gr. 184. Alimentazione: farina di semi di #rvoum Ervilia, 9 = gr. 181; 10= gr. 177; li==gr: 172; 12=gr. 171; l3==grillvi; l4= gr. L66:; l5:=-gr 61 M/60/_foroMl58s Alimentazione: farina di semi di Ervum Ervilia 90 % , caseina purissima 10 %.17= gr. 158; 18 ='gr. 160; 19'—= or. 161; 20/=;prA0l63; 20= gr. 163; 22/=igro 164::023/— forMeli66£ 24 = gr. 168; 25—= gr. 168; 26==fera168; 2#= er. 170; 28 = or Av; N29 to ral78] 80= gr. 172. Luglio 1° = gr. 173; 2= gr. 173; 3= gr. 174; 4= gr. 176. Dopo 19 giorni di alimentazione esclusiva con farina di semi di Ervo l’animale incominciò a presentare le prime manifestazioni morbose, aggiunta la caseina alla farina alimentare la sindrome morbosa scomparve rapidissimamente ed il ratto in pochi giorni riacquistò quasi tutto il peso perduto. Dal 30 maggio al 2 luglio l'alimento ingerito dal ratto è stato pesato ed i rapporti qualitativi e quantitativi in cui esso quotidianamente è venuto a trovarsi con le variazioni del peso dell'animale sono riportati nell’annessu tavola I dalla quale si ri- leva che 10 grammi di farina di semi di Eryo addizionato col 10 % di caseina hanno pro- dotto l'aumento di peso dell'animale che prima ne aveva perduto ingerendo un minimum ‘ di 12 gr. di sola farina. Rarro C (corrisponde al. ratto C della Nota IV). Aprile 4. pesa gr. 170. Alimenta- zione: farina di semi di 4roum Ervilia 90%, ovoalbumina pura 10%. 5 = gr. 170: 6= gr. 168; 7=gr. 169; 8==gr. 169; 9=gr. 170; 10=gr. 171; 11 = gral74; 12= gr. 173; 13= gr. 173: 14=gr. 175; 15= gr. 171; 16= gr. 171; 17=gr. 171; 18= gr. 101; 19 = gr. 170; 20 =igr. 172; 21.= gr. 100; 22/—gr. dd; 23. ione 24 = gr. 174; 25= gr. 192; 26=gr. 169; 27 = gr. 168; 28=gr. 169; 29= gr. 169; 380= gr. 169. Maggio ‘10°—:gr. 1169; 2i:=gr10005 3,= gr. 69; 4 — or. d69;10/— (grid: Per brevità non riporto le oscillazioni del peso presentate dall’animale per tutto il resto dell’osservazione, la quale ebbe termine il 7 luglio del 1922, giorno in cui l’animale pe- sava 172 grammi. In 97 giorni di alimentazione esclusiva con un miscuglio di Ervo 90 % e ovoalbumina 10 % l'animale ha guadagnato 2 gr. di peso e non ha presentati fatti mor- bosi di sorta. i — 135 — Ratto 2 (corrisponde al ratto D della Nota IV). di 8, pesa gr. 2° tazione: farina di semi di £roum Ervilia. 9= gr. 220; 10=gr. 221; 1 g deioreglo: 9 gr, all, di —= pr. 212; 15 = gr. Re l'ol=er. 2071 =pr 2035 isf 9820089 —tora202: 820 =_ier 1995 dl or. d96E822/=or. 1956029 —s0r. 1945; 24 = gr. 194; 25= gr, 190. Alimentazione: farina di semi di £rvum Ervilia 95 %, ovo- albumina pura 5 %. 26= gr. 191; 27= gr. 187; 28= gr.187; 29= gr. 187; 30 = gr.187. Maggio 1° = gr. 187; 2= gr. 187; 3= gr. 187. Alimentazione: farina di semi di Zrvum eroina —oraioo;io—iepr.il60; 0_or: 182; 7 — pr. (1825038 —_/pr. 152; 9— pr. 180; gr. 168; iocorels0nnlee—tor dor de—toriito; 13. =or. d68n 14 ="or. il69; db= 16 = gr. 168; 17 = gr. 167; 1S= gr. 164; 19= gr. 160. Alimentazione: farina di semi di Ervum Brotto 90% , ovoalbumina pura 10 %.20=pr.162;21 = gr. 167; 22 = gr. 169; 2oiiornadsio 0247 — tonali; 25/— eremo: 26 — pr. Mb: 2N=er. 10025 — pr 176; 29 = gr. 178; 30= gr. 179; 31 = gr. 179. Si continua con questa alimentazione fino al 7 luglio del 1922, giorno in cui l’animale pesa gr. 201. Durante l’esperimento non ha mai pre- sentati disturbi di sorta. Dal 26 aprile al 30 maggio l'alimento ingerito dal ratto è stato pesato, ed i rapporti qualitativi e quantitativi in cui esso è venuto a trovarsi quotidia- mamente con le variazioni del peso dell'animale sono registrati nell’annessa tavola II, dalla quale si rileva che l’ingestione di 10 gr. del miscuglio: farina di Ervo 90%, ovo- albumina pura 10%, ha prodotto l'aumento di peso dell'animale che prima ne aveva ‘perduto ingerendo un mirimum di 11 gr. di sola farina. Ratto £, maschio, in periodo di sviluppo, pesa gr. 106. Si mette in esperimento il giorno 11 marzo alimentandolo con un miscuglio di farina di semi di Ervum Ervilia 90%, ovoalbu- mina 10%. 12= gr. 91 (l’animale ha rifiutato il cibo); 13 = gr. 90 (incomincia a man- giarne); 14 = or. 93; 15 = gr. 94; 16= gr. 100; 17 = gr. 106; 13 = gr. 109; 19=gr. 108! eW=iorai 02 Rio 22 apr 228 pr Li or i 20, pr 6; 26 = gr. 121. In 15 giorni di esperimento l’animale ha guadagnato 15 gr. di peso. Ratto f, femmina, in periodo di sviluppo, pesa gr. 87 il 10 marzo del 1922. Ali- mentazione: farina di semi di Ervum Ervilia 90%, ovoalbumina pura 10%. 12 = gr. 78 (rifiuta il cibo); 13 = gr. SL (incomincia a mangiarne); 14= gr. 80; 15 Uo= orsi tor 92 toro 2 ioni ne 0 ora Rli= rd: 22 —;or og ore 4086 24=:or 104: 2b= or. 104-826 =tor. 105. Ind esperimento ha guadagnato 18 gr. di peso, Ratto G, maschio, in periodo di sviluppo. Il 5 aprile del 1922 pesa gr. 129. Ali- mentazione: farina di semi di £rvum Ervilia 90%, albumina del sangue di bue 10 %,. bifore? sciolto —=ipratloD; d0i=igre 800/0868, dll=;or 195; i2:—_ioraal996 13 —ior 80 er 14050 er. 1A dor 1408 1 = or. 0043; 18= gr. 145: 19= gr. 146: 20= gr. 146. In 15 giornis di esperimento l’animale ha guadagnato 17 gr. di peso. Rarto H#, maschio, in periodo di sviluppo. Il 5 aprile del 1922 pesa gr. 114. Ali- mentazione: farina di semi di £rvum Ervilia 90%, albumina del sangue di bue 10 %,. = ile (Sage ego dIbroc astio sarai sg = gpl be ARIETE E 1S= gr. 132; 19= gr. 133: 20= gr. 133. In 15 giorni di esperimento l’animale ha guadagnato 19 gr. di peso. Da i protocolli trascritti in questa Nota e nella precedente possiamo rilevare i se- guenti fatti: a) i ratti adulti alimentati a lungo con miscugli di farina di Ervo e pro» teine animali. non perdono peso nè vanno incontro a fatti morbosi di sorta: 6) i ratti giovani alimentati con miscugli di farina di Ervo e ovoalbumina o albumina del sangue ‘continuano a crescere: c) la soppressione della proteina animale aggiunta alla farina, è — 186 — immediatamente seguita da una continua perdita di peso da parte dell’animale e da fatti di astenia prima, indi di paresi, degli arti posteriori: d) aggiungendo di nuovo alla fa- rina di Ervo la proteina soppressa, i ratti riguadagnano il peso perduto e la sindrome morbosa in essi manifestatasi scompare rapidissimamente. Concludemmo la Nota I for- mulando l'ipotesi che lo stato morboso osservato nel ratto 8, si dovesse attribuire alla carenza dei semi dell'E&rvum £Ervilia somministratigli come unico alimento. Per non pre- giudicare la questione usammo la parola carenza col significato estensivo ad essa data da Weil e Mouriquand (*), ed intanto proseguimmo nello studio dell'argomento per met- tere in vista nuovi fatti i quali ci permettessero di stabilire con certezza l’esistenza e la natura della supposta carenza. Frutto di queste successive ricerche sono state le osser- vazioui che abbiamo avanti riassunte alle lettere a), c) e d), dalle quali risulta che l’inferiorità nutritiva dei semi di £roum Ervilia nei confronti di altri alimenti consiste nella inferiorità delle loro proteine, le quali hanno una costituzione qualitativa (0 sol- tanto quantitativa ?) diversa dalla caseina, dalla ovoalbumina e dall’albumina del sangue di bue. Alla stessa conclusione arriviamo anche per un’altra via. Dimostrammo nella Nota II (?) che nei semi dell’Ervo si trovano scarsissime quantità di fattore accessorio B: ma questa relativa deficienza vitaminica non ha influenzati i nostri risultati perchè, come ben sappiamo, i ratti tollerano a lungo, e senza inconvenienti, un'alimentazione priva del predetto fattore accessorio. Così, essi non sono stati influenzati dalla manicanza del fattore accessorio A, a cui sono sensibili i ratti, poichè questo è presente nei semi del- l’Ervo. E infatti, le proteine aggiunte alla farina somministrata agli animali tenuti in esperimento, erano fisiologicamente pure, nel senso voluto dal Bierry, dati i trattamenti ai quali le sottoponemmo prima dell’uso; ciò non ostante i ratti giovani ,,/, Ge 4A hanno continuato a crescere come normalmente; ora questo non sarebbe avvenuto se nei semi dell’Ervo non fosse stato presente il fattore accessorio dell’accrescimento [queste considerazioni ci autorizzano a negare qualsiasi efficacia al preparato di vitamine sommi- nistrato al ratto 8 della Nota I, e ci fanno attribuire la guarigione dell'animale alla proteina apportategli dal cruschello di Andropogon Sorgum aggiunto all'acqua che beveva (*)]. Esclusa dunque qualsiasi azione attribuibile comunque alle vitamine, noi dobbiamo ritenere che la osservata carenza dei semi dell'&rvum Ervilia, è la carenza delle proteine in essi contenute. Riassumendo ora quanto abbiamo precedentemente dimostrato possiamo formulare le seguenti conclusioni: 1°) i semi dell’Ervum Ervilia non sono adatti all’alimentazione dei ratti perchè le loro sostanze proteiche non contengono affatto, o contengono soltanto in quantità insufficiente, qualcuno degli aminoacidi indispensabili all'economia dei detti animali; 20) i semi dell'E#rvum Ervilia mescolati a dosi sufficienti di una proteina animale completa, costituiscono un nutrimento adatto alle esigenze (1) E. Weill et G. Mouriquand, L’alimentation et les maladies par curence. Paris, 1919, Baillière éditeur. (2) S. Visco, Sul valore alimentare dei semi dell'Ervum Ervilia. Nota II, Ren- diconti della R. Accademia Nazionale dei Lincei, vol. XXX. fasc. 79-89, 1921. (?) S. Visco, Sul'valore alimentare dei semi dell’Ervum Ervilia. Nota II, Ren- diconti della R. Accademia Nazionale dei Lincei, vol. XXX, fasc. 59-60, 1921. 37 NOE alimentari dei ratti, per un periodo di tempo almeno non inferiore a sei mesi; 3°) nei semi dell’Ervum Ervilia non è contenuto, almeno per i ratti, nessun principio tossico; 4°) la sindrome morbosa che si manifesta nei ratti alimentati sol- tanto con semi di 4rvum Ervilia dipende esclusivamente dalla incapacità nutritiva delle proteine somministrate; ed essa scompare non appena si ag- giunge alla razione di Ervo una congrua dose di una proteina completa; 5°) i semi dell’#rvum Ervilia contengono il fattore accessorio A. Mineralogia. — Aiedeckite del Vallone delle Miniere ( Valle della Germanasca) (*). Nota di E. GRILL, presentata dal Socio F. MiLLOSEVICH (°). La presenza e la diffusione di anfiboli monoclini sodici nelle rocce sci- stose cristalline delle Alpi Occidentali e delle isole della Gorgona e del Giglio, le quali con le prime hanno una grande analogia litologica, è cosa ormai conosciuta da parecchi anni. Come pure è ben noto che di detti anfi- boli il termine più comune è il glaucofane, particolarmente abbondante negli scisti metamorfici derivati dalla trasformazione delle eufotidi, e rinvenuto, in talune località, anche in bei cristalli che furono già oggetto di studio da parte di L. Colomba (*) e di F. Zambonini (*). E non molto più rara del glaucofane sembra essere la riebeckite nella sua varietà amiantoide detta crocidolite che fu osservata la prima volta in Italia da A. Lacroix (*) in rocce della Gorgona e quivi, in seguito, riosservata da S. Franchi (5), da E. Manasse (7) e da A. Onetti (8) e riscontrata ancora, più di recente, nelle anfiboliti dell’isola del Giglio da F. Millosevich (*). (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Mineralogia del R. Istituto di Studî Supe- riori di Firenze. (2) Pervenuta all'Accademia il 12 luglio 1922. (3) L. Colomba, Sulla glaucofane della Beaume. Atti R. Accad. delle Scienze di Torino, vol. XXIX, 1894. (4) F. Zambonini, Sul glaucofane di Chateyroux, (Valle di Gressoney). Rend. R. Accad, dei Lincei, vol. XI, serie 58, fasc. 59, Roma, 1902. (5) A. Lueroix, Sur les propriétés optiques de la crocidolite ecc. Bull. Soc. Frane. | de Miner., vol. XIII, Paris, 1890. (8) S. Franchi, Prasiniti ed anfiboliti sodiche ecc. Boll. R. Com. geol., vol. XV, Roma, 1896. (7) E. Manasse, Le rocce della Gorgona. Atti della Soc. Tosc. di Se. Nat., Memorie, vol. XX, Pisa, 1903. (8) A. Onetti, Rocce del Capo Argentario. Proc. verb. della Soc. Tosc. di Sc. Nat., vol. XXI{, Pisa, 1913. (9) F. Millosevich, Stud/ litologici sull’isola del Giglio. I. Le rocce verdi. Rend. R. Accad. dei Lincei, vol. XXV, serie 5%, fasc. 7°, Roma. 1916. RENDICONTI. 1922. Vol. XXXI, 2° Sem. 19 — 138 — Assai meno frequente, invece, è apparsa la riebeckite vera e propria, in cristalli cioè di un certo sviluppo, suscettibili di misura. Non risultandomi essi segnalati da alcuno, finora in Italia, ho creduto utile descrivere qui un campioncino di riebeckite trovato, l'estate decorsa, nella discarica di una vec- chia galleria. scavata, anni sono, assieme ad altre, sul fianco orientale del Vallone delle Miniere, sull’Alpe delle Selle, allo scopo di estrarvi della calcopirite. Questo minerale affiora infatti, qua e là, associato a della pirite cuprifera, su un percorso di mezzo chilometro circa, al contatto tra i calce- scisti mesozoici costituenti il tetto del giacimento ed un banco di eufotide separato dai primi da una sottile intercalazione di serpentina diallagica. I cristalli di riebeckite sono contenuti in uno scisto a cloritoide forte- mente quarzoso. a struttura granulare poco compatta, inquinato di pirite e di limonite, e presentansi disposti, per lo più, a fascetti, spesso anche di- vergenti. Hanno colore nero, lucentezza submetallica, abito prismatico spic- ‘cato e sono del tutto opachi anche se assai esili. I più grandi misurano 7 mm. di lunghezza per 1 mm. o poco più di spessore ma non sono singoli essendo essi costituiti da varî individui uniti in associazione parallela secondo }110} per cui appaiono fortemente striati nella direzione dell'asse [3]. Gli altri hanno dimensioni minori e molti sono poi addirittura aciculari ma non mai fibrosi o asbestoidi. Nei cristalli a grandezza media le facce dei prisma sono piane e lu- centi. Pure liscie e dotate di vivo splendore sono quelle che si ottengono, molto facilmente, per sfaldatura. Nell'uno e nell’altro caso esse dànno buone immagini della mira che mi permisero di misurare, con una discreta preci- sione, l’ango'o del prisma verticale. Ho ottenuto infatti: (110):(110)= estremi 550,20'-550,9" 559,10' (media di 9 misure). Questo valore sarebbe assai vicino a quello — 550,5’ — dato da Pa- lache e Warren (*) per la riebeckite, in grossi cristalli, delle pegmatiti gra- nitiche di Quincy nel Massachusetts e quindi notevolmente più basso dei va- lori riportati dal Dana (*) per il glaucofane (58°,16') e da Brògger (*) per la arfvedsonite (56°,5'). Non bisogna però dimenticare che nel glaucofane di Chateyroux F. Zambonini trovò che l’angolo in questione è uguale a 540,58" (media di 3 misure) e che per cristalli provenienti da altri giacimenti fu- (*) C. Palache e C. Warren, Chemische Zusammensetzung und Krystallform des Pa- risits ecc. Zeitschr. fir Krystall. und Miner., vol. XLIX, pag. 347, Leipzig, 1911. (2) E. S. Dana, Descript. Mineralogy. 6% ediz, pag. 399, New York, 1892. (*) W. G. Brògger, Mineralien der sidnorweg. Augitsyenit. Zeitschr. fir Kryst. und Mineral., vol. XVI, pag. 400, Leipzie, 1890, — 1329 — rono pure misurati angoli più vicini a 55° che a 56°; per cui la differenza angolare non sembra poter servire per distinguere un minerale dall’altro. Oltre al prisma fondamentale osservai ancora il pinacoide laterale }010}, sempre poco sviluppato, e due faccette terminali, una delle quali molto più estesa dell'altra, ben visibili solo al microscopio, simmetricamente disposte rispetto al piano }010}. L'angolo loro con {010} è di 65° circa per cui ritengo possa trattarsi della forma }221}, essendo (221):(010) = 650,48’ (orneblenda). In sezione sottile la riebeckite del Vallone delle Miniere presenta il seguente pleocroismo: a= bleu cupo; 6b= viola; S c= giallo verdolino pallido: quindi il seguente schema di assorbimento: (0 e) L'allungamento dei cristalli ha segno ottico negativo (*). L'angolo a: € è piccolissimo e = —4° circa, ma a causa della forte colorazione del mi- nerale non misurabile con esattezza. La rifrazione è piuttosto elevata e la birifrazione debole. Col metodo della immersione in liquido di Thoulet ho trovato che l'in- dice 8, per la luce gialla, è uguale a 1,692 cioè molto vicino all'indice (1,695) ottenuto da Palache e Warren (*) per la riebeckite di Quincy. Per decidere, in modo certo, se il minerale da me raccolto era veramente riebeckite e non piuttosto arfvedsonite, la quale, come è noto, ha pure allun- gamento negativo (ma angolo di estinzione più grande) e un tenore assai più basso di FesO; con discreta quantità di CaO e MgO, ne venne eseguita l'analisi chimica. La quantità di sostanza occorrente fu ottenuta frantumando, non troppo grossolanamente, il campione trovato e levigando i frammenti con liquido di Thoulet al massimo di concentrazione (8,2). La riebeckite si separò così dal quarzo ma non dai granuli di limonite e di pirite o calcopirite cui era com- mista che furono poi eliminati con una semplice cernita a mano e coll’aiuto di una buona lente. (1) Fra le molte laminette di sfaldatura di riebeckite che esaminai al microscopio, ne trovai alcune con allungamento positivo che sarebbero quindi da attribuirsi a glau- cofane. Osservai pure che parecchie di esse avevano una colorazione non uniforme essendo più pallide, quasi incolore, verso le estremità. (2) C. W. Palache e C. Warren, loc. cit. — 140 — La riebeckite ha in polvere un colore azzurro chiaro che diventa sempre più pallido mano a mano che aumenta la triturazione. All'analisi chimica ebbi: Rapporti molecolari S10, 51,53 0.8546 12,88 ANO): tracce — A130, Zed 0,0265 | e, i i >» 0,1279 1,92 Fe0, 16,22 0,1014 | 4 Feo Lezagali 0,2390 Mn0 012,2, 0,0031 o È 3 NEO 310] 4,22 Cao 0,79 0,0140 | < Mg0 Io 0156 0,0250 Na:0 1,81 04125960 Ì 3 ° ì > 01376 2, K,0 TS 0,0120 | de oi H.0— 0,91 NERA H.0 + 1,20 0,0666 - 1.00 100,04 p. sp. 3,44 da cui si ricava la formula bruta: 13SÎ0, , 2(Fe'”".A1).0; , 4(Fe”,Mg.Ca, Mn)O , 3(Na, K,H);0. Rispetto all'acqua che fu dosata per arroventamento tenendo conto della. ossidazione di FeO a Fe,0,; ho notato che essa viene scacciata solo ad ele- vata temperatura, per ciò credo che essa sia, in gran parte almeno, di co- stituzione. Considerandola sotto questa forma si può immaginare che l'idro- geno sostituisca ìl sodio in modo analogo a quel che fa il potassio. La rie- beckite da me studiata sarebbe quindi dovuta alla associazione dei seguenti tipì di molecole: (1) 2 Fey"(Si03): +4Fe" Si03 +3 Nas Si0x. Ora come è noto si ritiene, invece, generalmente, che la riebeckite sia costituita da molecole aegiriniche NaFe'"(si03), — colla aegirina infatti tro- vasi spesso unita in natura — e da molecole Fe” Si0;. Ma si è pure am- messa l'associazione di molecole Fe” SiO;, Nas Si0; , Fe'”:(Si0;)3. Nel gia- cimento della Valle della Germanasca la riebeckite non è però associata ad aegirina ciò che verificasi, del resto, anche altrove. E occorre ancora ricor- dare come le ricerche di Clarke e Steiger (1) abbiano dimostrato che la rie- (1) Am. Journ. of. sc., vol. XIII, 1902: — 14l — beckite — almeno quella di El Paso su cui furono fatte le esperienze — è fortemente attaccata dal cloruro ammonico, mentre l’aegirina lo è invece pochissimo. Ciò sarebbe naturalmente contrario alla supposizione che a co- stituire la riebeckite entrino molecole di tipo NaFe”"(Si0:), come ha am- messo recentemente .J. Orcel (*). Calcolando le percentuali teoriche richieste dalla formula (1) si hanno i valori segnati in I, con accanto in II quelli trovati: I II DIO an a ASA Dil59 Me 10 Besoztalo e 20,26 18,93 . . . (Fe’””,A1).0; Bee. 0. ‘15,23 19,183. . . (Fe”,Ca, Mg, Mn)0 Nas0t.. 0, 1179 10,1% ae Na K:H),0, 100,00 99,73 L'eccesso di Si0, dato dall'analisi è forse imputabile a grannletti mi- nutissimi di quarzo fortemente impigliati nei cristalli di riebeckite e che non si separarono durante la levigazione col Thoulet. Ma anche altre rie- beckiti, quelle, per esempio, di Quincy e di El Paso, gia ricordate, presentarono all'analisi un eccesso di SiO». Il confronto (vedi quadro) dell'analisi da me fatta con le analisi ese- guite da altri mineralisti su riebeckiti provenienti da giacimenti diversi dimostra, ad ogni modo, la notevole variabilità di composizione del mine- rale in parola. Alla impurezza dei materiali analizzati va attribuita, in massima parte almeno, la diversità dei valori analitici. Così la riebeckite di Quincy, al dire di Palache e Warren, era inquinata di aegirina, microclino e quarzo, quella di Romania, studiata da Mrazek, di granuli di zircone e di sostanze fer- ruginose. Particolarmente interessante sarebbe conoscere la composizione chimica della riebeckite trovata, anni or sono, a Saint-Véran, nella Valle del Guil (Hautes Alpes), cioè dall'altra parte del confine ed in condizioni di giaci- citura molto simili, se non identiche, a quelle del Vallone delle Miniere, vale a dire in scisti quarzosi cupriferi posti tra la formazione calcescistosa e l’eufotide e ritenuti da P. Termier(*) di natura sedimentaria, i quali scisti avrebbero subìto un forte metamorfismo arricchendosi in silice e in sodio all'apparire della roccia eruttiva. (1) J. Orcel, Note sur la riebeckite d'Evira (Corse) ecc. Bull. Soc. Frane. de Miner., vol. XLIII, pag. 237, 1920, Paris. (2) P. Termier, Roches à lawsonite et à glaucophane et roches à riebeclkite de Saint- Véran (Hautes Alpes) Bull. de la Soc. Franc. de Minér., vol. XXVII, pag. 265, Paris, 1904, in El Paso Isola di Socotra Turcoaià Cevadaes Cap Ann Quincy Evisa Ampasibitika |slla le (Colorado) |(Costa dei Somali) (Romania) (Portogallo) (Massachusetts) | (Massachusetts) (Corsica) (Madagascar) (Piemonte) ARTI, A. Konig (1) | A. Sauer (@) | L. Mrazek (8) | M. Dittrich (1) [FL Rosenbusch (5) è Wario (0 7. Orcel (7) | M. Racult (8) E. Gril SIO on 49,83 49,45 45.69 49,55 49,65 51,79 49,70 48,40 51,53 (per differ.) LI OS 1,43 = _ 0,84 — 1,28 0,65 0,78 tracce E 0,75 4,70 o _ — _ tracce _ n. d. Al303. tracce = 3 0,97 1,84 0,68 2,00 3,60 did Eos 14,87 26,62 14,33 16,52 17,66 14,51 13,14 14,70 16,22 BeOrrea ie 18,86 9,25 17,62 20,38 19,55 21,43 21,16 18,39 ill Mg0 .... 0,41 0,32 LIT 0,16 = 0,10 tracce 0,43 1,01 Ma 0a 1,75 0,60 3,24 1,80 >, 1,15 0,43 0,18 0,22 Cao — 1,24 4,2 0,90 3,16 1,28 0,20 2,00 0,79 S N40... Mi 8,27 4,62 6,53 7,61 6,16 8,54 7,56 7,81 Ae » 1,44 0,68 0,99 0,85 = 1,10 2,15 1,96 1,13 HO. a, 0,20 2a DE Da = 0,10 0,15 0,05 0,81 H,0+ . .. Pe. = ” 1,85 1,67 1,30 1,90 0,76 1,20 RSI = — — —_ —_ 0.20 0,17 1,95 n. d. 97,87 101,16 100,00 99,35 100.64 101,08 100,19 100,08 100.04 (1) G. A. Konig, Veber des Vorkommen von Astrophyllit, Arfvedsonit ecc. Zeitschr. fiir Kryst. und Miner., vol. I, pag. 481, Leipzig, 1877. (*) A. Sauer, Zeitschr. d. Geol. Ges., vol. XL, pag. 189, 1888. (°) L. Mrazek, Asebeckit-und Aegiringranit von Ruminien. Ausz, Zeitschr. fir Kryst. und Miner., vol. XXXIV, pag. 710, Leipzig, 1901. (*) In C. Hlawatsch, Veber den Amphibol von Cervadaes (Portogallo). Rusenbusch-Festehrift, Stuttgart, 1906; vedi anche: Neues Jahrb. fùr Miner. Geol, und Paleont., vol. I, pag. 25 (ausz.), Stuttgart, 1906. (*) H. Rosenbusch, Zlemente der Gesteinslehre, pag. 83, Stuttgart, 1910. (5) C. Palache e C. Warren, loc. cit. (7) J. Orcel, loc. cit. (*) In A. Lacroix, Minéralogie de Madagascar, vol. I, pag. 541, Paris, 1922. — 143 — Oristallografia. — Studio eristallografico dell’a-y-dichetoidrin- dene (*). Nota del dott. AnceLO PicHETTO, presentata dal Corrisp. F. ZAMBONINI (°). L'a-y-dichetoidrindeno C3H,<00>CH:, che îl prof. Ponzio ed io ab- biamo avuto occasione di preparare nell'Istituto Chimico della R. Università di Torino (*), per le ricerche sulle ossime del trichetoidrindene, non è stato . studiato finora che dal punto di vista chimico. Essendo questo composto uno dei più importanti della serie indenica, ho creduto bene eseguire lo studio cristallografico dei nitidi cristallini, ottenuti dall’etere. Sistema tetragonale — Classe tetragonale bipiramidale. VARIA TA! Forme osservate: Prisma tetragonale di 2° ordine 4 } 100} Bipiramide tetragonale di 2° ordine p { 101 | Bipiramide tetragonale di 3° ordine 7 {121} Bipiramide tetragonale di 1° ordine s } 112} Combinazioni osservate: 18 }100} , {101}. PRO O. GAM OR e 45 }100}, {101{ , {121 , {112}. Le combinazioni più frequenti sono la 1% e la 84, Il prisma } 100 } non manca mai e si presenta con faccette nitide, che al goniometro danno buone immagini. (') Lavoro eseguito nell’Istituto di Mineralogia della R. Università di Torino, diretto dal prof. F. Zambonini. (2) Pervenuta all'Accademia 1°8 agosto 1922. (3) Il lavoro in proposito uscirà sulla Gazzetta Chimica Italiana. CILS La bipiramide } 101, riscontrata spessissimo, ha quasi sempre le faccette inegualmente sviluppate, però sempre ben terse e piane. La bipiramide } 121} è pure molto frequente, spesso con le faccie ridot- tissime, ma che permettono, in generale, buone misure. La bipiramide } 112 { è rara e quasi sempre con faccette ridotte a fili esilissimi, che danno immagini poco belle. Nella tabella, che segue, sono posti a confronto i valori angolari mì- surati con quelli calcolati dalla costante cristallografica soprariferita : ital detto. o, Meglio SIE I (100): (101) | 11 | 4622- 4639 | 4631] S’ (101) :(011) | 8 | 58,9 58,17 | 5813| 5814 (100): (121) 12 66, 1- 66.26 66,10 | 66,83 (010):(121) | 7 | 35,48- 36,12 | 36,0| 36,0 (121): (121) | 11 | 129,15-12935 |129,28 | 129,301 (121):(211) | 7 | 79,27- 79,36 | 79,82) 7981 (112):(100) | 4 | 66,40- 66,54 | 66,49 | 66,481 (112): (011) | ‘#-|129,.5- 29,20 | 29, 9°) 29,7 (112) : (112) 5 67,12- 67,59 67,39 | 67,441 (112):(112){ 8 | 46,19- 46,34 | 46,27| 46.23 (112):(121) | 3 | 83,36- 33,50 | 3344| 33,401 I cristalli sono fragilissimi, trasparenti, incolori se puri e di fresco pre- parati (leggermente gialli per impurezze), vivamente splendenti, e non pre- sentano alcuna direzione di sfaldatura. Hanno habitus prismatico. sono allungati secondo l’asse 2 e frequente- mente con faccie terminali alle due estremità. Variano notevolmente di grandezza, poichè nella direzione d'allungamento, da pochi millimetri, raggiungono e superano spesso anche il centimetro, mentre nelle altre due direzioni, secondo le quali sono quasi ugualmente sviluppati, non raggiungono mai i 3 millimetri. Osservando al microscopio i cristalli appoggiati su una faccia di prisma } 1004 a nicols incrociati e in luce parallela, si nota che essi presentano estinzione parallela all'asse verticale; le sezioni, tagliate normalmente all’asse 4, rimangono oscure a nicols incrociati e in luce parallela, mentre a luce con- vergente danno la figura caratteristica dei cristalli uniassici, con birifran- genza positiva forte. | Utilizzando il prisma naturale, formato dalla faccia molto estesa (101) di bipiramide e dalla faccia (100) del prisma, ho potuto determinare, col — 145 — metodo della deviazione minima, l'indice di rifrazione w del raggio ordi- mario per varie lunghezze d'onda. Le varie luci monocromatiche sono state ottenute con i filtri di Wratten e la luce del sodio con cloruro sodico su una fiamma Bunsen. Dalla tabella seguente si vede come la rifrangenza sia abbastanza grande e pure notevole la dispersione: Lunghezze d'onda W a =677 1,610 B = 6549 1,614 y = 606 1,617 Na=589 | = 1,620 g =577 | 1621 e =535 | 1,627 n =501 1,684 0 = 458 | 1,650 Per decidere se la sostanza cristallizza nella classe tetragonale bipira- midale o tetragonale piramidale, ho cercato di accertare se i cristalli mani- festassero il fenomeno della piroelettricità polare. Le esperienze fatte mi hanno indotto a negare per questa sostanza la piroelettricità polare. RenpiconTI. 1922, Vol. XXXI, 2° Sem. 20 TABA Ho poi esaminato le figure di corrosione, ottenute per mezzo dell'acido acetico, sulle faccie del prisma } 100}: esse si presentano sotto forma di piccoli rombi con le diagonali parallele e normali all'asse #, oppure sotto forma di poligoni a sei lati, simmetrici rispetto a un piano normale all’asse verticale. Ho quindi concluso che il dichetoidrindene cristallizza nella classe tetra- gonale bipiramidale del sistema tetragonale. Il peso specifico del dichetoidrindene, determinato col metodo dei liquidi pesanti e la bilancia di Westphal, risultò uguale a 1,37 a -|21° ed il volume specifico a 0,73. Siccome il suo peso molecolare è 146, il suo volume molecolare è 106,56. L'a-y-dichetoidrindene presenta. dal punto di vista cristallografico, un notevole interesse, per essere uno dei pochi rappresentanti, finora noti, della classe bipiramidale tetragonale. È degno di nota anche il suo carattere spicca- tamente pseudocubico, essendo c vicinissimo a uno. Molto vicino al nostro composto, dal punto di vista cristallografico, è il dietilttalilchetone Cs Hy<00. GUHe » studiato da Friediander (*) molti anni fa, che è dato come ditetragonale bipiramidale (mancano studî sulle figure di corrosione, sicchè la classe rimane indeterminata), con 4: c = 1:1,0058. Disgraziatamente, la vera natura del composto studiato da Friedlander è incerta, perchè non si sa bene se non possa rappresentare, invece, la AH / dietilftalide C; H,C O , come ritenne V. Meyer (°). A questo pro- co posito è mia intenzione di riprenderne lo studio, per poter accertare quale delle due formule, che si attribuiscono a quel composto, sia esatta, o se sì tratti, invece, di un caso di tautomeria. Nel chiudere questo mio lavoro, porgo i miei più vivi ringraziamenti al prof. Zambonini per i consigli preziosi, datimi durante le ricerche. (*) Groth, Chemische Krystallographie, vol. IV, pag. 712. (2) V. Meyer, Berichte d. deutsch. chem. Gesellsch., /7, 818. — 147 — Petrografia. — Sopra due interclusi nel serpentino del M. Prinzerolo (Appennino parmense) (*). Nota di AMALIA BRUSONI, presentata dal Corrisp. Lurcr BRUGNATELLI (°). Allo scopo di istituire confronti colle rocce della formazione ofiolitica dell'Appennino pavese, io ebbi ad esaminare una serie di rocce dell'A ppen- nino parmense, raccolte e donate all'Istituto di Mineralogia della R. Uni- versità di Pavia, dal compianto prof. Pietro Zuffardi. In tale occasione il prof. Brugnatelli richiamò, in modo particolare, la mia attenzione sopra due esemplari che portavano la indicazione: « Interclusi nel serpentino del Prin- zerolo », l'uno colla ulteriore specificazione ovest e l'altro sud. Di questi interclusi rimangono: circa la metà dell'uno, intatta, e parecchi frammenti dell'altro, essendo gli interclusi stati spezzati per ricavarne le sezioni sottili. Potei, tuttavia, ricostituire quasi completamente il secondo e posso quindi dare di ambedue una descrizione sufficientemente completa. Gli interclusi hanno grossolanamente forma prismatica irregolare, con facce e spigoli fortemente arrotondati; specialmente arrotondate sono le estre- mità. La lunghezza originaria doveva essere di circa 12 cm. e lo spessore massimo di circa 5 em. Per quanto riguarda la loro costituzione, sì devono distinguere due parti e cioè, un nucleo ed una specie di involuero o crosta, che completamente lo racchiude. Questo involucro, alla superficie è formato da serpentino verde chiaro e verde scuro, lucente e trasparente o transIucido, con spalmature cerulee e biancastre; nell'interno, invece, è costituito da una sostanza grigio-azzurrognola, di aspetto afanitico, che passa gradatamente al nucleo. Questo è costituito da una roccia distintamente cristallina compatta, dura e tenace, di color grigio seuro e, ad occhio nudo, di apparenza omo- genea. L’involucro ha spessore variabile, da circa un millimetro fino a più di un centimetro specialmente alle estremità. La roccia che costituisce il nucleo, in ambedue gli interclusi, al mi- croscopio, si rivela come un gabbro, direi, anzi, un microgabbro. Gli ele- menti più abbondanti e maggiormente sviluppati sono i pirosseni, mentre le lamelle feldispatiche, l’olivina e la picotite, specialmente in talune plaghe, Sl un minuto mosaico. Certamente la roccia ha subìto forti pressioni, come è rivelato dalla frequente estinzione ondulata degli elementi, parmi, tuttavia, che non vi si siano manifestati, almeno in modo molto vi- stoso, azioni cataclastiche. n Le lamelle feldispatiche presentano solo raramente la geminazione po- lisintetica; tuttavia si tratta, in ogni caso, di un feldispato della serie so- dico-calcica. Infatti gli indici di rifrazione sono costantemente superiori a (*) Lavoro eseguito nell'Istituto di Mineralogia della R. Università di Pavia. (2) Pervenuta all'Accademia il 16 agosto 1922. SIREITB quello del balsamo; nelle poche lamelle geminate e prossime alla zona nor- male ottenni le seguenti estinzioni: 9°, 150, 164°, 22°, 259, 27°, 280. Il segno ottico è positivo. l'angolo degli assi ottici non eccessivamente grande (giu- dicando dalla sensibilissima curvatura delle isogire principali a 45°). Tutti questi dati parlano per una labradorite assai prossima ad: Ab': An'. Osservai un solo geminato doppio albite-Karlsbad. il quale mi diede i valori coniu- gati: 14°: 23°, che si accordano benissimo colla detta labradorite. Per assi- curarmi che nessun altro feldispato entra nella composizione della roccia, separai dalla polvere della medesima, per mezzo di una elettromagnete, gli elementi ferriferi e determinai, col Thonlet, il peso specifico dei granuli feldi- spatici così isolati, ottenendo, come valore medio assai approssimato: 2,70. Colle essenze rilevai che gli indici di rifrazione sono intorno a 1.56; l’estin- zione sopra le lamelle di sfaldatura (010) mi risultò da -18° a -200. Tutte queste determinazioni confermano pienamente il risultato delle ricerche colle sezioni sottili. Gli elementi pirossenici sono rappresentati da un pirosseno monoclino e dall'ipersteno. Il primo sembra essere più prossimo al diopside che al diallagio, mancandovi le tracce caratteristiche della facile divisibilità se- condo }100{. Misurai, per c:ny, un massimo di 44°; il segno ottico è po- sitivo e dalle sezioni trasversali emerge, alquanto inclinato, un asse ottico con curvatura della isogira, a 45°, notevolmente marcata, ciò che indica un angolo degli assì ottici non melto grande. Le lamelle ipersteniche si distinguono dalle precedenti, oltrechè per la estinzione parallela, per un leg- gerissimo pleocroismo: ny==roseo pallidissimo, nn=ng==incoloro. !1 carattere ottico è negativo e dalle sezioni trasversali esce la bisettrice positiva. Lolivina è in granuli incolori, irregolari senza tracce di sfaldatura e colla ben nota doppia rifrazione energica e positiva. È sempre freschissima non presentando alcuna traccia di trasformazione in serpentino. La picotite è in granuli irregolari e talvolta, in aggregati quasi fili- formi, è intercalata tra le tracce di sfaldatura dei pirosseni. È di color verde con tendenza al bruno. Nella roccia è pure notevolmente diffusa la pirite (o calcopirite). Quanto alla crosta, questa, nella zona interna, si presenta, al micro- scopio, come un disordinato impasto di serpentino, clorite, steatite (?), qualche fibrilla anfibolica ed anche plaghette bastitiche, oltre a sostanza amorfa. Come si vede si tratta di elementì sicuramente derivati dalla alterazione del nucleo gabbrico. La natura di questo involucro parmi metta fuori di ogni dubbio che si tratti effettivamente di interclusi enallogeni (*) nell’originario magma (1) Dati i rapporti di stretta parentela, che nella formazione ofiolitica, corrono tra lherzolite e gabbro, la qualifica di enallogeni per i nostri interclusi può forse sembrare poco rispondente alla definizione di Lacroix (Zrelaves des roches volcaniques, pp. 7 e 8). Io l’ho usata per indicare che i detti interclusi rappresentano frammenti di roccia, i quali subirono azioni metamorfiche del magma Ilherzolitico, nel quale furono coinvolti. — 149 — lherzolitico, dal quale il serpentino ripete la propria origine e che non si tratti nè di secrezioni o concrezioni particolari del magma stesso. Per quanto io sappia è questa la prima volta che vengono segnalati interclusi di questo genere nei serpentini appenninici. Non occorre che io ne faccia rilevare la importanza. È notevole il fatto che nella raccolta Zuffardi non esistono affatto rocce gabbri:he, anzi, lo Zuffardi stesso, nel suo lavoro sulla serie dei terreni tra il Taro ed il Baganza ('), dopo aver riportato che alcuni autori, come Jervis e Brian, riscontrarono nella stessa località l’eufotide, atferma di non averla mai trovata e di aver osservato null'altro che serpentini e qualche campione di varioliti diabasiche; eppure tipi analoghi, se non identici, a quelli che costituiscono il nucleo degli interclusi, esistono nella formazione ofiolitica di altre parti dell'Appennino. To, per esempio, li osservai nell'Appennino pa- vese dove raccolsi anche dei tipi lherzolitici a grana minutissima. Così, nel giacimento di Zebedassi posto tra la Staffora ed il Curone, a cavaliere tra la provincia di Pavia e quella di Alessandria, e più precisamente nella valletta della Serena, rocce gabbriche analoghe, a grana fina, ma forse meno ricchi in elementi femici, sembrano rappresentare la facies periferica di un magnifico gabbro a struttura granitica, che per la sua composizione mineralogica può chiamarsi un gabbro iperstenico orneblendico. Data quindi la notevole uni- formità della formazione otiolitica appenninica non può arrecare meraviglia l'esistenza degli interclusi gabbrici sopra descritti nel serpentino del Prin- zerolo, anche se rocce gabbriche non furono ancora direttamente osservate in detta località. Tra le sezioni sottili della raccolta Zuffardi, oltre quelle descritte. ve ne ha un’altra che reca l'indicazione: « Intercluso; S. E. di Corniana, Rio Vizzana ». L'esame microscopico mostra che si tratta di un impasto di gra- nuli e cristalli di epidoto, di fitti aggregati fibrosi di anfibolo (schilfige Hornblende) e di plasghe cloritiche, cui si aggiungono granuli di ilmenite quasi completamente trasformati in leucoxeno. Si ha l'impressione come di un prodotto del completo metamorfismo di un gabbro. Io dubito assai che si tratti di un vero intereluso, per più ragioni e cioè, perchè tale indicazione manca ai frammenti di roccia corrispondenti alla sezione e poi perchè in questi frammenti mancano assolutamente quegli elementi di costituzione e struttura tanto caratteristici degli interclusi sopradescritti. Io mi limito quindi a segnalare la esistenza della interessantissima roccia nella località dove la osservò e raccolse il valente e diligentissimo osservatore, che i geologi italiani ricordano con vivissimo rimpianto. () P. Zuffardi, Serie dei terreni tra il T°. Taro e il T. Baganza (prov. di Parma). Atti della Soc. Ital. di Scienze Naturali, vol. 49, pag. 6 (1910). Per le rocce dell’Appen- nino parmense vedansi i lavori di Viola, Sangiorgi, Anelli, Ferrari, i quali autori, però, si occuparono in particolar modo della formazione granitica e dei conglomerati granitici. Biologia. — Differenziamento tra fenomeni fotochimici e fe- nomeni fotodinamici ©). Nota del dott. GAETANO VIALE, presentata dal Socio B. MoRPURGO l°). I fenomeni fotodinamici, cioè quelli che si compiono per l’azione com- binata della luce e di sostanze fluorescenti (come ad es. l’emolisi in pre- senza di eosina, di clorofilla, di ematoporfirina, oppure l'ossidazione dello ioduro di potassio in presenza di eosina, di sali di uranio, di chinino), anda- vano finora confusi coi fenomeni fotochimici. Il fatto che i primi avvenivano in un sistema fluorescente non appariva criterio sufficiente per differenziare le due categorie di fenomeni, perchè non si aveva sinora la prova che l’azione esplicata dalle sostanze fluorescenti nella luce fosse dipendente dalla loro luminescenza, piuttosto che dalla loro natura chimica. Ci si poteva sempre chiedere: l'emolisi in presenza di ematoporfirina avviene in quanto l’emato- porfirina è fluorescente, od in quanto l’ematoporfirina è una individualità chimica? Certamente, sino ad osgi, era giustificato il parere di quei fisici che consideravano i fenomeni fotodinamici non distinti dalla più vasta classe di fenomeni fotochimici. In un precedente lavoro (*), ho dimostrato come le sostanze che agiscono come catalizzatori fotochimici (composti di uranio, di ferro, di manganese) nell'accelerare la scissione di sostanze organiche della serie alifatica e ci- clica (fotocatalizzatori di Neuberg), non si identificano che in parte con le sostanze fotodinamiche: di esse solo i sali di uranio, che sono fluorescenti, sono capaci di determinare l’ossidazione del KI che avviene per l’azione combinata della luce e delle altre sostanze fluorescenti (eosina, chinino, esculina). Nella teoria dell’azione fotodinamica, da me formulata e sviluppata (‘), è insita la distinzione fra i due ordini di fenomeni che ora ci interessano. Secondo questa ipotesi, sì ammette che l'energia radiante della luce solare, nelle varie manifestazioni fotodina1 tiche, venga energeticamente trasformata, (4) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Fisiologia di T'orino diretto dal professore A. Herlitzka. (*) Pervenuta all'Accademia il 25 settembre 1922. (8) G. Viale, Archivio di scienze biologiche, I, n. 2, 1920 (*) G. Viale, Archivio di scienze biologiche, II, pag. 78, 1921. (?) G. Viale, Archivio di scienze biologiche, IV (in corso di stampa), 1922. inquanto che la luce fluorescente ha sempre una lunghezza d'onda maggiore «della luce incidente (legge di Stokes). E Nichols e Merrit (') hanno infatti dimostrato che il massimo dello spettro di fluorescenza è sempre spostato verso la parte più refrangibile dello spettro in confronto del massimo dello spettro di assorbimento. Se, insieme col Berthellot, introduciamo la nozione di potenziale foto- chimico, maggiore nelle radiazioni con breve lunghezza d'onda, e minore nelle radiazioni della parte più refrangibile dello spettro, vi sarà un salto di potenziale fra la luce eccitante e la luce fluorescente. È in virtù del- l'energia assorbita dal mezzo fluorescente, per questa differenza di potenziale fotochimico, che si compirebbe l’azione fotodinamica. i L'ipotesi può essere anche espressa nei termini della teoria dei quanta di Planck, ammettendo che avvenga una utilizzazione di ergs-secondi, che nel fe- nomeno fotodinamico si rendono disponibili, poichè, conforme alla legge del. l'equivalente fotochimico d'Eistein, una molecola fotodinamica assorbe un quantum (hv=) ed emette un quantum (hvo= 0) in cui la frequenza vi- bratoria v è maggiore di », (espressione simbolica della legge di Stokes). Da questa concezione da me altrove (*) sviluppata, si può dedurre la differenza fra azione fotochimica ed azione fotodinamica; in quella la radiazione attiva è totalmente assorbita (e in conseguenza di ciò la sostanza fotochimica muta generalmente la sua composizione); in questa la radiazione è solo parsial- mente assorbita, e trasformata, e in genere, a similitudine di quanto avviene nella catalisi, la sostanza fluorescente non modifica la sua natura chimica: essa funziona come un sistema trasformatore. Busck (*) ha osservato che l'aggiunta di siero impedisce o ritarda l’azione ‘emolizzatrice dell’eosina sopra i corpuscoli rossi. e contemporaneamente attenua la fluorescenza; ma poichè, in questo caso, pare che avvenga una combina- zione delle proteine con la sostanza fluorescente e mutano le condizioni am- bienti di reazione, così l'esperimento non giova alla nostra tesi. Convincente appare invece il seguente esperimento da me eseguito coi sali di chinino. Dalle classiche ricerche dello Stokes (‘) e del Buckingham (5) è noto come l'aggiunta di NaCl ad una soluzione di sali di chinino ne attenua o spegne la fluorescenza; forse la fluorescenza del chinino dipende dalla ioniz- zazione; € l> condizioni che aumentano la dissociazione rendono più vivace la fluore:cerza e viceversa quelle che, come il NaCl], la diminuiscono. Ciò che importa rilevare è che, in queste condizioni, nonostante sia E. Nichols a. E. Merrit, Physic. Rev., 19 pag. 18, 1904, G. Viale, Archivio di scienze biologiche, IV (in corso di stampa). 1922. ) G. Busck, Bioch. Zeit,, I, 425, 1906. 1) G. Stokes, Philos. Trans., 143, II, pag. 463, 1852. ) E. Buckingham, Zeit. physik. Chemie, 14. pag. 129, 1894. rimenti eseguiti con l’eosina e l’'esculina. — 152 — spenta la fluorescenza, lo spettro d'assorbimento non è mutato e non è avve- nuta alcuna trasformazione chimica (cfr. Kaiser) ('). Ho perciò pensato d'indagare se esiste un rapporto tra la vivacità della fluorescenza e la velocità dell’azione fotodinamica di sali di chinino. Come reattivo mi sono servito della miscela in parti eguali di salda d'amido (1%) e ioduro di potassio (3 %) la quale, sotto l’azione della luce in presenza della sostanza fotodinamica, diventa più o meno azzurra. Riferisco due esperimenti eseguiti col bisolfato di chinino e due espe- Questi ultimi servono di controllo poichè, le soluzioni di eosina e di esculina, per l'aggiunta di cloruro sodico, non perdono la loro fluorescenza. Esposizione alla luce solare I in tubi di vetro Bisolfato Miscela Cloruro sodico Acqua 7 di A IN / / , chinino amido-jodurata 10°(15 | 30° | 45 60 80 1°/o 10 °/o DIERERI: 1 eme 2 cme — 4 LI+/++++4+4|++ n. 2 1» 2 » 1 3 e le e E NE n. 3 1» 2 2 2 —|-|-|4+|+#]|î8 n. 4 1» 2» 5) 1 —|-|-|_-|+ CEE 2° n. 5 1» 2” 4 So e 585 Campioni eguali nell’oscurità restano incolori PR | II n. 6 2 cme 2 cme — 4 +|+|++|++|++/++ DA 2» DI 1 3 alone —- + * RGS DIS 2» 2 » 2 2 —|-|_-|_- {+55 n 9 2 2. » 3 1 sE co E 2a n. 10 2°» 20» taz _ cai NES EE + SEL Campioni eguali nell'oscurità restano încolori dai Fosi 0.5 0/00 IN n. 11 1 2 1 — —|+JH+ n. 12 1 2 = 1 —|+|H-+ n. 13 Il 2 2 i —|+|++ | | n. 14 1 2 — 2 —|+|++ | Ì sica IV n. 15 1 2 1 - —|-|-|+]|+ n. 16 1 2 — 1 —|-|-|+]|+ (*) H. Kaiser, Handbuch der Spectroscopie, IV Band, pag. 1006, Leipzig, 1905. — 158 Risulta chiaramente che mentre si abbassa e si attenua la fluorescenza del sistema. mediante l'aggiunta di quantità crescenti di cloruro sodico alle soluzioni di chinino, si rallenta anche la velocità della reazione: ciò indica che la reazione si compie principalmente in virtù della luminescenza del sistema e non già della natura della sostanza. Gli esperimenti di controllo con l’eosina e l’esculina escludono che il cloruro di sodio abbia una azione inibitrice sulla ossidazione dello ioduro di potassio per opera delle sostanze fluorescenti alla luce. Fisiologia. — Ulteriori osservazioni sulla glicosuria dell’uomo sottoposto a rarefazione atmosferica('). Nota II del dott. A. Aggaz- ZOTTI, presentata dal Socio P. Foì. Contemporaneamente alla ricerca dello zucchero (vedi Nota I) in molti altri esperimenti abbiamo fatto il dosaggio dei corpi acetonici dell'orina col metodo Messinger-Hubert (*). È noto che quando il ricambio degli idrati di carbonio è più 0 meno alterato. aumenta la loro eliminazione. e che nel digiuno assoluto, come in quello dei soli idrati di carbonio, si ha pure detto aumento. Perciò è necessario tener presente che nei nostri candidati questo gruppo di sostanze alimentari entrava in quantità sufficiente nella dieta abi- tuale. I risultati di questi esperimenti sono riassunti nelle tabelle seguenti. TABELLE RIASSUNTIVE DEGLI ESPERIMENTI. Proprietà fisico-chimiche dell’orina prima, durante, e dopo la rarefazione. RI == = —— ? Fo | Reazi( | set Numero 3 Ss Peso di Nolan Acetone RA Albumina : . risi i ora Osservazioni Data 5 specifico Colore O La A i coagulabile Di Ao sfida) | del precipitato Da sì) Ì | = ZA le a n die - O X |Prima 55 | 10215 negativa | 0.870| 0.478 | assente | D. T. (Vedi esperim. I, Nota I) ui Ra | 3 d è 14-II bianco giallo | ___| îsperimento fatto al mattino 1922 | Durante] 162 | 1014.8 negativa | 1.125| 1.822| assente 1 ora dopo la prima cola- bianco I zione di solo latte. Dopo 63 1018.7 negativa | 0.775| 0.458 | assente | Durata della rarefazione 60 mi- bianco | nuti. | Pressione minima 399.9. XI |Prima | 143 1012.6 negativa 1.860| 2.661 | assente | C. A. Soldato. Soggetto nor- 9-III | bianco | male, 1922 | Duravte, 295 1004 4 negativa 1.550 | 4.599 | assente | Esperimento fatto al mattino | bianco | 2 ore dopo la prima cola- Dopo | 84| 10107 negativa 1.811] 1.521 | assente | zione. | | bianco | Durata della rarefazione 60 mi- | nuti. Ì | . LN | | Pressione minima 398.5 mm. I (*) Lavoro eseguito nell'Istituto di Fisiologia della R. Universìtà di Torino. (*) Abderhalden R., Quantitative Bestimmung des Acetons. Handbuch der bioche- michen Arbeitsmethoden, Bd. III, 912, Berlin, 1910. RenpIcoONTI. 1922. Vol. XXXI, 29° Sem. 21 bianco — 1594 — 3 carrai Numero 3 È E Peso aL NYO, Acetone a Albumina a sa È ; Data E s | specifico so co endtato 9/0 NL coagulabile PSGETOREIONIE __ ° 1 sonic a — — - — ____—__—_——_—_—___———@—& È | | | È | | | XII |Prima 50) 1018.2 Mio | 2.170) 1.086 assente | F. A. Soldato. Soggetto con 10-III ianco giallo Î | | lieve glicosuria alimentare. 1922 | Duraute 60, 10195 negativo 2.945 | 1.766, assente | Esperimento fatto al mattino | bianco giallo | | 2 ore dopo la prima cola- | zione. | | Durata d.lla rarefazione 25 mi- outi. | Pressione minima 417 mm. La prova è interrotta dopo 25 minuti (vedi n. VIII | Nota I). XIII |Prima 67| 1020.3 TRERRA, 1.508 | 1.010| assente | C. B. Soldato. Soggetto nor- 10-III lanco male. 1929 | Durante| 40] 1020.4 negativa 2.550| 1.021| assente | Esperimento vedi n. XIL giallo | XIV | Prima 72 10 21, negativa 0.607 | 0.437 | assente | F. A. Vedi esperimento n, XII. | sie llo j j 14-I01 | I ela n Esperimento fatto al mattino 1922 | Durante] 101| 1016.6 negativa 0.923 0.982 | assente 2 ore dopo la prima cola- | bianco giallo I zione. | Dopo 52| 1021.2 negativa 0.870| 0.452 | assente | Durata della rarefazione 57 mi- giallo I nuti. | Pressione minima 393 mm. XV |Prima 42| 1021.7 negativa 0.923 | 0.388| tracce | M. G. Soldato. Aftètto da albu- giallo rosso minuria senza cilindruria 14-I1I sla i ; 1929 | Durante] 71| 10148 negativa 4.486| 3.185| tracce | Esperimento vedi n. XIV. giallo evidenti Dopo 23| 1022.8 negativa — —_ molta rosso mattone | XVI |Prima 97| 1015.3 negativa 1.116 | 1.083| assente | B. E. Soldato. Soggetto nor- 17III bianco giallo | male. 1922 | Durante] 270| 1006.4 negativa 0.527 | 1.425] assente | Esperimento fatto al mattino bianco | 3 ore dopo la prima cola- zione. H Durata della rarefazione 68 mi- | nuti. Pressione minima 432 mm. XVII | Prima | 288] 1008.2 negativa 0.395] 0.717| assente | F. C. Soldato. Soggetto nor- È bianco male. 17-IIl È 3 1922 | Durante| 217| 1008.4 negativa 0.527 | 1.143 | assente | Esperimento vedi n. XVI. Cata — 155 — = Numero 55 P Peso n Acetone ra Albumina ; : : an 5 ì © in 1 ora i Osservazioni Data Si specifico Colore Jo mg. |coagulabile Cosi del precipitato Ù ven ! L'ASSE DI ESSE = - XVIII | Prima 64| 10213! negativa 1.429] 0.914| velo C. A. Soldato affètto da lieve 17-IN giallo rosa alvuminuria. 1922 | Durante] 145 | 1012.6 negativa 0.659 | 0.955 | assente | Esperimento vedi n. XVI. bianco XIX |Prima 64| 1021.0 negativa 3.562 | 2.280| assente | D. P. Soldato. Soggetto nor- 20-I11 giallo male. 1992 | Durante| 335 | 1005.1 negativa 1.187 | 3.989] assente | Esperimento fatto al mattino bianco 8 ore dopo la prima cola- Dopo 262 | 1007.6 negativo 0.395 | 1.038 | assente ZIONE: bianco Durata della rarefazione 65 mi. nuti. Pressione minima 429 mm. XX | Prima 73| 1019.0 negativa 0.993 | 0.705] assente | C. U. Soldato. Soggetto nor- bianco sporco male Durante| 322 | 1009.1 negativa 1.320 | 4.251] assente | Esperimento vedi n. XIX. bianco Dopo 430 | 1009.1 negativa 0.582 | 2.269| assente bianco XXI | Prima 509 | 1021.5 negativa 1.584| 0.871]| assente | D. E. Soldato. Soggetto nor- deg 88 21-III giallo scuro male. 1922 | Durante| 145 | 1012.3 negativa 0.791| 1.148 | assente | Esperimento fatto al mattino giallo chiaro 3 ore dopo la prima cola- Dopo 78| 1010,9 negativa, 0.791 | 0.617! assente CDI giallo Durata della rarefazione 64 mi- puti. | Pressione minima 362 mm. XXII | Prima | 110] 10124 negativa 1.055 | 1.160| assente | R. L. Soldato. Soggetto nor- 23-III bianco male. 1922 | Durante| 83| 1013.7 negativa 1.452 1.205| assente | Esperimento fatto al pomerig- bianco gio 83 ore dopo il pasto Dopo 40/ 1023.8 negativa 1.848 | 0.739 | assente del mezzogiorno. bianco sporco Durata della rarefazione 78 mi- nuti. Pressione minima 350 mm. Ì I n Ipo. nni e aa si XXIII|Prima 90] 1017.6 negativa 1.240 | 1.116 | assente | V. E. Soldato. Soggetto nor- 23-III bianco male. 1922 | Durante] 500] 1003.7 pisana 0527| 2.578 | assente Esperimento vedi n. XXII. ianco | Dopo 32] 1020.9 negativa 2454| 0.785 | assente bianco sporco — 156 — = = 2 i Numero è 5 4 Peso RT) Acetone Restore Albumina ; ; Data al specifico Colore 9) TULgE coagulabile Osserda io (si Îé È del precipitato 3 me ci XXIV | Prima 22 1024.0 negativa 1.320 | 0.290| assente | M. A. Soldato. Soggetto nor- 98.III giallo scuro male. 1922 | Durante] 155 | 1014.2 negativa 0.791| 1226| assente | Esperimento fatto al mattino giallo 24: ore dopo la prima co- Dopo 84| 1013.6 negativa 0.861| 0728| assente lazione. | giallo Durata della rarefazione 72 mi- nuti. Pressione minima 389.8. XXV | Prima 52 | 1012.6 negativa 1.116] 0.580| assente | P E Soldato. Soggetto nor- 98-ITI bianco giallo male. ‘1992 | Durante| 246 | 1009 0 pile 0.791] 1947| assente | Esperimento vedi n. XXIV. iancu Dopo 100) 1012.1 negativa 1.055| 1.055 | assente | bianco CERI = e o Me XXVI | Prima 41 1023.3 negativa 1.820| 0.541| assente | T. B. Soldato. Soggetto nor- 28.111 giallo grigio male. 1992 | Durante] 73| 1021,2 negativa 0.940 0.686 | assente | Esperimento vedi n. XXIV. giallo chiaro | Dopo 44| 1025.1 negativa | 1.820| 1.580] assente giallo chiaro XXVII] Prima 30 _ negativa 1.320. 0.462] tracce | N. G. Soldato affètto da albu- SV giallo minuria senza cilindruria. 