4 TIZI pone d _ piedino ii 0 dp I ame cn gn e Ti na Ely anulare Garrone orge Te An pera da n È PEN MO Peli DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCII 895 SEB IESIERE OO ENTRA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. VOLUME IV. 1° SEMESTRE ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1895 IN °-° NATIONAL N ao A I) RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 6 gennaio 1895. F. BrIoscHI Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Astronomia. — Protuberanze solari osservate al PR. Osser- vatorio del Collegio Romano negli anni 1891-92-93-94. Nota del - Socio P. TACCHINI. « Le osservazioni furono eseguite collo stesso metodo usato negli anni precedenti, e il numero dei giorni di osservazione fu di 251 nel 1891, di 257 nel 1892, di 280 nel 1893 e di 246 nel 1894. Le osservazioni furono fatte da me in 746 giornate, in 177 dal prof. Polazzo e in 11 dal prof. Mil- losevich; tutte le riduzioni sono state fatte da me ed i dati ottenuti ho riunito nelle seguenti tabelle: 1891 = ra RIELreIO Milo mumioso Media altezza Estensione Massima altezza Mesi dei giorni delle protuberanze di osservazione per giorno perigiomno more CESORIELO Gennaio 13 4,62 369 173 60° Febbraio. . 22 7,99 44,1 1,8 114 Marzo . .. 17 6,12 40,1 1,5 130 Aprile . . . 18 7,99 42,3 1,5 110 Maggio. . . 21 4,62 37,3 14 60 Giugno. . . 19 5,69 994 1,8 68 Luglio . . . 30 8,37 40,2 1,4 111 Agosto. . . 30 6,77 41,0 1,9 142 Settembre . 23 9,26 414 22 80 Ottobre . . 22 9,82 43,6 1,7 110 Novembre . 15 5,73 35,4 1,6 68 Dicembre . 21 6,48 40,2 2,2 100 | 1892 Numero Medio numero Media altezza Estensione Massima altezza MESI dei giorni delle protuberanze Il di osservazione per giorno per giorno media osservata | Gennaio .. 13 6,39 396 1,6 90° | Febbraio. . 13 7,00 36,0 1,6 100 i Marzo ... 14 8,14 36,4 2,3 75 | Aprile... 19 7,84 38,7 2,0 64 | Maggio... 27 7,70 38,2 1,9 90 | Giugno. . . 30 10,63 37,5 107 86 Il Luglio... 30 10,27 39,2 1,8 141 Agosto. . . 29 9,76 41,6 2,0 364 Settembre . 26 11,08 41,8 2,0 121 Ottobre 20 9,02 36,8 1,6 260 Novembre . 21 9,29 45,5 2,2 584 Î Dicembre. . 15 9,47 45,7 2,0 152 I 1893 SEME Loro UTO Media altezza Estensione Massima altezza MESI dei giorni delle protuberanze dilloesenmazione per giorno per giorno media osservata Germaiogeo 17 8,12 4055 21 106 Febbraio. . 22 9,00 37,5 1,9 75 NEO 550% 29 9,10 38,0 19) 142 Aprile . .. 26 11,58 39,3 1,8 187 Maggio. . . 21 6,52 40,1 1,9 127 Giugno... . 26 | 5,81 38,8 1,9 90 Luglio . . 26 6,23 s74 TZ 75 Agosto... 29 | 8,73 36,3 1,8 121 Settembre . 26 6,77 36,5 1,7 100 Ottobre 22 5,82 36,2 1,9 74 Novembre . 13 5,00 34,7 1,8 62 Dicembre . 23 6,48 35,5 1,9 141 1894 no MIGLIO Em Media altezza Estensione Massima altezza MESI dei giorni delle protuberanze : di osservazione per giorno na: pieno mesto COSISAIE Gennaio . . 14 6,00 371 1,6 91° Febbraio. . 18 7,17 97,4 2,6 96 Marzo ...: 18 8,11 37,5 2,2 106 Aprile . .. 18 5,00 38,5 2,8 70 Maggio. . . 17 5,94 59,7 1,7 100 Giugno. . . 26 6,38 32,5 1,7 62 Luglio . . . 81 4,71 869,8 1,8 90 Agosto. . . 30 9,20 36,3 1,8 75 Settembre . 19 DIDO 88,5 2,2 100 Ottobre . . 16 4,56 32,0 1,8 50 Novembre . 22 4,64 38,8 1157 80 Dicembre . 17 3,41 30,8 1,8 290 « Il fenomeno delle protuberanze presenta un periodo di maggiore atti- vità a partire dal Giugno 1892 a tutto Aprile dell’anno successivo; e tenuto conto anche delle maggiori protuberanze osservate, il massimo sembra doversi ritenere avvenuto verso il finire del 1892. La frequenza media diurna delle protuberanze fu di 7.06 nel 1891, di 9,19 nel 1892, di 7,50 nel 1893 e di 5,51 nel 1894. L'andamento dei fenomeni cromosferici poco si accorda con quello delle macchie, le quali hanno presentato dei massimi secondarî rilevanti anche nell'ultimo anno, mentre nella cromosfera può dirsi, che do- minò sempre uno stato di calma relativa. Considerando ‘poi che i fenomeni aurorali terrestri furono scarsi e deboli, mi confermo nell'opinione mia, che detti fenomeni siano più in relazione colle protuberanze, che colle macchie, come altre volte ho cercato di dimostrare. La massima altezza notata per il Dicembre 1894 riguarda una protuberanza di carattere non eruttivo, ma piut- tosto nebuloso, osservata dal prof. Polazzo nel giorno 24 di quel mese; questa protuberanza trovavasi nell'emisfero sud del sole alla latitudine di 29°,5 ed alle 112.26" aveva un'altezza di 212”, che si aumentò fino a 290” alle 11°.51": dopo discese e alle 12°.36% non era alta che poco più di un minuto ed erasi molto spostata verso sud; e da ritenersi che fosse tutta sospesa nell’atmo- sfera solare e non innalzatasi dal posto al bordo determinato nella prima osservazione ». Astronomia. — Macchie e facole solari osservate al R. Os- servatorio del Collegio Romano negli anni 1891-92-93-94. Nota | del Socio P. TACCHINI. i| « Il numero dei giorni di osservazione in questi quattro anni furono ri- i spettivamente di 304, 297, 317 e 283 abbastanza bene distribuiti nel corso | di ciascuna annata. Le osservazioni furono eseguite da me in 823 giornate, in | 233 dal sig. Vezzani e in 145 dal prof. Polazzo; lo spoglio poi delle osser- | vazioni e calcoli sono stati fatti da me, e i dati ottenuti ho raccolto nelle | seguenti tabelle. | 1891 | | o É3 | &° | 63 | &SS|&Sgl &$ | 33) 38 | Gennaio . . | 16 | 156| 2,13| 3,69) 0,38 | 000) 138| 185| 169 I il Febbraio. . || 26 | 2,81| 812| 1048| 0,15 | 0,08| 2,88 | 240) 896 | Marzo ...|| 22 | 127) 191) 3,18| 014| 000] 145| 119) 418 | Aprile . ...|| 25 | 300 624) 9,24| 0,00 004|.2,36) 246| 556] | Maggio. ..|| 23 | 5,91| 844| 1435) 000) 0,00| 409 | 481| 510 î Giugno. .. || 25 | 4,48 | 1240| 16,88| 0,00 | 0,00 | 3,80] 470| 894 | Luglio ... | 81! 7,84 | 1081|15,65| 0,00 | 0,00| 408| 763| 820 î Agosto... || 81 | 355| 529] 884) 006] 006) 2,94| 40,1) 708 o Settembre . | 29 | 6,66 | 10,86| 17,52| 0,00 | 0,00 | 4,10 | 114,2| 61,1 | Ottobre 26 | 489! 10,65| 15,54| 0,00 | 0,00! 4,96 | 547° 85,8 Î Novembre . | 22 | 5,82| 718| 1250] 0,00| 0,00 | 341| 614| 51,5 | Dicembre . | 28 | 3,98| 4,64| 8,57| 0,00| 0,00) 2,68| 42,2] 85,4 | i SEI) de 1892 El Gi ‘A 9 9 pol Bs | SU | 2 |S3|&S3| “È s3| 38 Gennaio . . || 19 | 9,10| 10,53| 19,68| 0,00 | 0,00 | 5,90| 79,8| 56,6 Febbraio. . | 19 |11,26|12,05| 23,381] 000) 0,00 | 5,16 | 1536| 60,8 Marzo . . 18 | 6,67) 6,45) 13,12| 0,00 | 0,00 | 4,28 | 61,7) 864 Aprile ...|| 21 | 10,76| 13,91] 2467| 000 | 0,00 | 5,57 | 708| 512 Maggio. ..|| 81 |11,10| 18,17| 2427) 0,00 | 0,00 | 5,74 | 1195| 62,5 Giugno... || 80 | 13,47] 1153| 25,00! 0,00 | 0,00 | 6,20 | 111,2) 106,8 Luglio .. . || 31 | 1171) 12,61|24,32| 0,00 | 0,00 | 4,777 | 1532] 803) Agosto . . 30 | 11,50| 9,70] 21,20) 0,00 | 0,00 | 6,50 | 1238| 57,2; Settembre . | 27 | 7,04| 12,18| 1922| 000| 0,00 | 5,37) 729) 864] Ottobre 25 | 9,84| 13,92) 23,76] 0,00 | 000 | 495| 790 89,6 Novembre . || 25 | 11,32| 11,84| 23,16| 0,00 | 0,00 | 416 | 7438| 46,7 Dicembre . || 21 | 12,00) 10,90] 22,90) 0,00| 0,00 | 6,57 | 63,3) 66,3 1893 È 2 D 4 È da 2 3 SS HS Ei ES | Wo © HSE ES v3 $® Gennaio . . || 20 | 13,20] 9,90| 23,10) 0,00 | 0,00| 5,01| 984| 435 Febbraio. . || 22 | 12,96| 10,64| 23,60| 0,00 | 0,00 | 4,64| 100,7| 53,2 Marzo ...|| 80 |11,98| 7,57| 19,50| 000| 000) 490) 813| 66,3 Aprile ...|| 28 |14,75| 14,86] 29,11] 0,00| 000| 7,25| 1105) 996 Maggio. ..|| 25 |1460| 856|23,16| 000| 000| 7,00| 952| 898 Giugno. ..|| 27 | 17,15) 1159| 28,74| 000) 000| 6,85| 1013| 639 Luglio . .. || 80 | 13,07{ 13,23! 26,30! 0,00 | 0,00 | 7,80| 138,1| 942 Agosto . . 31 | 1442] 80,42| 44,84| 0,00 | 0,00 | 10,16| 227,5 | 111,0 Settembre . | 80 | 11,17| 19,60| 30,77| 0,00) 0,00 | 6,70| 1411 1340 Ottobre 27 | 11,89] 1496) 26,85| 0,00) 000) 7,37' 112,7] 89,2 Novembre . | 20 | 11,10| 12,05] 28,15] 0,00| 0,00| 5,85| 964| 840 Dicembre . || 27 | 19,15| 14,74| 32,89) 0,00| 0,00 | 7,96|1664| 86,0 1894 Mest [| E&6| gi | g5 | 32 | 8g] 58) 38 | 585/312 25 | È | &° | &S |&35 | &S8| &$ ss | 88 3, © 3 3 Gennaio . . || 19 | 10,79| 13,58] 24,87| 0,00 | 0,00 | 7,16 | 106,1] 74,2 Febbraio. . || 20 | 10,55| 8,80) 19,35| 0,00 | 0,00 | 6,25 | 136,3] 65,8 Marzo ...||_ 20 7,01| 10,50| 17,51] 0,00 0,00| 480 481| 57,5 Aprile ...|| 20 | 11,90] 10,80| 22,20) 0,00) 0,00 | 5,55 | 1148| 63,5 Maggio. ..|| 21 | 11,91] 20,88| 32,29] 0,00 | 0,00| 6,14 | 1146] 80,0 Giugno... || 28 | 11,89| 19,04| 30,93| 0,00 | 0,00 | 7,14 | 138,2| 86,1 Luglio ...|| 31 | 14,90| 13,68] 28,58| 0,00 | 0,00 | 7,06 | 125,6| 63,9 Agosto... .|| 31 7,74| 16,65| 24,89] 0,00 | 0,00 | 5,74| 93,6| 121,5 Settembre . || 27 7,85 | 17,89| 25,74| 0,00 | 0,00 | 644| 35,9| 108,5 Ottobre ..|| 20 | 10,45| 11,10] 21,55] 0,00 | 0,00 | 4,50 95,3| 693 Novembre . 25 6,96 | 10,16| 17,12] 0,00 | 0,00 | 4,60 | :39,7| 82,8 Dicembre .|| 21 8,62 | 10,24| 18,86| 0,00 | 0,00 | 4,48| 61,9|] 82,2 «< Dal Settembre 1891 la frequenza dei giorni senza macchie e senza fori si mantenne a zero fino alla fine del 1894, e di là incominciò il periodo di grande attività nella fotosfera, che si estese fino al Luglio dell’anno ultimo e si può ritenere che il massimo sia avvenuto intorno alla metà del 1893. Il fatto singolare avvertito in quest'ultimi anni, fu la mancanza di fenomeni straordinarî nella cromosfera al posto delle macchie, quando venivano osservate al loro nascere o tramontare ». Matematica. — / metodo di Riemann esteso alla integra- pu — Mu. Nota del Socio LuIci zione della equazione: e A dI d£2 dC N BIANCHI. « Il metodo tanto notevole di Riemann per la integrazione della equa- zione lineare a derivate parziali del 2° ordine del tipo iperbolico : die i d8 dé PLADVI dI dY è stato ripreso e sviluppato da Du Bois Reymond (*) e da Darboux (?). (1) Cf. specialmente l’ultima Memoria : Veder lineare partielle Differentialgleichun- gen zweiter Ordnung. Crelle'*s Journal Bd. 104. (2) Legons sur la théorie générale des surfaces. T. II, Chap. IV. PES O) Un importante complemento ha poi ricevuto questo metodo dalle recenti e fondamentali ricerche di Picard sul processo delle approssimazioni successive (1). Potendosi infatti così dimostrare a priori l’esistenza di una soluzione che sod- disfà alle date condizioni ai limiti, in particolare di quella che chiamerò con Du-Bois Reymond la soluzione principale (Hauptintegral) della equazione aggiunta, ne risulta l'unicità della soluzione regolare cercata. « Il metodo stesso si può, almeno in certi casi, estendere ad un numero maggiore di variabili e ad equazioni di ordine superiore. Un primo tentativo in questa via è stato fatto ultimamente da Volterra per certe equazioni del 2° ordine a tre variabili (2). Nella presente Nota io estendo il metodo di Riemann alla equazione dell’ ordine a x variabili : du dI dI e dC N (1) =M, dove M denota una funzione data delle 7 variabili indipendenti z1, 42... dn. A problema fondamentale si può qui porre quello di determinare una solu- zione della (1) che soddisfi alle condizioni iniziali : Ehi EA ZIA) » Wa = 02 B= [ao Ways Gn) di db = Was denotando /; una funzione arbitraria delle r—1 variabili 21 &2.. di Vian e n ed essendo 4, , 42... dn, n costanti. Dimostrata dapprima, col metodo delle approssimazioni successive, l'esistenza della soluzione cercata, applico poi il metodo di Riemann, mediante il quale il valore di x in un punto qualunque (0, da... bn) si può calcolare quando della equazione aggiunta dv È a e ili (I sia trovata la soluzione principale relativa al detto punto. Similmente, nota la detta soluzione principale, si potrà calcolare il valore di v in (81 ds... dn), quando lungo un’ ipersuperficie P(L142.. In)=0 siano dati i valori di u ed, in modo compatibile, quelli delle successive de- rivate fino alle (r—1)"°. Per tal modo viene anche dimostrata l’unicità della soluzione, che soddisfa alle date condizioni ai limiti. (1) Mémoire sur la théorie des équations aua dérivées partielles et la méthode des approximations successives. Journal de Mathém. 1890. (2) Sur les vibrations des corps élastiques isotropes. Acta Mathematica. Bd. 18, pag. 161. RENDICONTI. 1895, Vo. IV, 1° Sem. 2 Sr « Un caso particolare notevole, in cui la soluzione principale si può subito determinare è quello in cui M= 1. Allora, posto TZ (21 Sa du) (ce az 42) 506 (7 oi Un) 9 nella trascendente intera r=% Tad — Ned J O) LE es DE o si ha appunto la soluzione principale relativa al punto (41 42... @n). SIL « Per semplicità delle formole, ci limiteremo a sviluppare i calcoli nel caso n= 3, scrivendo l'equazione fondamentale : du (2) PV = Mu. « Interpretando x, y, < come coordinate Cartesiane ortogonali, supponiamo che entro il parallelepipedo limitato dai sei piani = YES) ESSO la funzione M di «, y, 2 sia finita e continua e si abbia costantemente |M| + > + = =0 a causa della (5), e separando gli (S) integrali doppî del secondo membro in due terne estesi rispettivamente alle tre faccie, x =0, y=0, 2=0 ealle loro parallelex = 2,9 =%0v8=%; avremo: (6) [fwayaz+ f fr ded + f(zazay= X dy de + (X=2) (Y=Yo0) (4=20) (e=0) l (1) + da dz + f fe dx dy. (Y=0) @=0) « Il secondo membro, una volta fissato il moltiplicatore v, è evidente- mente calcolabile pei valori dati di w sui piani coordinati. Ora prendiamo il moltiplicatore v in guisa che si riduca eguale all'unità sulle tre faccie L= Lo, Y= Yo, € = o. Una tale soluzione v della equazione aggiunta, la cui esistenza segue dal risultato generale del N. 1, si dirà: Za soluzione principale della equazione aggiunta relativa al punto P = (x0%Y 8). Il primo membro della (2) diventa allora: Sfrara+ ffrard:+ ( (ad 20) (CX (Y=Y0) (3=20) e il suo valore calcolato è quindi: 3u (0 3 Yo, o) + (0,0, 0) +%(0, %0, 0) + u (0, 0, 20) —2}t (20,90, 0)+u (21,0, a) +4(0, 70,60). (1) Colla notazione ecc. indichiamo che l’integrale doppio è esteso alla fac- (e=%0) cia 2 = o del parallelepipedo ecc. — cipale della equazione e « Così abbiamo già la formola domandata; ma si può ulteriormente semplificare il secondo membro, scrivendo: Reda (uv) 3 dvdu 3 ww TRUE 2 dad 2 dY de e analogamente per Y, Z. Allora se si osserva che si ha: ia (40) dy de ps (ES, (0, Yo; zo) — (0, Yo > 0) — (0, 0, 80) dY de e analogamente per gli altri due integrali, ne risulterà la formola definitiva : (B) «(0Y0: 80) = (UO) + È (0) Yo, 0) + (20; 0, 20) + u(0, Yo; 80) -— —{ul, 0,0) +-w(0, 90,0)--2(0, 0; n) — DARA di dI 1 (f(E2 dfa dv 3 2) nl ia dWY ay Day di Di LE de de de E, (Y=0) dfs dv 4 da 2) 5 al dy dY da da « Questa formola (B) ci dè appunto il valore di « in P= (0 Yo 80) per mezzo dei valori dati di /1, fa, fa. « Una conseguenza immediata ed importante della (B) è la seguente. Se la soluzione regolare % si annulla sui piani coordinati è nulla dovunque, perchè il 2° membro della (B) è allora nullo. Ne segue l'importante teorema di unicità: « Una soluzione regolare u dellu equazione du === M dI dY dE è perfettamente individuata dai valori che assume sui piani coordinati. « È bene applicare la (B) al caso particolare in cui v sia la soluzione prin- du _—©°___ My relativa all’origine; otteniamo allora dry semplicemente Udo Yo), 0, 0), formola che stabilisce una sorta di reciprocità fra le soluzioni principali della equazione data e della aggiunta, affatto analoga a quella osservata da Darboux nel caso n= 2 (1. c. pag. 81). (1) Con (uo), indichiamo il valore di uv nell’origine. n $ 4 « Con eguale successo si può trattare il problema del N. 2 ed espri- mere il valore di % in ogni punto della regione ivi considerata per Mezzo dei valori dati per x e per le derivate sopra 3, quando pel detto punto si sappia determinare la soluzione principale della equazione aggiunta. Se si costruisce infatti per un punto P= (x. 0 20) il tetraedro PA BC di cui è parola al $ 2 e si suppone, per fissare le idee, che il tetraedro giaccia dalla parte positiva di ciascuna delle tre faccie piane, la formola (A) ci darà: f (xayde+ ffracd:+ ffadzdy= 5 PAC PBC PAB A N A = —Sf(x cos #£ 4 Y cos 27 + Z cos n) do Se per v si prende nuovamente la soluzione principale della equazione aggiunta relativa al punto P, la somma del 1° membro sì riduce a (!) dUp — (CA +us + Uc) aumentato di un integrale curvilineo esteso al perimetro del triangolo ABC. « In questa parte e nel secondo membro figurano soltanto i valori noti di « e delle derivate sopra X; la formola che così otteniamo risolve dunque il problema. Di qui risulta: Ze condizioni ai limiti del N. 2 individuano la soluzione regolare u corrispondente. 8 5. « In ciò che precede mi sono limitato, per brevità della esposizione, al caso di tre variabili (2 = 8). Ma come già si è detto il processo delle approssimazioni successive, come pure il metodo di Riemann è ancora appli- cabile al caso generale della equazione: du = Ma dI dI. dI Non vi è difficoltà alcuna a constatare la verità della prima affermazione. Quanto alla seconda basterà osservare che se v è una soluzione della equa- zione aggiunta: . SRO DA (—1).Mo, dI dI o60 da (1) Con up indichiamo il valore di in P ecc. SEZ 7) si avrà identicamente qualunque sia «: di IX X IX, nol er Mu) eli n RSI = es ZA Li ==, dI dI2 dC ARZI na SE dI dove X,, X:, X3..X, sono espressioni lineari nelle derivate miste di w,v fino alle (2 — 1)®®. Così si ha: Diu 1 dv iau xaer——— — —[_——— + su i. 2 VIA, )+ IN2 dv Der 0) n (—-1)(a_-2) C- dd3 ds. die ta ) 1.2.9 dv Diu (@= 1) (n 2) (n 3) 5 dI3 dA dI. a )+ Nel Dio a ne in ogni termine fra parentesi deducendosi i varî termini dal primo scritto con permutazioni di indici. Basterà allora applicare la nota estensione della (A) allo spazio di x dimensioni. « Terminiamo coll’osservare che nel caso M = 1 possiamo subito deter- minare la soluzione principale della equazione ERI RES IE A dI dC2 00 dd relativa al punto (a14:...0,). Se poniamo infatti t=(r,— 1) (2. — 0) .. (EC — 4) è facile trovare una trascendente intera in 7: Toeie A pula . dazà dI T che coincide appunto colla soluzione principale. Osservando che o ed di D esprimendo che dI pi: dA dL2 0 dI ; troviamo : Y=% r=%0 x r° 6, da —1+ Si CU, r=1 r=1 onde: = dt 1, PRADA Ri i TO O « La trascendente intera 1 se LOT ri de RenpIcoNTI. 1895, Vor. IV, 1° Sem. 3 Auitgi e e adunque la soluzione principale. Così abbiamo ottenuto l'estensione ad 7 qualunque del risultato conseguito per primo da Du-Bois Reymond (1. c., pag. 296) per 2 = 2, ove ponendo Es DI , la J(7) si muta nella prima funzione di Bessel Jo(£). OssERVAZIONE « Il metodo delle approssimazioni successive, come è adoperato ai N. 1, 2, sarebbe egualmente applicabile alla equazione più generale: du (A du DEU du du du Td =" @ — +e +0 ano = sen ahii, VETEZIEAETE? da da 2g gia i coefficienti 4, d, c, @,8,y, M essendo funzioni finite e continue GUAI Lo stesso dicasi della corrispondente generalizzazione alle » variabili. Al contrario il metodo di Riemann sembra riuscire soltanto in casi particolari, x dei quali il più semplice è stato sopra considerato ». Matematica. — Sopra alcune considerazioni geometriche che st collegano alla teoria delle equazioni differenziali lineari. Nota di Gino Fano, presentata dal Socio CREMONA. « 1. Scopo di questa Nota è di portare un primo contributo a una teoria, che potrei chiamare geometrica, delle equazioni differenziali lineari ; di mostrare cioè in qual modo considerazioni geometriche semplicissime possano condurre a risultati interessanti per un ramo così importante dell’Ana- lisi moderna. Non sono, in gran parte almeno, risultati nuovi quelli che ora ottengo; ma la novità del metodo potrà forse invogliare qualcuno a conti- nuare con me queste ricerche (1). « L'idea prima di introdurre nello studio delle equazioni differenziali lineari quelle considerazioni geometriche di cui noi ci varremo, sembra do- vuta ad Halphen (Mémoire sur la réduction des équations différentielles lintaires; Mém. Sav. Etr.; vol. 28; 1883/84), mentre a Laguerre (Compt. Rend.; 1879) e Brioschi (Bull. de la Soc. Math. de France; t. VII, 1879) spetterebbe di aver per la prima volta considerati gli invarianti differen- (1) All’egr. prof. Klein, che qui mi è caro ringraziare nuovamente, vado debitore di avermi istradato su questa via. eno ziali, dei quali lo stesso Halphen, anche in altri lavori su quest'argomento ('), ha fatto ampiamente uso (ma ai quali noi non ricorreremo). — Sia GORIZIA ASI + Any + Any==0 un'equazione differenziale lineare (omogenea) di ordine % = 3, nella quale y è la variabile dipendente, e i coefficienti A, .... sono funzioni qualunque della variabile indipendente 4, che si suppongono appartenere a un determinato campo di razionalità (Ralionalitàtsbereich). Indichiamo con y1, Y2, - - --Yn un sistema di integrali (soluzioni) indipendenti dell'equazione proposta (non legati dunque da alcuna relazione lineare a coefficienti costanti), e interpretiamo queste stesse y; come coordinate projettive omogenee di punti (y) in uno spazio S,-1. Al variare della x varieranno, in generale, anche le %1, Y2,--:-Yn, e il punto (y) descriverà una certa curva I (appartenente allo spazio S,-.) che Halphen ha chiamata Courbde attachée all'equazione differenziale (?). Questa curva, per il modo stesso in cui fu definita, non si altera se alla variabile indi- pendente 4 se ne sostituisce un'altra 2, comunque legata con essa; e nemmeno se gli integrali y; vengon tutti moltiplicati (o divisi) per uno stesso fattore, funzione di detta variabile; essa ha dunque carattere invariantivo rispetto alle trasformazioni : e=fl@) y=g(2).0() e si può quindi considerare come a//achée a un'intera classe di equazioni differenziali lineari, deducibili l'una dall'altra con trasformazioni del tipo accennato (4) (°). « Le y; non sono però, in generale, funzioni univoche della 4; ma, per uno stesso valore di questa, esse potranno assumere più, e fors'anche infiniti (1) Ad es. nella Mem.: Sur les invariants des équations différentielles linéaires du deme ordre; Acta Math, vol. III (2) Halphen limita bensì questa considerazione ai casi di n=3 e n=4 (quindi n—-1 = 38); ma dice egli stesso che al di là del 4° ordine « si l'image géométrique fait défaut, l’objet ne subsiste pas moins ». (8) È appunto per avere l’invariantività rispetto a queste trasformazioni, che con- viene interpretare le y; come coordinate omogenee. (4) Se si trattasse però di equazioni differenziali di 2° ordine (n = 2), sarebbe facile verificare che con trasformazioni di questo tipo si può passare da una qualunque di esse a ogni altra. Volendo quindi studiare proprietà invariantive di queste equazioni rispetto a certe trasformazioni, conviene limitare maggiormente la cerchia di queste ultime (fissan- dosi ad es., nel caso dei coefficienti razionali, sulle sole sostituzioni lineari di ). (3) È facile verificare che le coordinate di un iperpiano (Sn_») variabile osculatore alla curva T soddisfanno all’equazione differenziale aggiunta di Lagrange : O Eee rane Renee Ii mentre le coordinate di una tangente, di un piano, o in generale di un Sx osculatore (£=n— 8) soddisfanno rispettivamente alle diverse equazioni differenziali associate di Forsyth (Phil. Trans.; vol. CLXXIX; cfr. anche: Craig, A treatise on linear differential equations; New-York, 1889). So) valori, tutti esprimibili però come combinazioni lineari dei loro valori primi- tivi. Più chiara riesce la cosa se immaginiamo distesa la variabile x su di una superficie (piaro, superficie di Riemann, ....) sulla quale risultino fun- zioni univoche i singoli coefficienti A,,...; allora ad ogni cammino chiuso sopra questa superficie corrisponderà una certa sostituzione lineare a coefficienti costanti y; 3 din Yx, per modo che, quando # descrive questo cammino ritornando al punto di partenza, le y;, anzichè riprodursi tali e quali, da- ranno luogo alle y; così definite (ma che potrebbero, in particolare, coin- cidere con esse). All’insieme di tutti i cammini chiusi che su quella super- ficie si possono tracciare, corrisponderà un certo gruppo di sostituzioni lineari delle y;; gruppo che potrà essere finito o infinito, ma sarà certo discontinuo, e risulterà dalle possibili combinazioni di un certo numero di operazioni fon- damentali (operazioni generatrici). A questo gruppo Hermite ha dato il nome di gruppo monodromico dell'equazione differenziale (!). — Ma, interpretata geometricamente, una sostituzione lineare delle y; dà luogo a una collineazione nello spazio $,-,; e siccome qui si tratta di sostituzioni che mutano ogni gruppo di valori delle funzioni y;(x) in un punto dato « in un altro gruppo di valori che le stesse funzioni possono assumere in questo punto (?), avremo a che fare in sostanza con un gruppo discontinuo di collineazioni dello spazio Sn-1, Che trasformano in sè stessa la curva T ATTACHÉE all’equazione differenziale proposta (3). (1) Dalla considerazione di questo gruppo Riemann avrebbe voluto appunto prender le mosse, per costruire una teoria generale delle equazioni differenziali lineari. E questa sembra che dovesse essere la \seconda parte del suo Programma colossale nella teoria delle funzioni, mirando egli forse a dare nella teoria delle equazioni differenziali lineari una sorella alla teoria delle funzioni Abeliane. Ma di lui non abbiamo, in quella teoria, che la Memoria: Beitrdge zur Theorie der durch die Gauss'sche Reihe Ha, B,y,&) dar- stellbaren Functionen (Ges. Werke, 22 ed., IV), e il frammento (ibid. XXI): Zwei allge- meine Lehrsitze.... Anche qui la difficoltà maggiore sta nei teoremi di esistenza. Nel solo caso più semplice della funzione ipergeometrica (considerata appunto da Riemann) la dimostrazione relativa fu data recentemente dallo Schilling (Math. Ann., vol. XLIV; e altro lavoro che escirà fra breve). (2) Più brevemente, possiamo dire che ogni ramo (Zweig) di una funzione (2) vien mutato in un altro 7amo di questa stessa funzione. (3) Da ciò la ragione del nome di projectiv-periodische Curven (curve projettivamente periodiche ?) che il Klein proponeva di dare a queste curve. Una specie di periodicità si presenta infatti corrispondentemente ai cammini chiusi della 4 testè considerati. Così p.e. la sinussoide (rappresentata sotto la forma y=arsen x) sarebbe una curva additivamente periodica; e in modo analogo si potrebbero anche immaginare curve moltiplicativamente periodiche. — Ricerche su queste curve projettivamente periodiche non ne furono fatte ancora; ma ad esse si potrebbero applicare ricerche analitiche già condotte a buon punto; p. e. quelle sugli integrali delle soluzioni y (Syda), che corrisponderebbero a ciò che gli integrali Abeliani sono per le curve algebriche. Già Abel aveva considerati questi inte- grali (Oeuvr., t. II, p. 54-65), e aveva dato per essi un teorema analogo a quello sullo o « La considerazione di questo gruppo di trasformazioni projettive è appunto fondamentale per il nuovo campo di ricerche del quale mi sono pro- posto di dare un saggio. Lo studio geometrico di queste curve Z° non può non esser fecondo di risultati per la teoria delle equazioni differenziali lineari. «2. La questione particolare della quale vogliamo qui occuparci fu posta per la prima volta dal sig. Fuchs, che in una breve Nota inserta nei Berl. Ber. (8 giugno 1892), e più diffusamente nella Memoria: Weber li- neare homogene Differentialgleichungen . .... (Acta Math., vol. I) già la risolse per il caso delle equazioni differenziali di 3° ordine. E si tratta pre- cisamente di indagare, per quanto possibile, la natura degli integrali di una data equazione differenziale lineare, nell'ipotesi che un sistema di soluzioni indipendenti di detta equazione soddisfacciano a una o più date equazioni algebriche (omogenee, a coefficienti costanti, e quindi di grado superiore al primo). Questo caso comprende naturalmente quello in cui gli integrali in discorso sono essi stessi funzioni algebriche della variabile indipendente %. Geometricamente, ciò vuol dire che la curva Y° dianzi considerata si suppone a priori contenuta in una certa varietà algebrica dello spazio S,-1(!); 0, in particolare, si suppone essa stessa una curva algebrica, e ciò nel caso che le equazioni algebriche date siano tali da definire una curva nello spazio Sn-1 delle coordinate omogenee y; (*). Potrebbe bensì Z° essere soltanto una parte scambio di argomenti e parametri negli integrali Abeliani di 3% specie. Jacobi (Journ. de Crelle, t. 32) diede alla dimostrazione di Abel forma più chiara, e ulteriori migliora- menti vi introdusse più tardi Frobenius (ibid. t. LXXVIII, mentre poco prima Fuchs (ibid. t. LXXVI) aveva proseguite le ricerche su quegli stessi integrali (giovandosi dei nuovi risul- tati che da Abel in poi si erano ottenuti nella teoria delle funzioni). E lo stesso Fuchs si occupò anche (ibid. t. LXXXIX, e Berl Ber., dic. 1892) delle funzioni in certo qual modo inverse di questi integrali (e definite precisamente in modo analogo alle funzioni Abeliane). (1) Varietà che dovrà esserè trasformata in sè stessa da tutte le collineazioni conte- nate nel gruppo monodromico dell’equazione differenziale proposta, perchè appunto le %:, pur sostituendosi linearmente in modo corrispondente, devono sempre soddisfare alle equa- zioni algebriche date. La questione si collega quindi intimamente collo studio delle Varietà algebriche di uno spazio qualunque, che ammettono un dato gruppo di trasformazioni projettive. — Il gruppo di tutte le trasformazioni projettive (o sostituzioni lineari) che mutano in sè stessa la varietà algebrica in discorso dovrà contenere come sottogruppo il Gruppo di razionalità (Rationalitàtsgruppe, secondo F. Klein) considorato dai sigg. Picard e Vessiot (Ann. de Toulouse, 1887; Ann. de l’Ec. Norm, 1892), oppure coinciderà addi- rittura con esso. (2) Non è però esatto, come più o meno tacitamente supposero i diversi Analisti che di tale questione si occuparono, che questo caso si presenti sempre e solo quando le equa- zioni date sieno in numero di n — 2 (n essendo l’ordine dell'equazione differenziale). In- fatti 2— 2 equazioni algebriche (distinte) fra le coordinate di un punto variabile in uno spazio Sn_;1 potrebbero benissimo non definire una curva, ma solo una varietà due o più volte infinita, mentre d’altra parte vi sono anche curve dello spazio S,- che non sì pos- sono rappresentare col detto numero di equazioni (ma solo con un numero maggiore). 270 (p di quest'ultima curva; ma anche allora sarebbe egualmente curva algebrica, perchè analiticamente separabile dalla curva complessiva, che è appunto algebrica (e sarebbe in tal caso riduttibile). « Noi ci occuperemo precisamente di quest’ultimo caso (del caso cioè in cui la curva è algebrica). Per questo caso, le ricerche del sig. Fuchs sulle equazioni differenziali di 3° ordine furono estese, seguendo lo stesso suo metodo, da Ludwig Schlesinger (Diss. Berlin, 1887) alle equazioni di 4° ordine (5); mentre altri ancora hanno trattata la stessa questione servendosi degli invarianti differenziali, che, dopo gli ultimi risultati ottenuti da Forsyth (Phil. Trans., vol. CLXXIX) e Brioschi (Acta Math., vol. XIV) si sono dimostrati (più an- cora di prima) ottimo strumento di ricerca. In particolare, Lipm. Schlesinger (Diss. Berlin, 1888) ha trattato nuovamente il caso delle equazioni differen- ziali di 3° ordine; M. Meyer (Diss. Berlin, 1893), quello delle equazioni di 4° ordine; e infine Wallenberg (Journ. de Crelle, t. CXIII) ha estesa la ri- cerca a equazioni differenziali di ordine qualunque (È). « 3. In queste ricerche è però opportuno introdurre qualche partico- lare ipotesi sui coefficienti dell'equazione differenziale proposta e sul compor- tamento dei diversi integrali nei relativi punti singolari. Così p. e. nei lavori di Fuchs e dei suoi scolari si suppone quasi sempre di aver a che fare con equazioni di quella categoria, che lo stesso Fuchs ha caratterizzata nella sua Memoria prima sulle equazioni differenziali lineari (Journ. de Crelle; t. LXVI, p. 146, eq. (12)), e che da lui ha anzi preso il nome (Yuchs'sche Klasse). In particolare, queste equazioni hanno tutte i coefficienti razionali (3). E spesso si aggiunge anche l’ipotesi che siano razionali le radici di quelle equazioni relative ai diversi punti singolari, che Fuchs ha chiamate (Journ. de Crelle, t. LXVIII, p. 367) determinirende Fundamentalgleichungen (e che danno (1) Ludw. Schlesinger si è occupato però anche (fino a un certo punto) del caso in cui fra i quattro integrali y, è data una sola equazione. (?) Anche i Francesi si sono occupati di queste ricerche, almeno in qualche caso par- ticolare (nel caso, soprattutto, in cui sono date fra le Yi equazioni di 2° grado); cfr. ad es. Goursat: Compt. Rend., t. XCVII, p. 31, e Bull. Soc. Math., t. XI (o anche Compt. Rend., t. C, p. 288, dove è studiato il caso di una curva tracciata sulla sviluppabile biquadratica qual partito si può trarre da una data equazione così fatta per l'integrazione dell’equa- zione differenziale proposta (cfr. la Mem. di lui nel Journ. de Liouville, s. 4, t. I; e anche: Brioschi, Ann. di Mat., s. 28, vol. XIII). (8) E i loro integrali si comportano regolarmente nei punti singolari. Il caso in cui non tutti gli integrali hanno comportamento regolare in questi punti fu però studiato in particolare da Thomé (cfr. diverse Mem. nel Journ. de Crelle, t. LXXIV-XCV, riassunte nel t. XCVI). gli esponenti a cui appartengono gli integrali fondamentali delle corrispon- denti sostituzioni lineari) ('). « Wallenberg suppone invece, da principio almeno, che l’equazione diffe- renziale proposta abbia per coefficienti funzioni algebriche della x. Ma più tardi ricade egli pure nella Yuchs'sche Klasse. « Noi supporremo pure che i coefficienti A, A»,.... stano funzioni algebriche della variabile indipendente x; ma preciseremo meglio la nostra ipotesi, intendendo che tutte queste funzioni appartengano a una stessa Classe nel senso di Riemann, siano cioè tutte razionali sopra una stessa superfi- cie di Riemann; 0, in altri termini, siano funsioni razionali di uno stesso ente algebrico di genere qualunque (?). Se in particolare questo genere è nullo, avremo il caso dei coefficienti razionali nel senso ordinario. « In quest'ipotesi, il gruppo monodromico dell’equazione differenziale pro- posta avrà per operazioni generatrici le sostituzioni lineari delle y; che cor- rispondono: 1° ai giri intorno ai diversi punti singolari; 2° a quei certi cam- mini chiusi, fra loro irriducibili, che si possono tracciare sulla data superficie di Riemann senza spezzarla (che non si possono cioè restringere fino a ridursi a un punto solo — non singolare —, nel qual caso ad essi corrisponderebbe invece la pura sostituzione identica yi = y,;). Questi cammini, in numero eguale al doppio del genere p della data superficie, possono ritenersi coinci- denti con un sistema qualunque di 2p tagli, che rendano la superficie uni- connessa. « Oltre a questo, ci converrà introdurre l'ipotesi, che nei punti s0ngo- lari dell'equazione differenziale proposta (e non potranno essere che quelli in cui diventa infinito qualcuno dei coefficienti) (3) tutti gli integrali si com- portino regolarmente (*) (diventino cioè finiti in ogni punto così fatto 4 = a, quando si moltiplichino per una potenza finita conveniente di « — 4,— o per una potenza di L, se si tratta del punto x =00) (9). « 4. Distingueremo due casi: « a) La curva FT attachée all’equazione differenziale proposta non am- mette che un numero finito di trasformazioni projettive in sè stessa; (1) Quegli integrali cioè che a queste sostituzioni (corrispondenti rispett. a giri intorno ai diversi punti singolari) fanno assumere forma canonica. (2) Denominazione dovuta al Weierstrass (lezioni sulle funzioni Abeliane). Cfr. anche C. Segre, Introduzione alla Geometria sopra un ente algebrico semplicemente infinito (Ann. di Mat.; s. 22, vol. XXII, p. 71). — Possiamo anche dire, in un modo un po’ diverso, studieremo equazioni differenziali lineari sopra un dato ente algebrico. (8) Anzi, se p>0, potrebbe anche darsi che l'equazione proposta non avesse affatto punti singolari. (4) Cfr. le Mem. cit. di Fuchs, o anche Thomé: Journ. de Crelle, t. LXXV, p. 266. (£) Con questo però non si esclude la presenza di termini logaritmici in qualcuna delle y; fondamentali per una qualsiasi sostituzione del gruppo monodromico. So4 « b) La stessa curva ammette invece un numero infinito di tali tra- sformazioni. « Il caso a) lo divideremo ancora in due : « 1) Il gruppo monodromico dell'equazione differenziale proposta è finito (non contiene cioè che un numero finito di operazioni); « 2) Il gruppo monodromico anzidetto comprende un numero infinito di operazioni. Queste non potranuo però dar luogo che a un numero finito di collineazioni nello spazio S,_1; sicchè le y; saranno bensì funzioni a infiniti valori, ma a questi non corrisponderà che un certo numero finito di valori dei loro mutui rapporti. « Nel caso 1) le y; sono funzioni che sulla data superficie di Riemann hanno comportamento ovunque regolare, e non possono assumere in un punto qualsiasi di questa che un certo numero finito 4 di valori distinti (!). Sono dunque funzioni algebriche, per quanto in generale non risultino funzioni razionali dello stesso ente algebrico primitivo (ma bensì di un nuovo ente, che sì potrà mettere in corrispondenza (%, 1) col primo). In ogni modo, « l’equa- zione proposta è integrabile algebricamente » (2). « Nel caso 2) si conclude in modo perfettamente analogo che le y; de- vono essere ancora funzioni algebriche della variabile #, a meno di uno stesso fattore, che, sulla superficie di Riemann sulla quale le y; risultano razionali, dovrà essere puramente mol/iplicativo, e sarà quindi la funzione esponenziale di un integrale Abeliano. E anche analiticamente si giunge subito a que- st'ultimo risultato, perchè, dovendo l’equazione proposta con una sostituzione y=9(x).v trasformarsi in altra integrabile algebricamente, e quindi anche a coefficienti algebrici, ne viene di conseguenza che dovrà essere in parti- colare funzione algebrica il nuovo secondo coefficiente : Bien LIA: P (1) Resta dunque esclusa senz'altro, per questo caso, la presenza dei termini loga- ritmici di cui alla nota prec. (®) Non sarà forse inutile ricordare a questo punto il legame intimo che passa fra le equazioni differenziali lineari di ordine integrabili algebricamente, e i gruppi dis- continui finiti di sostituzioni lineari di n variabili; e come (cfr. ad es.: Klein, Zinlei- tung in die hòhere Geometrie, II; Gottingen, 1893, p. 361) «a ogni gruppo discontinuo « finito di sostituzioni lineari corrisponda tutta una categoria di equazioni differenziali « lineari integrabli algebricamente ». Per lo studio di questi gruppi discontinui sono d'importanza capitale le ricerche di C. Jordan (Journ. de Crelle, t. LKXXIV, e Atti dell’Acc. di Napoli, vol. VIII, 1879-80), grazie alle quali è ormai esaurito anche il caso di tre va- riabili (mentre quello di due sole variabili, che era già noto precedentemente, conduce ai gruppi dei corpi regolari). ENO e e quindi: Ji - (B, —A,)de n p= e « Del caso 6), che dà luogo a considerazioni geometriche interessanti (per quanto semplicissime) sulle curve razionali di uno spazio qualunque, mi riservo occuparmi in altra Nota ». Fisica-matematica. — Sopra gli invarianti ortogonali di deformazione. Nota di CarLo SoMIGLIANA, presentata dal Socio BELTRAMI. I; «In alcune Note fisico-matematiche pubblicate nei Rendiconti del Circolo matematico di Palermo (T. III, 1889) il prof. Beltrami ha dimo- strata l’importanza di certe espressioni, da lui chiamate invarianti ortogo- nali di deformazione, le quali godono la proprietà di mantenersi inalterate di forma per un cambiamento qualsiasi degli assi ortogonali di riferimento, oppure per una rotazione arbitraria intorno ad uno di essi, accompagnata, se vuolsi, da spostamenti che non mutino la direzione di questo asse. Cono- scendo queste espressioni infatti si ha il modo di scrivere immediatamente la forma generale del potenziale di elasticità pei corpi isotropi e per quelli isotropi rispetto ad un asse (isotropia incompleta). « Pei corpi i quali presentano uno o più assi di simmetria elastica, come i cristalli, il potenziale di elasticità risulta, di necessità, formato con espressioni che sono invariabili pel gruppo di sostituzioni che caratterizza la simmetria del corpo; ma finora non è stata fatta la ricerca diretta di queste espressioni, la cui conoscenza presenta gli stessi vantaggi di quella degli invarianti che si possono dire zsotr'ope. « In questa Nota io indico un procedimento assai semplice per la for- mazione degli invarianti di deformazione corrispondenti ad un asse di sim- metria di periodo qualunque, ossia degli invarianti dei gruppi ciclici, che sono i gruppi fondamentali di ogni sorta di simmetria; e trovo che, per ogni valore del periodo n dell'asse, essi possono esprimersi razionalmente mediante otto invarianti linearmente indipendenti, di cui però sei sono tali per qualsiasi rotazione. Io chiamerò questi ultimi invarianti di rotazione, e gli altri invarianti cielici di periodo n. «In una Nota, che ha avuto l'onore dell'inserzione in questi Rendi- conti (!), ho dimostrato che la legge di razionalità, per quanto concerne le (3) Vol. III, 1° sem. 1894. RenpICONTI. 1895, Vor. IV, 1° Sem. 4 2 n proprietà elastiche dei cristalli, è una conseguenza dello ipotesi fondamen- tali della teoria della elasticità. La verità di questa proposizione risulta immediatamente dalla forma degli invarianti ciclici di grado minimo, e si ottiene così una dimostrazione nuova e più semplice della legge suddetta. « Un'altra deduzione interessante può esser fatta. Alcune recenti espe- rienze del sig. O. Thomson (‘) sembrano aver resa necessaria una estensione della teoria classica della elasticità, che fu proposta pel caso della isotropia dal sig. W. Voigt (2), e che consiste nell’ introdurre nella espressione del po- tenziale anche i termini di terzo ordine rispetto alle componenti di defor- mazione. Ora si può domandare se, con tale estensione, la legge di raziona- lità continui ad essere una conseguenza della forma del potenziale. Vedremo che ciò non è, poichè in tal caso è possibile l'esistenza di un asse di periodo cinque, distinto da un asse di isotropia. « La teoria della elasticità, quando si assuma pel potenziale una espres- sione generale che contenga anche i termini di terzo grado, viene così a per- dere il pregio notevole di comprendere tutti e soli i corpi cristallini, quali si presentano in natura e ad abbracciare anche corpi, la cui reale esistenza non sembra finora conforme alla esperienza. « Questo fatto certamente non autorizza a respingere la proposta esten- sione, poichè noi possiamo sempre introdurre la legge di razionalità come un dato sperimentale; ma mi pare necessario il tenerne conto, almeno per avere un concetto esatto del valore della nuova teoria rispetto all’antica. II. « La sostituzione che serve a trasformare le sei componenti di defor- 7 - 3 DI : . i IT mazione, quando gli assi coordinati subiscono una rotazione di un angolo DE intorno all'asse delle #, si può scrivere, come ho mostrato nella Nota sopra citata, nella forma seguente La Yy=(L'a— yy) cost —g', sente Y=Y008 + 2 sen E (1) ty=(d'a—-ynsnT+a 0087 ay 8004 4/7 così Lat y=dat+Yy &,= 68, per cui se, per semplicità, si pone (2) Voti ni tyTyY Pak Ya = £ dg=0 Ga=0 GA=00 quelle formole si riassumono nelle seguenti dr 27 atig=e"( + ty) utiv=e " (0410) a=g w= dw' (1) Wied. Ann. Bd. 44, 1891. (*) Nachrichten v. d. K. Ges. d. Wiss. zu Gottingen, 1893 e 1894. LO ove 7=]/—1. Ora se una funzione razionale intera / delle sei compo- nenti di deformazione rimane invariata di forma quando si fa la sostitu- zione (1), e si immaginano in essa sostituite le variabili «, y, 2, %, 0, w alle primitive, dovrà essere identicamente pg 009)= (0086, 50) quando si tenga conto delle (2). Ora notiamo che, essendo 2 e w già inva- rianti per se stesse, basterà, per la ricerca delle espressioni invariabili, che ci occupiamo di quelle che dipendono da «, y, u, v. Poniamo per questo ag =Z ut tio= W e ty= u—iv=W, e le (2) si potranno scrivere A. di 29, MG \uv=@ E (3) —_ sa 27, @ n Zi Wie n W', « Qualunque invariante /(4,7,%,v) potrà essere trasformato in una funzione di Z,Z,, W, W,, per cui la quistione si riduce a trovare le espres- sioni razionali intere F (Z, Z,, W, Wi), per le quali in forza delle (3), si ha (4) F (Z, Zi 9 W, Wi) —_ F (Z', Zoo Wie: W,) « Ora la forma generale di queste espressioni è (5) FA a VA ZAGANE NO ove le A,y,s sono costanti; per le (3) avremo poi Ti @p-29-r+3) mi Ep-2I1+S 2 EI AA AI e affinchè sia vera la relazione (4), tutti gli esponenziali dovranno avere il valore uno, ossia si dovrà avere dM_- 2g — P $ (6) ti 1 JE n Reciprocamente, quando queste condizioni sono soddisfatte, ciascuno dei ter- mini che compongono il secondo membro della (5) è per sè stesso un inva- riante. Dunque il problema della determinazione degli invarianti ciclici, di un dato periodo , si riduce alla quistione aritmetica di trovare tutte le so- luzioni intere dell'equazione (6). « Indichiamo con %, 4, u, v quattro numeri interi arbitrarî, e poniamo (1) p=kn +44 w r=kn+ 244» qu SEVv « Di qui si ha == numero intero. p—_29g—-r4s=k%n maiden sd O, la prima delle quali relazioni ci dice che, scelti arbitrariamente i numeri le, 4, x, v, le (7) danno sempre una soluzione dell'equazione (6); e la se- conda, insieme alle altre u=g, v==s, ci dimostra reciprocamente che, data una soluzione della (6), è sempre possibile determinare i numeri 7, u, v in modo che essa venga rappresentata dalle (7). Dunque queste inmnoe cì danno la soluzione generale della equazione proposta. « Esse però ci danno, oltre le soluzioni positive anche le negative; queste conducono ad invarianti fratti, i quali però risultano sempre il quoziente di due invarianti interi, come si vedrà da ciò che segue, e quindi non danno alcun risultato nuovo. A noi basta del resto conoscere gli invarianti interi e quindi supporremo i numeri arbitrarî scelti in modo che sia (8) knbA+u=0 kn+ 244 v = 0 u=0 v=0 « In quanto al numero % potremo pure supporlo sempre positivo; difatti se certi valori po, do 70, so SOddisfanno la (6) per un valore negativo /o di k, è chiaro che i numeri do, Po So Yo SOddisferanno la stessa equazione per k=— lo, ed i due invarianti corrispondenti a queste due soluzioni saranno 20 yî° W°o Wo = P 4-40 NENTI = = TA) quindi nei due casi troviamo gli stessi invarianti reali P, Q, che sono quelli che a noi interessano. « Dunque possiamo concludere: l’espressione (9) = (ZW)° (ZW?P (ZZ,) (WW,) qualunque siano i numeri %, Z, «, v dà sempre un invariante ciclico, generalmente complesso, di periodo x; inoltre qua- lunque invariante ciclico intero (!) si può ottenere da essa prendendo per % un numero positivo e per Z, w, v numeri che soddisfacciano alle condizioni(8), oppure formando una funzionerazionale intera di tali espressioni e di 2 e w. « Consideriamo ora gli invarianti reali che si possono ottenere dalla formola precedente e dapprima supponiamo % = 0. Allora il prodotto R=(Z4W?) (ZZ,)}/(WW,) sarà invariante per qualsiasi valore di n, e siccome anche 2, 4, v sono ar- bitrarî, ne segue che le tre espressioni IRESSZWE el=7/ J= WW, godranno della stessa proprietà, cioè saranno invarianti di rotazione. Gli ul- timi due sono reali e si ha H=x° 4 y° J=u 4 d° (1) D’ora innanzi per invariante ciclico si intenderà sempre un invariante ciclico intero. oO — mentre I è complesso e dà origine a due invarianti reali di terzo grado K=a(u — v°) — 2yuv K=y(u — v°) + 2xu0 « Fra questi quattro invarianti non può esistere alcuna relazione lineare ; però se ne ha una non lineare 2 FE IC 1606 che è assai facile verificare, osservando che 11} =|2W?] « Esprimendo R mediante gli invarianti di rotazione reali ora trovati, otteniamo (10) R=(K#+:K) Hr e per le condizioni (8), affinchè R sia intero non dovranno w e v essere ne- gativi, ed inoltre per 4 si dovrà avere 44 u=0 2A4+v=0 « Ora supponiamo 4 negativo ed osserviamo che a cagione della identità 1= (K° + IR H> J2 sl può scrivere anche (10) == (080 E la nella quale formola nessun esponente può essere negativo. Da queste due espressioni (10) (10') segue che R e quindi qualunque invariante di rotazione, che non contenga < e w, è una funzione razionale intera denaro iano Kegko franitigualisi hala relazione K°? + K° = HJ° « Gli invarianti di rotazione sono stati presi in considerazione dal prof. Beltrami nelle Moe sopra citate, dove come invarianti fondamentali assume i seguenti A= yo 460° B=%xYy-+%y C= Yen Ey— Wa Yad — YyBa insieme naturalmente a 2 e w. Fra questi invarianti e quelli da noi trovati si hanno le relazioni A=—J 4B=°—H —20=i(k+») 3° nk+u<4+(nk+ 7) « Se è soddisfatta la prima, dovremo porre 4A=— (nk+ u) v=nk+ 2u = nk +34 « Il minimo valore di N si avrà allora, per le (11), ponendo X= 1, u=0 e sarà N=%. quindi So ee « Supponiamo ora soddisfatta la seconda condizione, e quindi poniamo a=—:(k+v+9); N=t(X+4+v—32) 4 2w Se n è pari, il minimo valore pari che possa assumere 2% + v è , quindi il minimo valore di N si avrà ponendo v=0, u=0, 4 =1; queste po- sizioni sono compatibili colla condizione 2*, ed il minimo di N sarà quindi n =3 « Se n è dispari, il minimo valore pari di 24 4-v è +1, quindi il minimo valore di N si avrà ponendo 4= 1, u= 0, v=="1; queste posizioni sono compatibili colla condizione 2*, purchè sia, come è difatti, x > 2. Dunque Lia N #08 ; avremo il minimo valore di N è in questo caso « Si vede poi immediatamente che l'ipotesi che sia n4 + v dispari e quindi £= — 1, conduce a trovare per N dei valori superiori ai precedenti, n+ 4 n+ 3 2 cioè Nea per n pari e N per » dispari. « Finalmente supponiamo soddisfatta la terza condizione; dovremo porre Aa=— (nk-+ wu) nk42u>» quindi v = xk + 2u+ 7, ove © è un intero positivo. Perciò sarà N=nk+3u+ 2c ed il minimo valore possibile per questa espressione è N == n + 2. « Di qui, riassumendo, si vede che gli invarianti di grado minimo si e dovrà essere ottengono dal secondo gruppo, e sono di grado - per n pari e di grado n+ 1 SMICI La o per dispari. Le loro espressioni complesse sono 20 1? per n pari n=1l n=1l 2 SD : o ZINIO 2: IWA per nfdispari « Per passare ai corrispondenti invarianti reali, noi porremo (indicando con un indice in alto il periodo e con un indice in basso il grado) di M) (n) 2 2 (12) ti (n) MAC), 1° W,= Una t Dura 2 2 — SEDIE « Questi invarianti sono linearmente indipendenti fra loro e dagli inva- rianti di rotazione; però sono legati a questi ultimi dalle relazioni non lineari m)—2 r(M)-2 n (Mm) 2 IM) 2 nel [a | RL [Ia | SE _;sp | Les | he [Lasi — Rio J 2 2 Tan o IV. « Finora abbiamo supposto il periodo n come dato, e ci eravamo pro- posti di trovarne tutti gli invarianti corrispondenti, di qualunque grado. Nella, teoria della elasticità si presenta un problema in certo modo inverso; si as- sume generalmente per il potenziale una forma di un grado m determinato, e quindi per averne l’espressione più generale conviene conoscere tutti gli in- varianti di grado 7, qualunque ne sia il periodo. « Supponiamo m = 2; è chiaro che n non potrà superare 4. Difatti per n=4 esistono gli invarianti ciclici di 2° grado I, I'®, ma per n => 5 gli invarianti di grado minimo (12) sono almeno di terzo grado. « Di qui segue: Se il potenziale di elasticità è una fun- zione quadratica delle componenti di deformazione, esso non può essere formato che cogli[invarianti di rotazione Wo w, H, Je con invarianti ciclici di Doariodo 3. 3, 4, « Questo risultato basta per dimostrare il teorema che è oggetto della Nota che ho citato da principio, cioè che la legge di razionalità è una con- seguenza necessaria della ipotesi che il potenziale sia una forma quadratica delle componenti di deformazione. « Se ora ammettiamo che il potenziale possa contenere anche termini di terzo grado, esso potrà essere formato anche cogli invarianti di rotazione K e K', ed inoltre cogli invarianti ciclici L3®, L'3© che si ottengono dalle (12) per 2 = 5. Anche per n=6 abbiamo gli invarianti I;, I°3 che pure potranno comparire nel potenziale. Per n = 7 invece gli invarianti di grado minimo sono di grado superiore al terzo. Dunque: «Quando il potenziale è una forma di terzo grado, esso può contenere invarianti ciclici di periodo 2,3, 4,5, 6eque- sti soltanto. « È quindi possibile formare una espressione pel potenziale, distinta da quelle che si hanno nel caso della isotropia assiale, e che corrisponde ad un corpo avente un asse di simmetria elastica di periodo 5. Una tale espres- sione sarebbe, ad esempio r(5) (5) AL3 + BLy ove A, B sono costanti. Questo risultato, contrario alla legge di razionalità, per la quale non possono esistere che assi a periodo 2, 3, 4, 6, giustifica IO), SI Ie considerazioni che abbiamo premesse circa la estensione della teoria della elasticità proposta dal prof. Voigt. « In generale poi si vede che, elevando sufficientemente il grado del potenziale, divengono possibili assi di simmetria di periodo qualunque, e precisamente: 1° perchè esista un asse di periodo pari 27, di- stinto da un asse di isotropia, il potenziale deve essere di grado non inferiore ad 7; 2° perchè esista un asse di periodo dispari 2r+1, distinto da un asse di isotropia, il potenziale deve essere di grado non inferiore ad 7+ 1. « Una volta fissato il grado che deve avere il potenziale e trovati gli invarianti ciclici corrispondenti, si potranno subito determinare le diverse forme del potenziale stesso per tutti gli assi di simmetria, compatibili col suo grado. Quindi in particolare si potranno ritrovare le forme note del po- tenziale nel caso, comunemente ammesso, che sia di 2° grado, per una via analoga a quella indicata come la più naturale dal prof. Beltrami, pei corpi isotropi. « Noi però non insisteremo su queste ovvie applicazioni ». Matematica. — Sulle congruenze di grado n che st possono rappresentare sopra un piano. Nota di P. VIisALLI, presentata a nome del Socio CREMONA. « 1. In questa Nota ci proponiamo lo studio delle congruenze di grado 7, dotate, ciascuna, di un piano eccezionale o contenente un numero semplice- mente infinito di rette della congruenza, le quali inviluppano una curva w della classe n — 1. « Queste congruenze si possono rappresentare sul piano semplice c. « Sia C, una di esse. « Ad una retta a di C,, corrisponde il punto 40, e viceversa ogni punto di o è immagine della retta di C, passante per esso e non giacente, in generale, in o. « Sopra ogni tangente della curva w, vi è un punto, che'in generale non coincide col punto di contatto, tale che per esso non passa alcuna retta di C, esterna al piano o. Il luogo di questi punti è una curva %, che è l'immagine delle rette di C,, giacenti in o. I « Nel piano o vi saranno dei punti P, eccezionali per la congruenza: %, Semplici, x» doppi, ..., 4, 7-pli; cioè tali che per ogni punto 7-plo passa un numero semplicemente infinito di rette di C,, che formano un cono di ordine 7, ed altre 2 —1—r tangenti alla curva w. «3. Le rette di C,,, che tagliano una retta @ qualunque (asse), formano una superficie T° dell'ordine 27, giacchè in un piano 44’ passante per 4, RenpICONTI. 1895, Vol. IV, 1° Sem. 5 Ro, 1a giacciono 7 rette di C,, e per il punto 4 4 passano altre 7 rette della con- gruenza, e quindi a' taglia in 2x punti la superficie 7. Questa superficie ha un punto 7-plo in ogni punto eccezionale 7-plo della congruenza. « 4. Il luogo delle tracce su o delle rette che tagliano 4 è una curva @ dell'ordine x +1, che passa con 7 rami per ogni punto eccezionale 7-plo, e semplicemente per il punto 40 (vertice della curva). Se la retta 4 appar- tiene a C,, il punto 40 è doppio per la curva «. « Due curve @, corrispondenti a due rette 4, 3, oltre ai punti eccezio- nali, hanno in comune 27 punti, tracce delle 27 rette che tagliano 4 e d, quindi si ha: (0-72 = da cui ra =n +1 (1) Le curve « non hanno, in generale, punti multipli fuori dei punti eccezio- nali, quindi indicando con p il loro genere, si ha: 2p=nn_-1)—XSr(r—-1), e per la (1): p= Iran 1 (2) «5. Nella formola (1) il massimo valore che: si può dare ad 7 è x, e si ha allora @, =1, 4,= 1, cioè nel piano o vi.sono due punti eccezionali, uno 7-plo e l’altro semplice. « La superficie T, corrispondente ad una retta di 0, si comporrà del piano o contato n —1 volte, e di un’altra superficie di ordine n +1; se poi la retta di o passa per il punto eccezionale n-plo P,, la superficie T° corrispondente si comporrà del piano o contato n — 1 volte, del cono di ordine x e vertice P,, e di un fascio di rette; quindi: «Se nel piano o vi è un punto eccezionale n-plo per la congruenza, vi sarà un numero semplicemente infinito di punti eccezionali semplici della congruenza, ciascuno dei quali è il centro di un fascio di rette di C,, situato in un piano passante per P,. «In un'altra Nota studieremo più dettagliatamente queste particolari congruenze aventi un punto eccezionale 7-plo. « 6. Sia 7 un piano qualunque, non eccezionale per la congruenza. Le rette di C, determinano fra i piani 77, o una corrispondenza (1, x), dicendo corrispondenti un punto di 77 ed uno di o che giacciono sulla stessa retta di C,. Alle rette di 7 corrispondono in o curve @ di ordine n-+ 1, le quali formano una rete. Queste curve @ passano un 7 rami per ogni punto P r-plo, e semplicemente per gli x punti S; (?=1,.., n) in cui le x rette S; di C,, giacenti in 7, tagliano o. io Pa «I punti fondamentali di o, sono i punti P ed i punti S; mancano, in generale, le curve fondamentali e quindi in 77 mancano i punti fonda- mentali. «Il cono di rette di C,, avente per vertice un punto P, r-plo, taglia x secondo una curva di ordine 7, curva fondamentale corrispondente a P. Le rette s, sono rette fondamentali corrispondenti ai punti S. Alla retta 770, considerata come appartenente a 7, corrisponde la retta stessa c la curva g. Quindi la curva g è dell'ordine 2, e passa come le curve a peri punti P. « Alla retta 770, considerata come appartenente a o, corrisponde la retta stessa e le n rette S;. «7. La curva doppia di o, che è l’Iacobiana della rete di curve @, è dell'ordine 3 e passa con 3r—1 rami per ogni punto P, ,-plo, e con due rami per ogni punto S. Essa è di genere: p=9p_n+1-3% ove X x, indica il numero dei punti P; e taglia una curva @ in 2 (p+mn—1) punti, fuori dei punti fondamentali. «8. La curva limite del piano 7 è dell'ordine 2(p + — 1), dello stesso genere p' della curva doppia, della classe 4p+2n-1+Z%,, ha: d=2|(p+ n +4—-3n+4+ 22%, — 17 pj ce=3(6p—Zax,—1) cuspidi, e tocca in 8r — 1 punti ogni curva fondamentale di ordine 7. «9. Se A è un punto comune al piano rr e alla superficie focale di C,,, per A passano due rette di C,, infinitamente vicine; quindi A è un punto della curva limite, e viceversa; quindi: «L'ordine della superficie focale è 2(p+— 1). «La curva doppia della superficie focale è una curva gobba dell'ordine d. «La curva cuspidale della superficie focale è una curva gobba dell'ordine c. i «I coni circoscritti alla superficie focale sono dell'or- dine 4p+2n—-1+Z%,. «Le rette di C, sono tangenti doppie della superficie focale. «La superficie focale tocca un piano eccezionale pas- sante per un punto P, semplice, secondo una conica; e tocca un cono di C,, avente il vertice in un punto P., 7-plo, secondo una curva gobba dell'ordine 3r— 1. «10. La retta sro taglia la curva g in n punti per i quali passa la curva doppia, quindi la curva limite tocca in questi n punti la retta 770. Inoltre la curva limite taglia la stessa retta 770 in 2(p — 1) punti. Ad uno punti doppi, 0a di questi punti corrispondono x punti di cui uno coincide col punto mede- simo, e gli altri x —1 sono tali che due sono infinitamente vicini, quindi questi punti sono intersezioni di 770 e della curva Y. Risulta quindi che la curva w è dell'ordine 2(p—1) e che la superficie focale tocca il piano o lungo la curva 9g e lo sega lungo la curva v. « 11. Per un punto P, r-plo, passano 2 —1 rette di C,, tangenti a w, delle quali 7 appartengono al cono di C,, di vertice P. E poichè la curva gobba di contatto del cono con la superficie focale è dell'ordine 37 — 1, risulta che questa curva ha un punto (27 —1)plo in P. « 12. La curva w non passa per un punto P,, 7-plo, e la curva g vi passa con 7 rami, quindi ogni punto eccezionale r-plo di o è mul- tiplo secondo 27 per la superficie focale. « 13. Sieno P,, P, due punti fondamentali di o, rispettivamente 7-plo ed s-plo, e tali che 7 + s=%. Alla retta P, P,= a, corrisponde in 77 una curva di ordine x + 1 composta dalle due curve fondamentali corrispondenti al punti P,, P;, e di ordine complessivo uguale ad 7, ed una retta 4 pas- sante per a. 70. Inoltre alla retta 4 corrisponde una curva @, composta della retta a e di una curva @, di ordine x. Ad ogni punto di 4’ corrisponde un punto di 4 ed 7 —1 punti di @,, e ad ogni punto di 4 un punto di 4/, al punto 4a’ corrisponde se stesso, e al punto della retta 4 infinitamente vicino a P, (P,) corrisponde uno dei punti in cui 4 taglia la curva fonda- mentale corrispondente; quindi : «Lerette di C,, giacenti nel piano aa, formano un fascio, il cui centro si trova sui due coni (RIME « La curva «, taglia la retta 4 in due punti fuori dei punti fonda- mentali per i quali passa la curva doppia, inoltre la curva a, taglia la curva doppia oltre che in questi due punti e nei punti fondamentali, in altri 2(@1+p—1)—4; quindi la retta 4 tocca in due punti la curva limite e la sega in 2(04p—1)—4 altri punti, e perciò: «Il piano aa è tangente alla superficie focale lungo una conica, e la taglia secondo una curva di ordine 2(n+P_1)—4 « 14. Sia O' il centro del fascio di rette di C, giacenti nel piano ad, e 7° un piano per O' non coincidente con 44. Delle n rette di C,,, giacenti in 7 una è la retta s/= vr. ad'; e la retta @ è fondamentale nella trasfor- mazione (77°, 0). La curva doppia di o è dell'ordine 3% — 1, passa con 37 —2 e 3s —2 rami per i due punti P,, e P,, e semplicemente per S;, quindi la curva limite di 7 tocca in un punto fuori di O' la retta sî, e perciò la conica di contatto fra il piano ad e la super- ficie focale passa per O'. «Ad una retta per O' corrisponde in o la retta 4 ed una curva di ordine 7, che ha un punto (r — 1)plo in P, ((s — 1)plo in P;), e non passa per S;; e, poichè questa curva taglia la curva doppia in 2(m+4+p—1)—2 =_=" "—""—"="=._r_==—rrrr_—..-.-_ = “i = Por punti fuori dei punti fondamentali, risulta che la curva limite ha un punto doppio in 0’, e che O è un punto doppio della superficie focale. «15. La classe della superficie focale di C, è uguale all'ordine, ed i coni circoscritti alla superficie focale hanno e piani tangenti stazionari, e d piani tangenti doppi; quindi: i «Ipiani tangenti stazionari della superficie focale for- mano una sviluppabile della classe c, ed i piani tangenti doppi formano una sviluppabile della classe d. « 16. La superficie focale di C,, sì può rappresentare sopra un piano doppio o. Un punto A della superficie ha per immagine quel punto A' di 0 ove le due rette di C,,, infinitamente vicine, uscenti per A, tagliano 0. « Viceversa: un punto A' di o, è immagine dei due punti ove la retta di C, uscente per A', e non giacente in generale in o, tocca la superficie. « Un punto P, 7-plo, è immagine di una curva gobba della superficie di ordine 87 — 1. « Una sezione piana della superficie ha per immagine la curva doppia J nella trasformazione (77, 0), ove 77 è il piano segante. « Queste curve J, in numero 3 volte infinito, sono dell'ordine 37, pas- sano con 37 — 1 rami per ogni punto P, -plo, ed hanno x punti doppi, variabili in linea retta. Due curve J si segano, fuori dei punti fondamen- tali, in One — D(0r—1Pa,=12p+6n_3_-Z%, punti variabili. «Le rette di o sono immagini di curve gobbe di ordine 3n, appartenenti alla superficie focale. «17. Indichiamo con L la curva intersezione della superficie focale e di un piano 7, e sia J la sua immagine. Ogni punto di J è immagine di un punto di L, e di un altro punto, che diremo congiunto al primo, situato sulla superficie focale. Il luogo dei punti congiunti ai punti di L, è una curva gobba L', la quale ha pure per immagine la curva J. « Se J, è l'immagine della sezione di un piano 7 con la superficie, il numero dei punti comuni alle due curve J, Ji, cioè 12 p + 6r — 3—-Z%, è uguale al numero dei punti in cui 7, taglia L ed L'; ma n taglia L in 2(p+r—1) punti; quindi l'ordine della curva L' è: 10p+4n—-Zax,—1 «18. Fra le coppie di punti congiunti della superficie focale ve ne è un numero semplicemente infinito, nelle quali i due punti congiunti sono infinitamente vicini. In altri termini vi è un numero semplicemente infinito di rette di C,,, che sono tangenti di flesso della superficie focale. Il luogo dei punti di contatto di queste rette di C,, (punti uniti della superficie), è una curva E, che chiameremo curva unita della superficie focale. — io pa « Le curve Le L' si tagliano in 10p + 4n—Zx,—1 punti. Ora se B è un punto comune ad L e L', il suo congiuuto B', deve essere comune ad L e L'. I punti B e B' possono essere distinti o coincidenti. Se sono distinti, la retta BB' è una retta di C,, giacente in 7, e poichè in vi sono 7 rette di C,, risulta che in un piano qualunque 7 vi sono 10p+ 2n—-Xx,.,—1 punti uniti della superficie focale, e quindi: «La curva unita della superficie focale è dell'ordine l0p3- 2n_ Sii « Ci riserviamo di sviluppare in un altro lavoro le considerazioni spe- ciali che si riferiscono alle congruenze di secondo e terzo grado ». Matematica. — Sopra alcune congruenze di grado n, dotate di una curva gobba singolare di ordine n. Nota di P. VisaLii, pre- sentata a nome del Socio CREMONA. Fisica. — Iretorno ad alcune modificazioni dell’areometro di Fahrenheit, e ad una nuova forma di bilancia. Nota di G. Gu- GLIELMO, presentata dal Socio BLASERNA. Queste Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Fisica terrestre. — Calcolo della posizione dell’ipocentro, del tempo all'origine e della velocità di propagazione dei terremoti. Nota di F. BonETTI e G. AGAMENNONE, presentata dal Socio Tac- CHINI. « Se nel calcolare per un dato terremoto la posizione dell’ipocentro, il tempo all'origine e la velocità di propagazione si volesse tener conto adequato di tutte le circostanze, che possono influire più o meno sul fenomeno, s'in- contrerebbero gravissime ed attualmente insuperabili difficoltà. Infatti per apprezzare convenientemente queste circostanze occorrerebbe una cognizione della costituzione interna del globo, quale pur troppo oggi non si ha, salvo che nella parte superficialissima: come anche si richiederebbe qualche dato di più sulle cause che danno origine ai terremoti. Queste difficoltà son messe molto bene in evidenza dal Cap. C. E. Dutton nel suo pregevolissimo lavoro sul terremoto di Charleston del 31 agosto 1886 (!), dove egli tratta a fondo (1) Zhe Charleston Earthquake of August 31, 1886, by Capt. Clar. Edw. Dutton — United States Geological Survey — Ninth annual report 1887-88, pag. 355-389. Whashington 1889. 9, la questione della natura delle onde sismiche e del meccanismo della loro propagazione. Ciononostante lo stesso Dutton, coadiuvato dal Newcomb, pro- cede a determinare colla maggiore approssimazione, che può, gli elementi suddetti per il terremoto di Charleston. Ed è infatti da convenire con lui che, anche senza poter risolvere pienamente la questione proposta, si possa però intanto fare qualche primo passo nella sua soluzione, poste, s intende, alcune ipotesi che la semplifichino. « Parecchi sono i metodi finora usati o proposti per calcolare gli ele- menti di un terremoto: ma un metodo generale, che non richieda altra cogni- zione fuori di quella dell’istante, in cui si avverte la scossa in un numero sufficiente di località, a quanto noi sappiamo, finora non è stato pubblicato. Il Milne (') ha risoluto il problema di determinare gli elementi di un ter- remoto mediante la sola cognizione dei tempi d'arrivo della scossa almeno in cinque località; ma ha considerato unicamente il caso particolare, che la superficie terrestre possa ritenersi piana. Quindi evidentemente il suo calcolo non è applicabile a terremoti, in cui si abbiano osservazioni anche a grande distanza dall’epicentro, quali ce le danno i moderni strumenti. Noi invece colle formole, che sviluppiamo in questa Nota vogliamo considerare il pro- blema nella sua generalità. 5 sv « Nel nostro calcolo noi partiamo dalle seguenti ipotesi : 1°) che il centro di scuotimento, il quale si trova ad una certa pro- fondità nella massa terrestre, possa considerarsi, ben inteso, in prima appros- simazione, come un punto ; 2°) che il mezzo, in cui si propagano le scosse, possa, pure in un primo studio del fenomeno, ritenersi come omogeneo ed isotropo; e quindi la propagazione dell'urto si faccia con moto uniforme e per linee rette dal- l’ipocentro fino alla superficie. « Prescindiamo anche da qualunque perturbazione possa derivare dal fatto, che il mezzo, in cui avviene originariamente la propagazione dell'urto, è li- mitato alla superficie della terra, e gliene succede un altro di densità ed ela- sticità ben diverse. « Quanto ai due sistemi di onde longitudinali e trasversali, contemplati nella teoria della propagazione di un urto nei corpi solidi elastici, le quali onde si propagano con velocità diverse, è chiaro che il nostro calcolo va ap- plicato ad uno qualunque di questi due sistemi, a piacere. Di più siccome la perturbazione sismica si rivela in ogni località con una serie di movi- menti, che ha una durata più o meno lunga, s'intende che dobbiamo rife- rirci per i tempi ad una stessa fase della perturbazione sismica in tutte le località. (1) Zarthquakes and other carth movements. London 1886, pag. 206 e seg. CE) « Per dare alle nostre formole la massima generalità cominciamo dal supporre che lo scuotimento avvenga in un mezzo indefinito, e che si osser- vino i tempi, in cui esso giunge a cinque punti, comunque disposti nell’in- terno del mezzo. Si vuol determinare: 1°) la posizione del centro di scuoti- mento; 2°) il tempo /, in cui ha avuto origine al detto centro la scossa (tempo all'origine); 3°) la velocità v di propagazione dell’urto, che supponiamo, come si è detto, costante. «Siano do do Co, dr di 1, de ds co) 3 di €3, G4 da Ci, le coordinate rettangolari delle località, in cui si determina l’istante d'arrivo delle vibrazioni: do, di, da, da, d, le rispettive distanze dal centro di scuotimento x, y, £: lo, tr, ta, t3, t4 gl'istanti, in cui lo scuotimento giunge. ai suddetti punti: sl avrà (e) d=(a—2+0_y (ed = 4—d « Di queste equazioni ne abbiamo cinque; e sottraendo la prima dalle altre, allo scopo di fare sparire i quadrati di X, Y, < @ t, sì avranno le quattro equazioni seguenti in x, y, < ed w: Ax + Biy+ C+ 0, u=WM, Ax + Bg + 0.:+ 0,u=M, (6) As + Biy + Cs2+ @3u== M; A,c | Byy 4 C6+0,u=M, dove iam) 0 deh Se to)t = OP Bs 2(0— bo) Ms=(a+0%+e%) — (a+ 8% + c%) Cs = 2(6s — co) « La risoluzione del sistema (8) di equazioni ci fornirà l'espressione di %, Y, &, u in funzione di quantità note e di /. Si avrà cioè M, B, (1 9, A, MC, ©, A, B, M, 0, li B: 0. 0. A, M. C, 0, A, B,. M, ©, Zali o d4 Iii o, RI ai: M, B, C, G, Ai M, (071 O, A, B, M, (CA (a B, Ci M, A, Bi C, O, A; B, C, Mi A, B. 0, 0, ug A; B, C, M, :D, essendo D= eioto AB MOZIONE A, By C, 0, « Si vede facilmente che queste espressioni si possono porre sotto la forma i E CR i R + Sé R+ S7 RH- Sé R+ Sé essendo P;, Q;, Rs, S coefficienti noti. « Introducendo le (y) in una qualunque delle (a) si giunge ad un’equa- zione di terzo grado in £. Questa ci fornirà tre valori di {, dei quali uno — 41 sempre reale. Sostituendo nelle (y) un valore di #, si avranno i valori delle &, Y, &, , e dal valore di « finalmente quello di v. « Dal caso più generale scendiamo ad alcuni casi particolari. « Caso I. — Supponiamo che i punti d'osservazione siano tutti sopra una sfera. In tal caso l'origine delle coordinate si ponga al centro della sfera, di cui diciamo 7 il raggio. Sarà per conseguenza a; sr bi, "a Py = quindi M,= 0; e l'equazioni (#8) si riducono alle seguenti: A,x+ By +4 0,184 0,u=0 Ax + By + C26+ 0.u=0 A3x + B3y + 0384 O3u= 0 Ay& + Biy + Ca8+ Ogu= 0 29 « Dividendo per v,-sostituendo a ®,; il suo valore, e ponendo — = 7) Y, 0) = 53 si avranno le equazioni: A1£+Bint+ 1é-2Uh— 0) +(E&—@)=0 Asé + Ba7+4- Cf — 2(6, — tot + (#2, — E) ei 0 (0) ABI ERE R)O ASS A Bn POS 2A _-#)=0 « La risoluzione di queste ci darà i valori di È, MINGGENO « Ora poichè x = u$, y= un, £= uè, sostituendo queste espressioni, unitamente al valore £ già noto, in una qualunque delle (@), si giunge alla seguente equazione di secondo grado in %: (EL n} + 0) wu? — 2084 dan + o + @&— 0 [+7 =0 « Ricavato un valore di x da questa equazione, diverranno note le x, y, 2 e la v. « Caso II. — Se oltre al supporre che le località siano, come nel caso antecedente, situate tutte sopra una sfera, si suppone di più noto il punto (40, do, Co), in cui il raggio passante per il centro di scuotimento incontra la superficie della sfera, il problema si semplifica notevolmente: poichè ba- sterà ora conoscere i tempi f1, 2, #3, di tre sole località @, di C1, @» di 03, d3t03 (63: t) BIO DA é (e) .« Infatti si ha AAA Ovvero a=e®, QI, Udo Do Co Co Co RexpIconTI. 1895, Vor. IV, Sem. 1.° 6 DEERAi9 dc « L'equazioni fondamentali (@) si riducono dunque alle seguenti: a. (4) a (@utdde per co)str=0° (1-0)? 0 Co Co (è) lg) ei (4, do + da bo + 62 co) e 4 7° = vÈ (db? a 2 (4) e_Î (4 do 4 03 bo + ca o) e +1 = 0° (e — 0? 0 Co « Sottraendo la prima di queste equazioni dalla seconda e dalla terza, e ponendo pu (n), si hanno le due equazioni in w e #. 2 @—4) do 4- (d — da) do + (CI — (2) olo+&— = 7A n (a — 43) do + (01 — ds) do +4 (ci — 63) C0 (ot) 7A Co « Da queste sì ricavano i valori di w e /. Introducendo poi in una qua- lunque delle (6), p. e. nella prima, il valore trovato di 7 e l’espressione e= wv°= wu, in cui w è già noto, si giunge all’equazione di secondo grado in «: i ue i (a1 do + di do + 1 0) + (a ‘DI IPPICO 2 udr=0 « Traendo da questa un valore di u, e tenendo conto della (7), si cono- scono i valori di v e di 4: quindi finalmente le (e) ci daranno # ed y. « Caso III. — Il problema diviene ancora più semplice, supponendo che il punto (40 do Ce) Sia esso stesso il centro di scuotimento. In questo caso, oltre la conoscenza della posizione del detto centro, basta che il tempo del- l’arrivo della scossa sia stato determinato in due sole località. Infatti dette 0, e 0, le distanze dei punti 4, di €1, 42 da c3 da & do Co, Si ha direttamente . d, a V(a: mao * Uo)? + (dì ra DA)E + (1 = Go =: v(Èa —x t) dò = V(a» — 4) + (0a — do) + (ce — 00) = fe — D) « Queste equazioni non sono altro che le (î), quando vi sì faccia <= cy. Il Ponendo Org sarà : d0+ti=(L, dì (13) + É = Lo donde si ricaveranno i valori di w e di 7, che risolvono il problema. X x x « Le varie formole date di sopra per punti di osservazione posti tutti alla superficie di una sfera sono quelle da applicare al caso pratico dei ter- remoti, nei quali l’ipocentro può stare ad una profondità più o meno grande, 2220/12 RI e le località, dove si osservano i tempi d'arrivo delle scosse, sono tutte sopra la superficie terrestre (!). Ma in questo caso pratico, se tenessimo conto della reale struttura del nostro globo, non potremmo più a rigore supporre la sua massa omogenea, come abbiamo fatto fin qui nelle nostre formole. Tanto la densità, come l'elasticità possono variare lungo il tragitto dell'onda sismica, sia per la diversa costituzione dei materiali attraversati, sia per l'aumento della pressione colla profondità. Quindi a rigore non si potrebbe più ammet- tere il cammino rettilineo dell'urto sismico dal centro di scuotimento ad una qualunque delle località considerate. È chiaro dunque che i valori che si possono ottenere applicando le nostre formole, vanno presi in pratica solo come prima approssimazione e con riserva, conforme appunto alle fatte ri- flessioni. « Abbiamo veduto che tanto nel caso più generale di località comunque poste nell'interno di una massa indefinita, quanto nel caso particolare di lo- calità poste tutte sopra una sfera (caso I), è necessario di conoscere i tempi d'arrivo delle scosse almeno in cinque località. Quando invece si supponga nota la posizione del raggio, su cui si trova il centro di scuotimento, o in altre parole, si conosca la posizione dell’epicentro, (caso II) sono necessari solamente i tempi di tre località; i quali finalmente si riducono a due, ove si supponga il movimento propagarsi dall’epicentro stesso, cioè a dire, l'ipo- centro coincidente coll’epicentro (caso III) (2). Siccome però di fatto si ha quasi sempre un numero ben più grande del necessario di località, dove sono stati osservati i suddetti tempi, si capisce facilmente che per utilizzare tutti questi dati sovrabbondanti si potrà ricorrere al metodo dei minimi quadrati. * Xx x « Si potrebbe il problema della determinazione degli elementi di un ter- remoto considerare anche da un altro punto di vista, supponendo cioè che per una particolare struttura del nostro globo la scossa abbia origine, e si pro- paghi efficacemente solo nello strato più superficiale della terra, seguendo con moto uniforme gli archi di circolo massimo e non le corde; o almeno sup- ponendo che esista, fra le altre, una particolare forma di vibrazione sismica, la quale per una ragione qualsiasi costituisca un fenomeno proprio del detto strato superficiale, ed irraggi dall’epicentro con velocità costante lungo i cir- coli massimi. Il calcolo degli elementi del terremoto, basato unicamente sul- l'osservazione dei tempi in diverse località, esige in questo secondo modo di (1) Le coordinate cartesiane delle diverse località si deducono dalle coordinate geo- grafiche colle note formole trigonometriche, ed il calcolo è facilissimo, quando si scelga per origine degli assi il centro della terra, per piano 4y il piano dell’equatore, e quindi l’asse terrestre per asse delle <. (2) A questo caso ci avviciniamo nella pratica, quando l’ipocentro è da ritenersi ad una, profondità relativamente assai piccola. = dh vedere un processo diverso da quello tenuto fino qui da noi nell'ipotesi della propagazione rettilinea, e speriamo di aver agio di trattare anche sotto quest'altro punto di vista il nostro problema. « È certo che lo studio di un terremoto anche in questa seconda ipotesi è importantissimo per più ragioni. Primieramente perchè da qualche tempo i livelli astronomici, sismometrografi ecc. hanno accennato l’esistenza di onde sismiche a lento periodo, che si mostrano alla superficie con una specie di larghissimo increspamento della medesima, e si vuole da alcuni che queste onde abbian fatto persino l’intero giro del globo. Ora parrebbe che fosse questo appunto un caso di quel movimento puramente superficiale, che ab- biam detto. In secondo luogo qualora i dati di osservazione per un terremoto fossero in numero maggiore del necessario, sottoponendoli al calcolo tanto nell'ipotesi della propagazione rettilinea, lungo le corde, quanto nell’ipotesi della propagazione lungo gli archi di circolo massimo, il miglior accordo fra i valori calcolati ed osservati potrebbe metterci sulla via per decidere quale delle due ipotesi si accosti più alla realtà. « Finalmente, come dichiareremo meglio in una Nota che fa seguito alla presente, supposto anche che l'urto si propaghi nell’interno della massa terrestre in linea retta, con velocità costante, è però certo che, lungo la su- perficie la velocità, diciam così, apparente di propagazione (quella che chia- meremo velocità superficiale) non può essere costante, ma variabile con legge determinata. Così anche la velocità ottenuta dividendo l'arco di circolo mas- simo per il tempo impiegato a percorrerlo, cioè la velocità superficiale media, deve variare pur essa. Se invece il fenomeno è superficiale, le velocità vera e media dovranno coincidere ed essere costanti ambedue, salva sempre la questione di perturbazioni irregolari, dovute all’eterogeneità dei materiali attraversati. Dal calcolo dunque delle velocità, quando ben inteso, il progresso delle osservazioni sismiche sarà in grado di fornirci una determinazione suffi- cientemente esatta delle ore delle scosse, potrà derivare molta luce tanto sul meccanismo di propagazione dell'urto sismico, quanto anche, se si voglia, sulla costituzione interna dello sferoide terrestre. « Comunemente dai sismologi le distanze dei punti di osservazione, sia dall’epicentro, sia uno dall'altro, vengono contate sui circoli massimi pas- santi per l'epicentro, e si ritiene la velocità del terremoto rappresentata dai quozienti di queste distanze per le differenze dei relativi tempi. Questo modo di procedere non dà a rigore altro che la velocità media superficiale, la quale, come abbiamo osservato, se l’ipocentro è profondo, e l’urto sentito alla su- perficio proviene direttamente da esso in linea retta, sarà diversa dalla ve- locità di propagazione nella massa terrestre, che è la cercata. Però se l’ipo- centro è vicinissimo alla superficie, e i punti d'osservazione sono a distanze da esso tali, che la differenza tra l’arco e la corda sia trascurabile; le due ipotesi della propagazione rettilinea e della propagazione per archi di circolo = ug massimo condurranno a risultati sensibilmente identici, o meglio le differenze potranno essere in pratica sopraffatte da variazioni accidentali. È per questo che uno di noi (Agamennone) nel calcolare col metodo di Dutton e Newcomb la velocità di parecchi terremoti, ad ipocentro probabilmente pochissimo pro- fondo, e nei quali la distanza della località più lontana dall’ipocentro si aggira sui 2000 km., ha creduto di non allontanarsi dal modo di procedere comune. Infatti per tale massima distanza l’arco non supera la corda che di pochi chilometri. D'altronde gli errori di osservazione nei tempi sono ancor tali, per i terremoti finora studiati, da rendere impossibile per ora il porre in evidenza le variazioni suaccennate di velocità ». Chimica. — Sulla costruzione della nicotina. Nota di G. OLI- VERI, presentata dal Socio PATERNÒ. Mineralogia. — Sopra leuni minerali di Su Poru fra Tonni e Correboi in Sardegna — La tormalina della zona arcaica di Caprera. Note di D. Lovisaro, presentate dal Socio STRUEVER. Queste Note saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI N. Nicoli. Sull’efflusso dei gas, dei vapori e dei liquidi soprariscal- dati sotto forti pressioni. Presentata dal Socio CERRUTI. A. Porro. Un'altra ipotesi sulla formazione della grandine. Presen- tata dal SEGRETARIO. PERSONALE ACCADEMICO Il PRESIDENTE annuncia con rammarico all'Accademia la perdita da questa fatta nella persona del Socio straniero ToHEBICHEF PAFNUTIJ, man- cato ai vivi il 16 dicembre 1894; apparteneva il defunto Socio all’Acca- demia sino dal 16 dicembre 1883. 4 CONCORSI A PREMIO Il Segretario BLAsERNA dà comunicazione dell’elenco dei lavori presen- tati per concorrere al premio reale di fisica, scaduto il 31 dicembre 1894. 1. BartoLI ApoLro — 1) Sul calore specifico delle acque e sulle misure termiche e calorimetriche in genere (N. 21 Memorie e Note st.). — 2) Sulla misura del calore solare e dei suoi effetti (N. 10 Mem. e Notest.). — 3) Sulla costituzione degli elettroliti e sulla elettrolisi (N. 13 Memorie e Note st.). — 4) Sulla conduttività elettrica (N. 18 Memorie e Note st.). 2. Berio Giacomo EmiLio — 7eoria matematica della propulsione elicoidale e della resistenza dei fluidi, coi più recenti perfezionamenti alle forme nautiche dei piroscafi e dei propulsori navali (ms.). 3. CHIazzaRI ORAZIO — Caldaia tipo locomotiva. Migliorie ed appli- cazioni (st.). 4. ChÒistoni Ciro — 1) Determinazione dei valori assoluti della di- resione e dell'intensità della forsa magnetica terrestre, fatte sul conti- nente italiano nell’anno 1883 (st.).. — 2) Id. id. fatte in Sardegna nei mesi di maggio e di giugno 1884 (st.). — 3) Misure assolute degli elementi del magnetismo terrestre fatte nell’anno 1885 (st... — 4) Id. id. fatte nell'anno 1886 (st.). — 5) Id. id. fatte nell’anno 1887 (st.). — 6) Id. id. fatte a Roma negli anni 1885, 1886, 1887 (st.). — 7) Id. id. fatte nel luglio e nell'agosto 1888 (st.). — 8) Id. id. fatte in Sicilia nei mesi di luglio e di agosto 1890 (st.). — 9) Contributo allo studio del magnetismo terrestre in Italia e lungo le coste dell'Adriatico (st.).. — 190) Sulla va- riazione secolare degli elementi del magnetismo terrestre a Milano (st.). — 11) Id. id. a Venezia (st.). — 12) Id. id. a Padova (st.). — 13) Id. id. a Como, a Pavia, a Verona ed a Modena (st... — 14) Id. id. a Fi- renze (st.). — 15) Sul coefficiente di riduzione dell'unità arbitraria di forea magnetica assunta da Humboldt in unità assoluta (st.). — 16) Sulla determinazione del meridiano astronomico col magnetometro unifilare di Kew (st... — 17) Magnetometro unifilare dei seni (st.). — 18) Teoria del metodo del Lloyd per la misura dell’ intensità magnetica (st.). — 19) Sulla determinazione del coefficiente d’induzione dei magneti col metodo di Lamont (st... — 20) Sulla misura delle deviazioni col magnetometro dei seni a posizioni est ed ovest del magnete deviatore (st.).. — 21) Sul cal- colo del coefficiente magnetometrico ecc. (st.). — 22) Sull’applicazione del magnetometro dei seni alla determinazione del coefficiente medio di tem- peratura dei magneti (st... — 28) Azione deviatrice di un magnete fisso sopra un magnete libero di muoversi attorno ad un asse verticale (5 Mem. st.). e N 5. De GrEeGorIO Antonio — Su taluni nuovi strumenti fisici e me- teorologici, certe azioni molecolari dei liquidi, taluni fenomeni tellurici, e sulla più probabile origine del nostro sistema solare. (st.). 6. MarANGONI CARLO — Zeoria sulla grandine (4 Note st. ed una ms.). 7. Ricni Augusto — 1) Sulle cariche elettriche generate dalle ra- diazioni (st... — 2) Sopra un apparecchio stereoscopico (st). — 3) Suz fenomeni elettrici provocati dalle radiazioni. NI Memoria (st.). — 4) Sulle forze elementari elettromagnetiche ed elettrodinamiche. Memorie I, Il (st.). — 5) Sulla misura delle forze elettromotrici di contatto dei metalli in vari gas, per mezzo delle radiazioni ultraviolette (st.). — 6) Sull’elettricità di contatto in diversi gas (st.). — 7) Sulla convezione elettrica (st.). — 8) Sulle tra- iettorie percorse nella convezione fotoelettrica, e su alcuni muovi feno- meni elettrici nell'aria rarefatta (st.). — 9) Sulla convezione fotoelet- trica e su altri fenomeni elettrici nell'aria rarefatta (st.). — 10) Sopra specie di scintille elettriche nelle quali la luminosità si propaga grada- tamente da un elettrodo all’altro (st). — 11) Sulle scintille costituite da masse luminose in moto (st.). — 12) Ricerche sperimentali intorno a cerie scintille elettriche costituite da masse luminose in moto. Con Appendice (st... 13) Sulla teoria dello stereoscopio (st... — 14) Di un nuovo apparecchio per l’interferenza delle onde sonore (st.). — 15) Sulla misura delle dif- ferenze di fase prodotte dalle lamine cristalline, € sulla costruzione delle lamine quarto-d’onda e mess'onda (st.).. — 16) Sulla distribuzione dei po- tenziali presso il catodo (st.).. — 17) Sulla distribuzione del potenziale nell'aria rarefatta percorsa dalla corrente elettrica (st.). — 18) Su alcune disposizioni sperimentali per la dimostrazione € lo studio delle ondula- zioni elettriche di Hertz (st.). — 19) Apparecchio da lezione per la com- posizione delle oscillazioni pendolari (st.). — 20) Di un nuovo elettrometro idi statico assai sensibile (st.). — 21) Sulla preparazione di lamine sottili di vetro, presentanti gli anelli di interferenza (st.). — 22) Sulle oscilla- zioni elettriche a piccola lunghezza d'onda, e sul loro impiego nella pro- duzione di fenomeni analoghi ai principali fenomeni dell'ottica (st.). — 23) Sulle onde elettromagnetiche generate da due piccole oscillazioni elet- triche ortogonali, oppure per messo di una rotazione uniforme (st.). 8. SAPORETTI ANTONIO — Metodo universale per determinare col pst- comeiro di August l'umidità relativa dell'aria atmosferica nel caso delle temperature sotto sero e per qualsiasi clima (st.). Lo stesso SEGRETARIO annuncia poscia che al concorso al premio CARPI per la Chimica fisica pel 1893-94, si presentò il concorrente _ CARRARA GIACOMO — Dissociazione elettrolitica e legge della dilu- zione nei solventi organici. (st. e ms.). Mero PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario BLAasERNA presenta le pubblicazioni giunte in dono, segna- lando quelle inviate dai Corrispondenti RieHnI e NoBILE, e il 9° fascicolo del Trattato d'ottica fisiologica del defunto Socio straniero H. von HELMHOLTZ. CORRISPONDENZA Il Segretario BLAsERNA dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: La R. Accademia delle scienze di Lisbona; la R. Accademia delle scienze di Stockholm; il R. Istituto geologico di Budapest; la Società geologica di Darmstadt. Annunciano l'invio delle proprie pubblicazioni : Le Università di Bonn e di Jena. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nell'adunanza del 6 gennaio 1895. Baratta M. — I terremoti di Calabria. Roma, 1895. 8. Dubois E. — Pithecanthropus erectus, eine menschenaehnliche Uebergangs- form aus Java. Batavia, 1894. 40. De Schio A. — Leggi del vento da 28109 registrazioni dell’anemografo di Vicenza. Dic. 1885. — Nov. 1886. Venezia, 1894. 4°. Guccia G. B. — Ricerche sui sistemi lineari di curve algebriche piane, do- tati di singolarità ordinarie. Palermo, 1894. 8°. Id. — Sulla involuzione di specie qualunque dotate di singolarità ordinarie. Palermo, 1894. 8°. Helmholtz H. v. — Handbuch der Physiologischen Optik. Lief. IX. Leipzig, 1894. 8°. Mariani A. — Scoperta scientifica della Scrittura sperimentale della mec- ‘canica razionale ecc. Roma, 1894. 8°. Meli R. — Ing. cav. uff. prof. Giulio Pitocchi. Parole. Roma, 1894. 16°. MilIner L. — Die Bedeutung Galileis fir die Philosophie. Wien, 1894. 8°. — 49 — Nobile A. — Ascensioni rette determinate simultaneamente a Capodimonte ed a Cordoba. Napoli, 1894. 4°. Id. — Risultati di talune osservazioni di distanze zenitali. Napoli, 1894. 4°. Id. — Saggio di determinazione diretta della costante di una linea geode- tica nell’ellissoide di rivoluzione schiacciato. Napoli, 1894. 4°. Ki. — Studio iniziale del collimatore del cerchio meridiano Reichembach. — Heurtaux. Napoli, 1894. 4°. Riefler S. — Die Pricisions- Uhren. mit vollkommen freiem Echappement &. Minchen, 1894. 4°. Righi A. — Sulle onde elettromagnetiche generate da due piccole oscilla- zioni elettriche ortogonali, ecc. Bologna, 1894. 4°. Sacco F. — I molluschi dei terreni terziarî del Piemonte e della Liguria. Torino, 1894. 83°. Studio sulle condizioni di sicurezza delle miniere e delle cave in Italia. Roma, 1894. 4°. | i RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ____—_—————————y<“< (e quindi tutte le funzioni 4, 2,1 + 4» 2, dove 4, e Z sono costanti ar- bitrarie). Questa nuova equazione differenziale ha pure coefficienti algebrici, che sono funzioni razionali sulla data superficie di Riemann, e si possono fa- cilmente calcolare. L'integrazione dell'equazione proposta è quindi ricondotta a quella di quest'ultima equazione (e corrispondentemente, com'è noto, di un'equazione differenziale di 3° ordine contenente il parametro differenziale di Schwarz, oppure di un'equazione di Riccati). Ma l'integrazione di queste stesse equazioni non si può in generale ricondurre a un problema inferiore (1). « 2. Per trattare il caso in cui la curva T° è razionale, ma di un or- dine 7 = x, normale quindi per uno spazio Sm superiore a Sn_;, bisogna pre- mettere qualche osservazione sulle possibili trasformazioni projettive di una tal curva in sè stessa. Già è noto (cfr. ad es. Loria: Giorn. di Battaglini, vol. XXVI) che le oc* collineazioni di uno spazio S,, che trasformano in sè stessa una data curva razionale normale di questo spazio, non hanno che co ? diverse piramidi fondamentali, ciascuna delle quali è tale per co! di quelle colli- neazioni. E sempre due vertici della piramide stanno sulla curva in discorso (e sono i punti uniti della projettività sopra questa), mentre gli altri m — 1 sono dati dalle intersezioni degli Sx osculatori alla curva in uno di quei due punti (£C= 1,2,....m— 1) rispett. cogli Sm_x osculatori nell'altro (2). « Da questo, e dal fatto notissimo che, se una curva non normale am- mette una trasformazione projettiva, questa deve essere contenuta in altra projettività di uno spazio superiore, che trasformi in sè stessa la curva nor- male di cui la prima è projezione, si trae facilmente che: « Se una curva razionale ©" appartenente a uno spazio Sx (dove k < m) ammette una trasformazione projettiva, ne ammetierà certo co! aventi una (1) Del gruppo monodromico dell’equazione differenziale proposta sappiamo soltanto, in questo caso, che esso è contenuto in un certo gruppo co? di sostituzioni lineari (gruppo che è simile a quello delle 0038 trasformazioni projettive di una data variabile qualsiasi, — nel senso che le operazioni dei due gruppi si corrispondono biunivocamente —). Perchè l'integrazione dell’equazione differenziale lineare di 2° ordine a cui siamo giunti possa ricondursi a un problema inferiore (di quadrature cioè, funzioni esponenziali, od opera- zioni algebriche) è necessario (e sufficiente) che il gruppo monodromico sia contenuto in un sottogruppo (algebrico) del gruppo co? considerato di sopra. (°) Se però i due primi punti doppi (sulla curva) coincidono, anche gli altri m — 1 coincideranno con questi. La projettività nello spazio Sm non avrà allora che un solo punto unito, e, di più, una retta, un piano, ... un Sm-: uniti e passanti tutti per questo punto. È questo però il solo caso in cui quelle collineazioni non hanno m+1 punti doppi distinti. LESIONI stessa piramide fondamentale, e sarà projezione di una C® normale da un Smrr appartenente a una delle 0° piramidi di Sn, che sono fonda- mentali per le trasformazioni projettive di quest'ultima curva (1). « Queste collineazioni dello spazio Sx hanno i loro X +1 punti doppî tutti distinti (2), e possono essere le sole che mutino in sè stessa la curva (projezione) O). Ma vi è anche un caso in cui questo gruppo co! di colli- neazioni ammette un'opportuna estensione (£rwezterung); ed è il caso in cui l'Sn_r1; da cui si è projettata la curva normale di S,m (m = 4), ha una posi- zione, per così dire, simmetrica rispetto ai punti uniti su detta curva, che sono comuni alle co! projettività di S,,, per le quali quello stesso S,-x-1 è spazio unito (3). — Allora la curva ottenuta come projezione è trasformata in sè stessa da infinite altre projettività, che non formano di per sè un gruppo, ma ne formano bensì uno (misto) assieme alle precedenti. Sulla curva, sono queste le co! involuzioni, nelle quali gli stessi due punti uniti di prima si corri- spondono in doppio modo (‘). « 3. Ritornando ora alla considerazione della curva Z° a/tachée all’equa- zione differenziale proposta, il risultato testè ottenuto ci mostra che, se detta curva è razionale e non normale (e ammette solo quel primo gruppo co' di trasformazioni projettive cogli stessi punti uniti), le operazioni generatrici del gruppo monodromico dell'equazione differenziale avranno tutte le stesse soluzioni fondamentali, ossia tutte le sostituzioni lineari del gruppo dovranno ridursi a forma canonica colle stesse y. E poichè si tratta di collineazioni aventi i loro punti doppî essenzialmente distinti, queste y saranno sulla data (1) Queste curve razionali rientrano dunque nelle curve W studiate dai sigg. Klein e Lie (Compt. Rend., 1870; Math. Ann., IV); e sono anzi, assieme alle corrispondenti curve normali, le sole W algebriche. — Avremmo anche potuto prender le mosse direttamente da queste curve W, e domandarci quali fra esse sono algebriche; ma abbiamo preferito ricorrere alle considerazioni esposte di sopra, perchè di queste dovremo anche valerci più avanti. — È chiaro che le curve razionali e non normali, le quali ammettono infinite tras- formazioni projettive in sè stesse, dovranno avere determinate singolarità (una cuspide, oppure determinati spazî iperosculatori). Così ad es. la cubica piana razionale deve avere una cuspide, e la quartica sghemba anche una cuspide, oppure due tangenti stazionarie (cfr. ad es. Klein-Lie, 1. c.; o anche: Cremona, Rend. Ist. Lomb., 1868; Bertini, ibid., 1872; Cayley, Quart. Journ. of Mathem., VII; ecc.) (2) Così avviene infatti per le collineazioni da noi considerate nello spazio Sm, 2 meno che due, e quindi tutti i punti doppî non coincidano su/la curva. E in questo caso la projezione fatta dall’unico punto o da uno degli spazî uniti sarebbe ancora una curva normale, di ordine inferiore. i (8) Vale a dire, se esso contiene l’intersezione dell’Sx osculatore alla curva in uno di quei due punti coll’Sm_x osculatore nell’altro, contenga sempre anche l'intersezione dell’S,2-x osculatore nel primo coll’Sz osculatore nel secondo. (4) Il prodotto di due qualunque fra queste involuzioni è infatti una projettività, in generale non involutoria, avente quei certi due punti come punti uniti. 22027 superficie di Riemann funzioni puramente moltiplicative, quindi funzioni espo- nenziali di integrali Abeliani relativi a questa stessa superficie (°). « Questi integrali non potranno avere però che infiniti logaritmici; perchè, se avessero dei poli, questi sarebbero per le y punti singolari essenziali (ces- serebbe cioè quivi il comportamento regolare) (*). L'integrale generale avrà la forma: VE SIE ZO dove le 4 sono costanti arbitrarie, e le X integrali Abeliani della data super- ficie. L'equazione proposta è dunque integrabile per quadrature (3). « Indichiamo ora con (m =») l'ordine della curva 7, e assumiamo le stesse y; moltiplicative come coordinate nello spazio S,-1; assumiamo cioè come punti di riferimento gli stessi punti uniti comuni alle oo! collineazioni che mutano ZI in sè stessa. E siano precisamente (1) e (2) — quei punti cioè per cui y, 0 rispettivamente 7» sono diversi da zero — i due punti fonda- mentali che stanno su questa curva. La projezione di Y su di un piano coor- dinato qualsiasi (1) (2)(A)(£2=3, 4,...) dall'S,_, fondamentale rispetti- vamente opposto avrà un'equazione del tipo: peyi =yn, [1] dove 7, al variare di /, assume successivamente x — 2 valori distinti nella serie 1, 2,...m—1 (4). Segue da ciò che posto y, = e?! e y»= e°*, si può assumere, per S=l%=7n: Ue ossia Y, = 36 dove @) e Bn sono numeri razionali aventi per somma l'unità, e le differenze @, — #, sono tutte diverse fra loro. E possiamo anche estendere quest’espressione ai valori 1= 1 e %X= 2, ritenendo a, = #,= 1, ac, =$,="0. E se infine trasformiamo l'equazione differenziale proposta, ponendo : In, > & i (O) yi==te i 50.9 (1) Il gruppo monodromico dell’equazione differenziale sarà in questo caso un gruppo Abeliano, vale a dire le operazioni in esso contenute saranno a due a due permutabili.. (2) L'ipotesi del comportamento regolare, di cui abbiamo fatto uso al n.° 4 della Nota prec., non risulterebbe però necessaria in questa 2* Nota (tranne che nelle ultime considerazioni del n.° 5). (3) — e funzioni esponenziali —, le quadrature essendo però da eseguirsi su funzioni razionali (nel campo di razionalità prescelto). (4) Facciamo astrazione dalla costante, che dovrebbe comparire come fattore al 1° o 2° membro, ritenendola inglobata nella yn. Le y, non erano infatti determinate finora che a meno di un fattore costante; e adesso ancora, date y, e y:, le rimanenti non lo sono che a meno di una radice mS"@ dell'unità. La determinazione completa è però implicita nelle equazioni successive. — Sono queste appunto le equazioni a due termini (2weigliedrig) di cui fa cenno Wallenberg (1. c., p. 22 e seg.). Î e indichiamo con v, il nuovo integrale corrispondente a y,, avremo eviden- temente : Pa goin « La nuova equazione differenziale fra v e 2 ha dunque coefficienti co- stanti, e la sua equazione caratteristica ha le radici tutte razionali e fra loro distinte. « 4. Il caso particolare accennato alla fine del n. 2 si presenta quando gli n— 2 valori assunti da 7 nelle equazioni [1] — che sussistono, natural- mente, anche in questo caso — sono, benchè in altro ordine, gli stessi assunti da m — r. Allora accanto ad ogni equazione : m MuYON Ya Ya Yn ne dovrà sussistere un'altra : Maefi — Mi. giga = Yi; e a queste due potremo anche sostituire (per ogni coppia di indici 4, 4°) le due seguenti: Va m_-@Y Yn m Yu Ya = YnYw (1) lo [2] Ye Yn, « Se n è numero dispari (= 5), dovrà essere 7 pari, e dovrà sussistere un'equazione : Di Un Yo = yi” (1) « In questo caso gli integrali y1, y»,----%» non saranno più, in generale, moltiplicativi sulla data superficie di Riemann, ma il gruppo monodromico dell'equazione differenziale proposta potrà contenere anche sostituzioni del tipo: yi Cost ya i yin = Cost. X yy (y',= Cost. X y) ya = Cost. X yi... yu Cost. X ya è le quali però, applicate uma seconda volta, ridànno le stesse funzioni primi- tive, a meno di fattori costanti. E da questo si trae che le y; sono ancora ‘funzioni moltiplicative, quindi esponenziali di integrali Abeliani, ma, in generale, su di un’altra superficie di Riemann, in corrispondenza (2, 1) colla superficie data. Si può ripetere perciò tutto il ragionamento del n.° prec., concludendo ancora che l’equazione differenziale proposta deve essere trasfor- (1) L'Smor, da cui si è projettata la curva normale di Sm, non passerà allora per nessun punto in cui s’incontrino due Sym osculatori a questa curva. E la y7 si potrà deter- 2 minare in modo che sia y:? = 1%», sicchè la curva T risulta contenuta in un cono qua- drico di (n — 3)Sima specie (avente cioè per asse uno spazio Sn_s). — Per n= 3 la curva I° si ridurrebbe essa stessa — in questo caso — a una conica multipla. 257 mabile in altra a coefficienti costanti, e integrabile essa stessa per qua- drature (più un'estrazione di radice); anzi le differenze @, — #, sono in questo caso a due a due eguali ed opposte, sicchè l’equazione caratteristica man- cherà dei termini di posto pari. Due qualunque v, e vr fra loro corrispon- denti differiranno soltanto nel segno dell’esponente (saranno cioè fra loro reci- proche), e la derivata — sarà essa stessa la radice quadrata di una funzione da razionale sulla superficie di Riemann data (!'). — Di più, le stesse ope 07, considerate come funzioni di , soddisferanno a un'equazione differenziale lineare di 2° ordine, i cui coefficienti sono anche funzioni razionali sulla super- ficie data (2). « Concludiamo perciò che l'equazione differenziale proposta (cfr. la Nota prec. cit.), nelle ipotesi da noi introdotte, deve sempre presentare uno di questi tre casì: «1.° L'equazione è integrabile algebricamente, a meno forse di un fattore comune a tutte le soluzioni (il-cui logaritmo si potrà determinare con una quadratura); «2.° L'equazione è riducibile ad altra dello stesso ordine con coeffi- cienti costanti, ed è allora integrabile per quadrature e funzioni esponen- stali (più, forse, un’estrazione di radice quadrata); «3.° L'equazione è riducibile ad altra, pure lineare, di 2° ordine (0 ad una delle forme equivalenti) (8). « 5. Aggiungerò ancora poche osservazioni sul caso trattato nei n.i 2 e seg. di questa Nota. « Ammesso che le deserminirende Fundamentalgleichungen di Fuchs relative a tutte le operazioni generatrici del gruppo monodromico abbiano ra- dici razionali (e non occorre aggiungere « fra loro diverse(4) », essendo noi già sicuri, per ragioni geometriche, di poter ridurre ogni sostituzione lineare (1) Da quest’estrazione di radice proviene appunto la nuova irrazionalità, che ci obbliga a passare su di un’altra superficie. — Anche Wallenberg trova per questo caso (1. c., p. 37): va=t = (*) Anche yx e yn/ dovranno soddisfare a una corrispondente equazione differenziale di 2° ordine a coefficienti algebrici, ma non più razionali (in generale) sulla data superficie. ($) Se l'equazione proposta non è dunque integrabile algebricamente, lo è per quadra- ture, oppure si riduce a un’equazione di Riccati — il problema d’integrazione di grado immediatamente superiore —. Quadrature e equazione di Riccati si presentano — fatta ecce- zione per la sola quadratura del caso 4,2) — ‘quando la curva T ammette infinite tras- formazioni projettive, e rientra perciò nelle curve W di Klein-Lie. Si può verificare passo per passo come a un maggior numero di proiettività trasformanti in sé stessa la curva I, corrisponde sempre un problema di integrazione più complicato. (4) Tali anzi, che la differenza fra due radici qualunque di una stessa equazione sia un numero 07 intero (zero incluso). RR del gruppo a forma canonica generale) gli integrali y1, Ye, --- 7» potranno differire da funzioni algebriche della 4 — e precisamente da radici di fun- zioni razionali sulla superficie di Riemann data (o su quell'altra, in corri- spondenza (2, 1) con questa) — solo per fattori che su questa stessa super- ficie non diventano mai nulli nè infiniti, e saranno perciò funzioni esponen- ziali di integrali Abeliani di 1° specie ('). « Se introduciamo perciò anche l'ipotesi che l'equazione differenziale pro- posta abbia coefficienti razionali (e appartenga quindi alla classe Muchsiana), gli integrali stessi y1,...%» Saranno radici di funzioni razionali della &, qualora non si presenti il caso svolto al n. 4. Che se invece questo caso si presenta, saranno funzioni esponenziali di integrali iperellittici, e non saranno quindi, in generale, funzioni algebriche (2). Wallenberg esclude questo caso nell'ultimo enunciato della sua Memoria, introducendo l'ipotesi che l’equa- zione differenziale lineare proposta sia drriduttibile (3), sicchè allora il caso in cui la curva I è razionale e normale (di ordine n — 1) si presenta come sola eccezione all’integrabilità algebrica dell'equazione stessa (a meno forse di un fattore comune a tutte le soluzioni); ed è questo anche il risultato a cui è giunto Ludw. Schlesinger nel caso particolare n= 4 « (4). i (@) In particolare, se le yi sono esse stesse funzioni algebriche di 4, saranno certo radici di funzioni razionali sull’una o rispettivamente sull’altra superficie. 2) Nell'esempio cui ricorre Wallenberg (1. c., p. 39), per mostrare che le y possano essere funzioni n0n algebriche di 4, compaiono precisamente funzioni esponenziali di inte- grali ellittici di prima specie. E le equazioni ch'egli trova dover sussistere fra le diverse y sono precisamente le nostre [2]. Non compare invece nella nostra ricerca il caso degli inte- grali ultraellittici (1. e., p 33 e seg.) — dipendenti cioè dalla radice di indice superiore a 2 di una funzione razionale —, perchè la curva T non sarebbe allora algebrica. (8) Se però, fra le tante definizioni che già furon date di equazione differenziale lineare irriduttibile (Frobenius, Kenisberger, . ..) noi ci fissiamo su quella che fu proposta (e svi- luppata) recentemente dal sig. Beke per le equazioni a coefficienti razionali (Math. Ann.; Bd. 45, p. 279 e seg.), e che si potrebbe estendere (in modo ovvio) alle equazioni con coef- ficienti razionali sopra una data superficie di Riemann qualsiasi, risulterebbe ancora riduttibile l’equazione differenziale fra v e 2, ma non quella fra y e 2. (4) Cfr. la Diss. cit., p. 38. Il nome Gebilde 2weiter Stufe non è di facile interpre- tazione; ma si capisce che l’autore accenna al caso in cui le equazioni algebriche date fra Y1,---Y4 definiscono una curva. Il caso indicato con (D) — cfr. p. 15 — è quello delle equazioni: 2%: =0 1 EL yi Ya ossia I° OLE 0 ly — yaya=0 Ya Ys Ya che rappresentano appunto, come ognun vede, una cubica sghemba. Mr Matematica. — Sopra alcune congruenze di grado n, dotate di una curva gobba singolare di ordine n. Nota di P. VisaLLI, pre- sentata a nome del Socio CREMONA. « 1. In una precedente Nota (') sulle congruenze di grado n, dotate cia- scuna di un piano eccezionale o contenente un numero semplicemente infinito di rette della congruenza, che inviluppano una curva w della classe n—1, abbiamo tralasciato di occuparci del caso in cui fra i punti del piano 0, ecce- zionali per la congruenza, fra i quali esiste la relazione x? x, — n° +1, ci fosse un punto P,, w-plo. « Lo studio di questo caso particolare forma l’oggetto della presente Nota. « 2. Ponendo #,= 1, la formola precedente dà anche x, — 1; cioè nel piano o vi sono due punti eccezionali, uno n-plo P,,; l’altro semplice P,. Le rette della congruenza, che passano per P,,. formano un cono di ordine N, quelle uscenti per P, formano un fascio. « 3. Sia 77 un piano qualunque. Le rette della congruenza determinano fra i punti dei due piani 7, c una corrispondenza (1, x), dicendo corrispon- denti un punto di 7 ed uno di o che giacciono sulla stessa retta della congruenza. «Ad un punto della retta 770, considerato come appartenente a 0, cor- risponde il punto medesimo; considerato come appartenente a 77 corrisponde lo stesso punto ed altri 7 —1 punti del piano o. «I punti fondamentali di o sono il punto P,, n-plo, il punto P, sem- plice, ed altri 7 punti semplici, S; (7 == 1, 2,...,) nei quali le x rette della congruenza, giacenti in 7, tagliano o. « Al punto P,, corrisponde una curva # di ordine n, intersezione del piano 7 con il cono (P,), al punto P, corrisponde la retta ©, 7, ove ©; indica il piano del fascio di rette della congruenza uscenti per Pi, ed ai punti S cor- rispondono le rette s'. « Alle rette del piano 7 corrispondono curve « di ordine 2 -+ 1, le quali passano con x rami per P,, e semplicemente per P, e per i punti S.,. « Nel piano o vi sono n +-1 rette fondamentali: P, P,, P,,$;; quindi in vi sono + 1 punti fondamentali semplici, i quali giacciono sulla curva e sulle rette fondamentali, uno su ciascuna. Indicherò con 0' il punto fonda- mentale corrispondente alla retta P,, P,, e con S', quello corrispondente alla retta P, S;. « Al punto in cui P,, P, taglia 770 corrisponde il punto medesimo; ma a tutti i punti di P,, P, corrisponde 0’, quindi 0’ coincide col punto P,, P; . 0 ed il piano w, passa per P,. (1) V. pag. 83. Lis i SOI « Da quanto si è detto risulta che ogni piano che passa per P, e per una retta s, della congruenza, non passante per P, è eccezionale, giacchè contieneunnumero semplicemente infi- nito di rette della congruenza formanti un fascio il cui cen- tro è uno dei punti in cui s, taglia il cono (P,). «Il centro di questo fascio lo chiameremo polo del piano P, Si. « 4. La curva @, corrispondente alla retta 770, si compone della retta medesima, della retta P,, P,, e di altre n—1 retta w; uscenti per P,,. Una curva qualunque « corrispondente ad una retta a' di 77, taglia ro, oltre che nei punti S, nel punto per il quale passa 4’, e taglia in un punto, fuori di P,, 1 rette m;. Questi 2 —1 punti comuni alla curva « ed ciascuna delle 7 ‘alle rette m;, corrispondono al punto 4.770; quindi: ad ogni punto di mo corrisponde il punto medesimo ed altri 7 —1 punti si. tuati sulle 7 —1 rette m;,, uno su ciascuna. «5. Le rette fondamentali di o sono di prima specie; perciò ognuna ha n— 1 punti congiunti. I punti congiunti alla retta P, Pi, si trovano sulle rette m;, uno su ciascuna. Risulta quindi che in un piano qualun- que 7 non passante per P, vi sono 7 punti eccezionali perla congruenza e che, per ognuno di essi, passa un fascio di rette della congruenza ed altren—1 rette della congruenza medesima, esterne al piano del fascio. « 6. La curva doppia del piano o è una curva dell'ordine 27-1 con un punto (22 — 2)-plo in P,, e passa semplicemente per gli altri punti fonda- mentali. « Essa taglia le rette fondamentali solo nei punti fondamentali, e taglia la retta 770, nei punti S; e negli x—-1 punti ove 7 è tagliato dalle rette m;. « La curva limite di 77 è dell'ordine 2(2 — 1), della classe 7, di genere zero, non passa per i punti fondamentali S' ed 0', tocca in un punto ciascuna retta s' e la retta 7r0,, in 2(2— 1) punti la curva #, e tocca la retta 770 negli n—1 punti per i quali passano le rette m.;. « La curva limite non taglia in altri punti la retta #0, quindi la curva w, inviluppo delle rette della congruenza, giacenti nel piano o, è di ordine zero, cioè è formata da zx—1 punti, che dirò punti Q; o in altri termini: le rette della congruenza, giacenti in o formano x — 1 fasci aventi i centri nei punti Q. «Il cono (P,,) taglia il piano o secondo la retta P, P, ed altre 2 —1 rette 7;.. Ad uno degli #—1 punti 770.7, corrispondono il punto medesimo, un punto infinitamente vicino a P,, ed altri 7 — 2 punti; quindi è necessario che uno dei punti @ sia della retta 7;; cioè: ci pun. 0 si broyaro sulle I renve Rios ice scuna. RenpICONTI. 1895, Vor. IV, 1° Sem. 8 SA «7. Come è noto, la curva limite di 77, è la sezione di 77 con la superficie focale, segue quindi che la superficie focale, è dell’ordine 2(2 — 1), tocca il piano o secondo le x —1 rette w;, ed ha un punto 2(2 — 1)-plo in P,,; Cioè «La superficie focale della congruenza è un cono razio- nale di ordine 2(2—1)della classe 2, il quale ha per vertice P, e tocca il piano o’ lungo le n—1 rette m,, ed il cono (P.) secondo 2(x—1) generatrici. « 8 Le curve congiunte alle rette di o (nella trasformazione 77, 0) sono dell'ordine n° +7 — I, passano con x rami per ogni punto S e per P, e con 2? — 1 rami per P,. La curva congiunta ad un punto S è di ordine 7, passa semplicemente per i punti S e per P, e con x—1 rami per P,,. La curva congiunta a P,, è dell'ordine 2? — 1, passa con x — 1rami per i punti S e per P, e con n° — x rami per P,.. « Ad una retta 4 per P,, in o corrisponde in 77 una retta a’ e la curva # corrispondente a P,. Ad 4 corrisponde 4 ed una curva «, di ordine x, che è la curva congiunta ad «, in modo che ad ogni punto di 4 corrisponde un punto dil4 ed 2—1 punti della curva «,. I punti corrispondenti de- terminano sulle rette 4, @' due punteggiate prospettive, quindi le rette della congruenza, giacenti nel piano 44, formano un fascio. Poichè al punto di 4 infinitamente vicino a P,, corrisponde un punto d’intersezione di $ con 4', risulta che il centro del fascio giace su una generatrice del cono (P.,); quindi si ha: «Per il punto P,, passa un numero semplicemente infi- nito di piani eccezionali per la congruenza, che dirò piani ‘, in ciascuno dei quali vi è un fascio di rette della con- gruenza, avente il centro sul cono (P,). « La curva doppia taglia la retta 4= wo in un punto, fuori di P,,; quindi la retta 4' è tangente alla curva limite, cioè: « Il cono focale della congruenza è inviluppato dai piramutior «0 Abbiamo dimostrato che in un piano qualunque 7 vi sono x punti S, centri di fasci di rette della congruenza, giacenti in piani ©, e che questi punti S' giacciono sul cono (P,). Anche nel piano o vi sono # centri di fasci di rette della congruenza, e sono il punto P, ed i punti Q, giacenti sulle 7 generatrici in cui il piano o taglia il cono (P,). « Consideriamo ora un piano qualunque y passante per P,,. Esso taglia la curva # del piano 7 in punti B',, B'»..., B, ad ognuno dei quali corrisponde un punto infinitamente vicino a P,,, in una data direzione. « Indichiamo con d;, da, ...0, le 7 rette di o condotte per P,,, secondo le direzioni corrispondenti rispettivamente a B',, B'.,...,B,. I piani B1 dy, B'; d2,..., B, 0, sono piani w, su ciascuno di essi vi è un fascio di rette b) n n 9 a della congruenza, ed icentri S' di questi fasci sono sulle generatrici P,, B',, P, B»,..., P,B,, e quindi sul piano y. Si ha perciò: « Nella congruenza, oltre al punto eccezionale x-plo, vi è un numero semplicemente infinito di punti eccezionali semplici, il luogo dei quali è una curva gobba di ordine w# tracciata sul cono (P,) «10. Riepilogando si può dire: « Lerette della congruenza formano un cono (P,), diordine n, ed un numero semplicemente infinito di fasci. Il luogo dei centri di questi fasci è una curva gobba (curva singo- lare della congruenza), tracciata sul cono P,, edi piani dei fasci medesimi jinviluppano la superficie focale, che è un cono avente il vertice in P,, dell'ordine 2(2—1), tangente lungo 2(2—1) rette al cono (P,), e tangente secondorz—1 rette al piano o. « Le n rette della congruenza, uscenti per un punto qua- lunque A dello spazio, sono quelle che congiungono A con i poli S' degli x piani ®, che per A si possono condurre tan- genti al cono focale. « Le n rette della congruenza, giacenti in un piano qua- lunque x dello spazio, sono quelle in cui 7 è tagliato dagli n piani ©, polari dei punti S' incuiz taglia la curva sin- golare. «Se il punto A (il piano x) è eccezionale, per esso pas- sano (in esso giacciono) un fascio di rette della congruenza ed altre zx —1 rette esterne al piano (non passanti per il cen- tro) del fascio. « 11. I risultati ottenuti precedentemente nell'ipotesi di 4,==1 non si possono applicare se è x =- 1, perchè in tal caso l'equazione 27°x,= n° + 1 dà 4,= 2. Sebbene la congruenza lineare sia abbastanza nota (!), tuttavia non crediamo superfluo far vedere come il metodo da noi seguito sinora si presti facilmente alla ricerca delle sue proprietà. « Chiamiamo con P e @ i punti eccezionali semplici della congruenza situati sul piano o. Fra i punti o e quelli di un piano qualunque 77, le rette della congruenza determinano una corrispondenza univoca di secondo grado. «I punti fondamentali di o sono i punti P,Q ed il punto S ove la retta s' della congruenza, giacente in 7 taglia o. Le rette fondamentali di o sono le rette dei lati del triangolo PQS. Alla retta PQ corrisponde in 7 il punto S'= 70. PQ, alle rette PS, QS corrispondono rispettivamente 1 punti P',Q' ove i piani dei fasci di rette della congruenza di centro Pcros (1) Vedi Reye, Geometria di posizione. RG) i quali passano per S' tagliano s'. La retta PQ è la retta della congruenza giacente in o. «Ad una retta qualunque « condotta per P in o, corrisponde in 77 una conica formata dalla retta P'S', corrispondente a P, e da una retta 4’ la quale taglia 4 e passa per Q'. Le rette della congruenza determinano sulle rette 4,4" due punteggiate prospettive, al punto di « infinitamente vicino a P corrisponde il punto 4 .S'P'=M' ed al punto della retta &' infinita- mente vicino a Q' corrisponde il punto 4. SQ== N, quindi il centro del fascio di rette della congruenza, giacenti nel piano 44’, è il punto di incontro delle rette PM',Q'N, ma ciascuna di queste due rette taglia la retta P'Q esterna al loro piano, quindi il centro del fascio è il punto ove la retta P'Q taglia il piano ad. « Indicando con x e v le due rette P'Q,PQ', si ha: «Ogni piano del fascio che ha per asse la retta u(v) è eccezionale per la congruenza, e contiene un fascio di rette il cui centro è l'intersezione del piano con la retta o(v). «Ogni retta della congruenza taglia « e 0; e viceversa; cioè la congruenza lineare è il luogo delle rette che tagliano le due rette w,v. « Queste due rette:v,v singolari per la congruenza si dicono assi ». Fisica terrestre. — Sulla velocità superficiale di propaga zione dei terremoti. Nota di F. BONETTI e G. AGAMENNONE, pre- sentata dal Socio TACCHINI. « In una nota precedente (!) abbiamo asserito, senza dimostrarlo, che nel- l'ipotesi della propagazione rettilinea dell'urto sismico dal centro di scuo- timento, la velocità superficiale, lungo gli archi di circolo massimo, è diversa da quella nell'interno della terra e variabile. Nella presente nota veniamo a dare la dimostrazione e qualche sviluppo di quel nostro assunto. « Il calcolo che siamo per fare è basato sulle stesse ipotesi dei calcoli fatti nella Nota suaccennata, cioè : 1°) che la massa terrestre possa ritenersi in un primo studio ed appros- simativamente come omogenea ed isotropa. 