1922 | Durante| 110 — negativa 1.095 1.205) velo Esperimento fatto al pomerig- bianco giallo | gio 3 ore dopo il pasto del Dopo 51 negativa 0.597 | 0.304] molta mezzogiorno. Ha avuto sin- giallo tomi di malessere con forte | sudorazione. | Durata della rarefazione 66 mi- I nuti. Pressione minima 389.5. L'esame dei risultati ottenuti in questi esperimenti e le considerazioni generali, saranno fatte nella seguente Nota IlI. Patologia. — Sull'istologia del nodulo del mal perlaceo dei bovini: connettivo ed. cosinofili ('). Nota del prof. FEDERICO DE GASPERI, presentata dal Socio B. Longo (*). Presentatamisi, nel corso delle ricerche che tempo fa stavo compiendo sulla tubercolosi (3), l'occasione di disporre di materiale proveniente da vi- telli affetti di mal perlaceo, che parvemi potesse forse permettere lo studio di qualche fatto istologico relativo alle iniziali alterazioni di questa ma- lattia, non discernibili ad occhio nudo o tali appena (tubercoli submiliari e miliari), volli fissare un certo numero di pezzi in liquido di Foà e in for- malina, proponendomi di sottoporli ad osservazione non appena quelle ri- cerche me lo avessero permesso. Procedendo, appena mi fu consentito, alla colorazione delle sezioni con metodi varî (ematossilina ed eosina, Mallory, van Gieson), come naturalmente imponeva lo scopo che mì ero pretisso, mi si presentarono durante l’esame, alcune particolarità che ritenni meritevoli di rilievo. Esse sì riferiscono alla presenza e disposizione nel nodulo, del tessuto connettivo, alla presenza, in alcuni casi, in codesto processo, di elementi granulosi eosinofili e alla pre- senza ancora, in seno a delicati fasci di fibrille connettivali di neoforma- zione, di piccoli cumuli di cellule epitelioidi in via di fusione, nonchè di qualche cellula gisante entro capillari del polmone, formata dalla riunione di grandi elementi mononueleati. Non stimo opportuno soffermarmi in una minuziosa descrizione della struttura istologica del nodulo del mal perlaceo, sapendosi ormai da tutti che essa è uguale a quella del tubercolo dell’uomo. Parmi invece utile trat- tare subito della disposizione in esso del connettivo, il quale, anche a pic- colo ingrandimento, più specialmente nelle sezioni colorate col metodo del Mallory, scorgesi già attorno e nei più piccoli tubercoli microscopici, distri- buito tra le cellule epitelioidi e quelle giganti, avvolgendole in forma di tine reticolo; nelle sezioni di noduli submiliari e miliari, esso si presenta sottoforma di fasci di fibrille delicate, numerosissime, fitte, disseminate un po’ dappertutto, senza generalmente assumere alcun particolare aspetto, nelle (1) Lavoro eseguito nella Scuola Superiore di Veterinaria della R. Università di Pisa. (*) Pervenuta all'Accademia il 14 settembre 1922. (3) De Gasperi, /Z Nuovo Ercolani, 1921, n. 18, pag. 482; idem., 1922, n. 3, pag. 49. — 158 — varie zone, centrale, media e periferica, onde sono costituiti; maggiormente addensate e di più notevole spessore rilevansi esse a costituire la capsula fibrosa esterna. Non assume il connettivo, nel nodulo del mal perlaceo, la singolare disposizione ad anelli concentrici descritta per lo stesso tessuto nel nodulo moccioso, dal Rook (1). A più forte ingrandimento, nella zona centrale in preda alla così detta necrosi caseosa, osserrasi che il reticolo fibrillare, costituito quà da pochi filamenti e là da fascetti di fibrille, forma maglie piuttosto larghe ed è in più luoghi distrutto, troncato dal processo necrotico; nella zona delle cel- lule giganti ed epitelioidi appare costituito di maglie più strette e più nu- merose, nelle quali sono una o più delle cellule predette. Accade pure, non infrequentemente, che piccoli ammassi di cellule epitelioidi vengano avvolti da fascetti di numerose fibrille sempre esili e delicate, assumendo in sezione un elegante aspetto alveolare. Al limite esterno di questa zona notasi il connet- tivo disporsi quasi bruscamente ad avvolgere, come in una capsula, il nodulo: per quanto piccole scorgonsi in questo connettivo numerose lacune contenenti, alcune qualche cellula di notevoli dimensioni a nucleo grande, altre qualche eosinotilo e un numero vario di linfociti; di più, dallo strato superficiale esterno di codesta capsula di connettivo, si diparte or quà or là qualche fibrilla insinuantesi nel vicino tessuto polmonare. Aggiungo qui che il paren- chima polmonare circostante aj noduli è permeabile; solo raramente può ri- scontrarsi che le pareti delle vescicole sono per breve tratto ispessite e si confondono con lo strato fibroso esterno. In qualche caso mi è stato dato rilevare che nella trama fibrosa periferica, più specialmente dei noduli gio- vanissimi, invisibili ad occhio nudo, o nelle prime tappe della edificazione loro, nei setti e non raramente anche negli alveoli del parenchima polmonare delle immediate vicinanze, erano numerosi eosinofili, sì da assumere l'aspetto di una vera infiltrazione. Diciamo, riassumendo, che nel nodulo del mal perlaceo ricchissima e diffusa in tutto l'àmbito di esso è la trama connettivale, con fascetti di fibrille anche nella stessa parte centrale degenerata, acquistando talora nei giovani noduli, in particolar modo in quelli microscopici, soprattutto nei pre- parati colorati col Mallory, un elegante aspetto alveolare. Nelle maglie della capsula fibrosa esterna, dei noduli microscopici più specialmente, e nel parenchima polmonare delle immediate vicinanze sono, non raramente, numerosi eosinofili, talvolta numerosissimi, con caratteri di vera infiltrazione. Aggiungiamo che in nessuna delle pubblicazioni fatte sulla struttura del tubercolo, sia dell'uomo che degli animali, è fatta menzione della co- (*) Rook, Il Nuovo Ercolani, 1922, n. 1, pag. 6. — 159 — stante presenza e particolare disposizione del connettivo ialino, quali io ho riscontrate nel nodulo del mal perlaceo dei bovini, già dal primo suo editi- carsi e attraverso i varî periodi della sua evoluzione, fino alle estreme con seguenze della reazione difensiva dell'organo sede. A spiegazione delle particolarità istologiche segnalate relativamente al connettivo e alla infiltrazione eosinofila, potrebbe invocarsi la più valida di- fesa dell'organismo dei bovini di fronte al virus della così detta tisi per- lacea, od una minore virulenza di questo per codesti animali, in confronto della più grande azione patogena spiegata dal bacillo di Koch nella tuber- colosi dell'uomo. Si sa infatti che 1 noduli caratteristici del mal perlaceo, più grossi del tubercolo dell’uomo, a localizzazione prediletta nelle sierose, ove formano tumoretti duri, spesso peduncolati, si caseificano o si calcificano ben presto, ma con pochissima tendenza al rammollimento e alla conseguente formazione cavitaria con infezioni miste. Anche clinicamente il mal perlaceo, osserviamo, riveste una più benigna apparenza della tubercolosi umana: il decorso è in generale più lento, più rare sono le generalizzazioni acute, fre- quentissime le forme latenti con buona conservazione delle condizioni gene- rali. Rammentiamo che è anzi spesso una sorpresa di autopsia il reperto di estese lesioni tubercolari in bovini uccisi nelle migliori condizioni di nu- trizione. Nei miei preparati mi fu poi possibile riscontrare reperti che sembrano rispecchiare nel miglior modo la genesi della cellula gigante, per il conglo- merarsi e successivo fondersi di grandi cellule a nucleo vescicolare. poco fornito di cromatina, con piotoplasma abbondante, testimonianti così di uno dei primi se non del primissimo fatto che avvia la formazione del tubercolo. Avviene così di scorgere in seno a delicatissimi fasci di abbondanti fibrille connettivali neoformate, un certo numero di cumuli di elementi di forma ovale o irregolarmente poligonale, forniti di un grosso nucleo vesci- colare e di abbondante protoplasma, non difficili a identificarsi colle così dette cellule epitelioidi, manifestamente in alcuni in via di fusione. Nel connettivo fibrillare circostante sono numerosi eosinofili, qualcuno dei quali tra le stesse cellule epitelioidi: non scorgesi in codesto tessuto alcuna figura di moltiplicazione, fatto che lascia piuttosto dubbiosi nell’accettare senz'altro l'interpretazione della probabile origine di questi elementi dal connettivo fisso. Il fatto che mi fu ancora possibile rilevare nei miei preparati, della formazione di cellule giganti entro vasi cap'llari, in seguito alla riunione e successiva fusione di grandi cellule mononucleate, fornite di un grosso nucleo vescicolare, scarsamente provvisto di cromatina, con abbondante pro- toplasma presentante numerose espansioni sotto forma di pizzi, permette, per la sede di codesti elementi, una più precisa interpretazione della natura dei medesimi: sono dei grandi leucociti mononueleari. — 160 — Essi ricordano perfettamente quelli osservati e descritti nei vasi, nella tubercolosi sperimentale del coniglio, dal Borrel (1). Se gli elementi da me osservati rappresentino delle cellule bianche della serie mielogena o delle cellule di probabile origine endoteliale, secondo la dottrina dell'Aschoff, Je mie indagini, limitate alla semplice constatazione del reperto, senza aver ricorso alle colorazioni vitali, non mi permettono di alermare. Esse escludono peraltro sicuramente, nel caso concreto, l'intervento degli elementi fissì del connettivo, nella costituzione della cellula gigante. Dalle esposte osservazioni sembrami si possano trarre le seguenti con- elusioni : a) Nel noduio del mal perlaceo dei bovini esiste una ricchissima trama di fibre connettivali diffusa in tutto l’àmbito di esso, e che nei gio- vani tubercoli, più specialmente in quelli microscopici che circonda di qualche esile filamento, assume, nei preparati colorati col metodo del Mallory, un elegante aspetto alveolare. Codesto connettivo osservasi inoltre a costituire, con numerose, più fitte e più grosse fibrille, una capsula di notevole spes- sore, già attorno ai noduli più piccoli, ancora visibili però ad occhio nudo, segnatamente in quelli miliari, e dalla quale si stacca qualche propaggine infiltrantesi nel tessuto adiacente; 5) Nelle maglie della capsula fibrosa esterna, più specialmente dei noduli microscopici, e nel parenchima polmonare delle immediate vicinanze suno non raramente disseminati numerosi eosinofili, talvolta numerosissimi, con caratteri di vera infiltrazione; c) Cercando di sorprendere nella infezione spontanea di mal perlaceo, a mezzo di numerosi preparati istologici, le iniziali alterazioni che avviano la formazione del tubercolo, può accadere di imbattersi in reperti come quelli da me descritti, sulla presenza, cioè, in seno a un delicato connettivo fibril- lare di neoformazione, di piccoli cumuli sferici di cellule epitelioidi in via di fusione, confluite in numero di 5-7-9, a iniziare la formazione di cellule giganti, e circondati da eosinofili; come sulla presenza ancora, riunione e fu- sione entro capillari del polmone, di grandi mononucleari, confluiti come nel primo caso a costituire delle cellule giganti, la cui edificazione avver- rebbe così, in questa contingenza, indubbiamente all'infuori di qualsiasi inter- vento degli elementi fissi del connettivo. Il lavoro completo corredato di tavole con disegni a colori, riprodotti dai miei preparati istologici, verrà pubblicato altrove. (1) Borrel, Annales de l’Institut Pasteur, 1893, pag. 593; 1894, pag. 65. — 161 — Fisiologia. — Contributo alla conoscenza degli enzimi. VIII. Sulla ricomparsa del potere amilolitico della saliva mista umana, dopo ebollizione). Nota di Dario MAESTRINI, presentata dal Corrisp. S. BAGLIONI €’). Le ossidasi dei rafani, dopo ebollizione, presentano rigenerazione delle loro proprietà enzimatiche (Kulpsohns) (*); ugualmente sì comporta la 7ak4- diastasi di Parke-Davis (Gramenitzki) (*). Anche la saliva calcinata o bol- lita, riacquista, secondo Biedermann (°), restando a contatto di salda d'amido, le sue proprietà enzimatiche. Quest'ultimo autore tenta di spiegare il feno- meno, con due differenti ipotesi: 1°) rigenerazione dell'enzima (ptialina) sotto l'influenza dei sali della saliva, in presenza di amido; 29) attivazione di tracce di ziimogeno, contenute nell'amido, in pre- senza dei sali della saliva. Sallinger (5) e Wohlgemuth(7) prima, Bachrach (8) e Rothlin (°) poi hanno mosse obbiezioni alle esperienze di Biedermann. La più grave di queste obbiezioni è che Biedermann non abbia sperimentato, rispettando tutte le regole dell’asepsi, in modo che i risultati. da lui ottenuti, dovrebbero essere riferiti ad azione batterica, piuttosto che ad azione enzimatica. Da oltre due anni anch'io sto compiendo ricerche sulla resistenza della ptialina umana, alla temperatura di ebollizione. (') Lavoro eseguito nell’Istituto di Fisiologia della R. Università di Roma, diretto dal prof. S. Baglioni. (2) Pervenuta all'Accademia il 25 settembre 1922 (*) Kulpsohns, Dissert. St., Petersburg, 1008. (4) Gramenitzki, Der Ein/luss verschiedener Temperaturen auf die fermente und die Regeneration fermentativer Eigenschften (Zeit. f. Physiol. chemie. Bd. 69, S. 286, 1910). (5) Biedermann, Fermentforchung, I, pp. 385-436, 1916; Idem, Natur und Enstehung diastatischer Fermenta (Minch., Med. Woch., n. 50, 1429, 1920); Idem, Fermentstudien VII Mitt., Die organische komponente der Diustasen und das wahre wesen der « Auto- lyse » der Stùrke (Fermentforschung, IV, 359, 1921). (5) Sallinger, Fermentforschung, II, 449, 1919. (7?) Wohlgemuth, Biochem. Zeitsch., XCIV, 213, 1919. (&) Bachrach, Ztudes expérimentales sur la decomposition de l'amidon en présence de salive caleniée (Comp. rend. soc. biol., t. LX XXIII, 1583, 1920). (9) Rothlin, Natur und Entstehung diastatischer Fermente (Minch., Med. Woch., DE 49, 1393-95, 1921); RENDICONTI. 1922. Vol. XXXI, 2° Sem. 22 DIGO e TECNICA. Varie furono le ricerche fatte: in una /° serie la saliva mista umana, bollita a 100° C., per 10'-20’, era aggiunta a salda d'amido (2-5 %) sterile, in bevute sterili, aventi toluolo; in una //° serze, a lato delle suddette prove, erano fatte altre nelle stesse condizioni di asepsi, in cui la saliva era sostituita da uguale quantità di soluzione di NaCl (0,9%) sterile; in una ///° serie, le miscele [saliva mista bollita con salda d’amido, o solu- zione di NaCl (0,9%) con salla d’amido], versate in devuze, che si chiu- devano con tappi di gomma, attraversati da un tubicino di vetro capillare, erano sterilizzate con lo stesso metodo usato per sterilizzaro i terreni di cultura (agar ecc., Pentola di Koch); in una ZV° serie, in cui la steriliz- zazione si otteneva, come per le prime due serie ovvero come per la terza serie, a lato di bevute con saliva bollita o con uguale quantità di soluzione (09%) di NaCl, pure bollita, erano fatte altre prove, contenenti saliva o soluzione di NaCl, bollite, e attraversate prima di aggiungere salda d’'amido, da varî gas (0°, CO?, N). Dopo alcuni giorni (7-20) di dimora in termostato (35°-40° C.), mediante il metodo di Lintner, da me modificato (!), ho determinato nel contenuto delle singole bevute, il potere riducente di 1 ce. di miscela, in mg. di zuccheri riducenti. Nel contempo ho fatte, varie volte, prove culturali (in agar e brodo od agar semplicemente), per accertarmi dell'assenza 0 meno di batteri. I risultati delle mie esperienze hanno dimostrato: 1°) la salda d'amido (2-5 %) a contatto di saliva mista umana, sot- toposta anche lungamente all’ebollizione, a 100° C. (anche un'ora e mezza) presenta, dopo varî giorni (7 o più giorni), una quantità di prodotti di scis- stone (zuccheri riducenti), ben titolabili cogli ordinarî metodi analitici; 2°) la salda d'amido (2-5 %) a contatto di soluzione di NaCl (0,9%), sottoposta per lungo tempo all'ebollizione, a 100° ©. (anche per un'ora e mezza), presenta, dopo vario tempo (7 o più giorni), prodotti di scissione (zuccheri riducenti), titolabili coi mezzi analitici ordinarì, ma in genere quantitati- vamente minori che nel caso della saliva bollita; 3°) la scissione dell’amido in entrambe le suddette condizioni spe- rimentali, non è opera dei batterì, come le culture in agar e brodo hanno dimostrato ; (1) D, Maestrini, Contributo alla conoscenza degli enzimi. I. Amilasi dell'orzo ger- mogiiato. Rend. R. Accad. Lincei, vol. XXVIII, fasc. 109, 1919. — 163 — 4°) la salda d'amido (2-5 %), mantenuta nelle stesse condizioni spe- rimentali, senza il contatto di saliva bollita 0 di soluzione di NaCl (0,9 %), anche dopo mesi. non presenta alcuna scissione, ovvero presenta appena l'’accenno a scissione; 5°) l’azione dei varî gas sperimentati (CO?,0?, N) sulla saliva bol- lita, non è stata sempre la stessa per uno stesso %as: in ogni modo sembra che lO? abbia azione più benefica che gli altri gas. Anatomia. — L'azione di elettroliti sui tessuti viventi, sepa- rati dall’ organismo, studiata col metodo delle colture « in vitro » (*). Nota del dott. OLItviERO OLIvo, presentata dal Corrisp. G. Levi (°). Conseguenze dell'azione temporanea e permanente degli elettroliti NaCl, KCI, CaCl?, NaHCO?, KJ, LiCl sui frammenti di tessuti di embrioni di pollo isolati e coltivati « in vitro ». Scopo delle presenti ricerche fu di stabilire quali modificazioni possano essere apportate alle attività biologiche di cellule di tessuti viventi, sepa- rati dall'organismo, dal trattamento temporaneo con soluzioni, sia di elettro- liti che anche normalmente concorrono a costituire i liquidi organici, ma in concentrazioni molto diverse delle usuali. sia di elettroliti estranei alla co- stituzione dei liquidi organici. Tale ricerca, che fino a pochi anni or sono non sarebbe stata facilmente effettuabile, ora ci è consentita grazie al metodo delle colture « in vitro », che permette non solo di stabilire con sicurezza, se gli elementi di un tes- suto sono ancora integri e vivi, ma ci mette anche in grado di seguire passo passo al microscopio le più minute e intime alterazioni che possono avve- nire nella struttura e nell'attività delle cellule. Altro vantaggio considere- vole del metodo delle colture sta nel fatto, che noi sperimentiamo su cellule vive, capaci di muoversi liberamente e di moltiplicarsi indefinitamente nel loro nuovo ambiente, ma sottratte a qualsiasi influenza derivante dall’orgà- nismo di cui facevano parte integrante. (1) Lavoro eseguito nell'Istituto Anatomico della R. Università di Torino. diretto dal prof. G. Levi. (2) Pervenuta all'Accademia 1°8 agosto 1922. — 1641 — Ora la tecnica delle colture in coagulo di plasma, secondo il metodo di Harrison-Burrows è già abbastanza sicura, per poter fare assegnuamento su risultati approssimatirvamente costanti di una serie determinata di col- ture, eseguite tutte nelle condizioni eguali (grandezza uniforme dei pezzi, spessore dello strato di plasma sempre eguale, ecc.); così noi possiamo a ragione attribuire le differenze quantitative e qualitative dell'attività migra- toria e proliferativa che osserviamo nelle varie colture di una determinata esperienza, a quel determinato trattamento speciale che, a nostro arbitrio, avremo fatto subire o al frammento di tessuto prima di essere coltivato, o alla coltura già sviluppata. Tralascio per brevità i dati della letteratura (del resto non molto abbon- danti) sulle ricerche dirette in questo senso col mezzo delle colture. Alla presente ricerca fui guidato dai concetti di J. Loeb sulla vele- nosità degli ioni -Na, K, e -Ca, e loro azione antagonistica, e dal concetto di soluzioni fisiologicamente equilibrate. La tecnica seguita era molto semplice: immerso un pezzo di pelle o di cuore di embrioni di pollo in soluzione di Ringer, ne facevo con le for- bicine tanti pezzetti di dimensioni pressochè eguali, e li distribuivo nelle soluzioni saline, preparate in antecedenza sterili; dopo averci lasciato i fram- menti, alla temperatura di 38° 39°, per intervalli di tempo determinati, li riportavo, a scopo di lavaggio, in Ringer, e allestivo la coltura, avendo la cautela di stendere la goccia di plasma in strato eguale a quello dei con- trolli, che allestivo contemporaneamente con dei frammenti presi direttamente dalla prima soluzione di Ringer. Per la presente ricerca usai embrioni di pollo dall’8° al 14° giorno di incubazione; nel corso di 16 esperienze esaminai complessivamente circa 250 colture. Le colture di cuore davano migrazioni di mioblasti, quelle di pelle davano in prevalenza migrazione di elementi mesenchimali del derma ed in pochi preparati anche di epitelio. Nelle prime esperienze procedetti con molta cautela nel crescere la con- centrazione degli elettroliti in esame (aumentavo gradualmente la percentuale del sale in prova del 0,02 %) e mantenevo gli altri sali e il glucosio nella pro- porzione usuale della soluzione di Ringer-Locke. Ma non osservando alcuna diffe- renza apprezzabile dalle colture di controllo, usai senz'altro soluzioni saline isotoniche di solo NaCl e del sale in prova, senza glucosio, diminuendo gra- datamente del 0,1 o 0,2% la percentuale di NaCl, e aumentando di altret- tanto la concentrazione rispettivamente di KCl, CaC1?, NaHCO*, KJ, LiC1, fino a sperimentare con soluzioni pure al 0,9% di tali sali. Con mia sospresa constatai, che i tessuti, anche dopo una permanenza di varie ore (4-5) in tali soluzioni, erano capaci ancora di dare tutte le usuali manifestazioni di attività biologica dei tessuti coltivati normalmente, cioè ricca migrazione di cellule nel coagulo di plasma e moltiplicazione per mitosi delle medesime. — 165 — Soltanto se si facevano agire sui frammenti il CaCl? e il LiCl per più di un’ora, in concentrazione del 0,8-09%. si ottenevano costantemente col- ture con migrazione ‘piuttosto scarsa, inferiore a quella dei controlli; mentre dopo l'azione del KJ era dato osservare prima che nei controlli l'inizio di movimenti protoplasmatici di locomozione: per tutti gli altri sali usati invece, e per il CaCl® in percentuali inferiori al 0,7%, non mi parve ci fossero differenze apprezzabili dai controlli nè per l’inizio, la durata, l'estensione e la forma di migrazione, nè per l’inizio e il tipo di degenerazione che inter- veniva (come nei controlli) al 2° o 3° giorno, nè per particolarità citologiche delle cellule migrate ecc. È evidente che in questi casi le cellule non avevano subìto alcuna le- sione irreparabile; il protoplasma vivente o non aveva risentito alcun effetto ‘dall'azione tossica dell’elettrolita, 0, se qualche modificazione chimica era avvenuta in esso, si trattava di reazioni chimiche reversibili e di legami labili di cui la cellula era capace di liberarsi rapidamente, se rimessa in una soluzione salina considerata come fisiologicamente equilibrata. Perciò volli provare a lasciare in permanenza, nel mezzo di coltura, un eccesso dell’elettrolita in esame. A tale scopo, dopo aver lasciato per più di un’ora i pezzi nelle stesse soluzioni indicate sopra, allestivo la coltura senza lavare i pezzi in Ringer, e diluendo il plasma in proporzione di 1: 1 con la stessa soluzione. nei preparati di controllo diluivo analogamente il plasma con Ringer(*). In tal modo si aveva nel coagulo di plasma una con- centrazione dell’elettrolita in esame ridotta a metà di quella della semplice soluzione salina. Così, usando le soluzioni pure degli elettroliti al 0,9%. nel coagulo risultava una percentuale del 0,45%. Neanche procedendo in tale maniera non ebbi mai, per nessuno dei salì saggiati, la soppressione totale di manifestazioni vitali nei tessuti coltivati, ma soltanto una certa attenuazione. Nelle colture in plasma diluito con so- luzioni al 09%, di KCI, CaCl*, KJ e LiCl, l'ampiezza dell’alone di elementi migrati era sempre notevolmente inferiore a quella delle colture di controllo. specialmente per il LiCl; pure la alterazioni degenerative, comuni a tutte le colture (scomparsa dei condrioconti, comparsa di gocciole di grasso, di vacuoli ecc.) si iniziavano un poco prima; per tutti gli altri caratteri erano normali. Di'uendo invece il plasma con soluzioni al 0,4% di NaCl e 0,5 % degli stessi sali, si avevano colture normali, come pure diluendo con solu- zioni al 0,9% di NaCl. Non osservai un'azione accelerante la migrazione da parte del KJ. Da queste esperienze mi pare risulti chiaro, che la vitalità dei tessuti resta discretamente conservata anche in mezzi di coltura contenenti sali ete- (1) E noto che in colture in plasma diluito la migrazione delle cellule incomincia prima e le mitosi sono più numerose di fronte n quelle in plasma denso (Burrows, Levi), — 166 — rogenei o normali dei liquidi organici in proporzioni molto diverse da quelle usnali; se gli ioni dei sali sperimentati hanno azione tossica, essa è certa- mente molto moderata, almeno sui tessuti embrionali di pollo isolati dal- l'organismo. Riassunto: Tessuti di embrioni di pollo (cuore e pelle) dall'8° al 14° giorno di incubazione, isolati, anche se trattati per varie ore con solu- zioni al 0,9°/ di NaCl, KCI, CaC1?, Na HCO, KJ e LiCl, conservano inalterata la capacità di dare le usuali manifestazioni vitali dei tessuti coltivali « în vitro ». Gli elementi degli stessi lessuti conservano pure integra la loro ca- picità di migrare e di moltiplicarsi se fatti sviluppare în un mezzo di coltura (plasma diluito) che contenga gli elettroliti. KCl, CaCl?, KJ e LiCl al 0.25 °/,, mentre queste manifestazioni risultano soltanto attenuate. ma non sono incompatibili con una percentuale del 0.45 °/, degli stessi sali nel mezzo di coltura. Botanica. — / peli urenti della Mucuna pruriens DC.(. Nota della dott. Eva MameLI-CALVINO, presentata dal Socio 0. MAT- TIROLO (°). La Mucuna pruriens DC. (3) (Dolichos pruriens Linn., Stizolobium pruriens Medic.) è una Leguminosa conosciutissima in Cuba e nelle altre isole delle Antille, anzi in tutta la zona tropicale americana, per l’azione urente dei peli che rivestono i suoi frutti. Nonostante tale sua notorietà, questa pianta era stata studiata finora solo dal punto di vista sistematico e appena qualche incompleto dato farma- cognostico trovai nel vecchio testo del Grosourdy (‘), che consiglia l’uso di una pomata preparata con i peli del frutto della Mucuna pruriens, come irritante e revulsiva. Riguardo all'uso terapeutico di questi peli, aggiungerò che nelle campagne di Cuba si usano comunemente come vermifugo, contro l’Ascaris lumbricoides. Si colgono ì frutti di buon mattino, quando sono cosparsi di rugiada e quindi inoffensivi al tatto, se ne raschiano i peli e si mescolano con una marmellata preparata con i frutti del Psidium Guatava. Secondo la farmacopea degli Stati Uniti (5) questo medicamento passò dalle (1) Lavor» eseguito nella Stazione sperimentale agronomica di Cuba, marzo 1922. (?) Pervenuta all'Accademia il 15 giugno 1922. (8) De Candolle, Prodromus, 2, 405, 1825. (4) Grosourdy (de) R., El Medico Botanico Criollo (parte Il, tomo I, pag. 59). Paris, 1864. (9) Wood, Remington and Sadtler, The Dispensatory of the United States of Ame- rica. Philadelphia, 1829. La M. pruriens è compresa fra le droghe non ufficiali. Sr Indie occidentali alla pratica americana. È efficace, ma di sapore molto sgra- devole, ciò che l’ha fatto andare quasi in disuso. La dose del medicamento è di un cucchiaio da minestra per adulti e di un cucchiaio da caffè per bambini, somministrato ogni giorno per tre giorni e fatto seguire da un forte purgante. Nè la tintura, nè la decozione dei peli sono attive. Pare che i peli agiscano meccanicamente. penetrando nel parassita. Nelle isole Barbados l' infusione dei legumi (privati dei semi) nella birra, si usa contro l'idropisia (1). La radice della Mucuna pruriens è ritenuta anticolerica nelle Indie orientali e si crede che i frutti abbiano proprietà diuretiche. Poichè il potere revulsivo dei peli di questa pianta mi venne descritto come straordinariamente intenso, fui tentata di studiarne la morfologia e di scoprire la natura della sostanza che produce i fatti dermitici. Riferisco quanto ho raccolto dalle investigazioni bibliografiche e dalle osservazioni. In Cuba e in Porto Rico gli indigeni chiamano la Mucuna pruriens : « pica pica » (pungi-pungi) e nelle Antille inglesi è nota con i nomi di: « cowhage » (2) (strega delle vacche) e « cow-itch » (*) (prurito delle vacche). Nella farmacopea degli Stati Uniti è citata, oltrechè con i nomi scien- tifici, con i seguenti: « Cowhage, Cowage, Setae Siliquae hirsutae, Pois velus, Pois à gratter, Fr. Kratzbohnen, Kuhkratze G. ». La parte usualmente importata è il frutto, la parte officinale i peli. La Mucuna pruriens è una Leguminosa annuale (4) rampicante, con steli. erbacei ramificati che, avviticchiandosi agli alberi più prossimi, giungono talvolta a considerevole altezza. Le foglie sono pinnato-trifogliate, portate da. lunghì picciuoli, alterne. Le foglioline sono acuminate, pelose tanto superior- mente quanto inferiormente ; quelle laterali sono obliquamente ovate, inequi- laterali; la mediana ovata o rombico-ovata. I fiori sono grandi, violacei o porporini, con calice 4-fido, stendardo ovato, ali e carena lunghi il doppio dello stendardo. Sono portati di solito da brevi peduncoli e riuniti in racemi (1) La Sagra, Hist. fisica, polit. y natural de la Isla de Cuba. Botanica, I, 196. (2) Cook and Collins, Economie plants of Porto Rico (Contrib. fr. the Unit. St. Nation. Herbarium, VITI, 2, 194), 1903. (3) Britton and Millspaugh, The Bahama Flora, New York, 1920. (*) Ho constatato che la Mucuna pruriens è annuale in Cuba. B iley (The Standard Cyclopedia of Horticulture, New York, 1917), la Farmacopea degli Stati Uniti ed He- reman (Paxton’s Botanical Dictionary, London, 1868) la dicono perenne, mentre è annuale secondo Macmillan (A Handbook of tropical gardening and planting. Colombo, 1914). pa — 168 — che pendono dall'ascella delle foglie. Il frutto è un legume coriaceo, incur- vato a mo’ di F latina, lungo da 8 a 10 cm., largo 10-15 mm. e coperti di fitti peli rigidi, che si staccano facilmente e sono di un bel colore biondo castano a maturità. Si trova spontanea nei boschi, nelle prunaie, nelle siepi e nei « caîia- verales » (campi coltivati a canna da zucchero ». In quest’ultimo caso la presenza della Mucuna pruriens acquista importanza speciale, perchè l'epoca di maturazione dei frutti e di facile diffusione, al minimo urto, dei peli che li coprono, coincide con l'epoca del raccolto della canna (dicembre-marzo). I raccoglitori di canna si rifiutano di continuare il lavoro se il campo è invaso dalla temuta « pica-pica », e ciò specialmente nelle ore a metà del giorno, quando i peli, asciugati dal sole, vengono trasportati facilmente dalle correnti d'aria e molestano sommamente i lavoratori. Per evitare questo in- conveniente, quando è possibile, si usa dar fuoco alle foglie secche della canna, per distruggere così anche la Mucuna pruriens e poter continuare il raccolto. Le punture prodotte dai peli della « pica-pica », causano, a detta dei contadini, un bruciore talmente insopportabile da renderli come ossessi e da obbligarli a grattarsi con le unghie spasmodicamente e a rotolarsi sul ter- reno per cercare di liberarsi dai peli inflitti nella pelle. L'unico rimedio usato in Cuba in questi casi è lo sfregamento delle. parti irritate con cenere asciutta. L'azione dell’acqua aumenta invece il bruciore. Secondo Grosourdy, in Venezuela si userebbe alcool di canna ed il bruciore cesserebbe « casi en el acto mismo ». Ho voluto sperimentare su me stessa l’azione dei peli della Mucuna pruriens, sia maneggiandoli senza difesa per fare i preparati microscopici, sia sfregando ripetutamente i frutti sul palmo e sul dorso della mano e sulla parte interna dell’avambraccio. I peli dei frutti immaturi o non mi produs- sero alcun bruciore o mi procurarono solamente una molestia insignificante. Quelli dei frutti maturi, invece, che sono rigidi e leggerissimi, sicchè, si staccano facilmente dal frutto, si diffondono per l'aria, e si infiggono nella pelle, mi dettero da prima sensazione di punture acute, poi forte bruciore, rubefazione e produzione di piccole papule bianche e piatte. Il senso di bru- ciore si alleviò notevolmente fino a scomparire entro una diecina di minuti, dopo lavaggio con una soluzione di potassa al 2%. L'alcool invece non mi procurò alcun sollievo, e indubbiamente il suo uso è da controindicarsi, specialmente nel caso in cui il paziente si sia esco- riata la pelle grattandosi. Le papule scompaiono entro un periodo di tempo vario: possono perdurare per parecchie ore se l'irritazione fu grave. È pro- babile che, come avviene in molti altri casi, l'irritazione prodotta dai peli della Mucuna pruriens abbia intensità e durata varie a seconda dei varî individui. — 169 — SPIEGAZIONE DELLE FIGURE. Fig. 1. — Ramo secondario di Mucuna pruriens con foglie e fiori. Fig. 2. — Racemo di frutti. Fig. 8. — Un frutto isolato. Fig. 4. — Due peli di Mucuna pruriens visti al microscopio. Oc. 5: ob. DD Zeiss. Fig. 5. — Apice di un pelo di Mucuna pruriens dopo trattamento con acido solforico concentrato. Oc. 5; ob. DD Zeiss. Fig. 6. — Pelu di Stizolobium capitatum. per confronto. Oc; 5; ob. DD Zeiss. (‘ome già dissi, sono i frutti della Mucuna pruriens gli organi forniti di peli urenti: invece i peli che coprono gli steli, i picciuoli e le foglie sono innocui. Anzi, prima della fruttificazione, le parti verdi della Mucuna sono pascolate avidamente dal bestiame. Come appare dalle fotografie alle figg. 2 e 3, il frutto in questione è un legnme lungo 8-10 cm.. largo circa 15 mm., leggermente incurvato, api- culato, con calice persistente. L'epidermide del frutto è coperta da una fitta lanugine, verde dapprima, castana o bruno-dorata quando il frutto giunge a maturità. I peli che formano questo rivestimento sono lunghi 1-2 mm,, rigidi e leggerissimi. Essi si staccano facilmente dal frutto al minimo urto o per il più lieve soffio di vento, che li trasporta isolati o in fiocchi. ESAME MICROSCOPICO. All'esame microscopico e a piccolo ingrandimento sì presentano come comuni peli conici, molto appuntiti, per lo più raramente un poco incurvati presso l'apice. Alcuni hanno la membrana ialina, altri l'hanno colorata in giallo-bruno. A forte ingrandimento (fig. 4) si osserva che la membrana è notevolmente ispessita (spessore di 4-6 «), ed è guarnita da numerosi, pic- coli rilievi bottoniformi o a uncino, più numerosi verso l’apice del pelo, meno fitti nel mezzo, in piccolo numero alla base, dove non si trovano più uncini, ma solo sporgenze bottoniformi. Gli ispessimenti uncinati hanno tutti l'apice rivolto verso la base dei peli. Ho contato in alcuni peli fino a 170 uncini. I peli sono per lo più unicellulari. talvolta sono costituiti da 2-3-4 cel- lule di lunghezza molto disuguale, raramente da 8-9 cellule, alcune delle quali brevissime, altre molto lunghe. Nei peli giovani sono visibili, entro il plasma granulare, il nucleo e numerosi piccolissimi cromoleuciti di color arancione. È molto evidente in queste cellule il movimento rotatorio del plasma. Contengono anche una abbondante sostanza oleosa incolora o di color giallo paglierino, che facilmente fuoriesce dai peli rotti, ed è presente in maggior quantità verso l’apice. Quando i peli sono secchi, quest’olio appare sotto forma di goccie giallo-aranciate, accompagnate spesso da grumi di una so- stanza resinosa giallo-arancione. Porzioni di questa sostanza aderiscono ester- namente ai peli frammentati. Membrana cellulare. — Le reazioni microchimiche della cellulosa e della cutina dimostrano che la membrana dei peli è fortemente cutinizzata. — 71 — L'azione degli acidi acetico, cloridrico, solforico e cromico dimostrano in essa l'assenza di carbonato e di ossalato di calcio e la presenza invece di una forte incrostazione silicica, limitata alla porzione apicale de» peli. Infatti, facendo agire acido solforico concentrato e acido cromico sui peli della Mu- cuna pruriens, si vede la loro membrana gonfiarsi e man mano ridursi in una massa amorfa, ad eccezione dell’apice del pelo. Questo, spogliato di un sottile strato cellulosico, appare intatto, come mostra la fig. 5, con i suoi uncini e le sue sporgenze bottoniformi. Data la struttura e la composizione chimica delle membrane dei peli della Mucuna pruriens, si comprende facilmente come al primo urto essi sì rompano in prossimità dell'apice e si infiggano nella pelle, iniettandovi il liquido che contengono. Gli ispessimenti uncinati della membrana aumen- tano la superficie lesa, rendendo più dolorosa la puntura. Reazioni dell’acidità. — Sfregando sui peli cartine al tornasole azzurre inumidite con acqua distillata, non ottenni reazione visibile. Esito negativo ottenni anche mettendo un frutto fra le cartine suddette e schiacciandolo leggermente fra due vetrini porta-oggetti. La soluzione alcoolica di fenolfta- leina, leggermente arrossata da un alcali, permane rossa. Lo stesso con so- luzione acquosa di tornasole. Diede invece reazione nettamente acida l'alcool, nel quale avevo lasciato per alcune ore in fusione molti peli staccati dal frutto. Egualmente si com- portarono l'acetone ‘e l'etere. Ciò dimostra che la sostanza acida contenuta nei peli della Mucuna prurtens, è insolubile nell'acqua, solubile nell’alcoo], nell'acetone e nell’etere. Si può escludere per conseguenza la presenza di quegli acidi (acido formico, citrico, malico, ecc., allo stato libero) che diversi autori ritengono presenti nei tri- comi di piante varie, urenti e insettivore ('). Reazioni degli alcaloidi. — Non era improbabile che nei peli urenti della Mucuna pruriens si trovasse presente qualche alcaloide. Ne feci la (!) Ricorderò che la vera natura di questi acidi è ancora in molti casi indetermi- nata, come pure è insoluta la questione se essi si trovino nei tricomi delle piante urenti e insettivore allo stato libero o salificati, come dimostrai in una mia Nota precedente (E. Mameli, Ricerche anatomiche, fisiolog e biol. sulla Martynia lutea Lindl. Atti Ist. bot. di Pavia, (II) XVI pp. 159, 163; 1915). Si ritiene comunemente come provato che le urtiche urenti ( Urtica dioica, U. membranacea, U. urens, U. atrovirens d'Europa; U. ferox, U. ferocissima, U. Gigas dell'India e dell'Australia) debbano questo potere all’acido formico libero contenuto nei peli (Gorup, Annalen der Chemic, 72, 267; Journal f. prakt. Chem,, 48, 191; Giustiniani, Gazz. chim. it., 26 (I), 1, 1896); però quest’asser- zione è discussa, Haberlandt crede che si tratti di una sostanza albuminoidea; L. Reuter ha ottenuto da parecchie urtiche un glucoside (Am. Journ. of Pharm. Jan.. 1890; vedi anche: Giustiniani. loc. cit) e Oddi e Lomonaco (Rif. Med., aprile. 1892. 8. pag. 106) isolarono dall'urtica comune un alcaloide cristallino. Recentemente però Doblin (Proc. Roy. Soc., Edinburg. 39. 137, 1919) dimostrò la presenza dell’acido formico nei peli dell’urtica trasformandolo in formiato di piombo e identificandolo con il microscopio polarizzatore. — 172 — ricerca sia con i reattivi per precipitazione, sia con quelli coloranti; tutti ini diedero risultato negativo. Reazioni della sostanza grassa. — Come dissi, i peli della Mucuna pruriens contengono una abbondante sostanza oleosa. Nei peli giovani essa appare incolora o leggermente colorata in giallo o finemente emulsionata, nei peli del trutto secco si trova in grosse goccie di color arancione, spesso accompagnate da grumi di una sostanza resinosa. Lo studio dell'olio di Mu- cuna presenta speciale interesse, perchè può attribuirsi ad esso l’azione irri- tante che i peli esercitano sulla pelle, a somiglianza dell'effetto prodotto dall'olio dei semi di Croton Tiglium, di Anacardium occidentale, di Seme- carpus Anacardium, ecc. I caratteri di questa sostanza sono i seguenti: si colora con Sudan III in rosso intenso, con tintura d'Alkanna in rosso bruno, in nero con acido osmico. Esponendo i peli ai vapori di acido cloridrico in scatola Petri, si ottiene la disintegrazione parziale delle cellule e la riunione delle goccie oleose. Queste sono resistenti all’azione dell’acido, ciò che dimostra che si tratta di un olio grasso e non di un olio essenziale. I peli staccati dai frutti vennero messi in tubi d’assaggio e sottoposti all'azione dei comuni solventi organici, quindi vennero colorati con Sudan III e osservati al microscopio, per constatare la solubilità dell’olio. Risultò che questo è insolubile nell'etere di petrolio e nello xilolo, è solubile invece in alcool a freddo (lentamente), in alcool a caldo, in benziha, in etere; in ace- tone, in solfuro di carbonio, in cloroformio. Facendo sezioni trasversali del frutto e colorandole con Sudan III, si dimostra la presenza di cellule oleose anche nell’epidermide del baccello e nel tessuto sottoepidermico. Analogamente per le piante insettivore: nelle ghiandole della Drosera intermedia è contenuto acido malico secondo Lucas e Trommsdorf (Ann. Chem. Pharm.. 8. 237), una mescolanza di acido formico, propionico e butirrico secondo Rees e Will (Bot. Zeitg.. 1875. 713; Centr. Agrikulturch.. X. 230), una mescolanza di acido citrico e di acido ma- lico secondo Hager (Handbuch der Pharmac. Praxis. 815); acido citrico secondo Stein (Ber. chem. Ges., /2. 1603; 1879); la Drosera rotundifolia contiene secondo Franbland (Darwin. Insectivorous plants. London. 1875. pag. 88) acido propionico, butirrico e vale- rianico; il Drosophillum Lusitanicum conterrebbe acido formico secondo Goebel (Pflan- zenbiolog. Schilderung. II. 1893) mentre, secondo Meyer e Dewèvre (Bot. Zentralblatt. LX. 1894; Ann. Sc. nat.. (8). I. 19. 1895) non si tratta di acido formico, ma di un'altra sostanza acida tuttora ignota; infine la Martynea lutea contiene nell'abbondante muccil- laggine emessa dai suoi peli glandolari, acido formico e acido ossalico (Mameli E.. loc. cit.). G. 00: fp : b È SR È È: A È i A Brusoni Amalia. Sopra due interelusi nel serpentino del M. Prinzerolo (Appennino par- mnense)s(pres.sdal-CorrispoWnrugnatelli o. SRO e Rag 14% Viale. Differenziamento tra fenomeni fotochimici e fenomeni futodinamici (presentata dal Socio Morpurgo) . . . Aggazzotti. Ulteriori osservazioni sulla glicosuria dell'uomo sottoposto a rarefazione atmo- sferica (pres. dal Socio od) De Gasperi. Sull’istologia del nodulo del mal perlaceo dei bovini: connettivo ed eosinofili (pres. dal Socio Longo) . Maestrini. Contributo alla conoscenza degli enzimi. VIII. Sulla ricomparsa del potere amilolitico della saliva mista umana, dopo ebollizione (pres. dal Corrisp. Baglioni) Olivo. L'azione di elettroliti sui tessuti viventi, separati dall'organismo, studiata col me- todo delle colture «in vitro » (pres. dal Corrisp. Levi) . . Mameli-Calvino Eva. I peli urenti della Macuna pruriens DC. (presentata dal BOLIOPIIATIrO O) Ro 150 153 157 166 RENDICONTI — Settembre 1922. INDICE 2 Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIK E NOTE DI SOCI pervenute all'Accademia durante le ferie del 1922. Artini. Sulla formn cristallina del clorito sodico triidrato . +... + + +00. Zambomni. L’isomorfismo del fluoborato e del permanganato di potassio AAA NOTE PRESENTATE DA SOCI — Burali-Forti. Sugli spazi curvi (pres. dal Socio Marcolongo) . . . Fontappiè. Alcuni teoremi sulle equazioni algebriche (pres. dal Socio Bianchi) . . . . Cassina. Area, lunghezza e curvatura di una figura qualunque (pres. dal Socio Somigliana) Vitali. Sul parallelismo di Levi-Civita (pres. dal Corrisp. Loria) +... ... +... Maggini. Misure interferenziali sul disco del III° satellite di Giove (pres. dal Corrispon- dente BemporaA)i:k.i. fs a E IPER e ll SL e Abetti. Sulla massa delle stelle doppie tiche (pres. dal Socio Di Lag Persico. Sul principio di equivalenza in relatività (pres. dal Socio Levi-Civita) . . . . Signorini. Sulla velocità minima (pres. /4.) LL... 0... 0. Del Regno. Comportamento elastico del nichel ad alte temperature (pres. dal Socio Cartone) Bigiavi-e Giannini. Ossidazione della benzolazoresorcina (pres. dal Socio Angeli) . . . Mascarelli. Sulle due forme dell'o-metil-cicloesanolo (pres. dal Socio Masini) . . . . . Mazzetti e De Carli. Sulla preparazione del cloruro di boro (pres. dal Corrisp. Parravano) Quagliariello. Influenza delle proteine della chiara d'uovo sulla tensione superficiale del- l'acqua.(pres:sdal Socio: B0{0221) RR EZIO LT SI e ona Marino. L'azione della milza sul ricambio proteico intermedio (pres. dal Corrisp. Lo Monaco) Visco. Sul valore alimentare dei semi dell’Ervum Ervilia (pres. /4.) . ... +... Grill. Riebeckite del Vallone delle Miniere (Valle della Germanasca) (pres. dal Socio Millosevich) . e a e A SIERO O SLI ON ARRE ME RAI Fichetto. Studio AE dell’ a-y- -dichetoidrindene (pres. dal cani Sw + Pag. 65 n. 67 near LARA Ni n» 89 n 86 n 83 » 93 » 98 » 101 n 105 n 109 » 116 n 119 n 120 n 126 n 1931 no 190 n 143 (Seque in tersa pagina) E. Mancini, Cancelliere dell’ Accademia, responsabile. eda NT È , 3 i di 7 RI DRITTE di TA b Pi . S al È E. * Î, P, ai Ra}: gt bo Bi 5 prix n A ec e ar AT Sie sara dl O TI Se e nu "AE di ni 4 È PA °° Pubblicazione bimensile. N 18 DELLA | REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEE LINGERIE ANNO CCCOXIX. Ulasse di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume X X X F.° — Fascicolo 7-0 Comunicazioni pervenute all'Accademia durante le ferie del 1922. 2° SEMESTRE. psi TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI _ PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1922 RENDICONTI Hattona | SHRIE QUINTA fl. 19604 \bo f\ ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER ILE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Uol 1892 si è iniziata la Serie quinta. delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali-valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese ; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume ; due volumi formano un’annata. 2. Le Note di Soci o Cerrispondenti non possono oltrepassare le 6 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità; non possono superare le 4 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunica- zioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispe identi, e 30 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia ; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano, ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare.al Segretario, seduta stante, una Nota per i critto. BI, 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente e le Memorie pro- priamente dette, sono senz'altro inscritte nei Volumi accademici se provengono da Soci 0 da Corrispondenti. Per le Memorie presentate | da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione Ja quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe, 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - «) Con una proposta 4 stampa della Memoria negli Atti dell’Accade mia o in un sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’art. 26 dello Statuto. - b) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’antore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una-Memoria per esame data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà sratis b0 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti ; 30 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è masso a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI pervenute all’ Accademia durante le ferie del 1922. (Ogni Memoria o Nota porta a pie’ di pagina la data d'arrivo). NAANANANAIIINANANA_TDTTOyO_T Anatomia. — Comparsa tumultuaria di divisioni mitotiche ed arresto delle medesime in colture di tessuti 0). Nota del Corrisp. GIU- seppe Levi 0). La frequenza delle divisioni mitotiche nella zona d'invasione delle col- ture dei tessuti è suscettibile di variare per una quantità di condizioni non tutte ben conosciute; vi influiscono certo la natura del tessuto e le pro- prietà del mezzo; già da varî anni Carrel ed Ebeling dimostrarono l'ener- gica azione attivante sulla moltiplicazione delle cellule dell'estratto di organi di embrioni. Ma sovente senza causa apprezzabile ad una certa fase della vita di una coltura, durante il 2° ed il 3° giorno, le mitosi divengono più frequenti, anche indipendentemente dalla presenza nel mezzo di sostanze attivanti l'accrescimento. Finora tutti gli autori che si occuparono delle mitosi nelle colture 27 vitro viventi (Lambert e Hanes, Levi, W. ed M. Lewis) hanno illustrato il processo di divisione tipica, che conduce alla formazione di due cellule figlie, ed è il fattore esclusivo dell’accrescimento della zona d'invasione; la divisione diretta del nucleo forma delle cellule binucleate, ma non è mai seguìta dalla divisione del citoplasma e perciò non ha parte veruna nell’ac- crescimento numerico degli elementi della coltura (Macklin). (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Anatomia umana della R. Università di Torino. (*) Pervenuta all'Accademia il 4 ottobre 1922. RenDpICONTI. 1922, Vol. XXXI, 2° Sem. 24 TE — 174 — Non trovo cenno invece nella letteratura della presenza nelle colture di singole mitosi che si iniziano in modo tipico, ma ad un certo momento durante la profase e la metafase si arrestano, di modochè la cellula con- serva la rifrangenza e la forma sferica, che ci concedono di riconoscere age- volmente nelle culture viventi gli elementi in mitosi, ma non vi si produce lo strozzamento equatoriale, il quale normalmente con un ritmo velocissimo conduce alla divisione di una cellula in due. Oppure, per quanto più di rado, il processo procede in modo normale sino all'anafase, lo strozzamento equatoriale si inizia ed è. come di consueto, accompagnato dall'emissione di gemme ialine(') più voluminose del con- sueto, ma non si completa; successivamente la cellula ridiviene sferica e non sì modifica ulteriormente. Queste cellule rimangono sferiche ed opache per qualche tempo, talora per un'ora o due, e non le ho mai viste riacquistare la forma lamellare e la ben nota trasparenza, che caratterizza le cellule durante la fase di riposo; dopo qualche tempo regrediscono, emettono masse protoplasmatiche opache, a forma sferica, e finiscono col disgregarsi. I fenomeni descritti si riscontrano.in molte colture, ed io li avevo osser- vati nel 1915-1916, quando studiavo il decorso del processo mitot:ico nelle colture viventi, senza dare a tale fatto molta importanza. Le cellule nelle quali il processo mitotico si arresta prima delle mitosi non sono mai molto numerose; la loro frequenza varia da una coltura all'altra. Ad ogni modo questo fenomeno è sempre un segno di sofferenza della coltura. Ma durante le nuove indagini sulle colture, che ho intrapreso da qualche tempo, mi accadde di osservare un fatto che ritengo più importante: la brusca e simultanea comparsa di un numero stragrande di mitosi le quali si arrestano simultaneamente, o nella profase oppure nella metafase, ed è seguìta da fenomeni regressivi, tanto nelle cellule nelle quali il processo mi- totico si è iniziato, che nelle altre in riposo. Dopo un periodo di sosta icromosomi si frammentano in 5 0 6 masse di cromatina omogenea, che rimangono libere nel centro della cellula: in due colture ho visto ricostituirsi in qualche cellula la membrana nucleare; ma il nucleo appare suddiviso in lobi irregolari e non acquista più la tra- sparenza delle cellule in riposo. Inoltre la cellula conserva forma sferica e non emette più propaggini di locomozione. Infine quel che importa è, che tutte le cellule nelle quali il processo mitotico si è iniziato senza arrivare a compimento, sono inesorabilmente vo- tate alla regressione. (*) Per il significato di questo fenomeno vedi « G. Levi, Il ritmo e la modalità della mitosi nelle cellule vicsenti coltivate in vitro. Arch. It. di Anat. e di Embr., vol. 15, 1916 ». — 175 — Ma ancora prima che la morte delle cellule, nelle quali la mitosi si è iniziata, ci faccia sospettare uno stato di sofferenza della coltura, l' insorgere simultaneo di un numero tanto grande di divisioni è da per sè solo una prova, che non si tratta di un'accelerazione nell’accrescimento della coltura. Infatti, sebbene le divisioni cellulari non si producano sempre con ritmo . regolare, e sebbene non di rado. in singoli punti di una coltura vi siano delle vere « epidemie » di mitosi, paragonabili alle zone di più attiva prolifera- zione che si stabiliscono a periodi nell'embrione [fatto conosciuto ai cultori di embriologia (')], mai avviene nelle colture sane una riproduzione simul- tanea di un numero tanto grande di cellule; se tutte le mitosi iniziate arri- vassero a compimento, l'accrescimento della coltura si svolgerebbe con velocità molto più grande, nell'unità di tempo, di quanto risulti generalmente. Questo singolare feromeno fu da me finora osservato a preferenza nei mioblasti sdifferenziati di cuore di embrione di pollo dal 5° al 12° giorno, nelle cellule endoteliali del fegato, le quali di solito non si riproducono molto attivamente, ed infine in colture di cellule mesenchimali del te- gumento. Riporto nel mio protocollo di esperienze la descrizione particolareggiata del reperto di una coltura, nella quale l’arresto delle mitosi è avvenuto su larghissima scala. Coltura 63 K. (fig. 1). Fu espiantato in plasma un frammento di atrio di embrione di pollo al 7° giorno: alla 42 ora l’espianto è circondato da un alone di cellule fitte. che verso la periferia si vanno riducendo ad un unico strato; esse costituiscono un reti- colo, solamente alcune alla periferia della coltura sono libere; si tratta in prevalenza di mioblasti sdifferenziati molto estesi in superficie, che verso il polo distale, rivolto verso la periferia della coltura, si espandono in una larga lamina, ed anche di fibroblasti; gli uni e gli altri contengono condrioconti brevi senza segni di alterazione. Alla 472 ora il coprioggetti al quale la coltura aderisce viene distaccato e lavato per pochi minuti in liquido Ringer, successivamente viene di nuovo fissato al coprioggetti. Alla 498 ora vediamo nella zona d’invasione di quasi tutta la coltura (ne rimane risparmiato un segmento limitato), che un numero grandissimo di cellule incominciano quasi contemporaneamente a divenire opache ed a forma sferica per retrazione delle pro- paggini (fig. 1); la membrana nucleare scompare e nel centro si rende manifesta la matassa dei cromosomi. Però il processo mitotico nella maggioranza delle cellule si arresta alla metafase, solamente in pochissime avviene lo strozzamento equatoriale. La coltura viene fissata alla 51% ora in liquido Maximow e colorata coll’ematossi- lina ferrica. L'esame del preparato conferma, com'è naturale, che le cellule in riposo sono integre, e che le cellule, le quali nella coltura vivente apparivano opache, si trovano in mitosi; ben poche si sono arrestate alla fase di spirema, la maggioranza alla fase di mo- (*) Per quanto riguarda il progredire ad ondate delle divisioni cellulari nell’em- brione rimando alle osservazioni di Sabin sugli embrioni di Amnioti ed alle recenti ricerche sperimentali di Kornfeld su larve di Anfibî. — 176 — naster; però alcune di queste figure mitotiche mostrano palesi segni di alterazione; i cromosomi anzichè essere riuniti, come di solito, in una massa compatta sono sparpa- gliati irregolarmente, ed in alcune sono conglutinati in un grumo intensamente colorabile. Fic. 1. -- Coltura di 49 ore di vita ottenuta da un espianto di atrio di embrione di pollo al 7° giorno disegnata coll’apparecchio Abbé; i cerchietti neri indicano le cellule in mitosi arrestate in prevalenza durante la metafase, in numero stragrande gli elementi a forma affusata sono in riposo. Anche nei riguardi della forma della cellula vi sono disposizioni anomale: qualche elemento nella fase di monaster ha emesso una propaggine tozza ed allungata, fatto asso- lutamente eccezionale per questa fase della mitosi. Altre presentano su tutta la superficie delle gemmule sferiche. le quali differiscono dalle gemme che abitualmente sono emesse durante la telofuse, e per il minor volume, e perchè opache e colorabili. Da queste ultime forme si passa per varietà intermedie a cellule in palese disgre- gazione, nelle quali neppure i cromosomi sono più riconoscibili. In altre colture ho trovato, che numerose cellule si erano fermate alla profase; prima ancora che la cellula retraesse le propaggini e divenisse sfe- rica, il processo si è arrestato e si sono iniziati nel citoplasma fatti regres- sivi: nel preparato fissato troviamo cellule alla fase di spirema, talora con membrana nucleare integra; in alcune i condrioconti sono conservati, ma non hanno più aspetto normale, in altri sono scomparsi e la cellula è ripiena di grossolane granulazioni. È Da quanto ho visto in queste colture risulterebbe che nelle cellule in mitosi il citoplasma si altera, per quanto in lieve misura, più precocemente dei cromosomi, in armonia con quanto i fratelli Hertwig hanno accertato nelle uova di Echinodermi. Del resto anche nelle cellule in riposo il cito- plasma si palesa più sensibile del nucleo agli agenti morbosi. Invece Weber (913) in cellule in mitosi di embrioni di Selaci avrebbe accertato che l'alterazione nucleare precede quella del citoplasma. — 177 — Fra le sostanze che hanno maggiore importanza nello stimolare le cel- lule alla divisione, come pure alla locomozione, figurano i prodotti catabo- lici della coltura. Però noi sappiamo ben poco di quale natura siano questi stimoli e come essi si esplichino; è probabile che nella divisione, come pure nella locomo- zione, abbiano molta parte le variazioni nella tensione superficiale. La retrazione delle propaggini e la forma sferica che la cellula va acqui- stando durante la profase dipendono certamente da perdita d'acqua e da aumento nella tensione superficiale (Burrows, Levi), ma non abbiamo argo- menti per ritenere che questa condizione fisica sia il fattore determinante la mitosi. Quando le sostanze suddette si diffondono nel plasma a poco a poco, contribuiscono al normale accrescimento della coltura. Ritengo che nelle colture di cui ci siamo fin qui ocenpati, i prodotti catabolici della coltura si siano riversati nel plasma in quantità rile- vante, tanto che moltissime cellule sono stite stimolate a dividersi; tali sostanze tossiche esplicano nello stesso tempo un'azione dannosa sulla vita degli elementi in mitosi, più sensibili degli altri agli agenti morbosi; è più particolarmente su quelli che si trovano nella « fase critica » immedia- tamente antecedente allo strozzamento equatoriale. quando si deve manife- stare lo squilibrio nella tensione superficiale fra equatore e poli, equilibrio che determina lo strozzamento (Giardina, Burrows, Levi). Evidentemente le cellule che hanno sofferto per le modificazioni nelle proprietà del mezzo non possono superare quella fase critica; la tensione superficiale si mantiene nelle medesime alta, e regrediscono senza riacqui- stare la forma e la struttura degli elementi in riposo. L'emissione di gemme che si osserva sovente in molte cellule (vedi più sopra) rappresenta probabilmente un accenno a lievi moditicazioni della ten- sione superficiale, che potrebbero ricondurre la cellula alla forma lamellare; ma queste variazioni sono insufficienti, oppure sì esplicano in modo inade- guato; e la cellula impedita di emettere delle propaggini, e non potendo appiattirsi, condizioni indispensabili per il normale metabolismo e per la locomozione delle cellule coltivate 2 vi/70, muore rapidamente. Cosichè viene confermato quanto sappiamo anche da ricerche anteriori, che l'impulso alla mitosi può esser dato da cause insite all'ambiente e perciò estrinseche alle cellule; nel caso particolare le condizioni poco favorevoli dell'ambiente hanno stimolato le cellule a dividersi e più tardi hanno arre- stato lo svolgimento tipico del processo mitotico. — 178 — NOTE PRESENTATE DA SOCI Analisi. — Sulla integrazione di una serie di funzioni ra- zionali. Nota di Gruserpe BELARDINELLI, presentata dal Socio S. PINCHERLE ('). In una Nota precedente ho studiato le serie della forma n= N (1) LS izi (T—@)(xX — @2)-- (e — Gn) Cn nel caso che i punti @;,@,,-:,@,,- siano su una circonferenza e con centro nell'origine e raggio uno e formino su questa un aggregato denso; ed ho dimostrato che, sotto certe condizioni a cui debbono soddisfare i coef- ficienti c,, la circonferenza è una linea singolare essenziale per la (1), ed inoltre che essa converge assolutamente ed uniformemente sui raggi di conver- genza di Borel oltrepassanti la detta circonferenza. In questa Nota mostro, ana- n= % A RIN, a g n logamente a quanto ha fatto Gaston Julia (*) a proposito delle serie > iL @n° che, integrando lungo cammini convenienti, dalle serie (1) si ottengono funzioni monogene nel senso di Borel, multiformi non analitiche in cui l'insieme delle determinazioni in ciascun punto non è numerabile, in con- trapposto al teorema di Poincaré-Volterra per le funzioni analitiche, il quale teorema dice che tutte le funzioni analitiche multiformi non possono avere, in ciascan punto del loro campo d’esistenza, che dei valori formanti un in- sieme numerabile. Consideriamo una serie della forma (1) ove @, , @8,-.@n,-* si trovino su una circonferenza c di centro nell'origine O e raggio uno, e formino su questa un aggregato denso. Supponiamo che i coefficienti c, siano determinati in dipendenza ai nu- n= (0.0) meri v, di cui alla Nota precedente, tali cioè che ) 4 sia convergente, ed n=1 inoltre che sia (2) k S; Un < En Un n=n+1 e < M; M, M, () Pervenuta all'Accademia il 28 settembre 1922. (2) Julia, Comptes Rendus de l'Académie des Sciences, t. 174 (6 février 1922), pag. 370. — 179 — ove 4>2 e M,,, M,,-, M,,-- rappresentano i valori assoluti delle funzioni 1 x (c=1,2,--,2,-) nelle aree A, (0=1,2,--,n,--) indicate nella Ar Nota precedente. La (1) nelle condizioni (2) convergerà assolutamente ed uniformemente sui raggi di convergenza di Borel, raggi oltrepassanti la circonferenza c. Ora può vedersi facilmente come su questi raggi sì hanno effettivamente delle funzioni monogene nel senso di Borel ('); in quanto su questi raggi si hanno funzioni continue, essendo la (1) uniformemente convergente, ed a derivata unica ed anche continua, essendo la serie che si ottiene derivando termine a termine, nelle condizioni (2), uniformemente convergente su questi raggi. Sia z un punto generico su un raggio uscente da 0, si ha, potendosi integrare termine a termine essendo la (1) uniformemente convergente sui raggi uscenti da 0, 1 i — 0 n=i 7 XL dg (x — @n) cioè n= % n o (n) F(x)= > calogl(e — a)! (r— ag) «(e-@)" , n=1 essendo 1 1 af = nas = ed F(x) sarà monogena, nel senso di Borel, ove lo è la /(). Se prendiamo due cammini /, , /» che attraversano la circonferenza e lungo dei raggi di c e che terminano ad un punto x esterno a questa cir- conferenza e partono dal suo centro, avremo : Da n=% @ fi fd = | fde= 27 Y (o). n=l essendo X 0, la somma dei residui, relativi ai poli inclusi dal contorno /, ls, della frazione di posto ennesimo. (*) Vedasi Borel, Lecons sur les fonctions monogènes, Gauthier-Villars, 1917, pag. 134. — 180 — Se consideriamo la serie dei residui delle singole frazioni relative ad un unico punto «,, si ha, per quanto sì è visto nella Nota precedente, che è convergente, onde potremo togliere la parentesi nel secondo membro della (8) e si avrà, se @p,@,,-: ,@s, sono i poli interni al contorno /, /2, che > (Zo.)= @p(ap)+gpi(a) + + 9; (0), essendo Cp+1 o Cp+2 ne Cp — Cp+1 (a, — 56) (Cn — p+2) ed analogamente per le altre. n=% . Ora, se » (Tn) è, qualunque siano i cammini di integrazione, diversa da n=i zero, il valore di due integrali, lungo questi cammini partenti dall'origine e terminanti in un punto 4 esterno alla circonferenza c, sarà sempre diverso e sì avranno nel punto x tanti valori per quanti raggi distinti partenti dall’ovi- gine permettono di attraversare la circonferenza |x|= 1. Ora, essendo per le (2) | Pn (0) + Por: (941) + 13 1920) + |P (ep) + < pe o kad < Cp-1 n Coat << E E Ch è (p=1,2,- My) siamo sicuri che le (3) sono sempre diverse da zero qualunque siano i cam- mini di integrazione, cioè saranno diversi i valori della funzione integrale F (1) per tutti i cammini distinti seguiti per andare al punto « fuori della circonferenza C. L'integrazione delle serie (1), trattate nelle due Note, ci hanno dunque dato, mediante integrazione, funzioni monogene multiformi non analitiche aventi un insieme non numerabile di determinazioni in ogni punto . — 181 — Matematica. — Sugli spazi curvi. Nota (*) di C. BuraLI- FORTI, presentata dal Socio R. MaRrcoLONGO (1). e (14), (15) si comportano in modo assai diverso. La prima (14) dà 43 in fuozione di o e Z,, ma sotto forma che, in sostanza, è una identità, poichè il do/4P si esprime mediante o, 4,4; (?). Invece la prima (15) dà una funzione di 43 mediante o e 4; senza che vi comparisca do/dP. Dif- ferenze che si ritroverebbero volendo esprimere 4, ... in funzione di 4, , ...; argomento che non intendiamo trattare (3). 4. Essendo &, 7,6 delle omografie e u= 2, introduciamo il simbolo D: 6, operatore tra H, e H,, ponendo [cfr. nota (*) pag. 76] (16) DELI DI e, per abbreviare, per la particolare e nota o, DI e PRI) ad a (16°) D, = Px0,9,0 Ù DD 1 Ko Ro ci (*) V. questi Rendiconti, pag. 73. (1) Pervenuta all'Accademia il 23 giugno 1922. (®) Si può esprimere [efr. (%), p. 59, (4); (°), p. 54,(12); (2), p. 286] 2: mediante « soltanto (e, analogamente, 4, mediante @’) 2A, =a71.(14k—k) (da/dP) e e quindi, per mezzo della (5), anche 4;,... in funzione di « e delle sue derivate; la forma è complessa e quindi poco utile. (3) Ne diamo un cenno. Essendo d,,ds,...d, una successione di differenziali, ine dichiamo con (@,d,P,dsP,...,@P), 0, brevemente, 2,5... delle omografie che pes es- sere #8 invertibile, possiamo definire ponendo : ORE: Ba = — di(BL3) + da (89) B218s = ea di( na dal: (8251) + ds( L12) PQ1384 = ia di (BL934) vi ds( (BQ341) = ds(BQ412) + di(BQ123) È facile esprimere le ® con Gi: indici, mediante le £ con un solo indice e 2,8,... differenziali; come pure esprimere le 2 con 2,3, ... indici, mediante 8 e altret- tanti differenziali. Le 2 ad 1,2 indici comprendono alle ®© di Boggio e dànno, quindi, i simboli di Christoffel e di Riemann a 3,4 indici. Le 2 a 3,4,... indici, che sono ancora da studiare, daranno simboli (molto complessi) analoghi ai precedenti con 5, 6, ... indici. RenpICONTI. 1922, Vol. XXXI, 2° Sen. 25 — 182 — Si ha, per la Hz di Riemann, (17) D, }(k* — 1) e434= (k* — 1) a/%; la quale esprime, in sostanza, che: è simboli (ab, cd) 4 quattro indici formano un sistema covariante (1). Infatti. Per formule note [cfr. anche nota (*) pag. 75] si ha: D, (a. (k* — 1)X;{=W}Koc.a.(k* —1)Z3.0,0}= =Wfef0-.(k*— 1) Z3.0,00f=@'.0-1.X'}(k*—1)%,, 0.0 che per la (15), e la nota (!) pag. 75, dimostra la (17). 5. Ed ora indichiamo brevemente come si possa risolvere una questione che presenta attualmente un grande interesse. Si ritiene, generalmente, che i metodi asso/u/i (senza coordinate) del calcolo wve/toriale-omografico non bastino per trattare la geometria dell’S, curvo, e sia necessario ricorrere al calcolo differenziale assoluto con coordinate generali. Vedremo ora fa- cilmente che ciò non sì verifica. Se u, è una H,,, allora i numeri (18) a Xx Mido lu+1 4 variando a tra i vettori dell’S,, sono in numero infinito. Ma scegliendo, comunque, i vettori a in un sistema unitario ortogonale dell'S,, allora i numeri (13) sono in numero di x“*! [e i (18) generali si esprimono linear- mente mediante Questi n“*!] e costituiscono, precisamente, un ordinario si- stema di ordine u+ 1, naturalmente relativo al fissato sistema di vettori coordinati. Viceversa un tale sistema dipende da una H, e dal sistema coordinato. Si è così data definizione assoluta dei sistemi di ordine u+- 1. Il sistema di ordine «+ 1 individuato da w, è, secondo il comune significato, covariante 0 controvariante, quando, essendo w, la trasformata di ua, passando da P a P', si ha pa = Dior ione —Darue segue che anche la covarianza e controvarianza acquista forma assoluta, dipendentemente dal passaggio di P a P'. (*) Vedremo tra poco che ®,,* dànno l’ordinaria covarianza e controvarianza. — 183 — Consideriamo ora due operatori binari II, ,1Ij che definiamo ponendo IIp(ttu s My) Xi ce Kup Vi Vop (19) Mugi edile) —— ss. per:tpi=0na = 0 da ped \ Ip(ttu ‘ Ur) Xj} c00 Xu-p Vi DOG Vi+1-p = (20) Dip MV ip | pere pi 0ni 00 UP essendo x,y vettori arbitrari e i vettori di un arbitrario sistema unitario- ortogonale, e arditrario poichè si ha facilmente [insieme ad altre notevoli proprietà che dànno le (21), (22)] che II,(ww. sw), Hp(W, 1) risultano indipendenti dal sistema i [e sono, del resto. ed ovviamente, indipendenti da x,y] È facile vedere che le Ip(ttu st), Up(tu. &) che sono entrambe delle H..+1+:-0p. individuano il sistema di ordine «-+-v +2 — 27 che, con ì metodi ordinari, si ottiene moltiplicando 0 componendo i due sistemi indi- viduati da w, e ts (1). In modo assai semplice si dimostra che: COP OI 1) (22) De, Hp (tu teo) = Up] Dent lt IL (CI pi È, KOIPTD) le quali dànno come casì particolari le formule (25) D, Io (Un, o) = Uo}D, uu, PD, o} e analoga per D*, (24) D, Hp(tn, ttp-1) = Up}P, tu, D* ip-} e analoga con scambio di D* e ®, che esprimono note leggi di covariansza, controvarianza, saturazione degli indici. Si noti che, contrariamente a quanto si fa con i metodi ordinarî, non si deve constatare a priori la covarianza e la controvarianza, (1) È la Il che corrisponde alla moltiplicazione ordinaria. Per la II,, con p>Ò0, si ha una nuova legge di saturazione degli indici. Si noti che Ip(Uu+p, Lv+p) è una H.+v+1 e poichè u+0 +1 non è funzione di u+p e v+-p l'indice p a Il è neces- sarto. Si può esprimere la I, in funzione di Ip, e viceversa: Mp(tu 0) = KI (Wu 3 U5) con 4; funzione di u»; ma la forma è molto complessa e quindi inutile. — 184 — î Dalla formula già citata [efr. (*), p. 171, (5)] che dà il do, si ot- tengono le derivate covarianti e controvarianti per sistemi qualunque. La forma è complessa, ma meno dell'ordinaria. Non trasformando P in P' queste derivate non si presentano. Ciò che precede di questo n. 5 ha l'unico scopo di collegare i proce- dimenti senza coordinate a quelli, ordinarî, con coordinate. È probabile che nel campo assoluto non si abbi: bisogno di considerare II, e II; . Matematica. — Sul! integrazione per parti tra limiti infiniti. Nota del prof. 0. NIicoLETTI, presentata dal Socio L. Brancur (. 1. Siano @(z),/(x) due funzioni della variabile reale 2, detinite per x2a, per le quali in ogni intervallo (46) (con 6 > @) valga la formula d'integrazione per parti: i i 9 o x a / i (A) of dali i (a) g(x) — | 91) (a) dx . Facciamo in questa tendere d a -- 00; è noto che, ove due termini ten- dano a limiti determinati e finiti, anche il terzo tende ad un limite deter- minato e finito, e si ha la formula d'integrazione per parti tra limiti infiniti, che con notazioni evidenti scriviamo: — | p(a)f(«)dx . /Qa a Quando invece nella (A) si sappia che uno so/o dei tre termini tende, per 5>-- o, ad un limite determinato e finito, non si può, senz'altro, trarre da essa alcuna conclusione; è quindi interessante lo studio di alcuni casi, nei quali, ponendo la condizione che uno solo dei termini della (A) tenda per d>-- co ad un limite determinato e finito, e imponendo alle funzioni f(x), (x) altre semplici condizioni, si può affermare che anche un altro termine della (A) tende, per © >-+ co, ad un limite determinato e finito, e quindi vale la formula (B). 2. Siano perciò f(x), g(x) due funzioni, per le quali: 1) in ogni intervallo (40), con è > «a, valga la formula (A); 2) pera>asia g(2)>0, p'(2) <0 (oppure g(x) <0, p'(x) => 0); 3) l'integrale Î g(x)f'(x)dx sia determinato e finito. Dagli‘ | (') Pervenuta all'Accademia il 2 agosto 1922. — 185 — In questa ipotesi si ha il teorema: a) esiste l’ integrale f p(c)f(x)dx; 5) il prodotto /(x)g(x) tende per 4 >-| c0 ad un limite deter- minato e finito (che indichiamo con /()g(°)); c) si ha la formula (B) d'integrazione per parti: (B) il g(c) fil) da +S g'(x) f(x) da = [(©) (=) ra f(a) g(a) i 5. Per dimostrare il teorema enunciato, supponiamo, per fissare le idee. sia g(2)> 0, (7) <0; (l'altro caso si ha cambiando g(x) in — g(2)) e sia c un numero qualunque > 4; per x > c si avrà: Do ft 00M N. Il primo membro della (1) tende (per ipotesi) per x > o ad un limite determinato e finito M; altrettanto è dunque del 2° membro. Sono ora possibili due casi: a) per x>e la /() ha un segno costante, è ad esempio /(x)> 0. In questo caso i due termini del 2° membro della (1) non sono negativi, per le ipotesi fatte; è dunque M> 0; e detto M, un qualunque numero maggiore di M, si potrà determinare un numero x, > e, tale che per a > 2, il primo e quindi anche il secondo membro della (1) siano minori di M, ; quindi anche ciascuno dei due termini (non negativi)/(x) gs). —[ 9 (x) f(x) de ce Sa sarà per x> x, minore di M,. Ne segue che l'integrale — p(x)/(x)da, ve quando x >-+ o, è limitato superiormente, e poichè esso cresce con «, tenderà, per 7 >| co, ad un limite determinato e finito N, non maggiore di M,; cioè, poichè M, è un qualunque numero maggiore di M, sarà N< M. Perciò, per la (1), anche il prodotto /(4)g(x) tenderà, per x >+ o. ad un limite determinato e finito P= M-—N>O0, che indichiamo anche con f(F) g(=). Facciamo allora nella (1) tendere za + vo: aggiungendo ad essa la uguaglianza: TOLORSTOEORSRNTOTIOITRI fs@/e)a=0, abbiamo la (B). — 186 — c) Supponiamo ora che, per qualunque c> «, la /(7) cambi segno per <> c: allora la /(x) si annullerà anche in punti a destra di qualunque numero c> a. n Poichè l'integrale [ 9(x)/'(x)dx è, per ipotesi, determinato e finito, preso 0 positivo arbitrario, si potrà determinare un numero è > 4, tale che per due valori qualunque a" >ax'> bd, si abbia "I (2) | bi pe) f'(e)de |<. (o) Sia ora e uno zero di f(x) a destra di d; sia cioò c>d,/(e)=0; dico che per qualunque valore di 4, maggiore od uguale a c, è anche: (2) |/(a)g(a) | + Sia infatti © un valore della x, non minore di e; se è /(0)= 0, la (3) è evidentemente verificata per « =; sia dunque /(2) +0, e, per fissare le idee, sia /(0) > 0. Per la continuità, è possibile determinare un intorno a sinistra di é, (€ — d, €) nel quale la /(z) si manterrà positiva, sarà cioè per $—-d0; e sarà anche é—d > e. Consideriamo ora tutti i numeri 7<6$, tali che nell'intervallo (76) è sempre /(2) > 0; e sia c, il limite inferiore di questi numeri n; sarà e I—-d0<6; e sarà /(c)= 0; infatti la /(x) è continua nel punto e, ed in ogni intorno (cr, cy +-8<6) a destra di c, prende valori positivi, in ogni intorno (ct. — 8 ,€1) a sinistra di c, prende anche valori nulli o negativi; è quindi /(c.)=0. Facciamo allora nella (1) c=c,,04=6$; abbiamo: fsoraa=/0-f salma. Ora e, e $ sono maggiori di 2; il primo membro di questa uguaglianza è dunque numericamente minore di o; nel secondo membro i due termini P(L)f(0) , — INZOTIO de non sono negativi; ciascuno di essi è quindi 65 anche minore di o; si ha cioè la (3), per x =È. Vale dunque la (4). i Faccianio ora, nella (1), tendere + a | 00; l' integrale f (1) f(x) de e tende ad un limite determinato e finito; il prodotto /(x)g(x) tende a zero; esiste quindi anche l'integrale f gp'(x)/(x)dx; e si ha perciò la (B), nella Cic quale è inoltre /(=) g(-e) = 0. Il teorema enunciato è così dimostrato. 4. Se, quando f(r) ha un segno costante, si aggiunge la condizione che g(x) tenda a sero per + >-|- x, è anche nel primo caso f(=) g(=e)=0. Infatti, in questo caso, abbiamo visto che il prodotto /(x) (7) tende, per “>+ , ad un limite finito |P, non negativo; sia ora, se è possibile, P>0; preso un numero P, positivo, minore di P, potremo determinare e in' modo che per x>c sia /(2) g(x) > P,; per #> e abbiamo allora: gp(x) g(c) - fyraa [LI gia hdr > P, log e quindi questo integrale, per x > + co, tenderebbe all'infinito, mentre abbiamo visto che tende ad un limite determinato e finito. È dunque P=f(c)g(2)=0 Se dunque alle 1) 2) 3) del n. 2 si aggiunge la condizione 4) è lim g(x)=0 r>x è anche lim /(x)g(x)=0 e la (B) diventa: > 0 (B)' [sof dx I g'(e)/(2) de + f(a)g(a)= 0. ed o. Ponendo g(a)= e”, si ha il teorema di Hardy (!): Se /(x) è una funzione della variabile reale x, che per 2 => 0 ha una derivata /'(x) deter- do minata e l'integrale f e*f'(x)dx è determinato e finito, anche l'integrale 0 si e f(x)dx ha significato, è inoltre lim e-*f(x) = 0 e si ha la formula: (0) aq>+% 04 f eroi f ef). (1) Cfr. Hardy, rescarches in the theory of divergent series and divergent integrals. (Quaterly Journal of Mathematics, vol. XX XV, 1904, pag. 22 e sesg.). — 188 — 6. Un altro caso, nel quale vale ancora la (B), ammettendo (al più) che uno solo dei suoi termini abbia significato, si ha dalle considerazioni seguenti: Per 5> a valga la (A); inoltre le /(4) . g(x) siano ambedue per 4 > a positive (od anche non negative) e monotone concordanti, cioè ambedue cre- scenti o decrescenti; tale sarà allora anche il prodotto /(x)g(). Se le /(z), (x) sono positive decrescenti per x > a, sarà per 7> a, f(@)<0, p'(a) <0; e scritta la (A) sotto la forma: Al (gode = [A y — [g) i due integrali del priruo membro sono negativi e decrescenti per «> a; nel secondo membro il prodotto /(x)g(x) tende per x >o ad un limite determinato e finito, non negativo; ciascuno dei due integrali è quindi limi- tato inferiormente e perciò convergente per 7 >+ ©; vale dunque la (B). Se invece le /(x),(x) sono positive crescenti per x > 4, è per 7> @ f'(a)>0 , p(@)>0; i due integrali del primo membro della (A) sono positivi e crescenti con 7; e se si ammette che il prodotto /(2)g(x),0, ciò che è lo stesso, le due funzioni /(x), (x) tendano per «>+- o a limiti determinati e finiti, /(°), g(°) (necessariamente positivi), ciascuno dei due integrali e limitato superiormente ed è quindi convergente per a >+ 00; vale dunque ancora la (B). Cambiando segno ad una o ad ambedue le funzioni /(x), (x) si hanno evidentemente altri casi di validità della formula stessa; essi possono tutti riunirsi nell'ipotesi che le funzioni | /(4)| , | (2) | siano monotone concor- danti, per x > a. La formula (B) vale dunque ancora, quando 1’. la (A) valga per qualunque d > 4; 2'. le funzioni | /(x)|] , |(x)| siano monotone concordanti per x > 4; 3". le |/f(@)| , |9(x)|, convergano, per 7 >| «, a limiti deter- minati e finiti. Be; Fisica. — Ze equazioni di propagazione di Maxwell per un dielettrico sottoposto ad un campo elettrico e magnetico longitu- dinali. Nota del dott. ALpo PONTREMOLI, presentata dal Socio 0. M. CorBIno ('). Sono noti i tre fenomeni, studiati in particolare dal Wiedemann, e per cui un filo di ferro: a) se sottoposto ad un campo elettrico e magnetico lon- gitudinali, si torce; 0, quando subisca una torsione, 4) se magnetizzato lungo l’asse, è sede di una forza elettromotrice, c) se percorso da una corrente, si magnetizza longitudinalmente. La teoria delle simmetrie (2) ammette la possibilità di corrispondenti fenomeni ottici quando il mezzo, su cui si opera, sia sede delle stesse cause di dissimetria. Così un mezzo isotropo, a molecole simmetriche, sottoposto ad un campo elettrico e magnetico paralleli alla direzione della propagazione luminosa, po- trebbe presentare oltre che un potere rotatorio magnetico, un nuovo potere rotatorio non mutante con l'inversione della direzione di propagazione lumi- nosa rispetto al mezzo immobile, o, il che in questo caso è lo stesso. con la inversione simultanea dei due campi. E ancora, un mezzo isotropo a molecole dissimetriche (cioè con potere rotatorio naturale) potrebbe polarizzarsi in senso longitudinale dielettrica- mente o magneticamente secondo che sottoposto ad un campo magnetico od elettrico. È appunto in vista del primo di tali fenomeni (che coinciderebbe con l'apparizione di un potere rotatorio di tipo naturale nella direzione dei campi), che analizzeremo in questa Nota come si modificano le equazioni di Maxwell nelle condizioni attuali. Supponiamo dunque di avere N molecole (simmetriche) per unità di volume e che in ognuna d’esse, per semplicità, esista un unico elettrone di polarizzazione (*) con carica e e massa m; non vi siano inoltre nel mezzo elettroni di conduzione. (1) Pervenuta all'Accademia il 23 agosto 1922. (*) P. Curie, Oeuvres, pag. 136. (8) Si passa con ovvia estensione al caso di una molecola contenente p elettroni di polarizzazione di una stessa specie, o p cariche di polarizzazione di una specie, q di altra. ecc. RENDICONTI. 1922, Vol. XXXI, 2° Sem. 26 — 190 — Siano È, n, le componenti, rispetto ad un triedro destrorso fisso, dello spostamento dalla posizione d’equilibrio dell'elettrone di una singola parti- cella: tali spostamenti avranno luogo, oltre che per azione del campo elet- trico variabile E*(X, Y,Z) della perturbazione luminosa e delle forze di attrito e di richiamo che si esercitano sull’elettrone, anche per effetto del campo elettrico E e del campo magnetico H, esterni e costanti. Le componenti del momento elettrico p di una singola particella sa- ranno Pa= 0È >, Ppy=e) . Pi= 0 e, nell’unità di volume, si manifesterà una polarizzazione elettrica P tale, che (1) Po =eN5. eb, Non RE NG se le particelle sono, come supporremo, regolarmente distribuite. Sia il fascio luminoso, propagantesi lungo l’asse Z dei campi esterni, po- larizzato rettilineamente nel piano yz; il principio D'Alembert, raggiunto un regime permanente, ci porta alle seguenti equazioni differenziali. ponendo mente essere Z=0 e sostituendo agli spostamenti la polarizzazione P: Np° D & 4 Ne? P, an re È, a e H pot IaTé P.. a € VA) ne mb Mm (2) Pip E po pi Se dA, 5 Y 7 Yy DE mu Vizi 4N be= Z 1 47 dove c è la velocità della luce nel vuoto, 0 e 7 sono costanti positive ('). Sia T= 27, il periodo della luce incidente di lunghezza d’onda 2 e velocità — di propagazione nel mezzo, x essendo l'indice di rifrazione rela- n tivo alla perturbazione luminosa nelle condizioni attuali. Se la propagazione avviene nel senso positivo dell'asse z, sarà (1) Per significato di 0 e di r, vedi ad es.: Wood, Optique Physique, II, pag. #1. - — 191 — dove 2A è l’ampiezza del campo elettrico nell’onda incidente e B è una costante da determinarsi. In regime permanente le (2) hanno per soluzione ON AX4iPY pato î 41 d°-y ON AY—-14X (4) P,= 2 00 4T d°-—wWv ON P,=— E É 47T ove d ò ro mo sH (5 x =l4-{/T—- — == = — T° pP—=- - Lie o cala i 4rre* VO 4 rete essendo T,= 277 il periodo di risonanza dell’elettrone di polarizzazione. Se il moto degli elettroni crea una magnetizzazione M nel mezzo, nel- l'unità di volume questa avrà per valore (!): 1 (6) Mv) dove v è la velocità dell'elettrone di polarizzazione. Nel nostro caso appunto, come si appura applicando la (4), la (1) e la (3), la magnetizzazione non è nulla e dovremo quindi introdurla nell’equazioni fondamentali di Maxwell per le onde elettromagnetiche. Se H* è il campo magnetico della perturba- zione luminosa, B l’induzione magnetica, DD lo spostamento elettrico, sarà D=E'+4nP RSI N curl E* = — LB ia ge z D dive =0 divB =0 dalle quali, con ovvi passaggi, sì ricava nel nostro caso l'equazione differenziale lix +4nP+4rccwlM= e? = cui, per la (4) equivale il sistema di equazioni S AX + idY dM , d°X I PSA II ea VERDE X la ON TAZE y? 4 rc da (4 ds? u AY— i bX Mi, __;Y X + 0N ay? + 4xc cea (') Abraham, 7heorie der Elektrizitàt, TI, pag. 254. — 192 — cioè, dalla (6) avendosi “ar tn SM 3 DE ; ten ittgi eli po PIMS ia { SAL e ponendo mi = y, per le (3) sì avrà (n° — 1) X Air pi (4X+25Y)=0 = (7) ON (2 1)Y_-(1+ O) le che differiscono dalle corrispondenti equazioni del potere rotatorio puramente magnetico pel termine in y, quantità proporzionale al rapporto tra lo sposta- mento dielettrico dell’elettrone di polarizzazione (per effetto del campo esterno E) e la lunghezza d’onda della luce incidente. In una prossima Nota determineremo gli indici di rifrazione ed i coeffi- cienti di assorbimento delle due onde circola mente polarizzate, che si pro- pagano nella direzione delle linee di forza dei campi esterni, e le modifi- cazioni nel potere rotatorio conseguenti alla azione contemporanea di un campo elettrico e di un campo magnetico. Chimica fisiologica. — Sulla produzione e distruzione della colesterina della milza durante l’autolisi asettica (*). Nota del dott. SALvatoRE MARINO, presentata dal Corrisp. D. Lo Monaco (?). Osservazioni recenti di Abelous e Soula(*) hanno messo in rilievo che la milza, sottoposta ad autolisi in ambiente sterile, dà luogo, in un primo tempo, ad aumento e, successivamente, a diminuzione della colesterina che essa contiene. La temperatura agevola i due processi di formazione e di distruzione della colesterina. Altri organi invece, come ghiandole surrenali, polmone, ti- roide e rene, messi nelle stesse condizioni di ambiente e di temperatura, a differenza della milza, non mostrano alcuno aumento di colesterina ed invece (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica fisiologica nella R. Università di Roma. (?) Pervenuta all'Accademia il 1° settembre 1922. (*) C. R. Soc. Biol., 1920; Arch. Intern. de Physiologie, 1921. — 193 — vanno incontro alla distruzione della colesterina presente, fenomeno che si svolge gradatamente e progressivamente. Solo il fegato e la sostanza nervosa forniscono un aumento della colesterina, ma in una misura molto inferiore a quello della milza. Questi risultati ed altri di non minore importanza, come: l'aumento della colesterina nel sangne, che segue alla iniezione endovenosa di secre- tina o alla introduzione di soluzione acida nel duodeno, e che non si verifica negli animali smilzati, la quantità maggiore di colesterina della vena sple- nica in confronto a quella del sangue venoso degli altri organi, hanno indotto gli autori ad ammettere una funzione colesterinogena della milza. In verità dai risultati sopra accennati, pur non volendo dedurre che la milza debba essere considerata come organo formatore e regolatore della colesterina, conviene ammettere un rapporto tra essa e quest'organo. Una grande importanza si deve quindi attribuire al fenomeno, che merita di essere controllato ed esteso. RICERCHE PERSONALI. Materiale di ricerca e tecnica. — I tessuti adoperati, milza ed altri organi, sono stati ricavati con tutte le cautele ase‘tiche dal cane a digiuno da 24 ore. L’autolisi è stata effettuata in pesafiltri sterilizzati a 140° per un’ura e sopra piccole quantità esat- tamente pesate di tessuti, alla temperatura ambiente (189-200 circa) a 37° e a 400. Il dosaggio della colesterina veniva praticato immediatamente dopo l’asportazione degli organi e poi, a tempo vario, da 24 ore a i0 giorni dopo. Per determinare la cole- sterina abbiamo riconosciuto che il metodo colorimetrico di Autenrieth e Funk rispon- deva molto bene alle esigenze delle nostre ricerche. Non mancammo però di controllare i risultati, di tanto in tanto, col metodo ponderale di Windaus. I valori che riportiamo si riferiscono perciò alla colesterina totale (colesterina li- bera, eteri di colesterina). Procedimento del metodo. — Estrazione della colesterina, dopo lunga saponificazione del tessuto, con etere e lavaggio dell’estratto etereo per eliminare le impurità, che accom- pagnano la colesterina. Si evapora l’etere e si riprende il residuo con cloroformio puro, anidro, e si porta a cento. Per ottenere la reazione colorata caratteristica della colesterina, si mescolano cc. 5 dell’estratto cloroformico con cc. 2 di anidride acetica e cc. 0,10 di acido solforico con- centrato. Si porta la miscela in termostato a 30°-35° al buio per 15 minuti, ed ottenuta la colorazione più o meno verde secondo la quantità di colesterina presente si procede alla lettura al colorimetro, paragonando la tinta verde assunta dal liquido in esame con quella ottenuta contemporaneamente in un campioue preparato colle stesse modalità di tecnica con una soluzione cloroformica di colesterina a titolo noto. Abbiamo creduto conveniente sostituire al campione dell'apparecchio quello da noi stessi preparato volta per volta, dopo aver rilevato che la tonalità della tinta presa dal liquido in esame quasi mai era confrontabile a quella del campione. RisuLTtATI. — Anzitutto dobbiamo notare che abbiamo tenuto conto per il dosaggio della colesterina, semplicemente, di quei casi, in cui l’'autolisi si è effettuata in modo sterile. In linea generale si può dire che durante l'autolisi il comportamento dei varî tessuti è varie. lodi Infatti mentre alcuni dànno prima formazione e poi distruzione di co- lesterina, in altri invece si osserva solamente il fenomeno della distruzione. Degna di nota è l'importanza che ha la temperatura nell’accelerare i fenomeni descritti. Così mentre a 37° e 40° già dopo 24 ore, a seconda degli organi, si rileva l'arricchimento o la diminuzione della colesterina, a tem- peratura ambiente invece questi fenomeni sono ritardati e solo dopo -18 ore si verificano variazioni nella quantità della colesterina. i In conclusione dunque sotto l'influenza dell’autolisi asettica i varî tes- suti vanno incontro a processi differenti. Per quanto riguarda il fenomeno della produzione della colesterina è degno di nota il fatto che la milza non sempre si mostrò la più adatta a produrre aumento di colesterina, poichè il fegato e il cervello talora si arricchiscono di una quantità notevale di cole- sterina superiore a quella della milza. Negli altri organi prevale o si ha semplicemente il fenomeno della di- struzione che procede gradatamente e progressivamente in funzione del tempo e della temperatura. Nella tabella che segue riassumiamo i risultati ottenuti. Dosaggio Dosaggio durante l’autolisi dopo TESSUTO Temperatura immediato 24 h, #1. | Sgiomi | 10 giomi Milza. 0,3351 | 180 - 200 0,2339 0,5138 0,407 0,248 Tiroide . 0,283 | 18° - 20° 0.275 0,245 0,215 0,105 Milza. 0,4062 370 0,480 0,3545 0,347 0,150 Milza. 0,3351 40° 0,477 0,4111 0,069 Milza. 0,4467 379 0,5488 0,2523 0,238 0,28 Rene . 0,501 87° 0,444 0,3916 0,034 0,031 Fegato 0,570 379 0,5797 0,454 0.3546 0.274 Cervello . 1,332 379 2,218 1,165 1,157 0,752 Milza. 0,3938 400 0,450 0,416 0,106 0,283 Fegato . 0,2481 400 0,668 0,538 0,402 0,167 Tiroide . 0,3052 409 0,242 0,22 0,12 0,09 Surrenali 4,171 400 2,70. 1,068 0,3168 0,25 SO — CONCLUSIONI. Le conclusioni pertanto del complesso di queste ricerche, che devono essere considerate come di orientamento, possono essere così riassunte: 1°) la milza in autolisi asettica dà luogo, in un primo momento, ad aumento e poi a distruzione di colesterina; 2°) anche il fegato ed il cervello mostrano lo stesso comportamento, anzi l'aumento della colesterina nel primo momento talora si mostra più spiccato che nella milza; 3°) altri organi: surrenali, tiroide, rene, posseggono soltanto la pro- prietà di distruggere la colesterina in essi contenuta; 4°) i fenomeni su indicati, formazione e distruzione della colesterina, nei varî organi si svolgono in funzione della temperatura e del tempo. Queste conclusioni non permettono, almeno per ora, di appoggiare l' ipo. tesi che la milza, a preferenza degli altri organi, eserciti notevole influenza nella formazione della colesterina e nel metabolismo dei grassi. Ulteriori ricerche assoderanno il significato dei reperti suindicati e ri- spettivamente il meccanismo di formazione. Botanica. — Ulteriori osservazioni su i peli urenti della Hucuna pruriens DC. (*). Nota della dott. Eva MAMELI-CAL- vino, presentata dal Socio 0. MaTTIROLO (°). CONFRONTO DEI PELI DI AMUCUNA PRURIENS CON QUELLI DI ALTRE LEGUMINOSE. Come già dissi, i peli degli steli, dei picciuoli e delle foglie di questa pianta, sono innocui. La loro forma è molto simile a quella dei peli del frutto: se ne differenzia per la maggior sottigliezza e per l'assenza di ispes- simenti unceinati. Inoltre questi peli non sono cutinizzati nè incrostati di so- stanze minerali, non pungono e si piegano facilmente alla base. Ho fatto il confronto fra i tricomi della Mucun1 pruriens e quelli di altre specie appartenenti allo stesso genere Mucuna e ad altri generi di Le- guminose. La Mucuna urens Medic. deve il suo nome anch'essa alle proprietà urenti dei peli bianchi che si trovano sui suoi grossi frutti. Essi non rivelano (1) Lavoro eseguito nella Stazione sperimentale agronomica di Cuba, marzo 1922. (*) Presentata all'Accademia il 15 giugno 1922; V. pag. 166. / — 196 — al microscopio nulla di particolarmente notevole: sono conici, semplici, lunghi da 1 a 2 mm. e con membrana uniformemente cutinizzata e silicizzata. I frutti dello St:zolobium capitatum Kuntze, dello S. Deeringianum Bort, e di altre specie del genere Stizolobium, assomigliano molto per la forma e per il fitto rivestimento di peli, ai frutti della Mucwna pruriens. Questa simiglianza e il fatto che tali frutti maturano contemporaneamente, sono a volte causa che si scambino i baccelli di Stizolobinm con quelli di Mucuna, specialmente quando i primi sono diventati bruni per il dissecca- mento. Per il loro morbido rivestimento peloso i frutti degli Stizolobium vengono chiamati negli Stati Uniti: « velvet bean ». All'esame microscopico ì tricomi dei frutti di Stizolobium capitatum s: presentano molto simili a quelli dei frutti della Mucuna pruriens (fig. 6); ne differiscono solo per la mancanza degli ispessimenti uncinati nella membrana e per la costituzione chimica di questa, che è priva di incrostazioni minerali. Sono cioè paragona- bili al rivestimento tricomatoso delle foglie e dei picciuoli della Mucuna stessa. Dal punto di vista filogenetico è interessante il fatto che nella stessa ‘ famiglia si trovino tali forme di transizione, sino al tipo di pelo urente, morfologicamente e chimicamente differenziato, qual'è quello che si riscontra nei frutti della Mucuna pruriens. Bailey (*) opina che questa sia la specie più antica, perchè, quando si incrociano due specie distinte di Stizolobium, aventi entrambe frutti relativamente morbidi, la prima generazione produce sempre legumi coperti di peli pungenti, mentre la seconda generazione dà una forte percentuale di frutti quasi morbidi. CONCLUSIONI. La Mucuna pruriens DC., Leguminosa tropicale, ha i frutti ricoperti da fitti peli urenti che, quando secchi, si staccano al minimo urto o per azione del vento, vengono trasportati facilmente dalle correnti d'aria e rie- scono sommamente molesti a chi ne riceve le punture. La loro membrana è fortemente silicizzata all'apice ed è munita di numerosi ispessimenti uncinati rivolti verso la base dei peli stessi. Le loro cellule contengono una sostanza oleosa, solubile in alcool a fr. e a c., in benzina, in etere, in solfuro di carbonio, in cloroformio e in acetone. L'olio di Mucuna è un olio grasso, non un olio essenziale; probabil- mente è una miscela di gliceridi di varî acidi grassi. Nei peli dei frutti secchi quest'olio si trasforma in parte in una so- stanza resinosa di color arancione. Cercai di dimostrare la presenza dell’acido che entra nella composizione di questo gliceride e constatai che dànno reazione nettamente acida le so- (') Bailey L. H.. The Standard Cyclopedia of Horticultare. VI. 3244. New York. 1917, Sa cy luzioni alcoolica, acetonica ed eterea della sostanza grassa, mentre, come già dissi, i peli o i loro macerati acquosi non presentano tale reazione. È dunque presente nell'olio di Mucuna, un acido libero insolubile in acqua e solubile in alcool, acetone, etere. Sono perciò da escludersi l’acido formico, l’acido acetico, l’acido ossalico ecc.: mentre è probabile si tratti di un acido più complesso. Lo studio chimico di questo gliceride sarebbe interessante, sia dal punto di vista scientifico, sia dal lato pratico, in vista dell'isolamento dell'acido o degli acidi grassi legati alla glicerina e delle applicazioni terapeutiche che il grasso°e i suoi acidi potrebbero presentare. Con tutta probabilità sì devono a quest'olio, oltrechè all’azione meccanica delle membrane silicizzate, i fatti dermitici provocati dai peli della Mucuna pruriens; esso sarebbe quindi un olio caustico, come gli olii dei semi di Crozon Tiglium, di Ana- cardium occidentale, di Semecarpus Anacardium ecc. È questo dell'olio dei peli di Mucuna un caso particolare di localizzazione e di funzione di un grasso vegetale. APPENDICE. Ai chimici e ai dermatologi che si interessano di piante urenti, potrà riuscire di qualche utilità conoscere la lista delle specie antillane, finora note, che producono fatti dermitici. Le distinguerò in: I. Piante che contengono la sostanza urente in peli o tricomi e che provocano quindi dermatiti per il solo contatto esterno. II. Piante glabre o fornite di peli inoffensivi, ma conteneuti in vasi o canali un latice o una resina dal potere revulsivo (1). Appartengono alle prime: 1. Mucuni urens Medie. (Leguminosae). Vedi pag. 6. 2. Mulpighia urens Linn. (Malpighiaceae). Sulle foglie peli biconici o a navicula, con breve pedicello centrale, semplici. 8. Malachra urens Poit. (Malvaceae). Sulle foglie peli conici, semplici, lunghi 1-2 mm. 4. Cuphea urens Koehne (Lythraceae). Sulle foglie setole urenti. o. Fleurya umbellata Wedd. (F. cuneata Wedd.). (Urticaceae). Su tutta la pianta: peli lunghi 1-3 mm., conici, leggermente rigonfiati e incur- vati all’apice, glandulosi alla base, a simiglianza dei tricomi di V/r- tica dioica. (1) Non sono comprese in questo elenco le numerose piante i cui organi, pesti o polverizzati, hanno in maggior o minor grado potere rubefacente, quali Monstera deli- ciosa Licbm., Clematis havanensis H. B. et K., Caesalpinia Bonduc Roxb, C. Crista Lin., Moringa peterygosperma Gaernt., Genipa americana Linn., Plumbago scandens Linn. ecc. ReENDICONTI. 1922, Vol. XXXI, 2° Sem. 27 — 195 6. Fleurya aestuans Gaudich. (Urticaceae). Su tutta la pianta peli conici, acuminati. 7. Urera baccifera (Urticaceac). Su tutta la pianta grossi tricomi rigidi, simili per la struttura a quelli di Utica dioica. 8. Urera domingeusis Urb. (Urticaceao). î 9. Platygine urens Mercier. (P. pruriens Baill.). (Euphorbiaceae). Sulle foglie e sui frutti peli conici, lunghi 1-2 mm. i 10. Tragia volubilis Linn. (Euphorbiaceae). Sulle foglie. sui picciuoli, sui frutti peli conici, lunghi 1-2 mm. (1). 11. Jatropha urens Linn. (Euphorbiaceae). Peli numerosi sulle foglie e sui picciuoli. Le specie ai numeri 9, 10, 11 presentano speciale interesse per la struttura e la composizione chimica dei peli urenti: di esse mi occuperò in altra Nota di prossima pubblicazione. Alla seconda serie, cioè alle piante fornite di un latice o di una resina dal potere revulsivo appartengono: 1. Comocladia dentata Jacq. (C. propingua H. B. et K.) (2). (Anacar- diaceae). Resina giallastra che imbrunisce all'aria, di composizione chimica ignota. Le foglie sono anche fornite di peli conici, diritti o incurvati, 4 cellulari con membrana fortemente ispessita (8). Comocladia glabra Spreng. e var. acuminata (Mac. ot Sesse) Urb. Nella specie: « Succus valde urens, incolis horribilis »; nella varietà: « Lacte nigrescente, urente »(‘). Composizione chimica sconosciuta. 3. Comocladia pinnatifida L. (C. integrifolit Jacq.). « Il legno è pieno di un succo molto caustico »(5). Foglie pubescenti o glabre. 4. Comocladia Iollickii Britton. Foglie glabre. 5. Comocladia grandidentata Britton. Foglie glabre. Comocladia Ehrenbergi Bngler. loglie glabre. Comocladia parcifoliola Britton. Foglie glabre. (i, ua (') La 7ragia urens Liun., di cui potei esaminare solo esemplari secchi., ha peli molto simili a quelli della 7° volubilis. Pare che le siano state attribuite a torto pro: prietà urenti. L'Index Aewensis la cita con l'annotazione: « nomen falsum » e la corregge in: 7. innocua Walt. (2) Vedasi, per le specie del genere Comocladia delle Indie occidentali, la revisione fattane dal Britton: Studies of West Indian Plants. II (Contrib. f. New York Bot. Gard.. n. 135). 1910. (3) Intesi dire da un contadino cubano che le causticazioni prodotte dal « Guao » (nome volg. del gen. Comocladia) si curano con il decotto preparato con le foglie di una pianta nota con il nome di « Mataguao ». che è la Guettarda caliptrata A. Rich. (Ru- biaceae). (4) Urban. Symbolae Antillanae. VIII. 379 (1920). (5) La Sagra. loc. cit.. I. 155. 199 — 8. Comocladia cordata Britton. Foglie glabre. 9. Comocladia pubescens Engler. Foglie pubescenti. 10. Comocladia jamaicenses Britton. Foglie pubescenti. 11. Comocladia velutina Britton. Foglie pubescenti. 12. Comocladia pilosa Britton. Foglie pabescenti. 13. Comocladia ondulata Urb. Foglie pubescenti. 14. Comocladia intermedia C. Wright. Foglie glabre. 15. Comocladia platyphylla A. Rich. Foglie glabre. 16. Comocladiu acuminata Britton. Foglie glabre. Comocladia domingensis Britton. Foglie pubescenti. 18. Comocladlia Dodonaea (L.). Britton (C. elicifolia Sw). Foglie pube- scenti. 19. Metopium Brownei Urb. (MM. toxiferum Linn). (Anacardiaceae). Com- posizione chimica sconosciuta. Foglie glabre. 20. Rhus venosa Griseb. ( Metopium venosum Engl.). Foglie glabre. I. felus Metopium Linn. (Metopium Linnaeci Engl.). Foglie glabre. 22. Anacardium occidentale Linn. (Anacardiaceae). Nel pericarpio del frutto: succo nero, caustico, vescicatorio. che contiene: cardolo (liquido oleaginoso) (*) e acido anacardico (?). 2: 23. Hura crepitans Linn. (Euforbiàceae). Latice che provoca una rubefazione erisipelatosa ed eruzioni pustulari. Contiene hurina (sostanza vele- nosa) (3) e crepitina (tossina somigliante alla ricina e all’abrina) (‘). 24. Euphorbia lactex Haw. (Euforbiaceae). Latice bianco, fortemente caustico 25. Jatropha Curcas, Linn. (Euforbiaceae). Nelle foglie: latice rubefacente, di composizione chimica ignota. 26. Mippomine Mancinella, Linn. (Euforbiaceae). Latice caustico. di com- posizione chimica ancora ignota (5%) Secondo Grosourdy (°) «la sombra de este arbol no es temible ni venenosa tampoco, como se ha dicho y hasta escrito, porque esos gases nocivos que se suponian salir de él, no existen realmente ». Invece Karsten (7), che gli è posteriore, suppone che ia tossicità delle sostanze emesse dalla pianta sia dovuta a una sostanza simile alla trimetilamina. (*) Stadeler, Ann. d. Chemie 63, 154 (1847); Dobrin, Dissert. Rosteck, 1895; Spiegel, Dobrin, Ber. pharmac. Gesellsch. 3, 309 (1895). (?) Stadeler, Ann. de Chemie, 63, 187 (1847); Ruhemann, Steinner, Ber. d. Deut- scher Chem., Gesell. 20, 1861 (1887). (3) Boussingault, Rivero, Ann., d. chim. 28, 430 (1825); Surie, Nederl. Tijdschr. Pharm. 12, 107 (1900). (4) Richet, Ann. Inst. Pasteur, 23, 745 (1909). (*) Un solo tentativo di analisi pare sia stàto fatto da Ricord-Madianna, Brand. Arch. 24, 42; 25, 296 (1598). (5) Loc. cit. II, 104. (9) H. Karsten. Wittst. Vierteljahrschr.. 20. 429 (1871). ZIO 27. Acidoton urens Sw. (Euforbiaceae). Composizione chimica sconosciuta. 28. Acidoton microphyllus Urb. (Euforbiaceae). « Frutex urentissimum »(1). Composizione chimica ignota. 29. Philodendron consanguineum Schott. (Araceae). « Planta causticum acer- rimum praebet »(*). Composizione chimica ignota. 30. Tabernaemontana citrifolia Linn. (Apocinaceae). Il latice avrebbe po- tere caustico. Non se ne conosce la composizione chimica. Anatomia. — Ulteriori osservazioni sull'azione di elettroliti su tessuti viventi, separati dall'organismo, studiata col metodo delle colture «în vitro » (*). Nota del dott. OLIVIERO OLIVO, presentata dal Corrisp. GrusePPE LEVI (‘). I8E Conseguenze dell’azione temporanea del cianuro di polassio su frammenti di tessuti di embrioni di pollo isolati e collivati « în vitro ». Il KCN è uno dei più potenti veleni per l'organismo animale: secondo Geppert agirebbe sui tessuti come veleno delle ossidazioni; inoltre ha fisio- logicamente un’azione caratteristica e bene studiata di arresto o di notevole rallentamento sulle funzioni catalitiche di numerosi fermenti di origine sia animale che vegetale. Mi parve quindi interessante il ricercare quale potesse essere di fronte a questa sostanza, il comportamento di tessuti embrionali viventi, esaminati col metodo delle colture « in vitro ». Mi servii a tale scopo di embrioni di pollo dal 5° al 14° giorno di incubazione. Frammenti molto piccoli (meno di 1 mm. di diam.) di cuore e di tegumento (i soli due organi saggiati) venivano mantenuti per un tempo determinato in liquido di Ringer, al quale, al momento dell'uso, si aggiun- geva a goccie il KCN in soluzione N (normale) (6,5 %) in modo da otte- nere soluzioni che andavano da 1/10000 (0,00065 %) a 1/10 (0,65 %) della soluzione normale. Quindi si lavavano ripetutamente in Ringer e si allestiva il preparato col metodo delle colture in plasma (Harrison-Burrows). Tutte le volte si facevano pure preparati di controllo in condizioni per quanto possi- bile identiche, specialmente per spessore del coagulo di plasma. (1) Urban. Symbolae Antillanae. Il. 302; VII. 193. (?) Urban. Symbolae Antillanae. VIII. 82. (*) Lavoro eseguito nell'Istituto anatomico della R. Università di Torino, diretto dal prof. G. Levi. (4) Pervenuta all'Accademia 1°8 agosto 1922; V. pag. 163. BERO) Dall'esame di circa 60 colture trattate col KCN e di circa 40 di con- trollo, ho potuto rilevare, che vi è nei tessuti esaminati una tolleranza molto considerevole ad un trattamento, anche prolungato, con soluzioni relativa- mente forti di KCN. Soltanto sol. N/10 (0,65 %) determinavano la morte del frammento assai rapidamente, cioè già dopo 6 minuti d’immersione nella soluzione, dopo questo ‘trattamento la coltivazione riusciva completamente negativa. I frammenti che erano stati uccisi dal KCN, avevano un aspetto insolito già quando si toglievano dalla soluzione di KCN; sembravano ma- cerati ed a piccolo ingrandimento apparivano come masse amorfe, finemente granulose, a margini indistinti. Per le soluzioni più diluite di KCN riassumo per maggior chiarezza i risultati in una tabella segnando per ogni dose di KCN il limite minimo di tempo d’immersione che risultò sufficiente a uccidere il tessuto, e il li- mite massimo di tempo tollerato senza danno per l’esito della coltura. Soluzione KCN Tessuti coltivati Tempo massimo |Tempo mînimo per usata giorni di incubazione tollerato uccidere il tessuto N/20 (0.325 %) Cuore 12 giorni 8 minuti 40 minuti N/50 (0.13 %) Cuore 12 giorni 8 minuti 40 minuti Id. Cuore 5 giorni 45 minuti Non provato tempo più lungo N/100 (0.065 %) Cuore 10 giorni 30 minuti 1 ora Ta | Cuore 14 giorni ! ora (unica coltura Non provato tempo I S attiva dopo 1-h). più lungo N/500 (0.018%) | Cuore 10 giorni 4.20” ore Non provato tempo 5 più lungo Id. Cuore 12 giorni 2.20’ ore 6.20. ere Soluzioni di KCN N/1000 (0,0065 %) o più diluite non impedirono mai lo sviluppo normale della coltura. Quando non sì raggiungevano le dosi o i limiti di tempo necessario a uccidere il tessuto, le colture si comportavano in modo perfettamente ana- — 202 — logo a quelle normali, per il momento in cui si iniziava la migrazione, per il tipo di migrazione, per la forma delle cellule, per le particolarità citolo- giche del nucieo e del citoplasma, per la durata e il grado di attività pro- liferativa, frequenza di mitosi, persistenza di contrazioni ritmiche per oltre due giorni nei frammenti di cuore. Neanche nei casì in cui arrivai più vi- cino al limite tra dose letale e non letale, non osservai differenze di grado nell'attività delle colture, ma esse erano sempre o normali o del tutto ne- gative. Le sole differenze apprezzabili dalle colture di controllo. si avevano nel decorso dei fenomeni degenerativi; ma queste erano più differenze di grado che non di qualità. Sembra che i fatti degenerativi si svolgano con maggiore lentezza; inoltre, mentre nelle colture normali le cellule che de- generano, si alterano in blocco (tanto nucleo che citoplasma), qui si osserva spesso, che mentre il citoplasma conserva un aspetto relativamente normale, di cellula vivente, il nucleo che nelle colture integre è del tutto omogeneo, con un grosso nucleolo, in queste condizioni assume un contorno più rifran- gente (bianco o nero, a seconda che il fuoco dell'obbiettivo è alto o basso) spesso punteggiato; internamente il nucleo, si fa finemente granuloso. e poichè il nucleolo scompare precocemente, mi sembra possibile che questa altera- zione sia legata a una disgregazione del nucleolo. Nell'insieme le cellule così alterate davano ‘l'impressione di essere state fissate. Successivamente in molti di tali nuclei si osservano delle incisure a semi-luna (uniche o doppie), dovute alla formazione di voluminosi vacuoli chiari, i quali deter- minavano una compressione del nucleo; è probabile che questo vacuolo del citoplasma debba la sua origine a materiale spremuto dal nucleo. Questi va- cuoli reagiscono negativamente col Sudan III, e perciò si distinguono age- volmente dalle goccie di grasso che sovente risiedono in intimo rapporto col nucleo. In cellule col nucleo così alterato non furono osservati movimenti di locomozione. Tali alterazioni, sebbene non specifiche per i pezzi trattati col KCN, perchè sì riscontrano talora anche in colture normali, in queste colture però sono molto più costanti e diffuse. Riassunto: // trattamento temporaneo con soluzioni di KCN anche re- lativamente concentrate, non arresta le manifestazioni vitali delle cellule del cuore e del tegumento di embrioni di pollo dal 5° al 14° giorno di incubazione, saggiate col metodo delle colture « în vitro ». Sembra che la resistenza alle soluzioni di KCN sia maggiore per i tessuti ai embrioni più precoci che per quelli di embrioni più inoltrati, il che sì accorde- rebbe colle osservazioni di Child in Planaria. che la resistenza al KON è tanto maggiore quanto più giovane è il tessuto. a Chimica fisiologica. — Sul valore alimentare dei semi del- PErvum Ervilia®. Nota VI di Sapato Visco, presentata dal Corrisp. D. Lo Monaco (0°. Le ricerche che esponiamo in questa Nota sono state eseguite per stu- diare se i fatti osservati nei ratti alimentati con farina di semi di £rvum FErvilia si verifichino o meno in altri animali; e se, conseguentemente, le conclusioni formulate, nelle Note precedenti (*), sul valore alimentare delle proteine dei semi in esame, debbano restare limitate ai soli ratti, o assu- mere un riferimento più ampio. Le indagini, delle quali trascriviamo i pro- tocolli, sono state eseguite nelle cavie. Cavia n. 1, femmina, nata du circa 30 giorni, pesa gr. 148. Si alimenta con foglie di cavolo dal 18 al 23 del mese di marzo, giorno in cui s'inizia }l’esperimento, alimen- tandola quotidianamente con 50 gr. di foglie di cavolo e 10 gr. di farina di semi di Ervum Ervilia. Pesa gr. 171. Nei giorni seguenti il peso varia come è indicato: Marzo 2d'—ioralog; 20=or. 105; 26—=gr. 1743 27 —=or. 102; 23 or. 169; 29—=er. 161; 30= gr. 182; 31 = gr. 180. Aprile: 10= gr. 173; 2= gr. 187; 8= gr. 182; 4=gr. 191. Alimentazione: farina di semi di Ervo a volontà, foglie di cavolo gr. 20 al giorno. Diioreeloem(rifiuta all 'cibo); 6=pr. Il: 7= gr. 162; 8/=gr. 164; 9=er. 161; io/=rerablo celo los el2i—torlo2: 013. = er db li ==orelido; lb gr d47; 16= gr. 145; 17= gr. 145, nelle ore pomeridiane l’animale muore per annegamento. Esame necroscopico: nulla di specialmente notevole. Dal giorno 14 di marzo l’animale dimostrava astenia evidente degli arti posteriori. Dai dati sopra esposti si rileva che la cavia in 5 giorni (dal 18 al 23 marzo) di alimentazione con foglie di cavolo ha gua- dagnati 23 gr. di peso; in 12 giorni (dal 24 marzo al 4 aprile) di alimentazione con 50 gr. di foglie di cavolo e 10 gr. di farina di semi di Ervo ha guadagnati 20 gr. di peso; in 13 giorni (dal 5 al 17 aprile) di alimentazione con 20 gr. di foglie di cavolo e farina di semi di ervo a volontà, ha perduti 23 gr. di peso; questo calcolo è fatto partendo dalla cifra 168 che l’animale aveva il 5 aprile, e non tenendo conto della dimi- nuzione di peso verificatasi tra il 4 e il 5 aprile, giorno in cui l’animale rifiutò il cibo. Dal 5 al 17 aprile la cavia mangiò in media circa 11 gr. al giorno di farina. Cavia n. 2, maschio, nata da circa 30 giorni. Pesa gr. 167. Dal 18 al 26 marzo viene alimentata con foglie di cavolo. Si mette in esperimento il 26 marzo alimentan- dola quotidianamente con 50 gr. di foglie di cavolo e 10 gr. di farina di semi di £rvum Ervilia. Pesa gr. 212: nei giorni seguenti il peso varia come è appresso indicato. Marzo Dia —(9E209:228i= pr. 2lo 129 — ori220880= or 21 8li—=ior22231Aprile 10=.or. 223; = gr. 220; 3= gr. 224; 4= gr. 230. Alimentazione: foglie di cavolo gr. 10 al giorno; farina di semi di Ervo a volontà. 