2°) che l’ipocentro possa considerarsi sensibilmente come un punto. « Supponiamo di più che la scossa sentita alla superficie provenga di- rettamente dall'ipocentro. « Sia I l'ipocentro (fig. 1), cioè il punto donde ha origine la scossa al tempo £t=0: supponiamo che questa sì propaghi tutt'intorno nella massa solida terrestre, con una velocità w uniforme e costante, in modo che i punti (1) V. pag. 38. DI (307 pan colpiti nello stesso tempo dalla scossa stiano sempre sulla superficie di una sfera. Dei punti della superficie il primo a risentire l'urto sarà l'epicentro E (cioè l'estremo più vicino ad I del diametro passante per I); poi successivamente la risentiranno gli altri punti a partire da E, in modo che in un dato istante i punti della superficie terrestre colpiti staranno tutti sopra un circolo mi- nore, avente il centro sul diametro condotto per E. Sembrerà quindi alla su- perficie l'urto irradiare da E, seguendo i circoli. massimi, che passano per no, H. Fic. 1 questo punto. Sia v la velocità di propagazione dell’urto lungo il circolo mas- simo. Alla fine del tempo # esso sarà giunto in A, avendo percorso lungo il raggio il tratto IA = «4, e lungo il circolo massimo sulla superficie l'arco BA =s. Nel tempuscolo successivo di la scossa sì sarà avanzata sul raggio per un tratto DB= di, e sul circolo massimo per un tratto AB = ds. Ora nel triangolo infinitesimo ADB, detto @ l'angolo TAC, si ha DB = ABsen DAB= ABsena; quindi ds U uditi = dssena e a — (a) Per esprimere sen « in funzione di £, detto 7 il raggio terrestre e d la pro- fondità EI dell'ipocentro, si ha dal triangolo IAC ut + (2 —d)d ra duri (8) donde U g= . A u? 1° | (2 — d) î\ 0 pu ee Ze I} ( 2urt Per esprimere invece sen @ in funzione dell'arco s sì ha dal medesimo trian- golo IAC sen ECA IA f — —, ossia $ 2 GRANDES ee ARS sat ql; + (@—d)? — 2r (rd) cos = Av ere | SAC sen & r MG) — donde PON Va 8 yu (2 are cgeee n Veleno, 7-7 sal (7°) Ss sen p Dalle due formole (y) e (y°) si ricava che v è funzione della profondità d dell’ipocentro e del tempo o della distanza superficiale s dall’epicentro. Dalla (@) si raccoglie che v è sempre maggiore di v, perchè @ è sempre inore di — minore 9° | « L'angolo @ evidentemente è nullo in E e all’antipodo di E. Conside- rando poi il cerchio circoscritto al triangolo IAC, si giunge facilmente a di- mostrare per via geometrica che l'angolo @ è massimo, quando questo cerchio è tangente internamente al circolo EAH, cioè nel punto G, dove la retta IG, condotta perpendicolarmente al diametro EH, incontra la circonferenza. Ciò è facile vedere anche analiticamente. Infatti all’epicentro E si ha uf= d a all'antipodo ut=27—d; quindi dalla (8) in tutti e due i casi si ricava cos « =1: donde nel caso nostro « = 0. Per determinare in modo semplice il massimo di @ basta riflettere che, essendo l'angolo IAC sempre compreso nel primo quadrante, il massimo di @ corrisponde al minimo di cos @. Egua- gliando a zero la derivata prima rispetto a # del secondo membro della (£), sì trova questo minimo corrispondere al caso di (v4)? = (27 — d)d ossia di IA medio geometrico fra i segmenti in I del diametro: quindi ha luogo, come già si è detto, in G. È chiaro dunque che la v sarà infinita in E, poi andrà diminuendo fino ad avere un minimo in G, poi tornerà a crescere per divenire nuovamente infinita all’antipodo di E. gni « Supponiamo ora che l’ipocentro coincida coll’epicentro, cioè a dire sia ò = 0. Dalla figura 2 si ricava anche in questo caso particolare U "7 sena €) essendo @ l'angolo DAB = FAC. Dal triangolo ECA si ha DEC ACMSa, ossì “i rcosa; donde == (0) ut \} Vo) 2r Si può anche in questo caso esprimere v in funzione dell'arco s. Infatti si G ha 2a + wu donde U 97 e ve (d') 141 sen a = Cos COS î dor roi Le formole (d) e (0°) coincidono con quelle, che si otterrebbero facendo nelle Me) d=0: ma abbiamo voluto dimostrarle direttamente per evitare l'indeterminazione che si presenta nelle (y) e (y'), quando vi si debba fare simultaneamente d = 0e #=0 o s=0. L'analisi della (e) ci dice subito che in E la v è eguale ad %, perchè il limite dell'angolo EAC in E è n, e che va crescendo poi continuamente fino a divenire infinita all'antipodo H, dove è nullo il detto angolo. Ciò del resto è facile ricavare anche dall’ana- lisi delle due (0) e (d'). « Finalmente, se l’ipocentro si suppone al centro stesso della terra, siccome la scossa giungerà simultaneamente a tutti i punti della superficie terrestre, la velocità superficiale sarà dapertutto infinita. Ed infatti, supposto l’ipocentro I in C, si vede dalla prima ficura che l'angolo IAC =« è co- stantemente nullo, e quindi anche sen «: si ottiene così dalla (a) v = 00. * x X « Passiamo ora a calcolare la velocità superficiale media V tra l'epi- centro E ed un punto qualunque A. Questa è precisamente quella che ri- sulta dal metodo che tengono ordinariamente i sismologi nel calcolare la velocità di propagazione dei terremoti, quando cioè dividono lo spazio per- corso per il tempo impiegato a percorrerlo, e contano questo spazio sul circolo massimo passante per l'epicentro. _ «Si può trovare la V nel caso generale direttamente, osservando che il tempo impiegato dalla scossa a percorrere l'arco EA (fig. 1) è precisamente ASA quello che vien impiegato a percorrere il tratto FA-—=IA—IF=IA—d nell'interno della massa terrestre. Quindi detto g l'angolo ECA sarà RIO ENEA Le o do U Si può esprimere V in funzione di { o di s, come abbiamo fatto per la v. Infatti si ha IA=w?, e dal triangolo IAC si ricava LR / TA (W) OL dr 2 : 0) donde fi SACE l ; sel so CS (€) « Dalla ($') si ottiene = 2 are. sen —- Lene = . LL (ut)? — d 2y° are. sen 5 a AT 2%) ut—d ()) Così sostituendo nella (e) ad IA il suo valore tratto dalla (È) si ha e quindi We Wi E — (7) fe (r — d) sen? £+ peg Dalle due espressioni (7) ed (17) di V si vede che anche la velocità media è funzione della profondità dell'ipocentro, e del tempo o della distanza su- perficiale dall’ epicentro. « Essendo l’arco EA maggiore della corda EA, e questa maggiore della differenza tra i due lati IA ed IE del triangolo EIA, cioè di IA —d, sarà > 1; e però la V sarà sempre maggiore della x. « Si capisce facilmente che la velocità media ha da avere per limite in E la velocità vera in questo punto, e quindi avrà per limite anch' essa l'infinito. Infatti se l’arco EA diviene infinitesimo, la differenza FA diviene infinitesima di ordine superiore. I secondi membri delle (n) ed (x) per ut—0=0 o per 8=0 si presentano sotto la forma n; ma facendo il quo- ziente delle derivate prime dei numeratori e denominatori si ottiene da tutte e due l’ espressioni V=c0. « Il valore della V tra l'epicentro e il suo antipodo si vede diretta- mente che deve essere P po TT TS ga — e questo valore appunto ci danno le (7) ed (7), quando si faccia nella prima {= rà, e nella seconda 8 = 7. « Per dare un'idea delle variazioni della V, abbiamo calcolato nella seguente tabella in base alla formola () i valori che assume il coefficiente di x di dieci in dieci gradi fra 0° e 180°, in un caso particolare molto semplice, cioè posto 7 = 1 e d =+. Fra 0° e 10°, come fra 90° e 110°, abbiamo inserito dei punti intermedi. B B 0° c0 90° 2,5416 1 114,6357 95 2,5262 3 38,2580. 100 2,5179 5 23,0200 105 2,5161 10 11,6604 110 2,5203 20 6,1183 120 2,5452 30 4,3758 130 2,5907 40 3,5679 140 2,6563 50 3,1252 150 2,7423 60 2,8610 160 2,8502 O 2,6977 170 2,9822 80 2,5978 180 3,1416 « Si vede da questa tabella che fra 100° e 110° la funzione ha un minimo. D'altronde l’esistenza almeno di un minimo si può dimostrare anche in generale, osservando che il valore del coefficiente di x per So è mi- nore di quello per #8 =, mentre per #=0 è infinito. Infatti ponendo nella (7) 3=3, si ha per il detto valore 2 JEEG) che è evidentemente minore di valore già trovato di sopra per B= 7. RenpIcONTI. 1895, Vol. IV, 1° Sem. 9 GR « Consideriamo in ultimo anche per la velocità media il caso partico- lare, in cui l’ipocentro coincida coll’epicentro, cioè sia d=0. Trattiamo anche questa questione direttamente per evitare l’indeterminazione, di cui già si è parlato. Dalla figura 2 si ha Per esprimere tutto in funzione di # si osservi che dal triangolo ECA si ha È Bi og o (0) donde n 9) € quindi IR Mu È 4) Sega « Volendo esprimere invece tutto in funzione di #, si ottiene dalla (0) ul SG piane sen DA quindi = ar Ns I Veg mese, (4) Dalla (4) si ricava che V è sempre maggiore di x, salvo in E dove finisce per essere eguale ad «. Va crescendo poi continuamente finchè in H si ha TT Ware Chimica. — Sulla struttura degli acidi santonosi. Nota di AMERICO ANDREOCCI, presentata dal Socio S. CANNIZZARO. « In una mia Memoria: Sopra due nuovi isomeri della santonina e due nuovi isomeri dell'acido santonoso (!), dimostrai che la desmotropo-santonina, da me ottenuta per azione dell'acido cloridrico sulla santonina, contiene al posto del CO cetonico di questa l’OH naftolico, essendosi cangiato per de- smotropia il lato della molecola \ce? \cH Lot TÀ / e che l’azione dell’idrato potassico a 200° trasforma questo nuovo isomero della santonina in un altro, da me chiamato iso-desmotropo-santonina, conte- nente l’OH naftolico. (1) Gazz. chim. ital., vol. XXIII, parte 2% p. 468. 2, GOA « Rappresentai le due desmotropo-santonine con questa struttura : CH? ; CH? ANO 0 i NI 0 IDO AN / yi (ns Ced Lx tir derivandola da quella ora adottata per la santonina. « Riducendo le desmotropo-santonine, pervenni a due nuovi isomeriì dei due acidi santonosi, l’uno attivo, l’altro inattivo, preparati da Cannizzaro e Carnelutti (1) per riduzione della santonina. « Trattai i quattro acidi santonosi con idrato potassico a 360° e da tutti ottenni nettamente e quantitativamente il dimetil-naftol (*) acido propionico ed idrogeno secondo quest'equazione : C15 H2° 03 = C!° H!° 0 + (3 HS 02 + H? « Esaminando le proprietà dell'acido santonoso, derivante dalla riduzione dell’iso-desmotropo-santonina, trovai che esse coincidono perfettamente con quelle dell'antico acido santonoso attivo; solo differisce il senso della rotazione che questi acidi determinano sul piano della luce polarizzata; infatti: il primo lo devia di — 74° e l’ultimo di + 74°. « Trovai inoltre, che l'acido racemo santonoso derivante dall'unione del- l'acido destro e levo-santonoso a parti uguali, è identico coll’acido santonoso inattivo dei due sopra citati chimici. « Ho confermato ed illustrato con una numerosa serie di derivati la stereoisomeria degli acidi: levo, destro e racemo santonosi; il di cui studio sarà dettagliatamente pubblicato fra poco. Per ora mi limito a riassumere che fra i composti levo-santonosi e quelli destro-santonosi esiste, come era preve- dibile, una rassomiglianza perfetta in tutte le proprietà eccettuato il senso del potere rotatorio; mentre i composti racemici, derivanti dalla loro unione, si differenziano nelle proprietà fisiche e sono invece identici a quelli cOITÌ- spondenti preparati direttamente coll’acido iso-santonoso (inattivo). « L'acido desmotropo-santonoso, che ottenni riducendo la desmotropo- santonina, ha, sia per la sua genesi che per l'insieme delle sue proprietà chi- miche, una stretta parentela coi tre acidi santonosi stereoisomeri e perciò ho creduto rappresentare tutti i quattro acidi santonosi con una stessa struttura, (1) Gazz. chim. ital., vol. XII, pag: 393. (2) Gazz. chim. ital., vol. XII, p. 406. — Sor] rsa per la quale si deve interpretare che la riduzione della santonina e delle desmotropo-santonine avvenga nel modo seguente: CH? È CH? ANG O ! | CLN A 7 CH—CH—C0 RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI __—_—_—#+Ety)>-+)-wy)|y|v|{%{|<%1|]1 :‘°1 Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 3 febbraio 1895. F. BrIoscHI Presidente. MEMORIE E NOTE DIINSIOCIMONPIRIE:STENENA TIRBBSDIANISIO (CA Matematica. — Sulla estensione del metodo di Riemann alle equazioni lineari alle derivate parziali d'ordine superiore. Nota del Socio Lurci BIANCHI. « Alla fine della mia Nota precedente (') ho già accennato ad ulteriori ricerche, relative alla equazione lineare a derivate parziali del 3° ordine : U dU di +87 ++ du—0, L dY du DE DEU Diu A ET... ..f..i...xd dI dY dE dI. dE dI dY d ye i cui coefficienti 4, d, e, @, P, y, d siano funzioni di x, y, e assoggettate alla sola condizione di essere finite e continue in un dato spazio. I miei primi tentativi per applicare alla equazione generale (1) il metodo d'integrazione di Riemann mi fecero credere che soltanto in casi particolari ne fosse pos- sibile la riuscita. Ma la limitazione supposta in effetto non ha luogo e in questa Nota appunto dimostrerò come debba estendersi il metodo di Riemann, per renderlo applicabile alla equazione generale (1). Indico brevemente le circostanze notevoli, che in tale estensione sì presentano. « Se rappresentiamo simbolicamente con £(w) il primo membro della (1), insieme a questa espressione differenziale del 3° ordine, siamo condotti a con- siderare tre espressioni del 2° ordine i 2), L=), 20) (1) Rendiconti del 6 gennaio 1895. ReNDICONTI. 1895, Vor. IV, 1° Sem. 12 90 — e tre del 1° ordine 2), Ls), Lie(0) che si deducono da £(v) nel modo seguente. « Consideriamo in (w) l’aggregato dei termini che contengono — elle sue derivate; se in questo aggregato sostituiamo a 2 ta u stessa, otteniamo appunto 2, (4); così: du dU du Q I see i 1(u) ga + d E + o) + au similmente Du dU dU Q(u = —— Se Se 2() n: + e 3a UG + Pu Diu dU du Q,(u) = —— = == I. 3 (1) giu Operando in modo analogo colle derivate seconde, otterremo dU du Q3 (0) = a + AU , 2,3 (0) = >y + du, di Quo (0) = 3 + cu. « Ciò premesso, chiameremo soluzione principale relativa al punto (co Yo 80) della 2(2) =0 quella sua soluzione regolare che è per- fettamente definita dalle condizioni seguenti : «1° di assumere nel punto Po=(% %0 &) il valore «= 1; «2% di soddisfare lungo le tre parallele agli assi coor- dinati, condotte per P,, alle rispettive equazioni di 1° ordine 23 (7) =0, Qg)=0, Qe(0)=0. «32 di soddisfare sui tre piani condotti per P, paral- lelamente ai piani coordinati alle rispettive equazioni di 2° ordine Co =0bdh 0505 00 « Il problema fondamentale da porsi per la integrazione della (1) con- siste ora nel ricercarne una soluzione regolare, che sui tre piani coordinati assuma valori arbitrariamente dati. Col metodo delle approssimazioni succes- sive di Picard si dimostra facilmente che la soluzione cercata esiste; su ciò credo inutile insistere nella presente Nota, non essendovi alcuna circostanza nuova da rilevare. 128 « Mi diffonderò invece sulla estensione enunciata del metodo di Rie- mann, dimostrando come per calcolare il valore della soluzione cercata in un punto P, basterà che della equazione aggiunta della (1): div (av) db) dv). d(ev) dI (80) 9 o A ZA LA, eee 5 +3 doo si sappia determinare la soluzione principale, relativa appunto a P.. Tale soluzione v si dirà anche il moltiplicatore principale. Ji UD «Se v è una soluzione dell'equazione aggiunta (2), si ha identicamente, qualunque sia %: Xaeem Y (8) 30 @= + De DIR do essendo X, Y, Z espressioni lineari omogenee in x e nelle derivate prime e seconde della forma seguente : i DEU dU du X=o —T— + A B — (07) pag Me du du du s 4 Y= o — +B'—LA' +0 (4) e e du QU QU == AU +. B"— Cu. > dA dY sh dI i dY Te « Basta infatti per ciò che A, B, C; A’, B', C5; A”, B", C” soddisfino alle sei relazioni : i dv dV dv A' 44 E dA B' RESI pense + B Sap A e = $ev— 3 dI DAW DBA dA P)3) DI ESTE (pe EI = Mp4 =yv. Ai dY de 300, 2 Da da SeooO DI dY HO « Ora indicando con 2, u, v tre funzioni affatto arbitrarie, si soddisfa nel modo più generale alle equazioni precedenti, ponendo SE (SI 2) = (300 4a Adi (30 > +34, ‘n — SI DODO, x —g (300 DIL 8 melo Do e (ag SDA 2 de 2 dI B= 330 2) —3y 2 dY — 92 I44 e ricavando dalle seconde di esse i valori di C, C', C”. Conseguentemente alle espressioni (4) di X, Y, Z potremo dare la forma seguente : TUO), © 3.3 D Gicriaiani acc Ud y dY +3ujeo— 3 @)—-3® Vo +3 still _ 3200 ca Ve PL i D(@0- 2) TT) +30} #0 32 (> — (€ mia 330 rta ia |” tiale a)i +aufro PT (TT +e li. (ZA iN « Supponiamo ora che si cerchi una soluzione regolare v della £()=0, la quale sui piani coordinati 4«=0, y=0, z=0 assuma valori presta- biliti. Di questa soluzione, la cui esistenza è accertata come si è detto dal metodo delle approssimazioni successive, vogliasi calcolare il valore in un punto M= (0, Yo, 0). Conducendo per M i tre piani CEL) Yz Yo & = $0 Applichiamo allo spazio racchiuso da questo parallelepipedo la nota formola : P) d / YAN N de = S "i do Jc dyde=— | coi + Y cos ny + Z cos naldo. sti Re « Se per X, Y, Z sostituiamo le espressioni (5), l'integrale triplo si si annulla e resta quindi (8) [E Xdyde + frdads e) pref (a=x) (Y=Y (a=0) SR (fe da dy. (&=0) « Una volta fissato il moltiplicatore v e le funzioni 4, «, v, tutto sarà noto nel secondo membro della (B) per mezzo dei valori assegnati ad x sulle faccie «= 0, y= 0, <==0. Per calcolare altresì il primo membro, dispor- remo di v e 4, w, è in guisa che per 4 = 4a l'espressione X si riduca al i sd RIN: suo primo termine mul e similmente Y, Z si riducano rispettivamente per dY È d (uv) d*(uv) de de da 9dY d= Wise = EI oo primi termini « Ammessa la possibilità di una tale determinazione, che fra un momento effettueremo, il 1° membro della (B), effettivamente calcolato, è dato da 3 (uo) + (uo) + (0)s + (UV) i _ 21 (uo) + (uo): + (U0)r ; le notazioni (u0)x; (0), (vo): ... indicando i valori di vv nei punti rispet- tivi M, A, B.... La formola (B) si muta quindi nella seguente (6) 300) =2 (0), + (0): + o)s | — 2) + 2): + (12): | su + f fwayds + | ea che contiene già il risultato richiesto. SI. « Esaminiamo ora se si possono effettivemente assumere il moltiplica- tore v e le funzioni 2, u, v in guisa da soddisfare sulle rispettive faccie &="%0, Y=Yo, = 8 del parallelepipedo alle condizioni sopra enunciate. Dovremo avere per ciò: 1 (dv I (DU \ À sia ira ) esili = 2 ( DI È 2 (5 bo) (7) o sulla faccia e=<%0 MDATIDI Jo) ao QI AZIO (Cern 2 9dyY (ur co) i=3(_) Aa E vit) da } Pa O (7°) a sulla faccia y=Vo DIO I _ dj 13 dI da, ino (2 in 2 gl po) 1 l (20 i) ta) (05) dv du IO) lid DIANA dY ur dY O) DI dI (oro) | sulla faccia a = &0. « Intanto dal confronto dei due valori di 4 per x = %,, Y="%o0 Simul- taneamente, cioè lungo lo spigolo MF del parallelepipedo, segue che lungo di esso deve essere 2 en=0 e così DONNA da DO _ I DD E gii lungo MD, x = lungo ME, si lungo MF. « Sostituendo poi nella terza della (7) i valori di 2, v dati dalle prime due, deduciamo che sulla faccia x = & il moltiplicatore v deve soddisfare alla equazione dv dv dv do = @ d a — dY de dY de « Similmente dovrà v soddisfare alle equazioni div dv dv du. DE a ir dA dY dE DI dE dI d°v 0) 0) dO RI POL — ———-|owo=0 dI dY dI dY dA dY sulle rispettive faccie y=y0, 4=20- « Disponendo in fine della costante moltiplicativa arbitraria, che le con- dizioni precedenti lasciano in v, in guisa che sia vw= 1, vediamo che la soluzione v così definita dell'equazione aggiunta è appunto il moltiplicatore principale, relativo al punto M. Basterà dopo ciò scegliere per 2 una fun- zione di 4, y, 2 che sulle faccie w= %, y="%, assuma i rispettivi valori dati dalle (7), (7°), restando del resto affatto arbitraria. Similmente dispo- nendo di «,v, le condizioni imposte saranno tutte soddisfatte e sarà quindi applicabile la formola (6). Nel secondo membro della (6) compariscono per CI Qi altro i valori di Z, w, v sulle faccie « = 0, y= 0, #=0, valori che essendo in parte arbitrari converrà opportunamente eliminare (*). 84 « Prendiamo dunque a trasformare i tre integrali doppî che figurano nel secondo membro della (6). Abbiamo (fx dy dz 13° Do dy de +5 iL SIE: Re -T)+ (0=0) OCDB Det... d& d (4) S d(vu) + d- dy de — 3 OO dy de . OCDB OCDB « Ora osservando che si ha: [I° d° (uv) dyde = (u0)o + (uv) — (00)s — (UD): URE OCDB À Di d(4u) dydz= -( dude + | Zu dz dY OC BD OCDB i Meli dy da = I vu t9- {n dy OCDB ed operando nello stesso modo sugli altri due integrali Ji Yda de sf fzaa de, (y=0) (e=0) vediamo che gli integrali estesi agli spigoli OA,0B, OC, nei quali figure- rebbero i valori non dati di 2, w,v, si distruggono. Se nei rimanenti inte- grali semplici sostituiamo a 4, w,v i loro valori dati sulle faccie « = #0, (1) Essendo identicamente Di (Au) _ du) dY dé 2 de: _ IA) i IR) du) _ 0 dY de | del da OT se si applica la formola (A) si vede a priori che i valori di 4, w, v nelle faccie € = 0, y= 0, 2==0 non hanno influenza sul secondo membro della (6). Y=="%Yo0,€== o în funzione del moltiplicatore principale v dalle (7), (7), (7%), troviamo infine la formola: B) me} + EM] + + WI + + : (ft F(co =S) + Se (te 3) + [2-2 (cv) i) fa dy de | ai OCDB dU dv dU dv 7 d d If 2S.} el o T)+ lo) + | 2802 (4) —2 (00) [pae lu / dv QU dv a at NS CAO Dr it 43 sf ff bv I + Sl > ) + |? yv da ? (50) = (4) | (1 dy +. s| U * do u(ar-0) ae+ +3 | e(eo-30)ar+3 [003 I ayt 3 (( (32) dy . « Questa ci esprime appunto, come si voleva, il valore di x in M per mezzo dei valori assegnati sulle faccie «=0,y=0,2=0 e per il molti- plicatore che supponiamo già calcolato. « Alla formola (B) possiamo dare una nuova forma, facendo sparire dagli integrali doppî con integrazioni per parti le derivate della , otteniamo così la nuova formola: (B*) n= (oa IU + (ws + oil — Ju) + (0) + (0) + == 0 er za (cv) — - (00) + ol dy de + ol +(f u pu — - (av) — = (co) 4- f 70 da de + di vo div > DI Sign « Dall’una o dall'altra di queste formole risulta evidente che se una so- luzione regolare v della nostra equazione 2(x)= 0 si annulla sui tre piani coordinati, è nulla dovunque e ne segue il teorema d'unicità : « Esiste una sola soluzione regolare della £2() =0 che sui piani coordinati assume valori prefissati. UN 5. « Come nel caso particolare considerato nella mia Nota precedente, e in perfetta analogia col teorema di Darboux (') per il caso di due variabili, sussiste anche qui per le soluzioni principali di una equazione e della sua aggiunta una sorta di teorema di reciprocità, cioè: Se si considerano due punti qualunque M,M' dello spazio e con w,v si indicano rispettivamente le soluzioni principali della (2) ==0 e della sua aggiunta D(0)=-0, relativa la prima al punto M' la se- conda al punto M, si avrà la relazione Un = Va! è « Per la dimostrazione supponiamo semplicemente M' nell'origine O, talchè lungo gli assi coordinati la x soddisferà alle rispettive equazioni du du : gn=0 = bu=0, = y= 0) di MY ui dE une e sui piani coordinati alle altre dU dI du dU QU lg e + au=0 dI 06 dE n / mi d°u du dU smi 7 - fu=0 READ dE 1 de to du du dU — La — Lyu=0. dI dY dY dI « Allora se ricorriamo alla formola (B), facendone questa volta sparire con integrazioni per parti le derivate della v, troviamo facilmente Un == Vo è S 6. « Non sarà inutile osservare che se in luogo della equazione omogenea Q(u)=0 si ha l’altra non omogenea OI, E essendo F un'assegnata funzione di 4, 7,5, e sì vuole nuovamente integrare (1) Tome II, pag. $1. RexpicontI. 1895, Vol. IV, 1° Sem. 13 — 98 — | in guisa che la x sui piani coordinati! assuma valori dati, i calcoli ver- ranno in ciò solo modificati che si avrà DX BENNI DZ i Z GOI 4 dI # dY ar 08 vo « Perciò, onde rendere la formola (B), o la (B*), applicabile al caso attuale, basterà aggiungere al secondo membro l’integrale triplo %y Yo Z, È | 3 oE(x,y,8) dx dy dz. 0 c/0 0 « In particolare la soluzione « di 2(«)=F, che si annulla sui piani coordinati è data semplicemente dalla formola Lo) Vo Zo s) U(&0 Yo, 80) = | | I QI 59 Es dh) da, e/0 «0 0 essendo v il moltiplicatore principale relativo al punto (40,70%). Da questa soluzione particolare, si ottiene ogni altra soluzione aggiungendovi una soluzione della equazione omogenea (4) = 0. Sn, « Benchè non possa qui trovar posto la generalizzazione dei risultati ottenuti al caso di 7 variabili, possiamo indicare fin d'ora in qual modo tale generalizzazione sì effettuerà. Essendo una funzione incognita di x va- riabili #1, 42,..-%n, le equazioni da considerarsi avranno la forma: n n_1l IS re? na, e, RU 0499 0% dI È) Ve iodo MERE ML 000. 008 un QUA 006 0481 0A a Um meg tdi 0, i al Un 1 coefficienti 4, @&ix, Gin: .- essendo funzioni date di 41,%2,...%, e indi- cando in generale Cita, il coefficiente di quella derivata (2 — 7)“ in cui si deriva una volta rispetto a ciascuna variabile eccetto le 7: Bi CRA o « Allora per definire la soluzione principale di 2(2)=0, relativa per esempio al punto 71 =0,x.=0...%,="0, procederemo nel modo seguente. « Separiamo da 2(%) L..0 di quei termini che contengono una determinata derivata 7% p. e. d'U DZSERNZA di 1 e le sue derivate e sostituiamo in esso a questa derivata 7° la « stessa. L'espressione differenziale che per tal modo risulta s'indicherà con iso e si dirà una componente d'ordine n—-7 di (vu). La soluzione principale di 2(4)=0 verrà allora definita dalle condizioni seguenti: nel punto (0,0,0...0) assumerà il valore 1; lungo gli assi coordinati (1) (<>)... (@2) soddisferà alle rispettive equazioni componenti del 1° ordine dU DIR ; VII. Sri 0 3 E, 3 sui i o . Co soddisferà alle equazioni compo- nenti del 2° ordine du du dU ——_-Lg a; L Up L'anu=0; di dI dI dI: sopra gli spazii S; coordinati alle equazioni componenti del 3° ordine ecc. e infine sugli iperpiani coordinati S,_, alle equazioni componenti d'ordine n—1. « Il problema di trovare una soluzione v della (vu) = 0 che su ciascuno degli iperpiani coordinati 7.=0,z.=0,...&n=0 si riduca ad una funzione arbitrariamente data delle rimanenti variabili, si risolverà quando della equazione aggiunta alla 2(v)=0 si sappia determinare la soluzione principale relativa a quel punto, ove si vuole determinare il valore di % . « Mi riservo di sviluppare in altro lavoro i risultati sommariamente qui indicati, e di proseguire inoltre anche in altro senso la ricerca, in analogia col noto metodo d'integrazione di Laplace pel caso n= 2. OSssERVAZIONE « Nella Nota del dott. Niccoletti, che presento alla R. Accademia, si vedrà come il metodo di Riemann può estendersi senza difficoltà alcuna al sistemi di equazioni del 2° ordine a due variabili della forma DE Gi DE DI ad LD i ANI [o ORA] Pai > (4; wi + dir vi + ci ) daN « Non sarà inutile osservare come lo stesso possa ripetersi dei sistemi analoghi di grado superiore e così dei sistemi di 3° ordine : i Diu 0=1 VD LR [ ) I = x di d° Uk du]; dI UH QUI: dUI dU, Cik Dir Ci A ik = L ik SE Sla a, gt LEvevila ng fa gi Astronomia. — Sulla distribuzione in latitudine delle protu- beranze solari osservate al R. Osservatorio del Collegio Romano durante gli anni 1891-92-93-94. Nota del Socio P. TaccHINI. « Nei quattro anni, 1891-94, si osservarono 7616 protuberanze solari così ripartite: 1775 nel 1891, 2363 nel 1892, 2122 nel 1893 e 1356 nel 1894. Dalle osservazioni ricavai le latitudini eliografiche di tutte le protu- beranze, e dalla serie delle latitudini la frequenza relativa delle protuberanze medesime nelle diverse zone di 10 gradi. I risultati ottenuti sono riuniti nelle seguenti quattro tabelle per trimestre e per anno, avendo preso per unità il numero totale delle protuberanze osservate in ciascun periodo. Axwo 1891, RR 1° Trimestre | 2° Trimestre | 3° Trimestre | 4° Trimestre Anno 90+ 80 | 0,003 0,003 0,001 ì 0,000 , | 0,002 S0+70 | 0,000 0,006 0,000 0,007 0,004 70+ 60 | 0,006 0,003 0,003 0,024 i 0,009 | 60--50 | 0,053 0,052 0,122 0,173 | 0,100 | 50+40 | 0,115 )0,453 | 0,134 )0,486 | 0,133 ) 0,552 | 0,088 ) 0,533 | 0,117 ) 0,506 ll 40-30 | 0,073 0,105 0,076 0,072 0,082 | 30+20 | 0,115 0,087 0,120 | 0,068 0,097 | 20+10 | 0,050 0,073 0,055 0,059 0,059 10 0 | 0,038 0,023 0,042 / 0,042! 0,036 ! | VOZIO 0 0,017 0,020 , 0,018, 0,018, 10 — 20 | 0,050 0,052 0,038 0,066 0,052 20— 30 | 0,112 0,087 0,077 0,085 0,090 30 — 40 | 0,079 0,122 0,111 0,083 0,099 I 40 — 50 | 0,206 )0,547 | 0,078 )0,514 | 0,112 )0,448 | 0,101 )0,477 | 0,124 ) 0,494 || 50 — 60 | 0,067 0,125 0,085 0,096 0,093 | 60 — 70 | 0,003 0,015 0,004 0,018 0,010 70 — 80 | 0,009 i 0,009 0,001 | 0.000 0,005 | 80— 90 | 0,003 | 0,009 0,000 0,000 0,003 | => Ie Anno 1892, pi 1° Trimestre | 2° Trimestre | 3° Trimestre | 4° Trimestre Anno 90 +80 | 0,000 0,000 0,000 0,000 0,000 80-+70 | 0,000 0,013 | 0,007 0,015 0,009 70+60 | 0,033 0,106 0,114 0,105 0,089 60+ 50 | 0,080 0,065 0,044 0,049 0,059 5040 | 0,097 \0,586 | 0;053 0,471 | 10,048 ) 0,467 | 0,016 \0,399 | 0,054\ 0,468 40 + 30 | 0,116 0,073 0,063 0,051 0,076 | 30+ 20 | 0,097 0,084 0,083 0,078 0,085 20-+10 | 0,086 0,059 0,066 0,040 0,058 10 0 | 0,027 0,038 0,042 0,045 0,038 O0— 10 | 0,043 0.033 0,067, 0,044 0,047 10 — 20 | 0,050 0,062 0,055 0,082 0,062 20 — 30 | 0,150 0,085 0,101 0,100 0,109 30-— 40 | 0,070 0,106 0,109 0,158 0,106 40 — 50 | 0,057 )0,464 | 0,091 )0,529 | 0,067 )0,533 | 0,074 )0,601 | 0,072 0,532 | 50 — 60 | 0,087 0,115 0,117 | 0,125 0.111 60— 70 | 0,007 0,037 0,015 | 0,036 DI 70— 80 | 0,000 0,000 0,001 | 0,002 0,001 80-- 90 | 0,000 0,000 0,001 0,000 ‘ 0,001 | È | patate | Anno 1895. a 1° Trimestre | 2° Trimestre | 3° Trimestre | 4° Trimestre Anno o o 90+ 80 | 0,000 0,000 0,000 0,000 0,000 80+ 70 | 0,005 0,000 0,011 0,000 0,004 70+ 60 | 0,017 0,011 0,011 0,000 0,010 (I 60+50 | 0,017 0,011 0,011 0,011 0,012 50+ 40 | 0,052) 0,339 | 0,045) 0,345 | 0,042) 0,426 | 0,016) 0,394 | 0,039 , 0,376 40+-30 | 0,055 0,092 0,111 0,069 0,082 901==120)1/M07085 0,052 0,105 0,149 0,098 20+10 | 0,068 0,062 0,069 0,091 0,072 10 0 | 0,040 0,072 0,066 | 0,058 0,059 ! O— 10 | 0,046 0,102 0,057) 0,061 0,066 10 — 20 | 0,084 0,113 0,076 | 0,066 0,085 20 — 30 | 0,095 0,094 0,107 0,121 0,105 30 — 40 | 0,127 0,102 0,081 0,088 0,099 | 40 — 50 | 0,127) 0,661 | 0,056, 0,655 | 0,021)0,574 | 0,028 ( 0,606 | 0,058 ) 0,624 ‘50 — 60 | 0,111 0,075 0,110 0,063 0,090 60 — 70 | 0,066 0,108 0,115 0,165 0,114 TO = 90 3 s 0,007 | 0,011 | 0,006 | 80— 90 | 0,002 0,000 0,000 ‘ 0,000 0,001‘ Anno 1894. Il 3 1° Trimestre | 2° Trimestre | 3° Trimestre | 4° Trimestre Anno | ‘90+80 | 0,000 | 0,005 0,000 0,000 0,001 | | 80+ 70 | 0,000 0,003 0,000 0,000 0,001 | | 70+-60 | 0,003 0,003 0,016 0,000 0,006 | 60+50 | 0,018 0,010 0,002 0,012 0,011 50440 | 0,008) 0,324 | 0,046) 0,355 | 0,059\ 0,430 | 0,045 40-+-80 | 0,039 0,086 0,093 0,037 3804-20 | 0,080 0,073 0,082 0,119 20+-10 | 0,088 0,078 0,080 0,148 10 0 0,088 | 0,051 / 0,078 0— 10 | 0,057 | 0,071 0,100 0,074 0 10 — 20 | 0,065 0,068 | 0,107 0,102 0,085 20— 80 | 0,111 0,137 0,141 0,143 = 0,676 0,645 0,570 | 0,613 DÈ / | | 0,439 | 0,040) 0,387 0,064 0,089 0,096 0,079 0,098 / 50 — 40 | 0,103 0,081 0,104 0,172 0,115 40 — 50 | 0,013) 0,035 ) 0,014 0,021 >) 0,561 | 0,021 50 — 60 | 0,015 0,000 0,000 0,033 0,012 || 60 — 70 | 0,222 0,099 0,011 0,000 0,083 | 70— 80 | 0,080 0,106 0,070 0,008 0,066 80 — 90 | 0,010 0,048 0,023 0,008 / 0,022 | « Da queste cifre emerge il fatto, che mentre nei due primi anni la frequenza delle protuberanze nelle zone è quasi eguale nei due emisferi so- lari, negli anni invece 1893 e 1894 è sempre assai maggiore al sud dell’equa- tore solare, con questo di particolare, che cioè un massimo secondario rile- vante si manifestò e si mantenne nella zona (-60°-70°), mentre all'estremo nord le protuberanze furono sempre scarse. È chiaro così che nella sola ro- tazione solare non si può far risiedere la causa della formazione e distribu- zione delle protuberanze alla superficie del sole, e che lo stato fisico degli strati sottoposti alla cromosfera e fotosfera non si possono riguardare omo- genei, come si è supposto qualora si vollero formulare teorie sulla formazione dei diversi fenomeni, cioè macchie, facole e protuberanze solari. « Se la frequenza invece di calcolarla per zone, ciò che obbliga talvolta a tener conto di una stessa protuberanza in più zone, si vuole fatto il cal- SS: — colo col numero assoluto delle protuberanze, allora si ottiene il seguente ri- sultato : frequenza al nord frequenza al sud 1891 0,51 0,49 1892 0,47 0,53 1893 0,38 0,62 1894 0,39 0,61 cioè risultati identici a quelli trovati prima, e quindi confermanti il fatto della variazione nella distribuzione del fenomeno alla superficie del sole ». Matematica. — Sulle operazioni funzionali distributive. Nota del Corrispondente S. PINCHERLE. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Astronomia. — Sul identità delle comete 1844 I e Ed. Swift 1894. Nota del Corrispondente E. MiLLosEvICH. « Nel Diario di Roma del 24 agosto 1844 è annunciata dalla Specola del Collegio Romano l’esistenza d'una cometa telescopica nell’Aquario, e nel n. 516 delle Astronomische Nachrichten leggesi una breve Nota del P. Fran- cesco De-Vico, la quale comincia colle parole: « Mi affretto a comunicarle la notizia di una cometa telescopica, che qui abbiamo scoperta ece. ecc. ». La cometa in questione è la così detta periodica di Vico. Che lo scopri- tore sia stato il P. Francesco De-Vico, allora Direttore dell’osservatorio del Collegio Romano, è ben poco probabile. Essa deve essere stata indicata dal F. Bernardino Gambara, che, in qualità di custode-assistente dell’ osserva- torio, si dilettava di esplorare il cielo, e di informare il suo Direttore delle novità. Nel n. 517 delle A. N. il medesimo P. De-Vico comunica le proprie osservazioni sulla cometa fra 23 agosto e 17 settembre 1844, nonchè gli elementi parabolici dedotti da 3 di esse. Frattanto l’astronomo Faye, colle osservazioni del 2, 10 e 19 settembre 1844, calcolò per primo gli elementi ellittici con un periodo rivolutivo di circa 5 anni +. Im quell'epoca, una cometa a corto periodo era un fatto grosso per l’astronomia, e î periodici se ne occuparono, fra i quali uno politico ed autorevole in Francia insinuò che il gesuita Vico non sarebbe arrivato a tempo. per rivedere dalla sua reggia scientifica il ritorno dell’astro; si vuole che l’autore dell’ insinuazione ld — sia stato il grande Francesco Arago, e non è impossibile che ciò sia vero. Dopo Faye calcolarono elementi ellittici Nicolai, Hind, Goldsehmidt, ma il lavoro più classico è quello di Brinnow. « Noi possediamo un lavoro di lui, premiato dalla R. Accademia dei Paesi Bassi, il quale ha il titolo: Memozre sur la Cométe elliptique de De-Vico Amsterdam 1849. Discusse le osservazioni tutte del 1844 (22 agosto-31 dic. Roma-Poulkovo) egli fornì il sistema seguente osculante alla data 2 settembre 1844). « Epoca 1844 Sept 2, 5 Parigi longitudine perielio 342° 30' 47”. 8 longitudine nodo asc. 63 49 37. 6 inclinazione QI AZoo eccentricità do 9 96 ll anomalia media O 00 2 moto diurno 649”. 9362. « Gli elementi sono riferiti all'eclittica e all’equinozio medio dell’epoca. Dal moto diurno risulta un periodo rivolutivo di cinque anni giuliani e mezzo meno 15 giorni. « La cometa 1844 I per pochi dì fu ben visibile ad occhio nudo, con una piccola coda a ventaglio lunga da 5' a 6°. « È ben noto che parecchie comete, generalmente a corto periodo, con moto diretto e poco inclinate all'eclittica, hanno elementi orbitali poco dif- ferenti fra di loro, così che non è illogico pensare ad una comune origine quale si sia, così che possonsi fare aggruppamenti fra quelle, i cui elementi s'assomigliano di più. « La cometa 1844 I parve da principio essere quella di Lexell, ma il lavoro ingente fattone da Leverrier escluse l'identità. Laugier e Mauvais crederono che la cometa in questione fosse quella del 1585, ma il Leverrier stesso provò, quasi all'evidenza, che ciò non era vero, e che la cometa 1844 Im è identica a quella del 1678. ._« Leverrier, calcolando approssimatamente le perturbazioni, fissò gli ele- menti orbitali della cometa 1844 I a sette diverse epoche dal 1753 al 1844. Esaminando i singoli valori della longitudine del perielio e del nodo, presto scorgesi che i primi aumentano lentamente col tempo, mentre rapidamente scemano i secondi, locchè il Calandreau ha dimostrato conforme alla teoria nel caso di una cometa periodica a moto diretto. « Dacchè gli elementi ellittici, dedotti dalle osservazioni del 1844, assegnavano, senza dubbio, un periodo rivolutivo di 5 anni e +, era da pre- vedere che l’astro, specialmente nei passaggi futuri al perielio così detti fa- vorevoli, sarebbe stato riveduto; e il Brilnmnow, calcolate con cura le per- — 105 — turbazioni dal 1844 al 1855, preparò tre effemeridi per la ricerca in quel- l'anno variando T di = 4 dì. « Le effemeridi apparvero nel N.A per il 1858, cioè nel 1854, ma le ricerche fatte in cielo riuscirono infruttuose, e neppure un'osservazione iso- lata di una cometa riferita dal Goldschmidt (16. V. 1855) parve agli astro- nomi che dovesse essere la cometa 1844 I, benchè ben prossima al luogo assegnato dal Brimnow. È bene notare che il passaggio al perielio del 1855 era favorevole alle osservazioni. « Scorsero gli anni e l'interesse per l’astro andò mano mano scemando, le perturbazioni non vennero più calcolate, quando, quasi contemporanea- mente, Berberich a Berlino e Schulhof a Parigi annunziarono che una debo- lissima cometa, osservabile soltanto con grandi oggettivi, scoperta il 20 no- vembre 1894 a California dall'astronomo Edoardo Swift, altro non era che la cometa 1844 I. « È maravigliosa la rapidità colla quale l'illustre Berherich si accertò quattro dì dopo della scoperta che l'astro doveva essere la cometa 1844 I. Per le cose dette prima, gli elementi ellittici della Swift dovevano dare la longitudine del perielio alquanto, ma di poco, più forte del yalore calcolato da Briimnow per il 1844, la longitudine del nodo notevolmente più piccola, l'inclinazione quasi identica, poco differenti gli altri due elementi, cioè ec- centricità e moto medio. Ecco ora gli elementi di Briimnow, ridotti a 1894.0 approssimatamente, i quali spettano al 1844 e quelli in prima approssima- zione di Schulhof per la Swift. Elementi Brimnow (1844 I) Elementi Swift di Schulhof longitudine del perielio 343° 22’ 345° 20° longitudine del nodo 64 31 48 35 inclinazione 259 2199 eccentricità > ST 94 40 moto medio 650” 612” « Quando nel 1763, secondo i calcoli di Leverrier, l’eccentricità del- l'orbita della cometa 1844 I era 34° 28’, il moto medio era 611".3. « Il Schulhof quindi e il Berberich si trovarono autorizzati ben giusta- mente ad annunziare che la cometa Swift altro non era che una riappari- zione della cometa 1844 I. « Perchè mai la cometa in questione non fu riveduta nel 1855 e in tutti gli altri passaggi al perielio accaduti in condizioni favorevoli, mentre l’ammirabile lavoro di Brinnow è oggi completamente confermato ? Perchè l’isolata osservazione di Goldschmidt del 16 maggio 1855 venne respinta? RenpIcoNTI. 1895, Vor. IV, Sem. 1.° 14 — 106 — La ragione principale stava nella debolezza dell'oggetto nebuloso osservato da lui. « L'osservazione di Goldsmidt trovasi nelle AN al N° 978. er DIN RE cometa Ze 1855 maggio 16 14° Parigi dc « L'effemeride di Briinnow nel N. A. del 1858 comincia col 24 maggio 1844. Extrapolando approssimatamente per quella parte dell’effemeride che. è ba- sata sopra T + 4 dì si ha per il 16 maggio 12° Gr. circa 21° 36"; — 16° 50". « Per un'ascensione retta osservata 21° 41", 8, la declinazione avrebbe dovuto essere, secondo le effemeridi, circa — 16° 25’, che differisce di 47’ dall’osservazione. « Non è adunque il luogo che determinò gli astronomi a repellere l’os- servazione di Goldschmidt a priori come non appartenente alla cometa 1844 I, ma bensi la debolezza dell’astro. « Me oggi sappiamo che per le comete tale criterio non regge più, dacchè la legge della reciproca del prodotto dei quadrati delle distanze cometa sole, cometa terra vale per corpi opachi ed anche di eguale potere riflettente in tutte le loro parti, locchè non è il caso delle comete, della costituzione fisica e dei fenomeni intrinsechi delle quali poco o nulla sap- piamo, ma almeno questo, che possono subire spegnimenti, riaccensioni e di- spersioni delle loro parti nello spazio, e la. debolezza. dell’attuale cometa Swift, che è la 1844 I, è una nuova conferma, se ne avessimo avuto bi- sogno. E poi un ammaestramento sul modo minuzioso ed accurato col quale dovranno farsi in avvenire ricerche consimili, avendo presente il criterio che l'astro può apparire in quanto a luce e ad aspetto ben diverso dal presup- posto =. ; Matematica. — Sulle superficie algebriche con infinite tra- sformazioni projettive in sè stesse. Nota di Gino Fano, presentata dal Socio CREMONA. Matematica. — Su un sistema di equazioni a derivate par- ziali del 2° ordine. Nota del dott. Onorato NICOLETTI, presen- tata dal Socio Luci BIANCHI. Queste Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. — 107 — Fisica. — Sulla temperatura minima di luminosità. Nota del dott. P. PeTTINELLI, presentata dal Socio BLASERNA. «I sigg. Kennelly e Fessenden (!), dopo di avere determinato la dipen- denza dalla temperatura della resistenza elettrica del rame, scaldando con una corrente un filo di rame lungo 30°".4 di 0°",0038 di diametro chiuso in un tubo di vetro, in cui veniva fatto il vuoto, fino a che al buio il filo comin- ciava a divenire luminoso, deducendone la temperatura dalla misura della resistenza, hanno fissato la temperatura minima di visibilità a 493°. « Draper (2) osservando all'oscuro una strisciolina di platino scaldata da una corrente elettrica e deducendo la temperatura della striscia dalla dila- tazione prodotta dal riscaldamento, ammettendo per coefficiente medio di dila- tazione quello ricavato dalle esperienze di Dulong e Petit, era arrivato a fis- sare la temperatura minima di visibilità a 525°. Correggendo tale tempera- tura coi dati recenti pel coefficiente di dilatabilità del platino (3) si trova esser ridotta secondo le determinazioni del Draper a 490°. Ed anche nei 500 gradi. « Ma, ritornando alle determinazioni dei sigg. Kennelly e Fessenden, se si può, dietro la ben nota regolarità con cui procede l'aumento di resistenza elettrica di un metallo puro con la temperatura, ammettere che la tempera- tura del filino di rame fosse con sufficiente precisione determinata, viene il dubbio che la superficie illuminante vista fosse troppo piccola per permettere di distinguere raggi di debolissima intensità. E difatti precedentemente il Weber (4), scaldando lamine sottili di metalli differenti, accoppiate due a due, e deducendone la temperatura dalla f. e. di ciascuna coppia, aveva trovato che il ferro si mostrava luminoso a 377 gradi, il platino a 391 ete. L'Emden (?) riprese le determinazioni del Weber, variando la qualità delle coppie di la- mine metalliche, e determinando con maggior precisione le variazioni della f. e. di ciascuna coppia con la temperatura, trovò che la superficie ossidata del ferro cominciava a divenir luminosa a 405 gradi, l'oro a 423, altri metalli a temperature vicine a 400°. i (1) Some measurements of the temperature variation in the electrical resistance of a sample of Copper. The physical review. V. I, n. 4. New-York, 1894. (2) On the production of light by heat. Phil. Mag. 1847, XXX, pag. 345. (8) J. R. Benoit, Zravaux et Mémoires du Bureau International de Poids et Meésures, 1888, pag. 90. (4A) Weber, Die Entwickelung der Lichtemission glihender fester Kòrper. Wied. An. 1887. (3) Veber den Beginn der Lichtemission glihender Metalle. Wied. Ann. 1889. — 108 — « Il Gray ('), ripetendo l’esperienze del Draper, ma osservando in una camera oscura una striscia di platino larga 1 cm. lunga 10 cm., vista con l’oc- chio a 30 cm., di distanza; misurando la temperatura con metodo analogo a quello del Draper, ma prendendo per punti di confronto la fusione di per- line di varie sostanze fondenti sulla superficie del platino a temperature diverse già note, ha trovato che la minima temperatura di visibilità è la stessa per una superficie lucida o annerita, e che varia molto con lo stato di prepara- zione dell'occhio, uno stesso occhio potendo in circostanze di massima sensi- bilità vedere a 370 gradi luminosa la striscia di platino e in circostanze di minima sensibilità a 470. « Ho creduto utile di ripetere queste esperienze con apparecchi di pre- cisione e vedendo una superficie illuminante assai grande, per levare qualsiasi dubbio intorno alla misura della temperatura a cui i varî corpi incominciano a divenire nettamente luminosi. « Ho adoperato una stufa speciale a doppio tiraggio costituita da un cilindro cavo di ferro dello spessore di cm. 0,5 di 16 cm., di diametro e 30 cm. di altezza, munito di due coperchi per la parte superiore; la stufa conteneva nell'interno un cilindro massiccio di ghisa di 14 cm. di diametro e 20 cm. di altezza, nella base superiore pel quale erano state praticate due buchette cilindriche e simmetricamente poste, profonde 6 cm. e di cm. 3,2 di diametro. Tale stufa veniva scaldata con una grande lampada Bunsen o con un fascio di 6 becchi Bunsen simmetricamente disposti, interponendo un regolatore di pressione. « In una delle buchette della stufa s'adattava un termometro ad aria, a volume costante, pressione ridotta a circa !/, d’atmosfera alla temperatura dell'ambiente, acciocchè ad alta temperatura il vetro non sopportasse forti pressioni e fosse diminuita per comodità di lettura l'altezza della colonna di mercurio. Lo spazio nocivo era minimo e trascurabile l'errore che da esso derivava; le letture si facevano ad occhio nudo sulla scala di lastra da spec- chio millimetrata, che rifletteva la colonna di mereurio con errore non supe- riore al mezzo millimetro. Mi servivo inoltre, dopo di averli confrontati col termometro ad aria, di due termometri a mercurio, nei quali era utilizzata la compressione dell’azoto chiuso nell’asta per ritardare l’ebullizione del mercurio. « M'assicurai che dopo di avere scaldata adagio la stufa, leggendo subito dopo spento il bruciatore Bunsen, il termometro ad aria ed un altro termo- metro, collocati nelle due buchette e circondati di limatura di rame ben pi- giata, le temperature delle buchette non differivano più di un grado e mezzo nei limiti 200-460 centigradi. Ed avendo constatato che un termometro a bulbo piccolo, tenuto in una delle buchette senza l’interposizione della limatura di (1) Zhe minimum temperature of visibility by S. P. Gray. Phil. Mag. June, 1894. — 109 — rame, segnava nei limiti 200-460 non più di 4 gradi in meno del termo- metro ad aria fissato nell'altra buchetta, ammisi che per temperatura delle superfici delle buchette, in assai miglior connessione termica col blocco di ghisa del bulbo di un termometro circondato d’aria, si dovesse prendere quella segnata dal termometro ad aria circondato di limatura. « Le determinazioni della temperatura minima di visibilità venivan fatte con gli apparecchi collocati in una stanza ben chiusa e di notte tempo. Scal- data la stufa sino a 460, spento il bruciatore Bunsen ed il debole lume, si toglievano i coperchi della stufa ed al disopra di questa veniva osservata la base superiore del cilindro di ghisa, tenendo l'occhio a circa 60 cm. da questa, guardando specialmente la buchetta, che rimaneva vuota, mentre nell'altra era fissato il termometro ad aria oppure uno a mercurio. Si vedeva, restando tutto il resto al buio perfetto, la base superiore del cilindro di ghisa risplen- dere tutta intera di una luce o meglio di un bagliore di colore indeciso ad una temperatura di circa 10 gradi maggiore di quella in cui svaniva, deci- samente rossiccio a temperatura più alta. Per non essere ingannato da im- magini soggettive l'osservatore girava gli occhi all’intorno della stanza e poi per confronto guardava se la superfice in esame era illuminata, oppure da- vanti a questa metteva e toglieva rapidamente uno schermaglio. La luce svaniva pressochè contemporaneamente tanto nella buchetta, quanto in tutta la base superiore del cilindro di ghisa, cosicchè la superficie illuminante vista veniva ad essere di 150 cm. quadrati. « Richiedendo le letture un certo tempo, si calcolava il raffreddamento della stufa in questo tempo, o si leggeva il termometro un poco avanti che la luce svanisse del tutto. Del resto simili correzioni portavano una diffe- renza non mai più grande di 3 gradi. « Così constatai che vedendo la superficîe illuminante con l'occhio alla distanza di 60cm. da essa, prima tutta intera, poi attraverso quattro fori tanto grandi ed a tal distanza posti da vedere col primo un quarantesimo dell'intera superficie, col secondo un duecentesimo, col terzo un quattrocen- tesimo, col quarto un ottocentesimo, non si distingueva più la luce attraverso il primo foro ad una temperatura di circa sei gradi superiore a quella con la quale svaniva vedendo tutta la parte superiore del cilindro di ghisa, attra- verso il secondo foro ad una temperatura superiore a questa di circa 20 gradi, col terzo di circa 40 gradi, col quarto di assai più di 60 gradi. Peraltro vedendo superfici piccole era assai indeciso l'istante in cui la luce svaniva. « Per provare come variava la temperatura osservata con la natura del corpo scaldato successivamente sparsi la superfice vista di tenui polveri me- talliche, fasciai una buchetta con panierine assai aderenti di rame, ottone, ottone annerito col nerofumo, rame platinato ben terso. _ « Ho constatato che le superfici che hanno un potere emissivo per i raggi oscuri assai elevato, come nerofumo, superfici ossidate di certi metalli, con- — 110 — tinuano tutte ad esser viste fino alla stessa temperatura, che è la minima. Le superficie ben lucide non si vedono nettamente luminose che almeno venti gradi sopra la temperatura minima di visibilità propria alle superfici nere. « Il vetro lo cimentai in frammenti, chiusi in un tubo pure di vetro sottile aderente alla buchetta; spento il bruciatore ed il lume estraevo il tubo dalla stufa e l'esaminavo; ma non mi fu possibile vederlo menomamente lumi- noso a 460?. «I raggi luminosi in esame attraversano il vetro e l’acqua, ma aumen- tando lo spessore dell’acqua e del vetro, l'assorbimento è più forte che per i raggi di media lunghezza d'onda. « La reticella che serve per i becchi Auer, che ha un potere emissivo assai elevato per i raggi luminosi di media lunghezza d'onda, non si mostra affatto luminosa al disotto della temperatura minima di visibilità propria delle superfici nere. La temperatura minima di visibilità variava da persona a per- sona anche di 6 centigradi; la media delle numerose determinazioni fatte risultò di 404. Nelle mie esperienze non ho constatato differenze note- voli dipendenti da una lunga preparazione dell'occhio; anzi come prova di questo posso affermare che spesso, quando la luce stava per svanire, accen- devo un lume, e poi, spentolo, dopo pochi istanti continuavo a vedere la base del cilindro di ghisa illuminata come se non avessi affatto disturbato l'occhio (1). « Riassumendo i risultati di un centinaio di determinazioni, si può sta bilire che la temperatura minima alla quale si vede luminoso un corpo, dimi- nuisce con l'aumentare fino ad un certo limite della superficie illuminante vista sempre ad una stessa distanza; che tale limite si può ritenere raggiunto, almeno per aree circolari e per distanze di 60 cm. dall'occhio alla superficie da una superficie di circa 150 cm. quadrati; che tale temperatura diminuisce con l'aumentare del potere emissivo per i raggi oscuri della superficie illu- minante vista, varia di poco da individuo ad individuo, e che la minima temperatura di visibilità può ritenersi 404°. I raggi luminosi che partono dai corpi a tale temperatura hanno particolarità intermedie fra quelli oscuri e quelli luminosi emessi a più alta temperatura. « È più che spiegata la differenza notevole di circa 90 gradi fra il valore da me dato, assai concorde coi numeri dati dal Weber e dal Gray, e presso- chè identico a quello dato dall’ Emden pel ferro, e quello trovato dai sigg. Kennelly e Fessenden stante la piccolezza della superficie illuminante vista nelle loro esperienze. E dopo esperienze fatte da varî sperimentatori con me- todi assai diversi e risultati abbastanza concordi, si può stabilire con sicu- rezza che i corpi possono cominciare a divenire luminosi alla temperatura di circa 400 gradi. (1) Resultati analoghi ottennero altri tre sperimentatori, dotati di una vista normale. — 111 — « Ringrazio il prof. A. Bartoli, direttore dell’ Istituto Fisico della R. Università di Pavia, che ha messo a mia disposizione il materiale occor- rente per tali misure ». Meteorologia. — / temporali in Italia. Nota del dott. M. SAccni, presentata dal Socio TACCHINI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Mineralogia. — Sopra alcuni minerali di Su Poru fra Fonni e Correboi in Sardegna. Nota di D. Lovisato, presentata dal Socio STRUEVER. « Da vari anni nella zona di schisti cristallini uronici sulla destra della strada, che da Fonni conduce alla sella di Correboi, ho raccolto alcuni cam- pioni di un minerale verde dalle splendide sfaldature e che per molti carat- teri fisici e specialmente per essere fusibile in smalto nero, attirabile dalla calamita, avea collocato fra gli epidoti, tanto diffusi in Sardegna, particolar- mente nelle sue numerosissime varietà di granuliti, microgranuliti, porfi- riti, ecc. Senonchè esaminati meglio quegli esemplari ed avendo proceduto all'analisi quantitativa, mi sono convinto che si trattava di un minerale da ascriversi al gruppo dei pirosseni, senza allumina, mancando assolutamente questa nel minerale in questione, il quale però presenta una formola mole- colare, che non coincide con alcuna delle specie finora conosciute. « La regione ove trovasi la sostanza in esame si chiama su Por. Vi sì arriva da Fonni dopo poco più di un'ora e mezzo, attraversando prima la località di Ghistorrai, famosa per le sue granuliti a sferoidi. che costi- tuiscono ancora oggi una specialità per la Sardegna, non coincidendo con quella granulite, includente gli sferoidi, neppure il Xugelgranit di Wirvik presso Borgà in Finlandia, trovato fino dal 1889 dal vescovo H. Rabergh, ma illustrato soltanto nel 1893 dal sig. Benj. Frosterus ('), e poi la località, ove si trova il famoso banco di quarzo contenente dei nuclei di quarzo fibroso- raggiato in forma di tronchi di cono, impernati l'uno nell'altro (?), che l'il- (1) Ueber ein neues Vorkommniss von Kugelgranit unfern Wirvik bei Borgà in Finland nebst Bemerkungen tiber ‘ihnliche Bildungen von Benj. Frosterus (Geologe der geologischen Commission in Finland). Mit zwei Tafeln und 4 Fig. in Text. Helsingfors 1895. (®) Spacialità rimarchevoli nella zona granitico-schistosa della Sardegna. Nota di Domenico Lovisato. Estratto dal Vol. I, serie 48. Rendiconti della R. Acc. dei Lincei. Roma. 1885. — 112 — lustre e compianto prof. vom Rath pur dichiarava di non aver mai visto in alcun altro luogo. « Di questi interessantissimi sferoidi di Ghistorrai si è occupato recen- temente ancora il conte dott. K. von Chrustschoff, il quale fin dal 1888 ci avea regalato un'interessante Nota sopra la granulite di Ghistorrai (1). Nello splendido lavoro recente (?), che da parecchie analisi delle varie specie di sferoidi che s'incontrano a Ghistorrai e ch'egli divide in cinque tipi di- stinti, a seconda specialmente dell'aspetto presentato dal nucleo interno, tro- viamo aggiunti ai minerali, già riconosciuti per questi meravigliosi sferoidi, l'anortite e la nefelina. «Su Poru si trova sulla destra della strada, che conduce a Correboi, giù nel vallone, prima d'arrivare allo spartiacque, che permette spingere l'occhio giù negli avvallamenti, nei quali corre la strada per Orgosolo. « Si veggono fatti degli scavi e principiate delle gallerie in quegli schisti uronici, lavorazioni che si fecero per avere forse osservato in quella formazione metamorfizzata dalle non lontane granuliti disseminata della blenda con pirite. È assieme a questi minerali ed in mezzo a quegli schisti che si trova la sostanza, che forma lo scopo precipuo di questa Nota. Essa si presenta in masse laminari più che in vene nelle formazioni schistose: le masse laminari qua e là tendono alla struttura fibrosa e talvolta anche granosa di color verde oscuro, che diviene un po’ più chiaro e lucente nella frattura fresca e sono sfaldabili in due direzioni. « La polvere della sostanza fresca è verde più pallido del minerale: alla superficie però si presenta questa sostanza, che è quasi opaca e tenace, molto decomposta ed ha un colore nero di ferro, ed a decomposizione molto inoltrata vi si osserva della limonite. « In tubo chiuso decrepita, cangia colore facendosi più oscura e dà acqua. Al cannello fonde in scoria nera attirabile dalla calamita. Scaldata al rosso la polvere cangia colore, ma non s'agglutina. Non è attaccabile dagli ‘acidi a freddo; è decomposta dall’acido cloridrico a caldo, colorendo la soluzione in giallo per la presenza del ferro, lasciando un residuo indecomposto e si- lice gelatinosa. Sulla lamina di platino fusa con carbonato di soda e con ni- trato potassico, dà forte reazione verde del manganese, mentre la perla col borace è verde, presentando la reazione del ferro. Se noi trattiamo la so- stanza a temperatura più elevata, capace a fonderla completamente, si ot- tiene scoria nera in forma di perla rotonda, non più attirabile dalla calamita, (1) K. de Kroustschoff, Notice sur la granulite variolitique de Fonni près de Ghi- storrai (Sardaigne). Bulletin de la Société francaise de Minéralogie; n°$ 4 et 5. Avril- Mai 1888. Tome X, pag. 173-176. (*) Dott. K. de Chrustschoff, Weber holokrystalline makrovariolithische Gesteine. Avec 3 planches et 37 desseins dans le texte. Mémoires de l’Académie impériale des sciences de St.-Pétersbourg, série 72, tome XLII, n. 3. 1894 (Da pag. 88 a p. 129). — 113 — ciò che si spiega chiaramente collo stato di ossidazione nel quale trovasi il ferro, che durante il primo arroventamento si trasforma in ossido ferroso fer- rico attirabile dalla calamita, ed alla temperatura più elevata in ossido ferrico, non attirabile dalla calamita, ed in ciò abbiamo una specie di conferma che il ferro nella composizione della nostra sostanza, come vedremo tosto nella composizione centesimale, si trova allo stato di ossido ferroso e non ferrico. « La sua durezza è di poco superiore a 4 ed il p. s. = 3,446 alla tem- peratura di 10,2° C dell’acqua. i « L'analisi fatta, come le altre due della presente Nota, dal mio assi stente, prof. Michelangelo Fasolo, ha dato î seguenti risultati : SO i CC O. I 112062 RO SR. 17,46 noe e. . E 110,92 MRO. . RE 10,32 LO io e RI O 100,12 dai quali si può venire alla seguente formola molecolare : (Mn 0): (Pe 0); (Ca 0); (Si 02) 10. «La mancanza assoluta d'allumina strappa questa sostanza al gruppo degli epidoti e ci obbliga per gli altri componenti e per le altre proprietà chimiche e fisiche osservate a pensare a quello dei pirosseni senza allumina, e più precisamente ad una varietà della Hedembergite, mancante assoluta- mente d’allumina, più ricca di manganese e più povera di magnesia e spe- cialmente di ferro, che nella nostra sostanza, come abbiamo già osservato sì trova tutto allo stato ferroso: più ancora s'avvicinerebbe per la sua forte quantità di manganese alla Je/fersonzte di Sparta e di Franklin Furnace della Nuova Jersey, che taluni riferiscono ancora alla Hedembergite, ma la man- canza dello zinco c'impedisce di avvicinare a questa varietà di pirossene la nostra sostanza, che potremo quindi considerare come una varietà di Zedem- bergite. « Sempre a Sw Poru, abbiamo già ricordato che assieme a questa so- stanza nella sua massa si trova disseminata la blenda in massecole ed in mosche, ed in quantità minore la pirite di ferro, talvolta in netti cubetti. Qua e là nella sostanza divenuta granosa corrono venuzze è piccole lenti di granato, che alle volte presenta netto il rombododecaedro in alcune cavità, di color verde chiaro o giallo melato e qualche volta anche rossigno; non manca neppure l’idocrasia, che presentasi in prismi non finiti e del colore RenpIcoNTI. 1895, Vor. IV, 1° Sem. 15 — ll4d — del granato. Più rara apparisce la ca/copirite in mosche, ma più frequente, particolarmente nella massa granosa, abbiamo la calcite assieme al quarzo. « La calcite ancora disseminata finamente nello stesso giacimento forma assieme al quarzo e ad altre sostanze uno strato con predominanza di un minerale leggermente verdognolo, tendente al giallo, che alla parte superiore presentasi in lunghi aghi intrecciantisi fra loro in tutte le direzioni e tal- volva raggruppantisi a ventaglio e sfaldabili. nettamente in due direzioni parallele al loro allungamento e dalla lucentezza vitrea tendente alla ma- dreperlacea o resinosa. È fragilissimo e talvolta mescolato a grossi elementi di quarzo e di calcite si trova in cristalli quasi perfetti. Il colore della pol- vere è bianco sporco, leggermente cinereo. Gli aghi sono translucidi, alle volte quasi trasparenti. Colla durezza eguale a 6 ha il peso specifico = 3,126 alla temperatura dell'acqua di 10,2°C. Scaldato in tubo chiuso da poca acqua, cangia colore, divenendo molto oscuro, rossastro raffreddandosi. Ridotto in polvere fina e scaldato al rosso si agglutina e diviene di colore giallo ver- dastro. Al cannello fonde in scoria bruna giallastra in forma di cavolo fiore, ma non è attirabile dalla calamita. Non è decomponibile dagli acidi a freddo ; a caldo si decompone in parte nell’acido cloridrico: la polvere calcinata si decompone più facilmente colorando la soluzione cloridrica in giallo con un residuo non decomposto e silice gelatinosa. Col nitrato potassico e col bicar- bonato di soda mescolata la polvere e fusa in capsulina di platino dà rea- zione leggera del manganese colla colorazione verde caratteristica: col bo- race sì ha la reazione del ferro con scheletro siliceo. « L'analisi chimica quantitativa avrebbe dato : Si 0, Siti, CBA, e e 07 A O e A E 300) Wez Ot 0 AO RR 5,48 Mn0 Sgt SBBBPRO LL 3,10 Cao SIVECINRO: © >: SOMME NOR - CE OE H30 DAR > CUR 0,71 lange . i to 1 030 100,00 che conduce alla composizione molecolare : Mn0.8 Ca0. Fe: 0; .641,0;. 16510. « Evidentemente trattasi di un epidoto raro pel suo colore e distinto dall'epidoto normale per l'abbondanza in allumina e specialmente manganese, — 115 — nonchè per la sua povertà in calce e particolarmente ìn ferro, pei quali rap- porti si avvicinerebbe ad una Zozsz/e. « Questa sostanza minerale, prodotta per causa di azioni secondarie o metamorfiche, si presenta in una quantità di roccie sarde come risultato della decomposizione di silicati ferro-magnesiaci. Lo troviamo quindi in tutte le granuliti a formare bei nidi, alle volte riconoscibili in distanza pel loro co- lore verde pistacchio e l’abbiamo visto anche in quella famosa a sferoidi di Ghistorrai (!); lo rinveniamo anche negli schisti uronici, nelle roccie secon- darie e nelle roccie vulcaniche antiche, si da potersi dire una delle specie minerali più frequenti in Sardegna. « E qui credo importanta il segnalarlo nel vulcanico antico, che s'in- contra poco dopo la fermata ferroviaria di Uta e che passando per Siliqua continua fin oltre Villamassargia, che noi brevemente diremo di Siliqua. Il Lamarmora lo mette nell'eocene (*?) ed il De Stefani (3) addirittura nel qua- ternario, mentre io l’ascrivo nettamente al miocene, come lo proverò a tempo opportuno con spaccati coll’aiuto della stratigrafia, dopo che avrò compito lo studio micrografico delle roccie, che costituiscono quell’interessante gruppo, nel quale troviamo le vere achit) sarde, essendo per lo più andesiti le forme litologiche, che nell'isola da quasi tutti son conosciute invece col nome di trachiti. In una delle forme litologiche di questo gruppo, ricca di pirite, contenente anche dell’arsenico, si veggono dei bei sferoidi che dalla grossezza di un uovo di gallina vanno a quella del diametro maggiore di 22 millimetri : dentro una buccia dello spessore di 10 mm. e nettamente isolabile nei più grossi sferoidi in decomposizione, sì trova una massa d’epidoto cristallino granuloso. « La sostanza è verde pistacchio, splendente, translucida, fragile. La polvere finissima di color verde più chiaro del minerale è incompletamente solubile nell’acido cloridrico concentrato: si discioglie il 17,70°/, ed il residuo di 82.30°/, consta di Si0; libera e silicato d'alluminio, ferro e calcio, non decomposto. La parte solubile nell’acido cloridrico contiene in proporzione mag- giore quantità di ferro ferrico della porzione, che rimane indecomposta, per determinazione approssimativa. « La polvere perde gradatamente 2,83°/ d'acqua dalla temperatura di 210° al rosso vivo. La durezza è = 6 e pel peso specifico di alcuni fram- menti si sarebbe ottenuto 3,044 e per altri 3,164 alla temperatura di 14°C dell’acqua. (1) Sopra il granito a sferoidi di Ghistorrai presso Fonni in Sardegna. Nota II, Rendiconti R. Accademia dei Lincei. Roma 1885, pag. 823. (2) Voyage en Sardaigne, troisième partie, tome I. . (8) C. De Stefani, Cenni preliminari sui terreni cenozoici della Sardegna. Rendi conti R. Accademia dei Lincei. Estratto dal vol. VII, 1° sem., serie 4%. Roma, 1891. — 116 — « La parte centrale dei noduli seccata a 105°C avrebbe dato per com- posizione centesimale : Sion. e le 2025, POR CM 0 ER O o ZIO ISO SO A ILL] Re. sO 0,91 COS (i OO Mo:O Mo. cc. ji O 2,13 Na, 0 SORRISE 1,47 TRO e CAO eo 0,02 (0,05) Ho. Ode. AT. iano 2,89 perdite EA 00 e 0,12 100,00 con traccie di manganese ed assoluta mancanza di potassio, essendo riuscita negativa la prova collo spettroscopio. « Questi noccioli ricordano gli altri già da me accennati vari anni fa in un dicco di roccia porfirica di Capo Carbonara (!), colla differenza che in questi ultimi l’epidoto è raggiato-fibroso, mentre nei noduli del vulcanico di Siliqua l’epidoto è confusamente riunito. « Il Jervis (*) cita per la Sardegna l'epidoto compatto nel Monte Oro di Arzana in un filone metallifero, associato alla magnetite a Pattada, a Pula ed a Talana, nel porfido a Perdas de Fogu a mezzogiorno di Seui; ma da quanto ho detto precedentemente possiamo concludere che, dovunque troviamo roccie cristalline, abbiamo l'epidoto ». Paleontologia. — Slicospongie plioceniche. Nota del dott. PAOLO MALFATTI, presentata dal Socio CAPELLINI. « Nelle formazioni argillose del pliocene di Borzoli presso Sestri Ponente nel Genovesato, il signor Razzore ebbe giù a raccogliere alcuni esemplari fos- sili, che, ravvisati dal prof. De Stefani quali preziosi avanzi di Silicospongiari, mi furono concessi in istudio dietro le cortesi istanze del mio maestro. A quanti (1) Specialità rimarchevoli nella zona granitico-schistosa della Sardegna. Rendi centi della R. Accademia dei Lincei. Estratto dal vol. I, serie 4%, 1885. (©) G. Jervis, / tesori sotterranei dell’Italia. Parte terza. Regione delle isole (Sar- degna e Sicilia). — 117 — ; coltivano fra noi gli studî paleontologici tale scoperta dovrà apparire dav- vero di grande momento, ond'è che facciamo voti che il prof. lazzore con- tinui con eguale perseveranza le sue indagini in quella formazione e che a lui spetti il vanto di aver per primo contribuito a riempire la grave lacuna che tuttora ci si appresenta nella spongiofauna pliocenica. « Ed anzitutto m'incorre di render noto che le notizie illustrative di questo piccolo materiale fanno parte di altro mio scritto di maggior lena che col titolo « Contribuzione alla Spongiofauna del cenozoico italiano = confido sarà presto dato alle stampe. Non ho peraltro ereduto disacconcio stral- ciare quella parte di indicazioni che si riferiva alle poche forme plioceniche, poichè l'argomento rappresentando un nuovo acquisto della paleontologia me- ritava, almeno a mio avviso, di esser reso tosto di pubblica cognizione. Ne con- segue che in questa Nota mi limito a dare delle forme dei cenni diagnostici sommarî, riservando l'illustrazione più dettagliata accompagnata dai disegni e dai rilievi microfotografici delle lamine d'osservazione, al lavoro cui ebbi ad accennare più sopra. « Si tratta è ben vero di pochi esemplari, in parte frantumati, ma questi spongiarî si presentano in uno stato di conservazione della trama scheletrica così perfetta che ci concedono di venire a determinazioni precise. «I due campioni meglio conservati appartengono ad una Dictionzna curetide e già all'aspetto esterno essi rammentano notevolmente le forme mio- ceniche di Craticularia. Non possono infatti nascere dubbî ed incertezze di sorta intorno alla determinazione generica di questa forma: il sistema acqui- fero, il tipo spiculare, la foggia dell'intreccio scheletrico dictionale e la stessa configurazione macroscopica esterna, che, giova qui il rammentarlo, è in certi tipi fattore eloquentissimo di ricognizione sistematica, non ci lasciano in forse nell’assegnarla a quel gruppo di spongiarî che tanto svariati ed abbondanti nel giurese superiore, ma segnatamente nel cretaceo, si continuano con forme non meno cospicue e per il numero e per la forma negll strati terziarî di Orano e dell'Emilia; giova anzi ricordare in proposito che in quest'ultima località le Crazieularie assumono una tale strabocchevole varietà di forme, da lasciare a tutta prima assai perplesso l'osservatore che si sia accinto a classarle specificatamente. « Queste forme plioceniche si differenziano peraltro dalle Cratseularze emiliane per una evidente riduzione di dimensioni negli elementi spiculari, riduzione che non è da ascriversi invero a ragioni di età, ma che appare ben palese doversi interpretare quale peculiarità della forma stessa. Di questa prima forma mi limito per ora a dare dei cenni diagnostici; allo scopritore di questi preziosi spongiarî è dedicata questa nuova specie. « Craticularia Razzorei nov. sp. _ «Lo spongiario appare di forma infundibulare, con cratere profondo, con ostioli disposti in serie longitudinali e trasversali incrociantisi. Lo spongoforo i SS — è foggiato ad infundibulo naturalmente compresso e presenta nella cavità craterale la superficie cuticulare liscia e continua, interrotta solo di tanto in tanto dalle aperture ostiali di foggia spiccatamente rotonda, fra loro equidi- stanti: sulla superficie esterna gli ostioli appaiono depressi e quasi incorni- ciati da un risalto quadrangolare assai tipico, donde appunto il nome di questo genere. La porzione radicale sì differenzia nettamente dalla spongoforale per un leggero strozzamento anullare, essa si espande largamente assumendo forme turgide-mammillari. Il sistema acquifero è quello tipico per la famiglia delle Huretidi di Zittel e cioè canali radiali diritti, discretamente larghi, ciechi e cioè con ostioli aprentisi alternativamente sulla parete esterna dello spon- giario o nella cavità craterale. « L'intreccio dictionale della porzione mediana e profonda è costituito da elementi spiculari esaradiati, a cladi brevi e tozzi, spesso contorti, con superficie esterna liscia, cen nodo d'incrociamento pieno, con canali assili molto ampî. I cladi spiculari s'intrecciano fra di loro assai irregolarmente, dando all'insieme della compage dictionale l'aspetto di maglie aggrovigliate e contorte. Non vi ha indizio deciso di involucro corticale in alcuna parte dello spongiario, abbenchè nella porzione superficiale dell’ipoforo i cladi spi- culari appaiano sensibilmente appiattiti. 3 « In un altro esemplare, il quale, benchè frammentario, è da riferirsi indiscutibilmente ad una Cratieularia, è dato di riconoscere il fusto cilin- drico colonnare di uno spongiario; non vi hanno traccie decise di cavità era- terale, ma la sommità del corpo spongoforale cilindroide accenna a svasarsi ed assume quella foggia tanto frequente in una specie di Crazicularia mio- cenica (C. Manzonti) da me studiata e descritta nel lavoro di revisione del ricco materiale di spongiarî emiliani testè acquistato dal R. Museo Paleon- tologico di Firenze. Quella forma, che dapprima fui incerto se doveva riguar- darsi come una varietà rappresentativa di un'altra specie pur essa molto fre- quente, dopo un attento esame del sistema acquifero mi apparve come specie distinta, e pur convenendo che somme cautele s'abbiano ad usare nel giudi- care della specie dai caratteri macroscopici, non credo nel caso in parola di essermi male avvisato. Il corpo cilindroide anzidetto è frantumato nella por- zione radicale, ma ben si ravvisa che la porzione radicale doveva avere un impianto meno robusto ed espanso di quello appresentatoci dalla forma pre- cedente: in questo esemplare il sistema acquifero non appare molto evidente e palese, ma la superficie esterna, benchè usurata, mostra qua e là degli ostioli tondeggianti in serie inerociantisi; a convalidare del resto la diagnosi anzi- detta si prestano in modo convincente i tipici solchi canalari vermicolati che appaiono, benchè alquanto obliterati, sulla superficie esterna dello spon- glario. « K vengo ora alla terza forma per determinare la quale ho dovuto ser- virmi di esemplari frammentarî, frammenti di spongiario che a tutta prima — 119 — non rivelavano gran che di buono dato lo stato di somma compenetrazione dell'argilla sabbiosa involucrante i singoli esemplari. E non fu che dopo aver sottoposto i varî frammenti all’azione protratta di acido cloridrico diluitissimo e quindi ad un prolungato lavaggio in acqua fluente, che riuscii ad ottenere la friabilissima massa spongiaria in istato di possibile determinazione. È detta forma una Rizomorina che per i caratteri del tipo spiculare presenta somme analogie con il genere cretaceo Scytalia (cf. Zittel, Studien ib. fossilen Spongien: II Abth., tav. V, fig. 42); però se per la foggia delle spicule e dell’intreccio scheletrico questo esemplare rammenta sensibilmente il genere cretaceo predetto, se ne discosta poi e per la configurazione macroscopica esterna e per l'insieme del sistema acquifero. Con le forme attuali sinora descritte non mi è stato possibile di ravvicinarla con certezza ad alcuna, però più che ad ogni altra questa £/zomorina si rassomiglia al genere Ara- bescula forma descritta da Carter per primo, genere accettato da Zittel, ma che è stato posto in dubbio successivamente da 0. Schmidt. Ne consegue che non essendomi stato possibile di ravvicinare lo spongiario in parola ad alcuna forma sinora descritta, ho ritenuto necessario assegnarlo ad un ge- nere nuovo cui proporrei il nome di Doratispongia, in memoria del nostro Donati che fu il primo a scoprire ed illustrare le formazioni spiculari dei Poriferi. A qualificare la specie si converrebbe il vocabolo patellarzs che sta ad indicare la configurazione macroscopica di detta spugna. Darò per ora di questa forma alcuni cenni diagnostici sommarî, sembrandomi per non dire oziosa, poco opportuna, una diagnosi dettagliata di forma nuova, se non venga accompagnata dalle necessarie figure illustrative. « Donatispongia patellaris nov. sp. « Lo spongiario si appresenta quale forma appiattita, patellimorfa, con ambe le superficî ondulate e gibbosette; verso il lembo marginale tondeg- giante la lamina si assottiglia alquanto. Dall’insieme poi dei frammenti sì comprende che questa spugna doveva impiantarsi sul suolo per una breve prominenza laterale, a somiglianza di quanto ci presentano certe forme indi cate già dagli antichi spongiologi col nome di Manon Peziza Goldf. e delle quali Quenstedt figura un buon numero alla tavola 132 del pregevolissimo atlante annesso alla sua opera: Petrefaltenkunde-Deutschlands, questa pur- troppo alquanto antiquata per quarto riguarda i criterî tassonomici con i quali sono raggruppati e descritti gli Spongiarî. Raffrontata con quelle forme, la nostra si ravvicina, anche sensibilmente per le dimensioni, a quella de- signata come Manon Pezica baptismalis (cf. tav. CXXXII, fig. 32, op. cit.). « Le due faccie dello spongiario e la lamina fra esse compresa sono attraversate da numerosi canali, di breve calibro, sparsi irregolarmente nella massa e che si suddividono ulteriormente quasi rete mirabile. « La superficie superiore, ancorchè irregolare, è leggermente concava ed è ricoperta da una periteca silicea esilissima, ma non continua; in essa stanno — 120 — sparse numerose ragadi vermiformi che sono appunto dovute a discontinuità dell'involucro predetto; nei solchi vermicolati che ne conseguono sì può scor- gere gli ostioli rotondi che menano all’interno dello spongiario. La superficie esterna è invece leggermente convessa ed appare anch'essa rivestita di un esilissimo invoglio siliceo, ma in questa gli ostioli di forma tondeggiante sboccano direttamente, cosicchè anche su un minimo frammento dello spon- giario è dato di riconoscere facilmente la pagina superiore dall’inferiore. « Il tipo spiculare è decisamente da /zzomorina; le spicule assai mi- nute (150 u. 240 u.), polimorfe, di dimensioni variabili, possono però tutte riportarsi ad una forma tipica comune, rappresentata da un asse più o meno breve ed incurvato donde si dipartono dei bracci anch'essi corti, ramosetti e spinosi all'estremo. Il corpo del desma in questa forma è confrontato col tipo cretaceo meno ornato di escrescenze; ad onta di ciò, ripeto, l'impres- sione che se ne ritrae è di una forte rassomiglianza con le forme della Creta media e superiore. « La cuticola silicea involucrante resulta di elementi dello stesso tipo, ma assai più ravvicinati fra di loro; non vi ha indizio sicuro di megaschlere o microschlere sarcodiche, ancorchè in una delle sezioni microscopiche sia dato ravvisare alcuni monaxoni del tipo d/0 rea; ma a parer mio queste spicule debbonsi essere introdotte fortuitamente nelle lacune scheletriche o nei canali acquiferi dello spongiario, tanto più che oltre all'apparire in parte rotte, vi stanno disposte del tutto irregolarmente, contrariamente a quanto suole avvenire per le spicule sarcodiche che appaiono, in generale, orientate con una certa regolarità. « Dall’intrecciarsi delle espansioni terminali delle singole spicule resulta la compage scheletrica che si appresenta a tutta prima come un aggroviglia- mento abbastanza difficile a decifrarsi. Si aggiunga poi che tutta la trama essendo assai friabile, nell'atto di assottigliare le lamine di osservazione, molti degli esilissimi elementi spiculari si spostano, si contorcono e si fran- tumano, venendo così a mentire una struttura ancor più intricata di quello che realmente essa sia. Ond’è che per lo studio particolareggiato dei singoli elementi spiculari mi sono servito di spicule convenientemente separate fra di loro, con un metodo che non è qui luogo di ricordare. i « Gli esemplari studiati e qui brevemente descritti non istanno dunque a rappresentare che tre sole forme; ma nella penuria di notizie in proposito l'acquisto non è per questo meno pregevole, tanto più che abbiamo ragione di ritenere che ulteriori ricerche aumenteranno sensibilmente il numero delle forme. Ne danno argomento a ben sperare i numerosi elementi spiculari in- tatti o frammentarî che stanno sparsi nell'argilla sabbiosa che involge i sin- goli esemplari; spicule da ascriversi a diverse forme di Esattmnellidi e Desmo- spongie Tetrattinellidi, come ce lo mostra del resto un esame microscopico del tutto superficiale. — 121 — « Inoltre, per quanto brevi, le notizie rivelateci da questo materiale plio- cenico servono anch’ esse a mostrarci quel carattere di spiccata continuità morfologica che presenta la spongiofauna cenozoica rispetto alle forme del Cretaceo medio e superiore ». i Petrografia. — Osservazioni sulle serpentine del Rio dei (avi e dì Zebedassi (Appennino Pavese) (!). Nota di L. BRUGNATELLI, presentata dal Socio STRUEVER. « Come è noto, il professore Cossa nella sua importantissima opera /- cerche chimiche e microscopiche su Roccie e Minerali d'Italia (*) ha fatto conoscere la composizione mineralogica di parecchie serpentine dell'Appennino pavese e propriamente di quella della valle della Prella a sud di Varzi, di quella brecciata di Varzi, di Rovegno, di S. Colombano presso Bobbio e del Rio dei Gavi. Dalle sue osservazioni egli dedusse che « quantunque in alcune serpentine del territorio di Bobbio si trovino, in uno stato di più o meno avanzata alterazione i componenti della Lherzolite, pure essi non si rinvennero riuniti si/multancamente in modo da poter ritenere certa l’esistenza di questa roccia.....». « Per gentile concessione del professore Cossa io potei studiare i suoi preparati e constatare l'esattezza delle sue osservazioni. Tempo fa però avendo io avuto occasione di esaminare delle sezioni sottili di nuovi campioni della serpentina del Rio dei Gavi, vi riscontrai oltre agli elementi giù notati dal Cossa e da me nelle sue sezioni, la bastite in piccola quantità e quasi com- pletamente serpentinizzata, ed inoltre un pirosseno monoclino (diopside) che ‘in sezione sottile appare incoloro; in una sezione poi potei notare una lami- netta di diallagio. La serpentina di Rio dei Gavi deve dunque considerarsi come derivata dall’alterazione di una vera Lherzolite. « L'origine Iherzolitica è poi ancora più evidente in un'altra serpentina dell'Appennino pavese, e cioè in quella di Zebedassi e Cà di Bruno che costi- tuisce l’affioramento ofiolitico più settentrionale del detto Appennino. Siccome questa serpentina non fa ancora descritta, così credo di far cosa opportuna riassumendo qua le osservazioni che sopra di essa io potei eseguire. « Le località di Zebedassi e Cà di Bruno si trovano sulla destra della valle del Curone che quivi separa la provincia di Pavia da quella di Ales- sandria. Scendendo il Monte Brianzone verso sud, appena a ponente di Zebe- (1) Lavoro eseguito nel gabinetto di Mineralogia della R. Università di Roma. @) Torino 1881, pag. 162-168. Vedi pure Taramelli, Descrizione geologica della pro- vincia di Pavia. Milano 1882, pag. 93-97. RenpIcoNnTI. 1895, Vor. IV, 1° Sem. 16 dassi, si incontra la serpentina poco sopra di Cà Clementina e la si segue fino oltre Cà di Bruno, verso la valle della Serena. Per quanto riguarda la sua giacitura ed i rapporti stratigrafici colle altre rocce che l’accompagnano, credo di non potere far meglio che rimandando il lettore a quanto ne dice il professore Taramelli (8). « La serpentina di Zebedassi è molto compatta; in una massa di colore verde nerastro, con chiazze più chiare, si osserva disseminato un minerale lamellare dotato di perfetta sfaldatura e di lucentezza che varia tra la me- tallica e la grassa resinosa. Le lamine di questo minerale presentano i carat- teri della bastite in istato di alterazione. Colla lente non è difficile scorgere altresì delle piccole granulazioni nere lucenti che furono poi riconosciute per picotite. Più raro e soltanto osservando molto attentamente si riscontra anche un minerale dotato di perfetta sfaldatura e di colore verde-chiaro. « In sezione sottile ed al microscopio la serpentina di Zebedassi mostra per la massima parte la caratteristica struttura a maglia delle serpentine peri- dotiche; questa derivazione dall'olivina è resa poi ancora più evidente dal trovarsi fra le maglie del serpentino in gran numero dei granuli incolori di olivina inalterata. « La bastite, già determinata macroscopicamente, si osserva in grande quantità nella roccia; è sempre in larghe lamine che frequentemente racchiu- dono degli avanzi del minerale pirossenico trimetrico (enstatite) dal quale ebbe origine. Generalmente è in istato di inoltrata serpentinizzazione e qualche volta completamente serpentinizzata. « Oltre all’olivina e la bastite, nella massa si osserva in notevole quan- tità un minerale pirossenico monoclino incoloro. Certamente si tratta del diopside caratteristico delle roccie lherzolitiche, e devono attribuirsi a questo minerale le laminette di color verde-chiaro riscontrate nell'esame macroscopico della roc- cia. Frequentemente nel diopside si osservano delle inclusioni disposte tutte parallelamente alla direzione d'allungamento nelle sezioni verticali e la cui natura non potè essere determinata. Associati col diopside si notano dei gra- nuli e delle laminette di un minerale che si distingue per un marcatissimo pleocroismo dal rosso-bruno all’incoloro. È dotato di perfetta sfaldatura in due direzioni che fanno tra loro l'angolo caratteristico delle sfaldature degli anfiboli. La estinzione è generalmente inclinata e nelle sezioni longitudinali raggiunge un maximum di circa 14°; le direzioni di assorbimento corrispon- dono perfettamente con quelle date per l’anfibolo, quindi per tutti questi ca- ratteri credo che i granuli e le laminette in questione debbano essere riferite a questo minerale. Questa specie di anfibolo sembra essere comune nelle lher- zoliti e nelle serpentine da queste derivate; infatti io ebbi l'occasione di osser- (1) Loco cit., ed anche Sulle formazioni serpentinose dell'Appennino pavese. Memorie della R. Accad. dei Lincei, vol. II, serie 3%, 1878. — 129 — varlo in parecchie di queste roccie e in modo speciale poi in una del Mon- | ginevra. I « La picotite è in granuli irregolari di color bruno, qualche volta cir- condati da prodotti di alterazione neri o rossastri. « Fra le maglie del serpentino si osservano qualche volta delle minutis- sime granulazioni nere di magnetite. Oltre che in questo stato, la magnetite i si trova nella roccia anche in cristallini ottaedrici perfetti. Questi cristallini | non sono però diffusi irregolarmente entro tutta la massa, ma si trovano riu- | niti entro vene o plaghe di una materia serpentinosa che sì distingue dal resto, | per una struttura molto uniforme e per una doppia rifrazione debolissima. Credo che questa localizzazione dei cristallini di magnetite sia di grande impor- tanza, perchè ritengo che sia in istretta relazione coi fenomeni magnetici presentati da questa roccia ed ai quali accennerò più avanti. « Sembra che la roccia abbia subìto delle forti azioni meccaniche: e ciò lo si può desumere dal fatto che la bastite è sempre pieghettata e contorta ; inoltre non è raro il caso di osservare che dei frammenti, specialmente di pirosseno, appartenenti evidentemente ad uno stesso cristallo, sono scostati l'uno dall'altro ed in generale non in direzione parallela. i « La serpentina di Zebedassi è fortemente magnetica e presenta nume- rosi punti distinti. Pare che nessuna regolarità esista nella distribuzione di questi punti. È però naturale il pensare che essi siano in corrispondenza colle plaghe sopra descritte di concentrazione dei cristallini di magnetite. Anche in piccoli frammenti la roccia mostra la polarità magnetica, e non è raro di ri- | scontrare sopra di essi più centri magnetici di nome contrario. Sopra alcune lamine abbastanza sottili si potè osservare sulle facce parallele, che ad un centro magnetico esistente sopra una delle facce, corrisponde sulla faccia pa- rallela un centro di nome contrario. Questo fatto però non si manifesta sempre, anzi nella maggior parte dei casi non si ha alcuna regolarità nella distribu- zione dei centri magnetici, sopra le faccie parallele della medesima lamina 0 sulle superficie opposte dei frammenti. « La serpentina di Zebedassi per la sua composizione mineralogica, come per le proprietà magnetiche, rassomiglia moltissimo a quella del Colle di Cas- simoreno nella Valle del Nure, studiata e descritta dal dottor Montemartini (!) Nella roccia del Colle di Cassimoreno però non esistono le plaghe di concen- trazione dei cristalli di magnetite, ma questo minerale trovasi solo sparso irregolarmente nella roccia. «“ Da quanto è riferito sopra, rimane accertato che tanto la serpentina del Rio dei Gavi, come quella di Zebedassi devono la loro origine all’altera- zione di roccie lherzolitiche. Se anche le altre serpentine dell'Appennino pa- 7, (1) C. Montemartini, Sulla composizione chimica e mineralogica delle roccie ser- pentinose del Colle di Cassimoreno e del monte Ragola (Valle del Nure). Rend. della R. Accad. dei Lincei, vol, IV, 1888, pag. 369. 04 — vese abbiano la stessa origine, noi per ora non possiamo asserirlo, anzi le ricerche del professore Cossa ci proverebbero il contrario. Io però ritengo che non sia improbabile, che dalle ricerche estese a più campioni di queste roccie scelti in punti diversi della stessa massa, si possa essere condotti ad ammet- tere, come appunto avvenne per quella del Rio dei Gavi, anche per esse la stessa origine lherzolitica. Avendo io l'intenzione di occuparmi delle forma- zioni ofiolitiche dell'Appennino pavese, spero in un prossimo lavoro di poter decidere in modo definitivo la questione =. Chimica. — SuMla costituzione della nicotina. Nota di V. OLI- VERI, presentata dal Socio PATERNÒ. « Tra le formole proposte per la nicotina sono oggi maggiormente discusse quella di Etard, quella del Pinner e l’altra del Blau. Ciascuno di questi spe- rimentatori dà ragione della propria formola per i seguenti fatti. « Etard ammette quella di un etil-dipiridile-idrogenato con un lato comune, per avere ottenuto un prodotto di sostituzione con il cloruro di benzoile. Pinner propone quella di una piridil-pirrolidina-metilata, perchè la nicotina, per azione del bromo, si trasforma in bromo-cotinina ed in bromo-ticonina. « Blau infine modifica la formola del Pinner, il quale ammette il nucleo pirrolidinico, nell'altra a catena laterale trimetileniminica-metilata, e ciò per la facile decomponibilità della nicotina per mezzo della riduzione ; fatto che rende poco probabile la presenza del gruppo pirrolidinico. « Avendo io da molto tempo intrapreso alcune ricerche sulla costituzione della nicotina, mi ero accorto sin d'allora che nessuna delle formole assegnate alla nicotina era adatta a spiegare i fatti osservati, e per interpretare alcune reazioni si doveva ricorrere all'ipotesi di una profonda modificazione subìta nella sua struttura atomica. « Ora nel proporre una formola che rappresenti l'aggruppamento atomico di una data sostanza, quella deve soddisfare alla principale condizione di po- tere cioè spiegare nel modo più semplice le trasformazioni che il corpo rap- presentato subisce quando è cimentato con i varî reagenti. « Sotto questo punto di vista e tenuto conto di tutte le trasformazioni fatte subire alla nicotina. la formola, che meglio si adatta a rappresentarla, sarebbe : H A NL Hd \_ C=N_- CH; xl | bi — 125 — « Infatti con essa si spiega che la nicotina all’ossidazione fornisce: acido nicotinico, azoto, anidride carbonica, acido acetico ed acido lattico, che per ulteriore ossidazione si converte in acido ossalico ed acido carbonico. « Con questa formola si ha la ragione della instabilità della bibromo- nicotina, che avrebbe la seguente struttura CH. NT— CBr—NBr— CH, Do — CH, — CH;; e per cui sotto l’azione degli alcali, perde acido bromidrico e si trasforma nella bromonicotina CHN—-CBr_—_—_—_—_N—- CH; da, cn, —_ Di ; e di conseguenza la dibromo-cotinina e la dibromo-ticonina del Pinner sareb- bero rappresentate dai seguenti schemi à CHN—CBr————_N—TCH; CHN-CBr—__N CH; da, CR B:_d0 do cHB:— 00 Con questa formola, l'ottoidro-nicotina sarebbe C,.HNT-CHT— NH CH, | Il i OJEG e l’ossinicotina di Cahours ed Htard C.HNT—-C—N- CH; / Dv / CH, — CH, — CH, la quale per ulteriore ossidazione perderebbe quattro atomi d'idrogeno allo stato di acqua secondo l'equazione C;0 Hi4 N80 + 0= Cio Hio Na + 2H30, per trasformarsi nella iso-dipiridina di Cahours ed Etard, o nicotirina di Blau alla quale spetterebbe la formola C:HNT-C-——_—N- CH; | | CH—CH=CH cioè di un gruppo pirrolico attaccato ad un gruppo piridico, come ammette il Blau; finalmente la reazione, per la quale la nicotina a 200°, eliminando acido cloridrico dal suo prodotto di addizione con il cloruro di benzoile; si trasforma in benzoil-derivato, si spiega naturalmente con la formola da me proposta. Così CHN—-C=N—CH;+C,H;0C1=CHN—-C==N—CH; | ARS CH, ta CH, Tora CH, Ca H, CI Ca H,0 che facilmente si trasforma in C_H,N—-CCI—N—CH; | | CH, C,H50 « Questo composto intermedio per eliminazione di acido cloridrico for- nisce il benzoil-derivato CHHN—-C—N— CH; Î | CH € ORBIO « Alla sua volta il benzoil-derivato per saponificazione dà la nicotina isomera del Pinner C.HN—-C—-N— CH; INA Parte sperimentale. « 1.° Ossidando trenta grammi di nicotina in soluzione alcalina con trenta grammi di permanganato potassico in soluzione diluita, dopo di aver disposto l'apparecchio in modo da raccogliere tutti i prodotti dell’'ossidazione, si sono ottenuti: acido nicotinico, acido carbonico, acido acetico, acido ossalico, azoto e tracce di acido lattico. « Ossidando nello stesso modo il cloruro di benzil-nicotina, i prodotti dell’ossidazione sono stati: acido nicotinico, acido benzoico, acido cloridrico, Sue carbonica, acido acetico, acido ossalico ed azoto. ° Facendo reagire sopra 10 grammi di nicotina sciolta in etere img grammi 19 di cloruro di acetile, si osserva, dietro riscaldamento a bagno maria, un debole sviluppo di acido cloridrico. Lasciando poi il miscuglio in riposo per 24 ore, acidificando con acido cloridrico ed estraendo con etere a varie riprese e decomponendo poi la soluzione acquosa con potassa ed estraendo di nuovo con etere, quest'ultimo lascia un olio bruno che si decompone tentando di distillarlo. Esso fornisce un cloroplatinato sotto forma di polvere cristal- lina rossastra che contiene il 29,59°/, di platino ed il 6,49 di acido acetico. Questi risultati non si accordano con la composizione del cloroplatinato della mono-acetil-nicotina che richiederebbe il 23,58 di platino ed il 14,59 di acido acetico per cento. « Questa discordanza e la presenza dell’acetile, che non può ritenersi un'impurezza, fa dubitare che la sostanza analizzata fosse stata un miscuglio di cloroplatinati di nicotina e di mono-acetil-nicotina; infatti un miscuglio a — 127 — parti uguali di queste sostanze fornirebbero il 28,95 di platino ed il 7,29 di acide acetico per 100. « Nel dubbio che la nicotina contenga un atomo di azoto imidico, si è ripetuta l’esperienza con il cloruro di benzoile e poi con l'acido nitroso, ma in ambo le reazioni si sono ottenuti risultati negativi. Da questo fatto pare che il cloruro di acetile, in date condizioni possa trasformare la nico- tina in modo tale, da poter formare un acetil-derivato, nell'identica maniera del prodotto di addizione con il cloruro di benzoile che l'Etard trasforma alla temperatura di 200° in benzoil-nicotina; la quale poi, secondo Pinner, colla saponificazione fornisce la meta-nicotina e non più la base originaria. « 3.° Per conoscere se nella catena laterale fossero contenuti atomi di carbonio legati tra di loro con doppia valenza, ho tentato la bromurazione della nicotina nei seguenti modi: a) Sopra 40 grammi di bromidrato di nicotina ben secco si fece goc- ciolare a poco a poco 20 grammi di bromo puro; si ottenne un liquido spesso, bruno, che dopo cinque giorni cristallizzò in aghi rosso-bruni, che purificati per lavaggio con etere anidro e compressione tra carta ed analizzati for- nirono il 65,76°/ di bromo; mentre il composto Cio H\4 Ns. HBr. Brs ne vuole il 66,11°/. Decomposta con ammoniaca acquosa ed estratta la soluzione con etere si riottenne la nicotina inalterata. Questo fatto dimostra essere il composto bromurato semplicemente il perbromuro della nicotina. 5) Un'altra porzione di questo perbromuro essendo stata riscaldata prima a 70° e poi decomposta con soluzione diluita di potassa, fornì un pre- cipitato oleoso, che raccolto, lavato cun acqua e disciolto nell’acido cloridrico venne trasformato in picrato, ch'è una massa rosso-bruna fusibile a 103°. Questo picrato contiene il 16,65 di bromo ed il 15,28 di azoto per cento. « Il picrato della mono-bromo-nicotina Co Hz Br N, . Cc H3 N3 05 0H ri chiede in 100 Bromo 16,98 Azoto 14,86 c) In un’altra esperienza, sopra grammi 31,7432 di bromidrato di ni- cotina ben seccato si fecero gocciolare grammi 31,50 di bromo purissimo ; il prodotto fu abbandonato a sè stesso per 15 giorni sotto campana con calce viva, ove si mantenne sempre sotto forma di massa semifluida, di color rosso- bruno intenso. Fu purificato lavandolo parecchie volte con solfuro di carbonio e disseccandolo poi nel vuoto sopra la calce. Analizzato mostrò contenere il 73,19°/, di bromo. Il perbromuro del bromidrato di nicotina bibromurato C.0H4Brs N: . H Br. H Br; ne richiede °/, 74,53. d) Questo perbromuro decomposto con soluzione alcoolica di potassa sì resinifica in gran parte, ed una piccolissima quantità si trasforma in un composto bromurato cristallino che forma un cloro-platinato che non fonde Bos — sino a 340° e contiene il 18.11 per 100 di platino. Probabilmente può essere la dibromo-ticonina del Pinner. « 3.9 Versando una soluzione concentrata di jodio nel joduro di potassio sopra una soluzione di jodidrato di nicotina si ottiene un abbondante preci- pitato rosso-bruno. Questo precipitato disseccato, se si riscalda in una storta alla temperatura vicina ai 200°, sì decompone, si sviluppano vapori di jodio e distilla joduro di metile. Se lo stesso precipitato si riscalda assieme ad una soluzione concentrata di potassa allora assieme alle altre basi volatili si forma della metilammina. « 4.° Volendo staccare dalla nicotina il gruppo = N — CH; e sostituirvi l'ossigeno per ottenere il 8-propil-piridil-chetone, ho riscaldato in tubi di vetro resistentissimi un miscuglio di nicotina e di soluzione di potassa al 10 per 100 per la durata di ore 24 alla temperatura variabile dai 250° ‘ai 280°. Indi il contenuto dei tubi fu distillato a vapor d'acqua, raccogliendolo fra- zionatamente. Dalle porzioni più volatili si è potuto separare un gas, che fu rac- colto in soluzione cloridrica ed evaporato a secco : il cloridrato formatosi venne trasformato in cloroplatinato. Hsso aveva tutti 1 caratteri del cloroplatinato di metilammina ed all'analisi ha formato il 41,18°/, di platino: mentre la teoria vi esige il 41,53°/o. « La massima parte del prodotto dà nicotina inalterata. La presenza di un chetone non potè constatarsi. « 5.° La nicotina s'idrogena facilmente trasformando i suoi due atomi di azoto terziarî in secondarî. Questo fatto depone contro le formole del Pinner e del Blau, che non potrebbero sussistere senza ammettere la rottura dei nuclei. « Disciogliendo 10 grammi di nicotina in 300 c.c. di alcool amilico, ri- scaldando a 100° ed aggiungendo a poco a poco sino all'estinzione 50 grammi di sodio, dopo raffreddamento, si ottiene una massa solida che lisciviata con acqua si separa in due strati: soluzione alcalina e soluzione amilica. Que- st'ultima ripresa con acqua acidulata, con acido cloridrico, cede a questo il prodotto di riduzione in essa contenuto. Svaporando a secco la soluzione clo- ridrica e riprendendo il residuo con soluzione potassica, si ricava un olio che decantato e disseccato nella potassa pura distilla tra i 260°-281°. Di questo distillato si possono ottenere due frazioni: una tra 260°-263° e l'altra lra 266°-281°; entrambe formano lo stesso cloroaurato fus. a 132° e lo stesso cloroplatinato fus. a 201°. < A dimostrare poi che i due atomi di azoto della nuova base vi si tro- vano allo stato imidico, sono stati preparati i seguenti derivati: a) Dinitroso composto Cio Hr Ns . 2NO. Si ottiene versando sopra una soluzione acquosa di solfato della nuova base, resa leggermente acida con acido solforico un leggiero eccesso di nitrato potassico: si separa un olio, che raccolto si lava ripetutamente con acqua fredda e si dissecca nel vuoto sopra l’acido solforico. È un liquido oleoso, giallastro, più spesso della nicotina e — 129 — | con odore più debole: all'analisi ha mostrato contenere il 51,90 di carbonio, il 9,50 di idrogeno ed il 24,35 di azoto per cento. Il dinitroso derivato ed il mono-nitroso derivato richiedono rispettivamente: Cio Hzo.N». 2NO Cio His Ns. NO Carbonio 52,62 Carbonio 60,92 Idrogeno 8,78 Idrogeno 9,64 Azoto 24,56 Azoto 21,91 5) Dibenzoil-derivato C,0 Ha Ns . 2(0: H: 0). È stato preparato con il metodo di Baumann. È un olio denso e gialliccio, insolubile nell’acqua, solu- bilissimo nella soluzione cloridrica, dalla quale il cloruro platinico e l'acido picrico lo precipitano allo stato di un olio che difficilmente cristallizzza. All’ana- lisi ha dato i seguenti numeri: è trovato calcolato per Cio Hao Ne .(C7H50): Carbonio 75,60 Carbonio 76,19 Idrogeno 8,55 Idrogeno 7,93 Azoto 7,05 Azoto 7,41 N—-CO— NH, c) Diurea composta C,0 Hoo 4 . Si ottiene versando 4 \_ co — NE, sopra una soluzione concentrata di solfato di ottoidro-nicotina, altra soluzione acquosa contenente da quantità calcolata (due molecole per una molecola) di cianato potassico. Il miscuglio si svapora quasi a secco sul bagno maria ed il residuo sì riprende parecchie volte con alcool assoluto e bollente ; questo, dietro evaporamento, lascia un estratto, che si purifica disciogliendolo in alcool e precipitandolo con acqua. Il nuovo composto è una sostanza del colore e della consistenza del miele, incristallizzabile. Riscaldata in un tubicino di as- saggio, si decompone emettendo vapori di carbonato di ammonico. « Si scioglie nell'acido cloridrico concentrato e la sua soluzione diluita precipita con cloruro platinico. Il cloro-platinato è una polvere amorfa di co- lore giallo-sporco e fonde verso i 171° con decomposizione. Una determina- zione di cloro ed un’altra di platino hanno dimostrato contenere il 32,15 di cloro ed il 29,60 di platino. i « Questi numeri corrispondono al cloroplatinato della diurea, che richiede per la formola C,oHx, N: .(CONH.),. HC1.Pt CI, Cloro 81,88 Platino 19,41 ». RenpIconTI. 1895, Vor. IV, 1° Sem. K 17 — 130 — Chimica. — Nuovo processo di sintesi degl’idrocarburi del gruppo del difenile. — Sul p- ed o-feniltolile. Nota di G. Oppo e A. CuratoLO, presentata dal Socio PATERNÒ. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario BLASERNA presenta le pubblicazioni giunte in dono, segna- lando quelle inviate dai Socî TARAMELLI, FERGOLA, PINCHERLE, VIRCHOW e del sig. TRAvERSO. Richiama inoltre l’attenzione dei Socî su di un trat- tato di Agronomia del marchese CarEGA DI» MuRrIccE; su di una Carta pubblicata dalla Direzione Generale della Statistica, relativa alla mortalità per infezione malarica nei vari Comuni d'Italia durante gli anni 1890-91-92, e su di una raccolta di carte dell’ Ufficio Idrografico della R. Marina. CORRISPONDENZA Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: La R. Accademia delle scienze di Lisbona; l'Accademia di scienze naturali di Filadelfia; la Società di scienze naturali di Emden; la Società Reale di Edimburgo; il R. Istituto geodetico di Potsdam; la Scuola poli- tecnica di Delft. Annunciano l'invio delle proprie pubblicazioni : Il Ministero dell'agricoltura, dell’ industria e del commercio, di Rume- - nia; l Ufficio Idrografico della R. Marina Italiana, di Genova. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nelladunanza del 3 febbraio 1895. Angelitti !. — Determinazioni assolute della declinazione magnetica nel R. Os- servatorio di Capodimonte, eseguite nell’anno 1891. Napoli, 1893. 4°. Id. — Variazioni della declinazione magnetica, osservate nella R. Specola di Capodimonte nell'anno 1891. Napoli, 1894. 4°, — 131 — Barbera L. — Teorica delle equazioni differenziali duple. Bologna, 1895. 8°. Bosniaski S. de. — Nuove osservazioni sulla Flora fossile del verrucano nel monte Pisano. Pisa, 1894. 8°. Brioschi C. — Distanze zenitali circummeridiane del Sole, osservate nel- l’anno 1821. Memoria di F. Angelitti. Napoli, 1894. 4°. Id. — Riassunti decadici e mensili delle osservazioni meteoriche, fatte nel R. Osservatorio di Capodimonte nell’anno 1892. Napoli, 1893. 4°. Carega di Maurice F. — Agronomia. 3* ed. (Man. Hoepli). Milano, 1895. 16°. Contarino F. — Sulla determinazione della latitudine col metodo di Dòllen. SAS 9ARZO: Dei A. — Gl'insetti e gli uccelli considerati per sè stessi, e peri loro rap- porti con l'Agricoltura. Siena, 1894. 8°. Elenco dei fari e fanali ecc. 1895. Genova, 1895. 4°. Fergola E. — Osservazioni del pianeta Vittoria e di 41 stelle di paragone, nell’opposizione del 1889 ecc. Napoli. 1893. 8°. Gambera P. — Teoria meccanica dell’acciarino pneumatico. Lecce, 1894. 8°. Meli R. — Breve relazione delle escursioni geologiche eseguite alle Paludi Pontine, a Terracina ed al Circeo, con gli allievi ingegneri della R. Scuola di Applicazione di Roma, 1893-4. Roma, 1894. 16°. Mollame V. — Sulle equazioni abeliane reciproche, le cui radici si possono rappresentare con x, 0x, 0?x, 6°! x. Napoli, 1894. 4°. Morandi L. — Instrucciones para la observacion de las estrellas errantes. Montevideo, 1894. 8°. Id. — La lluvia en el clima de Montevideo. Montevideo, 1893. 4°. Pincherle S. — Delle funzioni ipergeometriche e di varie questioni ad esse attinenti. Napoli, 1894. 4°. Sella Q. — Inaugurazione del monumento a Q. Sella. XIV marzo 1894. Torino, 1894. 8°. Stlvestri E. de — Contributo allo studio dell’etiologia della dissenteria. Torino, 1895. 89. Statistica delle biblioteche. Vol. IT. Roma, 1894. 4°. Taramelli T. — Sulle aree sismiche italiane. Rovereto, 1895. 8°. Traverso S. — Geologia dell’Ossola. Genova, 1895. 8°. Virchow FR. — Die Ergebnisse der Serumbehandlung bei diphterischen Kin- dern im Kaiser und Kaiserin Friedrich-Kinderkrankenhause. Berlin, 1894. 8°. Zinno S. — Analisi qualitativa e quantitativa dei principî aeriformi (gas- sosi) dell'acqua di Fiuggi di Anticoli in Campagna. Napoli, 1894. 4°. TEA, Ù RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 17 febbraio 1895. F. BrioscHi Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sulla estensione del metodo di Riemann alle equazioni lineari a derivate parziali d'ordine superiore (‘). Nota III° del Socio Lurci BIANCHI. « Ai risultati contenuti nelle mie due Note precedenti si può giungere con semplicità e rapidità molto maggiore, come di poi ho osservato, facendo uso di una formola generale relativa agli integrali multipli. E poichè, ap- plicando questa formola, sì trattano con grande facilità non solo i casi giù precedentemente discussi ma ben anche il caso generale delle equazioni d'or- dine n, credo conveniente far conoscere questo nuovo metodo. IE «La formola di cui si tratta è una formola di integrazione per parti che si ottiene nel modo seguente. «Indichiamo con v, v due funzioni delle variabili indipendenti 41,72, & finite e continue insieme alle loro derivate parziali mdste fino all'ordine 7 e prendiamo a trasformare con successive integrazioni per parti l' integrale 72. SPE p————- day des... dar DINI dr ro) a Ur dove i limiti (@,, f)), (2, Pa). (0, 8,) sono costanti. Per esprimere con- cisamente il risultato faremo uso delle notazioni seguenti. Indichiamo con î lo see dr r. (1) Vedi Rendiconti del 6 gennaio e 5 febbraio. 18 RenpiconTI. 1895, Vor. IV, 1° Sem. — 134 — una qualunque permutazione degli 7 indici 1, 2,...7 ed essendo g una qua- lunque funzione di x, 4»... 4; col simbolo denotiamo la funzione di che nasce da 4 ponendovi Ci, i Lio = Uij, Vis = Qiy. Allora la formola generale accennata si scrive : Bi (ID (U0)a;az.an + SI (© = ) i TER di, XA. %. x x, « LT) în T" E du N AMARE se ( di I ST db 03 n Vir e dla oo] x. CONS vi Ù 1 di (Va Ori DEI r-1 Bi Ba B, dI al MEZZE, dd dI. dr LA Xo % dw U mappa dai, ( DEA ki Lar di, dLig iis gr dA —1)- u_T_ | da, de;,utli + ) = tr lli yet illy. a 2 %; i, 2 Or-1 Bi 8. AB, dv OE dI dC2 6 dp +1 dar d%2 «dl 5 TO LL > Di, (© a? + dv DEL'OACAA i9 (eg ico Ù D (1 ee ore — 159 — < Per dimostrarla si osservi che per 7=1, 7=2 sussiste certamente, come subito si verifica; onde basterà, col solito metodo di induzione, conclu- dere da 7 ad 7--1. Perciò supponiamo verificata la (I) e passando al caso di 7 +1 variabili 4 @2.. &, 4,41 cangiamovi v in e integriamo ri- spetto a 4,1 da @,41 2 B,-1. Se in ciascun integrale del 2° membro ese- guiamo un’ integrazione per parti rapporto a 4,+1 € all’integrale 72° che allora vi figura : Xr+1 Bi Bo ab, DO i “ DINI AU dI dl DOG DIA UST CAI da DC Cdn° sostituiamo il valore che si trae dalla (I) stessa, ritroviamo la formola me- desima cangiatovi 7 in 7 -- 1. Così la nostra formola è dimostrata in generale. IDE < Consideriamo ora una espressione lineare alle derivate parziali miste d'ordine 7 della forma du =" MII U = DIE (0) = Dia +) dn i dI dI . DIA "i dI DOG din Sono din olsie di, 1 1°2 VU “n ) Un i © irizi, dins, SAR PEZA dove i coefficienti @;,, %,i,... sono funzioni finite e continue, nel campo a 7 dimensioni delle variabili 1,2... 2, che sì considera, insieme alle loro deri- vate parziali miste (!). Come nella Nota precedente definiamo come compo- nenti di 2(u) e indichiamo col simbolo 95,4, le espressioni che si otten- sono da £(v) nel modo seguente. Separiamo in 2 (w) l’aggregato dei termini che contengono una determinata derivata, 7° dU di di, D00 dir (1) Propriamente, perciò che segue, basta che il coefficiente a » indici di,i,...i, AM- metta le derivate parziali miste rispetto alle variabili 4,1.» 2 fino all'ordine n—_r. — Boe — e le sue derivate; sostituendo in questo aggregato a quella derivata 7% la w stessa sì avrà l'espressione che indichiamo con 2}... e diciamo una com- ponente d'ordine 7r—r di 2(%). « Introduciamo inoltre l’espressione aggiunta ® (v) di 2 (4) definita dalla formola: SO (9) (Es v) D(v) = ENER To. S) ( di DEA (098, cos, DER5 no MITA AO, nn (dig c00 dI sa dTiz U bi (@ e VOIR Lo ua mi 3 A «i 44 (Dr 2 melsia7e) e della ®(v) consideriamo altresì le componenti ®/... dei varî ordini. « Supponiamo ora che v, v siano funzioni finite e continue delle varia- bili, insieme alle derivate parziali miste fino alle 2°, entro il parallelepi- pedo a 7 dimensioni Ki =}, La="0... Kn t= Bh dr = Pa. n= Pn « Prendiamo allora a trasformare, coll’aiuto della nostra formola (1), I (i io CIMIIEIIAIA deducendo il valore del termine generale B, 08, x" i ii fa de @ e Gal dla dB: È DE i, DEI ir appunto dalla (I), ove si cangi v in l'integrale 2° Otterremo così la formola : CARTE (II) | NL (7) dar dica... den + (UO) age | }; 1 alii n 2083 v (7) % 7 v 1 8, 08, 1 2 + N y (APE (1) Ja, È rg n, ASS ci ‘0) 407) QI € (1 i Oi, LI 2 NEI SF NI (Sf (02, (1) la, dari, di, “di diri Ci ISAIA ; FOSCA OA %. U B;, csì (uv)8, Ba 000 Ba Fassa “i (uDi.i,..i,(0))g, 8; 20 B; dai Ae 8, È; 4 | I; (UD;,...i, (0))g dic Uli, Mir 6 Tia; xi, TRUE (CB, (8; (pri i 19] "7 D;,(0)); dei did + CASI, i. DA Beba cb + (-1)° (1 uD (0) derdt2 ... dan - (01 o da, III. « Vogliasi ora trovare la soluzione regolare u della equazione Q (u) =} (1 3, L2 000 000 %)), (essendo F una funzione data delle x variabili) che sopra ciascuno degli iper- piani coordinati Crt si riduca ad una funzione arbitrariamente data delle rimanenti variabili Lig di, * È « L'esistenza di una tale soluzione risulta subito, come più volte ab- biamo ripetuto in queste Note, dall’applicare il metodo di Picard delle appros- simazioni successive. La formola (B) dà poi il modo di estendere alle % variabili il metodo di Riemann e in particolare di dimostrare così l'unicità della soluzione domandata. — 138 — « Perciò, volendo calcolare il valore di questa soluzione % in un punto qualsiasi (81 #:...#,), si cominci dal determinare la soluzione principale re- I lativa al punto (8; 8» ...8n) della equazione aggiunta (0) =0, cioè la soluzione regolare di questa equazione che viene definita dalle con- dizioni seguenti: essa deve soddisfare sugli iperpiani coordinati Mi = Pa alla rispettiva componente d’ordine a—1 sopra gli S,-, coordinati | vB, Li, = Bi, I alle rispettive componenti di ordine 2— 2 Di, ;, (0) =0 e in generale sopra gli S,_, coordinati | Vis Bi, 900 di, = Pi, alla componente d'ordine n — 7 Di, ;.-i. (0) =0, in fine sopra gli assi (Si) coordinati alle rispettive compo- nenti di 1° ordine i) Di isa, 0) = 0; da ultimo deve assumere il valore 4n0 nel punto (81f3.-Bn) (È). | « Supposto noto questo moltiplicatore principale v e sostituendolo | nella (II) avremo immediatamente i ap, (III) ONESTE | B B, i TO de 1 n= Uan! 23 Di GA. ie | n Ti, Tp NELL inni 8, ; p DA \ IIC) PANNO 7A (© Dia) i AL A (09;, $ dani È (o/ % , 1 () Si osserverà che, per la simmetria di queste condizioni, la soluzione principale di (0) = 0 è altresì soluzione principale di tutte le componenti Pi i3-i,(0) = 0 nel rispet- tivo spazio coordinato S,-,. — 139 — « Questa formola ci fa conoscere appunto il valore di % ini 00190) in funzione dei valori che « assume sugli iperpiani coordinati. Ne risulta che se y= 0 sugli iperpiani coordinati, sarà Bi b, Ba (CRI HO DUCA © è 09) CERA CA di Ha e però se F= 0 sarà dovunque u = 0, onde: Una soluzione regolare di Q(x)=F è perfettamente individuata dai valori che assume sugli iperpiani coordinati uscenti da un punto. « Suppongasi ora che nella (III) w sia la soluzione principale di Q(x) = 0 relativa al punto (a. @2...@,); la (IIT) diventa allora ()8, Be DO Ba = (CO). e ci dà il teorema di reciprocità di Darboux esteso alle x variabili. « Ne segue che: I due problemi di integrare l'equazione (0) =0 o la sua aggiunta D(0)=0 si equivalgono perfet- tamente. dave. « La formola generale (I) si applica egualmente ai sistemi di equazioni simultanee precisamente come nel caso del 2° ordine considerato nella Nota del dott. Niccoletti. « Essendo w,,%2...m, m funzioni delle 2 variabili 41,42... cOn sideriamo m espressioni lineari 0 della forma Di 2, dI MIO co dix k=m \ Ù $ el DE WE Di i, Î + D: x a, —1-+ Vas i +. pe, oi Î i DE So da DEA: IA k=1 i, DI (71004) + dl, e supponiamo di volere integrare il sistema \ O (271 Uè è è Um) = F, (<1 9 + + » ta). (A) I QO (unu. Um) = Fo (2122... dn) GO (UU Un) Pali CO) rr ‘essendo le F funzioni assegnate di 4,42... 4a, colla condizione che le solu- — 140 — zioni regolari %,w,...%n assumano ciascuna sopra ciascuno degli iperpiani coordinati Cr == x, valori dati ad arbitrio. Definiamo perciò le componenti dei varî ordini delle 29 separando in Q (vu... un) l'aggregato dei iermini che contengono le derivate 5” DÈ Uk = === (= IZ, 0040) VARIA ..-D23 essendo %,%...%s indici fissi fra 1,2... ele loro derivate, e sostituendo poi a ciascuna di quelle derivate s'° la %, corrispondente; l'espressione che così otteniamo sarà la componente (7) “dd 00008 « Similmente definiamo le espressioni aggiunte DO (0,02... Um) e le loro componenti @) Tdi Mio Om) « Il sistema di moltiplicatori principali vi Va... Um relativo al punto (8:82... 8») sarà definito dal dover soddisfare in tutto lo spazio al sistema aggiunto (VO) (eee 0 e sopra gli spazî coordinati Sn-3 uscenti da (8,2...,) alle rispettive componenti (1) ESE in fine di assumere in (f, #2...) un sistema prefissato di valori non tutti nulli. Per determinare la soluzione del dato sistema (A) colle assegnate con- dizioni ai limiti si dedurrà dalla (I) una formola che è la generalizzazione della (III) e da questa si ottiene cangiandovi v,v,F rispettivamente in 0, Fr e sommando da 7=1a 7=wm. Così sarà nota in (#1 #2...) la somma f.(01 0-0) 0 (TIRED Ux Vi kn vo + >> + Um Um e basterà scegliere 7 sistemi di moltiplicatori principali il cui determinante in (8182... fn) Sa diverso da zero per calcolarne linearmente %, wo. . - Um - — 14l - V. « Un complemento di qualche interesse al metodo di Riemann è dato dalle osservazioni seguenti. « Se della equazione 2 («) = 0 conosciamo la soluzione principale rela- tiva ad ogni punto dello spazio, potremo per quanto precede trovarne l’inte- orale generale colle 7 funzioni arbitrarie di n — 1 variabili ciascuna. Questo è ad esempio il caso della equazione DE U considerato nella mia prima Nota. « Supponiamo invece di sapere determinare soltanto la soluzione prin- cipale di (2) =0 relativa ad ogni punto dell’iperpiano 2, = @: allora del moltiplicatore principale relativo a qualsiasi punto dello spazio (8182... n) sapremo determinare, pel teorema di reciprocità, i valori che assume sul- l’iperpiano 3 (3) ò 00 {Ln Gan Un) ’ essendo @3,03...@, costanti qualunque, potremo determinare una trascen- dente intera in @: @ J)=it VE. RenpIconti. 1895, Vor. IV, 1° Sem. 19 — 142 — che coincida colla soluzione principale della (1) relativa al punto (0) 3.0 a 9) Poichè infatti nel caso attuale essa deve ridursi = 1 sopra ciascuno degli iper- piani coordinati uscenti dal punto (0,@...@,), basterà determinare nella serie (2) i coefficienti c, dalla relazione ricorrente vc, = BA 1) Lig onde Ger (4+P(4+29)...(f+(4—1)p) r 5, n Im vat DO RA « La serie a+) (4+2p.. (4+G—1p) di? on In all DO 30 J(C) =1+ y =] converge effettivamente in tutto il piano. Si osserverà che nel caso 2 = 2 l'equazione (1) è il tipo a cui può ridursi la equazione più generale a inva- rianti costanti h=q—p = qc « Particolarmente notevole è il caso g=—p ovvero h= 2% ove la equazione può integrarsi col metodo di Laplace. In tal caso la soluzione principale relativa ad un punto qualsiasi (@, @) è data dalla formola u= eP% WI 1 _ p(a,— (1 2). . ; d°U Bic 5 5 « Dopo l'equazione —__=0, è questo, per quanto io so, il caso dI dC più semplice in cui la determinazione della soluzione principale riesce com- pletamente ». Matematica. — Sulle operazioni funzionali distributive. Nota del Corrispondente S. PINCHERLE. « Molte fra le più importanti operazioni che, eseguite sopra una fun- zione analitica di una variabile, danno pure come risultato una funzione ana- litica, godono della proprietà distributiva; se cioè A ci rappresenta una tale operazione ed A(g) il risultato che si ottiene eseguendola sopra alla fun- zione g, si ha, indicando con w una seconda funzione (1) A(p+w)=A(9) + A(w) cui va unita l'uguaglianza A(cg)= cA(g), — 143 — dove e indica una costante. Tali operazioni verranno chiamate operazioni funzionali distributive, © la presente Nota ha per oggetto di esporre alcuni dei principî del loro calcolo. «1. L'operazione A si applichi ad una funzione analitica g(4) : il ri- sultato A(g) sarà funzione analitica di una variabile che, per non togliere nulla alla generalità, denoteremo con lettera diversa da / ed indicheremo con &; il che non esclude che per molte classi speciali di operazioni funzionali 4 si possa riguardare come coincidente con /. «2, Talvolta una data operazione funzionale A andrà applicata non a «qualunque funzione analitica ma soltanto a quelle di una determinata classe; questa classe si dirà allora costituire un Campo funzionale, e l'operazione A sì dirà applicabile in questo campo. « 3. Un'operazione A che, applicata ad una determinata funzione g(t), dà come risultato una unica funzione di %, si dirà ad un valore; quando invece l'operazione, applicata alla g(t), è suscettibile di più determinazioni, cioè può rappresentare più funzioni di x, essa si dirà 4 più valori. Una operazione a più valori quando si applichi alla totalità delle funzioni ana- litiche, può benissimo essere ridotta ad un valore qualora ci si limiti ad applicarla in un conveniente campo funzionale. « Nei $$ 4,5 e 6 seguenti, si tratterà sia di operazioni ad un valore, sia di operazioni applicate in un campo funzionale in cui siano ridotte ad un valore. < 4. Essendo A, B due operazioni che applicate alla funzione g danno rispettivamente come risultato le funzioni / ed /,, indicherò con A+5B l'operazione che applicata a 9g dà per risultato f+ /1. Questa nuova ope- razione si dirà somma delle operazioni A_e B; essa è ad un valore se A. e B sono tali, e gode della proprietà commutativa ed associativa. Manifestamente A+ B è un'operazione distributiva al pari di A e di B. « 5. Eseguendo sulla funzione l'operazione A, quindi sul risultato otte- nuto l'operazione B, si dirà di avere eseguito su g l'operazione BA, prodotto di A e B. Si scriverà dunque B(A(g)) = BA(9). « L'operazione BA è manifestamente distributiva al pari di A e B. « Il prodotto ... CBA di più operazioni funzionali distributive AB gode della proprietà associativa, ma non in generale della commutativa. « Sono evidenti le uguaglianze A(B+ 0) = AB+AC,(A+B)C=AB+BO. « Applicando al risultato dell'operazione A la stessa operazione A, si avrà l'operazione A®, applicando al risultato di A° l'operazione A e così — di — di seguito, si giungerà all'operazione A”, potenza (intera positiva) di A. È chiaro che An An—= AM Ù « Si indicherà con 1 l'operazione identità, l'operazione C cioè tale che C(9) =; ne risulta per ogni operazione A RO CA-A, « 6. Operazione 2uversa di A è una operazione A-! tale che se A(g)=/, sia A- (f)= , cioè tale che AA Je « Da ciò il significato dell'operazione A# anche per # intero negativo, come pure l'eguaglianza AQ=SIR « In generale, anche se l'operazione A è ad un valore, la sua inversa sarà a più valori. Basta a ciò che l'operazione A_abbia qualche radice, che esista cioè una funzione w(t) tale che sia A(0)=0; poichè se è A(g)=/, sarà anche A(p-+ @)=f e l'operazione A- (7) darà come risultato le fun- zioni p,04+@, ed in generale p+ co, essendo c una costante arbitraria. Reciprocamente, quando l'operazione A-! ammette più determinazioni, la dif- ferenza di due di esse è radice di A, cioè soluzione di A(g) = 0. « L'operazione A-! è distributiva, nel senso che fra le determinazioni possibili per A-(7-+/1) si trova la somma di una qualunque delle deter- minazioni di A7!(7) con una qualunque di quelle di A-!(/,). Ma se il campo funzionale delle % si limita opportunamente, potrà avvenire che anche l’ope- razione A-! si riduca ad un valore ed allora vale senz'altro, per essa, la legge distributiva (1). « 7. Essendo A un'operazione funzionale distributiva, si chiamerà derivata funzionale di questa operazione e si indicherà con A’ l’operazione definita da (2) A'(9)=A(t9) —cA(9). (1) Un esempio mi sembra opportuno a fare intendere in quale modo possa essere fatta l’accennata limitazione del campo funzionale. L'operazione A sia tale che le sue radici siano funzioni analitiche regolari entro il cerchio di centro #=0 e di raggio »; è facile determinare una simile operazione A, prendendola p. e. sotto la forma del primo membro di un’equazione differenziale lineare in t. Il campo funzionale in cui si prende g sia costituito dall'insieme delle funzioni analitiche regolari entro cerchi di centro t=0 e di raggi maggiori di y. Allora l’operazione A! (f), se ha per una data / una determina- zione nel campo funzionale indicato, ne avrà una sola, e per tali soluzioni A-! gode della proprietà distributiva. — 145 — « Indicando con C il prodotto dell'operazione A per B, cioè C= BA, sì avrà C— B'A+# BA', cioè alla derivazione funzionale è applicabile il teorema di Leibniz. Sia infatti A(g@))=w(), B(Y())= (2); sarà O" dato da BA (19 (0)) — BA (9(0) = BA (190) — ALAD \ 2 Sia ora una serie di potenze di e si formi A(7rg); si avrà per le formule precedenti A(n9)= Y cv A (09) = DolA+ ro ATL (not A" 4 +49) y=0 2 ed ordinando per A, A", A",.. si ottiene formalmente il risultato (6) A(cg)=7A(9) +74 ++ 4A TAO (9) + — 146 — che si può riguardare, nel calcolo funzionale, come l'analogo del teorema di Taylor nell’ordinaria teoria delle funzioni. « Ripetiamo che questo risultato è qui ottenuto come meramente for- male; per ogni singola operazione A sarà però sempre possibile di determi- nare campi funzionali per 77 e g, tali che in essi la formula precedente sia effettivamente applicabile. « Da questa formula facendo g=1 e cambiando 7 in g, funzione arbitraria, risulta l’altra (7) A(@)=A(1)g+A(1) A (1) ca ILA (1) n Aia analoga allo sviluppo di Maclaurin. Da essa risulta come ogni operazione di- stributiva A sia, nel campo funzionale in cui è valida la formula precedente, rappresentabile mediante una serie a coefficienti funzioni di 4 e procedente per le derivate successive della funzione arbitraria . 9. Veniamo ora a passare in rassegna alcune delle operazioni distri- butive più semplici, ed applichiamo le cose dette alla ricerca di una pro- prietà caratteristica per ciascuna di esse. «a) Moltiplicazione. — L'operazione che consiste nel moltipli- care una funzione arbitraria @ di 4 per una funzione data #(/), è evidente- mente distributiva; la chiameremo col nome di moltiplicazione per u(t) 0 semplicemente di mo/4#plicazione; lindicheremo poi con M, quando vorremo porre in evidenza la funzione moltiplicatrice, e quando ciò non sia necessario, semplicemente con M. In questo caso la variabile 4 coincide con /. Le ope- razioni M,, M,,, .... formano evidentemente un gruppo. La derivata di M sarà M'(g)=M (19) —{M(g) e poichè M(g) = ug, viene M—=0. « Inversamente, se A è una operazione la cui derivata è nulla, sarà A(ig) —zA(9g)=0, onde, posto A(1) = «(«), risulterà Air) 09) =): e per una funzione (7) rappresentata da una serie di potenze di 7, A(g() = g(4) (2); l'operazione A non differirà quindi dalla moltiplicazione. « L'operazione M gode pure della proprietà che (MA) = MA', come segue subito dal teorema espresso dalla (3). « Db) Derivazione. — Indicheremo con D l'operazione di derivazione, in modo che — 147 — Applicando la (2), troveremo per derivata funzionale di D la D'(g) =D ((9) —LD(9)= 9; talchè si può scrivere D'= 1. La derivata seconda funzionale di D sarà zero. « Considerando il prodotto MD, si vede, applicando la (3), che la sua derivata è la moltiplicazione M. « Se si cerca l'operazione A più generale la cui derivata seconda fun- zionale sia zero, si trova senza difficoltà che essa è A=MD+M,, essendo M ed M, operazioni di moltiplicazione. «c) Forme differenziali lineari. — L'operazione ASM DEN, D° SEM Dr, dove 40, 4, -.4 sono funzioni date, si chiamerà forma differenziale lineare dell'ordine r. Essa è manifestamente distributiva. Formando la derivata fun- zionale di F per mezzo della (2), e notando che D” (tg) —LD*(g) = m DE (9), si ottiene E —M, + 2M,, D+ 3M,,D° +4 M,, DU. Perciò la derivazione funzionale delle forme differenziali lineari si eseguisce colla stessa regola della derivazione ordinaria nelle funzioni razionali intere. « Applicando alla F la formola (6), sì ottiene (1) P (rg) = (9) + E (+ +71 (9, la quale, sviluppata che sia, dà una identità che, sotto un’altra forma, è nota fino dallo scorso secolo, e si trova spesso usata dal D’Alembert ( TWéorse des vents, théorie de la lune). « Si noti che la derivata funzionale 7 + 1% di F è nulla. Recipro- camente, se si cerca una operazione A tale che A+ sia nulla, si trova senza difficoltà che A è uma forma differenziale lineare dell'ordine 7 al più. « d) L'operazione 9. — Con 9 si rappresenta la operazione definita da 0(9()) = g(1+ 1). Formandone la derivata funzionale, sì ottiene 6 =0, ossia l'operazione 9 ha per derivata funzionale sè stessa (1). Reciprocamente d (1) In tutti i trattati si nota la formula simbolica edt per l'operazione 0; ossia, colle nostre notazioni, 6 = e”. È notevole .il fatto che a questa stessa espressione simbolica con- duce la proprietà espressa da 9" =, tenuto conto dell’altra D'= 1. — 148 — l'operazione più generale che abbia per derivata se stessa è la M0. Sia infatti A'=A, ossia A(fg) — «A(g)=A(9), posto A(1) = «(«), ne risulta A)=(#41)MT- AO) =@EEDE(E e quindi, essendo g(?) una funzione presa in un campo funzionale conve- niente (), A(g)=e(2)p(e +1). « Per l'operazione 6° sì ha (CO EZIZ per l'operazione 4 (differenza finita) si ha 4 =@; per la forma lineare alle differenze M,, + M, 0 M,,0°4+-.