5 = gr. 207 (l'animale non ha mangiato); 6 = gr. 198; erba ori 0 torsi or el 80r i ori 1840012 — or 21826 15 = gr. 181; 14= gr. 188; 15= gr. 188 (le quantità di farina ingerite variano da un massimo di 16 gr. ad un minimum di 14 gr. al giorno). Alimentazione: foglie di cavolo 5 gr. 20 al giorno, farina di semi di Ervo a volontà. 16 = gr. 188; 17 = gr. 192; 183 = gr.193:; (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica Fisiologica della R. Università di Roma diretto dal prof. Domenico Lo Monaco. (*) Pervenata all’Accademia 1°8 settembre 1922. (8) S_ Visco, Sul valore alimentare dei semi dell'’Ervum Ervilia. Nota IV, Rendiconti della R. Accademia Nazionale dei Lincei, vol. XXXI, fasc. 90, 1922. od 19 = gr. 188; 20= gr. 189; 21= gr. 185; 22— or. 186;.23 = er. 188; 24—= gr. 187 (la faina ingerita varia da un massimo di 14 gr. ad un minimum di gr. 11,180; com- plessiv:m ate l’animale ha ingerito gr. 114,674 di farina con una media di gr. 12,741 al giorno). Alimentazione: farina di semi di Ervo a volontà. 25 = gr. 178; 26 = gr. 180; 27=gr. 182; 28= gr. 180; 29=gr. 180; 80= gr. 177. Maggio, 1°= gr. 173; — gr. 10; 4—= gr. Wo; b=:gr. 160; 60/=or. M68:140= ter as1n25 8= gr. 169; 9= gr. 168; 10=gr. 167; 11= gr. 165; 12= gr. 163; 13.= gr. 166; 14 = gr. 163; 15= gr. 163; 16= gr. 160; 17= gr. 158; 18= gr. 152; 19/=/gr.0l48f 20= l’animale muore (complessivamente ha ingerito gr. 391,790, con una media di gr. 15,67 al giorno e con un minimum di gr. 12,300 ed un massimo di gr. 19,240). Negli ultimi «giorni notammo disturbi della deambulazione consistenti in fatti di astenia prima e di paresi poi, degli arti posteriori i quali nel cammino restavano all’indietro e venivano un po’ trascinati. Reperto necroscopico: orletto emorragico gengivale più evidente in corri- spondenza degli incisivi. Vaste chiazze emorragiche polmonari. Emorragia nei testicoli e nelle capsule surrenali. Piccole e rare emorragie muscolari. Possiamo dividere il tempo dell’osservazione in 5 periodi: 1° periodo (dal 18 al 26 marzo) della durata di 8 giorni durante i quali l’animale, alimentato con sole foglie di cavolo, guadagna 45 gr. di peso; 20 periodo (dal 27 marzo al 4 aprile) della durata di 9 giorni durante i quali la cavia, alimentata con 50 gr. di foglie di cavolo e 10 gr. di farina di Ervo, guadagna 18 gr. di peso; 3° periodo (dal 5 al 15 aprile) della durata di 11 giorni durante i quali la cavia, alimentata con 10 gr. di foglie di cavolo e gr. 15 al giorno in media di tarina di semi di Ervo, ha perduto 19 gr. di peso (questo calcolo è fatto partendo dalla cifra 207, peso dell'animale il 5 aprile, e non tenendo conto della diminuzione di peso verificatasi tra il 4 ed il 5 aprile, giorno in cui l’animale non mangiò); 4° periodo (dal 16 al 24 aprile) della durata di 9 giorni durante i quali la cavia alimentata quotidianamente con 20 gr. di foglie di cavolo e con una media di gr. 12,741 di farina di semi di Ervo perde 1 gr. di peso; 5° periodo (dal 25 aprile al 19 maggio) della durata di 25 giorni durante i quali la cavia alimentata con farina di semi di Ervo nella cifra media di gr. 15,67 al giorno perde gr. 39 di peso. In questa cavia dal 18 aprile al 10 maggio è stato studiato il ricambio dell'azoto. La ricerca è stata eseguita col metodo del Kjeldhal; come indica- tore si è usato l'acido rosolico. I risultati ottenuti sono riassunti nelle seguenti tabelle. I 8 TaBeLLA A. —- Dal 18 al 24 maggio. ALIMENTAZIONE: Farina di semi di Ervum £rvilia e toglie di cavolo. | Alimenti ingeriti | | Bilancio dell'azoto GIORNATE | Azoto Azoto De NRE Farina SAI LO emesso di DIEDELS di semi perduto ) | aell'animale , LI COMOLO | di ervo ingerito .| assurbito con de Nan esperimento ce fede con le feci le orine ed Grammi | Grammi Grammi 0 = = — = = =, — = i? 1 20,00 12,468 | 0,46595 | 0,1€848 | 0,29750 | 0,27991 0,01759 — 193 2 2,00 12,950 | 0,48293 | 0,14040 | 0,84253 | 0,27959 | 0,06314 — 188 8) 20,00 12,265 | 0,15912 | 0,16777 | 0,2)135 | 027799 | 0,0133 — 185 4 20,00 13,981|05162610,17694 | 0,33936 | 0,34444 — 0,00508 185 5 20,00 | 11,500 | 0,43365 | 0,20919 | 0,22446 | 0,27518 —_ 0,05072| 186 6 20,00 11,180 | 0,42299 | 0,16356 | 0,2594189 | 0,25088 | 0,00865 — 188 7 20,00 12,380 | 0,46295 | 0,20201 | 0,26094 | 0,25662 | 0,00432 = 157 Totali | 140,00 83,754 | 3,24383 | 1,22831 | 2,01557 | 1,9614836 | 0,10701 0,05580|— 5 + 0,05121 Percentuali... Ci] 38.17 |M61iS30|M96:96 + 3.04 2.60 tini o TaBELLA B. - Dal 25 maggio al 10 aprile. ALIMENTAZIONE: Farina di semi di Ervum Ervilia. Bilancio dell’azoto SIDANA TE dti loto suo Azoto a Lo05 di di ervo perduto dell'animale it da ingerito | \onlefeci | *SS9bito Mero) se 05 È Grammi Grammi 0 — — — —_ — — — 157 1 12,990 | 0,42923| 0,15724| 0,27199| 0,29082 — 0,01883 178 2 18,910 | 0,62970| 0,17409| 0,45561| 0,34929| 0,10632 — 180 .3 16,736 | 0,55720| 0,25833| 0,29887| 0,32256 — 0,02369 182 4 14,430 | 0,48051| 0,20498| 0,27553| 0,20045 = 0,02492 180 5 15,475 | 0,51531| 0,21340]| 0,30191| 0,31201 — 0,01010 150 6 14590 | 0,48584| 0,23025| 0,25559| 0,27676 — 0,02117 177 7 16,590 | 0,55577| 0,15206| 0,40371| 0,38223| 0.02148| — 175 8 13,890 | 0,45253| 0,12874| 0,33379| 0,34336| — 0.00957| 169 9 18,457 | 0,61461| 0,21621| 0,398401 0,37240]| 0,02600 _ 100 10 17,015 | 0,56559| 0,22205| 0,34454| 0,36883 — 0,02429 170 li 16,960 | 0,56476| 0,26325| 0,30151| 0,41162 - 0,11011 167 12 18,250 | 0,60772| 0,14320| 0,46452| 0.42001| 0,04451 Sa, 168 13 16,825 | 0,56027| 0,23502| 0,32525 0,36855 = 0,04330 172 14 17,092 | 0,56916| 0,21461| 0,35455| 0,37220 = 0,01765 169 15 13,440 | 0,44755| 0,14459| 0,30296 | 0,32100 = 0,01804 168 16 14,200 | 0,47286| 0,18111| 0,29175| 0,30566 = 0.01591 167 Totali — 8,51961| 3,13913| 5,38048| 5,51775| 0,19831]| 0,33558| — 20 — 0,13727 Percentuali . . .| 36.84 63.16 102.55 20 10,0% Un minuto esame dei dati innanzi esposti ci permette di fare i seguenti rilievi: 1° Paragonando tra di loro i varî periodi in cui abbiamo diviso la durata dell’esperi- mento notiamo che: la cavia nel 3° periodo ha perduti 19 gr. di peso in 11 giorni pur avendo ingeriti in media gr. 15 di farina di Ervo e gr. 10 di foglie di cavolo, un totale cioè di circa 50 calorie al giorno. Nel 4° periodo, alimentata con 20 gr. di foglie di ca- volo e con in media gr. 12,741 di farina di Ervo, un totale cioè di circa 46 calorie, non perde che 1 gr. di peso e guadagna gr. 0,05121 di azoto. Nel 5° periodo alimentata con in media gr. 15,67 al giorno di farina di semi di Ervo, pari a circa 50 calorie, ha perduti 20 gr. di peso e gr. 0,13727 di azoto. Nel 3° e nel 5° periodo dunque l’animale con una razione ener- geticamente uguale perde di peso, mentre nel 4° periodo con una razione energeticamente inferiore quasi non ne perde, e poichè in questo la differenza nell’alimentazione è consistita soltanto in un congruo apporto di foglie di cavolo, noi siamo autorizzati ad ammettere ‘che la superiorità della razione del 4° periodo nei confronti di quella del 3° e del 5° deve essere proprio attribuita alla presenza in essa del quantitativo di verdura fresca aggiuntavi. I risultati ottenuti studiando il ricambio proteico ci dimostrano che essa ha RENDICONTI. 1922, Val. XXXI, 2° Sem. 28 — 206 — agito, almeno con le sue proteine, come complemento di quelle ingerite coi semi dell’Ervo, le quali altrimenti, anche a dose più elevate, surebbero state inadatte ai bisogni dell’ani- male il quale avrebbe perduto azoto, come dimostrano i dati riportati nella tabella 2. Cavia n.3, maschio, pesa gr. 193. Si mette in esperimento 1’8 aprile del 1922, alimen- tandola con farina di semi di £roum Ervilia a volontà e 10 gr. di foglie di cavolo. Nei giorni seguenti il peso varia come segue: aprile 9 = gr. 188; 10= gr. 180; 11= gr. 176; 12 = gr. 184; 13 = gr. 173; 14= gr. 169; 15= gr. 169; 16= gr. 167; 17= gr. 166 18="gr. 164; 19= gr. 164; 20= gr. 164; 21= gr. 160; 22= gr. 155;:23 = gr. 154; 24 = gr. 151; 25= gr. 150; 26= gr. 149; 27= gr. 150; 28 = gr. 151; 29= gr. 149; 30 = gr. 147. Maggio 1° = gr. 147; 2= gr. 149;3 = gr. 145;4= gr. 147;5= gr. 147; 6G= gr. 145; 7= gr. 136; 8= gr. 138; 9= gr. 135. Si aumenta il quantitativo di foglie di cavolo: 10= gr. 149; 11=gr. 154; 12=gr. 153; 13=gr. 151; l1i4= gr. 150; 15 = gr. 159; 16= gr, 155; 17= gr. 156; 18= gr. 156; 19 = ge. 158; 20= gr. 158. Si sostituiscono le foglie di cavolo con 20-30 gr. al giorno di giovani piante di Ervum Ervilia: 21= gr. 156; 22='gr.' 155; 23= gr. 151; 24= 1, ammetterà almeno un divisore primo p, il quale sarà diverso dagli 7 numeri primi (1), poichè per uno qualunque p; di questi si ha per la (4) (4) N=1 (mod. p;).. Così, per quanti numeri primi siansi già fissati, esiste un ulteriore nu- mero primo p, pel quale la congruenza (I) ammette almeno una radice: e il teorema 4) risulta stabilito. Abbiasi ora un qualunque corpo algebrico K(6), di grado x, di cui sia 6 un numero intero generatore, soddisfacente all'equazione irriducibile di grado # (8) (@) a+ rat + > Lani® +0, con primo coefficiente 4, = 1 e i rimanenti razionali interi. Scelta una base minima del corpo, sia [w, 102,00) ©, ] ’ — 415 — le potenze 1,0 ,6%,:--,6*- di 6 si esprimono per gli interi ©; della base mediante una sostituzione lineare a coeflicienti interi c,x del tipo \L = Cu 0) + C12 02 ++ Cn @®n A lo) = C9, 0) + Cos ws + -- + Con on (6) | 0° = C31 0, + C3208 +; A- Canon 0" = Chi 0, + Cha Wa + + Conn . Il modulo C di questa sostituzione, cioè il determinante C= cia], il cui quadrato eguaglia il quoziente del discriminante di # pel numero fondamentale D del corpo, è detto da Dedekind (*) l'indice dell'intero 6 nel corpo K(0), e Dedekind ha dimostrato che, se un numero primo p non divide l'indice C di 0, la risoluzione del numero primo p nei suoi fattori ideali primi si ottiene, con procedimento razionale, decomponendo, rispetto al modulo p, il polinomio intero /() nei suoi fattori irriducibili (m. c. $ 2). In particolare, ed è questo il caso che a noi qui interessa, se il numero primo p non divide € e la congruenza f(x) ="0 (mod. p) ammette una radice £, l’ideale P massimo comun divisore dei due interi P,0- È ha la sua norma = p, NP=p, ed è quindi un ideale primo di primo grado, divisore di p. Dal teorema A) segue l’esistenza di :n/î2//7 numeri primi p, che non dividono C, e per ciascuno dei quali la congruenza (I) ammette almeno una radice, onde si conclude: B) In ognî corpo algebrico K(6) esistono infiniti ideali primi di primo grado. Terminiamo coll'osservare che, se si prende in particolare per K(6) il corpo di grado (m) delle radici m"° dell'unità (# qualunque), assumendo per @ una radice primitiva w"°, l'indice C è — 1, e pel risultato classico di Kummer gli ideali primi di primo grado in K(6) sono tutti e soli i di. visori dei numeri primi p che sono = 1 (mod. 2). La dimostrazione elemen- tare esposta si cangia quindi in quella ben nota colla quale si prova che la progressione aritmetica mx -|- 1 contiene infiniti numeri primi (?). (*) Veber den Zusammenhang zwischen der T'heorie der Tdeale und der T'heorie der hoheren Congruenzen (Abhandlungen der Gottinger Gesellschaft 230r Bd. 1878). (£) V. p. e. Kronecker, Vorlesungen tiber Zahlentheorie, Ie Bd. S. 440-441, — 416 — Matematica. — Una proprietà fondamentale degl’integrali doppi di 1° specie. Nota del Corrispondente FRANCESco SEVERI. Per gl'integrali abeliani di 1° e di 2* specie vale la proprietà che se un integrale di 1° o di 2° specie ha tutti i suoi periodi nulli esso riducesi rispettivamente ad una costante o ad una funzione razionale. La stessa pro- prietà vale per gl’integrali semplici (picardiani) di 1° e di 2? specie ap- partenenti ad una superficie algebrica. In qual misura questa proprietà può trasportarsi agl'integrali doppi di 1* e di 2? specie appartenenti ad una superficie? Per gl’'integrali doppi di 2* specie è noto che un integrale sif- fatto della forma: J di lE QU, 4,2) dardy (ove Q sia un polinomio aggiunto alla superficie /, di equazione f(x ,y,z)=0), il quale abbia nulli tutti i periodi relativi a cicli (finiti) a due dimensioni, riducesi necessariamente al tipo s- masi in cui A, B son polinomii aggiunti ad / (e le derivate son fatte tenendo conto che e è funzione implicita di x ,7)('). Gl’integrali del tipo indicato nella teoria degl’'integrali doppi fanno, anche da altri punti di vista, l'ufficio analogo a quello delle funzioni razionali nella teoria degli integrali semplici. Per gl'integrali doppi di 1° specie vale una proprietà assolutamente identica a quella valevole per gl’integrali semplici di 1? specie; e cioè: uz integrale doppio di 1° specie che abbia tutti î periodi nulli è una costante. La dimostrazione di questa proprietà costituisce l’oggetto della pre- sente Nota (°). 1. Sia (1) Picard et Simart, TAcéorie des fonctions algébriques de deux variables indépen- dantes (Paris, Gauthier Villars, 1906), t. II, p. 365. Ved. pure Lefschetz, Algebdraic sur- faces, their cycles and integrals (Annals of mathematics, t. XXI, 1920, pag. 246). Vi- ceversa, se il numero-base @ della superficie f vale 1, ogni integrale del tipo considerato ha nulli tutti i periodi relativi a cicli al finito; altrimenti ci vogliono altre condizioni: ved. Lefschetz, 1. c. pag. 254. (*) Alla probabile validità della proprietà qui dimostrata ebbe in passato occasione di accennarmi il sig. Lefschetz. — 417 — un integrale doppio di 1* specie, appartenente alla superficie / di ordine 1; talchè 4 è un polinomio d’ordine mm —4 aggiunto ad /. Supporremo, poichè non è restrittivo, che la / sia dotata di singolarità ordinarie (linea doppia e punti tripli) e che gli assi coordinati sieno disposti genericamente rispetto alla superficie. L'ipotesi da cui noi partiamo è che ogni periodo di I sia nullo (e basta anzi riferirsi ai soli periodi relativi a cicli a due dimensioni situati tutti al finito). Sul piano 7, ove imaginiamo distesa la variabile complessa ,, segnamo 1 punti 0, ,d3,...,0,y corrispondenti a quei valori è tali che il piano y= d sia tangente ad /; e consideriamo la riemanniana ad w fogli R(y), che rap- presenta la curva /(2,7,z)=0, per ogni dato y. Su questa riemanniana, quando y è prossimo ad uno generico, 4, dei suddetti punti, vi sono due punti di diramazione M, N, che vanno a coincidere col punto di contatto del piano y="d, quando y va a cadere in 5: e che connettono gli stessi due fogli di R(y). Perle circolazioni di y attorno a d i punti M, N sì scam- biano fra di loro, e quindi il cielo 9, che, sopra uno dei due fogli cui sopra si è alluso, circonda M,N, è un ciclo invariante di fronte alle circolazioni di y attorno a è e si riduce ad un punto quando y va in d. Consideriamo l'area generata dal cielo o quando y varia da 4 ad un punto generico « del piano 7, descrivendo il segmento da. È un'area aperta 4, che ha la forma di un dito di guanto, colla punta del dito nel punto di contatto del piano y= è, ed ha per contorno la posizione 0, as- sunta da o per y= a. Estendendo l'integrale ad una conveniente faccia di 4 possiamo scrivere: È b (1) ff ca da dy= ( dy f 9 dx . 64 fa a 4) Te Diciamo /, il pezzo finito della riemanniana R(a), che ha per con- torno 0,. Esso, insieme a 4, forma un ciclo chiuso a due dimensioni, e quindi, per l'ipotesi che I abbia tutti i periodi nulli, viene: Sf Pdedy=0, eta DIA in cui 7°, denota una faccia conveniente dell'area omonima. La precedente relazione si scrive pure: 50) " da dy== A a dx dy ; e poichè l'integrale di destra, essendo esteso ad un'area in cui y è costante ('), (1) Nell'area T° la funzione È diventa infinita; ma ciò non dà noja alcuna, perchè 3 l'integrale (1) è finito in ogni area finita (Cfr. Picard et Simart, t. I, pag. 178). — 418 — è nullo, così risulta nullo l'integrale a sinistra della (1), e quindi anche l’in- tegrale a destra. Poniamo : a d)=f% da, ove 2 è il periodo al ciclo o dell'integrale abeliano d7 /* specie | VALE appartenente alla curva f(x, /,z)="0, per y parametro. Risulterà, in forza della (1): EHI | Q(y) dy= 0. 1 ed r tale che 0 7 del cerchio e’, l’area interna a questo con- Tia 1 È torno indichiamola con A. La funzione pa, entro questa area, è rappre- Le a i P=% sentabile da una serie di Goursat i P, (x) uniformemente ed assolutamente p=0 convergente ed avrà un massimo valore assoluto M. Ciò premesso, costruiamo delle aree A,, analogamente alla area A, sostituendo il punto 1 con @,, r con Un, numeri positivi vu, che determineremo più avanti ed indichiamo. con (u,) i cerchi di centro @, e raggio v,, ed R arbitrariamente grande, ed indi- s : REREARE chiamo con M, il massimo valore assoluto della funzione re queste. lane An PEZZO 6 ; aree A,, nelle quali > P, 2) sarà uniformemente ed assolutamente con- p=0 An vergente. . n=%m Fissiamo ora i raggi w, dei cerchi (v,) in modo che > %, sia conver- n=1 gente ed inoltre che h=% Un 2 Un< MEM Mi h=n+1 e da questi u, facciamo dipendere i coefficienti e, in modo che h=%v Un N (2) Zi Un 0, e reciprocamente. Ossia, in generale, se lo spostamento dell'elettrone di polarizzazione, dovuto al campo elettrico esterno, avviene nel senso della propagazione lu- minosa, il doppietto va verso il violetto, se in senso contrario si sposta verso il rosso, ed in ogni modo è assimetrico rispetto la riga normale. Ma estrinsecando #, sì ponga la (18) può scriversi a tTywr—-[t—- av wWb)=0 che confrontata all'equazione corrispondente per E="0 ci dimostra come l'azione del campo elettrico esterno possa assimilarsi, in questi riguardi, ad una variazione del periodo normale di risonanza dell’elettrone di polarizza- zione, con le caratteristiche qualitative anzidette. Quantitativamente, data la piccolezza di y in virtù dei campi elettrici attualmente applicabili, le variazioni sembrano sfuggire per ora ad una ve- rifica sperimentale. Per H=UV, otterremo le sole modificazioni causate dalla presenza del campo elettrico esterno. Ricordando che tutte le quantità trattate con in- — 440 — dice 1 differiscono da quelle con indice 2 solo pel segno di w", che ora si annulla, il potere rotatorio e l’ellitticità si annullano, il che era anche pre- vedibile per ragione di simmetria: la luce, attraversato il mezzo, esce polarizzata rettilineamente così come era entrata. Varia però l'indice di ri- frazione, il coefficiente di assorbimento e la posizione della riga di assorbi- mento dovuta all'elettrone di polarizzazione esistente; avremo così « 8 Ne=<" = RSI E ot 3(a 1482) c: AEREA ya IC) Gg Vi — aY N ove 27rt, è il periodo corrispondente alla nuova posizione della riga di as- sorbimento ed 7g, x, sono il nuovo indice di rifrazione e il nuovo coeffi- ciente di assorbimento, sempre nei limiti di approssimazione inizialmente impostici. Non sono da ricercarsi nel presente schema azioni corrispondenti a quelle che accompagnano il fenomeno Stark- Lo Surdo, non rientrando esse nella teoria elettromagnetica. Chimica. — Intorro alla reazione fra il selenio ed il ni- trato d’argento in soluzione acquosa ©) Nota di F. GARELLI € A. ANGELETTI, presentata dal Sucio PATERNÒ ‘°). La prima osservazione intorno all’azione del selenio sopra le soluzioni metall'che risale al 1860 ed è dovuta al Parkman{(#). Questi sperimentò l’azione dello zolfo, selenio, tellurio, fosforo, arsenico ed antimonio sopra le soluzioni di sali di rame, argento e piombo e trovò, che dalla soluzione di nitrato di argento il selenio rosso precipita una polvere nera contenente ar- gento e selenio. La soluzione di solfato di rame non viene alterata, laddove quella di acetato fornisce pure un precipitato nero, che sembra costituito da seleniuro di rame. Dieci anni dopo il Guyot (*), in una brevissima Nota, comunicò che, il selenio, disciolto in solfuro di carbonio, precipita da solu- zioni saline neutre od acide dei metalli, soltanto il nitrato d’argento allo (*) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica tecnologica del R. Politecnico di Torino. (2) Pervenuta all'Accademia il 16 ottobre 1922. (3) On a new mode of formation compounds of metals. Jahresbericht ueber Fort- schritte der Chemie, di Liebig e Kopp, 1861, pag. 126. Inaugural. Diss. Gottingen. 1860. (4) C. R., 1871, 1° sem., pag. 685. tl cate arabi Ù — 441 — stato di seleniuro d'argento. Nel 1887 Senderens (*) senza menzionare i pre- cedenti lavori, studiò di nuovo la reazione, sempre però senza misure quan- titative. Egli trovò che i sali d’argento, già a freddo, vengono lentamente ridotti dal selenio metallico in polvere con formazione di Ags Se: all'ebolli- zione le soluzioni, anche concentrate, di nitrato d'argento sono completamente ridotte con precipitazione di seleniuro d’argento e formazione di acido sele- nioso. Dalle soluzioni di sali aurici ed aurosi si precipita invece l'oro me- tallico. Con lo zelfo la riduzione della soluzione di nitrato d'argento è più lenta e mai completa, nemmeno all’ebollizione. Dopo questi vecchi lavori nulla più abbiamo trovato sull’argomento nella letteratura scientifica. Per l'interesse che presenta la reazione, che potrebbe ricevere applicazioni nel- l'analisi chimica, ci parve non inutile riprenderne lo studio. Diremo subito che non possiamo confermare l’osservazione di Guyot: la quale del resto, data la minima solubilità del selenio nel solfuro di carbonio, e la non miscibilità del solfuro con l'acqua, appariva già poco probabile. Per lo studio della reazione abbiamo innanzi tutto determinato qual’è la quantità minima di selenio necessaria per produrre la completa precipi- tazione dell'argento, da una soluzione acquosa neutra di nitrato. Aggiungendo a volumi eguali di soluzione neutra decinormale di nitrato d'argento portata all’ebollizione, quantità crescenti di selenio in fine polvere, abbiamo trovato, che la precipitazione dell’argento è completa, dopo 10-15 minuti di ebolli- zione, solo quando viene aggiunta una quantità di selenio uguale all'incirca a quella dell’arsento, che trovasi in soluzione. Ciò equivale a due volte e mezza circa la quantità di selenio teoricamente necessaria per formare il seleniuro d'argento Ag, Se. Di fatto, per precipitare completamente l’argento contenuto in 20 ce. di soluzione neutra decinormale di nitrato d'argento (contenenti gr. 0,2157 di Ag) occorrono gr. 0,2 di selenio in polvere, e per 50 cc. (contenenti gr. 0,5387 di Ag) ne occorrono gr. 0,5. Operando con queste quantità alla temperatura di ebollizione, nel liquido filtrato non si trova più traccia di argento. Con quantità di metalloide anche di poco inferiori a queste la precipitazione del- l’Ag non è più completa, a meno che si insista nell’ebollizione per oltre 1 ora. Con un'ora e mezza di ebollizione si riesce a precipitare tutto l’argento da 20 ce. di soluzione decinormale di nitrato d'argento con soli gr. 0,14 di selenio, mentre la quantità teoricamente necessaria sarebbe di gr. 0,12. Se la soluzione di nitrato d’argento è acida per acido nitrico, la precipitazione non è più completa, nemmeno se si impiega un eccesso di selenio. Abbiamo poi determinato la quantità di selenio che passa in soluzione allo stato di acido selenioso. (1) C. R., 1887, 104, pag. 175. — All’uopo, dopo aver separato per filtrazione il seleniuro di argento, la soluzione veniva tirata a secco per eliminare l’eccesso di acido nitrico, ri- presa con acqua e poi precipitavamo il selenio con soluzione acquosa di clo- ridrato di idrossilamina, secondo Jannasch (*); il precipitato veniva filtrato in un crogiuolo di Gooch e pesato con le dovute norme. Risultò che il se- lenio passato in soluzione allo stato di acido selenioso corrisponde alla metà del selenio necessario per formare il seleniuro di argento. Ecco i risultati forniti da quattro esperienze: Se Soluzione “/1o di Peso del Se passato . Se courrispond. aggiunto NO; Ag Ag precipitato in soluzione a AgySe calcol, 18) gr. 0,20 ce. 20 gr. 0.2157 gr. 0,3740 gr. 0,0402 gr. 0,0792 29) 009.0) » 30 » (0,3230 » 0,5520 » 0,0520 » 0,1198 33) n (0:40 n 40 » 0,4314 n 0,7405 n 0,0391 » 0,1584 48). n 0,50 » 50 » 0,5387 n 0,9356 » 0,1002 » 0,195S0 Come si vede il peso del precipitato ottenuto è maggiore del peso del seleniuro d'argento calcolato come Ag,Se in base alla quantità di argento. Ciò può indicare, o la formazione di un seleniuro di altra formula, o, più pro- babilmente, che nel precipitato oltre alla combinazione del metalloide con l'argento vi è anche del selenio libero. La questione si risolve agevolmente trattando a caldo il precipitato con acido nitrico; il selenio libero viene ossi- dato completamente ad acido selenioso e passa in soluzione, mentre 11 com- posto di selenio ed argento è trasformato in una mescolanza di selenito e seleniato di argento, entrambi insolubili in acqua. Per ottenere questa sepa- razione si fa bollire il precipitato nero con acido nitrico diluito, lo si vede in parte sciogliersi ed assumere colore giallo chiaro. Si tira a secco a bagno maria e si riprende con acqua il residuo. Filtrando resta sul filtro il com- posto di selenio, argento ed ossigeno, e nel filtrato non vi è argento perchè non si ottiene il menomo intorbidamento con acido cloridrico. In questo li- quido abbiamo determinato come al solito il selenio precipitandolo con so- luzione acquosa di cloridrato di idrossilamina. Il residuo rimasto sul filtro si scioglie a caldo in acido nitrico concentrato; nella soluzione dosavamo su parte aliquota il selenio con il solito metodo, e l'argento precipitandolo con acido cloridrico, ottenendo così un controllo analitico, giacchè la quantità di argento introdotta è esattamente conosciuta. Ecco i risultati ottenuti : cc. 50 di soluzione di NO3AgN/10 contenenti gr. 0,5387 di argento addi- zionati all’ebollizione con gr. 0,50 di selenio puro, finmamente polverizzato, fornirono un precipitato pari a gr. 0,9356 e in soluzione trovammo gr. 0,1028 di selenio. Se + Ag 0,5 + 0,9387=1,0387; precipitato 0,9356 + 0,1028 = 1,0584. (1) Ber. (1898), 2, pag. 2386. — 443 — Il precipitato (gr. 0,9350) trattato con acido nitrico fornì acido sele- nioso, corrispondente a gr. 0,2010 di selenio, che rappresenta il selenio li- bero contenuto nel precipitato. Questo è quindi costituito da gr. 0,20109 di selenio e gr. 0,7346 di composto di selenio ed argento. Ma a gr. 0,5387 di argento corrispondono gr. 0,7355 di AgsSe: la concordanza fra i due numeri è più che soddisfacente e quindi risulta dimostrato che il composto che pre- cipita è Ag, Se mescolato con selenio in eccesso. In altra esperienza preci- pitammo 100 cc. di soiuzione di NO3AgN/10 (Ag gr. 1,0774) con 1 gr. di selenio. Dal precipitato ben lavato e secco prelevammo due porzioni di gr. 0,8 ciascuna ed in esse determinammo direttamente l’argento, il selenio libero ed il selenio combinato nel modo sovra descritto. Trovammo: Degliberos. ui... +. gi 0,1762 RES trovato gr. 0,6210 mentre si cal- Se combinato. . . . » 0,10646 cola di Ag, Se gr. 0,6240 in base Ag combinato . . . » 0,4564 | all'argento presente. La reazione fra il selenio ed il nitrato argentico in soluzione neutra si compie dunque secondo l'equazione: 4 AgNO; +3 Se +3 H:.0=2 Ag» Se + Se03H, - 4 HNO; già indicata come presumibile da Senderens. Se per compiere la reazione non fosse necessario far bollire il liquido per oltre 10 minuti, una semplice de- terminazione acidimetrica del filtrato potrebbe dare una nuova conferma che la reazione procede secondo i rapporti sovra scritti; noi dovremmo trovare nel liquido sei idrogenioni, e cioè due dell'acido selenioso e quattro del- l'acido nitrico. In realtà si trova tutta l’acidità che spetta all’acido sele- nioso, e gran parte di quella che corrisponde all'acido nitrico; una piccola parte dell'acido nitrico si elimina durante l'ebollizione. Il prodotto di ossidazione che si ottiene trattando con acido nitrico il seleniuro d'argento misto a selenio, ha composizione variabile a seconda delle condizioni di esperienza. Di fatto il dosamento d'argento su due di- versi campioni ottenuti nel modo sovra descritto fornì in un caso 60,47 % e nell’altro 60,94%. Ora per il selenito di argento Ag:Se0; si calcola Ag= 62,20% e per il seleniato Av:Se0, si calcola Ag= 60,02%. È assai probabile quindi che, nel trattamento con acido nitrico del seleniuro d’ar- gento si formi una miscela di selenito e seleniato d'argento, e si comprende come la proporzione dei due sali vari a seconda dell’eccesso di acido nitrico, della durata del riscaldamento, della quantità di selenio libero mescolato al seleniuro. Separazione dell'argento dal piombo. Il selenio, invece, non ha azione alcuna sopra le soluzioni di nitrato di piombo: pertanto esso potrebbe servire per separare l'argento dal piombo in soluzione neutra contenente i nitrati dei due metalli. Varie esperienze isti- — 444 — tuite all'uopo ci dimostrarono che in realtà la separazione riesce assai netta, anche con soluzioni di media concentrazione, purchè si adoperi un sufficiente eccesso di selenio. Dopo pochi minuti di ebollizione nel liquido filtrato non vi sono più traccie di argento, mentre vi si trova ancora tutto il piombo. Le prove di separazione furono eseguite su miscele di volumi noti di soluzione decinormale di nitrato d’argento con soluzione titolata di nitrato di piombo contenente esattamente gr. 12,08 di questo metallo per litro. Alla miscela delle due soluzioni aggiungevamo polvere di selenio, in quantità almeno doppia di quella dell'argento in soluzione e facevamo bollire per 15 minuti e, dopo raffreddamento, filtravamo. Nel filtrato, che non dà più le reazioni dell'argento, dosavamo il piombo come solfato. Nel residuo insolu- bile attaccato a caldo con acido nitrico, si determinava l’argento per pesata allo stato di cloruro. Ecco i risultati ottenuti : 1a Esperienza: 20 ce. di soluzione NO3AgN/10-+ 10 cc. soluzione (NO3),Pb + + gr. 0,5 Se+ 20 cc. H,0 (calcolato: ri 027 Pb (calcolato... 1110, 1206 So trovalo RT. 0,2148 (trovato: fi. 010; 1209 2% Esperienza: 20 ce. soluzione NO;AgN/10-+20 cc. soluzione (NO): Pb + + gr. 0,5 Se4-20 ce. H30 (-.icalcolato. |. -;. 0 .-/0;2157 Pb ( calcolato . . . 9,2416 (i ctrovato. ito fesa (00942 («trovatori \iai02428 3® Esperienza: 15 cc. soluzione NO3AgN/10+20 ce. soluzione (NO). Pb -+- +gr. 0,5 Se+ 20 ce. H:0 (calcolato .. ‘°-° -0-1608 | calcolato . . . 0,2416 (trovato. i e, 041604 È (SLroVvatogeonan 0,2405 Il selenio non precipita nemmeno all'ebollizione il mercurio da una so- luzione di nitrato mercuroso e neppure dai sali mercurici. Nel selenio adunque noi abbiamo un mezzo per separare l’arsento dal piombo e dal mercurio nella soluzione neutra dei nitrati di questi metalli. Nel corso di queste ricerche, avendo eseguito numerose determinazioni quantitative di selenio, abbiamo rilevato una gravissima causa di errore, non avvertita in recenti ed autorevoli trattati di analisi. Infatti il Treadwell (Chimica analitica, 4 ediz., pag. 207), prima di precipitare il selenio dalla —- 445 — soluzione nitrica e cloridrica di acido selenioso prescrive di tirarla a secco .per eliminare l'eccesso di acido nitrico. Il Fresenius (1887, pag. 325), giu- stamente, rileva che si possono avere durante l’evaporazione, per effetto della volatilizzazione dell'acido selenioso, perdite rilevanti del metalloide, e per evitarle propone di aggiungere dei cloruri alcalini alla soluzione. Ma ciò non basta a togliere l'inconveniente, come ci dimostrarono nume- rose prove di confronto. Tutte le volte che si svapora una soluzione di acido selenioso in presenza di acido nitrico e cloridrico, o la si fa bollire a lungo, anche dopo aggiunta di cloruri alcalini, si ha una perdita di selenio, che può raggiungere il 30 ed anche il 40% del selenio totale. Da gr. 0,25 di selenio, ossidato ad acido selenioso, mediante acido ni- trico, facendo evaporare in presenza di acido cloridrico dopo aver tirato a secco, anche dopo aggiunta di cloruro sodico, non ottenemmo più, dopo pre- cipitazione con SO» o cloridrato di idrossilamina, che gr. 0,1414 di selenio in un'esperienza e gr. 0,1740 in un'altra. Se invece sì ossida con acido ni- trico, si svapora e si riprende con acqua cloridrica, 0 con sola acqua, non si ha perdita sensibile di metalloide. È quindi assolutamente necessario evi- tare l’evaporazione delle soluzioni acquose in presenza di acido cloridrico. Chimica fisiologica. — Su/ valore alimentare dei semi del- lErvum Ervilial®. Nota VII di SABATO Visco, presentata dal Corrisp. Domenico Lo Monaco l°). I risultati sperimentali già resi noti sul valore alimentare dei semi del- l’Ervum Ervilia(*), ci permettono ora di fare tutta una serie di considera- zioni, e di formulare conclusioni più ampie di quelle finora formulate. Da un gruppo di indagini è risultato che le cavie ed i ratti alimentati con farina di semi di £rvum Ervilia diminuiscono continuamente di peso. A che cosa deve essere attribuito questo fatto? Due ipotesi possiamo avan- zare al riguardo: 1°) gli animali iugerirono l'alimento in quantità inferiori ai loro fabbisogni energetici; 2°) l'alimento ingerito, pur essendo energetica mente sufficiente, era qualitativamente inadatto all'economia degli animali in esperimento. Le ricerche esposte nella Nota I pongono soltanto la questione. Quelle esposte nella Nota III, pur apportando un notevole contributo alla sua soluzione, non la risolvono, perchè i ratti, con i quali sperimentammo, (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica Fisiologica della R. Università di Roma diretto dal prof. Domenico Lo Monaco. (®) Pervenuta all'Accademia 1°8 settembre 1929, (3) S. Visco, Sul valore alimentare dei semi dell’Ervum Ervilia. Note I, II, III, IV, V, VI. Rendiconti della R. Accademia Nazionale dei Lincei, anni 1921-1922. RENDICONTI. 1922; Vol. XXXI, 2° Sem. sa: — 446 — perdettero peso ed azoto. In quegli animali un confronto stabilito tra le pro- teine delle cariossidi di {r7(7cum satévum, e quelle dei semi di Zrvum Ervilia - dimostrò che il valore alimentare di quelle dell'Ervo era di molto inferiore a quello delle proteine del primo alimento; ma, poichè i ratti non ave- vano ingerito farina di ervo in quantità tali da coprire le loro necessità ener- getiche, i risultati ottenuti circa il ricambio azotato, perdono un po’ del loro valore e non ci ‘permettono conclusioni definitive. Più dimostrativi sono alcuni dei dati raccolti nelle Note IV, V, VI dai quali scaturisce un fatto importante per il nostro studio; e cioè, che coll’aggiunta di una proteina animale (caseina, ovoalbumina, albumina del sangue) alla farina di semi di Ervum Ervilia, i ratti possono essere tenuti in vita per un periodo di tempo almeno non inferiore a sei mesi, e senza che perdano di peso, o che mani- festino sintomi morbosi di sorta. Qui però è necessario far notare che i ratti mantenuti con i miscugli indicati di farina di semi di Ervo e proteine ani- mali, si alimentano abbondantemente. laddove quando ricevono sola farina non ne ingeriscono che scarse e sempro decrescenti quantità. Nel primo caso essì utilizzano razioni energetiche e proteiche notevolmente più grandi che nel secondo; e perc ò i dati raccolti in condizioni sperimentali tanto diverse, non possono essere paragonati tra di loro. Più conclusivi ci sembrano i ri- sultati pubblicati nella Nota V. Comunicammo con quella che alcuni ratti alimentati ogni giorno con 11-12 gr. di farina di semi di ervo perdevano di peso e che questa perdita cessava, non appena che a quegli stessi ani- mali somministravamo 10 soli grammi di un miscuglio di farina di semi di ervo nelle proporzioni del 90% e di caseina o ovoalbumina nelle pro- porzioni del 10%. In questo secondo periodo di esperimento i ratti ingerivano una razione energetica inferiore a quella del primo; e, poichè ciò non ostante la perdita di peso sì arrestava immediatamente, diventa necessario prendere in considerazione soltanto l'elemento nuovo introdotto nell'alimentazione, ed attribuire il fatto verificatosi a questo diverso e maggiore apporto di so- stanze proteiche. Ma la proteina animale aggiunta spiegava quest'azione sulla nutrizione dei ratti perchè di costituzione chimica diversa da quelle presenti nei semi dell'ervo; o perchè aumentava semplicemente la razione proteica che noi somministravamo agli animali? Undici, dodici gr. di farina di semi di ervo contengono rispettivamente gr. 2,59 e gr. 2,83 di proteine; 10 gr. di farina di semi di ervo addizionata col 10% di una delle indicate pro- teine animali, contengono gr. 3,12 di sostanze proteiche. In questo caso l'alimentazione composta ha realmente fornito agli animali un quantitativo maggiore di proteine; ma, poichè abbiamo avuto occasione di osservare che essi non perdono di peso anche se alimentati con i miscugli al 5%, nel qual caso l'apporto di sostanze proteiche è di gr. 2,64 contro gr. 2,83 forniti dai 12 gr. di sola farina di semi di ervo, riteniamo che si possa eliminare senz'altro la questione quantitativa. Passiamo ora ad esaminare — 447 — quella qualitativa: vediamo cioè se la proteina aggiunta non abbia dati gli effetti osservati soltanto perchè più adatta di quella dell'ervo all'economia dei ratti. Nel corso di alcune ricerche sul valore alimentare dei semi del Lathyrus cicera e di altre sulla importanza dei grassi nella alimentazione, abbiamo dovuto determinare, nei ratti, i minimum di azoto dei quali essi hanno bisogno; sia quando la razione proteica è costituita da caseina, sia quando è costituita dalle proteine dei semi del Za/hyrus cicera. Nel primo caso abbiamo trovato che il minimum si raggiunge con gr. 0,020 di azoto — pari a gr. 0,125 di caseina — per 100 gr. di peso di animale, nel se- condo con gr. 0,060 di azoto — pari a gr. 0,375 delle proteine contenute in semi indicati — per 100 gr. di peso dell'animale. Dalle ricerche pubbli- cate nella Nota III risulta che un ratto alimentato con farina di 7riticum sativum guadagna ancora azoto anche quando ne assimila soltanto gr. 0,057 — pari a gr. 0,356 di sostanze proteiche — per 100 gr. di peso. Numerosi tentativi da noi fatti per stabilire il minimum di azoto occorrente ai ratti, quando le sostanze proteiche sono ad essì fornite dai semi dell'£vum £rvilza, sono restati infruttuosi, perchè, come abbiamo ripetutamente fatto notare, questi animali mangiano quantità sempre decrescenti di farina, quando non la rifiutano addirittura: ciò non ostante però, qualche dato importante al riguardo possiamo trarlo dalie indagini già pubblicate e da quelle eseguite nei ratti A e B della Nota V, e non raccolte in speciali tabelle, perchè non definitivamente conclusive. Dalla Nota III si rileva come il ratto n. 1 — ta- bella B — pur avendo assorbito gr. 0,144 di azoto -- pari a gr. 0,900 di proteine — per 100 gr. di peso del corpo abbia dovuto continuare a disin- tegrare le proprie sostanze proteiche. Nei ratti A e 8 della Nota V, con cifre rispettive di azoto assorbito di gr. 0,176 — pari a gr. 1,100 di proteine — e di gr. 0,164 — pari a gr. 1,025 di proteine — per 100gr. degli animali noi abbiamo osservato sempre negativo il bilancio dell'azoto. Nè i risultati avuti studiando la stessa questione nella cavia differiscono sostanzialmente da quelli osservati nei ratti; poichè, come rilevasi dalla tabella 8 della Nota VI, la cavia tenuta in esperimento, pur avendo assorbito un massimo di gr. 0,208 di azoto — pari a gr. 1,300 di proteine — per 100 gr. di animale, ha con- tinuato a dimostrare un deficit nel suo bilancio azotato. Da quanto abbiamo esposto risulta evidente che, in confronto della caseina e delle-proteine delle cariossidi del 7rz/icum sativum e di quelle del Zathyrus cicera, le sostanze proteiche contenute nei semi dell’Ervum Ervilza appaiono di una marcatis- sima inferiorità alimentare, inferiorità che, in base alle attuali cognizioni di chimica organica e di chimica fisiologica, noi dobbiamo mettere in rapporto di dipendenza dalla loro costituzione, ed ammettere che in essere manchi, o almeno sia contenuto in piccole quantità, qualcuno degli aminoacidi indi- spensabili all'economia degli animali nei quali abbinmo sperimentato, e pro- babilmente anche degli altri mammiferi. — 448 — La determinazione quantitativa dei singoli aminoacidi presenti nelle di- verse molecole delle proteine dei semi dell'ervo ci avrebbe permesso di sta- bilire con indiscutibili dati di fatto, se la dimostrata inferiorità alimentare delle sostanze proteiche in esame sia assoluta o relativa: noi però, per le ragioni esposte nella Nota IV, non abbiamo potuto eseguire tale determi- nazione; ma ciò non ostante, analizzando accuratamente e minutamente i fatti pubblicati, ed altri che, nel corso di queste indagini, abbiamo osservati, ci sorge il sospetto che, con l’ingestione di, relativamente, grandi quantità di queste proteine, sia possibile raggiungere la razione proteica minima. Se ci fermiamo a considerare le grafiche riprodotte nella Nota V, rileviamo che, in qualche giorno, la diminuzione del peso degli animali si arresta, e che questo fatto coincide con l' ingestione di una maggiore quantità di farina di semi di £7rvum; nello stesso tempo lo studio del ricambio proteico che noi abbiamo eseguito ci dimostra che, in quegli stessi giorni il bilancio del- l'azoto non segna nessun deficit da parte dei ratti. Anche in altri ratti abbiamo osservato lo stesso fatto, e sempre quando l'azoto assorbito ha raggiunto almeno gr. 0,194 — pari a gr. 1,212 di pro- teine — per 100 or. di animale. La stessa cosa si rileva dalla tabella ri- portata nella Nota VI, dalla quale risulta che, qualche giorno, la cavia non ha perduto azoto. Pur dovendo dare a queste osservazioni un valore molto relativo perchè nessuno dei nostri animali ha ingerito, per almeno quattro o cinque giorni consecutivi, la stessa elevata dose di farina, ciò non di meno noi le segnaliamo, e riteniamo di non poter ammettere con sicurezza assoluta in base ad esse, che la deficienza di uno o più aminoacidi nelle proteine dei semi dell'ervo sia assoluta. Comunque sia però, quello che è certo si è che, negli animali alimen- tati con farina di semi di Ervum Ervilia si stabilisce un pronto e continuo deficit di azoto il quale porta una progressiva perditu di peso fino a cifre incompatibili con la vita. Spesso, e specialmente quando l’ ingestione del- l'alimento avviene in quantità non troppo scarse, ed il peso degli animali decresce con una certa lentezza, noi assistiamo alla comparsa di quella spe- ciale sindrome morbosa descritta nelle Note I, V e VI. In un primo tempo ammettemmo una somiglianza tra questi fatti morbosi e quelli che si osser- vano nelle alimentazioni esclusive e prolungate con semi di parecchie varietà di Zathyrus, oggi, in seguito alle nostre ricerche sull'uso alimentare del- l’ervo, ed a quelle sulle alimentazioni latiriche, e contrariamente a quanto è stato sostenuto anche da altvi autori, non crediamo di poter più affermare che le due sindrome siano uguali. In una prossima pubblicazione sul lati- rismo discuteremo ampiamente la questione: qui facciamo soltanto notare che tra la sindrome prodotta dall’alimentazione con semi di ervo e quella prodotta dall'alimentazione con semi di latiri, passano le seguenti notevoli differenze: 1°) i ratti adulti alimentati a lungo ed esclusivamente con semi — 449 — di Lathyrus cicera, L. salivus e L. clymenum non perdono peso nè presen- tano fatti morbosi di sorta; 2°) nelle cavie l'alimentazione latirica produce una sindrome spastica a carico prima degli arti posteriori, poi anche di quelli anteriori ed infine la morte; 3°) le cavie e i ratti alimentati con semi di Ervo perdono continuamente peso ed azoto e non vivono a lungo; 4°) in ambedue queste specie di animali, dopo un certo tempo di alimen- tazione esclusiva con Ervo, si assiste alla comparsa di una sindrome prima astenica indi nettamente paretica a carico dei soli arti posteriori; 5°) le lesioni anatomiche che macroscopicamente si osservano nei due casì sono pro- fondamente diverse. Adunque lo stato morboso prodotto dall’alimentazione esclusiva con semi di ervo deve essere, almeno per ora, considerato come del tutto speciale e consistente essenzialmente in una continua perdita di peso, non ostante co- pertura del fabbisogno energetico dell'organismo, e di azoto, e nella comparsa di una sindrome prima astenica, indi paretica degli arti posteriori, con esa- gerazione dei movimenti riflessi. L'osservazione di questa sindrome paretica non è nuova: essa fu già descritta da Ippocrate negli abitanti di Eno i quali, per essersi cibati specialmente di Ervo, avevano erura imbecillia, e da B. Ramazzini, il quale lasciò scritto che gli abitanti di Scandiano e Ca- strovetro, in un anno di carestia, essendosi nutriti con semi di Ervo 7x crurum exsolulionem inciderint. La causa di questi fatti patologici fu attribuita ad un ipotetico veleno esistente in questi semi; ma noi come abbiamo detto nelle Note III, IV e V non possiamo accettare questa patogenesi e riteniamo invece dimostrato che essa sia in rapporto esclusivo con la costituzione delle mile:ole proteiche dei semi ingeriti, nelle quali manca o è contenuto in scarsa quantità uno o più degli aminoacidi indispensabili all'organismo dei mammiferi. Riassumendo ora quanto abbiamo pubblicato di fatti e di rilievi, noi possiamo formulare le seguenti conclusioni generali: 1°) le sostanze inorganiche e quelle ternarie dei semi dell'£rvwum Ervilia, sono adatte a coprire i fabbisogni minerali ed energetici degli animali; 2°) le sostanze proteiche dei semi dell'Ervum £Ervilia non coprono i bisogni azotati dei mammiferi se non, e in via almeno per ora ipotetica, a dosi molto elevate, per cui essi facilmente vanno incontro ad uno stato patologico consistente: in deficit di peso e di azoto, e in astenia prima, e poi in paresi degli arti posteriori. Detto stato non si verifica affatto e, se si è già verificato, scomparisce rapidissimamente, alimentando gli animali con semi di £rvum Zr- vilia addizionati anche a piccole quantità di una proteina animale. 3°) i semi di Zrvum Ervilia contengono il fattore accessorio A, scarse quantità di fattore accessorio B, e sono privi, o almeno insufficientemente provvisti, di fattore accessorio C. — 450 — Cristallografia. — Della forma cristallina della nitro-cloro- bromo-acetanilide CsHs. NO». C1. Br. NH (C3H30) 1 2 6 5 Nota I di MARIA De AnaEtIs (*), presentata dal Socio ErToRE AR- TINI (*). In due Note precedenti, pubblicate in questi Rendiconti (8), ho descritto la forma cristallina della nitro-di-cloro-acetanilide 1.2.6.5 e della nitro- di-bromo-acetanilide corrispondente, soffermandomi sulle loro relazioni di isopolimorfismo. Nella presente Nota esporrò i risultati dello studio cristallografico della nitro-cloro bromo acetanilide spettante alla stessa serie, e dei confronti con le due sostanze sopra ricordate. La nitro-cloro-bromo acetanilide (p. fus. = 1359-1369) fu ottenuta dal prof. Korner bromurando con ipobromito sodico la nitro-cloro anilina 1.2.5 (p. fus. = 970,6): si ottengono così le due nitro-cloro-bromo-aniline 1.2.6. 5 (p fus. = 99°-100°) e 1.2.4.5 (p. fus. = 108°). Queste si separano tra- sformandole nella miscela dei corrispondenti acetil-derivati e cristallizzando frazionatamente da alcool le due acetanilidi. La sostanza è dimorfa: il prof. Korner per raffreddamento da alcool ha ottenuto una modificazione monoelina, poco stabile, che io non sono più riu- scita ad ottenere, nonostante i numerosi tentativi dai più svariati solventi; la modificazione da me ottenuta si presenta invece in cristalli triclini aghi- formi, molto imperfetti, ma sufficientemente sviluppati per lasciar riconoscere il loro isomorfismo col nitro-di-bromo-derivato. Modificazione a, metastabile. Sistema monoclino, classe prismatica : ds dele 9IS85EA0 528 P=869430. Forme osservate : 3010}, j210t, {110}, {101{,{301},{111{,jIl1}. (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Mineralogia del Museo Civico di Storia Na- turale di Milano. (*) Pervenuta all'Accademia il 21 luglio 1922. (8) M. De Angelis, Della forma cristallina della nitro-di-cloro-acetanilide 1.2.6 .5 Rendic. della R. Acc. dei Lincei, 21 marzo 1920 e Della forma cristallina della nitro- di-bromo-acetanilide 1.2.6,5, Rendic. della R. Acc. dei Lincei. Luglio 1920. — 451 — I cristalli, che, come è detto sopra, furono ottenuti per raffreddamento da alcool, hanno abito prismatico, qualche volta alquanto appiattito se- condo }010} (fig 1). Dei prismi verticali è ordinariamente presente sol- tanto }210}. I due prismi obliqui }111} e {111} hanno sviluppo poco diverso; tanto che la sostanza presenta non di rado aspetto pseudorombico. La }301} è rara. ANGOLI OSSERVATI SPIGOLI © ANGOLI misurati N ic ua calcolati O o / o’ o È (010) (111) 12 62.24—63.19 62.52 * (010).(210) 29 56 19-57.26 Dit * (210).(111) TI 54.18-54.38 54.26 t (010).(I11) 15 61.26-62.28 61-55 61.52 (111).(10î) 6 26.50-27. 4 Deal DIS (010).(110) 1 — 37.48 37,39 (110).(210) 1 _ 19. 2 19,24 (210).(210) 15 65.86-66.10 65.51 65.54 5 (210).(101) 4 67.45-68.37 68. 5 67.59 (101).(I11) 4 02.47-53.26 58.12 3.28 (I11).(210) 10 68. 2-59. 4 98 33 58.32 (111).(I11) 8 56. 8-56.23 56,14 56.16 (111).(111) 7 71.18-71.54 71,94 71.40 (111).(111) 7 4142-42. 6 41.50 41.52 (111).(111) 2 54. 6-54. 7 54, 63 54.16 (111).(210) 2 84.58-85. 9 85. 31 85. DI (111).(301) 1 — 79.36 79.35 (I11).(301) 2 40.44-40,47 40.45 I 40.42 (210).(301) 2 48.41-48,44 48.42 4 48.47 — 452 — Sfaldatura distinta non osservata. Sulla {010} una direzione d'estinzione fa circa 3° con l’asse verticale nell'angolo piano ottuso [010 . L10].[010.111]. Il colore dei cristalli è rossiccio, a macchie, e dovuto evidentemente a tracce di impurità. — P..iSpio aL, 85% P. M. = 293,448 VI =2158,02 NEMO w = 5,9714 w = .3,4198 Questi cristalli, abbandonati a sè stessi, subiscono talvolta una trasforma- zione, diventando opachi: il p. sp. di alcuni di questi cristalli trasformati fu tro- vato = 1,868. Immersi nella soluzione satura della sostanza, si trasformano anche più rapidamente e più facilmente, coprendosi di aghetti della fase triclina. Modificazione 8, stabile. Di questa modificazione non mi è riuscito di ottenere cristalli ben mi- surabili, quantunque abbia insistito nelle prove di cristallizzazione, a varie temperature, da diversi solventi. Relativamente migliori sono quelli ottenuti per lenta evaporazione da etere acetico; in questi si può notare una evidente rassomiglianza con la forma triclina della nitro-di-bromo-acetanilide. Si tratta di lunghi ed esili individui prismatici, che presentano, orientandoli come la sopra detta sostanza, le forme: }100} , {010} , 4001} ,}110},}110},{111},}111j; quest'ultima forma, della quale non osservai che un'unica faccetta, non cor- risponde ad alcuna delle forme trovate nei cristalli del nitro-di-bromo-derivato. Costante sembra essere la geminazione secondo {010}, la quale, con le nu- merose lamelle alternanti, inserite fra i due individui, rende anche più dif- ficile la misura goniometrica, già gravemente ostacolata dalla profonda sol- catura delle facce della zona verticale e dalla imperfezione di quelle terminali, multiple e curve. Non essendo in queste condizioni possibile ottenere un sufficiente nu- mero di misure abbastanza attendibili per il calcolo delle costanti, sono co- stretta a limitarmi a riportare alcune delle misure meno imprecise, confron- tandole coi valori calcolati per il nitro-di-bromo-derivato. — 453 — SEE ANGOLI OSSERVATI ALOIO misurati Ri i e calcolati ti LATO ON o 1 (110).(010) 4 45.49-47.27 46.38 47.23 (010).(001) 2 T0.A4-78.— 77,52 17.21 (100).(010) 1 — 68. 3 68.41 (100),(110) Il —_ 38. 8 38.13 I (110).(010) 4 30. 3-32.40 81.41 30.27 I (II1)(100) 2 54.—-55.16 54.38 94.32 (I11).(010) 5) 3.51-44.15 44, 25 44.233 (I11).(001) 1 -- 71.38 70.31 (IT1) (110) 4 37.38 -39. 6 38. 6 37.47 (111).(II1) 1 —_ 66. 6 67. 2 (111).(110) 1 —_ 42.48 42.26 (111).(001) Il _ 44.52 45.39 (111).