-4M,, 07, la derivata funzionale è M,,04+2M,,06°+---+7M,, 07. « e) La sostituzione. — L'operazione che consiste nel sostituire, in una funzione arbitraria g di /, alla / una funzione data w (#), è evidente- mente distributiva. La chiameremo col nome di sostituzione e l'indicheremo con Sy 0 semplicemente S, secondo che sarà o no necessario di porre in evi- denza la funzione u(/) che si sostituisce a /. Le operazioni Sy, ; Sw, -.- formano evidentemente un gruppo. « Si ha S(gw) = S(g) Sv), cioè l'operazione S è distributiva oltre che rispetto all’addizione, anche ri- spetto alla moltiplicazione; e questa proprietà è caratteristica per l'operazione S. Infatti, se A è tale che A(pgw) = A(g) A(w), ne risulterà, posto A(4) = @(4), che A(#*)=@"(x) e quindi, essendo (4) serie di potenze di ‘, A(g() = g(o(2)). « L'operazione S non può avere radici, onde segue che S7! è pure ad un valore. « La derivata funzionale di Su è data immediatamente da Sf = (LIS onde l'operazione S soddisfa ad una relazione della forma (8) S =48 (1) I campo funzionale è qui l'insieme delle funzioni regolari in un cerchio di centro t=0 e di raggio superiore all’unità. — 149 — dove 4 è una funzione data; una tale relazione si può chiamare un'equa- sione differenziale funzionale. Inversamente, ogni operazione soddisfacente ad un'equazione (8) è della forma MS; infatti dalla (8) risulta S(g) = (4) + 2) S(9). posto dunque S(1)= (4), viene SA=0(M)+2)e),... S(EeM=(A(0)+ 2)" (1) ed essendo g(f) una serie di potenze di /, S(p)= (Me) + 2) (2), Gn o «10. Si può proporre la ricerca delle operazioni funzionali commuta- bili colla derivazione. Queste operazioni formano evidentemente un gruppo. Sia A una tale operazione; posto A(1)= (x), verrà per la proprietà am- messa : DA(1) = «(@)=A(0) e supposta l'operazione A ad un valore e quindi A(0)=0, risulta «(2) = 6, indicando e una costante. Ne segue A) = CSA come si vede subito applicando la proprietà DA=AD, indi A)=T+act6; in generale A(f") sarà un polinomo razionale intero in #, tale che da « Tali polinomi sono quelli già studiati dal prof. Appell ('), e pertanto l'operazione A(g) non è altro che quella che egli definisce nel $S 12 della citata sua Memoria. Si ottiene dunque questo risultato, che il gruppo delle operazioni funzionali distributive commutabili colla derivazione è il gruppo delle operazioni di Appell (?) ». = nA(i). } Matematica. — Sulle superficie algebriche con infinite tras- formazioni projettive im sè stesse. Nota di Gino Fano, presentata dal Socio CREMONA. « Delle superficie (e in particolare delle superficie algebriche) con in- finite trasformazioni projettive in sè stesse si è occupato il sig. Enriques in una Memoria presentata al R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti (1) Annales de l’École Normale Sup, S. II, T. IX, 1880. (2) Cfr. la mia Memoria Sur certaines opérations ete. Acta Math., T. X, 1887, 20 RenDICONTI. 1895, Vor. IV, 1° Sem. — 150 — nel luglio del 1893 ('); e poco dopo (settembre-ottobre) esciva anche il 3° volume della Zheorie der Transformationsgruppen del sig. Lie, nella quale (cfr. pp. 190-198) sono determinate tutte le superficie (dello spazio ordina- rio) che ammettono un gruppo continuo almeno co di trasformazioni pro- Jettive, ed è anche accennata una via per fare l’analoga determinazione nel caso di un gruppo c0°. — In questa Nota io mi propongo di studiare le superficie algebriche di uno spazio qualunque, che ammettono un gruppo continuo (una o più volte infinito) di trasformazioni projettive (2), estendendo le diverse considerazioni anche al caso di omografie con punti uniti multipli, e completando così i risultati importantissimi già ottenuti (per lo spazio or- dinario) dal sig. Enriques. « 1. Sia F una superficie algebrica appartenente a uno spazio S,, la quale ammetta un gruppo continuo co! di trasformazioni projettive. Questo gruppo si potrà ritenere generato da una determinata trasformazione infini- tesima (3), e si comporrà quindi di omografie aventi tutte gli stessi punti uniti (punti che potranno essere in numero finito o infinito, tutti distinti, ovvero anche coincidenti in vario modo) (‘). Le trajettorie dei singoli punti dello spazio S,, e in particolare dei punti della superficie F, saranno Curve W ()); queste ultime contenute in detta superficie. La projettività (più generale) che ha gli stessi punti uniti del gruppo in discorso, e che fa corrispon- dere fra loro due punti qualunque P e P' dello spazio S,, muta anche la trajettoria di uno di questi punti in quella dell'altro (‘). Se questi due punti stanno in particolare sulla superficie F, la stessa projettività (supposto che (1) E inserta in quegli Atti, t. IV, serie 7°. Cfr. anche la Nota sullo stesso argo- mento inserta nel successivo t. V (1893-94). (*) Rimane quindi implicitamente compreso anche il caso di un gruppo misto di tras- formazioni projettive (di un gruppo costituito cioè da un numero discreto di schiere con- tinue di tali trasformazioni), perchè fra queste schiere certo una (e una sola) sarebbe di per sè un gruppo (continuo) (cfr. Lie, op. cit., vol. III, p. 180; e anche vol. I, cap. 18). Resterebbe solo da vedere quali fra i gruppi continui che a noi si presenteranno potreb- bero essere opportunamente ampliati (erwertert). (3) Infatti il gruppo delle trasformazioni projettive di uno spazio qualunque, che mutano in sè una data superficie contenuta in questo spazio, si compone evidentemente di trasformazioni a due a due inverse, e contiene perciò la trasformazione identica. Se è continuo, esso si potrà dunque generare con trasformazioni infinitesime (cfr. Lie, op. cit., vol. I, p. 75); se è misto, vi sarà, fra le diverse schiere che lo compongono, un gruppo (di trasformazioni a due a due inverse) generabile in questo modo (loc. cit., pp. 3815-16). (4) I eruppi continui co! di trasformazioni projettive dello spazio S, furono già da tempo ridotti ad alcuni tipi fondamentali, nei casi di 7=1 e r=2 (cfr. Lie, op. cit., vol. III; opp. Lie-Scheffers, Vorlesungen tiber continuirliche Gruppen ...; Leipzig, 1893). Per "= 3, la riduzione (a 13 tipi) fu data recentemente dal prof. Pittarelli (Ann. di Mat., ser. 2, t. XXII), (©) Cfr. Klein-Lie, Compt. Rend., t. LXX (1870); e Math. Ann., vol. IV, p. 50-84. (6) Cfr. Klein-Lie, Compt. Rend., t. LXX, p. 1226. — 151 —- muti precisamente P in P') dovrà mutare F in una superficie algebrica con- tenente la trajettoria di P'. Ma se le diverse trajettorie sono curve trascen- denti, se cioè è crascendente il gruppo co! proposto (secondo la denomina- zione usata dal sig. Enriques: Mem. cit., p. 5) è chiaro che nessuna di queste curve potrà stare su due diverse superficie algebriche; epperò la projettività considerata dovrà anch'essa mutare F in sè medesima. E poichè i punti P e P' sono affatto arbitrarî, se ne trae facilmente che: « Se una superficie algebrica (appartenente a uno spazio qualsiasi) ammette un gruppo continuo 2% TRASCENDENTE di trasformazioni projet- tive, essa ammetterà anche un intero gruppo transitivo o? di tali trasfor- mazioni, tutte fra loro permutabili (aventi cioè gli stessi. punti uniti di quel gruppo ©). «2. Nello spazio S3, queste superficie sono superficie W di Klein-Lie (Compt. Rend., t. LXX). In uno spazio superiore S,, sarebbero superficie projettantisi in queste da ogni S,-, che sia unito per le 00° omografie. Ma se le trajettorie considerate poc'anzi sono effettivamente trascendenti, queste su- perficie non potranno essere algebriche che nel solo caso in cui i punti uniti siano tutti distinti (o meglio, formino un gruppo appartenente allo spazio S, — non contenuto cioè in uno spazio inferiore —) (!). « D'altra parte, se il. gruppo co! proposto è algebrico, se sono cioè algebriche, quindi razionali, le diverse trajettorie, la superficie F_ conterrà un fascio di curve razionali (senza però che sia necessariamente razionale il fascio). Ma se i punti uniti delle co! omografie sono in numero finito, essi saranno o ancora tutti distinti (e indipendenti), oppure tutti coincidenti (e le trajettorie saranno in quest’ultimo caso curve normali di ordine 7); se vi sono infiniti punti, e quindi anche infiniti iperpiani e spazi inferiori uniti, bisognerà ancora che i diversi spazi di punti uniti 0 siano tutti distinti (e perciò indipendenti), oppure a due a due s) appartengano (ciascuno di essi contenga cioè quelli di dimensione inferiore, e sia contenuto in quelli di dimen- (1) Infatti, per 7=3, i sigg. Klein e Lie hanno osservato (Compt. Rend., t. LXX, p. 1223) che le equazioni di queste superficie si ottengono collo stabilire un’ equazione lineare fra certe funzioni delle coordinate, caratterizzate dal, comportarsi additivamente rispetto alle omografie del gruppo co ?, e che sono 0 funzioni algebriche, o logaritmi di tali funzioni (e precisamente di rapporti fra quelle funzioni lineari che, eguagliate a ;zero, rappresenterebbero le facce del tetraedro unito). L'equazione risultante non potrà dunque essere algebrica che quando dette funzioni siano 0 tutte algebriche, o tutte logaritmi. Ma nel primo di questi due casi le trajettorie dei diversi ‘sottogruppi 00! si trovano essere curve algebriche, e precisamente cubiche sghembe, coniche, o rette (cfr. Pittarelli, 1. c., $ 2. nn. 5,9, 11,13), mentre il secondo caso si presenta appunto quando vi sono quattro punti uniti distinti. e indipendenti. E se r>3, dovrà presentarsi il caso analogo per tutte le omografie subordinate nelle forme co* di iperpiani che hanno per assi i di versi Sr—« uniti, sicchè qui pure si verificherà quanto sopra abbiamo asserito. — 02 sione superiore — e, in particolare, coincida con quelli di eguale dimen- sione —) (1). « Riassumendo dunque, abbiamo: / soli gruppi continui projettivi sem- plicemente infiniti di uno spazio S,, che possono trasformare in sè stessa una superficie algebrica appartenente a questo spazio, sono quelli in cui o diversi spasi di punti uniti (0 in particolare è diversi punti uniti, se questi sono in numero finito) sono #u/t7 indipendenti (distinti — formano cioè un sistema appartenente ad S,—), oppure a due a due si appartengono (sono tutti coincidenti). /m quest'ultimo caso il qruppo è certamente alge- brico; nel primo caso può essere trascendente, ma allora la superficie ammetterà tutto un gruppo transitivo 0° di omografie permutabili. « Queste superficie con co ° trasformazioni projettive in sè stesse si po- tranno projettare su di ogni S3, che sia unito per dette trasformazioni, in superficie di equazione: tO , sù SINZRTAY Tiso Io ev Vos dove a14+-a,-+-@a3 + a,=0, e i diversi esponenti « sono proporzionali a numeri interi (e si possono ritenere anzi essi stessi interi). Dette superficie sono anche razzonali (cfr. Enriques, 1. c., pp. 13 e 38). « Invece sulle superficie con un gruppo algebrico co? di trasformazioni (1) Se i punti uniti sono in numero finito (e le trajettorie appartengone perciò allo spazio S,) questo segue dalle note proprietà delle curve razionali con infinite trasforma- zioni projettive in sè stesse (cfr. ad es. la mia Nota, Sopra certe curve razionali ....; questi Rend. p. 51 e seg.). Se invece le trajettorie sono contenute in spazi inferiori S,, (A<7), bisognerà analogamente che in ciascuno di questi Sx vi siano #-+1 punti uniti o tutti distinti (e indipendenti), o tutti coincidenti. Nel primo caso, al variare dello spazio Sx, varieranno alcuni almeno dei #41 punti doppi in altrettanti spazi di punti uniti; e il gruppo di questi stessi spazi, compresi eventualmente quei punti fra i 4-+1 che risul- tassero fissi, dovrà certo appartenere allo spazio S,,. perchè, se fosse contenuto in uno spazio inferiore, in questo dovrebbe anche esser contenuta la varietà costituita dagli 00! spazi Sx, e quindi la superficie F, la quale invece si è supposta appartenere allo spazio S,. Se invece in ogni Sx i #+1 punti doppi coincidono (le trajettorie sono quindi curve nor- mali di ordine #), per le diverse posizioni di quest’unico punto unito (forse variabile da un Sx all’altro) passerà un sistema di spazi di punti uniti, che a due a due si apparterranno : ma non potrà all’infuori di questi esservene nessun altro, perchè se no la varietà degli co! spazi Sx sarebbe contenuta nello spazio conjugato di quest’uno, e non potrebbe quindi la superficie F_ appartenere ad S,. L’equazione (di grado 7 +1), che si ha eguagliando a zero il determinante caratteristico di un’omografia generale del gruppo, dovrà dunque esser tale che ogni sua radice 4° annulli anche i minori di ordine 7—%+2 di questo determinante, oppure dovrà avere essa stessa una sola radice (--+1)P!2. Per la stessa omografia generale, il simbolo di Segre (Mem. di quest’Acc., ser. 3%, vol. XIX) sarà costi- tuito o da sole cifre 1, o da cifre qualunque riunite in un sol gruppo; quello di Predella (Ann. di Mat., ser, 22, t. XVII) da cifre qualunque, ma non riunite a gruppi, oppure anche tutte riunite in un sol gruppo. — 159 — projettive le trajettorie saranno curve razionali, su ciascuna delle quali sa- ranno noti razionalmente uno 0 (ciascuno di) due punti: i punti uniti comuni alle co! projettività su di esse. (Anzi, se le collineazioni considerate in S, non hanno infiniti punti doppi, questi punti saranno gli stessi per tutte le trajettorie). In forza dei risultati ottenuti dal sig. Noether (!), queste su- perficie saranno dunque riferibili birazionalmente a superficie rigate, o in particolare a coni (se già esse non sono tali) (?). Concludiamo perciò: « Le superficie algebriche che ammettono un gruppo continuo © di trasformazioni projettive sono tutte razionali, rigate, 0 riferibili a rigate (3). «3. Passiamo alle superficie (algebriche) con un gruppo continuo Collioti trasformazioni projettive. Anche a queste si applicherà naturalmente il ri- sultato testè ottenuto per le superficie con un gruppo 0! di tali trasforma: zioni. In particolare dunque, queste superficie saranno certo razionali, se fra le 00° trarformazioni ve ne sono co! formanti un (sotto)gruppo trascendente. Che se poi i sottogruppi co! sono tutti algebrici, e il gruppo proposto sì sup- pone transitivo, la rigata a cui la superficie potrebbe riferirsi (se già non è tale) conterrebbe, oltre le generatrici, infinite curve razionali, e sarebbe perciò essa stessa razionale. Dunque: « Le superficie algebriche con un gruppo continuo transitivo (due 0 più volte infinito) di trasformazioni projettive in sè stesse sono tutte razionali (4). (1) Cfr. la Mem.: Weber Flichen welche Schaaren rationaler Curven besitzen (Math. Ann., vol. III, p. 161-227). (2) Ad es., se le trajettorie sono curve razionali normali, e le c0! projettività su di esse hanno i due punti doppi coincidenti, basterà costruire una rigata le cui generatrici siano riferibili biunivocamente al sistema delle stesse trajettorie (il che è possibile in in- finiti modi), e projettare poi ciascuna trajettoria sulla generatrice corrispondente da uno spazio osculatore di opportuna dimensione nell’unico punto unito. (3) Per lo spazio ordinario, e nel caso di omografie coi punti uniti distinti, questo stesso risultato era stato ottenuto appunto dal sig. Enriques (Mem. cit., pp. 13-15). (4) Le superficie di uno spazio qualunque $, con gruppo intransitivo, due o più volte infinito, di trasformazioni projettive contengono come trajettorie wr sistema 00! di curve razionali normali, appartenenti, come è facile riconoscere, a spazi inferiori (perchè le omografie di un sottogruppo 0! generico devono avere certo infiniti punti doppi, quindi anche infiniti iperpiani uniti, nei quali le singole trajettorie dovranno esser contenute). Nello spazio Sz queste superficie si riducono ai soli coni (i quali ammettono un gruppo 00 4 di omologie, gruppo che è appunto intransitivo) e alle quadriche (che ammettono due gruppi intransitivi 00° di trasformazioni projettive, ciascuno dei quali muta in sè stesse tutte le generatrici di un dato sistema — va da sè però che questi due sono contenuti in uno stesso gruppo più ampio (00°) e transitivo —). Nello spazio Si vi è ad es. la rigata cubica, che ammette un gruppo intransitivo w0* di omografie aventi in generale il simbolo [(11) (111)] secondo Segre, ovvero [12] secondo Predella; e così via. E dalle rigate sì pos- sono anche ottenere altre superficie che ammettono un gruppo intransitivo di omografie, — 154 — « Fermiamoci ora sul caso di sole co? trasformazioni projettive. Se 1 punti uniti di queste omografie sono tutti fissi (le omografie quindi fra loro permutabili) avremo, nello spazio ordinario, le supericie W di Klein-Lie; negli spazi superiori, superficie di cui queste possono considerarsi come projezioni. Ma abbiamo già veduto (cfr. la 1° nota al n. 2) che, fra le pos- sibili disposizioni dei punti uniti, non vi sono che alcuni casi determinati, in cui queste superficie possono essere algebriche (1). « Se invece qualcuno dei punti uniti (che supporremo per il momento in numero finito) è variabile, esso descriverà una certa linea, trasformata in sè stessa dalle co? omografie del gruppo proposto (quindi una retta, o una curva razionale normale di ordine =7(?) — supposto che si tratti di super- ficie appartenente a uno spazio S,—); e quel punto sarà in ogni sua posi- zione unito per le omografie di un sottogruppo co? contenuto nel gruppo pro- posto. Ma, se questo sottogruppo è trascendente, la superficie considerata, supposta algebrica, dovrà ammettere tutto un gruppo co? di omografie per- mutabili, con quegli stessi punti uniti; complessivamente dunque, infiniti gruppi co? formanti una serie continua, e perciò almeno co trasformazioni projettive. Volendo dunque restare nel caso di sole co? omografie, ciascuno di quei sottogruppi co! dovrà essere algebrico, e avrà perciò i punti uniti 0 tutti distinti, o tutti coincidenti. Ma anche quest’ultimo caso è da esclu- dersi, perchè uno almeno dei punti uniti deve essere fisso (e allora si ri- cadrebbe nel caso dei punti uniti fissi, tutti coincidenti); rimane dunque il solo caso dei punti uniti distinti. « Nessuna difficoltà poi nel caso in cui vi siano, per ogni trasforma- zione del gruppo, infiniti punti uniti (omografie assiali, ecc.). Se i punti uniti variabili sono isolati, si può ripetere ancora lo stesso ragionamento. Se invece vi è un S di punti uniti variabile, esso descriverà una serie ra- zionale 0! di Sx, sulla quale le 00° omografie del gruppo opereranno come sui punti di una curva. Vi dovrà dunque essere un Sy unito fisso, comune alle 00° trasformazioni, e distinto perciò (in un’ omografia generale) da quello applicando ad esse trasformazioni Mrazionali, le quali mutino il gruppo di omografie rela tivo alla rigata in un gruppo di omografie dello spazio a cui appartiene la nuova superficie (e per questo è necessario e sufficiente che le omografie considerate nel primo spazio mutino in sè stesso il sistema lineare di curve segato sulla rigata dalle varietà che cor- rispondono agli iperpiani del secondo spazio). (1) È notevole, nello spazio ordinario; il caso di un solo punto unito (quadruplo); troviamo allora la rigata cubica colle due direttrici rettilinee infinitamente vicine (cfr. Klein-Lie, Compt. Rend., t. LXX, p. 1224). Sappiamo però che questa superficie (rigata di Cayley) ammette tutto un sruppo co? di trasformazioni projettive (cfr. Lie, op. cit., vol. III, p. 196; Enriques, Atti Ist. Ven., ser. 72, t. V). (2) E su questa retta o curva razionale vi dovrà sempre essere anche un punto unito fisso, comune cioè a tutte le 00° omografie (cfr. Enriques, Mem. cit., p. 18). — 155 — variabile; e ciò richiede appunto (i sottogruppi co! dovendo qui pure essere algebrici) che il sistema di tutti i punti uniti appartenga allo spazio S, (cfr. n. 2). « Concludiamo dunque: Se una superficie algebrica appartenente 4 uno spazio qualsiasi ammette un gruppo 2° (e non più) di trasformazioni projettive a punti uniti variabili (ovvero anche: se ammette un gruppo co ° di trasformazioni projettive, e non è una superficie W 0 una delle super- ficie analoghe negli spazi superiori), un omografiu generale di questo gruppo dovrà sempre avere i punti doppi tutti distinti (0, più generalmente, %/ gruppo costituito da questi punti doppi, în numero finito 0 infinito, dovrà sempre appartenere allo stesso spazio della superficie proposta). «Il solo caso possibile è dunque l'analogo di quello che il sig. Enriques ha già trattato per 7=3, e non sarebbe difficile estendere le sue conside- razioni a uno spazio superiore qualsiasi (vi sarebbe solo, naturalmente, un numero corrispondentemente maggiore di casi da esaminare) (!). Per 7=3 quindi, tutte le superficie algebriche con (sole) 0° trasformazioni projettive rientrano nelle categorie seguenti (Mem. cit., p. 44): a) Superficie di Klein-Lne; b) Rigate (di ordine =4) con due direttrici rettilinee infintamente vicine ; c) Superficie contenenti un fascio di coniche, segate dai piani per una retta; d) Superficie di 6° ordine a sezioni ellittiche, rappresentabili sul piano con un sistema lineare di cubiche aventi a comune un fiesso e la re- lativa tangente. « 4. Le superficie dello spazio ordinario con 00 o più trasformazioni projettive sono state già determinate dute nell'op. cit. del sig. Lie e nella Me- moria del sig. Enriques (compresa la Nota successiva cit.). Astrazion fatta dal piano e dai coni (che ammettono tutti almeno 00‘ trasformazioni omologiche), non vi sono che le tre superficie seguenti: a) Sviluppabile (di 4° ordine) circoscritta a una cubica sghemba; D) Rigata cubica di Cayley; entrambe con 00 trasformazioni projettive; e infine: (1) Bisognerebbe però limitarsi, per il momento, alle sole superficie algebriche, mentre le ricerche del sig. Enriques, nel caso di almeno co? trasformazioni projettive, comprendono anche le superficie trascendenti. Però il gruppo 00° di omografie che si con- sidera deve sempre avere qualche punto unito fisso, e da questo punto (o dal sistema di questi punti) la superficie proposta si potrà projettare in altra di uno spazio inferiore, che ammetterà pure 00? trasformazioni projettive. E questa considerazione, che qui non intendo sviluppare, ma che certo deve riescire assai utile, permetterebbe di comprendere nella ri- cerca anche le superficie trascendenti (prendendo le mosse dai casi già noti nello spazio ordinario). => 150 = c) La quadrica (superficie di 2° ordine), con c0° trasformazioni projettive in sè stessa. « Per uno spazio qualunque S, la ricerca analoga riescirebbe piuttosto lunga, essendo molti i casi che possono presentarsi. Così p. e. è chiaro, che le diverse superficie rappresentabili sul piano col sistema lineare di tutte le curve di un dato ordine qualsiasi, devono ammettere tutte un gruppo con- tinuo 003 di trasformazioni projettive. « Abbiamo veduto però (cfr. n. 3) che ogni superficie algebrica, la quale ammetta un gruppo continuo transitivo di trasformazioni projettive, si può rappresentare sul piano; e in questa rappresentazione le sue sezioni piane da- ranno luogo a un sistema lineare di curve algebriche, che verrà trasformato în sè stesso da un certo gruppo continuo di trasformazioni Cremoniane. Inver- samente, ogni sistema lineare almeno 0c0 8 di curve algebriche piane, che sia unito rispetto a un gruppo continuo di trasformazioni Cremoniane, potrà as- sumersi come rappresentante di una superficie algebrica (razionale) con un gruppo continuo di trasformazioni projettive in sè stessa. i « Il sig. Enrigues ha dimostrato (') che i gruppi continui di trasforma- zioni Cremoniane (dipendanti da un numero finito di parametri) possono ri- dursi birazionalmente a uno dei /ipî seguenti : 1°) Gruppo co delle omografie, e suoi sottogruppi; 2°) Gruppo 2° delle trasformazioni quadratiche che mutano in sè due fasci di raggi (ovvero: gruppo delle inversioni rispetto ai circoli del piano), e suoi sottogruppi; 3°) Gruppo 0"*" (con n arbitrario) delle trasformaziom di Jon- quières (d'ordine n) che mutano in sè il sistema lineare co"*% delle curve d'ordine n con un punto base (1—1)M° e le n—1 tangenti fisse , € suoi sottogruppi. « Possiamo dunque dire, in generale, che ogni gruppo continuo transi- tivo di trasformazioni projettive, il quale muti in sè stessa una superficie algebrica, deve essere simiLe @ un gruppo di omografie nel piano, oppure a un gruppo di omografie che muta in sè stessa una quadrica dello spazio Ss, o un cono razionale normale di uno spazio qualsiasi. « Fra questi gruppi, quelli che rientrano nei primi due casi sono già stati tutti assegnati e più volte studiati. Del gruppo 3°) (gruppo c0”* di trasformazioni di Jonquières) lo stesso sig. Enriques ha assegnata la com- posizione in una Nota successiva (2), dimostrando in particolare ch' esso contiene #76 (e tre soli) sottogruppi eccezionali (di cui uno 00”*? composto di sole omologie, e un altro co”*! composto di sole omologie speciali) ». (3) Cfr. questi Rend., vol. II, 1° sem., p. 468. (2) Ibid., p. 532. Elettricità. — Sulla costante dielettrica di alcune sostanze e particolarmente del vetro. Nota di D. Mazzorto, presentata dal Socio BLASERNA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Meteorologia. — / temporali in Italia. Nota del dott. M. SaccHI, presentata dal Socio TACCHINI. « Incaricato dal Direttore dell'Ufficio Centrale di Meteorologia di ese- guire uno studio completo sui temporali in Italia, dal punto di vista della climatologia, poichè troppo poco erasi fatto in Italia in questo campo, ri- conobbi dapprima la necessità di studiare separatamente gli elementi che concorrono a fornire il concetto di attività temporalesca, essendo essi dispa- ratissimi e quindi non assimilabili fra loro; e credetti di incominciare con uno studio accurato della frequenza, riservando a successivi lavori di associare a questo gli studî degli altri elementi. « Lo studio della frequenza è di già compiuto per un novennio per la Liguria e per la provincia di Cuneo, ed è giù molto avanzato per il resto del Regno, ed estendibile a un decennio almeno. La suddivisione del terri- torio è in provincie o in piccoli gruppi di provincie, quando queste siano limitrofe e troppo scarsi i dati per qualcuna di esse; e la suddivisione del tempo, fatta per determinare l'andamento annuo medio, è in settimane. «Il lavoro venne diviso in due parti; nella prima si ebbe di mira la determinazione, per le singole annate, della frequenza media nei vari terri- torî, e, per tutto il novennio (1880-1888), la media dei precedenti valori e quelle spettanti ai luoghi più e meno colpiti di ciascun territorio; nella se- conda parte si ebbe di mira la determinazione dell’andamento annuo medio della frequenza mediante valori settimanali. « Per la prima determinazione servirono solo le notizie delle stazioni che fecero, durante un anno almeno, servizio regolare; e si limitò la ricerca ai soli temporali definiti da tuoni, accompagnati o ne da precipitazione, e da lampi, quando questi siano contemporanei alla precipitazione. Per la se- conda servirono tutte quante le notizie comunque raccolte; e poichè. stante la variazione di anno in anno subìta dal numero e dalla diligenza degli osservatori, non erano confrontabili fra loro i valori settimanali ed annui delle diverse annate, e tanto meno quelli di territorî diversi, venne applicata “ai numeri relativi ad ogni annata una correzione dipendente dai valori della frequenza precedentemente calcolati per i singoli anni. Questa correzione fu RenpICONTI. 1895, Vol. IV, 1° Sem. 21 vi — 158 — fatta sostituendo ai valori rappresentanti le somme di osservazioni fatte nei singoli anni, i corrispondenti valori calcolati per la frequenza, ed alterando in proporzione quelli rappresentanti le somme settimanali. Per tal modo l'unità viene a rappresentare una osservazione fatta da una stazione arbitra- riamente scelta, o, per meglio dire, da una stazione ipotetica nella quale la frequenza dei temporali sia la media dei valori che la frequenza ebbe real- mente nei varî punti della regione considerata e nei singoli anni; così un valore settimanale espresso dal numero 1 potrà corrispondere al caso che tutta la regione sia stata, in quella settimana, colpite una volta, oppure la metà della regione due volte, e così via; e un valore settimanale espresso da un numero frazionario, come 0,5, si potrà interpretare nel modo più ovvio di- cendo che una metà del territorio venne, in quella settimana, colpito. Inoltre la seconda determinazione riguardò non già, come la prima, la sola frequenza dei temporali complessivamente, ma anche quella dei temporali con precipi- tazione, che sono i più, e quella dei temporali con grandine sul luogo d'os- servazione. « Sì aggiunga ancora che, valendosi dei numeri di questa seconda deter- minazione, si potè stabilire anche la grandinosità relativa media per ciascun anno, quella per tutto il novennio o normale, e l'andamento annuo per set- timane di essa; intendendo, per grandinosità relativa, il rapporto fra il nu- mero delle notizie di grandine e quello dei temporali con precipitazione per lo stesso luogo e nel medesimo intervallo di tempo. « Keco i risultati principali, che nel lavoro giacente nell'Ufficio sono esposti con ordine diverso : I. — Valori annui medi della frequenza e valori normali. | | | 4 | 1880 | 1881 | 1882 1883 | 1884 | 1885 | 1886 | 1887 | 1888 |\normale| 2°, | ! LIGURIA Il | Temporali. . ..|18.6 | 22.0 | 27.3 | 30.7 | 28.6 | 28.8 | 30.38 | 26.4 | 27.4 ||26.7 |100.0 Temp, con prec. | 17.5 | 19.6 | 24.8 1 25.8 | 26.1 | 24.9 | 27.2 | 23.8 | 24.1 |[23.6 | 88.6 Grandine . ....| 4.75 | 3.93 301 5.94| 5.47] 5.93] 7.48] 6.50) 5.36|| 5.36 | 20.09 | PROVINCIA DI Cuneo I Temporali. ...| 25.5 | 27.8 | 29.2 | 27.8 | 33.6 | 22.7 | 24.6 | 22.3 | 23.8 [| 26.4 |100.0 Temp. con prec. | 24.6 | 23.1 | 24.4 | 24.2 | 30.4 | 20.5 |22.9 | 21.3 | 20.8 [23.6 | 89.4 Grandine . ...| 5.54| 5.56] 4.68 Sal 7.06) 4.75] 6.37| 5.54| 6.69|| 5.66 | 21.47 — 159 — Il. — Grandinosità relativa media dei temporali în valori percentuali. 1880 | 1881 | 1882 | 1383 | 1884 | 1885 | 1886 | 1887 | 1888 || normale ale ie TIGURIA. . «+. 27.1) 20.0| 18.4| 21.9| 20.9] 23.9] 27.4| 27.8] 22.3) 22.7 Prov. DI SPE) 22.6| 24.1| 19.2) 19.9] 23.2) 22.3| 27.8] 26.1| 32.1] 240 « La frequenza media normale dei temporali è adunque poco diversa nei due territorî, ed è circa 27 temporali con cinque o sei grandinate all’anno; e i temporali della provincia di Cuneo appaiono un po’ più grandinosi di 3 quelli della Liguria; ma, come è facile rilevare dalle forti diversità che pre- sentano i valori annui, occorre certamente un numero di annate alquanto maggiore per stabilire dei valori normali buoni. Ai dati ora esposti è bene aggiungere quelli ottenuti prendendo, per ciascun anno, il numero di osser- vazioni della stazione che fu in quell’anno maggiormente colpita; la media di tali numeri massimi fu per la Liguria di 44,6 temporali, e per la pro- vincia di Cuneo fu di 39,1; la stessa operazione fatta coi numeri minimi diede per la Liguria 14,0 e per la prov. di Cuneo 17,2; la maggior difte- renza, che mostrano tali valori estremi per la Liguria in confronto di quella dei valori relativi all’altro territorio, è ben naturale a motivo della molto maggiore estensione che la Liguria occupa (da W a E), e della sua più varia struttura ed esposizione. De i { — 160 — III. — Valori settimanali medi e andamento annuo normale. CE Li Gu RI Prov. DI CunEO | 2 SA o) Si) 3 = DD 3) 1 0.08 | 0.03 | 0.000 | 0.0 || 0.00 | 0.00 | 0.000 : 2 0.17 0.16 0.040 25.9 0.01 0.01 0.000 0.0 3 0.11 0.10 0.065 65.6 0.00 0.00 0.000 _ f 4 0.17 0.16 0.090 55.9 0.03 0.03 0.000 0.0 5 0.00 0.00 0.000 — 0.00 0.00 0.000 —_ 6 0.00 0.00 0.000 — 0.01 0.01 0.000 0.0 ti 0.23 0.17 0.043 25.0 0.03 0.01 0.000 0.0 8 0.17 0.13 0.022 17.1 0.01 0.01 0.000 0.0 9 0.27 0.26 0.105 39.7 0.15 0.12 0.072 59.9 10 0.13 0.13 0.000 0.0 0.02 0.01 0.000 0.0 Il 0.04 0.04 0.026 61.0 0.01 0.01 0.010 | 100.0 12 0.26 0.24 0.134 55.8 0.35 0.28 0.100 35.8 13 0.30 0.25 0.151 60.4 0.16 0.11 0.041 37.1 14 0.23 0.20 0.103 52.6 0.53 0.48 0.199 41.4 15 0.51 0.46 0.269 58.7 0.44 0.38 |: 0.138 36.4 16 0.41 0:34. | OMPSU 37.3 || (0174 | (0/62/0879 ela 17 0.13 0.11 0.038 Zog 029 | 024 0.065 27.1 18 0.37 0.3 0.148 44.7 0.48 0.42 0.160 58.0 19 0.41 0.40 0.063 15.9 0.42 0.41 0.151 36.9 20 0.60 0.51 0.197 38.4 0.71 0.62 0.264 42,6 21 0.68 0.64 0.196 30.9 1.24 1.12 0.369 95.0. 22 0.68 0.64 0.078 12.2 1.08 0.94 0.197 21.0 23 1.24 1.17 0.295 25.1 2.87 2.09 0.609 29.1 24 1.03 0.92 0.131 14.3 1.10 1.01 0.228 22.5 25 0.71 0.67 0.208 30.9 1.06 0.96 0.199 20.6 26 1.45 1525 0.148 11.9 2.21 1.93 0.393 20.4 DI 0.43 0.35 0.028 8.2 1.18 1.08 0.137 207 28 0.61 0.49 0.023 AN 1 1.29 0.211 16.3 29 1.00 0.80 0.205 25.6 1.26 1.12 0.273 24.3 30 0.81 0.70 0.183 26.0 0.93 0.80 0.209 26.2 s1 1.11 0.94 0.203 QI 1.81 1.18 0.234 19.8 32 0.51 0:32 | ‘010S5MN27/0 I (0:68) | 0:54 Molo67A o 33 1.06 0.86 0.113 Tel | IO 0,92 0.155 16.8 | Sd 0.99 0.81 0.098 12.0 0.64 0.58 0.074 12.8 95 1.56 1.45 0.195 13.5 1.21 1.15 0.203 ISU DE LIGURIA | Prov. DI CunEO BE P = S o g | 2 US 5 i | 2 SN to Do) s = 4 50 to St e 2 20 0.929 0837 10.085.102 ai nos Mose Nooo zio | 063055 008 152 38. 084 | 072 | 0040 56 | 017 Mole 0025) 156 39 088 | 077 | 01] 145) odo: | 0026/75 40 | (079 | 072 | 0194 | 270 | 0.29 |roz4 | 0091] 379 41 Moio oss (10/302) 345 | 085035 | 0125 | 357 OR Moi Mo o 23050) 0.110 0.050] 457 43 | o61 | 058! 0.108 206 | 017 | 016! 0010! 64 | 44 | 018% 012 | 0065) 561 || 0030003 | 0000) 00, 45 058 Moss | Vo:l35 2330) 0.138M0013 0.018) 13.6) 46 | 006 | 0.05 | 0.017 | 339 000 | 000 | 000) — 47 0.05 0.03 0.021 | 733 0.00 000 | 0.000 — 48 0.35 0.54 0.116 85.1 0.06 0.04 | 0.000 0.0 49 0.14 | 0.12 | 0.016 | 13.2 || 0.01 | 0.01 | 0.000 0.0 50 0.14 | 0.13 | 0.041| 316 || 0.00) 0.00 | 0.000 — 51 0.03 | 0.08 | 0.008 | 23.1 || 0.00 | 0.00 | 0.000/ — 52 0.02 0.02 | 0.000) 0.0 || 0.00 | 0.00 | 0.000 Di « Tralasciando diverse considerazioni e determinazioni di minor conto, nonchè la enumerazione dei riguardi che si ebbero per rendere il metodo rigoroso, quanto è possibile, in una ricerca poco precisa per sua natura, come è questa; e tralasciando anche di produrre le rappresentazioni grafiche co- struite coi numeri della tabella III, si dà qui soltanto un cenno di ciò che la tabella stessa esprime e che, dalle rappresentazioni grafiche, risulta evi- dentissimo all'occhio del lettore. « Nella Liguria, dopo due epoche di radi temporali, dal 7 al 28 gen- naio e dalla metà di febbraio ai primi di marzo, si presenta un primo pe- riodo temporalesco sensibile, comprendente l’ultima decade di marzo e le prime due di aprile, e notevole solo per tanta grandinosità da rendere la frequenza effettiva della grandine quali pari a quella dei più importanti pe- riodi temporaleschi che si succedono nel corso dell'anno. A questo periodo, dopo una breve sosta di una settimana (la 17* dal 23 al 29 di aprile) o poco più, ne segue uno più importante comprendente i mesi di maggio e giugno; le settimane più degne di nota sono la 23% (4-10 giugno), per la ‘grande frequenza complessiva e per la grandine, e la 26* (25 giugno-1 luglio) — in notevole solo per la frequenza complessiva. Seguono poi due settimane, di debole attività temporalesca e di scarsissima grandine, corrispondenti alla prima metà di luglio ed accennanti a quel minimo di luglio che risulta tanto manifesto per l'Italia centrale e meridionale, dagli studî di Ettore Fer- rari. Poi si hanno tre settimane di sensibile frequenza così per i temporali come per la grandine (16 luglio-5 agosto), e quindi, dopo una (6-12 agosto) di debole frequenza ma di non trascurabile grandinosità, si ha, fino alla 37? (13 agosto-16 settembre), il periodo di maggior precipitazione temporalesca, sebbene di scarsa grandinosità. Nel periodo successivo continua, dopo la: 382 settimana (17-23 settembre), che segna un minimo della grandinosità, ad essere sensibile la precipitazione temporalesca fino alla 41 (cioè fino alla metà di ottobre), e in pari tempo la grandinosità segna un rapido e notevole aumento. Dopo quest'epoca tutti i valori decrescono, un po' irregolarmente, fino a ridursi quasi nulli nella così detta estate di s. Martino che segue all'11 di novembre. Chiudono il periodo annuo i radi temporali che hanno luogo dagli ultimi giorni di novembre alla metà di dicembre. Le epoche di minima attività temporalesca sono così dal 29 di gennaio all’11 di febbraio (5* e 6° settimana), dal 5 al 18 di marzo (10% e 11), dal 23 al 29 di aprile (172), dal 1° al 15 di luglio (27* e 282), dal 6 al 12 di agosto (322), dal 12 al 25 di novembre (46% e 472), e dal 17 dicembre alla fine dell’anno (51% e 522). « Nella provincia di Cuneo sono quasi assolutamente trascurabili i pe- riodi invernali, i quali, del resto, corrispondono, per l'epoca, a quelli della Liguria, e i temporali si trovano addensati principalmente nel periodo che corre dalla seconda metà di maggio ai primi di agosto, presentando i valori maggiori della frequenza nel mese di giugno; prima di quell’epoca principale se ne presenta un’altra, specialmente notevole per la grandine, dal principio di aprile a poco dopo il 20 di questo mese, e presentante un massimo di frequenza e di grandinosità nella 16? settimana (16-22 aprile); e all’epoca principale ne seguono due altre, delle quali una, con poca grandine, ha la sua massima attività tra la fine di agosto e il principio di settembre (35* set- timana), e la seconda, di temporali meno frequenti ma più grandinosi, nella prima metà di ottobre. È degna di nota, per la provincia di Cuneo, la 28? set-. timana (4-10 giugno) la quale per otto anni consecutivi presentò un mas- simo di frequenza rispetto alle due settimane laterali, e solo in uno (il 1880) ebbe una frequenza un po’ minore di quella della 22% per i temporali e un po maggiore per la grandine; i valori ottenuti per la 23? sono più grandi di tutti quelli delle altre settimane, ed esprimono che in media il territorio di Cuneo viene in quell'epoca visitato daitemporali con tal frequenza, da equi- valere al fatto che ogni punto venga colpito più di due volte da temporali con pioggia, e ben più della metà del territorio venga coperto dalla gran- dine. Anche la 26? settimana, corrispondente alla fine di giugno; è notevole — 163 — per la frequenza dei temporali; e ad essa segue, solo leggermente accennato e limitato alla prima settimana di luglio, il minimo che assal marcato compare in Liguria e che, come già si disse, è caratteristico per tutta l'Italia propriamente peninsulare e' per le isole. « Inoltre, mentre nella Liguria la grandine ha presso a poco la me- desima frequenza nella prima e nella seconda metà dell’anno, per la pro- vincia di Cuneo è sensibilmente più frequente nella prima metà. « Si noti ancora che in Liguria si presentano nell'estate (dalla fine di giugno fin quasi alla fine di agosto) in gran numero temporali senza pre- cipitazione, mentre nella provincia di Cuneo la frequenza relativa di questi è più costante nel corso dell’anno. L'epoca in cui essi sono più rari, o, in altri termini, in cui i temporali dànno più facilmente precipitazione, è dalla fine di agosto alla fine dell’anno, per entrambe le regioni. «E da ultimo si osservi che la grandinosità relativa ha, malgrado la grande diversità nella ripartizione annua dei temporali, un andamento abba- stanza simile in Ligura e nelle campagne di Cuneo; per non dire dei gruppi estremi, per i quali i valori della grandinosità sono poco sicuri, essa è molto forte in primavera e va decrescendo durante il principio dell'estate fino ad un notevole minimo che si presenta in principio di luglio; cresce poi e si mantiene abbastanza alta nella seconda metà di luglio e nel principio di agosto, riprende quindi valori molto bassi fino alla seconda metà di settembre, e sale da ultimo ancora a valori sensibilmente alti in corrispondenza del- l'interessante periodo temporalesco che si presenta in ottobre intorno alla 41° settimana. Le diversità nei valori della grandinosità sono maggiori per la Liguria, cosicchè per questa regione sono più spiccati i tre massimi ora detti e i due minimi che li separano; e le notevoli e brusche variazioni dei suc- cessivi valori settimanali sono in gran parte da attribuirsi alla brevità del tempo considerato, e si può pertanto ragionevolmente ritenere che in avve- nire si possa arrivare a una buona conoscenza dell'andamento della gran- dinosità. « La presente Nota deve considerarsi come un saggio delle ricerche, già bene inoltrate, che si vanno facendo nell'Ufficio Centrale di Meteorologia, per tutto il Regno; e come una base per altre ricerche da compiersi, già in parte avviate e riguardanti specialmente il pericolo che la grandine pre- senta per l'agricoltura ». Chimica. — Sugli acidi Di-santonmosi. Nota preliminare di Ame- RICO ANDREOCCI, presentata dal Socio S. CANNIZZARO. «In una mia Nota('!) comunicai come per l’azione del cloruro ferrico l'acido destro-santonoso si trasformia nell’acido di-santonoso, secondo la seguente equazione : DINO OH 20: (cHUESit00n Cono Mu k OH CHER (cH)È coon + 2Fe 01° + 2H01 lion C°H" nz > bas % al SRL Za =(0, « Se sì cerca di porre il primo di delle (2) sotto la forma SM, d3N 3 TS a (3) — pian Y SN — E dei dé dove M ed N sono funzioni lineari omogenee delle z;, —, — dd dY Ly l N TO ZIA Mz SA rn ; = ociHd(0— su Th) ur= 0 ER AD dd dY e corrispondentemente si hanno per s ed N i valori U praet (0) 23 dY dY LESS esi RR DA N Dri Uk fi Jo ; sa da D 2, « Il sistema (5) si dirà l’aggiunto del sistema (1): come è chiaro dal modo di costruzione, la relazione tra i due sistemi (1) e (5) è involutoria; uno dei due sistemi (1) e (5) è l'aggiunto dell'altro. «3. Applichiamo queste formule ad una nuova dimostrazione del 1° teo- rema. Sia perciò A il punto in cui si vogliono calcolare gli integrali <; e ABC il triangolo curvilineo che si ottiene conducendo dal punto A. le paral- lele AB, AC agli assi #4 ed y fino ad incontrare la curva C. « Se le funzioni <; soddisfano alle (1) e le %; sono un sistema integrale particolare delle (5), sarà c A {cu — Nda)= | Mdy+ | (Mdy— Ndx)— | Nda=0. CBA A arco CB B — 199 — Ora per le (6) (pray 5 SI (ui 21) 3; > (ui; 2:) .-(2s( Dr gi Si — Dia, O) dy I -{ Nda = 3> (27 I) DINI DI 2 (0% Gia +( s( Si ( STA, n) da k dove si è indicato in generale con gr il valore della funzione nel punto P. « Quindi se le funzioni %; sono state determinate in modo che sia Dai — D bu dn 0 lungo il tratto AB | 7 k | (7) di _S 1 | —=—- 7 Giu=0 lungo il tratto AC dY k i (il che è possibile mediante il metodo delle approssimazioni successive) si ha la formula notevolissima (8) DI (ti ep (wi 8) + D (07 co + | (May — Nada). arco CB Ne segue che se si determinano x sistemi integrali delle (5) (9) Mano Up covo Unas prg (ES Uon, 3 «SR SM nale Unn (il primo indice riferendosi al sistema integrale, il secondo alle funzioni) che soddisfino alle condizioni (7) e che prendano nel punto A valori, il cui determinante sia diverso da zero, avremo le formule (0) I (aus) = II (us) + (ss) + | (My — N, 40) arco CB dove 1 de Uni M.—2 ar Uk ur 5) —_ gi Li NE =D bu Unico pa ( diga) e l indice 7 prende tutti i valori da 1 fino ad x. I « E poichè in questa ipotesi i secondi membri delle (10) Gintama tutte quantità conosciute e le (10) stesse possono risolversi rispetto alle zia, otteniamo di nuovo la dimostrazione del 1° teorema già accennato. Di qui risulta anche l'unicità delle funzioni <;, integrali delle (1), che soddisfano alle condizioni iniziali assegnate. 200 — « Le funzioni v,;, dovendo soddisfare lungo i tratti rettilinei AB, AC alle condizioni (7), sono determinate in modo unico quando ne siano asse- gnati i valori nel punto A, il cui determinante deve essere diverso da zero. Per un tal sistema di valori iniziali può prendersi il seguente : ES0:0r... 0; (OB AOMOESTZIONIE « Le funzioni v,s corrispondenti si diranno formare un sistema di solu- sioni principali del sistema uggiunto, relative al punto A. Se le w, for- mano un tale sistema, le formule (10) prendono la forma semplice : (gia + D' (Us JD zo Si, Peo) « Con ciò l'integrazione del sistema (1) colle condizioni iniziali espresse dal 1° teorema, è ricondotta alla risoluzione di un caso particolare del 2° pro- blema pel sistema aggiunto, alla determinazione cioè delle soluzioni principali, la cui esistenza è provata dal metodo di Picard. A questo caso si può anche ricondurre la risoluzione del 2° problema, quando cioè siano assegnati i va- lori delle funzioni e; lungo due tratti rettilinei paralleli agli assi coordinati. « 4. Supponendo infatti che l'arco CB si riduca a due tratti rettilinei CD, DB paralleli agli assi coordinati x ed Y, avremo conservando le nota- zioni antecedenti B 1 D Sia = DI > (dip. &u.)c + 2 (Un. 5) - {x da + M; dy. c D Ora potendosi anche scrivere M; ed N; sotto la forma ly da N 2, (De b ) NaA= 9 > ag (Hi) + 2 Up (3E+> pu &y sarà (N da = 5 di (win du) — È (tin +[ Pal 5 n d8u, M; dy = Di D ip Su) SP 14) + Des IL a a) dy È 2 L NA 3 ( pe dY y ) e quindi anche i de (1 1) gia = DI (778 8u.)p -{ D Uiy, ( - + DE i) da LI dé * y duy x) da IN. 3)C ( Ca dY TZ): Y — 201 — le quali formole risolvono esplicitamente il secondo problema e dimostrano l'unicità degli integrali anche in questo caso. « Si deduce di qui una conseguenza interessante. Indichiamo perciò con (040) le coordinate del punto A, con (17) quelle del punto D e deter- miniamo quindi n sistemi integrali delle (1) (12) 811 ’ 1g eee in ; 521) 822 0100 S2n ; eoogoree 3 Eni En2 ceee Enn 5 (il primo indice riferendosi al sistema integrale, il secondo alle funzioni) le quali siano determinate da condizioni affatto analoghe, rispetto al punto D ed al sistema (1), di quelle a cui soddisfano le soluzioni principali w,s rispetto al punto A e al sistema (5); che sia cioè dI ri ‘ n Ju D bip Go 0 lungo il tratto CD (13) SIA US 0 lungo il tratto CB it per tutti i valori degli indici 7 ed /, e che di più i valori <,,, delle 2, nel punto D siano uguali ad 1 o a zero, secondochè gli indici 7 ed s sono uguali o differenti. In tal caso la formula (11) diverrà Shi, = Uh, cioè (14) Shi (00 Yo 1, Ya.) = Wp Yx13 Lo, Yo) ’ le due prime lettere indicando le variabili, le due seconde i parametri, cioè le coordinate del punto, rispetto al quale le <,s, sr sono costruite. « L’uguaglianza (14) dà il teorema seguente : «“« Una qualunque delle soluzioni principali un(4,9;%0, Yo) del sistema (5) aggiunto del sistema (1) può riguardarsi altresì come funzione delle coordinate x0,% del punto ri- spetto al quale è stata costruita; allora essa è la soluzione principale 2x del sistema primitivo (1), relativa al punto di coordinate x ed y; in altri termini, la definizione delle wr non cambia, permutando i due sistemi (1) e (5), le variabili sedy colle lz0, yo, primi.con i secondi indici. « Ne segue che la determinazione delle soluzioni principali win 0 &ni porterà con sè l'integrazione del sistema (1) e (5) insieme e quindi in particolare : «L'integrazione di un sistema e del suo aggiunto sono due problemi equivalenti. « 5. Consideriamo infine l'esempio di; N (15) cera 7 Gih €K Dego DO I RenpICONTI. 1895, Vol. IV, 1° Sem. — 202 — dove le c;x sono costanti arbitrarie. Il sistema (15) è aggiunto di sè stesso: sì riesce di più a determinare per esso le soluzioni principali per mezzo di sviluppi in serie convergenti dovunque a distanza finita. « Possiamo supporre infatti che il punto, rispetto al quale si vogliano calcolare le soluzioni principali, sia l'origine delle coordinate. Le condizioni (2) diventano allora iù per y=0; por dI dY e quindi le soluzioni principali v,; sono costanti lungo gli assi coordinati e precisamente uguali ad uno o a zero, secondochè gli indici % ed 7 sono uguali o differenti. Posto ciò, indicando con «,;® i valori iniziali delle wy,, applicando il metodo delle approssimazioni successive, oppure anche diretta- mente cercando di determinare le soluzioni principali mediante serie di potenze del prodotto 7 = «y delle variabili, si ha O 2 3 T a T (16) Uni = Uni® ole Cint e L_Cihapez 12.9? + co Cih Chl mia ge ge + 950906 » A ; ° Ò TU SB Gion Cime Toe ge E Le klm...p dove le costanti w,;‘” sono uguali ad 1 o a zero, secondochè gli indici % e h sono uguali o disuguali: e quindi si hanno appunto le soluzioni princi- pali un; espresse in serie di potenze di che convergono per qualunque va- lore finito di ©. « Se in particolare si prendono tutte le cx uguali tra loro, uguali ad 1, e si pone w= nr, le (16) divengono CI 1 (00 2 Uni = Uni + a + Do EI IL man e quindi tutte le w,;, si esprimono mediante la J, di Bessel ». Matematica. — Di una formola relativa all’integrale ellit tico completo di prima specie, contenuta in una precedente Nota, e di altre a quella affini. Nota di DAvipe Besso, presentata dal Socio BELTRAMI. Matematica. — Sulle equazioni differenziali lineari del 4° ordine, che definiscono curve contenute in superficie algebriche. Nota di Gino Fano, presentata dal Socio CREMONA. Queste Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. — 203 — Fisica terrestre. — ZL’induzione terrestre ed il magnetismo delle roccie vulcaniche. Nota del dott. G. FOLGHERAITER, presen- tata dal Socio BLASERNA. « In una serie di Note pubblicate in questi Rendiconti (!) ho esposto il risultato di alcune misure, che avevano lo scopo di ricercare la forza ma- gnetizzante delle roccie vulcaniche del Lazio. Fra le conclusioni, che da quei miei lavori ho tratto, trovasi che « il magnetismo delle roccie vulcaniche, se si eccettuano i punti distinti (2), è dovuto unicamente all’azione induttrice della Terra », perchè la sua orientazione è tale, come se avesse agito unica- mente questa forza. « Nella presente Nota mi sono proposto di investigare, quale possa essere la correlazione tra l’intensità magnetica attuale delle roccie vulcaniche e la forza, dalla quale furono magnetizzate: ogni tentativo di volere risolvere com- pletamente questo quesito sarebbe per ora vano, poichè da una parte non co- nosciamo, quale era l'intensità del magnetismo terrestre all’epoca in cui av- vennero le eruzioni, e dall'altra parte molte sono le cause, che possono avere influito in vario senso sul processo della magnetizzazione. Fra queste va an- noverata in primo luogo la temperatura, alla quale le roccie sono state ma- gnetizzate. A questo proposito è assai probabile che nelle lave che vennero eruttate dai vulcani ad una temperatura anche superiore a 1000° (*), e che si sono poi consolidate ancora caldissime, la magnetizzazione sia stata molto favorita e facilitata dalle condizioni termiche di esse. È anche generalmente ammesso, che i lapilli e le ceneri, che formarono poi i banchi di tufo e di pozzolana, siano stati lanciati fuori dai crateri riscaldati ad altissima temperatura, ma poi non sappiamo, se i cristallini di magnetite e di altri minerali magnetici siano stati magnetizzati ed orientati prima o dopo la formazione delle roccie attuali. « Sulla temperatura di formazione dei peperini vi sono due opinioni di- verse ; la maggior parte dei geologi ammette, che i peperini siansi formati da correnti fangose relativamente fredde, che secondo alcuni sono traboccate dai vulcani o che, secondo altri, ebbero origine dall'impasto delle acque pluviali cadute in abbondanza durante l'eruzione colle ceneri e sabbie vulcaniche e (1) Serie 5°, vol. IMI. 2° Sem. 1894, pag. 53, 117 e 165. (*) È noto, che nelle roccie vulcaniche l'estensione dei punti distinti è assai limitata a confronto del resto delle roccie magnetiche, e per certo numericamente migliaia e migliaia di volte minore. Per questa ragione essi si devono considerare come eccezioni. (3) A. Bartoli, Sulla temperatura delle lave dell’attuale eruzione dell'Etna: dal Bullettino del Settembre 1892, dell’Accademia Gioenia di Scienze naturali in Catania. — 204 — materiali detritici lanciati dalle bocche eruttive (!). Di Tucci invece rav- vicina i peperini alle lave, ed ammette che la temperatura di "ninezIiGiOO di quelli sia stata molto elevata (2). « Oltre la temperatura, anche correnti elettriche o altre cause fisiche a noi del tutto ignote (analoghe a quelle che agiscono nella tempera dell’ac- ciaio) o infine azioni chimiche propriamente dette, possono avere contribuito a facilitare o ad impedire l'azione induttrice della Terra nella magnetizza- zione delle roccie vulcaniche. « Non ho voluto per ora menomamente occuparmi dell’azione complessa di tutte queste svariate cause, ma ho unicamente cercato di esaminare, in che modo l’azione del calore influisca sull’intensità magnetica delle roccie vulcaniche prodotta dall'induzione della Terra. « È noto, che già Melloni (3) e Fòrstemann (*) fecero delle esperienze per dimostrare che quando roccie magnetiche siano esse o no vulcaniche ven- gano arroventate e perciò private completamente della loro proprietà magne- tica, raffreddandosi sia lentamente, come fece il Melloni colle lave, sia bru- scamente, come fece il Fòrstemann con roccie non vulcaniche, esse si calamitano stabilmente e nel senso richiesto dall’induzione terrestre: ma non vennero mai fatte delle misure quantitative. « Seguendo un procedimento analogo, io ho determinato il rapporto tra l’intesità magnetica delle roccie vulcaniche come sono attualmente costituite e quella che esse sotto l’azione induttrice della Terra acquistano, se vengono portate a temperatura sufficiente per perdere tutto il loro magnetismo, e poi vengono lasciate raffreddare sia lentamente, sia bruscamente. « Il metodo sperimentale che ho tenuto, è il seguente: Dalle grosse co- lonnette, che già mi hanno servito per studiare l'intensità e l’orientazione del magnetismo permanente nelle roccie vulcaniche, e da altre che mi sono ancor procurato, ho tagliato dei piccoli parallelepipedi (grossolani) del peso di circa gr. 50: la dimensione di essi nel senso dell'altezza (riferita alla posizione che avevano le colonnette sulla roccia viva) era sempre circa tre o quattro volte maggiore che nelle altre due direzioni. Determinava poi la loro intensità ma- gnetica col metodo delle deflessioni (Est-Ovest); li avvicinava cioè ad un ago calamitato liberamente sospeso, in modo che il loro presunto asse ma- gnetico fosse normale all’ago calamitato, e passasse per il centro di questo. (1) Un elenco dei più importanti scritti pubblicati su questo argomento trovasi nella Memoria del prof. R. Meli, Sopra è resti fossili di un grande avvoltoio racchiuso nei peperini laziali, pubblicata nel Bollettino della Società geologica italiana, vol. VII. (®) Atti della R. Acc. dei Lincei, Memorie Classe di Scienze fis., mat., e nat., Serie 3°, vol. IV, pag. 357. (3) Ricerche intorno al Magnetismo delle Roccie. Mem. II R. Acc. delle Scienze di Napoli, vol. I, 1853, pag. 141. (4) Pogg. Ann. vol. CVI, 1859, pag. 128. — 205 — E affinchè le misure fatte in epoche diverse sullo stesso pezzo di roccia fossero tra loro paragonabili, ho avuto cura di stabilire dei punti fissi, entro i quali i varii campioni potessero essere collocati sempre nell’'identica posi- zione e distanza rispetto all’'ago. Ho preso come valore dell'intensità magne- tica di ciascun campione, la somma dei due angoli di deflessione prodotta dal- l'avvicinamento dei suoi due poli all’ago dell’intensimetro. « Questo metodo dà l'intensità magnetica delle colonnette, non con l’ul- tima precisione, ma con sufficiente esattezza per lo scopo prefissomi (0, 01 del valore totale), quando si tratti di roccie sufficientemente magnetizzate, come è il caso della lava basaltina e del tufo; però esso non si presta, quando si ab- biano da misurare delle intensità assai deboli, perchè gli errori di osserva- zione divenendo troppo grandi rispetto alla quantità da misurarsi, mascherano il risultato. Ciò si verifica talvolta nel caso dei peperini, come sì vedrà più oltre. « Determinata l’intensità magnetica di un campione, lo sospendeva, per mezzo di tre fili di platino abbastanza robusti, verticalmente entro un invo- lucro conico di amianto, e mediante una lampada a tre becchi Bunsen lo ri- scaldava a temperatura non minore di 800°, ossia ad una temperatura alla quale cessa qualsiasi azione magnetica: devo notare che questa temperatura veniva giudicata unicamente dal colore ciliegio incipiente, che acquistava il campione incandescente. Dopo un'ora di arroventamento, spegneva la lampada, lasciava che il campione si raffreddasse entro lo stesso involucro d’ amianto, e dopo un paio d'ore, quando cioè esso aveva nuovamente acquistato la tem- peratura ambiente, ne determinava l'intensità magnetica: nelle varie espe- rienze ho tenuto conto, se il campione durante l’arroventamento era sospeso diritto o rovesciato rispetto alla posizione che esso aveva sulla roccia viva. « Compiuta così la misura completa, aveva cura di collocare i varii cam- pioni verticalmente, ma rovesciati rispetto alla posizione nella quale erano stati tenuti durante l’arroventamento. Dopo tre giorni determinava nuovamente l'intensità magnetica per vedere l’effetto prodotto dall’induzione terrestre, ed ho poi ripetuto questa misura di tratto in tratto. La maggior parte delle colonnette, che ho sottoposto ad esame, si trovano di già da tre mesi rovesciate e l'intensità che ora posseggono, ci può dare un sicuro indizio se il magne- tismo acquistato dopo l’arroventamento sia permanente o temporaneo (1). » Riporterò ora succintamente i risultati, che ho ottenuto colle varie specie di roccie vulcaniche. 1°. Lava basaltina (senza punti distinti). « Icampioni sui quali ho esperimentato sono: a lava poco omogenea, porcina, proveniente dalla cava presso il Forte Acquasanta ; è pezzo di lava preso dalla cava presso la lapide geodetica al 4° Ki- (1) Le esperienze furono eseguite nell’Istituto Fisico della R. Università di Roma. — 206 — lometro dell'Appia antica; c lava di grana fina ed omogenea, selce gentile, del Tuscolo; d lava proveniente dall'ultima cava a sinistra della via Appia an- tica vicino al forte omonimo; e lava presa nella piccola cava ora abbando- nata posta tra la tomba di Cecilia Metella ed il Forte Acqua santa, ove dal Keller fu segnato un punto distinto (!). «“ Nella tabella qui unita sono riuniti tutti i valori trovati. La I colon- na indica i varii campioni; la Il dà la rispettiva intensità magnetica ini- ziale; la III colonna dà l'intensità magnetica dei varii campioni dopo l'ar- roventamento; la 1V colonna dà la loro intensità magnetica, misurata dopo che sono stati tenuti verticalmente e rovesciati per tre giorni, dopo il loro arroventamento : la V colonna dà l’intensità magnetica dopo tre mesi dal loro arroventamento ; ed anche in quest'intervallo di tempo i campioni furono te- nuti sempre rovesciati (rispetto alla posizione nella quale furono tenuti du- rante l’arroventamento); la VI colonna dà il rapporto tra l’intensità magne- tica posseduta dai varii campioni dopo e prima dell'arroventamento. TABELLA I. I | II | III | IV V VI Î a 0° 27,2 0° 26,5 0° 25,5 | 0° 2572 12,0 db 84,9 31,4 307,4 80/,0 3,5 c 300 13,0 12/,8 12,1 4,1 d 3/2 13/,0 124 12/1 4,1 e dA 541,8 52/,1 52,3 13,4 « Da questa tabella si scorge: che l'intensità magnetica di tutti i campioni è notevolmente tnt dopo l’arroventamento; che il rapporto tra l'intensità magnetica ora posseduta e quella ini- ziale varia moltissimo da campione a campione; che il magnetismo acquistato dopo l’arroventamento sotto l’azione indut- trice terrestre è permanente (2). « Feci anche delle esperienze per determinare l'influenza del rapido raf- freddamento sull’intensità magnetica. Dopo varie prove sono arrivato alla con- (1) Guida itineraria delle principali roccie magnetiche del Lazio. Rend. della R. Acc. dei Lincei, vol VI, 2° Sem. 1890, pag. 17. (2) Faccio notare, che l’espressione « magnetismo permanente ” non va intesa in modo assoluto, ma nel senso che l’uso comune le ha attribuito: così nell’acciaio il magnetismo permanente può variare per molteplici cause, e ciò nullameno ha conservato tal nome: nello stesso modo va intesa pure l’espressione « magnetismo temporaneo ». — 207 — clusione, che un rapido raffreddamento aumenta un po' il magnetismo per- manente. Invece il tenere le colonnette diritte o rovesciate (rispetto alla posizione sulla roccia viva) durante l'arroventamento non porta alcuna diffe renza sensibile nell’intensità magnetica. | 2°. Lava basaltina con punti distinti (!). « Potei procurarmi 3 piccoli campioni di lava basaltina, che possedevano un punto distinto. Il campione / proviene dal Tuscolo, ed ha grossolanamente la forma d'un prisma a sezione triangolare; il campione g fu levato da un blocco di lava nella villa Mondragone presso Frascati, ed ha grossolanamente la forma di prisma a sezione rettangolare; il campione / è un piccolo pezzo irregolare raccolto accanto al punto distinto segnato dal Keller nella Tenuta di Capo di Bove (?). « Di questi 3 campioni fu determinata l'intensità magnetica, avvicinan- doli all’intensimetro in modo, che la congiungente dei due punti più forte- mente magnetizzati rimanesse normale all'asse magnetico dell'ago . E così pure ebbi cura di disporli durante l’arroventamento in modo, che tale linea fosse verticale col polo nord in basso, affinchè l’effetto del magnetismo terrestre inducente si sommasse al magnetismo proprio dei campioni. « Riassumo nella seguente tabella i risultati avuti; la sua disposizione è perfettamente uguale a quella della tabella 1°. TABELLA II. | I | II | , HI | IV | V | VI fi | 49 2165 || 0% 4555 | 0° 43,5. | 002355 0,17 og MIC#2856 14,8 14/,0 13/,6 0,15 h | 3° 54,0 16,0 15/,2 15/,8 0,07 « Dall'esame di questa tabella si vede ad evidenza: che l'intensità magnetica di tutti e tre i campioni è in seguito all’arro- ventamento ridotta ad una frazione molto piccola della primitiva; che il ma- gnetismo posseduto dopo l’a:roventamento dai varil campioni è permanente; che se si volesse attribuire la formazione dei punti distinti all'induzione terrestre, supposto anche che la loro orientazione sia stata corrispondente ad essa, si dovrebbe ammettere, che l'intensità magnetica della Terra all’epoca (1) Ho stimato opportuno il suddividere in due gruppi la lava basaltina, con e senza punti distinti, sia perchè la causa che ha prodotto il loro magnetismo sembra diversa, sia perchè coll’arroventamento si comportano diversamente. (2) Guida itineraria già citata. — 208 — dell'eruzione vulcanica fosse stata almeno 15 volte maggiore che al presente. « Questi campioni si sono comportati dopo il loro primo arroventamento perfettamente nello stesso modo, che la lava basaltina senza punti distinti, sia quando furono sottoposti a rapido raffreddamento, sia quando furono ro- vesciati. 3°. Tuf. « Le località, dalle quali provengono i varii tufi sui quali ho esprimen- tato, sono: La grande cava a destra della Laurentina passato il 6° Kilometro (ponte Buttero), dove presi la colonnetta A. Una cava ed una rupe scoscesa nella Tenuta di Pietralata, tra le vie Nomentana e Tiburtina, dove presi le colonnette di tufo ricomposto B, C, D, E. Una cava posta dietro la piccola osteria al 3° Kilometro dell’Ardea- tina: Colonnetta F. Una cava presso la Sedia del Diavolo al 3° Kilometro della via No- mentana: Colonnetta G. « Nella tabella che segue, sono raccolti i risultati avuti; anche qui ho tenuto nelle varie colonne la stessa disposizione e significato che nelle tavole antecedenti. TABELLA III. I | II | II | IV | V | VI A | 0° 14,3 | 00191 | 0° 17,6 | 0° 1755 1,34 B 17/,9 39/,2 9761 361,7 2,19 C 21,2 39/,9 37/,8 87,5 1,87 D 28,1 | 10 272 59,7 | 1° 00 2,21 E 7/,0 14,5 14,6 14,1 2,07 F| 209 | 10 95 | 10 52 | 10 57) 332 | G| 11/,8 51/2 50,0 497,1 4,34 | « Risulta perciò: che l'intensità magnetica acquistata dai tufi dopo l’arroventamento per l'azione induttrice della Terra è più grande che prima dell’arroventamento ; ma il rapporto delle due intensità è diverso nei vari campioni; però faccio notare qui, senza voler dare alla cosa troppo peso, che i 4 campioni presi nella Tenuta di Pietralata B, 0, D, E, hanno dato a pressa poco lo stesso rapporto ; che il magnetismo acquistato in seguito all’arroventamento è per- manente. — 209 — Il rapido raffreddamento nei tufi produce sempre aumento d’'intensità, ma in piccola misura. Invece non porta alcuna influenza il tenere durante l'ar- roventamento le colonnette rovesciate o diritte rispetto alla loro posizione sulla roccia viva. 4°. Peperino « I peperini che mi hanno servito per le attuali ricerche, sono in parte quelli stessi, che ho esaminato per il mio studio sul magnetismo delle roccie vulcaniche, ed in parte furono da me raccolti sul finire dello scorso anno: ebbi cura di procurarmi campioni di un grande numero di località nei din- torni dei crateri laziali per potere dedurre delle considerazioni abbastanza generali. « Ecco le località dalle quali provengono i campioni: A dalle grandi cave di Marino; B da una piccola cava ad Est di Marino sulla stradetta, che porta al Tiro a segno di questa città; C dalle grotte sotto il Convento di Palazzolo; D dalla cava accanto al parco Chigi sulla via Ariccia-Rocca di Papa; E dalle falde del Monte Calabrone sopra il lago di Nemi; F dalla roccia nuda accanto alla fontana di Caiano sulla via di Nemi-Velletri; G, H da una piccola cava sulla via Appia nuova tra Galloro e Genzano; I dalla roccia accanto alla testa verso Albano del grande ponte di* Ariccia; L dalla roccia sporgente sulla via Appia accanto al miglio XIII; M, N, O, P dalla cava di peperino accanto al Villino Mon- teverde sulla via tra Marino e Castel Gandolfo. « Nel determinare l'intensità magnetica di alcuni campioni mi accorsi, che lo stesso estremo agiva sull’ago dell'intensimetro come un polo nord o sud, secondo che essi venivano spostati dalla direzione normale all’ago un po' verso nord o verso sud, come se fossero unicamente magnetizzati tem- poraneamente per l’induzione terrestre. Per accertarmi allora se realmente avesse preponderanra il magnetismo temporaneo su quello permanente, disposi le cose in modo da potere eseguire le misure, come si pratica nel metodo del coefficiente d’induzione introdotto dal Lamont ('), ossia in modo da poter tenere i campioni sospesi verticalmente sia diritti sia rovesciati, e da potere in ambedue i casi avvicinare all’ago dell’intensimetro a volontà o l’uno o l’altro dei loro estremi. «< Dalle misure fatte su tutti i campioni sopra notati risulta che il peperino si comporta precisamente come il ferro dolce: si trova cioè il polo nord sempre all'estremo rivolto in basso, ed il polo sud sempre all'estremo rivolto in alto. Con ciò non intendo dire che il peperino sia assolutamente privo di magnetismo permanente, ma se esso esiste, è in tal piccola quan- tità, che viene mascherato dal magnetismo temporaneo indotto dalla Terra: non mi sono curato di determinarlo, non essendo il metodo di Lamont abba- stanza preciso per misurare quantità sì piccole. (1) Lamont, Handduch des Erdmagnetismus, Berlin 1849, pag. 152. RenpicontI. 1895, Vor. IV, 1° Sem. 28 — 212 — « In seguito Bamberger e Storch (!) ricavarono pure piccole quantità di difenile, assieme a nitro-, nitroso- ed azobenzina e a fenilnitroammina, ossi- dando una soluzione alcalina di diazobenzolo con ferricianuro potassico ‘0 con permanganato potassico. E nello scorso anno Beeson (2) pubblicò un lavoro alquanto esteso sull’azione degli alcoli metilico ed etilico sui sali dei diazo- composti sotto differenti condizioni, nel quale dimostra egli pure che il ni- trato di diazobenzina con metilato o etilato sodico, ovvero anche con gli alcooli metilico ed etilico assoluti in presenza di idrato sodico o meglio di carbonato sodico o di polvere di zinco, forniscono tra gli altri prodotti difenile. « Sono queste le poche notizie che finora si hanno su tale importante reazione dei diazocomposti, e tutte si riferiscono alla formazione del difenile dai sali di diazobenzina. « S'ignorava tuttavia se i sali di altri diazocomposti potessero compor- tarsi ugualmente, e se per mezzo di miscugli di sali di diazocomposti di- versi si potessero preparare gl’idrocarburi della serie del difenile che risul- tano dall'unione di due differenti radicali aromatici. « Noi abbiamo studiato soltanto questa ultima parte della quistione, perchè essa era adatta a risolvere implicitamente anche la prima. « Diremo subito che abbiamo raggiunto lo scopo. Le nostre esperienze furono prima eseguite decomponendo, col metodo già adottato da uno di noi, la soluzione concentrata di un miscuglio di cloruri di diazobenzina e p-diazo- toluene con alcoolato sodico. Ottenemmo, assieme a piccola quantità di di- fenile, il p-feniltolile preparato da Carnelley (3) per l’aziono del sodio sopra un miscuglio di bromobenzina e p-bromotoluene, e ne abbiamo potuto dimo- Strare l'identità. Non constatammo la formazione del p-ditolile di Zinke (1). « Stabilito il metodo lo abbiamo applicato alla sintesi dell’o-feniltolile, che finora si può considerare come non conoscinto. Infatti di questo idrocar- buro si riscontra nella letteratura soltanto una breve notizia fornita da Barbier (°). Questi dice di averlo ottenuto decomponendo con sodio un mi- scuglio di bromobenzina e bromotoluene liquido, e ne dà soltanto il punto di ebollizione 255-260°. Per la mancanza di qualunque reazione che valga ad identificarlo, tale prodotto nei trattati più autorevoli o non viene ripor- tato, o, come nel Beilstein, viene messo in dubbio. E il dubbio sollevato non è stato inopportuno; poichè noi, ripetendo due volte l’esperienza di Barbier, abbiamo constatato che per l’azione del sodio sul miscuglio di bromobenzina e o-bromotoluene in soluzione nell’etere assoluto, gran parte di questi pro- dotti restano inalterati, si formano notevole quantità di benzina e di toluene (1) Berichte 26, pag. 471 e 484 (1893). (®) Amer. Ch. Journ 16 pag. 285 (1894) Berichte 27, 512 Nef. (3) Journ. of the Ch. Soc. 29, 16 e 419 (1876); 27, 707; 47, 589; 5, 87. (4) Berichte 4, 394 e 514; /6 2877; Ann. d. Ch. 223, 362. (5) Ann. ch. phys. [5], 7, 513. — 213 — e inoltre dei prodotti di condensazione molto complessi a punto di ebolli- zione superiore ai 309°. Difenile e o-feniltolile non se ne formano che tracce, e quest'ultimo lo abbiamo potuto constatare soltanto per mezzo della for- mazione sensibile e caratteristica di un suo tribromoderivato che descrive- remo in questo lavoro. Basti dire però che avendo impiegato gr. 103 di broniobenzina e gr. 114 di o-bromotoluene, non ottenemmo che 1 decigrammo di tribromo-o-feniltolile. « Il sodio quindi non agisce soltanto sul bromo, ma anche sull’idrogeno sia del nucleo che della catena laterale, e così si spiega la formazione di quella notevole quantità di prodotti di riduzione (benzina e toluene) assieme ai prodotti complessi di condensazione. « Comportamento analogo nel processo di sintesi degli idrocarburi col metodo di Fittig e Tollens è stato osservato da Stelling e Fittig (1), Ernst e Fittig (2), da Zincke (3), da Louguinine (‘) e da altri. « Decomponendo invece un miscuglio di cloruro di diazobenzina e clo- ruro di o-diazotoluene con etilato sodico, siamo riusciti ad ottenere quasi esclusivamente l’o-feniltolile, che descriveremo in questo lavoro. Di difenile non se ne formano che tracce, e l’o-ditolile nè per mezzo dell’ossidazione, nè per mezzo della bromurazione siamo riusciti a constatarlo. Contro ogni nostra aspettativa, il metodo quindi ci è riuscito adatto allo scopo; poichè (trascurando di mettere in equazione la formazione della benzina, del to- luene, dell’aldeide acetica e delle due basi (*)) mentre teoricamente si pote- - vano prevedere le tre forme di decomposizione: 1°) 2CH:—N=N—C1 = CH;—CH5+ 2Ny + Cl, 29) 20,H;—N=N—C1 — CH, CH + 2N,4-Cl; 3°) CH;N=N—-CI CH; C,H,—N=N—01 = CH, CH3+4+2N,-+C1, le prime due avvengono soltanto in piccolissima parte, e quasi esclusiva- mente si compie la terza. Il rendimento però non supera il 5 Lo « Il processo di Fittig, come risulta dalle nostre esperienze, pare che non si presti per la sintesi degli idrocarburi ortoalchilati del gruppo del di- fenile; e quello più recente di Méhlau e Berger (5), che consiste nella de- composizione dei cloruri anidri dei diazocomposti con gl'idrocarbui in pre- senza di cloruro di alluminio, oltre che dà origine a miscugli di prodotti, fornisce principalmente i composti paraalchilati. (1) Ann. d. Ch. 137, 257. (2) Ann. d. Ch. 139, 185. (3) Berichte 4, 396. (4) Gazz. ch. ital. 1°, 398. () Vedi per questo: Oddo, Gazz. ch. ital. 1890, pag. 635. (6) Berichte 26, 1994 (1893). — 214 — 1° Cloruri di diazobenzina e di p-diazotoluene e alcoolato sodico: formazione di p-fenitolile. « Grammi 18,7 di anilina (1 eq.) e gr. 21,4 di p-toluidina (1 eq.) fu- rono diazotati assieme trattandole con 4 equivalenti di HC1 e poscia con 2 eq. di soluzione di nitrito sodico ad una temperatura inferiore ai 10°, fa- cendo uso della minore quantità possibile di acqua per disciogliere sia i clo- ridrati delle due basi che il nitrito sodico. Questo miscuglio di sali di diazo fu versato a poco a poco e agitando, su una soluzione alcoolica di alcoo- lato sodico, preparata con gr. 16 di sodio e gr. 150 di alcool assoluto. No- tevole quantità di gas e di calore si sviluppano mentre avviene la reazione e sì manifesta l'odore dell’aldeide acetica. Dopo aver fatto ricadere a bagno maria per circa mezz'ora si distilla a vapor d’acqua. Passa prima alcool as- sieme ad anilina e toluidina, che si sono formate di nuovo per riduzione dei sali di diazo, e poscia gl’idrocarburi della serie del difenile; ma la loro distillazione è molta lenta e talvolta dura per 3 0 4 giorni. « Le acque distillate si agitano con etere e la soluzione eterea si lava con HC1 diluito e poi con acqua per eliminare l’anilina e la toluidina, e il prodotto di 5-10 preparazioni, dopo averlo disseccato e avere scacciato l’etere, si distilla frazionatamente. Distillano benzina (!) e toluene (2), poscia la tem- peratura sale rapidamente da 115 a 240° e molto lentamente invece da 250 a 275°. Si raccolsero le seguenti due frazioni: 240-258° e 258-275°. Da queste due frazioni raffreddate con neve si depositarono delle squamette cri- stalline di difenile (p. f. 70°), che furono separate filtrando: il liquido delle due frazioni, dopo averlo fatto ricadere per un po’ di tempo sul sodio, distil- lato di nuovo, passò quasi completamente tra 262-268°. Gr. 0,2754 di sostanza fornirono gr. 0,9363 di CO, e gr. 0,1790 di H;0; trovato °/ calcolato per CsHs.CsHy.CHs C 92,72 92,86 H 7,22 7,14 « Il p-feniltolile è un liquido incoloro che solidifica nel miscuglio fri- gorifero di sale e neve. Ossidazione. « Per meglio identificarlo, circa gr. 1 di sostanza fu messa a ricadere per alcune ore con 2 parti di bicromato potassico e 3 p. di acido solforico diluito con 3 volte il suo volume di acqua, finchè l'olio fu quasi”completa- | mente sparito. Il prodotto della reazione, ancora acido, fu estratto con etere. Quando il solvente si fu evaporato rimase un residuo solido hianco che dal- (1) Riconosciuta con la trasformazione in nitrobenzina e anilina e la reazione di questa con cloruro di calce. (2) Per ossidazione con KM,0, al 5°/ in soluzione alcalina, dà acido benzoico. — 215 — l'alcool cristallizzò in aghi p. f. 217-218° e che riconoscemmeo identico all’acido p-difenilcarbonico. « Nella decomposizione del miscuglio dei cloruri di diazobenzina e p-diazotoluene s'era quindi formato assieme a difenile (e forse anche a p-p-di- tolile), il p-feniltolile che da Carnelley fu preparato per pirocondensazione di benzina e toluene (‘) e inoltre dal p-bromotoluene e bromobenzina (?) col metodo di Fittig; e recentemente da Mohlau e Berger (assieme ad o-fenil- tolile) per l'azione del cloruro di diazobenzina anidro sul toluene in presenza di cloruro di alluminio. 2° Cloruri di diazobenzina e di o-diazotoluene e alcoolato sodico: formazione di o-feniltonile. « Operammo in condizioni identiche a quelle esposte precedentemente, sostituendo alla p-toluidina l’o-toluidina. Questa base ci fu fornita da Kahl- baum; e poichè il suo punto di ebollizione (199°) è molto prossimo a quello della p-toluidina (198°), ne constatammo la purezza preparandone l’acetilde- rivato che, cristallizzato frazionatamente, fuse sempre a 107°; mentre quello della p-toluidina fonde a 147°. « Anche in questo caso il prodotto di dieci preparazioni, purificato nel modo descritto avanti, fu distillato frazionatamente e si raccolsero le seguenti frazioni: 1°) 70-100°: benzina, riconosciuta come è detto avanti; 2) 100-115°: toluene; 8) 115-240°; poche gocce, sulle quali l'ossidazione con KM, 0, al 5 0/ in soluzione alcalina non ci fornì alcun dato diagnostico; 4°) 240-258°; 52 258-270°; 62 270-285°. « Alla temperatura di 285° tutto il liquido era distillato. « Le frazioni 4%, 5°, 62 furono raffreddate ripetutamente con miscuglio frigorifero e filtrate per separare quel po’ di fenile che cristallizzava (spe- cialmente nella frazione 4). Le frazioni 4% e 5 così purificate furono di- stillate di nuovo, e tra 261-264° passò quasi tutto come olio incoloro. Al residuo scarso del pallone fu aggiunta la frazione 6*, questa distillò per la maggior parte tra 268-278°. L'analisi mostrò che l’olio distillato a 261-264° era o-feniltolile, e che la frazione distillata tra 268-273° era un miscuglio in gran parte di o-feniltolile, che abbiamo isolato allo stato di tribromode- rivato, e di un altro idrocarburo che, nè per mezzo della ossidazione, nè per mezzo della bromurazione, siamo riusciti ad identificare. 0 (1) Jahr. 1876, 419. (2) Journ. of the ch. Soc. 37. — 216 — Gr. 0,2549 di sostanza p. e. 261-263° fornirono gr. 0,8664 di CO, e gr. 0,1667 di H.0; trovato °% calcolato per CsHs.CsHy.CH; 0 (0270 | 92,86 H 7,27 7,14 « L'o-feniltolile non solidifica, anche raffreddandolo con miscuglio frigo- rifero di sale e neve. L'acido nitrico (d. 1,50) lo ‘attacca energicamente, ma il prodotto non cristallizza dall'alcool assoluto. L'acido solforico or- dinario a freddo lo lascia quasi inalterato, lo scioglie invece a caldo coloran- dosi in bruno. Ossidazione dell'o-feniltolile. « 1°) Con permanganato potassico. « Gr. 2 circa d'idrocarburo sospesi in una soluzione diluita di soda fu- rono trattati, agitando sempre, con soluzione al 5 °/, di permanganato po- tassico. Non si raggiunse mai uno scoloramente completo anche riscaldando a bagno maria e agitando sempre. Dopo avervi fatto gorgogliare dell'anidride solforosa sino a scoloramento e a reazione nettamente ‘acida, si estrasse con etere l’olio quasi inalterato, insolubile nella soda. « 2°) Con acido cromico. « L'olio ricavato dalla esperienza precedente fu riscaldato a ricadere per circa cinque ore con 2 p. di hicromato potassico e 8 p. di H,S0, diluito con tre volumi di acqua. Il prodotto della reazione in soluzione acida fu estratto con etere. Scacciato questo solvente, rimase un residuo bianco sporco che venne purificato trattandolo con soda diluita, nella quale si sciolse quasi completamente e agitando con etere prima in soluzione alcalina per togliervi quel po’ d’idrocarburo che era rimasto inalterato e quindi in soluzione acida. Da quest’ultima estrazione si ottenne quasi puro, e dopo una sola cristalliz- zazione da alcool, in piccoli aghi bianchi p. f. 110-111°, insolubili nell'acqua. Tutti i caratteri coincidono con quelli dell'acido o-difenilcarbonico. Resta così dimostrata la costituzione. del nostro idrocarburo. Molto caratteristico poi per riconoscerlo, come si è detto avanti, è il seguente derivato: Tribromo o-feniltolile. « Fu da noi ottenuto molto facilmente versando su gr. 1 d'idrocarburo (1 molecola) disciolto in egual volume di alcool assoluto, gr. 1 di bromo (1 mol.). Appena il bromo viene a contatto della soluzione dell'idrocarburo, si nota un leggiero crepitìo e il tutto si rappiglia istantaneamente in una massa cristallina bianca, formata da lunghi aghi sottili. Si raccoglie su filtro, — 217 — si lava con acqua, che lo fa annerire leggermente, senza alterare però la forma cristallina e dopo averlo disseccato su carta bibula all'aria, che vi toglie anche la porzione d’idrocarburo rimasta inalterata, si cristallizza dal- l'alcool assoluto o meglio da un miscuglio di alcool assoluto e alcool or- dinario. « All’analisi gr. 1,1174 di sostanza fornirono gr. 0,1649 di Ag Br; trovato °To colcolato per C3HsBrs Br 4971 59,25 « Questo tribromoderivato si presenta in sottili aghi bianchi e lunghi, p. f. 167-169°. È solubile anche a freddo in cloroformio e benzina, poco so- lubile in etere e in alcool, solubile a caldo in acido acetico: da tutti questi solventi cristallizza in begli aghi. E capace di essere ulteriormente bromu- rato; ciò avviene anche se nel prepararlo invece di 1 mol. di bromo per 1 mol. di idrocarburo, come noi abbiamo indicato, si usano 2-3 molecole di bromo. Si ossida molto facilmente trattandolo con 2 p. di bicromato potas- sico e 3 p. di H,SO, diluito con 3 volumi di acqua a caldo per circa un'ora sino a che si vedono sparire tutti i cristallini. Il prodotto della reazione estratto con etere è un miscuglio di una sostanza solubile negli alcali, che riprecipita con gli acidi, e di un’altra sostanza colorata in rosso mattone in- solubile negli alcali. Tali prodotti che potrebbero indicare la posizione degli atomi di bromo nella molecola secondo che si ottiene un acido benzoico bro- murato o l’acido l’ortoftalico bromurato, saranno descritti in altra comuni- cazione. Tentativi per preparare l’o-feniltolile col metodo di Nittig. « Completeremo questo studio esponendo i tentativi infruttuosi che ab- biamo eseguito per preparare l’o-feniltolile, facendo agire il sodio sul mi- scuglio di bromobenzina e o-bromotoluene, come aveva fatto Barbier. « Preparazione della bromobenzina e dell’o-bromotoluene. Preparammo i due bromocomposti col metodo descritto da Sandmeyer (!) per la bromoben- zina, sostituendo per l’o-bromotoluene ad 1 eq. di anilina 1 eq. di o-tolui- dina pura. In ogni preparazione s'impiegavano gr. 37,2 di anilina e gr. 42,8 di toluidina. Però avendo bisogno di una quantità di tali bromocomposti, in- vece di ricorrere in tutte le preparazioni successive a nuove quantità di sol- fato di rame, bromuro potassico e polvere di rame, abbiamo seguìto il me- todo che riportiamo, perchè più rapido e meno costoso. « Si compiva la prima preparazione seguendo le indicazioni date da Sandmeyer, e dopo avere scacciato a vapor d'acqua il bromoderivato forma- tosi sulle medesime acque madri, si versavano un’altra molecola di acido (1) Berichte 1884, 2652. RenpIcoNTI. 1895, Vor. IV, 1° Sem. 29 aloe solforico, 1 eq. di base, 1 eq. di bromuro potassico (invece di 3 equivalenti) o di HBr e a caldo poi led. di nitrico sodico, si distillava di nuovo a vapor d'acqua e si ripeteva lo stesso per la terza preparazione. Con questo processo, sia per la bromobenzina che per l’o-bromotoluene, il rendimento nella 2° pre- parazione era sensibilmente uguale a quello della prima e diminuiva soltanto di poco nella terza preparazione. « Versammo in un pallone gr. 500 di etere, lavato con acqua e distil- lato sulla calce e sul sodio e gr. 10,20 di sodio tagliato in fili sottili, e quando cessò lo sviluppo di bolle d'idrogeno, aggiungemmo gr. 35 di bromo- benzina e gr. 38,1 di o-bromotoluene. La reazione avviene soltanto a caldo e si compie facendo bollire a ricadere per circa 12 ore, nel quale tempo il sodio viene tutto consumato. Il prodotto fu filtrato, il residuo sul filtro fu lavato con etere finchè questo passò incoloro, il filtrato fu lavato con acqua, disseccato con cloruro di calcio e dopo avere scacciato l’etere fu distillato frazionatamente. Si raccolsero le seguenti frazioni: 85-100°, benzina 100-120°, toluene 140-160°, bromobenzina (perchè più pesante dell’acqua, contiene bromo e ridistillata bolle a 149-152°) 160-185°, o-bromotoluene (perchè più pesante dell’acqua, contiene bromo e ridistillata bolle a 181-183?) 200-256, 256-300°; scarse proporzioni. « Nel pallone rimase un residuo oscuro alquanto abbondante, che col raffreddamento si rapprese; ma non si riesce a ricavarne prodotti cristallizzati. « Ripetemmo l'esperienza adoperando il doppio di bromocomposti e di sodio e sempre coi medesimi risultati. Il residuo del pallone, quantunque la prima distillazione sia stata eseguita nel vuoto senza oltrepassare i 200°, era sempre catramoso e non cristallizzabile. « Le frazioni bollenti tra 200 e 300° furono ridistillate e si raccolsero le seguenti frazioni: 200-240°; 240-256°; 256-268°; 268-290°. Pesavano ciascuna circa 1 gr. e tutte e quattro si solidificavano completamente raffred- dandole con miscuglio frigorifero. « Le frazioni 256-268° e 268-290° riunite assieme e trattate con un volume eguale di alcool e un peso uguale di bromo, diedero uno scarso depo- sito di cristalli aghiformi, che cristallizzati dall'alcool fusero a 166-170°. Erano circa 1 decigramma. « L'olio rimasto inalterato trattato con una nuova quantità di bromo non diede alcun deposito solido. Le frazioni 200-240° e 240-256° nelle iden- tiche condizioni non reagirono con bromo ». — 219 — Geologia. — Per la storia del sistema vulcanico Vulsinio. Nota dell'ing. EnRIco CLERICI, presentata dal Socio CAPELLINI. » Le descrizioni contenute nei Viaggi ai vulcani spenti d’Italia nello stato romano verso il Mediterraneo (Firenze 1816 - 20) del Procaccini Ricci, e le sue conclusioni sull'origine delle rocce tufacee affatto differenti da quelle del Brocchi che nella stessa epoca percorse le stesse località e raccolse le stesse rocce registrandole nel sio ottimo Catalogo ragionato (Milano 1817), m'invogliarono a ripetere, con qualche variante, alcuni degli itinerari seguiti da quei due geologi. » Riferirò qui, ma in modo assai compendioso, le mie osservazioni fatte perlustrando quella estrema parte della provincia romana che forma il fianco orientale del sistema vulcanico Vulsinio (*), e che termina ad est al Tevere ed a sud al torrente Vezza. » I numerosi corsi d'acqua, tutti affluenti nel Tevere, hanno scavato valli strette e profonde, molte volte veri burroni con pareti a picco, oltre- modo pittoresche ed oltremodo interessanti per le grandiose sezioni naturali alte decine e decine di metri che presentano. » I dintorni di Bagnorea possono esser presi per tipo. Il terreno più an- tico è quivi un’argilla pliocenica grigio-bluastra, compatta, omogenea, stra- tificata orizzontalmente o quasi, che, essendo sufficientemente sollevata, la si ritrova in quasi tutte le valli ed anzi in alcuni luoghi forma tutto il suolo, mancando la copertura di materiali vulcanici di cui in seguito. Nel seguente elenco sono registrate soltanto alcune specie di fossili più in- teressanti o più frequenti che contiene l'argilla; ma una bella e ricca colle- zione ne possiede il marchese Carlo Gualterio (*) a Bagnorea. Anomalocardia diluvii Lamk. Murea vaginatus Jan. 5 pectinata Brocc. Fusus longiroster Brocc. Nucula placentina Lamk. Nassa semistriata Broce. » Sulcata Bronn » prismatica Brocc. Cardium hians Brocc. » Costulata Brocc. ti, echinatum Lin. Ringicola buccinea Brocc. Lucina spinifera Montg. Turritella subangulata Broce. Isocordia cor Lin. Dentalium elephantinum Lin. Corbula gibba Olivi Denti di Carcharodon, Oxyrhina, Strombus coronatus Defr. una vertebra caudale di cetaceo. (1) Hanno maggiori rapporti colla mia Nota: Pareto L., Ossero. geolog. dal Monte Aminta a Roma. Giorn. Arcad. t. C. Roma 1844. — Verri A., Osservazioni geologiche sui crateri Vulsinii. Boll. Soc. Geol. It. vol. VII. Roma 1888. — De Stefani C., 1 vul- cani spenti dell'Apennino Settentrionale. Id. vol. X. Roma 1892. () Tributo vive lodi al march. Carlo Gualterio per le sue interessanti ricerche nel ° territorio Bagnorese, che, per troppa modestia, mantiene inedite; tributo altresì sentiti ringraziamenti per la liberalità colla quale mi ha fatto parte delle sue scoperte. — 0) » In qualche posto l'argilla si fa gialliccia superiormente ed è seguita da ghiaie a sabbia gialla come, per esempio, presso Castel Cellese e S. Mi- chele in Teverina, oppure da sabbia con lastre d'arenaria a molluschi lit- torali come presso Grotte S. Stefano; ma generalmente i materiali vulcanici — ed occorre qui adoperare un termine assai generico — riposano sull'argilla, e la linea nettissima di separazione in tutte le sezioni naturali che la rag- giungono è tale come risulterebbe da un sistema di valli e colline preesi- stente alla deposizione dei materiali vulcanici. « Questo fatto, che risalta fin dal primo sguardo in queste contrade, smentisce nel modo il più assoluto la concordanza fra la formazione marina pliocenica e la vulcanica che qualche autore ha asserito nel discutere l’ori- gine dei tufi. « I materiali vulcanici costituiscono una pila, dove più, dove meno po- tente. di banchi e strati numerosi, in forma di sabbie, lapilli, piccole po- mici bianche, di tufi terrosi e granulosi, variamente alternati, che assecondano e ricolmano le accidentalità della superficie argillosa. Il colore sfuma anche nei singoli strati con gradazioni gialle, rossiccie, brune, verdognole, cenerine, ed il loro insieme, nelle menzionate sezioni naturali, imita una stoffa tes- suta a righe e ciò fino a perdita di vista con effetto sorprendente, al quale sì aggiunge quello non minore, delle bizzarre e dicotome creste e piramidi che l'erosione produce sulle sottoposte argille. « Su questi strati, in massima parte poco coerenti, talvolta, come quelli di conservatissime pomici bianche, affatto sgretolabili, sta un potente banco di quel tufo a pomici nere tanto rimarchevole, oltrechè per la sua speciale costituzione, anche per la grande diffusione che ha in questa regione, come nel viterbese, intorno ai laghi di Vico e di Bracciano. In tutto il banco iso- latamente considerato manca stratificazione evidente; alla parte superiore il tufo è rossiccio e litoide, alla inferiore bigio e meno tenace, come se gli elementi non si fossero sufficientemente cementati fra loro. In alcuni luoghi si vede, sotto al tufo pomiceo, un tufo giallo-chiaro con pomicine giallognole, adatto come materiale da costruzione, pur esso assai diffuso fra i laghi di Vico e di Bracciano. « La serie dei tufi terrosi e granulosi continua ancora al disopra del tufo pomiceo, il quale è così intercalato nella serie come un grosso strato. « Il mantelio vulcanico, la cui potenza è variabile per le ragioni già dette, raggiunge in queste località 80 a 100 m. e penso che possa essere assai maggiore: ricopriva in origine tutta la regione e dove ora manca, e le argille e sabbie plioceniche sono allo scoperto, vi fu evidentemente asportato. Il lavoro di erosione e denudazione compiutosi in tempi recentissimi, ma così intenso da scavare valli profonde 200 m., fu certamente favorito dalla debolissim» o nulla coesione di molti fra gli innumerevoli strati tufacei. « A togliere ogni dubbio restano qua e là dei veri testimoni, e meri- — 221 — tano sopratutto di essere ricordati il Montione dietro Civita, che è un obe- lisco di pochi metri di base fatto di strati tufacei, ormai soltanto della parte inferiore della serie, innalzato alla sommità di una piramide di argilla. 3 « Lo sventurato paese di Civita è costruito sopra una platea di tufo pomiceo sostenuta da una pila di strati incoerenti tagliati a picco, soste- nuta a sua volta da una base di argilla. Il continuo franamento dell'argilla e dei lapilli, provoca la caduta di blocchi del tufo pomiceo coi sovrapposti fabbricati, e l'intera rovina del paese sarà inevitabile. Intanto non vi si accede che da una strada a forte pendio sopra una cresta di argilla a picco da ambi i fianchi. Lo Stoppani, che visitò questi luoghi, riporta nel suo Corso di Geologia la riproduzione di una fotografia del paese di Civita; ma vi sarebbero da ritrarre molte altre vedute più istruttive e più interessanti. « Giacchè ho ricordato lo Stoppani, aggiungerò che egli subito dopo la succinta descrizione di queste località imprende la discussione sulla origine dei tufi romani e dice (v. vol. III, p. 382): « Io non credo che alcuno « abbia mai dubitato che i tufi della campagna romana siano composti di « prodotti di vulcani subaerei ». Così egli, di fronte all'evidenza dei fatti, lasciava in dimenticanza l'opposto parere del Brocchi e del Ponzi, nè avrebbe supposto che dopo venti anni la loro erronea opinione sarebbe stata og- getto di una voluminosa pubblicazione. « Se è cosa indubitabile » continua lo Stoppani « che quei tufi constano di prodotti di vulcani subaerei, non « ne viene però la conseguenza che i tufi stessi non possano essere sot- « tomarini. ...... Possono dunque essersi formati contemporaneamente degli « accumulamenti tufacei sulla terra asciutta, o dei sedimenti d’immediata « dejezione vulcanica in mare ». « Quest'ultima conclusione generica è giustissima se però fra gli « ac- « cumulamenti tufacei sulla terra asciutta » voglionsi comprendere anche quelli che eventualmente possono essersi formati in acque continentali. Nelle mie ultime pubblicazioni ho infatti dimostrato che nei dintorni di Roma le rocce tufacee si alternano con sedimenti d’acqua dolce e spesso con giaci- menti di diatomee d'acqua dolce, sicchè per i dintorni di Roma la teoria dell'origine generalmente nettuniana dei tufi è assolutamente abbattuta. « Ma la regione di cui è parola nella presente Nota esce dai dintorni di Roma distandone oltre 70 km.: nondimeno ho il piacere di poter dichia- rare che per questa regione vulsinia la mia tesi si estende e si dimostra con tale forza che la mia aspettativa (!) è stata di gran lunga superata. (1) Da molto tempo l’egregio ing. Demarchi, capo del distretto minerario di Roma, mi aveva comunicato, ma senza precisare la giacitura, un saggio di materiale tripolaceo leggero proveniente da Castel Cellese, in cui rinvenni abbondanti diatomee. Così pure avevo già letto nomi di località comprese nella regione, in un catalogo di materiali diatomiferi del noto negoziante Thum di Lipsia. In seguito alla mia escursione ho saputo che il marchese Gualterio avendo esaminato saggi di Latte di Luna, che così viene chiamata la farina fossile, e trovatili diatomiferi, ne mandò al conte Castracane, il quale li riconobbe subito per materiali d’acqua dolce e ne fornì al Thum. = OE « Infatti fra i menzionati tufi, ed interstratificati con essi, abbondano veri e propri giacimenti di tripoli e farina fossile che potrebbero avere an- che una certa importanza commerciale - al pari di quelli ben noti di S. Fiora - come i giacimenti di Sermugnano, di Castel Cellese, di Magognano. _ « Spesso si passa dalla farina fossile purissima ai tufi terrosi, argillosi e simili, e non mancano casi in cui si è tentati di dire che dette varietà di tufo sono un'impurità del tripoli. « A Bagnorea, ove appunto cominciano le grandi sezioni naturali, gli strati diatomiferi hanno poco spessore: ma a maggiore distanza dal lago di Bolsena, come per esempio a Castel Cellese, raggiungono decine di metri. Sono i primi strati vulcanici quelli che più interessano per la ricerca delle condizioni del terreno all'esordio dei nostri vulcani ed appunto fra questi, al disotto del tufo pomiceo, stanno i detti giacimenti a diatomee d’acqua dolce. Troppo lungo sarebbe enumerare tutti i saggi raccolti ed i luoghi per raccoglierne, tanto più che in tal caso sarebbe conveniente istituire una analisi microscopica completa delle specie in essi contenute, per poi ricercare, se possibile, le ragioni della differente distribuzione e frequenza di talune specie. Per ora interessa conoscere l'habitat di questa florula, e ciò può farsi colla semplice ispezione dei preparati: vi mancano tutte quelle vistose e caratteristiche forme proprie delle acque marine e delle salmastre, ed in- vece, insieme a specie di habitat indifferente, vi abbondano forme proprie delle acque dolci. « Nella località Poggiole presso Sermugnano si è già fatto qualche tentativo di estrazione e commercio della farina fossile di cui ve n'è un banco compatto. Il materiale bianchissimo e ‘purissimo è prevalentemente costituito da Syaedrae (S. delicatissima ed altre). « Nel precipizio sotto il paese di Lubriano, che è fondato sul tufo po- miceo, ho raccolto un tripoli argilloso povero di diatomee che nondimeno ricordo perchè è sovrapposto ad una serie di strati terrosi e lapillosi che quivi ricoprono una corrente di leucotefrite compatta nerastra, tagliata trasversalmente dal burrone del fosso di S. Lorenzo, la quale scorse in una valletta fra due colline di argilla pliocenica, non completamente riempita e livellata da altri materiali tufacei depositativi anteriormente alla emissione della lava. « Altri straterelli diatomiferi poveri si ritrovano nello stesso vallone — presso il ponte della via da Lubriano a Bagnorea. « In Bagnorea al luogo detto Jajano, presso a poco allo stesso livello dei precedenti, vi è un bello strato di farina fossile quasi pura in cui abbonda il Campylodiscus hibernicus Ehr. e poche altre specie. « A Castel Cellese, scendendo verso la pubblica fontana, si traversano prima strati di tufi terrosi e granulosi, poi il tufo pomiceo, quindi altri la- pilli, degli strati tripolacei poveri di diatomee, poi altri tufi terrosi, infine una serie di strati biancastri e giallognoli assai ricchi di diatomee che ri- — Co coprono una preesistente collina di ghiaie ad argilla gialliccia ed inferior- mente di argilla bigia pliocenica utilizzata in una fornace. « AI vicino burrone detto morra di S. Sepolcro, l'argilla non esiste nep- pure giù nel fosso che vi scorre in fondo dopo avervi fatto una cascatella. La sezione naturale è alta oltre 30 m. Al basso vi è per circa 5 m. di terra sabbiosa vulcanica nerastra: su questa, per altrettanta altezza, una serie di strati argillosi oscuri riccamente carboniosi, con pezzi di lignite, spicule di Spongilla, molte diatomee e molti granuli di polline di Pinus: quindi ar- gilla bigia gessosa con filliti (/agus, Carpinus) e poi una potente pila di straterelli varicolori biancastri e giallastri di tripoli (') riccamente diatomi- feri, continuazione di quelli or ora nominati. « Alla morra di Chiodo presso M. Secco, dove il fosso (che nella carta al 50000 ha il nome di f. Calcinara) fa una brusca risvolta, vi è una bel- lissima sezione naturale alta una quarantina di metri che merita di esser ricordata per il considerevole sviluppo della formazione d'acqua dolce. « Dal letto del fosso affiora uno strato di piccole pomici biancastre e subito, senza sfumature, comincia una successione di numerosissimi straterelli sottilissimi ed orizzontali (2), alternativamente, bianchi, gialli, grigi, di tripoli che può dividersi in lamine sottili anche quanto un foglio di carta. Questa perfetta scistosità è prodotta dal fatto che veli di diatomee compattamente infeltrate si alternano con straterelli un po’ sabbioso-calcarei. Le specie più abbondanti sono: Epithemia gibba, E. sorea, Synedra delicatissima, Cy- clotella compta v. paucipunctata. « AI disopra della metà della sezione vi è qualche arricchimento in materiali vulcanici, come pure arricchimento in calcare in modo da origi- narvi una marna con molluschi d'acqua dolce (Bythinia tentaculata Lin., Valvata piscinalis Mùll., Planorbis ece.) e più oltre travertino. « A Celleno pure abbondano i detti materiali diatomiferi. « A 2 km. da Magognano, nel pittoresco burrone dell'Infernaccio, è stata iniziata la coltivazione di un banco di farina fossile bianca e compatta po- tente circa 3 m. In corrispondenza di un protendimento della collina coperta dal bosco di C. Michignano, il burrone presenta una bella ed altissima se- zione naturale. L’argilla pliocenica, che nelle prossime colline intorno alla Mola è ricca di fossili (7urrz/ella subangulata, Nassa costulata, Dentalium elephantinum ece.), vi manca od è mascherata dal materiale franato. «Il banco di tripoli è compreso fra i soliti strati tufacei de’ quali av- vene uno di aspetto e consistenza peperinica. Verso la sommità della se- (1) Del tripoli giallastro compatto, costituito prevalentemente da Ielosira crenulata Ktz., ve n'ha uno strato alquanto potente del quale si è tentato fare commercio. Tracce di lignite, dello stesso orizzonte, si trovano anche a Roccalvecce e S. Michele » e furono oggetto di ricerche industriali (vedasi Demarchi L., / prodotti minerari della prov. Romana. Annali di statistica ser. 3%, vol. II, pag. 184-85. Roma 1885). (2) Un gruppo di strati, alla base, è singolarmente ripiegato. — 224 — zione vi appare, come un grosso strato, il taglio di una corrente di leu- citite compatta azzurrognola, ricoperta da pochi altri strati tufacei. «A3km. dalla stazione ferroviaria di Grotte S. Stefano in direzione sud-ovest trovasi il fosso delle Pozzarelle (sulla carta f. Malnome), il poggio Ulivo ed il poggio Marabese frai quali passa intagliata una strada campestre. In una bassura lì prossima vi sono due sorgenti solfuree. L’argilla ed i più bassi conglome- rati vulcanici, con molti ciottoli lavici, sono fortemente alterati e piritizzati ed una volta venivano utilizzati per la fabbricazione del vetriolo all’Edifizio. Sopra i detti conglomerati sta una serie di strati marnoso-tripolacei e farina fossile con impronte di vegetali palustri e ricca di molte specie di diatomee, alternati con straterelli di pomici o di materiali vulcanici, ed infine marna sempre più ricca di calcare che forma un calcare argilloso pieno di molluschi (Hyalina olivetorum Herm., Helix nemoralis Lin., Cyclostoma elegans Mill. ecc.) ed anche travertino che si estende verso Grotte S.Stefano. « La località è celebre per la grande quantità di ossa e denti (Z/ephas, Bos, Cervus, Felis leo v. spelaca, Ursus ecc.) che il p. Semeria vi scoprì nel 1817 e vi estrasse anche Pianciani e Procaccini Ricci (1). « Proseguendo ancora a sud, si giunge al torrente Vezza (ove appaiono anche arenarie e calcari eocenici) presso il quale sono le rovine di Ferento. Questa località è pure importante per la scoperta fattavi dal Brocchi (2) di ossa elefantine giacenti negli strati sottoposti alla lava basaltica. Io l’accen- nerò per avervi trovato un dente di Bos cfr. primigenius e per l'importante giacimento di sabbia quarzosa pliocenica adatta all'industria vetraria, che, per la potenza di oltre 15 m., affiora al disotto degli strati tufacei (3). « La formazione d’acqua dolce, oltre che coi tripoli e farine fossili già accennati, si manifesta con frequenti banchi di travertino ora tipico, ora pas- sante a' calcare argilloso, in analoghe relazioni con i tufi. È quasi sempre pieno di fossili; così per Graffignano citerò Hyalina olivetorum Herm., Helix nemoralis Lin., Succinea putris Lin., Cyclostoma elegans Mùll., Bythinia rubens Menke, Zimnaca palustris Mùll., Planorbis rotundatus, PI. com- planatus e sopratutto citerò il Zonites gemonensis Fér., specie che non tro- 1 (1) Procaccini Ricci V., Su di alcune ossa fossili. Lettera al prof. Nesti: Giornale di scienze ed arti di Firenze, t. VI, 1817, p. 220. — Id, Viaggi ai vulcani ecc. viaggio II, tomo II, p. 95. — Id. Descr. metodica di alquanti prodotti dei vulcani spenti nello stato romano. Firenze 1820, p. 99. — Pianciani G. B., Lettera III al Procaccini Ricci (nei Viaggi ecc. v.II, tomo II, p. 111). — IA Delle ossa fossili di Magognano nel territorio di Viterbo. Bologna 1817. — Clerici E., Sopra alcune sp. di felino della caverna al M. delle Gioie. Boll. R. Com. Geol. 1888. Il Pianciani nel materiale bianco e leggero rico- nobbe alcunchè di somigliante alla farina fossile del Fabbroni e del Santi che si trova presso S. Fiora e che è realmente un materiale diatomifero: però propendeva a ritenerlo un tufo omogeneo alterato. Ritengo che non lungi di là dovettero esser state trovate le ossa che il Ciampini nel 1668, istituendo la prima osservazione di osteologia comparata, dimostrò essere di ele- fante (ved. Miscellanea curiosa sine Ephem. med-phys. germ. Acad. imp. Leopoldinae nat. curiosorum Dec. II. an VII (1868) Norimbergae 1869 — pag. 446 observ. CCXXXIV Hiero- nymi Ambrosii Langenmantelii — De ossibus Elephantum). i TENZA CO (*) Brocchi G.B., Sopra alcuni ammassi colonnari basaltini del territorio di Vi- terbo. Bibl. It. vol. III. Milano 1816. — Id., Catalogo ragionato op. cit. i (3) Ved. anche: Rivista del servizio minerario nel 1890. Firenze 1892, p. 695. — 225 — vasi vivente nella provincia, della quale il marchese Gualterio possiede belli esemplari che abbiamo confrontato con altri della sua splendida collezione malacologica. « La collezione paleontologica locale del marchese Gualterio mi per- mette di citare anche interessanti resti (denti, ossa, corna) delle seguenti specie di mammiferi estratte dai travertini : Elephas — Castel Cellese, Roccalvecce, Graffignano Rhinoceros Mercki Jaeg. (= Rh. megarhinus Crist.) — Roccalvecce Equus caballus Lin. — Lubriano Bos primigenius Bo). — Pianucciole, Civitella d’Agliaro Cervus elaphus Lin. — Graffignano Cervus dama Lin. — Graffignano. « Per quanto la natura grossolana e meno compatta dei tufi terrosi e granulosi poco si presti alla buona conservazione delle reliquie organiche se- poltevi, pure queste vi sono relativamente frequenti, e spesso, nella mia ra- pida escursione di pochi giorni, ho trovato qua e là frammenti di ossa. In grazia della collezione Gualterio posso annoverare le seguenti specie: Elephas (forse antiguus Falc.) — Lubriano, Civitella d’Agliano, Pia- nucciole (1) Elephas antiquus Fale. — Due molari a Bardano presso Graffignano Equus (forse caballus Lin.) — Taglio della strada Lubriano-Bagnorea Bos — Fontaniechi e M. Albano p. Bagnorea, Guadagliona, Civitella d'Agliano Cervus elaphus Lin. — Civitella d'Agliano. » Le impronte vegetali non vi sono meno frequenti. Nella raccolta Gualterio ho riconosciuto le specie seguenti: Acer pseudoplatanus Lin.)Lo Scalone presso Bagnorea, in un tufo Ulmus campestris Lin. sovrapposto alla leucotefrite da lastri- Carpinus betulus Lin. \Milfcare: Fagus sylvatica Lin. — Bagnorea, Casali Doria presso Celleno. « In località S. Lucia, ad 1 km. da Bagnorea sulla strada carrozzabile per Montefiascone, io ho trovato un tufo giallognolo omogeneo compatto somigliante ad arenaria, posteriore al tufo pomiceo, pieno .di belle filliti: Fagus sylvatica Lin. ed altre più rare che mi sembrano di Vitis vinifera Lin. « In altra Nota collegherò la regione ora esaminata con quella posta incontro all'altra sponda del Tevere ed allora saranno meglio basate e più estese le conclusioni da trarsi. Intanto rammenterò come in linea grossolana i vulcani romani si seguano in una depressione compresa fra l'Appennino ed una catena littoranea di cui ora non restano che pochi frammenti. Che la (1) Il Pianciani nella lettera citata menziona una difesa elefantina trovata nei tufi di Lubriano. i RenpIconTI. 1895, Vol. IV, 1° Sem. 30 — 226 — depressione sia stata occupata da mare pliocenico profondo non può esservi dubbio e del pari che le sabbie astiane littorali erano già deposte quando esordirono questi vulcani. Che l’area corrispondente alla detta depressione fosse allora libera di acque marine, ciò non è ancora possibile di concludere in modo assoluto per ogni luogo; ma certamente lo era per la regione ora considerata. i i « La strada che da Montefiascone conduce ad Orvieto, segue lo sparti- acque fra il lago di Bolsena ed il Tevere; tutto il territorio da un lato ed almeno per un paio di chilometri dall'altro verso il Tevere, come le istrut- tive trincee della ferrovia Viterbo-Montefiascone, mostra che i prodotti di eruzioni aeree caddero su terreno asciutto. A Monte Rado, a Montefiascone e più a sud a Monte Jugo, sono così ben conservati che paiono eruttati di fresco. A distanza di soli 4 km. dal detto spartiacque (cioè 14 km. dal centro del lago; a metà distanza fra il lago e il Tevere) cominciano i grandi burroni e le sezioni naturali arrivano molto al disotto del tufo pomiceo ed appaiono i giacimenti d’acqua dolce e diatomiferi, dapprima poco potenti, quasi sopraffatti dalla grande quantità di materie vulcaniche, poi sempre più potenti. « Nessuna prova finora che il vulcano esordisse sotto le acque marine; la fase sottomarina, se vi fu, dovette essere fugacissima, e tutto porta a con- cludere che il vulcano sorse in una regione eminentemente palustre o che vi divenne subito dopo. La parte più bassa della falda occidentale del si- stema estendendosi successivamente potè raggiungere il mare; ma là gli strati tufacei contengono molluschi marini ». Anatomia. — A/cuni fatto che riguardano la cresta neurale nel capo dei Selaci. Nota di A. Cocci, presentata a nome del Cor- rispondente EMERY. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI A. AnpRrEocci. Sui quattro acidi santonosi. Presentata dal Socio CANNIZZARO. PERSONALE ACCADEMICO Il Presidente BrioscHI dà annuncio della dolorosa perdita fatta dal- l'Accademia nella persona del Socio straniero A. CayLEY, e legge una Ne- crologia del defunto accademico ('). (1) V. pag. 177. — 227 — PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario BLAsERNA presenta le pubblicazioni giunte in dono, se- gnalando quelle inviate dal Corrispondente MrLLosevica, dal Socio straniero ZEUNER, dai dottori BerLese e MARTORELLI, e dall’Osservatorio di Bonn. CORRISPONDENZA Il Segretario BLAasERNA dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: La Società Reale ed il Museo di geologia pratica di Londra; la So- cietà di scienze naturali di Emden; il R. Osservatorio di Vienna ;le Uni- vertità di Upsala, di Tokyo e di Coimbra. Annunciano l’invio delle proprie pubblicazioni : La Società Geografica Italiana di Roma; l’Università di Pisa. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nell'adunanza del 3 marzo 1895. Albert I de Monaco. — Sur les premières campagnes scientifiques de la Princesse Alice. Pacis, 1895. 4°. Berlese A. — Le Cocciniglie italiane viventi sugli agrumi. Parte I. II. Avellino, 1893-94. 8°. Buchanan J. Y. — Sur la densité et l’alcalinité des eaux de l’Atlantique et de la Méditerranée. Paris, 1894. 4°. Corradi A. — In memoria di Alfonso Corradi. Bologna, 1895. 4°. Catalog der Astronomischen Gesellschaft. 1° Abth. 6 St. Leipzig, 1894. 4°. De Angelis G. — Descripcion de los Antozoos fésiles pliocénicos de Cata- luîia. Barcelona, 1895. 8°. Id. — I Corellarii fossili dei terreni terziari, collezione del gabinetto di S. N. di Udine. Siena, 1895. 8°. Id. — Sopra il primo fossile vegetale trovato tra gli schisti conii pa- leozoici dell’Elba orientale, Roma, 1895. 8°. Gasco F. — Commemorazione di F. Gasco fatta al Circolo dei Naturalisti __ il 10 gennaio 1895. Roma, 1895. 8°. Janet Ch. — Etudes sur les fourmis. Notes 2. 3. 4. 5. 7. Paris, 1894. — 228 — Id. — Transformation artificielle en Gypse du Calcaire friable des fossiles des sables de Bracheux. Paris, 1894. 8°. Klein C. — Der Universaldrehapparat, ein Instrument zur Erleichterung und Vereinfachung krystallographisch-optischer Untersuchungen. Berlin, 11895. 189. Ilaciola O. — Istituzioni sintetiche di un sistema universale di autosismo- grafi differenziali ecc. Messina, 1895. 8°. Martorelli G. — Monografia illustrata degli uccelli di rapina in Italia. Milano, 1895. 4°. Millosevich E. — Don Eugenio dei Principi Ruspoli. Roma, 1895. 8°. Monari A. e Scoccianti L. — La piridina nei prodotti della torrefazione del Caffè. (Ministero dell'Interno, Lab. Chim. Dir. San. pub.). Roma, 11895. 40, Oppermann A. e Schuchhardt C. — Atlas der vorgeschichtlichen Befestigung in Nieder-Sachsen. Heft IIT. IV. Hannover, 1890-94. 4°. Pagliani L. e Guerci C. — Relazione intorno alla coltivazione delle risaie (Ministero dell'Interno. Lab. chim. Dir. San. pub.). Roma, 1895. 4°. Pavesi P. — Il ponte Lusertino. Pavia, 1895. 8°. Stossich M. — Osservazioni sul Solenophorus megalocephalus. Trieste, 1895. 8°. Trabucco G. — Nummulites et Orbitolites dell'arenaria macigno del bacino eocenico di Firenze. Pisa, 1894. 8°. Id. — Sulla vera età del calcare di Gassino. Roma, 1895. 8°. Zevner G. — Neue Sterblichkeitstafeln fir die Gesammt bevolkerung des Kén. Sachsen. Berlin, 1894. 4°. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE SECO DENIE: DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 17 marzo 1895. A. MessepaGLIA Vicepresidente MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Ù Matematica. — Di una formola relativa all’ integrale ellit- tico completo di prima specie, contenuta in uma precedente Nota, e di altre a quella affini. Nota di Davipe Besso, presentata dal Socio BELTRAMI. « Nella Nota Sopra alcune equazioni differenziali ipergeometriche (!) ho avvertito che l'equazione differenziale | cx CPU d°U 118 CAGNANO SISI (3) e+(!- 4° E ng Uno I è soddisfatta da K°(/), quando si ponga nl prerid Le (@=1+(3) + (a) t- « Ho poi osservato che la stessa serie è eguale a e che è I TT i Dl K(y sen 0) dé, 0 rr? e che in conseguenza è o '_K (aa) STRO —. | ri ro (1/ 2 Dio (1) Inserita in questi Rendiconti (vol. III, 2.° sem., fasc. 12, serie 5°). (2) Ivi è scritto, per errore, 44 in luogo di a?. RenpIconNTI. 1895, Vot. IV, 1° Sem, 31 — 2) « Alcune altre formole, affini alla (1), sono qui dimostrate. | « I. L'equazione I si può trasformare nella Ar sore dalla quale, ponendo U = K?(%), e rammentando che è È INA dK 1 1 (1-9) +(1-3)) 7 —igf=0 si ricava 2 Ve LIA 2 ta [2 dK i K° (X)di —EK° (k) — 16% (1—£) FE + cost. e in conseguenza a? a K? 1—-y1—f\dé=@a*K°(c) -4[E(e)—(1—@)K(06)} ( ì e ()-(1—)E(0)} (2) ove è A i (VAT = 9 c(0 3) K({)Va —&dt, Ii 0 si ha, in forza della (1), | y@=aR(y/1 21122), | dalla quale e dalla (2) risulta i | « 2. Ora posto J K(ar) VI ade =3R (9) — ERA) Et (3) e in particolare fa (e) VI1-ada = ; x:( 3)" n (3) | DE « 3. L'equazione differenziale a(1-2)y'+(1-32°)y — ay=0 soddisfatta dalla K(z), si può mettere nella forma Syupda=a(1— @°)(y09' — y'6) + cost. I in cui @ significa una funzione arbitraria, ed è y=a(1—-2)0"+(1— 32°) 0 — 20. — Ill « Colla posizione 6=a(1—-2) , y=K(2), sì trova EE Da (1— 2) K (0) de — (8248243) — eV K(0)de+47 ("(1—-2)K(@)de=' (4) —2(1—-@}[(A1-0+1)@)K()—38()] « Quando si faccia tendere 4 ad 1 e si ponga 2r-1 1 e.) 5 Ji (7) BR) Wo, si ricava dalla (4) (2r +3)? W,4a — (87° + 16r+4- 9) W,.1+(27+1)? W,=0 (1) (5) mediante la quale, e i valori di W, e W, dati dalle (1) (3’), si potrà cal- colare la W, per ogni valore dell'intero positivo 7. « 4. Colla sostituzione 0=(1—-a°) si ricava dalla II +1? f 20 — E (2) de — 4 fel) Kde =(1—a?)[E(a){((24+1)a° —1)K(a)] « Ora mediante la serie (6) 2) cl) = 31 (1) (ft (1) Moltiplicando per y 1 x? i due membri della nota relazione 1 ME Toso ) nella quale è (A da. si ottiene an e (a TAesa ra=y/ (vi 7, ko). ) E da questa, rammentando che è VITA K)<5 risulta lim (V i2#K0) =0. / 3= — 232 — si ottiene facilmente ND tr Ar sena TE , Nut) 7a pf (ar) de = 3 3 ( e in particolare 1 x rr? fra de=7 « Perciò dalla (6) risulterà fr Pa ( Lil ni si (8) Matematica. — Sulle equazioni differenziali lineari del 4° ordine, che definiscono curve contenute în superficie algebriche. Nota di Gino Fano, presentata dal Socio CREMONA. « 1. Dopo aver trattato in due Note precedenti (') il caso di un’ equa- zione differenziale lineare (omogenea) di ordine qualunque x, tale che un si- stema di integrali indipendenti di essa y1, Y/» , - + + Yn Soddisfacciano a un certo numero (>n — 2) di equazioni algebriche rappresentanti complessivamente una curva nello spazio S,-: delle coordinate (projettive) omogenee y;, mi propongo di studiare adesso il caso in cui le stesse equazioni algebriche (che si dovranno supporre in numero > n — 8) rappresentino una superficie di quello spazio; il caso cioè in cui la curva 7° definita dall’equazione differen- ziale proposta (°), pur essendo trascendente (*), è contenuta in una super- ficie algebrica. In questa prima Nota (e in un’ altra successiva) mi occu- però soltanto delle equazioni differenziali lineari del 4° ordine (Sn-1 = Ss), supponendo perciò che quattro soluzioni indipendenti y,,%2,%3,%4 siano le- gate da una (ed una sola) equazione algebrica. Per le equazioni differenziali di ordine superiore al quarto mi propongo anche di esporre alcune conside- razioni generali, che formeranno probabilmente oggetto di una terza Nota. « Questo caso che qui mi propongo di studiare non è ancora stato trat- tato sistematicamente (ch'io sappia almeno) in modo completo (nemmeno per le equazioni» differenziali di 4° ordine (‘)). In Francia, Goursat e Halphen (1) Cfr. questi Rend., pp. 18-26 e 51-57. (2) loc. cit., p. 19. (3) E tale possiamo supporla, perchè, se fosse algebrica, si ricadrebbe nel caso già trattato nelle mie due Note citate. i (4) Per le equazioni differenziali lineari di 3° ordine non sì può nemmeno porre la questione analoga, perchè l’esistenza di una sola equazione algebrica fra le soluzioni Y: Y2, Ys richiederebbe già che fosse algebrica la stessa curva I. — 233 — hanno studiato in alcune Note (Compt. Rend. t. XCVII, C, CI; Bull. Soc. Math. de Fr., t. XI) il caso in cui la superficie algebrica contenente la curva T° è una quadrica, oppure la sviluppabile biquadratica circoscritta a una cubica schemba; e del primo di questi casi Halphen sì è occupato anche più a lungo nella Memoria: Sur les invariants des équations différentielles lintaires du 4° ordre (Acta Math., vol. III, p. 325-380). In Germania, Ludw. Schlesinger (Diss. Berlin, 1887) si era proposta la stessa nostra questione (sempre per le equazioni differenziali di quarto ordine) in modo abbastanza generale; ma solo in alcuni casi particolarissimi (quelli stessi trattati dai due matematici francesi, e quello lel cono) gli riuscì di giungere a un risultato soddisfa- cente. (‘) Io tratterò invece la questione da un punto di vista completamente geometrico, e mi varrò soprattutto dei risultati sulle superficie algebriche con infinite trasformazioni projettive in sè stesse, che il Sig. Enriques ha ottenuti nella sua Memoria (e Nota successiva) inserte negli Atti dell’ Ist. Veneto, serie 72, t. IV e V, e che da me furono completati recentemente colla considerazione delle omografie a punti uniti multipli (cfr. questi Rend., p. 149). Che queste superficie appunto debbano comparire nelle nostre ricer- che, è chiaro, perchè le diverse operazioni contenute nel gruppo monodromico dell'equazione differenziale proposta daranno altrettante omografie trasformanti in sè stessa la superficie algebrica (unica), in cui la curva I° (supposta tra- scendente) deve essere contenuta. « 2. Sia data un’ equazione differenziale lineare (omogenea) del 4° ordine: E Aya 0. priva di punti singolari essenziali (irregolari), i cui coefficienti si suppon- gono funzioni algebriche di una variabile indipendente ., e precisamente tutte funzioni razionali di uno stesso ente algebrico (o superficie di Riemann) di genere qualunque. Si supponga inoltre che quattro integrali indipendenti Yx,-- ya di quest’ equazione differenziale siano legati da una equazione algebrica (omogenea) a coefficienti costanti (di grado superiore al primo); vale a dire che, interpretate le y; come coordinate (projettive) omogenee di un punto (y) dello spazio ordinario, la curva Y° descritta da questo punto al variare della 4 sia contenuta in una superficie algebrica F. «“ Se il gruppo monodromico dell’ equazione differenziale proposta è finito (non contiene cioè che un numero finito di operazioni), le y; saranno an- ch'esse funzioni algebriche della + (senza essere tuttavia, in generale, fun- (1) Mentre questa nota era in corso di stampa, avendo avuta occasione di sfogliare alcuni volumi delle Memorie di questa illustre Accademia, mi sono accorto che di alcune questioni, fra quelle di cui vado ora occupandomi, è fatto anche cenno, sempre da un punto di vista puramente analitico, in taluni lavori del prof. D. Besso, inserti nei vo- lumi XIV e XIX di dette Mem. (ser. 3°). Cfr. ad es., per il caso di una curva I° conte- nuta in una quadrica, la Memoria a pp. 219-231 del vol. XIX cit. — 234 — zioni razionali dello stesso ente algebrico primitivo). Se questo gruppo è in- finito, potranno ancora le y; differire da funzioni algebriche solo per uno stesso fattore comune a tutte (e che dovrà comportarsi moltiplicativamente sopra ogni superficie di Riemann, sulla quale dette funzioni algebriche risultino razio- nali (')). Io ogni altro caso la superficie F dovrà certo ammettere infinite trasformazioni projettive in sè stessa. « Ora, il gruppo di /ut/e le trasformazioni projettive della superficie F in sè stessa è necessariamente algebrico; e perciò, se contiene un numero infinito di operazioni, è certamente continuo, o misto. In quest'ultimo caso esso si comporrà di un numero finito di schiere continue, «24 delle quali sarà di per sè un gruppo (continuo) (2). Ma, se il gruppo monodromico dell’equa- zione differenziale proposta contiene a sua volta operazioni di un certo numero k>1 di queste schiere (e potranno anche non essere tutte, purchè queste % formino di per sè un gruppo), noi potremo passare dalla superficie di Riemann data ad una seconda in corrispondenza (7,1) colla prima, sulla quale (seconda) i coefficienti A; siano ancora funzioni razionali, e, di più, i diversi cammini chiusi corrispondano soltanto a sostituzioni lineari delle y;, quindi a trasfor- mazioni projettive della superficie F, contenute in quella delle % schiere, che è di per sè un gruppo (continuo) (*). A questa separazione delle % schiere (1) Cfr. anche questi Rend., p. 25. È chiaro però che in questi due casi la curva T° risulterebbe essa stessa algebrica. (®) Cfr. Lie, Zheorie der Transformationsgruppen, vol. I, cap. 18; vol. IMI, p. 180. (3) Basta perciò ricordare (cfr. Lie, op. cit., vol. I, p. 3821-22) che le operazioni di un gruppo misto G si ottengono moltiplicando quelle del gruppo continuo più ampio G' in esso contenuto per un certo numero (nel nostro caso £, l'identità inclusa) di altre ope- razioni (soddisfacenti a determinate condizioni, che qui non starò a ripetere). D'altra parte sappiamo che il gruppo monodromico dell’equazione differenziale proposta ammette un certo numero 20 +m di operazioni (sostituzioni lineari) generatrici, che si possono far corrispon- dere ai 2p tagli canonici, ritenuti ad es. uscenti tutti da uno stesso punto, e a certe linee che congiungono quest’ultimo punto coi punti singolari dell’equazione differenziale, supposti in numero di 7 (e precisamente in questo senso, che un opportuno sistema di integrali y indipen- denti, nell’atto di attraversare una di queste linee, invece di variare con continuità, subisca una determinata di quelle sostituzioni lineari). Di queste 204 m operazioni fondamentali, alcune (forse) saranno contenute nel gruppo continuo G'; le altre, e sia H una qualunque di queste, permuteranno fra loro in modo determinato le % schiere di G (una delle quali è appunto G’), intendendo che la permutazione sia precisamente tale da sostituire ad ogni schiera quell'altra, che è il prodotto di questa stessa per l'operazione H considerata. Im- maginiamo ora altre & —1 superficie di Riemann, tutte identiche a quella data, e ad essa sovrapposte; e ognuna di queste % si faccia corrispondere a una determinata delle k schiere del gruppo G. Di più, immaginiamo di incidere queste stesse superficie lungo le linee h che corrispondono alle operazioni H; e, volta per volta, raccordiamole l’una coll’altra, lungo queste stesse linee, secondo la permutazione che la corrispondente operazione H determina fra le k schiere del gruppo G. Avremo così una nuova superficie di Riemann (complessiva), che rappre- senterà certo un ente algebrico irriduttibile (se tale era quello primitivo), perchè le operazioni H, combinate in modo opportuno, permettono di passare da una qualunque delle k schiere a ogni — 235 — corrisponderà come operazione analitica la risoluzione di un'equazione algebrica di grado £, coefficienti razionali sulla superficie di Riemann primitiva (e in parti- colare di un'equazione binomia, quando dal gruppo continuo si può passare a ciascuna delle altre X — 1 schiera mediante potenze di una stessa operazione del gruppo monodromico) (*). « Noi potremo dunque supporre, nella ricerca che ci siamo proposta, che il gruppo monodromico della nostra equazione differenziale sia contenuto nel gruppo continuo più ampio di trasformazioni projettive della superficie Fin sè stessa. Ogni altro caso potrebbe ridursi a questo coll’estendere in modo opportuno il campo di razionalità primitivo (?). « 3. Supponiamo anzitutto che la superficie F ammetta un gruppo con- tinuo (soltanto) co! di trasformazioni projettive. Dalla mia Nota cit. (cfr. questi Rend., p. 152) risulta che i diversi casì possibili devono tutti rientrare in uno dei due seguenti: « 1° Le infinite omografie del gruppo hanno quattro punti doppi (co- muni) distinti e indipendenti (senza escludere con ciò che vi possano essere - anche infiniti punti doppi); « 2° L'equazione caratteristica di un’ omografia generale del gruppo ha una sola radice quadrupla. « Nel primo caso è chiaro (data la forma canonica a cui le equazioni del gruppo potranno ridursi) che fra gli integrali dell'equazione differenziale proposta, ve ne saranno quattro (almeno, e indipendenti) puramente molti- plicativi. L'equazione è dunque integrabile con sole quadrature e funzioni altra, sicchè i raccordamenti eseguiti devono anche permettere di passare in modo continuo da uno strato qualsiasi ad ogni altro. Le funzioni razionali sulla prima superficie sono tali anche sulla nuova (ritenuto che esse assumano ora uno stesso valore in ogni gruppo di % punti sovrapposti). E infine, un cammino chiuso qualunque di questa nuova superficie, o evita le linee &, e allora corrisponde certo a una sostituzione lineare contenuta nel gruppo G'; oppure ne incontra qualcuna, ma allora deve incontrarle complessivamente un tal nu- mero di volte, che il prodotto delle corrispondenti operazioni H muti in sè stessa almeno una schiera di G (nel senso che questa schiera moltiplicata per quel prodotto, riproduca sè stessa); e ‘quel prodotto dovrà allora anche appartenere a G'. In ogni caso dunque la sostituzione corrispondente al cammino chiuso è contenuta in G”. (Per tali costruzioni di superficie di Riemann, operando su di una superficie data ad arbitrio come se fosse un piano, cfr. Hurwitz, Math. Ann. XXXIX, pag. 51 e seg.). (1) Più generalmente, il Gruppo dell'equazione algebrica che dovremo risolvere coinciderà col gruppo delle permutazioni (o sostituzioni) che le operazioni H considerate nella nota prec. e i diversi loro prodotti determinano sulle X schiere del gruppo G (cfr. anche Vessiot; Ann. Éc. Norm. Sup., 1892, p. 236). (2) Quest’osservazione, d'altronde semplicissima, ci dispenserà quindi dal cercare volta per volta, se e come i singoli gruppi continui che incontreremo possano venire ampliati (erweitert). — 236 — esponenziali (le quadrature essendo da eseguirsi su funzioni razionali nel campo prestabilito). « E a questo stesso risultato si giunge anche nel 2° caso. Ad es., se vi è un solo punto unito quadruplo (se cioè la radice quadrupla dell'equazione caratteristica non annulla tutti i subdeterminanti di 3° ordine del determi- nante che costituisce il 1° membro di essa), le equazioni del gruppo potranno ridursi alla forma: 10 = gn 4A pe eh d gol + gi dada gu 1 UÙ = Ya 4 Aya tt 4243 Ya de YO = Ya +%3 yat YO = Ya dove le Z sono costanti, e': è il parametro variabile (cfr. Pittarelli, Z gruppi continui projettivi semplicemente infiniti nello spazio ordinario; Ann. di Mat., ser. 2*, t. XXII, p. 286). «“ Da queste formule si deduce che la 4 è puramente moltiplicativa ('); che il rapporto 5 si comporta additivamente rispetto a tutte le operazioni del 4 gruppo, ed è perciò un integrale Abeliano sulla data superficie di Riemann; e che infine le funzioni: day — 243 Ya Ya 34 ya yi — BA As yo YnYd AA gi e —_ Ya Ya si conservano numericamente inalterate rispetto alle operazioni dello stesso gruppo 00), dunque anche rispetto a quelle del Gruppo di razionalità del- l'equazione differenziale proposta (che è contenuto nel precedente, oppure coin- cide addirittura con esso (?)), e sono perciò razionali sulla stessa superficie di Riemann (*). E poichè la ys non è che il prodotto di y, per il rapporto f= 5 la ys è funzione razionale di y3,y4e/ elay, è funzione pure razionale 4 (1) Non si può escludere infatti che essa si riproduca soltanto a meno di certi fattori, i quali dovranno comparire allora anche in tutte le altre y. (2) A meno che lo stesso gruppo di razionalità non contenga più sostituzioni li- neari corrispondenti a una medesima trasformazione projettiva del gruppo co! conside- rato. Ma quelle sostituzioni lineari si potrebbero allora ottenere applicando prima la trasformazione projettiva corrispondente, e moltiplicando poi ancora tutte le y per uno stesso fattore, il che non altererebbe nemmeno le funzioni fi e fa, essendo esse omogenee (di grado zero). (8) Le equazioni /i = cost. e /a = cost. rappresentano rispettivamente due fasci di superficie; la prima, di coni quadrici (col vertice comune nel punto Y» = Ya = ya=0); la seconda, di rigate cubiche di Cayley. Due superficie appartenenti rispettivamente a questi — 257 — di %», 3/4 @ f:, si conclude che effettivamente tutte quattro le y; potranno ancora esprimersi con sole quadrature (e funzioni esponenziali). « Gli altri gruppi 00, in cui l'equazione caratteristica di un'omografia generale ha una sola radice quadrupla, rientrano tutti in quest'ultimo come casi particolari. Se vi è una sola retta di punti uniti, e gli altri due punti doppi coincidono in un punto' di questa ('), si può aggiungere che la super- ficie F_ dovrà contenere un fascio razionale di coniche, segato dai piani per una retta. « In ogni caso poi, se vi sono due rette di punti uniti, distinte o coin- cidenti (omografia rigata, o rigata speciale di Segre), la superficie F sarà una rigata colle stesse due rette per direttrici (contenuta cioè nella congruenza lineare determinata da queste stesse direttrici). E se il gruppo si compone di sole omologie (generali o speciali), la superficie F sarà certamente un cono, e verrà quindi mutata in sè stessa da 00' trasformazioni così fatte (più, forse, altre omografie). Di quest'ultimo caso dovremo perciò occuparci più avanti. « 4. Passiamo al caso in cui la superficie F_ ammette un gruppo con- tinuo 00° (e non più) di trasformazioni projettive. Queste superficie sì divi- dono in quattro categorie (£): « 1.° Superficie W di Klein-Lte (cfr. Compt. Rend., t. LXX, pp. 1222 - 1226); « 2.° Rigate (di ordine 4) con due direttrici rettilinee infinita- mente vicine i « 3.° Superficie contenenti un fascio di coniche, segato dai piani per una retta; « 4.0 Superficie di 6° ordine a sezioni ellittiche, rappresentabili sul piano con un sistema di cubiche aventi a comune un flesso e la relativa tangente. « Nel primo caso non abbiamo che le superficie di grado superiore al secondo, la cui equazione può mettersi sotto la forma: Ya Ya Y3% Yu = COSÌ. due fasci hanno sempre a comune la retta y3 = y4,= 0, da contarsi tre volte; l'intersezione residua è una cubica sghemba (variabile), le cui equazioni (sotto forma parametrica) sareb- bero date dalle stesse formule di trasformazione, dove Yi, Y2, Ys, Y4 si supponessero coordi- nate di un punto arbitrario di essa. Queste 00° cubiche sono infatti le trayettorie determinate nello spazio dal nostro gruppo co'; e la superficie F dovrebbe contenere in questo caso un fascio (non necessariamente A) di tali curve. (1) Omografia [(31)] di Segre (Mem. di quest’Acc., ser. 3%, vol XIX) e [(100)] di Predella (Ann. di Mat., ser. 22, vol. XVII). È questo il caso n° 9 (p. 292) della Mem. cit. di Pittarelli. (2) Cfr. Enriques, Mem. cit., p. 44. Nella mia Nota ultima è dimostrato che anche la considerazione delle omografie con punti uniti multipli non conduce a nessun altro caso (cfr. questi Kend., p. 155). RenpIconTI. 1895, Vol. 1V, I° Sem. 92 — 238 — dove le « sono (o almeno si possono ritenere) numeri interi, aventi per somma zero. Quest’unico caso si presenta infatti quando i quattro punti doppi (che risultano comuni alle 00° omografie del: gruppo) sono tutti distinti; negli altri casi si ottengono come superficie W algebriche (all'infuori dei piani uniti) soltanto rigate cubiche di Cayley, 0 quadriche; dunque superficie che ammettono rispettivamente 00° 0 co° trasformazioni projettive (!). « È chiaro che in questo caso l'equazione differenziale proposta ammet- terà ancora (come nel 1° caso del n° prec.) quattro soluzioni indipendenti pura- mente moltiplicative, e si potrà perciò integrare con sole quadrature (e fun- zioni esponenziali) (*). « 5. Nel secondo caso le equazioni del gruppo 00° possono mettersi sotto la forma (cfr. Enriques, 1. c., p. 35): yO=Yy + A Y ysV= 941 Ya YZ 0Y yi = 02 (Ya + @ Y3) dove @« e 0 sono i parametri, e p è una costante (razionale, se il gruppo / UR : TÌ deve essere (come in questo caso) algebrico, e diversa da 1 e da a 8 la su- perficie F_ non deve essere una quadrica, nè una rigata di Cayley). « La ys e la y3 si comportano dunque moltiplicativamente rispetto a tutte le operazioni del gruppo, e i rapporti 3 e ; subiscono sostituzioni lineari VE 3 intere (sono dunque integrali di funzioni moltiplicative) (*). L'equazione diffe- (1) La rigata di Cayley si ottiene quando vi è un solo punto unito quadruplo (cfr. Compt. Rend., t. LXX, p. 1224). In ogni altro caso, l'equazione della corrispondente superficie W (che qui vogliamo sia algebrica) si ottiene ponendo un’equazione lineare tra funzioni al- gebriche (razionali, intere) delle coordinate (non omogenee), che risultano di grado non superiore al secondo. L'equazione non può dunque rappresentare che una quadrica (0 un piano). (2) È notevole il fatto che questo gruppo continuo 00° può essere ampliato in modo semplicissimo, quando due o tre delle « siano eguali fra loro (nel qual caso appunto le y corrispondenti possono venir comunque permutate). Ciò si verifica ad es. per la superficie cubica y° — y» Ya y4=0. Il caso in cui la curva P è contenuta in una tal superficie (o in una varietà analoga y2 — Ye ys © Yp+: = 0 di Sp, quando si trattasse di un'equazione diffe- renziale di ordine p + 1) è stato studiato analiticamente dal signor Wallenberg in una Nota escita alcune settimane or sono (Journ. de Crelle, t. CXIV, 3° fasc.). E il risultato da lui otte- nuto è una conseguenza immediata del fatto che il gruppo delle trasformazioni projettive ammesse da questa varietà di S, si compone (per p — 3) di un gruppo continuo transitivo oop-1 coi punti uniti fissi, e delle altre p! — 1 schiera, che si ottengono moltiplicando questo gruppo per le sostituzioni lineari corrispondenti alle diverse permutazioni delle Ya, Y3 0 Ypar (3) E tutto questo continuerebbe a sussistere anche se assieme alle y conside- rate di sopra se ne dovessero considerare (e così potrebbe occorrere) altre, differenti da queste per uno stesso fattore, forse anche variabile. Lo stesso dicasi per i due casi seguenti (cfr. anche la nota (*) a p. 236). 39 — renziale proposta è ancora integrabile per quadrature e funzioni esponenziali, e ammette in particolare due soluzioni distinte puramente moltiplicative. « Nel 3° caso le equazioni del gruppo possono mettersi sotto la forma: ; VO =YHK 244 @° Ys Ya = 0 Ya ya = 0 (Ya 4 @ Y3) ya = oP Y,y dove ancora « e 0 sono i parametri, e p è una costante arbitraria (nel nostro S caso razionale). La yz e la y, si comportano dunque moltiplicativamente ; il LE subisce soltanto delle sostituzioni lineari intere, e infine la fun- Y3 zione 13 — y$ si comporta anch'essa moltiplicativamente (*). Tutte quattro le y si potranno dunque esprimere con sole quadrature e funzioni esponenziali. « Nel 4° caso infine, le equazioni del gruppo 0° si possono mettere sotto la forma (cfr. Enriques, Atti Ist. Ven., ser. 7%, t. V, p. 3 della Nota cit.): rapporto n= 8 yy +3 a* By +3 @B° ya + PB ya YsO= @Y3T BY YP= a? ya + 2a yz Ley VD Yi sicchè y4 è ancora funzione moltiplicativa, 3 è l'integrale di una tale fun- UE zione, e le due funzioni: VU, Yi —6YY YA AYA AYY—3 YI sono esse pure moltiplicative. Le y si possono dunque esprimere anche in quest’ultimo caso con sole quadrature e funzioni esponenziali, più (per 71) un’estrazione di radice quadrata (?). « Anche se la superficie F ammette 00° trasformazioni projettive in sè stessa, l'integrazione dell'equazione differenziale proposta non richiede dunque operazioni più elevate delle quadrature. Di queste però ne possono occorrere, e ne occorreranno anzi in generale (almeno nei tre ultimi casi), due successive, la prima essendo da eseguirsi su di una funzione razionale. In un'altra Nota vedremo come ciò sia d'accordo colla composizione dei diversi gruppi 00° che a noi si sono presentati, e passeremo poi al caso in cui la superficie F ammette %03 0 più trasformazioni projettive ». (1) Le omografie di questo gruppo 00? mutano infatti in sè stesso il cono y1 ys — y3 = 0. Wuesto cono ha il vertice nel punto y, = %y:=%3 =0, contiene come generatrice fissa la retta y°=ys=0, e è toccato lungo questa generatrice dal piano fisso ys=0. Di più, anche la sezione piana determinata nel cono dal piano y4=0 è mutata in sè stessa da tutte le omografie del gruppo (cfr. Enriques, Mem. cit., pp. 23, 40). (2) Quest'ultimo gruppo 00? si compone delle omografie che mutano in sè stessa una cubica sghemba con un punto unito (fisso) (y»;=ys3=%1«="0) su di essa; e le due ultime funzioni, che abbiamo detto essere moltiplicative, eguagliate a zero, rappresentano rispet- tivamente il cono quadrico che projetta la cubica da questo punto unito, e la sviluppabile biquadratica circoscritta alla stessa curva. E chiaro perciò che dette funzioni dovranno appunto riprodursi, dopo una qualunque trasformazione del gruppo, a meno di certi fattori. — 240 — Elettricità. — Sulla costante dielettrica di alcune sostanze € particolarmente del vetro (1). Nota di D. Mazzorto, presentata dal Socio BLASERNA. « 1) Il vetro è una delle sostanze la cui costante dielettrica, K, non solo non soddisfa alla formula di Maxwell K=7?, almeno quando si prenda per x l'indice di rifrazione ottica (secondo Arons e Rubens (2) vi soddisfa quando 2 e K sono determinati con oscillazioni rapide), ma presenta valori assai discordi nelle determinazioni dei varî autori. Uno dei risultati che più si allontana dalla media degli altri è quello ottenuto da Lecher (8) coll'apparecchio che porta il suo nome, ond'io, avendo in questi ultimi tempi acquistata una certa pratica nell'uso dell'apparato stesso, credetti opportuno intraprendere con esso alcune ricerche rivolte specialmente allo scopo di determinare, in circostanze piuttosto variate, la costante die- lettrica del vetro, deducendola da confronti di capacità, e vedere se si confer- mava il risultato del Lecher il quale avea trovato per essa costante un valore assai elevato (7,3) e maggiore colle oscillazioni rapidissime che con quelle di media e bassa frequenza. Ciò sarebbe in contraddizione, sia coi risul- tati di altri esperimentatori, sia colle vedute teoriche secondo le quali al- l'aumentare del numero delle vibrazioni, il valore di K si dovrebbe abbas- sare avvicinandosi al limite #2 (2,36 circa) che dovrebbe raggiungere quando le oscillazioni elettriche-raggiungessero la frequenza di quelle ottiche. « 2) Prima di incominciare le determinazioni col vetro intrapresi una serie di esperienze con altri corpi (petrolio, olio, solfo e paraffina), che potessero servire come termine di paragone dell’attendibilità dei risultati, determinando per essi, come poi pel vetro, la costante dielettrica con lunghezze d'onda va- riabili entro limiti piuttosto estesi e con condensatori di forma 0 dimensioni differenti, e così assicurarmi che i risultati non fossero accidentali e valevoli solo nelle condizioni speciali in cui erano ottenuti, il che era hen da te- mersi in una ricerca come questa in cui varî esperimentatori ottennero ri- sultati tanto differenti. « 3) I condensatori usati in queste ricerche furono quattro, tutti di la- miera d’ottone; tre di questi, che chiamerò grande medio e piccolo, erano circolari, colle lamine mantenute a distanze invariabili, e rispettivamente del diametro 9,6; 19,9 e 22,9 cm., dello spessore di 0,14; 0,14 e 0,044 cm. ed alla distanza di 5,11; 5,11 ed 1,13 cm. (1) Lavoro eseguito nell'Istituto Fisico della R. Università di Sassari. (®) Arons et Rubens, Wied. Ann. 42° 581. (1891); 45° 881 (1892). (8) Lecher, Wied. Ann. 42°, pag. 142 (1891). — 241 — « Il quarto condensatore era rettangolare (10,07 X 15, 39 cm.) colle la- mine di spessore 0,15 cm., le quali potevano fissarsi a quattro distanze diffe- renti dv= 2,60 de= 4,20 di= 2,80 ds= 1,40 dr 0,70 cm. «T due condensatori circolari medio e piccolo, venivano immersi diretta-- mente nei dielettrici liquidi contenuti in recipienti di terra; il condensatore rettangolare serviva pei dielettrici solidi: quando le lamine aveano la di stanza do, esse potevano chiudere esattamente fra di loro una lamina di solfo, di paraffina o di vetro da specchi, di spessore uguale alla distanza delle ar- mature ed i cui orli coincidevano con quelli di quest'ultime; quando invece le lamine aveano le distanze dé, d4, de, di poteano chiudere esattamente fra di loro rispettivamente 6, 4, 2, 1 lastre di vetro da specchi tutte di egual spessore e cogli orli pure coincidenti con quelli delle lamine d’ot- tone. Il condensatore circolare grande si usò solo come condensatore ad aria, per avere come termine di confronto, nelle determinazioni delle capacità, un condensatore ad aria di capacità piuttosto rilevante. « 4) La costante dielettrica si calcolava facendo il rapporto fra la ca- pacità che presentava uno dei detti condensatori quando conteneva il die- lettrico (se solido) od era in esso immerso (se liquido), e quella che presentava il condensatore stessso nell'aria. « 5) Per eseguire le esperienze sì collocava il condensatore al termine dei fili secondarî dell’apparato di Lecher e si ricercava lungo i medesimi la posi- zione del nodo della vibrazione fondamentale del sistema, cioè di quella che presentava un solo nodo lungo i fili secondarî. Ripetendo queste determina- zioni con fili man mano decrescenti da 30 m. a 0,70 m., si ottennero lun- ghezze d'onda che variarono da 75 m. a 4 m. circa. «In tutte le presenti esperienze mantenni costante la lunghezza dei fili primarî (21 cm.) e la distanza (2 cm.) e grandezza delle lamine primarie e se- condarie, le quali erano costituite da dischi di stagnola del diametro di 36 cm. incollati sopra lastre di vetro rivolte in modo che le superficie metalliche fossero affacciate le une alle altre « Incominciai col determinare, usando i fili senza condensatore finale e nel modo descritto nelle mie precedenti Memorie ('), le linee nodali cioè le curve che, per ogni posizione del ponte sui fili secondari, danno la lunghezza d'onda della corrispondente vibrazione fondamentale, così, nelle successive espe- rienze fatte coi condensatori terminali, bastava conoscere la posizione del ponte al momento della risonanza per ottenere da esse curve la corrispondente lunghezza d'onda. i « 6) Due sono i metodi che seguii per determinare nei singoli casi le capacità del condensatore terminale. Nel primo ricavava il valore di C dalla formula di Cohn ed Heerwagen (°). (1) Mazzotto, Nuovo Cimento 36°, pag. 189 (1894). (2) Cohn ed Heerwagen, Wied. Ann. 43°, pag. 364 (1891). = OA 4 = lunghezza d'onda completa DIO 2 2 = distanza del nodo dal condensatore tg us: TIA in cui | 7= distanza dei fili paralleli = 12 cm. pes a= diametro dei fili = 0,085 cm. C = capacità del condensatore terminale. « L'altro metodo consisteva nel determinare la capacità del conden- satore ad aria che sostituito a quello terminale non alterava la durata della vibrazione, calcolando tale capacità col mezzo delle formule di elettrosta- tica in funzione delle dimensioni di esso condensatore. « A tal uopo applicava al termine dei fili secondari un condensatore ad aria costituito da due dischi d’ottone paralleli, del diametro di 19,9 cm. per le capacità grandi e di 4 cm. per le piccole, entrambi dello spessore di 0,14 cm. i quali si potevano spostare parallelamente mediante una vite micrometrica. Avvicinando man mano le lamine, determinava la posizione del nodo fondamentale che corrispondeva alle singole loro distanze; e ripeteva la determinazione per tutte le lunghezze dei fili secondarî usate negli esperi- menti, calcolando poi colla formula di Kirchhoff le capacità del condensatore ad aria per le singole distanze delle lamine, poteva riconoscere, col mezzo di una co- struzione grafica, le capacità. che questo dovrebbe assumere perchè il nodo occupasse una qualunque delle posizioni ottenute coi differenti condensatori ter- minali. Tale capacità era quella attribuita al condensatore terminale corrispon- dente, e la chiamerò, per brevità, capacità dedotta colla formula di Kirchhoff. « È da notarsi che per ogni singolo condensatore terminale e per ogni singola lunghezza dei fili secondarî, la risonanza si otteneva con una lun- ghezza d'onda differente; per semplificare il riepilogo e la discussione dei risultati, credetti opportuno interpolare graficamente i risultati delle espe- rienze dirette in modo di riferirli ad alcune lunghezze d'onda tipiche cre- scenti uniformemente, il che è tanto più opportuno inquantochè, per uguali langhezze d'onda, il ponte mobile deve trovarsi nelle stesse posizioni, e. quindi. le esperienze corrispondenti sono meglio paragonabili fra loro. « Le lunghezze d’onda tipiche prescelte procedevano di 5 in 5 metri da 5 metri a 75. Coi condensatori aventi grandi capacità le onde più corte non potevano determinarsi perchè il nodo riusciva troppo vicino al condensatore. « 7) Sarebbe troppo lungo e forse superfiuo, il riprodurre qui le posi- zioni dei nodi trovate nelle singole esperienze dirette, od anche semplice- mente quelle ricavate dalle costruzioni grafiche per le lunghezze d'onda ti- piche; mi limiterò quindi a dare nella Tabella I le capacità dei condensatori terminali ad aria determinate, per le singole lunghezze d'onda, tanto colla formula Cohn ed Heerwagen quanto colla formula Kirchhoff, omettendo, per brevità, di dare le capacità corrispondenti de’ condensatori stessi contenenti gli altri dielettrici; queste però si possono ottenere immediatamente molti- plicando i valori della Tabella E pei loro corrispondenti della Tabella II, la quale contiene le costanti dielettriche dei varî mezzi ottenute appunto fa- cendo il rapporto fra quelle due capacità. Condensatori circolari Condensatore rettangolare LITE distanza delle lamine TL, grande medio piccolo do | Ao: Dielettrico aria aria aria aria | aria | aria | aria | aria _____\ 1lQbÌl6t0t6t6€/‘/Ò/ ]l(l/llii(TTITII[((‘‘TOÀ&=e.BURU!])uTriEiIIìIEIIENINOÒEÒE:NI:EB& Lungh. onda (CH) Capacità calcolate colla formola Cohn ed Heervagen. Metri 5 —_ 7,0 2,4 6,2 49 6,3 10,3 — 10 30,8 8,6 3,2 8,5 6,8 7,9 11,5 19,6 15 32,4 9,4 2,7 8,5 6,3 8.1 12,4 19,7 20 36,5 9,7 3,1 9,6 6,6 8,6 13,8 21,7 25 38,4 9,0 3,1 9,6 6,4 8,7 13,6 29,7 30 39,5 9,5 3,0 98 6,8 8,8 14,0 23,8 35 39,9 9,4 2,9 9.0 6,2 856 14,1 23,8 40 40,3 9,5 3,0 8,8 5,9 8,4 13,9 24,0 45 40,2 94 2,9 8,7 5.9 8,2 13,6 24,0 50 40,5 9,4 2,8 8,9 6,0 8,5 13,5 24,8 55 40,9 9,3 2,6 9,0 6,0 8,5 13,6 25,0 60 41,0 9,1 2,8 9,0 6,1 8,6 13,7 24,9 65 41,1 9,0 2,1 8,9 6,2 8,5 13,7 25,2 | 70 41,0 8,8 24 8,9 6,2 8,6 13,7 25,6 75 40,6 8,6 2,9 8,8 6,2 8,6 13,8 26,0 Medie 38,8 9,05 2,75 8,78 6,10 8,33 13,3 23,6 (K) Capacità determinate colla formola Kirchhoff. 5 n = 22 7,8 6,2 7,8 10,8 10 37,4 82 2,5 8,1 5,9 7.6 11,8 24, 15 37,8 9,0 2,4 8,0 5,9 7,7 12,0 ,2 20 39,8 8,3 2,7 8,7 6,0 7,8 12,8 2 25 39,0 8,5 2,6 8,5 5.7 7,1 12,8 21, 30 38,6 8,4 2,5 8,2 5,5 7,8 12,6 1,7 35 38,4 82 2,6 7,9 5,3 7,5 12,5 5 40 _ 38,8 8.3 2;7 0 5,2 7,8 12,2 ; 45 38,7 8,4 2,6 73 59 7,8 12,2 22, 50 39,0 8,4 2,5 8,0 5,4 7,6 12,2 2,8 55 39,0 8,6 2,5 8,3 5,6 7,8 12,5 i 60 392 8,6 2,3 8,5 5,8 8,1 12,9 23,7 65 39,3 8,5 2,5 84 6,0 8,1 19,9 24, 70 39,0 8,6 3,0 8,8 6,4 84 133 =. 246 75 33,9 8,3 — 8,5 6,8 8,4 13,0 24,9 | Medie 38,8 8,49 2,54 8,21 5,77 7,81 12,4 22,6 « 8) Osservando la Tabella I, e chiamando per brevità (CH) le capacità calcolate colla formula Cohn ed Heerwagen e (K) quelle dedotte colla for- mula Kirchhoff si vede: a) Che i valori (CH) sono in generale alquanto maggiori dei corrispon- denti (K); il qual fatto si constatò anche nei precedenti miei lavori pel valore delle capacità presentate dai condensatori dell’eccitatore. 5) Che i valori (CH) di uno stesso condensatore si mantengono al- quanto al di sotto del valore medio per le minori lunghezze d'onda, ciò che — 244 — io credo debba attribuirsi alla perturbazione prodotta dal ponte, la quale in- fluisce di più sul risultato quando il ponte è vicino al condensatore finale, cioè quando le onde sono corte, che quando è lontano e quindi le onde lunghe. c) Che, prescindendo dai valori cui si riferisce l'osservazione precedente, i valori (CH)e (K), per uno stesso condensatore, si mantengono abbastanza prossimi al loro valore medio, manifestando però una leggera tendenza ad aumentare colla lunghezza d'onda. Le divergenze dal medio sono maggiori nei valori (CH) che nei valori (K). Analoghe osservazioni valgono perle capa- cità dei condensatori contenenti gli altri dielettrici, le quali si possono ottenere nel modo indicato alla fine del S. 7. T'ABELLA JUL Dielettrico __ 0 °*«0uu1_—È—__ lLll‘l‘‘‘—=—ÒLÈEÉéEOEIOMBRO)RE”U:-..r.l111l]l -] e ——_"“—]eeeoa ww Lungh. onda| Metri Medie 20 30 Medie Condensatori circolari ._| pic- ._| pic- medi] CO (meo GO petrolio | olio Costanti Condensatore rettangolare distanze delle lamine do Dodo de da — (de solfo |paraftina vetro dielettriche dedotte colla formola Cohn ed Heervagen DI Medie del vetro —_ 1,66 — 2,00 _ 1,57 — _ a ss I i, 1,85. 1,84 || 2,38 2,32 2,24 1,59 2,99 2,89 2,93 2,80 _ 2,90 1,80 2,24 | 2,45 2,81 2,54 1,58 3,74 3,16 3,35 3,30 3,07 3,92 1:89. (19,10. |.2)56. 2:59 2,99 1,53 3,54 3,29 3,36 3,17 3,26 3,32 9100205 27/02/61 2,46 1,57 3,71 3,47 3,42 3,26 3,87 3,45 9022/00 N2:79802 71 2,56 1,66 3,92 3,53 3,49 3,28 3,53 3,55 21050 ‘25188 |02!87 02:81 2,66 1,70 4,08 3,83 3,60 3,28 3,64 3,69 2002/0708 02:85002;81 2,73 1,72 4,23 3,91 3,71 3,34 3,72 3,78 2,02 2;14 | 292 2,86 2,74 1,79 4,26 3,89 3,76 3,42 3,81 3,83 2:04 ‘2588. | (297 12/95. 2,67 TA 4,17 3,87 3,64 3,43 3,84 3,79 2,03 2,48 | 2,98 3,15 2,64 1,76 4,12 3,86 3,61 3,51 3,75 3,77 2,06 2,77 | 3,03 3,94 2,69 1,76 4,14 3,83 3,55 3,43 3,74 3,79 2,08. 2,85 | 3,08 3,72 | 2,75 1,77 421 3,83 3,54 3,44 3,69 3,74 2il8) 32/450 18:1(6) 18122 2,77 1,77 4,15 19195) 3,50 3,45 3,63 3,74 PAS I96 M3:24089)57 2,82 1,78 4,21 4,01 3,46 348° 3,61 3,75 20,122 10) MSI DDA 2,68 1,63 3,97 3,67 3,50 3,33 3,59 3,61 Costanti dielettriche dedotte colla formola Kirchhoff SN 2:001 MIMMO 150, 3 = È 2 Nes DE i e: 1,93 2,16 | 2,56 2,80 2,84 1,86 _ 3,70 4,08 3,50 _ 3,76 1,88 2,37 | 2,69 3,00 2,76 1,6] 4,61 3,44 3,87 3,88 4,16 3,99 200 2,15 | 2,81 2,67 2,58 1,55 4,13 3,53 3,74 3,80 3,96 3,83 2,07 2;12 | 2,79 2,69 2,61 1,61 4,19 3,66 3,77 3,98 4,15 3,87 92,10 2,16 | 2,95 2,84 2,70 1,67 4,32 3,84 3,76 3,62 4,25 2,96 ONT AR 2IOSI N29 9077 2,74 1,73 4,45 3,91 3,84 3,61 4,38 4,03 2,05 2,00 | 3,00. 2,74 2,74 1,78 4,64 4,02 3,97 SHIA 4,39 4,14 2,05 2,15 | 3,04 2,88 2,81 1,81 4,55 3,98 3,97 3,68 4,39 4,11 2,06 2,32 | 3,08 2,92 2,71 1,77 4,44 3,87 3,80 3,65 4,36 4,02 2,05 2,36 | 3,03 3,00 2,67 1,77 4,27 3,84 3,71 3,55 4,29 3592 2,07 2,61 | 3,08 3,30 2,71 1,77 4,18 3,56 3,53 3,45 4,05 3,82 2,09 2,36 | 3,12 3,00 2,76 1,77 4,23 3,80 3,56 3,48 3,91 3,80 1,97 1,70 | 8,09. 2,57 2,70 1,72 4,02 3,67 3,42 3,36 3,78 3,65 23 ei 321 — 2,79 1,74 4,19 3,81 3,40 3,52 3,75 3,78 2,04 2,18 | 2,96 2,88 2,73 1,73 4,31 3,78 3,79 3,60 4,12 3,92 o « 9) Passiamo ad osservare la Tabella II contenente i valori delle costanti dielettriche, K, rammentandoci quanto si è detto in 2), cioè, che le determi- nazioni fatte con le minori lunghezze d'onda sono le più affette da errori. « Petrolio. Il valor medio di K è 2,11, valore intermedio e molto pros- simo a quelli trovati dagli altri autori (!), ad esclusione del valore 2,42 trovato dal Lecher. Il quadrato dell'indice ottico di rifrazione per lun- ghezza d'onda infinita sarebbe n° = 2,08 (2) quindi molto prossimo al valore esperimentale. « Non si osserva variazione sistematica di K col variare della lun- ghezza d'onda. « Olio. I quattro valori medî di K, molto concordanti, hanno per media 2,87. I valori trovati da altri autori sarebbero: 2,93 (Arons e Rubens colle oscillazioni) valore molto prossimo al mio, e 3,16 (Hopkinson con metodo sta- tico) (3). Essendo in tal caso 2° =2,131 si vede che il valore esperimentale di K sarebbe sensibilmente maggiore del valore teorico. « Si osservi però che, secondo le mie esperienze, il valore di K, anche prescindendo dai valori più dubbî ottenuti colle minime lunghezze d'onda, aumenta in modo sensibile col crescere della lunghezza d'onda, e quindi con grandi lunghezze d'onda si avrebbe un valore più prossimo a quello trovato col metodo statico e per le piccole uno più prossimo al valore teorico. « Solfo. Il valore medio trovato per K è 2,68 il quale è intermedio fra i valori 2,9 (J. J. Thomson) e 2,6 (Blondlot) determinati colle oscilla- zioni Hertziane; staticamente si trovarono valori alquanto maggiori per es. 3,65 (Boltzmann), 3,55 (Cardani). « Paraffina. Il medio valore di K da me trovato è 1,68. Gli altri autori trovarono valori compresi fra 1,68 e 2,32. Il valore da me ottenuto sarebbe quindi alquanto basso risvetto alla media dei valori trovati dagli altri autori; però siccome questi esperimentarono, in generale, staticamente, non è impro- babile che anche per la paraffina, come già si è veduto per lo zolfo, la co- stante dielettrica determinata colle oscillazioni rapide sia inferiore a quella determinata staticamente; ed infatti J. J. Thomson trovò per essa colle oscil- lazioni rapide K=1,8 (4). « Non si osserva variazione continua di K coll’aumento della lun- ghezza d'onda. « Vetro. Dal complesso delle determinazioni fatte coi corpi precedenti, mi pare si possa arguire che coi metodi da me seguiti si ottengono valori attendibili, per cui si può con fiducia osservare ora i risultati ottenuti col vetro al quale ho più specialmente mirato nel presente lavoro. Si vede a (3) Vedi Landolt und Bornstein Tabellen, II ediz. pag. 522. (2) Thomson J. J., Recent researches ete., pag. 469. (3) Landolt und Bornstein Tabellen, ivi. (4) J.J. Thomson, op. cit., pag. 472. RenpIconTI. 1895, Vor. IV, 1° Sem. 33 — oe colpo d'occhio che i valori di K ottenuti con condensatori di capacità molto differenti, non differiscono che relativamente poco dal valor medio generale, il che indica che, anche potendosi effettuare la correzione per l'influenza dei margini, questa non avrebbe influenza considerevole sul risultato, poichè, se fosse altrimenti, i risultati ottenuti colle armature e distanze differenti, presenterebhero delle differenze notevoli. | « La media generale dei valori di K da me ottenuti è 3,70. Noto come questo valore sia molto prossimo a 3,9 ultimamente determinato dal Beaulard (*) con durate di carica variabili da %/,00 ad 8/100 di secondo; però diversifica da quelli trovati da altri autori con oscillazioni Hertziane e che sono : 2,26 (Tschegliiew 1891) 5,94 (Thwing 1894) 2,7 (J. J. Thomson 1890) 5,86 (Northrup 1895) 2,8 (Blondlot 1891) 070. 0A i da 2,712 6,33 (Perot o O) « Il valore da me ottenuto si trova in mezzo ai detti valori, ma io credo che, più che questa circostanza, valga per ritenerlo attendibile la con- siderazione che esso è il risultato di un grande numero di osservazioni suf- ficientemente concordanti, fatte tutte in condizioni diverse, e per di più risultante dalla media di due valori, pure sufficientemente concordanti, otte- nuti con metodi diversissimi, cioè l'uno basantesi sulle formule teoriche che dànno il periodo delle oscillazioni elettriche, l’altro indipendente affatto da quelle formule. « È da osservare che Arons e Rubens (II° Memoria citata) trovarono, colle oscillazioni rapide, per due qualità di vetro gli indici di rifrazione 2,33 e 2,49; tali valori che, per quanto si è detto al S 1 sarebbero quelli da confrontarsi colla costante dielettrica, darebbero per essa i valori 5,43 e 6,20 superiori a quello da me trovato; è da notarsi però che J. J. Thomson a pag. 480 del trattato sopra citato, dice che il metodo seguito dai detti autori nel calcolo delle loro esperienze, metodo criticato anche dal Waitz (2), non è del tutto giustificato, e che seguendo un metodo da lui indicato si avrebbe 2=1,9 da cui K=3,6 il quale valore sarebbe assai prossimo @ quello da me trovato. » 10) Noterò da ultimo che il Perot (3) avendo determinata la costante dielettrica del vetro col metodo di Blondlot (4) ottenne per K dei valori che, ridotti alle lunghezze d'onda tipiche da me prescelte, furono registrati nella seguente tabella al di sopra di quelli che si deducono dalle mie esperienze facendo le medie dei valori, corrispondenti alle stesse lunghezze d'onda, re- gistrati nell’ultima colonna della tabella IL. (1) Beaulard, Lumiére Electrique 53°, pag. 285 (1394) (2) Waitz, Wied. Ann. 44°, 527 (1891). (3) Perot, Comptes Rendus 115°, pag. 38 (1892). ( 4) Blondlot, Comptes Rendus 113°, pag. 628 (1891). Lunghezze d'onda 5) 10 | 15 | 20/25 30 | 35 | 40 | 45 | 50 55 | 60 65 | 70 75 in metri - (Perot 37) 48| 56| so] 63] 65{ —| —| — (Mazzotto — | 3,30 | 3,65 | 3,57 | 3,66 | 3,75 | 3,86 | 3,96 | 3,97 | 3,90 | 3,84 | 3,80 | 3,77 | 3,69 « I valori del Perot presentano un aumento dapprima rapido, poi più lento; colla lunghezza d'onda; i miei sono dapprima crescenti poi decrescenti colla lunghezza d'onda, con un maximum verso Zi=45 m. L'aumento avver- rebbe appunto nel tratto che abbraccia le esperienze del Perot, ma con una rapidità molto minore di quella da lui trovata; per quanto la presenza di questo massimo sia nettamente indicata dai miei risultati io crederei che, siccome le differenze sono piuttosto piccole rispetto ai possibili errori del metodo, si dovesse attenderne la conferma da esperimenti fatti con altri metodi prima di accet- tarla definitivamente. « 11) Riassumendo, le costanti dielettriche dedotte dalle mie esperienze sarebbero : Petrolio 2,11 — Solfo 2,68 — Paraffina 1,68 — Olio d’oliva 2,87 — Vetro da specchi 3,76 le prime tre sostanze le quali, come è noto, ubbidiscono alla legge di Maxwell K=wn? (anche prendendo per x l'indice di rifrazione delle onde luminose) presentano un valore di K costante, per le varie lunghezze d'onda, entro i limiti di precisione dei miei esperimenti; le ultime due che si allontanereb- bero da detta legge, perchè i loro indici di rifrazione ottica danno: n° = 2,18 per l'olio ed 7? — 2,36 pel vetro, minori cioè dei rispettivi valori trovati per K, diedero per K dei valori decrescenti colla lunghezza d'onda, il che fa presup- porre che, con lunghezze d’onda ancora più corte di quelle da me usate, il valore di K si abbassi fino al valore teorico, dedotto dalla rifrazione delle onde luminose in quelle sostanze ». Ghimica. — Sulla Crisantemina (1) Nota del prof. FRANCESCO MaRrINO-Zuco, presentata dal Socio CANNIZZARO. < In una precedente Memoria (?) io dimostrai come nei fiori di Chry- santemum cinerariaefolium, o pyretrum cinerariaefolium, esiste un alcaloide che io chiamai crisantemina e che ha per formola grezza C!4 H?8 N? 03. « A questo alcaloide, in base al suo comportamento chimico ed ai suoi prodotti di decomposizione, ho allora assegnato la seguente formola di costi- tuzione : (1) Lavoro eseguito nel Gabinetto di Chimica farmaceutica di Genova, 2 marzo 1895. (2) Gazzetta Chimica t. XXI f. VI. | | IRE) — (0 SRO A CH3 CH? | CH:0H « Questa formola rappresentava esattamente il risultato dei miei studi già eseguiti sopra questo alcaloide, che io brevemente riassumo. « Esistono nella crisantemina due atomi di azoto, di cui uno sotto forma di trimetilammonio e l’altro di azoto piperidinico. Esiste inoltre un gruppo alcoolico primario, il quale per ossidazione si trasforma facilmente in gruppo carbossilico passando in tal modo dalla crisantemina alla ossicrisantemina. « Se si considera la decomposizione che questo alcaloide subisce per l’azione dell’acqua, per cui si ottengono amilglicol, acido piperidincarbonico e trimetilammina, si può certamente ritenere essere desso una vera betaina, nella quale ad una valenza dell’azoto ammonico è legato un radicale com- plesso l'acido, cioè, ossiamilpiperidincarbonico. « Nella menzionata Memoria io dimostrava inoltre come il gruppo ami- lico non poteva essere certamente quello a catena normale, stantechè per l’azione della potassa sulla crisantemina si ottengono come prodotti di decom- posizione, trimetilammina, acido piperidincarbonico e l'acido y-ossibutirico di Saytzeff (!) e Frihling (?) che fu da me, per ossidazione trasformato in acido succinico. « Nella citata Memoria io cercai ancora di dimostrare come la crisan- temina, quantunque fosse una betaina piridica pur nondimeno essa si allon- tanava affatto per le sue proprietà da questo gruppo betainico, rassomigliando maggiormente alle betaine grasse come la trimetilglicina. È per questo suo com- portamento che lo studio di questo alcaloide si rende abbastanza difficile, stan- techè gli ossidanti diversi, ed impiegati anche in diversissime condizioni, 0 si limitano soltanto a trasformare questo alcaloide in ossicrisantemina, o agiscono energicamente dando anidride carbonica, acqua ed ammoniaca, senza aver po- tuto sinora limitare per nulla la reazione, sia che si agisca cogli ossidanti in soluzione acida, sia in soluzione alcalina. « Difficilissima ancora riesce la disidrogenazione del gruppo piperidinico, ed io ebbi costantemente dei risultati infruttuosi sia con mezzi energici che (3) Ann. Ch. und Ph. 95, p. 275. (2) Monatshefte fiir Chemie. 1882 p. 703. — go 3 con quelli blandi. Mentre, con le basi piperidiniche, si riesce quasi sempre a levare l'idrogeno coi metodi di Tafel (!) o di Peratoner (*), colla crisan- temina invece non. si ottiene nessun risultato tuttochè io abbia ripetuta- mente esperimentato i suddetti metodi. Questa resistenza agli ossidanti e questa difficoltà di levare l'idrogeno piperidinico, riavvicina sempre più questo alcaloide alle vere betaine grasse. « La decomposizione però che subisce la crisantemina per l’azione del- l’acido jodidrico concentrato, reazione di cui m'occupo nella presente Nota, serve a chiarire molto la costituzione di questo alcaloide. « La crisantemina si scioglie completamente nell’acido jodidrico concen- tratissimo e dalla soluzione, anche dopo prolungata ebollizione, si riottiene l’alcaloide inalterato. « Però se la soluzione di crisantemina nell’acido jodidrico concentratissimo si pone a distillare fino a che la maggior parte di acido jodidrico sia stato scacciato e si continua a riscaldare il residuo fino a che un termometro, il cui bulbo pesca dentro il liquido, segni 150°, quando il liquido arriva @ questa temperatura e vi si mantiene per qualche tempo, sì osserva uno spu- meggiamento, cessato il quale, il residuo della storta non contiene più traccia di crisantemina. La crisantemina per l’azione dell'acido jodidrico si è decom- posta in joduro di tetrametilammonio, in jodidrato dell’ acido metilpiperi- dincarbonico, joduro di metile e di etile. « L'apparecchio che serve per questa reazione è il seguente: « Una piccola storta tubulata, munita di termometro, è riscaldata a bagno d'olio: l’allunga di questa storta è munita di manicotto che serve da refri- gerante: essa comunica, mediante un tappo di cautchoue a due fori, con un piccolo pallone contenente del fosforo rosso e mantenuto in un bagno ad acqua. Per il secondo foro vi si connette un refrigerante ascendente, il quale a sua volta comunica con un serpentino mantenuto costantemente pieno d’acqua ghiacciata: a questo serpentino si connette un piccolo pallone, anch’ esso mantenuto in acqua ghiacciata. Tanto il bagno del primop alloncino quanto i due refrigeranti, contengono dell’acqua calda alla temperatura di 80° durante tutta l’operazione. « Dieci grammi di crisantemina purissima e secca sono sciolti in circa cinquanta c.c. di acido jodidrico fumante e la soluzione vien messa dentro la storta, situando il termometro in modo che il bulbo arrivi quasi al fondo di essa. Si comincia a distillare l'eccesso di acido jodidrico e sì cura che l'acqua dei refrigeranti e del primo palloncino sia mantenuta a 80°; quando il termometro segna 150° s'incomincia ad osservare nella storta uno spumeg- giamento e contemporaneamente si condensano dal serpentino, mantenuto co- (1) Berichte, t. XIV, p. 1619. (2) Gazzetta Chimica 1892, p. 567. ) — 250 — stantemente freddo con acqua ghiacciata, delle goccette oleose molto più pesanti dell’acqua, che ingialliscono alla luce: quando cessano di venire altre goccioline dal serpentino, allora cessa lo spumeggiamento el’ operazione è finita. i i « Bisogna, per la buona riuscita dell’ operazione, che il riscaldamento col bagno ad olio sia regolato in modo che la temperatura oscilli soltanto fra i 150° e 160° senza essere mai superata: quando si ottempera a questa con- dizione, lo spumeggiamento avviene regolarissimo ed il rendimento dei prodotti è molto alto. « Finita l'operazione rimane nella storta un residuo bruno molle, il quale è ripreso con acqua bollente dove si scioglie quasi completamente, lasciando poco residuo carbonoso insoluto. In questo liquido acquoso di color rosso scuro si fa gorgogliare un po' di anidride solforosa, e quindi si aggiunge nel liquido molto diluito e freddo a poco per volta del joduro di bismuto e potassio. « Si forma subito un precipitato fioccoso, pesante, di color rosso cinabro, il quale a poco per volta diventa cristallino: si filtra alla pompa e si lava completamente con acqua distillata. Questo precipitato si sospende poi dentro l’acqua e si decompone con l'idrogeno solforato. La soluzione jodidrica che si ottiene si tratta con cloruro d'argento, allo scopo di eliminare tutto l’a- cido jodidrico libero e combinato, e la soluzione del cloruro si decolora, se è necessario, con un po’ di carbone animale e si svapora a bagno maria a secchezza. « Il cloruro che si ottiene è cristallino, deliquescente, solubile in alcool assoluto, e trattato con soluzione diluita di idrato potassico non dà odore di trimetilammina. La soluzione del cloruro trattata con cloruro d'oro ha dato un precipitato giallo, cristallino, pesante, pochissimo solubile nell'acqua e nell’acido cloridrico anche concentrato. Non contiene acqua di cristallizza- zione e per graduale calcinazione dà prima odore marcatamente alcoolico e poi odore di trimetilammina. « Le analisi del sale di oro hanno dato: gr. 0.6122 di sale d’oro diedero di CO? gr. 0.2556, di acqua gr. 0.1658 er. 0.1920 di sale d’oro diedero di oro gr. 0.0908 trovato °/ calcolato per C4 H12 NCI. Au Clé C 11.39 C 11.64 H 3.01 H 2.91 Au 47.29 Au 47.59 « Una parte di sale di oro fu decomposta con l'idrogeno solforato ed il cloruro riottenuto, trattato con cloruro di platino, ha dato un cloroplatinato poco solubile nell'acqua fredda, molto solubile invece nell'acqua bollente, ‘ — 251 — dalla quale per raffreddamento cristallizza in ottaedri regolari. Anche que- sto cloroplatinato, gradatamente calcinato, dà prima odore netto di alcool me- tilico e poi odore di trimetilammina. gr. 0.2199 di sale di platino hanno dato di platino gr. 0.0775 trovato calcolato per (C4 H1? NC1)? Pt C14 Pt 09.24 IR 99.91 « Le acque madri, da cui fu separato il composto bismutico di tetra- metilammonio, furono saturate di idrogeno solforato e, separato il solfuro di bismuto, il liquido fu trattato con un eccesso di idrato di piombo, allo scopo di eliminare l'acido Jodidrico contenuto nel liquido, completando quindi la eliminazione di quest'acido mediante una piccola quantità di ossido umido di argento. Il liquido quindi fortemente alcalino, sbarazzato in tal modo dall’acido jodidrico libero e combinato, fu soprassaturato di anidride carbonica e poscia evaporato a secchezza a hagno-maria. « Il residuo secco è ripreso con alcool assoluto che lascia indisciolto tutto il carbonato potassico formatosi: la soluzione alcoolica, abbastanza co- lorata in giallo bruno, evaporata a secchezza lascia un residuo sciropposo, solubilissimo nell'acqua. La soluzione acquosa di questo residuo si acidifica leggermente con acido cloridrico, si fa bollire con carbone animale fino a decolorazione e quindi si filtra e, quando il liquido è freddo, si tratta con un leggero eccesso di cloruro d’oro. « L'aggiunta di cloruro d'oro non dà luogo ad alcun precipitato, però se la soluzione si fa lentamente evaporare in un ambiente secco, a poco per volta incominciano a comparire in seno al liquido delle punte cristalline, finchè tutto il residuo si rapprende in una massa di bei cristalli giallo-rossi duri e prismatici. Si separa e si lava con poca acqua questo sale d’oro, si scioglie di nuovo nell'acqua e si fa nuovamente cristallizzare come prima. Si ottiene così un sale di bello aspetto di color giallo d’oro carico in bei cristalli duri e prismatici, abbastanza solubile nell'acqua fredda, solubilissimo in quella calda: fonde a 130° in un liquido rosso-bruno senza decomposi- zione. Questo sale d’oro non contiene acqua di cristallizzazione: I gr. 0.6405 di sale d'oro hanno date di CO? gr. 0.4097 e di Aq. gr. 0.1895 II gr. 0.6662 di sale d'oro hanno dato di CO? gr. 0.4284 e di Aq. gr. 0.1900 I gr. 0.2886 di sale d’oro hanno dato di Au gr. 0.1171 II gr. 0.3664 di sale d’oro hanno dato di Au gr. 0.1488 trovato %/ media calcolato I II. per C7H13 02 NHCI Au C13 C 17.44 17.53 17.48 (0, 17.42 HI 3.28 3.16 3.22 H 2.95 AuNA4058 40.61 40.59 Au 40.68 ù O) « Una parte di sale d’oro di quest’acido metilpiperidincarhonico fu de- composto con idrogeno solforato ed il cloridrato ottenuto si presenta sotto forma di una massa sciropposa che tenuta per molto tempo nel vuoto sopra l'acido solforico, diventa cristallina; però appena in contatto coll’aria cade rapidamente in deliquescenza. « Il liquido distillato che sì è raccolto dal serpentino mantenuto freddo coll’acqua ghiacciata si presenta sotto forma di un liquido oleoso, pesante, insolubile nell'acqua dalla quale si depone subito al fondo; è di odore che ricorda gli joduri alcoolici di etile e metile: appena ottenuto è completamente incoloro, però appena lasciato un pochino alla luce sì colora subito in giallo, ha una forte tensione di vapore e svapora rapidamente se si lascia in vaso aperto. Questo liquido riunito insieme da diverse preparazioni nella quantità di circa 40 c.c., fu sottoposto ad una distillazione frazionata: esso bolle fra i 42° e 70°. Raccolte le prime porzioni che distillano fra 1 44° e 50° e quelle che bollono fra i 68° e 70°, e rifrazionando di nuovo queste due por- zioni, ho potuto infine ottenere due liquidi mobilissimi, dei quali uno bol- liva a 449,5 e l’altro a 72°. Prose le densità di vapore di questi due li- quidi, si ottennero i seguenti risultati : gr. 0,1591 di liquido bollente a 44°,5 hanno dato: V aria 26,85: T 219,5; H 752°,5; Va 0° e 760 mm. — 24,07 densità trovata calcolata per CH*I 5,04 4,91 gr. 0,1168 di liquido bollente a 72° hanno dato : V aria = 18,7:T= 21,5;H= 752,5; Va 0° e 760 mm. = 16,76 densità trovata calcolata per C? H°I 9,98 5,40 « Dai risultati ottenuti dalle esperienze avanti descritte sì desume che la crisantemina per l’azione dell'acido jodidrico nelle descritte condizioni si scinde in joduro di tetrametilammonio, in jodidrato dell’acido metilpiperidin- carbonico, in joduro di etile e joduro di metile, secondo la seguente equazione : CH* CH? CH° CH? CH* CH? > 7 NT x dl NA N_0—00 N-I H.00C | | | | CH?--C--C5 H* NH + 8HI= CH° + H°C — O*H*NH®I-+ CH°1 + CH° — 7) — CH?14- H°0-|-4I CH° CH? | CH° OH « Questa decomposizione della crisantemina, mentre dimostra eviden- temente la presenza di un gruppo trimetilammonico ed il legame di esso — o ad un metile della catena grassa, serve altresì a chiarire la costituzione della catena isoamilica. La dimostrazione di una catena derivante dal dime- tiletilmetano saldata ad un gruppo piperidinico chiarisce completamente la reazione che la crisantemina subisce per l’azione dell’idrato potassico da me descritta nella Memoria citata, per cui si ottiene trimetilammina, acido pi- peridincarbonico o l'acido y-ossibutirico di Saytzeff e Frhbiling. «< La reazione quindi sopradescritta non solo conferma, ma avvalora sempre più la formola che io ho già assegnata alla crisantemina. Risultan- domi però da ripetute esperienze che la crisantemina è completamente inat- tiva alla luce polarizzata, io preferisco dare ad essa la formola seguente: CH° CH*? CH° ay dS N—0—00 | | H?0-C-H*C-C5 HS NH Z| FINCHE | CH? 0H la quale, mentre spiega ugualmente bene tutte le reazioni della crisantemina, nello stesso tempo chiarisce ancora meglio il comportamento fisico dell’alca- loide stesso. « To sto continuando lo studio di questo alcaloide, e le ricerche sopra- tutto su questo nuovo acido ottenuto metilpiperidincarbonico, arrecheranno certamente nuova luce alla costituzione della crisantemina ». Chimica. — Sopra gli Alcaloidi della Cannabis indica e della Cannabis sativa. Nota del prof. F. MAaRINO-Zuco e del dott. G. VienoLo, presentata dal Socio CANNIZZARO. « La canapa comune o Cannabis sativa, pianta della famiglia delle urticacee (secondo altri delle cannabacee) rappresenta una specie volgarmente conosciuta per essere estesamente coltivata in Europa sia per le fibre tessili che per i semi oleosi. Nella Persia ed in molte altre regioni dell'Asia cresce spontaneamente, e si coltiva come droga, una pianta assai affine alla prece- dente chiamata canapa indiana o Cannabis indica. Per varie ragioni queste due piante vennero considerate da alcuni come specie distinte (*). L'altezza (1) Journal de Pharmacie et de Chimie. Suppl. 1, 15 October 1891. — F. A. Fliic- kiger et D. Hanbury, Mistoire des Droques. Paris 1878. RenpICONTI. 1895, Vor. IV, 1° Sem. 34 — UA minore del fusto, il fogliame più denso, l'abbondante secrezione di resina non essendo però dei caratteri sufficienti a differenziare la Cannabis indica dalla Cannabis sativa, la maggior parte dei botanici ammette che queste due piante costituiscano solamente due varietà di una specie unica più o meno modificata dalla coltura e dal clima. Comunque sia è fuor di dubbio che un gran di- vario esiste nell'attività fisiologica. « Quantunque-qualche caso di avvelenamento sia stato attribuito ai semi della Cannabis sativa, per un supposto principio contenuto nel pericarpio dei semi ('), di questa specie non sono conosciute sostanze dotate di segna- lata attività. La sola essenza, studiata dal prof. Valente (*), sì ritiene pos- segga deboli proprietà narcotiche alle quali sono dovuti il delirio gaio e le vertigini cui vanno soggetti gli operai che raccolgono la canapa. Recentemente, quando già erano in corso queste ricerche, E. Schulze e S. Frankfurt (8) iso- larono dai semi la trigonellina e la colina, basi entrambe quasi inattive. Tra le altre sostanze determinate in gran copia (‘) nei semi sono poi da annoverarsi: olio grasso, amido, albuminoidi. « La Cannabis indica giunta a completo sviluppo, cioè dopo la fioritura, possiede una grande efficacia fisiologica. A cagione delle specialissime pro- prietà inebbrianti e narcotiche, gli Orientali, ed i Maomettani in specie, fanno da remoti tempi gran consumo di canapa indiana e con essa compongono una quantità svariatissima di preparati chiamati senz'altro col nome di haschisel. In commercio si distinguono con differenti denominazioni varie qualità di droga (°). Essenzialmente però la canapa indiana è costituita dalle cime fio- rite e fruttificate delle piante femminee, alle quali non sia stata tolta la re- sina. Sebbene gli effetti straordinarî della canapa indiana siano conosciuti in Europa dal principio del secolo (5). e sieno stati continuamente utilizzati anche a scopo terapeutico, pure le conoscenze intorno ai principî attivi di questa pianta sono ancora assai limitate. « I primi lavori sulla Cannabis indica si debbono ad O'Shaughnessy di Calcutta nel 1838 (7). I fratelli M. T. e H. Smith di Edimburgo, nel 1846 (8), isolarono una resina speciale dotata di attive proprietà. Personne, dopo di loro, determinò nell’olio essenziale due idrocarburi: il cannabene e l’idrocan- @) Ch. Cornevin, Des plantes vénéneuses et des empoisonnements qu'elles déterminent. Paris 1887. (£) L. Valente, Sopra V’essenza di Cannabis sativa. Gazzetta chimica italiana, vol. X, XI, 1880-1881. (3) Berichte der Deutschen Chemischen Gesellschaft, 1894, 769. (4) F. A. Flickiger, Elementi di Farmacognosia, pag. 40, Torino 1886. (5) F. A. Fliickiger e D. Hanbury, opera citata. (6) F. A. Fliickiger e D. Hanbury, opera citata. (1) O’Shaughnessy, On the preparation of the indian Hemp or Gunjalk. Cal- cutta 1839, et Bengal Dispensatory. Calcutta 1842, 579, 604. (8) Pharm. Journal, 1847, VI, 171. On, — nabene (!). Dalla resina preparata dai fratelli Smith, Bolas e Francis (*) ottennero per ossidazione una sostanza cristallizzata, l'ossicannabina. Collo stesso metodo non riuscì però al Fliuckiger di riaverla. Nel 1876 Presbra- schensky (3) in un saggio di canapa della China estrasse un alcaloide che identificò per nicotina. Un anno più tardi però il Dragendorff asserì che la droga studiata dal Presbraschensky era mescolata a tabacco (‘). L. Siebold e T. Bradbury (°) nel 1881 da dieci libbre di canapa indiana estrassero una piccolissima quantità di alcaloide volatile che chiamarono cannabinina, ed espressero la congettura che la pianta dovesse contenere diversi alcaloidi. Ricerche degne di nota sono quelle eseguite da Matthew-Hay (5) nel 1885. Questo autore, isolata dalla Cannabis indica una sostanza alcaloidica, (so- lubile nell’alcool e nell'acqua, difficilmente nell’etere e nel cloroformio), la trasforma poi in solfato, il quale è solubile solamente in parte nell’alcool. La frazione di solfato che si scioglie nell’alcool è ridotta quindi in cloridrato, e la soluzione alcalinizzata estratta con etere. Per evaporazione spontanea del solvente ricava così un alcaloide che iniettato sotto la cute si comporta analogamente alla stricnina. La soluzione acquosa di questo alcaloide precipita coi reattivi generali, non dà però la reazione caratteristica col bicromato e l'acido solforico. Matthew-Hay denominò questo alcaloide teta- no-cannabina; ma non potè studiarne la composizione attesa la piccola quan- tità di droga estratta (1 kg.) e la insufficiente quantità di alcaloide ottenuta. La preparazione della cannabinina isolata da L. Siebold e T. Bradbury venne ripresa nel 1891 con un altro processo da Henry F. Smith (7); ma egli non indica che reazioni generali di un alcaloide azotato, il quale forma un solfato cristallizzabile dall'alcool. Quest'ultimo dato s'accorderebbe con alcuni fatti riferiti in precedenza dal Matthew-Hay. Secondo Jahus infine (8) la tetano-cannabina di Matthew-Hay non esisterebbe, e l’unico alcaloide della Cannabis indica sarebbe la colina, la quale, con notevolissime oscillazioni, è contenuta fino alla proporzione del 0,1 p. c. nei semi. Egli ammette che nessun altro alcaloide sia stato con sicurezza determinato nella Cannabis in- dica, e che nei precedenti lavori sia stata indicata quasi sempre della colina impura. Riguardo poi al tannato di cannabina preparato recentemente da (1) Journal de Pharmacie et de Chimie, 1857, XXXI, 48; e Jahresbericht de Cau- statt. 1857, I, 28. (2) Chemical News 1871. XXIV, 77 e Fliickiger. Hanbury. Opera citata, vol. 11, 287. 3 Pharmaceutische Zeitschrift fir Russland, 1 Dic. 1876. (4) E cosa nota che in Oriente la canapa indiana viene fumata sia sola, sia in unione al tabacco. (5) Chemisches Centralblatt, 1883, pag. 667. (6) Pharmac. Journal and Transactions, 1888, June; e Pharm. Centralb. 24, 408-9. (7) Ap. Z. 6; 454-55 e Chemisches Centralblatt, 1891 = 702. (8) Arch. Pharm. (3). 25, 479-83. — C. Centralblatt, 1887. — I. Guareschi, /ntro- duzione allo studio degli alcaloidi, pag. 353. Torino 1892. — 256 — Merck (!) ed alla cannabina pura di Bombelon (?) nulla si conosce che permetta di ritenere queste sostanze come definite e pure. Tutte le altre so- stanze ricavate dalla Cannabis indica si riducono a preparati medicinali come il cannabinone, l’haschisch puro (*) il cannabindone di Kobert (4) ed altri ancora, oppure a principî secondarî in gran parte comuni alla generalità dei vegetali come: clorofilla, acido canapico cristallizzabile (°), olio di canapa. « Lo studio iniziato da qualche tempo sopra le due varietà di Car- nabis ha già condotto uno di noi (9) a riferire sopra l'essenza di Cannabis indica. « Nella presente Nota sono esposti i risultati in ordine alla determina- zione degli alcaloidi. « Della Cannabis indica vennero studiate le cime fiorite e fruttificate di provenienza diversa. Della Cannabis sativa si studiarono separatamente i semi e le cime espressamente disseccate e raccolte nel Veneto. Queste cime si ebbero tagliandole dal fusto, prima della fruttificazione della pianta, per una lunghezza di circa 50 centimetri. « Per l'estrazione degli alcaloidi, fatta particolare considerazione al rendimento, il quale in ogni caso è sempre piccolo, e tenuto conto del fatto che i solventi estraggono solo piccolissime quantità di sostanze basiche, dopo svariate prove, fu adottato il metodo seguente come più semplice e pratico. « In un'ampia caldaia di rame stagnato si pongono a macerare le cime di canapa nell'acqua e dopo circa dodici ore, acidificata la massa con acido solforico, si sottopone a prolungata bollitura, agitando ad intervalli, finchè la droga sia ridotta in poltiglia omogenea. Si filtra il liquido per tela e si spreme al torchio il residuo. Si rinnova l'estrazione con acqua acidulata e quindi i liquidi filtrati riuniti si sottopongono ad una lenta evaporazione, decantando ad ogni occorrenza il liquido dal sedimento di sali inorganici che si vanno deponendo (7): si sospende lo svaporamento quando l'estratto (1) Bernhard Fischer, Die neueren Arzneimittel. Berlin 1889. (2) Alcuni autori scrivono : Bourbelon. (8) B. Fischer, op. citata. (4) Journal de Pharmacie et de Chimie. Oct. 1894. (5) B. Fischer, op. cit. (6) G. Vignolo, Sull’essenza di Cannabis indica. Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, Vol. III, 1894. (1) In tutte le prime operazioni eseguite i liquidi di estrazione venivano prima sotto- posti all’azione dell’acetato basico di piombo. Siccome però in altre prove di saggio si potè accertare che anche senza l’uso di questo reattivo, il rendimento in cloridrato greggio era pressappoco costante per quantità e conservava gli stessi caratteri, così questo labo- rioso trattamento fu tralasciato per l’estrazione delle cime di Cannabis indica e della Cannabis sativa: queste ultime specialmente dànno liquidi poveri di sostanze estrattive. Per l'estrazione invece dei semi di Cannabis sativa, attesa l'abbondanza di tali sostanze, | di ranieri nda nina — 257 — acquista una consistenza di denso sciroppo, e allora la massa viene ripresa con una quantità conveniente di acqua e decolorata con carbone animale. « Il filtrato quasi incoloro, dopo la neutralizzazione della maggior parte di acido libero mediante soda caustica, si tratta con soluzione di joduro di bismuto e potassio. Questo reattivo produce immediatamente un precipitato abbondante e fioccoso, che, agitato a lungo, assume forma cristallina e color rosso cupo. Dopo parecchie ore di riposo si filtra il precipitato alla pompa e si lava ripetutamente, quindi sì sospende nell'acqua e si sottopone all’a- zione prolungata dell’acido solfidrico sino a completa decomposizione del sale. Eliminato il solfuro di bismuto, la soluzione contenente gli jodidrati delle basi si tratta a freddo con idrato di piombo, ben lavato, fino a reazione leggermente alcalina. Il filtrato si ritratta a bagno maria con eccesso di cloruro di argento oppure con ossido di argento umido. Acidificata, quando occorra, con acido cloridrico, la soluzione si decolora con carbone animale e si porta a secco a bagno maria procurando di eliminare l’ eccesso di acido cloridrico. « Si ottiene così un residuo, che dopo disseccamento nel vuoto, si pre- senta sotto forma di una massa cristallina, deliquescentissima e leggermente brunastra. La purificazione di questo cloridrato greggio fu completata preci- pitando gli alcaloidi di esso allo stato di cloroaurato, decomponendo quindi il sale d'oro coll’idrogeno solforato e riottenendo in tal modo il cloridrato purissimo. « Questo cloridrato sia che provenga dalla Cannabis indica sia dalla Cannabis sativa, quando è stato disseccato completamente nel vuoto è in- coloro, cristallino, deliquescentissimo e dà coi reattivi generali le seguenti reazioni: « Una soluzione moderatamente diluita di cloridrato precipita con la soluzione di jodio jodurato e col reattivo di Mayer. Col reattivo di Dragen- dorff, le soluzioni anche diluitissime dànno un abbondante precipitato fioccoso, giallo-rosso, che, per agitazione, diventa cristallino e rosso-cinabro. Nelle so- luzioni concentrate il sublimato corrosivo produce un abbondante precipitato bianco-cristallino solubile nell'acqua bollente. Coll’acido tannico si ottiene un precipitato bianco solubile a caldo; il precipitato è solubile ancora nel- l'ammoniaca e negli acidi diluiti. Il cloruro di platino non produce preci- pitato nelle soluzioni acquose, ma dà invece un sale giallo, cristallino colle si dovette necessariamente conservare il trattamento coll’acetato basico. Dopo aver elimi- nato l’olio, separato per lunga ebollizione con acqua dai semi contusi, si neutralizzava l’eccesso dell’acido con carbonato di piombo e quindi si trattava a freddo con la quantità necessaria di acetato. Si spiombavano in seguito i liquidi con l’idrogeno solforato oppure con acido solforico diluito, curando che per evaporazione prolungata, interrotta di quando in quando con nuove aggiunte di acqua, tutto l’acido acetico fosse eliminato com- pletamente. — QIÒ > soluzioni alcooliche. 11 cloruro d’oro dà colle soluzioni anche diluite un cloroaurato giallo, cristallino, abbastanza solubile nell'acqua bollente. « Oltre al cloridrato fu tentata la preparazione di altri sali come il nitrato ed il solfato; ma essi, presentandosi in una massa sciropposa, cri- stallizzano con più difficoltà del cloridrato stesso. « La quantità di alcaloide che si ottiene dall’estrazione tanto della canapa indiana che della nostrana, è sempre piccolissima: dopo ripetute estrazioni possiamo ritenere che la quantità media di alcaloide ottenuta per 50 Kg. di pianta secca non supera i 4 o 5 grammi. « Importante è l’azione fisiologica del cloridrato descritto. « Per il cloridrato ottenuto tanto dai semi che dalle cime della Can- nabis sativa lazione fisiologica è quasi nulla. Il fatto più importante che si osserva nelle rane è una temporanea depressione dell'attivitità cardiaca. « Col cloridrato invece ottenuto dalla Cannabis indica si hanno effetti notevolissimi e segnatamente un'azione violenta sul cuore. « Preparato infatti espressamente il cloridrato da 100 grammi di droga e portato il volume del liquido a c.c. 1,5, si ebbero i seguenti risultati sopra le rane preparate col cuore a nudo. Per iniezione di !/, c.c. di solu- zione, dopo l'intervallo di due minuti, le pulsazioni si abbassano da 60 a 40 e vanno quindi rapidamente diminuendo fino ad avere l'arresto completo del cuore dopo 7 minuti. Contemporaneamente al rallentamento delle pulsazioni si nota grande dilatazione della pupilla ed opistotono. In una seconda espe- rienza per soli °/,1 di c.c. di detta soluzione le pulsazioni si abbassano dopo due minuti da 64 a 40, e dopo altri sette il cuore cessa completamente di battere. Tenuto conto che la quantità di alcaloide contenuta nelle canape è piccolissima, come fu avanti dimostrato, e che la quantità di droga estratta | per l'esame fisiologico è anch'essa relativamente molto piccola si può de- durre che certamente gli effetti tanto velenosi dell’estratto siano dovuti, più che alla quantità di alcaloide in esso contenuto, alla grande energia dell’al- caloide stesso. «“ Dallo studio ulteriore essendosi potuto accertare che il cloridrato in esame era sempre un miscuglio complesso di diverse basi, si dovette proce- dere a differenti metodi di frazionamento che noi partitamente descriveremo. E quantunque le analisi che noi presentiamo non sian sempre analiticamente perfette, pur nondimeno esse servono sempre bene a risolvere il nostro pro- blema, quando si tien conto della piccola quantità di base contenuta nella droga e del genere di alcaloidi che compongono questo miscuglio complesso ». Chimica. — Sulla trasformazione dell'acido desmotropo-santo- noso nell’acido levo-santonoso. Nota di AmERICO ANDREOCCI, pre- sentata dal Socio S. CANNIZZARO. « La rassomiglianza perfetta del comportamento chimico dell'acido des- motropo-santonoso con quello degli acidi stereo-isomeri: destro, levo e racemo- santonosi, e l’analoga derivazione degli acidi desmotropo- e levo-santonosi da due desmotropo-santonine isomere, rappresentabili entrambe in un piano colla stessa formola di struttura, furono le ragioni per le quali sempre ho ritenuto molto stretta la parentela dell'acido desmotropo coi suddetti tre acidi stereo- isomeri, possibile la sua trasformazione in uno di questi tre e più probabil- mente nel levo-santonoso (1). « Anzi sul primo ho creduto potere facilmente convertire l'acido desmo- tropo nell’acido levo per azione dell’idrato potassico a 200°, come ho tra- sformato la desmotropo-santonina, che ridotta genera l'acido desmotropo-san- tonoso, nella iso-desmotropo-santonina, che genera l'acido levo-santonoso. Ma i risultati furono negativi; infatti, riottenni l'acido desmotropo-santonoso inal- terato, che suddiviso in tre campioni colla cristallizzazione frazionata fon- deva costantemente a 175°. Allora ho voluto vedere se l’acido desmotropo riscaldato a 300° desse come l'acido destro-santonoso (*) un’ anidride, ed in tal caso se essa rigenerasse l'acido dal quale deriverebbe come fa quella dell'acido destro, oppure un altro acido santonoso. Ecco i risultati ottenuti: « L'acido desmotropo-santonoso riscadato fra 295° e 305°, in un bagno di lega metallica, per 2 ore, elimina dell’acqua senza svolgere nemmeno una traccia di gas (H od idrocarburi) e si trasforma in una massa oleosa, che per raffreddamento si solidifica, assumendo l'aspetto d'una resina traspa- rente e fragile, di color paglierino simile all'anidride dell'acido destro-santo- noso; è infatti anch'essa un'anidride derivante dall’eliminazione di una mo- lecola d'acqua per ogni due molecole di acido desmotropo, come risulta dalla seguente determinazione: gr. 11,68 di acido desmotropo-santonoso scaldati fra 295° e 305° perderono gr. 0,42 di H°O. calcolato trovato H?0 3,63 3,60 (1) Sopra un isomero della santonina ed un nuovo isomero dell’ac. santonoso. Questi Rendiconti 1893, 1° sem., vol. II, pag. 494. — Sopra un altro nuovo isomero della santonina e sopra un altro nuovo isomero dell’ac. santonoso. Questi Rendiconti 1893, 2° sem., vol. II, pag. 175. — Sulla struttura degli acidi santonosi. Questi Rendi- .conti 1895, 1° sem., vol. IV, pag. 68. (2) S. Cannizzaro, Sui prodotti di decomposizione dell’ac. santonoso. Gazz. chim. Ital., vol. XIII, p. 387. — 2660 — « Questa sostanza, come l'anidride dell'acido destro santonoso, non sì discioglie facilmente nell’alcool e nell’etere, però col tempo quest'ultimo sol- vente ne discioglie una gran parte, lasciando indietro un poco di sostanza polverosa, bianca, quasi insolubile. « Per svaporamento dell’etere si riottiene l'anidride col suo aspetto re- sinoso. i « L'eliminazione dell’acqua dall’acido desmotropo-santonoso può essere avvenuta fra i carbossili, o fra gli ossidrili naftolici, o fra un carbossile ed un ossidrile appartenenti a due molecole, per cui all'anidride spetta una di queste tre formole di struttura: CH CH? | 0 CH? CHELNNNNO SAI ALIORZS N i i a | (i AR i N Ò Ck: CH: Ù | CH: CH? CH? CH: | | H?°C C c CH? ANAGNI ANIA AN Li A gii | È HOOC-HC-HC i |, di .cH-cH-coon Î x \ SI | de VENA NING da | CH? CH? CH? CH? i | CH? H°C È A SG C À N FASO CHASR 0 di vi \cH ROSTER AN A -0-0C- ‘ni LC /N LE .0H CH? bo C }-- CH3 ka NZ | CH? CH? DI — « La prima e la terza formola rappresentano le strutture più probabili, ma è anche possibile che l'anidride sia un miscuglio di due o di tutte e tre queste probabile anidri di; poichè come ho già detto l'etere non di- scioglie completamente il prodotto della reazione e quella parte che esso discioglie non è poi completamente solubile, anche dopo una lunga digestione in una soluzione acquosa di carbonato sodico. Il prof. Cannizzaro (©) iuon avendo determinata l’acqua eliminata dall’acido destro-santonoso a 300°, indicò la formazione dell'anidride, colla seguente equazione: CH? ADE H4 (1° Ho BERO — MFI0IO io co \CH?.CH?.COOH \CH®.CH? considerando tale sostanza come un’anidride interna, nella quale il residuo dell'acido propionico avendo perduto l’ossidrile acido si sarebbe attaccato all’ossigeno fenico come negli eteri dei fenoli. « Io ed il sig. Nicola Rizzo intraprenderemo alcune ricerche sui santo- niti etilici e sugli acidi etil-santonosi, colla speranza di poter trasformare questi composti nelle loro anidridi, e dall'eliminazione di alcool o di acqua stabilire le strutture delle anidridi degli acidi santonosi. « Avrei potuto convertire tutta l'anidride grezza ottenuta dall’ acido desmotropo-santonoso nell’acido corrispondente colla potassa alcoolica, come il prof S. Cannizzaro ritrasformò quella dell’ acido destro-santonoso ; ma non lo feci nel timore che se avessi riottenuto, invece dell'acido de- smotropo-santonoso, un altro acido isomero, non avrei potuto più sapere se tale trasformazione dovesse attribuirsi all’azione del calore, oppure all’azione della potassa alcoolica. « Perciò rivolsi le mie ricerche su quella parte di anidride, che è s0- lubile nell’etere e che lentamente a freddo si discioglie nelle soluzioni acquose di carbonato sodico. Da queste con acido cloridrico precipitai un acido, che non era acido desmotropo-santonoso; ma invece il levo-santonoso, come ri- sulta dai seguenti caratteri di due campioni ottenuti colla cristallizzazione frazionata: 1° I due campioni, come l'acido levo, fondono fra 179-80° e cristal. lizzano in piccoli aghi. 2° Il potere rotatorio determinato nel primo campione diede i se- guenti valori: Solyente gi e e e n Alcool assoluto Concentrazione ne gp e, Ve 3,9088 Liumginezz, dell uloo 0 siii nn. . 00 219,65 Dewiazionefosservata@iperi (0. Ce — 645 Roceregrotavoriogispecii co a. Dee — 5,1 (1) Loco citato, pag. 394. RenpICONTI. 1895, Vol. IV, 1° Sem. 35 « Questi valori corrispondono con quelli ottenuti da un campione di acido levo-santonoso (dalla isodesmotropo-santonina) per il quale ho trovato (@)pî8° — — 74,5; mentre per l’acido desmotropo-santonoso (@)p!" è = — 53,3. 3° L'etere etilico ottenuto dal secondo campione fonde a 116°, come quello dell’acido levo-santonoso presentandone le stesse apparenze e gli stessi caratteri di solubilità. 4° L'etere etilico mescolato con un peso eguale di destro-santonito etilico dà il racemo-santonito etilico fusibile a 125°. « L'acido desmotropo-santonoso si trasforma perciò in uno dei tre acidi santonosi stereo-isomeri appunto nel levo come avevo dubitato; così tutti i quattro acidi santonosi conosciuti devono considerarsi come stereo-isometri. « Colla formola adottata per gli acidi santonosi CH° 6 CE? ARG N Ho XA XCH? | Der HOC _ CH CH SO. ‘A \c00H XK CI Ù Cd? | CH? risultando la dissimetria per due atomi di carbonio, sono possibili, secondo le teorie di J. H. van't' Hoff e J. A. Le Bel sul carbonio assimetrico, sei isomeri, dei quali quattro attivi: due destro e due levo e due inattivi, sdoppiabili, che risultano dall'unione degli attivi inversi due a due. Tali modificazioni stereo-isomere possono essere espresse nel modo seguente, quando si ritiene l’attività ottica di un carbonio, che dirò A, maggiore di quella dell'altro car- bonio che dirò B; + A + B; destro — A — Bb; levo + A+tBe—T—At B; inattivo + A + B; destro — A+ B; levo + A-BeT-At+ B; inattivo OG, — « I borneoli vengono citati come un raro esempio di serie completa; es- sendo conosciuti tutti i sei isomeri, che furono ottenuti da Montgolfier e Haller (1). « Nel caso degli acidi santonosi sarebbero noti î quattro isomeri: + A + B acido destro-santonoso — A — B acido levo-santonoso + A+4+Be — A — B acido racemo-santonoso — A + B acido desmotropo-santonoso (levo) « Se si potesse ottenere l'acido destro-desmotropo, pure la serie degli acidi santonosi sarebbe completa poichè facile riuscirebbe il preparare l'acido racemo-desmotropo. « È però anche possibile che l'acido desmotropo-santonoso ed i suoi deri- vati, che hanno tutti un potere rotatorio più debole dei loro corrispondenti iso- meri delle serie levo e destro-santonose, sieno dei racemi parziali; ossia for- mati dall'unione di due molecole attive, in modo che l’attività d'un carbonio assimetrico d'una molecola viene compensata da quello corrispondente dell'altra molecola, mentre si sommano l’attività degli altri due atomi di carbonio; ciò che si può rappresentare con ALAN (Bie — AB « Non volendo per ora decidere se l'acido desmotropo-santonoso debba considerarsi come un racemo parziale, o come uno dei quattro isomeri attivi possibili, citerò soltanto quei fatti per i quali si può ritenere che l'acido desmotropo-santonoso, la desmotropo-santonina ed i loro derivati sieno dei racemi parziali; riserbandomi però, prima di pronunciarmi, uno studio più accurato del potere rotatorio degli acidi santonosi e dei loro derivati. 1° La desmotropo-santonina, per il suo punto di fusione (260°) e per la poca solubilità nei solventi, potrebbe ritenersi come un polimero, mentre la grandezza molecolare, determinata col metodo ebolliscopico, conferma la sua formola semplice C!5 H!8 03; inoltre essa si forma per azione dell'acido clo- ridrico, che tende a racemizzare molte sostanze attive. 2° L'acido desmotropo-santonoso ed i suoi derivati hanno tutti un po- tere rotatorio più basso dei loro corrispondenti isomeri attivi e sono sempre levogiri, e per le loro proprietà fisiche si rassomigliano più ai derivati race- mo-santonosi che non ai levo e destro-santonosi. (1) Stéréochimie. Nouvelle édition de die années dans l’histoire d'une théorie par J. H. van't’ Hoff, pag. 50. — 204 — 3° I poteri rotatori molecolari degli acidi metil ed etil desmotropo- santonosi CH* RO-C G CH—CH<6o0H | CH° sono vicinissimi a quello dell'acido desmotropo-santonoso, anzi potrebbero dirsi uguali, poichè le differenze rientrano nei limiti degli orrori di osservazione; mentre il potere rotatorio molecolare degli acidi metil ed etil levo, o destro- santonosi è superiore a quello degli acidi levo, o destro santonosi; come risulta dal seguente specchio: Potere rotatorio Pot. rotatorio i molecolare molecolare Acido desmotropo-santonoso — 132 Acidi levo, o destro-santonosi x 185 » metil-desmotropo-santonoso —129 ». metil-levo, o destro-santonosi = 191 | » etil-desmotropo-santonoso — 130 » etil-levo, o destro-santonosi = 202 | « Questi dati sono in favore dell'ipotesi che l'acido desmotropo-santonoso | sia un racemo parziale, e preciserebbero anche quale è il carbonio assimetrico | la di cui attività ottica vien compensata dal suo corrispondente di segno con- | trario appartenente all'altra molecola; ossia indicherebbero che tale carbonio I è quello del nucleo naftalico. i « Però con questi soli dati non intendo confermare la suddetta ipotesi, perchè a tal fine occorre una osservazione accurata del potere rotatorio fatta, 0 nelle stesse condizioni di temperatura, con soluzioni ugualmente concentrate I e con un solvente più adatto dell’alcool assoluto, sopra una serie numerosa di i derivati, ottenuti coll’introduzione di radicali alcoolici più pesanti come; il propile, amile e benzile al posto non solo dell’ H naftolico, ma anche di quello del carbossile, onde vedere qual sia l'influenza di questi radicali sull’uno o sull'altro atomo di carbonio assimetrico. Mi riserbo comunicare | con un'altra Nota il risultato delle ricerche che ho a tal fine intraprese. | 4° La forma cristallina dell'acido. etil-desmotropo-santonoso (attivo) corrisponderebbe invece a quella di un racemo, come risulta dalle seguenti de- terminazioni cristallografiche ed osservazioni comunicatemi gentilmente dal dott. Luigi Brugnatelli, il quale le ha eseguite nell'Istituto di Mineralogia della R. Università di Roma. ge — 265 — « Acido-elil desmotropo-santonoso. — Sistema cristallino : triclino. Es- sendo otticamente attivo i suoi cristallli dovrebbero appartenere al gruppo assimetrico di questo sistema. Tutti i cristalli osservati però presentano uno sviluppo della forma perfettamente oloedrico. « Forme osservate: ‘100! - {010} - 001% - {1T0} 3011} - $IO1{-}111{ « Costanti cristallografiche : a:b:ice==1,1269:1:0,613 A = 69°40" Bi 290047: C= 119952" dedotte dagli angoli fondamentali : (100):(001) = -53°48' (100):(010) —112°96 (001):(010) = 88° 4° (010) (I) 709310 (100):(111) = 74°44 « I cristalli hanno sempre aspetto prismatico secondo |001]. Sono do- tati di sfaldatura perfetta secondo {001}. Dalle lamine di sfaldatura emerge uno degli assi ottici. Fu constatata la estinzione inclinata su tutte le facce della zona verticale ». Anatomia. — Alcuni fatti che riquardano la cresta neurale cefalica dei Selaci. Nota di A. Cocci, presentata a nome del Cor- rispondente EMERY. «La definizione che Kastschenko ha dato nell’ 88 di ciò che passa sotto il nome di mesenchima, non ha perduto finora nè in attualità nè in verità: « Il mesenchima non è altro che l'insieme delle cellule embrionali che non vengono impiegate nella formazione di organi epiteliali intesi in senso lato ». In questi ultimi tempi sono stati compresi in questa categoria, e in- dicati con lo stesso nome, elementi embrionali ai quali prima alcuno non avrebbe osato di togliere un certo carattere specifico, dato loro, oltre che dalla maniera e dal luogo di origine, da peculiari relazioni transitorie o defi- nitive, che sembrano avere con varie parti del corpo embrionale: tali sono, ad esempio, le cellule della così detta cresta neurale o cordone o lamina ganglionare. i « Già Kastschenko aveva constatato nei Selaci il disfacimento cui va incontro quella porzione di lamina ganglionare che dal luogo ove si forma — 266 — più tardi il ganglio ciliare, scende fino nella regione delle piastre olfattive, e il passaggio delle cellule che la compongono a far parte del mesenchima. In seguito, specialmente per parte di Dohrn, è stato confermato lo stesso fatto anche per altre porzioni del cordone ganglionare; mia è stato riguardato come un fenomeno di regressione. Il disfacimento di certi tratti del cordone gan- glionare equivaleva alla scomparsa, nella filogenesi, di nervi prima esistenti in quelle regioni. E per quanto il mesenchima dovesse considerarsi come un insieme di elementi aventi origine varia e molteplice, e l’ectoderma avesse parte nella sua formazione, questa parte non era che indiretta, e sopratutto dovuta a fenomeni di riduzione. Così, con un poco di buona volontà, rima- neva salva nelle sue linee principali, per quanto avariata nei particolari, la compagine della teoria dei foglietti. i « Ma Goronowitsch è andato più innanzi, forse troppo. Le sue osserva- zioni su Teleostei, Ganoidi e Uccelli gli hanno dimostrato che la cresta neurale è maggiormente sviluppata in regioni nelle quali non ci sono, in seguito, nè gangli nervosi, nè nervi, che le cellule ond' è costituita non formano nè questi, nè quelli, ed entrano nella composizione del tessuto nervoso periferico solo come tessuto di sostegno: esse formano ancora del mesenchima, il quale offrirebhe materiale per le parti scheletriche della testa. « A queste vedute di Goronowitsch si è in parte convertita la sig.* Platt, prima riluttante. Dallo studio dello sviluppo di Mecturus, ella ha ricavato che le cellule della cresta neurale, insieme. con altre che derivano da inspessimenti dell’ectoderma, formano nervi e gangli nervosi, non solo, ma danno origine anche a tessuto connettivo « mesectodermico ». « In embrioni di 7orpedo e Pristiurus io ho veduto formarsi nella parte anteriore del capo, nella regione del cervello anteriore, una porzione di cre- sta neurale (da me chiamata « cordone ganglionare anteriore =) la quale non può essere considerata semplicemente come propaggine esterna di quel tratto di cresta neurale che occupa il cervello medio, e ch'è ritenuta generalmente come propria del gruppo del trigemino. In embrioni con quattro tasche branchiali, essa è congiunta con quest’ultimo, oltre che sulla linea dorsale mediana del cervello, anche lateralmente, precisamente con la por- zione ciliare di esso, a mezzo di un filamento di cellule disposte a catena. La sig.* Platt che ha veduto codesto filamento in embrioni di Acanthias, lo ha considerato come residuo di un nervo dorsale scomparso ed ha proposto per esso il nome di « nervo talamico ». La maniera secondo cui sì sviluppa questo filamento, ci dà ragione della forma e della posizione sua nello stadio embrionale suddetto. Esso, che non è in origine se non una commessura che si stabilisce presso la linea mediana dorsale del cervello fra il cordone gan- glionare anteriore e quello del gruppo del trigemino, assume più tardi quella posizione che lo ha fatto innalzare alla dignità di nervo segmentale, solo in og, — seguito allo sviluppo e al dislocamento delle parti del cervello, fra mezzo alle quali le sue cellule sono impegnate. « (Gili elementi che compongono il cordone ganglionare anteriore pigliano origine dalla parete cerebrale e dall’ectoderma, nello stesso modo che quelli delle altre porzioni del cordone ganglionare. La disposizione che essi assu- mono e la posizione che occupano sono dovute in gran parte all'attività for- mativa delle pareti del cervello; essi hanno in ciò una parte quasi esclusi- vamente passiva. Non dànno origine a cellule nervose e nè meno servono di guida e di sostegno ad elementi nervosi che vengano dal cervello. Il loro destino ultimo è quello di passare a far parte del mesenchima che occupa la parte anteriore del capo, fra il cervello e l'epidermide. « La mancanza in altri gruppi di Vertebrati inferiori di una formazione che, se non per il genere di tessuto embrionale a cui dà origine, almeno per la località ove si sviluppa, possa omologarsi al cordone ganglionare anteriore dei Selaci, fa pensare che la sua apparizione sia dovuta a condizioni locali, tutto proprie di questo gruppo di Vertebrati, e di cui non possiamo valutare la portata. Ma nulla toglie verità al fatto che nei Selaci le pareti dorsali del cervello anteriore danno origine a una porzione di cresta neurale, la quale non può essere sospettata di alcuna relazione con nervi periferici, e diventa poi nella sua totalità tessuto connettivo embrionale. « La parte passiva ch'è rappresentata dal cordone ganglionare anteriore non è una qualità che gli sia esclusiva. In tutta la cresta neurale del capo io osservo una certa virtù di adattamento alle condizioni di situazione e di dislocamento che le son fatte ora dalla parete cerebrale, ora dall’epi- dermide. Quest'ultima, che per la sua maggiore superficie si plasma sugli organi epiteliali come fa un drappo stirato sopra un corpo a superficie rien- tranti, manifesta pol una grande attività formativa in certe sue aree, nelle quali sì sviluppano degli organi di senso transitori o permanenti. « La prima partizione del cresta neurale del capo è dovuta all'iper- trofia dell'epidermide nella regione auditiva, ossia alla formazione dell’avval- lamento auditivo. La faccia interna di quest'ultimo s’accosta alla faccia esterna della parete del cervello posteriore, per modo che fra di loro non rimane posto per alcun elemento formato. Le cellule della cresta neurale devono trovar posto o innanzi, o dietro, o sopra l’avvallamento, così che si può distinguere assai presto una porzione preauditiva e una porzione postauditiva della cresta neurale. Queste due porzioni rimangono unite ancora per qualche tempo, a mezzo di elementi poco compatti, al di sopra dell'epitelio auditivo. In se- guito, sparisce anche questa connessione, per la formazione della fossa rom- boidale. « Una nuova partizione nella porzione preauditiva della cresta neurale, si verifica per il forte accrescimento cui va soggetta la parete laterale della parte anteriore del cervello posteriore. Allora possiamo distinguere 09 — nella cresta neurale del capo: il gruppo del trigemino che occupa la regione del cervello medio, il gruppo del facciale ch'è il rimanente della porzione preauditiva, il gruppo del vago che rappresenta tutta la porzione postaudi- tiva. Il cordone ganglionare anteriore si sviluppa circa in quest'epoca, e ri- mane poi distinto dal gruppo del trigemino per il forte accrescimento cui va soggetta la parete laterale del telamencefalo. «Il gruppo del trigemino viene ad essere diviso nella sua porzione ven- trale, ch'io distinguo col nome di lamina ganglionare, in due parti conosciute finora come appartenenti l'anteriore al ciliare, la posteriore al trigemino pro- priamente detto. Questa suddivisione è prodotta dall’accostarsi dell'epidermide alla parete del secondo somite. Ma inferiormente a questo, le cellule della lamina ganglionare si uniscono di nuovo e sembrano fondersi con l'epitelio dell'intestino o ricevere elementi da esso. Van Wijhe avrebbe considerato la parte anteriore di questa connessione come ramo faringeo del ciliare. « Frattanto la porzione ciliare del gruppo del trigemino è costretta a subire a sua volta una partizione, a livello dell'ipotalamo, per lo sviluppo delle vescicole ottiche. Essa si mette a cavaliero del peduncolo ottico e oc- cupa inoltre, innanzi e dietro di esso, gli spazî che le son lasciati dall’epi- dermide la quale passa sopra di essi senza inflettersi. In questi spostamenti e partizioni della lamina ganglionare, questa vi rap- presenta una parte passiva, ed è soggetta all'influenza ch'è esercitata ora dall’epidermide, ora della parete cerebrale, ora dai somiti, ora dall’intestino. Sarebbe irrazionale dunque pretendere dalla sua disposizione qualche indi- cazione sulla metameria della regione del corpo occupata da essa. La cosa sarebbe solo possibile se l'influenza venisse da un solo organo a disposizione metamerica, 0 pure anche da più organi, ma nei quali la metameria fosse ancora coordinata, e non accadesse che lo sviluppo esagerato o precoce di uno di essi venisse a disturbare o annullare l'influenza che potrebbero eser- citare gli altri. Così è che una certa regola nella metamerizzazione della lamina ganglionare del capo s'è mantenuta nella porzione postauditiva di essa. « Ma a troppe influenze va soggetta la porzione preauditiva perchè dal modo com’ essa si presenta divisa in un certo stadio di sviluppo, noi pos- siamo cavare indizî non imaginosi di metameria di essa o degli organi con- tigui. Lo studio stesso degli encefalomeri ha presentato fino ad ora difficoltà grandissime, in causa di fatti di ordine secondario che probabilmente hanno mascherato la disposizione segmentale del cervello. « Un’ altro fatto che ha influenza sulla disposizione della lamina ganglio- nare del gruppo del trigemino sono le relazioni ch’ essa acquista con un or- gano sensitivo epidermico transitorio. Veramente gli organi sono due, l’ uno si- tuato innanzi all’altro, l'anteriore in relazione con la porzione ciliare, il po- steriore col trigemino propriamente detto, ma è probabile che la divisione sia un fatto secondario dovuto a cause meccaniche. Quest'organo non è una — 269 — cosa nuova e di esso ne han parlato quasi tutti coloro che hanno avuto si- nora occasione di occuparsi dello sviluppo dei Selaci. Ma io l’’osservo con- servarsi, e svilupparsi ognora più, fino in istadî a bastanza avanzati, quando gli organi di senso laterale, innervati dal facciale, dal glossofaringeo e dal vago, incominciano a pigliare la disposizione ch'essi avranno nell’adulto. È un organo che non può essere paragonato che all'organo auditivo e a quello olfattivo, è uno di quelli che Kupffer chiama « placodi ». « Così nei Selaci si possono distinguere, in un certo stadio di sviluppo, tre placodi situati nei due lati della parte preauditiva della testa (organo auditivo compreso). « Una circostanza, che non è da trascurare, è che la scomparsa di quest’or- gano coincide con la prima apparizione delle ampolle di Lorenzini. Sullo svi- luppo di queste come delle vescicole di Savi e degli organi laterali in 7orpedo ho dato già alcune notizie preliminari (!) che ora ho occasione di confermare, salvo alcuni fatti che si riferiscono all’innervazione. « Le cose esposte in questa e nelle Note precedenti, formano argomento principale per un lavoro più dettagliato che uscirà fra breve ». Matematica. — Amncora sulle equazioni lineari del 4° or- dine, che definiscono curve contenute in superficie algebriche. — Sulle equazioni differenziali lineari di ordine qualunque, che de- finiscono curve contenute in superficie algebriche. Note del dott. G. Fano, presentate dal Socio CREMONA. Matematica. — Di una nuova espressione analitica atta a rappresentare il numero dei numeri primi compresi in un deter- minato intervallo. Nota di Levi-CivitA, presentata dal Corrispon- dente VERONESE. Chimica. — Sopra gli alcaloidi della Cannabis indica e della Cannabis sativa. Nota del prof. F. MarINO-Zuco e del dott. G. VianoLo, presentata dal Socio CANNIZZARO. Chimica. — Sopra l’Ipnoacetina. Nota del dott. G. VignoLo, presentata dal Socio CANNIZZARO. Queste Note saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. (1) Questi Rendiconti Vol. VII, 2° sem., fasc. 6° e 7°, 1891. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI EPEERkRR=*ZzzZ=>=zZàtbal'altezza totale, e così via. Per 1 punti y1 Ys Y3 Y4 Ys si può far passare una curva, che rappresenta la pendenza variabile dell’anfiteatro. Le ordinate singole sono facili a calcolarsi. Chiamiamo p la distanza del punto O dalla prima fila, 4 la distanza costante tra fila e fila; dalla somiglianza dei triangoli si ha yaemtba = Mo bam a): LIE sE L + a p + 24 y3= ma d+a=(m.4 a) [2a 7 + a ia 9 gian = Wa + == (103 La): 2 DE 2d pd ae 1. Yn = Mn += (Mn +4 @ gii te — 273 — relazioni che servono a calcolare i punti definiti della curva, ogni qual volta si conoscano p,m,,4 e d. La curva che si ottiene, è molto pronun- ciata; da cui si deduce che sostituendovi una retta, come si faceva negli antichi anfiteatri, si era molto lontani dalla soluzione del problema ottico. « Per persuadersene, basta calcolare un esempio numerico. Pongo, come è press'a poco il caso dell'anfiteatro nell'Istituto fisico di Roma, = 020, = 020 E60 4, 00 si ha la seguente tabella: I dif. II. diff. III diff. | Curva logaritmica Diff. tra le (negati) (Cap. IL.) due curve m m Y.= 0,4000 To yY, = 0,4000 0,0000 0,3000 Ya = 0,7000 400 Ya = 0,7231 0,0231 3400 67 Ys = 1,0400 398 Ya = 1,0866 0,0466 3738 47 Ya=1,4138 286 Ya = 1,4835 0,0702 4019 36 Ys = 1,8152 250 Ys = 1,9090 0,0938 4269 28 Ys= 2,2421 222 Ys = 2,3697 0,1276 4491 22 Ya = 2,6912 200 Ya= 2,8326 0,1414 4691 18 Ys = 8,1603 182 Ya = 9,8255 0, 1652 4873 15 Ys = 3,6476 167 Ys = 3,8367 0,189 5040 13 Yo = 4,1516 154 Yi10 = 4,9645 0,2129 5194 Yi =4,6710 Ya = 4,9077 0,2367 « Questa tabella è molto istruttiva. Confrontando le cifre della co- lonna colle I. differenze, per la curva calcolata colle relazioni precedenti, si vede che queste differenze importano tra la 1% e la 2° fila 80, tra la 10° e la 11° quasi 52 centimetri. La salita della curva è quindi piccola al prin- cipio e poi si accentua più e più. Ne segue l'inconveniente pratico, che la gradinata che dà l’accesso alle singole file, non può essere uniforme. Si vede difatti che, mentre la pendenza tra la prima e la seconda fila può essere superata con tre gradini di 10 centimetri di altezza ciascuno, la pendenza all'ultima fila richiede tre gradini di 17 centimetri. Ma questo inconveniente, piccolo in sè, è compensato dal vantaggio grandissimo, di risolvere il pro- blema ottico col minor sviluppo possibile dell’anfiteatro. Difatti, se sì vo- lesse adottare per l’anfiteatro l'altezza risultante dal calcolo precedente per l’ultima fila in metri 4.6710, ma mantenere il piano inclinato, si avrebbe tra fila e fila la pendenza uniforme di 0%,4271, pendenza eccessiva fino alla quinta fila, buona tra la quinta e la sesta, insufficiente per le rima- nenti file, per cui ie ultime rimarrebbero sagrificate. Se si volesse invece fa- vorire l’ultima fila, mantenendo la sua pendenza regolare di 0",5194 anche — 204 — per tutte le altre, bisognerebbe dare a tutto l’anfiteatro l'altezza di 5,594 invece di 4",671, alzandolo Quindi di 92 centimetri. Ne segue che l'antico modo di costruzione non può considerarsi come razionale. « Dalla stessa tabella risulta inoltre, che anche le II. differenze sono tutt'altro che costanti; per cui la curva non solo si scosta notevolmente dalla linea retta, ma anche dalla parabolica. « II. La curva, che passa peri punti y1 %s 3 ---yn corrispondenti alle ascisse p,p+d,p+ 2d...p+ x, è dunque di ordine superiore, e sorge spontaneo il desiderio di cono- scerne la natura e la forma. E Posto in questi termini gene- 5, rali, il problema è indetermi- nato, perchè si possono p. e. immaginare moltissime funzioni periodiche, che soddisfino alla 0 | condizione di passare per quei “4% punti. Vogliamo quindi per ora Fig. 2. restringere il problema alla ri- cerca della funzione più sem- pregi plice, continua e aperiodica. « Supponiamo che all’ascissa 4 corrisponda l'ordinata y. Se 2 aumenta di 4x, y diviene y+- 4y. Dalla somiglianza dei triangoli si ha (J+4y— e):y=(a +A4a):a da cui ady—yda= as, dove « rappresenta una quantità piccola, dell'ordine di 47. Passando ai dif- ferenziali e dividendo per «*, si ha ady — yda Y € SUR (0) E % % % e sì tratta di trovare l’espressione di «. Ora la supposizione più semplice, è questa: di scegliere « in modo che divenga uguale ad 4, quando 4x passi a essere uguale a 4, dove d rappresenta la distanza costante tra una fila e la successiva. Abbiamo quindi :=5 da e sostituendo (4 ) ada Di do da cui 5 — 64 glee ossia y=ba + Feloge (1) dove 2 rappresenta la costante d'integrazione, da determinarsi dalle condi- zioni speciali del problema. Per «= 1, si ha y =, il che vuol dire che è è la prima ordinata corrispondente all’ascissa 1. « La supposizione, che abbiamo fatto ponendo e = mudo, è la più semplice, ma non è rigorosamente vera; perchè confonde la curva, che riu- nisce due punti y e y° posti su due ordinate alla distanza d, colla retta tirata fra i due medesimi punti. La quantità « è in fondo più piccola di quanto risutta da quella supposizione. Ne segue che l'equazione (1) non è rigorosamente esatta e deve condurre per y a valori troppo alti. Per vedere fino a che punto di approssimazione si arrivi, ho calcolato coi medesimi dati dell'esempio numerico precedente, la curva, i cui valori sono riportati nella tabella del cap. I. La differenza tra questa ed i valori esatti non è molto grande, ma non è trascurabile, salendo per l'ultima fila fino a 23 centimetri. Una migliore concordanza si ottiene, considerando l'equazione (1) come una formola empirica, con due costanti a e d da determinarsi. Pren- dendo p. e. come punti fissi quelli della prima e dell'ultima fila, e calco- lando da essi non solo 2, ma anche 4, si trova a= 0,18649 invece di a = 0,20000 e per una fila intermedia, p. e. per la settima ya=2,0089 invece di y,= 2,6912 diff. 0,0177 vale a dire una differenza praticamente insignificante di meno di 2 centi- metri. Ne segue che l'equazione (1) risolve bensì il problema dal punto di vista pratico, ma non in via teorica. « Che questo sia così, si può dimostrare anche direttamente. Ponendo in (1) x +4 al luogo di «, si ha I (07 y=bl+ D+ (+ log (+ 4) Ora, la condizione fondamentale e caratteristica del problema è che UT_ay= + de da cui getti y=a (2) « Ma se si sostituiscono in (2) i valori, si ha con breve riduzione per il primo membro dell'equazione a d 4 (+4) log (1+4) il quale valore, invece di essere uguale ad 4, è invece espresso dalla serie infinita (ae e, 1. ata pd Re è vo che diviene uguale ad 4 soltanto per lima = 00 . « Scrivendo p+-x per x, dove p rappresenta l’ascissa corrispondente alla prima fila, la (1) diviene y=b@+2)+ 7 (2+ 2)leg(p+-2) (83) — 276 — « III. Prolungando in fig. 1 le visuali corrispondenti alle singole file fino ad una ordinata y corrispondente all’ascissa arbitraria p + 4, si hanno, sempre per la somiglianza dei triangoli, le seguenti equazioni e per la 2? fila a Lr p p+d per la 1° fila dl DÌ Da Mi slo | =@ p 3 (7 4 enog per la n? fila n= Dina Ppt+(—-1)d da cui crtaterpartotano DM p+2)to(n+2)}} + ni) pH 2d A (I, « Per trovare la somma della serie finita, messa entro parentesi, pren- diamo la progressione geometrica s-=gbil + gp+d-1 |- gPp+20-1 + ire + gp+n_L)d-1 — gpl. __ __ « Moltiplicando per ds e integrando fra 0 e 2, per togliere la costante d'integrazione, si ha 3 ) gP gp+d gp+2d gp+n_1)d È i 1—-gnd d a > o ol == gpal. ; - p go p+24 a ENI : ug È « L'integrale, in quella forma generale, non può determinarsi altro che mediante successive integrazioni per parti e riconduce alla serie finita di sopra. Ma esso rappresenta la somma di una serie più generale di quella che si cerca e diviene uguale a questa, Se sì ponga <= 1. Quindi l 1 1— gn0 AE (4 noia 7 ana ss | li=g9 O) « Sia 2 pa Î, Ce; gione |, PASO dg a 1 l'integrale in (4) sì trasforma în ed eseguendo la moltiplicazione e aggiungendo e togliendo 1 nel numera- tore, si ha al eso Fano 0) 5) 3 Sena ae, 1l—-u Ca) 7 1—-u Cor 4) 1% du Questi due ultimi integrali appartengono ad un tipo, che l’analisi contem- — 277 — pla ed al quale essa ha dedicato un importante capitolo. Sono le /uxzzoni gamma in una forma tutta speciale. Secondo queste, si ha detta) _ = A+ = da (O) l_u dove il simbolo Y (w) è rappresentato dall’integrale definito 00 T(p) =. CSA al-L (0) ed A= 0,5772156... è una costante =— Z(1). « Ponendo nella (6) prima ut +", poi net, si ha 1 Line1 = d p naso +1) "a Lai î 3 ==. ie —+4+2(5) e ES pi valori in (5) e in (4) sii ae hire DAY Ft) z(5)| e Lia noto ta+ie+afz(+a) (1) © dove n è un numero intero, progressivo. e indica la fila contemplata. La quantità p è arbitraria, purchè sia positiva, le funzioni I° e Z essendo va- lide per soli valori positivi; y, è l'ordinata corrispondente a un numero % di file projettate sopra di essa a una distanza (ascissa) arbitraria p+ x. La quantità 7, (o meglio m, + @) significa l'ordinata della prima fila. « IV. Per verificare la equazione (7) e per vederne chiaramente il si- gnificato, poniamo secondo una nota relazione p LIL Da 2a p r(p+a) (4) (0) valevole per qualsiasi valore di n , purchè positivo e per valori interi di 7... log r (£ +) — og (5 )+1e (5 +1)+iog(f+2)+- + log (f+2-1)+ber(2) e prendendo le derivate e considerando che o (p o T 2) d log rta) ( dlog I È Le () p i, 3.) RO, — i 0) e ii quindi da. 3II tia = @ TATA pata "ata « Scrivendo x + 1 in luogo di #, si ha Mi (1 1 1 fre raro e og Are I e per cui Ynia —Un=@(P+ 2) Le « I valori di y,+1 € Y» Sì riferiscono alla medesima ordinata, posta alla distanza arbitraria p-+. Se si vogliono riferire all'ultima fila contem- plata, dell'ordine #--1, bisogna porre x = nd. Si ha Yn+ir —YUnTZ0@ il che è rigorosamente conforme alla condizione del problema. « Per indicare, in tesi generale e in conformità di tutto il precedente ragionamento, che x si riferisce alla fila 2, poniamo c=(n-1)d ossia I per cui la formola (7) diviene Lo el ely (L = pp eta (4) ossia, considerando che inc aiti ef pta d p+e quindi z( d +1) o: Fa) la formola (8) Dede anche la forma yratLota+t ta) 24) © « La ui che x sia un multiplo di d, non pregiudica la gene- ralità della soluzione, perchè nelle formole finali (8) e (9) figura sempre p+ x e non # soltanto; ed essendo p un valore arbitrario, purchè positivo, anche p+ « può avere un valore positivo qualsiasi. Con queste formole è data quindi la soluzione generale del problema. Possiamo ora semplifi- D+, care la (8) ponendo dove x rappresenta una nuova variabile, la quale può assumere tutti i va- loi da «x=0 fino a = 00, e considerando che il termine Z (E) è co- stante, ponendo c= se _ a (E) p d la (8) assume la forma semplice e generale y=cu+ auZ(u+4 1) (10) — 279 — Si osserverà la grande rassomiglianza di questa equazione colla equazione approssimata logaritmica (3). « Per fare anche meglio risaltare tale somiglianza, basta trasformare la (3) nello stesso modo, come abbiamo trasformato la (8). Ponendo di nuovo n+- x Ri? , , cabd+4'‘alog@ la (3) diviene infatti y=cu+ aulogu. In ambedue la c è una costante da determinarsi sulle condizioni speciali del problema, e la sola differenza sta in ciò, che al posto di un logaritmo figura una funzione Z. Ma se le due equazioni hanno una forma esterna consimile, la loro vera natura non cessa per ciò di essere diversa. Difatti le funzioni Z possono esprimersi colla serie seguente Il 1 1 IL) Z(u — fot lo MZ ts = Sie PCR limi — 00 (1) (ag Seno pas ® da cui risulta che soltanto per limu= 00, si può porre lim Z(w)= lim log vale a dire, la funzione Z si avvicina indefinitamente al logaritmo soltanto per valori grandissimi del suo argomento. « V. Il medesimo problema può risolversi anche per altra via. Come “appare dalla fig. 3, quando p + % diviene J sl. i P+ +4, y diviene y" e sempre per la a solita somiglianza dei triangoli si ha Y A Pd 0 2 f Ù DT+a $ / ptbe+d ossia = 0 0A “di DI pi rx pod Ponendoy=f(p+2),y=/(p+x+d) Fig. 3. si ha l'equazione funzionale d rp+a += LETO 5 (p4a) +e pra ehe si tratta di risolvere. Poniamo «= 0, si ha d fa+9= f(p+a. « Prima di proseguire, conviene avvertire che /(p) è il valore dell’or- dinata per la prima fila. La soluzione più semplice, consiste nel considerarla costante e per avere una formola direttamente paragonabile alle (8) e (9), porremo /(d)=m,+ 4; avremo ] per la 2° fila: (O+A=R0+ Ate ta sa Ponendo successivamente 4 =d , 24,---(2—1)d, con sostituzioni suc- cessive avremo per la 3 fila: {(p+2d)=m nr PIC p+20)t +——+--- ia RexpIcontI. 1895, Vor. IV, Sem. 1.° 97 — 0 — Perla fnanalae AP (a—-1) d) = PHT(n_-1)d i (1 1 ) È peUl prelEiot coda p ue svoar DIE | pdd I sEo7aa Eps La serie finita evidentemente è la stessa di quella del cap. III, per la quale abbiamo trovato il valore DE \ P P a+) _2(5)) e sostituendo Fe colle stesse avvertenze e colle stesse trasforma- zioni di prima, si hanno formole identiche alla (8), alla (9) e alla (10). « Fin qui abbiamo tacitamente supposto, che le persone contemplate per le singole file e il punto O siano col- | locati nel medesimo piano verticale, normale alle file dei sedili. Questo è il caso, quando px l’anfiteatro abbia la forma di un semicer- chio e il punto O si trovi nel centro del medesimo. Per altre forme di costruzione il caso è raro e vi sono ben pochi i posti, per 7 i quali quella condizione si verifichi. Si può però facilmente dimostrare, che le formole trovate valgono anche per gli altri posti. Siano le rette (1)(1) , (2)(2) , (3)(3) le pro- Jezioni delle file sopra un piano orizzontale 0 che passi per il punto 0; sia OA il piano verticale normale, OB un altro piano verti- cale formante col primo un angolo @; le distanze p,d,p+-x diventano relativamente sa ) LE fo ed intro- cosw ’ coso ’ cos ® ducendo questi valori nella formola (8), si vede che cos @ scompare dalla equazione, la quale rimane inalterata. « L'equazione (8) e quindi anche la (9) e la (10) sono dunque applicabili alle visuali oblique e la soluzione del problema ottico vale per tutti gli spettatori. « VI. L'equazione n Fig. 4. y= cut auZ(u+1), in cui of a (1) (10) è dunque la soluzione generale del problema. Giova quindi esaminarne l’an- damento. « ]. Ponendo «=0, considerando che Z(1)=—0,57721...... sì ha y=0; dunque la curva passa per l'origine delle coordinate. Dalla (10) si ha pure n = tangg= ec + aZ(a+1) — 281 — dove rappresenta l'angolo del vettore visuale colla orizzontale. Per x = 0 si ha tane go = + aZ(1). « La costante e può essere positiva. o negativa, a seconda che dd o o@ x e ri al a): Ne segue che anche tangg, può essere positiva o nega- tiva; perchè Z(1) = — 0,57721.... è negativa. Abbiamo tang 4 positiva, quando Z(1) > -—; tang g, negativa, quando Z(1) < "n È Nel primo caso la curva, partendo dall'origine delle coordinate, va subito nei positivi; nel secondo essa scende nei negativi, arriva a un minimo e ri- passa l’asse delle ascisse rimanendo poi positiva. « 2. Per trovare l’ascissa corrispondente al punto di passaggio per l’asse ‘delle ascisse, basta porre y= cut auZ(u+1)=0 condizione che è soddisfatta da «= 0 (origine delle coordinate) ed anche da È c ct+aZ(u+1)=0, ossia e —- Più difficili a trovare sono le condizioni del minimo. Dalla (10) si ha d AZ (u+4-1 E, Aa, du du Considerando che ( D e" : il 2 Z(ut1)=—-A+ 2 3 dim) log n — SI SI per limn= 00 debt i — n 2 1 (00) UE) loci ui... ug | >, de + lim I arey > sostituendo CR c+alim \ N L + logan — N RO 0 du — (3 3 AR « Le due somme X possono facilmente ridursi in una sola. La funzione messa entro parentesi assume quindi la forma co) n) lim Ji = > n per lima = 0 \ l e rappresenta una nuova trascendente, simile alla Z, ma di un ordine su- periore. Ponendola uguale a D (41 -+ 1), lasua definizione è data da d[uZ (+1 D(u+1)= Let od anche da ® (041) = lim) log — Mn e (eee (a 2)? (14 n)? (pe lim n=. 99 Ciò posto, abbiamo per il minimo c+ D(u|1)=0, da cui D(41)=— -. F007 Riassumendo abbiamo questo rimarchevole risultato : Perchè vi sia un mi- nimo, bisogna che > abbia un valore tale, che risulti Z( pa. Al- lora il minimo corrisponde a ®( uL1) = ——,e la curva ripassa l’asse delle a : c ascisse per Z(u +1) = — È « 3. Quando si sia in possesso di tavole per le funzioni Y e Z e anche per @, il calcolo della curva riesce sempre molto facile (!). Così nell'esempio posto al cap. I., dove si ha m==0,20 , a=0,20 , d=0,90 , fd = DIO sì trova facilmente ce = — 0,2012 po = — 17°34' (inclinazione all'origine) u= 0,90 (minimo) u= 2,24 (la curva ripassa l’asse delle ascisse) e per il controllo della curva nella parte positiva, p. e. per u=4, y=0,400 1? fila u= 10M8y =2,692 72 fila valori esatti. « Ma anche senza le tavole, in casi speciali, il calcolo può ridursi a pic- cola cosa. Supponiamo, come è il caso dell'esempio al cap. I., che nella for- mola (9), non solo 4, ma anche p, quindi pure P+ siano un multiplo di ) % d, allora L= era dove x e v sono numeri interi. In quest’esempio v 4 e per l'ultima (112) fila 2==10. Si ha quindi D lai y—0,20-+ 0,70 +-2,80)7+3 +34... d) valore identico a quello ivi trovato. « VII. La funzione, continua e aperiodica, messa nella sua forma più generale y=cu+ auZ(ut1) dove x rappresenta qualsiasi valore positivo, è la funzione più semplice, che soddisfi alla condizione di passare per i punti singoli varie volte definiti; ma non è la sola. Si possono immaginare molte funzioni periodiche, che soddisfino alla stessa condizione. Lo sviluppo del cap. V. ci porge la via, ) a; dr 13) 4,6710 (1) Per le funzioni I(u) esistono le tavole di Gauss da «= 1,00 a u= 2,00. Egli le chiama I(u—1), ma è lo stesso. Esistono poi le tavole più complete di Legendre da «=1,000 a u= 2,000. Infine le tavole di Gauss per Pu—-1)= Z(u) da u= 1,00 a u==2,00. Renderebbe un vero servizio alla scienza chi volesse estenderle e pubblicarle in forma pratica. — 283 — dove come soluzione più semplice abbiamo considerato /(p) come costante, mentre si poteva considerarla come funzione periodica opportunamente scelta. In forma anche più generale, se y data dalla relazione qui sopra indicata, rappresenta una soluzione, anche y/(2 7 % (v — uo)) sarà una soluzione, pur- chè f sia una funzione periodica, che soddish alla condizione di essere = 1, quante volte u=%w0, +1, vo +-2.... ecc, per wo intendendosi l'ascissa della prima fila, od anche questa ascissa diminuita di un numero intero, in modo però da rimanere positiva; % è pure un numero intero ed indica il numero delle oscillazioni, che si compiono tra fila e fila. Così, a titolo di esempio, si può porre (1 (2 Si ottiene in questo caso una curva, che oscilla con ampiezze decrescenti e con forma complicata sopra e sotto la curva semplice y in modo, da passare per tutti i punti singoli fissati per questa e da compiere % oscillazioni in ogni intervallo compreso fra un punto fisso e il successivo. Non ho però hi- sogno di aggiungere, che con questa soluzione molto più generale si va al di là del problema ottico degli anfiteatri, perchè le visuali procedono per linee rette e non per curve periodiche ». 2 F( 2rk(u—w)) = Aot-Ae%“sen2rr/(u—uo)YAs0® usendart(u—u,) | 0 Meccanica. — Sopra una proprietà degli integrali di un problema di meccanica che sono lineari rispetto alle componenti della velocità. Nota del Socio V. CERRUTI. « 1. Perchè le equazioni del moto di un sistema di punti con x gradi di libertà UE ST dt ddr dI (1) 2 (EMI, n) ammettano un integrale primo della forma (2) Cig + Cagg +-+ Cnga +0 = cost. debbono essere soddisfatte dalle condizioni, che sono volgarmente conosciute, nel caso almeno che le C; e le Q; si presuppongono dipendere soltanto dalla configurazione del sistema, e che i vincoli, i quali limitano la mobilità del sistema stesso, non variano col tempo, vale a dire che è DE” n= 3 D. din Gi Ur i una forma quadratica omogenea rispetto alle 4. Non sembra invece che sla stata espressamente osservata la identità delle mentovate condizioni con e, — quelle per la possibilità di un movimento rigido nello spazio poTa Sn pel quale (3) OE = DE Lin dqi dqx ik è il quadrato dell'elemento lineare. Tale identità si può facilmente ricavare da varie comunicazioni del sig. M. Levy all'Accademia delle scienze di Pa- rigi ('), ma col procedimento qui appresso si rende come intuitiva. « Posto per compendio a d log a (OA IE Cra ù dalla (1) moltiplicata per @, e dopo aver sommato rispetto all'indice KGOSi trae, utilizzando i simboli di Christoffel a tre indici di seconda specie rela- tivi alla forma quadratica (3), (4) a +S.} sai =; (OO EIA 00) con Perchè la (2) sia un integrale delle (1) e quindi delle (4), bisognerà che in virtù delle (4) si abbia identicamente Y SO RI all, 7 ve DE RES vat, ir I ossia dC; o JESI PS ve DOSE x + —- 9 È i o 0/5 d; L= : a DRG 1,5 er ml SO 0 e questa equazione, quando le C, e le V, dipendono soltanto dalle Gi spezza nelle seguenti: RIUST DO (27) dC. | ds x (WS) < Ò ==; i 7 ==] (== di a. î (ic Ms VA 2 (| 7 ( ( DI È) n) D_ (eee, Yi (6) Dale — E Cioè la C deve ridursi ad una costante che si può anche supporre nulla : (1) V. Comptes rendus de l’Acad. des Sc. de Paris, t. 86, pp. 463-466, 812-815, 875-878, 947-950. — 289 — quanto alle C, che sono in numero di 7, debbono soddisfare le sie DL equazioni (5) alle derivate parziali lineari del primo ordine. Dunque le equa- zioni (4), e quindi le (1), ammetteranno o non ammetteranno integrali della forma (2) secondochè le equazioni (5) hanno o non hanno soluzioni comuni. Quando le (5) hanno soluzioni comuni, la (6) stabilisce ancora una relazione che deve intercedere tra le forze, perchè sussista l'integrale (2). « 2. Premesso ciò, si considerino nello spazio S, tre punti M,M',M, infinitamente vicini di coordinate i Dr, Ga, Uni Dt 441, do dq2, Gn + dn; MA dgr, dat dI dit dI; accennando con © l'angolo compreso fra i due elementi lineari MM'=ds, MM, = ds, , sì avrà, per cose note, ds ds, coso = an dq; d'q. _ ( du Immaginiamo prodotta nello spazio S, una deformazione infinitesima per ef- fetto della quale il punto M passi nel luogo di coordinate 41 + dq1, de + + dgo,::- In + Ign: la variazione corrispondente di ds ds, cos @ risulterà cusì espressa dos dosi ds ui ds, (7) d - ds ds; cos © = ds ds; cos (1 ) — ds ds, sen w dw = daxdy;d'in+ > an (dig dar + di d'Îq) , o dh . (73) d - ds ds, coso =2 D_ 0, dq; d'a 7 ue DIL +9 de dI1 20; = == ddr: + (13 Introduciamo in luogo delle dg altre funzioni v definite dalle equazioni (8) Ur => DI Ark dd, ’ allora, giovandoci de’ simboli di Christoffel a tre indici di prima specie re- lativi alla forma (8), otteniamo per 0; l’espressione TOGO: UK dU,; Y ik dh AE di +e) >| ICE — 286 — Ma dalla (8) si trae inversamente (9) dg, = DI Cgr Ug » i = 4 a NI. dunque, sostituendo nell'espressione trovata per @,, il valore di dg, dato dalle (9), avremo (10) 8,=4 | FIOM VESTI RU) e si sa che che tra le varie forme sotto le quali si può mettere l'espressione di 0,x, è la più appropriata al nostro scopo. Quanto al significato geometrico delle 6;, esso discende immediatamente dalla (7). « Se è possibile nello spazio S, un moto rigido, debbono potersi asse- gnare delle funzioni dg e quindi delle funzioni x tali che per esse risulti il secondo membro della (71) identicamente nullo, cioè tali che si abbia O;-0, 0;=0, (Cee) od anche 11) QU; x (ci i dUY QU; Lig (ek) o Ora queste equazioni, salvo la diversità de’ simboli, collimano colle (5): dunque le condizioni (5), perchè le equazioni (1) ammettano un integrale della forma (2), si traducono in sostanza nelle condizioni, perchè sia possi- bile nello spazio S, un moto rigido infinitesimo: diremo X questo moto rigido. « 3. Quando sia possibile un cosiffatto movimento DIA ee leon, corrispondenti non potranno differire che per un fattore costante lo stesso per tutte; si avrà cioè u=y0C, dove 7 è una costante infinitesima: con ciò la relazione (6) tra le forze, ne- cessaria per la esistenza dell'integrale (2), si potrà scrivere Du Vi=0, ossia (12) Day Veg, (08 Ù E così scritta è suscettiva di una interpretazione elegante. Premettiamo che al moto del nostro sistema di punti può farsi corrispondere, come immagine, il moto di un punto M nello spazio S,. La trajettoria di M si accenni con s. Le ORE Se il moto X si concepisce ripetuto indefinite volte, ogni punto di S, de- scriverà una certa curva o. Per il luogo occupato attualmente da M su s con- duciamo un elemento MV nella direzione V,:Vy:---:V, e la tangente MT alla curva o che passa per esso: la (12) dice che le due direzioni MV ed MT debbono essere perpendicolari fra loro. « La ripetizione del moto X e quindi gli spostamenti ds de' varî punti di S, sulla corrispondente curva o sì facciano corrispondere a' successivi in- crementi dv di una variabile ausiliaria 7: allora l'integrale (2) si potrà mettere sotto la forma da k di; dd) = vor di : ih dove y è una costante arbitraria; od anche, se w è l'angolo compreso fra le due direzioni dy,:dye:::-:dQn; ÎQr:dqa: > dn (13) ds ds cos w = ydr di . Se le forze son nulle, la trajettoria di M è una geodetica di S,, e °° stante. Immaginando questa costante compenetrata in y, l'integrale (13) diventerà (14) ds coso = ydr, e, se si introducono nuovamente le funzioni C,, (14,) pda CC, cos o —mb di Tr che costituisce per le geodetiche di uno spazio qualunque S,, nel quale è possibile un moto rigido, l'analogo di un hen noto teorema relativo alle geodetiche tracciate sopra una superficie di rivoluzione ». Chimica. — Sulla costituzione del Dimetilnaftol provemente dagli acidi santonosi. Nota di S. CannIzzARO ed A. ANDREOCCI. « Nella Nota preliminare presentata nella seduta del 2 dicembre 1894, abbiamo annunziato lo studio intrapreso sul dimetilnaftol proveniente dalla decomposizione . degli acidi santonosi; diamo ora rapido conto dei risultati ottenuti. « Abbiamo trasformato il dimetilnaftol nella dimetilnaftilammina cor- rispondente, preparandone prima il derivato acetilico nel modo seguente. Abbiamo scaldato per circa otto ore tra 250° e 280° in tubi chiusi un mi- scuglio di 10 parti di dimetilnaftol, 24 di acetato sodico fuso, 10 di acido RenpIcONTI. 1895, Vol. 1V, I° Sem. 88 — 288 — acetico glaciale e 16 di cloruro ammonico. Si ottiene così l’acetil derivato del- l'ammina che si depura lavandolo con molta acqua, e poi cristallizzandolo dall'alcool bollente più volte. Si presenta in aghi bianchi riuniti in piccoli mammelloni fusibili a 220°; solubile nell’alcool bollente, poco a freddo, quasi insolubile nell’etere. « Per saponificarlo si scaldò con alcoolato sodico tra 150° e 180° in tubi chiusi, sì versò il contenuto dei tubi in una grande quantità di acqua, la dimetilnaftilammina si depose cristallina. Si depurò o cristallizzandola nell’etere, o distillandola in corrente di vapore. È solubilissima nell’etere, nell'alcool, pochissimo nell'acqua alla quale pure comunica una fluorescenza azzurra come fa il dimetilnaftol corrispondente, cristallizza in lunghi prismi aciculari, fonde a 74°, bolle a 338° alla pressione di 7452, senza alterarsi sensibilmente; fa l’idroclorato, ed il solfato pochissimo solubili nell'acqua, il cloroplatinato di colore arancio ben cristallizzato più solubile nell’alcool che nell'acqua; coll’anidride acetica a freddo dà immediatamente il derivato ace- tilico da cui provenne. « Abbiamo voluto eliminare qualsiasi dubbio sulla posizione del NH? in quest ammina, convertendola per mezzo del diazoderivato nel naftol corri- spondente, che abbiamo riconosciuto identico al dimetilnaftol da cui eravamo partiti. « Abbiamo ossidato tanto l'’ammina quanto il naftol scaldandoli a ha- guo maria con una soluzione alcalina di permanganato potassico aggiungen- done sinchè non si scolorava, e dall'uno e dall'altro abbiamo ottenuto acido ossalico ed acido ftalico. « In questa ossidazione l'ammina dà anche una certa quantità di azo- derivato C'? H! N=NC"!H! il quale si depone insieme all’ossido di man- ganese, da cui si estrae per mezzo dell'etere che lo lascia in aghi, rossi-arancio fusibili a 253°, volatili senza alterazione. — Non ostante la formazione di questo prodotto, la quantità di acido ftalico ottenuta dalla ossidazione del- l'ammina è maggiore di quella che si ottiene dalla ossidazione del naftol, il quale dà molta materia sciropposa da cui non si è potuto estrarre alcun composto definito. « Con questa produzione dell'acido ftalico per l'ossidazione tanto della ammina che del naftol abbiamo raggiunto lo scopo che ci eravamo proposto nello studio intrapreso, avendo dimostrato direttamente che l’ossidrile fenico nel dimetilnaftol proveniente dagli acidi santonosi, come l’NH? nell’ammina corrispondente sono nello stesso anello naftalico che contiene i due metili; poichè l'ossidazione ha dovuto rompere precisamente questo anello reso più vulnerabile per la inserzione dell'OH fenico o dell’NH® amminico. Difatti se questi residui fossero stati invece inseriti nell'altro anello non contenente i metili, allora l’ossidazione avrebbe dovuto conservare questi metili nel pro- dotto, cioè avrebbe dovuto dare l'acido dimetilftalico, come ottennero il Gucci AI — o ed il Grassi da derivati della santonina nei quali, all'opposto di ciò che av- viene nel dimetilnaftol, era più accessibile all'ossidazione l'anello non con- tenente i metili perchè idrogenato ossia aliciclico (!). « Dalle esperienze or ora rammentate del Gucci e Grassi, i quali da derivati immediati della santonina ottennero l'acido paradimetilftalico da cui il paradimetilbenzol, essendo stato posto fuor di dubbio che i due metili sono nella santonina e perciò negli acidi santonosi e nel dimetilnaftol nello stesso anello naftalico in posizioni para, ed essendo risultato dalle nostre esperienze direttamente ben dimostrato che l'ossidrile fenico del dimetilnaftol da noi studiato è nello stesso anello ove sono attaccati i due metili, la costituzione del detto naftol e la sua trasformazione in acido ftalico sono espresse nel modo seguente: CH? | CH C p C AT DA HC ee a) C.0H HC # CT—C00H di Hck ogg CH Fo /c—c00H Lc ta al | CH? Dimetil-naftol Acido ftalico \ « Questa costituzione da noi dimostrata del dimetilnaftol è precisamente quella che era stata suggerita dai lavori sulla santonina e suoi derivati di Cannizzaro, Carnelutti, Gucci, Grassi ed Andreocci (*). « Abbiamo voluto ottenere dalla dimetilnaftilammina e ristudiare la dimetilnaftalina corrispondente. « A tal fine in alcool assoluto saturo di acido nitroso e raffreddato in un miscuglio di neve e sale abbiamo aggiunto il cloridrato dell'ammina; dopo (1) Sopra alcuni derivati della santonina. Gazzetta chim. ital., vol. XXII, parte dî pag. 1. (2) S. Cannizzaro e Carnelutti, Su due acidi isomeri santonoso ed isosantonoso. Gazz. Chim. Ital., vol. XII, pag. 393. — S. Cannizzaro, Su? prodotti di scomposizione dell'acido santonoso ed isosantonoso. Gazz. Chim. Ital., vol, XIII, pag. 385. — P. Gucci e G. Grassi-Cri- staldi, Sopra alcuni derivati della santonina. Gazz. Chim. Ital., vol. XXII, parte I, pag. 1. — S. Cannizzaro e P. Gucci, Sopra alcuni derivati dell'acido fotosantonico. Questi Rendiconti, 1892, 2° semestre, pag. 149; e Gazz. Chim. Ital., vol. XXIII, parte I, pag. 286. — A. Andreocci, Sopra due nuovi isomeri della santonina e due nuovi i50- meri dell'acido santonoso. Gazz. Chim. Ital., vol. XXIII, parte II, pag. 467. — A. An- dreocci, Sulla struttura degli acidi santonosi. Questi Rendiconti, vol. 1V, 1° sem. 1895, pag. 68. — 290 — pochi secondi si depose il cloruro del diazocomposto in aghetti gialli. — Si aggiunse una soluzione alcoolica di cloruro stannoso in eccesso, terminata la prima reazione, si scaldò a bagno maria sinchè cessò ogni indizio di svi- luppo gassoso. Si distillò in seguito una gran parte dell’alcool a bagnomaria, ciò che restò si distillò in corrente di vapore che trasportò l’idrocarburo in- sieme ad un po’ di dimetilnaftol. Al liquido distillato in cui è sospeso l’idro- carburo si aggiunse potassa per ritenere il naftol e si agitò con etere: la soluzione eterea decantata e svaporata a bagno-maria lasciò l’idrocarburo leg- germente colorato che si depurò distillandolo sul sodio. Per separare dall'alcool la piccola porzione di idrocarburo che era distillata insieme, vi si aggiunse acido picrico e si distillò l'alcool, rimase come residuo il picrato, che si decom- pose distillandolo con potassa in corrente di vapore di acqua; dal distillato sì separò l'idrocarburo e si depurò nel modo sopra indicato. «La dimetilnaftalina così ottenuta ha la composizione ed i caratteri di quella descritta nella Memoria di Cannizzaro e Carnelutti. È un liquido refrangente, più denso dell’acqua che bolle tra 262°-264°. Fa coll’acido pi- crico un composto di colore giallo arancio fusibile tra 139°-140°,5 della com- posizione C!