(010) ni _ 69.35 70.193 Sfaldatura facilissima e perfetta secondo la }010{; le lamine di sfal- datura sono tenere e flessibili. Dalla {010} esce quasi normalmente la bisettrice acuta degli A. O., negativa. Sulla stessa faccia la traccia del piano degli A. O. per la luce gialla fa circa 56° nell'angolo # ottuso. Piospio="89T Questi dati morfologici, fisici e ottici sono sufficienti per far ritenere almeno molto probabile l’isomorfismo di questa modificazione della nitro- cloro-bromo-acetanilide 1.2.6.5 col di-bromo-derivato corrispondente. Per dimostrare in modo più sicuro questo isomorfismo ho preparato e fatto cri- stallizzare da etere acetico una miscela di quantità equimolecolari delle due sostanze. Dei risultati di questa ricerca renderò conto in altra prossima Nota. ReENDICONTI. 1922, Vol. XXXI, 2° Sem. 83 Mid — Fisiologia. — £icerche sull’arginasi. VI: Modificazione al metodo volumetrico di ricerca dell’arginasi (*). Nota del dott. ANnTO- NINO CLEMENTI, presentata dal Corrisp. S. BAGLIONI (*). a) FONDAMENTO TEORICO. - Il metodo per lo studio dell'arginasi da me elaborato e descritto nel 1915-14 consiste nel dosaggio dell’azoto aminico in posizione delta della ornitina, che si mette in libertà in seguito alla scissione idrolitica della molecola dell’arginina: l'impiego del metodo del dosaggio al formolo è fondato sul fatto che, l'arginina si comporta alla titolazione al formolo, come un acido monovalente, laddove l’ornitina, che deriva dalla scissione idrolitica dell'arginina, si comporta come un acido bivalente. Con questo metodo io sono riuscito a superare una delle maggiori dificoltà, che prima presentava la ricerca dell'arginasi, consistente nel lungo e indaginoso dosaggio dell'arginina con la precipitazione al nitrato d'argento; non sì superava però la difficoltà tecnica derivante dal lungo e difficile metodo di preparazione dell'arginina allo siato chimicamente puro di solfato, ado- perato come substrato. Allo scopo di superare questa difficoltà e di semplifi- care la ricerca dell'arginasi nei tessuti o nei liquidi dell'organismo ho pensato di usare come substrato, invece dell’arginina isolata allo stato di solfato, il liquido di idrolisi ottenuto idrolizzando con acido solforico l’edestina (il quale, liberato mediante precipitazione con barite dall’acido solforico e dalle sostanze uminiche contiene oltre l’arginina allo stato di solfato. gli altri aminoacidi dell'edestina e piccola quantità di ammoniaca), oppure, il precipitato otte- nuto con acido fosfovolframico da tale liquido di idrolisi (il quale, come è noto, risulta costituito dalle basi esoniche, oltre che da una piccola quantità di ammoniaca). Il fondamento teorico dell'uso di questi liquidi come substrato per la ricerca dell'arginasi nei tessuti è .il seguente: in base alle analisi chimiche esistenti | Kossel e Kutscher (*)], possiamo affermare, che in questi liquidi non è presente, tranne l'arginina, nessuna sostanza chimica la quale per azione dei tessuti in vitro, dia luogo ad un aumento dell'azoto titolabile al formolo; teoricamente quindi, ogni aumento della quantità di azoto titolabile al formolo, determinato in vitro da tessuti od organi, sì può (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Fisiologia umana della R. Università di Roma. (2) Pervenuta all'Accademia il 23 agosto 1922. (3) Kossel e Kutscher, Beitrag cur Kenntnis der eiweisskorpern, Zeitseh. i. physiol, chem, XXXI, 1900. — 455 — considerare come l’indice della scissione dell'arginina presente, mentre la mancanza di aumento della quantità dell'azoto titolabile al formolo si può considerare come indice della mancata scissione dell’arginina. Per la dimostrazione del rigore del principio, su cui si fonda tale modi- ficazione alla tecnica del metodo, e dell’esattezza dei risultati, che sperimen- talmente se ne ottengono, l’erperimentum crucis consiste nel fare agire sul substrato rappresentato dal liquido di idrolisi o dal precipitato fosfovolframico del liquido dell'idrolisi di edestina, tessuti nei quali è presente l'arginasi (fegato di mammiferi) e tessuti nei quali l'arginasi è assente (distrutta dal calore (fegato di mammiferi bollito) o assente naturalmente (fegato di sauropsidi) (*)) e ricercare, se nel primo caso ha luogo aumento dell'azoto titolabile al formolo, e se nel secondo tale aumento manca. b) TecnNICA E RISULTATI. — 1°) Impiego del liquido di idrolisi del- l’edestina come substrato per la ricerca dell’arginasi negli organi. ll liquido di idrolisi dell'edestina (ottenuto bollendo in apparecchio a ricadere su bagno di sabbia per 48 ore 100 grammi di edestina in 750 centim. cubi di acido solforico al 20 °/,) viene liberato dall’acido solforico e dalle sostanze uminiche per precipitazione con barite, il filtrato debolmente acido viene concentrato per evaporazione su bagno-maria e neutralizzato esattamente al tornasole con idrato di sodio. A questo liquido così preparato e distribuito in diverse beute nella quantità di 5 o 10 cc., si aggiungono volumi esattamente misurati di poltiglia di organo diluita con soluzione fisiologica di cloruro di sodio e ottenuta pestando in mortaio di porcellana con polvere di quarzo il tessuto o l’organo in cuì si ricerca l'arginasi; identico volume della stessa poltiglia d'organo senza aggiunta di liquido di idrolisi viene usata come con- trollo; a tutti i campioni si aggiungono alcuni ce. di toluolo: le beute vengono poste in termostato a 37°-40° per alcuni giorni e quindi si procede alla titolazione al formolo fino al colore rosso intenso della fenolftaleina. (1) Clementi, La distribuzione dell’arginasi nell'organismo e nella serie dei vertebrati. Rend. Acc. Lincei, vol. XXIII, 1914. — 456 — TABELLA I. Quantità di NaO0H '!/10 7 necessaria per titolare al formolo Durata Arginina della il liquido renato . i liquid | liquido aminico scissa m: OrGANO a adi Jdrolisi la poltiglia liberato ARESE di idrolisi |dell'edestina (corrispon- in termostato : E ILLE d'organo dente (calcolata) dell'edestina | la poltiglia all'oana a g7o d'organo formatasi) (cc.) (cc.) (cc.) (cc.) (mg.) (giorni) Fegato di scimmia (ma- CACUSWMESUS):, Ci 3005 36.0 TEO 4,5 - 156 bj Fegato di scimmia (ma- cacus resus) bollito per mezz'ora . . . 30.5 36.5 6.0 0.0 0 3 Fegato umano. . . . 30.5 37.0 3.2 SS TSO 3 Fegato di gallina . . 30.5 32.5 2.1 0.0 0 4 Fegato di ratto albino 30.5 36.9 2.5 3759 135 4 2°) Impiego delle basi esoniche dell’edestina come substrato per la ricerca dell'arginasi negii organi. Il liquido d'idrolisi dell'edestina (otte- nuto come sopra) viene liberato dalle sostanze uminiche e dall'acido solforico mediante precipitazione con barite; il filtrato avente un'acidità del 5 °° viene precipitato con acido fosfovolframico; l'acido fosfovolframico viene allontanato mediante precipitazione con barite e l’eccesso di barite viene allontanato facendo passare attraverso il filtrato una corrente di anidride car- bonica; il filtrato così ottenuto è rappresentato dalle basi esoniche e dalla ammoniaca allo stato di carbonati: risultando dalle mie ricerche precedenti, che l'arginina allo stato di carbonato non sì può adoperare come substrato per la ricerca dell’arginasi impiegando la titolazione al formolo, ho allontanato l'acido carbonico mediante barite e il lieve eccesso di barite mediante precipita- zione con acido solforico ; il liquido così ottenuto (nel quale sono presenti sola- mente solfato di arginina, solfato di lisina e solfato di istidina oltre una piccola quantità di cistina e di solfato di ammonio), neutralizzato esattamente al torna- sole con idrato di sodio, viene usato come substrato ; a tal uopo si distribuisce in diverse beute, nella quantità, esattamente misurata, di 5 o 10 cc. e si aggiun- gono volumi, esattamente misurati, di poltiglia di organo diluita con soluzione fisiologica di cloruro di sodio, e ottenuta pestando finemente in mortaio di porcellana, con polvere di quarzo, il tessuto o l'organo, in cui si vuole ricer- care l'arginasi; identico volume di poltiglia d'organo viene usato come con- — 457 — trollo; a tutti i campioni si aggiungono alcuni ce. di toluolo; le beute ven- gono poste in termostato a 379-40° per alcuni giorni e quindi si procede alla titolazione al formolo (per ottenere risultati esatti è necessario raggiun- gere nella titolazione il colore rosso 7r/erso della fenoltaleina). TABELLA Il. Quantità di NaOH !/10 n necessaria per titolare al formolo - RA Durata le basi ; Avesnine della 5 io SAMTIONO RO i permanenza a del liquido ) scissa OrGANO esoniche | “i*jarolisi | la poltiglia | | liberato in termostat del liquido |gell'edestina (corrispon- lie in termostato d’ idrolisi più d'organo dorita = | CAlcolata) ii Loro i È poltiglia all’ornitina (1) dell’edestina d'organo for matasi) (ce.) (CC5) (cc.) (ce.) (mg.) (giorni) Fegato di scimmia (ma- COCUS TOSUS), — «+ 10.4 15.4 2.1 2.9 100 4 Fegato di scimmia (14- cacus resus) bollito per mezz'ora . . . 10.4 11.8 1.4 0.0 0 4 Fegato umano. . . . 5.2 9.0 2.0 1.8 62 4 Fegato di gallina . . 5.2 6.8 1.8 0.0 0 4 Fegato di ratto albino 5,2 8.4 1.4 1.8 62 4 CONCLUSIONI. Dalle esperienze surriferite risulta, che facendo agire in vitro in pre- senza di toluolo sul liquido di idrolisi o sul precipitato fosfovolframico (basi esoniche) del liquido di idrolisi acida di edestina la poltiglia di fegato di mammiferi (scimmia, uomo, ratto), in cui l'arginasi è presente, si ha un forte aumento dell'azoto titolabile al formolo, mentre questo aumento non ha luogo se sì adopera il fegato di mammiferi bollito o il fegato di sauropsidi (gallina), in cui l'arginasi è assente. In base a tali risultati possiamo concludere, che l'aumento dell'azoto titolabile al formolo nel liquido di idrolisi o nel preci- pitato fosfovolframico del liquido di idrolisi acida di edestina su cui abbia agito la poltiglia d'organo corrisponde all'ornitina formatasi per la scissione dell’arginina operata dall'arginasi presente e quindi, che tale aumento del- l'azoto titolabile al formolo, conformemente alla teoria, è l'indice della presenza dell'arginasi in un organo 0 in un liquido dell'organismo. (1) La quantità di arginina scissa si ottiene moltiplicando il numero di eme. di Na0H !/19, che corrisponde all'aumento dell’N titolabile al formolo, per il fattore co- stante 34,79 (2,8 X 4X3,1071). Questi dati possono utilizzarsi per l'elaborazione di un nuovo metodo di dosaggio dell’arginina presente nei tessuti e nelle proteine. Ag. — Biologia. — Nuovo sistema (mobile) e nuovi strumenti per radiumterapia. Nota del dott. Luro1 CAPPELLI, presentata dal Corrisp. S. BAGLIONI ©. L'attuale tecnica radiumterapica, la quale pur tanti allori sta mietendo nella cura delle umane infermità, presenta nondimeno delle gravi lacune, che ne rendono troppo limitati ed incompleti i prezioni benefici. Dalla let- teratura e dalla mia personale pratica mi fu dato riassumere queste man- chevolezze: 1°) eccessiva ristrettezza dei campi d'irradiazione; 2°) discontinuità spaziale dei medesimi; 3°) assenza d’uniformità nella distribuzione complessiva del fascio radiale; 4°) inattendibilità del dosaggio di radiazioni non uniformemente di- stribuite ; 5°) criterio arbitrario, per lo più economico, nella scelta, acquisto, uso degli apparecchi di Radium — 60) nnpossibilita ar trure dovunque ed uniformemente dei fuochi incrociati : 7°) eccessiva durata della cura. Ora, simili difficoltà ed altre di minor conto, poste di fronte ai grandi, sebbene parziali risultati già in sì imperfetto modo ottenuti, ed alle spe- ranze concepibili per l'avvenire, mi parvero argomento degno dello studio più assiduo, rivolto comunque a trovarne una soluzione. Allo stato attuale della scienza, impossibile ci è per ora d' influire sulla sorgente radioattiva per aumentarne l'effettivo rendimento. Ma il Radium non è che la causa dei fenomeni biologici da esso provocati. E posto che sulla causa io dovetti rinunciar d'esercitare azione alcuna, mi rimase tuttavia da studiare se non avessi in qualche modo potuto aumentar la portata degli effetti. Il Radium è per l'elemento biologico uno stimolo. È noto che l’effetto degli stimoli in generale, non cessa istantaneamente con l'istantanea sop- pressione di essi, ma persiste un certo tempo dopo l’avvenuta stimolazione. Ora, se questo tempuscolo di conservazione dell'effetto postumo fornì alla natura il modo di farci apparire praticamente continua la contrazione mu- scolare prolungata, quando invece risulta di una serie di contrazioni ele- mentari, determinate da una successione d’impulsi nervosi rapidamente inter- (1) Pervenuta all'Accademia il 25 ottobre 1922. — 459 — - mittenti; se non ci permette di avvertire il rapido accendersi e spegnersi della lampada ad arco alimentata da correnti periodiche, e la sostituzione fulminea dei quadri allo schermo cinematografico, perchè, imitando la natura . e la scienza industriale, non avrei io potuto utilizzare questo effetto postumo, che in patologia presenta anzi il vautaggio d’una durata ancor maggiore? Non sarebbe stato invero difficile spostare una placca di Radium fra due determinati punti di una data zona, in modo da renderla dovunque pre- sente, avanti che l’etfetto postumo lasciato dal suo ultimo passaggio sia estinto. Il ritmo delle assenze intervallari così da tale effetto postumo col- mate, io ne avrei ottenuta la continuità dell’azione biologica su ogni punto, e forse la sommazione delle elementari stimolazioni. In tal modo nacque in me l’idea di mettere in moto le placche. Ideai allora un'asta girante, assicurata nel suo mezzo all'alberello di un motorino elettrico, legai ad essa delle placche. di Radium opportunamente scelte e misì il tutto in rotazione. Ne ottenni allo schermo un disco luminoso con- tinuo ed uniforme, il quale non dimimniva di intensità in seguito all'inter- posizione di 20 lamine di piombo a ?/19 di mm. di spessore ciascuna (= 4 mm.), più di quel che diminniva la fluorescenza delle placche medesime a fermo. Per ottenere i fuochi incrociati, al suddetto sistema girante ne sovrapposi un secondo, sfasai le due metà di ciascuna asta girevole in guisa da for- marne due coppie di alette lievemente inclinate verso il basso, in modo che, due a due, giustaposte. mi dessero una disposizione a tettoia. Ruotando ora questi due sistemi in opposti sensi e con veiocità lievissimamente diverse, in ogni quadrante del cerchio di rotazione, ne ottenni tutte le variazioni possibili del valore angolare, risultante dalla disposizione obliqua delle placche. Ogni punto della superficie e della profondità del campo d’irradia- zione è sottoposto così all'incrocio dei raggi. I vasti eritemi, ottenuti col nuovo sistema, in luogo delle esigue fac- cette, corrispondenti alle limitate superfici delle placche impiegate, convali- dando le mie previsioni, mi fornirono il modo di escogitare un nuovo si- stema radiumterapico, che io applicai in sette strumenti mossi da motorini elettrici e diversi a seconda del loro uso clinico, le cui descrizioni trovansi minutamente esposte in una Memoria in corso di stampa. Riassumendo. I vantaggi inerenti al nuovo sistema sono i seguenti: 1°) irradiazione di una zona molto più estesa della superficie com- plessivamente formata dalla somma delle superficie delle singole placche impiegate; 2°) continuità ed uniformità di distribuzione delle radiazioni su detta zona; [la disposizione delle placche sulle ali non facendosi a caso, ma se- condo un rapporto di proporzionalità diretta tra il loro valore radioattivo e il percorso ad esse affidato (legge di graduazione), ne segue che l’intera su- perficie circolare sottoposta all’irradiamento, risulta come ricoperta da placche — 460 — tutte uguali alla più centrale. La continuità del campo e l'uniformità re- stano così assicurate]; 30) esatto dosaggio delle radiazioni uniformemente distribuite, in modo da potersi con sicura coscienza stabilire la dose adatta ad ogni esigenza di cura; 4°) norme tassative nella scelta, acquisto ed impiego terapeutico delle placche di Radium; [la suddetta legge di graduazione, imponendo invero delle serie di placche di valore definito, ogni arbitrio è abolito, e vien tolto via un caos di valori disparati, in cui si stenta a trovar due campioni di esatta equipollenza]; 5°) economia di Radium, di tempo e di sedute; [il rapporto tra il materiale radiante richiesto dal raggio (o diametro) e quello che esigerebbe l’intera superficie tracciata dalla sua rotazione per esser tutta ricoperta, di- mostrano i suddetti vantaggi]; 6°) fuochi incrociati a tutta la superficie e a tutta le profondità, . accessibili alla quantità del Radium impiegato. Non è dunque la moltiplicazione della materia o dell'energia che io intesi ottenere, ma quella degli effetti, utilizzando una provvidenziale con- dizione offerta dalla biologia. Anatomia. — L'azione degli elettroliti su tessuti viventi, se- parati dall'organismo, studiata col metodo delle colture « in vitro » *). Nota III. Conseguenze dell’azione del cianuro di potassio su colture în «vitro» già sviluppate, del dott. OLIVIERO OLIVO, presentata dal Corrisp. GruseppE LEVI (?). Volli saggiare l'azione del KCN su colture già sviluppate in plasma normale, dopo due giorni che l’espianto fu eseguito. Per questo scelsi sempre colture estese, e nelle quali le cellule erano perfettamente integre; le lavavo in liquido di Ringer, facendo galleggiare il copri-oggetti con la coltura ‘in basso, quindi le passavo nella soluzione di KCN, le lavavo ancora ripetutamente in Ringer, asciugavo accuratamente l'eccesso di liquido, e chiudevo ancora il preparato sul porta-oggetti a incavo. Una soluzione N/1000 (0,0065%), fatta agire per 10 minuti, non ma- nifestò alcuna azione rilevabile, neanche dopo 4 ore del trattamento; solamente dopo molto tempo la coltura degenerò, alterandosi notevolmente la forma (1) Lavoro eseguito nell'Istituto anatomico della R. Università di Torino, diretto dal prof. G. Levi. (*) Pervenuta all'Accademia 1°8 agosto 1922. — 461 — delle sue cellule e presentando i nuclei fortemente picnotici e in parte a contorno rifrangente, con le altre particolarità descritte nella Nota II. Una soluzione N/500 (0,013%) fatta agire per 5 minuti provocò dopo pochi altri minuti l'insorgenza di un numero molto rilevante di mitosi che si arrestavano durante le prime fasi ('); dopo 9 ore dal trattamento le cel- lule erano ancora integre, la superficie occupata dalle cellule migrate si ac- crebbe fino alla 22* ora dopo il trattamento (si misurarono quattro diametri della coltura in osservazioni successive, col micrometro oculare). Dalla 9® ora in poi cominciarono ad apparire dei nuclei alterati nel modo descritto trattando dell'azione del KCN sui frammenti di tessuto (vedi Nota Il). La stessa soluzione N/590, fatta agire per 15 minuti determina in quasi tutte le cellule periferiche dei movimenti di locomozione relativamente vi- vaci dei prolungamenti protoplasmatici, che spesso si allungano notevolmente; dopo 6 ore si possono seguire delle mitosi tipiche; intanto comparisce qua e là l’alterazione caratteristica del nucleo. Fissata e colorata alla 7 ora, si osserva in un limitato settore della coltura un numero molto rilevante di figure di mitosi, dallo stadio di spirema a quello di diaster. Ancora la soluzione N/500, fatta agire per 50 minuti, determina subito in alcuni nuclei l’alterazione caratteristica, altri li rende picnotici: pure qui movimenti protoplasmatici vivaci alla periferia. Le alterazioni degenerative si fanno lentamente più gravi; solo dopo 25 ore quasi tutte le cellule sono profondamente alterate, di forma irregolare, granulose, con nucleo picnotico. Usando soluzioni N/100 (0,065 %) per 3, 5 e 10 minuti, si hanno apprces- simativàmente gli stessi effetti che con la soluzione precedente, cioè movi- menti protoplasmatici vivaci, in qualche caso presenza di molte mitosi, e la consueta alterazione del nucleo; soltanto il susseguirsi di tali fenomeni è molto più rapido. Lo stesso risultato ebbi su una coltura trattata per 5 minuti con una soluzione N/20 (0,325 %). In queste esperienze i fatti più salienti e costanti sono i movimenti protoplasmatici vivaci, la frequenza di mitosi, e la degenerazione più o meno rapida della coltura. Per i primi due fenomeni, non mi pare poter affermare senz'altro che sieno effetto del KCN,, potendo essere attribuiti al lavaggio in Ringer; in quanto ai fatti degenerativi, credo che le cellule migrate sieno più sensibili al KCN di quando fanno parte integrante del tessuto, per due ragioni: in primo luogo perchè durante la migrazione esse si sono for- temente appiattite ed espanse, e presentano a contatto con i liquidi dell’am- biente una superficie molto maggiore di quando stavano nella compagine del tessuto, sicchè il KCN può penetrare più rapidamente e in copia maggiore (1) Un arresto del processo mitotico alla profase o alla metafase non è raro nelle colture; di questo argomento si sta occupando il prof. Le vi. RenpIcoNTI. 1922. Vol. XXXI, 2° Sem. 35 — 402 — nella cellula; tanto più che la cellula migrata nelle colture « in vitro » au- menta di volume, secondo Levi, per un'elevata imbibizione di liquido. Questa condizione ci spiegherebbe l’effetto più rapido del KCN sulla coltura che non sul frammento di tessuto. L’azione nociva che si esplica sulla coltura con soluzioni che risultano innocue sul tessuto, credo doverla riferire al fatto, che cellule che già da 30-40 ore vivono in un’ambiente anormale, hanno subìto qualche alterazione, se anche non rilevabile al microscopio, per cui sono probabimente diventate più sensibili a qualsiasi agente nocivo, fisico o chimico. Si sa come sia inevitabile che qualsiasi coltura, se non viene rinnovata ogni 2° o 3° giorno in nuovo plasma, vada incontro dopo un periodo di tempo più o meno lungo a processi degenerativi. Tali processi è probabile dipen- dano, o da accumulo nel mezzo di coltura dei prodotti del catabolismo cel- lulare, o da modificazioni chimiche (di natura autolitica) che avvengono nel plasma tenuto a 380-400, o dall'esaurirsi nel plasma di una qualche sostanza organica, indispensabile al trofismo normale delle cellule migrate, o da questi e altri fattori associati. Comunque mi sembra verosimile, che se esiste qual- cuna di tali condizioni, l’azione lesiva di una sostanza dannosa per l’inte- grità biologica delle cellule, come sarebbe il caso qui del KCN, possa essere facilitata, perchè portata su elementi che non dispongono più delle stesse ri- sorse (proprie e d'ambiente) degli elementi situati nella loro sede naturale (tessuto appena espiantato). Infine per poter sorvegliare al microscopio quali fossero i fenomeni di morte rapida cagionata dal KCN in soluzioni concentrate, esaminai delle colture normali, attive e integre, dopo aver distaccato il copri-oggetti colla coltura, dalla cella di vetro, e avervi aggiunto una goccia di KCN in solu- zione N/10 (0,65%). Quasi immediatamente le cellule arrotondavano il loro contorno e molte si facevano sferiche (effetto probabile dell'aggiunta di liquido). Dopo 3-4 minuti in molte cellule si forma in un punto determinato della superficie una estroflessione regolare della parete cellulare, per la formazione di una grossa vescicola omogenea, più chiara del resto del citoplasma, e che cresce rapidamente fino a 1/3-1/2 del volume cellulare; scompaiono i condrioconti, la cellula si fa perfettamente rotonda; in pochi istanti anche il nucleo, fat- tosi sferico si dissolve, e il suo contorno diventa invisibile; segue la scom- parsa dei nucleoli: ancora per brevi istanti la cellula è visibile come un grosso disco circolare, chiaro, omogeneo, grande 2-3 volte più della cellula primitiva, in cui si scorgono soltanto i granuli di grassv; poi scompare anche il contorno cellulare; in pochi minuti scompare la visibilità di tutte le cel- lule migrate. Si ha l’impressione che tutti i costituenti cellulari vengano come disciolti e si mescolino costituendo una soluzione omogenea. — 4605 — In un caso, dopo 12 minuti, quando era quasi scomparsa la visibilità della coltura, provai a lavarla in Ringer e prosciugarla dall'eccesso di liquido, ma il risultato fu il medesimo. Usando una soluzione N/20 (0,325) si hanno gli identici risultati, sol- tanto meno tumultuarî, e la visibilità non scomparisce completamente neanche dopo parecchi minuti. Colture così trattate, se si fissano immediatamente e si colorano con ematossilina, lasciano riconoscere in qualche punto delle tracce appena per- cettibili delle cellule scomparse, sotto forma di chiazze leggermente azzurre; moltissimi altri elementi invece sono ancora discretamente colorabili, hanno forma ovale o poliedrica con angoli arrotondati, contorno sfumato, ma è scom- parsa qualsiasi particolarità citologica; sono delle semplici masse omogenee granulose senza struttura, con granuli di grasso. Quanto fu osservato al microscopio circa la distruzione rapida delle cel- lule migrate, rende ragione dell'aspetto insolito che presentano i frammenti di tessuti trattati con soluzione di KCN concentrate (vedi Nota II). Riassunto: Cellule migrate nel coagulo in colture « in vitro » tollerano soluzioni di KON a una concentrazione minore e per un periodo di tempo più breve dei tessuti da cui le cellule provengono; ritengo probabile che în queste condizioni le cellule per la loro grande espansione in superficie e per la riechesza di liquido endocellulare assorbano più rapidamente e în maggior copia il veleno, e che per essere vissute già a lungo in un ambiente anormale sî sieno alterate in qualche modo nella loro costituzione, sì da essere diventate anche più sensibili all'azione del veleno. MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Fermi E. Sul peso dei corpi elastici. Pres. dal Corrisp. ARMELLINI. MacginI M. Ricerche di fotometria fotografica sopra alcune variabili ad eclissi în radiazioni monocromatiche. Pres. dal Corrisp. BeMmPoRAD. RELAZIONI DI COMMISSIONI Il Corrisp. SevERI, relatore, a nome anche del Socio BiaNcHI, legge una Relazione sulla Memoria del dott. FRANcESCO TRIcOMI: Sulle equazioni lineari alle derivate parziali di 2° ordine di tipo misto, concludendo col proporre la inserzione del predetto lavoro negli Atti accademici. La proposta della Commissione esaminatrice, messa ai voti dal PRESI- DENTE, è approvata dalla Classe, salvo le consuete riserve. 35 ici — PERSONALE ACCADEMICO Nell’ inaugurare il nuovo anno accademico con l'odierna seduta, il Pre- sidente VoLtERRA ricorda i Soci di cui l'Accademia ebbe a lamentar le perdite nelle persone del sen. FiLomusi-GuELFI e dei professori FAvARO e BARNABEI, dei quali fa una breve commemorazione, particolarmente ricordando la vasta e lunga opera del Favaro nel far rivivere la grande figura di Ga- LILEO e l’età che fu sua. Dà inoltre partecipazione delle condoglianze perve- nute dall'Accademia delle scienze di Russia per la morte del Socio sen. Ca- PELLINI; e di quelle inviate dalla Società di scienze di Cluj per la perdita del Socio sen. CIAMICIAN. Comunica poscia i ringraziamenti dei Soci recentemeuti eletti e porge il saluto suo e dei Colleghi a quelli che assistono alla seduta. Aggiunge che l'Accademia si fece rappresentare al Cinquantenario dell'Associazione Elettrotecnica Italiana celebrato in Milano, e all’altro Cinquantenario del- l’Istituto geografico militare di Firenze, di cuì ricorda gl’'importanti lavori compiuti in tempo di pace, e durante l'ultimo periodo bellico, a vantaggio del paese nostro. Informa infine la Classe che nel Congresso, a cuni partecipò la nostra Accademia, del Consiglio Internazionale di Ricerche, tenutosi in Bruxelles nel luglio scorso, vennero fondate l’ Unione fisica e l’ Unione geografica. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Presidente VoLTERRA fa omaggio di un volume, del quale discorre rilevandone i pregi e l’importanza, del prof. R_ALMAGIÀ, avente per titolo: L'Italia di Antonio Magini e la cartografia dell’ Italia nei secoli XVI e XVII. Presenta anche un volume pubblicato dall’« Ufficio Invenzioni e Ricerche » su una parte dei lavori compiuti da questo Ufficio durante la guerra, con lo studio di giacimenti italiani di minerali accessorî per la siderurgia; volume che contiene notizie anche oggi molto utili per il progresso della industria italiana. Per invito del Presidente il Socio MiLLosevicH dà numerose no- tizie sulla pubblicazione in questione, parlando dei minerali che vennero studiati per i bisogni del momento e dei loro giacimenti, tanto che si giunse ad aumentare notevolmente nel nostro paese, rendendola quasi cinque volte maggiore, la produzione del manganese e a dare inizio alla produzione del cromo nell'isola di Rodi. Il PRESIDENTE offre a nome dell'autore, il Socio straniero prof. J. Bous- SINESQ, il volume: Cours de Physique mathématique de la Faculté de sciences. Compléments au tome troisième: conciliation du veritable déter- — 4050 — minisme mécanique avec l’existence de la vie et de la liberté morale; di questo volume il Presidente VoLTERRA dà ampia notizia ai Colleghi, rile- vando l interesse che esso presenta per le numerose questioni di vario carattere che l'illustre autore risolve e discute. Il Segretario CastELNUOvO, nel presentare all'Accademia, per incarico avuto dal Socio straniero KLEIN, il 2° volume delle Gesammelte Mathema- tische Abhandlungen dell'illustre scienziato, ricorda l'influenza che l'opera del Klein ha avato sullo sviluppo delle matematiche dell'ultimo cinquan- tennio. Il modo stesso di concepire e presentare i problemi che caratterizza l'esposizione del Klein è divenuto ormai abitudine mentale di molti mate- matici. L'ordinamento dato a queste Opere giova a metterne in luce l'unità di pensiero attraverso alla varietà delle ricerche. Le Memorie sono riunite a gruppi, secondo l'affinità degli argomenti. Ogni gruppo è preceduto da una prefazione in cui l'autore espone il filo conduttore delle ricerche ed il con- tributo portato dai collaboratori. Tre gruppi compariscono in questo volume. Il primo riguarda le que- stioni relative alla forma degli enti geometrici (rami reali delle curve alge- briche, superficie di Riemann, ...); per il loro interesse psicologico vanno segnalati gli scritti dove sono messi a raffronto la nozione di curva empi- rica e il concetto di curva qual'è fornito dall’analisi. Il secondo gruppo contiene le Memorie che hanno servito di prepara- zione e di complemento al noto volume sull’icosaedro e la risoluzione della equazione di quinto grado. Nel terzo gruppo sono raccolti gli scritti che riguardano la Fisica ma- tematica e la Meccanica. Nella prefazione a questa parte del volume parla il Klein del grande interesse che la Fisica ha sempre destato in lui, ed aggiunge che egli si era proposto inizialmente di assimilare i varî rami delle matematiche collo scopo di applicarsi poi, così preparato, alla indagine fisica; egli rammarica quasi che le circostanze gli abbiano impedito di dare a questo ramo della sua attività scientifica lo sviluppo che egli avrebbe voluto. Da questi brevi cenni l'Accademia comprende quale interesse debba de- stare questa raccolta di scritti del nostro Socio straniero. Lo stesso SEGRETARIO fa poi menzione delle varie pubblicazioni giunte in dono, segnalando le seguenti: / professori della Regia Università di Pa- dova nel 1922; Memorie e documenti della Università di Padova, vol. I; Zonta e Borto: Acta gradum Academicorum Gymnasi Patavini ab anno MCCCCVI ad annum MCCCCL; Longo: Albume 0 Endospermo. Il bocio S. PincHeRLE fa omaggio della prima parte della sua opera: Gli elementi della teoria delle funzioni analitiche, in un volume in 8° di pag. 400, e ne discorre brevemente. — 466 — Il Socio medesimo presenta il numero-specimen ed il n. 1 del Bollet- tino dell'Unione Matematica Italiana. Questa Unione, costituitasi sotto gli auspici della R. Accademia dei Lincei ed aderente al Comitato Internazio- nale di ricerche, è sorta da pochi mesi e conta già un rilevante numero di Soci. Colla pubblicazione del suo Bollettino, racchiudente piccole Note, sunti di lavori italiani redatti dagli autori stessi, sunti di lavori esteri, recensioni di opere, corrispondenza e notizie varie, l'’U. M. I. si propone di tenere a cor- rente i proprî Soci, nel migliore modo che le sarà possibile, del movimento scientifico nell'àmbito delle matematiche sia pure che applicate. Il Socio Levi-Civita presenta un suo volume intitolato: Questions de Mecànica clàssica î relativista, contenente le conferenze da lui fatte nel gen- naio del 1921, all'Istituto di studî Catalani, sezione Scienze. ELEZIONI Colle norme stabilite dallo Statuto e dal Regolamento, l'Accademia procedette durante le ferie alla elezione di Soci e di Corrispondenti. Le elezioni dettero i risultati seguenti per la Classe di scienze fisiche, matema- tiche e naturali. Furono eletti Socii Nazionali: Nella Categoria II (per l’Astronomia, Geodesia e Geofisica e applicazioni) : ANGELITTI FiLippo. Nella Categoria III (per la /isica, Chimica e applicazioni): MacaLuso Damiano, PiuTTI ARNALDO e BRUNI GIUSEPPE. Nella Categoria V (per le Scezense biologiche e applicazioni): MorpPuRrGo BenEDETTO, BanTI Guipo, GAGLIO GAETANO, Lonco Biagio e DELLA VALLE ANTONIO. Furono eletti Soci Corrispondenti : Nella Categoria I (per la Matematica, Meccanica e applicazioni): BURGATTI Pietro, PANETTI MopesTo, LomBaRDI LuIiGi e TONELLI LEONIDA. Nella Categoria III (per la Fisica, Chimica e applicazioni): La Rosa MicueLE, Lo Surbo ANTONINO e Spica PIETRO. Nella Categoria IV (Geologia, Paleontologia, Mineralogia e applicazioni): BRrUGNATELLI Luiai e RovERETO GAETANO. Nella Categoria V (Scienze biologiche e applicazioni): HERLITZKA AMEDEO, Foà CarLo, Levi GIUSEPPE, STRAMPELLI NAZZARENO, CASTELLANI ALpo, Russo ACHILLE. — 467 — Furono inoltre eletti Soci stranieri: Nella Categoria 1 (Matematica, Meccanica e applicazioni): WHITTAKER Epmonp T., Lanpau EpMunD. Nella Categoria II (Astronomia, Geodesia e Geofisica e applicazioni): HAGEN GIOVANNI. i Nella Categoria III (/isica, Chimica e applicazioni): STARK GIOVANNI, WILLSTAETTER RiccaRDo. Cd L'esito delle votazioni venne proclamato dal Presidente con Circolare del 1° agosto 1922. Le nomine dei Soci Nazionali furono sottoposte all'approvazione Sovrana. CONCORSI A PREMI Il Segretario Castelnuovo dà comunicazione del Concorso al premio Vincenzo REINA, di L. 3 mila per il 1923, bandito fra i Soci della Società italiana per il progresso delle Scienze, per lavori, scoperte o invenzioni nel campo della Geodesia. 5°C. — 468 — OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ ACCADEMIA presentate nella seduta del 5 novembre 1922. AGaMmannoNE G. — Il suono dei fili tele- grafici, il cattivo tempo e l’agitazione microsismica (Estr. da « La Meteoro- logia Pratica », n. 3). Subiaco, 1922. 89, pp. 1-4. AGAMENNONE G. — I fenomeni sismici al Vesuvio dal 1892 al 1905 (Estr. dal « Bollettino della Società sismologica italiana », vol XXITI). Modena, 1922. 89, pp. 164. ALBERTATTI G. — Lettera intorno alla in- venzione degli occhiali. Roma, 1922. 89, pp. 1-24. Aumagià R. — L’« Italia » di Giovanni Antonio Magini e la cartografia del- l'Italia nei secoli XVI e XVII. Na- poli, 1922 4°, pp. 1-183. Amopeo F. — Gli Istituti accademici di Napoli dal 1525 al 1860 (Estr. dagli « Atti dell'Accademia Pontaniana », vol. LII). Napoli, 1922. 89, pp. 1-23. Amopko F. — L'Osservatorio astronomico Capocci, De Gasperis ed altri (Estr. da- gli« Attidell’Accademia Pontaniana », vol. LII). Napoli‘ 1922. 89, pp. 1-28. BarTAGLIA M — Direzione anormale del- l’appendice (Estr. dagli « Annali ita- liani di chirurgia », anno I. pp. 251- 253). Napoli, 1922. 8°, BeRLESE A. — Il limite della sterilizza- zione a caldo. Cecina, 1922 8°, pp. 1-3. BertoLINI F. — Ricerche sulla struttura del tegumento delle larve di « Pieris brassicae » (Estr. dal « Redia », vol. XV, pp. 69-71). Firenze. 1922. 80. Boussinesa J. — Cours de physique ma- thématique de la Faculté des sciences. Paris, 1922. 89, pp. r-xLviti, 1-217. CanovertI C. — Osservazioni e critiche su errori commessi nel metodo di de- terminare la contrazione nel senso del moto nella teoria della relatività (Estr. dagli « Atti dell’Accademia Rovere- tana degli Agiati », vol. V). Ruvereto, 1922. 8°, pp. 1-15, CarnovaLe L. — An Original Conception for the Practical Advent of Universal Perennial Peace and Brotherhood. Chi- cago, 1922. 12°, pp. 1-64. Cavazza F. — Studio sperimentale di al- cuni casi di determinazione del sesso e di partenogenesi (Estr. dal « Redia », vol. XV, pp. 19-68). Firenze, 1922. 8°. Il controllo dell’attitudine lattifera nella produzione e nello sfruttamento dei bovini. Crema, 1922. 8°. pp. 1-76. De AncrLIS D’Ossar G.— Sugli scisti bi- tuminosi di Castiglione e Monte Lo- vesco in territorio di Gubbio (Umbria), e sulla loro origine (Estr. dalla Ri- vista « La Miniera italiana », anno VI). Roma, 1922. 8°, pp. 1-14. De DoxpER TH. — Premiers compléments de la gravifique Einsteinienne (Extr. dles « Annales de l’Observatoire royal de Belgique », tome 1). Paris, 1922. 4°, pp. 1-85 DE Losana y Puca C. — Las anomalias de la gravedad (Extr. da los « Anales de la industria minera », tomo VII, pp. 101-143). Lima, 1920. 8°. De Paupo VeLaxo M. — Solution géné- rale du problème de l’élasticité. Sé- ville, 1922. 8°, pp. 1-8. FicARI F. — Sul cimento a tensione dei solidi prismatici (Estr. dal « Giornale del Genio Civile », anno LX). Roma, 1922. 8°, pp. 1-12. FortIccHIA N. — La produzione zootecnica italiana (Estr. dai « Nuovi Annali del Ministero per l'Agricoltura », anno II). Roma, 1922. 8°, pp. 1-43. FraAcanzanI G. A. — L'uovo di gallina (Estr. dalla Rivista « Bassa Corte », fasc. nn. 52,58, pp. 1038-1136). Este, 1922. 8°. — 469 — FRACANZANI G. A. — Osservazioni sull’av- visatore nei trattamenti antiperonospo- rici (Estr. dalla « Rivista di Agricol- tura di Parma »). Parma, 1922. 129, pp. 1-20. IvaLpi G. — Erroneità del principio delle quantità di moto (Estr. dagli « Atti della Società italiana per il Progresso delle scienze», an. 1921). Città di Castello, 1922. 8°, pp. 1-7. Ivatpi G.— Sui moti di rotazione e sulle legsi che li governano (Estr. dalla « Rassegna Tecnica Pugliese », fasci- colo 11-12), Bari, 1922. 8°, pp. 1-13. IvaLpr G. — Sulla teoria della relatività del tempo e dello spazio di Alberto Einstein, nei rapporti dei fenomeni luminosi ed elettrici (Estr. dal Gior- nale « L’Elettricista », vol. I). Roma, 1922. 89, pp. 1-14. KLEIN F. — Gesammelte mathematische Abhandlungen. Bd. II. Berlin, 1922. 8°, pp. r-vi, 1-713. Lecat M. — Abregé de la theorie des dé- terminants à # dimensions avec de nombrenx exercices. Gand, 1911, 49, pp. i-xv, 1-156. Lecat M. — Bibliographie des séries tri- gonométriques avec un appendice sur le calcul des variations. Bruxelles, 1921. 8°, pp. i-vin, 1-167. Lecat M. — Bibliographie du calcul des variations 1850-1913. Paris, 1913. 89, pp. seiv, 1-112. Lecat M. — Bibliographie du calcul des variations depuis les origines jusqu'à 1850. Paris, 1916. 8°, pp rr, 1-92. Lecat M. — Déterminants d’éléments X et L (Extr. des « Annales de la So- ciété scientifigue de Bruxelles », tome XL). Louvain, 1921. 8°, pp. 1-26. LecaTt M. — La tension de vapeur des melanges de liquides. L'azéotropisme. Bruxelles, 1918. 8°, pp. I-xir, 1-316. Lecat M. — Legons sur la théorie des déterminants è x dimensions avec ap- plications è l’algèbre, à la géometrie ecc. Gand, 1910. 4°. pp. r-xx1v, 1-223. Lecat M. — Some Merageneous Superde- terminants (Extr. from the « Tohoku Mathematical Journal», vol, V, pp. 119- 135). Sendai, 1914. 89. LecaTt M. — Sur diverses formes remar- quables des produits et puissances de trois coléterminants cubiques (Extr. des « Annales de la Société scientifique de Bruxelles », tome XLI, 1911-1922, pp. 187-195). Louvain, 1922. 8°. Lecat M. — Sur Ja décomposition des , pénédéterminants et déterminants (Estr. dai « Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo », tomo XLIV). Balermo, 1920. 8°, pp. 1-13. Lecat M. — Sur les déterminants géné- raux ou fonctions analogues è premiers mineurs nuls (Extr. des « Anmales de la Société scientifique de Bruxelles », vol. XXXIX). Louvain, 1920. 89, pp. 1-32. Lecart M. — Sur une généralisation des déterminants, qui permet la multipli- cation par files, mèine quand les classes des facteurs sont impaires (Extr. des « Annales de la Société scientifique de Bruxelles ». tome XXXIX), Louvain, 1920. 8°, pp. 1-15. Levi-Cirvita T. — Qiestions de mecànica clàssica i relativista. Barcelona, 1921. 89, pp. 1-vu, 1-151. Liva E. — Il calore su l’intensità attrat- tiva della meteria. Senigallia, 1922. 5°, pp. 1-15. Locgvyer W. J. S. — On the Relationship between Solar Prominences and the Co- rona (Repr. from the « Monthly No- tices of the Royal Astronomical So- ciety n, vol. 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PincHErLE S. — Gli elementi della-teoria delle funzioni analitiche. Parte I. Bo- logna, 1922. 89, pp. vu, 1-401. I professori della R. Università di Padova nel 1922. Bologna, 1922. 89, pp. 1-289. Rendiconti dei lavori dell'Ufficio invenzionie ricerche, vol. I. Roma, 1922. 89,pp.1-142. Son STenSIÙ E. A. — Triassic Fishes from Spitzbergen. Vienna, 1921. 4°. pp. r- xxvII, 1-305. Troporo G. — Sopra un particolare or- gano esistente nelle elitre degli ete- rotteri (Estr. dal « Redia », vol. XV, pp. 87-95). Firenze, 1922, 89. Troporo G. — Sulla struttura delle elitre negli emitteri eterotteri (Estr. dal « Redia », vol. XV, pp. 79-86). Fi- renze, 1922, 89, VeBLEN 0. — Normal coordinates for the geometry of paths (Repr. from the « Proceedings of the National Aca- demy of Sciences », vol. VIII, pp. 192- 197). Washington, 1922. 80, WALLEN A. — Nya forskningar 6ver màn- niskans och kulturens utveckling i forhàllande till klimatet. Stockholm, 1922. 80, pp. 1-32. WaLLÈN A, — Vattenstands forutsàgelser. Stochkolm, 1922. 12°, pp. 1-17. Zonta G. — Acta graduum Academico- rum Gymnasii Patavini ab anno MCCCCVI ad annum MCCCCL. Pa- tavii, 1922. 89, pp. 1-x1, 1-569. Zeppa C. — La temperatura a Cagliari. Risultato delle osservazioni fatte nel nel ventennio 1893-1912 nel R. Os- servatorio Meteorologico di Cagliari. Cagliari, 1922. 89, pp. 1-15. MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Fermi E. Sul peso dei corpi elastici (pres. dal Corriap. Armellini) . . . . .. .. Maggini M. Ricerche di fotometria fotografica sopra alcune variabili ad eclissi in radia- zioni monocromatiche (pres. dal Corrisp. Bemporad) . . . .. RELAZIONI DI COMMISSIONI Severi relatore, e Bianchi. Sulla Memoria del dott. Tricomi: « Sulle equazioni ecc. . . PERSONALE ACCADEMICO Volterra.(Presidente). Commemora i Soci Filomusi-Guelf, Favaro e Barnabei. Comunica i ringraziamenti dei Soci recentemente eletti.’ Dà notizia della celebrazione dei Cin- quantenarii della Associazione Elettrotecnica Italiana e dell’ Istituto geografico mili- tare, e dei lavori del Consiglio Internazionale di Ricerche nel recente Congresso di Bruxelles . PRESENTAZIONE DI LIBRI Volterra (Presidente). Fa omaggio di un volume del Corrisp. Almagià; e invita il Socio Maillosevich a dar notizia di una pubblicazione dell'Ufficio d’ Invenzioni e Ricerche. Presenta inoltre un volume del Socio straniero Boussinesg e ne parla . Castelnuovo (Segretario). Presenta; per incarico del Socio straniero A/ein, il 2° volume di un’opera di quest’ultimo, dandone notizia; e varie altre pubblicazioni . Pincherle. Fa-omaggio di una sua opera e ne discorre brevemente Id Presenta ìl primo numero del Bollettino dell’ Unione Matematica Italiana. . , Levi-Cuvita. Offre una copia di um volume contenente le conferenze da lui fatte all’ Isti- tuto di studî Catalani di Barcellona ELEZIONI Volterra (Presidente). Comunica alla Classe il risultato delle recenti elezioni accademiche CONCORSI A PREMI Castelnuovo (Segretario). Dà comunicazione del Concorso al premio Reina RUEBRITINO: BIBLIOGRAFIOOS:0:t 3 oo eolie 8 ent » 463 » » » » n 464 » E) » 466 » » n 466 » E) n » n 467 » 468 RENDICONTI — Novembre 1922. | E, INDICE [| Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 5 novembre 1922. MEMORIE «x NOTE DI SOCI Bianchi. Dimostrazione elementare della infinità degli ideali primi di primo grado în ogni a corporalgebrico: nin ia ge E tI Severi. Una proprietà fondamentale degl’integrali doppi di 18 specie CP 416 Grassi B. Nuovo contributo allo studio dell’anofelismo (paludismo) senza malaria .. . . » 419 Parravano e Mazzetti. Cementazione a mezzo del boro . iL.» 424. ‘ Levi. La reale esistenza delle miofibrille nel cuore dell'embrione di pollo. Osservazioni = sul-cuore vivente ie su. elementi coltivati ‘in'vitro.. 0. 00. Ra 425. NOTE PRESENTARE DA SOCI Belardinelli. Su una serie di funzioni razionali (pres. dal Socio Pincherle) PR Sannia. Nuova trattazione della geometria proiettivo-differenziale delle curve piane. Nota IV (pres..dal'Socio./£. D'Ovidig):; n a I Pontremoli. Potere rotatorio creato in un mezzo isotropo a molecole simmetriche da un campo elettrico e magnetico longitudinali e costanti (pres. dal Socio Cordizo),. . cp CARA Garelli e Angeletti. Intorno alla reazione fra il selenio ed il nitrato d’argento in soluzione acquosa (pres. dal Socio Paternò) .\.0 + 0a + ++» ARTO E I OO LO 440 Visco. Sul valore alimentare dei semi dell’Ervum Ervilia (presentata dal Corrispon- 7 dente Slo: MONACO) EI O) RE E I REI EN NI IR) De Angelis Maria. Della forma cristallina della mitro-cloro-bromo-acetanilide CsH,.NOy.C1,Br. NH(C4H30) (pres idal Sosio Artona 0 RA 0 I: Dda » 450 Clementi. Ricerche sull’arginasi. VI: Modificazione al. metodo volumetrico di ricerca del-- | l'arginasi(pres.cagliCorrisp ag) A RORERI R SR nica SARE Cappelli. Nuovo sistema (mobile) e nuovi strumenti per radiumterapia (pres. Id.) . . .. » 458. Olivo. L'azione degli elettroliti su tessuti viventi, separati dall'organismo, studiata col. metodo delle colture «in vitro n. III. Conseguenze dell’azione del cianuro di potassio su colture « in vitro n già sviluppate (pres. dal Corrisp. Levi). . . <<... +.» 460 (Segue in terea pagina) E. Mancini, Cancelliere dell'Accademia, responsabile, | Pubblicazione bimensile. N. 10. STE = REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI ANNO CCCXIX. 1922 SHRIH QUINTA RENDICONTY® — du Classe di scienze fisiche, matematiche è-aaturali\» Volume X X XI.° — Fascicolo 10° Seduta del 19 novembre 1922. 2° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1922 -ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO — PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE è so ia pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. | | Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano _ una pubblicazione distinta per ciascuna delle «due Classi. Peri Rendiconti della Classe: di icienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re-. golarmente due volte al mese ; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume ; due volumi formano un’annata. 2. Le Note di Soci o Corrispondenti non ‘ possono oltrepassare le 6 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che; ne assumono la responsabilità, non possono superare le 4 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunica- zioni 50 estratti sratis ai Soci e Corrispe denti, e 30 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa | è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproduconà le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca» demia ; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso - parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota pet i critto. IL 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- È cati al paragrafo precedente e le Memorie pro- ‘ priamente dette, sono senz'altro inscrittenei Volumi accademici se provengono da Soci o, da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da ‘estranei, la. Presidenza nomina una Com-. missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una proposta a stampa della Memoria negli Atti dell’Accade | mia o in un sunto o in esteso, senza pregiudizio. dell’art. 26 dello Statuto. - b) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti . contenuti nella. Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all'autore. - d)-Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica ‘nell’ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame dataricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoseritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello. Statuto. 5. L'Accademia dàgratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti 530 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo ‘a carico: degli autori. » RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. mnnnT__n_———_——_—mm_m__TmTy- - Seduta del 19 novembre 1922. F. D'Ovipio, Presidente. NOTE PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sulla rappresentazione iperspaziale delle curve piane. Nota di EnRico BompIANI, presentata dal Socio CastELNUOVO (°). 1. Il prof. Severi ha sottoposto di recente ad un esame critico appro- fondito alcune questioni di esistenza di curve piane soddisfacenti a condi- zioni assegnate (2) ed ha trovato opportuno riferirsi alla rappresentazione delle C” piane sui punti di un Sy ES in particolare le C” con un punto doppio dan luogo ad una ipersuperficie M, d'ordine 3(n — 1)?, contenente 00° Sy_3 (i punti di un Sy-3 corrispondono alle C” con punto doppio assegnato). l Qualora si voglia continuare questo studio (e già il caso delle cuspidi presenta notevole interesse) è necessario avere una rappresentazione delle C* dotate di singolarità più elevate. Assegno in questa Nota l'effettiva costruzione delle varietà che rap- presentano C" dotate di singolarità (a distanza finita 0 infinitesima) a par- (1) Pervenuta all'Accademia il 7 ottobre 1922. (2) F. Severi, Vorlesungen iber algebraische Geometrie [Teubner, Leipzig-Berlin, 1921], Anhang F (pag. 807). RENDICONTI 1922. Vol. XXXI, 2° Sem. 36 IO tire dalle superficie (che dirò di Veronese) PY di Sy che pure st assu- mono a rappresentare le C" piane (). Il ponte di passaggio fra le rappresentazioni — per dirla in breve — di Severi e di Veronese sta in quelle nozioni di geometria proiettivo-diffe- renziale di cui mi sono più volte servito e che si ripresentano anche qui con carattere di assoluta necessità. 2. SUPERFICIE DI VERONESE: INTERPRETAZIONE DEI LORO SPAZI OSCU- LATORI. CURVE SPEZZATE. — Si considerino le rette di un piano 77 ciascuna contata x volte: alle oo? rette del piano si facciano corrispondere gli co? punti della superficie F° di Sy che hanno per coordinate proiettive omogenee 3 n 3 i coefficienti dello sviluppo di DI di xi) essendo Di: a;%; = 0 l'equazione \ 1 1 della retta. Alle rette (contate n volte) passanti per un punto corrispondono su Fi punti di una curva razionale normale d'ordine n che indicherò con y (o y"); brevemente: ai punti di 77 corrispondono le curve y di F. Si consideri lo spazio X — osculatore ?), che indico con S(£)= Sxa+3) » 2 in un punto H di F. Vale il teorema seguente: Ze C” spezzate in una retta (n— k)-pla e in una C* sono rappresentate dai punti dello S(k) osculatore ad F nel punto H che rappresenta la retta (n —X)-pla [così p. es. le C” spezzate in una retta (2 — 1)-pla ed in una semplice si rap- presentano sulla V, dei piani tangenti ad F; le C” spezzate in una C*- ed in una retta nei punti della Vy_,+, luogo degli S(2—1) osculatori ad F]|(*). Zu rappresentazione della C* residua [punto di S(4)] sé fa nello stesso modo rispetto alla superficie di Veronese Fr , contenuta in (1) Vedansi (particolarmente per le coniche) le Memorie di Veronese, Za superficie omaloide etc. [ Mem. Lincei, 19 (3), 1883-84] e di Segre, Considerazioni intorno alla geometria delle coniche etc. [ Atti Acc. Torino. 20, 1885] e i capitoli 14 e 15 della /n- troduzione alla geometria protettiva degli iperspazi di E. Bertini [ Pisa, Spoerri, 1907] Nella Memoria di G. Bordiga, Sul modello minimo delia varietà delle n-ple non or- dinate dei punti di un piano [ Ann. di Matem., s. III, t. XXVII, 1918] si trova studiata, in forma duale, la M,n delle C* spezzate in » rette (ved. in particolare i nn. 5-8). (2) E lo spazio ambiente degli Sx osenlatori alle curve di F uscenti da un suo punto (per XK =1 si ha il piano tangente); può vedersi p. es. la mia Memoria: Proprietà differenziali caratteristiche di enti aljebrici [ Mem. Lincei, 18 (5), 1921] che ha qualche relazione con questo lavoro. (*) Naturalmente ogni configurazioue proiettivamente legata ad F ha interesse per la rappresentazione delle C?; così lo Sx osculatore ad una y in un suo punto H'rappre- senta le C* composte di una retta (n — #)-pla (corrisp. ad H) e di % rette nassanti per un suo punto (corrisp. a y). Ancora: lo spazio Sa+n d+9) _} tangente in un punto alla varietà degli 00° S(k) osculatori ad F rappresenta le C” spezzate in una retta (2 —%k— 1)-pla [corrisp. al punto d'osculazione con F dello S(X) contenuto in Sa+»p &+» .] in una (A+) (+2). 2 retta semplice e in una C*. Etc. S(k) che riesce osculatrice (con contatto d'ordine k) alla FP di SsinH(') (sicchè p. es. una C” spezzata in una retta (n — £)-pla e in una %-pla rap- presentate rispett. dai punti H e H' di Fî° è rappresentata dal punto di intersezione dello S$(%) osculatore in H e dello S(2—%) osculatore in H', o, ciò che fa lo stesso, dall’intersezione degli Sx e S,-x osculatori in H e H' alla curva y che li congiunge: punto che appartiene alle due superficie Fî e FS" osculatrici ad FY in H e H). Si ha così la rappresentazione delle C” spezzate in una o più rette (semplici o multiple) e in una curva residua. Per rappresentare le C” spezzate in una C* e in una C"-* si associ ad una C* fissata una retta (n — £)-pla: al variare di questa il punto rappresentativo della C" così spezzata descrive una FSM" il cui ambiente rappresenta con i suoi punti le O" speszate nella C* fissata e in una re- sidua C_*. 