° H??, C6 H?(NO)? OH. « Al residuo della distillazione a vapore aggiungendo potassa e distil- lando a vapore, si ottiene una piccola quantità di dimetilnaftilammina ri- prodotta ». Chimica. — .%/ comportamento crioscopico di sostanze aventi costituzione simile a quella del solvente. Nota del Socio E. PATERNÒ. Questa Nota sarà pubblicata nel -prossimo fascicolo. Astronomia. — Mucche, facole e protuberanze solari osser- vate nel 1° trimestre del 1895 al R. Osservatorio del Collegio Romano. Nota del Socio P. TAccHInI. « Ho l'onore di presentare all'Accademia un primo riassunto delle osser- vazioni solari fatto al R. Osservatorio del Collegio Romano nel primo trimestre del 1895. La stagione si conservò quasi sempre cattiva, ma ad onta di ciò si riuscì ad osservare il sole in 57 giornate, cioè in 42 da me e in 15 dall’assistente Sig. Palazzo. I risultati ottenuti sono riuniti nelle seguenti tabelle. “psi Do — 1895 | E 6 ‘4 È B Usi ! I Gennaio . . 17 6,77| 7,53 14,30] 0,00 | 0,00 | 3,77 | 54,06| 65,63 Febbraio. . 14 8,00] 9,86 | 17,86] 0,00 | 0,00 | 5,21 | 61,54| 53,85 i Marzo . .. 26 7,54| 11,19] 18,73) 0,00 || 0,00 | 4,27 | 67,31] 74,62 Trimestre . 50 Les 9,77 | 17,19) 0,00 | 0,00 | 4,35 | 62,09] 68,33 | « Nel fenomeno delle macchie solari dopo il minimo secondario del Gennaio, si ebbe un aumento progressivo sebbene di poca importanza; le medie però del trimestre risultano tutte inferiori a quelle dell’ ultimo tri- mestre del 1894, e perciò continua la regolare e lenta diminuzione in accordo col periodo undecennale. « Il numero dei giorni di osservazione per le protuberanze risultò mi- nore cioè di 40 e le osservazioni furono eseguite da me in 31 giorni e in 9 dal prof. Palazzo. 1895 î | | j Medio numero \ : | | IGO delle Media altezza | Estensione Melo LEsgiime MESI dei giorni ; ” 3 della massima altezza | di osservazione Diotuvolanzo DES ELOINO” media altezza osservata per giorno | S Ò | Il o ‘I | ‘l | Gennaio . . 10 2,60 | 31,9 24 9 70 | Febbraio. . 12 5,25 43,3 2,2 102 144 | Marzo ... 18 6,89 | 460 1,9 79,6 117 | Trimestre . 40 Si 900 46 2,1 66,4 | 144 | Ù Ù « Dopo il minimo secondario del Gennaio, il fenomeno è andato cre- scendo, così che le medie per questo trimestre risultano tutte un poco supe- riori a quelle dell'ultimo trimestre del 1894. Tra le protuberanze degne di nota, vi è quella del 1° Marzo da noi osservata dalle 9®. 15% alle 12%, 47, le cui forme successive accennano a un movimento vorticoso. Continuò poi la mancanza di eruzioni metalliche, mentre la D? si presentò spesso assai viva, e in certi casi in tutta la protuberanza, come in quella del 1° Marzo che era alta 95 secondi d'arco ». = Dop Astronomia. — edisse totale di Luna dell'11 Marzo 1895. Nota del Socio P. TACCHINI. « Trovandomi assente da, Roma, il Prof. Millosevich aveva stabilito un programma di osservazioni, che doveva essere da lui compiuto in unione all'assistente dell’Osservatorio Sig. D. Peyra e dall’assistente Prof. Palazzo. Il tempo cattivo però non permise che poche osservazioni, cioè alcune occultazioni di stelle che trovansi in BD Argelander che qui trascrivo, avvertendo che i tempi si riferiscono al meridiano dell’ E. C. Millosevich Peyra Palazzo 3°. 2505 I 4h,29m 388,1: t. LeonisI4.29. 83 +3, 2506 E 5.19. 56, +3, 2507 E 5.31. 1 (Dxi am t Leonis I 4h, 22%, 33,92(1) 9» |H- 3, 2502 H4. 35. 12,12 t Leonis E 5h. 5, 525,68 (2) 7» 4 3,2506 E5. 19. 58,05 2» | « Il cielo rasserenò, e per qualche istante completamente, verso le 5 !/,, e allora la colorazione apparve bellissima; la parte più cupa del disco era di colore rosso-rame, e nella parte adiacente all’arco lucido vi era una tinta azzurrina verdastra di spiccata vivezza, come risulta da un grazioso ricordo a colori fatto dal Sig. Peyra. « Emersione a 5°. 28"; contatto dell'ombra col lembo orientale di @r/- maldi (Palazzo); a 5h. 34" Aristarco che già appariva lucido ancora prima che emergesse dall’ombra, è del tutto fuori da questa (Palazzo); a 50.45” 5 il circolo terminatore dell'ombra tocca Gassendi e il Capo Eraclide (Peyra). Alle 6h. 26% fra le nebbie dell'orizzonte, essendo prossimo a levare il sole, si accerta l'ultimo contatto coll’ombra (Millosevich) ». Matematica. — Ancora sulle equazioni differenziali lineari del 4° ordine, che definiscono curve contenute in superficie al- gebriche. Nota di Gino Fano, presentata dal Socio CREMONA. « 1. In una Nota precedente (3) ho mostrato come ogni equazione diffe- renziale lineare (omogenea) del 4° ordine, la quale definisca una curva 7° contenuta in una superficie algebrica F (dello spazio ordinario), sia integra- (1) Probabile ritardo di 05,5. (2) Probabile ritardo di 05,3. (3) Cfr. questi Rend., p. 232 e seg. Sull’equazione differenziale proposta si supporranno fatte anche qui le stesse ipotesi della Nota prec. sc — 293 — bile con sole quadrature (più, forse, operazioni algebriche), quando la stessa superficie non ammette più di co ® trasformazioni projettive in sè. È bene ora osservare che questo risultato è anche d'accordo colla composizione dei di- versi gruppi di trasformazioni, che a noi si sono presentati. È noto infatti (Vessiot, Ann. Fc. Norm. Sup., 1892; Klein, Zinleitung in die hòhere Geo- metrie (lezioni litogr.), II, p. 297) che l'integrazione di una data equa- zione differenziale lineare dipende essenzialmente dalla composizione del relativo GRUPPO DI RAZIONALITÀ; e che, in particolare, l'integrazione stessa può ricondursi a una serie di quadrature sempre e solo quando questo gruppo è INTEGRABILE (!) (Vessiot, 1. c., p. 241; Klein, l. c., p. 298); quando cioè, supposto ch’esso sia 00%, esso contiene un sottogruppo eccezionale (?) 01, quest’ultimo un sottogruppo eccezionale co, e così via (*). D'altra parte il Gruppo di razionalità, o Gruppo di Picard-Vessiot (*), di un'equa- (1) Denominazione usata per la prima volta dal sig. Lie nei Ber. der K. Sichs. Ges. d. Wiss. zu Leipzig (1887). Il concetto di gruppo integrabile è però anteriore e risale ai primi lavori di Lie (cfr. ad es. i lavori inserti negli Atti della Società delle Scienze di Cristiania, 1874). (2) « Ausgezeichnete Untergruppe » secondo F. Klein (1. c., p. 15); « invariante Untergruppe » secondo Lie (cfr. ad es.: Theorie der Transformationsgruppen, vol. I, p. 261). Si chiama così un sottogruppo che venga trasformato in sè stesso da ogni operazione del gruppo complessivo (più ampio), dentro cui lo si considera. (8) In generale dunque si richiede che vi sia tutto un sistema di 4K—1 sottogruppi o-i (i=1,2,..k—1), tali che ciascuno di essi sia contenuto come sottogruppo ecce- zionale entro il precedente (00%—?+1) (cfr. ad es. Klein, l. c., p.176; Lie, op. cit., vol. I., p. 265 e seg., vol. III, pp. 679, 680, 709; Lie-Scheffers, Vorlesungen dber continuirliche Gruppen ....; p. 537). (4) Oltre la Mem. cit. di Vessiot: Sur l'intégration des équations différentielles li- néaires (Ann. Éc. Norm. Sup., 1892), cfr. anche Picard: Compt. Rend., 1883; Ann. de la Fac. d. Sc. de Toulouse, 1887; Compt. Rend., t. CXIX, séance du 8 oct. 1894. Questo gruppo di razionalità gode, rispetto all’equazione differenziale, di proprietà analoghe a quelle del gruppo (di Galois) di una data equazione algebrica; e la sua composizione (o struttura) determina appunto la natura (e la difficoltà) del problema di integrazione che dobbiamo risolvere, nello stesso modo in cui la composizione del gruppo di un’ equazione algebrica qualsiasi determina la possibilità o meno di ricondurre la risoluzione di essa a quella di una serie di altre equazioni più semplici. Al caso (più semplice fra tutti) di un'equazione differenziale integrabile con sole quadrature corrisponderebbe, da un tal punto di vista, quello di un'equazione algebrica risolvibile per radicali. — Più generalmente, ogni singolo « fattore di decomposizione » (Zerlegungsfactor) del gruppo di razionalità determina e richiede un certo passo nel problema di integrazione, e un passo (in generale) tanto più difficile ed elevato, quanto più quel fattore è grande (cfr. Vessiot, Mem. cit., p. 235 e seg.). E in questo stesso ordine di idee rientra anche sostanzialmente ciò che nella Nota prec. (p. 234-235) abbiamo detto a proposito dei gruppi misti. Entro un tal gruppo , il (sotto)sruppo continuo massimo è appunto eccezionale; e come da questo si ottiene il primo moltiplicandolo per un numero finito di altre operazioni, così dal primo si ridiscende a questo mediante la risoluzione di un'equazione algebrica. — 294 — zione differenziale lineare è sempre il minimo gruppo @/gedrico contenente il gruppo monodromico di essa; e nei casi da noi considerati esso sarà perciò contenuto a sua volta nel gruppo (che è appunto algebrico) di tutte le tras- formazioni projettive della superficie F in sè stessa, oppure coinciderà addi- rittura con quest'ultimo ('). Prescindendo perciò dal caso ch’ esso contenga soltanto un numero finito di operazioni, esso non potrà essere che co ® — e questo è un caso ovvio di gruppo integrabile — oppure co ?; ma allora dovrà coincidere con uno dei quattro gruppi considerati ai nn. 4 e 5 della mia Nota cit. E questi gruppi sono appunto tutti integrabili (2). Il primo di essi si compone infatti di operazioni permutabili, sicchè ogni suo sottogruppo wo! è certa- mente eccezionale; il secondo contiene, per 01, un sottogruppo eccezio- nale di omografie biassiali, coi due assi infinitamente vicini alla retta Ya=ys=0 (cfr. Enriques, Atti Ist. Ven., ser. 72, t. IV, p. 1627); il terzo contiene, ancora per o=1, un sottogruppo eccezionale di omografie assiali, colla retta y3=y4= 0 come asse, e due punti uniti coincidenti sopra questa, nel punto y»==y3=y4==0; il quarto infine, pera=1, un sottogruppo ecce- zionale co! con quattro punti uniti coincidenti (8). « La possibilità di integrare l'equazione differenziale proposta, nei casi già considerati, senza ricorrere ad operazioni più elevate, trova dunque la sua conferma, anche se il gruppo di razionalità è 0 ?, nella composizione di questo gruppo (‘). «2. Passiamo ora al caso in cui la superficie F (dello spazio $3) am- mette 00° o più trasformazioni projettive in sè stessa. Escluso il caso del (1) A meno che non vi sia nel gruppo monodromico qualche operazione, in seguito alla quale tutti gli integrali risultino moltiplicati per uno stesso fattore. Allora alla consi- derazione del gruppo di trasformazioni projettive della superficie F bisognerebbe sosti- tuire quella di un certo gruppo disostituzioni lineari quaternarie, nel quale più, e forse in- finite sostituzioni corrisponderebbero ad una stessa trasformazione projettiva dello spazio S;. In seguito, faremo sempre astrazione da questo caso, il quale non porterebbe con sè ehe l'aggiunta, in tutti gli integrali, di uno stesso fattore esponenziale, determinabile con una quadratura (cfr. anche la nota (?) a pag. 236 di questi Rend.). (È) Possiamo verificarlo (e lo verificheremo appunto) in ciascuno dei quattre casi; ma dalle ricerche generali del sig. Lie risulta già senz’altro che ogni gruppo conti- nuo oo? deve essere integrabile (op. cit., vol. III, p. 681, 713). ($) Sulla cubica unita (cfr. la Nota prec. cit.) questo sottogruppo determina il fascio di omografie paraboliche coll’unico punto unito nel punto che è fisso per tutto il gruppo c0?. (4) Risulta anche confermato in ogni singolo caso il teorema di Vessiot (Mem. cit., p. 245): Ogni equazione differenziale lineare integrabile con sole quadrature ammette un integrale avente per derivata logaritmica una funzione razionale (ossia un integrale puramente moltiplicativo). Questo teorema è, d’altronde, una conseguenza immediata della forma a cui possono ridursi le equazioni di ogni gruppo integrabile di sostituzioni lineari {cfr. Lie, op. cit., vol. I, p. 589; Lie-Scheffers, op. cit., p. 537). piano (perchè se no l'equazione differenziale proposta si ridurrebbe al 3° or- dine). questa superficie non potrà essere che (!): 1° Una rigata cubica di Cayley (ossia colle due direttrici rettilinee infinitamente vicine) ; 2° Ta sviluppabile biquadratica circoscritta a una cubica sghemba; 9° Un cono; 4° Una quadrica. « La rigata di Cayley ammette un gruppo continuo co? (e non più) di trasformazioni projettive, le cui equazioni possono ridursi alla forma: yOZ=Y (1) ESISTA (1) ys® = 0° (43 + 2ay2 4 PY1) yi = @2 (yu + Bays + 3by: +@ (BE — 2°) 1) dove 0, @, 8 sono i tre parametri. L'equazione della superficie è data allora da : È) Ya yi — Bya Ya Ya + 2a? = 0 essendo y,=y»==0 la direttrice rettilinea (unica) ; y,=0 il piano che ha comune colla superficie questa sola retta, contata tre volte ; yy. =%2=%Y3= 0 il punto da cui si deve ritenere uscente quella particolare generatrice, che è infinitamente vicina alla direttrice. Queste equazioni permettono di con- cludere senz'altro che la y, sarà funzione moltiplicativa (esponenziale di un integrale Abeliano) sulla data superficie di Riemann, e che i rapporti 5° 1 ni saranno integrali di tali funzioni, sicchè anche y, ® y3 Si po- 1 tranno ottenere con sole quadrature . La 4 si potrà poi esprimere razional- mente mediante le altre tre soluzioni, essendo legata a queste dall'equazione (2). « Anche qui del resto la possibilità di integrare l'equazione differenziale proposta con sole quadrature è d’accordo coll'essere il gruppo co? rappresen- tato dalle equazioni (1) un gruppo integrabile (*). Esso contiene infatti, per o=1,un primo sottogruppo eccezionale costituito da co ? omografie con uno stes- so (unico) punto unito quadruplo (nel punto y,=="%2=%3= 0); e poichè queste omografie sono fra loro permutabili, sarà pure eccezionale, entro questo gruppo () Cfr. Lie, op. cit., vol. III, p. 196; Enriques, Atti Ist. Ven, ser. 7°, t. IV e V. (2) Il gruppo di razionalità dell’equazione differenziale potrebbe anche essere un sot- togruppo 00? 0 co! di questo gruppo 00%; ma anche in questo caso sarebbe egualmente integrabile (e non cesserebbe nemmeno di esserlo quando si presentasse il caso conside- rato nella nota (3) a p. 293). RenpIcoNTI. 1895, Vol. IV, 1° Sem. 99 — 296 — co, ogni sottogruppo c0!. In particolare, per o=1,@=0, si ha un sot- togruppo co! (eccezionale anche nel gruppo co 8) di omografie biassiali (e pre- cisamente di omografie rigate speciali) colla retta yy,=y.=0 come luogo di punti e inviluppo di piani uniti. « Quest'ultimo risultato, unito ai precedenti, ci permette di affermare che : Se quattro soluzioni indipendenti dell'equozione differenziale lineare pro- posta (cfr. la Nota prec., n. 2) sono legate da un’ equazione algebrica omo- genca a coefficienti costanti (di grado supertore al primo), quell’equazione differenziale sarà certo integrabile con sole quadrature ed operazioni algebriche, quando la superficie rappresentata dall’equazione algebrica che sì è supposta esistere non sia una sviluppabile circoscritta a una cubica sghemba, nè un cono, nè una quadrica. « In questi tre casì invece l'integrazione della stessa equazione differen- ziale può richiedere, come ora vedremo, quella di una o due equazioni diffe- renziali lineari di 2° ordine (!). « 3. Il caso in cui la curva I° definita dall’equazione differenziale proposta è contenuta in una sviluppabile biquadratica circoscritta a una cubica sghemba è stato già studiato dal sig. Goursat (Compt. Rend., t. C, p. 233); e, più tardi, anche da Ludw. Schlesinger (Diss. cit., p. 29-31). Il primo di essi ri- corre anzi sostanzialmente a considerazioni geometriche. — Indicate con e; (£=1, 2,3, 4) le coordinate del punto in cui la cubica di regresso della svi- luppabile è toccata dalla sua tangente passante per un punto generico (y) della curva I° (sicchè anche le 2; potranno ritenersi funzioni della variabile indipendente +) si avranno relazioni del tipo: Yy= Pt + dé; (AIB) dove p e g sono, per il sig. Goursat, funzioni uniformi, se sono tali i coeffi- cienti dell'equazione differenziale proposta; nel nostro caso, saranno-funzioni razionali sulla data superficie di Riemann. Le <; saranno invece (in generale) funzioni a più, o anche a infiniti valori; ma le diverse operazioni del gruppo monodromico produrranno su di esse sostituzioni lineari. identiche a quelle delle y; (?); dette funzioni saranno perciò soluzioni indipendenti di una nuova equazione differenziale lineare di 4° ordine, la cui curva T° è la stessa cu- (1) Questi tre casi sono precisamente i soli (cfr. la Nota prec.) in cui la questione che ci siamo proposta è già stata studiata. L’equazione differenziale si potrà dunque certo integrare per quadrature ogni qual volta la funzione H di Ludw. Schlesinger (Diss. cit., p. 24) non sia una costante. (Supposta la superficie F rappresentata da un’ equazione (omoge- nea) f=0,la funzione H sarebbe la Hessiana della f, divisa, quando sia possibile, per la maggior potenza di quest’ultima che vi è contenuta come fattore). (?) Potranno però le 2;, come funzioni di 4, riprodursi tali e quali (o a meno di uno stesso fattore) dopo talune sostituzioni del sruppo monodromico, senza che ciò av- venga anche per le y.. — 297 — bica; e questa nuova equazione sappiamo già (cfr. questi Rend., p. 52) che dovrà esser soddisfatta dai cubi delle soluzioni di un'equazione differenziale lineare di 2° ordine, sempre a coefficienti razionali nel campo prestabilito. Indicato pertanto con Y l'integrale generale di quest ultima equazione, dovrà l'equazione differenziale proposta ammettere tutte le soluzioni del tipo: IX VI dove p e g sono certe funzioni razionali (che si potranno forse scegliere in varî o anche in infiniti modi, ma, una volta fissate, dovranno restar sempre le stesse). « L'integrazione dell'equazione differenziale proposta si riduce dunque a quella di un'equazione differenziale lineare di 2° ordine (o di una delle forme equivalenti) (!). Ciò è d'accordo col fatto che il gruppo co * delle omo- grafie che mutano in sè stessa la nostra sviluppabile è sim27/e a quello pure o? delle projettività binarie (ossia in una forma semplice, o ente razionale). « 4. Se la superficie F è un cono, prendiamone il vertice come punto fon- damentale y),=ys="y3=0 del sistema di coordinate. Allora è chiaro che in tutte le omografieche mutano questo cono in sè stesso, dunque anche in tutte le operazioni del gruppo di razionalità dell'equazione differenziale proposta, le y1,%:,%z subiranno soltanto sostituzioni lineari ternarie (vale a dire, nelle loro nuove espressioni non comparirà affatto la y,). E da questo sì trae che le %,,%:,%3 sono soluzioni indipendenti di un'equazione diffe- renziale lineare di 3° ordine. a coefficienti razionali nel campo prestabilito (?). « D'altra parte, nel sistema di coordinate fissato, l'equazione del cono F non conterrà la y,.. Dunque le %,,7:,73, che già sappiamo essere solu- zioni indipendenti di un’ equazione differenziale lineare di 3° ordine, sono anche legate fra loro da un'equazione algebrica; ricadiamo perciò, per quanto ad esse si riferisce, in un caso da me già precedentemente studiato (cfr. le mie due Note a p. 18 e 51 di questi Rend.; qui si ha il caso particolare n = 3). « Se il cono è di 2° grado, le y; , 2, 73 Sì potranno esprimere a loro volta sotto la forma: ciX°+ eo XY + eg Y° dove le e sono costanti, e X, Y sono soluzioni distinte di un’ equazione diffe- renziale lineare di secondo ordine, sempre a cofficienti razionali sulla data su- perficie di Riemann. (1) Questa nuova equazione differenziale si potrà integrare per quadrature sempre e solo quando le diverse operazioni del sruppo monodromico lascino fissa (almeno) una stessa generatrice della sviluppabile considerata. (2) Cfr. Beke, Die Irreducibilitit der lhomogenen linearen Differentialgleichungen (Math. Ann. XLV, p. 290). — 298 — « Se il cono è di grado, superiore al secondo, ma razionale, e la sua equazione può mettersi sotto la forma: x X x y* 2 8 — (Ance i MII — Cost dove le @ sono numeri interi aventi per somma zero (cono parabolico), sa- ranno 1 72,%s funzioni esponenziali di integrali Abeliani. « In ogni altro caso le stesse y, saranno funzioni algebriche di 4 (a meno forse di un fattore moltiplicativo comune) (!). « Quanto alla y4, ottenute le prime tre soluzioni, essa si potrà deter- minare con sole quadrature, e precisamente con al più quattro quadrature successive, la prima delle quali sarebbe da eseguirsi su di una funzione razionale delle soluzioni già ottenute e loro derivate (?). Questo è anche d'accordo colla composizione delgruppo (intransitivo) c0 ‘ delle omologie di dato centro (le quali mutano appunto in sè stesso ogni cono col vertice in questo centro) (3). Le omologie speciali ne formano infatti un primo sottogruppo eccezionale c0 3; e sono poi esse stesse a due a due permutabili, sicchè ri- sulta pure eccezionale entro quest'ultimo gruppo co (e anche nel gruppo complessivo co‘) ogni sottogruppo cv? 0 co! di tali omologie. Il gruppo co * è quindi A4) coincidano sempre colle rispettive aggiunte di Lagrange, l'aveva notato appunto il sig. Brioschi (1. c., p. 237; cfr. anche Wallenberg, 1. c., p. 36) ». Matematica. — Wa questione di priorità nella teoria della connessione. Nota del prof. ALBERTO TONELLI, presentata dal Socio CREMONA. « Nel vol. XLV dei Mathematische Annalen a pag. 142-143 il prof. Felix Klein pose la seguente Nota ad un suo lavoro dal titolo: Autographirte Vorlesungshefte : « Ich mòchte hier eine kurze historische Notiz einfiigen. Picard nennt in Bd. II « seines Werkes auf pag. 375 als denjenigen, der bei Untersuchungen iùber den Flichenzu « sammenhang zuerst frei im Raume gelegene Flichen mit p Oeffnungen angewand « habe, Clifford (Proceedings of the London Mathematical Society vol. 8, 1876). Demge- « geniber weist bereits Burkhardt in seiner Recention des Picard’ schen Werkes in den (3) Per la formazione di questo invariante (e dei successivi, per valori qualunque di 7) cfr. anche Forsyth, Phil. Trans., vol. CLXXIX. — 301 — Gottinger Anzeigen (1894, Nr. 5) darauf hin dass diese Flichen schon 1875 in einer « Arbeit von Tonelli auftreten (Atti dei Lincei, tom. 2, ser. II). Es ist keine Frage, dass « die Benutzung der in Rede stehenden Flichen auf Riemann selbst oder doch auf seine « unmittelbare Umgebung zuriickgeht. Ich habe mich in dieser Hinsicht in der Vorrede « zu meiner Schrift iber Riemann auf eine Unterhaltung mit Herrn Prym vom Iahre 1874 « bezogen. Die Sache wird mir jetzt durch Herrn Schering bestatigt, der sich dahin zius- « sert, dass er sich allerdings nicht bestimmt erinnern kònne jemals mit Riemann iber » den Gegenstand gesprochen zu haben, dass ihm aber die Verwendung der in Rede « stehenden Flichen von jeher gelàufig gewesen sei. Hiermit ist auch die Quelle ge- « geben, aus welcher Herr Tonelli die Verwendung der in Rede stehenden Flichen ent- « nommen hat; denn Herr Tonelli hat seine Arbeit (welche iibrigens selbstindige Unter- « suchungen zur Theorie des Flichenzusammenhangs enthéilt) hier in Gòttingen unter « Leitung von Herrn Schering ausgefiihrt. Man vergleiche hierzu die erste Mittheilung « der Tonelli schen Resultate in Nr. 13 der Goòttinger Nachrichten von 1875. — Ue- « brigens bemerke man, dass bei Clifford und Tonelli die in Rede stehenden Flichen « nur fiir die Untersuchungen der Analysis situs, nicht aber, wie in meiner Schrift iber « Riemann’ s Theorie, direct fir die functionentheoretische. Grundlegung herangezogen « werden ». « Se in questa Nota fossero mancati i periodi che ho fatto riprodurre in corsivo non avrei avuto nulla ad osservare, già troppo soddisfatto dal pen- siero di essermi incontrato in una idea dovuta al genio di Riemann, e non avrei ora reclamato una priorità che non reclamai dal sig. Picard. Se per rendere più evidente ciò che io opinava relativamente al lemma di Riemann sulla teoria della connessione, io ideai in quell'epoca le superficie di cui ora si tratta, debbo francamente confessare che era ben lungi dal prevedere che esse avrebbero avuto una importanza così grande nella teoria delle funzioni quale ha saputo loro dare il prof. Klein; solamente osservava che quelle su- perficie potevano sostituire completamente le superficie di Riemann per le considerazioni che io doveva fare (!). Ma l’asserzione del prof. Klein che io abbia attinto da altri e poi data per mia una tale concezione è ingiusta, ed io non poteva rimanere in silenzio sotto una simile accusa. Sicuro nella mia coscienza scrissi al professore Schering richiamando la sua attenzione sulla nota sopra trascritta, e lo pregai di dire ciò che egli ne pensava, lui solo trovandosi nel caso di potere spassionatamente chiarire le cose. Il professore Schering, con quella gentilezza che lo distingue, mi rispose immediatamente la seguente lettera che mi autorizza a pubblicare e di cui io gli rendo qui le più sentite grazie: Sternwarte Gottingen 1894. Aug. 5. Verehrter Herr College! « Sehr dankbar bin ich Ihnen, dass Sie mich auf die Stelle in F. Kleins Mathema- « tischen Annalen aufmerksam gemacht haben, ich hatte wegen meiner vielen Arbeiten « dieselbe noch nicht gelesen, auch wiirde ich aus dem Titel derselben gar nicht ver- (1) Conf. il mio lavoro: Osservazioni sulla teoria della connessione (Atti dell’Acca- demia dei Lincei, tomo 2°, serie II, 1875). RO — muthet haben, dass der Aufsatz eine mich betreffende Stelle enthalte. Prof. Klein hat sie drucken lassen, ohne meine Erlaubniss eingeholt zu haben, selbst ohne mir eine Nachricht davon zu geben. Er allein hat die Worte hinzugefiigt, welche Ihnen so Unrecht thun. Ich habe deshalb ihm folgenden Aufsatz fiir sein Journal eingesendet : pas R w Berichtigung einer den Herrn Professor Tonelli betreffenden Bemerkung in Herrn Professor Felix \Klein' s Aufsatz « Autographirte Vorlesungshefte » von Ernst'Schering in Gottingen S&S So eben lese ich in senanntem Aufsatze auf Seite 142 im 45 Bande der Mathematischen Annalen betreffend die Riemann’ schen Flichen die Worte: Hiermit ist auch die Quelle gegeben, aus welcher Herr Tonelli die Verwendung der in Rede stehenden Flichen ent- nommen hat, denn Herr Tonelli hat seine Arbeit (welche ibrigens selbstindige Untersu- chungen zur Theorie des Flichenzusammenhangs enthilt) hier in Gottingen unter Lei- tung von Herrn Schering ausgefiihrt. Man vergleiche hierzu die erste Mittheilung der Tonelli ’schen Resultate in Nr. 13 der Gottinger Nachrichten von 1875. «In diesen Worten finde ich eine Beeintrichtigung der selbstindigen Autorenrechte des Herrn Professor Tonelli, da derselbe die Verwendung der in Rede stehenden Flichen durchaus selbst erdacht und daslResultat seiner Untersuchung erreicht hatte, bevor ich iber diese Flichen mit ihm sprach. Man kann also durchaus nicht sagen, dass Herr Professor Tonelli s Arbeit sich auf eine von mir gegebene Andeutung iber diese Art von Riemann’ schen Flichen grinde, noch dass dieselbe unter meiner Leitung ausge- fihrt sei. n R rR ES mR Gottingen, 1 August 1894. « Herr Prof. Klein hat mir schriftlich erklàrt, dass diese meine Berichtisung bei nich- ster Gelegenheit gedruckt werden solle. « Es thut mir ausserordentlich leid, dass Ihre Rechte an der selbstindigen Auffindung dieser Flichen und der Verwendung derselben in Zweifel gezogen worden isind. Nachdem aber diese Rechte hiernach vollstindig anerkannt werden, kommt Ihre Arbeit den Fran- zosen (Picard) gegeniber zur richtigen Geltung, welcher die erste Verwendung jener Flaichen Herrn Clifford zuschreibt. « Sie sehen also, dass ich darauf halte, dass die durch mich zur Veròffentlichung ge- langenden Arbeiten ihr selbstindiges Recht beibehalten; deshalb bitte ich Sie, sewahren Sie mir bald wieder die Ehre, eine Arbeit von Ihnen der hiesigen Gesellschaft der Wis- senschaften vorzulegen. « Mit vielen Grissen . ............ ES R ts rR « Ihr ergebener E. Schering ». « Come si vede, nell'affermare con tanta sicurezza un fatto che (certa- mente senza intenzione) veniva ad offendermi più come uomo che come cul- tore della scienza, il prof. Klein ha creduto di poter fare a meno di inter- pellare prima coloro, che ne potevano in proposito saper più di lui. In ogni modo l’assicurazione fatta dal prof. Klein per iscritto, che la rettifica del prof. Schering sarebbe stata pubblicata nella più prossima circostanza, mi rese completamente tranquillo. Pur troppo però la giustificazione mia da parte del prof. Klein non è arrivata che 8 mesi dopo l’accusa! — 303 — « Certamente io non potrei accampare nissun diritto a speciali riguardi da parte del prof. Klein, ma l’affrettarsi a dichiarare che un'accusa portata verso una persona era ingiusta, quando tale si è dovuto riconoscerla, io ho creduto sempre che sia qualche cosa di diverso da un riguardo. « Finalmente però nel vol. XLVI fasc. I dei Mathematische Annalen, il sig. Klein a pag. 77-78 stampa la seguente nota ad un suo secondo la- voro dal titolo: Autographirre Vorlesungshefte IL: « Ich benutze diese Gelegenheit, um im Anschlusse an die im vorigen Artikel ge- « gebene Fussnote betr. Riemann’ schen Fliichen im Raume folgende Mittheilung zur Pu- « blication zu bringen, welche mir Herr Schering « im Interesse der bestehenden selb- « stindigen Autorenrechte des Herrn Tonelli » zugehen lisst. Herr Tonelli hatte die « Verwendung der in Rede stehenden Flichen durchaus selsbt erdacht und das Resultat « seiner Untersuchungen erreicht, bevor ich iiber diese Flichen mit ihm sprach. Man « kann also durchaus nicht sagen, dass Herrn Tonelli s Arbeit sich auf eine von mir ge- « gebene Andeutuns iber diese Art von Riemann’ schen Flichen griinde, noch dass die- « selbe unter meiner Leitung ausgefihrt sei ». « Il prof. Klein non ha stampato la rettifica inviata dal prof. Schering in articolo separato, ma ne ha riprodotto solo la parte sostanziale in una breve nota, la quale potrebbe sfuggire all'attenzione di qualcuno che pure ebbe sentore della prima. Ora, interessando a me, più di ogni altra cosa, di tutelare la mia dignità come uomo, e la stima dei colleghi, mi sono deciso a ripubblicare per conto mio le note del prof. Klein e la lettera del prof. Schering affinchè, colla scorta di questi documenti, possa ognuno formarsi un giusto concetto della cosa. « Non voglio però terminare senza esprimere i miei più vivi ringrazia- menti al prof. Burkhardt, il quale, nel solo interesse della verità, volle a me rivendicare una priorità contrastatami ». Matematica. — Di una espressione analitica atta a rap- presentare i numero dei numeri primi compresi in un determi nato intervallo. Nota di T. Levi-CrvitA, presentata dal Corrispon- dente VERONESE. « La questione di rappresentare con una funzione il numero dei nmu- meri primi compresi in un intervallo determinato, o l’altra, sotto un. certo rispetto equivalente, di fissare un carattere distintivo dei numeri primi diede origine a ricerche importanti di molti matematici, colle quali, se non fu rag- giunto l'intento, tuttavia venne largo contributo alla scienza di considerazioni feconde. Basterà ricordare che Gauss, Dirichlet e Tchébicheff, prendendo le mosse da questo problema, furono condotti a notevoli risultati di teoria dei RenpiconTI. 1895, Vor. IV, 1° Sem. 40 — 304 — numeri e oltre a ciò assegnarono espressioni più o meno approssimate del numero dei numeri primi compresi in un dato intervallo. « Riemann nella Memoria: Weber die Anzahl der Primeahlen unter einer gegebenen Grosse (!), risolse in certo senso una tale questione, poichè riescì a rappresentare con una funzione F (4) il numero dei numeri primi inferiori ad 4; però codesta soluzione, malgrado la sua grande genialità, apparisce oltemodo complicata e, quasi direi, speciosa, se si osserva che, per costruire la funzione F (4) di Riemann si ha la formola: P()= ) Drt/(). dove, essendo /(z) una funzione, che si può risguardare conosciuta 7 1 e \ 0 1 )a x (11) — ‘om x; a \ Ha a—100 1 20, la sommatoria va estesa successivamente a tutti i numeri 7 non divisibili per alcun quadrato all'infuori dell'unità, e w designa il numero dei fattori primi di #. Ne viene che, per calcolare effettivamente F (4), bisognerebbe immaginare di conoscere, per ciascun numero naturale 7, se esso ammette fattori primi eguali e, quando sieno tutti differenti, se il loro numero è pari o dispari. In altri termini si dovrebbe risguardar nota la funzione w(m) di Mertens (?). « Parmi pertanto non superfluo di riprendere sotto un diverso punto di vista questo stesso problema, proponendomi di eliminare la difficoltà, che si incontra nel procedimento di Riemann. In ciò che segue, si troverà asse- gnata (a mezzo di un integrale definito) l’espressione analitica del numero dei numeri primi compresi in un determinato intervallo: incidentalmente mi si presenterà occasione di indicare un criterio di immediata applicabilità per riconoscere se un dato numero sia primo. (0) . pm « La serie (di Lambert) (3) ) 1 = gm converge, come sì riconosce 1 mM (1) Ges. Werke, p. 136, Leipzig 1876; cfr. anche Bachmann, Zahlentheorie, Zweiter Theil, p. 382, Leipzig 1894. &@) Ueber einige asymptotische Gesetze der Zahlentheorie. Giornale di Crelle, Tomo TXXVII, p. 283. i (3) Veggasi ad es.: Eisenstein, giornale di Crelle, Tomo XXVII; Curtze, Notes diwerses sur la série de Lambert et la loi de nombres premiers, Ann. di Mat., Ser. 2%, T. I, p. 285; Pincherle, Sopra alcuni sviluppi in serie per funzioni analitiche, Mem. dell’Acc. di Bo- logna, Serie IV, Tom. III. do) — agevolmente, per tutti i punti |x|<1 ed è sviluppabile in serie di potenze di 4 ‘entro il cerchio di raggio 1 col centro nell'origine. Si sa, e questa co- stituisce la proprietà caratteristica dello sviluppo, osservata già da Lambert, che il coefficiente di 4” è uguale al numero dei divisori di 7; quindi, esclu- dendo per 7 il valore 1, questo coefficiente sarà eguale a 2, quando 7 è un numero primo, maggiore di due nel caso opposto. « Ponendo: sa m 9 2 dg by Il S@)= ==, ( ) ( ) 1 PELI Goa IL e ’ 1 M si potrà per |x|<1, avere S(#) espresso sotto la forma: Gi (2) = Cm, Tdove cm è nullo, se m. è un 1 mm numero primo, maggiore o eguale ad 1 in tutti gli altri casì. « Tracciata una circonferenza C col centro nell'origine, di raggio o. È 1 LI i 5 eguale per esempio ad DE la serie > cn” convergerà in egual grado lungo 1m C e sarà quindi integrabile termine a termine; lo stesso si potrà dire del (0.0) prodotto ED n Cn e, qualunque sia il numero finito < reale o complesso, 1 poichè 4 non si annulla, nè diviene infinito lungo la circonferenza. C'è da osservare soltanto che, 4“ essendo funzione multiforme, bisogna fissare come e su o. quale degli infiniti rami di TE Cm <" sì opera l'integrazione. Questo si fa 1 nel modo più semplice, ponendo 4 = 0 e e conducendo l'integrazione lungo la circonferenza Cda 0=0 a 0= 27. Le altre determinazioni dello stesso integrale si avrebbero facendo variar 6 da un valore iniziale arbitrario 6, a 0,427. « Ponendo pertanto: (3) H@)= sa DITI 277 ; Il CA i a Sade = | 688 (0 e) d0, i 2IT C 0 resta determinato in modo unico una funzione uniforme P(e) della variabile complessa 2, singolare soltanto per < = 0, cioè una trascendente intera. « Indicando con # un numero intero, sì ha immediatamente : (O) P(2)=0 (n= 0) (9) P(-n = (a=1) -— 306 — « La (5) merita di essere notata, perchè, dato ad arbitrio un numero intero x, permette di decidere se esso sia o no primo. i « Per ogni altro valore non intero di <, ponendo ancora 4 = ge e te- nendo presente l'osservazione fatta, si può scrivere P(2) sotto la forma: 1 \ ù n+s pe i. (6) Em e L 2rti ) "ma ; est m \o 1 z n 5 da Cn 0° DR 2 DI 1 n « Se z non è reale e quindi del tipo w + /v (con » diverso da zero), CO 2, N 07 0 mM mettendo in evidenza in - la parte reale e la parte immaginaria, Ma potremo scrivere: Pal \ CO) I N Cn 8" P(c) = 5 0° (€ 1) DE Fu Fa È v Zi Gea ) ; Tau \ da cui apparisce che P(z) non può annullarsi per valori complessi dell’argo- mento e. Infatti g*, e*7" — 1 non vanno certamente a zero per valori finiti non interi di < e nel terzo fattore il coefficiente dell'unità immaginaria DO Cm 0° 3 5 sia i : IZI08 STA (Mt siccome 1 termini della serie sono tutti positivi, non si può annullare per v = 0, quindi il fattore stesso è certamente diverso da zero. « Ciò posto, noi ci proponiamo di determinare per ciascun numero in- - tero negativo — un cerchio di centro — x e di raggio 7,, entro cui non cade alcuna o tutt'al più una radice dell'equazione P(e) = 0. Siccome si è visto or ora che P(<) non può avere radici immaginarie, basterà prendere in esame i valori reali di 3 nell’intorno di ciascun —x. « Supporremo dapprima x non primo. Allora, facendo nella (6), =—n=7, anti Nedo r. ll terzo fattore mn potrà essere scritto: Il e) n_-1 90 m m n È sa Cin Q us \ Cr Sei SE Cn Q N e (Ca> 0) MAE Tn em Ta Ls _-NTy 1 mm Il mi n+1 mm | — 307 — à . ag } « Assumendo 7, già minore di 5 avremo manifestamente nelle due dd sommatorie del secondo membro tl e m, qualunque sia a mn q q m, e per conseguenza: nl Co % Cin 0" CO 20 —_ —e — | 2 MO; } n_mMmae mu MM RSS < a < (1— 0)? TRA n+41 Tra ; dio 1 : per essersi fin da principio assunto o =; ne viene che, prendendo 7, n fd modo da rendere: 1 Cn on dd DLà . Win 4, cioè per esempio: n 1 1 Pn Grad nell'intervallo da (- n — a) a (-— ni 9) non cade alcuna radice dell'equazione. « Se invece n è primo e quindi e, = 0, mettendo in evidenza il primo termine non nullo, potremo scrivere (per n > 3): D n_-l (0.0) \ Cm o” FAN o' Cm o” sa \ Cm o" I L- M_NET i =, n=MR A M_nE Ta î rà TIENE I 1 Cm | quì, assumendo ancora 7, = + g’ avremo dappertutto —|<2m n > Tan | onde per la parte positiva, sarà: 33 0 3 È Cm @" ( ] \ 1 ) ssa Ia 2 movzIo!i —_ __o—29°—..—n0" , eni ii > è; (op RS 00) n+41°" n41" d—_ o Cioni d'altronde la parte negativa non è certamente inferiore in valore assoluto 3 h o* al suo primo termine —_- e siccome: n_-4A#T o* 1 n Mista: bo — Ea es alri)” I, così si può senz'altro asserire che, se 7 è primo, nell'intervallo da (- n= 3 — 308 — a (- n+ 3) e quindi a più forte ragione nell'intervallo da (- n ; ) gua? (0) 1 ; 5 Ca i : "(- NA ars): l'espressione A, si mantiene costantemente ne- ni; mM Dr È gativa. « Riassumendo si conclude che per 2 = 12, qualunque sia il numero : . su. | 1 intero 7, entro il cerchio di centro — 7 e di raggio 7, = =—; cade nessuna gn+2 ovvero soltanto una radice dell'equazione P(2)= 0: Si può proprio asserire soltanto una, poichè i punti —, con % primo, in cui P(:) si annulla, non sono radici multiple. Infatti, essendo e, = 0, vale per P(—x) l’espressione (6) (0) 3 . ; È WE Op e, siccome abbiam visto che in questo caso’ Li ‘-_ mt 1 Mm resta, per < =— %, finito e diverso da zero, P(—x) si annulla come e-?7”# — 1, cioè semplicemente. « Noi siamo ora in grado di determinare il numero dei numeri primi compresi in un dato intervallo (a 8). Supporremo, ciò che si può fare senza restrizione, }, « non interi, #>@e>12. 4 « Indicando con 4 un qualunque numero intero compreso fra @ e 8 e con C, la circonferenza di raggio descritta intorno a —/, per un noto gh+2 1/20) 2rri G; P(£) teorema di Cauchy, l'integrale dz rappresenta il numero delle radici di P(z) comprese entro C,, quindi 0 o 1 secondochè 7 è numero com- posto o primo. Ne deduciamo che il numero N,; dei numeri primi compresi fra @ e f potrà essere espresso da: E(6) i (MN PÒ) (7) Nos ee 0. IZ, R(pIo O» dg, dove E(«), E(#) designano, secondo la notazione di Legendre, i massimi interi contenuti in « e # rispettivamente, P(<), come segue dalle (1), (3), è de- finito da: (E Vo) DD 2 ) = Ho = DO ioni \ “Sio =, _ — x\ da = da a" Te Jc )e n. L L \ - i: « Nell’espressione di Ng, le circonferenze C,, si possono anche assu- méte tutte eguali alla minima tra esse Cs, di raggio B= a: dd « Indicando con 0" il cerchio di raggio $' col centro nell'origine, si ha «con facile trasformazione dalla (7): E(k) E 27 E(8) , PAR i dg! VAS, ) PE) (A, eni e iP (Be — hh E(ep1 B(cFF1 la qual formola risolve esplicitamente la questione, che ci eravamo proposti. = Matematica. — Sull'estensione del metodo di Riemann alle equazioni lineari. derivate parziali d'ordine superiore. Nota di O. NiccoLeTTI presentata dal Socio BrANCHI. Astronomia. — otografie della grande nebulosa di Orione, eseguite da A. Riccò e da A. Mascari nel R. Osservatorio di Catania. Nota di A. Riccò, presentata dal Socio TACCHINI. Fisica. — Sul magnetismo dei cilindri di ferro. Nota di _M. Ascoi, presentata dal Socio BLASERNA. Fisica terrestre. — Sui terremoti giapponesi del 22 marzo 1894. Nota di G. GraBLOVITZ, presentata dal Socio TACCHINI. Fisica terrestre. — Sulla durata delle registrazioni sismiche. Nota di E. OpDONE, presentata dal Socio TACCHINI. i Chimica. — Sull’azione del cloridrato di idrossilammina sul gliossale. Nota di A. MroLati, presentata dal Socio CANNIZZARO. — 310 — Chimica. — Sulla stabilità delle immidi succiniche sostituite nell’azoto. Nota di A. MioLatI e di E. Lonco, presentata dal Socio CANNIZZARO. Chimica. — Sulla massima temperatura di formazione, e la temperatura di decomposizione di alcuni cloruri di diazocom- posti della serie aromatica. Nota di G. Oppo, presentata dal Socio PATERNÒ. Chimica. — / bromoformio in crioscopia. Nota di (G. AmpoLa e di C. MANUELLI, presentata dal Socio PATERNÒ. Queste Note saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. RELAZIONI DI COMMISSIONI Il Socio CanNIZZARO, relatore, a nome anche del Socio PATERNÒ, legge una relazione sulla Memoria del dott. AnpREOccI intitolata: Sui quattro acidi santonosi, concludendo col proporre l'inserzione del lavoro nei volumi accademici. Le conclusioni della Commissione esaminatrice, poste ai voti dal Presi- dente, sono approvate dalla Classe, salvo le consuete riserve. PERSONALE ACCADEMICO Il Presidente BrioscHi annunzia la morte del Socio straniero L. SCHLAFLI, dando le seguenti notizie sulla vita e sulle opere del defunto accademico. « Ho di nuovo il doloroso compito di annunziare all'Accademia la perdita di un Socio straniero nella Sezione delle Matematiche. « Il chiaro Geometra Lodovico Schlifli moriva in Berna la mattina del dì venti dello scorso marzo. I professori, gli scolari di quella Università, la cittadinanza tutta, tributarono alla memoria di lui i maggiori onori, rime- ritando così la feconda opera sua di insegnante, e di scienziato. « Nato il 15 gennaio 1814 a Grasswyl, piccolo comune del Cantone di Berna, dalla sua prima giovinezza Schlifli diede singolari prove di attitudine Il — alle scienze matematiche ed alle filologiche. Fondata nell’anno 1834 l'Uni- versità di Berna, appartenne alla facoltà Teologica fino al 1838, nel quale anno fu ordinato pastore. Ma contemporaneamente egli continuava da sè lo studio delle matematiche superiori, ed abbandonato l’ufficio di pastore, accettò di insegnare matematica e scienze naturali nel proginnasio di Thun, ove rimase fino al 1847. In questo anno si abilitò come privato docente nell’Università di Berna, nel 1852 vi fu nominato professore straordinario © nel 18372 pro- mosso ad ordinario. Nel 1891, all’età di 77 anni, già da qualche tempo soffe- rente di salute, chiese il riposo. « Lo Schlifli accoppiava ad una vasta coltura matematica, le cognizioni di un filologo e di un botanico. Poteva scrivere correttamente in tedesco, in italiano, in francese ed inglese, come lo dimostrano i suoi lavori matematici. « Fu più volte in Italia ospite costante di un nostro compianto carissimo collega il Casorati; ed aveva fra noi amici, ed ammiratori della sua lucida mente e delle sue modeste abitudini. Ma il suo primo: viaggio nel nostro paese, nel 1847, merita speciale menzione, essendo vénuto in Roma in compagnia di Jacobi, di Dirichlet, e di Borchardt. «I primi lavori dello Schlàfli rimontano agli anni 1846, 1847; appar- tengono alla geometria differenziale, e furono pubblicati in un periodico di Berna. Ma il lavoro che acquistò ben presto a lui fama di insigne matema- tico, si è quello sulla eliminazione, o sopra il risultante di un sistema di equazioni algebriche, pubblicato nel 1851 negli Atti dell’Accademia di Vienna. Rilesgendo ancora negli scorsi giorni quella importante memoria, parmi poter affermare che già nella medesima si rinvengono le qualità predominanti in tutta l’opera dello Schlifli, e cioè, dapprima conoscenza profonda, completa, dei lavori altrui sull’argomento, poi tendenza e facilità nel generalizzare i risultati, perspicacia somma nell’esaminare i problemi sotto i vari loro aspetti. « Tutti i periodici matematici di Europa, i giornali di Crelle e di Liouville, il Quarterly Journal, i Mathematische Annalen, gli Annali di Matematica, contengono memorie dello Schlifli, e inoltre i Comptes-Rendus de lAcadémie des Sciences, e le Philosophical Transactions della Società Reale di Londra. « Agli Annali di Matematica egli dedicò importanti suoi lavori sopra svariati argomenti. Non è mio intendimento di addentrarmi in un esame dei medesimi, come degli altri pubblicati altrove; ma oggi ancora rammento la grata impressione nel leggere (1868) la memoria « Sulle relazioni tra di- « versi integrali definiti che giovano ad esprimere la soluzione generale « della equazione di Riccati » V'altra che ha per titolo — Sugli spazi di curvatura costante — Nota ad una memoria del prof. Beltrami (1871) infine quella — Sopra un teorema di Jacobi recato a forma più generale ed applicato alla funzione cilindrica (1871). Quest'ultimo lavoro è con- nesso agli altri di molto valore sulle funzioni di Bessel c di Heine, pub- blicati in alcuno degli indicati periodici. RenpicontI. 1895, Vor. IV, 1° Sem. 41 — 312 — « Schlùfli non ebbe altro pensiero, altro amore nella sua vita, che per la scienza e per l'insegnamento. Uno dei suoi scolari scrivevami giorni sono: « Questi, (gli scolari) che erano la sua famiglia, possono dire quale spirito « di abnegazione e di sacrificio, quale tesoro di affetto, fossero nell'animo del « loro maestro ». E di questa ‘abnegazione diede prova allorquando invitato ad assumere una cattedra in altra Università con sensibile vantaggio nelle condizioni pecuniarie, rifiutò per non abbandonare la patria, e la famiglia dei suoi scolari. « Al lutto dell’Università di Berna per la morte dell’eminente scienziato sì associa di cuore la R. Accademia dei Lincei ». PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario BLASERNA presenta le pubblicazioni giunte in dono, se- gnalando quelle dei Soci GeGENBAUR, von HeLMHOLTZ, KiùnHNE, THOMSEN, PINCHERLE, e dei signori PEANO e BARONE. CORRISPONDENZA Il Segretario BLASERNA dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: La R. Accademia delle scienze di Lisbona; l’I. R. Accademia degli Agiati di Rovereto; la Società degli Spettroscopisti italiani di Roma; la So- cietà Reale di Londra; la Società di scienze naturali di Emden; la Società geologica di Washington. Annunciano l'invio delle proprie pubblicazioni: Il R. Istituto di studî superiori di Firenze; l'Accademia delle scienze di Marsiglia; la Società Adriatica di scienze naturali di Trieste; la Società scientifica di Santiago; la Società di scienze naturali di Francoforte s. M.; le Università di Kiel, di Heidelberg e di Greifswald; la Scuola politecnica di Parigi. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nell'adunanza del ? aprile 1895. Atevoli E. — A proposito di un lavoro sugli innesti di spugne preannunziato all'Accademia dei Fisiocritici dal sig. V. Giannettasio. Siena, 1894. 8°. barone G. — Distribuzione dei pesci della superficie del mare. Venezia, 1894. 8°, gigi Berlese A. — Estratto di una memoria sulla MyM{laspis fulva Targ. Toz. e mezzi per combatterla. Avellino, 1893. 8°. Id. — La tignuola del melo, ed il modo di combatterla. Padova, 1893. 8°. Carlinfanti E. — La reazione del baudouin per la ricerca dell’olio di se- samo nell'olio di olivo. (Ministero dell'Interno, Div. San. Pub.). Roma, 1995-782: Catalogue de la Bibliothèque de la Société Linnéenne de Bordeaux. Fasc. 1°. Bordeaux, 1894. 8°. Claisen L. — Untersuchungen ueber die Oxymethilenderivate der Ketone. Leipzig, 1894. 4°. Crisafulli G. — La reazione rossa del legno di pino per la ricerca dell'in- dolo nelle culture in brodo dei microrganismi. (Ministero dell'Interno, Div. San. Pub.). Roma, 1895. Déòllen W. — Ephémérides des étoiles pour la détermination de l'heure et de l’azimut au moyen d’un instrument des passages. S. Pétersbourg, 395980: Formulaire de mathématique publié par la « Rivista matematica ». Turin, 1895. 8°. Gallardo A. — Flores e insectos. Buenos Aires, 1895. 8°. Halhed Wm. B. — Silver production; can it be internationally controlled ? London, 1395. 8°. Hawley. — Report of the national Academy of sciences made in compliance with a requirement of the law (H. R. 6500) entitled « An Act to de- fine and establish the Units of electrical measure ».. Washington, 1894. 8°. Helmholtz H. v. — Handbuch der physiologischen Optik. Lief. 10. Leipzig, 1895. 8°. Henry Ch. — Abrégé de la tbéorie des fonctions elliptiques è l’usage des candidats è la licence ès sciences mathématiques. Paris, 1395. 3°. Manson M. — Physical and geological traces of permanent cyclone belts. S. Francisco, 1893. 8°. Id. — The cause of the Glacial Period and an explanation of geological cli- mates. S. Francisco. 1891. 8°. Id. — The importance of North Pacific Weather Stations. S. Francisco, 1893. 8° Id. — The Swamp and Marsh Lands of California. S. Francisco, 1888. 8°. Palmieri L. — Rivelazioni delle correnti telluriche studiate all'Osservatorio vesuviano con fili inclinati all'orizzonte ecc. Napoli, 1895. 4°. Perot A. — Sur l’existence et la propagation des oscillations électro-magné- tiques dans l’air. Marseille, 1894. 8°. Pincherle S.— L'algebra delle forme lineari alle differenze. Bologna, 18995. 4° Raina M. — Sull'escursione diurna della declinazione magnetica a Milano in relazione col periodo delle macchie solari. Milano, 1895. 8°. — 314 — Rizzardi U. Risultati biologici di una esplorazione del lago di Nemi. Roma, 1894, 8°. Segovia (de) y Corrales A. — Les producciones naturales de Espaîia. Za- ragoza, 1895. 8°. Stedek R. — Versuche ueber das Magnetische Verhalten des Eisens ete. Wien, 1895. 8°. Smith W. — Observations on the New England weather Service in the year 1893. Cambridge Mass., 1894. 4°. Stossich M. — I disdomi dei rettili. Trieste, 1895. 8°. Id. — I genere An/ylostomum Dubini. Trieste, 1895. 8°. Id. — Notizie elmintologiche. Trieste, 1895. 8°. Thomsen J. Relation remarquable entre les poids atomiques des éléments chimiques. Poids atomiques rationnels. Copenhague, 1894. 8°. Trabucco G. — Se si debba sostituire il termine di Burdigaliano a quello di Langhiano nella serie miocenica. Pisa, 1895. 8°. Zareceny St. — Atlas geologiezny Galicyi. Krakow, 1894. 8°. Zurria G. — Risoluzione delle equazioni di terzo grado, dedotta dallo inte- grale di una equazione a differenze di terzo ordine. Catania, 1895. 8°. JE 16 RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI _—F————FT6—-—-—-#—=-->>Szy>yy>y>y°t1t1°:z= Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 21 aprile 1895. A. MesseDAGLIA Vicepresidente. MEMORIE E NOTE .DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Fisica. — Sulla teoria cinetica dei gas. Nota del Socio BLASERNA. « Dai recenti studi di Amagat (‘) sulla compressibilità dell'anidride car- bonica risulta, che le isoterme (aventi p per ascissa, pv per ordinata) pre- sentano un minimo. Egli riunisce tutti questi minimi corrispondenti alle varie temperature con una linea punteggiata, la quale ha pressa poco la forma di una parabola. « Si esamina, se la teoria di Van der Waals sia in grado di prevedere questa curva e di tracciarne il carattere. « Da (+ 5)c-b=nt si ha po+E—p-&—rr=0. « Il processo più diretto sarebbe quello di considerare (pv) come la (19) ? funzione e p come la variabile indipendente, ponendo v = . Ma sì ar- riva a calcoli complicati. Più semplice e più elegante è lo sviluppo, consi- derando il volume v come variabile indipendente. Ponendo p — (23) si ha (1) Mémoires sur l’élasticité et la dilatabilité des fluides jusqu'à des très-hautes pressions. RenpIconTI. 1895, Vor. IV, 1° Sem. 49 = Yo = da cui nto — 440 (po)= aa c ponendo il quoziente differenziale uguale a zero, e riducendo le _ » j gni (4 A vi — " è una quantità proporzionale alla temperatura assoluta; ponendola = 7 sì ha da cui si hanno per v le due radici b V= 2) « Sostituendo questi valori in 1) si ha per minimo (pv) con breve ri- duzione (pv mi(- Dle=1). | « Siccome (pv) non può avere valore negativo, dei due valori + Ve il negativo non può sussistere, conseguentemente anche in 2) il valore 2 = 1+y/7 che conduce a quest'ultimo, deve essere abbandonato. « Si hanno quindi i valori | b DI O= =. 3 | 1-|r ) d = (Eri De 3) dai quali, considerando che fi= no) st deduce facilmente p= 8 Ve MX =D 3) — 317 — « Le formole in 3) dànno la soluzione del problema. Tutte e tre vanno sottoposte alla condizione che i valori di v, (pv), p devono essere positivi o tutt'al più uguali a zero. Ora risulta che ciò avviene: per la prima, tutte volte che ia/= ossia mi: Laz per la seconda » » » 2 Ed, = 3 Il per la terza » n n 3Pe=2c4+1 » compresofra‘; 4 « Ne segue che la condizione della positività sussiste sempre, quante volte i valori di 7 non superino l'unità e non rimangano inferiori @ 1 « Con queste avvertenze si ottiene la seguente tabella dalle formole 3) 21025 © _ 2,00 È. (po)= 0,000 2 .p= 0,000 0,30 2,21 0,096 0,044 0,40 2,74 0,270 0,105 0,50 3,41 0,414 0,121 0,60 4.44 0,549 0,124 0,70 6,17 0,676 0,114 0,80 9,44 0,788 0,082 0,90 19,40 0,896 0,044 1,00 % 1,000 0,000 « Per la soluzione del problema, che qui ci occupa, sono importanti la 32 e la 4 colonna, che dànno i valori di (pv) e di p. Si traccia la curva, prendendo (pv) per ordinata, p per ascissa. « E una curva molto rasso- ig migliante a quella trovata da A- di magat. « Sì domanda se sia una pa- rabola. Ponendo: y= 2-1 dad 2o-l: eliminando # si ha l'equazione 001 23 405618 9 00112 pla al 73” la cui forma parabolica risulta evidente. — 318 — « Ne segue dunque, che per rapporto alla curva tanto importante di Amagat, la formola di Van der Waals conduce a risultati soddisfacenti, e che per questo punto non occorre sostituire quella formola con altre più com- plicate, come sono quelle proposte da Clausius e da altri ». Chimica. — Sw! comportamento crioscopico di sostanze aventi costituzione simile a quella del Solvente. Nota del Socio E. PATERNÒ. « Da alcuni anni sono stati raccolti numerosi fatti sperimentali per pro- vare che il comportamento crioscopico anormale di molte sostanze è dovuto alla analogia della loro costituzione con quella del solvente adoperato. E ve- ramente i lavori di Ferratini e Garelli (*), di Garelli (2) e di Garelli e Montanari (3) mostrano senza dubbio che questa supposizione è tutt'altro che infondata. Però a me è sembrato che nell’ultima delle citate memorie i si- gnori Garelli e Montanari si siano lasciati spingere un po’ troppo oltre nelle loro conclusioni; ed invero a p. 235 (4) si esprimono così: tutti i fenoli sciolti nell'idrocarburo, dal quale derivano per introduzione di un solo ossi- drile, danno depressioni anormali, ed a p. 237 insistono sulla regola che ogni corpo ciclico, che differisce dal solvente per un solo ossidrile o per un gruppo amminico deve, sciolto in esso, fornire abbassamenti termometrici più piccoli dei teoretici, a questa regola trovano tuttavia una eccezione nei corpi, nei quali l’ossidrile è in posizione para (idrochinone in fenolo, acidi para ossi e para amido benzoico in acido benzoico). Se noi diamo uno rapido sguardo alle determinazioni crioscopiche fatte fino ad ora, mi sembra che prima di tutto sì debbano distinguere tre categorie di anomalie. In alcuni casi come per il tiofene, pirrolo, piridina nella benzina si ha depressione molecolare inferiore alla normale, ma variando la concentrazione, l'andamento del fenomeno è lo stesso, come per le sostanze che si comportano normalmente. In altri casi, come per gli alcooli nella benzina, l'anomalia sta principalmente nell’anda- mento del fenomeno col variare della concentrazione; poichè le depressioni molecolari, normali o quasi per soluzioni diluite, decrescono rapidamente con il crescere della concentrazione; vi sono finalmente dei casi, esempio quelli del carbazolo e dell’antrocene nel fenantrene, nei quali l'aggiunta della so- stanza anzichè produrre un abbassamento nel punto di congelazione del sol- vente lo innalza, sicchè i miscugli dei due corpi in varie proporzioni hanno (1) Gazzetta chimica, XXII, 22, p. 245 — ibidem XXIII, 12, p. 442. (2) Gazz. chim., XXIII, 2%, p. 854 — e XXIV, 2°, p. 442. (3) Gazz. chim. XXIV, 2°, p. 229. (4) Gazz. chim., XXIV, 2°. — 319 — sempre punti di congelamento intermedî tra quelli delle due sostanze prese isolatamente. « Ciò premesso, mi è sembrato che se per la prima e terza categoria di anomalie, possa ricercarsi la causa nella analogia di costituzione o nell’iso- morfismo, ed in generale nella formazione delle cosidette soluzioni solide, lo stesso non si può dire per le anomalie della seconda categoria, quali quelle che presentano gli alcooli ed i fenoli nella benzina, e forse anche, per altre considerazioni, gli acidi. « Per fermarmi a discutere la regola annunziata da Garelli e Monta- nari, dirò subito che mi pare che le anomalie riscontrate nel comportamento dei fenoli in varii solventi, sieno generalmente un fenomeno dovuto alla fun- zione chimica, senza escludere che in alcuni casi possano essere dovute ad analogia di costituzione o ad isomorfismo col solvente; e più nettamente dirò che da un attento studio del comportamento degli alcooli e dei fenoli, mi sembra giustificato l'’ammettere che esso sia collegato alla loro funzione chi- mica, che è forse in relazione con la complessità molecolare. La funzione al- coolica di una sostanza si manifesta subito, studiandone il comportamento crioscopico per soluzioni di concentrazione diversa nella benzina, nel paraxi- lene nel bromoformio ed in altri solventi. Lo stesso avviene per i fenoli, con la differenza però che mentre per alcooli il comportamento anomale si con- serva anche per i termini più elevati della serie, mentre per i fenoli, il fe- nomeno marcato nel primo termine (fenol ordinario) si rende meno sensi- bile negli omologhi superioriori sino @ sparire o quasi in quelli più ele- vati; così mentre il fenol nella benzina fornisce già in soluzioni diluite, una depressione molecolare metà della normale, il paracresol dà in soluzioni di- luite valori normali, ed arriva ad una depressione circa metà della normale solo in soluzione molto concentrata (18 °/,); pel timol e per il salicilato- metilico anche in soluzioni molto concentrate l'allontanamento dai valori nor- mali è relativamente piccolo. Lo stesso avviene per soluzioni in paraxilene, e le esperienze pubblicate da me e Montemartini lo scorso anno, hanno pro- vato che il timol, paracresol e salicilato metilico si comportano nel paraxi- lene in modo simile che nella benzina; da ciò, per chi bene consideri, la supposizione che le anomalie dipendano da analogia di costituzione tra sol- vente e sostanza sciolta, perde molto del suo valore. Inoltre mi pare che dalle stesse esperienze di Garelli e Montanari non si possano dedurre conse- guenze precise e ben definite. Infatti le soluzioni di diossibenzina nel fenol danno per concentrazioni comprese tra 8 e 9 °/, abbassamenti che conducono da un peso molecolare di 129,3 (minimo per la resorcina) ad uno di 142,0 (mas- simo per la pirocatechina) invece di 110; gli acidi ossibenzoici nell’acido benzoico non conducono ad alcuna regola, perchè ognuno di essi presenta una speciale anomalia senza che si abbia il fenomeno caratteristico nei composti ossidrilici, del rapido decrescimento della depressione molecolare col crescere — 320 — della concentrazione; per l'acido ortossibenzoico per concentazioni variabili da 1,12 a 6,84 l'abbassamento molecolare varia da 41,9 a 39,9 pel meta da 28,5 a 21,4, pel para da 84.6 a 78,7 per concentrazioni analoghe: la de- pressione normale è di 78,5. « L'assieme di questi fatti e di altri che per brevità ometto, non mi pare giustifichi la regola suenunciata di Garelli e Montanari. « A maggior conferma di questo dubbio, ho voluto fare alcune nuove esperienze. Supponendo vera la regola di Garelli e Montanari il paraxilenol CH, (1) C.H3 cd dia nel quale l'ossidrile non è rispetto ai metili in posizione para. Pi qs nel paraxilene comportarsi in modo omomalo, ed allontanarsi dalla legge di Raoult più marcatamente del fenol ordinario, mentre il fenol nella benzina dovrebbe allontanarsi più che il paraxilenol. I risultati ottenuti sono i seguenti: Paraxilenol in paraxilene. P. cong. del p. xilene 139,445 sostanza °/ abbassamento coefficiente abbassamento P.M termometrico abbassamento molecolare Il 0,4757 0,19 0,399 48,68 Or 2 1,3934 0,485 0,356 43,43 120,7 3 2,0509 0,65 0,317 38,77 135,6 4 4,1393 1,265 0,303 36,97 141,9 5) 4,3313 1,285 0,296 3 DIET 145,2 6 5,6585 1,585 0,280 34,16 1595 7 7,6876 2,055 0,267 32,57 161,0 8 12,2243 2,995 0,245 29,89 TZOID 9 16,9112 3,82 0,225 27,45 190,7 Paraxilenol in benzina. 1 1,0628 00,44 0,414 50,51 118,3 2 2,9665 Jie: 0,384 46,85 127,4 3 9,2615 32,02 0,326 39,77 159,5 « La poca solubilità del paraxilenol non permette di operare in solu- zione più concentrata. « Come è noto pel fenol negli stessi due solventi si ha: Fenol in benzina. sostanza °/ abbassamento coefficiente abbassamento P.M termometrico abbassamento molecolare 1 2,4465 0,71 0,290 27,26 168,9 2 8,7396 1,04 0,279 26,23 175,6 3 4,8858 1,94 0,274 25,75 178.8 4 9,8152 2,399 0,237 104901 206,7 5) 15,8717 3,405 0,214 17,97 228,9 — 321 — Fenol in paraxilene. 1 1,251 0,95 0,439 41,27 OT) 2 2,065 1,115 0,403 37,38 106,7 8) 4,874 1,745 0,358 33,65 120,1 4 6,813 2,26 0,352 31,21 129,4 5) 9,759 2,865 0,293 27,94 146,7 6 13,117 3,44 0,262 24,63 164,1 7 19,235 4,245 0,221 20,77 196,5 o) 25,094 0,03 0,200 18,80 215,0 9 34,051 5,925 0,172 LG 250,6 «“ Osservando questi numeri non rimane alcun dubbio, che il fenol si comporti in modo identico nella benzina e nel paraxilene, e che similmente il paraxilenol si comporta in modo identico nei due solventi, solo l'allonta- namento dalla legge di Raoult pel fenol è più marcato che per il paraxilenol ma in tutti e due i solventi, in corrispondenza a quanto ho detto più sopra. « Meglio ancora si scorge il fenomeno esaminando i diagrammi, che a colpo d’occhio mostrano il parallelismo fra l'andamento del fonomeno pel fenol in soluzione nella benzina e nel paraxilene, e del paraxilenol nei medesimi due solventi, quindi la relazione di costituzione tra solvente e sostanza sciolta non esercita alcuna influenza in questi casi, che sono pure dei casì tipici. « A maggior conferma di quanto ho sopra detto, volli pure studiare il comportamento del fenolbenzilato nel difenilmetano: secondo la regola di Garelli e Montanari, il fenol avrebbe dovuto essere normale nel difenilmetano ed il fenolbenzilato anormale. « T risultati ottenuti sono i seguenti: Fenol in defenilmetano. Difenilmetano P. cong. 24,58 sostanza °/o abbassamento coefficiente abbassamento P.M termometrico abbassamento molecolare Il 0,4666 0,29 0,621 58,37 105,6 2 1,2392 0,745 0,604 56,77 103,6 3 2,0588 1,22 0,592 05,65 110,8 4 3,7254 1,98 0,539 50,29 122,6 5) 5,6715 2,72 0,474 44,55 138,9 6 8,7941 3,73 0,424 40,85 154,7 7 16,6056 6,285 0,378 36,59 173,5 lo 20,0535 7,485 0,372 34,97 176,3 9 26,1504 8,195 0,313 29,42 209,5 Fenolbenzilato in difenilmetano. 1 1,0528 0,17 0,161 29,62 407,5 2 6,6270 0,955 0,144 26,49 455,5 3 17,1838 2,50 0,134 24,65 489,9 — 322 — « La nuova conferma che io mi aspettavo non risulta da queste espe- rienze, sia perchè il comportamento del fenol nel difenilmetano si avvicina più al normale che nella benzina e nel paraxilene, sia principalmente perchè il fenolbenzilato nel difenilmetano si comporta in modo affatto anomalo, e l'allontanamento dal caso normale è maggiore che per qualunque altro fenol in qualsiasi altro dei solventi studiati. Nemmeno questo fatto, dopo quanto ho prima esposto, è sufficiente a risolvere la questione in favore alla regola di Garelli e Montanari, e prova solamente che la parte sperimentale è an- cora troppo incompleta per poter trarre delle regole di generale applicazione. A confermare che il comportamento anomalo del fenol nella benzina non è dovuto a relazione di costituzione tra sostanza e solvente, citerò ‘che da esperienze di Ampola e Manuelli risulta che il fenol ed il timol, impiegando come solvente il bromoformio, si comportano in modo del tutto corrispondente che nella benzina, e nel paraxilene, e che invece il cloroformio si comporta normalmente ». Matematica. — Sulle equazioni differenziali lineari di ordine qualunque, che definiscono curve contenute in superficie algebriche. Nota di Gino Fano, presentata dal Socio CREMONA. « ]. In questa terza Nota mi propongo di estendere, in quanto è pos- sibile, alle equazioni differenziali lineari di ordine qualunque 7 i risultati già ottenuti nelle due Note precedenti (‘) sulle equazioni differenziali lineari di 4° ordine; di studiare cioè il caso in cui dette equazioni differenziali am- mettono un sistema di soluzioni indipendenti y, , 2 ;-... n legate da equazioni algebriche rappresentanti complessivamente una superficie dello spazio S,-:, in cui le y; si suppongono interpretate quali coordinate projettive omogenee. Si sappia, in altri termini, che la curva Y (di questo spazio) descritta dal punto variabile (y), pur non essendo algebrica (caso già considerato in altre due Note a p. 18 e 51 di questi Rend.), è però contenuta in una superficie algebrica F. « L'equazione differenziale proposta potrà certo integrarsi algebricamente (a meno forse di un fattore comune a tutte le soluzioni, e determinabile con | una quadratura), se questa superficie non ammette che un numero finito di | trasformazioni proJettive in sè (ma la curva I° risulterà in tal caso algebrica); e si potrà certo integrare per quadrature, se essa ne ammette soltanto un gruppo continuo 001. (?). (1) Cfr. questi Rend.; p. 232 e 292. Sull’equazione differenziale proposta si sup- pongono fatte le stesse ipotesi delle diverse Note prec. (cfr. anche p. 23 di questi Rend.). (2) È questa un’estensione immediata del risultato già ottenuto per n=4. Si noti che quando il gruppo di tutte le trasformazioni projettive della superficie F in sè stessa — 323 — « A questo stesso risultato sì giunge anche se la superficie F_ ammette un gruppo continuo (soltanto) co? di trasformazioni projettive; ed è facile anzi riconoscere direttamente che questo gruppo co? deve appunto contenere sempre un sottogruppo ecceszonale co | (deve essere cioè d/egrabile) (1). Infatti ‘ ogni punto, il quale sia unito per un’'omografia (nonciclica) del gruppo, e quindi per tutte quelle di un certo sottogruppo c0! , ma non per le rimanenti (?), vien portato dalle diverse operazioni del gruppo o? nei punti di una linea (luogo di un punto unito variabile), che è mutata in sè stessa da tutte le omo- grafie del gruppo complessivo (00 ?); dunque nei punti di una curva razio- nale normale di un certo ordine 7 = —1, la quale conterrà anche un punto unito fisso (3). La superficie luogo delle tangenti a questa curva verrà se- gata dall'S,-, osculatore ad essa in quel punto unito fisso secondo una curva di ordine "—1 (4), che sarà anche unita rispetto alle stesse omografie (perchè intersezione di due varietà unite), e conterrà del pari un nuovo punto unito variabile. Analogamente si dimostrerebbe che gli altri 7 —2 punti uniti contenuti nello spazio S, della curva C” primitiva descrivono rispettivamente una 0-2, una C7-3,.... (tutte razionali normali), e infine una conica e una retta, passanti sempre per il punto unito fisso sulla curva C” (e aventi ivi con quest'ultima curva contatti di ordini gradatamente decrescenti). In ge- nerale, se fra gli n punti uniti dello spazio Sn-1 (°) ve ne sono ke fissi, tutti gli n si distribuiranno secondo % aggruppamenti di questo stesso tipo (5). Imponendo ora a ciascun punto unito variabile di coincidere con quello fra risultasse misto, noi potremmo sempre limitarci a tener conto del suo sottogruppo con- tinuo più ampio (cfr. questi Rend., p. 234-235; e anche: Vessiot, Ann. Ec. Norm. Sup., 1892; p. 236). (1) Dalle ricerche generali del sig. Lie (7’heorie der Transformationsgruppen, vol. III, p. 681 e 718) risulta anzi che ogni gruppo continuo 00? è integrabile; ma noi vogliamo vedere anche come si ottenga, nel nostro caso, il sottogruppo eccezionale co!. (®) Se le c0% omografie avessero tutte gli stessi punti uniti, esse sarebbero permuta- bili, e ogni sottogruppo %0* contenuto nel gruppo 00° risulterebbe perciò eccezionale. (8) Cfr. Enriques, Atti Ist. Ven., ser. 72, t. IV, p. 1607 (per il caso n=4), e anche la mia Nota a p. 149 di questi Rend. (n. 3). Il gruppo co? non potrebbe subordi- nare su questa curva un solo gruppo co! di projettività, perchè se no sulla curva stessa vi sarebbero già due punti uniti fissi (comuni a tutte queste projettività); ed essendovi, oltre a questi, anche un (terzo) punto unito variabile, risulterebbero uniti per ogni omo- grafia del gruppo ©? tutti i punti della curva C”, e quindi anche quelli dello spazio $, in cui questa curva è contenuta. (4) Più la tangente alla curva nello stesso punto unito, da contarsi yr— 1 volta. (3) In questo ragionamento si suppone che l’omografia generale del gruppo 00? non abbia che un numero finito di punti uniti (i quali saranno però tutti distinti; cfr. questi Rend., p. 155); ma il risultato vale anche in ogni altro caso. (6) Si noti che due diversi fra questi aggruppamenti non possono corrispondere @ uno stesso punto fisso, a meno che ogni omografia del gruppo non abbia infiniti punti doppi (cfr. ad es. Enriques, 1. c., p. 1608). Renpiconti. 1895, Vor. IV, 1° Sem. 43 A i % punti fissi che sta sulla sua trajettoria (e basta che l'imponiamo ad uno, perche così avvenga per tutti), noi veniamo appunto a staccare dal gruppo complessivo c0° un sottogruppo co?, che è certamente eccezionale, perchè ogni gruppo co? di projettività in una forma semplice (o ente razionale) — gruppo che ammette necessariamente un elemento unito fisso (') — contiene come sottogruppo eccezionale il fascio di omografie paraboliche con questo stesso (unico) elemento unito. Il gruppo co? considerato è dunque effettiva- mente integrabile (?). « 2. Supponiamo ora che la superficie algebrica F contenente la curva 7 ammetta un gruppo transitivo anche tre o più volte infinito di trasformazioni projettive, e vediamo come si possa ancora trarne, per altra via, qualche risultato generale. — Ricordiamo perciò che ogni superficie algebrica, la quale ammetta un gruppo continuo transitivo di trasformazioni projettive. è 7azz0- nale (cfr. p. 159 di questi Rend.), e dà luogo perciò, in ogni sua rappre- sentazione piana, a un sistema lineare di curve (piane) mutato in sè stesso da un certo gruppo continuo di trasformazioni Cremoniane. Questo gruppo può sempre ridursi con un' ulteriore trasformazione Cremoniana (se già non è tale) a uno dei zre tipi seguenti (8): 1°) Gruppo co delle omografie, e suoi sottogruppi ; 2°) Gruppo 20° delle trasformazioni quadratiche che mutano in sè due fasci di raggi (ovvero: gruppo delle inversioni rispetto ai circoli del piano), e suoi sottogruppi ; 3°) Gruppo co"*> (con m arbitrario) delle trasformazioni di Jon- quières (di ordine m) che mutano in sè il sistema lineare wo "41 delle curve di ordine m con un punto base (m—1)P"° e le m—1 tangenti fisse, e suoi sottogruppi ; e noi possiamo anzi supporre ch'esso appartenga già a uno di questi stessi tipi, perchè se no tutto si ridurrebbe a modificare opportunamente la rap- presentazione piana della superficie proposta (a sostituire cioè al primo si- stema rappresentativo di essa un altro sistema, identico a questo dal punto di vista delle trasformazioni birazionali). « Ma, nel secondo dei tre casi, noi possiamo ancora considerare il piano come projezione stereografica di una quadrica di S;, per modo che i due (1) Cfr. Lie, Theorie der Transformationsgruppen, vol. I, p. 569. (2) È chiaro come in questo caso (e anche intutti gli altri casi di gruppi integrabili considerati nell’ultima mia Nota) risulti confermato il teorema del sig. Lie (op. cit., vol. I, p. 289; o anche : Lie-Scheffers, Vorlesungen ber continuirliche Gruppen ..., p. 582), che cioè ogni gruppo integrabile di trasformazioni projettive di uno spazio S, deve lasciar fisso almeno un punto di questo spazio, e che per ogni Sx (K=0,1,2,....r— 2), il quale sia unito per tutte le trasformazioni del gruppo, deve passare almeno un Sx+1, del pari unito per queste. (3) Cfr. Enriques, Rend. di quest'Acc., vol. II, 1° sem., p. 468. BERIO, — punti fissi siano immagini delle generatrici di questa uscenti dal centro di projezione; e allora il gruppo considerato di trasformazioni Cremoniane darà luogo, su questa quadrica, a un gruppo di omografie (avremo cioè, nello spazio Ss in cui la quadrica è contenuta, un gruppo di projettività trasfor- manti quest'ultima superficie in sè stessa). Nel terzo caso, potremo costruire un cono razionale normale di ordine m, appartenente a uno spazio Sm+1, €@ riferibile birazionalmente allo stesso piano in modo che alle sue sezioni iper- planari corrispondano precisamente le curve di ordine 7 con punto (12 — TRO dianzi considerate. E allora il gruppo considerato di trasformazioni di Jon- quières si muterà in un gruppo di omografie su questo cono. « Dunque: Ogni superficie algebrica, la quale ammetta un gruppo continuo transitivo di trasformazioni projettive in sè stessa, sì può tras- formare birazionalmente in un piano, in una quadrica dello spazio 93, o in un cono razionale normale di un certo spazio Sm+:. în modo che il gruppo considerato di omografie su di essa dia luogo rispettivamente a un gruppo di omografie nel piano, oppure a un gruppo di omografie dello spazio Sz 0 Sn+, le quali trasformino in sè stessa quella certa qua- drica 0 quel cono razionale normale (1). « Questa stessa trasformazione birazionale muterà la curva .I° proposta in una certa curva I°, piana (nel primo caso), oppure contenuta in una qua- drica di S3 o in un cono razionale normale di S,,+, (nel secondo o terzo caso). Le coordinate (omogenee) :; di un punto variabile di questa nuova curva saranno in ogni caso funzioni razionali delle y;, e così queste di quelle ; di più, ad ogni sostituzione lineare delle yi, la quale determini una tras- formazione projettiva della superficie proposta F in sè stessa, corrispon- derà (per il modo stesso in cui la trasformazione birazionale è stata fissata) una sostituzione pure lineare delle <;. In particolare, i diversi gruppi di valori che le 2; potranno assumere in uno stesso elemento dell'ente algebrico dato (sul quale i coefficienti dell'equazione differenziale proposta si sono supposti razionali) si dovranno anche ottenere gli uni dagli altri con sosti- tuzioni lineari. Indicati pertanto, nel primo caso, con z1 , 62, <3 tre rami ( Zwezge) particolari di queste funzioni (corrispondenti cioè a rami particolari y;), è chiaro che le 2 saranno integrali dell'equazione differenziale lineare di 3° ordine: 5 8 8 & IA4A IAA , 81 81 1 8 0 III " MAR 7l 82 #9 62 62 Mi > 7 €3 Bg 639 63 (1) Questo risultato si può ritenere un’applicazione immediata di quelli ottenuti dal sig. Enriques (1. c.) sulla riduzione dei gruppi continui di trasformazioni Cremoniane nel — 326 — e che i coefficienti di quest equazione, supposto ridotto all'unità uno qualunque di essi, ad es. quello di 2", saranno funzioni razionali nel campo presta- bilito. Essi rimangono infatti numericamente invariati per ogni sostituzione lineare delle <;, dunque anche per ogni sostituzione lineare delle y; la quale de- termini una trasformazione projettiva della superficie F in sè stessa, e quindi certo per ogni operazione contenuta nel Gruppo di razionalità dell'equazione differenziale proposta (1). « Nel secondo e nel terzo caso si giunge a un risultato perfettamente ana- logo (vale a dire a un'equazione differenziale lineare del 4° o dell’(m + 2)simo ordine, sempre a cofficienti razionali), solo che nel secondo caso le soluzioni & saranno ancora legate da un'equazione algebrica omogenea di secondo grado, e nel terzo caso da un sistema di equazioni rappresentanti il cono conside- rato di Sm+, (un'equazione sola per m=2) (2). «3. Nel primo caso le (tre) #; saranno dunque integrali iidirondono di un'equazione differenziale lineare di 3° ordine, a coefficienti razionali; m non saranno più legate, naturalmente, da nessuna equazione algebrica a i cienti costanti (se no la curva sarebbe essa stessa algebrica). E, in generale, non si potrà dirne altro. Questa nuova equazione differenziale potrà avere come gruppo di razionalità l’intero gruppo c0* delle omografie piane, ovvero un suo sottogruppo qualsiasi (3), e per ciascuno di questi casi deve esistere e si potrebbe costruire una particolare teoria di integrazione (4). piano a (tre) tipi determinati (cfr. anche la Nota successiva a p. 582 del vol. cit. di questi Rend., e la mia Nota a p. 149 di questo vol.). Il sig. Enriques aveva anzi già notato come queste sue ricerche si potessero mettere in relazione con quelle sulle superficie algebriche con infinite trasformazioni projettive in sè stesse (cfr. Atti Ist. Ven, ser. 7°, t. IV, p. 1592). (1) Ed è questa appunto la condizione necessaria e sufficiente perchè una funzione razionale delle soluzioni z e loro derivate sia anche funzione razionale della variabile indipendente (cfr. Vessiot, Mem. cit., p. 231). È bene notare però che si tratta sempre di invariabilità numerica, non formale; un fatto queste che anche nella memoria classica e così importante del Sig. Vessiot non è messo forse abbastanza in evidenza (cfr. ad es. le lez. litogr. del Sig. Klein: Enleitung in die hòohere Geometrie, TI, p. 299). (2) Queste nuove equazioni differenziali sarebbero dunque trasformate razionali del- l'equazione differenziale proposta. Per calcolarle effettivamente, bisognerà conoscere, caso per caso, le formule che servono a trasformare la superficie data F in un piano, in una quadrica, o in un cono razionale, nel modo già stabilito. (3) O anche il gruppo co? di tutte le sostituzioni lineari ternarie, quando si tenga conto altresì della possibile esistenza di un fattore esponenziale comune a tutte le solu- zioni (e che si potrà determinare con una quadratura). (4) I gruppi continui di omografie piane sono stati determinati tutti dal sig. Lie (cfr. ad es.: Theorie der Transformationsgruppen, vol. III, cap. 5°; o anche Lie-Scheffers : op. cit., cap. 11). Dalle sue ricerche risulta in particolare che il gruppo co di tutte queste omografie (e anche il gruppo analogo per uno spazio qualunque) è un gruppo semplice « Nel secondo caso le (quattro) z; saranno i prodotti di due coppie di soluzioni distinte di due equazioni differenziali lineari di 2° ordine, i cui coefficienti si potranno ottenere razionalmente, quando al campo di razionalità primitivo si sia aggiunta una certa radice quadrata (cfr. il n. 5 della mia Nota a p. 292 di questi Rend.). In casì particolari l'integrazione di queste due equazioni potrà subire ulteriori semplificazioni. « Nel terzo caso infine, tutte le 2, meno una (ad cpc dn) dovranno soddisfare a una stessa equazione differenziale lineare di ordine m+ 1, a coefficienti razionali, la quale ammetterà come soluzioni le potenze Meme degli integrali di una determinata equazione differenziale lineare di 2° or- dine, pure a coefficienti razionali. Siamo dunque ricondotti all'integrazione di quest’ ultima equazione (!). — La » iS v— + DER 000 04 — dai, di, e dir dI, Tia Oi2g3 000 09% 1 9A 1 spa a IC; Di a «ea or ra" —(-— 1) TA la quale, applicata ripetutamente, ci darà la risoluzione del nostro problema. (1) Rendiconti della R. Accademia dei Lincei del 3 Marzo 1895. In seguito questa Nota sarà indicata colla lettera B. — 381 — « Per dimostrare la (I) si osservi che essa è vera per 7_=1,2...; basterà quindi procedere per induzione e, suppostala vera fino ad un certo dU numero 7, dimostrarla per 7+1. Si sostituisca perciò nella (I) ad « a CW p+1 e nella formula che così si ottiene si osservi che r+1 (1) ra DU +1 dI dI dI dr IC 41 î dV a) = (1 DIRE - =) e a quest'ultimo termine si applichi di nuovo la (I): si ha allora la for- mula stessa, cambiato 7 in 7-+1. La formula è così dimostrata in generale. « 2. Consideriamo ora l’espressione differenziale lineare mn = 2 ee. +e se. di Vo +... + Ga. nU e le sue componenti dei diversi ordini (B, pag. 135) Dai igudr di « Definiamo quindi (un po’ diversamente dal prof. Bianchi) l'espres- sione aggiunta della Sela è, €076 DONI CI — di, ceo do 1 I° g v) o) La > AA ORA A AR ta, DI) n ) — Wie di, er CBGOLO e le sue componenti Di, ig e. ir* Sarà allora (—1)"®,,...,, l’espressione aggiunta di 9;,,...i « 3. Vogliasi ora l'integrale regolare v della equazione (4) = 0, quando lungo un ipersuperficie o, che soddisfi alle condizioni enunciate in prin- cipio, siano assegnati i valori della funzione v, di una delle sue derivate prime, di una delle sue derivate seconde, ..., di una delle sue derivate di ordine #2 —1. Limitandoci a quella regione di S,, per la quale ogni S, parallelo agli assi coordinati incontra effettivamente o in un punto, sia A il punto di coordinate @, @»...@,, dove si vuole calcolare l'integrale; A, , Az...An i punti in cui gli S, condotti per A parallelamente agli assi coordinati Li, Co... incontrano 0 ; sia poi 0;, la varietà ad 7 — 2 dimensioni intersezione dell'ipersuperficie o coll’iperpiano <;, = @;,, e in generale sia 05,..., la va- RenpICcONTI. 1895, Vol. 1V, 1° Sem. 44 — 332 — rietà ad n—s—1 dimensioni, in cui l’ S,_;(2,=%,,%,=%,,.&,=%,) sega l’ipersuperficie 0. « Indicando allora con v la soluzione principale della ® (0) = rela- tiva al punto A, (B, pag. 138), formiamo l’espressione vA(u) = vL2(u) — uD (1). « Applicando la (I) a ciascun termine du DE) Uij DR A V da _— pra 1 eg U e VLipp din ( ) dLip+ ee dLin avremo @ v9l= YA (0A + i, Ù, PED) _ DANZE +07 GR + da _ NM: | WE DEA 3 de ir na dI Nn dove (4) X,,=02;, (0)— di 021,0) ++ > Bo OR; izi(U)) H+ + o + + DI gres n dine di , indicando col simbolo NO che nella somma corrispondente deve essere omesso dad l'indice 7, . i « Quindi, se « è una soluzione della 2(vu)=0, per una formula nota (!) sl avrà: {6 cos(v71) + Xa cos(ve2) +---+ X, 008 (va,)) dE = 0 indicando con X il campo ad (2—1) dimensioni che limita l (2-+ 1)edro S a base curva, i cui vertici sono i punti A, A, ...A,, con vla normale a X diretta verso l'interno di S, con (v4;) l'angolo della direzione v colla dire- zione positiva dell'asse #;. Supponendo allora, per fissare le idee, che l’(2+1)edro S abbia il suo interno dalla parte positiva di tutti gli iper- piani coordinati, la formula antecedente diviene : (1) Beltrami, Sulla teoria generale dei parametri differenziali. Bologna 1869, pag. 31. LI (OD o) — 333 — > ({ » fx dada + (1a cos(va) +-+ Xn008(v2,){ do =0 nella quale ciascun integrale del 1° termine va esteso al campo ad. n — 1 dimensioni, che sull’iperpiano 4;, =, viene limitato dagli altri iperpiani e dall’ ipersuperficie 0, e nel secondo termine do indica l'elemento di spazio dell’ ipersuperficie 0 . « Ma, poichè nell’ iperpiano x;, = «, la v soddisfa all'equazione ®;,(v)=0 (aggiunta della 2;.(u)=0), in questo iperpiano sarà 09; (1) =; (+0 (= Va, 01 a O i9Î3 DES 1 ei. re DI î2...ds 0 (00) e quindi dove, con notazioni analoghe alle antecedenti, N) Xv (M)—-SY_ 7 La) ++ +nei di go i n) - dI, n dLize + din e quindi VR) zl IRE dxi,.d%i, +3 > (a Xirio 0° (I Li») \do, DE c - e/g ; \N° | ) X,, cos (Wi); do=0 DA / (0) essendo »;, la normale a 0;, nell’iperpiano i, =, diretta verso l'interno del campo ad 2 —1 dimensioni già menzionato e do,, l'elemento di spazio della varietà 0;, . « Affatto analogamente sarà in generale — 334 — (5) DES ceste, {dr -; DD sr do;, + +32 DI Xisiria COS (V;,i, Zig) I doit + Cirà, È il , pis) = % DI Kiri C0S(M A), ita E a «elsa + (1) xi ( ik ea ilo — 0) dove gli ultimi integrali sono estesi al campo ad #—s dimensioni che sull'Snos (zi, =@,..d, =) viene limitato dagli altri iperpiani e dalla varietà 0;,...,, e dove s Id (OT 0 3 TNA Yen (02; it + Di +1rei ia(0)) (i VARIA (2 « Per dimostrare le due formole (5) e (6), basterà osservare che esse sono vere per s=1,s=2 e quindi, ricordando che lungo l’ Sii iL, = @; ) la v soddisfa alla equazione (—1)"®;,,,.. a, (0) =0, trasfor- mare le x: i, n una somma di 2 —s derivate rapporto ad da chio o AP plicando allora di nuovo la formula del Beltrami, si ottengono la ci e sr (6), cambiatovi s in s+1. « Facendo in particolare s= —1, avremo per la (5) Das COS (2) do — 5 ID Ka 608 (Vi, i, ) I dan ut (i . U end VI «visa ts — 335 — 1 as , sl (= 1) n” N 1 DA Di ei, COS (Cr Tin o doit, sà Ti si SH (3 De = EA, din =0 Vea dove, per la (6): n 1 n X IO) inniin—1 d du (00; =: = (a 0) di, (00m) TO È x .) n _n_19duv) 190) E poichè gli ultimi integrali vanno estesi lungo degli S, da A;, ad A, avremo: i. chi e dt = TT (Wa e si avrà quindi finalmente la formula: ISS 1 do = n=1 x DI Ki .in-1008 o) (Otto dadi a in 1 "a (ea DI ! Mil COS (0 ;,.. 7000 5) dois .cvinna ue n_2 3, i, (7) + sa + ip > de DE ri COS (0290-00 DI doi ir ieeÙist1 o. hs do + (1) Da, COS (v.%;,) che è la formula cercata. Per essa il valore dell’integrale nel punto A è dato dalla media del prodotto (vv) nei punti A,...A,; da aL) i rtegrali — 336 — Met ea) integrali di superficie, ... seena integrali estesi a varietà ad s—1 dimensioni,.... da un integrale esteso ad un'ipersuperficie. Dalla (7) risulta anche l'unicità dell’integrale, che soddisfa alle condizioni iniziali assegnate. « Qualora l'equazione data non fosse omogenea, ma avesse invece la forma curvilinei, da Q(u) = F(x1...%n) basterebbe aggiungere al 2° membro della (7) l'integrale nplo (1) (18 fe Li CAtod2) Cano, esteso all’ (n + 1)edro S. « In modo affatto analogo si risolve il medesimo problema pei sistemi di più equazioni della stessa forma (B. pag. 139) (). « 4. Non sarà inutile, io credo, far vedere la relazione intima ehe lega la formula (I) di derivazione del n.° 1, colla formola (I) d'integrazione della Nota citata del prof. Bianchi. « Si pensino perciò nella formula del Bianchi le quantità #,,f2...8,, non più costanti, ma variabili, e si indichino con «;...4,. Derivando al- lora 7 volte la formula del Bianchi rispetto ad 4,...4,, si ha la (I) deln.° 1. « Reciprocamente, si moltiplichino tutti i termini della (I) del n.° 1 per dax,...dx,, e si integri da e, a f, rispetto ad 2,,...; da e, a $, ri spetto ad #,. Ricordando allora che l'integrale dI, d°8 na, === 3 Uras a dA dUS 1. 4g dove 3 è una funzione di x,...2s, le @ e le d quantità costanti, è uguale ad un aggregato di 2° termini, che sono i valori di 2 nei vertici del paral- lelepipedo ad s dimensioni, a cui è estesa l’integrazione, presi positivamente o negativamente, secondochè il numero delle coordinate del vertice uguali alle a è pari o dispari, su ciascun integrale B, B, PD DEI e (o a de ...dec, Ci CA IL di dLissa dI; (1) Colgo l’occasione per rettificare un lieve errore sfuggitomi nella nota: « Sw un sistema di equazioni a derivate parziali del 2° ordine » inserita in questi Rendi- conti del 3 Marzo 1895. Ivi è detto che il sistema (15) è aggiunto di sè stesso: mentre invece il sistema aggiunto del (15) è © =D Chi Un il quale però ha la stessa natura del sistema (15) stesso e non ne differisce che per le indicazioni. — 337 — si eseguisca prima l'integrazione rispetto ad %,,...7,, ! quindi a ciascuna delle funzioni che compariscono sotto il segno dei 2° integrali così ottenuti, tranne a quello 8; B; S+1 r VS CL | (ez/Gana = ) dai dai, Sa dro dia: Ca A ni si applichi di nuovo la (1). Eseguendo successivamente questè trasformazioni mae = IL Boo CONO le riduzioni necessarie, si ottiene la formola (1) del Bianchi. Le due formule sono dunque perfettamente equivalenti ». Astronomia. — Fotografie della grande nebulosa di Orione e della minore presso la stella 42 Orionis, eseguite da A. Riccò e da A. Mascari nel R. Osservatorio di Catania. Nota del prof. A. Riccò, presentata dal Socio TACCHINI. « Nel marzo 1893 si fecero nell’Osservatorio di Catania le prime foto- grafie della nebulosa d'Orione con esposizione fino di un'ora, che riuscirono abbastanza interessanti: ma allora il nostro equatoriale fotografico non era idoneo ad agire per pose molto più lunghe, seguendo esattamente il corso degli astri anche nelle posizioni molto lontane dal meridiano, nelle quali le difficoltà dell'equilibrio e del maneggio dello strumento, e l'influenza per- turbatrice della rifrazione atmosferica sono più gravi. « All’equatoriale fotografico, quantunque costruito con molta abilità ed intellicenza dall'ing. A. Salmoiraghi di Milano, sono occorsi parecchi miglio- ramenti e modificazioni : il che non deve far caso se si pensa che questo strumento è uno dei primi grandi equatoriali costruiti in Italia, ed è anzi l’unico per la fotografia celeste, per la quale la complicazione della costruzione e le esigenze di precisione sono ancora maggiori. « Anche il grande obbiettivo fotografico di 0,328 di apertura libera, seb- bene costruito dalla rinomata casa Steinheil di Monaco e dichiarato da au- torità competentissima perfetto come quello dell’osservatorio di Potsdam per l’uso ordinario, invece per le pose lunghissime dava le stelle lucide accom- pagnate da una immagine parassita, che siamo riusciti ad eliminare comple- tamente solo dopo lunghe indagini e scabrose prove, modificando la distanza reciproca dei vetri flint e crown costituenti l'obbiettivo in discorso. « Perfezionato lo strumento siamo giunti a fare una fotografia. della nebulosa d’Orione di 42,8" di posa, che non ci pare inferiore alle migliori fatte altrove anche con strumenti maggiori od esposizione più lunga. Anzi, per quanto ci consta, la fotografia della nebulosa minore attorno 42 Orzonzs sarebbe superiore a quelle fatte finora. « La serie delle nostre fotografie di questi oggetti celesti è la seguente, — 338 — ove sono ommesse alcune riuscite colle stelle difettose in causa di una ab- bondante deposizione di rugiada sull’obbiettivo durante la lunga esposi- zione: inconveniente che abbiamo poi evitato, riparando l'obbiettivo stesso dalla irradiazione notturna con un tubo addizionale postovi dinanzi. S Estensione | ‘a SUS della Grande È © DATA £ 2 | Nebulosafra [>il =Y0) D o TEFIIGETETA Z 2 SS . [la testal Di le ali ela coda 7 Febbraio 1894 10 77.0 15 Gennaio 1895 30m 19.0 distaccata 25 Marzo 189 99m 5 12.0 | 20 Marzo 1893 SI, 9 Febbraio 1894 50m | 19.5 \ Febbraio 1894 | 13 18m | 01.5) 27 Marzo. 1895 | 1° 39m | 29.5 | 260 0 5 5 5 la testa è completa- mente dalle ali. 29 Marzo 1895 | 1h 89m Dr 19 Marzo 1895 | 2h 87m 36. 24 Gennaio 1895 | 8h 98m 31. i S © 0 4 © Ut a Ww DD “J 14 Febbraio 1895 | 8h j4m 33.0 Gennaio 1895 | 8h 36m 39. è 13 | 25 Gennaio 1895 | 4h gm 42.3 | 49.5 ((#)14| 30 Gennaio 1885 | 4h 49m 50.0 | 55.0 a DD DD ea « Queste fotografie, come tutte quelle della carta fotografica interna- cionale del cielo, sono nella scala di 1 millimetro per 1 minuto d'arco. « Di alcune di queste negative si è fatto l'ingrandimento positivo su carta al bromuro d'argento con sistemi diversi, ed abbiamo finito per adot- tare un apparato combinato da noi medesimi, formato di due camere foto- grafiche, l'una ordinaria: 13 x 18, alla quale abbiamo adattato un eccellente obbiettivo Voistlànder di 0"%.058 apertura e 0".20 lunghezza focale, munito di diaframma di soli 9 millimetri; al luogo del vetro smerigliato si applica la negativa da ingrandire. L'altra camera 30 x 30, è quella che ordinaria- mente ci serve per le fotografie delle nubi: è messa in faccia alla prima, ed è congiunta ad essa con una manica a mantice; e al luogo del suo obbiettivo sì è posto un otturatore pneumatico. Tutto l'apparato è sostenuto da un ro- busto piede di bronzo che permette di rivolgerlo ad una parte del cielo ben azzurra, ordinariamente a nord. (*) Nella fotografia n°. 14 le stelle sono difettose per un piccolo spostamento dello stru- mento, da noi non avvertito. — 3359 — « L'ingrandimento che abbiamo preferito per i nostri confronti e studî è nel rapporto 1:2, che dà quindi i positivi nella scala di 2 millimetri per 1 minuto d'arco; che è la scala adottata anche dal Tempel nelle pubbli- cazioni dei suoi disegni delle nebulose in discorso. « Le fotografie ingrandite che si presentano sono le seguenti: del 7 febbraio 1894 con posa di 10 minuti 1. » 15 gennaio 1895 ’ 30. » » 7 febbraio 1894 ” do DZ marzo 895 ’ 99» 3. » 25 gennaio 1895 ” 248.» « Occupandoci intanto della grande nebulosa, dall'esame di queste fo- tografie si vede che al crescere del tempo di esposizione da alcuni minuti - ad alcune ore, l'immagine che prima è formata solo dalla parte centrale e più lucida della nebulosa (Z7rons, Rostrum, Occiput, Regio Picardiana, Proboscis major, ecc., secondo Herschel), si va di mano in mano allargando alle parti esterne non luminose, ove appaiono nuove masse e nuovi partico- lari: nello stesso tempo si nota che mentre colle pose minori si ottengono abbastanza distinte le stelle contenute nella nebulosità (gruppo del tra- pezio, ecc.) ed altre particolarità di questa, colle pose più lunghe la parte centrale tende a divenire uniforme, senza gradazioni di intensità e distin- zione di parti. « In altri termini, mentre colle più lunghe esposizioni nell'immagine rovesciata si scorge come l’abbozzo di una specie di volatile ad ali spiegate e rialzate le cui punte o remiganti si prolungano e si congiungono indietro con piume leggere ed irregolari a festone, con pose successivamente più brevi la testa si stacca dal corpo, questo si restringe alla parte centrale, l'ala destra scompare, la sinistra che era doppia si fa semplice e svanisce pur essa: nel corpo appaiono ognora più distinte diverse stelle ed il sero oscuro che lo intacca sempre più. « Della fotografia colla posa 4%,8" si è fatto anche l'ingrandimento nel rapporto ::1:3,4. « Confrontando questa fotografia colle migliori che conosciamo, e comin- ciando da quella della Specola Vaticana, fatte con 9* di posa ed obbiettivo di eguale apertura (se si giudica dalla riproduzione in fotoincisione che tro- vasi nelle Pubblicazioni della Specola Vaticana, vol. IV), risulta la nostra alquanto più netta e completa: confrontata con quella del Roberts fatta con 3,25" di posa e telescopio di 0",50 apertura, cioè con circa il doppio di quantità di luce (Diam.® x Posa), la nostra non è sensibilmente inferiore, anzi in complesso apparisce più distinta, se pur non c'illude l'affetto per le cose nostre. « Passando poi a considerare la nebulosità complicata ed interessantis- sima che circonda 42 Orionis, vediamo che comincia ad apparir nelle foto- RenpICONTI. 1895, Vor. IV, 1° Sem. 45 — 340 — grafie con posa di circa 1°; è completa con posa di circa 2°!1/,; è assai bella ed estesa colle pose maggiori fin circa 4° 1/,. È formata di 3 a 4 masse lucide di varie forme, separate da un canale oscuro, ramificato in forma di 4: a sud vi si osserva una specie di bocca oscura; una strana rete di filamenti lucidi collega le stelle nebulose e le masse lucide. « Le nostre fotografie di questa nebulosa sono decisamente superiori alle citate prima. « Confrontando la fotografia coi migliori disegni della grande nebulosa, come quello di Lord Rosse e quello di Tempel (di cui ho avuto alcune copie fotografiche per cortesia del direttore dell’osservatorio d’Arcetri, prof. A. Abetti), si trovano grandi differenze, le quali in gran parte dipendono dal diverso modo d'agire della luce nell'occhio e nella fotografia: nell'occhio l’azione della luce si ripete sempre nello stesso modo, e la visione risulta diversa ‘ solo per la diversità delle condizioni dell’occhio stesso, cioè di riposo o di stanchezza di esercizio o di inesperienza; le parti più difficili di un oggetto si scoprono concentrando ripetutamente su di esse la nostra attenzione, cercando condizioni più favorevoli per la visione e sussidii sempre più adeguati e perfetti. « Invece nella fotografia le azioni della luce nei successivi istanti del- l'esposizione si sommano, si sovrappongono: l'immagine cambia continuamente estendendosi, e rinforzandosi fino al limite dell’alterazione dello strato sen- sibile; di qui deriva la possibilità di ottenere la fotografia di oggetti invi- sibili: ma ne deriva pure una modificazione dei rapporti di intensità lumi- nosa delle parti e la scomparsa dei particolari più lucidi. « D'altra parte la grande difficoltà di ritrarre oggetti delicatissimi, di forme strane e complicate, e quel che è peggio la difficoltà di vedere le parti più deboli, fanno sì che il disegno raramente riesca affatto fedele, e può anche essere immaginario per quei particolari che l'osservatore può ap- pena travedere senza poterne afferrare bene la forma, ed a cui pure vuole dare una rappresentazione grafica. « Che sia proprio così emerge dal confronto dei disegni fatti dai più repu- tati osservatori, tra loro e colle fotografie. A. ciò servono i disegni accuratis- simi di Herschel (1824), Pond (1826), Lassel (1852), Holden (1359-65), Rosse (1860-67), Secchi (1868), Trouvelot (1874), Tempel (1878), Draper (1880). « Non è certo il caso di pensare ad attribuire le differenze a variazioni della nebulosa, che dovrebbero essere tanto rapide da essere del tutto im- probabili; mentre poi abbiamo una fotografia del Draper fatta nel 1880 iden- tica alla nostra del 1893 e quella del Roberts fatta nel 1887 identica alla nostra del 1895. « Quanto alla differenza fra disegno e fotografia si può notare quanto segue: nel disegno del Tempel, abilissimo osservatore e disegnatore, i li- miti della nebulosa sono spinti oltre quelli della fotografia, ma in certi par- ticolari è evidente il manierismo e convenzionalismo del disegnatore; ed — 341 — alcuni altri particolari non si riscontrano affatto nelle fotografie, come le lunghe e sottili lacinie nebulose che congiungerebbero la nebula presso 42 Orzonis colla principale; per converso poi la grande proboscide è semplice nel disegno, mentre è decisamente doppia anche nella fotografia di un'ora sola di posa. « Il disegno di Lord Rosse (cortesemente comunicatoci dal prof. Tac- chini) fatto col gigantesco telescopio di 2" d'apertura, è quello che più si avvicina alle fotografie, ed anzi è più completo di esse in certi particolari e più esteso nelle parti più deboli, avendosi la larghezza da un estremo al- l’altro delle ali di 68’ e la lunghezza dalla testa alla coda di 60': corri- sponde specialmente alla fotografia n. 14 di 4°,42% di posa, anzi vi sì osserva un arco debolissimo a SW in più, che nella fotografia. A. nostro giudizio questo disegno è il più fedele ed il più completo di quelli che abbiamo compulsati. « Nel finire diremo che abbiamo fatto alcune osservazioni della grande nebulosa d'Orione col riflettore di 0%,34 apertura nell’osservatorio di Ca- tania, ed in quello dell'Etna nell’ottobre 1892, senza però farne uno studio speciale (perchè allora il vulcano era in eruzione). Lassù la nebulosa ha uno straordinario, meraviglioso splendore: si direbbe formata di una materia lu- minosa fosforescente in parte plastica, anzichè totalmente nebulosa; vi ab- biamo distinto bene entro le fauci oscure, il ponte di Sehròter e la Nebula Minima di Herschel: l’apertura delle ali, ossia la larghezza della nebulosa, si riconosceva facilmente fino per 44' ». Fisica. — Su/ magnetismo dei cilindri di ferro. Nota di M. AscoLi, presentata dal Socio BLASERNA. « 1. In alcune note pubblicate durante lo scorso anno in questi Rendi- conti (!) ho dimostrato che la distribuzione del magnetismo indotto nei ci- lindri di ferro dipende unicamente, come nell’ellissoide dal valore che in ogni punto ha la forza magnetizzante (f. m.) che risulta dal campo uniforme primitivo e dalla reazione del magnetismo libero indotto. Il sig. O. Gro- trian invece, nella memoria da me citata (?) e in due successive (3), sostiene la necessità di introdurre, pei cilindri, una speciale azione protettrice degli strati superficiali (Schirmwirkung). Nella seconda memoria vuole dimostrare con esperienze dirette l’esistenza di tale azione, nell ultima espone nuove ricerche sperimentali e conclude con quattro osservazioni sui miei lavori. Seb- bene io creda che la risposta sia implicitamente ma chiaramente contenuta (1) Rendiconti, vol. III, 1° sem., pag. 176, 279, 314; 377; 2° sem., pag. 157, 190. (2) Wied. Ann. 1893, vol. L, pag. 705. (3) Wied. Ann. 1894, vol. LI, pag. 529, e 1895, vol. LIV, pag. 452. — 342 — nei miei scritti, pure mi par necessario, per chiuder la discussione, di met- tere in maggior rilievo i punti che ora più interessano, aggiungendo poi qualche considerazione sulle nuove esperienze pubblicate. « 2. Al n. 1. (!) il sig. Grotrian ripete che gli strati esterni esercitano un'azione protettrice sugli interni o azione smagnetizzante. Se si intendesse per azione smagnetizzante quella dovuta al magnetismo libero che, come è noto sta quasi esclusivamente sulla superficie del ferro, la spiegazione del G. coinciderebbe colla mia; ma in tal caso nessun nuovo fatto sarebbe messo in rilievo da queste ricerche. L'osservazione n. 3 e le esperienze contenute nella 22 Memoria dimostrano però che non è questa l’azione smagnetizzante che l’autore crede di mettere in evidenza. Alla 2% Memoria ho già risposto con un breve articolo pubblicato negli Annali di Wiedemann nel fase. di febbraio (*) cioè dopo che il sig. G. aveva consegnato al giornale la sua terza memoria; in questo articolo ho dimostrato che le esperienze in questione non provano l’azione protettrice di uno strato di ferro sopra un altro contiguo, ma quella ben nota di un involucro di ferro sopra l’aria contenutavi. « 3. Al n. 2 dubita che le conclusioni, ottenute sopra fasci di fili, si possano estendere a corpi compatti. Ora nelle mie note (8) non ho mancato di citare un mio precedente lavoro (4) nel quale tale questione è accurata- mente discussa. In questo studio, diretto appunto a mettere in rilievo le dif- ferenze magnetiche tra fasci di fili e corpi compatti, e riassunto in parte in una delle mie note, (°) ho fatto il confronto tra una serie di fasci cilindri di egual lunghezza e di diverso diametro (diverso numero di fili), ed una serie di cilindri compatti formati di un sol filo sempre dello stesso diame- tro ma di diverse lunghezze. Ne ho concluso che esistono delle differenze nel senso che i fasci si comportano come ferro leggermente inerudito. Ma nel tempo stesso è risultato, almeno per campi originariamente uniformi come sono tutti quelli delle ricerche in discusione, che le differenze sono molto piccole nei valori assoluti e quindi ancor minori nei valori relativi che in- teressano nelle ricerche di confronto. L'entità di tali differenze è del resto provata dai numeri citati nella mia 1° Nota. (6) « Ma oltre a ciò non ho mancato di notare nell’ultimo lavoro (i perfetto accordo esistente tra le mie esperienze sui fasci e i dati del Du Bois sui cilindri massicci. (1) V. Wied. Ann. vol. LIV, pag. 474. (*) Wied. Ann. vol. LIV, pag. 881. (3) V. Rend. vol. III, 1° sem., pag. 177. (4) L’Elettricista 1893, pag. 201. (5) Da pag. 177 a pag. 182. (6) Pag. 182, ultime linee. (7) Ascoli e Lori, vol. III, 2° sem. pag. 194, 195. — 343 — « Come si vede io stesso mi ero fatto l’obbiezione che il sig. G. mi muove al n. 2, e l’avevo sottoposta a una minuta discussione che dev'esser sfuggita all'attenzione del sig. G. « 4, Al n. 3 crede insufficiente la mia spiegazione perchè le parti cen- trali delle faccie estreme del cilindro (Stirnfliche) non danno che un debole contributo alla forza smagnetizzante. Riporto le mie parole in proposito ('): L'aggiunta della massa centrale, cioè aumento della massa metallica del corpo, ha per conseguenza un grande aumento del magnetismo libero e quindi della forza smagnetiszante da esso esercitata. Come si vede, io non parlo di faccie estreme, ma solo di magnetismo libero; questo, come è noto, specie ne’ magneti corti, è ben lungi dall'essere limitato alle faccie terminali, ma esiste anche sulla superficie cilindrica, ed è questo che porta maggior tributo alla reazione nella sezione media cui è più vicino. Anzi la deficienza del magnetismo libero al centro delle basi è tutta a mio favore, perchè il magnetismo libero mancante in quei punti deve esistere necessa- riamente sulla superficie laterale. Infatti, sia B l’induzione in un elemento d S della sezione centrale, il flusso totale che si misura attraverso questa sezione è SB d S esteso alla sezione stessa. Questo flusso è pressochè lo stesso per cilindri pieni o per tubi grossi o sottili dello stesso diametro esterno, e della stessa lunghezza, cioè, per una data corrente magnetizzante, po- tremo porre al BdS=K dove K è uguale per tutti quei cilindri. « Tutto il flusso, attraversante la sezione centrale, attraversa anche la mezza superficie del corpo. « Cioè avremo: fB'coseds—K dove B' è il valore dell’induzione in un punto della superficie, 4 X un ele- mento di questa, e l’angolo tra la normale a d X e la direzione di B'; V'in- tegrazione è estesa a tutta la mezza superficie. Ora B—=H-+4r7I;e molto approssimatamente B' = 47 T'; colla stessa approssimazione si più trascurare il magnetismo libero interno rispetto al superficiale (?). Allora 4.7 Ju cose dX = K (1) Vol. INI, 1° sem., pag. 176 in fine. (2) V. p. e. Du Bois. Magn. Kreise p. 89. Del resto il magn. libero interno aumenta la reazione. è — 344 — ma I° cose è la densità superficiale del magn. libero, onde | I cose d X sarà la massa magnetica libera totale M, esistente alla superficie. Cioè K M Is Ciò significa che se, aggiungendo il nucleo interno al cilindro cavo, non si varia il flusso, non si varia nemmeno la massa libera e quindi quella che manca sulle faccie esterne deve esistere sulla superficie cilindrica. Perciò l'osservazione al n. 3 è tutta a mio favore. « 5. Finalmente al n. 4 il G. nota l'accordo di alcuni dei miei risultati coi suoi, il disaccordo di altri. Io non so vedere altro disaccordo che quello riguar- dante i valori delle f. magnetizzanti, disaccordo che ho esplicitamente notato e discusso (!) e che è una delle prove della sufficienza della mia spiegazione. Io ho spiegato il disaccordo col considerare la forma della curva normale del ferro. Le mie f. m. sono comprese tra il 1° e il 2° tratto delle curva, dove la magnetizzazione è più sensibile alle variazioni delle maggiori f. m. che delle minori, quelle del G. sono comprese tra il 20 e il 3° dove avviene l'opposto. Una conferma di tale spiegazione è data dal comportamento di un cilindro più lungo, nel quale cioè alle stesse correnti magnetizzanti corrispon- dono f. m. vere maggiori; per questo cilindro le mie misure hanno lo stesso andamento di quelle del G., appunto perchè anche le mie f. m. giungono al 3° tratto della curva normale. Anche questa parte della discussione deve esser sfuggita all'attenzione del sign. Grotrian. Del resto che piccole diffe- renze tra cilindri compatti e fasci esistano, è ben naturale e l'ho constatato; ma sono dell'ordine di quelle ricordate al $ 3. « 6. Passo a esaminare brevemente le nuove esperienze del sign. Gro- trian. Non posso che rallegrarmi nel vedere nella prima serie pienamente confermata la mia previsione (*) che nei circuiti magnetici chiusi perfetti, scomparendo il magnetismo libero, scompare anche l'apparente Schirmwir- kung. Infatti il G. trova che la magnetizzazione circolare di un tubo con- tenente una corrente magnetizzante secondo l’asse, cresce al crescer della se- zione metallica, senza mostrare affatto alcuna speciale predominanza della magnetiszazione circolare delle parti vicine alla superficie interna del ci- lindro. Ecco dunque un nuovo caso in cui manca l’azione protettrice (insieme al magnetismo libero). È naturale anche che, come risulta da questa serie di esperienze, non vi sia proporzionalità tra il flusso e la sezione, perchè la f. m. media è minore, a parità di corrente, pel tubo più grosso che pel più sottile, e inoltre, nei limiti delle piccole forze magnetizzanti esaminate, la per- (1) $ 16. pag. 382. (2) $ 6. pag. 284, $ 8, pag. 314. — 345 — meabilità è variabilissima; ciò spiega anche il variare dei rapporti tra i flussi dei due tubi al variare della corrente. Sarebbe stato desiderabile che le espe- rienze fossero state condotte in modo da potersi sottoporre a calcolo. < In una seconda serie di esperienze il sig. G. esamina il comporta- mento di una serie di cilindri cavi e pieni collocati in modo da formar parte di un circuito magnetico chiuso. Sono lieto che anche questa serie confermi le mie previsioni. Infatti in una delle mie Note (') ho dimostrato che l’ u- guaglianza approssimata del flusso in un cilindro cavo e uno pieno va di- minuendo coll’aumentar della lunghezza (col che diminuisce la reazione), ed ho asserito che lo stesso effetto si otterrebbe chiudendo il circuito magnetico. Le ultime esperienze del G. sono la prova sperimentale dell’essattezza della mia asserzione. Infatti tra il tubo n 2 (spessore della parete D= mm. 2,97) e il cilindro n.3 (diametro cm. 3,31), a circuito aperto vi è una differenza del 2, 6 p. c. (2) a circuito chiuso da 20 a 27 p. c. (3) tra il tubo n. 1 (D= 0, 80) e il cilindro 3 a circuito aperto la differenza è del 7.5 p, c., a cir- cuito chiuso di oltre il 50 p. c. Che il flusso non cresca nella proporzione delle sezioni è conforme alla teoria. dei circuiti magnetici, perchè i tubi esa- minati non sono che una piccola parte dell'intero circuito magnetico. « Applicando questa teoria, il sig. Grotrian trova tra essa e le sue esperienze un disaccordo del 9.7 e del 2.9 p. c. Attribuendolo alla Schi- rmwirkuny, viene a riconoscere che l’effetto di questa è ridotto a ben pic- cole proporzioni. Ma chiunque abbia pratica nelle misure magnetiche, sa be- nissimo che, per le piccole f. m. adoperate dal G., le differenze che si trovano tra pezzi diversi, sien pur tratti dalla medesima massa di ferro, possono su- perare di gran lunga quelle proporzioni, giungendo al 20 e al 30 p. c. e più. Per questa ragione nelle mie ricerche ho trovato necessario di determinare con cura le correzioni di omogeneità (4. E che di questo appunto si tratti, si può arguire da ciò che, se il flusso misurato è uguale nei cilindri 5 e 3 del sig. G., vi sono tra i cilindri 5 e 17,e 2 e 5, differenze di oltre il 5 e il 28 p. c., sebbene minori sieno le differenze tra le sezioni. « Queste nuove esperienze sono dunque, a parer mio, la miglior prova dell’inesistenza dell’azione protettrice degli strati superficiali, nè dubito che, nel proseguire le sue ricerche, il sig. Grotrian giungerà alla medesima con- clusione, cui si è già portato tanto vicino. (1) $ 15, pag. 381, ultime linee. (2) V. Wied. Ann., vol. LIV, pag. 467. (8) Queste differenze sono calcolate in base alle somme dei due numeri trovati dal G. per l’apertura e la chiusura opposta, somme che sono uguali alle deviazioni ottenibili coll’inversione. La semidifferenza dei due numeri darebbe il magnetismo residuo, notevole sempre quando il circuito magn. è chiuso. (4) V. Ascoli, L’Elettricista 1893, p. 201. — Ascoli e Lori, Rend. vol. III, 2° sem., pag. 160. — 346 — « E con ciò, per parte mia, ritengo chiusa la discussione. « Aggiungo solamente che altre esperienze fatte per diverso scopo e che saranno pubblicate fra breve, conducono per via completamente diversa agli identici risultati già riferiti, sia per corpi compatti come per fasci di fili, senza bisogno di interrompere in alcun modo la continuità della sostanza di cui è formato il cilindro ». Fisica. — /ormazione della cuprite nell'elettrolisi del solfato di rame. Nota di Q. MasoRANA, presentata dal Socio BLASERNA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Chimica. — Sopra gli alcaloidi della Cannabis indica e della Cannabis sativa(). Nota del prof. F. MarIno-Zuco e del dott. G. VienoLO, presentata dal Socio CANNIZZARO. « Cannabis indica. La massa dei cloridrati ben secca ottenuta dalla Cannabis indica, nel modo descritto nella precedente Nota, si scioglie a caldo nella quantità minore possibile di alcool assoluto. Se la soluzione si lascia lentamente raffreddare, si ottengono dei cristalli piuttosto grandi e duri; se invece si distilla l’alcool fino a piccolo volume, si depongono dalla soluzione concentrata delle piccole fogliette hianchissime con splendore madreperlaceo. I cristalli ottenuti si spremono e si lavano con piccole quantità di alcool assoluto alla pompa e quindi si ricristallizzano dall'alcool assoluto. Questo cloridrato è solubilissimo nell'acqua fredda, poco nell’alcool assoluto freddo. Fonde a 249° in un liquido giallognolo con decomposizione: non contiene acqua di cristallizzazione. All’analisi si ebbero i risultati seguenti : T gr. 0,1775 di cloridrato diedero di Aq. gr. 0,0803 e di C02 gr. 0,9215 II gr. 0,1886 7 ” di Aq. gr. 0,0873 e di CO? gr. 0,3411 Teo n ” ” di Az. cc. 8,3, T 23,2° e H. 763 mm. Ji ga 0008 ’ hanno consumato di nitrato d’argento DI c.c. 6.3 trovato °/ media CR Ea I II C#49:39, 490, 49.35 O IG H 5.02 5.14 5.08 H 4.61 N 8.10 8.10 N 8.06 CI 20.00 20.00 CI 20.46 (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica Farmaceutica e Tossicologia della Regia Università di Genova. rese — 347 — « A riconferma della composizione del cloridrato, che, come dimostra l’analisi, non si trova ancora allo stato di perfetta purezza, sebbene la for- mola sia il risultato del calcolato più semplice, una porzione del cloridrato precedentemente analizzato venne trasformato in cloroaurato e questo, seguendo le indicazioni di Jahns nello studio sulla: 7rigonella foenum graecum (0), cristallizzato dall’acido cloridrico diluito. 11 cloroaurato si presenta al micro- scopio in fogliette a quattro lati: non contiene acqua di cristallizzazione; fonde a 198°, mentre per il cloroaurato purissimo di Trigonellina, Jahns ot- teneva per punto di fusione : 198°. L'analisi di questo cloroaurato puro ha dato: gr. 0,1340 di cloroaurato diedero di Au gr. 0,0552 calcolato per trovato °/ CH? NO? BOL Au C13 Au 41.19 Au 41.20 « Le acque madri alcooliche dalle quali venne separato il cloridrato di Trigonellina, si concentrano a bagno maria e sul residuo si procede a fra- zionamenti ripetuti impiegando, separatamente, il cloruro mercurico, il cloruro d'oro e l’alcool assoluto. « Nel processo di frazionamento col sublimato corrosivo il residuo delle acque madri alcooliche si precipita con soluzione satura di cloruro mercurico. Il cloromercurato ottenuto si purifica per cristallizzazioni ripetute dall'acqua bollente, si decompone poi con idrogeno solforato e così si ottiene un clori- drato, il quale si presenta ben cristallizzato ed incoloro: è però deliquescen- tissimo: all'analisi ha dato i seguenti risultati: I gr. 0,2788 di cloridrato diedero di Aq. gr. 0,2595, di CO? gr. 0,4458 II gr. 0,2862 ” 7 di Aq. gr. 0,2628, di CO? gr. 0,4616 TI gr. 0,3344 ” 7 di cloruro d’argento gr. 0,3414 I trovato meio i, I Il C 43.60 43.98 43.79 C 43.01 H 10.30 10.20 10.25 H 10.03 CI 25.23 25.23 CI 25.44 « Per frazionamento della parte più solubile del cloromercurato si ot- tiene un cloridrato anch'esso cristallino e deliquescentissimo, il quale ha dato all'analisi i seguenti risultati: or. 0,2647 di cloridrato diedero di Aq. gr. 0,2022 e di C0* gr. 0,3916 calcolato °/, per trovato °o C° H:4 NO? C1 (Muscarina) €. 4085 O. 38.58 H 38.45 H 9.00 (1) Berichte der Deutschen Chemischen Gesellschaft. Vol. XVIII, pag. 2521. Rexpiconti. 1895, Vor. IV, 1° Sem. 46 — 348 — « In un'altra estrazione le acque madri alcooliche da cui fu separata la Trigonellina furono svaporate a Secchezza, e il residuo lasciato per 5 a 6 giorni nel vuoto sull’acido solforico sino a completo disseccamento; quindi il residuo completamente secco fu frazionato con alcool assoluto per cui si poterono ottenere due porzioni distinte, la prima e l’ultima deposta, lasciando in di- sparte una serie di porzioni intermedie. La prima parte ha dato all'analisi: I gr. 0,8083 di cloridrato diedero di Aq. gr. 0,2819 e di CO? gr. 0,4862 II gr. 0,2507 ” » di Aq. gr. 0,2328 e di CO? gr. 0,3929 Loaioio media CIS NOCI (Colima) I II C 43.01 42.74 42.88 C 43.01 H 10.15 10.31 10.23 H 10.03 « L'ultima parte del frazionamento con alcool assoluto ha dato il risul- tato seguente: gr. 0,2595 di cloridrato diedero di Aq. gr. 0,1969 e di C0? gr. 0,3717 gr. 0,2093 ” 2 di cloruro d’argento gr. 0,20078 0/ :alcolato °/o EDO 96 05 He NO? i Atina) C 39.06 C 38.58 H 8.43 H 9.00 CI 23.69 Cl 22,82 « Con un terzo metodo il residuo ottenuto dalle acque madri alcooliche, dalle quali venne separato il cloridrato di Trigonellina, venne trasformato in cloroaurato, che fu quindi successivamente frazionato, mediante cristallizzazione, dall'acqua bollente. La parte più abbondante si presentava al microscopio in aggregati dendritici: fondeva a circa 245°, e dava all’analisi i seguenti ri- sultati : T gr. 0,5942 di cloroaurato diedero di Aq. gr. 0,1748 e di C0? gr. 0,3025 gr. 0,3387 ’ dA uo 0490 II gr. 0,3076 7 7 di Au gr. 0,1861 UIOEAO C- Hi NOCI AN CT I II C 13.88 C 13.56 H 3.26 H 3.16 Au 43.96 44.24 Au 44.36 « La parte più solubile di sale d’oro proveniente dal frazionamento del cloroaurato primitivo era sempre in piccolissima quantità, e le determinazioni di oro che noi qui riportiamo, si riferiscono sempre a diverse estrazioni : — 349 — I gr. 0,8845 di cloraurato diedero di Au gr. 0,1643 II gr. 0,4177 ” ” di Au gr. 0,1778 INI gr. 0,2735 ” ” di Au gr. 0,1195 : 5 calcolato per trovato °/ media C5 H14 NO?CI1. Au C]* (Muscarina) I II LI i Av 2 4200 CASO 42.78 Au 42.81 «“ Dalle operazioni eseguite sul cloridrato greggio ricavato dalla Cannabis indica, risulta quindi identificata dapprima la Trigonellina. I frazionamenti eseguiti sul cloridrato residuo, tanto col bicloruro di mercurio e l'alcool asso- luto, che col cloruro d’oro dimostrano in quantità prevalente e relativamente più grande delle altre basi, la Colina. Nella porzione poi più solubile dei clo- ridrati, tarito se proveniente dai frazionamenti col bicloruro di mercurio e col- l'alcool assoluto, che col cloruro d’oro, si hanno valori abbastanza prossimi alla Muscarina. Questi dati chimici che dimostrano la presenza della Musca- rina, trovano un perfetto riscontro nell’azione fisiologica del cloridrato stesso. « Cannabis sativa (Semi). Il processo di estrazione seguito per i semi fu quello già adoperato per la Cannabis indica con le esposte modifica- zioni. I risultati ottenuti riguardo agli alcaloidi dei semi della Cannabis satzva concordano con quelli pubblicati durante il corso di queste ricerche da Schulze e Frankfurt (!). « I cloridrato greggio che si ottiene dai semi per frazionamento col- l'alcool assoluto, ha dato un primo cloridrato il quale presenta gli stessi carat- teri del cloridrato di Trigonellina ottenuto dalla Camnabis indica. Questo cloridrato sì presenta in pagliette madreperlacee solubilissimo nell'acqua; fonde a 250° decomponendosi: non contiene acqua di cristallizzazione. Ha dato all'analisi i risultati seguenti: or. 0,2067 di cloridrato diedero di cloruro di Argento gr. 0,166 gr. 0,2897 ” ” di Aq. gr. 0,1398 e di CO? gr. 0,5153 gr. 0,2786 ” ” iz. c.c. SERI 133 He59fmm: di DT calcolato ° per OO To Ci H" N02, HCI (Trigonellina) (0, 48.51 C 48.41 H 5.36 H 4.61 A% 7.12 Az 8.06 (0,1 19.83 CI 20.46 « Una parte del cloridrato precedente trasformato in cloroaurato fu cri- stallizzata dall’acido cloridrico diluito, secondo le indicazioni già riferite di (1) Berichte der Deutschen Chemischen Gesellschaft. 