8. CURVE N©ODATE E CUSPIDATE. — Si considerino su Fr una curva yY e gli S(z — 2) osculatori ad F nei punti di y: questi appartengono ad uno spazio Sy-3 che può dirsi (2 — 2) — osculatore ad F lungo y. / punti di Su-3 sono le imagini delle ©" che hanno un nodo nel punto (di 7) rappresentato (su F) da y. Gli 00? Sy_3 relativi alle 00° curve y costi- tuiscono l’'ipersuperficie M delle C” nodate. Gli Sy-, tangenti ad M sono cc? (ciascuno essendo fisso lungo 1’ Sy-3 che contiene): uno di essi può costruirsi come spazio (x — 1) — osculatore ad F lungo una curva y (cioè congiungente # curve y, ya ... y, infinitamente vicine) e rappresenta le C” passanti per il punto che ha per immagine y. Si consideri poi l’Syg (n—3) — osculatore lungo una y (cioè con- giungente y, Ya +. Yn-2) e da esso si proiettino gli S(m — 2) osculatori (ad F) nei punti di y: si ottengono 00! Sy_s costituenti un cono quadrico Vî_y che ha per ambiente l’Syz di prima relativo a y. Gli Sy_y tangenti congiun- gono gli Sy-s relativi a due punti infinitamente vicini di y: diciamo uno di essi punto di contatto dello Sy, con y. Per un punto generico di Sy-s passano due Sy_y tangenti a V® e i loro punti di contatt) con y rappresen- tano le tangenti nodali della C” che ha per immagine il punto di Sy_3. Completiamo quindi l'enunciato precedente così: Le C" con cuspide e tangente cuspidale assegnata si rappresentano nei punti dello Sy_s congiungente lo spazio (n — 3) — osculatore ad F lungo una y (cuspide) con lo S(n— 2) osculatore in un suo punto (tan- gente cuspidale): al variare di questo su y, lo Sx-5 descrive un cono Via rappresentante le C" con cuspide assegnata; i punti di uno Sy4y tangente rappresentano le C" con nodo ed una tangente nodale assegnata. (*) L'esistenza e la costruzione della superficie di Veronese osculatrice si trova nella mia Memoria citata, ultimo enunciato del n. 9. — 474 — 4. CURVE CON PUNTI MULTIPLI. — In modo analogo guadagniamo la. rappresentazione delle C” con un punto k-plo: essa è la varietà costituita dagli co? spazi S_n+r che riescono (n —k)— osculatori ad F lungo NEED: 2 le sue co? curve y (*). Fissiamo una y (quindi il punto %-plo) e consideriamo inoltre lo SO aena:a = Sn-x_1 (x = SEI) che riesce (n—%—1)— oscu- Ms va latore ad F lungo y e da questo proiettiamo gli S(2 —%) osculatori nei singoli punti di y: si ottengono così co! Syx generatori di un cono Vi_x.1. Se di più si considerano gli spazi S__xa+»n che hanno un contatto d'or- {SMETTA 9 dine # con questo cono (congiungenti lo Sy_x relativo ad un punto di y, che si dirà d'osculazione, con gli spazi così costruiti per X —1 punti infi- nitamente vicini su y), situati nell'ambiente del cono S_ xk+», per ogni Yy DA 6 ) : 4 punto di quesito passano 4 di quegli spazi e i loro X punti d'osculazione con y rappresentano le % tangenti nel punto /-plo; queste possono essere in tutto o in parte distinte. Coincidon» p. es. tutte se il punto considerato si trova sul cono Vi_x:1, il quale dunque rappresenta le C” con punto k-plo assegnato e con tangente 4-pla (che rimane fissata quando si fissi lo spazio generatore del cono): il luogo di questi n?® coni (al variare di y) rappresenta la totalità delle C" che posseggono un punto k-plo con tan- gente k-pla (ivi). 5. PUNTI MULTIPLI successivi. — Chiuderò questa Nota indicando la rappresentazione delle C* dotate di due punti doppi infinitamente vicini (tacnodo). Si consideri una y (immagine del tacnodo) ed un suo punto H (imma- gine della tangente tacnodale): si congiunga poi lo Syo (2 — 4) — oscu- latore ad F lungo tutta la y con gli spazi (2 — 8) — osculatori ad F in H e in due punti H' e H” infinitamente vicini ad H su y (si ottiene così un Sy_7) e con lo spazio (n — 2) — osculatore ad F in H: /o spazio con- giungente, Syg, rappresenta con i suoi punti le C" che hanno il tacnodo e la tangente tacnodale assegnati. Invece: lo spazio Sy-s congiungente lo Sx10 con lo spazio (n — 2) osculatore ad F in H ruppresenta le C" di prima per le quali îl tacnodo è armonico (secondo la denominazione di Segre). 6. La rappresentazione analitica delle varietà così introdotte (e delle analoghe) si ha dalla notissima rappresentazione parametrica della F con sole operazioni di derivazione: indi la formazione d'invarianti per le forme ternarie. (!) Il risultato vale anche per n=%: la varietà degli 00° Sn delle y rappresenta, coi suoi punti, le C* spezzate in n rette formanti fascio. — 475 — Geometria. — Sur la géométrie d’une surface et sur le facteur arbitratre des coordonnees homogenes. — Nota di EDUARD CECH, presentata dal Corrispondente Guipo FUBINI ('). 1. Une surface S non développable soit définie par les équations Si CUORI LUO) ainsì que le facteur arbitraire de coordonnées 7 est donné, d'ailleurs arbi- trairement. On peut fixer (>) le facteur arbitraire des coordonnées homo- gènes È, é», 3, é, intrinsèquement par la supposition que le rapport des &; au mineurs des X; dans le déterminant | da da x| 2 5]0 du dd | L'équation F,.=— SdadE= 1, du + 24, dudv + 4,9.dv° = 0 definit les courbes asymptotiques, et l'équation Fi =- S(drd°5 — did?) = 4; du3 4- + 34119 du? dv + 3430 dudv® + 4399 dv = 0 DI] Di définit les courbes de Darboux de S. On pose encore 1 “01 X;=g5dsti, Si = dati ) (1) Pervenuta all'Accademia il 25 ottobre 1922. (3) À une racine quatrième de J'unité près. (3) Voir ma Note Sur les formes différentielles de M. Fubini, ces Rendiconti, séance du 7 mai 1922. — 476 — 4, étant le paramètre différentiel 1000 par rapport à F.. On démontre facilement les identités DE: ME 1 Dos dI È3 rana ar dif ay pin PES dU ' du VA 41422 du du dI IPER A i (e 9 La Si ’ dE, dE 3l x x È3 — È, = du(% dir dl) dv AZIO, dU du. dL dA) —-—Aslax\: ——1 È »( do) i Si) etc. (*)- On a donc, les accroissements du et dv étant quelconques, Li d&g _ Ia da, = (È3 di, == È, dé3) == 1 dX2 Si DI 2% ) “EER i dol — sede aa» ( du Lu ?) zs| du CONE dv do) |. ete., où j'ai posé mpg du, ainsi que 4, du +40 =F Vi: — Au 439.00, 4A,20u+42,0v= VA: — An 492.0, et 4, du? + 24,3 du dv + 4390v=0. 2. Nous sommes ainsi arrivés au théorème suivant dont nous allons développer quelques conséquences: Zes cordonnées des tangentes asympto- tiques de S sont (1) o, dae, — x, dx, Si: dé, — E, dE3), ete. Supposons qu’'une autre surface S' touche S suivant une courbe C. On choisit le facteur arbitraire des coordonnées 7, ,%:,%3%4 des points de S' de fagon que l'on ait, en chaque point de C, x;= y;. Soient 71,72, 73% les coordonnées homogènes des plans tangents de S déduites des y préci- sément comme nous avons déduites les È des x. Suivant la courbe C, on a Yyi=%,YM= 08. (1) Voir G. Fubini, Fondamenti di geometria proiettivo-differenziale. Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo, t. 48, 1918-19, $ 4. — 477 — Les coordonnées des tangentes asymptotiques de S' sont Yn dya — ya dyi © (nm dna — mu dna), ete., ce qui devient sur la courbe C (2) x, dr, — do dr, E 0° (È, dé, — E dé3), ete. Condition nécessaire et suffisante pour que le contact soit du second ordre (au moins) suivant toute la courbe C, est évidemment =. En chaque point de C, le couple des tangentes asymptotiques de S, et également celui des tangentes asymptotiques de S', appartient à V in- volution dont les éléments doubles sont la tangente de C et la tangente conjuguée. Le rapport anharmonique des deux couples des tangentes asympto- tiques et des deux éliments doubles est 073, 3. Supposons maintenant que € soit une courde de Darboua de S; alors, le long de C, est vérifiée l'équation (3) S(drd*î — dé d*x)= 0. L'équation différentielle des courbes de Darboux de S' est S(dud°n— dyd°y)=0. Le long de C, le prémier membre en est S[da d°(0€) — d(0€)d*]= = o S(da d°È — dé d°x) + do S(2da dì — £d*x)= 3do . Sda dî . Si l'on exclut le cas trivial que C soit une droite, Sdadé ne peut s'annuler; si l'on se rappelle la signification géométrique de o, on peut done énoncer le théorème suivant: .S7 24 courde de contact C (non droite) de deux surfaces S et S' est une courbe de Darboux sur S, pour qu'elle soit aussi une courbe de Darboua sur S', il faut et il suffit que le rapport anharmonique des tangentes asymptotiques des deux surfaces soit constant le long de C. 4. En chaque point de S, l’équation (2) définit les trois tangentes è l'intersection de S et de /a quadrique de Lie du point considéré; si S est une surface réglée, ces trois tangentes coincident dans la génératrice, ou bien deviennent indéterminées; cette dernière circonstance a lieu, si S n'est pas- une quadrique, le long de deux courdes /lecnodales, aux points desquelles S a un contact du troisième ordre avec l’hyperboloide osculateur. Si l'on applique la proposition du numéro précédent, on obtient le théorème suivant: 57 uze courbe C tracée sur la surface S est une courbe de Darboux sur SC est une courbe fiecnodale de la surface engendrée par les tangentes asympto- — 4738 — tiques (') de S le long de C, et réciproquement. Cette nouvelle définition des courbes de Darboux me semble très remarquable. 5. Maintenant, soit C une courbe quelcongue de la surface S. L'identité S[da d?(cì) — d*xd(0€)]= 0F3 4 8d0 F., jointe au propositions qui précèdent, conduit évidemment au théorème suivant: “Soit C une courbe quelconque tracée sur une surface S; on peut distribuer les tangentes de S le long de C en une famille simplement in- finie de surfaces réglées; sur toutes ces surfaces, C est une ligne flecno- dale. En chaque point de C, considérons l'involution ordinaire des tan- gentes de S, dont les éléments doubles sont la tangente de C et la tangente conjuguée. Soit 4 le rapport anharmonique de quatre couples suivants de cette involulion : les deu» éléiments doubles, le couple des tangentes asympto- tiques de S, et celui qui contient la génératrice d’une surface réglée choiste dans la famille mentionnée. L'accroissement de log le long de C est donné par l’intégrale 4 pe 1018 (iu du8 4- 543. dv + 34103 du dv? + 4333 403 SR 935 AU 4 24 sp dudv + 433 dè i et cela de quelle manière que l’on choisisse la surface réglee de la famille. On a ainsi une interprétation géométrique simple de l’é/ément linéatre projectif. Fisica. — Cariche delle lastre coibenti strofinate. Nota del dott. AnGeLO PRATI, presentata dal Corrisp. P. CARDANI. La disposizione adottata dal Cardani in suoi recenti lavori (*) per stu- diare le cariche elettriche, svolte per strofinamento, per mezzo dei fenomeni di ionizzazione e, reciprocamente, per istudiare questi fenomeni per mezzo di dette cariche, mi ha suggerito le esperienze riassunte nella presente Nota, cioè lo studio qualitativo e quantitativo, fatto col galvanometro balistico, delle cariche che si ottengono sopra le lastre coibenti battendone una faccia p. e. con lana e tenendone l’altra a contatto o no con un'armatura in co- municazione col suolo. Il Cardani con una sorgente di ionizzazione costante (disco di ossido di torio) ha mostrato come varia la durata di scarica delle (1) D'un système ou de l’autre, (2) P. Cardani, Rendiconti della R. Ace. dei Lincei, serie V, 2° sem., 1921; N. Ci- mento, serie VI, 1922. — 4799 — lastre eiettrizzate col variare del numero delle battute e come, dopo un suffi- ciente numero di queste, l’ incremento dell'elettrizzazione possa ritenersi insì- gniticante. Mi è parso molto opportuno di applicare questo procedimento per rile- vare e misurare le suddette cariche (cariche elettroforiche), ricorrendo però alla ionizzazione delle punte, la quale provocando una scarica quasi com- pleta e immediata delle facce elettrizzate, avrebbe permesso di fare facil- mente e rapidamente le misure per mezzo di un galvanometro balistico inse- rito tra le punte e il suolo. Lo studio quantitativo delle cariche svolte per strofinamento è stato fatto anche, ma con altri eriterî, dai fisici stranieri Péclet, Riess, Riecke, Morris Owen (1); la questione dell’esistenza della carica della faccia now battuta è stata ampiamente discussa dai fisici italiani Cantoni, Ferrini, Eccher, Righi, Pierucci, Villari (*). Le mie esperienze, ispirate come ho detto dalle recenti del Cardani, in parte si collegano al primo gruppo di questi lavori e specialmente a quello di Morris Owen; in parte al secondo gruppo e in particolar modo alle esperienze del Villari. vat x x Per elettrizzare le lastre, aventi tutte la forma di dischi di 20 cm. di diametro e di 1 cm. di spessore, battevo una faccia, sempre la stessa, con lana e con colpi sensibilmente uguali che contavo, mentre tenevo l’altra faccia armata, con un disco metallico di diametro alquanto minore in buona comunicazione col suolo. Indicherò con B la faccia battuta, con A la faccia opposta. Per misurare la carica di strolinamento, portavo la faccia battuta B a contatto di un sistema di numerose punte saldate normalmente sopra un disco metallico che comunicava col suolo attraverso il galvanometro bali- stico; l'armatura della faccia A era sempre in comunicazione col suolo. Per rilevare e misurare la carica svoltasi sulla faccia armata A, ne trasportavo l'armatura sulla faccia battuta B e, tenendo questa al suolo, avvicinavo la A alle punte. Il senso nel quale deviava il galvanometro mì indicava il segno della carica neutralizzata delle punte. Se infatti la faccia che si scaricava era negativa, la corrente doveva andare, attraverso il galvanometro, dal suolo alla faccia, se positiva, in senso contrario. * x x Le quantità di elettricità svolte per strofinamento crescono da principio quasi proporzionalmente al numero delle battute, poi, piuttosto rapidamente, (!) Morris Owen, Phil. Mg., (6), 17, 1909, pag. 457; vedi Dr. L. Graetz, Handbuch der Elektricitit und des Magnetismus, I-1, pag. 6, Lipsia, 1912. (*) A. Righi, N. Cimento (2), tom. IX, 1873, tom. XIV, 1875, tom. XV, 1886; A. Pie- rucci, ibidem, tom. X, 1873; E. Villari, ibidem (3), tom. XI, 1882. RenpIcontTI 1922. Vol. XXXI, 2° Sem. 97 — 480 — sì raggiunge un vero stato di saturazione elettrica delle lastre. Riporto un unico specchietto formato con le medie delle misure ottenute da numerose esperienze e con tre lastre coibenti che presentano elettricità negativa sopra la faccia battuta e positiva sopra l’altra. La deviazione di una divisione della scala era data da !/,0 di microcoulomb. NUVERO DIvISIONI DEI COLPI i Zolfo Ebanite Ceralacca 20 61 58 49 40 112 125 107 60 149 165 161 S0 165 180 195 100 168 180 202 120 168 _ 204 Questi risultati confermano anzitutto quanto il Cardani ha trovato con la ionizzazione prodotta dall’ossido di toriv e le curve che si possono trac- ciare, portando come ordinate le quantità di elettricità e come ascisse il numero delle battute, concordano con quelle che Morris Owen ottenne por- tando come ordinate le quantità di elettricità e come ascisse il lavoro, in erg, di strofinamento. Analoghi risultati ho ottenuto misurando le cariche di segni opposti che si manifestano sopra la faccia armata contemporaneamente alle cariche di strofinamento e procedendo come più sopra è stato detto. Queste cariche sì comportano come quelle ottenute direttamente per strofinamento e in va- lore assoluto sono di poco inferiori, crescono anch'esse dapprima con lo strofi- namento e raggiungono alla fine un valore massimo quando sulla faccia bat- tuta è raggiunto lo stato di saturazione. È facile constatare che questo stato di saturazione è accompagnato da un crepitìo e da uno scintillìo, ben visibili nell'oscurità, specialmente in pros- simità dei bordi. Questo fatto, comunissimo in altri fenomeni elettrostatici, è prova non dubbia che, almeno ai bordi delle lastre, è soddisfatta la con- dizione per la ionizzazione per urto, raggiunta la quale le due facce ten- dono a scaricarsi fra di loro e per conseguenza le due cariche non possono superare uu valore limite finale. * v x Interessante era il caso in cui la lastra venisse battuta sopra una faccia essendo ben isolata nell'aria e l’altra faccia priva di armatura, perchè pre- cisamente sul segno della carica della faccia non battuta che si osserva in — 481 — questo caso, un risultato sicuro non può dirsi ancora raggiunto. Anzitutto se, dopo aver battuta una faccia della lastra, isolata nell’aria e con la faccia opposta senza armatura, si mette in seguito la faccia non battuta, armata, al suolo, si trova che la carica di strofinamento è minore sempre della ca- rica che si sarebbe ottenuta con un uguale numero di colpi e con l'altra faccia armata. Se poi, dopo l’elettrizzazione della lastra nell'aria e senza alcuna faccia armata, si arma quella strofinata e se ne mette l'armatura in comunicazione col suolo, esaminando la faccia opposta si trova che essa ha sempre carica di nome contrario a quella svolta per strofinamento. Ora è evidente che detta carica non può formarsi nel momento in cui viene armata la faccia battuta allo scopo di esaminare l’altra faccia. Righi, Pierucci e Villari ammisero che, operando come in quest’ultimo caso. tale carica sopra la faccia non stroti- nata si formasse solamente quando l’aria era umida. Io invece l'ho osservata in tutte le condizioni atmosferiche ordinarie e ritengo pertanto che, comunque si strofini una faccia di una lastra coibente si formi sopra la faccia libera non battuta una carica di nome opposto. Nè la polarizzazione del dielettrico può dare una spiegazione plausibile di una carica, come fu dimostrato dal Righi, nè la penetrazione di carica, perchè elettrizzando senza armatura la lastra, è esclusa l’esistenza di una carica indotta la quale possa penetrare nel dielettrico. Io penso che la carica di strofinamento sia condizione suffi- ciente per provocare un processo di ionizzazione nell'aria aderente alla faccia libera non strofinata, e che sopra di questa sì fissino gli ioni di nome opposto alla carica di strofinamento. * * x Risultati identici si ottengono facendo comunicare col suolo, attraverso il galvanometro, un piatto metallico isolato, posando sopra di questo la lastra strofinata con la faccia che si vuole esaminare e avvicinando alla faccia libera della lastrà le punte pure in comunicazione col suolo. Subito si com- prende come si possa con questa disposizione caricare a piacere un condut- tore, p. e. un elettroscopio; per fare ciò basta unirlo, per mezzo di un filo metallico, col piatto che deve portare la lastra elettrizzata e avvicinare alla faccia libera di questa una punta tenuta con la mano. Dirò infine che in tutte le esperienze descritte in questa Nota ho so- stituito alle punte la fiamma di un becco Bunsen ed ho trovato, come si poteva facilmente prevedere, che i risultati non variano nè qualitativamente, nè quantitativamente. TERZO Mineralogia. — Sopra una roccia cloritico-epidotica a glau- cofane ed andesina di Granara nella Liguria occidentale ©). Nota della dott. GruLia DEGL' INNOCENTI, presentata dal Socio CARLO DE STEFANI. Argomento di questo studio petrografico, cioè mineralogico e chimico, è una roccia raccolta in mezzo alle rocce verdi dal prof. C. De Stefani a Granara, presso Pegli in Liguria. La roccia in questione presenta un color verdognolo, una struttura assai minuta ed una scistosità molto spiccata. Salle superficie di rottura perpendicolari alla scistosità si mostrano esili ma distinti straterelli di quarzo, alternanti con altri verdognoli di clorite. Qua e là, distribuiti un po' irregolarmente, si hanno accentramenti di aghetti di un bleu-cupo, quasi nero, dovuti a glaucofane o ad un termine anfibolico, monoclino, sodico, ad esso vicino. Sempre ad occhio nudo, o valendosi di una lente, si notano ancora delle punteggiature di un colore nero lucente, per la presenza di piccoli cristalletti ottaedrici di magnetite: che si tratti realmente di questo minerale basterebbe a provarlo la proprietà magnetica ch’esso presenta quando venga isolato. Della originaria mica bianca non sì osservano quasi più traccie, essen- dosi trasformata in massima parte in clorite. Questa è assai abbondante e contribuisce a conferire alla roccia la scistosità molto marcata ed una par- ticolare lucentezza, quasi sericea. Al microscopio la roccia sì mostra costituita da quattro minerali essen- ziali: quarzo, feldspato, mica, epidoto. Il quarzo appare dovuto ad un fitto ed intimo aggregato di granuli piuttosto piccoli, equidimensionali, a contorno irregolare, dentellato, ed estin- zione ondulata, con minutissime ed abbondantissime inclusioni. L'elemento /el/4dspatico non è scarso ed appare in granuli non troppo piccoli, costituiti da lamelle assai strette, geminate secondo la legge dell’al- bite, a cui di rado si aggiunge quella di Karlsbad. Nelle sezioni perpen- dicolari a (010) le lamelle emitrope estinguono d'ordinario a 3°-4° dalla traccia di geminazione. E poichè l'indice di rifrazione è leggermente supe- riore a quello del balsamo, mi pare si debba trattare di un termine ande- sinico acido. (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Mineralogia del R. Istituto di Studî Supe- riori di Firenze, sotto la guida del compianto prof. E. Manasse. — 483 — Abbondantissima è poi la mica, fortemente cloritizzata, con pleocroismo piuttosto debole e birifrazione ancora assai elevata. Dove la trasformazione in clorite è avvenuta completamente, questa si mostra in lamelle color ver- dolino chiaro, quasi estinte a nicols incrociati e quindi ben poco birifrangenti, e con un pleocroismo abbastanza sensibile che dal gialliccio passa al verde giallognolo. Notevole diffusione prende l’epidoto che si presenta in generale in criì- stalli mal definiti, o meglio in grossi granuli torbidieci e di color giallo olio, ben riconoscibili per la forte rifrazione e per il.pleocroismo sensibile. Si nota poi l’arfibolo il quale mostra un colore azzurro, però non uni- forme su tutta. l’estensione dei cristalli. Questi sono assai allungati secondo l’asse verticale, perpendicolarmente al quale sono attraversati da piani di rottura, se non di sfaldatura. Non mancano sezioni trasverse in cui si notano con evidenza sfaldature secondo (110): ho osservato pure la presenza del pinacoide laterale (010). Il pleocroismo è ben evidente: a= giallo verdognolo; b= viola; c= azzuIro. La divezione di estinzione c fa con l’asse verticale un angolo assai pic- colo che si aggira intorno agli 8°. Per questi caratteri è certamente da con- siderarsi come un anfibolo sodico. Ciò che è più notevole in questi cristalli è il carattere ottico che in taluni è nettamente positivo, in altri. e sono i più, nettamente negativo. Quelli ad allungamento positivo sono da riferirsi a glaucofane, quelli invece ad allungamento negativo sono da attribuirsi a riebeckite. Anche la magnetite non è scarsa e si notano di essa sezioni rettango- lari o triangolari a lati assai netti. Del tutto accessorî sono poi alcuni pinoletti torbidi di titanite, del leu- coreno, dei prodotti ocracei sparsi qua e là e, talvolta, anche qualche raris- sima lamella d’'ematite col caratteristico color rosso sangue. Riguardo all’analisi ho seguito il metodo della disgregazione con car- bonato sodico potassico, mentre per gli alcali mi sono tenuta a quello di Lawrence Smith disgregando la roccia con cloruro ammonico e carbonato di calcio. Infine, in due porzioni separate di polvere ho determinato Fe0 col metodo di Pebal Dòlter e, col molibdato ammonico ho ricercato, però con esito negativo, l'anidride fosforica : HO 956 I e o PA RAD STO n SA I ANI II TO SR e A MR AE TTOCCO ALOst, ee Ae TRNZALO FesOgit. non i MI e LOI Fé0 i.e (i e Cei E ORBio3 Mino: ato. Ser ee ee ON UE Cao ia AE e e AZ INR 103) Me! 08 06 Na 4 pre ae Md a E ROS Kat i RE 1 RI E ENZO PO ai cdi I TE LI EROICO 99,57 Per i caratteri fin qui esposti io ritengo che la roccia in esame si debba considerare come un gneiss cloritico-epidotico a glaucofane ed andesina, originatosi in seguito ad intensi processi metamorfici; lo dimostrerebbero infatti l'abbondanza di clorite e d’anfibolo, e la presenza d’epidoto e di magnetite. Batteriologia agraria. — Normale presenza di batteri nelle radici di numerose fanerogame ('). Nota preliminare di R. PEROTTI e J. CoRrTINI-ComANDUCCI, presentata dal Socio R. PiROTTA (°). Uno di noi ha già segnalato la presenza di bacilli nelle radici della Diplotaxis erucoides D. C.(*)(4) e, fino dal 1910, aveva preveduto che, tra le forme batteriche non simbionti del terreno e quelle che assumono stretti rapporti simbiotici con le radici delle leguminose, esistessero stad/ intermedi di adattamento trofico fra gli stessi microrganismi umicoli e la pianta verde (?). (!) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Batteriologia agraria della R. Stazione di Patologia vegetale di Roma. (*) Presentata all'Accademia il 13 luglio 1922. (3) Perotti R., Su la presenza di una specie batterica nelle radici della Diplo- tazis erucoides D. C. Rend. Acc. Lincei, vol. XXVNI, serie 48, 1° sem., fasc. 39, pag. 331. (4) Perotti R., Ulteriori ricerche sui bacilli radicali della Diplotaxis eru- coides D. C. Rend. Acc. Lincei, vol. XXIX, serie 5%, 2° sem.. fasc. 11, pag. 361. (°) Perotti R., Le condizioni del clima-terreno per l'induzione dell'azoto e la dis- soluzione dell'acido fosforico nel suolo. Rend. Soc. chimica italiana, vol. II, fasc. 6°. — 485 — Lo stesso A. ha già segnalato in un'altra recente Nota (!) un primo grado di detti rapporti che si esplicherebbe nella eda/osfera, cioè nella zona di terreno in cui si sviluppa una determinata specie di pianta verde. Nella presente Nota riferiamo i risultati delle ricerche che sono state estese ad un notevole numero di fanerogame appartenenti a svariate famiglie, per rintracciare nelle loro radici l’esistenza di forme batteriche. Diremo subito che il risultato di tali ricerche è stato positivo, per un numero di specie che si aggira intorno al 75% di quelle esaminate. METODO DI RICERCA. Il materiale scelto per l'esame apparteneva a piante in normale stato di vegetazione e le radici che si utilizzarono per la inoculazione dei sub- strati nutritivi erano perfettamente normali ed integre. Accuratamente la- vate e disinfettate all’esterno, vennero sottoposte ad un metodo di ricerca che fu tre volte modificato per sempre meglio evitare cause di inquinamento. In un primo tempo si è praticata una incisione cuneiforme trasversal- mente a 4 o 5 centimetri al disotto della regione del colletto e il mate- riale di inoculazione di un terreno magro qual'è l'agar di fagioli, veniva prelevato dalla parte interna del cuneo, nello spessore dello stato corticale della radice. In un secondo tempo, si è parzialmente decorticata la radice al disotto del colletto e il materiale è stato prelevato lungo la superficie interna della lamina di decorticazione asportata. Finalmente — e ciò nel caso speciale delle radici fascicolate delle mo- nocotiledoni di difficile decorticazione — si è incisa circolarmente la radi- chetta verso la base in modo da permettere lo sguainamento di tutta la corteccia: il materiale di inoculazione vanne prelevato introducendo l’ago nell'interno della guaina così asportata. I risultati delle nostre ricerche sono riuniti nel seguente prospetto e la presenza o l'assenza di bacteri sviluppatisi nelle culture a strisciameuto, è indicata rispettivamente con i segni + e —: (!) Perotti R., Per la conoscenza dei rapporti fra microrganismi e pianta verde. Rend. Acc. Lincei, vol. XXX, serie 5°, 2° sem., fasc. 5°-6°, pag. 233. — 486 — TABELLA RIASSUNTIVA DEI REPERTI BATTERIOLOGICI. E FANEROGAME ESAMINATE di aftorea priraniiate 58 esaminati ca FAMIGLIA SPECIE I IH |unr|v|wv 1 | Borraginacee Symphytum officinale L. . — 2 | Caprifogliacee . . Sambucus nigra L. . _ 3 | Cariofillacee. . Lychnis alba Mill. | + | +|+ 4 | Chenopodiacee. Chenopodium polyspermum L. | + | 5 | Composite. . Anthemis arvensis L. . | +9] 6 Id. Calendula officinalis L. . . .|+ IRSTE |+|+ 7 Id. Cichorium Intybus L. . | + | | 8 Id. . | Erigeron canadensis L. a 9 Id. | Senecio vulgaris L. . sla | 10 Id. Sonchus oleracens L. af | li Id. ” tenerrimus L. . . | + 12 Id. ” asper Bartal. . Se 13 | Crucifere . . Capsella bursapastorisL. Moench. | 5 14 Il. Diplotaxis erucoides D. C. . Lt|+{+{+|+ 15 Id. Raphanus Raphanistrum L. + | 16 Id. Sinapis alba L. + 17 | Euforbiacee . Ricinus communis L. +|+ 18 | Graminacee . . Avena barbata Brot. —_ 19 Id. Triticum vulgare Vil. - 20 | Labiate. . Salvia pratensis L. . + 21 | Leguminose. . Melilotus officinalis Desf. | 22 | Malvacee . . Malva silvestris L. . +9 + 23 | Ombrellifere. . Conium maculatum L. = |a 24 | Papaveracee. Fumaria officinalis L. + 25 Id. Papaver Rhoeas L. . + | + 26 | Poligonacee . . Rumex pratensis M. et K. 3P 27 | Ranunculacee . Delphinium Consolida L. — 28 Id. Ranunculus bulbosus L. — | ? 29 | Scrofulariacee . Verbascum Thapsus L. -- 30 | Solanacee. . Solanum nigrum L. . . +|+|+ 31 | Urticacce. . Urtica diovica L. . — 32 IS n membranacea Poir. —? — 487 — Particolarmente osserviamo che le radici di un esemplare rigogliosis- simo di Solanum nigrum erano ricoperte di numerosi e relativamente grossi bacteriodomazi e che le radici della Meli/otus officinalis, pur contenendo bacteri, non presentavano bacteriodomazi. Eseguendo le culture a strisciamento si fece l'esame microscopico diretto del materiale di ciascun campione utilizzando anche la colorazione « in vivo » e pure in tal modo fn accertata la presenza dei bacteri, constatandosi anzi che nella maggior parte dei casi il loro numero era notevolissimo e special- mente nelle piante prelevate in primavera. CONCLUSIONI. Nelle radici di numerose fanerogame, in condizioni normali di sviluppo e, cioè, di piante fin qui considerate autotrofe, appartenenti a diverse famiglie non lesuminose, si riscontra la presenza di bacteri in numero tale da non potersi ritenere una accidentalità. Tali bacteri risultano diffusi nello spessore della corteccia, ed in alcuni casì nella zona più esterna del libro, negli spazî intercellulari: talvolta anzi, sono stati riscontrati nell'interno delle cellule. Non s'intende con ciò dire che questa presenza di bacteri sia una ne- cessità per la pianta: certo non è per questa una causa di danno e lo stato di vegetazione degli esemplari esaminati, lascia anzi presumere che tale pre- senza sia vantaggiosa. In tale senso è che noi chiamiamo il fatto normale. Altre ricerche in corso, particolarmente sui bacilli della Diplotazis e della Calendula, dimostrano che si tratta di più forme o razze, in genere oligo- nitrofile, con svariate proprietà che possono riuscire utili nella vita comune di un organismo non verde e di un organismo verde. È nostro intendimento di dare il più ampio sviluppo alla interpreta- zione del fatto da noi segnalato, di cui non potrà sfuggire l importanza, al fine di poterne chiarire tutto il valore biologico. RENDICONTI 1922. Vol. XXXI, 2° Sem. 38 — 488 — Fisiologia. — VZleriori ricerche sulla deamidazione enzimatica dell’asparagina l). Nota del dott. A. CLEMENTI, presentata dal Corrisp. B. BAGLIONI (°). Dalle mie ricerche precedenti (*) risulta, che l'enzima, il quale deamidizza l'asparagina (asparaginasi), contrariamente a quanto fin'ora si ritiene, non è presente in tutti i tessuti, ma solo in determinati tessuti od organi, nè è presente in tutte le specie animali, ma solo in alcune, le quali in linea ge- nerale sono caratterizzate dal fatto, che la loro alimentazione è onnivora, erbivora, o granivora; questo risultato e insieme il fatto, che l’asparagina è presente in alcune piante (mentre essa non è statu mai individualizzata chi- micamente nè nella molecola proteica, nè nei tessuti animali), induce a pen- sare che esista un rapporto di causalità tra questi due fatti, nel senso che, per un meccanismo di adattamento biochimico di alcune specie animali alla presenza di asparagina nell’alimento sia stato elaborato dall’organismo e pro- priamente da alcuni tessuti (fegato, sangue) l'enzima, che deamidizza l’aspa- ragina (asparaginasi). Ho creduto perciò importante ricercare, se mediante la somministrazione di asparagina per via enterica o per via sottocutanea è possibile provocare nei mammiferi, nel cui organismo manca l’asparaginasi (cane o gatto) la elaborazione dell'enzima, che deamidizza l’asparagina. Con altre esperienze ho cercato di stabilire in modo definitivo se nei testicoli dei gallinacei è presente l’asparaginasi; infatti essa secondo i risul- tati delle mie precedenti ricerche è presente nel fegato e nei reni di questa specie animale, mentre è assente negli altri tessuti ad eccezione dei testicoli; appariva importante tale indagine, poichè sarebbe biologicamente degna di rilievo la presenza dell’asparaginasi nei testicoli, e la sua assenza negli altri tessuti meno che nel fegato e nei reni, organi, nei quali, in base alla teoria nutritiva circa il significato fisiologico dell’asparaginasi, essa avrebbe il compito di facilitare l'utilizzazione dell'asparagina assorbita dall’ intestino. Il procedimento tecnico adoperato per la ricerca dell asparaginasi è stato quello da me elaborato e descritto diffusamente in altro lavoro (*). (!) Ricerche eseguite nell’Istituto di Fisiologia della R. Università di Roma. (2) Pervenuta all'Accademia il 30 ottobre 1922. (3) V. pag. 454. (4) A. Clementi, La désamidation enzymatique de l'asparagine chez les différentes espèces animales. Archives Interuationales de Physiologie, vol. XIX, 1922. — 489 — Nella prima tabella sono riassunti i dati, che si riferiscono alle espe- rienze fatte per la ricerca dell’asparaginasi negli organi di mammiferi sacri- ficati dopo somministrazione artificiale e prolungata di asparagina: a un cane (A) del peso di kgr. 5 circa furono somministrati giornalmente gr. 0,5 di asparagina, che venivano aggiunti alla razione alimentare giornaliera (dal 27 febbraio al 27 marzo 1922); a un cane (B) del peso di kgr. 4,5 circa furono somministrati giornalmente gr. 0,5 di asparagina per via orale e circa 3 ce. di una soluzione 5% di asparagina per via sottocutanea (20 feb- braio-5 aprile 1922); un gatto del peso di kgr. 2 circa fu sottoposto per circa 3 mesi e mezzo alla somministrazione giornaliera di gr. 0,1-0,2 di asparagina per via sottocutanea (1° aprile-18 agosto 1921). TABELLA I. ’ $ QUANTITA’ DI Na 0H - n @ 5 impiegata per la titolazione al formolo E) a ORGANO 55 Hi £ |-8È PU | SE È È n° Z3 Da Es E 2 È È £ 5 o | SE 5 È 5 © ES 5 A Si O) A n= CK © 12] 5) tu (nti 3) giorni mgr. ce. COL ce ce mgr Gatto fHegato n... .0rt 32 150 10.0 | 14,0 | 4,0 0,0 0 = SME SANSUCT lennnno 10 150 10,0 | 10,3 0,5 0,0 0 = mi —WINtestnost ninna 10 150 10,0 | 10,9 1,0 0,0 0 SE Mao VPanereas iui otro 10 135 90 1153 3,0 0,0 0 = Cane A — Fegato ............ 20 135 9,0 9200 0,0 0 1a » Penati dani 20 135 9,0 9,3 0,2 0,0 0 CS CanegBi—BHepatocos so 15 150 TO:0N Neli 28 7,8 0,0 0 2 ” UMIZIOA N 5 150 10,0 | 13,0 2,0 1,0 15 a ” Reni ein 5 150 10,0 | 13,0 2,0 1,0 15 — ” —WPancereassote. 5 150 10,0 | 12,3 2,9 0,0 0) —_ 5) Sangue. oo 5 150 10,0 | 10,7 0,6 0,1 1 — — 490 — Nella seconda tabella sono riassunti i dati delle analisi fatte per la ricerca dell'asparaginasi nei testicoli di dieci galli. TABELLA II. S 2 Si , I 5 3 QUANTITA’ DI Na OH io n Quantità ma = impiegata per la titolazione al formolo $ 2 39 s si = PE Di È sl, le a 8 asparagina t 3 è ‘E das pera ese S SE E È 53 È; G Bosi deamidata a 3 | Gi asi) #5 2 È di ga ISS SE È 3 ci STE 3° $ ci & o I mgr. mgr. °/o È ore mgr. ce. ce. ce ces 1 50 150 10,0 dI 18723 932 4,0 60 40 9 50 " 3 16,5 1,6 4,9 73 48 ) H) 62 ” ” VESTA DID 7,2 108 12 4 62 ; 3 13,7 1,7 2,0 30 20 5 62 » * 19,5 1,5 8,0 120 80 6 36 ” » 23,5 5,6 8,0 120 80 7 36 È) b) 23,6 4,4 9,2 138 92 8 18 ” n 17,8 352 4,6 69 46 9 24 ” ” 16,4 2,0 4,4 66 44 10 24 3, ; 18,6 2,6 6,0 90 60 I fatti che risultano dalle nostre esperienze sono i seguenti: La somministrazione di asparagina per via sottocutanea o per via orale al cane per un mese e al gatto per tre mesi circa, non è stata accompa- gnata dalla formazione di asparaginasi nel fegato, nel sangue, nè in altri tessuti. Presenza della asparaginasi ++ Nei testicoli di dieci galli adulti l’asparaginasi fu trovata costantemente presente. In base a questi risultati si può affermare che: 1°) l'organismo del cane e del gatto non reagisce alla somministrazione di asparagina con la formazione rapida di asparaginasi; 2°) nei gallinacei, i quali posseggono l'asparaginasi nel fegato e nei reni e non in altri tessuti, i testicoli sono ricchi di asparaginasi. G. C. là sa Ir ATER RT kot Fri Seca pi e ir ta ” li Ù i Pubblicazioni della R. Accademia Nazionale dei Lincei. Serie .1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXHI. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. la: 76). Parte 1* TRANSUNTI. 2% MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. — 3 MEMORIE della Classe di scienze morali, È storiche e filologiche. Vol 1V. V. VI. VII. VII - Serie 3* — TransuntI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE. della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol._I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIM. Serie 4 RenpiconTi. Vol. I-VII. (1884-91). MemorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII «Memorie della Ciusse di scienze morali, storiche e filologiche: Vol. I-X. Serie AE RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XXXI. (1892-1922). Fasc. 10°, Sem. 2°. ReNDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XXXI. (1892-1922). Fase. 4°. MEMORIE della. Classe di seienze. fisiche, matematiche e naturali. Vol. XIII, Fase. 189, ) MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. Vol. XIII (parte 18). Vol. XIV, XV e XVI. Fasc. 10°, Notizie DEGLI Scavi DI ANTICHITÀ. Vol. I-XIX. Fasc. 70-90, CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE, FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI Ca Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia Nazionale dei Lincei si pub- blicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispondenti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni annata e per tutta Italia è di L. 108; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai: ULRICO HoEPLI. — Milano, Pisa e Napoli. P. MAGLIONE & 0. STRINI (successori di E. Loescher & C.) — Roma. RENDICONTI — Novembre 1922. VÀ TNDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 19 novembre 1922. Var gr NOTE PRESENTATE DA SOCI È Bompiani. Sulla rappresentazione iperspaziale delle curve piane (pres. dal Socio Castelnuovo) Pag. 471 Cech. Sur la géométrie d’une surface et sur le facteur arbitraire des coordonnées homo- : gènes (pres. dal Corrisp. Fubini) >. . . /./ Lu... FO ELA ARA Prati. Cariche delle lastre coibenti strofinate (pres. dal Corrisp. Cardani). |... » 478 Degl' Innocenti Giulia. Sopra una roccia cloritico-epidotica a glancofane ed andesina di Granara nella Liguria occidentale (pres. dal Socio De Stefani) . . ....... » 482 Perotti.e Cortini-Comanducci. Normale presenza di batteri nelle radici di numerose fane- rogame (pres: “dal2S0010P7£044)} Cs O RIA II ZA Clementi. Ulteriori ricerche sulla deamidazione enzimatica dell’asparagina (pres. dal Cor- Tisp: \A@glt0mi) "n SNO I O ON SL I AE i E. Mancini, Cancelliere dell’Accademia, responsabile. Pubblicazione bimensile. ME N. 11. 1 BI " REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI ANNO CCCXIXx. 1922 Sti BIEN EA RENDICONTI a P7 4 SI gu / 2; i fee rio O a Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. "i 1 (09 à Ap a, A e la Volume XX XI.° — Fascicolo 11° Seduta del 3 dicembre 1922. 2° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1922 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche. matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese ; essi contengono le Note edi titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume ; due volumi formano un’annata. 2. Le Note di Soci o Corrispondenti non possono oltrepassare le 6 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che “ne assumono la responsabilità, non possono superare le 4 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunica zioni 60 estratti gratis ai Soci e Corrispo identi, e 30 agli estranei ; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia ; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per i critto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- catial paragrafo precedente e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’altro inscritte nei Volumi accademici se provengono da. Soci 0 da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta @ stampa della Memoria negli Atti dell’Accade mia oin un sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi . dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame ‘data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Socio Corrispondenti ; 30 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è masso a carico degli autori, RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 3 dicembre 1922. V. VoLTERRA, Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI Mineralogia. — Su/la brugnatellite di Monte Ramazzo (Li- guria). Nota del Socio ErToRE ARTINI. Fin dal 1913 A. Pelloux (*), pubblicando una sommaria descrizione di alcuni minerali di Monte Ramazzo, accennava brevemente ad una sostanza derivante per epigenesi dalla brucite, e dall'autore ritenuta con molta pro- babilità identica alla brugnatellite, da me qualche anno prima descritta, su campioni della Val Malenco (*). Dopo d'allora non mi consta che il Pelloux se ne sia più occupato, così che la vera natura della presunta brugnatellite di Monte Ramazzo restava sempre incerta. Sopravvenne intanto la pubbli- cazione di un lavoro di W. F. Foshag (°), nel quale questo autore mette opportunamente a confronto i minerali finora noti di questo gruppo di car- bonati ultrabasici, cioè idrotalcite, stichtite, piroaurite e brugnatellite. Ri- spetto a quest'ultima, notando certe evidenti analogie con la piroaurite, e osservando che l’unica analisi utilizzabile della bragnatellite è ancora quella da me fatta, del minerale di Val Malenco, Foshag conclude che nuove ana- lisi sono necessarie per decidere se realmente si tratti di una specie ben definita, oppure di una varietà di piroaurite. (1) A. Pelloux, Nota preliminare sulla brucite, idromagnesite ed altri minerali della miniera di Monte Ramazzo presso Borzoli (Liguria). Annali del Museo Civico di St. Nat. di Genova, serie 3, vol. VI (XLVI), p. 34, 1913. (*?) E. Artini. Brugmnatellite, nuova specie minerale trovata in Val Malenco. Rend. R. Accad. d. Lincei, seduta del 3 gennaio 1909. (9) W. F. Foshag. The chemical composition of hydrotalcite and the hydrotalcite group of minerals. Proceedings of the Un. St. Nat. Museum, v. 58, p. 147, 1920. RENDICONTI. 1922. Vol. XXXI, 2° Sem. 39 — 492 — Ho definito opportuna la breve e succosa Nota di Foshag; ma non posso a meno di rilevare come all'autore americano sia completamente sfuggito un ottimo lavoro sullo stesso argomento, pubblicato varî anni fa dal nostro Manasse ('). In quella Nota il compianto e valente collega metteva appunto in luce, cinque anni prima di Foshag, la vera natura chimica della idro- talcite e della piroaurite, con nuove accurate analisi, che dimostravano essere. questi minerali non già degli idrossidi, con CO, accidentale, dovuto ad alte- razione, ma dei carbonati ultvabasici, ciò che per l'appunto avevo dimostrato io per la brugnatellite; e li ravvicinava tra loro, e con la brugnatellite e la stichtite. Evidente risultando la necessità di conoscere presto e completamente la natura chimica della presunta brugnatellite di M. Ramazzo, ho creduto bene di profittare del fatto che da varî anni il nostro Istituto possiede una ricca serie di esemplari di M. Ramazzo, raccolti sul posto dal collega E. Re- possi, già professore aggiunto presso il Museo. Naturalmente io limito la mia ricerca all'analisi della brugnatellite e della brucite da cui essa deriva, per non pregiudicare le altre eventuali ricerche cui l'egregio amico Pelloux volesse in avvenire dedicarsi, intorno all’ interessante giacimento; poi che la brugnatellite è una specie minerale da me instituita, si comprenderà facil- mente l'interesse particolare che mì spinge ad occuparmene. La brucite e la brugnatellite si trovano, nella serie di esemplari del Museo, in due tipi diversi di giacitura. Il primo è dato da venette sottili di brucite entro alla roccia serpentinosa, venette nelle quali è « evidente », secondo Pelloux, la sua derivazione dal crisotilo. Senza discutere questa opi- nione, noterò che in tali venette la brucite passa, per alterazione, ad un minerale bruno-giallo, contenente poco CO,, il quale tuttavia non è da ritenersi identico alla brugnatellite, sia per il colore, sia per il potere rifrangente molto più elevato. Qua e là qualche traccia di probabile brugnatellite car- nicina si presenta invece come prodotto di ulteriore trasformazione del mi- nerale bruno-giallo. Da queste venette non è possibile, come osserva anche Foshag (loc. cit.) il quale pure ne ebbe a sua disposizione, cavare qualche cosa di servibile per analisi. A questo scopo si prestano invece benissimo gli esemplari dell'altro tipo di giacitura: grossi noduli, che arrivano anche al peso di alcuni Kgr., di brucite squamoso-compatta, a grana finissima, di colore bianco appena traente al bigio-azzurrognolo, translucidi, con aspetto quasi alabastrino, i quali alla periferia si mostrano coperti di uno strato più o meno potente di alterazione in brugnatellite, senza alcun accenno a formazione del minerale giallo-bruno delle venette. Questa presunta brugnatellite ha il caratteristico colore roseo- (1) E. Manasse. /drotalcite e piroaurite, Proc. verb. d. Soc. toscana di Se. Nat. XXIV adun. 14 nov. 1915. — 4939 — carnicino, affatto identico a quello del minerale tipo di Val Malenco; gli aggregati sono ancora squamosi, ma più soffici e lassi che quelli del mine- rale originario, tanto da potersi talora dir farinosi. Spesso una crostina ricca di CaCO;, in certi casi anche con formazione di nitidi e brillanti cristallini di aragonite (*), copre all’esterno la zona di brugnatellite. La difficoltà qui non era tanto di procurarsi una sufficente quantità di materiale d'analisi, quanto di averlo puro, esente così da brucite inalterata, come da aragonite, e da ossido ferrico libero, il quale pure qua e là si pre- senta, in forma di punteggiature e macchioline rosse. Ho fatto del mio meglio, controllando con l’esame microscopico il materiale d'analisi; in questo non si osservavano che tracce affatto insignificanti di brucite; il carbonato di calcio non vi era affatto riconoscibile; scarsissime anche le impurità estranee, limitate a qualche fibrilla serpentinosa. I risultati ottenuti dall'analisi del materiale così scelto sono i seguenti : Residuo insol. in HCl dil. . . . . . 0,99 Hire e ME) 12 DO e... e sa 3:00) Het 102 MRO e. e Ca0NE ak, ae e. ee n 1,19 Mete Re e 9 99,62 Una accurata ricerca ad hoc mi persuase della totale assenza di Fe0. L’analisi dimostra che il carbonato di calcio, non riconoscibile otticamente, è tuttavia presente come una fina impregnazione od incrostazione. Deducendo dal computo dell’analisi 1,19 di CaO, e la quantità di CO, a questo corri- spondente (0,93%), oltre al residuo insolubile, e calcolando la somma a 100, previa sostituzione di MnO con Mg0 (1,01% MgO, corrisp. a 1,77% Mn0), si hanno i seguenti valori (I): I II III IV H.Oik"t., 33,90 R4,04 34,27 32,67 21008 e 3 17,98 7,93 7,89 6,65 Fes0Og . . 16,84 14,41 13,39 24,18 Ms07, 0.00. 44,92 43,62 44,45 36,55 (1) G. B. Negri, Sopra le forme cristalline dell’aragonite di Monte Ramazzo. Atti Soc. ligustica di sc. nat. e geogr., 1895. — 494 — In questa tabella, i valori osservati per la brugnatellite di M. Ramazzo (1) sono posti a confronto con: II. valori calcolati dalla formula da me proposta per la brugnatellite: “ MgC0,.5Mg (0H).. Fe (OH); . 4H;0: III. osservati (con le solite correzioni) per la brugnatellite di Ciappanico in Val Malenco; IV. calcolati dalla formula oggi universalmente accettata per la piroaurite: MgCO;. 5Mg (0H),. 2Fe (OR); .4H,0. Dal confronto tra questi valori appare chiaro che il minerale di Monte Ramazzo è veramente brugnatellite, come aveva giudicato Pelloux, e, mi sembra, risulta auche abbastanza evidente la differenza dalla piroaurite, il cui contenuto in Fe,0; rivelato dalle analisi dei varî autori è costante e molto elevato (23,92 % in quella tipica di Lingban secondo Igelstròm), Se nella brugnatellite di Monte Ramazzo c'è un leggero eccesso di Fe,O; in confronto al calcolato, questo è dovuto, secondo me, alla presenza di piccole quantità di ossido ferrico libero, quale prodotto di alterazione, come è il CaC03, pure rivelato dall’analisi, benchè non visibile direttamente. Ho infatti detto più sopra come in alcuni punti macchioline rosse di ossido ferrico siano distintamente riconoscibili con la lente. Le proprietà fisiche segnano pure un netto e sicuro distacco tra i due minerali. Entrambi sono uniassici e negativi; ma la piroaurite è gialla, mentre la brugnatellite ha una tinta assolutamente caratteristica, roseo-car- nicina; ‘molto diverso è anche il potere rifrangente: per la piroaurite il va- lore dell'indice di rifrazione per il raggio ordinario è infatti: = 1,562 Manasse, » 1,565 Larsen ('); mentre per la brugnatellite il valore è costantemente molto più basso: Val Malenco o = 1,533 Artini; ” » 1,535 Larsen (loc. cit.); Monte Ramazzo » 1,536 Artini (nuova determ.); ” » 1,540 Larsen (loc. cit.). Questi caratteri, insieme alla composizione chimica, permettono, dunque di distinguere, con facilità e sicurezza, la brugnatellite dalla piroaurite; queste devono essere considerate come due specie distinte. (1) E. S. Larsen, 7'he microscopie determination of the nonopaque minerals. Un. St. Geological Survey. Bull. 679, 1921. — 495 — La brugnatellite di M. Ramazzo ha un comportamento al riscalda- mento affatto simile a quello del minerale di Val Malenco: per riscalda- mento a 150°, durato 15 ore, essa ha infatti perdato 11,54%; questa per- dita, riferita alla sostanza pura, con eliminazione del residuo insolubile e del CaCO;, diventa del 12,05%; la perdita di H,0 calcolata corrispondente a 4H:0 è del 12,98%. Sarebbe interessante poter studiare con precisione anche il minerale bruno che, in qualche caso. sembra formare un termine di passaggio tra la brucite e la brugnatellite: tanto più che un analogo prodotto ho potuto, benchè ra- vamente, osservare anche su esemplari da me raccolti nella cava di Ciap- panico: ma esso è in quantità troppo esigua, e troppo intimamente misto a brucite da una parte, a brugnatellite dall'altra, perchè io potessì, col ma- teriale a mia disposizione finora, tentare un’analisi. Otticamente esso è uni- assico e negativo come la brugnatellite, ma ha un potere rifrangente enor- memente più forte di questa; su materiale delle due località ho determinato: oo 70% (20002): mentre nella brucite di M. Ramazzo ho misurato: o= 1,564 (20,001). Il valore di © è dunque superiore anche a quello della brucite, benchè il potere rifrangente medio sia, secondo ogni verosimiglianza; inferiore; non bisogna dimenticare infatti che mentre nella brucite e >@, nel minerale bruno che ci interessa è £<. Per studiare i rapporti tra la brugnatellite e la brucite dalla quale essa deriva, ho creduto opportuno di fare anche l'analisi di questa seconda. Il risultato è stato il seguente: Residuo insolubile. . . . . 0,10 Bee 3037 Hel ca n a 1:37 MIO eee 10:38 Mot Adi et 6,96 100,18 Togliendo il residuo insolubile, sostituendo ad FeO e ad Mn0 una quan- tità corrispondente di MgO (0,77 di MgO corrisp. a 1,37 di Fe0; 0,22 di MSgO corrisp. a 0,38 di MnO), e portando la somma a 100, si hanno i valori seguenti (I), qui esposti accanto ai valori teorici (II) calcolati dalla formula Mg(0H);: I II BO 30:59 30,89 Mgo . . . . 69,42 69,11 — 496 — Si tratta dunque di una brucite contenente, come spesso accade, piccole quantità di FeO e di MnO. La cosa ha una certa importanza per la genesi della brugnatellite, per la quale è inutile ricorrere alla ipotetica azione di soluzioni ferrifere e manganesifere: è infatti abbastanza naturale supporre che nel processo di trasformazione, per opera degli agenti atmosferici, FeO si sia trasformato in Fe:03, e buona parte di Mg0 sia stato dilavato, mentre il residuo si trasformava in carbonato basico, con arricchimento indiretto degli ossidi di ferro e di manganese. Se questo avvenga in realtà spero di poter decidere mediante un'esperienza che ho disposta, ma che esigerà, na- turalmente, un tempo abbastanza lungo per dare risultati conelusivi. Biologia. — ci preferiti dagli Anofeli. Nota del Socio prof. B. GRASSI. in data 29 settembre 1898 io pubblicavo una Nota, nella quale per la prima volta la malaria viene messa in rapporto cogli anofeli (1). Vi si legge infatti che Anopheles claviger e malaria sono intimamente connessi e che l'A. claviger è vero indice, vera spia della malaria. Ma già in questa mia prima Nota ammetto la possibilità di eccezioni, nel senso che si diano lo- calità cogli anofeli e senza malaria e suppongo che in questi luoghi la ma- laria possa esserci stata in passato. Successivamente (1899) aggiungevo che soltanto là dove la temperatura presentasi molto favorevole per lo sviluppo della malaria, gli anofeli (?) possono dirsi veri indici, vere spie della ma- lavia. Invece nei luoghi un po' elevati in Italia, come in molti luoghi del- l'Europa media e settentrionale, si possono trovare gli anofeli anche relati- vamente molto abbondanti senza che vi sia malaria, o con malaria relativa- mente poco intensa. Nel 1900 in seguito a nuove osservazioni modifico alquanto il mio giudizio e conchiudo che « l’esperienza mi ha insegnato che gli anofeli sono la vera spia della malaria là dove la temperatura è oppor- tuna; s'incontrano tuttavia molte località, ove nonostante questa condizione opportuna, si trovano più o meno scarsi anofeli, mentre si ritlene che la ma- (!) Per la storia della scoperta dell’anofele malarifero, mi permetto di qui ripro- durre senza commenti due periodi che si leggono nel The Journal of Tropical Medicine and Hygiene, Yune 15, 1922. Di questo giornale è Honorary Adviser Sir Ronald Ross: « The most interesting episode in the elucidation «f malaria is undoubtedly the demonstration of the long-suspected part, played by the mosquito in its occurrence. It is the work of many, but foremost are Manson, Ross and Grassi... n. « Our present knowledge undoubtedly shows that Ross's « dappled-winged mosquitoes » were Anophelines, but for having clearly indicated this sub-family of the Culicidae as the only carriers of human malaria credit is due to Professor Grassi ». (2) Anche nella presente Nota il termine Anofele è usato come sinonimo dell'A. cla- viger (maculipennis). — 497 — laria vi manchi. Ma se si estendono molto le ricerche, la pretesa mancanza assoluta della malaria diventa discutibile per lo meno nella grande maggio- ranza dei casi ». Anche Celli faceva osservazioni dello stesso genere e conclu- deva che la distribuzione geografica degli anofeli può non coincidere colla carta geografica della malaria (1901). Più tardi, ma ancora nel 1901, in seguito ad altre ricerche, io aggiun- gevo che il numero delle località dove i casi di malaria sono scarsissimi e gli anofeli piuttosto abbondanti, è andato sempre più crescendo: cito, come esempio, Bevagna, dove sembra però che un tempo la malaria fosse intensa e si riducesse in seguito ad opere di bonifica. Insomma già nel 1898 e più ancora nei tre anni successivi io stesso prima di ogni altro sono andato trovando eccezioni alla regola generale che gli anofeli sono la spia della malaria, mentre invece veniva dapertutto con- fermato che ron c'è malaria senza anofeli. Questa legge che Edmondo Ser- gent ha denominato legge di Grassi, non ha trovato eccezioni nel mondo intiero, come egli stesso aggiunge e come tutti sanno. La presenza di anofeli senza malaria, come risulta da quanto ho sopra riferito, veniva da me attribuita in parte alla temperatura troppo bassa, in parte alla scomparsa della malaria da mettersi evidentemente in rapporto con l'us> del chinino e colle bonifiche e qualche volta anche colla scarsezza degli anofeli. Tutte queste eccezioni perciò a me sembravano facilmente spie- gabili, finchè nell'agosto del 1901 quasi contemporaneamente Celli e Gaspe- rini da un lato, Francalanci dall'altro indicavano un'estesa regione della To- scana, cioè, le zone paludose delle provincie di Pisa, Livorno e Lucca, nelle quali la malaria è scomparsa, o quasi, press’a poco nell’ultimo quarto di secolo, sebbene gli anofeli sì trovino a migliaia e vi arrivino uomini mala- rici dal di fuori: in questi luoghi avviene soltanto lo scoppio di qualche . raro e per lo più isolato caso di febbre. Le ricerche ulteriori portarono a scoprire molti altri luoghi di anofelismo senza malaria (Rossi). La prima supposizione che si affaccia a chi cerca di spiegare il feno- meno è questa: che gli anofeli in queste zone fortunate, godano di immu- nità contro ì parassiti malarici. Questa ipotesi è stata subito esclusa da me stesso per via di esperimenti, che trovarono conferma da parte di Celli e Gasperini, i quali tuttavia ammisero che gli anofeli delle paludi senza ma- laria fossero meno soggetti ad infettarsi, ciò che non fu potuto confermare. Anche Roubaud confermò che gli anofeli non erano immuni nei luoghi di anofelismo senza malaria. Anche in India si è verificato che, mentre tutti gli anofeli si dimo- strano sperimentalmente capaci da far da ospiti definitivi dei parassiti ma- larici umani, tuttavia-in certe località esistono anofeli in grande quan- tità senza che la malaria si sviluppi. Così, secondo le ricerche di James, in certe parti di Calcutta è presente l'A. osszi (soltanto questo anofele!) in — 498 — abbondanza senza che vi sia malaria. In due altre località (Punjab e Madras) vi erano due specie di anofeli press'a poco nelle stesse proporzioni, l'A. Rossi e l'A. culicifacies. La percentuale degli A. culicifacies infetti era di più del 6%, mentre invece non si trovava nessun A. Rosszz infetto (del culieifacies si erano esaminati più di 300 individui e del Rossi? più di 700). « Questi fatti (conchiude James) dimostrano che l’A. Rossi? è un trasportatore del tutto inefficiente in condizioni naturali. Ciononostante sperimentalmente lA. Rossi? si infetta di tutte e tre le sorta di parassiti malarici ». È vero che Ross e Daniels tentarono ripetutamente di infettare artificialmente i Rosszz, giun- gendo sempre a risultati negativi, ma probabilmente questi insuccessi erano dovuti alla temperatura troppo bassa, a cui essi sperimentavano. Anche Stephens e Christophers hanno confermato che a Calcutta nei mesi di giugno, luglio e agosto vi è un numero straordinario di A. Rossi? senza che si diano casi di malaria. Lo stesso Ross ha ammesso che la relativa buona salute nell'India dev'essere dovuta alla circostanza che questa specie tanto diffusa soffoca quelle molto più dannose. Secondo James, la spiegazione di tali fatti apparentemente in contra- dizione colla dottrina anofelica, messi in rilievo per l'A. Rossiz, possibilmente sì troverà con uno studio più minuzioso dei costumi di questa specie. È pos- sibile che in natura, aggiunge l’autore, questo anofele abitualmente si nutra non del sangue dell'uomo, ma di quello degli animali domestici, allevati in qualunque villaggio indiano (1902). Sta però il fatto che vi sono delle località dove l'A. Posszz si trova infetto anche in natura. Vogel (1909) trovò gli amfionti in due A. Rosszz allevati dalle larve cresciute nell'acqua alquanto salata (1,3%), ma non in quelli allevati nell'acqua dolce. Anche Bentley trovò questi anofeli nell'acqua salata, ma non scoprì i parassiti malarici in 425 individui sezionati. L'A. Rossii è considerato da Green come portatore di malaria in una parte del Ceylon, specialmente nel distretto di Batticaloa: orbene nel lago di Batticaloa l'acqua è salmastra e dentro vi si sviluppa lA. Rossi. Questi fatti dimostrano che l’anofelismo senza malaria non è una carat- teristica dell'Europa, ma si trova anche in Asia e forse si ripete in tutto il mondo. Riunendo tutt’assieme, si può dire che: 1°) non c'è malaria senza anofeli; 2°) vi può essere anofelismo senza malaria; 3°) tutti gli anofeli e solo gli anofeli si infettano sperimentalmente di parassiti umani malarici (l'infezione prosegue fino alla comparsa degli sporozoiti nelle ghiandole salivari e conseguentemente se l’uomo si fa pun- gere si infetta di malaria). In una parola nessuna specie di anofele risulta sperimentalmente immune dalla malaria, nonostante che vi siano località dove abbondano — 499 — gli anofeli e arrivano anche portatori di germi malarici, mentre invece la malaria non vi attecchisce. Della spiegazione di questo fenomeno mi sono già ripetutamente occupato, ed ho sempre detto e continuo a ripetere che essa si deve trovare senza uscire fuori del binomio anofele-uomo. In questa mia Nota io voglio specialmente insistere sopra la circostanza che gli anofeli, usando di una espressione volgare ma molto espressiva, non hanno tutti gli stessi gusti; ve ne sono di quelli che preferiscono il sangue di un mammifero e di quelli che preferiscono il sangue di un altro. Insomma gli anofeli nella scelta del cibo dimostrano singolari preferenze. In un precedente Nota ho riferito che a Schito (tra Castellammare di Stabia e Torre Annunziata), gli anofeli non pungono l'uomo, a meno che affamati vengano a trovarsi rinchiusi in un ambiente, dove manchino loro le altre vittime (bovini, equini, suini). Durantei mesi in cui gli anofeli si sviluppano più rigogliosamente (primavera avanzata) nelle zone paludose sopra menzionate della Toscana gli anofeli pungono moltissimo anche l'uomo: nei mesi successivi, mentre in certe loca- lità continuano a pungere (Coltano), in altre vicine già alla fine della prima decade di luglio lo pungono pochissimo (San Rossore). In altre località questo fenomeno si verifica soltanto a stagione molto più avanzata, cioè verso la metà di settembre (Massarosa). Già tra Massarosa e Quiesa (frazione di Massarosa) sembra esistere una differenza, perchè al principio di agosto gli anofeli pungevano molto più a Massarosa che a Quiesa. In provincia di Verona ai primi di settembre gli anofeli pungevano moltissimo gli animali domestici, ma rispettavano l'uomo. Contemporanea- mente in provincia di Padova gli anofeli pungevano molto anche gli uomini e in certi casì sembrava proprio che li preferissero agli animali domestici. In Germania già nella seconda metà di agosto (1922) gli anofeli non pungevano più l’uomo e si limitavano agli animali domestici. A Fiumicino e a Porto gli anofeli pungono melto anche l'uomo e con- tinuano a pungerlo in ogni epoca dell’anno. Hanno destato molto rumore le osservazioni di Legendre. Egli ha di- mostrato che gli anofeli hanno una grande predilezione per i conigli e ri- spettano l'uomo, ed ha perfino suggerito di servirsi dei conigli per difen- dersi dagli anofeli. A mio avviso, le osservazioni di Legendre ispirano fiducia, ma valgono soltanto per la località dove furono fatte (Provenza). Io ho infatti notato che nelle conigliere a Schito non si incontra alcun anofele. A Vada (Toscana) ho trovato gremite di anofeli le pareti delle gabbie, in cui si allevavano conigli; però i porcili erano contemporaneamente pieni zeppi di anofeli e così pure le stalle. A Bibbona (vicino a Cecina) gli anofeli erano scarsissimi: RENDICONTI. 1922. Vol. XXXI, 2° Sem. 40 — 500 — nella casa dove io ho fatto le ricerche (casa del dott. Montagnani) ve ne ho trovati 5 soli: 4 in conigliere e 1 in una stalla con buoi. Nel porcile che si trovava accanto a una delle due conigliere, non ve n’era nessuno. Parrebbe pertanto che in questa località gli anofeli tendessero a comportarsi come in Provenza. Invece, nelle regioni di intenso paludismo senza malaria della Toscana dove l'allevamento dei conigli è molto diffuso, gli anofeli si trovano scarsissimi, anzi di spesso mancano del tutto nelle conigliere. Riserbandomi di precisare in una Memoria estesa i fatti qui riassunti, concludo : 1°) vi sono località dove gli anofeli pungono indifferentemente l'uomo e gli animali domestici ; 20) vi sono località dove gli anofeli pungono buoi, cavalli e sopra- tutto maiali e rispettano l'uomo sempre in qualunque periodo dell’anno: 39) vi sono località in cui in certi periodi dell’anno pungono in- differentemente uomo e animali domestici e in altri con molta preferenza gli animali domestici; 4°) tra gli animali domestici in generale sono preferiti maiali e bovini «i cavalli e ai conigli; 59) vi sono località in cui l’uomo sembra preferito; 6°) vi sono località in cui sono di gran lunga preferiti i conigli. NOTE PRESENTATE DA SOCI Fisica. — L'effetto Hall nelle lamine anisotrope e l’inter- pretazione di talune esperienze. Nota del dott. EnRICO PERSICO, presentata dal Socio Y. VOLTERRA. Si consideri una lamina conduttrice piana, omogenea, anisotropa, im- mersa in un campo magnetico uniforme ad essa normale, e mantenuta a temperatura uniforme. Analogamente a quanto ha fatto il prof. Corbino, per il caso dell’isotropia ('), possiamo brevemente stabilire le equazioni della propagazione della elettricità partendo dall'ipotesi dell’esistenza di due specie di ioni (di cariche +e, — e) e sostituendo allo scalare mobi- lità, un tensore simmetrico, diverso per ciascuna specie di ioni. È ovvio ammettere che gli assi principali di questi due tensori coin- cidano (in un cristallo, p. es., essi sono determinati dagli elementi di sim- metria) e allora, scegliendoli per assi coordinati, avremo 1 7 (1) —=@eEx , == ey (3) Bend. Lincei, 1915, 1° sem., -- 501 — a dé dn : i SORDO ove dr sono le componenti della velocità degli ioni positivi, %, e v, le loro mobilità lungo gli assi, eEx . eE,, le componenti della forza (elet- trica ed elettro-magnetica) che li sollecita. Analogamente, per gli ioni negativi Se V è il potenziale elettrico, si ha, in u. e. m. dV dn Me 0 TT dV dé = — — —H— Hay dY dé e sostituendo nelle (1) si ricava | DIP, E SV d&, ia eu, n" eu vi H > dt 1+e? uv, H? (2) \ ev DA e? uv H Lal lam dg de ed E TO IL ii dî, dys Analoghe espressioni sì trovano per FTA La densità di corrente ha le componenti ISTE Da) Ja == € (N lt 2 di E N 1, e) fee Na dalle quali. giovandosi delle (2), sì ha DA ret 3 x PRE e og dx dove si è posto a 9 Ui N, Ug N, ) forse Sv e NI — vi Ni ; _ Ve i) MESE (iO te? u,v. H° de agi uv Na EA ua va Na ) 1+euvH*® 1+euvH° — 502 — Le (A) sono contenute, come caso particolare, nelle formule stabilite con gli stessi criteri dalla sig."* Freda per i mezzi a tre dimensioni, in condizioni più generali (*); esse si riducono, per w = %v; , u = % @ quindi dx =). alle equazioni stabilite dal prof. Corbino nel caso della isotropia. Ad esse si aggiungono altre condizioni che possiamo esprimere nel modo seguente. La corrente che attraversa una linea s è (B) Ja TIE ds | (Jedy —jy dx). Ora: l'equazione di continuità equivale all'annullarsi di J per ogni linea chiusa; la condizione al contorno libero equivale all’annullarsi di J per qualunque porzione di esso; la condizione imposta da un elettrodo pun- tiforme è che J assuma un dato valore per ogni linea chiusa che lo circonda. Quanto al confronto della teoria con l'esperienza, possiamo dire che, se la dipendenza dei coefficienti 4 ed s dal campo e dalle costanti elettro- niche non corrisponde esattamente a quella prevista, pure la /orma delle equazioni fondamentali sembra confermata dall'esperienza: in particolare il teorema di reciprocità che ne ha dedotto il prof. Volterra (?) e che dalla sig.®® Freda è stato esteso ai corpi anisotropi è stato verificato tanto nel caso dell’anisotropia quanto nell'altro (*). Premesso tutto questo, vogliamo fare una facile osservazione, relativa appunto alla forma delle equazioni A e delle condizioni supplementari. Si ponga a Vaz Ay (C) "tV i Va fel Vv = Jy= dh Vv f Questa trasformazione è una affinità; chiameremo « (amina immayine » una lamina isotropa di conducibilità a = Vaz ay; la cui forma è ottenuta da quella della lamina data mediante la detta affinità, e i cui elettrodi estesi sono mantenuti allo stesso potenziale di quelli della lamina data, mentre dagli elettrodi puntiformi penetra la stessa corrente che in quelli corrispondenti della lamina data. (1) Rend. Lincei, XXV, 1916, 2° sem., pp. 28 e 60. (2) N. bim., 9 (1215). (3) G. Tasca Bordonaro, Rend. Lincei, 1915, 1° sem., pag. 336: E. Freda, 1. cit.; L. Tieri ed E. Persico, Rend, Lincei, 1921, 2° sem., pag. 464. — 503 — Mediante le (C), la (A) e la (B) divengono (2A DV A' | A Ja dn DE (B') = J (ji dn — fn d) cioè: le A divengono le equazioni della propagazione nella lamina imma- gine, mentre la B' esprimendo l’invarianza dell'integrale J, mediante il quale abbiamo espresso tutte le condizioni supplementari imposte alla cor- rente, ci assicura che queste condizioni sono ancora soddisfatte da jt,/n sulla lamina immagine. Dunque è problema della distribuzione delle correnti, con date condizioni al contorno, in una lamina anisotropa si risolve mediante il problema analogo sulla lamina immagine. Corollario immediato è l’esten- sione a una lamina anisotropa del teorema di reciprocità: si ritrova così, in un caso particolare, il risultato già citato. Tra le ricerche sperimentali eseguite sull’effetto Hall nelle lamine ani- sotrope, sono assai note e riguardate fondamentali quelle di Lownds (') le quali, anteriori alla teoria fisico-matematica del fenomeno di Hall, debbono essere ora, in conseguenza di questa, diversamente interpretate; e poichè, per quanto ci consta, questo fatto non è stato ancora messo in rilievo, vo- gliamo esaminare brevemente la questione, giovandoci delle considerazioni precedenti. Il Lownds tagliava da un cristallo di bismuto una lamina parallela al- l’asse, e dava ad essa forma rettangolare, scegliendo una coppia di lati nella direzione dell'asse. Gli elettrodi primari erano estesi a due interi lati op- posti, e si potevano applicare ora all'una, ora all'altra coppia di lati, a se- conda che si voleva sperimentare con la corrente parallela, o normale al- l’asse \eristallografico: i secondari, puntiformi, erano nel mezzo dei due lati liberi. L'autore misurava il coefficiente R di Hall nei due casì, e trovava un valore assoluto maggiore con la corrente parallela all'asse che con quella normale, p. es, (per un campo di 4.980 gauss e la temperatura di 16°, rispettivamente R= — 10,3, R= — 9,02). : Questo risultato però, contrariamente all interpretazione che gli si è data, non ci dà zessura notizia sulla anisotropia della lamina, poichè, in virtù dell'osservazione di poc'anzi, gli stessi risultati si sarebbero ottenuti da una lamina isotropa di forma pure rettangolare, con un diverso rapporto dei lati, e siccome l'Autore non indica quale fosse questo rapporto nel suo (1) Drude, Ann. 9 (1902), pag. 67. — 504 — caso, le esperienze, per quanto riguarda lo studio dell’anisotropia, perdono significato. La differenza trovata è propriamente una differenza, non già nel- l’effetto Hall, ma nella perturbazione ad esso apportata dagli elettrodi estesi, la quale è tanto minore quanto più la lamina è allungata nel senso della corrente ('); se si fossero usati elettrodi puntiformi si sarebbe trovato, a norma del teorema di reciprocità, lo stesso coefficiente con la corrente pa- rallela o normale all'asse, malgrado l'arisotropia della lamina. Così si spiega come il Van Everdingen (*), sperimentando su bacchette tagliate in diverse direzioni da un cristallo di bismuto e percorse dalla corrente sempre nel senso della lunghezza, trovasse invece una differenza trascurabile tra il coefficiente di Hall con la corrente parallela all'asse e quello con la cor- rente normale a questo, fermo restando il campo nella direzione normale. Chimica fisica. — Sul/mpiego di galvanometri come stru- menti di zero nei metodi di misura con corrente alternata. Raddrizzamento con valvole termotoniche (*). Nota di Lurar MAZZA, presentata dal Corrisp. G. PELLIZZARI. Lo strumento di zero che più di frequente si impiega nelle misure con corrente alternata è il telefono; la sua sensibilità e più ancora la facilità del suo uso lo hanno fatto generalmente adottare. In queste misure si impie- gano anche strumenti ottici, come per es. elettrodinamometri del Kohlrausch, Bellati, ecc., galvanometri a vibrazione, telefoni ottici, elettrometri. Tutti questi strumenti difficilmente raggiungono la sensibilità del telefono e richie- dono a differenza di questo notevoli cure per il loro uso, tanto che, pure offrendo il vantaggio di fornire indicazioni ottiche, sono ordinariamente poco impiegati. La loro sensibilità è molto inferiore a quella della maggior parte dei galvanometri, sia del tipo elettromagnetico (Nobili, Thomson, Wiedemann), sia di quelli magneto-elettrici (Deprez-D’Arsonval). Per questo motivo sono stati fatti numerosi tentativi per utilizzare con- venientemente i galvanometri nelle misure con correnti alternate. Il principio informatore di quasi tutti i dispositivi escogitati a questo scopo è stato il medesimo: raddrizzare la corrente alternata nel circuito ove va inserito il galvanometro. Così W. C. D. Whetham (‘) per misure di resistenze elettrolitiche ado- perava la corrente alternata prodotta trasformando per mezzo di un commu- (1) O. M. Corbino, Rend. Lincei, 1915, 1° sem., pag. 213. (2) Arch. de se. Phys. et Nat., (4) 11 (1901), pag. 455. (*) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica Fisica del R. Istituto di Studî Su- periori di Firenze. (4) W. C. D. Whetham, Zeit. fir phys. Chem., XXXIII, 1900, pag. 344, — 505 — tatore rotante la corrente continua di una pila. Questo commutatore inoltre, nello stesso tempo, alternava il contatto del ponte con la pila e con un galvanometro D'Arsonval. La precisione ottenuta in misure di resistenze com- prese fra 10 e 50,000 ohm era di almeno 1/1000. Così pure per misure di resistenze elettrolitiche (1) è stato adoperato il rilevatore elettrolitico del Ferriè (?) collocandolo in serie con un galvano- metro, nel ponte di Kohlrausch. In questo modo nel circuito che comprende il galvanometro, circola una corrente pulsante diretta sempre in un sol senso. Il galvanometro può dunque funzionare. G. von Ubisch (3) raddrizzava parzialmente la corrente alternata per mezzo di un microfono messo in serie con un galvanometro. Questo micro- fono era posto in vibrazione in modo sincrono, con opportuni dispositivi, dal generatore di corrente alternata. Più recentemente G. Pfleiderer (*) propose un dispositivo nel quale il galvanometro è posto in serie con uno speciale interruttore a martello di Neef. Questo martello è costretto a vibrare con la frequenza della corrente di un rocchetto di Ruhmkorff il quale funziona da generatore. Negli ultimi anni sono state utilizzate a tale scopo le valvole a tre elettrodi del De Forest (audion) e quelle a due del Fleming. Così H. Abraham (5) e M. Abribat (°). Quest'ultimo adopera le valvole termoioniche per le misure di con- ducibilità degli elettroliti. Egli pone in serie con un galvanometro D'Ar- sonval a riflessione una valvola a due elettrodi. Nei dispositivi studiati e riferiti in questa Nota sono utilizzate le val- vole, oltre che per la proprietà raddrizzatrice, anche per quella amplifica- trice. Esse già da qualche anno sono entrate nella pratica delle misure elet- triche per la loro funzione amplificatrice (‘). L'idea fondamentale è quella di utilizzare al massimo grado, con appro- priate disposizioni, le correuti che il galvanometro deve rivelare. A. questo (1) Marie, Munipulatiuns d'Electrochimie. Dunod ed., 1906. (*) G. Ferriè, Ze detector é'ectrolytique à pointe métalligue (Comptes Rendus de l’Acad. de Sc., 147, 1905, pag. 315). (3) G. von Ubisch, Verh. d. Deutsch. physik. Ges., 9, 61, 1907. (4) G. Pfleiderer, Zeit. fir Etektrochemie, 19, 1915, pag. 925; Veber die Benitzung eines Gleichstromgalvanometers statt des Telephons als Nullinstrument bei Wechsel- strommessungen. (*) H. Abraham, Utilisation des lampes amplificatrices pour les mesures électriques (R. G. E.), S, pag. 418, sett. 1920. (5) M. Abribat, Modifications à le méthode de Kohlrausch pour les mesures de con- ductibilité des électrolytes (Bull. Soc. Chim. de France, 31-82, marzo 1922, pag. 241); H. Abraham, loc. cit. (?) H. Abraham e E. Bloch, R. G. E., febbr. 1920, pag. 211 e 255; C. England, Proc. I. R. E.. vol VIII, agosto 1920, pag. 326; L. Rolla e L. Mazza, Gazz. Chim. Ital., 1922, anno LII, pag. 421. — 506 — fine i dispositivi sono tali da raddrizzare i due semiperiodi della corrente alternata e mirano all’impiego più razionale delle varie parti che li co- stituiscono. La fig. (1) rappresenta schematicamente uno di questi dispositivi, T, è un'autotrasformatore elevatore (resistenza misurata agli estremi 4, circa 8,000 ohm, 25,000 spire). Esso è collegato per mezzo dei conduttori a, d (primario dell’autotrasformatore) al circuito in cui dovrebbe essere inserito lo strumento di zero. Gli estremi 4,c (secondario dell’autetrasformatore) son congiunti diret- tamente ai morsetti di entrata dell’amplificatore A (ossia al circuito fila- mento griglia del primo audion). Il primario dell'autotrasformatore è varia- bile per mezzo del contatto mobile d: la sua impedenza deve essere scelta opportunamente in relazione a quella del circuito ove va inserito. Per la LI maggior parte degli usi è sufficiente che le spire del primario possano essere variate fra 1/20 e 1/5 del numero totale delle spire. — T, è un trasformatore il cui primario e secondario hanno la stessa re- sistenza (5,000 ohm circa) e uguale numero di spire (15,000 circa). Il circuito magnetico di T., come pure quello dell'autotrasformatore T, , possono essere regolati nella loro costituzione in modo da offrire una relut- tanza variabile. V, V, sono due valvole di Fleming del tipo usuale. I filamenti di esse sono posti in serie, nel modo indicato in figura, rispettivamente con le bat- terie E, E, e le resistenze variabili R, Rs. Il galvanometro G deve avere due circuiti interni di elevata resistenza. Esso può essere scelto sopratutto fra i galvanometri del tipo elettromagne- tico (Nobili, Thomson, Du Bois Rubens, Wiedemann, ecc.). Io mi sono servito di un galvanometro Thomson a quattro bobine di 5,000 ohm l'una disposte due a due in serie. Gli avvolgimenti B, B; (vedi fig. 1) avevano quindi una resistenza di 10,000 ohm l'uno, la sensibilità era di 9 X 107° amp. per deviazioni di 1 mm. a 150 cm. dalla scala (1). (1) Questo galvanometro per la sensibilità piuttosto limitata (in confronto a quella che si può raggiungere con questo tipo) permetteva un impiego rapido e facile. — 507 — I cursori Cy (5 delle resistenze R, R. che, come si vede, si trovano nel circuito del galvanometro, sono della massima importanza. La loro posizione si può determinare facilmente per ciascuna valvola e deve essere tale da non produrre alcuna deviazione nel galvanometro. È ora ben chiaro il funzionamento del dispositivo. Esso si compone fondamentalmente di due parti: una con funzione amplificatrice e l’altra raddrizzatrice. L'amplificazione viene fatta dal circuito T, AP. I due circuiti S V, B, e SV. B» servono per il raddrizzamento: si vede facilmente che essi permettono, il primo l'utilizzazione dei semiperiodi po- sitivi, e il secondo quello dei negativi. In tal modo la corrente alternata esistente agli estremi di S è integral- mente raddrizzata. Della massima importanza, come del resto è evidente, è la scelta del galvanometro G, le cui caratteristiche dipendono da quelle del secondario del trasformatore S da quelle delle valvole di Fleming V, V.. Il dispositivo sopra indicato non offre alcuna difficoltà per l’uso. Sarà bene peraltro, seguire queste norme: Si collega con conduttori 4,2 al posto dello strumento di zero. Si mette in funzione l'amplificatore A regolando opportunamente l’accen- sione dei filamenti e la tensione anodica degli audion (1). Si regola poi l’ incandescenza dei filamenti delle valvole a due elettrodi spostando i cursori delle resistenze variabili R, Rs fino ad ottenere la mas- sima deviazione del galvanometro & per una piccolissima corrente alternata in a, db. Infine si cerca di aumentare ancora la deviazione del galvanometro modificando la posizione del contatto mobile d dell’autotrasformatore. A questo punto si possono fare le misure. L'equilibrio si ha (ossia in 4.d non passa corrente) quando il galvanometro resta immobile. Esso sì rag- giunge per tentativi, nel solito modo, cercando di diminuire di mano in mano le deviazioni del galvanometro (*). Sarà bene poi, come si usa normalmente, shuntare il galvanometro in modo da poterne aumentare gradualmente la sensibilità. È però più comodo, quando è possibile, cercare la massima approssimazione per mezzo di un telefono, per raggiungere poi una più grande esattezza nel modo indicato sopra. La precisione che sì ottiene col dispositivo descritto, è sempre molto superiore di quella che, nelle stesse condizioni, si ha col solo telefono. Per quanto le misure si compiano facilmente col dispositivo sopra indi- cato, ne ho studiato un altro che, pur avendo tutti i vantaggi del precedente (utilizzazione dei due semiperiodici ecc.), permettesse l’impiego razionale di un galvanometro qualsiasi, purchè di alta resistenza interna. (1) G. Vallauri, Sul funzionamento dei tubi a vuoto a tre elettrodi (Elettrot., 1917); H. J. Van Der Bill Mc. Graw-Hill, 7'he Z'hermoionie Vacuum Tube (Bock Company, New-York, 1920). (?) E evidente che le deviazioni del galvanometro sono sempre da una stessa parte. RENDICONTI. 1922. Vol. XXXI, 2° Sem. 41 — 508 — La fig. 2 ne dà un chiaro schema. In essa non è rappresentata la parte amplificatrice che è identica alla precedente. Il trasformatore T, differisce da quello della fig. 1 per avere il secondario formato da due bobine iden- Fic. 2. tiche S1 Sg. Il galvanometro G ha un solo circuito di elevata resistenza (10,000-15,000 ohm). Questo dispositivo permette di ottenere una sensibilità altissima, come il precedente, ed è in generale preferibile per la maggiore semplicità. Per rendere più facili e rapide le misure ho adoperato un comune gal- vanometro Weston a indice (400 ohm; 2 X.107? amp. per 1 graduazione) ed ho sostituito l'amplificatore a due audion con uno a quattro. La sensibi- lità è dello stesso ordine delle precedenti e si ha in più il grande vantaggio della lettura diretta. In confronto al telefono la sensibilità e la precisione son molto mag- giori, la rapidità di misura almeno uguale. Geoiisica. — Sul massimo notturno della temperatura dell’aria all’ Etna. — Nota di Filippo EREDIA, presentata dal Corrispondente LuIici PaLAZZO. Dalla pubblicazione sulla meteorologia dell'Etna dei compianti profes- sori Riccò e Saija (*) risulta come l'oscillazione diurna media della tempe- ratura per l’anno è regolare avendosi il massimo poco dopo mezzodì e il minimo alquanto dopo mezzanotte; mentre si sa che a bassa altitudine il massimo ritarda di parecchie ore dopo il mezzodì e il minimo precede di poco il nascere del sole. Dall'esame di tutte le osservazioni raccolte fino a tutto l’anno 1906 l'andamento diurno della temperatura risultò più preci- sato, perchè si poterono utilizzare le registrazioni ottenute al termografo co- struito espressamente da Richard (?). Seguendo l'andamento annuale si trova il massimo alle 13% e il minimo a 4°. (*) Riccò A. e Sajia G., Saggio di meteorologia dell'Etna, Annali del R. Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica, vol. XVII, parte I. Roma 1896. (2) Mendola L. e Eredia F. Secondo riassunto delle osservazioni meteoriche ese- guite all'Osservatorio Etneo dal 1892 al 1906. Rendiconti R. Accademia dei Lincei, vol. XVI, Roma 1907. — 509 — Nell’agosto 1920 durante una mia breve permanenza all'Osservatorio etneo, fui colpito dal fatto che la temperatura indicata dal termometro esposto nella capanna a nord, accennava talvolta a sensibile aumento con carattere quasi accidentale e nel contempo i locali dell’Osservatorio venivano avvolti dal fumo proveniente dal cratere centrale dell'Etna e i vapori di anidride solforosa in alcuni momenti provocavano la tosse stando avanti la terrazza dell'entrata all'Osservatorio. I detti vapori di anidride talora avvol- gevano l'Osservatorio per alcune ore e il concominante aumento della tem- peratura risultava più distinto, qualora il fenomeno avveniva nelle ore not- turne. Capitò così di riscontrare a mezzanotte un anmento di temperatura. In tali giorni viene a determinarsi un andamento diurno termico di- verso dal normale, poichè si manifesta un secondo massimo che possiamo chiamare massimo straordinario. Benchè si presenti spontanea l’induzione che l'aumento di temperatura constatato debba attribuirsi ai vapori di anidride solforosa, i quali prove- nendo dal cratere possono giungervi caldi, pure un esame più profondo ci porta a considerare l’arrivo di detta emanazione all'Osservatorio come con- seguenza di ben altro fenomeno del tutto meteorologico. Non vogliamo con ciò escludere del tutto un certo aumento della temperatura che possono pro- vocare tali vapori; ma esso si aggiunge al riscaldamento più ragguardevole provocato da correnti aeree contemporanee, che trovano origine nella parti- colare distribuzione barometrica che contemporaneamente viene a formarsi. È còmpito di questa Nota il cercare di determinare le caratteristiche di siffatta distribuzione barometrica. All’Osservatorio etneo il personale non risiede perennemente, va in- vece in pochi giorni del mese, cosicchè i casi in cui si possono osservare andamenti irregolari dei fenomeni sono limitati; e cltre a ciò il termografo non ha sempre funzionato regolarmente. Cosicchè dallo spoglio delle osser. vazioni raccolte dal 1915 ad oggi abbiamo potuto estrarre solo 12 casi che riteniamo sufficienti per formare la base del nostro studio. Seguendo i dati contenuti nella seguente tabella, risulta come il feno- meno sì sia presentato con venti sia di NE che di NW (una sola volta di SW) e inoltre con venti forti o deboli o calma, per cui non sembra che sia in dipendenza con lo stato di agitazione dell’atmosfera. Il fengmeno deve pur verificarsi in inverno, ma forse con minore fre- quenza. Dalle osservazioni eseguite il caso più distinto è quello avvenuto il 5-6 dicembre 1918: 20% 9h 99h DEII 24h 1a Oh gn 4h gh TEMPERATURA — 2.7 — 8.1 —8.11 —2.9 —29 — 0.7 —05 —07 <-11 -11 Vento . . . NEf NE.m NE.m NE.m NEf NEf NEf NE.f NEm NEm — 510 — Un analogo aumento di temperatura nella notte fu anche rilevato anni or sono da De Martonne (*). Durante l'esecuzione di un rilievo topo- grafico di precisione dei circhi del Gauri e Galcesu situati nel territorio della Rumania nel versante N del massiccio del Paringu, il De Martonne pose il suo accampamento nel fondo di uno di questi circhi, specie di conca circondata da ripide pareti di più centinaia di metri; è una depres- sione formante come una nicchia sul fianco di una massa montagnosa. Nel contempo eseguì osservazioni meteorologiche e installò un termografo Richard all'altitudine di m. 2015 s. m. Dalle registrazioni ottenute dal 26 agosto al 21 settembre 1900 rilevò che la curva presentava due minimi l’uno a 23* e l’altro a 4" separati da un massimo notturno tra mezzanotte e due ore; e l'anomalia appariva molto accentuata nei giorni di calma atmosferica. Il prof. C. Bruno anni or sono comunicò al prof. G. B. Rizzo (?) che in Mondovì-Piazza e, in modo ancora più cospicuo, nella sua natia Muraz- zano, che sorge sopra una collina, nelle Langhe all'altezza di m. 730 circa, in alcune sere di inverno, quando il cielo è sereno e l’atmosfera tranquilla, verso le 21” si nota un improvviso e considerevole aumento della tempe- ratura: questo anmento dura circa un'ora e poi la temperatura riprende la sua discesa regolare. Il Rizzo dalle osservazioni rilevate dal 1° dicembre 1892 a tutto il 1895 a mezzo di due termografi Richard l’uno sulla cima della Mole Antonelliana e l’altro presso la vetta della collina di Superga, dedusse che a Superga fra le 21” e le 22” la temperatura dell'aria presenta un vi- sibile aumento, del quale non vi è traccia sulle rive del Po, fino all'altezza della Mole Antonelliana. Questi fenomeni sono caratteristici delle notti calme, con atmosfera trasparentissima e si hanno nei periodi invernali di alta pressione. La spiegazione di questo fenomeno potrebbe trovarsi, come aveva pen- sato il De Martonne, nel fatto che in alta montagna il suolo di giorno si riscalda più dell'aria circostante, mentre durante la notte la temperatura del suolo si abbassa considerevolmente al disotto di quella dell’aria. E viene fatto di pensare che nelle notti in cui l'atmosfera è tranquilla, il momento in cui il suolo diventa più freddo dell’aria circostante sia spostato di molto avanti nella notte, perchè allora il suolo perderà calore non solo per irrag- giamento, ma anche per il riscaldamento degli strati inferiori dell'aria, at- traverso ai quali il calore si propaga per convezione. o Il prof. Rizzo ritiene molto probabile che pel rapido raffreddamento delle grandi masse alpine che si distendono dal Monviso al Gran Paradiso, al (1) De Martonne F. Un cas partisulier de la marche diurne de la température en haute montagne. Bulletin Société Scientifique et Médicale de l’Ovest; tome IX, Rennes, 1900. (?) Rizzo G. B. Sopra un massimo notturno della temperatura durante l’ inverno in alcune regioni di collina. Rivista di astronomia, scienze affini, anno I, pag. 189, Torino 1908. D'MANIGE | P'ANILE {DAN 113 D'AN FT DMN (SY DMN [S| PAN (EGO | PAN (SPO | D'AN]LO | PAN (L'E (61-61) -X-T601 . 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Nel me- desimo tempo si viene formando l’altra corrente, la quale, superando le mediocri altezze che hanno le montagne in quel tratto, va del mare alle Alpi Cozie, alle Alpi Graie ecc. e lambisce la colline delle Langhe, Quando si stabilisce questa corrente marina, aggiunge l'A., è naturale che si producono man mano conside- revoli aumenti di temperatura in tutte le regioni che si trovano sul suo percorso. Quanto abbiamo notato all'Etna non può assimilarsi completamente con quanto è stato da altri osservato, e quindi attribuirsi alla stessa causa, poichè l'aumento di temperatura durante la notte ha luogo anche con venti forti 0 molti forti. Vediamo dapprima se il fenomeno è dovuto ad una azione pu- ramente locale o ad una variazione degli elementi meteorologici su larga zona; e tale ricerca possiamo farla per la colonna d'aria interposta tra il livello dell'Osservatorio etneo e il livello del mare, poichè a Catania (m. 65, s. m.) da tempo funziona l'Osservatorio meteorologico. Se si ammette che tale colonna di aria subisca un raffreddamento la pressione atmosferica aumenterebbe al livello del mare, se invece si riscalda la pressione diminuirebbe. E allo stesso modo si dovrebbe constatare un in- nalzamento o un abbassamento della pressione al livello del mare, allor- quando una corrente più fredda o più calda si sostituisce a quella esistente, ed una variazione di pressione all'altitudine < si trova amplificata al livello sottostante nel rapporto da 1 a È (CIG Ricordando quanto è contenuto nella precedente tabella possiamo di- stinguere due casi. In uno l'aumento di temperatura nella notte ha luogo con calma di vento, cielo sereno e le variazioni di pressione dedotte tra le letture eseguite a 21” della sera precedente e le 9" del mattino successivo, contemporaneamente all'Etna e a Catania non hanno fra loro alcuna corri- spondenza. In tali condizioni il tempo sì mantiene sereno per alcuni giorni successivi. Si può allora pensare che il cosidetto Piano del Lago ove è situato l'Osservatorio etneo viene a costituire un pianoro e la cima dell'Etna è come una collina soprastante perchè si erge a soli 300 m. sul pianoro stesso. E : di dz (*) Come è noto, integrando l'equazione: = — TT, ratura decresca con l'altitudine secondo una legge lineare si ha: P ALe 2 ME T \0,84161” DATI ( To) ossia =( Ta) ove m è il numero dei metri corrispondenti in altitudine alla diminuzione della tempe- ratura di un grado. Se la variazione della pressione all’altitudine 2 è Ap, al suolo la : < +4, APo nuova pressione sarà 4po + Po e quindi inn (0) ammettendo che la teme — 513 — nei casì su indicati si produce un fenomeno analogo a quanto si nota in altre località a basse altitudini, e cioè una discesa lenta degli strati più densi dell'atmosfera che si riscaldano man mano che si avvicinano al suolo. Si ha un richiamo di aria dagli strati soprastanti aventi ancora quasi la temperatura delia fine del giorno, i quali man mano che discendono si ri- scaldano per compressione adiabatica e perchè debbono avere ceduto, nel pe- riodo di raffreddamento in contatto col suolo, parte del loro contenuto di vapore d'acqua. Ed è anche per l'intervento di questo fenomeno di conden- sazione che noi possiamo spiegare il maggiore riscaldamento. E l’effetto è maggiore nel colmo della notte poichè, come è noto, allora la corrente discen- dente raggiunge il suo massimo. Negli altri casi il fenomeno avviene con venti forti e la variazione della pressione a Catania è allora in dipendenza della pressione dell'Etna, poichè le relative variazioni stanno nel rapporto dei corrispondenti valori della pressione. In tali condizioni, per una maggiore differenza di temperatura tra la purte interna della Sicilia e il versante orientale si produce un forte ri- chiamo di aria che può provocare aumento di temperatura all'Osservatorio dell'Etna, mentre a Catania può anche non avvenire tale aumento termico, perchè per la conformazione del declivio del monte le correnti discendenti vanno gradatamente a toccare una pianura ove liberamente possono espandersi. Chimica. — Spettro di bande nello spettro d'arco del si- licio (). Nota di C. PoRLEZZA, presentata dal Socio R. NASINI. Avendo eseguito diverse analisi spettrografiche di materiali silicei, ho avuto occasione di notare, negli spettrogrammi ottenuti, delle bande che si estendevano in una gran parte della regione ultravioletta; tali bande non fisurano in alcuno degli spettri d'arco descritti nei trattati, ma dal fatto che le bande stesse erano più intense e più numerose negli spettrogrammi ottenuti coi materiali più ricchi in silice, potei dedurre che questa fosse la causa della comparsa del nuovo spettro, e ciò mi fu confermato dalle espe- rienze fatte con silice pura. Le mie osservazioni hanno portato a risultati notevolmente diversi da quelli che si trovano nei trattati di spettroscopia (°), e quindi ho pensato di farle conoscere, poichè esse possono offrire interesse, sia per Ja migliore co- noscenza degli spettri di bande e delle relazioni che legano fra loro tanto le bande di uno stesso spettro, quanto quelle di elementi diversi, sia per l’ana- lisi spettrografica fatta a mezzo di spettri d'arco, come mostrerò in altra Nota. Non è fuor di Inogo rammentare qui quanto scriveva Sir William Crookes nel 1914 (3): « Pochi elementi hanno avuto l’attenzione richiamata sul loro (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale della R. Università di Pisa. (3) H. Kayser, Handb. der Spectroscopie, VI, pp. 488-491. (3) Proc. Roy. Soc. [A], 90 (1914), 512. > AL spettro come il silicio, e raramente un elemento ha mostrato cosî diversi risultati tra le osservazioni di diversi osservatori », e aggiungeva: « Stu- diando le linee in una regione particolare dello spettro del silicio, fui sorpreso nel riscontrare che linee date dal mio spettroscopio non coiînci- devano pienamente con linee trovate nella stessa zona da altri osservatori, poichè alcune erano interamente assenti, mentre la lunghezza d'onda di altre non corrispondeva nei limiti ammissibili dell'errore di osservazione. La causu di alcune di queste divergenze venne rintracciata nei campioni di silicio usati da me e da altri ». Ho voluto citare le parole testuali del grande scienziato recentemente scomparso, perchè le sue osservazioni, riferendosi ad oltre 11 anni di esperi- menti, hanno grandissimo valore; tali osservazioni indicano che soltanto. alcune delle divergenze sono imputabili ad impurezze, cosa non difficile quando, come Crookes ed altri avevano fatto, si parta da silicio elementare. D'altra parte però le osservazioni stesse mostrano che non vi è da stupirsi se nuovi risultati possano venire ottenuti in riguardo alle manifestazioni spettrali del silicio. i Non è scopo del presente lavoro occuparmi dello spettro di scintilla, che appunto Crookes ha studiato, nè dello spettro di righe, ma, come ho accennato, delle bande che compaiono insieme alle righe nello spettro d'arco del silicio; tuttavia voglio incidentalmente mettere in rilievo che sin dal 1911 io ho eseguito uno studio sullo spettro del silicio, partendo da fluoruro e cloruro di silicio in tubo di Geissler (1). In tale lavoro io ho esteso le osservazioni nella regione da 6400 a 3200 unità Angstròm, riuscendo a controllare i risultati di precedenti osservatori, a misurare più esattamente righe già conosciute e a trovarne diverse di nuove nella regione giallo-verde dello spettro, fino ad allora pochissimo studiata. Ho avuto la soddisfazione di riscontrare che per molte righe le lunghezze d'onda trovate poi da Crookes sono assai vicine alle mie; per altre righe si nota una differenza sostanziale che è probabilmente dovuta al modo di pro- duzione dello spettro, nè questo deve sorprendere data la grande moltepli- cità dello spettro del silicio. Infatti Eberhard avendo studiato in 40 condizioni diverse la variazione della intensità delle righe, trovò che per molte di queste la intensità varia da 0 a 10, cioè può assumere qualunque valore ad arbitrio (*). Senza volere qui ricorrere ad altre spiegazioni, basta questa circostanza per comprendere come alcune righe possano anche sfuggire all'osservazione, benchè fatta col metodo fotografico, sia perchè sono troppo deboli, sia perchè il tempo di (1) Memorie Soc. Spettroscopisti Ital, I (2). 1912, 2: Gazz. chim. it., 42 (1912), JI, 42. (?) Kayser, loc. cit, pag. 488. — 515 — posa non fu abbastanza lungo, sia infine per non avere usato il più oppor- tuno mezzo di produzione dello spettro. Ritornando allo spettro d’arco, ho già notato in principio come le osser- vazioni esistenti relative al silicio, siano incomplete; nello stesso tempo però vi si trovano elementi sufficienti per corroborare le mie attuali osservazioni. Determinando infatti le lunghezze d'onda delle bande da me osservate e confrontando i miei dati e le mie fotografie con quelli che esistono nella letteratura riguardante il silicio, ho potuto rilevare: 1°) che molte delle lunghezze d'onda di tali bande sono assai vicine a quelle ottenute da De Gramont e da De Watteville (') studiando lo spettro che si ottiene dalla scintilla oscillante e scoccante tra frammenti di silicio, e quello di fiamma ottenuto facendo arrivare in una fiamma a gas, dei va- pori di cloruro di silicio: 20) che di bande nello spettro d'arco del silicio dà indizio una delle fotografie (tav. XXVII, n. 4) riportate nell'Atlante di Eder e Valenta (?), e da questi ottenute fotografando, per mezzo di uno spettrografo a quarzo, lo spettro d'arco fornito da un miscuglio di boro e silicio. Poichè lo spettro del boro, che si trova riprodotto nella stessa tavola al n. 3 non mostra traccia di bande è logico supporre, cosa che fa anche il Kayser(*), che possano esser dovute al silicio, per quanto Eder e Valenta non ne facciano menzione nel testo, e per quanto tali bande non figurino nello spettro d'arco del si- ,licio, fotografato con lo spettrografo a reticolo, che Eder e Valenta riportano nello stesso Atlante a tav. XIX, n. 4. Il Kayser anzi ha osservato che sulla citata fotografia si notano abbastanza evidentemente teste di banda verso 267, 255, 244 circa, e un'altra pare trovarsi tra 230 e 235; 3°) che probabilmente dello stesso spettro si tratta in una osserva- zione di Exner e Haschek(*) che nello spettro d'arco del silicio misurano tre teste di banda a 2566, 2414,1 e 2345. Tra queste osservazioni che mostrano analogia con i risultati delle mie esperienze, e che li corroborano, meritano di venire più dettagliatamente considerate le osservazioni di De Gramont e De Watteville. Essi sono partiti da frammenti di silicio (ottaedri o pagliette) tra i quali facevano scoccare la scintilla oscillante; ottenevano così uno spettro di righe e di bande che essi hanno studiato per mezzo di uno spettrografo a quarzo, spettro che si manteneva inalterato anche proteggendo i frammenti dal- l’azione dell’aria per mezzo di un tubo a finestra di quarzo percorso da una corrente d’idrogeno secco, e dedussero che lo spettro di bande non è dovuto a un composto ossigenato del silicio. Bruciando invece nn miscuglio di gas (*) Comptes Rendus, 147 (1908), pag. 239. (2) Atlas typischer Spektren, Wien bei Holder, 1911. (#) Loc. cit., pag. 494. (4) Die Spektren bei normalem Druck, Leipzig, Deuticke, 1911 e 1912. RenpicontTI. 1922, Vol. XXXI. 2° Sem. 42 — 516 — illuminante e di aria contenente vapori di cloruro di silicio hanno ottenuto uno spettro pure contenente righe e bande. Io ho invece utilizzato l’arco voltaico, quale mezzo di produzione dello spettro, ponendo silice purissima in una cavità praticata nel carbone infe- riore, che facevo funzionare da polo positivo, usando corrente continua a 110 volt e una intensità di circa 7 ampère. Come strumento ho impiegato uno spet-- trografo a quarzo della ditta Hilger (gentilmente prestato dal prof. Garbasso, al quale sento il dovere di porgere qui i più vivi ringraziamenti), che dà una dispersione notevole nell’ultra-violetto. Fotografavo prima lo spettro del- l'arco a carboni e poi lo spettro degli stessi carboni dopo aggiunta la si- lice; i risultati delle mie osservazioni indicano che le bande sono sfumate verso il rosso e sono composte di un grande numero di righe, le quali occu- pano gran parte della regione compresa fra 2250 e 2900 unità Angstròm; la banda di maggiore intensità si trova a circa 2400 Angstròm. Rammento qui per incidenza che le bande fornite dal tetrafluoruro di silicio, che ho precedentemente studiate, sono pure sfumate verso il rosso (1). Quanto alle misure eseguite, ho fatto le determinazioni delle lunghezze d'onda servendomi di nn comparatore che dà '/iooo di mm., e deducendo le lunghezze d'onda stesse da una curva tracciata con tutta accuratezza e su grande scala, dimodochè l'errore medio delle mie misure non supera 0,2 unità Angstròm, cioè è dell'ordine di quello di De Gramont. Tale errore potrebbe essere anche minore, se non si trattasse di bande di cui l’inizio è sempre poco, e qualche volta pochissimo nettamente individuabile, come accenno nella colonna delle osservazioni unita alla tabella seguente, nella quale, insieme ai miei, si trovano riuniti i risultati ottenuti da De Gramont e De Watteville. Quanto alle lunghezze d'onda, le mie osservazioni non differiscono molto da quelle di De Gramont; invece si nota una differenza nel numero delle bande, e da questo punto di vista lo spettro da me osservato sì verrebbe a collocare tra lo spettro di fiamma e quello ottenuto con la scarica oscil- lante, come si verifica per molti spettri di righe. Aggiungerò tuttavia che le mie fotografie rivelano qualche banda in più di quelle osservate da De Gramont e De Watteville, e precisamente, oltre alla 2806,3 segnata nella tabella, due bande deboli verso 2880 e verso 2900, che per la loro piccola intensità non ho potuto misurare più esattamente. Altro fatto da considerare è costituito dagli spostamenti di intensità delle teste di banda elencate, passando dallo spettro di fiamma a quello d'arco; ad es.: in quello la banda 2486,9 è la più intensa, mentre nello spettro d’arco lo è la 2414,0. Per quanto poi riguarda una misurazione più esatta dello spettro de- scritto, mi riprometto di fare un più accurato studio con lo spettrografo a (1) Rend. Acc. Lincei, vol. XX (5), II sem., pag. 486. fg tanza — 517 — reticolo estendendo l'esame anche alle numerose righe componenti le bande stesse. Ù De Gramont e De Watteville Porlezza 0 Fiamma Senato Arco LI dan oscillante | agaiico cinede ea ; 2216 0,25 - =.) _ — 9937 0,50 | 2237 0,25) — Ea 2257 1 —_ cs 22002 0 2277,5 | 0,50 _ — | — — 22990 | 2 | 22590 | 1 | 22989 | 1 23214 | 1] dI. — | 23207 | è 2342,8 4 _ — | — - 2343,9 Ad 2343,9 2 2344,4 Ì 2564,6 | 4 = — | — | ® 2365,8 | "1 23658 | 15-| 23657 | 1 2388,1 3 2388, 1 1 2388,1 | 2 2413,8 8 2413,8 6 2414,0 5) 24574 2 — | = 2458,8 4 — = 2458,8 0 Non ben distinto l'inizio 2482,] b) 2482,1 1,5 2482,0 0 ) 2486,9 10 2486,9 6 2487,0 3 25101 ) 3 — — Lu — 255,5 2 = _ — — 2503.9 8 2563,9 2 2563,9 4 2581,4 3 = — 2581,4 0 2587,4 8 2587,4 1 2587,2 3 2644,8 4 2644,8 0,5 2644,6 2 2668,9 8 2668,9 0,5 2669,2 3 2693,7 | 7 2693,7 | 0,25| 26935 1 2755,6 6 —_ —_ 2755,6 0 Non ben distinto l’inizio. 