1894-749. — 350 — Jahas; fonde a 198° e presenta al microscopio tutti i caratteri propri del cloroaurato di Trigonellina. Questo sale d'oro ha dato all'analisi: gr. 0,2142 di cloroaurato diedero di Au gr. 0,0886 {o} i» trovato °/o CI noi f0) C13 ARR 1036 41.20 « Le acque madri alcooliche svaporate lasciano un residuo deliquescente, il quale trasformato in eloroaurato presenta tutti i caratteri del sale d'oro di Colina, ma stante la piccola quantità di esso non si potettero eseguire deter- minazioni quantitative. «Cannabis sativa (Cime). Dal cloridrato greggio ottenuto dalle cime della Cannabis sativa per frazionamento con alcool assoluto, noi otte- nemmo un cloridrato cristallizzato in pagliette madraperlacee, molto somi- gliante al cloridrato di Trigonellina ma che all'analisi dava dei numeri molto discordanti tanto analizzando lo stesso cloridrato quanto il suo cloroaurato. Ricristallizzando però il sale d’oro dall’acido cloridrico, abbiamo potuto convi- cerci che esso era un miscuglio di sale di Trigonellina e di Colina. Difatti la parte meno solubile di sale d’oro presentava al microscopio lo stesso aspetto del cloroaurato di Trigonellina, fondeva a 198° e la misura dei valori angolari e degli angoli di estinzione di questi cristalli eseguita in cortesia dal prof. G. Negri, ci confermava gli stessi risultati. Nella soluzione cloridrica poi rimaneva una piccola quantità di cloroaurato di Colina. « Alle acque madri alcooliche svaporate a piccolo volume si aggiunge un eccesso di etere solforico anidro, il quale precipita ancora una piccola quantità di Trigonellina: quindi eliminato il solvente, il residuo si trasforma in cloroaurato, il quale cristallizzato dall'acqua bollente si presenta in hei cristalli, che, guardati al microscopio, hanno l'aspetto di aggregati dendritici. Ha dato all’analisi i seguenti risultati: I gr. 0,3370 di cloroaurato diedero di Au gr. 0,1488 II gr. 0,1133 ” ” di Au gr. 0,050 trovatolo) calcolato °/ per i. C5 H!4 NOCI. Au C18 (Colina) 10% I Au 44.15 44.13 44.36 « Da quanto abbiamo finora esposto, viene dimostrato che tanto nelle cime della Cannabis indica quanto ‘nelle cime e nei semi della Cannabis sativa esistono la Trigonellina e la Colina: nella Cannabis indica poi, oltre ai nominati alcaloidi, esiste in piccola quantità la Muscarina, la quale comu- nica all’estratto acquoso di detta pianta la sua azione tossica, come venne dimostrato sia coi dati chimici che con quelli fisiologici. E se il Warden e — 351 — Waddell (*) riscontrarono inattivo l'estratto acquoso solforico di Cannabis indica, come anche noi alcune volte potemmo osservare, ciò può dipendere da diverse cause come ad es. una possibile fermentazione subita dalla droga, per cui la Muscarina si è potuta trasformare o in Colina o in Betaina, basi entrambe relativamente innocue. Noi difatti potemmo sempre osservare che quando la droga è di bell'aspetto e ben conservata, il suo estratto acquoso è sempre energicamente attivo, risultato il quale è pienamente concordante con quello ottenuto da diversi autori. Se noi ora dai dati ottenuti vogliamo ritrarre qualche considerazione, allo scopo di spiegare quale sia l'influenza che le condizioni climatologiche esercitano sopra questa pianta, per cui in determi- nate regioni essa produce soltanto delle sostanze innocue, mentre in altre elabora prodotti tossici, noi troviamo nei dati chimici osservati una facile spiegazione. « In condizioni normali esiste nelle canape la Colina, la quale può, per parziale ossidazione, cambiare il suo gruppo alcoolico in un gruppo aldeidico e trasformarsi così da una base innocua in un'altra potentemente tossica. E le condizioni del terreno e del clima facilitano questa trasformazione. E il fatto constatato da Warden e Waddell, e anche da noi, che cioè spesse volte la droga può essere innocua, può spiegarsi sia con una possibile fermenta- zione della droga stessa, ovvero meglio con la possibilità che la droga abbia vegetato in siti in cui la trasformazione della Colina in Muscarina non sia punto avvenuta. Ciò ha una conferma nel fatto che comunemente si osserva nelle regioni, ove su vasta scala si coltiva questa pianta: in mezzo alle piante di Cannabis indica, di forte azione tossica, sì trovano sempre alcune le quali oltre a presentare una leggera modificazione nel loro abito esterno, sono ancora fisiologicamente poco attive. « Così pure possiamo spiegare qualche caso di avvelenamento acuto per canapa nostrana, segnalatoci da alcuni autori, col supporre che condizioni speciali contribuiscono in questo raro caso a trasformare la Colina preesistente in detta pianta in Muscarina. « Questo studio degli alcaloidi delle canape ci dà un bell'esempio del- l'influenza delle condizioni climatologiche nella fisiologia vegetale ». Chimica. — Sulla stabilità delle immidi succiniche sostituite nell’azoto €). Nota di A. MioLari e di E. Longo, presentata dal Socio CANNIZZARO. « Come uno di noi aveva accennato in una sua prima Nota su questo ar- gomento, la velocità della decomposizione delle immidi d'acidi bibasici per (1) Pharm. Journal and Transactions. (3) 15. 574 e Jahresbericht iber die Fortschritte der Chemie 1885. (2) Lavoro eseguito nell'Istituto chimico dell’Università di Roma. 3° Comunicazione di A. Miolati, Sulla stabilità delle immidi di acidi bibasici. Vedi questi Rendiconti, vol. III, 1° sem., pag. 515 e 597 (1894). — 352 — mezzo dell'idrato sodico, può considerarsi come indice della stabilità della catena chiusa esistente in questi composti. Comparando tra di loro le diverse velocità di decomposizione che si ottengono nello studio dei diversi composti, si può ottenere un'idea dell'influenza che esercitano sulla stabilità della ca- fena, tanto il numero degli atomi che la compongono, quanto i gruppi che ne sostituiscono il suo idrogeno. Dalle misure finora fatte è risultato: che aumentando il numero degli atomi concatenati fra loro, diminuisce la sta- bilità, poichè la succinimmide CH, Sor CO, Di > NH CHs — CO7 è più stabile della glutarimmide CHEE="CO\ | N CH, x NH a 4. CHI — CO? venendo la prima scomposta dall’idrato sodico più lentamente della seconda. « L'influenza poi che i diversi gruppi sostituenti l’idiogeno esercitano sulla stabilità del nucleo è risultata, almeno per la succinimmide, diversa a seconda che era sostituito o l'idrogeno di un gruppo metilenico o quello del gruppo immidico: nel primo caso si aveva un aumento di stabilità, nel se- condo una diminuzione; vale a dire, nell’'un caso una decomposizione più lenta che nella succinimmide, nell'altro una più rapida. « In un'altra Nota noi abbiamo comunicato i risultati delle misure fino allora fatte sulla stabilità di diverse succinimmidi sostituite nell’azoto. Da quelle misure risultava, che la diminuzione della stabilità della succinimmide prodotta dalla sostituzione dell'idrogeno immidico con un radicale, è mag- giore o minore, a seconda che quel radicale è aromatico o alcoolico. I gruppi alcoolici saturi influiscono a seconda del loro peso molecolare: la stabilità è tanto maggiore, quanto più grande è il gruppo sostituente; e ciò concorda con quanto hanno osservato altri autori, che studiarono la stabilità di altri composti ciclici. « In questa Nota noi diamo ulteriori misure, fatte su derivati della me- desima serie, e le andiamo coordinando, man mano, con quelle già pub- blicate. « Il metodo di ricerca seguìto è quello già altra volta descritto ; le let- tere hanno il medesimo significato che avevano le altre volte; il numero che precede il nome delle immidi, indica il numero progressivo dei corpi stu- diati. Questa volta non diamo le singole serie di determinazioni, ma le rias- sumiamo in un'unica serie. — 359 — CH, — CO. CH; 11. Isopropilsuccinimmide | SN CH CH, — CO XCHz < Non era stata ottenuta fino ad ora. Venne da noi preparata per azione dell’isopropilammina sull’anidride succinica. Il prodotto greggio ottenuto venne ripetutamente distillato. L'immide pura bolle a 230° sotto una pressione di 755 mm.; alla temperatura ordinaria è solida e, cristallizzata dal cloroformio, fonde a 61°. « Le analisi diedero i risultati seguenti: I 0,1811 gr. di sostanza diedero 0,3952 gr. di CO, e 0,1286 gr. H30 cor- rispondenti a 0,1077 gr. di carbonio e 0,0143 d'idrogeno. II 0, 2955 gr. di sostanza diedero 25,4 cc. d'azoto misurati a 11° e a 748 mm. e corrispondenti a 0,0298 gr. d'azoto. « Per cento trovato calcolato per C:H:0:N O= 9091 59,54 EN A:89 7,82 N = 10,08 9,95 « La media delle determinazioni fatte è la seguente: A = 9,13 t 49 AG DAR Ac t % AN ESRI Ac 2 1,08 8,05 0,1341 0,06705 | 11 3,92 5,21 0,7525 0,06840 3 0% 7,56 0,2077 0,06923 | 12 4,13 5,00 8,8260 0,06883 4 1,95 7,18 0,2717 0,06792 | 13 4,28 4,85 0,8824 0,06787 5 2,93 6,80 0,3429 0,0685838 | 14 4,43 4,70 0,9426 0,06732 6 2,64 6,49 0,4068 0,06780 | 15 4,63 4,50 1,0290 0,06860 10 2,93 6,20 0,4726 0,06751 | 16 4,73 4,40 1,0750 0,0671838 8 3,20 5,93 0,5395 0,06743 | 17 4,88 4,25 1,1148 0,06753 9 3,46 5,67 0,6102 0,06780 | 18 5,03 4,10 1,2280 0,06822 10 3,61 9,92 0,6540 0,06540 | 19 5,14 3,99 1,2880 0,06778 Ac=0, 06781 « È degno di nota, che in confronto colla n- propilsuccinimmide (Ac = 0,055) il composto isopropilico è meno stabile; mentre invece nei R_CT—- CH, C0 lattoni studiati da Hjelt (!), e nelle anidridi | studiate (0) Ì N da Hantzsch e Miolati (?), risultò concordemente che il gruppo isopropilico aumentava la stabilità della catena più del propilico normale. Qui, invece, si osserva il caso contrario, che potrebbe forse avere analogia con quello 0s- servato ultimamente da Hjelt (3), il quale trovò che l’isopropilcumarina si forma più difficilmente della metilcumarina, ossia che quest’ultima è più stabile della prima. i « Quest’osservazione di Hjelt e quella fatta da noi parrebbero indicare : (1) Acta Societatis scientiarum fennicae, tom. XVII e XIX. (®) Gazz. chim. Ital. XXIII (2), pag. 79. () Acta Soc. scient. fenn., tom. XX, N. 14. = Se che l'influenza dei diversi radicali sulla stabilità dei composti ciclici, non è sempre esattamente la stessa in tutte le diverse classi di questi com- posti, come si poteva esser indotti a credere da principio. Queste differenze potrebbero dipendere dal posto dove avviene la scissione della catena, ri- spetto al posto occupato dal gruppo sostituente. CHb= cs DA 12. sec. Butilsuccinimmide | NT CH dn 07 Nar « Fu da noi preparata per la prima volta, in modo analogo al com- posto isopropilico, cioè per azione della Butilammina secondaria sull’anidride succinica. Il composto purificato per ripetute distillazioni bolle a 339-340° sotto una pressione di 758 mm. « Una determinazione d’azoto diede il risultato seguente: 0,2587 gr. di sostanza diedero 20,2 ce. d'azoto misurati a 14° e a 758 mm. e corrispondenti a 0,02359 gr. d'azoto. « Per cento trovato calcolato per C3H;303N N = de 5 9,05 « La media delle determinazioni della velocità di decomposizione è rac- colta nella seguente tabella: A = 9,50 É x ARTIARZHINE Ac É H7 A-a a:A-x Ae 4 1,23 8,27 0,1487 0,03717 | 18 3,80 5,70 0,6667 0,03704 5 1,50 8,00 0,1875 0.03750 | 19 3,94 5,56 0,7120 0,03732 6 1,75 TU 0,2258 0,0383763 | 20 4,05 5,45 0,7432 0,03715 7 1,98 7,57 0,2609 0,03727 | 21 4,16 5,94 5, 7800 0,03714 iS 2,23 7,27 0,3068 0,03835 | 22 4,25 5,25 0,8095 0,03679 9 2,40 7,10 0,3380 0,03755 | 23 4,35 5,15 0,8447 0,03672 10 2,59 6,91 0,3748 0,03748 | 24 4,45 5,05 0,8812 0,03671 11 2,76 6,74 0,4092 0,03720 | 25 4,55 4,95 0,9191 0,03676 12 2,95 6,55 0,4504 0,0875326 467 483 09670 003719 13 3,09 6,41 0,4821 0,03707 | 27 4,72 4,78 0,9874 0,03657 14 3,25 6,25 0,5200 0,03714 | 28 4,85 4,65 1,0420 0,03721 15 3,40 6,10 0,5575 0,03717 | 29 4,93 4,57 1,0780 0,03717 16 3,57 5,93 0,6019 0,03760 | 30 5,00 4,50 1,1110 0,03703 Il7 3,70 5,80 0,6380 0,03753 | 31 5,10 4,40 1,1590 0,03761 Ac = 0,03723 « La sec-butilsuccinimmide è notevolmente più stabile della isopropile e precisamente, tra le due passa la medesima differenza che tra la propile normale e l’etile. Difatti: Etilsuccinimmide Ac = 0,08426 >N— CH.— CH; n Propil. = 7 >. 0050 00041 — eg Soa | Isopropil- ” 0,06781 ) >N— CH,T— CH, see Bag e, 0.09 009008 pi | CH; — 359 — « L'analogia tra queste due coppie d’'immidi risulta evidente anche dalle formole di struttura. CH, ca I ALE 13. Isobutilsuccinimmide | DA ZH CH CH, — CO NH « Non era conosciuta e fu da noi preparata come le precedenti. Fonde a 28° e bolle a 247-248° ad una pressione di 758 mm. « Un'analisi elementare diede i risultati seguenti: 0,2051 gr. di sostanza diedero 0,4664 gr. d'anidride carbonica e 0,1563 gr. d’acqua, equivalenti a 0,1272 gr. di carbonio e 0,01736 d'idrogeno. « Per cento | trovato calcolato per C8H,s0N C 62,01 61,90 H 8,41 8,41 « Le determinazioni fatte sono riunite in due serie aventi A differenti. = t ® A-2% a:A—- a Ac t to Aa a:àÀ—- Ae 4 1,25 7,88 0,2004 0,03965 12 2,88 6,25 0,4608 0,03840 6 1,73 7,40 0,2337 0,03895 14 3,18 5,95 0,5344 0,03817 8 2,18 6,95 0,3137 0,03921 16 3,59 5,60 0,6304 0,03940 10 2,55 6,58 0,3876 0,03876 18 Suo) 5,40 0,6907 0,03837 Ac = 0,03885 Ac = 9,50 t L AT ig gf Ac t % Ag gh @ Àe 4 1,80 8,20 0,1585 0,03962 | 13 3,23 6,27 0,5151 0,03962 5 1,55 7,95 0,1949 0,03898 | 14 DI 6,17 0,5396 0,03854 6 1,80 7,00 0,2338 0,03897 15 3,45 6,05 0,5702 0,03801 7 2,03 7,47 0,2718 0,03883 16 3,64 5,86 0,6212 0,03882 lo) 2,29 FO 0,3176 0,03970 17 8,75 DATO 0,6521 0,03836 O 28 70. 0828. 006090 | eee SR oe se 08) 0 097 9 4 0 030 0,03807 ini laiss sie © 004243 0,03857 | 20 4,210005,29 0,7964 — 0,03882 Ac = 0,03886 «“ Da questi numeri risulta che tra l’azione dei gruppi isomeri butile secondario e isobutile non esiste quasi nessuna differenza. « Aumentando ancora la grandezza del gruppo alcoolico, la stabilità au- menta di poco; come risulta dalle determinazioni fatte sulla Isoamilsucci- nimmide. ora ci 14. Isoamilsuccinimmide | >N Sio — CH CH « Questa pure non era conosciuta, fu preparata come le precedenti. È liquida e bolle a 261-262°. L'analisi ci diede i risultati seguenti: I 0,2148 gr. di sostanza diedero 0,5033 gr. di CO, e 0,1767 gr. di H,0 corrispondenti a 0,1372 gr. di carbonio e 0,0196 d’idrogeno. RenpICONTI. 1895, Vor. IV, 1° Sem. 47 — 356 —. II 0,2429 gr. di sostanza diedero 18,4 cc. d'azoto misurati a 26° e a 758 mm. corrispondenti a 0,02033 gr. d'azoto. « Per cento trovato calcolato per Cs H;; NO, C 63,87 63,87 III 9,12 8,90 N 8,37 8,30 « Le determinazioni sono riunite in due serie aventi A differenti: A= 9,15 xd A-a a:A- Ac t Ha Acca ask — Àc 0,90 8,25 0,1091 0,03636 | 14 3,03 6,12 0,4950 0,03535 1,57 7,58 0,2071 0,03451 | 15 3,10 6,05 0,5124 0,0353660 7,80 0,2554 0,03620 | 16 3,393 9,82 0,5722 0,03596 1,88 7,27 0,2586 0,03232 | 18 3,40 9,00 0,5913 0,03285 9 2,25 6,90 0,3261 0,03623 | 19 3,62 5,93 0,6546 0,03442 00 I Sì GI iu) (0.0) i 102,43 6,72 0,3616 ‘0008616 | 20 3,65 5500/6656 0/03328 ro e 5 08 9558 10 23550 io(60N (00;9864. MMi03220)) 195, (308 ig os 00070 SRI9 n 6200 0 0,4757 MM 0659) 30) 40 00 08 Ac = 0,03437 A = 9,50 t L A—-a q:Ah—- a Àe t 77 A-a sihT_- a Àc 3 0,85 8,65 0,0982 0,03275 | 10 2,35 7,15 0,3287 0,03287 4 1 1® 8,38 0,1337 0,03317 | 11 2,55 6,95 0,3668 0,03335 5 1,32 8,18 0,1614 0,03228 | 192 2,63 6,87 0,3828 0,03183 6 1,55 7,95 0,1949 0,03248 | 13 2,84 6,66 0,4264 0,03280 7 1,78 ToTO 0,2305 0,03292 | 14 2,98 6,52 0,4571 0,0.3265 8 LOS= 150 0,2633 0,03281 | 15 3,10 6,40 0,4844 0,03229 9 2,20 7,30 0,3014 0,03849 | 17 3,40 6,10 0,5575 0,03279 Ac= 0,03275 « Nell’altra nostra Nota abbiamo comunicato anche le misure fatte sulla p- toluilsuccinimmide, dalle quali risultava che l'introduzione del gruppo metilico nel fenile della fenilsuccinimmide abbassava la costante di velocità di circa la metà, ciò che significava che rendeva la catena più stabile. Fenil- succinimmide VATCIAZION, p- Toluil- ” al? « L'influenza protettrice dei gruppi alcoolici sulle catene chiuse risulta chiaramente anche da questo esempio. « Era ora interessante di ricercare la diversa influenza che il gruppo metilico esercitava a seconda della posizione da esso occupata nel residuo fe- nico. Questo confronto acquistava tanto più importanza, inquantochè è risul- tato, dagli studi V. Meyer e dei suoi scolari: Su//a elerificazione degli acidi aromatici, che i gruppi sostituenti il nucleo benzenico esercitano una evi- dente influenza sulla eterificazione del carbossile; tanto che l'introduzione di | | | | —EAE= — 357 — gruppi nel residuo fenico in determinate posizioni rispetto al carbossile, può impedire che avvenga la reazione a cui quest ultimo gruppo poteva prima partecipare. CH, — CO 15. 0- Toluilsuccinimmide | < CH, 000 di « Era stata preparata da Bechi (') e descritta come un corpo fondente a 75°. Noi l'abbiamo preparata partendo da o- Toluidina purissima, priva assolutamente di para. Il corpo ottenuto destillato ripetutamente bolliva a 339-340° sotto una pressione di 7506 mm., e fondeva a 101-102°. Una deter- minazione d'azoto confermò che il corpo da noi ottenuto era proprio una to- luilsuccinimmide. 0,02656 gr. di sostanza diedero 17,4 cc. d'azoto misurati a 14° e a 756 mm. corrispondenti a 0,02032 gr. d'azoto. « Per cento trovato calcolato per C,;H110:N N 7,65 7,42 « Le misure fatte diedero i risultati seguenti: A=9,13 t ba Ae Gi Ac t a Aa z:A_-@ Ac 4 7,08 2,05 3,453 0,8642 9 8,10 1,03 7,865 08759 6 7,65 1,47 5,205 0,8675 | 10 8,18 0,95 8,612 0,8612 o TI 6,180 0,8828 | 11 821 0,92 8,923 0,8111 8 7,93 1,20 6,609 0,8261 Ac = 0,8558 me 16. m- Toluilsuccinimmide | N 1% 5 CH, end « Non era conosciuta. Fu preparata secondo il metodo generale dato da Menschutkin (?) per le succinimmidi aromatiche. L'immide distilla tra 340-344° cristallizza dall'alcool metilico in prismi bianchi appiattiti che fondono a 111-112°. « Da una determinazione d'azoto risultò : 0,3945 gr. di sostanza diedero 25,1 cc. d'azoto misurati a 16° e a 759 mm. equivalenti a 0,02914 gr. d'azoto. « In 100 parti trovato cacolato per C,1H110:N NE SM009 7,42 (1) Berichte, XII, 25, 321. (2) Liebig* s Annalen, CLXII, 166. — 358 — « Le determinazioni fatte sono riassunte in questa serie : t 3 4 7,55 5 6 % A-@a 2:A- a Ac 7,23 1,90 3,805 1,268 1,58 4,777 1,194 7,81 1,32 5,917 1,183 7,91 1,22 6,483 1,081 { 1 Ac = 1,098 « Da queste determinazioni risulta adunque che l'influenza del gruppo metilico, nelle diverse toluilsuccinimmidi varia a seconda della posizione del gruppo metilico rispetto al punto dove è unito il residuo della succinimmide ; e precisamente, il composto orto è più stabile degli altri, ciò che del resto per analogia si doveva prevedere: x A 2 CA- x Àc 03 1,10 7,244. 1,035 12 1,01 8,041 1,005 ,22 0,91 9,035 1,004 31 0,82 10,14 1,014 S 0-31 orto toluilsuccinimmide Ac 0,8558 meta ” » 1,098 para ” LIL « L'influenza che esercitano i gruppi alcoolici sostituenti l'idrogeno del fenile della fenilsuccinimmide in rapporto colla loro posizione, risulterà più ancora evidente quando questi gruppi saranno più d'uno. Per dimostrarlo, uno di noi è ora occupato, insieme al Signor A. Lotti, a studiare la stabi- lità delle sei xililsuccinimmidi isomere. « Diremo ancora che da ricerche preliminari fatte da uno di noi, risulta che la posizione dei gruppi sostituenti nel nucleo benzenico esercita una no- tevole influenza anche su di altre reazioni; come ad esempio sul processo di acetilazione delle basi aromatiche e sulla velocità di decomposizione dei loro derivati acetilici. Su di queste ricerche verrà riferito quanto prima a questa Accademia ». Chimica. — Sopra l’Ipnoacetina (1). Nota del dott. G. VIGNOLO, presentata dal Socio CANNIZZARO. « Il metodo più semplice per la preparazione degli eteri del paramido- fenolo, consiste nel fare agire il paranitrofenolo allo stato di composto alca- lino con gli ioduri o bromuri dei radicali alcoolici che si desiderano eterifi- care. Ottenuto un etere del paranitrofenolo si passa facilmente, per riduzione, all'etere corrispondente del paramidofenolo, e, da questo, mediante azione dell'anidride o dell'a. acetico, al relativo composto acetilico. Partendo dal fatto che l’acetofenone bromurato o bromacetilbenzina CS H°.CO .CH?. Br può in certe condizioni comportarsi come un bromuro (') Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica Farmaceutica e Tossicologia della R. Università di Genova. "Leno — — 359 — alchilico (!) ossia come se fosse il bromuro dell'alcool benzoilcarbinol C6 H5.CO.CH?.0H, mi sono proposto di preparare l'acetofenonacetilpara- midofenoletere ovverosia il composto rappresentato dalla formola: LO. CH?. CO. CSHE Neo . CH? « I passaggi necessari per ottenere questa sostanza avrebbero dovuto es- sere i seguenti: per azione del paranitrofenolo in soluzione alcalina sull'ace- tofenone monobromato preparare l’acetofenonparanitrofenoletere; per riduzione passare all’acetofenonparamidofenoletere e da questo al composto acetilico. OK 0. 0E2. 0. 0* H° 06 H' + Br. CH?. 00. 06 H? — 6 H'KC EC NO? NO? 0. GE2. 00. 05 H° A: CE?. CO CH aL +3 He—=0*m< +2H°0 NO? \WE? .0. CH2. 00. C5H5 i CH?. CO. CH cs HK + CH?.C0.0H= C6H! + H20 \WH2 \N “or « Senonchè, atteso la natura del gruppo alcoolico, poteva prevedersi dif- ficile il passaggio dal nitrocomposto al composto amidico senza influenzare in qualche maniera il gruppo CO di natura chetonica. E difatti il Mihlau (?) il quale ottenne l’acetofenonparanitrofenoletere, già aveva constatato che ope- randone la riduzione con a. cloridrico e stagno non si ottiene già il com- posto amidico, ma solo dei prodotti di decomposizione, tra i quali acetofenone o ipnone e paramidofenolo. « Atteso quindi l'impossibilità di preparare l'acetofenonparamidofenole- tere con questo mezzo, tentai di ottenerlo facendo reagire in condizioni di- verse il paramidofenolo in soluzione potassica coll’acetofenone monobromato, partendo dal fatto che sebbene gli amidofenoli non formino sali cogli al- cali, pure si sciolgono in essi senza decomposizione, e che sostanze ana- loghe possono essere p«eparate per analoga reazione. Infatti tra i metodi che o ORA6E possono fornire la fenetidina C5 Coe è indicata la reazione del pa- NH? ramidofenolo in soluzione alcalina sopra un eccesso di bromuro di etile. (!) V. Berichte der Deutschen Chemischen Gesellschaft, 1882, 2497. (2) V. Berichte der Deutschen Chemischen Gesellschaft, 1882, 2497. = 9R028 Ma tutte le prove dirette in questo senso, e tutte le altre che furono ten- tate, non poterono sortire alcun effetto. « Nondimeno, mediante un metodo speciale, che descriverò più tardi, mi venne dato di ottenere il composto acetilico dell’acetofenonparamidofenolo, composto nel quale l'idrogeno dell’ossidrile fenico è sostituito dal radicale dell’acetofenone monobromato o bromacetilbenzina. Questa sostanza rappre- senta l’acetofenonacetilparamidofenoletere, la composizione del quale è espressa dalla formola: O. CH. CO . Cs H3 cH SH N CO . CH? « Il prodotto puro, cristallizzato e disseccato nel vuoto, diede i seguenti risultati all'analisi: gr. 0,2309 diedero gr. 0,1243 di acqua e gr. 0,6046 di a. carbonica gr. 0,3002 diedero gr. 0,1580 di acqua e gr. 0,7891 di a. carbonica gr. 0,3209 diedero gr. 0,1694 di acqua e gr. 0,8405 di a. carbonica gr. 0,3594 diedero cc. 16,5 di azoto a T. 26°,4, P. 763,3 corrispondenti a cc. 14,86 a T. 0° e P. 760, ed in peso a gr. 0,01809 gr. 0,3547 diedero cc. 16,8 di azoto a T. 27°,4 e P. 763,3 corrispondenti a cc. 14,61 a T. 0° e P. 760 ed in peso a gr. 0,0183819 Donde : trovato °% media calcolato °/ per C16 H15 N03 CRIARI 67 171,43 71,50 71,97 Hi 5,98. 5,84 5,86 5,99 0,97 N 5,04 5,16 5,10 9,20 « L'acetofenonacetilparamidofenoletere cristallizza in laminette traspa- renti, sottili, di splendore madreperlaceo, leggermente untuose al tatto. Al microscopio si presenta sotto forma di esagoni irregolari, isolati. Nelle forme più numerose, due lati opposti sono molto più sviluppati dei rimanenti. Non contiene acqua di cristallizzazione. Infatti gr. 0,2309 di sostanza disseccati a 100° per un'ora, non subirono che una perdita in peso di gr. 0,0008, e, per successivo riscaldamento di mezz'ora a 110°, la perdita totale in peso non aumentò che a gr. 0,0009. Fonde intorno a 160° con decomposizione in un liquido giallo-bruno. È quasi insolubile nell’acqua e nell’etere, a freddo ed a caldo; pochissimo solubile nel cloroformio, solfuro di carbonio e benzolo. È notevolmente solubile nell'etere acetico e specialmente a caldo tanto nel- l'alcool ad 85° che in quello assoluto. « A questa sostanza venne dato il nome di Ipnoacetina. Amministrata — 361 — alla dose di gr. 0,20 a 0,25, manifesta nell'uomo azione ipnotica ed antiter- mica, ossia l’azione combinata dell'acetofenone o ipnone e dell’amidofenolo. Nella Clinica di questa Università, diretta dal prof. E. Maragliano, sì stanno attualmente continuando le esperienze sopra gli effetti di questa sostanza, e sull'esito delle medesime riferirò in un'altra Nota ». RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI nz Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 5 maggio 1895. F. BrioscHI Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sopra una trasformazione delle forme bi- narie e degli integrali corrispondenti. Nota del Socio BRIOSCHI. < 1°. È nota da vari anni pei lavori dei Sigg. Weierstrass e Hermite, quella trasformazione della forma binaria biquadratica e del corrispondente integrale elittico, la quale modificava essenzialmente la teoria delle fun- zioni elittiche. Ma i metodi adottati dai due eminenti geometri sopra no- minati, e da altri che successivamente si occuparono dello stesso argomento, per giungere a quella trasformazione, avendo di mira il problema speciale, non si prestano a generalizzazione. « Nel breve scritto che oggi presento all'Accademia espongo un metodo di trasformazione pel quale l’accennata limitazione più non esiste, ed il caso della forma biquadratica rientra in quello di una forma binaria qualsivoglia d'ordine pari. Le linee generali di questo metodo trovansi già in una mia comunicazione all'Accademia delle Scienze dell'Istituto di Francia di molti anni ora sono (!), ma in allora le mie ricerche erano più specialmente rivolte alle forme ternarie e perciò non mi occupai delle binarie che incidentalmente. «Indicando con /(Y1;%:) una forma binaria dell'ordine n pari, e ponendo: f(yier— face, ya + fa 6) = f(1 52) (Co Godi . Cn) (21, 82)" 1 . SR nella quale 1 = e) = L dia coefficienti @,, @1,..- «n della trasfor- n dy n dys maia sono, come è noto, covarianti della /(Y, Ys), e precisamente se con h, k, A,... t, g,... si rappresentano i covarianti : (*) Comptes Rendus de l’Académie des sciences. Séance du 6 Avril 1863. RenpICcONTI. 1895, Vor. IV, 1° Sem. 48 — 364 — h= 3 h=3 Mo A= 3a = 2093... SONO : (1) ol, ,=0, oh, ast a,—f%k_ 3 as=f°g—2hMt as=f‘A—15f?hk+45k-+-10#,... valori che già trovansi nella teoria delle forme di Clebsch e Gordan. « Sia 4(Y1,%2) un covariante di f(Y1,Y=) dell'ordine m; e posto: Ig ldgy i i a si consideri la seconda trasformazione: (2) fer Par, Yak Ye) = (Ao Ar; An) (61,69). I coefficienti A,, A;,... A, sono essi pure covariati dalla forma /, e si hanno: Ao=f, A=— (9) mentre i valori degli altri coefficienti A, , A3,...A,, si deducono dalla for- mola generale : (3) ja A, (2° (2) 14). Cn) (Ai D) 9) nella quale @,@,... hanno i valori superiori. « 2°. Consideriamo i due casi di n= 4, n=6 e tanto per l'uno che per l’altro caso supponiamo che il covariante g sia eguale ad 7%, e quindi i SE 1 È È m=-4 nel primo di essi, 2 =8 nell’altro; ed A, Tuoi nel due casi. Per n == 4 saranno: Ko = 1 , o, == 0 , ee, af, e, gf 31 essendo X = 9» l'invariante di secondo grado della hiquadratica, e si ha la nota relazione: + 4h = gohf? — gsf3 e per essa dalla formola (3) si deducono i valori: 1 Il 1 Ag al (deh — gf) A3 =— gl (gh gsf), A,=ggh? + 16/(9h_-93P). Ora i valori stessi nella ipotesi che /(y,y:)=0 diventano: Age=0 A=—;0 A, 0h A=—ggai, A=gle=—igl e ponendo in luogo di e, la espressione = a, la trasformata (2) conduce alla Ig 1 (Ao; A; OOO A.) 6 h 1 9 c) == 4 EZ5 (42,8 ST Go8182” a Y3628) . cai SITI AE — 365 — SS « Passiamo al caso di n= 6. I valori @,,@,...% SOn0 dati dalle (1) ed A è in questo caso l’invariante quadratico. È noto che le forme del sesto ordine hanno 26 covarianti ed invarianti, fra i quali sussistono 20 relazioni indipendenti o sigizie. Posto: i=3 (#0, p= (fl, L= (i, m= (0h, n= (100), indicando con B, C gli invarianti quadratico e cubico del covariante %, cioè gli invarianti di quarto e di sesto grado di /, e cn D= 5 (mm), l inva- riante del decimo grado, igfierna fra quelle sigizie la: epar=s*[ +i1— ("8 | e le 43 —3p> + 12hi= f[k—fB] AH — GBA G4i+3pl=3 fm 16 è? +7 Tl + 2Aki — 120h= fn per le quali e per altre che si trovano nei lavori dei Sigg. Stephanos, Stroh ed altri, si hanno pei coefficienti A,, A, . .. nella ipotesi di /(%, ya) =0 i seguenti valori: I È Il de: ARTO FANZAR ivi ; Age = Ai li _L pay(2 ge RE (00 ) As= i e(z4 al). As=l (Gute ed essendo nella data ipotesi 2 + 44° =0 si giunge alla: i 6 AA A)(a) = 2h Le a ale 8a (621° — 9241882? — G381°828 — guerta! — 9562 essendo : & D SI i Ep gard: Ge Dgp 5 RESTA E ni an di ed in conseguenza: 5 1:82 Egli p__ 90 boo Ora, siccome dalle rammentate sigizie, sempre nella ipotesi di /(y1, 2) = 0, si hanno le: 4BR= % (1 S È e) Al : Ahk® + 2phl 1 fill Il 5) 5 dea 2 —_ /n3 i 2 = /3 Si 2]2 1208 — (1 SE) +3 ase(s 3) +e Delle te) 4 6 3 3 Il 1 1 | Spa È 2 — Oa E 2 h° m 3 Bp n (1 gf ) g ARI essendo : 1 2 hem= p (1 ma e) + 3 hl (Ap + 40) sì giunge al seguente teorema: I quattro invarianti A, B, C, D della forma binaria del sesto ordine f(y:,y:) sono funzioni intiere e razionali dei quattro coefficienti ga, 93, da Ys- « 3°. Indicando con 0 un fattore di proporzionalità, e posto: (4) - QX=Y&—YP282, 0%2=Y2 84 P1 82 sì avrà per la (2) che: (5) OI) = (ARIE e siccome per la stessa definizione di invariante, indicando con w un inva- riante di grado w della forma f(@1,%2), si ha: nm PRI essendo lo stesso invariante formato colle Ag, A;..., vedesi tosto come il teorema precedente debba estendersi a forme d'ordine superiore. « (SUpponendogeome sopra /0, ghz io dulo 2h 1 della trasformazione diventa {4Î , e quindi: 3 m ha — Wp, 5 )o Ù « Ma per m==2, 4, 6, 10, si deducono da quest'ultima : t4 2 t4 4 (Aa (Arr. 4° ha è 4° he «i — 367 — per ciò indicando con F (61, 2,) il polinomio: (6) F (61; <2) = sa (660 — Ga818828 — G381°88 — Quito! — Y582°) si avrà che gli invarianti della forma fix, 3) saranno eguali agli invarianti della forma F (21, <2), col segno cambiato nei casi di m= 2,6, 10. Si ot- tengono in tal modo le: 1 I 1 1 21 Az gli e pi e a e così via; come dalle sigizie sopra indicate. « Dalle relazioni (4) si deduce la: o? (c3de, — di deo) = g (cda — 21482) . È t } È « Pel caso di n= 4, posto, come sopra, g = h e STR in luogo di «1, sì ha: coder I dico LA 25421 — 2422 V(far, ca) x VE: 82) essendo F (1, 42) = 22 (481° — Ga8182? — Y3628); cioè la nota trasformazione dell’integrale elittico. É « Pel caso din=6, posto gp= 4, — 2 in luogo div, si giunge alla : 2ht DAI (ced, (CEE dts) DE (az se B23) sodz,— 81482 Vi(a. , 2) VE (213 82) La et = dro) it (và: dl: dz») zad8, —&1082 Vi(&, 42) VE (21, 82) nelle quali F (6; ,<») ha il valore (6) ed a=1, r= tè, pa ho, d=2 L hi hs hs / î « 4°. Supponiamo ora che /(Y1;%=) non sia eguale a zero. Dalla equa- zione (5), rammentando la proprietà dei covarianti A,, Az... (equaz. 2.8. 1°), si deduce la: o" f"> fn nt) = VACIACIOIO > c @a) (IO posto: a far DA P ed f in luogo di /(Y1;%a). 368 — « Suppongo che le <1,42,g abbiano i seguenti valori : 1 I AGIO So =%, g=fy-+ e quindi mei sarà: 3 ST _2/y+% « Sia 2=4, si avrà dalla superiore: e*f*f(21, 2) = (4 + Mt (XK + 60 X° + 4X + gof— 308). « Pongasi infine: y=»@), =y@, 7-10) sarà, come è noto: po) f? e quindi: E 10-10 e eg « Ma (1) g°=12p°(0) — 2p"(0) II Ei P'(u) Se p(0) 5 : PO = ot (010) e+9 20] 1 p(@) —p(0) 7? LETO] +0) +10) +10) e per queste note relazioni si giungerà alla: ef 4)=fL-0] bW-10+9] la quale equivale alla seguente (?): elia = | 00+ Pv W+ vd) ]. « Notisi che essendo nel caso generale: om=3/"2 1 ((y +), e23= 3/14 (y +6) (1) Halphen, 7raité des fonctions elliptiques. Première partie, pag. 120. (*) Klein, Weber hyperellitische Sigmafunctionen, Math. Annalen, Bd. XXVII, pag. 458, trovasi questa stessa formola ma l’ultimo termine del secondo membro non è esatto. — 369 — si ha supponendo < funzione di y: da day 3 e (ala) +7 dalla quale, pel valore di X, @ la: 4 . o (c.da — &1d%3) = Cu tb gx. f « Se n= 4 si ha per una nota formola: L =" [1@0- »@+0] e per essa siamo ricondotti alla: coda, — ddt, _ Vf: 2) Astronomia. — Sulla distribuzione în latitudine dei fenomeni solari osservati al R. Osservatorio del Collegio romano nel 1° tri- mestre del 1895. Nota del Socio P. TACCHINI. « Come fu dichiarato nella mia precedente Nota il numero dei giorni di osservazione fu per le protuberanze di 40 e di 57 per le facole e macchie. Ecco i risultati ottenuti per la frequenza nelle diverse zone in ciascun emi- sfero del sole : dl 1° trimestre 1895. III MISTI, _—____m_—m—_m—___—_—____—__m === r_——eee:;e»:55> © $ È "= -_-_OI TO-°|6@ ‘*°‘°9°0‘°{1@------- Latitudine | Protuberanze Facole | Macchie [0] 0 90-+ 80 | 0,000 80+ 70 | 0,000 70+- 60 | 0,005 60+-50 | 0,009 50+40 | 0,009) 0,505 | 0,000 40+30 | 0,054 0,006 | 30+20 | 0,116 0,055) 0,423 | 0,056 20+-10 | 0,138 0,178 \ 0,296 \ 0,465 TOMERIONN MONZA 0,184 0,113 0— 10 | 0,089 0,184 0,188 10-20 | 0,125 0,221 | 0,253 ) 0,535 205 008 MONTA] 0,123 > 0,577 | 0,099) 30—40 | 0,049 0,043 i 40—50 | 0,094) 9;495 | 0,006 50— 60 | 0,022 60— 70 | 0,000 70-80 | 0,005 80-90 | 0,000 = GU) « In questo primo trimestre del 1895 la frequenza delle protuberanze è risultata per zone pressochè eguali nei due emisferi. Le protuberanze fu- rono sempre abbastanza frequenti al nord fra l’equatore e +30 gradi e al sud dell’equatore fino a —50 gradi. « Le facole continuarono a presentare una maggiore frequenza nelle zone australi, e il massimo di frequenza avvenne nella zona (—-10°—20°) come nel precedente trimestre. « Le facole furono sempre molto frequenti dall'equatore a + 20° e — 30° come nell'ultimo trimestre del 1894. « La frequenza delle macchie è maggiore nelle zone australi come nel precedente trimestre, con due massimi di frequenza nelle zone + 10°= 20°. « Nessuna eruzione metallica, propriamente detta, fu osservata in questo periodo, e solo nel 23 febbraio fra + 23° e --13°, bordo ovest, furono ve- dute invertite le 2, 9» e la 1474. K. Molte volte invece fu osservata vivis- sima la D3 in protuberanze e attorno a macchie. Noteremo in fine, che in tutte le macchie osservate al nascere o tramontare si riscontrò calma, cioè man- canza di fenomeni eruttivi e di protuberanze ». Astronomia. — Osservazioni del pianeta (306) Unitas in IV® opposizione. Nota del Corrispondente E. MiLLosEvICcH. Nella seduta del 3 marzo 1895 ebbi l'onore di presentare all'Acca- demia gli elementi ellittici di (306) Unitas, osculanti in IV® opposizione, tenuto conto delle perturbazioni per Giove e Saturno. « Il pianeta fu da me ritrovato senza pena all’equatoriale di 25°" di apertura, e lo osservai il 30 marzo e il 4 aprile. Le correzioni all'effemeride, che ho pubblicato nel Giornale « Die astronomische Nachrichten » sono le seguenti : R 1895 marzo 30 4e(0—C)—13512 = 4046455 1895 aprile 4 3545 LC « L'opposizione è favorevolissima alla correzione degli elementi, dacchè il pianeta viene vicino alla terra; ed in verità gli elementi fondamentali sono di già assai vicini al vero, soltanto u domanderà una correzione un po’ forte di circa —0”,1, Lo circa +30", 7 circa —200”. Queste correzioni sono soltanto provvisorie. « Le correzioni definitive verranno fatte dopo trascorso tutto il periodo utilmente osservabile ». — 371 — Meccanica. — Sul moto permanente d'un gas perfetto în un tubo, e del suo efflusso. Memoria del Corrispondente G. B. FAVERO. Questo lavoro sarà pubblicato nei volumi delle Memorie. Astronomia. — Sopra l'orbita definitiva della Cometa IV, 1 890. Nota di T. Zona, presentata dal Socio TACCHINI. Geodesia. — L'attrazione locale nella Specola geodetica di S. Pietro în Vincoli in Roma. Nota di V. REINA, presentata dal Socio CREMONA. Matematica. — Sopra una certa classe speciale di super- ficie. Nota di C. Fip, presentata dal Socio DINI. Le precedenti Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Fisica. — Formazione della cuprite nella elettrolisi del sol- fato di rame. Nota del dott. Quirino MAJORANA (°), presentata dal Socio BLASERNA. “ È già conosciuto che, quando si assoggetta all’azione della corrente elet- trica del solfato di rame sciolto nell'acqua, devonsi osservare speciali condi- zioni perchè si abbia un netto deposito di rame metallico. « Oltre alla più o meno grande quantità di solfato di rame contenuta in un dato volume di acqua, ed all’acido solforico che può trovarsi libero in seno alla soluzione, ha segnatamente influenza sul risultato dell’elettrolisi la densità della corrente. Se questa è troppo grande, si produce un deposito poco aderente di rame metallico, se troppo debole, si dà luogo a reazioni secon- darie che hanno come prodotto finale del rame combinato. « Generalmente però quest’ ultimo fatto, sebbene venga osservato da chi- unque si accinga a studiare l’elettrolisi di quel sale, non è stato oggetto di ricerche speciali, anzi si cerca per solito di schivare che avvenga. (1) Lavoro eseguito nel R. Istituto fisico della Università di Roma. RenpIconTI. 1895, Vol. 1V, 1° Sem. 49 — 372 — « È però notevole che in determinate condizioni il rame si depone sulla lamina negativa del voltametro allo stato di cuprite Cu? 0, e questo deposito osservato al microscopio si scinde in minutissimi cristalli ottaedrici di un bel rosso-rubino. «Il sig. Brown (!), americano, aveva osservato dei cristalli di cuprite di considerevoli dimensioni che si erano formati sul rame di certe pile Callaud abbandonate a loro stesse per due o tre mesi. Questo fatto venne spiegato dall'autore con l’ammettere una lenta azione elettrolitica. « Più tardi il sig. Chassy (?) sottoponendo a caldo all’azione della cor- rente elettrica una soluzione di solfato di rame, otteneva il deposito minu- tamente cristallino di cui ho detto dianzi. Egli osservava che il deposito di cuprite si formava tanto più facilmente quanto più alta era la temperatura, e che alla temperatura ordinaria non era più possibile ottenerlo. Ho attri- buito quest’ultima asserzione al fatto di avere il sig. Chassy adoperato delle correnti elettriche i cui valori non erano inferiori ad un centesimo di am- père per centimetro quadrato di elettrodo. Ed infatti ho potuto ottenere lo stesso deposito alla temperatura ordinaria servendomi di correnti molto meno dense. « Noto anzitutto che la formazione della cuprite non è affatto dovuta ad ossigeno libero contenuto nella soluzione, poichè essa avviene anche se questa è stata ripetutamente bollita. Questo fatto del resto era già stato osser- vato dallo stesso Chassy. * x x « Il solfato di rame da me adoperato era quello del commercio ricri- stallizzato tre volte. Due voltametri in serie, contenenti soluzione di questo sale, satura alla temperatura ambiente nell’uno, ed alquanto più diluita e leggermente acidata da acido solforico nell'altro, erano sottoposti all’azione della corrente elettrica di due accumulatori genere Plantè. Nel circuito era pure inserita una cassetta di alte resistenze, ed una bussola del Wiedemann destinata ad osservare la costanza della corrente. « Il voltametro a soluzione satura era formato da due lastrine di pla- tino che presentavano una superficie di 12 centimetri quadrati per faccia, immerse in un vaso della capacità di 350 centimetri cubici. Quello a solu- zione acidata, invece che con le lastre di platino, era formato con fili del medesimo metallo. È stato adoperato questo artificio al fine di avere nel voltametro acidato a parità di superficie di elettrodi, una maggiere densità di corrente. Con ciò in tutti i casi in cui si è sperimentato si è ottenuto nel voltametro a soluzione satura del rame, e corrispondentemente cuprite od anche rame nell'altro. (1) American Journal of sciences V. 32, pag. 377-80. (2) Comptes rendus de l’Académie des sciences, CXIX, pag. 271. — 373 — « La temperatura in un primo periodo di esperienze è variata dai 13 ai 16 gradi centigradi. Si è cominciato ad introdurre nel circuito una resi- stenza di circa 2000 ohm, e successivamente la si è fatta decrescere sino a circa 250. In queste condizioni la densità della corrente per centimetro quadrato di elettrodo è variata da un diecimillesimo ad un millesimo circa di ampère. Tali valori furono calcolati in base al peso del rame che si de- poneva nel voltametro @ soluzione acida. « Per ogni esperienza veniva cambiata accuratamente la soluzione di solfato di rame del voltametro a soluzione satura, poichè fu sempre osser- vato che quando, sotto l’azione di una data intensità di corrente e durante un certo intervallo di tempo, la soluzione aveva abbandonato un determinato peso di cuprite, qualora si fosse continuata l’elettrolisi, si sarebbe ottenuto successivamente del rame libero. « Ho spiegato questo fatto con l'ammettere che siccome la produzione delle cuprite a somiglianza di quella del semplice rame dà luogo a forma- zione di acido solforico libero, questo rimane nella soluzione, ed impedisce l'ulteriore deposito di cuprite. E quindi per ogni intensità di corrente l'espe- rienza ha durato sino all'istante in cui, cessando la formazione della cuprite, cominciava. quella del rame. } « Ho determinato la quantità di acido solforico, che è restata libera in ogni esperimento nella soluzione, dal peso della cuprite, perchè è certo che ad ogni molecola di cuprite corrispondono due di acido solforico. Avendo quest’ultimo un peso molecolare di 97,82, e quella di 142,3, alla formazione di un'unità in peso di cuprite corrispondono 1,87 di acido solforico. « Nella seguente tabella, oltre ai dati medii di parecchie esperienze, figu- rano nell'ultima colonna le percentuali di acido solforico, ottenute in base alla conoscenza di tale rapporto, contenute nel liquido alla fine di ciascuna esperienza : Voltamero a soluzione Tempo dopo cui Acido solfor. | Rapporto tra il E comincia a for- Miliamp. contenuto peso del liquido acida satura marsi il rame per cmq. nella soluz. e quello peso delrame| peso della (mg) dell’H2S04 | (mg) cuprite (mg) ore minuti 920 973 179 30 0.181 1340 0.004 | 511 547 47. 15 0.382 749 0.0021 | ‘60 65 15 0.512 89 0.0002 | 80 38 Il 10 0.923. | 52 0.0001 « Le ultime tre colonne di questa tabella sono state dedotte dalle pre- cedenti. Si vede dunque che con l'aumentare dell'intensità della corrente elet- trica, decresce la percentuale di acido solforico che è per così dire tollerata — gra dalla formazione della cuprite. Se avessi esperimentato con intensità di cor- rente ancora maggiori, sarebbero bastati degli intervalli di tempo ancora mi- nori, per cominciare a formarsi del rame. * x * « Il deposito di cuprite era formato da piccoli cristalli di color rosso rubino. Le loro dimensioni erano tanto più grandi quanto più debole era l'intensità della corrente elettrica. Quando questa raggiungeva un millesimo di ampère circa per centimetro quadrato, la dimensione media dei cristalli microscopici era di circa */so di millimetro. Questa grandezza arrivava sino ad !/>, per un'intensità di 0,00018 amp. Probabilmente dunque se avessi operato con delle correnti di minori intensità, si sarebbero ottenuti cristalli ancora maggiori. « Questo fatto coincide con quello trovato dal Brown, e precedentemente citato, il quale aveva osservato dei cristalli di considerevoli dimensioni in certe sue pile. In quel caso una debolissima corrente aveva operato la decom- posizione del solfato di rame. « Ho fatto osservare che per qualsiasi intensità di corrente tra quelle da me adoperate, dopo un tempo più o meno lungo, alla formazione della cu- prite succedeva quella del rame libero. Questo cominciava a presentarsi fram- misto ai cristallini di cuprite col suo colore caratteristico. Anzi, se la corrente era abbastanza debole, potevano ottenersi cristalli ben definiti di quel me- tallo. Con delle intensità di 0,18 miliampere di corrente per centimetro qua- drato, i cristallini di rame cominciavano a formarsi quando nel liquido esì- steva il 0,004 di acido solforico. Essi erano nitidissimi al microscopio, presentandosi sotto forma di ottaedri ben delineati della dimensione media di 1/15 di millimetro. DIR « Un secondo periodo di esperienze da me fatte ha compreso l’elettro- lisi del solfato di rame a caldo. La soluzione è stata saturata alla tempe- ratura ambiente di 15° centigradi e rimanendo con tale titolo è stata riscaldata. Ho operato alla temperatura di 74°. Il voltametro era automaticamente ri- fornito di acqua, in guisa da non alterare la percentuale di solfato di rame contenutavi. Un secondo voltametro unito in serie col primo e di minori di- mensioni, dovendo fornire, in corrispondenza della cuprite del primo, l'indi- cazione del peso di rame libero, era tenuto a freddo. « Come già aveva trovato Chassy, quando l’elettrolisi è avvenuta a caldo ho ottenuto cuprite invece del rame, anche con intensità di corrente molto maggiori di quelle con cui ho lavorato a freddo. Ed infatti anche '/100 di ampère per cm. q. a 74° dava deposito di cuprite. % x Y « È notevole, nelle varie condizioni di esperimento, la differenza tra i pesi della cuprite in uno dei voltametri e del rame nell'altro. Dalla tabella — 3795 — precedente sì osserva che quando il voltametro era tenuto alla temperatura ambiente di circa 15 gradi, è stato sempre maggiore il peso della cuprite. « Se si fa il calcolo dei varî pesi di cuprite che si otterrebbero com- binando il rame del voltametro a soluzione acida con la corrispondente quan- tità di ossigeno, si ottiene A B C 5 È Be peso rame peso cuprite peso cuprite Ci voltam. acido voltam. saturo calcolato da A 920 978 1036 0,94 5 547 575 0,95 60 65 68 0,96 30 38 84 1,12 « Nel secondo periodo di esperienze ho osservato che alzando la tempe- È È 3 i B ratura della soluzione di solfato di rame, il rapporto = andava continuamente C aumentando; e che a 74° diveniva 1,27 in media. Chassy alla temperatura ancora superiore di 100° aveva trovato il valore 1,35. X SAC « Dai precedenti risultati si vede che il lavorio della corrente, a parità di quantità di elettricità può, quando si esperimenta 2 caldo separare dalla soluzione di solfato di rame un peso di rame ossidato superiore a quello del rame libero. Ora, a priori, dovrebbe essere il peso del primo doppio di quello del secondo; ma l’esperienza dimostra invece che anzichè ottenersi il valore 2 per rapporto di quei pesi, si ottengono dei valori i quali partendo da 0,95 alla temperatura ordinaria, arrivano solo sino a 1,35 a 100°. Sorge dunque spontanea l’idea che la cuprite che si forma sotto l’azione della corrente elet- trica non arriva al peso voluto dalla precedente ipotesi, perchè, per una rea- zione estranea al lavorio della corrente elettrica, si ridiscioglie in parte ap- pena formatasi nell’acido solforico contenuto nel liquido. < E tale reazione secondaria avviene tanto più facilmente, quanto più lento è il depositarsi di quell'ossido ; per cui resta anche spiegato come quando V’elettrolisi è stata fatta a caldo, ed essendo state adoperate densità di cor- rente più grandi, sì sieno ottenuti valori crescenti di quel rapporto. o « Da queste ricerche posso pertanto concludere che quando si studia l’elettrolisi del solfato di rame, anche se si lavora con intensità debolissime di corrente, se vuolsi evitare la formazione della cuprite basta una lievissima aggiunta di acido solforico, come si può più precisamente rilevare dalle cifre precedentemente riportate ». Fisica terrestre. — Sé terremoti giapponesi del 22 marzo 1894. Nota di G. GraBLOVITZ, presentata dal Socio TACCHINI. « In una mia precedente Nota (!) esposi i dati delle osservazioni sulle quali basai l'apprezzamento della provenienza delle ondulazioni sismiche avvertite in Italia il 22 marzo 1894, senza peraltro conoscere ancora in dettaglio le circostanze che i fenomeni sismici avevano presentate nel Giappone, luogo della loro origine, nonchè altrove. « Ora, avendo ottenuto dalla cortesia dell’ill.mo Sig. Direttore del R. Ufficio Centrale il materiale d’altre località, mi trovo in grado di esporre nuovi particolari a conferma di quanto allora esposi. « Le mie prime indagini riguardanti la ricerca dell’epicentro ebbero per base i moti oscillatorî in cui vennero sorprese le livelle geodinamiche a 12% 22% del detto giorno, e chiunque abbia letto la mia Nota non può non essere rimasto colpito della soddisfacentissima determinazione dell’azimut da cui provennero le onde, fatta in base ai dati delle osservazioni qui eseguite e, senza la possibilità di un'idea preconcetta, immediatamente comunicati al R. Ufficio Centrale. Questo dato, insieme ad altre considerazioni esposte nella Nota stessa, mi rivelò subito la vera provenienza del terremoto. Infatti dalle informazioni del prof. Milne facenti parte del detto materiale, risulta che la maggior scossa ebbe centro a 48° N. e 136° Est Greenwich, punto che s'allon- tana di soli 30 chilometri dal circolo massimo da me calcolato in base alla sola osservazione delle livelle. « Per ciò che riguardava la distanza dell’epicentro io, prendendo per base la velocità di 300 chilometri al minuto per le onde longitudinali e quella di 150 per le #rasversa/i, ottenni come risultato 9300 chil., mentre il punto designato dal prof. Milne, come epicentro dista circa 9400 chil. dal centro della nostra penisola. « Riguardo all'istante, non avendosi altra notizia che quella della grande scossa delle 7,28 pom. di tempo locale, ch'io credetti espresse in t. m. di Tokio, trovai soddisfacente l’accordo, ma invece ora dal diagramma stesso di Tokio rilevo in testa alla copia cianografata la seguente scritta: Earthquake « March 22, 1894. 7h 27% 495 p. m. (Tokio time) Record made ‘at the Uni- « versity of Tokio. Tokio time is for Long. 135° E. or 9 hours before G. M. T.», la quale mentre rivela l'origine del primo equivoco, toglie ogni dubbio sul meridiano cui il dato si riferisce. (1) Sulle indicazioni strumentali del terremoto giapponese del 22 marzo 1894. Ren- diconti della R. Accademia dei Lincei, vol. III, 2° sem., pag. 61. — 377 — « La scossa più forte avvenne dunque nel Giappone ad 11° 27" 495 M.E.C. Questa fu preceduta da una scossa più leggiera a 11" 71 195 e seguita da altra pure debole a 11° 48® 53° M.E.0. « Da tale equivoco riguardante l'istante il signor dott. Agamennone trae argomento per mettere in dubbio in una sua Nota (!) la verità della coinci- denza riscontrata dal dott. Cancani (°) e da me, tra l'istante in cui avvenne realmente il terremoto nel Giappone e quello dedotto in base alla teoria delle due forme d'onda sulle osservazioni fatte in Italia. Ora debbo osservare che il movimento iniziale secondo le relazioni pubblicate nel supplemento N. 103 del bollettino del R. Ufficio Centrale, giunse nella nostra penisola pressochè contemporaneamente, cioè a Rocca di Papa a 11° 37" 0° a Siena a 11° 37% 115 ed a Roma a 11° 37" 20°. La distanza tra questi luoghi è trascurabile rispetto al Giappone, tanto più che essi (ed Ischia pure) si allineano quasi sulla normale di quella direzione e perciò credo che adottando il valore di 11° 37" 10$ = 105 rimango entro i limiti assoluti del vero. « Se questo primo impulso fosse dovuto alla seconda scossa del Giappone, converrebbe ammettere che l'urto sismico avesse percorso in 9" 285 la distanza di oltre 9000 chilometri, ossia 1000 chilometri al minuto primo, velocità che non è verosimile. Per questo solo motivo io attribuirei il primo urto alla prima scossa. « Il secondo periodo, composto pure di tremiti, sarebbe cominciato, sempre a tenore delle suddette relazioni, a Rocca di Papa ad 11° 48" 0°, a Siena ad 112 47 475 ed a Roma ad 11° 47" 05, cioè ad 11% 47% 30° + 305 e questo urto può attribuirsi alla seconda scossa. Che l'intervallo non sia uguale @ quello di Tokio, non è circostanza che distrugger possa il concetto della distinzione tra le due qualità d'onde, ed a spiegarla si può ammettere che la seconda scossa, la più forte e della durata di 10 minuti, obbedendo ad im- pulsi più violenti sia giunta con relativa anticipazione. L'A. esigerebbe che questi due impulsi fossero stati avvertiti dall'uomo per dichiararli longitudinali, ma io di ciò non sento il bisogno e non tengo conto che dei dati strumentali, i quali mi dimostrano la grande differenza di fisionomia tra il loro tipo e quello delle onde lente; certamente dopo un percorso di 9000 chilometri non si può sperare di trovarvi quella rapidissima successione di urti bruschi che si sarà osservata all’epicentro e nemmeno l’ immediata estinzione, non con- sentita dalla durata di parecchi minuti che hanno d'ordinario i terremoti nel Giappone. « Riguardo alle successive onde lunghe, i dati che ho a mia disposizione s'accordano pure abbastanza bene. Il Cancani a Rocca di Papa riscontra il (1) Sulla variazione della velocità di propagazione dei terremoti ecc. R.A.L. vol. III, 2° sem., pag. 402. (®) Sugli strumenti più adatti allo studio delle grandi ondulazioni provenienti da centri sismici lontani. R. A. L. vol. III, 1° sem., pag. dol. — 378 — principio a 12% 8" ed io sulla fede delle mie osservazioni devo ritenerlo vero perchè le livelle osservate poco prima del mezzodì vero (12% 11 185t.m. M.E.C.) erano state trovate in quiete perfetta e quel «poco prima» sottintende 3 o 4 minuti, per cui tornano 12° 8" come limite dell’ assenza di ondula- zioni capaci di perturbare le sensibilissime livelle. A Siena le oscillazioni ampie sinusoidali intervengono a 12° 7® 285 e riguardo a Roma, il diagramma da me attentamente consultato non ismentisce tale istante che si può consi- derare compreso fra 12% 7" e 12% 8m. Questa fase che si protrae alquanto, va, si può dire, a sovrapporsi all'ultima ch'è la più grandiosa; questa si verifica dovunque tra le 12% 18" e le 12% 23" e si può ritenere che il suo ingresso (12° 18" 235 nel nitidissimo diagramma di Rocca di Papa) rappresenti appunto il principio della sovrapposizione delle due fasi. « Se ora con la formola già usata si calcola l’ora e la distanza dell'epi- centro si trova: Prima onda longitudinale 11° 37 105 ) Ora all'epicentro = 11% 6" 505 ” » trasversale 12 7 30 \ Distanza = Oni OL00 Seconda onda longitudinale 11 47 20 ) Oraall'epicentro = 11° 16% 375 ” » trasversale 12 18 23 \ Distanza — chil.9265(3) « Questo risultato, cui io non avrei annesso gran valore s'adatta abba- stanza bene e prova che l'ipotesi delle due forme d'onda trova un’'applica- zione soddisfacente, specialmente se si considera che l’essenza della questione risiede nell’ intervallo che decorre tra le apparizioni dell'una e dell’ altra forma e non già nei valori assoluti. D'altronde è bene notare che Tokio si trova alla distanza di 1000 chilometri dall'epicentro assegnato alla scossa più forte. « Della terza scossa non giova parlare; anzitutto questa può essere stata mascherata dai tremiti pur continui che si osservano dalle 112 58” alle 12° 8", e poi compresa in quella serie di ondulazioni che continuarono fino a 12° 45% ; ma d'altronde potrebbe anche aver avuto una zona molto circoscritta, come l'hanno quasi tutti i terremoti. Anzi, è relativamente rarissimo il caso di scuotimenti tanto estesi, e spesso si osserva che una scossa, anche più forte della sua precedente, ha un’area più circoscritta. A spiegazione di ciò saprei appena ventilare in oggi un abbozzo di teorica, ma certo è che l'ordine cronologico delle scosse d'un centro e d'un periodo sismico, rappresenta un fattore non trascurabile nella circoscrizione dell’area scossa. « Oltre a ciò nel diagramma di Rocca di Papa si scorge chiaramente una bellissima circostanza, che negli altri sfugge in causa della lentezza con cui si svolge la carta; ed è che i moti apparenti della massa verso SW. fu- (2) Da una nota del Dr. Rebeur-Paschwitz rilevo che a Nemuro (Giappone) la grande scossa cominciò a 11® 20 458 M.E.C. — 379 — rono molto più rapidi di quelli verso N E. Da un calcolo eseguito sulle 17 onde maggiori che si osservarono tra le 12% 18% e le 12% 23" nella compo- nente NE-SW., il tempo impiegato dalla massa nel compiere le semi-oscilla- zioni da SW.a NE.fu in termine medio di 1150, mentre quello impiegato in senso contrario fu di 559 vale a dire circa la metà, in guisa da darmi il concetto d'una forma ondosa simile a quella delle onde liquide che presentano la maggiore inclinazione dalla parte anteriore. Questa circostanza m' era pure apparsa nella osse:vazione delle livelle, come si rileva dal seguente periodo che riproduco dalla suddetta mia Nota: « L'estremità meridionale della bolla Nord-Sud che in istato di quiete, « prima e poi, segnava 13,9, nelle sue escursioni verso Sud toccava appena « 13,0, mentre in quelle verso Nord arrivava a 17,0; da questa circostanza « che non ammetteva incertezza, mi parve poter dedurre che, a somiglianza « delle onde liquide, la maggiore inclinazione ne accusasse la provenienza, « nel qual caso il radiante si sarebbe trovato dal lato di NE ». « Riguardo all insensibilità degli strumenti di Yokohama alla prima e terza scossa, non saprei attribuirvi significato serio, perchè Yokohama dista da Tokio appena 20 chilometri, cioè una cosa da nulla rispetto alla distanza dell’epicentro. Parimenti i fotogrammi dei magnetografi e pendoli orizzontali di qualche stazione estera d'Europa non si prestano ad una severa analisi, e non giova discutere a quale forma di moto debbano attribuirsi di preferenza le loro perturbazioni. «In tutto ciò che ho esposto potrebbe ancora, per insufficienza di dati o ambiguità d'analisi, mancare l'appoggio rigorosamente necessario ad elevare a dogma la distinzione delle due qualità d'onde; ma i casì citati dall’Aga- mennone non bastano dal loro canto a distruggerla. E per dare un solo esempio citerò l’unica conclusione che trasse dallo studio del terremoto an- daluso del 25 dicembre 1884 in due recentissime Note ('), cioè: « L'ipotesi che la velocità di propagazione sia rimasta press'a poco «“ invariata fino alla maggiore distanza osservata, mi sembra l’espressione più « naturale dei fatti ». «In quelle due Note intieramente dedicate a tal fine VA. dopo esame molto dettagliato, sceglie tra i molti dati i pochi che seguono, cioè: Cadice (S. Fernando) Miriametri 20 SMISE Lisbona ’ 49 99 Parigi (Pare St. Maur) » 141 9 24 0 Greenwich ” 164 9 24 4 Wilhelmshaven ” 206 9,28 8 e ne deduce come ora all'epicentro 9” 16" 9 e come velocità uniforme di propagazione metri 3150 al secondo, oppure, escludendo la diversità di peso (1) Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, vol. III, 2° sem., pag. 303 e 317. RenpIcoNTI. 1895, Vor. IV, 1° Sem. 50 — 380 — dei dati, rispettivamente 9° 16" 6 e 3060 metri, con risultato cioè poco dif- ferente. Ricostruiti i valori col primo di questi due risultati, trova le seguenti differenze tra calcolo ed osservazione, cioè: Iniziali dei luoghi : C L te G W Osservazione-calcolo : + 0,1 — 04 —- 0,3 — 12 + 1,0 e soggiunge in fine che se l'ipotesi della velocità uniforme fosse realmente lontana dal vero, dovremmo accorgercene dalle stesse differenze ora accennate, poichè le medesime dovrebbero andare crescendo o decrescendo secondo una data legge. Ora (continua) niente di tutto questo si verifica nel nostro caso, dappoichè il senso di lieve accrescimento che si verifica nelle differenze fino a Greenwich, invece di mostrarsi più spiccato, cambia perfino segno per Wilhelmshaven, per la qual località la legge sarebbe pur dovuta restar meglio assodata. « Invece dalle stesse differenze io m'accorgerei di trovarmi alla presenza di una velocità uniformemente decrescente. Tant'è vero che migliori risultati s'ottengono assoggettando gli stessi dati alla formola: (H—-<)v+ HA—- x? w=M ove x è l'istante all’epicentro, H gl'istanti dati per le singole località, v la velocità iniziale in miriametri al minuto primo, w la variazione della velocità, M la distanza dall’epicentro in miriametri. « Lo sviluppo col metodo dei minimi quadrati mi dà: 9 IA v = 28,6901 w — 0,93274 « Per ricostruire i dati mi valgo della relazione stessa ed ottengo: | Località : Epicentro C L E G W Osservazioni: ? Oer iL CRIS ToRazie DO e Calcolo e9nt/t 35 99917 923909 O AO RO Sr 0-0 + 0,04 — 0,07 + 0,51 — 0,54 + 0,08 « La somma delle differenze che nel calcolo dell'A. è 3,0, qui si riduce ad 1,19, cioè non arriva ai °/s. « Dall'ulteriore esame del risultato emerge una bellissima circostanza, cioè che il valore v convertito in metri al secondo dà 4782 come velocità iniziale all'epicentro; dopo x minuti la velocità è ridotta a Un = Vv — 2nw per cui dopo 10 minuti sarebbe di 10,04 ossia di 1673 al secondo. — 381 — « Se invece d'assumere per argomento il minuto (tempo), si assume il miriametro (distanza), il conteggio riesce più spedito e fornisce come velocità all’epicentro, addirittura 13000 metri al secondo, ma appunto in vista di ciò ho prescelto il procedimento più laborioso ma più corretto, all’altro più comune e più favorevole alle mie vedute. « Con ciò io sono ben lungi dal concludere che questi risultati rappre- sentino la realtà dei fatti o se mai fossero atti a rappresentarla, potrebbero pure armonizzare con le opinioni emesse dall'A. in due successive Note (1), ove ammette che un ipocentro profondo dà luogo a velocità apparentemente diverse alla superficie; ma intendo semplicemente dimostrare che gli appoggi stessi di cui VA. si vale a prova della velocità uniforme, approdano appunto al risultato opposto. « Da quanto premesso si scorge che siamo ancora ben lontani dal poter risolvere la questione in base a dati tanto incerti. Non gratuitamente però io accolsi la teoria del Wertheim risollevata dal Cancani, ma lo feci in base ad altri argomenti la cui pubblicazione sarebbe ancora prematura. Debbo peraltro riconoscere che in oggi tutto si limita ad indizi di buon fondamento, ma sempre indizi, ed a stretto rigore difetta la prova diretta dell'esistenza della componente verticale nelle onde in questione. Tale prova, ne sono con- vinto, non si potrà mai trarre dai pendoli comuni, nè dai loro surrogati (come pendoli orizzontali, pendoli rovesci e contrapposti, livelle ecc.). perchè tutti questi sono soggetti ad oscillare nel solo senso orizzontale e perciò si contengono in modo identico, sia in presenza di oscillazioni angolari del suolo rispetto all'orizzonte, sia in presenza di movimenti in senso perfetta- mente orizzontale. Nè varrebbe obbiettare che le deviazioni angolari di durata superiore a quella comportata dalla lunghezza del pendolo debbansi attribuire ad ogni costo alla prima forma; esperienze da me eseguite con ogni precau- zione (e convalidate del resto dalla teoria stessa dei moti pendolari) mi hanno dimostrato che un pendolo anche corto si deflette con sincronismo dalla verticale in presenza di oscillazioni lente in senso perfettamente orizzontale e con andamento sinusoidale, e che pendoli di varia lunghezza, in condizioni identiche di moto lento, deflettono dello stesso angolo e non della stessa misura lineare. « Gli strumenti a base pendolare, atti d'altronde a dare fedelmente le registrazioni cui sono destinati, per l'accertamento dei terremoti e delle loro circostanze, non si prestano punto alla risoluzione del nostro problema che reclama la conquista della componente verticale del moto ondoso tellurico. Tale problema, quale è voluto dagli oppositori del moto stesso, mi pare espri- mibile nei seguenti termini : «I movimenti tellurici che si manifestano negli strumenti pendolari (1) Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, vol. IV, 1° sem., pag. 38 e 62. — 3982 — « sotto forma di deviazioni dalla verticale, aventi il periodo completo di « parecchi secondi e la forma sinusoidale, sono paragonabili al moto ondoso « del mare, oppure sono perfettamente orizzontali, come conseguenza di con- « trazioni e rarefazioni, prodotte da una successione di urti propagantisi « longitudinalmente sulla superficie da un centro lontano? » : « Confido di poter rispondere decisivamente a tale questione alla prima occasione, mercè i nuovi metodi che ho ideati. « Del resto tali divergenze d'opinioni sparse fra coloro che indagano i segreti naturali col metodo sperimentale, fanno bene anzichè male alla scienza. Anzichè abbattute d'un sol colpo meritano essere coltivate, perchè atte ad inspirare applicazioni che nessuno avrebbe immaginate a priori, e che già in oggi vanno rischiarando le tenebre in questo grado sublime della nostra ignoranza ». Chimica. — / bromoformio in erioscopia (1). Nota di G. AmpoLaA e 0. ManuELLT, presentata dal Socio PATERNÒ. « Le numerose ricerche crioscopiche compiute negli ultimi anni, special- mente in Italia, hanno reso probabile che le anomalie alla legge fondamen- tale di Raoult e van't Hoff dipendano principalmente o dalle relazioni di costitu- zione, tra solvente e sostanza sciolta, o dalla funzione chimica. Il materiale sperimentale fino ad ora raccolto, non è sufficiente per poterne trarre delle conclusioni generali, con la necessaria sicurezza. L'importanza dei risultati che si possono ottenere da un esteso studio, ci ha spinti ad intraprendere alcune ricerche su questo campo; in questa nota rendiamo conto dei risultati ot- tenuti impiegando come solvente il bromoformio. « La costituzione chimica semplice, il punto di fusione e le estese fa- coltà solventi di questa sostanza, ci erano garanzia che si sarebbe prestata bene al nostro scopo. « Il bromoformio da noi impiegato proveniva dalla fabbrica Kahlbaum di Berlino e fu purificato lavandolo con acqua alcalina, distillandolo a pres- sione ridotta, cristallizzandolo e facendolo gocciolare. Il suo punto di conge- lamento era a 7°.80, e si mantenne tale per tutto il tempo che durarono le esperienze i risultati delle quali sono descritti nelle tavole seguenti. « Il termometro adoperato era della casa Baudin di Parigi, diviso in !/so di grado, e segnava da —3°a 4 9°. (1) Lavoro eseguito nel R. Istituto chimico di Roma. — Go TI. Sostanze neutre. Tiofene PM = 84. Benzol PM= 78 N. Concentra- Abbass. Coeffic. Abbass. N. Concentra- Abbass. Coeffic. Abbass. d'ordine zione termom. d’abbass. molecolare d’urdine zione termom. d’abbass. molecolare 38 0.2915 0.51 1.749 146.910 1 0.68 GS O Ue 149-008 39 1.0018 1.695. 1.691. 142.004 ANO 5 38 SO IL300 40 2,81273.805. 1.645. 138.180 3 (1.130. 2.035) 1.800, 140.600 41.2.8727 4.68. 1.628 . 136.752 A I I RI 49 1918949005940 1601 134484 13 0003:3900 (0 (5745 0169100) 131.893 43) MO RDAROT TA E 132:30£ Gee 622 1 67203016 AA SASA SA 129.780 7 4.159 690 1663 128.356 Parazilene PM = 104. Cloroformio. PM = 120 8 0.1711 024 1403 145.964 SEN 0 RS O 45 SONIA NI 145:320 10 1.1570 1.60. 1.882 143.728 CO 006) DPR e o si n 1. 1.054 op pe 12 2.6960 3.625 1.344 139.776 48 (Roasio Lol 12150 18. 81403 4.08. 1299. 135.096 49 42092 4.185 0.994 = 119.28 14 38610 5.015. 1297 134888 50: (e gegoigizalos Qogen Log 15 46881 6.00 1.288 130.432 GU 5500) SE 5926.1207 5.765 0.941. 112.92 Naftalina PM = 128. 53 = 6.8636 6.36 0.926 111.52 foto 07270032 0 i Trad) 67950 ONTARIO EE Il. Acidi. TR 20 2 32 896 j9° ‘05345 281 | 1.108 141.824 Mud icerico P_M = 60 920. 43188. 4.72. 1.098 139.904 Ti GAZo. gi6 LU 185902 Di Rn 0NRi008 01250 99.50 3 55, (021000 09450 151 85.175 Paraldeide PM = 132 So 08 Og I 19.698 22.0.2538 0.285. 1.083. 142.956 5178059 31258 0:991 73.834 99 14026. 1.51, -1.076., 142.032 58 49923 4585 0.918 55.080 94 2.6210 2.84 1.088 142.956 59: SA 84 0 10;90,1 54.060 95.8.1722 3.43 1.081 142.692 60 6.0743 5.32 0.875 52.500 26 3.5739 3.87 1.082 142.824 61 64929 558 0.859 51.540 27 41379 444. 1.073 141.636 62. 74944 6.185 0.825 49.500 RR Berg 56. 10. ia 996.0321640 1.060 139.920 Acido isobutirrico PM = 88 Ossalato d'etile PM = 114. 63° 0.6924 0.695 1.002. 88.176 30.0.8099 0.82 1.020 116.280 64 M592 REN 265 010.801 70.488 31.1.5262. 1.545 1,012. 115.268 650/1975399. 207. 0.751 (66.088 9922.5926. 2.54 1.002. 114.228 66.4.0987 290. 0.708 62.304 3993.9256 3.35 1.007 114.798 67.5.2204. 3.66. 0.701 61.688 34 44098 4.39 0.995. 113.430 68.6.6034 443 0.670 58.960 95 5A974. 5.46 0.993 113.202 69. T.A4497. 4.838. 0.648 57.024 36 62565. 6.20. 0.990. 112.860 70 SSR 320 01636 55.968 37002700168 1.006 114.684 7111.2364 6.76 0.601 52.888 — 384 — if III. Fenoli. Trimetil-carbinol PM = 74 N. Concentra- Abbass. Coeffic. Abbass. | Fenol PM = IL d'ordine zione _ termom. d’abbass. molecolare I 1050.1785 0.32 1.792 132.608 N. Concentra- Abbass. Coeffc. Abbas. 1060.5882 1.00 1700 125.800 d'ordine zione —termom. d’abbass. molecolare 10708 1194900159 1.380 98.420 | (CRE EA A i aa | 73° 0.6016 (0.775 1288' daliogo | 109 38275 39251025 075.650 | 74 11596 1.345 (1.159 J0gidde | 110 54871 *&701%/\0.854/6863196 | 15. lla oegst 204 "logs Sg III Ve ossa o: So dA 76 351519) 2.69 0858 agiisol || 1127.0688 9Ro:345 oo NS | I 0 RR 0 | 78 41018 (us Coro © i LIA) 835107 SCO Nt | 794.6432340 0.734 68.996 Alcool benzilico P_M = 108 80.5.3482 3.72. 0.695 65.330 SIT TMT 0.599 56.306 1150.4441 0.56 1.283 138.564 82 9.1087 5.20 0.570 98 98 116 09067 1.055 1.163 125.604 1171.5745 1.65 1.047 113.076 Me SRAE2:5:113 32339 0.923 99.684 Timol PM == 150 1193.9518 8.16 0.799 86,292 120. 48184 3.59 00.745 80.460 S3 l'o i93t 20:18" iolo40 TO 121 6,0188 4.18 0.694 74.952 84 0.6883 0.62 0.907 186.05 1229 765291 886 0545 69.660 852577 00 0874 60 1239272058009 64.380 Ì 8621083 1.760 (0,830 94650) 124 12.5139. 7.04 0.562 60.696 | 87 12428 02/2100 00805 1920675 Si 85566 2A 0770 O Elere bimetilico della glicerina | 89 45852 8.84 0.728 10926 PM = 120 90.5.9726: 4.100.686 102.90 ' 91 7.9647 5.06 0.685 95.25 125° 0.2993. 0.84 © 11350 ‘136200 | 92 10.1607 6.00 0.590 88.50 1260.8487 0.94 1.119 134.280 IO ASL 0 105 ORA 128 27464 276 1.004 120.480 | 129 40957 401 0.978 117.360 | IV. Alcooli. 13085 4025005 14 SO: RUS | 131 Cl 6121428 05.825 80098700 oi | KEtilalcool PM = 46 1327.0903 6.54 0.922 110.64 1338.1348. 7.58 0.925 111.000 931 (01203 0:81 (576 113096 x I 94 04181 1.03 2464 11334 V. Alcaloidi. 95 0.8831 1.685 2.022 93.012 Anilina PM = 93 96 13222 2.245 1.697 78.062 97 1.9882 2705 1.395 67.070 134 02120 0.851.650 153450 9380085 7309180 51.980 1350.7672 1.225 1.596 148498 99 49918 4065 0.814 37.444 1361.6470 252 1.530 142.290 1006.0976 441 0723 30.158 137 3.0787 458 1487 188.291 1017.4728 475 0.635 29.210 138 34079 499 . 1464 136.152 1029.6242 5.235 0.543 24.978 139 39527 5.70 1442 134.106 103 11:8716 542 0.456 21.976 1404.6002 646 1404 130.572 © 104 15.8477 5.95 0.358 16.288 1414.8938 ‘7.30 1491 132.363 — 385 — Dimetilanilina PM = 121 Chinolina PM = 129 N. Concentra- Abbass. Coeffic. Abbass. N. Concentra- Abbass. Coeffic. Abbass. d’ordine zione termom. d’abbass. molecolare d’ordine zione termom. d’abbass. molecolare 1420.7438 0.89 1.196 144.716 1490.3919 0485 1.237 159.573 1431.2692 1.52 1.197 144.837 150. 1.2774 1.49 1.166 150.414 1441.7578. 2.13 1.211 146.531 151. 24824 3.18 1.123 144.867 1452.3771 2.88 1.215 147.015 152 84754 3.88 1.116 143.964 1463.1379 3.75 1.193 144,359 1534.5224 5.11 1.129 145.641 147. 44081 5.30 1.203 145.563 154 55809 6.18 1.118 144.222 1485.4198 6.42 1.184 142.264 1556.4594 7.26 1.125 144.867 Piridina PM = 79. 156 05349 0.85 0.6541 51.673 1571.0324 1.205 1.1671 92.200 1581.5092 2.04 .8516 106.776 159. 2.2245 3.31 1.4879. 117.534 1602.7535 4.24 1.5390 121.581 161. 3.6358 5.78 1.589 125.581 1624.0984 6.58 1.605 126.795 1634.8058 7.06 1.659 129.481 « Dall'esame di questi risultati si scorge che il bromoformio come sol- vente nelle ricerche crioscopiche si comporta in modo corrispondente alla benzina studiata da Paternò (!) ed al paraxilene studiato da Paternò e Mon- temartini (2), almeno nei casi più generali; difatti: 1. Hanno un comportamento che può dirsi normale la benzina, la naftalina, il paraxilene, la paraldeide, il tiofene, il cloroformio; l’ossalato di etile fa eccezione, e dà un abbassamento molecolare molto al di sotto del normale, ma che si mantiene notevolmente costante col variare la concen- trazione; lo stesso fenomeno del resto lo presenta pure sciolto nel paraxilene; difatti in questo solvente, per concentrazioni che variano da 0,657 a 7,619 9/o, l'abbassamento molecolare varia tra 40,00 e 39,57 (*) e nel bromoformio per concentrazioni comprese tra 0,8039 e 7,6270 °/, l'abbassamento si man- tiene tra 115 e 113 circa; il comportamento nella benzina non può consi- derarsi del tutto diverso, secondo le esperienze di Auwers (4). Il tiofene che nella benzina si comporta in modo anomalo, nel bromoformio invece si com- porta normalmente corrispondentemente a cio che avviene nel paraxilene. 9. Di acidi non ne abbiamo studiato che due, l’acetico e l'isobutir- (1) Gazzetta chimica, XIX, 640. (£) Gazzetta chimica, XXIV, 2. (8) Paternò e Montemartini, loco citato. (4) Zeit. f. phys. Chemie, t. XII, 693. — 386 — rico, ed i valori ottenuti che oscillano con molta approssimazione attorno alla metà dei normali, non lasciano dubbio, che anche gli acidi si compor- tino col bromoformio come con la benzina ed il pararilene. 3. Per i due fenoli studiati l'analogia con la benzina ed il paraxi- lene non potrebbe essere più completa. Per il fenol comune già in soluzioni diluite si ha un abbassamento molecolare molto inferiore al normale, e questo valore si riduce a meno della metà per concentrazioni poco superiori al 4 °/. Pel timol l'anomalia è meno pronunziata ed in soluzioni diluite si hanno valori pressochè normali e che decrescono molto più lentamente au- mentando la concentrazione. 4. Il comportamento degli alcooli corrisponde completamente a quello nella benzina e nel paraxilene. In soluzioni diluite si hanno valori normali o quasi, ma questi per l'abbassamento molecolare decrescono rapidamente col crescere la concentrazione sino ad essere molto piccoli per concentrazioni che di poco superano il 10 °/; nè il fenomeno caratteristico dei composti a funzione alcoolica si limita ai primi termini. 5. Quanto agli alcaloidi, si comportano in modo affatto normale la dimetilanilina e la chinolina; per l'anilina l'andamento del fenomeno è normale in soluzioni diluite ma aumentando la concentrazione i valori dell’abbassa- mento molecolare decrescono, come avviene per soluzioni nella benzina e nel paraxilene. « Strano è il comportamento della piridina, ma su questo ci proponiamo di ritornare fra breve. « Dalle nostre esperienze, benchè non sieno numerosissime, ci sembra risulti in modo evidente, che il bromoformio, come solvente nelle ricerche crioscopiche, si comporti con le sostanze di varia funzione chimica, esatta- mente come la benzina ed il paraxilene. Altre conclusioni d'ordine generale, non ci pare potere per ora trarre dalle nostre esperienze; solo diremo che queste ci sembra confermino quanto ha recentemente affermato il prof. Paternò, che cioè, nelle anomalie alla legge di Raoult bisogna tener molto conto della funzione chimica oltrechè dell'analogia di costituzione e dell’isomorfismo tra sostanza sciolta e solvente; nel bromoformio sì comportano in modo anormale quelle sostanze che dànno valori anormali nella benzina e nel paraxilene; mentre il cloroformio che ha con esso così stretta relazione di costituzione si comporta normalmente. « La costante da scegliersi come abbassamento molecolare del bromo- formio non abbiamo potuto calcolarla con la formola di van’t Hoff, non es- sendo noto il calore latente di fusione. ‘ « Scegliendo tra le esperienze fatte quelle relative a sostanze che hanno un comportamento più regolare, e tenendo conto dei dati forniti da soluzioni nelle quali l'abbassamento termometrico è compreso tra 0°,5 e 4° si hanno le seguenti medie: 38 — aio (SA > 142,45 Naftalina (10-11-12) i i e 144,55 Poraxilcne (SUO e; 145,97 Paraldeide (22-23-24-25-26) QUE) CEPBEAIMERTIAE 0 cl EEE 142,62 Mono (EXE040) 50 AR 142,96 Ania (106-180) 0 CR > 145,46 Dimetilanilina (142-148-144-145-146). ai si. 145,61 Chinolina (150-151-152) - . i. 14641 di cui la media generale è . . . 144,85 e crediamo quindi che come costante dell’abbassamento molecolare si possa scegliere il numero 144. « Con la regola di Raoult, che una molecola di una sostanza qualunque sciolta in 100 molecole di un solvente qualunque produce nel punto di con- gelamento del solvente un abbassamento costante di 0°.62 si calcola il va- lore 156,86 ». Chimica. — Sull’azione del cloridrato d'idrossilammina sul gliossale (). Nota di A. MioLati, presentata dal Socio CANNIZZARO. « Preparando la gliossima per azione del cloridrato d' idrossilammina sul gliossale avevo osservato nel prodotto grezzo che si otteneva, un comportamento non conforme a quello della gliossima. « Scaldato su lamina di platino, invece di fondere, come fa la gliossima, esplodeva, e, a seconda delle diverse preparazioni, più o meno violentemente. Anche il suo comportamento col cloruro di acetile o coll’anidride acetica non era normale. Mentre la gliossima si scioglie in questi reagenti formando i prodotti acetilati e le soluzioni che così si ottengono non si alterano col riscaldamento; il prodotto diretto dall'azione del cloridrato d' idrosslammina sul gliossale scaldato con cloruro di acetile od anidride acetica si scompone violentemente, carbonizzandosi in gran parte. « Fu appunto una di queste scomposizioni violente, che non fu per me senza conseguenze, che m' indusse @ ricercare la causa di questo comporta- mento. E potei così trovare che, nell’azione dell’ idrossilammina sul gliossale in soluzione acida, accanto alla gliossima, si forma in quantità più o meno forti un'altro composto dotato di proprietà esplosive rimarchevoli, e che si può separare approfittando della diversa sua solubilità nei solventi organici ordinarî (?). (1) Lavoro eseguito nell’ Istituto chimico dell’Univesità di Roma. @ Volendo preparare della gliossima, è consigliabile di fare agire sul gliossale una soluzione neutra o alcalina di idrossilamina; in queste condizioni non ho mai osservato la formazione del composto esplosivo. RexpIcontTI. 1895, Vor. IV, 1° Sem. 51 — 388 — « La quantità che se ne forma, varia notevolmente a ‘seconda della quantità di cloridrato d'idrossilammina che si impiega, della concentrazione della soluzione e della durata del riscaldamento. Ma più che altro dipende dalle due ultime circostanze, tanto che, in certe condizioni opportune, si può, partendo da quantità teoretiche di gliossale e di idrossilammina, ottenere quasi esclusivamente il composto esplosivo. È « Le condizioni più opportune per ottenerlo sono le seguenti: «2 Mol. di gliossale e 8 Mol. di cloridrato d’ idrossilammina vengono sciolte a caldo nella minore quantità d'acqua possibile, e la soluzione così ottenuta si evapora a. b. m. finchè comincia a cristallizzare. Si lascia raffred- dare e, senza tener conto di ciò che eventualmente si può separare, si neutralizza esattamente il prodotto che è fortemente acido, con una soluzione concentrata di carbonato alcalino. Con questo trattamento si separa in notevole quantità un corpo cristallino d'un leggero colore bruno. Per liberare il corpo filtrato da piccole quantità di gliossima che potrebbero esservi mescolate, lo si agita frequentemente con etere. Per purificarlo si scioglie nell'acqua bollente, da cui cristallizza in piccoli aghi bianchicci, lunghi parecchi millimetri, ragorup- pati talvolta a rosetta, i quali si possono ottenere presto secchi lavandoli con alcool ed etere. « La sostanza così purificata ha dato all’analisi i seguenti risultati : I. gr. 0,1538 di sostanza mescolati con molto ossido di rame e bruciati lentamente con molta precauzione, diedero gr. 0,1845 di CO, e gr. 0, 0511 di H,0 corrispondenti a 0,05031 di C e 0,005678 di H. II. gr. 0,1046 di sostanza diedero cc. 26,1 d'azoto misurati a 16° e a 745 mm.; corrispondenti a gr. 0,0308 d'azoto. Calcolato per Cy Hz Ni 0; Trovato CE 32.77 %o SCO b= 3.52 3.69 NE 29.42 29.45 « La sostanza analizzata fondeva, se riscaldata lentamente, a 176° con decomposizione completa. Se i cristalli si riscaldano su lamina di platino a fiamma diretta, esplodono in modo simile al cotone fulminante senza lasciar quasi alcun residuo. Essi sono pochissimo solubili nell'acqua fredda, comple- tamente invece nell'acqua bollente, quasi punto nell’alcool e nell’etere. Si sciolgono facilmente negli acidi e negli idrati e carbonati alcalini: e neutra- lizzando con precauzione queste soluzioni il composto si separa inalterato. « Con cloruro d’acetile o anidride acetica a caldo, come fu già accennato in principio, la sostanza si scompone completamente. « Con cloruro di benzoile, seguendo il metodo di Schotten-Baumann, si può ottenere un derivato benzoilico, che però non fu da me ulteriormente studiato. — 389 — « Dei suoi derivati, venne invece preparato ed analizzato il suo cloridrato, che si può ottenere facilmente facendo passare una corrente di acido cloridrico gassoso nell’alcool che tiene in sospensione la sostanza, fino a soluzione completa. Per evaporazione nel vuoto si separano cristalli aghiformi sottili raggruppati a cespuglio, solubilissimi nell'acqua e che fondono presso a poco alla medesima temperatura del corpo primitivo. gr. 0,2003 di sostanza sciolti in 50 cc. d'acqua, adoperarono 11 cc. di una soluzione !/,, norm. di nitrato d'argento, equivalenti a gr. 0,039 di Cloro. Calcolato per C, H; 03. H cl Trovato ©1e= 19.74 °/ 19.48 « Per azione dell'acido cloroplatinico su questo cloridrato, sì può ottenere un composto platinico solubilissimo anche nell'alcool e che cristallizza dalla soluzione fortemente concentrata in bei prismi giallo-aranciati. L'analisi di questo composto non diede risultati soddisfacenti in causa del modo violen- tissimo con cui si scompone. « La composizione di questa nuova sostanza ed il suo comportamento dimostrano che essa è analoga ai composti ottenuti da R. Scholl (') per azione del cloridrato d’idrossilammina sull’isonitroso-acetone e sull’isonitroso- aceto-fenone. Cs Ho N3z 0; e Cre Hiz N3 03 « Quest'ultimo composto fu ottenuto anche da Miller e Pechmann (?) direttamente dal fenilgliossale e dall’idrossilammina. « Il corpo da me ottenuto sarebbe il composto più semplice di questa classe, mentre i corpi ottenuti dai predetti autori rappresenterebbero i composti dimetilati e difenilati. < La sua formazione può essere rappresentata dall’equazione : 2 C, 0, H: +3 NH} 0H=4H,0t+- GC, H; N; 0g « Anche A. Angeli (3) ottenne un composto analogo per azione del- l idrossilammina sull’ isonitrosoomoacetopiperone Cso Hiz 04 Na 03. « Riguardo alla costituzione di questi composti, che hanno a comune tutti il gruppo (Nz 0:) o più esattamente il gruppo C, Hz N; 03, si sa ben poco, non essendo finora stati studiati nè i prodotti di scomposizione nè quelli di trasformazione. (1) Berichte XXIII, 3578 (1890). (2) Berichte XXII, 2560 (1889). (3) Gazz. chim. Ital. XII, (2), 465. — 390 — « Però tenendo calcolo del loro modo di formazione dai gliossali mono- sostituiti o dai isonitrosochetoni, parmi si possa ammettere, che questi corpi subiscano in prima fase, una condensazione tra due molecole. R | aa 0-00) — Dio. « Il corpo che così risulterebbe reagendo con tre molecole d’ idrossilam- mina, darebbe una triossima; la quale, in causa della presenza nella molecola di un gruppo ossidrilico in posizione 3 rispetto ad uno dei tre gruppi os- simmidici, perderebbe una molecola d’acqua per dare un'anidride interna, - un « zsossazolo >. «I corpi che risulterebbero avrebbero, quindi, la costituzione generale: R Co die N 0 e quello preparato da me, precisamente la seguente : H —C— C (NOH) — CH — CH (NOH) I | N (0) «A conclusioni analoghe, sembra giunga anche il mio egregio amico, il dott. R. Scholl, in seguito agli studi che ora va facendo su di questi com- posti, e che conduranno certamente a stabilirne la esatta costituzione ». Chimica. — Sopra alcuni bromoderivati della serie della canfora. Nota di A. AvceLI ed E. Rimini, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. « Come uno di noi ha avuta occasione di dimostrare (4), il monocheta- zocanfadione C,,H,430N;, perdendo una parte oppure tutto il suo azoto dà origine a due nuovi composti, che secondo la nomenclatura proposta da A. von Baeyer, vennero chiamati : azocanfanone — C,0H,,0:N.N:C;0H,,0 canfenone Chioleha0, « Il canfenone presenta tutti i caratteri di un composto non saturo; esso scolora facilmente il permanganato e per azione dell'idrogeno nascente (1) Angeli, Gazzetta chimica, XXIV, 29, pag. 44. — 391 — si converte nuovamente in canfora. Per addizione di una molecola di acido bromidrico, dà un composto che fonde a 113° e che ha la composizione : CoH,40.H Br. « Si tratta quindi di una bromocanfora isomera all’ordinaria (p. f. 769); la nuova sostanza per trattamento con potassa alcoolica rigenera con tutta facilità il canfenone. La diversa costituzione fra la bromocanfora ordinaria ed il composto da noi ottenuto si potrà esprimere per mezzo delle formole : CH C Br ASI: A C, Hz CH Br C,His CH; 4 NA CO CO bromocanfora ordinaria (p. f. 76°) nuova bromocanfora. «Il canfenone addiziona del pari una molecola di bromo. Dal prodotto liquido che in tal modo si ottiene, la potassa alcoolica elimina con tutta facilità acido bromidrico, per formare un magnitico composto cristallino che fonde a 70°. L'analisi condusse alla formola : CroH13Br0 che corrisponde a quella di un monobromocanfenone. La struttura della nuova sostanza si potrà rappresentare per mezzo dello schema: Ca ISS C Br Ò, Li CO « Queste reazioni dimostrano quindi in modo non dubbio che nella can- fora e nel canfenone sono rispettivamente contenute le catene: — CO. . CH, .CH — —(00.. 0808 (0 La formola che Bredt ha ultimamente proposto per la canfora (') è quella che oggigiorno viene accettata dalla maggioranza dei chimici: noi però faremo osservare che anche lo schema e si presta egualmente bene per interpretare la maggior parte delle trasforma- zioni di questa interessante sostanza ». (1) Berl. Berichte, 26 3047. | (0) les) DO Chimica. — Sulla fenolnaftaleina (1). Nota di G. JauBERT. presentata dal Socio CANNIZZARO. « A. Terrisse (*) dodici anni fa, provò se sì potevano preparare, conden- sando l'acido naftalico (1:8. naftalindicarbonico) coi fenoli, corpi di costitu- zione analoga alle ftaleine di Baeyer, e se poi, per condensazione ulteriore, era possibile arrivare ad ossiantrachinoni misti. Dalle sue ricerche risultò che l'acido naftalico non reagiva col fenolo ordinario nè per mezzo dell’acido sol- forico concentrato, nè per mezzo del cloruro di zinco o del cloruro di stagno, tanto a 130°, quanto a temperature ancora più elevate. La resorcina invece rea- giva coll’acido naftalico a circa 240°-260° e dava un composto solubile negli alcali con una stupenda fluorescenza verde. Ricerche ulteriori coll’idrochinone, colla floroglucina, la pirocatechina e il pirogallolo davano solamente risultati negativi. « Nel laboratorio dell’Università di Ginevra, il dottore Rabbinerson tentò nell'estate del 1892 di ottenere a sua volta la fenolnaftaleina, senza però arrivare a migliori risultati. « Da parte mia, non posso che confermare i risultati di Terrisse ; l’ani- dride dall'acido naftalico non reagisce col fenolo quando si adoperi come mezzo di condensazione l'acido solforico concentrato, il cloruro di zinco o il cloruro di stagno. Adoperando però il cloruro d’alluminio sì ottiene facil- mente la fenolnaftaleina ricercata. «In presenza di cloruro d'alluminio, l’acido naftalico agisce sulla di- metilanilina, e dà una materia colorante verde la quale è molto probabil- mente una dimetilanilina naftaleina. Su questa materia colorante ritornerò in un’altra occasione. Per ora mi limito a riferire sui risultati ottenuti sulla fenolnaftaleina. Preparazione della fenolnaftaleina. « Questa viene preparata, riscaldando a 160° a bagno d'olio: 20 gr. d’anidride naftalica 80 =» di fenolo 50 » di cloruro d'alluminio. « Si osserva presto uno sviluppo violento di acido cloridrico, la massa fa schiuma, diventa più liquida e assume un colore giallo-verde. Dopo al- (1) Lavoro eseguito nel laboratorio dell'Istituto chimico della R. Università di Roma. (2) André Terrisse. Ueber die Einwirkung der Naphtalsiure auf Resorcin. Inaugu- ral-Dissertation, Wirzburgo, 1883. Liebie?s Annalen. QI 13338 — 393 — cune ore, sempre riscaldando, la massa fusa diviene solida e a poco a poco assume il colore rosso coi riflessi verdi, caratteristico per la fenolnaftaleina fusa. Dopo circa 7 ore la reazione è finita, la massa fusa ancora calda viene gettata nell’acqua e bollita con questa per allontanare il fenolo inalterato. Il residuo insolubile è sciolto a caldo nell’idrato sodico diluito, la solu- zione rosso cupa viene filtrata e dopo ratfreddamento precipitata con l'acido cloridrico. La fenolnaftaleina viene filtrata, lavata ed essiccata a temperatura ordinaria. « Il rendimento è di circa 25 gr. « Il prodotto greggio è quasi puro, però contiene sempre traccie di sale d'alluminio. Per ottenerlo assolutamente privo di ceneri si estrae con etere e, per evaporazione delle soluzioni eteree, la naftaleina pura rimane sotto forma di croste. La fenolnaftaleina amorfa fonde a 120° scomponendosi par- zialmente. « Analizzata diede risultati corrispondenti alla formola Cs, His 04. calcolato trovato = 18,94 11,80 2 4,55 4,95 « Per ottenere la fenolnaftaleina allo stato cristallizzato si scioglie il prodotto greggio nell’alcool e si fa bollire la soluzione a ricadere, per alcune ore, con circa metà peso di carbone animale. La soluzione alcoolica viene filtrata, il residuo lavato con alcool bollente, i filtrati concentrati insieme a bagno maria e precipitati poi con molta acqua. Dopo 24 ore, la fenolnafta- leina si è separata in forma d'una polvere bianca microcristallina. La fenol- naftaleina cristallizzata fonde sopra 200° carbonizzandosi e sviluppando va- pori di fenolo. Essa è quasi insolubile nell'acqua, si scioglie invece facilmente nell’alcool, l'etere, l'acido acetico glaciale, si scioglie anche negli alcali con un colore rosso fuchsina. La fenolnaftaleina ha la seguente formola: OH OH rave — 394 — «I sali rossi secondo il modo di vedere di Bernthsen (!) devono essere rappresentati dalla seguente formola: 0 OH | | "® PD i 2 C COOH | Zi Cloruro di fenolnaftaleina. « Il pentacloruro di fosforo reagisce facilmente sulla fenolnaftaleina for- mandone il cloruro. Questo composto, che non ho studiato dettagliatamente, sì forma scaldando per 5 ore in bagno d'olio a 150°, quantità equimoleco- lari di pentacloruro di fosforo e di fenolnaftaleina essicata a 100°. Il pro- dotto della reazione viene versato sul ghiaccio ed estratto a caldo con soda. Il residuo poi viene cristallizzato dall'alcool o dall’etere. S'ottengono così piccoli aghetti fondenti a 180°. Fenolnaftaleinossima. N.0H DO OH di (n %, LL co0H 1 (1) Bernthsen. Constitution der Rhodamine. Chem. Ztg., 16, 1956. — 395 — « Secondo Friedlinder (Berichte, 26, 2258) reagirebbero coll’idrossila- mina solamente quelle ftaleine che cogli alcali possono dare un « sale chi- nonico », indicando questa trasformazione con un cambiamento di colore caratteristico. Questo è il caso per la fenonalftaleina, e difatti essa reagisce coll’idrossilamina colla stessa facilità della fenolftaleina. « To ho seguito esattamente il modo di preparazione di Friedlinder (!). « Una soluzione alcalina di fenolnaftaleina viene mescolata con una quan- tità poco più superiore alla teoretica d'idrossilamina. Dopo un breve riscal- damento a bagno maria, il colore rosso cupo della soluzione di fenolnafta- leina si era trasformato in un giallo-bruno. Il liquido viene diluito e dopo raffreddamento precipitato con l'acido acetico. In questo modo si ottiene la fenolnaftaleinossima sotto forma di fiocchi gialli chiari, questi vengono pu- rificati sciogliendoli nell’idrato sodico diluito e precipitando con l'acido ace- tico. La fenolnaftaleinossima è una polvere microcristallina che fonde a 220°. È insolubile nell'acqua, poco solubile nell’acido acetico glaciale, ancora meno nell’alcool. Si scioglie negli alcali con un colore giallo bruno. « Analizzata diede risultati corrispondenti alla formola: C., Hi N:0,. calcolato trovato N 3,65% 3,30 %o. Chimica. — Sulla massima temperatura di formazione e la temperatura di decomposizione di alcuni cloruri di diazocom- posti della serie aromatica. Nota di G. Oppo, presentata dal Socio PATERNÒ. «In un lavoro pubblicato nel 1890 (?) esposi che volendo preparare le fluoronitrobenzine m- e p- feci agire a circa 100° sulle soluzioni delle basi in grande eccesso di HFI la soluzione acquosa di N,NO»; Però, mentre quasi contemporaneamente Ekbom e Mauzelius (*) con lo stesso processo ottennero le fluoronaftaline « e f-, io ricavai invece delle soluzioni che filtrate e trattate con molta acqua si rappigliavano in una massa gialla gelatinosa. « Non studiai allora la costituzione di tali sostanze; ma per l'elevata temperatura alla quale si erano formate € la loro solubilità nell’eccesso di HFI1 fui condotto ad ammettere che fossero degli amidoazo, i cui sali, poco stabili per la presenza nella molecola dei gruppi NO., si decomponevano diluendo con acqua la soluzione fluoridrica. (1) Friedlinder. Berichte, 26, 172. (2) Gazz. ch. ital., vol. XX, pag. 645. (3) Berichte d. deut. ch. Ges., XXII, 1846. RenpicontI. 1895, Vor. IV, 1° Sem. 52 — 396 — « Intanto ora ho osservato che il loro comportamento è quello dei diazo- amidocomposti. Difatti danno con HC1 in tubo chiuso le cloronitrobenzine e le basi primitive, fuse con f-naftol gli azofenoli e con KOH e C,H.I i derivati etilici. Per tutti i caratteri si mostrano identiche alle m- e p-dini- trodiazoamidobenzine di Griess (!) e di Meldola e Streatfeild (?). « Per ispiegare la loro formazione si doveva ammettere che il prodotto della reazione contenesse in soluzione il sale di diazo assieme al sale della base rimasta in parte inalterata, e che soltanto quando si diluiva con acqua avvenisse la nota combinazione: NO. —CGH-N=N— FL + HFl .-H.NT— CH, — N0,= « Eseguii allora le seguenti esperienze per dimostrare che, contraria- mente alle nozioni che si avevano finora, anche a temperatura molto elevata potessero formarsi ed essere stabili dei sali di diazocomposti : 1. Adoperai a circa 100° invece di HF1 l'HC1 ed ottenni i medesimi risultati. D'allora in poi impiegai in tutte le ricerche quest'ultimo acido. 2. Sul prodotto della reazione, preparato con la p-nitroanilina e HCI, riscaldato sino all’ebollizione, feci gorgogliare una rapida corrente di vapore acqueo: ricavai p-cloronitrobenzol, p-nitrofenol e p-nitroanilina. 8. Feci agire circa 4 eq. di nitrito sodico sopra 1 eq. di base sempre a circa 100°. Il prodotto della reazione diede le reazioni caratteri stiche dei diazocomposti. 4. Finalmente tentai di isolare allo stato puro e secco il cloruro di diazo, che si formava a così elevata temperatura e ci sono riuscito nelle con- dizioni che esporrò nella parte sperimentale. Preparai d'altra parte lo stesso sale facendo agire a freddo il nitrito d’amile sulla soluzione del cloridrato di p-nitroanilina in alcool assoluto, e potei constatare l'identità dei due prodotti. « Nello studio del cloruro di p-diazonitrobenzina, che non era finora conosciuto, un fatto si rese degno di nota, che cioè allo stato secco ad 85-90° tale sale si decompone con detonazione a 85°, mentre io l’avero preparato ed anche sino a 100° potei dimostrarne la formazione. « Questo risultato mi spinse a studiare quali relazioni esistono tra la temperatura di decomposizione dei cloruri dei diazocomposti secchi e la mas- sima temperatura alla quale essi si possono formare in soluzione. «I cloruri dei diazo allo stato secco non erano stati finora preparati. Col metodo descritto da Griess è riuscita relativamente più facile la prepa- razione dei nitrati, più difficile quella dei solfati e ancora più difficile quella (1) Annalen, 121, 272. (*) Journ. of the Chem. Soc., 1886, I, 624; 1887, I, 102 e 434: 1895, 50, — 397 — dei cloruri. Lo stesso Griess non descrisse nemmeno il cloruro di diazoben- zina secco. Questo sale fu preparato soltanto recentemente da Knoevenagel (1) impiegando invece della corrente di anidride nitrosa il nitrito di amile e la soluzione in alcool assoluto del cloridrato della base. _« Adoperando quasi lo stesso processo, ho preparato finora i seguenti clo- ruri dei quali riporto accanto la temperatura di decomposizione: Cloruro di p-nitrodiazobenzina, si decompone con detonazione a 85°; ” m- ” ” ” LISSE ” a-diazonaftalina, fonde decomponendosi senza detonazione a 96°; ” o-diazofenolo, si decompone senza detonazione a 152°. « D'altra parte ho constatato, nel modo che descriverò nella parte spe- rimentale, che questi sali si possono formare sino alle seguenti temperature : Cloruro di p-nitrodiazobenzol sino a 100° in notevole quantità ; ” m- ” » in minore quantità; ” a-diazonaftalina soltanto sino a 60°; ” o-diazofenol a temperatura inferiore ai 60°. « Finalmente ho trovato che il cloruro di diazobenzina detona allo stato secco a 92° e si forma anche a 60-70°. È degno di nota intanto che mentre il cloruro di p-nitrodiazobenzina si può formare alla temperatura più elevata fra tutti i diazo che ho finora studiati, allo stato secco esplode alla tempe- ratura più bassa. Viceversa avviene col cloruro di o-diazofenolo. Io continuerò questo studio, cercando d'indagare possibilmente la causa di questa differenza di comportamento tra i sali dei diazo allo stato secco e in soluzione. Dinitro-p-diazoamidobenzolo. « Gr. 13,8 di p-nitroanilina furon versati in circa 100 c.c. di HC1 del commercio e tra 90-100° furon trattati con eq. 1!/, di nitrito sodico. Il prodotto della reazione filtrato, dopo raffreddamento e diluito con acqua, si rapprese in una massa gelatinosa gialla, che venne purificata per ripetute cristallizzazioni da alcool amilico e da alcool etilico assoluto. All’analisi gr. 0,2684 di sostanza fornirono gr. 0,4956 di CO» e gr. 0,0812 di H,0; trovato °/ calcolato per C,2HoN;0 C 50,35 50,17 H 3,90 3,14 | « La sostanza pura fonde decomponendosi a 220-223°, come fu anche osservato recentemente da Meldola e Streatfeild. La preparai col metodo descritto da questi autori e potei provare l'identità dei due prodotti. (1) Berichte, 1890, pag. 2996. — 398 — Dinitro-m-diazoamidobenzolo. « Si operò come nel caso precedente. Il precipitato gelatinoso però è meno abbondante, ma aumenta aggiungendo della soluzione acquosa di acetato sodico. « Gr. 0,3104 di sostanza fornirono gr. 0,5712 di CO; e gr. 0,1005 di H;0; trovato %o calcolato per C,sHsN50 C 90,19 50,17 H 3,59 8,14 « La sostanza pura fonde a 193-195°. Mostra tutti i caratteri della m-dinitrodiazoamidobenzina di Griess, che ho pure preparata col metodo descritto da Meldola e Streatfeild. Su questo composto furono eseguite le se- guenti esperienze per dimostrarne la costituzione (1). zione dell'acido cloridrico. « Gr. 0,50 di sostanza furono riscaldati in tubo chiuso con circa cc. 15 di HCl fumante a 150° per circa 5 ore. Il prodotto della reazione distillato a vapor d’acqua, fornì un olio che estratto con etere e cristallizzato dal- l'alcool fuse a 44°; era quindi m-cloronitrobenzina. Il residuo della distil- lazione filtrato, evaporato quasi a secco, ripreso con poca acqua e precipitato con soda diede m-nitroanilina p. f. 114°. Fusione con B-naftol. « Gr. 0,50 di sostanza mischiati con un peso uguale di f-naftol furono riscaldati a bagno di H,SO,. A 144° il miscuglio fuse con sviluppo di bolle di gas. Si continuò a riscaldare tra 140° e 150° sino a che cessò tale sviluppo. Il prodotto della reazione venne purificato, lavandolo prima con alcool ordi- nario e cristallizzandolo poscia ripetutamente dall'alcool assoluto. « Gr. 0,2542 di sostanza fornirono gr. 0, 6101 di CO: e gr. 0,0908 di H;0. trovato ° calcolato per C16H11 N3 03 C 605,46 69,52 H 3,97 3,09 « Fonde a 192-194°. È identico al m-nitrobenzolazo-$-naftol preparato da Meldola (Ber. 1888, 601) per l'azione del nitrito sodico sulla nitrobenzo]- azo-f-naftilammina in soluzione nell’acido acetico. Derivato etilico. « Gr. 9,60 di sostanza furono trattati in un pallone asciutto con circa (1) Le esperienze, per dimostrare che i composti in esame erano diazoamidocomposti, furono eseguite dallo studente Sig. G. Scimeca, ed in parte anche a sue spese: a lui porgo i miei ringraziamenti. Egli ha eseguito inoltre dei tentativi per trasformare questi diazoamido negli isomeri amido-azo, ma ancora non ha raggiunto lo scopo. — 399 — cc. 250 di alcool distillato sulla calce, gr. 1,90 di potassa disciolta in alcool e raffreddando esternamente con gr. 6 di ioduro di etile e messi a rica- dere per circa 10 ore. Dopo raffreddamento tutto si rapprese in una massa gialla cristallina, che venne purificata per ripetute cristallizzazioni da alcool amilico, dov’ è molto solubile. « Gir. 0,2349 di sostanza fornirono gr. 0, 4638 di CO; e gr. 0,0939 di H,0. trovato °o calcolato per Ci4His N04 Ù 53,84 53,99 H 4,44 4,12 « P. f. 117-119°, come per il composto preparato da Meldola e Streatfeild (1. c.). « Le esperienze che dimostrano che anche a quella elevata tempera- tura si formano e sono stabili dei sali di diazo sono le seguenti : « 1) Gr. 7 di p-nitroanilina disciolti in cirea 60 cc. di HCl furono trattati tra 90-100° con 1'/, eq. di Na NO». Il prodotto della reazione fil- trato e riscaldato sino quasi all’ebollizione fu fatto attraversare da una ra- pida corrente di vapore acqueo. Distillò molta p-cloronitrobenzina, bianca, cristallizzata in aghi p. f. 83°, insolubile negli alcali. Eliminata questa sostanza col raffreddamento delle acque madri si formò una massa cristallina di lunghi aghi, che raccolti e lavati con acqua, erano solubili negli alcali e fon- devano come il p-nitrofenolo a 112-114°. Le acque filtrate, alcalinizzate con soda, diedero un abbondante precipitato giallo, che cristallizzato dall'acqua fuse a 147° ed era p-nitroanilina. Di questi tre prodotti evidentemente i primi due si erano formati per l’azione dell’HCI e del vapore acqueo sul cloruro di p-diazonitrobenzina, secondo le note equazioni : NO, — GH, N=N— C1=NO,— CHi — C14- N» VCS NE GI08,0 — NO-2#: Hi OH N Q10 la terza proveniva della base rimasta inalterata durante la reazione. « 2) Gr. 4 di p-nitroanilina furono disciolti in circa 50 ce. di HCl e trattati con la soluzione acquosa concentrata di 4eq. di Na NO, a 90-100°. Il prodotto della reazione filtrato e diluito con acqua non diede la solita massa gialla gelatinosa. Questa però sì formò aggiungendovi una soluzione acquosa di cloridrato di p-nitroanilina. Similmente, trattando tale prodotto con soluzione alcalina di f-naftol, diede colorazione e precipitato rosso mattone. Cloruro di p-nitrodiazobenzina secco preparato 2,027 « Gr. 3 di cloridrato di p-nitroanilina polverizzato sospesi in circa 15 ce. di HOI e riscaldati in un grande tubo da saggio a 85-90° a bagno di acqua salata, furono sottoposti ad una rapida corrente di N:0; (da HNO; d. 1,35 e As,0;). Il sale subito si disciolse e dopo pochi secondi ancora inco- minciò a manifestarsi un principio di decomposizione con sviluppo di piccole — 400 — bolle di gas da tutta la massa del liquido e formazione di un olio che si raccoglieva alla superficie. Fu sospesa allora la corrente, il prodotto fu decan- tato subito in una capsula e dopo raffreddamento fu filtrato. Alcune gocce del filtrato diluite con acqua diedero uno scarso precipitato giallo fioccoso. Il rimanente fu versato in un pallone a turacciolo smerigliato e trattato con circa 3 vol. di alcool assoluto e poscia con etere assoluto sino ad intorbi- damento lattiginoso carico di tutta la massa. Molto di raro avviene che col riposo si formino dei cristalli, che in tal caso sono lunghi da 2 a 83 centi- metri. Ordinariamente da questo liquido lattiginoso si deposita la soluzione acquosa concentrata del sale del diazo. Si decanta allora lo strato etereo e il residuo acquoso si tratta di muovo con circa 3 vol. di alcool e poco etere: senza dubbio avviene tosto la precipitazione di piccoli cristalli aghiformi; alla soluzione decantata si aggiunge nuova quantità di etere assoluto e pre- cipita cosi ancora della soluzione acquosa che viene trattata come la pre- cedente. « A questo modo si possono ottenere diverse frazioni del sale del diazo cristallizzato. Per purificarle si decanta il liquido per quanto più completa- mente è possibile, si lava diverse volte con etere sino a che questo resta quasi incoloro, si ridisciolgono i cristalli in alcool assoluto e si riprecipitano e Sì lavano di nuovo con etere. Si versa poi tutto in un bicchiere in presenza di etere, e decantato questo si dissecca su acido solforico in presenza di pa- raffina. « l. Gr. 0,1246 di sostanza bolliti con acqua in corrente di CO, forni- rono ce. 15 di Az alla temperatura di 15°,6, e alla pressione di mm. 759. « 2. gr. 0,3307 di sostanza fornirono gr. 0,2527 di AgC1. trovato 9 calcolato per NO. — CH, — N; — CI N diazoico 14,04 15,09 (0,1 18,39 19,13 « Il rendimento è alquanto notevole. « Cristallizza in aghi bianchi che dopo alcuni giorni diventano gial- lastri, anche se si conservano in un disseccatore ad H, SO,. All'aria non è deli- quescente. Riscaldato in un tubo da saggio detona; detona pure, ma leg- germente, con un colpo secco: per raggiungere questo scopo se ne attacca un poco ad un martello di ferro e si percuote fortemente contro una superficie pure di ferro. « Si rammollisce a 80° e fonde decomponendosi e talvolta con detonazione a 85°. È molto solubile nell'acqua; questa soluzione s’intorbida subito se il prodotto contiene ancora tracce della base primitiva; ha reazione acida; con soda dà un precipitato rosso mattone; precipitato dello stesso colore dà con la soluzione di f-naftol nella soda (1 mol.:1 mol.); con soluzione di clo- ridrato di *p-nitroanilina dà il solito precipitato giallo gelatinoso. È abba- — 401 — stanza solubile in alcool, insolubile nella benzina, nella ligroina e nel cloroformio. Cloruro di p-nitrodiazobenzina preparato a bassa temperatura. « Gr. 2 di cloridrato di p-nitroanilina anidro (1 mol.) furono disciolti in circa 30 cc. di alcool assoluto e gr. 2,54 di HCl (d. 1,16) (2 mol.) e raffreddando esternamente con neve furono trattati agitando con gr. 2 di nitrito di amile (piccolo eccesso su 1 eq.). Dopo circa 2 ore il pro- dotto della reazione di colorito rosso carico fu filtrato in un fiasco a turac- ciolo smerigliato, diluito con un altro poco di alcool assoluto e precipitato con circa 200 cc. di etere assoluto. Il precipitato bianco, costituito da pic- coli cristalli aghiformi, venne purificato come nel caso precedente. « Gr. 0,3123 di sostanza fornirono gr. 0,2356 di Ag CI. trovato °/ calcolato per NO» CsH, — Ns — CI CI 18,64 19,13 « Per tutti i caratteri fisici e chimici questo sale si comporta come l’altro preparato a 90°. Il rendimento è molto abbondante. « Tutti i sali che seguono li ho preparati a bassa temperatura. Cloruro di m-nitrodiazobenzolo. « Fu preparato nelle medesime condizioni del precedente, sostituendo al cloridrato di p-nitroanilina quello della m-nitroanilina. Siccome questo sale è meno solubile nell’alcool assoluto, nella precipitazione del sale di diazo con etere non è necessario aggiungere altra quantità di questo solvente. « Gr. 0,3950 di sostanza fornirono gr. 0,2997 di Ag CI. trovato °/ calcolato per NO. — C5Hy — N: CI Cl 18,78 19,13 « Il sale anidro è bianco e deliquescente all'aria. Esplode sia col ri- scaldamento in tubo da saggio, sia con la percussione e più facilmente del- l'isomero para. La temperatura di esplosione con notevole detonazione è 118° senza che la sostanza prima si sia alterata. È molto solubile nell'acqua, e questa soluzione rispetto ai reattivi dei sali di diazo si comporta come quella del composto para. È solubile nell’alcool assoluto, insolubile nella ben- zina, nella ligroina e nel solfuro di carbonio. Il rendimento è abbondante. Cloruro di o-diazofenolo. «Furono impiegati nelle condizioni predette gr. 1,46 di cloridrato di o-am- minofenolo (1 mol.) gr. 2,22 di HCI (2 mol.), circa cc. 30 di alcool asso- luto, e gr. 1,20 di nitrito di amile (1 mol.) e circa cc. 200 di etere asso- luto. Il sale che precipita è polverulento e quantunque sia stato lavato molte volte con etere, ridisciolto due volte in alcool assoluto e riprecipitato e la- vato con etere assoluto, si mostra sempre di colorito bianco sporco. — 402 — « Gr. 0,3752 di sostanza fornirono gr. 0,3414 di Ag CI. trovato °/ calcolato per HO — CH, — Na — CI Cl 22,49 22,68 « Il sale anidro non è deliquescente all'aria: si decompone rapidamente a 152° senza detonazione. Nemmeno detona se si riscalda rapidamente, nè con la percussione. È solubilissimo nell'acqua, insolubile in benzina, ligroina e cloroformio Cloruro di a-diazonaftalina. « Furono adoperati nelle solite condizioni gr. 1,80 di cloridrato di «-naftilammina (1 mol.) gr. 2,22 di H CI (2 mol.), circa ce. 60 di alcool as- soluto e circa 300 ce. di etere assoluto. Anche in questo caso quantunque avessi lavato il sale di diazo ottenuto ripetutamente con etere, l'avessi ridi- sciolto per due volte in alcool assoluto e riprecipitato e lavato con etere asso- luto, sì ottenne sempre in cristalli ocra chiaro splendenti. « Gr. 0,3183 di sostanza fornirono gr. 0,2385 di Ag Cl; trovato °/ calcolato per C.0H7 — Ns — CI CI 18,58 18,63 « Il cloruro di a-diazonaftalina anidro fonde decomponendosi a 96° senza detonazione. Non detona nè per rapido riscaldamento, nè con la percussione. Mostra i caratteri di solubilità dei precedenti sali. « Per determinare finalmente la massima temperatura alla quale si possono formare i sali dei diazo composti che ho descritti, feci uso dei se- guenti reattivi: 1) f-naftol e soda (1 mol. : 1 mol.); 2) cloridrato di p-nitroanilina; 3) cloridrato di anilina. « Nel caso in cui si era formato il sale di diazo si ottenevano col primo gli ossiazo e con gli altri due i diazoamidocomposti caratteristici. Questi ultimi, con il sale di diazo che proveniva dalla p-nitroanilina, si for- marono anche in soluzione acida, con quello della m-nitroanilina in presenza di soluzione acquosa di acetato sodico, con le altre basi in soluzione debol- mente alcalina. « Nel caso in cui non si era formato il sale del diazo ricercato si ave- vano risultati completamente negativi, che non lasciavano alcun dubbio sul- l'andamento della reazione. « Furono impiegati sempre 1 mol. in centigr. del cloridrato della base per 1 mol. di nitrito sodico. La quantità di acido cloridrico a causa della solubilità dei differenti sali fu alquanto diversa. Se ne impiegarono cc. 25 per la p-, la m-nitroanilina e l'anilina; cc. 35 per l’amminofenolo e ce. 50 per l’a-naftilammina. Il miscuglio del sale e dell'acido cloridrico veniva ri- — 403 — scaldato in capsula di porcellana e la soluzione concentrata del nitrito sodico veniva aggiunta a goccia a goccia. La temperatura durante la reazione si manteneva costante. Così operando : A 100° si trasformarono in diazocomposti : 1) la p-nitroanilina 2) la m-nitroanilina. « Invece con l’anilina, l’e-naftilammina e con l’amminofenolo non si ot- tennero nemmeno tracce dei corrispondenti diazo. A 60° si trasformarono in diazocomposti : 1) l’anilina (durante la reazione la temperatura salì quasi sino a 70°) 2) l’a-naftilammina. Con l’amminofenolo invece non si notarono nemmeno tracce di diazo ». Chimica. — Sua Octaidro-para-dimetil-etil-naftalina. Nota di A. ANDREOCCI, presentata dal Socio CANNIZZARO. Botanica. — Terzo pugillo di alghe tripolitane. Nota di G. B. Dr Toni, presentata a nome del Corrispondente ARCANGELI. Queste Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. PERSONALE ACCADEMICO Il Presidente BrioscHI dà il doloroso annuncio delle perdite fatte dall’Ac- cademia nelle persone dei Socî stranieri James DwiGHT DANA, morto il 14 aprile 1895, e CarLo Lupwie, morto il 24 aprile 1895; apparteneva il primo all'Accademia sino dal 2 luglio 1875, e ne faceva parte il secondo dal 20 settembre 1887. Il Corrisp. Luciani legge la seguente Commemorazione del defunto Socio straniero C. Lupwia: « Carlo Ludwig, l'illustre fisiologo di Lipsia, il 24 dello scorso mese, dopo breve malattia è morto. Questo funesto annunzio avrà larga eco di cordoglio presso tutti i cultori delle scienze biologiche di ogni paese. RenpIconTI. 1895, Vor. IV, 1° Sem. 59 — 404 — « Da molti anni l’Istiluto fisiologico di Lipsia era il vivaio dei più di- stinti giovani fisiologi, che da ogni parte del mondo accorrevano a perfezio- narsi nella tecnica sperimentale presso quell’insigne Maestro. Egli era lieto e orgoglioso di accoglierli, e godeva di vivere e lavorare continuamente con loro; sapeva incoraggiarli ed eccitarne l'attività sperimentale, rafforzarne lo spirito critico, fecondarne le idee coi suoi ammaestramenti tecnici, frutto di lunga e vasta esperienza e di consumata pratica nelle indagini attinenti ai complessi problemi della vita. « La carriera del Ludwig fu una delle più operose e utilmente produttive. Nato il 29 decembre del 1816 in Witzenhausen, studiò a Marburg e a Erlangen. Si addottorò a Marburg nel 1839; fu prosettore in quell'/sluto anatomico nel 1841; fu abilitato all'insegnamento della fisiologia nel 1842; fu nominato prof. straordinario di Anatomia comparata nel 1846. Da Marburg passò a Zirich nel 1849 come ordinario di Anatomia e Fisiologia. Nel 1855 fu chiamato a Vienna al Josephinum come prof. di Fisiologia e Zoologia. Finalmente nell'aprile del 1865 assunse - come coronamento definitivo della sua carriera - la grande cattedra di Fisiologia nella Università di Lipsia la- sciata vacante dall’illustre H. Weber. « Come i suoi celebri amici Helmoltz, Briicke, Du Bois Reymond, era il Ludwig seguace di quel moderno indirizzo fisiologico, che informato dei progressi delle scienze esatte, va in tutti i sensi tentando di ricondurre i complessi fenomeni vitali alle leggi fondamentali della fisica e della chimica, pur sempre evitando di far della metafisica, sia spiritualistica, sia materialistica. « La sua attività si espanse in tutto il vasto dominio della fisiologia, come ne fan fede il suo Trattato di fisiologia dell’uomo (') in cui appaiono quasi in ciascun capitolo le impronte della sua personalità, e i numerosi e svariati lavori manografici eseguiti e pubblicati in piccola parte da lui solo, più spesso in collaborazione coi suoi discepoli, spessissimo da questi ultimi, sempre però sotto la sua guida e direzione, e non raramente col suo attivo intervento nelle ricerche (2). « Ma se si considera l’ indole speciale e l'argomento prevalente nei lavori usciti dal laboratorio del Ludwig, è facile vedere che campo speciale delle sue ricerche furono i problemi meccanici. Da questo punto di vista egli può considerarsi come continuatore di quella scuola che ebbe in Italia il suo fondatore in Alfonso Borelli, e fu ripresa e restaurata in Germania dai fratelli Weber e dal Volkmann. Egli infatti si è in modo speciale occupato di ap- plicare alla fisiologia i metodi della meccanica e della cinematica, e con vero talento inventivo, ideò una serie d’ingegnosi metodi e apparecchi, col- (1) Zehrbuch der Physiologie des Menschen (2 Aufl. Leipzig und Heidelberg, 1358-61). (2) F. Miller's Archiv (1843-49), Henle und Pfeufer's Zeitsch. (1844-55), Verhandl. der Ziricher Naturf-Gesellsch. (1852-55), Berichte der k. sichs. Gesellsch. der Wissensch. zu Leipzig. (1865-76). Du Bois Reymond’s Archiv (1877-95). — 405 — l’aiuto dei quali eseguì esperimenti nuovi e svariati, e raggiunse la scoperta di alcuni fatti di capitale importanza, che dischiusero nuove vie di ricerca, e pei quali soltanto il suo nome ha acquistato diritto d’ immortalità nella storia della nostra scienza. « Col suo chimografo introdusse per primo in fisiologia il metodo gra- fico automatico, e aprì la via a innumerevoli lavori che addussero una vera riforma e un grande sviluppo all’ importante capitolo dell’emodinamica. Colla sua scoperta degli effetti dell’eccitamento della corda del timpano sulla secre- zione della glandola sottomascellare, aprì la via allo studio (che continua tuttora) dell'influenza del sistema nervoso sul metabolismo dei tessuti, e rasentò la spie- gazione meccanica di una classe di fenomeni, che alcuni tuttora considerano del dominio della così detta forza vitale. La scoperta del centro vasomotore bulbare fatta col Thiry, e l’altra col Cyon del nervo depressore del coniglio, furono il preludio di molte altre svariate e fruttuose ricerche, che resero tanto esteso e complesso l'importante capitolo dell’innervazione vasale, e dell’ influenza (pressoria e depressoria, diretta e riflessa), che il sistema nervoso esercita sulla circolazione sanguigna. Diremo infine che alla scuola del Ludwig è dovuto quel fecondo metodo delle circolazioni artificiali su organi soprav- viventi staccati dall’animale, che ha avuto tanto larghe applicazioni, ed ha arricchito la scienza di un insieme notabilissimo di fatti importanti, rischia- rando problemi che sembravano del tutto ribelli alle indagini sperimentali. « Se grandi furono i meriti del Ludwig come scopritore e inventore, grandissimi e veramente ammirabili furono i suoi meriti come Maestro. Per 53 anni continui egli ha lavorato, mettendo a servigio dei suoi allievi tutta la sua abilità tecnica e la sua larga cultura scientifica. Egli non si sentiva felice che in loro compagnia, lavorando con loro, o prendendo parte e interesse ai loro lavori. Egli sapeva farsene altrettanti amici fedeli e rico- noscenti, che diffusero - tornati al loro paese e occupate cattedre importanti - la fama e la gloria del loro Maestro, presso ì cultori delle scienze biologiche. Nessun fisiologo ha mai vantato e nessuno forse potrà mai vantare, un numero maggiore di allievi, che poi hanno percorsa con plauso la carriera scientifica, di quanti ne conta il Ludwig ('). Nella sua modestia, di questo soltanto egli (1) Gli allievi italiani del Ludwig in ordine di data sono i seguenti: Giuseppe Giannuzzi nel 1865 (morto a Siena ove fu prof. ord. di Fisiologia). Giulio Ceradini nel 1871-72 (morto a Milano); fu prof. ord. di Fisiologia a Genova. Luigi Luciani nel 1872-73, prof. ord. di Fisiologia a Roma. Angelo Mosso nel 1874, prof. ord. di Fisiologia a Torino. Giulio Fano nel 1881, Prof. ord. di Fisiologia a Firenze. Gaetano Salvioli nel 1881 (morto a Genova), prof. ord. di Patologia generale. Gaetano Gaglio nel 1886, prof. ord. di Farmacologia a Messina. Dario Baldi nel 1887, prof. str. di Farmacologia a Pavia. Ivo Novi nel 1888, prof. str. di Fisiologia a Siena. Vittorio Grandis nel 1891, già assistente all'Istituto fisiologico di Torino. — 406 — sì compiaceva, ed è in verità un titolo di merito grandissimo, che mentre dimostra l’alta stima e simpatia da cui era circondato, è la testimonianza più manifesta delle amabili qualità del suo carattere morale, sempre ilare, semplice, aperto a tutti i moti dell'animo ». PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario BLASERNA presenta le pubblicazioni giunte in dono, se- gnalando quella del Socio CrLORIA intitolata: Sw/e osservazioni di comete fatte da Paolo dal Pozzo Toscanelli e sui lavori astronomici suoi in genere, e altre opere dei signori De MARGHI e FouQuE. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del & maggio 1895 Annali delle epidemie occorse in Italia dalle prime memorie fino al 1850. Vol. II. IV. 2. VIII. Bologna, 1867-77-94, 4°, Barbosa R. J. — Plantas novas cultivadas no Jardim Botanico de Rio de Janeiro. III. Rio, 1898, 4°, Bisogni C. — Sur la correspondance anatomique du groupe glandulaire, sous-linguale avec les -plaques Jugulaires dans les serpents non veni- nimeux. Leipzig, s. a. 8°. Brédikine Th. — Sur les Perséides observés en Russie en 1894. S. Pé- tersbourg, 1895, 4°. Camiolo A. — Il ritmo vibratorio, principio scientifico nei rapporti dei suoni musicali. Niscemi, 1894, 4°, Carta idrografica d'Italia. Liri-Garigliano, Paludi Pontine e Fucino. Roma, 18957 40) Catalogue of the Michigan Mining School 1892-94. Houghton, 1894, 8°, Celoria C. — Sulle osservazioni di Comete fatte da Paolo dal Pozzo To- scanelli e sui lavori astronomici suoi in generale. Roma, 1894, 4°. De Marchi L. — Le Cause dell'Era Glaciale. Pavia, 1895, 8°. Louqué F. — Contribution è l’étude des feldspaths des roches volcaniques. Paris, 1894, 8°. Giovenale G. — Le linee metalliche ondulate elastiche, applicate alla di- mostrazione sperimentale del teorema di Pascal sulla idrostatica. Roma, i 0, Id. — Memoria sopra un perfezionamento della macchina pneumatica a mer- curio.! Roma, s. a., 8°. — 407 — Giovenale G. — Sopra un apparato per la dimostrazione sperimentale della composizione dell'aria. Roma, s. a., 4°. Lussana S. — A proposito della Nota del sig. Déguisne « Ueber die Frage nach einer Anomalie des Leitvermégens der wisserigen Loòsungen hei 4° ». Pisa, 1894, 83°. Id. — Influenza della pressione sulla temperatura di trasformazione. Pisa, 1895, 8°. Id. — Osservazioni sismiche dei mesi di novembre e dicembre 1894 fatte col microsismografo Vicentini. Siena, 1395, 8°. Id. — Sul calore specifico dei gas. Pisa, 1894, 8°. Id. — Sul potere termoelettrico degli elettroliti. Pisa, 1894, 8°. Monari A. e Carlinfanti E. — Studio e modificazione del processo Ròse per la determinazione delle impurezze nelle acquaviti etc. (Min. Int. Dir. San. Publ.). Roma, 1895, 4°. Palazzo L. — La Stazione meteorica e geotermica annessa ai laboratori scientifici della Direzione di Sanità in Roma. Roma, 1895, 4° Raineri S. — L'olio usato a calmare le onde. Roma, 1895, 8°. Relazione della Giunta Superiore del catasto 18 apr. 1895, Roma, 1895 £°. Wilde H. — On the evidence afforded by Bodès Law of a permanent con- traction of the Radii Vectores of the Planetary Orbits. Manchester, 1895. 8°. Id. — On the multiple proportions of the atomic weights of elementary sub- stances in relation to the unit of Hydrogen. Manchester, 1895, 8°. 18 15), RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI mnannannoa_ <<< Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 19 maggio 1895. A. MessEDAGLIA Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Astronomia. — Sopra l’orbita definitiva della Cometa IV, 1890. Nota del prof. T. Zona, presentata dal Socio TACCHINI. « Nel 1890 il dì 15 novembre scopersi una nuova cometa. Siccome non si era scoperto alcun nuovo astro in questo osservatorio dopo Cerere scoperto dal Piazzi nel 1801, così credetti opportuno e conveniente che in questo stesso osservatorio si esaurissero le ricerche sull’orbita della stessa cometa. « Incaricai dapprima l'ing. Agnello assistente a voler fare una ricerca sull’orbita di prima approssimazione nell'ipotesi parabolica, ciò che fu fatto e pubblicato; indi volle incaricarsi della stessa ricerca anche il dott. Mattina, assistente volontario presso questo stesso mio osservatorio e già mio scolaro come l'ing. Agnello. « Esaurita la prima parte della ricerca il dott. Mattina fu da me succes- sivamente invitato a volersi occupare della ricerca definitiva dell'orbita, a questo lavoro di buon grado si accinse e coll’aiuto dei miei consigli, ma più particolarmente per il suo grande affetto alla scienza astronomica e per la sua valentia di calcolatore, potè condurre a termine la laboriosa ricerca; e dico a più forte ragione laboriosa ricerca perchè per speciali cause inerenti al- l'indole del problema l'intero calcolo, per dubbi sorti, fu più volte ripetuto. « La ricerca fu lungamente analizzata e discussa, pur tuttavia non credo esaurito completamente l'argomento; di ciò persuaso, consigliai al dott. Mat- tina di fare altre ricerche mutando radicalmente le basi del calcolo ed il metodo. RenpicontI. 