2780,6 6 2780,6 3 2780,4 1 Non ben distinto l’inizio. _ -- — - 2806,3 1 Concludendo in questo lavoro: 1°) viene constatato uno spettro di bande, nello spettro d’arco del silicio, prima non osservato; 2°) viene misurata la lunghezza d'onda delle teste di banda e ri- scontrato che tale spettro ha una analogia con quello di fiamma e di scin- tilla del silicio: viene però trovata qualche banda nuova in più; 3°) viene messo in evidenza che, come accade per gli spettri di righe, tale spettro si verrebbe a collocare tra lo spettro di fiamma e quello otte- nuto con la scarica oscillante. =) o Chimica. — Zentativo per chiarire la costituzione della mu- scarina naturale ©. Nota di S. SceLBA, presentata dal Corrispon- dente A. PERATONER. La muscarina, contenuta nel fungo muscarino (Agaricus muscarius), venne segnalata da Schmiedeberg e Koppe(?) per i primi; ma il loro pro- dotto fu bentosto riconosciuto come sostanza non omogenea, bensì quale mi- scuglio, costituito, come dimostrò Harnack (8), in massima parte da colina. Avendo da questo secondo prodotto separata la muscarina, Harnack le attribuì la formula & HO. N(CH):.CH,.CH(0H), secondo la quale sarebbe un'aldeide idratata, derivata dalla colina. Schmiedeberg e Harnack (4) tentarono pure di preparare artificialmente la muscarina ossidando la colina mediante acido nitrico concentrato; però recentemente è stato chiarito (5) che questa « muscarina artificiale »° la quale fu ritenuta identica con il prodotto naturale, in realtà non è muscarina, bensì un etere nitroso della colina HO.N(CH;);.CH,. CH,.0.NO. In seguito, una muscarina sintetica fu preparata per altre vie. Berli- nerblau (9) dal prodotto di reazione del monocloroacetale sulla trimetilammina ebbe, per ebollizione con acqua di barite, un'aldeide HO. N(CH;);. CH, . CHO che avrebbe dovuto differire dalla muscarina naturale solamente per un con- tenuto di una molecola di acqua in meno. E. Fischer (7), metilando l'acetal- ammina ed eliminando poi per scissione alcool, ricavò una sostanza iden- tica con quella di Berlinerblau. Quantunque il carattere aldeidico della muscarina artificiale sia stato, dunque, stabilito in modo da non lasciare dubbi, tuttavia manca ‘una tale conferma per la formula attribuita da Harnack alla muscarina naturale E ciò si spiega con la straordinaria difficoltà che sì incontra per procurarsi il mate- (1) Lavoro eseguito nell’Istituto di Chimica farmaceatica della R. Università di Roma. (3) Das Muscarin. Leipzig, 1869. (3) Arch. f, esper. Path. u. Pharm., 4, 168. (*) Arch. f. esper. Path. u. Pharm,, 6, 101. (5) A. J. Ewins, C., 1914, IT, 1036. (©) (Bi L/060141395 (7) B., 26, 464; 27, 165. — 519 — riale necessario, essendo poi i rendimenti addirittura irrisorî. Così Nothnagel ('), ritornando, nel suo lavoro esteso « Colzna e muscarina » sulle ricerche di Schmie- deberg, ricavò, da qualche quintale di funghi muscarini secchi, gr. 0,5 di un sale di platino che considerò come cloroplatinato puro della muscarina. Secondo le ricerche dell'Insenga l' Agaricus muscarius della Sicilia non contiene affatto muscarina, nè è velenoso (?). Ed in genere è risultato, che il contenuto di questi funghi in muscarina è essenzialmente influenzato da condizioni climatiche; talchè si rinviene talora, accanto a rilevante quantità di colina, pochissima o punto muscarina (*). Un lavoro dell'anno 1911, pubblicato da Honda (*), che nel detto fungo ha rinvenuto, oltre la colina e la muscarina, due nuovi alcaloidi, le miceto- sine, non si occupa della costituzione della muscarina. In tale modo ne venne che la formula, data alla muscarina dall'Harnack, tacitamente rimase accettata, sebbene le non trascurabili differenze fra l’azione farmacologica della sostanza naturale da un lato e di quella artificiale dal- l’altro sollevassero in proposito dubbî ben giustificati (*). La presente ricerca è stata intrapresa allo scopo di verificare, mediante reazione chimica, se la muscarina mostra realmente il carattere di aldeide. La reazione di Angeli-Rimini (5), che è di data piuttosto recente, sembrava particolarmente adatta a tale fine, essendo una reazione cromatica: laddove, per le quantità di materiale sempre minime disponibili agli sperimentatori di epuca più remota, dei saggi chimici evidentemente non erano stati possi- bili. Non già che avessi sperato di potere separare la muscarina dalla colina per cristallizzazione dei loro sali (cloro-aurati e cloro-platinati o tartrati), al pari di Harnack, Nothnagel e Honda; per tale bisogna i 100 chilogrammi circa del fungo fresco, che avevo potuto incettare, non sarebbero bastati di fronte ai quintali di materiale secco impiegato dai predecessori. Ma mi lu- singavo che un rendimento, per quanto esiguo, di un sale di muscarina sarebbe stato sufficiente ad eseguire la reazione di Angeli, esclusiva per le aldeidi, che è oltremodo sensibile e riesce con quantità minime di prodotti. Tale prova, fatta con l'acido del Piloty, scrupolosamente secondo le indi- cazioni di Angeli-Rimini, per ottenere un acido idrossammico rivelabile da sale di ferro rosso o da sale di rame di color verde erba, è però riuscita nega- tiva tanto sulla piccola quantità di estratto depurato (gr. 0,2) che ricavai, quanto sui pochi milligrammi di sale di muscarina ottenuto dal precedente passando attraverso il cloroaurato. (1) Arch. d. Pharm., 232, 261. (3) Insenga, Centurie di funghi siczliani. Giornale di scienze naturali ed econo- miche: Annali di agricoltura siciliana dell'Istituto Castelnuovo, Palermo. (3) E. Schmidt, Lehrbuch d. pharm. Chem., II, 1832 (Braunschweig, 1911). (4) C., 1911. II, 1048. (9) B., 26, 801. (8) Gazz. Chim. Ital., 30, I, 593; 3, II, 84; 33, II, 239, 245; 34, I, 50. — 520 — Questo sale di alcaloide si è mostrato nettamente attivo, fermando qualche goccia della sua soluzione diluita il cuore di rana, messo allo scoperto, pron- tamente in diastole. Purtuttavia, essendo in tal modo accertata la presenza almeno di tracce di muscarina, non vorrei dalla reazione negativa col reattivo di Angeli-Rimini inferire sulla mancanza del gruppo aldeidico nella muscarina ed attaccarne la formula data da Harnack. L'impossibilità di ripetere più volte e control- lare tale saggio, a causa della deficienza di sostanza, e forse la mancanza di sufficiente purezza del materiale saggiato, m'impongono a tale riguardo ogni riserva. Certamente, la via per la risoluzione del problema è quella prospettata, e di essa conviene che tenga conto chi voglia ritornare sull’argo- mento, sperimentando con quantità di fungo ben maggiori di quelle che io ho potuto fare. Pap Aggiungo alcuni brevi cenni sul modo in cui ho preparato l'estratto dai funghi e l'ho depurato con successo. Circa 100 chilogrammi di Agaricus muscarius dell'Appennino di Arezzo (Badia a Prataglia) vennero, sul posto stesso, schiacciati allo stato fresco, estratti due volte con alcool a 95° e pressati, alla meglio, in tela fra due assi- celle. Il liquido rossiccio, acquoso-alcoolico (circa 40 litri), chiarificato, fu acidificato con acido citrico (5 grammi) e concentrato fino a sciroppo (800 gr. circa) nel vuoto a 40°-50° in corrente di anidride carbonica. Per eliminare la massima parte dell'acqua venne usato il gesso anidro (4 parti). Dopo polverizzazione e stacciatura della massa solida, si estrasse con alcool ordi- nario, per 4 ore ad agitazione meccanica, e si riportò il soluto a consistenza di sciroppo. Ripetuto due volte questo trattamento, ma usando alcool assoluto (litri 2,5), si concentrò a un terzo e si versò il liquido alcoolico, a goccia a goccia e turbinando, nel volume quintuplo di acetone secco, precipitando così fiocchi solidi, grigiastri, igroscopici (70 gr.), costituiti probabilmente da sostanza proteica, idrati di carbonio, ecc. Questo trattamento, sebbene non eliminasse, come dapprima speravo, quello lungo all’acetato di piombo ed ammoniaca, ebbe però il vantaggio di depurare molto l'estratto e di ridurne sensibilmente il volume, dappoichè dopo l’eli- minazione dell’acetone-alcool (cristallizzò l'acido citrico) non rimasero che circa 50 grammi di liquido sciropposo, sul quale fu molto agevole continuare il lavoro come lo prescrivono gli sperimentatori precedenti, cioè con l’ace- tato di piombo, ecc., e in seguito con iodomercurato potassico, barite, idro- geno solforato e solfato di argento, per ottenere il miscuglio dei solfati di colina e muscarina sotto forma di « estratto depurato ». — 521 — Mineralogia. — Studio chimico e ottico dell’arinite di Prali (Valle della Germanasca) ‘. Nota di E. GRILL, presentata dal Socio F. MiLLOSEVICH. In Italia l'axinite fu trovata, finora, in poche località e sempre in quan- tità scarsa. In modo sicuro venne osservata, nel 1867, da Giovanni Striver nel granito di Baveno (2) e più tardi (1892), dallo stesso autore, anche in quello di Alzo (*). Secondo Hessenberg (*) l’axinite comparirebbe pure nel granito del Golfo di Procchio all'isola d'Elba, ma Antonio D'Achiardi (5) sembra mettere in dubbio non solo questo ultimo ritrovamento, ma anche l’altro fatto parecchi anni prima da Warigton Smith all'isola di Monte Cristo (9). E anche F. Millosevich (*), che ha esaminato, ad uno ad uno, tutti i numerosissimi campioni delle collezioni mineralogiche elbane del Museo di Firenze, non accenna affatto alla presenza, all'Elba, del minerale in questione. Nei Tesori sotterranci d'Italia, G. Jervis ricorda soltanto l’axinite del gneiss di Borgone ove il minerale venne riscontrato, in seguito, da G. Piolti (8), il quale lo trovò, inoltre, a S. Antonino ed a Vayes sempre nella valle di Susa. C. Hintze nel suo Yandbuch der Mineralogie. vol. II, pag. 501, non menziona l’axinite del gneiss della Valle della Dora Riparia, limitandosi a ricordare, per l’Italia, i giacimenti di Baveno e dell’Eiba. L'axinite fu trovata ancora nel gabbro di Ricoletta (Monzoni) (°), nella sienite (!) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Mineralogia del R. Istituto di Studî Supe- riori di Firenze. (2) G. Striiver, Cenni su alcuni minerali italiani. Atti R. Acc. d. sc. di Torino, 1867 (nel granito di Baveno l’axinite fu pure riscontrata da A. Streng, Veber die in den Graniten von Baveno vorkommenden Mineralien. N. Jahrb. f. Min. ece., vol. I, pag. 99, 1887). (3) G. Striver, Sut minerali del granito di Alzo. Rend. R. Acc. dei Lincei, vol. I, Roma, 1892. i (4) Hessenberg in G. v. Rath, Geognostisch-mineralogische Fragmente cus Italien. Zeitsch. der Deut. geol. Gesell., pag. 617, vol. XXII, 1870. (°) A. D'Achiardi, Mineralogia della Toscana, vol. II, pag. 166, Pisa, 1873. (9) W. Smith, Atti della 3% Riunione delle Scienze. Firenze, 1841. (?) F. Millosevich, / 5000 elbani del Museo di Firenze. Contributo alla conoscenza della Mineralogia dell'isola d'Elba. Pubbl. R. Istituto di Studî Superiori di Firenze, 1914. (8) G. Piolti, / minerali del gneiss di Borgone (Val di Susa). Atti R. Acc. d. sc. di Torino, vol. XXV, 1890. (9) C. Doelter. Arinit von IMonzoni. Tschern. Min. u. Petrog. Mith., pag. 217, Wien, 1904. 2,09, — di Biella da F. Zambonini (') e infine da D. Lovisato nel granito della Maddalena (°). Percorrendo, nell’agosto del 1921, l’alveo della Germanasca di Prali, assai modificato e sconvolto dal nubifragio che imperversò sulle Alpi occi- dentali verso la fine del mese di settembre del 1920, mì occorse di osser- vare, nei pressi del ponte della Maiera, un masso di gneiss, erratico, attra- versato da una vena di colore roseo-violaceo pallidissimo. Il minerale cui è dovuta la vena mostrasi associato ad un po' di calcite e ricoperto, e anche in- quinato qua e là, da esili fibre di anfibolo actinolitico-tremolitico a riflessi seri- cei. Ha durezza superiore a quella dell'acciaio, lucentezza vitrea, sfaldatura, non facile, di pretto tipo pinacoidale. Questi pochi caratteri unitamente ad altri, più sicuri, che potei costatare in laboratorio, mi fecero persuaso che si trat- tava realmente di arinite come avevo supposto fino da principio. Il masso di gneiss in questione che, al microscopio, appare costituito oltre che da quarzo in granuli ad estinzione ondulata, da plagioclasio albite ricco di inclusioni e da laminuzze di muscovite sfrangiate agli orli, anche da zoisite, tutt'altro che scarsa, in prismi e granuli, da tremolite- actinolite e da prodotti ocracei, proviene quasi certamente dalla parete destra del vallone di Prali e più precisamente dalla regione talchifera di Sapatlè ove, in mezzo ai micascisti granatiferi, affiorano formazioni gneissiche presentanti qualche analogia col blocco ricordato. Per ora, almeno, non sono riuscito a trovare la roccia in posto e ad ottenere dal masso del ponte della Maiera dei cristalli di axinite degni di uno studio cristallografico. Quelli asportati, spaccando lo gneiss, sono spatici e solo taluni appaiono limitati da poche facce naturali, assai estese, ma bucherellate e striate, le quali per i loro caratteri fisici e per la loro reciproca inclinazione (30° circa), sem- brano doversi attribuire — nell’orientazione di Des Cloizeaux — a m {110} e a /'}100}, forme, cioè, come è ben noto, comunissime per la specie. Per l'analisi chimica quantitativa, che ho creduto bene di eseguire dato -che le axiniti nostre non sono mai state studiate sotto questo riguardo, ho avuto cura di scegliere solo dei frammenti, completamente vitrei, scevri di calcife e di actinoto. La polvere del materiale così ottenuto ha colore bianco con una leggerissima punta nel roseo pallido. Alla lampada Teclu essa fonde assai facilmente in una massa nero-vellutata a caldo, rossastra a freddo. Con carbonato alcalino e nitro, sulla lamina o sul filo di platino, si ha una fu- sione fortemente colorata in verde azzurrognolo (3). La mescolanza con fiuo- (1) F. Zambonini, Veder die Drusenmineralien des Syenits der Gegend von Biella. Zeitsch. f. Kryst. u. Min., vol. XL, pag. 259, Leipzig, 1905. (*) D. Lovisato, Le specie minerali finora trovate nelle granuliti di Cala Fran- cese all'isola della Maddalena. Memorie R_ Acc. Lincei (ser. 5%), 9, 1913, pag. 480. (*) Le perle al borace e al sale di fsforo non servono per rivelare il manganese contenuto nella axinite. — 523 — rite e bisolfato potassico impartisce alla fiamma una marcata, non troppo fugace, colorazione verde. L’acido borico fu dosato seguendo il metodo di E. T. Wherry ('), vale a dire disgregando il minerale con carbonato sodico potassico (*), eliminando le basi con carbonato di calcio che non neutralizza l’acido borico, il quale fu poi titolato con vna soluzione decinormale di idrato sodico. I risultati analitici cui pervonni sono i seguenti: Rapporti molecolari Sio; AMT e to, 0,6342 10,2 Ti0, . . . . . assente _ Oreste. 4,70 0,0670 1,00 ALLO e SA 0,1834 | A Fes0s . . ...° 2,02 O Ufag i e Keo. Sie VO NSG:]1 0,0851 Mn et 19 0,0625 | 0.5391 804 Mod eat e 70 0,0434 \ ” CROi S ee 0,3481 , H.0—110° . . . 0,46 e H,0 + 110° (p. arrov.) 1,25 0,0694 1,03 FI eee a A Lracco — 100,24 p. sp.= 3,314 i quali conducono alla formula bruta: H,0.8(Ca, Fe, Mn, Mg)O.3(A1, Fe),0;.B0. 10Si0,. Questa formula che differisce da quella stabilita da J. Edw. Whitfield (*) per una molecola di H,0 in meno, non sarebbe riconducibile a quella di un ortosilicato. E. Ford (4), invece, ritiene che la massima parte delle axi- (4 E. T. Wherry and H. W. Chapin, Occurrence of boric acid in vesuvianite. Am. Journ. Chem. Soc., 1694, XXX, 1908. (2) Ho avuto cura di fondere il miscuglio alla temperatura più bassa possibile affine di evitare una eventuale volatilizzazione di anidride borica. (3) J. E. Whitfield, Am. Journ. Sc, 286, vol. XXXIV, 1887, (*) W. E. Ford, Veber die chemische Zusammensetzung des Axinits. Zeitsch. f. Kryst. u. Min., vol. XXXVIII, pag. 82, 1903. RENDICONTI. 1922. Vol. XXXI, 2° Sem. 43 — 524 — niti siano rappresentabili dalla formula Ca;A1,Bs(S10,)g in cui il calcio può essere sostituito in quantità variabili da Mn, Fe”, Mg e H; e l'alluminio MI da un po' di Fe”. In sezione sottile l’axinite da me studiata non presenta pleocroismo sen- sibile, cominciando ad essere pleocroica solo per spessori di 1 mm. circa, allora sì ha: ng= incoloro; Nm== Viola chiaro; n= bruno pallidissimo. La rifrazione è piuttosto forte; la birifrazione debole e presso che uguale a quella del quarzo. Cristallografia. — Della forma cristallina della nitro-cloro- bromo-acetamilide C, H, ‘ NO * C1» Br * NH(0, H, 0) 1 2 6 5 Nota di MaRrIA DE ANGELIS, presentata dal Socio ETTORE ARTINI ('). Miscela di quantità equimolecolari di C Ha - NO, - CI * Br - NH(C. H30) 1 2 (000 5 e di CH. - NO» - Br. Br. NH(C,H30). 1 CO 65) I cristalli hanno abito prismatico allungato, con forte striatura delle facce verticali, la quale impedisce misure precise, da poter servire per il calcolo di costanti attendibili. Si può tuttavia con sicurezza affermare che questi cri- stalli spettano al sistema triclino, e che sono isomorfi con la nitro-di-bromo- acetanilide. Le forme osservate sono le stesse; costante la geminazione se- condo j010}. (1) Pervenuta all’Accademia il 27 luglio 1922. — 525 — Nella tabella seguente sono esposti i risultati della misura di alcuni tra i cristalli meno imperfetti, confrontati coi valori calcolati per il nitro- di-bromo-derivato. SFIdON ANGOLI OSSERVATI ANGOLI ; } calcolati misurati N. Limiti Medie per Bra e 2i o 7 OL: OI Oa (110).(100) 2 64.44-64.51 6064.4715 63.56 (110).(010) 5 46.32-48.11 47.5 47.23 (100).(001) 9 71.30-72.19 72- 71.58 (010).(001) 4 76.54-77.30 velati 1:21 (110).(111) 3 44.4 -44,39 44.19 44.14 (100).(010) 5 66.33-69.4 68.15 68.41 (100).(110) 1 — 87.42 38.134, (110).(010) 1 _ 30.39 30.271, (110).(001) 7 87.37-88.32 87.57 88.5 (111).(100) 3 83.41-84.24 84.6 83.4444, (111) (010) È 48.49-48.57 48.54 49.104 (111).(001) 5) 46.54-47.50 47.14 4041 (II1).(100) 4 583.56-04.26 54.254, 54.32 (I11).(010) 1 —_ 44.28 44.231, (I11).(001) 4 70.15 -70.38 70.24 (0.81 (111).(110) 1 — 37.58 37.47 (I11)(110) 3 76.10-76.52 10:95 6.40 (II1).(I11) 1 = 86.9 87.10 (110).(110) Il — 77.53 7797.5014 (100).(100) 4 42.53-44.42 43.51 42.3 (001) (001) 4 24.39-29.12 26 — 25.18 (110).(110) 1 —_ 85.49 85.14 (I11).(1I1) 1 — 82.6 81.39 Sfaldatura facilissima e perfetta secondo }0I0} ; le lamine di sfaldatura sono facilmente flessibili, non elastiche. Dalla {010{ escono quasi normalmente le bisettrici acute degli A. O., negative; sulla stessa faccia la traccia del piano degli A. O., per la luce gialla, fa circa 64° con l’asse verticale, nell'angolo # ottuso. Dispersione degli A. O. sensibile: 0C.NH.CN + N,-+2H,0 Ho studiato ora l’azione dell'acido nitroso sopra la fenilmetilbiguanide e la piperidilbiguanide e nei due casi ho ottenuto le diciandiamidi corri- spondenti, ossia ho avuto la trasformazione del residuo guanidico non sosti- tuito in residuo della cianamide —NH.C.NH, —> —NH.CN NH Però, oltre alla diciandiamide corrispondente, trovai in ciascun caso un secondo prodotto, che proviene dall'azione dell’acido nitroso sul gruppo gua- nidico sostituito della biguanide e che, similmente a casi analoghi conosciuti, viene trasformato in gruppo ureico Così dunque la fenilmetilbiguanide (III) dette la fenilmetilcianguani- dina (IV) o fenilmetildiciandiamide che fonde a 148°, di carattere neutro e che cristallizza in lamelle che assomigliano molto a quelle della diciandia- .mide; e inoltre dette la guanilfenilmetilurea (V) che è una diciandiamidina (1) Gazz. chim. ital, 51, I, 140. — 542 — sostituita di carattere basico che fonde a 175° e che, mantenuta fusa a quella: temperatura, si opaca con leggero sviluppo gassoso: Col (111) )N. 0. NH.C.NH; CHs NH NH S on (IV) — )N.C.NH.CN _V) )N.CO.NH.C. NH, CH; NH CH; NH Analogamente, colla piperidilbiguanide (VI) si ebbe la piperidilciangua- nidina (VII), sostanza pure di carattere neutro, fusibile a 173°, i cui cristalli somigliano a quelli della diciandiamide; e la guanilpiperidilurea (VIII), di carattere basico, fusibile a 178° con leggero svolgimento gassoso e formazione di una sostanza solida : CH,i (GR (VI) CH. SN.0.NH.C.NH, CH, CH NH NH | n (VII) C;HN.C.NH.CN (VIII) CH N.CO.NH.C.NH, NH NH Nel caso della o-fenilenbiguanide, l’acido nitroso non dette se non un solo prodotto, la fenilencianzuanidina, benchè anche qui si trattasse di una bigua- nide bisostituita; ma, come si vede dalla formula (I), la sostituzione col ra- dicale bivalente è in due avoti differenti e quindi non c'è la possibilità di trasformare quel gruppo guanidico in gruppo ureico: la o fenilenguanidina, che ha questa possibilità, coll’acido nitroso si trasforma in fenilenurea (!): Di N bl gin 0 , si; di. Xfg/7 De OH oppure ci D NH Ho fatto agire l’acido nitroso anche sulla fenilbiguanide, ma ottenni un liquido scuro dal quale riuscii solo a separare, sotto forma di nitrato, la guanilfenilurea fs. a 144° (IX) e sostanze brune non cristallizzabili : CH; NH. C(NH). NH. C(NH). NH; — (IX)C;H; NH. CO. NH. C(NH). NH, (1) Pierron, Bull. 1904, 37, 884. — 543 — Può essere che anche con questa biguanide si formi la diciandiamide corrispondente, ma fino ad ora non sono riuscito a separarla e può essere che facilmente si alteri per un'ulteriore azione dell’acido nitroso sul residuo dell'anilina. La costituzione di questa suanilfenilurea fn constatata idroliz- zandola coll’acido nitrico poichè dette anilina e guanidina e soltanto tracce di ammoniaca. In ogni modo rimaneva anche identificata per esclusione, giacchè la fenilguanilurea è già stata descritta e fonde a 62-63 (1). Le diciandiamidi sostituite sopra rammentate si comportano come la diciandiamide ordinaria: e cioè, per cauta ebullizione cogli acidi, subiscono l’idratazione del gruppo cianogeno, che passa in residuo ureico, e si ottengono le relative guaniluree isomeriche a quelle ottenute direttamente coll’acido nitroso; esse hanno i gruppi sostituenti nel residuo guanidico, invece che în quello ureico. Così dalla fenilmetilcianguanidina (IV) ebbi la fenilmetil- guanilurea fs. 141° (X), e dalla piperidilcianguanidina (VII) ebbi la piperi- dilguanilurea (XI) che non potei separare allo stato libero per la sua so- lubilità e per la scarsezza di materiale, ma che mi dette un picrato ben cristallizzato che fonde a 245°; mentre il picrato della guanilpiperidilurea cristallizza differentemente e fonde, decomponendosi, a 199°: YN. C(NH) NH CONH, (XI) CH N. C(NH) NHCO.NH, (X) Queste ricerche, con maggiori pa:ticolari e corredate della parte speri- mentale, saranno pubblicate nella Gazzetta chimica italiana. NOTE PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sopra una notevole espressione assoluta del fenomeno della aberrazione totale. Nota di VittoRrIO NOBILE, pre- sentata dal Socio R. MaRcoLONGO (?). Ogni teoria della luce che ammetta la propagazione rettilinea viene implicitamente a postulare l’esistenza di triedri privilegiati in numero inti- nito rispetto ai quali la proprietà medesima ha luogo; nella ipotesi dell'etere fisso uno di tali triedri dovrebbe essere o invariabilmente collegato con quel mezzo oppure dotato rispetto ad esso di moto traslatorio uniforme. Un osservatore O collegato ad un triedro X del vrimo tipo sarebbe al- lora in facoltà di identificare la direzione della luce che gli proviene da una sorgente S con quella della congiungente SO, mentre ciò non è lecito (1) Zentralblatt 1916, I, 842. (2) Pervenuta all'Accademia il 25 settembre 1922. RenpICcONTI 1922. Vol. XXXI, 2° Sem. l 46 — 544 — ad un osservatore in moto rispetto a X, cioè collegato ad un triedro che sia del secondo tipo oppure abbia un movimento più complesso. Nasce così dalla non-coincidenza delle due direzioni della luce, quella rispetto a (che qui diremo assoluta) e quella rispetto all'altro triedro (relativa) il fenomeno di aberrazione nella sua integrità. Sostanzialmente tale aberrazione, che qui chia- meremo per analogia dradleyana sebbene l'aberrazione annua di Bradley non ne sia che un caso particolare e propriamente quella sola parte corri- spondente al moto orbitale della Terra, dipende, come vogliamo qui conce- pirla, dal moto assoluto dell'osservatore rispetto all'etere. Correggere le coordinate stellari dall'effetto dell'aberrazione così intesa non è possibile, per essere quel moto del tutto sconosciuto: si è costretti pertanto a lasciar da patte la cosidetta aberrazione secolare. In quanto alle conseguenze di questa omissione esse sono, nella fase embrionale che attra- versa adesso l'astronomia stellare, poco rilevanti, ma non bisogna perder di vista come le direzioni delle stelle ci appaiano, per effetto di quel feno- meno, falsate e che da questa causa di errore non sarà più lecito fare astra- zione quando, abbandonato l'indirizzo attuale essenzialmente statistico e de- scrìttivo, si dovrà affrontare il problema dinamico in tutta la sua ampiezza. Alla aberrazione ora considerata viene ad aggiungersi una seconda de- formazione, originata da altra causa, che qui chiameremo aberrazione, di po- sisione. Questo fenomeno non differisce, nella sua essenza, da quello della aberrazione planetaria: esso dipende dal cambiamento di posizione delle stelle mentre la luce percorre lo spazio che le separa dalla Terra. La en- tità dello spostamento angolare è funzione della distanza delle stelle e della loro velocità assoluta nel senso qui inteso; le difficoltà gravissime che si incontrano per una soddisfacente misura delle distanze e la impossibilità di determinare l’altro elemento fanno sì che anche quest'altra correzione, non meno necessaria della prima, venga a mancare. Nel corso di altri studî coi quali le questioni qui accennate presentano un nesso essenziale ci è occorso di rilevare facilmente, data la forma estre- mamente semplice che assume la rappresentazione vettoriale del fenomeno, una circostanza inattesa che ci pare di alta importanza ai finì dell'astro- nomia: che, cioè, mentre le due specie di aberrazione dipendono rispettiva- mente dai vettori vo e v; (velocità assolute dell'osservatore O e della stella S;) e le corrispondenti correzioni isolatamente considerate si rendono pertanto ineseguibili, l’effetto complessivo, che qui chiameremo aberrazione totale, non dipende che dal vettore v;;— vo. Supposto quindi l'osservatore O col- locato nel centro di massa del sistema solare e che il triedro X collegato all'etere fisso possegga il carattere inerziale (ipotesi naturale e del resto implicita anche nella ordinaria teoria della aberrazione annua), il problema di determinare la correzione di aberrazione è ricondotto a quello di deter- minare la rotazione assoluta (ai sensi della dinamica newtoniana)‘di un — 545 — triedro intermediario T colla origine in O e la velocità relativa S',; rispetto a T delle stelle S;, poichè sussiste la relazione (1) ve-v=S + QA(S— 0). Questa forma della aberrazione totale vogliamo qui solo segnalare, ri- serbandoci di mostrare altrove come i due problemi fisico e dinamico inti- mamente si compenetrino e in qual modo si possa trattare il problema in- tegrale dalla cui soluzione dipende la possibilità di dare un assetto più ra- zionale alle basi dell'astronomia stellare. ABERRAZIONE BRADLEYANA. — Sia dunque v, il vettore della velocità assoluta (rispetto all’etere fisso) del centro di massa del sistema solare, ve- locità che potremo confondere con quella dell'osservatore supponendo già eliminate le aberrazioni annua e diurna con opportuna combinazione delle osservazioni. Siano inoltre V, e V, i vettori delle velocità assoluta e rela- tiva della luce, (V,) e (V,) i rispettivi moduli e s e o due vettori unitarî definiti dalle eguaglianze Va V, (2) e (V) , Corali, e che evidentemente dànno le direzioni reale ed apparente (aberrata) della stella da cui proviene la luce. All’arrivo della luce in O sarà (3) V,=V.+ Vo e quindi (4) (Va= (Vi) + vi +2V,X Vo. La sola ipotesi che faremo riguardo a v, è quella che del rapporto (Vo):(Va) si possa trascurare il quadrato: questa ipotesi può forse parere a prima vista alquanto arbitraria dato il significato qui attribuito a Vo, ma è certo fisicamente fondatissima stante la natura essenzialmente diversa «dei due fenomeni: il moto della materia ponderabile e quello della perturba- zione luminosa. Ciò premesso si deduce dalla (4) con approssimazione sufficiente 6) (Vt=(V) 1-20 X nr dr gli — 546 — sostituendo quindi tale espressione nel secondo membro della (3), dopo aver diviso per —(Va), avremo, colla introduzione delle notazioni (2), 6 = N sù (Se i a e poichè col medesimo grado di approssimazione è lecito confondere (vo):(V,) con (Vo):(Va), come ci mostra subito la (5) quando sia moltiplicata per (Vo) potremo scrivere la (6), sopprimendovi gli indici, (7) (V)(s_—0)=0Xv:o—W o anche (7°) (V)(s—-0)=(vwA/0) 0. In forma ancora più concisa, indicando con H(0,60) la diade H(oo)hkx=0>x-0 e con 8 l'operatore lineare (omografia) P=(V)rH(0 0) = I, potremo scrivere (8) s_-o=fV,- Queste formole forniscono in modo semplicissimo, noto che sia Vo, il vettore da sommare con quello unitario o (direzione apparente di una stella) per avere la direzione s, cioè quella esente dalla aberrazione. Le espres- sioni indicate si presterebbero ad un facile ed interessante studio gevme- trico della omografia di aberrazione, ma noi vogliamo qui considerare il lato strettamente astronomico del problema che ci occupa e che sarà da noi ripreso in altra Nota. — 547 — Matematica. — Sul numero dei numeri primi inferiori ad un limite assegnato. Nota del dott. FRANCESCO SBRANA, presentata dal Socio T. LeEvI-CIvITA. 1. Del numero dei numeri primi inferiori ad un limite assegnato si conoscono diverse espressioni, che furono ottenute ricorrendo alla teoria delle funzioni di variabile complessa (*), o anche a procedimenti algebrici (2). Ci proponiamo di stabilire, coll'impiego delle funzioni circolari, un’altra espressione di quel numero, la quale offre il vantaggio di presentarsi in una forma notevolmente semplice. 2. Anzitutto, fissati due numeri interi e positivi » e %#, e supposto n cos 1 vale x, se 7 è un divisore di &; in caso contrario, dalla nota identità L cos (n l)x sen na Y cos2he = Loana I LO sen % (7 IT segue, per 7= 7, che la somma (1) vale zero. Di qui deduciamo, indicando con 6, il numero dei divisori di %, k n (2) o,= Do co 1 (*) La prima delle formule di questo tipo è dovuta al prof. Levi-Civita; ved. Rend. Lincei, 1895, 1° sem., pag. 303. (2) Ved. Von Koch, Comptes rendus de l’Académie des Sciences, 1894, 1° semestre, pag. 850. Per un’estesa esposizione delle ricerche fondate sullo studio della funzione È& di Riemann, e per la letteratura sull'argomento, efr. Landau, Handbuch der Lehre der Ver- terllung der Primzahlen. — 548 — Per mezzo della (2), e seguendo un procedimento noto (!), si può ottenere l'espressione del numero Py dei primi inferiori .ad un intero assegnato N. Posto, infatti, Cn - 2hka dx (1) DST 08 : Srl ell n il limite per X > 1, vale 1, o zero, secondochè /% è, o non è primo. Abbiamo dunque c senz[0x(a) — 2] rela [9;(2) wi 2] Fisica matematica. — Sulla deformazione piana di un ci- lindro elastico isotropo. Nota del dott. NicoLas MOUSKHELICHVILI. Estratto da una lettera dell'Autore al Presidente V. VOLTERRA. Je considère le cas de déformation plane d'un cylindre élastique iso- trope, cas important qui est connu dans la littérature allemande sous le nom « das ebene Problem » (?). Je suppose que le corps n'est sollicité par aucune force extérieure, sauf les tensions, appliquées aux bases qui ont pour but de maintenir la défor- mation plane. De plus, je suppose que le corps est échauffé par un flux permanent de chaleur, la température T' aussi dépendant de deux variables x et y seulement. Alors, en adoptant la loi de Duhamel et de Neumann (cfr. Love, Ll. c., S 74, p. 128), le problème de l'équilibre revient à intégrer les équations à dérivées partielles Did DA + ada, (1) (*) Cfr. Von Koch, Nota citata, pag. 852. (*) Cfr. Encykl. d. Math. Wiss., Bd. IV, 25, Nr. 11; A. E. H. Love, Lekrbuch der Elastizitàt, Kap. IX (Lpz. 1907). — 549 — È: DE i du etiatei dv du dv xy,=a(3 +3) Bs, wu désignant les constantes, T=T(x,y) la température et En outre, les notations sont celles de Love. Il s'agit de déterminer les fonctions régulières et uni/ormes Xx,...,U,V satisfaisant au système précédent dans une certaine aire S (base de cylindre), à condition que le contour de S we sof soumis à aucune tension. Le flux de chaleur étant permanent, on aura DES osi TREE dA dY/ . , done, la fonction T est harmonique dans S. Désignons par w() la fonetion de la variable complexe «= x + 7y dont la partie réelle est égale à T(@,7) et posons 3 Pir,y) +iQ(e,uy)= | w(o) de. Posons ensuite È RIE VE A NRE SI (8) fe gag 2 ag) u' et v' désignant deux fonetions nouvelles. Remplagons dans (2) v et v par ces valeurs. Il vient r ni Pe : ELA dv (MTA ui ROTA a , Xy="& (aa i È do done, les /onctions Xa,Yy;Xy,u,v satisfont aux mémes équations que si le corps avait une température uniforme (T= 0), w',0' jouant le ròle des composantes des déplacements. En résumé, /es /ensions Xx, Yy,Xy sont précisément les mémes que sî le corps, suns étre cchauffé, était soumis aux distorsions. [En particulier, si l'aire S est simplement connexe, on aura X, = — 550 — Il est aisé de calculer les caractéristiques de ces distorsions fictives qui, en ce qui concerne les composantes Xx, Y,, Xy, produisent le méme effet que l’échauffement. En effet, les composantes et v du déplacement réel étant, par hypo- thèse. uniformes, les formules (3) montrent que la polydromie des fonctions u ,v" provient uniquement de la polydromie des fonctions P et Q. les- quelles doivent éètre supposées connues, car la température T est donnée. Entre autres il est bien facile de s'assurer directement que le caractère de polydromie des fonetions P et Q est précisement celui qui doit étre d'après la théorie générale des distorsions. Les caractéristiques des distorsions fictives une fois domini le pro- blème de l'équilibre du corps inégalement échauffé revient au problème fon- damental des distorsions, problème qui consiste à déterminer l’état de l'équi- libre, étant données les caractéristiques de chaque coupure. Il est presque inutile de signaler que dans le cas envisagé de défor- mation plane il y aura /roîs constantes pour chaque coupure et non six, comme dans le cas général (à savoir, d'après votre terminologie, seulement les distorsions d’'ordres 1, 2 et 6 ont lieu). Le cas le plus simple est celui d'un arneau circulaire. Supposons qu'on donne les suites des valeurs que la température doit prendre tout le long des deux circonférences limites. Dans ce cas on peut déterminer T sous la forme de la série T—X%logr + Si r" (ancosn9 + db, sin n9), AE o et 4 désignant les coordonnées polaires, d’où l'on tire PH4iQ=%s loge + (a_, — #6_,) log 2 + fonct. uniforme. Donc, en désignant par P_, P_, Q+,Q- les valeurs de Pet Q sur les deux bords d'une coupure quelconque, on aura P,—P_=2n(0—- ky), Q.- Q-= 2r(a_- + ka). D après les formules (3) on obtiendra les caractéristiques des distorsions fictives; è savoir, si l'on met wr -u-=a—ry , Di —_v_=bA4ra on aura nf 4) Vl] — i ir, coca ATTI ARI gd) ci ei i+ — 551 — Les coefficients 4a_, , 6-1, se calculent d'après une méthode bien connue; il est è remarquer que ces grandeurs dépendent seulement des valeurs des intégrales fre, fresgdo , frsin9 do. prises le long de l’une ou de l'autre des circonférences limites, en sorte que si l'on modifie la valeur de température sur les bords sans modifier les valeurs des intégrales précédentes, les tensions Xx , Y,, X, restent les mèmes. Si on prend, par exemple, T=T;= const. sur une circonférence et = T, = const. sur l’autre, on obtient, en appliquant vos formules pour les distorsions d'un cylindre creux circulaire la formule connue de Féopple. Dans mon article cité je considère quelques autres eremple et en particulier je donne la solution du problème des distorsions pour le cas où l’aire S est formée par le plan entier avec un trou de forme elliptique. Or, on peut considérablement simplifier la solution, en appliquant les formules, données dans mon livre: Applications des intégrales analogues à celles de Cauchy, ete. ('). D'une fagon générale on obtiendra immédiatement la solution du problème des distorsions pour les domaines S, considérés dans le livre cité (Ch. IV), si l'on supprime la condition d'uniformité des déplacements. Fisiva. — Sulle modalità dell’assorbimento dei coloranti del trifenilmetano (*). Nota del dott. E. ADINOLFI, presentata dal Socio M. CANTONE. La doppia velocità di diffusione riscontrata nelle soluzioni delle sostanze coloranti del trifenilmetano (*), fa supporre che i vibratori che originano le bande di assorbimento nello spettro visibile siano due. Le seguenti osserva- zioni confermano tale ipotesi: 1. Dalla tabella contenuta nella precedente Nota si rileva che i due massimi di assorbimento si presentano diversamente spostati nei varî sol- venti. Così che mentre per la cianina, il verde malachite, l’azofuxina, il verde metile, il rosa di bengala e l’eosina, il massimo di lunghezza d’onda maggiore subisce spostamenti maggiori dell'altro, l'inverso accade per il bleu vittoria, la fuxina, la rosanilina, la pararosanilina e il violetto metile. (1) Tiflis, édit. de 1’ Université. 1922. (*) Lavoro eseguito nell'Istituto di fisica della R. Università di Napoli. (3) Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, vol. XXXI, serie 52, 1° sem., fasc. II, giugno 1922. RENDICONTI 1922. Vol. XXXI, 2° Sem. 47 — 552 — E ciò non dovrebbe verificarsi se le due bande di assorbimento fossero do- vute alla stessa monade (’). 2. Per il verde metile, il violetto metile e qualche altra sostanza del gruppo si osservano speciali effetti di batocromia e ipsocromia. In soluzione resa acida da qualche gorcia di HCl, l’approfondimento della colorazione di- pende. più che da uno spostamento dei massimi verso le grandi lunghezze d'onda, dalla scomparsa della banda cui corrisponde un valore minore di Z; e l'aggiunta di qualche goccia di NH; o di una soluzione di NaOH produce il fenomeno inverso di ipsocromia con la scomparsa dell’altra banda, quella cioè di maggior lunghezza d’onda, che si intensitica in soluzione acida. Dunque dei due vibratori l’uno è infinenzato dagli acidi, l’altro dalle solu- zioni alcaline. 3. Rendendo alcalina una soluzione acquosa di uranina si ha, come era già noto, un aumento della fluorescenza: tale aumento è accompagnato da una intensificazione del massimo Z= 493 u.u. In soluzione resa acida la fluorescenza scompare e con essa il massimo 493, mentre il secondo mas- simo si sposta verso l’estremo violetto. L'insieme dei fatti esposti non lascia dubbio sulla deduzione che le due bande di assorbimento, che i coloranti del trifenilmetano presentano nello. spettro visibile, sono dovute a due vibratori distinti. Le diverse teorie tendenti a stabilire legami chimico-fisici fra la costi-- tuzione e l'assorbimento, sono in gran parte concordi nell’ammettere che i derivati colorati del trifenilmetano hanno forma chinoide, mentre i leucode- rivati (derivati incolori ottenuti per riduzione, che in seguito a ossidazione. possono nuovamente essere ripristinati nei coloranti originarî) hanno la forma benzolica (2). Sicchè il cromoforo di queste sostanze è il gruppo: (!) Infatti per lo spettro di assorbimento del KMnO, si ha la relazione: v=19030 = 758 n che lega le frequenze delle otto bande presentate dalle soluzioni acquose, e la relazione. analoga: v=18959 *= 753 n per le soluzioni in acido acetico. Si riscontra cioè una batocromia costante per gli otto centri dovuti al gruppo atomico Mn0,. (2) Panizzon, Chimica delle sostanze coloranti, vol. I, pag. 13; Consonno, Coloranti del trifenilmetano, pag. 22. — 553 — Bayer ammette che la funzione cromofora sia dipendente da un’oscilla- zione dei legami e di un atomo di H, in modo che ciascuno dei due gruppi atomici separati dal doppio legame, originato dall’atomo di carbonio centrale, sia alternativamente benzenico e chinonico come nello schema: rr n AS, NH=CK__>0=C—C “NE: == | A N0=NH Secondo la teoria di Stewart e Baly le condizioni di vibrazione del com- plesso atomico di una sostanza colorata sarebbero originate, non da una mi- grazione dell’atomo di H, ma da un fenomeno di isonopesi: cioè un isome- rismo dinamico fra i soli doppî legami. Ad ogni modo sia la teoria di Bayer, sia quelle di Willstaetter, Watson, Baly ed altri, partono dal concetto fon. damentale che la colorazione dei composti organici dipenda essenzialmente dalla esistenza dei doppî legami e dalla loro posizione (1). E a questi speciali fattori di natura chimica corrispondono dal lato fisico le frequenze degli elettroni di valenza ai quali. secondo il ('ampbell, sareb- bero da attribuire i fenomeni di risonanza o, più probabilmente, le frequenze caratteristiche dei gruppi atomici collegati ai doppî legami i cui armonici corrisponderebbero alle radiazioni assorbite nello spettro visibile, secondo una ipotesi del Baly (?). Non trovano però giustificazione con i risultati sperimentali esposti, il tautomerismo dinamico originato dall’atomo di carbonio centrale e il feno- meno di isonopesi. Infatti l'esistenza di almeno due vibratori (poichè non è da escludere che altri ve ne siano con frequenza nell infrarosso o nell’ultra- violetto) porterebbe come conseguenza che questo tantomerismo dinamico do- vrebbe potersi effettuare in almeno due modi distinti, e ciò non è sempre possibile per i derivati del trifenilmetano come si rileva dalle formole di struttura. D'altro canto la doppia velocità di diffusione accompagnata dalla (1) E. R. Watson, Colour in relation to chemieal costitution: I. Martinet, Coulzur et costitution chimique (Revue gén. des sciences, 15 juin, 1919), (2) Baly, Nature, 921, pag. 311. — 554 — separazione dei due vibratori concorre nel rendere non accettabile le cennate ipotesi sulla causa della colorazione. Ma se lo studio dell'assorbimento limitato a una piccola regione spet- trale, qual’è quella delle radiazioni visibili, può servire, come nel caso, a stabilire qualche legame di carattere fisico fra i gruppi delle svariate so- stanze colorate della serie organica e dà mezzo, assieme ai dati chimici, di procedere a sommarie classificazioni, esso è da solo insufficiente per poter individuare il tipo di vibratore a cui questi fenomeni di risonanza son do- vuti. Tale scopo potrà essere raggiunto estendendo l’esame dell’'assorbimento nell'ultravioletto e più specialmente nell’infrarosso, seguendo l'indirizzo dei pregevoli lavori del Puccianti (*), del Coblentz (®) e del Weniger(*) eseguiti con un buon numero di sostanze coloranti. Da quanto si è esposto in questa e nella precedente Nota sì possono trarre le seguenti conclusioni: 1°) Le sostanze colorate del trifenilmetano nei solventi acqua, alcool metilico, etilico, isobutilico ed amilico, originano spettri di assorbimento dello stesso tipo con massimi che subiscono spostamenti crescenti al crescere della massa molecolare del solvente. Fanno eccezione la rodamina B e l'uranina: sembra probabile che ne sia causa la riemissione per fluorescenza. 2°) La due bande di assorbimento caratteristiche delle sostanze esa- minate, sono dovute a due vibratori distinti che in alcuni casi diffondono con velocità diversa, in altri scompaiono alternativamente in soluzioni acide o alcaline, e subiscono spostamenti in misura diversa nei varî solventi, Fisica terrestre. — Costanti armoniche delle correnti di marea nello stretto di Messina. Nota di FRANCESCO VERCELLI, presen- tata dal Socio V. VOLTERRA. Durante la crociera per la esplorazione dello stretto di Messina, a bordo della R. Nave Marsigli, vennero fatte numerose stazioni, con nave ancorata, allo scopo di eseguire misurazioni precise di velocità di corrente. Una di queste stazioni ebbe durata di quindici giorni, dal 16 al 30 agosto. Ogni ora vennero fatte misurazioni alle quote di metri 5, 10, 20, 30, 50 e 90, con correntometri Eckmann-Merz per le prime due quote, e con apparecchi Boccardo ed Eckmann alle quote inferiori. Per evitare le perturbazioni do- vute alla nave, le misure alle quote 5 e 10 vennero eseguite a bordo di un battellino a remi, legato alla nave con una cima lunga una ventina di metri. (*) Puccianti, Nuovo Cimento, 1900. (2) Coblentz, Astrophys. Journal, 1904, 20, pag. 220. (*?) Weniger, Phys. Review., 1910, 31, pag. 318. — 555 — Per le altre numerose stazioni non si potè naturalmente neppure pen- sare di stare all'ancoraggio, in uno stesso punto, per un intervallo di tempo così lungo. La stazione prescelta per l'esecuzione della serie quindicinale di osser- vazioni orarie, si trova di fronte a Ganzirri, a un chilometro circa di di- stanza lungo la soglia sottomarina, che si protende verso Punta Pezzo, co- stituendo la sella di separazione tra la valle declinante verso il Jonio e quella scendente al Tirreno. I dati raccolti in questa stazione costituiscono la base di riferimento per il confronto dei valori osservati nelle altre stazioni, valori che debbono essere studiati non solo con riferimento alla posizione geografica, ma anche con riguardo al giorno e all'ora in cui vennero rilevati. ‘© È noto infatti che le classiche correnti di Messina si alternano in di- rezione, scorrendo ora verso il Tirreno (rema montante), ora verso il Jonio (rema scendente), con ritmo analogo a quello dell'onda lunare semidiurna My. Le variazioni di velocità, durante il periodo di una oscillazione di corrente (12 ore 25 minuti), avvengono con legge analoga a quella delle fluttuazioni di marea. Le due oscillazioni di uno stesso giorno lunare sono quasi ideu- tiche fra loro. Le ampiezze di queste oscillazioni variano invece, nel pe- riodo di un mese sinodico lunare, presentando i massimi valori all'epoca delle sigizie, e i minimi durante le quadrature. Figurando l'andamento delle correnti con un grafico, portando come ascisse le ore di osservazione, e come ordinate le intensità di corrente; con- siderando inoltre come positive le velocità della corrente montante e come negative quelle della scendente, facendo astrazione quindi dalle fluttuazioni azimutali che avvengono nelle direzioni, si ottiene un diagramma che pre- senta nettamente i caratteri delle curve delle maree sinodiche. Questo diagramma può essere figurato matematicamente con una serie di termini sinusoidali, come si usa fare per le maree. Il grado di approssi- mazione dei dati d'osservazione, anche operando con strumenti corretti, data la natura del fenomeno considerato (presenta pulsazioni rapide e continue, come il vento; è facilmente perturbato da azioni atmosferiche), non è molto grande. Nella rappresentazione matematica delle correnti basta quindi limi- tare la serie a pochi termini. L'applicazione che si ottiene considerando solo due onde, quella semidiurna lunare M, e quella semidiurna solare S,, è tal- mente notevole, da bastare ampiamente per tutte le più delicate esigenze pratiche. L'analisi armonica dei dati osservati nella stazione descritta conduce ad assegnare i seguenti valori alle costanti H e % della formola rappresen- tatrice dell'andamento delle correnti: Velocità = H, cos #,jt—(T, + /%,)} + Hi cos a8j(—(T.+%)+.. — (556 Per la quota di m. 5: Onda S.: H=0.5 metri/sec.; £= 160%; Onda M.: H= 1.3 ne al p Per la quota di m. 10: Onda %S.: Hb metnfseci se =15b50: Onda M,.: H=1,3 nm — 1208 Queste costanti sono quasi identiche per le due quote considerate. Diffe- riscono solo di pochi gradi nel valore dello sfasamento £. Per i bisogni della navigazione e della pesca interessano principalmente i valori relativi alle quote superficiali, ora riferiti. I valori corrispondenti a quote più profonde sono tuttora in corso di studio, ma è prevedibile che non differiranno notevolmente da quelli validi per lo strato superficiale. La conoscenza delle costanti armoniche delle correnti rende immedia- tamente possibile la soluzione di un problema fondamentale, che viene gior- nalmente affrontato, dai naviganti e dai rivieraschi, con norme empiriche e rudimentali, dedotte da esperienza secolare: il problema delle previsioni di corrente. Il limitato numero di termini sufficienti per la sintesi della curva teorica rende assai agevole il calcolo. Per facilitare maggiormente il lavoro e renderlo possibile anche a persone di limitata coltura, ho predisposto alcune tabelle, in base alle quali, con semplici addizioni o sottrazioni, ognuno può calcolare le caratteristiche della corrente per un momento qualsiasi e, vo- lendo, per una successione di giorni e di anni. Queste tabelle, accompagnate da più diffuse notizie sull'andamento del fenomeno e sulle ricerche compiute, saranno pubblicate nelle Memorie del R. Comitato Talassografico italiano. È inutile aggiungere che le previsioni fatte in base alle costanti ora calcolate, non rappresentano semplici probabilità, ma rispecchiano con sicu- rezza l'andamento normale del fenomeno nella zona considerata, con appros- simazione di circa 20 cm. al secondo in media (sf deve tenere presente che sì tratta di correnti dell'ordine di 2 metri al secondo). Solo quando esistono perturbazioni di origine atmosferica, specialmente nell'epoca delle correnti minime, vale a dire alle quadrature lunari e nei due o tre giorni succes- sivi, sì possono incontrare maggiori deviazioni. Presentando, a crociera ultimata, la descrizione del regime generale delle correnti, potremo dare le norme per passare dai valori calcolati per questa stazione a quelli corrispondenti per le altre zone dello stretto. Per ora tale raffronto può essere compiuto tenendo presenti le norme in uso nella navi- gazione, riferite nel foglio n. 47 delle Carte idrografiche della R. Marina. — 557 — Chimica fisica. — Sull'impiego di galvanometri come stru- menti di zero nei metodi di misura con corrente alternata. Rad- drizzamento con contatti a cristallo (°). Nota di Luror MAZZA, presentata dal Corrisp. G. PELLIZZARI. Le valvole termoioniche a due elettrodi hanno generalmente un'elevata resistenza interna o meglio impedenza. Perciò, quando nei dispositivi che stiamo studiando, si vogliono adoperare tali valvole pel raddrizzamento delle «correnti alternate, è opportuno far uso, come abbiamo visto, di galvanometri ‘aventi grande resistenza interna. Si possono invece adoperare galvanomettri a resistenza molto più bassa qualora si sostituiscano convenienti contattì a ‘cristalli alle valvole termoioniche. Le disposizioni che sto per indicare, si differenziano appunto da quelle già descritte, per la sostituzione delle valvole a due elettrodi con apparecchi di raddrizzamento fondati sull'impiego dei rivelatori (detector) radiotelegrafici a cristalli. Molti dei numerosi tipi di detector usati nella tecnica radiotelegrafica possono essere adoperati come raddrizzatori al posto delle valvole del Fle- ming (*). Bisogna soprattutto tener presente nella scelta del rivelatore che il funzionamento di esso sia buono anche per le frequenze acustiche (3). È poi necessario che il detector non richieda per funzionare una d. d. p. ausi- liaria. Dei varî tipi sperimentati ha dato ottimi risultati un rivelatore for- mato con un cristallo di galena ‘argentifera ed una punta di rame che ap- poggia su di esso con pressione regolabile. Esso ha un’impedenza molto inferiore a quella delle valvole termoioniche a due elettrodi ed un funzio- namento costante. Gli schemi di circuito sono fondamentalmente uguali a quelli indicati nella precedente Nota. Però l'insieme risulta molto semplificato come è facile vedere dalle figure 1 e 2. In queste, D, e D, rappresentano i raddrizzatori a cristalli. (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica Fisica del R. Istituto di Studî Su- periori di Firenze. (2) Brandes H., Ueder Abweichungen von Ohmschen Gesetz, Gleichrichterwirkung und Wellenanzeiger fir drahtlose Telegraphie (E. T. Z., 27, 1909, pag 1015); Leim- bach G., Unipolares Leitvermogen von Kontaktdetektoren und ihre Gleichrichterwirkung ‘(Phys. Zeitschr., 7, 1911, pag. 228); Austin W., he Comparativ sensitiveness 0f some common detectors of electrical oscillations (Electrician, 67, 1911, pag. 709). (3) È noto infatti che per molte misure con corrente alternata son necessarie e tal- volta si preferiscono frequenze acustiche. — 558 — È ovvio poi che il galvanometro ed il secondario del trasformatore T,, sia nel primo dispositivo che nel secondo, deveno essere calcolati in rela- zione alle caratteristiche del detector a cristalli. Fia. 1. Il funzionamento di questi due dispositivi è completamente paragona- bile a quello dei due analoghi già descritti. Ho anche montato il circuito secondo lo schema della fig. 2, usando. un amplificatore a quattro audion e un galvanometro a indice, le cui carat- EMTean2i teristiche son state riferite nella precedente Nota. Il risultato ottenuto è superiore a quello che nelle stesse condizioni si ha col raddrizzamento con valvole di Fleming. E questo si spiega perchè la resistenza interna del galvanometro impie- gato (400 ohm) è in questo caso adeguatamente scelta. Il raddrizzamento della corrente alternata che si può ottenere con i cristalli di galena sopra detti, per quanto non sia completo, ha un valore assai elevato. Tutti i dispositivi indicati funzionano bene con frequenze comprese fra pochi periodi al secondo e parecchie migliaia. In questo caso vanno adope- rati, come è evidente, amplificatori adatti per le basse frequenze. Per misure con correnti alternate ad alta frequenza, servono ugualmente bene i dispositivi indicati, nei quali però siano opportunamente scelti i tra- sformatori T, T,. È pur chiaro che in questo caso l'ampliticatore A dovrà essere del tipo per alte frequenze (1). (1) De Forest, Der Audion-Detektor und verstàrker (E. T. Z., 35, 1914, pag. 699): H. Abraham, loc. cit.; C. England, loc. cit.; H. J. Van Der Bill, Me. Graw-Hill, loc. cit.; Vallauri, loc. cit.; E. Nesper, Handbuch der drahtlosen Telegraphie und T'elephonic, Berlin, Springer, 1921; I. A. Fleming, Z'he principles of electric wave telegraphy und telephony, New-York, Longmans Green e C°, — 509 — Aumentando il numero di audion dell'amplificatore A, la sensibilità assume valori più grandi. Però bisogna tenere presente che mentre teorica- mente all’accrescimento del numero di audion dovrebbe seguire una sensi- bilità sempre maggiore, in pratica ci si deve arrestare ad un certo valore di amplificazione perchè intervengono degli speciali disturbi. Per aumentare ancora la sensibilità dei dispositivi si può accrescere quella del galvanometro; sebbene ne consegue una minore facilità di misure. Dei varî dispositivi descritti è preferibile in generale l’ultimo che, oltre a permettere un’altissima precisione, offre anche una facilità di uso pari a quella del telefono. Nelle numerose misure eseguite mi sono servito di un generatore di corrente alternata Delezalek-Siemens e anche di generatori a valvole ter- moioniche. Fisiologia. — Aicerche sull’arginasi. VII: L’arginasi nella mucosa enterica e nel secreto enterico ('). Nota del dott. ANTONINO CLEMENTI, presentata dal Corrisp. S. BAGLIONI (?). Scopo delle esperienze. La presenza dell'arginasi nella mucosa enterica del cane risulta dimostrata dalle ricerche di Kossel e Dakin (*); nessun'altra notizia esiste in proposito, nè indagini sperimentali sono state eseguite per dimostrare la presenza dell’arginasi nel secreto enterico; tuttavia da alcuni A. e in diversi trattati di fisiologia e di chimica fisiologica l'arginasi viene descritta, alla stregua dell'erepsina, come un fermento digerente proprio del secreto intestinale. Ho creduto perciò importante eseguire delle esperienze per stabilire, se oltre che nella mucosa enterica l'arginasi è presente anche nel succo enterico e, quindi, se è da considerare non solo come un fermento endocellulare, che partecipa al ricambio intermedio del complessivo organi- smo (Clementi) (4), ma anche come un fermento extracellulare, che partecipa nel lume intestinale alla digestione delle sostanze proteiche. Ricerca dell’arginasi nella mucosa enterica e nel secreto enterico. Applicando la tecnica che abbiamo descritta nella Nota precedente (pag. 454) e di cui abbiamo dimostrato il rigore del fondamento teorico e l'esattezza dei (1) Lavoro eseguito nel R. Istituto di Fisiologia umana della R. Università di Roma. (*) Pervenuta all'Accademia il 23 agosto 1922. (*) Kossel und Dakin, Veder die Arginase. Zeitsch. f. physiol. chemie. B. XLI, 329, 1904. (*) Clementi, Sulla diffusione nell'organismo e nel regno dei vertebrati e sulla importanza fisiologica dell'arginasi. Archivio di Fisiologia, vol. XIII, 1915. RenDICONTI. 1922, Vol. XXXI, 2° Sem. 48 cosa raschiata dall’intestino, accuratamente lavato, di due scimmie (macacus — 560 — risultati sperimentali, abbiamo ricercato la presenza dell’arginasi nella mucosa enterica e nel secreto enterico : nelle nostre esperienze adoperammo la mu- . resus) appena uccise, e di un cane, lasciata in toluolo per parecchi giorni e poi pestata finemente in mortaio di porcellana con polvere di quarzo e diluita con soluzione fisiologica di cloruro di sodio ; il succo enterico ado- perato era il secreto raccolto col metodo della stimolazione chimica della mucosa dell'ansa intestinale alla Vella praticata nell'intestino tenue di cane; gli stimoli chimici adoperati per provocare la secrezione del succo enterico erano rappresentati, come in nostre ricerche precedenti ('), da soluzioni ipertoniche di cloruro di sodio, di cloruro di magnesio, di solfato di magnesio, di ace- tamide secondo la tecnica descritta altrove (*). I risultati delle esperienze eseguite sono riassunti nelle seguenti tabelle: | TABELLA I. Quantità di Na0H 1/10 n necessaria per titolare Il liquido d’i- drolisi dell’ede- stina in Loto. ce. Il liquido d’i- drolisi dell’ede- stina + mucosa enterica 0 succo enterico. ce. Mucosa enterica (macacus resus). . Mucosa enterica (cane) Succo enterico se- creto per stimola- zione con NaCl) CMERCOAlTO: Succo entericu(secre- to per stimolazio- ne con MgS0, CNCO Rie te Succo enterico (secre- to perstimolazione con MgCla) cme. 2 Succo enterico (secre- to per stimolazio- ne con Mg S0a) CINCHRO) ERRE (1) Clementi, Su un nuovo fermento del succo enterico 30.5 30 5 30.5 30.5 30.5 31.5 31.1 Accademia Medica di Roma, anno 1920-21. (2) Clementi, La secrezione del succo enterico provocata dalla stimolazione della mucosa intestinale con soluzioni saline e con soluzioni di anelettroliti, Boll. R. Accad. Medica di Roma, anno 1921-22. al formolo 5 a sla La mucosa en- L’ azoto amini- be È terica oil succo | co liberato (cor- | .£ 2 enterico. rispondente al- a s l’ornitina forma- a tasi) = (QoS CCI mgr. Ho II 47 PASTI 4.3 74 0.7 0.4 7 0.6 0.4 7 1.0 0 0 0.9 0 (0) Durata della per- mestato a 37° manenza in ter- Le) ° 2 2 : la fosfoglicerasi. Boll. Reale — 561 — TABELLA II. Quantità di Na0H 1|10 n necessaria per titolare al formolo $ Loi cena ac Le basi esoni- | Le basi esoni- | La mucosa en- | L’azoto amini- 32/308 che del liquido | che del liquido | terica o il suc- | co liberato (cor- £ z 19 d’idrolisi del- | d’idrolisi dell'e- | co enterico. rispondente al- | .£ 2 î ZI l'edestina. destina +la mu- l’ormtina forma- eo 3 Siciz cosa enterica 0 tasi) ___}}23 20 __/D DD OD. DA 19 de i ? 7» A DI 7) > 02) DD) PPP Db DIP) )D) DD) > DD ) »: > Dirt BID DIRI ) >» DDO DZ PD NO), 9 III IE BID) IP VII 7 Ba pP A ) LTD 2 VPI 13 DMI ip PP). 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