1895, Vor. IV, 1° Sem. 54 — 410 — « Intanto credo cosa ben fatta presentare il risultato delle ricerche fatte, perchè esso può sempre servire non solo come risultato di laboriose ricerche, ma può servire ancora ad animare giovani calcolatori che pur usando me- todi altamente apprezzati possono incontrarsi in risultati punto soddisfacenti. « Ecco pertanto la relazione del lavoro del dott. Mattina. « La cometa fu osservata in molti osservatori d’ Italia, Germania, Francia, Svizzera ed Inghilterra dal 15 novembre al 18 gennaio, in tutto ottanta volte. « Il Mattina raccolse tutte le osservazioni e con gli elementi parabolici T = 1890 Ag. 7,5076 tm Berlino o = 381° 34 21”3 £— 85" 23 32 8) M. E. 1890,0 i ==154 9052 2, log g = 0,312072 costruì un’effemeride per l'intervallo 14 novembre 1390, 13 gennaio 1891, indi fece le opportune riduzioni di parallasse, aberrazione, nutazione e pre- cessione relative all’equinozio 1890,0. « Ridotte quindi le osservazioni alla più vicina mezzanotte, costruì i quattro seguenti luoghi normali: ii a IA 1890 p Vo, ln Vs 1890 p Va p Vs Novemb.15.| 1. — 831) — —_ Novembre 28 | — — TORA 16/4 + 45/4| + 0.7 Ri — 2.3 | 1| + 16.0 iS 13.1 80|4| —54 |4| + 19 Zi oz 1.8 Dicembre 3 | 2| +30 |2]) + 09 10 RE 1.1 4/2| — 7.6 |2) — 09 Q0 II = Gai 8.1 O/4| +41 |4| — 12 Ala, a 3.6 221} — 104/|1 10.2 23 | 1 0.0 | — —_ Primo luogo normale Secondo luogo normale Novembre 19.5 Dicembre 3.5 Ca=— 2.3 © 170 ga tiy) 16 La secd= — 2. 8 La see d= — 17,0 Effemeride = 78° 18 1/5 Effemeride = 57° 46 27.7 Ascen. retta normale = 78 12 59.2 Ascen. retta normale= 57 46 1.7 makes 1049 age 04 My Effemeride= 34° 17 80/5 Effemeride — 34° 56/22”0 Decl. normale= 84 17 85. 0 Decl. normale= 84 56 22. 2 > Gia SS emma CC CM na 1890 p Vo, p Vs 1890 p Vo p Vs Dicembre 7 | 1% + 48|1| — 241 Dicembre 29 | 2| + 30.92) + 0.38 8|4 86;4| + 12 31| 1 36.4 | 1 6.5 9|1 12.0 |1| — 489 Gennaio 2 | 1 34.0 | 1 21.0 10| 2 Osa 2 13| 1 61.3 | 1 5.0 Loi 55|1 0.0 12 | 2 73|2| — 20 13) 2 142|2| — 0.7 14|3 16.7 |3| — 44 15| 4 132 |4| + 2.0 17|1 15.9 | 1| + 5.2 Terzo luogo normale Quarto luogo normale Dicembre 12.5. Dicembre 31,5 ta = 11/8 + 0”.6 Pa= 947.38 17.0 Lo, sec Î= 17 .0 La sec d= 497.0 Effemeride = 46° 33’ 427.6 Effemeride = 31° 25’ 52.4 Ascen. retta normale = 4683 59. 6 Ascen. retta normale = 31 26 41. 4 cs= 1/8 175 ag= 60V4* 378 Effemeridi = 33.35 27. 6 Effemeridi = 29° 36' 417.9 Decl. normale = 33.35 29. 4 Decl. normale = 29 36 48. 3 «Perla formazione delle equazioni di condizione il dott. Mattina usò il me- todo di Schonfeld: Weber die Berechnung der Differentialformeln sur Be- stimmung der wahrscheinlichsten Bahnelemente fur Planeten und Cometen, ed ottenne le seguenti Equazioni di condizione originali logaritmiche. (Ale (hi 005068 op —() 9.13328,, 9.08475 9.26930 0.38885 9.61978, 9.61035, 0.36173 \ 939245 9.35992 944670 0.14739 9.30960, 9.37184, 9.84510 AR.) 961724 940210 948476 9.85478 = 8.92684n 9.03320, 1.07188, 9.69931 = 9.86547 947246 9.00762, 857167 8.76826 1.53529, 927201, 9.03173, 9.00800, 9.63507, 0.03431n 0.02488n 0.65321, \ 919432, 882816, 880913, 6.81898 0.01969, 0.08193, 9.30103, Decl.) g.82612, 845142, 846518, 823536 9.97656, 0.08292, 0.25527, | 8.95560 834751 = 8.22714 9.27186, 984049, 0.03708, 0.80618, « Dividendo i coefficienti di una stessa incognita per il più grande di essi preso come fattore di omogeneità, e dividendo tutti i termini noti per il più grande di essi preso come unità di errore, ricavò le equazioni di condi- zione omogenee seguenti: uo | Equazioni normali numeriche. x Y 8 U w È #+2.2906. — 2.8314 4-2.2999 4-0.2630 0.6594 +0.5807 — 1.2687 ASSI SES — Sy — 19168 0.3252 —0.2906 + 1.1656 Ri 2-29 99 AM 32207 13:3220/0 1 900 0.1343 -+0.1230. — 1.2169 1510.2630 =13168 144080 Egr, 0.2602 + 0.0567 +0.6594 — — 0.8252 + 0.1348 ‘— 0.2979 + 3.30290 + 3.4664 + 0.2649 +0.5807 —0.2906 +0.1230.— 0.2602 + 34664 + 3.7321 + 0.2966 _ e — — « Quindi risolse le dette equazioni col metodo di sostituzione: una | volta considerando il sistema come è stato seritto precedentemente, e una | seconda volta considerando il sistema invertito, ed adottò poscia per valore di ciascuna incognita la media M dei valori ottenuti. | | | « Nello stesso modo operò per i rispettivi pesi ed ottenne il seguente | quadro : x Y Z 0) | w t il I Sistema. . 1.167 8.315 7.719 | — 0.271 1.944 | — 1.698 4 II Sistema. . 2.127 9.308 TT0100 SOM 1.711 | — 1.500 " Mo 1.647 8.809 7.710 0.092 1.828 | — 1.597 Ì Peso medio . | — 0.0008 | — 0.0008 | + 0:0026 | (00003 | — 00112) — 0.0123 Î « L'errore probabile dell’unità di peso è P === « Eseguite le operazioni suddette ricavò le Correzioni degli elementi di partenza. AT —=+ 0.238556 = do0= — 67. 9 di = — 67. 4 d log q = + 0.000006 de =-+ 0.004199 e quindi gli i | Elementi definitivi. T = 1890 Ag. 7.7462 ie I 40) Q= 85.22. 249 i=154 18 448 log g = 0.312078 | e= 1.004199 | — 413 — « Dagli elementi suddetti si vede che l'orbita è iperbolica, caso alquanto raro e perciò maggior importanza ha la ricerca. « Considerando l'orbita iperbolica quasi parabolica, il Mattina fece la rappresentazione dei luoghi normali, questi non vennero che poco ben rap- presentati. Per allontanare qualunque dubbio di errore di calcolo, il Mattina rinnovò i calcoli indipendentemente da cima a fondo più volte, ma sempre ricadde negli stessi risultati. Ciò che diede però più da pensare fu il valore negativo [/f5] che teoricamente è essenzialmente positivo. Rappresentazione dei luoghi normali. Nov. 19.5 | Dic. 3.5 | Dic. 12.5 | Dic. 31,5 Aa + 2,/29”,7+ 2/12//1|+1/34,78| + 24.74 As ib gi ZU 8|7 10, 3| + 9, 2 Soluzione diretta [75] = — 0,0130 Soluzione inversa [75] == — 0,0006. « Tl caso potrebbe tuttavia spiegarsi così (come opina anche il Mattina): [5] è positivo, ma nella pratica, per un cumulo di piccole differenze nelle ultime cifre decimali e combinazioni di speciali elementi, può risultare come quì risultò, infatti, negativo. « Quanto alla non buona rappresentazione dei luoghi normali, può at- tribuirsi ad una fortuita combinazione dei coefficienti delle equazioni la cui risoluzione diede origine a coefficienti ausiliari molto piccoli; una prova che così sia, sta nel fatto che i due sistemi di valori ottenuti, risolvendo le equa- zioni normali differiscono non poco, e ciò è naturalmente da attribuirsi alla piccolezza dei detti coefficienti ausiliari ». Matematica. — Sulle superficie che, da un doppio sistema di traiettorie îsogonali sotto un angolo costante delle linee di curvatura, sono divise in parallelogrammi infinitesimi equivalenti. Nota del prof. CesarE FigBI, presentata dal Socio Dini. « Di queste superficie hanno trattato, primieramente il prof. Bianchi in una sua Memoria inserita negli Annali di Matematica (‘) e posteriormente il Guichard (£) e lo stesso prof. Bianchi (3), per avere occasione di considerare (1) Sopra una nuova classe di superficie ecc. (1890). (2) Comptes rendus de l’Académie des Sciences (1898, pag. 488). (*) Rendiconti della R. Accademia dei Lincei (agosto 1894). — dli — quella classe delle superficie in discorso, per le quali le distanze dei piani principali da un punto fisso o sono eguali o hanno tra loro un rapporto co- stante, e in ciascuno dei ricordati lavori è posta in evidenza l’intima relazione che lega la teoria di queste superficie a quella delle congruenze pseudosferiche, 0, che è lo stesso, della trasformazione di Biacklund per le superficie a curvatura costante negativa. « Scopo di questa Nota è d’insistere su questa relazione, e più special- mente su quella che lega le superficie in considerazione con quelle che son conosciute sotto il nome di superficie di Voss e che sono pure strettamente collegate colle superficie psendosferiche. « 1. Sia ® una superficie riferita alle sue linee di curvatura (4, v) e sia ds? = e du? + gdv? l'elemento lineare della sua rappresentazione sferica. Se definiamo la super- ficie mediante le sue coordinate tangenziali X, Y, Z, W, e indichiamo con 7,7 ì suoi raggi principali di curvatura, avremo per le note formole di Weingarten: d°W__ adlogyle IW e dlog ife 3W Sn VO RAEEE? Inobt (1) ME AR ea o > ra Lino RON gdlog 1/9 dW >dlogl/g aW or — aa dono agi Indicando poi con X,, Y1,Z1, Wi; Xs, Ya ss, Wa le coordinate dei piani normali 7, , 73 tangenti alle linee inclinate dell'angolo > sulle linee di cur- vatura v = cost., avremo: {uo COME « TX . \ io Ve Qu 2 Vga dv' (2 ( ci en OA DE | Kr = 0087 Ve dU Ir90 dg dw° con le analoghe per Y,,Z,,Ys,Zs, € quindi: CIV CAI PA A \ e, i È 0) o 2 I ahi dW Î o= x X, = c08=: / sen CRena 2 Ve du 2 qg de. — 415 — Si avrà poi per derivazione delle (2): dIXi I def e AED (o 1 @ dU Ng 30 (DE Ve du uo ig ITA VeX, DIXI Laeiie ?) WI l QUEI Ve du È 2 Ve du amo 2 V9 dv + sen 5 ee CO e lex, dU 9g dv 2 l'e dU 2 V9 dV 2 Pi ci dv Ve du 9 Ve du °e Va 5) 2 V9X: DE a 1 lo pi, «Ve (re — pr ; Pr > (W— W3cosa), SU a 1 avg mi 2 (_- W+ LT To Y (W— W:c08 a); DM a o, D6 Die a cos5:Ve (AVE TE (Wicosa—W,), eee ene GORI dv 2 ; sna fe du gi Se da queste si eliminano 71 — W e 7» — W, si ottengono le altre: ee 10 4 VEL BI WE 59 yg ® Me), e AR, EI “a Ye du Wale che legano fra loro le distanze dall’origine dei piani tangenti alle due su- perficie Xx, X, inviluppate dai piani 7, , 7». Notiamo infine che per i coef- ficienti degli elementi lineari sferici di queste superficie, avremo rispettiva- mente : DIE (+ di ns cost 3 dis de + sen? 9, Tre pla ale GI di g == "i 5; “A =; — sen3 c055 C. Veg ; 1_ alle n@ 1 si NC Farei ae dg ni A + sen 3 0087: Veg - 3 — 416 — « 2. Ciò posto, se ricorriamo ai lavori citati del prof. Bianchi, ve- diamo che la condizione necessaria e sufficiente affinchè la superficie ® sia tagliata dalle traiettorie sotto l’angolo 3 delle linee di curvatura v = cost in parallelogrammi infinitesimi equivalenti, è data dalla relazione: COAT QI Ng 5 loud) _ pole ELIZA), (5) 59 al 5, DI p zl n) alla quale si soddisfa, ponendo Ve 0083 = sen(0» + @) , ysen È _ sen (0-—)), 2 1 ae 139 Vg >» Ve du dove @,,, sono due angoli legati dalle relazioni: =c08(0, 4 0) , = (08 (0° — 01); ( d(0, — @) 1+seno Do > =" sen (0, + 0), d(00 +) 1—seno | PI Mo (Ce) avendo posto 0 = a — 5 , ed essendo essi angoli soluzioni della stessa equazione 22 (7) Me - sen 240 "du dD « Sono questi i risultati che dànno ragione del nesso che si è asserito esistere fra la teoria delle congruenze pseudosferiche e quella delle super- ficie ®, giacchè è noto che se 2}, Y1,4, sono le coordinate di una superficie pseudosferica S, riferita alle sue linee assintotiche (vv) inclinate fra loro di un angolo 2@0,, soluzione della (7), se si costruisce la congruenza deter- minata dalle formole (8) Lr = d 4 608 0 (sen w, X' + cos w, X"), dove X', X!”,... sono i coseni di direzione delle linee di curvatura della Sio e 0, è legato a , dalle (6), le 22,7», saranno le coordinate della se- conda falda S, della superficie focale, riferita essa pure alle sue linee assin- totiche, il cui angolo d’inclinazione sarà 2w,. E siccome i coefficienti della rappresentazione sferica della congruenza così definita soddisfano la (5), si ha che le linee richieste sulla superficie ® e sulla sfera rappresentativa sono quelle che corrispondono alle linee assintotiche della superficie focale di una qualunque congruenza pseudosferica. — 417 — « A questo risultato ottenuto dal prof. Bianchi possiamo aggiungere che avendosi ora e=l , fi=— 00820, ; 9i=1, eg=1 , fa=— 0920, , ga=1; le linee (4,0) sulle superficie 2, , 2, Sono rispettivamente le immagini delle assintotiche delle superficie pseudosferiche S,,S,. Di più, se dalle (4), che ora si scrivono: PAESANA o (W.+W,) cos (00 + #1), (44) dU cos O dI W Wi.) 1-—seno - di cos 0 (We — Wi) cos (@ — 1), si eliminano successivamente W,, W., tenendo conto delle (6), si trova: d°W, dW, —— = W, c05 20 du dv i e, DI (9) = W, cos 20, ; e queste esprimono che le linee (vv) sulle superficie X, , > sono geode- tiche e coniugate e perciò le X,,2> appartengono a quella classe di super- ficie che son conosciute sotto il nome di superficie di Voss ('). Si ha dunque il teorema: Se sopra una superficie ® le traiettorie isogonali sotto l'angolo costante +5 di un sistema di linee di curvatura la dividono in parallelogrammi infinitesimi equivalenti, i piani normali tangenti alle dette linee inviluppano due superficie di Voss Z2,, Dr associate, secondo il senso sta- bilito dal prof. Bianchi (*), alle due falde di una con- gruenza pseudosferica, e saranno legate fra di loro dalle relazioni (4*). « 3. Alla dimostrazione del teorema reciproco faremo precedere l'osser- vazione seguente. Siano X,, > due superficie definite dalle loro coordinate tangenziali eZ, Wa oieiZ:, Web che supporremo funzioni delle stesse variabili «,v per le due superficie. I piani tangenti (a) xe +Yyt+Ze=W; Xoxr + Yy + 228 = Wi (1) Sitzungsberichte der Akademie der Wissenschaften zu Minchen, 1888. (®) Sulle deformazioni infinitesime delle superficie flessibili ed inestendibili. Rend. della R. Accademia dei Lincei (luglio 1892). RenpiIconTI. 1895, Vor. IV, 1° Sem. 55 eg in due punti corrispondenti s'intersecheranno secondo i raggi di una con- gruenza, e se si pone: a=Y,Z°,—-Y,Z ) 0=,X>—- 4, X, ’ ceXY:-X;Y, GND XG , D=W,Y,-W,l , c=-W,Z—-W,Z, le equazioni di un raggio della congruenza potranno scriversi ba-cyta' =0 , ce—a|+0=0 , ay—ba4e=0, e la condizione necessaria e sufficiente affinchè la congruenza sia normale è | che l’espressione dis 0) x, de Ì @+S dale | sia un differenziale esatto (1). « Introducendo i coseni di direzione X,Y,7 dei raggi della congruenza e l'angolo £ dei piani (@), l’espressione precedente prende la forma: (8) n (W, cose — W,) 3XdX, + (Wi CROWS 0, | Ciò posto, si abbia una congruenza pseudosferica, e le X,, XY, siano due su- | perficie corrispondenti rispettivamente per parallelismo delle normali alle falde S,, Ss della sua superficie focale. Completando le formole della tra- sformazione di Bicklund, aggiungendo alle (6), (7), (8) del numero prece- dente le altre aa cos m X'+4 sen w, X" , =, 3 X'+ sen X”, | z, dX' dw dX' dw A COS co MR e la x! Lo cos, X, , Î dU dU dv dv Î | DR dw DX do Î o rana i e X— sen@, X,, dU dU : dv dv Xs = — coso cos w X' + cos o sen w, X" — seno DIGO colle analoghe per Y,,Z1; Ys,Z:; Y,Z; NORIZI sita X= senw, X'4 cos, X”, colle analoghe per Y,Z e 2 =3 +0. « Con queste formole è facile verificare che si ha: IX DX du = e du = sen(w, 5 0), I : sx Li i SI = — sen (0° — 1), | dv dv (1) Darboux, Zegons sur la théorie générale des surfaces, deuxième partie, pag. 277. — 419 — e conseguentemente la (#) diventa, a meno del segno: 1 ; 1 de (W.+ Wi.) sen(0,-+ 01) du + Tam sen (0, — @)dv, e sarà un differenziale esatto se fra le W,, W,. sussisteranno le relazioni (4*). Ponendo allora Il (W:-W,)sen(0x—®,)dv, 2 sen? ; W= Ji - (W:--W) sen (0,+-@1) du + 2 cos? È dove si è tornati a porre a = 3 + o, le coordinate tangenziali X, Y,Z, W definiranno una superficie per la quale si avrà: __ Sen? (0, — 1) ds sen? (05 + @,) a re. 008° 5 sen* 3 dW __aloglfe >W , dloglo dW VERO RE da II ed essendo soddisfatta la (5), sarà una superficie D, sulla quale le x, v sa- ranno le linee di curvatura. « Si ha dunque il teorema: Se Z1, 2 sono due superficie di Voss, associate ri- spettivamente alle due falde S, , S, di una congruenza pseudosferica, e legate dalle relazioni (4*), i loro piani tangenti nei punti corrispondenti s’intersecano secondo i raggi di una congruenza normale ad una superficie ®, sulla quale le linee tangenti a detti piani sono inclinate di uno stesso angolo costante sulle linee di curvatura e la divi- dono in parallelogrammi infinitesimi equivalenti. « Osserviamo infine che le (9) ci forniscono per le (4*) i due sistemi di soluzioni particolari __dOi __ DO? Inf] dir 0° d0) dd Sn LINO PT e che per W,=0 si ritrovano le superficie ® studiate dal prof. Bianchi nella Nota citata in principio ». — ‘420 — Geodesia. — L’attrazione locale nella Specola geodetica di S. Pietro in Vincoli in Roma. Nota di V. ReINA, presentata dal Socio CREMONA. «I. Nella Determinazione dell’azimut assoluto di monte Cavo sull’oriz- sonte della Specola geodetica di S. Pietro în Vincoli (*) venne eseguita la compensazione della piccola rete che servì a collegare la Specola S coi tre punti trigonometrici di primo ordine da essa visibili M (M. Mario), G (M. Gennaro), C (M. Cavo). Per gli angoli compensati, quali sono indi- cati dall’unita figura, si ottennero i seguenti valori: Wai (1) = 69°.12/.15”.84 sa (2) (61-302008£ S | E (3) = 49. 37. 25. 58 C I (4) = 99. 03. 02. 68 S| g 1, (5) = 76. 46.55. 07 DL (6)= 3.28. 09. 90 M=GL2.18, 2, « Con questi dati, e col valore della base MC (log s = log MC = 4.4588100.7), risultante da una comunicazione scritta dell'Istituto Geografico Militare, si deter- S Speeola. — M Monte Mario. minarono le dimensioni della rete, otte- G Monte Gennaro. — C Monte Cavo. nendosi: log MC = 4.4583100.7 MC = 28728.m31 log MG = 4.5190068 MG = 33037. 47 log CG = 4.5472090 CG = 35254. 05 log SM = 3.6826090 SM= 4815. 14 log SG = 4.5042805 SG = 31936. 00 log SC == 4.3788295 SC = 23923. 76 « Ivi si avvertiva però (V. pag. 42) che, per effetto della compensa- zione della rete di primo ordine, il logaritmo fornito dall'Istituto Geografico avrebbe subìto una piccola modificazione, avente solo per effetto di alterare in un rapporto vicinissimo all'unità le dimensioni della piccola rete qui con- siderata, senza modificarne la forma. Terminata tale compensazione, io ri- chiesi subito all'Istituto Geografico il nuovo valore della base MC, e, con (1) Pubblicazioni della R. Commissione geodetica italiana. Padova, 1894. — 421 — tutta sollecitudine, mi venne da esso comunicato per lettera il seguente valore logs' = log MC = 4.4583088.5. « Questo logaritmo è inferiore al precedente di 12.2 unità della settima cifra decimale: si otterranno quindi le vere dimensioni della rete moltipli- LÀ cando i valori dei lati già ottenuti per il rapporto S e quindi diminuendo i logaritmi dei lati stessi di 12.2 unità della settima cifra decimale. Si ot- tengono così i nuovi valori log MC = 4.4583088.5 MC = 28728.23 log MG = 4.5190056 MG = 33037. 38 log CG = 4.5472078 CG= 35253. 95 log SM = 3.6826078 SM = 4815. 13 log SG = 4.5042793 SGi_31935/091 log SC = 4,3788283 SC = 23923. 70 « II. Nella predetta comunicazione dell'Istituto Geografico venne anche dato l’azimut di M. Cavo sull’orizzonte di M. Mario azimut (MC) = 131°.50'.33”.084, e le coordinate geodetiche di M. Mario g= 41°.55/.24".381 92/23/04 06. 32508 provenienti, come l’azimut, da Castanìa attraverso la rete di primo ordine compensata. « Se all’azimut (MC) si aggiunge l'angolo (6), si ottiene azimut (MS) = 135°.18'.42”.984.. « Facendo uso dei due valori s= 4815".13 a = 1359.18'.42".984 , ed adoperando le formole (°) 7 s cos @ s? sen? @ sn) i Tr A ATA tg P o sen l 20 Nsen 1 ssena —_ N'senl” cos g' m= (9 —0)senz (91 9) a —=adLmse 180°, (1) Cfr. Nicodemo Jadanza. Guida al calcolo delle coordinate geodetiche. Torino, 1891 (pag. 47). — 422 — sì faccia il trasporto della latitudine, della longitudine e dell’azimut da M. Mario alla Specola. Si ottengono per le coordinate geodetiche della Spe- cola (provenienti da Castanìa) PI 893339 6 = — 3.01.39 .417 a'— azimut (SM) = 315°0.20.21”.110. «Se a questo azimut si aggiungono gli angoli (4) e (5) si ottiene azimut (SC) = 131°.10'.18”.86. « Si adotti per la latitudine astronomica della Specola quella determi- nata nel 1887 (1) ga = 41°.53/.357.08, e per l'azimut astronomico (SC) quello risultante dalla sopra accennata Determinazione ecc. Si avrà: gogdeviea MAN 934899 Latitudine della Specola aswonomica,i ri i = 45385008 Deviazione locale in latitudine . . ... 99° Pa = — 1".64 Azimut di M. Cavo sul- ( geodetiso . . . . . @y=131°.10'.18”.86 l'orizzonte della Specola ( astronomico . . . . @,= 181.110.183. 52 Deviazione locale in asimut . . ..... ag — = 51.34 « Con questi due dati si possono determinare le due componenti È (componente-Sud) ed 7 (componente-Ovest) della aftrazione locale, definite dalle due formole (°) È = Py — Pa nyn=(a, — a) cotg pa. « Sostituendovi i precedenti valori numerici se ne ricava E— — 1.64 n= 5".95, « La grandezza assoluta © dell'attrazione locale ed il suo azimut A (contato dal meridiano astronomico a partire dal Sud nel senso Sud-Ovest: Nord-est) saranno da ricavarsi dalle formole È = ®cos À n= ©senA, (1) Cfr. Sulla lunghezza del pendolo semplice a secondi in Roma. Esperienze ese- guite dai prof. G. Pisati ed E. Pucci, pubblicate per cura di V. Reina. Mem. della R. Ace. dei Lincei, 1894 (pag. 94). (?) Vedi Helmert. Die mathematischen und physikalischen Theorieen der hòheren Geodtsie. Vol I, pag. 518, 537. Nelle formole date dal testo è stata solo introdotta una modificazione di simboli. — 423 — e queste dànno: ®©= 6".18 A TO5S2A4RI0, « Questi elementi definiscono la posizione della normale geoidica (ver- ticale) della Specola rispetto alla normale ellissoidica, cioè alla retta con- dotta dal punto stesso normalmente all'ellissoide di riferimento. Questo ellis- soide, avente le dimensioni di Bessel ed avente l'asse di rotazione parallelo a quello terrestre, si suppone disposto in guisa da intersecare normalmente la verticale di Castanìa a livello del mare. « III. Se si fosse determinata direttamente, con operazioni astronomiche, la longitudine della Specola rispetto a Castanìa, si potrebbe calcolare in un secondo modo la componente n dell'attrazione locale, cioè colla formola Mea (00 0a) COS Pa, essendo la longitudine geodetica 0, e la astronomica @, contate a partire da Castanìa positivameute verso l'Est ('). Confrontando questo valore col prece- dente, si dovrebbe avere aj — (0-9) sen pa =0, che è l'equazione di Laplace. Dal grado maggiore 0 minore con cui questa equazione riesce soddisfatta, si potrebbe trarre un criterio circa le esattezza delle operazioni astronomiche e geodetiche. « Ora la determinazione astronomica della differenza di longitudine fra Roma e Castanìa non venne effettuata, ma lo fu però quella fra Roma e Pachino, risultante dalle due determinazioni Roma-Napoli e Napoli-Pachino : di più a Pachino venne determinato un azimut astronomico. Con questi ele- menti è possibile avere una verifica dei precedenti risultati. « Nel Processo verbale delle sedute della Commissione geodetica ita- liana tenute in Roma nel dicembre 1889 sì trovano i seguenti dati (pag. 24): Differenza astronomica di longitudine Roma-Napoli . . - 1°.46'.20".87 ’ ” ” Napoli-Pachino. . . 0.50.21. 56 ” ” n Roma-Pachino . . . 2.36.42. 43 Roma (cerchio meridiano del Campidoglio) Napoli (centro dell'Osservatorio di Capodimonte) Pachino (segnale trigonometrico). « Questa differenza di longitudine si può facilmente ridurre dal Cam- pidoglio alla Specola. Si rammenti perciò che nella Determinazione del- (1) Nell'opera su citata di Helmert si presenta mel secondo membro il segno — perchè ivi è fatta l’ipotesi contraria circa il senso nel quale vengono contate le longi- tudini. — 424 — l’agimut ecc. sopra citata (pag. 49) sono date le coordinate geodetiche po- lari della Specola e del Campidoglio (asse della torre) rispetto al Collegio Romano (asse del tetto mobile dell’equatoriale) : Specola ST__BI2 27230 e MISSTAAZO Campidoglio s= 712.25 a= 154. 48. 13. 26 « Con queste coordinate, e facendo uso delle formole 1 (MBNBISICOS @ se Efosentiei ; s sen a 60 —-0= N' sen 1" cos’ sì trova: Differenza di longitudine Specola — Collegio Romano . . . . 467.896 ” ” Campidoglio (torre) — Coll. Rom. . . 13. 155 n 7 Specola — Campidoglio (torre) . . . 83.741 Il cerchio meridiano è all’Est della torre di @) . . ......° 161 quindi si ottiene: Differenza di longitudine Specola — Campidoglio (cerchio merid.) 32.13 « Applicando questa riduzione alla differenza astronomica di longitudine fra Roma e Pachino sopra riportata si trova Differenza astronomica di longitudine Specola-Pachino 0, = — 2°.36/.10”.30 « D'altra parte dal fascicolo Elementi geodetici dei punti contenuti nei fogli 273-74-76-77 della carta d'Italia (pag. 33) si cava longitudine geodetica di Pachino . . . — 0°25/.46”.708 Si è trovato ” ” dell'a *Specola Renee 90103 000417 quindi si ha: Differenza geodetica di longitudine Specola — Pachino 6, = — 20.35’.52”.709 « Fra la Specola e Pachino si ha pertanto la deviazione in longitudine 0,— 0, = 17.59 (1) Questo valore è riportato a piedi della tabelletta a pag. 24 nel Processo verbale sopra citato. Ivi è detto però per errore «il cerchio meridiano è all’Ovest della torre », in- vece che all’Esf, come volle gentilmente confermarmi per lettera il prof. Di Legge. — 425 — «Nel Processo verbale ecc. già più volte citato si trova ancora (pag. 22): Azimut di Mezzogregorio | geodetico . . . . @9= 337°.03'.44.608 sull’orizzonte di Pachino ( astronomico . . . = SZ JO dg — Ca STO Perla Specolagsiie trovato ff. i. —. . eta + 5. 34 e si ottiene quindi per la deviazione in acimut fra la Specola e Pachino €, — Ca 128SE « Sostituendo questi due valori nella equazione di Laplace si trova ag— a — (04 — da) SED Pa = L.03,, residuo soddisfacente, che costituisce una prova della bontà delle operazioni astronomiche e geodetiche ». Fisica. — Sulle arce d'isteresi elastica. Nota di M. CANTONE, presentata dal Socio BLASERNA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Fisica terrestre. — Sulla durata delle registrazioni sismiche. Nota di E. ODDONE, presentata dal Socio TACCHINI « Considerando i diagrammi avuti nell'ultimo biennio dai migliori sis- mometrografi italiani, col preconcetto che i terremoti sono fenomeni quasi istantanei, si rimane colpiti dapprima della loro durata, poi della variabilità di questa durata. In uno stesso apparecchio gli uni avvengono in meno di un minuto primo, gli altri a svolgersi richiedono delle ore. « Ho voluto ricercare i fattori che influiscono sulla durata del movi- mento, e mi sembrò che uno fosse la distanza dall'origine di scuotimento. Per accertarmene, ho preso in esame i dati dei sismometrografi più sensibili e per pormi al riparo dalle irregolarità dovute alla varia sensibilità degli apparecchi, comparai le durate ottenute in una stessa stazione e dallo stesso apparato in occasione di terremoti diversi, colle distanze della stazione agli epicentri probabili, contate sul cerchio massimo. In complesso sono tre confronti quelli che presento, l'uno indipendente dall'altro, e che riguardano le stazioni di Rocca di Papa, Roma è Siena (!). « La seguente tabella presenta nelle prime tre colonne la data, la lo- calità e l'intensità dei terremoti più notevoli del biennio 1893-94, nella (1) Gli strumenti registratori erano: A Rocca di Papa un sismometrografo di 7 m. di lunghezza, 100 kg. di massa ed ingrandimento da 1 a 10 cominciato a funzionare nel- l’agosto 1893. — A Roma un sismometrografo di 6 m. di lunghezza, 75 kg. di massa ed ingrandimento da 1 a 10 cominciato a funzionare nel febbraio 1893. — A Siena un sis- mometrografo di 6 m. di lunghezza, 50 kg. di massa ed ingrandimento da 1 a 75 co- minciato a funzionare nel marzo 1894. RenpiICONTI. 1895, Vor. IV, 1° Sem. 56 — 426 — quarta e quinta colonna un primo confronto tra le distanze dall’epicentro e le durate di movimento alla stazione di Rocca di Papa, nella quarta e sesta colonna un secondo confronto, indipendente dal primo, tra le stesse variabili per la stazione di Roma, finalmente nella quarta ed ultima colonna il terzo confronto per la stazione di Siena. —r———T———m———m@wxmm-.=====mx Distanze Durata del movimento a Data Località Intensità |dall'Epicentro in Km. |Rocca| Roma | Siena di Papa 0 10” LO AgI 94 Colli Laziali 0. debole 25 70” 220 nulla \ 0 6” 7 ot. 94 idem sensibile Î 25 75” I 220 nulla 29 Ott. 94| Colli di Tivoli... /.. idem x TA Son 200 nulla 14 Lugl. 94| Volterra (Pomarance). . . forte i “e ; i 220 circa| nulla | nulla 20 Mag. 94| Castel fiorentino (Siena). | fortissimo i v : DU 240 circa! nulla | nulla 2 Ag. .93| Abbruzzi........ : forte | 70 nulla | 1807 28 Mag. 94| Basilicata ......... fortissimo SOC a al ite 590 300” 1IMag. 98 Palermo Cc. forte | 425 360”(9) 455 360” 16 Nov. 94| Calabria e Sicilia. . ... disastroso 480 660” O 675 600” 14 Giug. 93| Epìro (Grecia)... .... rovinoso 755 4807 3 Lugl. 98 idem forte 759 420” LCA PE. 93EZante n e disastroso 850 160” 81 Genn. 93 idem idem 850 240” | 1 Febbr. 93 idem rovinoso 850 240” 4 Ag. 93 idem forte 850 240” 8 Apr. 93| Belgrado Ungheria. ... rovinoso 825 540” 20 Apr. 94| Locride (Grecia) . .... idem 1300 circa| traccie] 960%| 600% 27 Apr. 94 idem idem 1300 circa] 9007] 10807| 600% 10 Lugl. 94| Costantinopoli... .... disastroso |1400circa| 900”) 1860”|'2280” 9Hebbrs493/MSamotracia sg... Co rovinoso 1400 circa 1200” 2:38 Marzon93) MA eppori ir rl fortissimo | 2500 circa 900” O NovM93/l\urkestan i. .r 0 cana idem 5000:circa] 420”| 1260” 22 Marzo 94| Giappone... ....... disastroso |9330circa| 4380” 4800”) 3600” 27 Ott. 94| Rioia (Rep. Argentina). . idem 11170 circa | 1800”| 2100”| 3600” — Sag « Dal quadro soprascritto, anche a dispetto di talune forti irregolarità, risulta che nelle tre stazioni considerate la durata del movimento crebbe col crescere della distanza dall’epicentro. Le forti irregolarità sembrano specialmente dovute alla diversa natura dei terreni ed al fatto che le onde, sotto una data ampiezza, sfuggono agli apparati e moncano la registrazione. Non è infatti improbabile che le durate traggano origine dalle differenti ve- locità delle componenti, velocità che a loro volta variano nei varî strati; ed è poi naturale che in pratica le durate siano influenzate dall’intensità delle scosse. L'energia delle onde sismiche diminuendo almeno in ragione del qua- drato dei raggi, esisterà una distanza alla quale una parte delle onde sfuggirà ai registratori ed un'altra distanza alla quale nessuna eserciterà più influenza sensibile su di essi. Le onde dei terremoti romani non giunsero all'ap- parecchio di Siena e reciprocamente i terremoti toscani non arrivarono agli apparecchi di Roma e Rocca di Papa. Io ascrivo a queste cause le eccezio- nalmente piccole durate ‘delle registrazioni a Roma in occasione dei terre- moti di Zante, dell'Epiro, di Samotracia e di Aleppo e quelle a Rocca di Papa nei terremoti del Turkestan e di Grecia il 20 aprile. Abbiamo ancora che se per qualsiasi ragione le ampiezze decrescono, le registrazioni dovranno riuscire di minor durata. Ad esempio si sa che le ampiezze sono minori nei terreni più elastici, dunque ivi le durate dovrebbero essere minori. È quel ‘che si verifica. A parità di sensibilità degli apparecchi, nella stazione di Rocca di Papa sulla roccia sperone, le durate sono minori di quelle nel sottosuolo meno elastico di Roma. « Ai futuri diagrammi, ottenuti con strumenti comparabili, in svariati osservatorî e passati al vaglio di ulteriori studî, il dire se l’enunciato di cui sopra è legge, e quali altre forze 0 fattori entrano in giuoco. « Le lunghe durate a distanza, limitate dalla sensibilità degli appa- recchi, suggeriscono alcune considerazioni sulla velocità di propagazione. « Esse spiegano in parte le discrepanze occorse nei dati orari di osser- vatorî vicini e le divergenze nei valori della velocità di propagazione risul- tate fin'ora. Alle stazioni lontane, prima dei moderni diagrammi, gli stru- menti segnavano solo una fase fugacissima, uno di quei massimi che ora sappiamo possono benissimo distare dal massimo principale per parecchi primi e dal vero inizio del movimento per delle mezz'ore. Ecco come in osservatorî vicini o nello stesso osservatorio per diversi apparati, si potevano avere dati diversi e quindi come malgrado la bontà dei procedimenti di cal- colo e la copia delle stazioni, i valori della velocità potevano oscillare tra meno di 2 e più di 5 km. al secondo. «I nuovi diagrammi, colle loro grandi durate, accennando ad onde di velocità varia, che percorrono spazi eterogenei, diversamente lunghi, hanno allargato il problema. « Tolte le incertezze di cui sopra, la velocità di propagazione, in base 25 alla fase massima, ha potuto tendere vieppiù ad un valore costante (circa 2,5 km. al secondo): senonchè per il carattere delle oscillazioni in questa fase si è indotti a credere che il movimento non sia dovuto a semplici onde propa- | gantisi in un solido indefinito, per quanto incompatto; ma piuttosto abbia Ì origine da onde di natura diversa, forse superficiali e fors'anche dipendenti | dalla forza di gravità. | « Sembra allora naturale che la velocità principale sia quella del- l'onda che prima giunge alla stazione lontana, come quella che avrà per- corso la strada più breve e gli strati più elastici, e che i movimenti seguenti appartengano a quelle onde che percorsero strade via via più lunghe, attra- | verso terreni via via meno elastici o che per istrada mutarono la loro stessa | natura perchè assoggettate ad altre forze. i « Si hanno pochissimi dati di queste velocità principali e quei pochi | non mi sembrano franchi da obbiezioni. Ad esempio, valendosi dei diagrammi | ottenuti col sismometrografo di Roma e coi pendoli orizzontali di Nicolajew e Strassburg, il dott. Agamennone (!) calcolò la velocità di propagazione delle i onde dei terremoti di Zante, l’anno 1893, ed in base alla fase iniziale, trovò il valore di 3,3 km. accennando però alla probabilità d'un aumento. Più recentemente, colle ore iniziali ottenute nei magnetografi di Lisbona, Parigi, | Greenwich, Wilhelmshaven e colle ore pendolari di Cadice, in occasione della | grande scossa di terremoto dell'Andalusia il 25 Dicembre 1884 (%), ricavò < | la velocità principale in km. 3,1 cioè quasi identica alla prima. Questa | coincidenza non m'impedisce di ritenere questi valori troppo piccoli. Infatti Ì chi considera la durata di movimento nelle stazioni sunnominate, ricordando la relazione, precipuo oggetto della mia nota, non tarderà a convenire che in generale le durate furono inferiori a quelle che competeva loro per la distanza dall’epicentro, e che quindi gli istanti creduti inizi corrispondevano ad una fase inoltrata del movimento. Della prima serie, il solo terremoto del 20 marzo, del terremoto andaluso, la sola stazione di Lisbona, hanno presentati diagrammi di durata sufficiente da inferire che probabilmente l'inizio della registrazione coincide col principio del movimento. Questi dati restanti sono troppo poca cosa per poter sussidiare col calcolo le mie vedute; per altro è degno di nota che ambedue gli esempi s'accordano per rialzare notevolmente le velocità principali. « Qui torna opportuno ricordare che gli autori della classica monografia sul terremoto di Charleston del 1886, trovarono per la velocità di propagazione in base al principio dei movimenti sensibili alle persone, che è quanto dire in base alle prime fasi massime dei nuovi diagrammi (8), il valore medio di (1) Rend. della R. Accad. dei Lincei, Serie 5%, Vol. II, 2° sem., 1893, pag. 393 e Vol. III, 1° sem., 1894 p. 883. (2) Rend. della R. Accad. dei Lincei, Serie 5°, Vol. III, 2° sem., 1894, pag. 317. (3) A rigore non è ancora noto come si comportano le registrazioni in rapporto alle sensazioni. — 429 — ‘5,2 km. La considerazione della fase iniziale avrebbe dunque condotto @ valori superiori. È anche noto che la scossa perturbò per breve tempo gli strumenti magnetici di Toronto a 1180 km. dall’epicentro, e che in base al principio di questa registrazione la velocità risultò anch’ essa di 5 km. La perturbazione, ed è cosa solita nei magnetografi, avvenne con ogni probabilità ad una fase avanzata del movimento, e velocità maggiori di 5 km. si avrebbero avute tenendo conto dei primissimi tremiti. « In molti dei grandi terremoti avvenuti nel biennio, la velocità, calcolata in base agli istanti iniziali sui migliori apparati italiani, mi risultò variabile ‘e superiore ai 5 km. Essendomi arrivati i dati orarî americani, in occa- sione del disastro dell’ Argentina il 27 ottobre 1894, da nessuno ch'io sappia ancora pubblicati in Europa (?), li fò di pubblica ragione valendo- mene a prova della maggior velocità di propagazione principale. Secondo la relazione ufficiale americana degli ingegneri A. Cantoni ed L. Caputo, firmata dalla Direzione delle Miniere, l'epicentro di questo terremoto, che distrusse le due città di Rioja e S. Juan, sta a 30° di lat. Sud ed a 67° di long. W. da Parigi. L'ora del disastro fu le 21 - 48’ t. m. E. C. — Però la città di Rioja avendo dato le 21 - 41’ - 48” io riterrò quest'ora, che evidentemente riduce ad un minimo le velocità calcolate. In Europa le ondulazioni furono segnate nelle seguenti stazioni con dati orari del movimento iniziale varia- bilissimi, che io riproduco, ordinati per tempo crescente e coll’ indicazione dell'ap- parecchio registratore, a conferma delle opinioni svolte nelle precedenti pagine. Ore Ore Stazioni Apparati indicatori del della fase movimento | massima iniziale Roma ..... Sism.fo L = 16 m. M = 200 kg. Ingr. 10 DIRNISI 22 56 Charkow. . .. Pendolo orizzontale » 9 2300107 Nicolayew . . . Pendolo orizzontale Di ID DE STenARIe Sism.fo L = 6 m. M = 50 kg. Ingr. 75 n (190 29 56’ ISCHIA. Simoscopio e pendoli orizzontali nIN33I 23008; Utrecht. . . . . Magnetografi » 45° 22 56 IPA do de è Sism.fo L = 4,5m. M = 40 kg. Ingr. 10 » 46 22 55° Rocca di Papa Sism.f0 L= 7 mM = 100 kg. Ingr. 10 » 49 22 51’ Wilhelmshaven Magnetografi » 56 Co ca (1) Nell'intervallo tra la consegna del manoscritto e la correzione delle bozze, usci- rono sul terremoto argentino le seguenti due Note: C. Davisou, he velocity of the Ar- gentine Earthquake Pulsations, of October 27, 1894. Nature, Vol. 51, pag. 462. — A.F. Noguès, Zremblement de terre chilo-argentin du 27 Octobre. C. R., tome CXX, p. 167. Consultare anche le: Europaische Beobachtungen des grossen japanischen Erdbebens vom 922 Mirz 1894, und des venezolanischen Erdbebens von 28 April 1894 nebst Untersuchun- gen iber die Fortpflanzungsgeschwindigkeit dieser Erdbeben, del Dr. E. v. Rebeur Pa- schwitz nelle Petermann’s Mittheilungen. Marzo 1895. pag. 13 — 430 — « Le differenze di tempo tra l'ora epicentrale e quelle iniziali di Roma e Charkow sono rispettivamente di 1572 e 1632”, gli spazi calcolati sul cerchio massimo sono rispettivamente di 11,200 e 12,700 km.: risultano dunque le due velocità di 7,1 e 7,8 km. al secondo. Se invece dell’arco, per lo spazio percorso si tiene la corda, le velocità diventano di poco inferiori e precisa- mente di 6,4 e 7,0 km. « Ho inoltrato questi dati non credendo dover ritenere definitiva la velocità di 3 km. circa risultante dalle note suaccennate; ma siccome velocità superiori ai 5 km. non si sono sperimentate mai in nessun solido, essi non vanno ancora ritenuti per valori assoluti. Quando nelle aree epicentrali vediamo mancare ogni distribuzione geometrica oraria, quando cioè abbiamo per ogni punto una scossa brevissima, ma i dati orari sono saltuariamente diversi da punto a punto; quando ancora non abbiamo nessun diagramma di sismografi buoni per le medesime aree in occasione di fortissimi terremoti, cosicchè igno- riamo se i tremiti che occasionano le prime registrazioni lontane irradiano prima od al momento della scossa; e quando finalmente, nulla sappiamo del meccanismo dei terremoti e del mezzo che percorrono le onde, le velocità trovate possono risultare solo apparenti. « Vengo alle seguenti conclusioni: « La durata di movimento cresce col crescere della distanza dall'epicentro. «I vari massimi che s'osservano nei nuovi diagrammi, in parte spiegano le discrepanze avute nei dati orari e quindi nei valori delle velocità di propagazione. « La velocità in base alla fase massima è pressochè costante a circa 2,5 km. al secondo; ma sembra non corrispondere alla solita propagazione longitudinale delle onde. « La velocità in base alla fase iniziale ha valori apparenti variabili, in generale notevolmente più alti di quelli attribuitile fin’ ora. « I dati iniziali dei magnetografi non coincidono coll’ inizio del movimento, e di conseguenza al pari della falange di dati dei sismoscopi e sismografi poco sensibili, vanno scartati nel calcolo della velocità principale. « In attesa che cresca il numero degli apparati comparabili e sensibili, credo che i confronti sulle durate di movimento potranno giovare a deci- dere seil principio d'un diagramma corrisponde al vero inizio del movimento, op- pure ad una fase inoltrata del medesimo. « Dell'’importanza geologica dei fenomeni sismici in un dato centro, sembrami si possa giudicare meglio dal confronto delle durate di movimento in varie stazioni, su apparecchi comparabili, che non dalla gravità dei danni, i quali ormai sappiamo sono sempre relativi alla stabilità del terreno super- ficiale, alla solidità di costruzione, alla densità degli abitati ecc. ». — 4381 — Chimica. — Sulla Octoidro-para-dimetil-etil-naftalina. Nota di A. ANDREOCCI, presentata dal Socio CANNIZZARO. « Annunziai con una mia Nota preliminare (‘) che dalla santonina per azione del cloruro stannoso e dello stagno in soluzione cloridrica all’ebolli- zione, si forma oltre all’acido santonoso destrogiro, un idrocarburo con sviluppo di anidride carbonica, e mi proposi di stabilire la composizione e di inda- gare possibilmente la struttura del detto idrocarburo con ulteriori ricerche che oggi rendo note. « Dopo una lunga serie di prove trovai che il miglior metodo per otte- nere l’idrocarburo è il seguente: « Entro un pallone della capacità di litri cinque, che si possa adattare a smeriglio con un refrigerante ascendente, si disciolgono grammi 250 di santonina in litri 2,5 di acido cloridrico fumante e si aggiungono grammi 400 di stagno in verghe e grammi 2,5 di cloruro rameico, che rende più rapido l'attacco del metallo. « Riscaldando all’ebollizione per 10 ore su bagno di sabbia, o a fiamma diretta, si separa l'acido santonoso bruno e vischioso, si svolge anidride car- bonica e ricade nel recipiente coi vapori condensati del liquido, un olio, la di cui quantità però non sembra che aumenti dopo le prime due ore di riscal- damento, e che in fine dell'operazione si può raccogliere distillando una parte del liquido stesso. « Da un chilogramma di santonina ho ottenuto così circa 20 grammi di olio; mentre trattando all’ebollizione la santonina con una soluzione di cloruro stannoso in presenza di stagno, se ne formano solo piccole quantità, però maggiore è il rendimento e la purezza dell'acido santonoso. « L'olio ridistillato in corrente di vapore, lavato con carbonato sodico e seccato contiene cloro; ma in quantità così piccola da non corrispondere @ quella di un possibile composto mono-clorurato, come risulta dalla seguente analisi : gr. 0,4730 di olio dànno gr. 0,0761 di AgC1; ossia contiene il 3,98 °/ di cloro. « L'olio distilla fra 2500 e 270° svolgendo acido cloridrico e perde così quasi completamente il cloro per una prolungata ebollizione a ricadere; infatti dopo 3 ore di riscaldamento non è più sensibile lo sviluppo dell'acido clo- ridrico, e l'olio distilla fra 251° e 2650. Lasciato per qualche tempo sul- l’idrato potassico fuso e fatto bollire a ricadere per altre tre ore, distilla fra 2489-2600 e la frazione più grande, bollente fra 248,5 e 2519, contiene (1) Questi Rendiconti, seduta del 30 aprile 1893. — 4352 — ancora una piccolissima quantità di cloro, come risulta dai dati seguenti : gr. 0,4676 di olio dànno gr. 0,0090 di AgCl corrispondenti a 0,47 Uh ch cloro. « Fatto bollire a ricadere sul sodio per due ore, perde ogni traccia di cloro, e distilla tutto in un grado da 247° a 2489, ma non è ancora puris- simo, come risulta dalla prima delle seguenti combustioni, però migliora col prolungare l'ebollizione sul sodio, come risulta dalle altre due: I. gr. 0,3233 di olio bollito 2 ore sul sodio dànno gr. 0,9404 di CO? e gr. 0,2949 di H?2 0 II. gr. 0,2236 di olio bollito 4 ore sul sodio dànno gr. 0,7139 di CO? e gr. 0,2461 di H20 III gr. 0,2245 di olio bollito 12 ore sul sodio dànno gr. 0,7191 di CO? e gr. 0,2489 di H20. « Da questi dati si hanno per la composizione centesimale dell’idrocar- buro i seguenti valori: I I III C 86.97 87.07 87.36 H 12.18 12.23 12.32 Totale 99.15 99.30 99.68 « La densità di vapore della frazione bollente da 247,4% a 247,89, de- terminata col metodo di Meyer in atmosfera d'idrogeno riscaldando coi va- pori di difenilammina, risulta dal seguente specchietto : Peso della sostanza 0. Ce i o gr. 0,0715 Volumetdadrosenofspostatog@Ngs gi 0 COTTO) 8,9 Temperatura: tia: 7 gradi 13,2 Pressione! (corr) fe PA I 754,3 Densità riferita al A Reel e SRRASSAT0O Peso molecolare >.» «ile > 200 « Da queste esperienze ed analisi si deduce: 1° Lo stagno in soluzione cloridrica a caldo riduce facilmente la santonina nell’acido santonoso, che poi converte parzialmente in un idrocar- buro, oppure direttamente trasforma la santonina in quest'ultima sostanza. 2° L'idrocarburo si deve addizionare, per lo meno parzialmente, ad una molecola di acido cloridrico trasformandosi in un composto clorurato, più idrogenato, poco stabile, perchè si dissocia in gran parte distillato alla pres- sione ordinaria ed anche in corrente di vapore e che perde completamente il cloro per ebollizione sul sodio. — 433 — 3°- Il composto clorurato deve bollire ad una temperatura più alta dell’idrocarburo, poichè il loro miscuglio bolle fra 250° e 270°; mentre l'idro- carburo a 2479-2480. 4° L'idrocarburo. deve anche essere probabilmente inquinato da pic- cole quantità di una sostanza ossigenata, alla quale probabilmente deve l'odore di menta che possiede, e tale impurezza si può eliminare in gran parte per una prolungata ebollizione sul sodio. 5° I valori ottenuti dalla 3% combustione e dalla densità di vapore della frazione bollente da 247,4° a 247,89 sono sufficienti per stabilire, come vedremo, la formola dell’idrocarburo; intanto si accordano colle formole pos- sibili C15H?25 e C14H?4 e non con le altre C! H?4 e C!4H°?, pure possibili; come risulta dal seguente specchio: Calcolato per = —— Trovato (15 H24 (14 H22 (15 H26 (14 H24 Carbonio 88,23 88,42 87,38 87,50 87,36 Idrogeno 11,77 11,58 12,62 12,50 12,82 [Peso molec®. 204 190 206 192 200 | i « Considerando poi, che la formazione dell'idrocarburo e del suo com- posto d’addizione coll’acido cloridrico avviene contemporaneamente allo svi- luppo di anidride carbonica, e che la santonina e l'acido santonoso sono composti a 15 atomi di carbonio, si deve necessariamente attribuire all'idrocarburo la formola C14H2! e non l’altra 015 H?®9; poichè adottando questa si dovrebbe ammettere la trasformazione del carbossile della catena propionica nel gruppo metile, cosa poco probabile anche per la natura del riducente e le condizioni della reazione. Inoltre non si dovrebbe tener conto dello sviluppo dell'ani- dride carbonica, che deve provenire evidentemente dal distacco del carbossile per azione dell'acido cloridrico su quella parte di acido santonoso, o di san- tonina, che si trasforma in idrocarburo; tanto più che il volume dell'anidride carbonica raccolta corrisponde a circa una molecola per ogni molecola d’idro- carburo formatosi. 6° L’idrocarburo derivando dalla santonina deve essere perciò una para-dimetil-etil-octoidronaftalina; il composto clorurato probabilmente una para-dimetil-etil-decaidro-cloronaftalina e la loro formazione potrebbe espri- mersi nel modo seguente: CH? ; lc (CH i, ONE | 3H?+-HC1—H°0-+-C0°+- CE 2775 CH (CH?) CO OH Chl Acido santonoso Composto clorurato RenpicontI. 1895, Vol. 1V, 1° Sem. 57 — 434 — ERAOC ps)CH -+4H°+4+-HCI=H?0+C0?4+ H°C1.0'°H5/CH3 CO 2 CH (CH°) CO CEE Santonina ; Composto clorurato (CH° (CH3 ER OLO — o REA SHe: CEE C° H? (c=H> Composto clorurato Idrocarburo « L'idrocarburo può essere rappresentato in un piano con una delle sette possibili formule di struttura per le quali l'idrogeno additivo del nucleo che porta l'etile è distribuito in tutte ugualmente, come è distribuito nella santonina e negli acidi santonosi; mentre nel nucleo bimetilato gli altri quattro atomi d'idrogeno aggiunti sono distribuiti differentemente. « Il composto clorurato, sarebbe il derivato d'una naftalina completa- mente idrogenata. , « Lo studio dell'idrocarburo e del composto clorurato ha una certa im- portanza, perchè una volta stabilita indiscutibilmente la loro struttura, si potrebbe anche dire che dalla santonina si sono ottenuti derivati in tutte le serie dal tipo naftalina al più idrogenato; cioè al tipo decaidro, come ri- sulta dal seguente specchio, col quale credo opportuno rammentarne i princi- pali rappresentanti : Tipo naftalina C!° H* Para-dimetil-naftalina fee eee CIEL ((CH), Para-dimetil-na fto CUEEAOHA(CHo): Para-dimetil-etil-naftalina . . . . . C'°H? (CH°)? — C? H5 De ARSE vt IE Acidi. santinicià 2 a RS CAUHA(CHo) CH So | 43 | 85 | 200 495 | 829 | 1270 I Ti 30 | 63 | 191 500 | 823 | 1838 | Ole a 57 | no TAN 86 Me Ie 615 io Meri 57 | INA @ | SIENA II 13,00 NOTE 37 | 59 | 165°] 542 | 1706 | TI 37 | 72 | 198 | 615-| 1911 SEO pi 28 | 57 | 156 | 583 | 1738 | L/ 36 | 75 | 179 | 596 | 1945 Sato, 19 | 38 .| 75 | 166 | 534 | 1688) 2819 L/ | 21 | 45 | 81 | 193 | 610 | 1892 31638 O, (00 a 1 6.7 23 131 352 | L' 6.0 28 141 349 | 3 6 apr.| L 4.7 20 1940) 0|1324 798 | 100 4.8 18 122 849 866 O, |17 » T 22 | 62 | 225! 676 I L“ 22 | 63 | 246 | 742 si II. Torsione dell’ottone Ot IV. Torsione del ferro Fe, Data | P. | 50 | 75 | 100 | 125 Data | P, | 100 | 150 | 200 | 250 | 300 lilugl.| L | 42 | 192 | 952 5294 8 ag.| L | 29 | 104 | 185 304 | 432 L'| 50 | 337 | 1316|4921 L'| 30 77 | 184 | 205 | 335 L/| 89 | 184 |906 |5296 e IZ 77.| 152 | 214 | 287 17 » |L | 80 | 117 | 481 |1924 9 » | L| 42 | 106 | 205 | 327 | 458 L/| 14 | 111 | 594 | 2404 L'| 30 76 | 185 | 200 | 360 L/”| 28 | 101 | 408 |1987 L”| 32 72 | 137 | 214 | 309 18 » | L | 52 | 175 | 505 | 2070 10 » |L| 33 96 | 171 | 283 | 415 L/| 16 | 126 | 607 | 2352 L'| 30 77| 138 | 194 | 275 L”| 39 | 112 | 473 | 2106 L'”| 25 68 | 130 | 205 | 276 22 » |L | 41 | 137 | 394 [1412 P, | 200 | 300 | 400 | 500 | 600 L' 7 56 | 354 |1697 MIE i PE Ilia nio esa oo 13» | 1 | 147|371]752|1268|1873 L/ | 187! 283 | 436 | 634 | — L/| 128 | 324 | 513 | 937 | 1294 14 » | L | 150 | 373 | 708 | 1134] 1647 L/| 137 270.| 422 | 623] — L/| 144 | 824 | 524 | 873 | 1155 NI. Torsione dell'ottone Ote V. Torsione del ferro Fez Data | P,| 100 | 150 | 200 | 250 | 300 Data | P1|100 | 150 | 200 | 250 | 300 i LE SA 27lugl.| L | 40 | 171 | 658 [2771 20 ag. | L | 56 | 195 | 392 | 722 | 1162 L'| 14 | 110 | 558 | 2620 L'| 28 75| 152 | 273| — LA] 23 121 | 585 |(2843 L'| 44 | 108 | 232 | 412 | 818 98 » |L | 41 | 136 | 507 | 2080 22 » |L | 60 | 172| 430 | 790 | 1207 T/| 13 69 | 374 | 2045 L'| 28 70| 147 | 257 | — L“| 35 93 | 428 [2091 L/”| 41 | 108 | 216 | 412 | 738 30 » | L | 44 | 313 (1223/3915 P,|200 | 300| 400 | 500 L'| 33 | 330 |1452|4569 —|—-|--|--|{r-_- L”| 54 | 321 |1269|4295 24 » | L | 392 |1461|4024|11290 L/ | 198 | 742|2746 | 9319 1 ag.| L | 41 | 141 | 581 |2560 12760 L”| 304 |1166|3582 [10710 L'| 13 79 | 668 |3010/11270° L”| 29 | 105! 581 |2621|13420 25 » | L | 406 |1311|3619 | 9778 L' | 198 | 703|2248| 8251 4» |L}| 53 | 180 | 582 |2419| 9131 L’| 319 |1104|3232 | 9329 L' 7 77 | 474 |2549| 9169 Tue 29 87 | 453 12353 | 9640 30 » |L | 447 |1524|3824| 8008 L'| 211 | 755|2040| 6861 L'"| 371 |1251|3232]| 7708 P, | 100 | 150 | 200 | 250 | 300 81 » | L| 65 | 220] 457 | 949 | 1497 L'| 29 89 | 202 | 354 | 836 L/| 57 | 151|345 | 682 | 1189 — 442 — VC Torsione del ferro Fes Data | P.| 50 | 75 | 100) 125 14 ott.| L | 43 | 170 | 873 | 3347 L/| 55 | 218 | 972 | 3505 L/| 43 | 135 | 851 | 3584 15 »|L| 46 | 119| 560 | 2204! L'| 52 | 160 | 599 | 2381 L| 48 | 149 | 541 | 2404 | 16 » |L| 47 | 109 | 319 | 1646 | L/| 52 | 181 | 394 | 1750 L/| 44 | 119 | 854 | 1740 17 » | L| 59 | 127) 255 |J242|5009 L’| 55 | 139 | 378 | 1598 | 5390 L''| 70 | 144 | 252 | 1227 | 5145 19 » | L| 67 | 162| 341 | 595 | 2955 DAS 33712701747 199 L'”| 87 | 151| 289 | 567 | 2899 929 n | | 830) 17501295 | 458 EA 5 | | 20317376 L”| 82 | 126 | 295 | 412 VII. Torsione del ferro Fey — _T__TTTTTTZTZTÀ:;:::-=-*<---« / / 200 | 300 | 400 | 500 | 600 TC cc 6@2121212122m=_È_@@ 444 |1274 139 | 939 404 |1074 398 | 1260 | 3377 166 | 602 |2736 361 |1046|2925 434 |1412|3663|12870 194 | 728 |2813|14640 386 |1064|3199|11760 416 |1412|4303]|13850|45720 283 | 1040 | 4364|17420|47380 398 | 1335 | 3988 |13940|47480 DO (vb) (©) dt + Lala SEN 28 » | L | 507 | 1696|5216|15110|40770 L' | 355 |1280|4861|17540|42550 L/| 504 | 1718!5028!15150'42680 VII. Torsione del nichel Nis Data |P, 100 | 150 200 | 250 | 200 12giu.| L | 49 | 184 | 480 | 1162 2758 L'| 43 | 115 | 298 | 944 | 2984 L/| 45 | 167 | 424 | 1073 | 2692 L | 75 | 184 | 372| 835 | 1982 L'| 50 | 132 | 292 | 700 | 1863 L/| 78 | 176 | 346 | 745 | 1898 20.» 21 » | L| 81 | 238 | 522 | 1192 | 2969 L/| 72 | 191 | 447 | 1242) 3278 L/| 78 | 226 | 457 | 1129 | 2976 23 » | L | 83 | 250 | 576 | 1271 | 3042 L'| 75 | 208 | 467 | 1167 | 3174 L/| 84 | 234 | 485 | 1129 | 2851 IX. Torsione del nichel Niso Data | P,| 200 | 250 | 300 | 350 | 400 21 nov.| L | 806 |2128|5327|14420|27700 L/ | 1028 |2870|6874|17440|32510 L/| 949 | 2253 |5746|14940]33140 23 » | L | 730 |1842|4161]|10960|24090 L’| 811 |2131|5733|12960|24380 L/| 836 | 1963|4508|11590|26200 24 » | L | 7384 |1712|3926| 9738|22770 L’| 796 |2057|5381|11960|22500 L”| 842 |1815|4246|10790|24720 25 » | L | 637 | 1653/3724 L’ | 710 | 1891|4665 L/| 740 |1780|4178 DG Torsione del nichel Ni, Data | P,| 200 | 250 | 300 | 350 100 ____————__———____t_1___—_—————— 27 nov.| L | 639 | 1664|3853 | 9819 [20370 I/ | 631 |1756|5214|11980|22030 L/| 657 |1658|4196|10450|22590 P, | 100 | 150 | 200 | 250 | 300 —_—[|__[|[_—_ 29 » | L | 101 | 301 | 682 | 1507 | 3434 L/'| 67 | 212 | 581 | 1488 | 3663 I | 92 | 259! 624 | 1498 | 3561 Digi XI. Torsione del platino Pt. XIV. Torsione del rame Cu Data P. 100 125 50 | 175 | 200 Data | P.| 50 | 75 | 100| 125 26 sett.| L 296 | 912 8 sett.| L | 77 |9320 | 1220 L' 58 | 418 L'| 71 | 844 | 1180 1% 170 | 701 L”| 90 |307 | 1325 28 » |L 281 | 664 6 » |L| 71 | 303 | 1009 L' 68 | 424 L'| 71 | 310 | 1088 L” 189 | 520 L”| 72 | 324 |1130 29 » | L | 213 | 510 | 1136] 3924 |10940 6» |L| 69 | 330 |1329|4608 L' | 132 | 314 | 911 | 3772 | 9613 L'| 78 | 378 | 1526 4254 L/| 257 | 465 | 1132| 3738 [10980 L”| 72 | 351 |1488|5044 11 ott.| L | 296 | 688 | 1493| 4410 [10560 7.» |L | 72 | 360 | 1262|4494 I/ | 219 | 495 | 1285 | 4711 |10850 L’'| 77 | 378 |1459 4094 L”| 246 | 623 | 1413 | 4214 |10750 L'”| 68 | 351 |1374|4819 XII. Torsione dell'alluminio Al, Data P. 50 75 100 | 125 2 nov.| L | 257 | 1073|3079 XV. Torsione del rame Cu: L' 247 | 986 | 3081 “= AI L”| 256 | 1050 |3118 Data | P.| 50 I 75 | 100 2» |L | 295 | 901 | 2955|11310 L'| 225 | 923 [3303] 8537 L”| 312 | 928 |3078|11420 11 sett.| L | 66 | 285 |1070 L’'| 63 | 292 |1091 5 » | L | 151 | 681 | 2562] 9516 L”| 64 | 313 [1176 L’| 183 | 745 |3090] 8008 L”| 146 | 705 | 2576] 9783 12 » | L | 58 | 262 | 940 L'| 60 | 272 | 947 10 » L | 163 | 710 | 2869] 9674 L”| 54 | 264 |1037 | L/ | 140 | 803 | 3436]| 9026 L”| 178 | 720 | 2989|10180 XIII. Torsione dell'alluminio Al» Data | P, 100 150 | 200 | 250 XVI. Torsione del rame Cus 2 .}L | 86 |2120 A Data »| 50 | 75 100 195 150 L”| 80 |2059 13 » | L 68 | 583 13 sett.| L 15 51 | 144 | 397 |1151 L'| 26 | 458 L’'| 11 41 | 155 | 447 [1078 L”| 60 | 591 1908 47 | 188 | 408 | 1209 14 » |L 77 | 289 | 1810|17690 14 » | L 17 56 | 140 | 375 | 974 L’| 61 | 388 [247111620 TAI 43 | 143 | 415 | 981 L”| 73 | 268 | 1812|17040 TRA 54 | 143 | 398 | 1016 16 » | L| 40 | 159 | 808 | 7353 14 » |L| 14 54 | 184 | 340 L’'| 16 | 112 |1136| 5860 L’'| 11 39 | 134 | 368 L”| 40 | 137 | 772 | 7324 I II 50 | 131 | 372 — 444 — XVII. Torsione dell'argento Ag» — È Data Pi 90 75 100 19 sett.| L 45 176 770 L' 44 182 764 Ju” 44 177 789 19 » L 49 180 669 L' 44 176 665 LU 42 170 685 20.» L 42 158 607 L' 40 162 649 TU” 44 154 610 22 » L 55 166 626 L' 42 158 668 IG 59 163 627 24 » L 45 156 570 L' 42 141 985 L” 46 140 5.69 « Nella flessione risulta un discreto accordo fra i valori di L e di L'. Le divergenze si rendono sensibili nei cicli di grande estensione, e sempre nel senso di aversi L>L". « Anche nella torsione l'accordo è in generale raggiunto, ma vi ha qualche fatto che importerà di mettere in evidenza. « Il filo Ot, che, come si è visto ('), presenta nei valori di L' un an- damento il quale accusa effetti assai sensibili dell’accomodazione, sì comporta in modo più regolare nelle ricerche col metodo statico per riguardo alla ve- rifica della (4), tuttavia i risultati delle ultime serie manifestano qualche disaccordo rilevante che potrebbe essere dovuto alla stessa causa ora citata. A conferma di questo modo di vedere starebbero l’esperienze col filo Ot», per il quale si è mostrato (2) essere più forti gli effetti dell’accomodazione sin dalle prime serie, e concordemente qui troviamo sin da principio al- quanto accentuata la divergenza fra le L e le corrispondenti L". «È notevole che il filo Fe, il quale nell’esperienze col metodo dina- mico presentava un'accomodazione con caratteri opposti a quelli dell’ottone (8) fornisce valori di L” quasi sempre più vicini alle L' anzichè alle L, e ciò si verifica tanto meglio a misura che si va alle ultime serie, beninteso purchè non si oltrepassi la forza massima di 300 gr.: infatti al di là di questo limite le L'” tendono ad avvicinarsi alle medie di L ed L'. Uguale tendenza si rivela per il filo Fe, nell’esperienze dal 20 al 22 agosto, mentre (1) V. Nuovo Cimento 1, p. 174. (2) V. loc., cit. (3) V. loc. cit., p. 179. — 453 — Ardiss. Phyc. Medit. T, p. 185; Pucus verruculosus Bertol. Amoenit. p. 291, o Op 16 CL EA « Tripoli. Colla fruttificazione a tetrasporangli. Sphaerococcaceae. «5. Gracilaria dura (Ag.) J. Ag. 4/9. med. ad. p. 151, Sp. II p. 589, Epicr. p. 419; Ardiss. Phyc. Medit. I, p. 239; Hauck, Meeresalgen p. 183; De Toni e Levi, #7. A/g. Ven. I, p.88; Sphaerococcus durus Ag. Sp. I, p. 310. « Tripoli. Un esemplare sterile, decolorato. « 6. Gracilaria armata (Ag.) Grev. 4/9. Brit. p. LIV; J. Ag. Sp. II, Epicr.p. 591; Ardiss. Phyc. Medit. 1, p. 242; Hauck, Meeresalgen p. 182; De Toni e Levi, 77. Alg. Ven. I, p. 88; Sphaerococcus armatus Ag. Auf- càhl. p. 73. « Tripoli. Alcuni frammenti. Rhodymeniaceae. « 7. Gloiocladia furcata (Ag.) J. Ag. 4/9. med. ad. p. 87, Sp. II, p. 216, Epicr. p. 353; Zanard. Icon. phyc. adriat. I, t. 4A; Ardiss. Phyc. Medit. I, p. 223; Chondria furcata Ag. Aufzàhl. n. 49. « Tripoli, aderente a frammenti di conchiglie. « 8. Fauchea repens (Ag.) Mont. /. d’Algérie p. 64; J. Ag. Sp. II p. 218; Ardiss. Phyc. Medit. I, p. 206; Hauck. Meeresalgen p. 152; De Toni e Levi 77. Al9. Ven. I, p. 74; Sphaerococcus repens Ag. Sp. I, p. 244. « Tripoli. Un frammento che può riferirsi alla specie del Montagne. Com'è noto nel Mediterraneo vegeta un’altra specie, la Mauchea micro- spora Born. «9. Chrysymenia Chiajeana Menegh. in Giorn. dot. ital. I, p. 296; Zanard. Icon. phyc. adriat. I, p. 155, t. 36B; Ardiss. Phyc. Medit. I, p. 211; Hauck, Meeresalgen p. 159; De Toni e Levi, FI. Alg. Ven. I, p. 76; Phy- sidrum ovale Delle Chiaje Hydrophyt. Neap. p. 11, T. 422. « Tripoli. Un esemplaretto sterile, corrispondente colla figura datane da Zanardini. « 10. Plocamium coccineum (Huds.) Lyngb. Zydrophyt. Dan. p. 39, t.9; J. Ag. Sp. II, p. 395; Ardiss. Phyc. Medit. I, p. 219; Hauck, Meeresalgen p. 163; De Toni e Levi, Y7. Alg. Ven. I, p. 72; Fucus coccineus Huds. FI. Angl. p. 986. « Tripoli, rejetto sulle spiaggie. Bonnemaisoniaceae. « 11. Asparagopsis Delilei Mont. Canar. p. XV; J. Ag. Epicr. p. 606; Ardiss. Phyc. Medit. 1, p. 835; Fucus tawiformis Del. Egypte p. 295, t. 57. RenpicontI. 1895, Vol. 1V, 1° Sem. 60 — 454 — « Tripoli. Secondo Ardissone, questa specie fu raccolta a Saida sulle coste della Siria dal Barbey. Rhodomelaceae. « 12. Polysiphonia complanata (Clem.) J. Ag. Sp. II, p. 933; Zanard. Zcon. phye. adriat. III, p. 109, t. 107; Ardiss. Phyc. Medit. I, p. 364; Yucus complanatus Clem. Ensayo p. 316. « Tripoli, tra altre alghe agglomerate a matassa. « 13. Dasyopsis plana (Ag.) Zanard. Saggio p. 52, Not. cell. mar. p. 33; Dasya plana Ag. Sp. II, p. 118; J. Ag. Sp. II, p. 1202; Zanard. con. phye. adriat. II, p. 79, t. LV A; Hauck, Mecresalgen p. 153; De Toni e Levi, YI. Alg. Ven. I, p. 250. « Tripoli; un esemplare aderente ad un pezzo di conchiglia. Ceramiaceae. « 14. Bornetia secundiflora (J. Ag.) Thur. in Mém. Soc. sc. nat. et math. de Cherb. III (1855), p. 155; Zanard. Icon. phyc. adriat. II, p. 43, t. LI; J. Ag. Epicr. p. 612; Ardiss. Phyc. Medit. I, p. 308; Hauck, Meeresalgen p. 49; De Toni e Levi, 77. Alg. Ven. I, p. 113; Griffithsia secundiflora J. Ag. Symb. p. 39, Alg. med. adriat. p. 75, Sp. II, p. 86. « Tripoli, rejetta sulla spiaggia. « 15. Pleonosporium Borreri (Sm.) Naeg. in Scie. Munch. Al. Wiss. 1861, II, p. 342; Callithamnion Borreri Harv., Kuetz. Sp. p. 643; Tab. Phyc. XI, t. 71; J. Ag. Sp. II, p. 49; Ardiss. Phye. Medit. I, p. 59; De Toni e Levi, YI. A4lg. Ven. I, p. 42; Conferva Borreri Smith Engl. Bot. tab. 1741. « Tripoli. « 16. Callithamnion granulatum (Ducl.) Ag. Sp. I, p.177;J. Ag. Sp. II p. 61; Mont. YI. d’Algér. p. 147, t. 4, f. 1; Ardiss. Phye. Medit. I, p. 73; Hauck, Meeresalgen p. 87; De Toni e Levi, Yl. Alg. Ven. I, p. 43; Ceramium granulatum Ducl. Ess. p. 72. « Tripoli, su foglie di zosteracee. « 17. Microcladia glandulosa (Soland.) Grev. Alg. brit. p. 99, t. 13; J. Ag. Sp. II, p. 151; Ardiss. Phye. Medit. I, p. 125; Fucus glandulosus Soland. mscr. « Tripoli, rejetta sulla spiaggia. Gloiosiphoniaceae. « 18. Schimmelmannia ornata Schousb. in Kuetz. Sp. p. 722, Zad. Phyc. XVI, t. 84 a-c; Zanard. Icon. phyc. adriat. I, p. 169, t. XXXIX; Ardiss. Phyc. Medit. II, p. 157; Schimmelmannia Schousboei J. Ag. Sp. II, cccrceneì — 455 — p. 209; Carpoblepharis? mediterranea Ardiss. Enum. Alg. Sicil. p. 39; Erb. crittog. ital. ser. I, n. 1026. « Tripoli. Un solo frammento, senz'alcun dubbio riferibile alla bellis- sima specie dal Schousboe raccolta a Tangeri. Nel Mediterraneo la scoperse ad Acireale (Sicilia) il prof. Ardissone, nel cui Erbario potei vederne splen- didi esemplari. Grateloupiaceae. « 19. Halymenia Floresia (Clem.) Ag. Sp. I, p. 209; J. Ag. Sp. Il, p. 205; Ardiss. Phyc. Medit. I, p. 145; Hauck, Meeresalgen p. 127; De Toni e Levi, #. Alg. Ven. 1, p.56; Fucus Floresius Clem. Ensayo p. SR Hist. Fuc. tab. 256. « Tripoli. Un esemplare privo della porzione basale. FUCOIDEAE. Elachistace:e. «20. Giraudia sphacelarioides Derb. et Sol. Mem. physiol. Alg. p. 49, t. 14, f. 12-16; Zanard. Zcon. phyc. adriat. III, p. 73, t. XCVIII; Ardiss. Phyc. Medit. II, p. 84; Hauck, Meeresalgen p. 339, fig. 139; De Toni e Levi, FI. Alg. Ven. II, p. 66. « Tripoli, sulle foglie di Zosteracee. sphacelariaceae. «21. Cladostephus verticillatus (Lightf.) Ag. Syn. p. XXV; J. Ag. Sp. I, p. 43; Ardiss. Phye. Medit. II, p. 94; Hauck, Meeresalgen p. 350, f. 147; De Toni e Levi, 7. 4/9. Ven. Il, p. 72; Conferva verticillata Lightf. Fl. Scot. p. 984. « Tripoli, rejetto sulla spiaggia. CHLOROPHYCEAE. Ulvaceae. « 22. Ulva fasciata Del. Zgypte p. 297, t. 58, f. 5; Mont. MM. d'Algorie p. 151, t. 14, f. 1-2; Ardiss. Phyc. Medit. II, p. 195; De Toni, .Sy0U. Algar. I, Chloroph. p. 114. « Tripoli, un solo esemplare. Dasycladiaceae. «23. Dasyoladus clavaeformis (Roth) Ag. Sp. II, p. 16; Ardiss. Phye. Medit. II, p. 180; Hauck, Meeresalgen p. 483; De Toni e Levi, MI. Alg. — 456 — Ven. II, p. 110; De Toni Syl. Algar. I, Chloroph. p. 411; Conferva cla- vaeformis Roth Cat. bot. III, p. 315. « Tripoli, due esemplaretti. MYXOPHYCKAK. Rivulariaceae. « 24. Calothrix crustacea Thur. in Born. et Thur. Not. algol. I. p. 13, t. 4; Born. et Flah. Revis. I, p. 359; Hauck, Mecresalgen p. 492; Ardiss. Phyc. Medit. II, p. 260. « Tripoli, su un pezzo di roccia. Oscillariaceae. « 25. Lyngbya sordida (Zanard.) Gom. Monogr. Oscill. p. 146, t. II, f. 21; Calothrix sordida Zan. Saggio p. 63; Lyngbya violacea Rabenh. I. Eur. Algar. IL, p. 144; Leibleinia violacea Menegh. in Giorn. bot. ital. I, p. 304; Leibleinia polyehroa Menegh. in Kuetz. Phye. germ. p. 179, N TZ Ii Togo Ni 85) 1 VE « Tripoli. Gli scarsi filamenti da me osservati su varie alghe corrispon- dono perfettamente coi caratteri riscontrati sugli esemplari autentici delle specie Meneghiniane, a me concessi in esame dal ch. prof. T. Caruel ed esistenti nell'Erbario Fiorentino. — 457 — Prospetto comparativo delle Alghe tripolitane con le florule di Marocco fino a Tangeri (M), dell'Algeria (A), della Tunisia (T) e dell'Egitto fino ad Alessandria (E). Liagora viscida — ceranoides . Scinaia furcellata Galaxaura adriatica . Wrangelia penicillata Pterocladia ? tripolitana Gelidium crinale . Phyllophora nervosa 5 Gymnogongrus Griffithsi® . Rissoélla verruculosa Sphaerococcus coronopifolius . Gracilaria dura — armata — confervoides Hypnea musciformis Gloiocladia furcata . Fauchea repens Sebdenia Monardiana Chrysymenia digitata — Chiajeana . — Uvaria ° Plocamium coccineum . Delesseria Hypoglossum Asparagopsis Delilei Ricardia Montagnei . Laurencia obtusa . Laurencia papillosa . Vidalia volubilis . Chondria dasyphylla Digenea simplex . . Halopythis pinastroides Rityphloea tinctoria Acanthophora Delilei Polysiphonia complanata . — sertularioides . elongata secunda . fruticulosa . Castelliana . subulifera . — obscura . Dasya spinella Dasyopsis plana . Spermothamnion flabellatum i Criffithsia Schoushboei . Bornetia secundiflora Rhodochorton Rothii Callithamnion scopulorum — granulatum È Pleonosporium Borreri . Antithamnion Plumula . Ceramium rubrum — diaphanum . — ciliatum . Microcladia glandulosa . Schimmelmannia ornata Halymenia Floresia . Grateloupia dichotoma . Acrodiseus Vidovichii . MIAJT + FHK4 + FIRE E op ET + ++444444 ++ +4 SENNT E + + Rn +4 Cryptonemia Lomation . Rhizophyllis Squamari® . Contarinia peyssonelliaformis Peyssonellia Squamariae — rubra BANCA Melobesia farinosa — pustulata . . . Lithophyllum lichenoides . Amphiroa rigida . Corallina officinalis . 5 — virgata (= C. granifera) . Jania rubens CE JE adho- rens) 6 Dl > corniculata . . c Wildemania ? laciniata . Bangia fusco-purpurea . Erythrotrichia carnea Cyavessio Montagnei abrotanifolia discors . Hoppii barbata . crinita amentacea . Sargassum linifolium — salicifolium Dictyota dichotoma . — linearis . 5 — Fasciola. Taonia Atomaria . Zonaria flava Padina Pavonia 5 Halyseris polypodioides Zanardinia collaris ; Stilophora rhizodes (adriatica) Colpomenia sinuosa . Asperococcus bullosus . Scytosiphon lomentarius Cladostephus verticillatus . Stypocaulon scoparium . Ectocarpus arctus ò Giraudia sphacelarioides . Ulva fasciata . GRIN Ulva Lactuca (latissima) . Enteromorpha Linza — compressa . Chaetomorpha aerea Cladophora gracilis . Valonia utricularis Codium tomentosum — Bursa : Udotea Desfontainii . Halimeda Tuna Caulerpa prolifera Anadyomene stellata. Dasycladus clavaeformis Calothrix crustacea . Lyngbya sordida . M +44 4 +4 +44 + "v +4 FP44+ 04444 +44 444 +4 + + + PPPFHHF4++4 A + F+444 + +IFFF444#4 +44 4 + + + T + + +4 + +4 +4 +4 sv ++ — 458 — Fisiologia. — Alcune ricerche sul metabolismo nei cani pri- vati delle tiroidi. (') Nota dei dottori U. Durro e D. Lo Monaco, presentata dal Corrispondente LuUcIANI. « La letteratura sulla fisiologia delle tiroidi è vasta come forse in nes- suna altra quistione controversa è dato di riscontrare, se si considera che è tutta di data relativamente recente. « Noi non abbiamo per ora in animo di fare un esame critico di tale letteratura, nè di addurre gl’ importanti studi ed osservazioni fatte in propo- sito. Piuttosto brevemente accenneremo ai capi saldi della così detta cachessia strumipriva. « La teoria nervosa emessa da H. Munk non regge assolutamente, e ci piace di ricordare a questo proposito come essa sia stata brillantemente con- futata dal Fano. « La teoria chimica: ecco il mare magnum dove hanno navigato tutti i ricercatori, dallo Schiff, or sono 11 anni, ai più recenti. « Secondo questa teoria la glandula tiroide formerebbe e verserebbe nel sangue una sostanza d'ignota natura necessaria alla normale nutrizione del sistema nervoso (Schiff), oppure distruggerebbe o favorirebbe in qualche modo l'espulsione dei prodotti di consumo che, accumulati nel sangue, produrreb- bero un'autointossicazione analoga all’uremia (Luciani e Colzi), o infine impedirebbe col suo metabolismo la formazione di speciali veleni o tossine che poi. si versano nel sangue (Gley ed altri). Che alla tiroidectomia segua un vero avvelenamento, è troppo evidente se si tien conto dell'insieme dei fenomeni che formano la cosidetta cachessia strumipriva. « Il cane operato di estirpazione delle tiroidi, dopo un periodo di tempo che varia dalle 24 ore ai 4 giorni, comincia a presentare delle paresi isolate a qualche gruppo di muscoli degli arti anteriori. Sono specialmente gli esten- sori, per cui il cane cammina strisciando le zampe, arieggiando quasi l' in- cedere paralitico-spastico. Seguono contrazioni fibrillari nei vari muscoli, contrazioni e rigidità degli arti, tremori nella mandibola, trisma, opisto- tono, polipnea, vomito, prurito, innalzamenti ed abbassamenti della temperatura e depressione psichica dell'animale che giace come preso da ambascia. La mucosa nasale che in generale nei cani è tumida ed umidiccia, diventa arida, polverulenta, come ricoperta di piccole squamette, e sede di un intenso prurito, tanto che il cane cerca sempre di strofinare il naso in qualche oggetto a superficie ruvida. i (1) Lavoro eseguito nell'Istituto fisiologico di Roma. — 459 — « Convinti anche noi che si tratti realmente di un avvelenamento, ab- biamo voluto vedere se il lavaggio del sangue che fu esperimentato utilmente da Sanquirico (!) in diverse specie di avvelenamenti acuti, fosse capace di fare eliminare la materia peccans della cachessia strumipriva. Ci confortavano a ciò fare alcuni precedenti tentativi sperimentali i cui risultati armonizzano bene colla dottrina dell’autointossicazione. « Il Colzi (*), per consiglio del Luciani, facendo la {rasfustone reciproca del sangue tra due cani, uno operato di estirpazione di tiroidi, e l’altro normale, constatò che mentre quest'ultimo non risentiva alcun rilevante effetto, nel primo invece si aveva una scomparsa temporanea della cachessia stru- mipriva. Fano e Zanda (*) sperimentarono il salasso, estraendo 270 ce. di sangue che veniva sostituito da un'eguale quantità di soluzione di Nacl 0,73 9/ e videro scomparire i sintomi per circa quattro giorni. Il Vassale (*) ed altri sperimentarono l’azione di sostanze diuretiche, fra le quali ricordiamo in modo speciale l’urea che introdotta nelle vene agisce evidentemente come un diu- retico. Ottennero anche con questo mezzo una diminuzione dei sintomi di autointossicazione. Non vogliamo a questo proposito omettere di ricordare che, secondo molti, il succo tiroideo non avrebbe nella cura del missoedema e della cachessia strumipriva negli animali altra azione che non sia quella diuretica. « Per mezzo di uno dei soliti apparecchi a pressione costante, noi ab- biamo iniettato in una vena femorale dei cani da 500 a 1000 cc. di soluzione di Nacl 0,73 °/, alla temperatura di 38°. Le prime infusioni furono da noi eseguite in cani operati di estirpazione delle tiroidi, e nei quali già erano comparsi i fenomeni già descritti. Riferiamo qui brevemente le storie: EspPERIENZA Î. Cane nero piccolo, già smilzato precedentemente da parecchi mesi, del peso di gr. 3580. dic. 1894. Alle ore 9 si asportano le tiroidi. 6» » Il cane è ancora in uno stato normale, non rifiuta il cibo e mangia una di- screta quantità di carne. Alle ore 14 presenta fenomeni paretici agli arti. L’incedere è paralitico-spastico. Cade sopra un fianco, mantenendo irrigiditi e distesi i quattro arti. Alle ore 15 s’inietta nella vena femorale destra un litro di soluzione. Appena levato dall’apparecchio di contenzione, il cane cam- mina per la camera; è cessata la polipnea. Incomincia ad urinare in notevole quantità. Te » Continua il benessere (i (1) Sanquirico, Zavatura dell'organismo negli avvelenamenti acuti. Arch. per le scienze mediche. Tomo II, 1887. ? (2) Colzi, Sulla estirpazione della tiroide. Lo sperimentale, 1884. (3) Fano e Zanda, Contributo alla fisiologia del corpo tiroideo. Arch. per le scienze mediche XIII, 1889. (4) Vassale, Zffetti dell'iniezione intravenosa di succo tiroideo nei cani operati di estirpazione di tiroide. Riv. sper. di freniatria XVI e XVIII. — 460 — 8 dic. 1894 Alle ore 8 il cane sta bene, è scomparso qualsiasi sintomo. Alle ore 14 sono ricomparsi i fenomeni della cachessia; contrazioni fibrillari dei muscoli, opi- stotono ecc. Cade su un fianco, emettendo un grido, e distendendo i quattro arti. S'inietta nella femorale di destra 800 ce. di soluzione fisiologica di Nacl. Durante l’iniezione già si stabilisce la urinazione (si aveva avuto cura | di vuotare la vescica prima). Alle ore 16 il cane si è rimesso completamente. | 9 » » Ore 8. E in condizioni perfettamente normali, cammina speditamente, beve © del latte e mangia della carne spontaneamente. Alle ore 17 ricompaiono i | sintomi. i 10» ». Si trova morto. | EspPERIENZA II. | Cane nero piccolo del peso di gr. 3900, già smilzato precedentemente da parecchi mesi. | 6 dic. 1894. Si asportano le tiroidi. . | NO » Non presenta ancora nulla di notevole. | 8» » Ore 8. È in preda ad un accesso eclamptico. Sta coricato su di un fianco coi quattro arti distesi ed irrigiditi. Polipnea. Si siringa, si mette nell’apparecchio | di contenzione, e gli s’inietta un litro di soluzione fisiologica di Nacl nella | vena femorale di destra. Appena levato dall’apparecchio, ha luogo un’abbon- dante urinazione. Alle ore 14 il cane sta molto meglio, cammina speditamente, | non ha più accessi convulsivi, nè contrazioni. 95 » Continua il benessere, mangia spontaneamente. 10 » » Sono cominciati i fenomeni morbosi. Alle ore 9 s'inietta nella vena femorale Î di destra un litro di soluzione fisiologica di Nacl. Dopo l'iniezione comincia | subito a urinare e alle ore 14 è cessato ogni sintomo e-beve spontaneamente | del latte. | 11» » Alle ore 8 il cane sta ancora apparentemente bene; non ha paresi, nè con- tratture, nè emette alcun lamento. Alle ore 10 muore improvvisamente senza | emettere alcun grido, nè dare alcun segno di agonia. | «“ Da queste storie si desume che la sostanza o sostanze tossiche che si Î formano dopo l’ablazione della tiroide, sono solubili nell'acqua o in una soluzione fisiologica di Nacl 0,73 9/, e che questa, introdotta nel sangue alla dose di !/, litro o più, è valido veicolo per sbarazzarne l'organismo. Il mi- glioramento, anzi la cessazione temporanea di ogni sintomo della cachessia strumipriva è un fenomeno legato strettamente alla diuresi e quindi al nor- male funzionamento dei reni. Le condizioni istologiche dei reni in seguito alla tiroidectomia ci sono perfettamente sconosciute; siamo però edotti della loro funzionalità più o meno completa dal modo in cui entrano in attività secretoria per espellere quella grande quantità di liquido che si aggiunge alla massa circolante del sangue. Quando per condizioni abnormi non ancora deter- minate ha luogo un'alterazione dell’attività secretoria dei reni, per cui essi non espellono con sufficiente prontezza il di più del liquido iniettato, la ces- sazione di ogni sintoma della cachessia strumipriva non avviene. Ciò si rileva dalla seguente EspERIENZA III. Grossa cagna da pastore del peso di Kgr. 22,400. | 7 dic. 1894. Si opera di estirpazione delle tiroidi. | — 461 — 8 dic. 1894 Nulla di anormale. 9 » » ” ” 10 » » ” ” 11» » Alle ore 17 si notano i primi sintomi: contrazioni fibrillari dei muscoli. i > » Contrazioni fibrillari dei muscoli e movimenti clonici della mandibola. Non paresi nè disturbi respiratorî. Alle 11, previa siringazione, s’ iniettano 1500 ce. di soluzione di Nacl 0,730/,. Alle 14 il cane muore e dalla vescica si estraggono solo 150 cc. di liquido che rappresentano tutto ciò che i reni poterono espellere dalle ore 11 alle 14. « Questa storia di esito negativo è interessante perchè dimostra che una grossa cagna sopportò benissimo per 3 giorni la mancanza delle tiroidi, e al 4° sebbene i sintomi non fossero ancora completamente sviluppati perchè non si osservavano che leggiere contrazioni fibrillari ai muscoli masseteri, morì, essendo assai diminuita l’attività secretoria dei reni. « Accertatici che nei cani, nei quali l’attività funzionale dei reni è mantenuta. l’infusione di acqua clorurata espelle la sostanza tossica; noi abbiamo fatto delle ricerche per sapere qualche cosa sulla natura di questa sostanza. E prima di tutto abbiamo voluto studiare l'eliminazione giornaliera dell'azoto in una cagna tiroidectomizzata non sottoposta ad alcun tentativo di cura. « In tutte queste ricerche abbiamo sempre scelto delle cagne, perchè in esse la siringazione (dopo aver scoperto il meato urinario, tagliando un poco di mucosa vaginale della parte anteriore) riesce molto facile e spedita. La giornata decorreva dalle 9 del mattino alle 9 del giorno appresso. Dopo la siringazione, le cagne venivano esattamente pesate in una bilancia sensibile ai 5 grammi. L’urina delle 24 ore veniva esattamente misurata e filtrata, essendo l’animale continuamente tenuto in una gabbia che permetteva di racco- glierla senza alcuna perdita. Il dosaggio dell'azoto si faceva sempre col metodo Kyeldhall. Abbiamo sempre alimentato le cagne operate con una dose co- stante di latte proporzionata al peso dell'animale, e ciò non solo perchè riesciva più facile alimentarle colla sonda, quando esse si rifiutano di assumere il cibo spontaneamente, ma anche perchè abbiamo potuto osservare che l'ali- mentazione carnea le conduce più rapidamente alla morte, talora in maniera improvvisa come nell’espezienza seconda. Su questo fatto che ci sembra molto importante, torneremo dopo più maturi studî. RenpIconTI. 1895, Vor. IV, 1° Sem. 61 — 462 — EspERIENZA IV. Cagna del peso di gr. 4670. Si alimenta con 300 cc. di latte al giorno. N.pr.| Data | Peso Urina is Osservazioni 1 |183 Genn.| 4670 2 (14 » 4360 | 410 | 3,44 oi Lo 4300 | 255 4 |16 » 4220 | 275 | 2,98 5 |17 » 4150 | 290 | 2,43 6 {18 » 4120 | 245 | 2,33 Tn FLO 4080 | 290 | 2,35 8_|20 » 8950 | 285 | 1,75 O 210 3900 | 285 | 2,39 TONRN2ON08G 3850 | 300 | 2,21 Si estirpano le tiroidi. 11 23» 215 | 1,80 Nulla di anormale. 120 240005, 3770 | 290 | 1,94 ” 2) 13 |25 » 3670 | 300 | 2,10 » 3) 14 |26 » 8530 | 260 | 1,80 Rifiuta il latte che si dà con la sonda. Emette dei lamenti. 15 |27 » 3470 | 175.| 1,52 Sintomi manifesti di cachessia stru- mipriva. 16 28.» 3450 120 2,18 IN 629,06; 3930 95 | 1.91 18 _|30 » La cagna si trova morta « Da questa esperienza si desume che l'eliminazione dell’azoto diminuisce nei cani privati delle tiroidi. Prima dell'operazione si arrivò ad avere una cifra presso che costante nella eliminazione dell’azoto che era di gr. 2.41 Subito dopo l’estirpazione delle tiroidi, l'azoto diminuì arrivando a una media giornaliera di gr. 1,89. « Sicchè dunque nei cani senza tiroidi, si ha una ritenzione di sostanze azotate nell'organismo. Ciò posto, abbiamo voluto vedere se l’ infusione della solita soluzione clorurata nel sangue, che già avevamo sperimentato così he- nefica ai cani privati di tiroide, fatta quotidianamente cominciando dal giorno successivo all’operazione servisse ad aumentare l'eliminazione di sostanze azotate. Cinque ore dopo effettuata la sopradetta infusione, l’animale sì sirin- gava, e si determinava l’azoto totale emesso in queste urine che chiameremo di lavaggio. Dopo di ciò si somministrava all'animale la sua solita dose di latte, si rimetteva nella gabbia, e compiute le 19 ore rimanenti della giornata, si siringava di nuovo e si dosava l'azoto di questa seconda urina che chia- meremo spontanea. Poi sì ripeteva l’infusione di acqua clorurata e tutte le — 463 — altre operazioni del giorno precedente. Riportiamo la storia di una cagna trattata in questo modo. ESPERIENZA V. Cagna bastarda del peso di Kgr. 10,750. Si pratica l’infusione nel sangue ogni giorno alle ore 9 con 500 cc. di soluzione di NaCl 0,73 °/, ; alle ore 17 si dànno 300 ce. di latte. 2 OPE ad Ù [Si (SÌ PA 3 5 Sagl Ela8| 4#£|253 oa E E3 Age ese $ È E$ | Data | 3 ®|asc|esS/salz8|<% OSSERVAZIONI = È ae Rec zo S GE | SA Not Ùi È. | SPl else 1 3 Genn. | 10750 | 610 | 2,39 _ —_ —_ 2 4 n 10200 | 400 1,79 — — _ Alle ore 16 si estirpano le tiroidi. 3 5 Un 9930 | 110 | 1,76 _ i _ 4 6» 9800 | 385 | 2,69 450 | 7,43 | 10,12 La cagna presenta leggieri fenomeni paretici, ma beve spontaneamente il latte. 5 7.» 9370 | 230 | 2,25 570 | 6,06 8,31 6 8 n 9220 | 375 | 241 425 | 4,88 17,29 7 9 n 9110 | 355 | 2,48 400 | 4,36 6,84 3 8 10 » 8960 485 4,34 875 4,93 9,27 La cagna è in buone condizioni. Non presenta alcun sìntoma di cachessia. 9 11» 8630 | 470 | 3,55 355 5,96 95 La cagna è un po’ abbattuta, ma dopo l’infusione mostra un evidente miglioramento, è cessato il lamento che emetteva prima. 10 |12 » 8300 | 425 | 3,09 390 | 6,87 9,96 Continuail benessere generale malgrado chele ferite sieno suppuranti. Da oggi in poi non si praticano altre infusioni. Le ferite fatte per queste sono in cattive condizioni. La cagna muore il giorno 21 genn., non avendo mai mostrato alcun sintoma di cachessia. Era ridotta inuno stato di grande emaciazione, e le fe- rite, malgrado un’accurata disinfezione, erano difte- riche. All’autopsia non si notò nulla degno di nota. « Emerge da questa storia il fatto già constatato negli altri cani sopra ricordati, che él lavaggio del sangue fa cessare ogni sintoma di cachessia strumipriva. Ma dalla tabella si desume anche un altro fatto importante, cioè che l'azoto dell'urina di lavaggio va successivamente aumentando dopo l'operazione, mentre l'azoto dell'urina spontanea va diminuendo. Ciò vuol dire che nei cani privati delle tiroidi, c'è una tendenza a trattenere delle sostanze azotate nell'organismo, sostanze che le infusioni clorurate a cui segue sem- pre il benessere del cane, forzatamente espellono. Per meglio affermare questa conclusione, abbiamo voluto vedere quali erano gli effetti delle infusioni in un cane non privato delle tiroidi, mettendoci perfettamente nelle identiche condizioni del precedente esperimento. — 464 — EspERIENZA VI. Cagna nera del peso di Kgr. 8,830. Si fa l'infusione endovenosa con 500 ce. di soluzione di Na CI 0,73 °/, ogni giorno alle ore 9. Alle 17 st danno 300 ce. di latte. ° E È) È = E os > {=I > s Pi da Di FO Sa Fua| 9]? UA adi $ E 53 | Data | Î ®|3 a|s£g®| a sso e OSSERVAZIONI 3 @ e | E is£| % £|3S8|8 A U=i ga SIA 5 o 8 SI 2 SEO SE 2 || È 5 3 L=, Se) 1 19 Genn.| 8830 | 470 | 1.84 = —_ _ 2 20 » 8500 305 0,77 425 | 2,74 | 3,51 3 21» 8200 | 295 1,28 325 | 3,46 4,69 4 22 n» 8070 415 1,97 330 6,67 8,64 6) 23 n 7800 | 230 | 1,86 405 | 5,10 | 6,96 La cagna rifiuta di prendere il latte che le si dà con la sonda. U 25 n —_ 265 | 2,59 485 | 7,38 9,85 La cagna è molto abbattuta. 8 26» — 405 | 3,06 480 | 8,73 [11,79 9 27 » = — — —_ — — La cagna muore alle 9. « Da questa tabella si desume in primo luogo che Ze infusioni di acqua- clorurata al 0,73°/ portano alla morte l’animale.Noi non sappiamo per ora a quali alterazioni organiche attribuire la caùsa di questa morte, ma poichè ciò non è stato ancora da nessuno notato ci proponiamo di ritornare su questo argomento. Emerge poi il fatto contrario a quanto si è osservato nell'animale precedente privato delle tiroidi. Il lavaggio ha bensì di per sè stesso il potere di aumentare l'eliminazione delle sostanze azotate come pos- siamo constatare coll'esame delle urine e colla rapida diminuzione di peso dell'animale; ma la cifra dell'azoto va aumentando in egual misura tanto nell'urina spontanea che in quella di lavaggio. « Ciò con maggiore evidenza si desume dalla tabella seguente nella quale si vede calcolata la quantità di azoto che avrebbe dovuto eliminare il cane senza l'intervento del lavaggio. Paragonando questa quantità di azoto calco- lato con quella che il cane ha emesso nelle 5 ore dopo 1’ infusione, si nota che mentre nel cane sano la differenza fra queste due cifre è minima, in quello senza tiroidi è grande. — 465 — TABELLA CANE PRIVATO DELLE TIROIDI CANE NORMALE Azoto delle pri- Azoto delle pri- me 5 ore calco- Azoto me 5 ore calco- Azoto lato su quello | delle 5 ore dopo Differenza lato su quello | delle 5 ore dopo Differenza eliminato nelle l’infusione eliminato nelle l’infusione 19orerimanenti 19 ore rimanenti 1,95 2,69 0,74 0,69 0,77 0,08 1,59 2,54 0,95 0,92 1,23 0,31 1,26 2,41 1,15 1,79 1,97 0,18 1,14 2,48 1,34 1,84 1,86 0,52 1,29 4,34 3,09 TR SAnE 2,05 0,47 1,56 3,55 2,01 1,89 2,52 0,63 1,80 3,09 1,29 2,29 3,06 0,77 « Sicchè l'insorgere dei fenomeni della cachessia strumipriva nei cani è accompagnato da una ritenzione di sostanza azotata. Siccome questo stesso fatto deve aver luogo nei casi di uremia che la Clinica giornalmente ci offre l'opportunità di osservare; ciò spiega perchè la sindrome della cachessia stru- mipriva offra molta analogia con quella dell'uremia. i « Questo fatto della ritenzione di sostanze azotate nell'organismo armo- nizza con quanto altri osservatori trovarono nell'uomo in casi di missoedema. I dottori Ord e White (') assoggettarono una donna ammalata di missoedema ad una dieta costante prima e dopo la somministrazione del succo tiroideo, e notarono che tre giorni dopo detta somministrazione, la quantità dell’azoto nell’urina eccedette la quantità introdotta cogli alimenti, mentre prima della somministrazione era minore. Gli stessi autori calcolando l’azoto totale e l’urea dopo aver dato il succo tiroideo, videro che il più di azoto che ve- niva escreto, si trovava sotto forma di urea. Anche Vermehren (°) constatò un aumento nell’eliminazione di azoto colla cura sostitutiva in 3 missoede- matosi, la qual cosa dimostra come l'organismo abbia in questa malattia tendenza a ritenere delle sostanze azotate. « Per queste nostre ricerche siamo lungi dall'affermare l’ identità causale dei due processi, uremia e cachessia strumipriva. È certo però che qualunque sia la causa della morte in seguito ad estirpazione delle tiroidi, sia essa effetto di un avvelenamento prodotto dalle sostanze che determinano l’uremia, o di una tossina, o di altri prodotti organici ancora ignoti essa è certamente legata ad una ritenzione di prodotti azotati ». (1) Clinical remarks on certain changes observed inthe urine in Myxoedema atter the administration of glycerine eatract of thyroid gland. British. Medical J ournal 1893 217. (@) Stoffwechseluntersuchungen nach Behandlung von Glandula thyroidea an Indi- viduen mit und ohne Mycidem. Deutsch. Med. Wochenschr. 1893, n. 43. — 466 — Mineralogia. — Di due roccie a glaucofane dell’ isola del Giglio. Nota del dott. IraLo CneLUSSI, presentata dal Corrispon- dente CoccHr. Queste due roccie furon raccolte dal chiarissimo prof. Carlo De Stefani all’ isola del Giglio, nell'arcipelago toscano, l’ una, indicata col nome di diorite, presso la Cala dell’ allume in località denominata Pretralta ; l’altra, indicata col nome di gabbro a glaucofane, nella località detta Zu/folone. Presento in questa nota i resultati dell’ analisi petrografica di ambedue. Diorite di Pietraltà. È una roccia di color bruno a tono bluastro, abbastanza compatta e leggermente schistosa, con delle vene molto estese di calcite biancastra. AI microscopio risulta formata dai minerali seguenti in ordine di frequenza : feldspato, anfibolo, clorite, pirosseno; quindi calcite, ilmenite, apatite, titanite e prodotti ferriferi d’ alterazione. I primi due sono i principali com- ponenti; però in alcune sezioni la clorite ed il pirosseno sembrano sostituire quasi completamente l’ anfibolo; più rare sono la ilmenite 6 l’apatite, raris- sima la titanite. Feldspati. — Quasi mai presentano sezioni di cristallo; sono per lo più piccoli granuli ed aggruppamenti di granuli, con linee di geminazione poco frequenti e di poca evidenza. Granuli più grossi, sparsi porfiricamente nella roccia, mostrano invece numerose, sottili e chiare linee di geminazione, le quali con le direzioni di estinzione fanno in generale un angolo variabile intorno ai 20° tali da ritenerli di natura labradoritica. Questi feldspati hanno talora estinzione ondulata, indizio forse di pressioni meccaniche subite dalla roccia; le inclusioni loro più frequenti sono di lacinie verdi chiare, legge- rissimamente pleocroiche, con bassi colori di polarizzazione, riferibili perciò alla clorite; più raramente vi si notano aghetti e fascetti di aghi sottilissimi di glaucofane riconoscibile al suo caratteristico pleocroismo; l’ alterazione loro produce per lo più caolino terroso ed alcune minutissime pagliette vivamente iridescenti di muscovite. Anfibolo. — L' altro componente principale della roccia, forse più im- portante del feldspato per quantità e sviluppo degli individui, è il glauco- fane. Esso può presentarsi o in scagliette irregolari, le quali probabilmente impartiscono alla roccia una leggera schistosità, o in cristalli tabulari allun- gati, con terminazioni sfrangiate a due estremità opposte, o in aghi e fibre talora uniche talora raccolte in fascetti. Quest ultimo modo di presentarsi si verifica preferibilmente quando il glaucofane forma le inclusioni negli iI — altri elementi della roccia. Nelle sezioni tabulari di questo minerale sì 08- serva un solo sistema di linee di sfaldatura; negli individui paralleli o quasi alla base se ne hanno due sistemi, che incerociandosi formano l’ angolo ca- ratteristico degli anfiboli; i colori di polarizzazione sono in generale molto bassi negli individui abbastanza sviluppati, sono invece più vivi nei cristal- letti aciculari. Il solito pleocroismo caratteristico varia nei toni diversi del bleu, celeste, ecc. secondo la sezione basale o tabulare; nelle sezioni basali si hanno plaghe con diversa intensità di colore; e nei tabulari non è infre- quente il caso di due colorazioni diverse alle due estremità. Questo minerale, come è stato già accennato più sopra, viene sostituito, in alcune sezioni, quasi completamente dalla clorite forse prodotta dall’ al- terazione di un minerale preesistente, e da un minerale ben cristallizzato in piccolissime sezioni rettangolari, talora molto allungate, trasparenti, non pleocroico, con i colori di polarizzazione molto vivaci e con estinzione pa- rallela al massimo allungamento; lo riferisco dubitatamente ad un pirosseno. La ilmenite si trova per lo più nelle plaghe dove prevale la clorite; essa è in granuli irregolari opachi o in listarelle tra loro intreeciantesi a guisa di rete, nelle cui maglie comparisce una sostanza biancastra inattiva alla luce polarizzata e riferibile al leucoxeno. Finalmente si hanno alcuni cristalli di apatite e qualche raro granulo cuneiforme, roseo chiaro, debolmente pleo- croico di titanite probabilmente secondaria. Questa roccia potrebbe esser ritenuta, per la piccolezza degli elementi, come una microdiorite in cui l’orneblenda tipica è stata sostituita dal glau- cofane; la struttura alquanto schistosa e l'abbondanza dell’anfibolo l’avvicine- rebbero piuttosto ad una anfibolite; nell'un caso e nell'altro essa presenta molta analogia con quelle roccie a glaucofane dell'appennino settentrionale citate dal De Stefani (*) e dal Bonney (?). Gabbro a glaucofane. La roccia non ha colore uniforme, ora rossiccia per gli ossidi di ferro, ora verde cupa con scaglie a lucentezza submetallica; possiede frattura irregolare angolosa e si rompe facilmente lungo i piani di sfaldatura del diallagio. Al microscopio risulta formata da diallagio, feldspato, sostanza viriditica, ilmenite, oligisto, glaucofane, smaragdite e i soliti prodotti ferriferi d’alterazione. I feldspati sono in granuli irregolari e in frammenti per lo più alterati in esili pagliette a colori vivamente iridati di muscovite; sono compenetrati spesso da una sostanza verdiccia o gialliccia e posseggono come inclusione (1) De Stefani, L'Appennino tra il colle dell’Altare e la Polcevera. Boll. Soc. geol. it. Vol. VI, fasc. 3 pag. 8 e seg. () T. I. Bonney, Motes on some Ligurian and Tuscan serpentines. The geol. Mag. August 1879. — 468 — qualche cristalletto aciculare di glaucofane. Rari sono i granuli che presentano ben distinte le linee di geminazione dei plagioclasi, le quali fanno con le direzioni di estinzione degli angoli variabili intorno agli 8°; il che li farebbe ritenere di natura non troppo basica. Questi feldspati non sono molto abbondanti. Molto più frequente è il diallagio di color bruno o verdastro e con lucen- tezza madreperlacea a luce riflessa; per trasparenza è invece giallo tomback, giallo chiaro, fino a divenire quasi incoloro e i toni più carichi di questo colore corrono paralleli alla direzione della principale sfaldatura, la quale impartisce al minerale un aspetto fibroso, spesso a fibre contorte e ripiegate, il che insieme allo stato frammentizio dei feldspati, indurrebbe a ritenere che la roccia sia stata soggetta a forti pressioni. Un altro sistema di linee di sfaldatura, molto meno sensibile, fa col precedente un angolo di circa 90°. Notevoli sono le alterazioni e le inclusioni del diallagio; raramente si ha una produzione di una sostanza fibrosa a fibre talora parallele talora perpendicolari a quelle di questo minerale, di color verde erba, leggermente pleocroica, con colori vivaci come nella comune orneblenda, caratteri che la ravvicinano alla smaragdite o uralite. Più abbondante invece è la produzione di una gran quantità di oligisto rosso e rosso bruno e della sostanza viriditica verde chiara o gialliccia, non pleocroica, che a nicols incrociati si presenta come un aggregato di polarizzazione. Oligisto e viridite sono sparsi abbon- dantemente nella roccia. Inoltre lungo le linee di sfaldatura del diallagio, nelle sue fenditure e specialmente dove tende a divenire incoloro, si annida un minerale che per il pleocroismo caratteristico e per l'estinzione obliqua si rivela come vero e proprio glaucofane, il quale si presenta o in piccole scaglie o in fibre ripiegate e contorte come quelle dell'ospite o radialmente ordinate intorno a un centro comune, quasi un principio di struttura sferolitica. La ilmenite è molto frequente e spesso alterata in Leucoreno che si ritrova per lo più nelle maglie formate dalle liste inalterate della medesima. Per la presenza del glaucofane sembrami dover ritenere questa roccia, seguendo il Kalkowsky, per un gabbro a orneblenda analogo a quello di Zobten nella Slesia, citato da questo autore, nel quale una orneblenda per il suo speciale dicroismo ricordava il glaucofane (1). Queste due roccie acquistano una certa importanza dal contenere il glaucofane, minerale ritrovato, credo per la prima volta, nelle roccie della Toscana. (1) Kalkowsky, Elemente der Lithologie. pag. 224, Heidelbero 1886. Gi MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI G. ProceNnzano. Nuova teoria delle parallele e saggio di pangeometria con nuova curva non euclidiana e corrispondente superficie di rotazione. Presentata dal SEGRETARIO. PERSONALE ACCADEMICO Il Socio E. D'OvIpIo presenta una sua Commemorazione del Socio nazio- nale GIUSEPPE BATTAGLINI. Questo lavoro sarà pubblicato nei volumi delle Memorie. Il Presimente dà annuncio della perdita fatta dalla Classe nella per- sona del Socio straniero FRANZ NEUMANN, mancato ai vivi il 23 maggio 1895; apparteneva il defunto Socio all'Accademia, sino dal 30 luglio 1865. CORRISPONDENZA Il PRESIDENTE presenta un piego suggellato, inviato dal sig. GAETANO ViveRros per prender data. i Il Segretario BLAsERNA dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: La Società di scienze naturali di Emden; il Museo di zoologia com- parata di Cambridge Mass.; il Museo nazionale di Buenos Aires; l'Osser- vatorio di Breslau. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta dell'8 giugno 1895 Badaloni G. — Sulla mummificazione dei cadaveri. Studi intorno al terreno del cimitero del Precetto in Ferentillo. Perugia, 1895, 8°. Rexpiconti. 1895, Vor. IV, 1° Sen. 62 ee Baratta M. — Notizie sui terremoti avvenuti in Italia durante l’anno 1895. Roma, 1595, 8°. Basile M. — Boschi e pioggie, paludi e fiumi di Sicilia. Messina, 1895, 8°. Brédikhine Th. — Mouvement des substances émises par les comètes, 1893, II & 1893 IV. S. Pétersbourg, 1395, 4°. Carazzi D. — Animali viventi nell'interno dei cavi elettrici sottomarini. Genova, 1395, 8°. Id. — Intorno ad alcuni recenti microtomi. Firenze, 1895, 8°. Id. — Sulla fagocitosi nei lamellibranchi. Firenze, 1895, 8°. De Marchi. L. — Sulla teoria dei Cicloni (Pubbl. Oss. di Brera XXXVIII). Milano, 1895, 4°. Facciolà L. — Le metamorfosi del Conge Balearicus. Palermo, 1895, 8°. Faggiotto A. — 1 terremoti calabro-siculi e loro probabili cause. Reggio C., 11895, 80. Helmholtz H. v. — Handbuch der physiologischen Optik. Hamburg, 1395, 8°. Hafkine W. M. — Anti-coleraic inoculations. s. 1., 1895 8°. Kuntse O. — Geogenetische Beitriàge. Leipzig, 1895, 8°. Meyer H. — Bogen und Pfeil in Central-Brasilien. Leipzig, s. a., 8°. Mosso U.— Sur la transformation du rouge de Kola en caféine. Turin, 1894 8°. Id. — Revue des travaux de pharmacologie, de toxicologie et de thérapeu- tique publiés dans l'année 1894. Turin, 1395, 4°. Nasini R. — Sopra l’Argo, il nuovo elemento scoperto nell'aria da Lord Rayleigh e dal prof. Ramsay. Venezia, 1895, 8°. Ottolenghi F. — Olio di Strofanto ed Acido Strofantico, Genova, 1894, 8°. Relative Schwerebestimmungen durch Pendelbeobachtungen. Ausgefilhrt durch die k. und k. Kriegs-Marine in den Jahren 1892-1894. Wien, 1895, 8°. Report of the scientific result of the exploring voyage of H. M. S. Chal- lenger 1873-76. — Summary of results, part. I. II. London 1395, £° (Dono del Governo Britannico). ?icchetti FP. — Sull'azione fisiologica e terapeutica del Salacetolo. Genova, 1894, 8°. Rossi G. — In memoria del comm. Paolo Cornaglia ispettore del Genio Ci- vile. Reggio C., 1895, 8°. Sacco F. — Essai sur l'orogènie de la terre. Turin, 1895, 8°. Sassoli de Bianchi. P. — Alcune considerazioni sui principî fondamentali delle scienze naturali. Parte I, Chimica. Bologna, 1895, 8°. Schilling A. J. — Der Einfluss von Bewegungshemmungen auf die Arbeits- leistungen der Blattgelenke von Mimosa pudica. Jena, 1395, 8°. Taramelli T. — Sugli stati a Posidonomya nel Sistema Liasico del Monte Albenza in provincia di Bergamo. Milano 1895, 8°. Torossi G. B. — Varietà di storia naturale. Vicenza, 1895, 8°. SN: RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ____Tnr Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 16 giugno 1895. A. MessepAGLIA Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Fisica matematica. — Sui potenziali termodinamici. Nota del Socio E. BELTRAMI. « Si assumano le due equazioni fondamentali della termodinamica nella forma : (1) dQ=dE+ dL= tdF, dove E è l'energia, F l'entropia, { la temperatura assoluta, dQ il calore elementare (in misura meccanica) assorbito dal sistema e finalmente dL il lavoro elementare speso dal sistema contro le forze esterne. Lo stato del sistema si suppone definito dalla temperatura £# e da un certo numero di variabili geometriche vi, va)... collettivamente designate con v ed atte ad individuare la configurazione del sistema stesso. Nell’espressione esplicita : (da ad Dipdv del lavoro elementare ZL, le quantità p,,p:,--., collettivamente designate con p, denotano (in senso generale) le forze puramente meccaniche che ema- nano dal sistema e che tendono ad aumentare i valori delle rispettive va- riabili 01, 02,-.. . Queste forze, insieme colle due quantità E ed F, ven- gono considerate, di regola, come funzioni delle variabili indipendenti / e v. « Se esiste una funzione H tale che per ogni coppia di valori corri- spondenti di p e di v si abbia: (1) {=== RenpIconTI. 1895, Vor. IV, 1° Sem. 63 — 474 — questa funzione si suole considerare, a giusta ragione, come il potenziale delle forze p e propriamente come l'energia libera del sistema, come quel- l'energia, cioè, cui è dovuta l’azione esterna puramente meccanica, epperò liberamente trasformabile, del sistema stesso. Questa funzione, se esiste, non può dipendere dalle sole variabili v, perchè l’espressione del lavoro elementare dL non può essere, evidentemente, un differenziale esatto. Essa deve quindi dipendere, oltre che dalle dette variabili v, da un parametro x che viene considerato come costante nella deduzione delle forze p mediante le equazioni (1)). Questo parametro rappresenta una determinata funzione: (Ad DIE) della temperatura e delle variabili geometriche v. Ammettere la costanza di questo parametro equivale ad ammettere che la funzione H non esercita veramente l'ufficio di potenziale, o di energia libera, che peri processi ter- modinamici invertibili definiti dall'equazione u = costante. Se, per esempio, u fosse funzione solamente della temperatura £, H sarebbe il potenziale re- lativo ai processi isotermi; se invece « fosse funzione solamente dell’en- tropia F, H sarebbe il potenziale relativo ai processi isentropici od adia- batici. Ciò posto, si presenta questo quesito: Ad ogni specie di processo ter- modinamico invertibile x = costante corrisponde sempre un potenziale H? « Bisogna escludere innanzi tutto il caso che la funzione v non con- tenga la temperatura #; e ciò sia perchè il processo non potrebbe, a rigor di termini, dirsi allora fermodinamico, sia perchè la forma stessa delle equazioni (1), suppone che le variabili v sieno fra loro indipendenti, e tali non sarebbero se fra loro sussistesse una relazione «= costante. Per questa stessa ragione si è ammesso senz'altro che il potenziale H non potesse con- tenere che un solo parametro costante w. È anche da notarsi che il potenziale H, quando esiste, non riesce com- piutamente determinato dalle equazioni (1),, perchè queste rimangono inal- terate se ad H si aggiunge una funzione arbitraria di u. Questa funzione non può risultare individuata se non da qualche altra condizione. Per esem- pio, nel caso dei processi isotermi (x = /) si sa che ponendo: (1)a ET—tF=G, è lecito assumere come potenziale la funzione G e che questa funzione spe- ciale soddisfa all’ulteriore condizione: IG (1) Ri: Così ancora, nel easo dei processi isentropici (v = F) si sa che è lecito as- — 475 — sumere come potenziale la stessa energia E (considerata come funzione di v e di F) e che questa funzione speciale soddisfa all’ulteriore condizione: 10) = dove le parentesi indicano che la derivata di E è presa nell'ipotesi or detta. « Ciò premesso, considerando H come funzione incognita delle variabili v e del parametro «, si ha (1)as: OH dL=—dH + a e quindi (1): ee 20, N du = 9 o meglio (1)a: dH i doo, talchè se si pone: (2) H=G+%, si ottiene: ; QHE (2)a dy = Fdt + vi du . « Qui bisogna distinguere due casi. « Se nella funzione «(#,v) non entrano le variabili v, le quantità £ ed v non sono fra loro indipendenti, epperò l'equazione (2),, cui si può in tale ipotesi dare la forma: 2dH du i (1 1 dU da) ; stabilisce che w dev'essere funzione della sola temperatura #. E poichè da ciò segue: 3 dH ; E > + (A, basta sopprimere la funzione additiva w in (2) per ottenere H=G e per ricadere così sulle note formole (1)a,e relative ai processi isotermi. « Se invece nella funzione v(f,v) entra effettivamente anche una sola delle variabili v, le quantità # ed w diventano per ciò stesso fra loro indi- pendenti. In questo caso (che è il più generale) dall’ equazione (2), segue necessariamente che la funzione w dev'essere riducibile alla forma: (2): wy= (6,4) e che devono essere soddisfatte le due condizioni: Dil DO LED questa funzione si suole considerare, a giusta ragione, come il potenziale delle forze p e propriamente come l'energia libera del sistema, come quel- l'energia, cioè, cui è dovuta l’azione esterna puramente meccanica, epperò liberamente trasformabile, del sistema stesso. Questa funzione, se esiste, non può dipendere dalle sole variabili v, perchè l’espressione del lavoro elementare ZL non può essere, evidentemente, un differenziale esatto. Essa deve quindi dipendere, oltre che dalle dette variabili v, da un parametro x che viene considerato come costante nella deduzione delle forze p mediante le equazioni (1),. Questo parametro rappresenta una determinata funzione: (1)e u=u(t30) della temperatura # e delle variabili geometriche v. Ammettere la costanza di questo parametro equivale ad ammettere che la funzione H non esercita veramente l'ufficio di potenziale, o di energia libera, che per i processi fer- modinamici invertibili definiti dall’equazione «= costante. Se, per esempio, u fosse funzione solamente della temperatura #, H sarebbe il potenziale re- lativo ai processi isotermi; se invece fosse funzione solamente dell’en- tropia F, H sarebbe il potenziale relativo ai processi isentropicei od adia- batici. Ciò posto, si presenta questo quesito: Ad ogni specie di processo ter- modinamico invertibile x = costante corrisponde sempre un potenziale H? « Bisogna escludere innanzi tutto il caso che la funzione « non con- tenga la temperatura {; e ciò sia perchè il processo non potrebbe, a rigor di termini, dirsi allora fermodinamico, sia perchè la forma stessa delle equazioni (1), suppone che le variabili v sieno fra loro indipendenti, e tali non sarebbero se fra loro sussistesse una relazione «= costante. Per questa stessa ragione si è ammesso senz'altro che il potenziale H non potesse con- tenere che un solo parametro costante w. È anche da notarsi che il potenziale H, quando esiste, non riesce com- piutamente determinato dalle equazioni (1), perchè queste rimangono inal- terate se ad H si aggiunge una funzione arbitraria di u. Questa funzione non può risultare individuata se non da qualche altra condizione. Per esem- pio, nel caso dei processi isotermi (v = 4) si sa che ponendo: (1)a E—{F=G, è lecito assumere come potenziale la funzione G e che questa funzione spe- ciale soddisfa all’ulteriore condizione: dG (05 EFE=— sa Così ancora, nel easo dei processi isentropici (x = F) si sa che è lecito as- — 475 — sumere come potenziale la stessa energia E (considerata come funzione di v e di F) e che questa funzione speciale soddisfa all’ulteriore condizione: (1 ;= a) i dove le parentesi indicano che la derivata di E è presa nell'ipotesi or detta. « Ciò premesso, considerando H come funzione incognita delle variabili v e del parametro «, si ha (1)a»: 500 dL=—-dH+ ul e quindi (1): {1 dH VI de — dH + > du — ME o meglio (1)a: dH È ATA ie, talchè se si pone: (2) lil= 00) sì ottiene: ?dH (2)a dy=Edit 7. « Qui bisogna distinguere due casi. « Se nella funzione v(f,v) non entrano le variabili v, le quantità £ ed x non sono fra loro indipendenti, epperò l'equazione (2),, cuì si può in tale ipotesi dare la forma: dH du ap=(2+37 mIÈ stabilisce che w dev'essere funzione della sola temperatura #. E poichè da ciò segue: dH È tesa (2), basta sopprimere la funzione additiva w in (2) per ottenere H=G e per ricadere così sulle note formole (1)a, relative ai processi isotermi. « Se invece nella funzione (#,v) entra effettivamente anche una sola delle variabili v, le quantità # ed % diventano per ciò stesso fra loro. indi- pendenti. In questo caso (che è il più generale) dall’ equazione (2), segue necessariamente che la funzione w dev'essere riducibile alla forma: (2): wy=W(t,u) e che devono essere soddisfatte le due condizioni: alati ni DO A DI dU du — 476 — « Queste condizioni non sono indipendenti. Infatti, considerando in (2) H, G e w come funzioni delle variabili indipendenti v ed v (coll’elimina- zione di 7 da G e w mediante (1), ) e derivando rispetto ad «, si ottiene: IH 3G di al dw di nur HAnz DE 00 dw nà ovvero (1).: CE dw_ PHI DI du DU du equazione che è una combinazione delle due sopraddette. Dunque alla fun- zione w di { e di v basta imporre la prima delle condizioni trovate: i: dv È = O) dl La seconda eguaglianza: d 2dH (3)a 3; Ca esprime una proprietà che scende necessariamente dalla precedente e dalla forma (2) del potenziale H. « Ora l'equazione (3) costituisce una relazione fra le tre quantità F', t ed u, in virtù della quale il parametro « del processo termodinamico di cui si tratta non può dipendere che da % e da F: dunque i processi termo- dinamici che ammettono un potenziale sono quelli, e soltanto quelli per i quali la funzione « (dapprima supposta (1). direttamente formata colle va- riabili { e v) è riducibile alla forma speciale (che abbraccia anche i pro- cessi isotermi): (3), AID) Naturalmente questa forma cessa d'essere speciale allorchè le variabili v si riducono ad una sola. « Quando l'espressione (3), del parametro v è data, e quand'essa con- tiene effettivamente F (il che esclude i processi isotermi), la determinazione della funzione ausiliaria w si riduce ad una quadratura, cioè (3) all'inte- grazione dell'equazione: I , RIA ib dI (3). unult, Da), la quale definisce w a meno d'un termine additivo composto arbitrariamente con v, termine il quale passa, collo stesso carattere puramente additivo, nell'espressione (2) di H. Quest'ultima espressione può scriversi anche così: — 4770 — sempre col sottinteso che venga eliminata la variabile #, mediante la sosti- tuzione del valore che se ne ricava da (3), in termini di v e di v. L'energia non libera (« gebundene Energie ») è pertanto rappresentata (peri processi non isotermi) da: SIA dI « Questa soluzione del problema non è direttamente applicabile al caso (già più volte ricordato e del resto conosciutissimo) dei processi isotermi, caso nel quale, come si disse, le variabili £ ed « non sono indipendenti come la soluzione richiede. Ma si può, ed in varii modi, far rientrare indi- rettamente questo caso d'eccezione nella soluzione precedente, come risulta dalla semplicissima osservazione che segue. « Si assegni al parametro « la forma particolare: u = F» Tea i dove m ed n sono due numeri diseguali. L'integrazione dell'equazione (3). dà : n min sE ia AO e quindi: i d um pu t}- = eo talchè si può scrivere: vt F H-Ej- 9), dH Si Rot mes, 1 0 TT Per rientrare nel caso dei processi isotermi basta porre x =, cioè m = 0, n=1, con che si trova: H_=ET—tFty(2), 5 H ; = DI > FH4g'(1) Così, per ottenere il caso dei processi isentropici basta porre u= F, cioè m==1, n=0, con che si trova: - E+g®). da Se, in amendue queste ipotesi, si ommette la funzione arbitraria @, si ri- cade esattamente sulle formole (1)a,, ed (1), già ricordate quali ad esse notoriamente corrispondenti. 0 Agi | « Come ulteriore verificazione della soluzione che precede, si conside- rino i processi termodinamici del tipo: = G)S Dando a quest'equazione la forma equipollente : Ne risulta (2), (3).: n= oten(L)ontor (1) (1) QH: A dt, L) er au? \u e per conseguenza: peg du Se ora si pone: ius, Fat lrg@)-s0, sì trova: dio pi) AZIRE vale a dire: udE=tdF. Quest'ultima eguaglianza permette di dare alle equazioni (1) la forma: dQ=dE4+dL= wdF, in cui le primitive quantità £ ed F sono surrogate da v ed F; ne segue che l’ordinario procedimento di deduzione del potenziale isotermo conduce medesimamente alle formole: Mace ca dv NUR du le quali coincidono con quelle testè incontrate (Questa osservazione si col- — 479 — lega con alcuni passi della prima Memoria di Helmholtz sulla Statica dec sistemi monociclici). « Dalle equazioni (1), si deduce: © 2pdv=—dH+ Di du, ovvero (3): dXpv— Zvdp=— dh + _ du, equazione cui si può dare la forma: (4) Zvdp+3È du=d(H+ Spv). « Questo risultato si può utilizzare in due modi. « Se primieramente si pone: (4)a H+xpv=K e si concepisce questa nuova funzione K come espressa per mezzo delle quantità p ed «, colla sostituzione dei valori dedotti da (1), , (8), per le quantità v e #, si ottiene (mercè la relazione (4) ed altre delle già prece- dentemente stabilite) : ar 2 _2K (4) di wi DI È I” ?K === — —_ Sq È ey v Pp « Ma si può anche sottrarre dall’equazione (4) l'identità: di DIE dI dist Sale e con che si ottiene (2), (3): >vdp—Fdt=d(G+3pv), formola da cui la funzione w è affatto scomparsa e che può essere dedotta direttamente da (1). Da quest'equazione, ponendo: (5) G+zpv=K; e considerando questa nuova funzione K; come espressa per mezzo della tem- peratura £ e delle forze p mediante la sostituzione dei valori dedotti per le quantità v dalle equazioni : _CG JI Ton) sì ricava: _d pio DE dp dei (5)a pe a di dp SÒ « Queste sono le formole che fanno riscontro alle (4), rispetto alla ipotesi isotermica, la quale fa sempre in tal qual modo eccezione. Nel caso, più comunemente considerato, che le variabili geometriche v si riducano ad una sola (volume specifico), la funzione K, corrisponde a ciò che il Sig. Duhem chiama (in un senso differente) potenziale termodinamico a pressione costante. « In realtà questa funzione K,, che non è più un vero potenziale nel preciso significato della parola, si riferisce sempre ai processi isotermi (u= t). Volendo invece considerare, per esempio, i processi isentropici (u= F), basta ricorrere alle formole più generali (4),, prendendo per K una funzione delle forze p e dell’entropia F e ponendo (3), w=#F (ommessa, per semplicità, la funzione additiva). Si trova così: dK ©K IK 525 2A ZIE Ss ss 9 dm’ È NH! ale D PI formole che si possono immediatamente verificare mercè le equazioni fonda- mentali (1). « È quasi superfluo avvertire che il concetto di potenziale termodina- mico, nel senso qui considerato, non coincide punto necessariamente con quello | di funzione caratteristica ». Matematica. — Sui complessi generati da due piani in cor- rispondenza birazionale reciproca. Nota di P. VisALLI. « 1. Sieno @, £ due piani in corrispondenza birazionale reciproca di grado n (!). Ad un punto di « corrisponde una retta di 8, polare del punto; e ad una retta qualunque 4 di @, corrisponde un inviluppo g', razionale di classe n. Ad una retta qualunque di $ corrisponde un punto di «, polo della retta; e ad ogni punto A' di £ corrisponde in « una curva %, razionale di ordine 7, la quale è il luogo dei poli delle rette di 8 uscenti per A". Alla retta @«8= d, corrisponde in «un punto D ed in £ uno inviluppo ga. Le curve g hanno in comune un certo numero di punti, x, semplici, 7» doppi, x, r-pli, ecc., i quali si dicono punti fondamentali; e gli inviluppi g' hanno in comune 4’, tangenti semplici, «> doppie, 4, r'-ple, ecc., che si dicono rette fondamentali. Fra i numeri x, 4‘, #, esistono le note relazioni: Sraffa MII 3r(r-la,=Il-1)a,=-1(-2). «“ Una retta 4 di « ed una retta a' di $ si dicono conzugate, se a passa (1) Iung, Sulle superficie generate da due sistemi Cremoniani reciproci di grado m. Rendiconti R. Accademia dei Lincei, a. 1885. — 481 — per il polo di 4; 0, ciò che è lo stesso, se a' è tangente all'inviluppo cor- rispondente ad a. « Un punto A di a ed un punto A' di f si dicono coniugati se A' giace sulla retta polare di A; e quindi se A è un punto della curva % corrispon- dente ad A'. « Un punto qualunque di « (o #) ha un numero semplicemente infinito di punti coniugati, e perciò le rette che uniscono le coppie di punti coniu- gati formano un complesso C. Lo studio di questo complesso forma l' og- getto della presente Nota ('). « 2. Sia 7 un piano qualunque, e sia «= 70, a' = 8. Un punto A di a ha un punto coniugato A' su a’, ed ogni punto di 4, ha x punti coniu- gati su a; quindi le rette del complesso, giacenti în tt, inviluppano una curva T di classe n+ 1. Questa curva è tangente alla retta a’, ha la retta a come tangente n-pla ed è dell'ordine 27. La curva I° si chiama curva del complesso appartenente al piano tr. « Il complesso C è dell'ordine n+- 1. « 3. Ad un punto P,, fondamentale 7-plo di @, corrisponde in # un inviluppo razionale di classe 7; quindi ogni punto A' di f è coniugato a P,; e poichè per A' passano 7° rette dell’inviluppo, si può dire: « La stella di rette avente per vertice un punto P,, fondamentale r-plo di a, contata r volte, fa parte del complesso C. « 4. Ogni punto A di e, giacente sulla retta d= @f, ha un punto co- niugato A' situato sulla stessa retta; e viceversa, un punto A' di #, giacente su d, ha » punti coniugati su d; quindi: « Sulla retta d vi sono n+4- 1 punti Ui, ciascuno dei quali è coniu- gato a se stesso. « Le n+-1 stelle di rette, avente i vertici nei punti U;, fanno parte del complesso. « Indicheremo con wi, 3, %3,--; Un+1 le rette polari dei punti U,, U., Uz, ... U,.+1, rispettivamente. « 5. Se 4 è una retta di «, il punto ad di 8 ha » punti coniugati su a quindi tutte le rette di a sono rette n-ple del complesso. Analogamente si dimostra che tute le rette di 8 sono rette semplici del complesso. « 6. Sia 7° un piano tale che il polo della retta a = 778 sia un punto A della retta a="77@. Tutte le rette di 77, uscenti per A, sono rette del com- plesso. Inoltre, ogni punto di 4 ha per coniugato un punto di 4°; e vice- versa, ogni punto di 4, ha per coniugati, oltre A, altri 7 — 1 punti di 4; segue quindi che le rette di C, giacenti nel piano di due rette coniugate, formano un fascio, ed inviluppano una curva di classe n e di ordine 2(n—-1), avente la retta a come tangente (n —1)pla. (1) Hirst, On the complexes generated by two correlative planes. Collectanea Mathe- matica in Memoriam Dominici Chelini. Milano, Hoepli, 1881. RenpIconTI. 1895, Voc. IV, 1° Sem. 64 — 482 — « Fra i punti di 4’ ve n'è uno, il punto di contatto di 4 con l’invi- luppo g' corrispondente ad «, al quale corrisponde una curva tangente in A ad a. La retta che unisce al il punto A col punto di contatto di 4’ con g', ap- partiene al fascio di centro A_ ed è tangente alla curva del complesso di classe x. «“ Un piano sr, la cui curva del complesso si spezza, si dice eccezionale. « 7. Se un piano 77 passa per U;, le rette del complesso, giacenti nel piano, formano il fascio U;, ed inviluppano una curva T, di classe 7. Se poi il piano passa per U; e contiene due rette coniugate, le rette del com- plesso formano un fascio di centro U;, un fascio che ha per centro il polo della retta 778, ed inviluppano una curva di classe n — 1. « 8. L'inviluppo +: delle rette del complesso, giacenti in un piano pas- sante per un punto P,, fondamentale 7-plo di «, si compone del punto P,, contato 7 volte, e di una curva di classe 2 —7 + 1, dell'ordine 2 (x — 7), avente la retta ra per tangente (2 — 7) pla, e tangente alla retta che uni- sce P, col punto in cui 778 taglia la tangente comune, non fondamentale, alla curva fondamentale corrispondente a P, e all’inviluppo corrispondente alla retta za. « Se il piano passa per P, e per un punto U;, l’inviluppo delle rette del complesso giacenti in esso, si comporrà del punto P,, del punto U;, e di un inviluppo della classe n — 7. « 9. Se un piano 7 passa per due punti fondamentali P,, P,, di @, di cui uno sia 7-plo e l’altro s-plo, l’inviluppo +, si comporrà del punto P., contato 7 volte, del punto P,, contato s volte e di un inviluppo di classe 7-7 —s+ 1. « Se r+s=n, la retta P, P, è fondamentale, e tutti î suoi punti sono i poli di una stessa retta p',, fondamentale semplice di #; quindi: « Per ogni retta fondamentale di a passa un fascio di piani ecce- zionali per il complesso, in ciascuno dei quali l'inviluppo F_ è composto di tre punti dei quali due sono î punti fondamentali situati sulla retta, ciascuno contato tante volte quanto è la sua moltiplicità per le curve g, e l’altro è il punto ove il piano taglia la retta fondamentale di f, cor- rispondente alla retta fondamentale per la quale passa il piano medesimo. « 10. Anche i piani uscenti per le rette fondamentali di f sono ecce- zionali. Se p', è una retta fondamentale r'-pla di f, essa ha infiniti poli si- tuati sulla curva w,r, di ordine 7’, corrispondente; e quindi /‘nvluppo T delle rette del complesso, giacenti în un piano qualunque uscente per p',r, si compone degli 7" punti in cui il piano taglia la curva W,,, e di un inviluppo di classe n—-r+1 ed ordine 2(n—r), avente per tangente (n— 7) pla la retta ma. « 11. È degno di nota il caso in cui nel piano @ vi sia un punto P,-, fondamentale (2 — 1) plo, equindi in # una retta p',-, fondamentale (2 —1) pla. Vi saranno in @ altri 2(x — 1) punti fondamentali semplici, ed in # altre — 483 — 2(n—1) rette fondamentali semplici. Ai punti fondamentali semplici corri- spondono altrettanti punti di 8, ciascuno dei quali, è l'intersezione di una retta fondamentale semplice con la retta (2 — 1) pla; ed al punto P,-, cor- risponde un inviluppo di classe #7 —1, tangente a tutte le rette fondamen- tali semplici di 8 ed avente la retta p',-, per tangente (n —2) pla. Le curve fondamentali di « sono: le 2 (2 — 1) rette, che uniscono il punto Pi; con i punti semplici, e una curva di ordine x —1, che passa per i punti fondamentali semplici ed ha un punto (n — 2)plo in P,_1. « Ad una retta e di @, uscente per P,-;, corrisponde l’inviluppo fon- damentale di classe x — 1, che propriamente corrisponde a P,-1, ed un punto E' situato su p',-1, centro del fascio di rette polari dei punti di e. Vice- versa ogni punto E' di p'-1, corrisponde ad una retta e per P,-, in una data direzione. «“ Risulta chiaramente che l’inviluppo T delle rette del complesso gia- centi in un piano n uscente per il punto Pn, St compone del punto Pn-1 contato n— 1 volte e di una conica. Se poi il piano x su detto passa per il punto E', corrispondente alla retta ra, essendo E' coniugato a tutti i punti di ra, vi sarà su questa retta un punto M polo della retta 78, e quindi l'inviluppo T° si comporrà del punto P,-,, contato x — 1 volte, del punto M e del punto E'. Inoltre è facile vedere che le tracce su £ dei piani che pas- sano per P,_, e contengono una retta e ed il punto corrispondente E', in- viluppano una conica; quindi possiamo conchiudere: Se nel piano @ vi è un punto fondamentale (n —1)plo per questo punto passa un numero sem- plicemente infinito di piani eccezionali, che inviluppano un cono di se- condo ordine, e tali che la curva del complesso, appartenente a ciascuno di essi, sî riduce a tre punti. « Per il $ 9 si ha ancora: Per ciascuna delle 2 (n —1) rette fonda- mentali di a passa un fascio di piani eccezionali per il complesso, in ciascuno dei quali lV’inviluppo T è composto di tre punti, dei quali due sono su a e l'altro sul piano È. « Consideriamo ora un piano 7 passante per P,-1 U;, (£ = 1,2, .... 241). Le rette polari dei punti di P,_, U; formano un fascio di centro Q=p,-1% il quale determina sulla retta 778 una punteggiata prospettiva alla punteg- giata P,-,U; dei poli delle rette del fascio; quindi l’inviluppo 7°, apparte- nente al piano 77, si comporrà del punto P,-1, contato x — 1 volte, del punto U; e di un altro punto, che diremo Q, esterno ai piani @, #, per il quale passano le rette di 77 che uniscono le coppie di punti coniugati delle punteggiate prospettive va, 778. Si ha quindi: « Esistono n+-1 fasci di piani eccezionali aventi per assi le rette P,,_1 U;, tali che l’inviluppo T, appartenente a ciascun piano, è compo- sto del punto P,,_., contato n —1 volte, del punto U; e di un'altro punto Q esterno ai piani a, B. — 484 — « Consideriamo due piani 77, , 77, uscenti per la retta P,._, U;, e sieno A',, B, i punti della retta 71 8, e A',, B', i punti della retta 77, 2, coniu- gati rispettivamente, ai punti A, B, della retta 7ra. I due triangoli AA} A',, BB',B', sono prospettivi, avendo per centro di prospettiva U;, quindi i tre punti Q' = A' A‘, .BB,, Q=AA'.BB',, Q=AA',.BB', sono in linea retta; perciò: « I punti Q, appartenenti ai piani del fascio avente per asse P,-, U;, giacciono sopra una retta, che dirò qi, passante per il punto Q' = pix. WU; « È bene osservare che ogni piano uscente per una retta 4; è eccezio- nale per il complesso, perchè taglia i piani @, f secondo due rette coniugate. « 12.I piani eccezionali del complesso sono di due specie: 1° piani che tagliano i piani @ e f secondo rette coniugate, e sono in numero doppiamente infinito ed inviluppano una superficie S. « 2° piani che non tagliano i due piani « e £ secondo rette coniugate. Tali sono i piani delle stelle aventi per centri i punti fondamentali di @, od i punti U;. « 13. Sia 7 una retta qualunque, ed A, A' i punti re, 78. Preso su d un punto M, le x tangenti condotte per A' all’inviluppo g', corrispondente alla retta AM, determinano su d x punti che dirò M'. Viceversa, dato un punto M' su d alla retta A'M' corrisponde in @ un punto, che unito ad A dà una retta che taglia 4 in un punto M. Vi sono sulla retta d x+1 punti M, ciascuno dei quali coincide con uno dei suoi corrispondenti punti M', e perciò per 7 passano n + 1 piani contenenti, ciascuno, due rette coniugate; quindi: « La superficie S è della classe n+-1. « 14. Per una retta 7 di @ passano x piani, individuati dalla retta 7 e dalle x tangenti condotte per il punto 74 all'inviluppo corrispondente, i quali sono tangenti ad S e non coincidono con «; quindi il piano @ è tax- gente alla superficie. « Se la retta 7 passa per D uno degli x piani precedenti coincide con @, e quindi 0 punto D è il punto di contatto di @ con la superficie S. « 15. Se la retta 7 è tangente alla sezione «S, due delle » tangenti che si possono condurre per il punto rd all’inviluppo g', corrispondente ad 7, coincidono; e ciò avviene quando g' passa per rd. Ora, se g' passa per il punto 74, viceversa la curva corrispondente al punto 7d di #, è tangente ad 7; quindi /a curva @S sî può definire come l’inviluppo delle rette, con- dotte per ogni punto di d, tangenti alla curva $, corrispondente a questo punto, considerato come appartenente al piano f. « Per ogni punto di f#, situato d, passano 2(2—1) tangenti alla curva corrispondente; inoltre, vi sono nel fascio di curve g, corrispondenti ai punti di d, 2(# —1) curve tangenti alla retta 4; quindi /a curva aS è della classe 4(n—1) ed ha la retta d per tangente 2 (n—1)pla. — 485 — « Questa curva @S, tocca d nei 2(n —1) punti ove d taglia l'invi- luppo ga, corrispondente a d, passa per i punti U;, ed ha un punto 7°-plo nel punto in cui d è tagliata da una retta fondamentale 7'-pla di 8. Ri- sulta quindi che V’ordine della curva aS, e quindi della superficie S, è An_-1)+n+142"xmn= 8n—6 « 16. Una retta di f ha, in generale, una sola retta coniugata che la taglia; quindi per essa passa un solo piano tangente alla superficie S, e non coincidente con 8. Se poi la retta è tangente all’inviluppo ga il polo di essa giace su d, e quindi, oltre al piano #, nessun altro piano tangente passa per la retta medesima. Segue da ciò che él piano f è piano tangente n-plo della superficie S, e pa è la curva di contatto. « Se p',, è una retta fondamentale 7'-pla di f, ogni piano uscente per p',, è piano tangente 7'-plo della superficie S, perchè contiene 7° poli di p',,; quindi questa retta è 7'-pla per la superficie S. Inoltre ogni piano uscente per u'; è tangente alla superficie $; e perciò questa superficie contiene le retto w/;. Segue da ciò che #/ piano f taglia la superficie S secondo le rette fondamentali, secondo le rette u';, e la tocca lungo la CUTVA- Pa, Che è dell'ordine 2 (n — 1). i « 17. Sia P' un punto fondamentale di #, corrispondente ad un punto P, fondamentale semplice di @, e sieno p',,, p'y le due rette fondamentali (71 + s = n), che passano per P' « I piani tangenti ad S, condotti per una retta m passante per P, sono: il piano m . p',,, 7-plo; il piano m . p'y, s-plo; ed il piano mP,; quindi ogni piano condotto per la retta P,P' è tangente alla superficie, e perciò P,P' è una retta della superficie medesima. « 18. Oltre alle rette fondamentali di #, alle rette v/;, ed alle x, rette P,P' non giacenti in 8, vi possono essere sulla superficie altre « rette, ove « indica il numero dei punti non fondamentali di #, per i quali passano % rette (per equivalenza) semplici della superficie. « 19. Se la reciprocità fra i due piani è tale che nel piano # ci sia una retta fondamentale p',-,, (n — 1)-pla, questa retta sarà pure (2 — 1)pla per la superficie S, la quale conterrà ancora 3 2 — 1 rette semplici, giacenti sul piano $. Per ciascuno dei 3x — 1 punti, ove queste rette semplici di S tagliano la retta p',-1, passa una retta semplice della superficie, non situata sul piano #. Queste rette, non situate sul piano #, sono le 2(n— 1) rette P,P', e le z7-+1 rette q;, luogo dei punti Q (11). « 20. Proiettiamo da un punto qualunque O dello spazio il piano a sul piano £, e indichiamo con «, il piano # considerato come proiezione di @, e con A;, 4, 1 le proiezioni del punto A, della retta 4 e della curva g, — 486 — rispettivamente. Fra i due piani sovrapposti @,, # vi è una reciprocità bi- razionale (') e si sa che: « 1° Il luogo dei punti di «,, che si trovano sulle rette corrispondenti di 8, è una curva Gy, dell'ordine 7 -+-1, della classe 2 (2x — 1), e di ge- nere 2 — 1. Questa curva passa per i punti fondamentali di @, (proiezioni dei punti fondamentali di @), come le curve g, corrispondenti ai punti di 8, passa per i punti U; e per i punti d’incontro di ogni retta fondamentale di #8 con la curva fondamentale corrispondente. « 2° L'inviluppo delle rette di f, che passano per i corrispondenti punti di @, è una curva GW, di classe 7+-1, dell'ordine 2(2x — 1) e di ge- nere 2 — 1. Ogni retta fondamentale 7'-pla di £ è tangente 7'-pla della curva G/,+1, la quale tocca le rette v'; e le tangenti che da ogni punto fon- damentale 7-plo di @, si possono condurre alla curva fondamentale corri- spondente. « In tal modo, per ogni punto O dello spazio vengona determinate sul piano # due curve, la G,., e la G,+1, che diremo curve corrispondenti al punto 0. « 21. Se un punto A, di a, si trova sulla retta corrispondente a' di $, che è la retta polare del punto A di o di cui A, è la proiezione, la retta OA, è una retta del complesso ed il piano Ou' è un piano tangente alla super- ficie S, e viceversa; perciò la curva G,+,, corrispondente ad un punto O, è l'intersezione di 8 col cono del complesso avente il vertice in O, e la-curva Gn, è l’inviluppo delle rette in cui # taglia i piani tangenti al cono cir- coscritto alla seperficie S, condotto per il punto O a cui la curva G'_4: cor- risponde. « Si ha quindi: « 1° Il cono del complesso, appartenente ad un punto O, è dell'ordine n-+1, della classe 2(2n— 1) e del genere n—1. Esso ha &(r=1,2,...) generatrici r-ple, passanti per i punti fondamentali di a, e passa per i punti U;. « 2° Il cono circoscritto alla superficie S, condotto per un punto O, è della classe n-+1, dell'ordine 2(2n—1) e genere n—-1. Fra î piani tangenti a questo cono vi sono quelli che passano per le rette fondamen- tali di 8, o per le rette u'; o per le rette P, PE « 292. Il cono del complesso, appartenente ad un punto O, ed il cono circoscritto alla superficie S, condotto per lo stesso punto, sono correlativi. Alle generatrici del primo corrispondono i piani tangenti del secondo, pas- santi per le generatrici medesime. Se il cono del complesso si spezza in (1) Vedi Iung: Sulle superficie generate da due sistemi Cremoniani reciproci di grado m. Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, a. 1885; od anche una Nota del sig. Lazzeri pubblicata l’anno 1886 negli stessi Rendiconti ed intitolata: Sulle recipro- cità birazionali nel piano. — 487 — un piano ed in un cono di ordine x, quello circoscritto si comporrà di una retta e di un cono di classe x. « 23. Sia 7 una generatrice comune al cono del complesso, appartenente ad un punto qualunque O dello spazio, ed al cono circoscritto alla super- ficie S; e sia A=7rd, ed a' la polare di A. Il piano 7 = Ad’ passa per 7° ed è tangente alla superficie S. Ora, perchè un altro piano uscente per 7 e tangente ad S, coincida con 77 è necessario che l’inviluppo g', corrispondente alla retta 7ra, sia tangente ad a' nel punto ra'; ma in tal caso la retta 7 conta per due rette del complesso infinitamente vicine ($ 6), e quindi 77 è piano tangente al cono del complesso. Segue da ciò che: « Il cono del complesso, appartenente ad un punto O, ed il cono cir- coscritto alla superficie S, condotto per lo stesso punto, st toccano lungo le generatrici che hanno di comune. « 24. Il cono del complesso, appartenente ad un punto qualunque O del piano @, si compone del piano a, contato x volte, e del piano che passa per O e per la retta o' polare di O. Questi due piani si tagliano secondo la retta O .do', che appartiene al complesso ed è una retta singolare del complesso medesimo. Ogni retta a di « è singolare per il complesso, perchè su essa vi sono 7 punti, quelli coniugati al punto 44, tali che il cono del complesso, appartenente ad uno qualunque di essi, si compone di due piani (di cui uno è @) passanti per la retta medesima. .« Il cono del complesso, appartenente al punto D, è formato dal piano « contato 2 +1 volte. Di modo che il punto D presenta una singo- larità, rispetto al complesso, differente di quella degli altri punti del piano @. «Il cono del complesso appartenente ad un punto del piano £ si com- pone del piano # e di un cono di ordine n. Le x rette comuni al piano £ ed al cono, sono rette singolari del complesso. Per ogni punto di £ passano quindi 2 di queste rette singolari, e sopra una retta qualunque di £ vi è un sol punto, tale che il cono del complesso, appartenente ad esso, si com- pone del piano f e di un cono di ordine x che ha per generatrice la retta medesima. « Le rette ; e la retta d presentano maggiore singolarità: ogni punto di una retta w'; è il vertice di un cono del complesso composto del piano #8 e di un cono di ordine x avente la stessa retta per generatrice; ed il cono del complesso, appartenente ad un punto qualunque di d, si compone del piano « e del piano f ». i — 488 — Fisica. — Studio delle proprietà elastiche dei corpi fondato sull’uso contemporaneo dei metodi statico e dinamico ('). Nota del dott. M. CANTONE, presentata dal Socio BLASERNA. « Lo studio delle proprietà elastiche per mezzo delle oscillazioni ha condotto a risultati i quali stanno in sensibile disaccordo con quelli ottenuti usando il metodo statico, anche quando venga adoperato lo stesso corpo nei due generi di esperienze. Da taluni si è voluto attribuirne la causa ad im- perfezione delle misure, non si è escluso però dai più che la natura mede- sima del processo di deformazione potesse nei due casi portare a valori di- versi per le costanti di elasticità, non essendo la legge di Hooke seguita esattamente; anzi tenendo conto di questa circostanza si sono accolti in ge- nerale con maggior fiducia i risultati delle ricerche col metodo dinamico, appunto perchè con esse si riesce a determinare le dette costanti, senza bi- sogno di provocare forti spostamenti delle particelle e quindi senza allonta- narsi molto da quella legge. « Accertata intanto da me la esistenza dei fenomeni d’isteresi elastica (2), conveniva trattare la questione da un punto di vista nuovo, importava cioè vedere se partendo dallo studio dei processi ciclici di deformazione fosse pos- sibile avere, coll’uso dei due metodi statico e dinamico, risultati concordanti. « Nella Nota attuale mi propongo di rendere conto delle ricerche fatte in proposito. Ho già mostrato in una memoria: Sull’attrito interno dei metalli (3) come lo smorzarsi delle oscillazioni dovute a forze elastiche sia da attribuire con grande probabilità al lavoro che si consuma nel corpo per i fenomeni d’isteresi, ed ho fatto vedere ancora in una Nota successiva potersi rappre- sentare la legge che segue il corpo nel deformarsi per torsione in un ciclo bilaterale, fra limiti non molto estesi di ampiezza, mediante il sistema di equazioni: M=M; cosa , w=Acos(a—4), essendo M il momento torcente, è l'angolo di torsione, M, il momento mas- simo impiegato nel ciclo, 7 un parametro da cui dipendono nel ciclo che sì considera le deviazioni dalla legge di proporzionalità tra M ed ©, ed © una variabile indipendente. | (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di fisica della R. Università di Palermo. (2) V. Rend. Ace. dei Lincei, 2, 2° sem., p. 246, 295, 339 e 385, 1893; 3, 1° sem., p. 26 e 62, 1894. (3) V. Nuovo Cimento, 1, p. 165 e 190, 1895. — 489 — « Mantenendoci i quest'ordine d’idee e restando nel campo della tor- sione, ammetteremo che nel caso delle oscillazioni la legge di dipendenza fra le M e le w sia della stessa natura, porremo perciò, prendendo come origine dei tempi l’istante in cui il momento raggiunge il massimo valore dalla parte delle forze torcenti positive : Y É pr (A SÙ (1) VWr=WN Re cos SE i @ = Ae 7 cos EUTÌ), dove T denota la durata della oscillazione, e le espressioni esponenziali co- stituiscono dei fattori di smorzamento che noi potremo assumere nella forma data, salvo ad esaminare poi la natura delle costanti y e f. « L’adottare il sistema delle (1) corrisponde ad ammettere una diffe- renza di fase fra le variazioni di M e di w, la quale, pur essendo suggerita dall’indole dei fenomeni d’isteresi, nella ipotesi che il corpo venga abbando- nato a sè dopo averlo sottoposto all’ azione di forze gradatamente crescenti, deve ritenersi, almeno per quanto riguarda il principio del moto oscillatorio, come puramente fittizia, giacchè in tal caso non può supporsi che al mas- simo di © non corrisponda il massimo di M. Però la ipotesi potrebbe es- sere conforme alla realtà se invece di arrivare alla deformazione estrema con forze crescenti, vi giungessimo con un impulso dato al filo nello stato di riposo, in quanto è probabile che coll’aumentare della torsione una parte via via maggiore di molecole, assumendo le proprietà caratteristiche dei fluidi e quindi senza presentare reazioni elastiche, subiscano spostamenti oltre la po- sizione cui sarebbero pervenute qualora la rottura dei legami non si fosse verificata, in guisa da rendersi possibile una deformazione ancora nel senso primitivo quando le forze elastiche per la reazione delle parti rimanenti hanno raggiunto il massimo valore. Se così stessero le cose, il concetto da cui è partito l’Ewing nella denominazione dei fenomeni da lui studiati nel magnetismo non sarebbe nel campo della elasticità del tutto fittizio, ma avrebbe fondamento sulla realtà. « Senza insistere oltre in tali considerazioni, ci contenteremo di trovare teoricamente la durata di oscillazione partendo da una legge relativa ai fe- nomeni d'isteresi molto vicina alla vera, per cui l’attuale studio senza avere la pretesa di risolvere in modo rigoroso il problema del moto dei sistemi elastici, è da riguardarsi come un tentativo di un nuovo metodo d'indagine. « Cominceremo dal vedere a quali condizioni devono soddisfare i para- metri 8, y, 4 e T. Servirà a tal uopo la relazione generale: o a I CENE Tare RenDpICONTI. 1895, Vol. IV, 1° Sem. 65 — 490 — in cui I denota il momento d'inerzia della massa oscillante. Sostituendo per « il valore dato dalla (1) si avrà: B CFMI (3 2) _ SS poca D) Tresa cost Ce A) EE SR 2) rr SA T° T 7? T COS Togo (2) Ae T « Una prima equazione si ottiene ponendo nella (2) t= 4. Risulta allora: : ein __M È 4 (3) Ae COS T° I pur” da cui sì ricava: Ts IAe 7 4n° — bB® 13 (4) T— Mi, za e Ti « Se poi facciamo nella (2) t=T-+4 si ha: ni Ar OA ME 2rrÀ A Bite IR 23 Y mi Ae e Ti 1‘ e COS o > la quale relazione non può coesistere colla (3), a meno che non si abbia eB= e71, ossia: (5) (de=990 « Se in fine si pone nella (3) i=3, avremo: B 2-02 £ Ae <« (e È sen SI ERO COS a) E Tio ei da cui: 2rrÀ 47rf (6) USS erp ed attesa la piccolezza di # e 4: 2h __B (2) fog! « Questo risultato ci dice che se una differenza di fase esiste in realtà fra le variazioni di M e di ©, essa tende a sparire con #8. Sarebbe invero azzardato il supporre che il decremento logaritmico B, il quale quando si parta da grandi ampiezze diminuisce in modo assai marcato col diminuire della elongazione, abbia per limite inferiore lo er0, ma atteso il fatto che anche operando fra limiti di ampiezza assai ristretti (!) il valore di £ è per (1) V. W. Voigt, Bestimmung der Constanten der Elasticitàt und Untersuchung der innern Reibung fiir einige Metalle. Gottingen 1892. — 491 — ciascuna serie di oscillazioni sempre decrescente, quella ipotesi non sarebbe del tutto priva di base, ed allora si verrebbe per la (7) alla conseguenza di aversi un ritorno alle condizioni di struttura iniziali per la natura stessa del lavorio subìto dal corpo durante il moto oscillatorio. Del resto, ammesso pure che 4 non raggiunga il limite cero, si manifesterebbe sempre nel filo la ten- denza a questo ritorno, rimanendo solo effetti residui dello spostamento di fase, effetti che potrebbero forse anche spiegarci i fenomeni di accomoda- zione ('). « Al principio di ogni ciclo dinamico corrisponderà un valore massimo di w tale che per esso si abbia: Ron 2($ —7)) BE di @=T COS T 0 ossia : 1 i) Ti DA e poichè 8 è assai piccolo il valore del tempo relativo a questo massimo ci verrà dato, tenendo conto della (7), dalla formola: BT TAGE , Î, onde si avrà per il massimo cercato, che indicheremo con @;,, nei limiti di approssimazione cui ci siamo attenuti: 8) a (1-2) « Se infine teniamo presenti le (4), (5), (6) ed (8), avremo con grande approssimazione : « Perveniamo così ad una espressione per T che differisce apparente- mente da quella ammessa nella ipotesi che si abbiano reazioni elastiche pro- porzionali agli spostamenti delle particelle solo per la introduzione del 2 fattore (1 a) , il quale fu trovato peri diversi fili tanto vicino all'u- nità da rendersi superfluo il tenerne conto; ma deve notarsi che nel radicale 3 (O) SR ; : invece del noto rapporto n comparisce il valore di questa espressione che corrisponde ai massimi di w e di M relativi alla oscillazione che si consi- (1) V. Rend. Acc. Lincei, 2, 2° sem., p. 885. — 492 — dera, onde risulta la durata T uguale a quella che si avrebbe ammettendo lungo il ciclo dinamico una legge di proporzionalità fra le © e le M con (02) una costante uguale ad + . 1 « La soluzione del problema riguardante il moto oscillatorio dei sistemi LARA k 0) : ; elastici si riduce pertanto alla ricerca del rapporto — per le singole oscil- -1 lazioni. Vediamo come si possa procedere in tale ricerca. « È noto che, se non si va a deformazioni esagerate, sopprimendo d'un tratto il carico torcente il corpo oscillando si riporta ad una configurazione vicinissima a quella da cui è partito prima di essere deformato, specialmente ad accomodazione innoltrata. -È da pensare adunque che i cicli compiuti in tal caso fra limiti gradatamente decrescenti tendano a far ritornare il corpo allo stato iniziale, presso a poco per la stessa via che esso avrebbe seguito arrivando alla deformazione massima con una serie di cicli bilaterali le cui ampiezze aumentino man mano ripassando in senso opposto per gli stessi va- lori di prima, e poichè sappiamo essere in tal caso i cicli rappresentati da cappî i quali fanno capo alla curva che dà l'andamento della deformazione per forze crescenti con continuità, siamo indotti a ritenere che anco in un filo oscillante per le forze elastiche le curve relative ai vari cicli facciano capo alla stessa linea. « Ed a conferma di un tal modo di vedere varrebbero talune esperienze da me compiute con un filo di nichel. Ho trovato infatti che producendo sul corpo in esame una serie di cicli statici bilaterali tra le forze estreme: 24, — 22, 20, — 18, 16, — 14, 12 ecc., le deformazioni avute per le forze : 24, 20, 16, 12 ecc., coincidevano sensibilmente con quelle relative agli stessi ca- richi quando si andava direttamente da cero a 24. « Segue da tutto ciò che per la verifica della teoria avanti esposta con- 3 Da i ; Sr ; È verrà assumere per 3=- i valori forniti dalle ricerche col metodo statico, e 1 se i risultati dell'esperienza andranno d'accordo cor quelli dei nostri calcoli, avremo ragione di credere che la ipotesi ora fatta non sia del tutto arbitraria. « Esaminiamo adunque se il valore di T dedotto dalla nuova teoria è d'ac- cordo con quello ricavato sperimentalmente. Ricorreremo per tale raffronto alle ricerche intraprese in occasione dello studio sull’attrito interno dei metalli, servendoci oltre che della parte riguardante i cicli statici e lo smorzamento delle oscillazioni di alct 1e esperienze compiute allora per indagare come varia T al diminuire del ampiezza, e delle quali non si è reso conto nelle precedenti pubblicazioni. « In queste ultime sperienze vennero da me compiute le misure del tempo e delle elongazioni nel modo che verrò ad esporre. Messo ad oscil- lare il filo colla rapida soppressione del carico torcente e preso l'andamento e — 493 — del cronometro, passavo al cannocchiale e marcavo l'istante in cui si vedea coincidere per la prima volta la posizione di massimo spostamento a destra col filo del cannocchiale. Siccome intanto la misura del tempo non permet- teva che si potesse apprezzare esattamente questa posizione, le letture rela- tive alle ampiezze si cominciavano con una, e per fili oscillanti con grande rapidità con due, oscillazioni di ritardo rispetto all’istante marcato, e si limi- tavano a tre successive escursioni nei due sensi. Si avea così il mezzo di ese- guire varie serie di queste misure coll’intervallo di 5 o di /0 oscillazioni, a seconda dei valori di T, durante il moto oscillatorio fino a che le am- piezze consentivano misure esatte del tempo. « Esperienze cosiffatte fornivano i valori medî di T nei predetti intervalli; occorreva dunque ricercare le corrispondenti ampiezze che io voglio sin d'ora denotare con (0). Per questo cominciavo dal completare le serie relative alle elongazioni servendomi delle seria analoghe di cui feci uso nello studio del- l'attrito interno, nelle quali partendo dagli stessi limiti di forze torcenti si erano ottenute con continuità le escursioni a destra ed a sinistra per un nu- mero piuttosto grande di oscillazioni ('), ed avute così le ©, corrispondenti ai valori segnati del tempo, si deducevano prendendo le successive medie i valori di (@;). « A dir vero sarebbe stato più rigoroso riferirsi alle ampiezze relative agli istanti medî degl’intervalli sopra menzionati, ma siccome aj Varia poco in un campo ristretto di deformazioni poteva bastare che le (0) fossero de- terminate come ora si disse. Avute le (0,) si ricorreva al diagramma che dava, in base all’esperienze col metodo statico e per forze crescenti con con- tinuità, le —- in funzione delle w, e si cercavano le ordinate in corrispon- 1 denza dei diversi valori di (@;). « Il calcolo di T potè estendersi fino ad un limite di ampiezza non molto piccolo, perchè quel diagramma era tracciato a partire dal punto re- lativo al primo dei pesi torcenti adoperati nell’esperienze col metodo statico, e per tal peso si produceva una deformazione superiore alle ampiezze cui ci si arrestava nelle ricerche col metodo dinamico; e siccome la nostra verifica i RIO, : era basata sulla conoscenza esatta dei rapporti 7, non si credè opportuno 1 ricavare le durate inerenti alle più piccole ‘w, usando valori di n ottenuti 1 per estrapolazione. « Il momento d'inerzia della massa oscillante venne determinato con due serie di esperienze eseguite entro limiti di ampiezza assai ristretti con un (1) Fu trovato che l’accordo fra le serie di elongazioni avute a partire dalla stessa lettura iniziale era assai soddisfacente. — 494 — filo di nichel crudo. Il sistema di cui qui parliamo era tutto di bronzo e costituito, come altra volta fu detto (*), di una ruota con sei raggi portante un albero centrale con una puleggia, e di due anelli aventi diametro esterno uguale a quello della ruota. Determinata la durata di oscillazione del filo, tanto nel caso del carico completo quanto togliendo l'anello superiore, colla conoscenza del peso e delle dimensioni di quest’ ultimo si potè dedurre il | momento d'inerzia del sistema completo. Debbo però far rilevare che il valore di T in ciascuna di quelle due serie fu trovato decrescente dal principio al termine del moto oscillatorio, non ostante si fosse partiti in entrambi i casi da piccole ampiezze, se non che si trattava qui di variazioni poco notevoli, per cui bastò prendere come valori delle due durate le medie ottenute fra limiti uguali di ©, In tal modo si ebbe: I= 2,039,200. « Per il nostro metodo di verifica non era necessario che fossero note le dimensioni del filo oscillante, tuttavia, siccome nelle letture delle ampiezze si fece uso di uno specchio collocato lungo il filo ad una distanza dall’estremo ; A 2 SO ga superiore che indicheremo con /, il calcolo di — richiedeva che le elonga- 1 zioni relative ad / fossero ridotte ai valori corrispondenti alla lunghezza to- tale L mediante il fattore z, e poichè la / e la Z, a causa delle saldature agli estremi del filo, non si potevano determinare con grande esattezza non era improbabile che i valori calcolati di 7 atteso quanto ora si è detto, riuscissero per ciascun filo alterati nella stessa misura. Ma per l’indole del- l’attuale studio non costituiva questa circostanza un grave inconveniente, giac- chè per vedere se l’esperienze coi metodi statico e dinamico conducono a I risultati concordanti, bastava che al variare dell’ampiezza le variazioni dei | valori calcolati ed osservati di T fossero uguali. «“ Ciò appunto parmi si possa dedurre dalla seguente tabella che con- tiene tutti i risultati cui sono giunto. Nelle successive colonne di essa si hanno rispettivamente le indicazioni dei diversi fili cimentati, le ampiezze w, | computate in minuti primi e per un centimetro del filo, i valori di T avuti dall'esperienza, quelli di T, dedotti dai calcoli (2), e finalmente le differenze 4 fra le T e le corrispondenti T,. | (1) V. Nuovo Cimento, 1, p. 165. (£) Nel calcolo di T, non si tenne conto della resistenza dell’ aria, trattandosi di un'azione che non poteva influire in modo apprezzabile sul valore della durata nei limiti di ap- prossimazione ai quali ci siamo arrestati. | Wi; | T Ia d Wi np | Ti, 4 ®; ST TE 4 Ot, | 20,3| 5,81 Di 0,01]| Fey | 72,8] 5,33] 5,46/— 0,13)| AZ. | 10,6] 3,21| 3,21 0,00 16,6| 5,80] 5,29) 0.01 32,1| 5,28|-5,36/— 0,08 8,8) 3,19| 3,20|— 0,01 14,91 5,29| 5,29 0,00 23,4! 5,28| 5,36 — 0,08 j 7,4] 3,19] 3,20j}— 0,01 13,8| 5,29] 5,29| 0,00 18,3| 5,28| 5,35/— 0,07 6,3] 3,19|3,19| 0,00 spdslessdossdlezosa 14,6! 5,27| 5,85|— 0,08 so ssllossziicne dlbooece 9,41 5,29 5,08! 0,01 —|___|_—I-—- 4,6 3,18! 3,18) 0,00 I A AE INNO GIO) 45 519] | figa e n I Fe, | 13,9) 4,02] 4,02, 0,00 17,8] 5,44| 5,30) 0,14)| Cu. | 18,6] 7,92! 7,95/— 0,03 | 9,5| 4,01| 4,01 0,00 12,9 5,44| 5,29] 0,15 12,1| 7,80) 7,83'— 0,03 6,5| 3,99| 4,00/— 0,01 9,51 5,44] 5,29| 0,15 8,81 7,74| 7,79,— 0,05 4,71 3,98] 3,98| 0,00 109} 1574215528 RIONIZ a ia 3,51 3,98 3,97 0,01] — | Cus | 16,9) 7,90] 7,89] 0,01 ——|—|[—-|—_-|-[N7| 21,3, 5,15| 5,13] 0,02 11,8 7,74] 7,78|— 0,04 Fe. | 54,1] 6,13| 6,13| 0,00 13,9|5,12| 5,10] 0,02 8,9| 7,72] 7,74|— 0,02 37,3| 6,10] 6,09| 0,01 ODIA (5710) MOON fa —l_|J=-- 28,9| 6,08| 6,08| 0,00 6,9| 5,091 5,09| 0,00|[Cus | 9,61) 5,00| 4,98| 0,02 23,7| 6,07] 6,07| 0,00/—|-—|—- Eee: 7,16) 4,98| 4,95 0,08 20,0| 6,06] 6,06' 0,00]| Pt. | 56,1 8,16/8,11, 0,05 5,88) 4,961 4,93] 0,03 17,2) 6,06] 6,06] 0,00 43,01 8,14|8,07| 0,07 4,98] 4,94] 4,98] 0,01 —|—|-|-|_— 35,6] 8,14| 8,051 0,09 4,25 4,94| 4,92 0,02 Fe; | 36,8| 8,32] 8,25) 0,07 30,7| 8,12) 8,03) 0,09 3,69, 4,92| 4,92 0,00, | 29,2] 8,30| 8,23) 0,07 27,1| 8,10] 8,021 0,08 3,17] 4,921 4,92 0,00 24,0] 8,30] 8,22] 0,08 24,5] 8,10| 8,02] 0,08|-—{|-— aaa 19,8| 8,30) 8,22) 0,08 Ag» | 10,9| 6,30/ 6,32|— 0,02 16,4| 8,28| 8,221 0,06 7,61 6,24! 6,27[— 0,03 13,7| 8,28] 8,22] 0,06 5,7] 6,24| 6,26|— 0,02 | 4,7| 6,22) 6,24|[— 0,02 « Il fatto che i valori di 4 sono d’ordinario assai piccoli, mostra che gli elementi costanti di cui si deve tener conto nella formula di T furono determinati con sufficiente esattezza, sicchè le divergenze più grandi fra le T e le T,, nei casi in cui si presentano, è probabile sieno dovute alla im- perfetta misura di L ed /. Ad ogni modo è da osservare che le 4 di cia- scuna serie sono sensibilmente costanti, il che, come si disse, accenna ad una conferma dei nostri risultati teorici, e rivela quindi l’importanza dello studio del moto oscillatorio dei sistemi elastici fondato sulla ricerca col metodo statito della legge di deformazione. « Il dott. W. Puddie (*) ha pubblicato in questi ultimi tempi uno studio sulla oscillazione dei fili per torsione, in cui riferendosi ad alcune esperienze (!) Phil. Mag., 38, p. 36, 1894. ZO — da lui fatte con un filo di ferro, mostra che la elongazione @ relativa al tempo £ è data mediante la relazione empirica 0" (64 to) =, dove 6 e % sono costanti. Egli trova che a questo risultato si può giungere teoricamente supponendo, secondo il concetto del Maxwell, che al crescere della torsione un numero di gruppi molecolari sempre maggiore si spezzi, ed ammettendo che per tal fatto si abbia una diminuzione di energia potenziale proporzio- nale ad una potenza dell'angolo di torsione. « Se la legge empirica rilevata dal Sig. Puddie fosse applicabile a tutti i corpi, si potrebbe nella espressione generale che si dà per w nel caso del pi moto oscillatorio, sostituire al fattore di smorzamento @, et, dove comparisce la quantità 8 che non è mai costante, l’altro della forma ile salvo a trovare in base alla equazione differenziale cui esso deve soddisfare le re- lazioni che legano le costanti c e o agli elementi del fenomeno. Però la ve- rifica da me tentata della formula del Sig. Puddie per lo smorzamento delle oscillazioni ha condotto a risultati negativi, nel senso che non è stato pos- sibile trovare per alcun filo una coppia di valori di o e c costanti. Il con- cetto da cui parte l’autore del citato lavoro si avvicina alle nostre vedute, ma egli nella teoria elementare che svolge non tien conto dei fenomeni d'iste- resi, i quali, per quanto si è osservato in questo e nei miei precedenti la- vori sull’elasticità, devono esercitare sul moto dei sistemi elastici una in- fluenza tutt'altro che trascurabile. «“ Converrà dunque per ora conservare al fattore di smorzamento la forma di una espressione esponenziale, dove la quantità # al pari della du- rata T è da riguardarsi come un parametro variabile da una oscillazione all'altra. È sperabile però che si arrivi a trovare per questo fattore una espressione che meglio risponda al comportamento reale dei corpi nei fe- nomeni dinamici, sopratutto per riguardo a ciò che operando con sostanze dotate di plasticità apprezzabile, qualora non si parta da una deformazione assai piccola, il corpo abbandonato a sè non ritorna esattamente alla po- sizione di riposo iniziale, e che di conseguenza non può a rigore ammettersi lo sero come limite di quel fattore al crescere di £ ». Chimica. — Su comportamento crioscopico di sostanze aventi costituzione simile a quella del solvente (0). Nota di Felice GA- RELLI, presentata dal Socio CIAMICIAN. « In una Nota con lo stesso titolo della presente pubblicata in questi Rendiconti (2), il prof. Paternò fa alcune osservazioni a proposito di un lavoro (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di chimica generale della R. Università di Bologna. (2) 1° semestre, vol. IV pag. 318. — 497 — pubblicato dallo scrivente e da Montanari alla fine del decorso anno sulla Gazzetta chimica italiana ('). « Le obbiezioni del prof. Paternò mi sembrano più che altro derivare dall'aver egli dato ad alcune proposizioni contenute in quel lavoro, un' in- terpretazione alquanto diversa dalla nostra. Egli si propone specialmente di dimostrare la insussistenza di una regola espressa nel lavoro summentovato e che risguarda il comportamento crioscopico anormale dei corpi ciclici ossidri- lati: inoltre afferma che tale comportamento anormale è dovuto, non all’ana- logia di costituzione fra il solvente ed il corpo sciolto, come io sostenni con Montanari, ma bensì alla funzione chimica dei corpi ossidrilati. « Innanzi tutto mi sia concesso riferire qui testualmente le parole con le quali fu enunciata la regola, che è peculiarmente l'oggetto delle critiche mosse del prof. Paternò. Nella Memoria citata a pag. 237 è detto «....... si è indotti a credere che tutti i derivati « para » faranno eccezione o per lo meno si allontaneranno dalla regola finora verificatasi, secondo la quale ogni corpo ciclico, che differisce dal solvente per un solo ossidrile o per un gruppo amminico deve, disciolto in esso, fornire abbassamenti termometrici minori dei teorici ». « Le parole « finora verificatasi » sfuggite evidentemente al prof. Pa- ternò, poichè non citate nella sua pubblicazione, ristringono il significato della mentovata proposizione nei suoi veri limiti, che non appaiono invece agli occhi di chi leggesse soltanto la nota del prof. Paternò. « In quella Memoria non s'ebbe la pretesa di enunciare in base a dati sperimentali ancora scarsi, una legge generale insofferente di eccezioni: ma bensì s'intese soltanto di riassumere in una frase i risultati delle esperienze fino allora eseguite. E questi, nonchè come vedremo alcuni di quelli forniti di recente dallo stesso prof. Paternò, inducono a ritenere che realmente quella regola sia in massima di indole generale, ma suscettibile di eccezioni tra le quali sono annoverate quelle presentate dai paraderivati. « Un'altra eccezione venne trovata dal prof. Paternò nel paraxilenol CH; (1) z C5H3 CH; (4), OH (2) il quale, sciolto nel paraxilene, non presenta l'anomalia caratteristica dei corpi che formano col solvente soluzione solida; ma soltanto quella, comune a quasi tutti i corpi ossidrilati, che si esplica in modo ben diverso dalla prima. « Onde è sopratutto importante tenere ben distinte le due specie di anomalie aventi cause ben diverse, quantunque esse talvolta possano trovarsi riunite in determinate soluzioni. E questa distinzione basata sulle diverse cause che producono le anomalie del comportamento crioscopico, opportuna- (1) Gazz. chim., 1894, vol. II, pag. 229. RenpiconTI. 1895, Vor. IV, 1° Sem. 66 — 498 — mente accennata dal prof. Paternò in principio della sua nota, sembra poi in seguito dimenticata. « Egli di fatto è d'opinione, che le anomalie riscontrate nel comporta- mento dei fenoli nei vari solventi sieno generalmente un fenomeno dovuto alla loro funzione chimica. Su ciò nessun dubbio, e credo anzi, che le nu- merose esperienze di Raoult, Paternò, Beckmann (1), Eykman (?), abbiano provato questo fatto in modo, che esso non ha bisogno di ulteriore conferma. « Ma questo è vero soltanto finchè si considerano le anomalie prodotte da una sola causa comune: cioè dalla tendenza dei corpi con ossidrile a for- mare molecole complesse. Ora non è questa categoria di anomalie quella a cui si riferisce la regola infirmata dal Paternò ed enunciata nella Memoria mia e del Montanari; e nessuna delle mie pubblicazioni si riferisce alle già no- tissime e ben spiegate eccezioni alle leggi delle soluzioni diluite presentate dai fenoli in genere, dalle ossime, dagli alcooli e dagli acidi. « È noto che per gli alcooli, per le ossime, per i fenoli in massima, i valori dei pesi molecolari ottenuti in soluzione benzolica, tanto col metodo crioscopico, quanto con quello ebullioscopico, raggiungono od almeno si avvi- cinano assai a quelli teorici, quando la soluzione è diluita ; laddove i pesi stessi crescono più o meno rapidamente con l'aumentare della concentrazione. E questo comportamento si ripete per gli stessi corpi sciolti in altri idro- carburi (naftalina, difenile, parazilene, difenilmetano, fenantrene ecc.) come pure per le soluzioni in bromuro de etilene e in nitrobenzina; è meno spiccato, ma ancora sensibile, nelle soluzioni in anezolo, azobenzolo, benzo- fenone e cessa infine di verificarsi se il solvente è esso medesimo un fenolo od un acido. Di fatto l'acido benzoico non fa più menomamente eccezione alla legge di Raoult e van't Hoff quando è sciolto in acido acetico, fenil- propionico, stearico, caprinico ecc., nonchè nel fenolo e nel timolo: e così pure gli alcool, le ossime, il fenolo ordinario, sono pure normali se sciolti in fenolo, nel timolo e negli acidi. « Ora il ripetersi dello stesso fenomeno per uno stesso corpo in solventi così diversi fra di loro, fa sì che non solo, « la supposizione che queste ano- malie dipendano da analogia di costituzione fra solvente e sostanza sciolta perde molto del suo valore » (8) (così si esprime il prof. Paternò) ma, io non esiterei a dire, che sarebbe assurdo il volerla ammettere. Il prof. Paternò riconoscerà senza dubbio, che io non ho mai invocato l'analogia di costitu- (1) Zeitschr. f. phys. Chemie, vol. II, pag. 715. (2) ” D) D) » IV, pag. 500 e 510. (3) La stessa citata obbiezione del prof. Paternò era anzi già stata posta, da me e Ferratini, a proposito degli acidi (Gazz. chim. 1892, parte II°, p. 267); ed implicitamente la ritenevamo estesa ai corpi con ossidrile, l'anomalia dei quali presenta pure lo stesso carattere di mantenersi inalterata in vari solventi. — 499 — zione per spiegare anomalie, la causa delle quali risiede unicamente nella formazione di molecole complesse. « In questo proposito giova ricordare che rispetto al caso speciale delle soluzioni di fenolo in benzolo, io feci rilevare come il fenolo non si compor- tava in modo identico a quello seguito generalmente dagli altri corpi idros- silati. Nella mia prima Memoria sul comportamento crioscopico di sostanze aventi costituzione simile a quella del solvente (!) a pag. 370 scrivevo: « io ri- tengo assai più prossimo al vero ammettere che il fenolo in soluzione ben- zolica sfugga alle leggi che regolano il congelamento delle soluzioni per due cause riunite e cioè, prima per formazione di soluzione solida col solvente ed in secondo luogo per la sua tendenza, comune a quasi tutti i corpi idros- silati, a formare molecole complesse » « Le ragioni che stanno in favore di tale supposizione e che a suo tempo ho svolto, sono: 1) Per gli alcool, per le ossime, pel timolo (e ora si può aggiungere per lo xilenol), in soluzione benzolica si raggiungono 0 quasi, tanto col metodo crioscopico quanto col metodo ebulliometrico i pesi molecolari teo- rici. Il che non avviene pel fenolo in soluzione benzolica. 2) I due naftoli, i quali sciolti in benzolo sono quasi normali, di- sciolti in naftalina danno effetti pei quali viene palese la formazione di so- luzione solida. Anzi il £-naftolo e la naftalina costituiscono appunto una vera miscela isomorfa, dacchè quello innalza il punto di fusione di questa. Quindi non era fuori di luogo supporre che nelle soluzioni, perfettamente corrispon- denti per costituzione chimica, di fenolo in benzolo avvenisse lo stesso fenomeno. 8) Quando si determina il peso molecolare del fenolo in henzolo col metodo ebulliometrico, si ottengono a bassa concentrazione dei pesi moleco- lari molto prossimi ai teorici. Il divario rilevante che esiste fra il peso mo- lecolare ottenuto coi due diversi metodi alla stessa concentrazione: peso molecolare —-—— ————.. rr _.+EeeSTZ@@==—<—@———_m concentrazione col metodo crioscopico col metodo ebullioscopico 2,5 p.cto, circa 169 109 non si può, parmi, attribuire ad una maggior forza dissociante acquistata dal benzolo alla temperatura dell’ebollizione, poichè il maggior numero degli altri corpi idrossilati e carbossilati dà, coi due metodi in soluzione ben- zolica, pesi molecolari quasi identici. Ed in proposito il Beckmann riassu- mendo i suoi risultati così si esprime (*): « Die 75° iber dem Gefrierpunkt liegende Temperatur hat die bei der Gefriermethode beobachteten Anomalien im wesentlichen bestehen lassen ». « Ma anche le nuove determinazioni del prof. Paternò parlano, mi pare, (1) Gazz. chim. ital. 1893, parte 22. (2) Zeitschr. fir Phys. Chem. VI, pag. 445. — 500 — in favore del fin quì detto. Poniamo di confronto i risultati delle determina- zioni di pesi molecolari eseguite col fenolo in benzolo e in paraxilene: Fenolo, C:H50 = 94 In soluzione benzolica In soluzione di paraxilene concentrazione peso molecolare concentrazione peso molecolare (Beckmann) 0,337 144 — — ” 1199, NO) 1201 97,9 (Paternò) 2,4465 168,9 2,765 106,7 n 3,396 175,6 4,874 120,1 ” 4,8855 178,8 6,813 129,4 ” 9,8152 206,7 9,759 146,7 « In base a questi risultati non parmi che si possa concludere col prof. Pa- ternò « che il fenolo si comporta in modo identico nella benzina e nel para- xilene ». È evidente invece, che il peso molecolare trovato pel fenolo sciolto in paraxilene tende al valore teorico e lo raggiunge senza dubbio a concen- trazione inferiore all'1 p.cento; laddove sciolto in benzolo, ne rimane sempre notevolmente discosto anche a concentrazione del 0,3 p cto. E ciò perchè per la prima soluzione vi è una sola causa di anomalia comune ai cor ì idros- silati: cioè la formazione di molecole complesse, man mano dissociate dal solvente; nella seconda vi ha inoltre la formazione di soluzione solida tra il fenolo e il benzolo, causata questa dall’analogia di costituzione der due corpi, e sulla quale non influisce per nulla la diversa concentrazione. « Per il paraxilenolo, il quale non sembra formare soluzione solida con il paraxilene, abbenchè i precedenti risultati inducessero a credere che ciò potesse avvenire, si osserva l’identico comportamento tanto in soluzione ben- zolica, quanto in soluzione di paraxilene. « Ma in modo ancora più evidente viene confermata la regola suaccennata, dalle determinazioni eseguite in difenilmetano. In questo solvente il prof. Pa- ternò ha studiato il comportamento del fenolo, e quello del fenolbenzilato o p-ossidifenilmetano. « Poniamo di confronto i risultati di queste determinazioni: Solvente: Difenilmetano; abbass. molecolare = 66 Fenolo, C6Hs0 = 94 Ossidifenilmetano, C3H,20=184 Eykman (1) Paternò concentrazione ul concentrazione STIA concentrazione E Tai ST 0,4666 105,6 = = 1,164 105,2 1,2392 108,6 1,0528 407,5 2,596 109 2,0588 110,8 = = = a 3,7254 122,6 — — 9,205 119 0,6715 138,3 6,6270 455,9 7,130 127 8,7941 154,7 = = => = 16,6056 173,9 17,1838 489,9 (1) Zeitschr, f. phys. Chem. IV, pag. 501. — 501 — « Rispetto al fenolo si vede, che a deboli concentrazioni il suo peso mo- lecolare è già assai vicino al teorico e che accenna a raggiungerlo a concen- trazione ancora minore. Questo non è quindi che un altro caso della solita anomalia propria della funzione fenolica. Ma quando nello stesso idrocarburo il prof. Paternò discioglie una sostanza la quale non ne differisce che per un ossidrile, qual è il fenolbenzilato od ossidifenilmetano, realizzando così il caso di una di quelle soluzioni rispetto alle quali specialmente fu enunciata da me e da Montanari la regola in questione, si ha realmente nel comporta- mento crioscopico un’ anomalia assai spiccata, ben diversa nelle cause e negli effetti da quella propria in genere ai fenoli. « Rispetto alla ragione di questo comportamento affatto anomalo, la supposizione più logica a farsi è quella, che in questo caso avvenga nel con- gelamento della soluzione una parziale separazione del corpo sciolto con il solvente. Ciò del resto, come è noto, si potè provare sperimentalmente nel caso della soluzione di #-naftolo in naftalina, la quale, per le relazioni di costituzione chimica che intercedono fra solvente e corpo sciolto, è perfetta- mente paragonabile a quella dell’ossidifenilmetano in difenilmetano. « La nuova conferma che il prof. Paternò si aspettava alla regola espressa da me e da Montanari, risulta quindi pienamente da queste esperienze; e di più non si può dire che pel fenolbenzilato in difenilmetano l'allontanamento dal caso normale sia maggiore che per qualunque altro fenolo in qualsiasi altro dei solventi studiati, dacchè il -naftolo è tanto anormale sciolto in naftalina, che ne innalza addirittura il punto di fusione. « Riassumendo adunque, il prof. Paternò, sebbene abbia trovato una eccezione nel comportamento del para-xilenolo alla regola che fu espressa nel lavoro mio e del Montanari, ha portato altresì ad essa una notevole con- ferma colla anomalia tipica dell’ossidifenilmetano in difenilmetano. « Rispetto poi alle soluzioni degli acidi ossibenzoici nell’acido benzoico e a quelle di pirocatechina e di resorcina nel fenolo si sa già in precedenza, che l'anomalia da esse presentata nel congelamento non può avere nulla di comune con quella prodotta dal formarsi di molecole complesse. Ciò perchè, come si disse più sopra, è ben noto, che i corpi idrossilati, nonchè gli acidi riprendono il comportamento crioscopico normale quando sono disciolti in fe- noli od in acidi. Che poi invece l'anomalia abbia il carattere di quelle cau- sate dalla separazione del corpo sciolto col solvente, risulta dalle esperienze stesse. Di fatto la teoria di van't Hoff dimostra, che per esse si deve veri- ficare una certa costanza nella irregolarità dei pesi molecolari a diverse con- centrazioni; ed a questa condizione importantissima soddisfano anche, come riconosce lo stesso prof. Paternò, le soluzioni intorno alle quali egli discute. « Con queste premesse non so darmi ragione di quanto obbietta il prof. Pa- ternò a proposito degli acidi ossibenzoici. Egli dice: « ognuno di essi pre- senta una speciale anomalia senza che si abbia il fenomeno caratteristico — 502 — nei composti ossidrilici del rapido decrescimento della depressione molecolare col crescere della concentrazione », mentre è appunto il fatto della relativa costanza della depressione molecolare a diverse concentrazioni quello che dà, alla speciale anomalia degli acidi ossibenzoici, il carattere proprio ed esclu- sivo di quelle dovute a formazione di soluzione solida. i « Sembra infine, che il prof. Paternò non ritenga come sufficientemente provata l'anomalia della resorcina e della pirocatechina disciolte nel fenolo, pel fatto che i valori ottenuti per i pesi molecolari non sono molto lontani da quello teorico, facendo egli osservare, che essi restano compresi rispetti- vamente fra i numeri 129-188 e 132-142. Ma per esser certi di anomalie dovute a formazione di soluzione solida, non è necessario che esse siano molto spiccate; la condizione essenziale è che l'irregolarità nel comportamento crio- scopico si mantenga anche in soluzioni molto diluite. Ora quando una deter- minata soluzione anche alla concentrazione del 4 p. cento, persiste a fornire pel corpo sciolto un peso molecolare superiore di 20 unità a quello calcolato (come è il caso dei due biossibenzoli in soluzione fenolica) non è dato di affermare che la soluzione esaminata abbia comportamento crioscopico normale. « La teoria di van't Hoff delle soluzioni solide afferma del resto chia- ramente, che le differenze più o meno rilevanti, che si riscontrano fra i dati teorici e quelli sperimentali dipendono dalla proporzione maggiore o minore di sostanza sciolta, che cristallizza assieme al solvente. Ora la facoltà dei corpi di sciogliersi allo stato solido sembra essere assai diversa nei singoli casi, ed appare essere in relazione con l'analogia più o meno grande di forma cristallina dei corpi che fungono rispettivamente da solvente e da corpo sciolto, con la differenza dei loro punti di fusione e con altre proprietà e cause in- torno alle quali non si può per ora precisare nulla. Sopra queste circostanze ho già richiamato l’attenzione nella mia Memoria già citata che ho pubblicato nel 1893. In essa, a pag. 373, è detto: « le numerose anomalie che ho po- tuto realizzare sperimentando il comportamento crioscopico di molti corpi in solventi analoghi ad essi per costituzione chimica, si esplicano però in mi- sura molto diversa ». « Tenendo conto delle proprietà suaccennate, sarà forse facile compren- dere altresì perchè l’ossidifenilmetano sia maggiormente anormale del fenolo in benzolo e dell’e-naftolo in naftalina. « Per ultimo siccome il prof. Paternò a maggior conferma della sua tesi cita le nuove esperienze eseguite col bromoformio da Ampola e Manuelli dalle quali, egli dice, risulta che « il fenolo ed il timolo sciolti in bromoformio si comportano in modo del tutto corrispondente che nella benzina e nel paraxilene ». è mio debito, per esser coerente a quanto dissi più sopra, far notare che questa espressione non può essere esatta. Dacchè, secondo me, i risultati del prof. Pa- ternò dimostrano che il comportamento del fenol in paraxilene è ben diverso da quello del fenolo in benzina: ora dunque, se il comportamento del fe- — 503 — nolo in bromoformio è corrispondente (come è presumibile ed è naturale) a quello del fenolo in paraxilene, non può essere in pari tempo analogo a quello del fenolo in benzolo. Le esperienze di Ampola e Manuelli, contenute nella nota pubblicata in seguito (!), mi confermano nella mia opinione. Il calcolo dei pesi molecolari, ch'io ho eseguito in base alle prime determinazioni di Ampola e Manuelli adottando la costante 144, conducono pel fenolo in bro- moformio ai seguenti numeri: Fenolo in bromoformio, m= 94. concentrazione peso molecolare 0,1937 102 0,6016 112 1,1596 124 2,0698 146, dai quali non mi sembra giustificato asserire, come fanno i sigg. Ampola e Manuelli, che: « rispetto al fenolo l’analogia del bromoformio con la benzina ed il paraxilene non potrebbe essere più completa ». « Quanto poi al fatto che il cloroformio in bromoformio è normale, os- servo come tra i corpi della serie alifatica a catena aperta io non abbia ancor potuto constatare nessun caso di formazione di soluzione solida: ma d'altra parte avendo io trovato come risulta dalle mie esperienze, che tanto il bromobenzolo quanto il clorobenzolo sono normali in benzina (?), non v'ha nulla di sorprendente che anche il cloroformio nel bromoformio abbia comportamento crioscopico normale ». (1) Questi Rendiconti, vol. IV (1° sem.), pag. 384. (2) Gazz. chimica, 1893, vol. XXIII, parte II°, pag. 371. odor INDICE DEL VOLUME IV, SERIE 5. — RENDICONTI 1895 — 1° SEMESTRE. INDICE PER AUTORI A AGAMENNONE. — V. Bonetti. Ampocra e MANUELLI. « Il bromoformio in crioscopia ». 310; 382. AnpReocci. Invia per esame la sua Memo- ria: « Sui quattro acidi santonosi ». 226. Relazione che ne approva la stam- pa. 310. — « Sulla struttura degli acidi santonosi ». 68. : — «Sugli acidi Di-santonosi ». 164. — «Sulla trasformazione dell’acido desmo- tropo-santonoso nell’ acido levo-santo- noso n. 259. « Sulla Octa-idro-para-dimetil-etil-nafta- lina ». 403; 431. — V. Cannizzaro. AngeLI e Rimini. « Sopra alcuni bromo- derivati della serie della canfora ». 390. AscoL1. « Sul magnetismo dei cilindri di ferro ». 309; 341. B BeLTRAMI. « Sui potenziali termodina- mici ». 473. Besso. « Di una formola relativa all’inte- grale ellittico completo di prima specie, contenuta in una precedente Nota, e di altre a quella affini ». 202; 229. RenpIcoONTI. 1895, Vor. IV, 1° Sem. BrancHI. « Il metodo di Riemann esteso alla integrazione della equazione 8 da,,d%2...dxn ; : — « Sulla estensione del metodo di Rie- mann alle equazioni lineari alle deri- vate parziali d'ordine superiore ». 89; 133. BLASERNA (Segretario). Dà conto della cor- rispondenza relativa al cambio degli Atti. 48; 130; 227; 812; 469. — Presenta le pubblicazioni inviate dai Soci: Celoria. 406; Fergola. 130; Ge- genbaur. 312; von Helmholtz. 48; 312; Kihne. 312; Millosevich. 227; Nobile. 48; Pincherle. 130; 312; Righi 48; Taramelli. 130; Thomsen. 312; Vir- chow. 130; Zeuner. 227. — Id. dai signori: Barone. 312; Berlese. 227; Carega di Muricce. 130; De Mar- chi, Fouqué. 400; Martorelli. 227; Peano. 312; Traverso. 130. — Presenta una pubblicazione della Sta- tistica generale. 139; id. le pubblica- zioni dell’Osservatorio di Bonn. 227. — Comunica l’elenco dei lavori presentati al concorso al premio Reale per la /- sica,e al premio Carpi per la Chimica fisica, pel 1894. 46. — « Sul problema ottico degli anfiteatri ». 271. 67 — 506 — BLASERNA (Segretario) « Sulla teoria cine- tica dei gas ». 315. BoneTTI e AGAMENNONE. « Calcolo della posizione dell’ipocentro, del tempo al- l'origine e della velocità di propaga- zione dei terremoti ». 38. — «Sulla velocità superficiale di propa- gazione dei terremoti ». 62. BrIoscHI (Presidente). Presenta un piego suggellato del sig. Viveros. 469. — Dà annuncio della morte dei Soci stra- nieri:Zchebichef Pafnutij.45; Cayley. 226; Schlafli. 310; Dwigt Dana e Ludwig. 403; Neumann. 469. — « Notizie sulle vita e sulle opere del Socio straniero A. Cayley ». 177. — « Cenno necrologico del Socio straniero Jlx Schlafli ». 310. — « Sopra una trasformazione delle forme binarie e degli integrali corrispon- denti ». 363. BruGnATELLI. « Osservazioni sulle serpen- tine del Rio dei Gavi e di Zebedassi (Appennino Pavese) ». 121. C Cannizzaro. Presenta per esame una Me- moria del dott. Andreocci. 226. — Ri- ferisce sulla precedente Memoria. 310. Derto e AnprEOoccI. « Sulla costituzione del Dimetilnaftol proveniente dagli acidi santonosi ». 287. Cantone. « Sulle aree d’isteresi elastica ». 425; 437. — «Studio della proprietà elastica dei corpi fondato sull’uso contemporaneo dei metodi statico e dinamico ». 446; 488. CayLev. Annuncio della sua morte. 226. — Sua necrologia. 177. CerRUTI. Presenta per esame, una Memo- ria del sig. Nicoli. 45. — « Sopra una proprietà degli integrali di un problema di meccanica che sono lineari rispetto alle componenti della velocità ». 283. CueLussi. « Di due roccie a glaucofane del- l’isola del Giglio ». 466. CLerici. « Per la storia del sistema vul- canico Vulsinico ». 219. Cocci. « Alcuni fatti che riguardano la cresta neurale nel capo dei Selaci ». 226; 265. CuratoLo. -- V. Oddo. D Dana. Annuncio della sua morte. 403. De Toni. « Terzo pugillo di alghe tripoli- tane ». 403; 451. D’Ovipio. « Commemorazione del Socio Battaglini ». 469. DutTo e Lo Monaco. « Alcune ricerche sul metabolismo nei cani privati delle ti- roidi n. 458. F Fano. « Sopra alcune considerazioni geo- metriche che si collegano alla teoria delle equazioni differenziali lineari ». 18. — « Sopra certe curve razionali di uno spazio qualunque, e sopra certe equa- zioni differenziali lineari, che com que- ste curve si possono rappresentare ». 51. — « Sulle superficie algebriche con infinite trasformazioni projettive in sè stesse ». 106; 149. — « Sulle equazioni differenziali lineari del 4° ordine, che definiscono curve con- tenute in superficie algebriche ». 202; 232. — « Ancora sulle equazioni differenziali lineari del 4° ordine, che definiscono curve contenute in superficie algebri- che n. 269; 292. — « Sulle equazioni differenziali di ordine qualunque che definiscono curve con- tenute in superficie algebriche ». 269; 322. Favero. «Sul moto permanente. d’un gas perfetto in un tubo, e del suo efflusso ». 871. Fissi. « Sulle superficie che, da un doppio sistema di traiettorie isogonali sotto un angolo costante delle linee di curva- — 1007 — tura, sono divise in parallelogrammi infinitesimi equivalenti ». 371; 413. FoLGHERAITER. « L’induzione terrestre ed il magnetismo delle roccie vulcani- che ». 203. G GaRELLI. « Sopra alcune nuove eccezioni alla legge del congelamento ». 446. — « Sul comportamento crioscopico di so- stanze aventi costituzione simile a quel- la del solvente ». 496. GraBLOvITZ. « Sui terremoti giapponesi del 22 marzo 1894 ». 309; 376. Grassi-CrIstALDI e LAMBARDI. « Azione del cloroformio e della potassa sulle diammine. — Nuova sintesi della benzo- gliossalina ». 169. GuaLIiELMO. « Intorno ad alcune modifica- zioni dell’areometro di Fahrenheit, e ad una nuova forma di bilancia ». 38; UUo H HeLB1ie D. « Ossidazione della tetra-cloro- naftalina ». 166. J JauBERT. « Sulla fenolnaftaleina ». 392. L Lamsarpi. — V. Grassi-Cristalda. Levi-Crvita. « Di una nuova espressione analitica atta a rappresentare il nu- mero dei numeri primi compresi in un determinato intervallo ». 269; 303. Longo. — V. Miolati. Lovisato. « Sopra alcuni minerali di Su Poru fra Tonni e Correboi in Sarde- gna ». 45; 111. — « La tormalina della zona arcaica di Ca- prera ». 84. Luciani. Commemorazione del Socio stra- niero C. Ludwig. 403. Lupwrc. Annuncio della sua morte, e sua necrologia. 403. M Maysorana. « Formazioni della cuprite nel- l’elettrolisi del solfato di rame ». 346; 371. MALFATTI. « Silicospongie plioceniche «. 87; 116. Marino-Zuco. « Sulla Crisantemina ». 247. DETTO e VienoLo. « Sopra gli alcaloidi della Cannabis indicae della Can- nabis sativa». 258; 846. Mazzotto. « Sulla costante dielettrica di al- cune sostanze e particolarmente del vetro ». 157; 240. MirLosevicA. « Sull’identità delle comete 1841 I, e Ed. Swift 1894 ». 103. — « Elementi ellittici di (306) Unitas oscu- lanti in IV® opposizione ». 190. — « Osservazioni del pianeta (306) Unitas in IV* opposizione ». 370. MioLaTtI. « Sull’azione del cloridrato di idrossilammina sul gliossale ». 309; 387. ; Derto e Longo. « Sulla stabilità delle im- midi succiniche sostituite nell’azoto ». 310; 351. N NicoLETTI. « Su un sistema di equazioni a derivate parziali del 2° ordine ». 106; 197. — « Sull’estensione del metodo di Riemann alle equazioni lineari a derivate par- ziali d'ordine superiore ». 309; 330. NicoLs. Invia per esame una sua Memoria. 45. 0 Oppo. « Sulla massima temperatura di for- mazione e la temperatura di decompo- sizione di alcuni cloruri di diazocom- posti della serie aromatica ». 310; 395. Detto e CuratoLo. « Nuovo processo di sintesi degl’idrocarburi del gruppo del difenile. — Sul p- ed o-feniltolile ». 130; 211. Oppone. « Sulla durata delle registrazioni sismiche ». 309; 425. — 508 — OLiveri. « Sulla costituzione della nico- tina n.45; 124. I] P ParERNÒ. Fa parte della Commissione esa- minatrice della Memoria Andreocci. 310. — «Sul comportamento crioscopico di so- stanze aventi costituzione simile a quella del solvente ». 290; 318. PertTINELLI. « Sulla temperatura minima di luminosità «. 107. PincHERLE. « Sulle operazioni funzionali distributive ». 103; 142. Porro. Invia per esame una sua Memoria. 45. Procenzano. Invia una sua Memoria per esame. 469. R Reina. « L’attrazione locale nella specola geodetica di S. Pietro in Vincoli in Roma». 371; 420. Riccò. « Fotografie della grande nebulosa di Orione, eseguite da A. Riccò e da A. Mascari nel R. Osservatorio di Ca- tania ». 309; 337. RicHi. « Sul modo nel quale si producono le lunghe scintille alla superficie del- l’acqua ». 191. S Saccui. «I temporali in Italia ». 111; 157. ScuLAEFLI. Annuncio della sua morte e cenno necrologico. 310. SomieLiana. « Sopra gli invarianti ortogo- nali di deformazione ». 25. T TaccHini. « Protuberanze solari osservate al R. Osservatorio del Collegio Romano negli anni 1891-92-93-94 ». 3. — <« Macchie e facole solari osservate al R. Osservatorio del Collegio Romano negli anni 1891-92-93-94 n. 6. — « Sulla distribuzione in latitudine delle protuberanze solari osservate al R. Os- servatorio del Collegio Romano du- rante gli anni 1891-92-93-94 ». 100. — « Sulla distribuzione in latitudine delle facole, macchie ed eruzioni solari 0os- servate al R. Osservatorio del Colle- gio Romano negli anni 1891-92-93-94 ». 186. — Macchie, facole e protuberanze solari osservate nel 1° trimestre del 1895 al R. Osservatorio del Collegio Romano ». 290. — « Eclisse totale di Luna dell'11 marzo 1895». 292. — « Sulla distribuzione in latitudine dei fenomeni solari osservati al R. Osser- vatorio del Collegio Romano nel 1° tri- mestre del 1895 ». 369. TcHEBICHEF. Annnncio della sua morte. 45. TONELLI. « Una questione di priorità nella teoria della connessione ». 300. V VienoLo. « Sopra l’Ipnoacetina ». 269; 358. Visarti. « Sulle congruenze di grado 7 che si possono rappresentare sopra un pia- no». 33. —- » Sopra alcune congruenze di grado 7, dotate di una curva gobba singolare di ordine n. 38; 58. — «Sui complessi generati da due piani in corrispondenza birazionale recipro- ca n. 437; 480. Viveros. Invia un suo piego suggellato. 469. Z Zona. « Sopra l’orbita definitiva della Co- meta IV, 1890 ». 371; 409. — 509 — INDICE PER MATERIE A AnaTomIa. Alcuni fatti che riguardano la cresta neurale nel capo dei Selaci. A. Coggi. 226; 265. Astronomia. Sull' identità delle comete 1841, I, e Ed. Swift 1894. E. Millose- wich. 103. — Elementi ellittici di (506) Unitas oscu- lanti in IV® opposizione. /d. 190. — Osservazioni del pianeta (306) Unitas in IV® opposizione Id. 370. — Fotografie della grande nebulosa di Orione, eseguite da A. Riccò e da A. Mascari nel R. Osservatorio di Catania. A. Riccò. 309; 337. — Protuberanze solari osservate al R. Os- servatorio del Collegio Romano negli anni 1891-92-93-94. P. Tacchini. 3. — Macchie e facole solari osservate al R. Osservatorio del Collegio Romano ne- gli anni 1891-92-93-94. /d. 6. — Sulla distribuzione in latitudine delle protuberanze solari osservate al R. Os- servatorio del Collegio Romano durante gli anni 1891-92-93-94. Id. 100. — Sulla distribuzione in latitudine delle facole, macchie ed eruzioni solari os- servate al R. Osservatorio del Collegio Romano negli anni 1891-92-93-94. /d. 186. — Macchie, facole e protuberanze solari osservate nel 1° trimestre del 1895 al R. Osservatorio del Collegio Romano. Id. 290. — Eclisse totale di Luna dell’11 marzo 1895. Zd. 292. — Sulla distribuzione in latitudine dei fe- nomeni solari osservati al R. Osserva- rio del Collegio Romano nel 1° tri- mestre del 1895. /d. 369. AsTRONOMIA. Sopra l’orbita definitiva della Cometa IV, 1890. 7. Zona. 371; 409. B BoranIca. Terzo pugillo di alghe tripoli- tane. G. B. De Toni. 403; 451. C Cnimica. Sulla struttura degli acidi santo- nosi. A. Andreocci. 68. — Sugli acidi Di-santonosi. /d. 164. — Sulla trasformazione dell’acido desmo- tropo-santonoso nell’acido levo-santo- noso. /d. 259. — Sulla Octa-idro-para-dimetil-etil-nafta- lina. /d. 403; 431. — Sopra alcuni bromoderivati della serie della canfora. A. Angeli e E. Rimini. 390. — Sulla costituzione del Dimetilnaftol pro- veniente dagli acidi santonosi. S. Can- nizzaro e A. Andreoccì. 287. — Azione del cloroformio e della potassa sulle diammine. — Nuova sintesi della benzo-gliossalina. G. Grassi-Cristaldi e G.Lambardi. 169. — Ossidazione della tetra-cloro-naftalina. D. Helbig. 166. — Sulla fenolnaftaleina. G. Jaubert. 392. — Sulla Crisantemina. /. Marino-Zuco. 247. — Sopra gli alcaloidi della Cannabis indica e della Cannabis sa- tiva. Id. e G. Vignolo. 253; 346. — Sull’azione del cloridrato di idrossilam- mina sul gliossale. A. Miolati. 309; 387. — Sulla stabilità delle inmidi succiniche sostituite nell’azoto. Id. e E. Longo. 310; 351. — 510 — Caimica. Sulla massima temperatura di formazione e la temperatura di de- composizione di alcuni cloruri di dia- zocomposti della serie aromatica. G. Oddo. 310; 395. — Nuovo processo di sintesi degl’idrocar- buri del gruppo del difenile. — Sul p- ed o-feniltolile. /d. e A. Curatolo. 130; 211. — Sulla costituzione della nicotina. V. Ol:- veri. 45; 124. — Sul comportamento crioscopico di so- stanze aventi costituzione simile a quella del solvente. £. Paternò. 290; 318. — Sopra l'Ipnoacetina. G. Vignolo. 269; 358. Carmica Fisica. Il bromoformio in criosco- pia. G. Ampola e C. Manuelli. 310; 882. — Sopra alcune nuove eccezioni alla legge del congelamento. Y. Garelli. 446. — Sul comportamento crioscopico di so- stanze aventi costituzione simile a quel- la del solvente. /d. 496. Concorsi a premî. Elenco dei lavori presentati per concorrere al premio Reale per la Fisica, e al premio Carpi per la Chimica-fisica, pel 1894. 46. E ELemTRICITÀ. Sulla costante dielettrica di alcune sostanze e particolarmente del vetro. D. Mazzotto. 157; 240. F Fisica. Sul magnetismo dei cilindri di ferro. M. Ascoli. 309; 341. — Sulle aree d’isteresi elastica. I. Can- tone, 425; 437. — Studio della proprietà elastica dei corpi fondato sull’uso contemporaneo dei me- todi statico e dinamico. /d. 446. 488. — Intorno ad alcune modificazioni del- l’areometro di Fahrenheit, e ad una nuova forma di bilancia. G. Guglielmo. 38; 77. Fisica. Formazione della cuprite nell’e- lettrolisi del solfato di rame. L. Majo- rana. 346; 371. — Sulla temperatura minima di luminosità. P. Pettinelli. 107. — Sul modo nel quale si producono le lunghe scintille alla superficie del- l’acqua. A. Righi. 191. FisicaMaTEMATICA, Sul problema ottico degli anfiteatri. P. Blaserna. 271. — Sulla teoria cinetica dei gas. /d. 315. — Sopra gli invarianti ortogonali di de- formazione. C. Somigliana. 25. Fisica TERRESTRE. Calcolo della posizione dell’ipocentro, del tempo all'origine e della velocità di propagazione dei ter- remoti. M. Bonetti e G. Agamennone. 38. -— Sulla velocità superficiale di propaga- zione dei terremoti. /d. id. 62. — L’induzione terrestre ed il magnetismo delle roccie vulcaniche. G. Yolgherai- ter. 203. — Sui terremoti giapponesi del 22 marzo 1894. G. Grablovitz. 309; 376. —. Sulla durata delle registrazioni sismi- che. E. Oddone. 309; 425. FisroLogia. Alcune ricerche sul metaboli- smo nei cani privati delle tiroidi. Z. Dutto e D. Lo Monaco. 458. — Commemorazione del Socio straniero C. Ludwig. ZL. Zuciani. 403. G GropEsIa. L'attrazione locale nella specola geodetica di S. Pietro in Vincoli in Roma. V. Reina. 371; 420. GroLogia. Per la storia del sistema vulca- nico Vulsinico. E. Clerici. 219. M MareMATICA. Di una formola relativa al- l'integrale ellittico completo di prima specie, contenuta in una precedente Nota, e di altre a quella affini. D. Besso. 202; 229. — 5ll1 — MarEMATICA. Il metodo di Riemann esteso alla integrazione della equazione du da,da2.. dan sali; L. Bianchi. 8. — Sulla estensione del metodo di Riemann alle equazioni lineari alle derivate par- ziali d'ordine superiore. /d. 89; 133. — Notizie sulla vita e sulle opere del Socio straniero A. Cayley. F. Brioschi. 177. — Cenno necrologico del Socio straniero L. Schlafii. /d. 310. — Sopra una trasformazione delle forme binarie e degli integrali corrispondenti. Id. 363. — Sopra alcune considerazioni geometri- che che si collegano alla teoria delle equazioni differenziali lineari. G. Yano. 18. — Sopra certe curve razionali di uno spa- zio qualunque, e sopra certe equazioni differenziali lineari, che con queste curve si possono rappresentare. /d. 51. — Sulle superficie algebriche con infinite trasformazioni projettive in sè stesse. Id. 106; 149 — Sulle equazioni differenziali lineari del 4° ordine che definiscono curve conte- nute in superficie algebriche. /d. 202; 232. — Ancora sulle equazioni differenziali li- neari del 4° ordine, che definiscono curve contenute in superficie algebri- che. Id. 269; 292. — Sulle equazioni differenziali di ordine qualunque che definiscono curve conte- nute in superficie algebriche. /d. 269 ; 322. — Sulle superficie che, da un doppio si- stema di traiettorie isogonali sotto un angolo costante delle linee di curva- tura, sono divise in parallelogrammi infinitesimi equivalenti. C. Fibbi. 371; 413. — Di una nuova espressione analitica atta a rappresentare il numero dei numeri primi compresi in un determinato in- tervallo. 7. Levi-Civita. 269; 303. MATEMATICA. Su un sistema di equazioni a derivate parziali del 2° ordine. 0. Nico- letti. 106; 197. — Sull’estensione del metodo di Riemann alle equazioni lineari a derivate par- ziali d’ordine superiore. /d. 309 ; 330. — Sulle operazioni funzionali distributive. S. Pincherle. 103; 142. — Una questione di priorità nella teoria della connessione. A. Tonelli. 300. — Sulle congruenze di grado x che si pos- sono rappresentare sopra un piano. P. Visalli. 33. — Sopra alcune congruenze di grado %, dotate di una curva gobba singolare di ordine n. /d.38; 58. — Sui complessi generati da due piani in corrispondenza birazionale reciproca. Id. 437; 480. Meccanica. — Sopra una proprietà degli integrali di un problema di meccanica che sono lineari rispetto alle compo- nenti della velocità. V. Cerruti. 283. — Sul moto permanente d’un gas perfetto in un tubo, e del suo efflusso. G. 5. Favero. 371. MerroroLogiA. I temporali in Italia. I. Sacchi. 111; 157. MineraLoGIA. Di due roccie a glaucofane dell’isola del Giglio. /. Chelussi. 466. — Sopra alcuni minerali di Su Poru fra Tonni e Correboi in Sardegna. D. Lo- visato. 45; 111. — La tormalina della zona arcaica di Ca- prera. 84. N Necrologie. Annuncio della morte dei Socî Tchebichef. 45; Cayley. 226; Schlaàfli. 310; Dana, Ludwig. 403; Neumann. 469. P PaLEonTOLOGIA. Silicospongie plioceniche. P. Malfatti. 87; 116. PETROGRAFIA. Osservazioni sulle serpentine — 512 — del Rio dei Gavi e di Zebedassi (Appen- T nino Pavese). ZL. Brugnatelli. 121. Pieghi suggellati. Presentazione di un TERMODINAMICA. Sui potenziali termodina- piego suggellato del sig. Viveros. 469. mici. E. Beltrami. 473. ERRATA-CORRIGE A pag. 25 lin. 28 dopo simmetria agg. elastica » » 26 » 9 invece di ordine legg. grado » » » » 81 trasportare (2) alla lin. 34 È . 47 dr . » » » » 84 nelle formule invece di n legg. ori In 25 D) D) Ye > Ya » » » » 82 D) ” CEE RE] E) VARI » » » 85 ” D) (22 » (Lx A pag. 372 riga penultima invece di satura legg. acidata. — 445 — in quelle successive, con limiti di deformazione più estesi, le L'” risultano più vicine alle L che alle L'. Si vede pertanto come al crescere della pla- sticità della sostanza, per l’accresciuta ampiezza dei cicli, il comportamento del ferro si avvicina a quello caratteristico dell’ottone. E che ciò sia vero si argomenta anche dall'esame delle tabelle relative ai fili Fez ed Fe,, che dànno in generale valori di L” assai concordanti con quelli di L e quasi sempre compresi fra le L e le corrispondenti L'. « Presso a poco come questi ultimi si comportano i tre fili di nichel. « Il platino per forze contenute entro limiti ristretti accusa una legge di deformazione alquanto diversa da quella da noi ammessa, ma per valori di P, piuttosto grandi, analogamente a quanto si ha per il ferro, diminui- scono le divergenze fra i valori di L e di L’, ed al tempo stesso le L ed L' si avvicinano fra loro. «I fili di alluminio, rame ed argento presentano nell'attuale studio un comportamento quasi del tutto normale, solo è da notare che i valori di L' relativi ai cicli di maggiore estensione risultano per i fili di rame e per Al, un poco superiori a quelli che si hanno per le corrispondenti L ed L'. « Il complesso dei fatti esposti tende a mostrare che, se non si va a deformazioni assai grandi, la (4) resta verificata per i metalli la cui plasti- cità è apprezzabile, e ciò porta implicitamente ad ammettere come in tal caso il sistema delle (1) e (2) possa servire a rappresentare la legge di de- formazione del corpo al variare della forza nei processi ciclici senza bisogno di ricorrere ad uno sviluppo in serie per la espressione di ©, giacchè solo quando ci si arresti al primo termine di questo sviluppo risulta A, sen 7 = wo. « Una deduzione si può trarre dalla (4) riportandoci allo studio delle . proprietà elastiche col metodo dinamico. Si è constatato nel lavoro sull’at- trito interno dei metalli che in un filo oscillante, la diminuzione di energia potenziale per il decremento di ampiezza 4 @ all’intorno della deformazione corrispondente al momento M,, è presso a poco uguale all'area d’isteresi del ciclo bilaterale fra i momenti estremi M, e — M;, onde si può porre: bi=MIA 0; ma per la (4) L=aMw sicchè avremo: Aa=t %wg; cioè il rapporto fra il decremento di ampiezza del filo oscillante e la defor- mazione permanente del ciclo statico che gli corrisponde è costante ed uguale a 7 ». RenpICONTI. 1895, Vor. IV, 1° Sem. 59 — 446 — Fisica. — Studio della proprietà elastica dei corpi fondato sull'uso contemporaneo dei metodi statico e dinamico. Nota del dott. M. CANTONE, presentata dal Socio BLASERNA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Chimica. — Sopra alcune nuove eccezioni alla legge del con- gelamento (!). Nota di FeLIc® GARELLI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. « Pubblico in questa Nota i risultati di alcune determinazioni criosco- piche, che costituiscono un nuovo contributo sperimentale portato alla ri- cerca delle relazioni esistenti fra la costituzione chimica dei corpi e la loro capacità a formare soluzioni solide. Il tempo limitatissimo e le difficoltà incontrate nella preparazione del necessario materiale sperimentale, non mi hanno permesso di dare, come avrei voluto, una maggiore estensione alle mie ricerche. Le poche esperienze, che formano l'argomento di questa Nota hanno tuttavia un certo interesse, perchè servono di conferma alle vedute e previ- sioni già formulate in un lavoro precedente (°). «In questo ho dimostrato che gli acidi carbopirrolico e tiofencarbonico nonchè gli acetilpirroli e l’acetotienone, disciolti rispettivamente nell’acido benzoico e nell’acetofenone presentavano lo stesso caratteristico comportamento crioscopico anormale osservato per le soluzioni benzoliche di pirrolo e di tiofene. « Ciò indusse a formulare, come probabile, la seguente tesi: 20 compor- tamento crioscopico anormale che si osserva fra due corpi ciclici capaci di formare tra di loro soluzioni solide, continua a sussistere per quei deri- vati di essi, che rispettivamente si corrispondono (3). « Paternò e Montemartini con un loro recente lavoro (‘) avendo acquistato alla crioscopia un nuovo ed assai utile solvente, il paraxilene, mi hanno dato occasione di verificare, se la legge sovraenunciata trovava una nuova con- (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di chimica generale della R. Università di Bologna. (2) Gazz. chim. ital. 1894, parte II°, pag. 229. (3) Credo necessario far notare 2 proposito di questa e di altre simili regole, che esse non possono nè devono essere intese come leggi generali, ma semplicemente quale espressione riassuntiva dei fatti finora osservati. La facoltà di due sostanze di formare delle soluzioni solide, che sembra determinare il comportamento crioscopico anormale da me in tali casi osservato, è evidentemente una proprietà costitutiva che dipende pro- babilmente nello stesso mudo dalla costituzione chimica dei corpi organici, come le rela- zioni di isomorfismo e di morfotropia. Perciò è da prevedersi che ci saranno molte ecce- zioni a tali regole, come già io stesso ho potuto in alcuni casì constatare. (4) Gazz. chimica ital. 1894, parte II2, pag. 197. sti e E cca TTT RIEISSCSSESNIT STI ARI SLA — ferma relativamente agli omologhi corrispondentisi del benzolo, del pirrolo e del tiofene. Già questi autori hanno trovato, che il pirrolo ed il tiofene sciolti nel paraxilene danno abbassamenti del punto di congelamento normali, ed essi pure notano che tale fatto è pienamente in accordo con le norme de- dotte dalle esperienze mie e di altri. « Nel medesimo solvente era invece da aspettarsi secondo la regola sum- mentovata, un comportamento crioscopico anormale per l’aa-dimetilpirrolo e l’aa-dimetiltiofene. Ho preparato sinteticamente questi corpi partendo dal- l’acetonilacetone e seguendo in tutto le prescrizioni date da Paal (1): « Il paraxilene della fabbrica Kahlbaum venne distillato dapprima fra- zionatamente sul sodio metallico e poscia sottoposto ad una cristallizzazione frazionata. Il prodotto così purificato fondeva a 139,67. « Per controllarne ulteriormente la purezza ho eseguite alcune determi- nazioni crioscopiche sciogliendovi qualcuna delle sostanze già studiate da Paternò e Montemartini. Ho scelto fra esse la naftalina, il pirrolo e la pi- peridina; e queste due ultime anche nell’ intento di confermare con nuove misure il loro comportamento normale e porlo di confronto con quello pre- sentato invece dal dimetilpirrolo e dal dimetiltiofene. « Per calcolare i pesi molecolari ho adottato come costante del para- rilene il numero 48 proposto dal prof. Paternò, ed il quale assai bene si accorda con la teoria. Naftatina, Cry Hg = 128 abbassamento peso concentrazione termometrico molecolare ‘1,8750 0°,68 TILT 2,951 USI 120 Pirrolo, C, Hz; N = 67 0,9208 0,590 67,1 1,6246 0,995 70,2 2,775 1,630 73,2 4,601 2,500 (9 6,957 3,460 86,0 Piperidina CH N =85 0,5192 0,255 387,5 1,5306 0,750 87,8 2,5933 1,265 88,1 4,3046 2,070 89,4 0,5635 0,235 38 1,3216 0,650 37 (!) Berichte, XVIII, 2254. — VB aa-Dimetilpirrolo, COHoN=95 0,7515 0,30 107,7 1,5418 0,65 102,0 2,4470 1,01 104,1 3,9072 1,18 120,5 6,2004 2,20 PL O: aa-Dimetiltiofene, CK H,S=112 0,6296 0,21 129 1,9382 0,48 124 2,4943 0,385 126,2 3,3605 1,13 128 6,0498 1,99 131 8,2609 2,69 132 « Questi risultati confermano in modo soddisfacente la previsione fatta. È ben vero, che l'anomalia del dimetilpirrolo ed anche se si vuole, quella del dimetiltiofene sono poco spiccate. Ma d'altra parte, l'andamento carat- teristico del fenomeno alle diverse concentrazioni, quasi sempre osservato in casi simili, non lascia dubbio sulla causa che produce questo comporta- mento crioscopico anormale. « L'anomalia risalta maggiormente se si confrontano i pesi molecolari del dimetilpirrolo con quelli forniti dal pirrolo sciolto nello stesso idrocarburo. « Una ulteriore conferma della regola summentovata l'ho realizzata de- terminando il punto di congelamento delle soluzioni di e@-dzzienile in di- fenile. Nella precedente memoria pubblicata con Montanari avevo già detto, che mentre il comportamento crioscopico perfettamente normale dei due ditienili in soluzione benzolica rilevato da Auwers era naturalissimo, pre- vedevo invece che essi avrebbero fornito abbassamenti più piccoli dei teorici se disciolti nel difenile. Ora lo stesso Auwers in un successivo lavoro (2) prendendo nota delle mie previsioni, esprimeva il desiderio di vederle con- fermate con l’esperienza. « Io ho scelto per le mie esperienze l’aa-dif/enile, come più facilmente accessibile, preparandolo dal tiofene per trattamento con acido solforico al- quanto fumante, secondo le prescrizioni di Tohl (8). « Questo composto, purificato per cristallizzazione dall'alcool acquoso: fondeva a 33°. (1) Essendomi mancato il materiale non ho potuto, come sarebbe stato mio desiderio ripetere queste due ultime determinazioni. (*) Zeitschr. fir phys. Chemie, XV, pag. 50. (8) Berichte, XXVII, 665. — 449 — « Disciolto in difenile fornì i seguenti numeri: aa-Ditienile in difenile abbassamento sioiare concentrazione termometrico (costante=80) 0,928 00,42 176,7 2,214 1,00 177,1 4,010 1,76 182,0 « Peso molecolare calcolato per Cs Hy Sa = 166. « L'anomalia benchè lieve anche in questo caso, non può esser dubbia; e risalta maggiormente se si confrontano i sovra notati numeri con quelli ottenuti da Auwers (!) per l’aa-ditienile in soluzione benzolica: concentrazione peso molecolare 1,98 164 . 3,025 161 9,64 163 6,835 165 8,15 166 « Si può dire ora, con quasi certezza, non solo che il #9-dztienile sciolto in difenile sarà esso pure anormale, ma altresì, che l'anomalia sarà molto più spiccata attesochè questo composto fonde a temperatura molto più elevata dell’isomero. « Da alcune esperienze rese note nel precedente lavoro già citato, par- rebbe che tanto l’isomeria di struttura, quanto quella geometrica non entrino per nulla ad influire sulla capacità delle sostanze di sciogliersi allo stato solido o di formare mescolanze isomorfe. « Di fatto l’apiolo è con l’isapiolo identico per funzione chimica e per costituzione: la sola differenza fra queste due sostanze sta nel diverso posto occupato dal doppio legame nel gruppo C H;": eppure i pesi molecolari for- niti dall’apiolo sciolto nell’isapiolo coincidono quasi con i teorici. Parimenti . le soluzioni di acido isocrotonico nell’acido crotonico seguono esattamente la legge generale del congelamento. l « Lo stesso fatto si ripete per le soluzioni di pirocatechina e di idro- chinone in resorcina. i « La resorcina, scelta come solvente, fu purificata accuratamente prima distillandola, poi cristallizzandola dall'alcool. Fondeva a 110°,1. Di essa il dott. Montanari determinò l'abbassamento molecolare costante, sciogliendovi delle sostanze a comportamento crioscopico presumibilmente normale: (1) Berichte XXVI, 1746. — 450 — Solvente: PResorcina. Benzammide, C, H, N = 105. concentrazione abbassamento abbassamento termometrico molecolare 0,8571 0°,464 65,5 Timolo, CioHia 0.= 150. 1,2507 0, 535 65,2 2,3538 0, 94 59,9 4,9929 1, 75 97,6 Apiolo, Co Ja 0, = 222. 1,1478 0, 34 65,7 2,0044 0, 60 66,4 3,9300 196) 64,9 Fenileumalina, C,, Hg 0, = 172. 1,2164 09,455 64,3 2,7656 1, 055 65,6 « Da queste misure la depressione molecolare costante della resorcina risulta presso a poco uguale a 65. Ora allo stesso numero all'incirca sì giunge impiegando come sostanze disciolte la pirocatechina e l'idrochinone. Pirocatechina, Cs Hg 0° = 110. « Fu purificata accuratamente cristallizzandola dal benzolo. Fondeva a 104-105°. 1,1548 09,70 66,7 2,3213 1,375 65,1 Idrochinone, Cs He 0. = 110. « Lo si purificò cristallizzandolo dall'acqua. Fondeva a 170°. Le sue soluzioni in resorcina col riscaldamento imbruniscono rapidamente. A questa parziale decomposizione sono forse da attribuirsi i valori, alquanto elevati, delle depressioni molecolari, che ho ottenuti : concentrazione abbassamento abbassamento termometrico molecolare TRO 09,745 69,6 2,3457 1, 48 69,4 «È senza dubbio notevole e fors'anche strano, che la pirocatechina la quale è anormale in fenolo, fornisca abbassamenti molecolari quasi teorici — dol — se viene disciolta in resorcina. Questo fatto prova la difficoltà di enunciare relativamente a questo fenomeno delle leggi generali: ma in pari tempo di- mostra nuovamente che la funzione chimica non influisce sul manifestarsi 0 meno di quelle speciali anomalie la causa delle quali va ricercata unicamente nella formazione di soluzioni solide ». Botanica. — Terzo pugillo di alghe tripolitane. Nota di G. B. De Toni, presentata a nome del Corrispondente ARCANGELI. « Colla presente Nota completo lo studio dei materiali tripolitani esistenti nel mio Erbario, non senza far cenno, come nei due precedenti pugilli (*), delle pubblicazioni riguardanti la ficologia mediterranea, apparse dopo la seconda mia Nota (1892) pubblicata quasi in pari tempo alla Memoria dell'egregio mio amico prof. A. Piccone, illustrante gli esemplari raccolti a Derna e Ben- gasi da G. Haimann e comunicatigli da R. Pirotta. « Quale appendice alla sua Phycologia Mediterranea il prof. Ardissone (*) pubblicò alcune notizie tendenti a raccogliere nuovi dati per la conoscenza della flora marina del Mediterraneo desunti, oltrechè da determinazioni proprie, dai lavori di Bornet (3), Debray (4), Gomont (*), J. Agardh (5) e da quelli già altrove da me (7) citati di Vinassa e Rodriguez. Ai lavori ora menzionati devonsi aggiungere le contribuzioni di Moebius (5) per l'isola di Malta, di Deckenbach (°) per il Mar Nero, di Schmitz (!°) per le Schisymenia del (1) Cfr. le due precedenti Note nei Rendiconti della Reale Accad. dei Lincei ser. 4°, vol. IV, fasc. 5 (1888), p. 240-250, e ser. 5%, vol. I, fasc. 4 (1892), p. 140-147. (2) F. Ardissone, Note alla Phycologia Mediterranea. Rendic. del R. Istituto Lom- bardo ser. 2%, vol. XXVI, fasc. XVII. Milano 1893. (8) E. Bornet, Zes Algues de P. K. A. Schousboe récoltées au Maroc et dans la Mediterranée. Mém. Soc. des sc. nat. et mathém. de Cherbourg tom. XXVIII, p. 165-876, pl. I-II. Paris 1892. (4) F. Debray, Liste des Algues marines et d'eau douce récoltées jusqu'à ce jour en Algérie. Bull. scient. de la Fr. et de la Belg. tom. XXV. Paris 1893. (5) M. Gomont, Monographie des Oscillarites. Ann. des sc. nat., Botan., 7° sér., tom. XV-XVI. Paris 1893. (6) J. Agardh, Analecta algologica. Lunds Univ. Arsskr. T. XXVII. Lunda 1892. (7) G. B. de Toni in Rendic. R. Accad. Linc. ser. 5%, vol. I, fasc. 4 (1892), p. 140-141. (8) M. Moebius, Enumeratio algarum ad insulam Maltam collectarum. Notarisia VII, 1892, p. 1436. (9) C. Deckenbach, Veber die Algen der Bucht von Balaclawa. Sitz. der Botan. Sect. der Naturf. Gesellsch. zu St. Petersburg vom 18 Mirz 1892. (10) F. Schmitz, Aleinere Beitrige sur Kenntniss der Florideen. La Nuova Notarisia (red. G. B. de Toni) ser. 5°, aprile 1894, p. 608-635. — 452 — Mediterraneo e di B. Schroeder (!) per le coste dell'Asia Minore; nè posso omettere la mia notizia (2) relativa all’ Acodes marginata (Rouss.) F. Schm., specie nuova per la Toscana raccolta dal sig. P. Dattari a Livorno. « Credo conveniente chiudere il terzo pugillo d’'alghe tripolitane col prospetto di tutte le specie finora indicate per quel tratto della costa africana, mettendole a confronto colle florule al giorno d'oggi conosciute del Marocco (fino a Tangeri), dell'Algeria, della Tunisia (isole Galita, Piana e dei Cani) e dell'Egitto fino ad Alessandria; per quest'ultima località mi tornò utile l'elenco dato alla luce dall’Areschoug (3), omesso nella bibliografia stam- pata nell'opera già ricordata dell’Ardissone. « Galliera Veneta 20 aprile 1895. FLORIDEAE. Chaetangiaceae. « 1. Scinaia furcellata (Turn.) Biv. in Zride (Palermo) 1822, cum icone; J. Ag. Sp. II, p. 422; Ardiss. Phyc. Medit.T, p. 269; Hauck, Meeresalgen, p. 61; De Toni e Levi, Y/. Alg. Ven. I, p. 101; UVlva furcellata Turn. « Tripoli, rejetta sulla spiaggia. Grelidiaceae. « 2. Wrangelia penicillata Ag. Sp. II, p. 138; J. Ag. Sp. II p. 708, Epicr. p. 623; Ardiss. Phyc. Medit. I, p. 312; Hauck, Meeresalgen p. 51; De Toni e Levi, //. Alg. Ven. I, p. 114. « Tripoli, rejetta sulla spiaggia. Gigartinaceae. «3. Gymnogongrus Griffithsiae (Turn.) Mart. 7/. Bras. I, p. 27; J. Ag. Sp. II, p. 316; Ardiss. Phyc. Medit. I, p. 176; Hauck, Meeresalgen p. 139; De Toni e Levi, 7. Alg. Ven. I p. 64; Fucus Griffithsiae Turn. Hist. Fu. Tab. 37. « Tripoli, in mezzo ad altre alghe. Rhodophyllidaceae. «4. Rissoélla verruculosa (Bert.) J. Ag. Sp. II, p. 241, Epicr. p. 289; (1) B. Schroeder, A/einasiatische Algen. La Nuova Notarisia (red. G. B. de Toni) ser. VI (1895). (£) G. B. de Toni, Di una Floridea nuova per la Toscana. Bull. Soc. botan. ital. (Adun. Firenze del 9 Dic. 1894). (8) F. E. Areschoug, Alger samlade vid Alexandria af framl. Dr. Hedenborg. Oefvers. af k. Vet.-Akad. Forhandl. 1870, n. 10, p. 929-939. = TT DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINORI ANNO CCXCII 1995 SElEui:b UEN MA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali ! Seduta del 6 Gennaio 1895. « Volume IV. — Fascicolo 1° 1° SEMESTRE ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUGCI 1395 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I. Uol 1892 si è iniziata la Serse quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei. Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1.I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- ] Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei - qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca demia; tuttavia se 1 Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essì sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messa a carico degli autori RENDICONTI — Gennaio 1895. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 6 gennaio 1895. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Tacchini. Protuberanze solari osservate al R. Osservatorio del Collegio Romano negli anni E9]-99-9 3-94 RR Rena Id. Macchie e facole solari orale al R, dna del cai Hiiguo negli anni 1891- O A I I le OM It du Bianchi. Il metodo di Riemann esteso alia integrazione della equazione : A Mu. » 1 2 se UN Fano. Sopra alcune considerazioni geometriche che si collegano alla teoria delle equazioni differenziali lineari (pres. dal Socio Cremona) |... . . N) Somigliana. Sopra gli invarianti ortogonali di deformazione (pres. dal Sie BU A) Visalli. Sulle congruenze di grado % che si possono rappresentare sopra un piano # dal Socio Cremona). . . ) : » Id. Sopra alcune congruenze ni filo n, dotate di una Curva 00 Halo di Oris, n ($) (PLS ; SR Ca PR TUE Guglielmo. Intorno ad alcune i dia di Fahrenheit, e ad una nuova forma di bilancia (*) (pres. dal Socio Blaserna). . . . ” Bonetti e Agamennone. Calcolo della posizione dell’ipocentro, del uno alle origine e ud volocità di propagazione dei terremoti (pres. dal Socio Tacchini) < L/././... Oliveri. Sulla costruzione della nicotina (*) (pres. dal Socio Paternò). . .. . . D) Lovisato. Sopra alcuni minerali di Su Porn fra Tonni e Correboi in Sardegna —- La as lina della zona arcaica di Caprera (È) (pres. dal Socio Struever) . 0.0...» MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Nicoli. Sull'efilusso dei gas, dei vapr»: e dei liquidi soprariscaldati sotto forti pressioni (pre- SCA SE A Nn Porro. Un'altra ipotesi sulla for ‘one della grandine (pres. dal Segretario). . . i: . » PERSONALE! ACCADEMICO Brioschi (Presidente). Annuncia la perdita fatta dall'Accademia nella persona del Socio stra- aio I Oro CA] IO] SS, 6° OI Ra E I A CONCORSI A PREMI Blaserna (Segretario). Comunica l’elenco dei lavori presentati per concorrere al premio reale di fisica, scaduto il 31 dicembre 1894, e al premio Carpi per la Chimica fisica pel 1898-94. » PRESENTAZIONE DI LIBRI Blaserna (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle inviate dai Corrispondenti Aghi e Nobile, e un'opera del defunto Socio straniero 7. von Helmholtz. » CORRISPONDENZA Blaserna (Segretario). Dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti... » BULLETTINO BIBLIOGRAFICO (*) Note che saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. 46 48 Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1° — Atti dell Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII tti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 22 MEMORIE dela Classe di serenze fistene matematiche e naturali 5? MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche » Vol SIVE ANGEL AVI DE Ve. Serie 3* — TransuntI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — II-XIX. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIIILR Serie 4* — RenpICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. i MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IV. (1895) 1° Sem. Fase. 1°. ReENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-III. (1894). — Fasc. 1°-10°. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. VIE CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume è per tutta l’Italia di L. 8@; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermnnno LorescHer & C.° — Roma, Torino e Firenze. Utrico Hoerui. — Milano, Pisa e Napoli. Ul A REALE ACCADEMIA DEI LINORI ANNO CCXCOII. 295 SPESESCEERSO, U N A RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 20 Gennaio 1895. Volume LIV. — Fascicolo 2° 1° SEMESTRE TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I Uol 1892 si è iniziata la Serze quenta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- ] Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volami formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3.L’Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei» qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus: sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro: priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata, della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 2) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’ invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4, A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5.L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è mersa a carico degli autori Pubblicazioni della R. Accademia del Lincei. Serie 13 — Atti dell Accadema pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo 1-XXIIi Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI 2% MEMORIE deha Classe di serenze fisiche, matematiche e naturali 32 MemoRrIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche VOLEEV VEN SVviev.EFt, Serie 3* — TRransUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — DII-XIX. MemorIE della Classe di scienze. morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — Renpiconti Vol. ]-VII (1884-91). MemorIE della Ciasse di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MeMmoRrIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5° — ReENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturale. Vol T-IV. (1895) 1° Sem. Fasc. 1°, 2°. ReNDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-II. (13894). — Fasc. 1°-12°. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Molsk CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R., Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume è per tutta lItalia di L. f®; per gli altri paesi Te spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti «editori-librai : Ermwnno Loescaer & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico Hoepi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Gennaio 1845. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 20 gennaio 1895. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Fano. Sopra certe curve razionali di uno spazio qualunque, e sopra certe equazioni differen- ziali lineari, che con queste curve si possono rappresentare (pres. dal Socio Cremorza). Pag. Visalli. Sopra alcune congruenze di srado 7, dotate di una curva Si singolare di ordine % (pres. dal Socio Cremona) . . . 9 Bonetti e Agamennone. Sulla velocità spet dn propagazione ‘dei CA ia dal SOcIONeAgGe AUT) SAMPRRNE ARS, RIT 0) Andreocci. Sulla struttura degli ate santo Si Dia. dal Si Coro SIBA Dato Guglielmo. Intorno ad alcune modificazioni dell’areometro di Fahrenheit, e ad una nuova forma di bilancia (pres. dal Socio Blaserna). . . RESTA SR N) Lovisato. La tormalina nella zona arcaica di Caprera (o DI si 10) SN Malfatti. Silicospongie plioceniche (#) (pres. dal Socio Capellini) . ./\/ 0/0 (*) Nota che sarà pubblicata in un prossimo fascicolo. ERRATA-CORRIGE A pag. 25 lin. 28 dopo simmetria agg. elastica » » 26 » 9 invece di ordine legg. grado » » » » 81 trasportare (2) alla lin. 54 ; . dr ip. » » » » 34 nelle formule invece di > lego. Tnt D' \y 29» 2 » b) Y » Ya? ) Mo D) 5) Saf ;) » » » 35 » » ( z » ( Ca ATI REALE ACCADEMIA DEI LINOFI ANNO CCXCII 895 E ene e et TO SSCAGOINNA PREC A RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 3 Febbraio 1895. Volume IV. — Fascicolo 2° 1° SEMESTRE _ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1895 ae enna — ito tnntonenic n ninzq rire muto NI RUVIVROI 4 ti vi) Di È ae ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE IL Col 1892 si è iniziata la Serze quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- ] Accademia, nonchè il bollettino Eprice Dodici fascicoli compongono un vo due volumi formano un'annata. 2. Le Note se denti non possono oltrepassare le 12 di change Nodi Soci, che ne assumono la responsabilità, mo portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei - qualora l’autore fe desideri un numero maggiore, il sovrappiù della 2° è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, Seno ‘stante, una Nota per iscritto. I 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro: priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 2) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5.L° Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è mersa a carico degli autori Pubblicazioni della PR. Accademia dei Lincei. Serie 12 — Atti dell Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIIK Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomc XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 92% MEMORIE dela Classe di serenze fisiche, matematiche e naturali 3a MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche VOLO ANZNAE VIAILIAGI0E Serie 32 — Transunti. Vol. I-VIII. (1876-34). MemorIE della Classe di science fisiche, matematiche e naturale. Voll g2) (0,2). — ISU MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpicontI Vol. I-VII. (1884-91). il MemorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VIL MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 52 — RenpicoNTI della Classe di science fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IV. (1895) 1° Sem. Fasc. 10-30. RenpICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-III. (1894). — Fase. 1°-12°. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume © per tutta Italia di L. 19; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Erwnnno Loescner & C.° — Roma, Torino e Firenze. Utrico Hoepi. — Milano, Pisa e Napolì. RENDICONTI — Febbraio 1895. ENDITCE Glasse di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 3 febbraio 1895. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI or- e e ae Tacchini. Sulla distribuzione in latitudine delle protuberanze solari osservate al R. Osserva- torio del Collegio Romano durante gli anni 1891-92-93-94 Pincherle. Sulle operazioni funzionali distributive (55 Tea Millosevich. Sull'identità delle comete 1844 I e Ed. Swift 1894. ORC Fano. Sulle superficie algebriche con infinite trasformazioni projettive in sè stesse (9 Ga sentata dal Socio Cremona) . SARE RE EA e ani Nicoletti. Su un sistema di equazioni a derivate parziali del 2° ordine (*) (pres. dal Soci Bianchi) DORIA 0A RO LI Pettinelli. Sulla temperatura minima di luminosità (pres. dal Socio Blaserna) Sacchi. I temporali in Italia (#) (pres. dal Socio Tacchini) . E Lovisato. Sopra alcuni minerali di Su Porn fra Fonni e Correboi in Sardegna (pres. dal Soci Struever) PI Malfatti. Silicospongie plioceniche (pres. dal Socio Capellini) O ni Brugnatelli. Osservazioni sulle serpentine del Rio dei Gavi e di Zebedassi (Appennino Pavese) (pres. dal Socio Struever) . È DIOR AME I Oliveri. Sulla costituzione della nicotina (pres. dal Socio Paternò) Oddo e Curatolo. Nuovo processo di sintesi degl’i a*feniltolile (*) (pres. Z4.) Bianchi. Sulla estensione del metodo di Riemann alle equazioni lineari alle derivate parziali d’ dine superiore » 79, 7 ‘= b) (0) ” » (0) ” b) . . n ci 6 bt) drocarburi del gruppo del difenile. — Sul p- ed . . . * n D . - . 5 . . % PRESENTAZIONE DI LIBRI Blaserna (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle inviate dai Socî Z'aramelli, Fergola, Pincherle, Virchow, dal sig. Traverso e dal marchese Ca- rega di Muricce Id. Presenta una pubblicazione della Direzione generale della Statistica CORRISPONDENZA Blaserna (Segretario). Dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti BULLETTINO BIBLIOGRAFICO (*) Note che saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Vi DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCI. 1895 SERE QUINTA: RENDICONTI Seduta del 17 Febbraio 1895. Volume IV. — Fascicolo 4° /# SEMESTRE ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 1895 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE IL Col 1892 si è iniziata la Serse quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distint per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti è:Va Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1.I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- 1 Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 4 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. Il 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci 0 da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 2) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. È, 5.L’ Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è mersa a carico degli autori Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell'Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2% MEMORIE delra Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3? MEMORIE della Classe di scienze morale, storiche e filologiche Vol. IV. V. VI. VII. VIII. Serie 3° — TransuntI. Vol. I-VIII. (1876-34). MemorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturale. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. Serie 4* — RenpICONTI Vol. I-VII. (1884-91). K MemoRIE della Classe di scienze fisiche, mutematiche e naturali. Vol. I-VII. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IV. (1895) 1° Sem. Fasc. 1°-4°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-II. (1894). — Fasc. 1°-12°, MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume è per tutta l’Italia di L. £@; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermnnno Lorscuarr & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico HorpLi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Febbraio 1895. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 17 febbraio 1895. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Bianchi. Sulla estensione del metodo di Riemann alle equazioni lineari a derivate parziali d’or- dine superiore . + . E A N e A LIEGI: Pincherle. Sulle operazioni ii distributive AR : D) Fano. Sulle superficie algebriche con infinite riti praistiive in - ia me sentata dal Socio Cremona). . . » Mazzotto. Sulla costante dielettrica di aloni a e i del (ni © (er di Socio Blaserna) . . E O ISO LORIA ARCORE RT Sacchi. I temporali in Italia i dal Socio 0) MR I Andreocci. Sugli acidi Di-santonosi (pres. dal Socio Cannizzaro). . \.. Helbig. Ossidazione della tetra-cloro-naftalina (pres. Id.) . . . . Fs) Grassi-Cristaldi e Lambardi. Azione del cloroformio e della potassa sullo da Na sintesi della‘ benzo-slossalina; Rs (*) Nota che sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. DELLA ANNO CGXCGI. di3S5 ot QQ, UN: A RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 3 Marzo 1895. Volume IV. — Fascicolo 5° 1 SEMESTRE ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1895 REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I Col 1892 si è iniziata la Serze quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1.1 Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- 1 Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12. pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, è 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell'Agca: demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra: ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5.L’Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50. se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messa a carico degli autori Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 13 — Atti dell Accademia pontificia dei Nuovi Lincer. Tomo 1-XXIII Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 22 MEMORIE delia Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 9 MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. IV. V. VI. VII. VII. Serie 3* — Transunti. Vol. I-VIII. (1876-34). Memorie della Classe di science fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — HIFXIX. Memorie della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpiconTi Vol. I-VII. (1884-91). MramorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VIL MemorIE della Classe. di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5° — RenpicoNTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IV. (1895) 1° Sem. Fase. 1°-5°. ReNDICONTI della Glasse di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-III. (1894). — Fasc. 1°-12°. Memorie della Classe di scienze morali, storiche © filologiche. Voksal CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI | DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogm volume è per tutta Italia di L. £9; per gli altri. paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermnnvo Loescner & C.° — Roma, Torino e Firenze. Urrico HoreLi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Marzo 1895. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 3 marzo 1895. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Brioschi. Notizie sulla vita e sulle opere del Socio straniero Arturo Cayley . . AUbapi Tacchini. Sulla distribuzione in latitudine delle facole, macchie ed eruzioni solari osservate al R. Osservatorio del Collegio Romano negli anni 1891-92-93-94 . 0...» Millosevich. Elementi ellittici di (306) Unitas osculanti in IV® opposizione . . . . . » Righi. Sul modo nel quale si producono le lunghe scintille alla superficie dell’acqua . . » Niccoletti. Su un sistema di equazioni a derivate parziali del 2° ordine a. dal Socio BARI FIAT ; IR a ” Besso. Di una formola india all integtali ellittico o di prima specie, contato in una precedente Nota, e di altre a quella affini (*) (pres. dal Socio Beltrami) . . Fano. Sulle equazioni differenziali lineari del 4° ordine, che definiscono curve contenute în superficie algebriche (*) (pres. dal Socio Cremona) ... . .. . De ea) Folgheraiter. L’induzione terrestre ed il magnetismo delle roccie Cra i dal Socio Blaserna . . . » Oddo e Curatolo. Nigel processo i siibehà deotileocarburi di gruppo dai difenile — ‘Sal P- ed o-feniltolile (pres. dal Socio Paternò) . QAR DI Clerici. Per la storia del sistema vulcanico Vulsinio (pres. dal Si 0 ARRIOTA) Coggi. Alcuni fatti che riguardano la cresta neurale nel capo dei Selaci (*) (pres. a nome del Corrispondente Her). «a. RM NE SO] MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Andreocci. Sui quattro acidi santonosi (pres. dal Socio Cannizzaro) . PERSONALE ACCADEMICO Brioschi (Presidente). Annuncia la perdita fatta dall'Accademia nella persona del Socio stra- Iiero A: ‘Cayley (2000... 0 PRESENTAZIONE DI LIBRI Blaserna (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle inviate dal Corrispondente J/22Iosevich, dal Socio straniero Zeuner, dai dottori Berlese e Martorelli e dall’Osservatorio di Bonn CORRISPONDENZA Blaserna (Segretario). Dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. 0...» BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. ENI OM o SO (*) Note che saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. 186 190 È | | SES A SS DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCI. 1895 Î SERRE! QUEEN DA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 17 Marzo A1895. Volume IV. — Fascicolo 6° 1° SEMESTRE ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI — ———_1-.ff/{‘|i‘ihÈùD0D*/*/*)*S*)*Or’r*r.rr< 11n111|kL’rrr—-_—_—_—_T_ —_—P_r._—_—_mm ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I Col .1892 si è iniziata la Serce quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per î Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei» qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una. proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con ufi ringra- ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in:seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto, 5.L° Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è mersa a carico degli autori J È Ù È ) Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell Accademia pontificia der Nuovi Lincei. Tomo 1-XXIII Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. id di Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2* MEMORIE delta Classe di scienze fisiche, matematiche oi 3* MemoRIE della Classe di scienze moral storiche e filologiche Vol. IV. V. VI. VII. VIII. Serie 3* — Transunti. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di science fisiche, matematiche e naturali. Vol dito) id) TMEXDE MemoriE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII Serie 4* — RenpicontI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. = Mione a Classe di scienze morali, storiche e filologiche. ol. Ae Serie 5 — RenpicontI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IV. (1895) 1° Sem. Fasc. 1°-6°, RenpiconTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-II. (1894). — Fasc. 1°-12°. Vea le Classe di scienze morali, storiche e filologiche. ol T CONDIZIONI DI ASSOCIAZ IONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume è per tutta l’Italia di L. 19: per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti ‘editori-librai: ‘ Ermnnno Lorscner & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrIco Horrui. — Milano, Pisa e Napoli. dit RENDICONTI - Marzo 1895. LN°DI.CE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 17 marzo 1895. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Besso. Di una formola relativa all’integrale ellittico completo di prima specie, contenuta in una precedente Nota, e di altre a quella affini (pres. dal Socio Beltrami), . . . » Fano. Sulle equazioni differenziali lineari del 4° ordine, che definiscono curve contenute in superficie algebriche (pres. dal Socio Cremona) . . . o ” Mazzotto. Sulla costante dielettrica di alcune sostanze e ae Gel sele o cu Socios/A5211/0) MRI ì ; cl RI A ENO? Marino-Zuco. Sulla Crisantemina a dal So Mini: Ca SE ” Marino-Zuco e Vignolo. Sopra gli Alcaloidi della Cannabis ii e Hal Canas Neuve: (Gee 00) o 3 - ; ” Andreocci. Sulla trasformazione dell’ Pi di iotioho: no saacido lado sana (E a RAI Coggi. Alcuni fatti che io i Li ine Oa doi sa fore a nome del Corrispondente Emery) . . . . ° SUORE Fano. Ancora sulle equazioni differenziali lincati Da do I one iolonioi curve conte- nute in superficie algebriche. — Sulle equazioni differenziali Imeari di ordine qualunque, che definiscono curve contenute in superficie algebriche (*) (pres. dal Socio Cremona) » Levi-Civita. Di una nuova espressione analitica atta a rappresentare il numero dei numeri primi compresi in un determinato intervallo (*) (pres. dal Corrispondente Veronese) » Vignolo. Sopra l'Ipnoacetna}(0) (pres. [RR CR: (*) Note che saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. 229 232 SP RRI qu n A MA SR LA SI tinti itinerari cn pet Gp Sp IL LN LICIA Pill REALE ACCADEMIA DEI LINCHI ANNO CCXCI. 955 See ENTI A. RENDICONTI Classe di scienze fisiche. matematiche e naturali. Seduta del 7 Aprile 1895. Volume LV.° — Fascicolo 7° 1° SEMESTRE TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI | ROMA 1395 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I Col 1892 si è iniziata la Serre quirta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: (0 ar 1. I Re viconti della Classe di scienze fi- siche matemetiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono ‘oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a. suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel-seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. I. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- -priamente dette, sono senz’altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com: missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica. nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 9. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa d: un numero di copie in più che fosse richiesto, è mersa a carico degli autori PRESENTAZIONE DI LIBRI Blaserna (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle inviate dai. Soci Gegenbaur, von Helmholtz, Kiihne, Thomsen, Pincherle: e dai sigg. Peano e Barone. CORRISPONDENZA Blaserna (Segretario). Dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. e I TITIEFERQ;C°N ei zz... (#) + che saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomc XXIVXX. 1 Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2° MEMORIE delia’ Classe di serenze psiene motematiche e naturali 3° MamorIE della Classe di scienze morale, storiche e filologiche + Vol: INN. VEGSVIE VIIL Serie 3* — TransuntI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturale. Vol: (2) I (1, 2).SEHIEXIX: |. MEMORIE della Classe di scienze morali , Storiche e flologiche. Vol. I-XIII Serie 4* — RenpiconTI Vol. I-VII. (1884-91). MeMoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche © naturale. Vol. I-VII. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RenpICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IV. (1895) 1° Sem. Fasc. 10-70, ReNDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-IV. (1895). — Fasc. 1°. MemoRrIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. | | î Serie 1* — Atti dell Accademia pontificia der Nuovi Lincei. Porco I-YXIIMI Volk RENDICONTI — Aprile 1895. [SET INDICE Classe di scienze fisiclib, matematiche e naturali. Seduta del ? aprile 1895. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Blaserna. Sul problema ottico degli anfiteatri . . . ‘ Rap Cerruti. Sopra una proprietà degli integrali di un bl du meccanica ni sono lineari rispetto alle componenti della velocità , . Mt) Cannizzaro e Andreocci. Sulla costituzione de) Dimetilnafto] ‘Prov dagli dini san- LONOSIARINN te : A 0 Paternò. Sul comportamento uo ni Re ia cichiazidne simile a quella del solvente (*) . . . BERO ner) Tacchini. Macchie, facole e le solAti nto ne 1° rigetta vu 1895 al R. Os- servatorio del Collegio Romano . . REA RR RO RA N e I I a) Id. Eclisse totale di Luna dell’ 11 ‘Marzo 1898. BIOS i La Fano. Ancora sulle equazioni differenziali lineari del 4° Ladino se dati curve conte- nute in superficie algebriche (pres. dal Socio Cremona) . . + ROERR n) Tonelli. Una questione di priorità nella teoria della connessione Gres To ARI CRI CATO) Levi-Civita. Di una espressione analitica atta a rappresentare il numero dei numeri primi compresi in un determinato intervallo (pres. dal Corrispondente Veronese) , . . > Niccoletti. Sull’estensione del metodo di Riemann alle equazioni lineari a derivate parziali d'ordine superiore (*) (pres. dal Socio Bianchi) . . . ” Ricco. Fotografie della grande nebulosa di Orione, eseguite da i Riccò e n D Mac nel R. Osservatorio di Catania (*) (pres. dal Socio Tacchini) . . . . Feo) Ascoli. Sul magnetismo dei cilindri di ferro (*) (pres. dal Socio Blasiria); E SORA LO O) Grablovitz. Sui terremoti giapponesi del 22 marzo 1894 (*) (pres. dal Socio Zacchim) . » Oddone. Sulla durata delle registrazioni sismiche (@)(pres.s/d) o oo » Miolati. Sull’azione del cloridrato di idrossilammina sul gliossale (*) (pres. dal Socio Ual nizsaro) . |. peste) Miolati e Longo. Sulla stabilità delle ‘immidi cHvetztiche CA ella © (ue Id.) » Oddo. Sulla massima temperatura di formazione, e la temperatura di decomposizione di al- cuni cloruri di diazocomposti della serie aromatica (*) (Pres. dal Socio Paternò) . » Ampola e Manuelli. Il bromoformio in criosgopia (*) (pres. Id.) . /. 0.0.0...» RELAZIONI DI COMMISSIONI Cannizzaro (relatore) e Paternò. Relazione sylla Memoria del dott; Andreocci « Sui quattro acidi santonosioo Ce o: | Ve PERSONALE ACCADEMICO Brioschi (Presidente). Annuncia la perdita fatta dall'Accademia nella persona del Socio stra- niero L. Schlifli e legge un cenno necrologico del defunto accademico . . . . . » ». 3 (Segue in terza pagina) PI DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCI. isa sa ri, QUEEN 'E:AÀ RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 21 Aprile 1895. Volume IV. — Fascicolo 8° 1° SEMESTRE TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1895 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I Col 1892 si è iniziata la Serze quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rerdiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali'valgono le norme seguenti ; 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- ] Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono. oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei - qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. I 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com. missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 2) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un rimgra; ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. À chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. o. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50. se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è mersa a carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1% — Atti dell Accademia pontificia der Nuovi, Lincei. Tomo 1-XXIII. Aiti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serle 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2° MEMORIE delta Classe di serenze fisiche, matematiche e naturali 3? MEMORIE della Classe di scienze morala, storiche e filologiche Nole VV NMESNILOVIII. Serie 3 — Transunti. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturale. Vel (1, 2012). — IX MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4° — RenpIcoNTI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VIL MemoRrIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5% — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturale. Vol. I-IV. (1895) 1° Sem. Fasc, 1°-8°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. I-IV. (1895). — Fasc. 10-22, MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I. ————_— _r—m—————_—_—_——_——_——_—zm—11t111t_P_—-———_——_—————————————————————tt_ttm_ètè@etÈpimuq’ E pu»pouLxIE5: CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume è per tutta l'Italia di L. 1@; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermnnno Loescner & C.° — Roma, Torino e Firenze. Utrico Hoepri. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Aprile 1895. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 21 aprile 1895. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Blaserna. Sulla teoria cinetica dei gas. . . + AA gl ARO o Paternò. Sul comportamento crioscopico di nec ivo cone ‘nile a quella del solvente... . . RERCOIAE Gaio.) Fano. Sulle equazioni differenziali nei di ue ei chio a curve conte- nute in superficie algebriche (pres. dal Socio Cremona) Nigra 5 Niccoletti. Sull’estensione del metodo di Riemann alle equazioni lineari a 00, i d'ordine superiore (pres. dal Socio Bianchi) . . . . » Riccò. Fotografie della grande nebulosa di Orione e della minore i digita 12 dii) eseguite da A. Riccò e da A. Mascari nel R. Osservatorio di Catania (pres. dal Socio Tac PIERI A a e) Ascoli. Sul magnetismo di cilindri di o RI dal o 00 Or RT) Majorana. Formazione della cuprite nell’elettrolisi del solfato di rame (*) o dal Socio Bla- Serna), » Marino-Zuco e ia. Supra gli alcalottà dub Giaabis in dica e 0 co sativa (pres. dal Socio Cannizzaro) . . . RE) Miolati e Longo. Sulla stabilità delle immidi ich oi Flag du Id) SEI Vignolo. Sopra l'Ipnoacetina: (pres. /d.) Wo e — ———————————_——212121À__—————_=T=_ Dutto e Lo Monaco. Alcune ricerche sul metabolismo nei cani privati delle tiroidi (pres. dal Corrisp. Luciani). . - i REGA Chelussi. Di due roccie a Zancofine ‘dell o Ù ‘Gino (ii di Gdicni ii Bce jMEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Procenzano. Nuova teoria delle parallele e saggio di pangeometria con nuova curva non euclidiana e corrispondente superficie di rotazione (presentata dal Segretario) . . . ? PERSONALE ACCADEMICO D'Ovidio. Commemorazione del Socio Battaglini +. . . Ren) Brioschi (Presidente). Annuncia la perdita fatta dall'Accademia ac) persona del Socio straniero F. Neumann ” [CORRISPONDENZA Brioschi (Presidente). Presenta un piego suggellato inviato dal sig. Viveros . Blaserna (Segretario). Dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. n Ln — 1Rg12RgRÈ:.l.-r—rTrT__,r_T_ rr .(.tàÀà a (*) Queste Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. 469 Ae: DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCI. t5895 EER UNA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 16 giugno 1895. Volume IV. — Fascicolo 12° e Indice del volume. . 1° SEMESTRE TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1895 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE TE Col 1892 si è iniziata la Serse quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- 1 Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le diseus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Aeca- demia ; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. È I. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se ‘provengono da Soci 0 da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - @) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti | contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra; ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'învio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori; fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5.L° Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è mersa a carico degli autori. PIA ITEM PNCARPI VVALE OC Pb te» ia i II PISANA ESITO (I SDEFFVAI VIA 1 LI SITL RITI DI CAI SII ENTIRE SR RAM Tri to et Net ini in tte i citt Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1° — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2% MEMORIE delia Classe di serenze fisiche, matematiche e naturali. 3 MEMORIE della Classe di scienze morale, storiche e filologiche Vol. IV. V. VI. VII. VIII. Serie 3 — TransUnTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRrIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — DI-XIX. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. i Serie 4* — RenpIcONTI Vol. I-VII. (1884-91). MemorIE della Olasse di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. _ Serie 5° — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IV. (1895) 1° Sem. Fase. .1°-12°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-IV. (1895). — Fasc. 1°-39, MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume è per tutta l’Italia di L. f@; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Loescner & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrIco HoepLi. — Milano, Pisa e Napoli. Beltrami. Sui potenziali termodinamici . Visalli. Sui complessi generati da due piani dal Soci: Cremona) . HARRA IE Cantone. Studio delle proprietà elastiche dei corp metodi statico e dinamico (pres. dal Socio # Garelli. Sul comportamento crioscopico di. solvente (pres. dal Socio Ciamician) Si Indice del vol. IV, I semestre 1895. be UA TOY. % MIA } N î f Ji Ì fi ius È l l N} SMITHSONIAN INSTITUTION LIBRARIES LLMENONLAIA I 3 9088 01356 8589