e e lE I I e n e ine anta moon vi rina PAPA SUV, |] ASTE IR DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCIII. 1896 SEVERE N®O UBENET A RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. VOLUME V. 1° SEMESTRE ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1896 ‘ARPA STASI . Ù i Li in RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DREI LINCEI no____—_—_—_—_—_— Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 5 gennaio 1896. F. BrIioscHI Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Astronomia. — Osservazioni sul pianeta Venere fatte al R. Osservatorio del Collegio Romano in novembre e dicembre del 1895. Nota del Socio P. Taccnini. Nella mia Nota del 17 novembre ho reso conto all'Accademia delle numerose osservazioni fatte sul pianeta Venere durante l'estate del 1895 al R. Osservatorio del Collegio Romano, dalle quali conclusi, che la durata della rotazione molto probabilmente doveva essere di giorni 224,7, cioè eguale alla rotazione siderea del pianeta. Ora annunzio all'Accademia, che le successive osservazioni fatte in ottime circostanze ci portano alla stessa conclusione. La nostra serie termina col 19 dicembre, avendo escluso quelle fatte con aria non buona: anche in questa serie abbiamo avuto lunghi in- tervalli fra la prima ed ultima osservazione di una stessa giornata, come ad esempio nel 28 novembre, nel qual giorno la prima osservazione fu fatta alle 52.45” e l’ultima alle 11°, nel quale intervallo furono sempre osservate le stesse particolarità sulla parte illuminata dell’astro, mentre non abbiamo più veduto nulla sulla parte in ombra. Astronomia. — Seguito delle osservazioni della cometa Per- rine. Nota del Corrispondente E. MIiLLOSEVICH. Nella mia Nota precedente ho avuto l'onore di comunicare all’Acca- demia le tre prime osservazioni sulla cometa Perrine, fatte da me all’equa- toriale di 0.25 di apertura. Accennava allora alla possibilità che l’astro EIRENE divenisse ben lucente, benchè in condizioni sfavorevolissime per la estrema prossimità col sole. Non mancava di far osservare che la congettura posava sopra i primi saggi d’orbita, i quali potevano essere ben difettosi. Ed in- fatti la reale distanza perielia risultò ben maggiore di quella che era cal- colata sopra i quattro primi dì d’osservazioni, d'onde l'intensità luminosa, pur dedotta con una formola che mal s'adatta alle comete, discese nel mas- simo alla terza parte della presunta in principio. L'astro è attualmente serotino, ma tramonta quando ancora è vivo il crepuscolo occidentale, nè potei fare osservazioni recenti. Ecco quelle che furono fatte prima del passaggio dell’astro per il perielio, da me e dal dott. Peyra, assistente dell’Osservatorio del Collegio Romano: Osserva- tore declinazione apparente Ascensione retta apparente 1895 Dic. 3 18h 11m 15 tm RCR 140 49m 95,87 (9.565n); — 11°16/28/.1 (0.813) P. A 89203000, 14 48 44.84 (9.555n); — 12 36 22. 4 (0.820) M. do ig ea 15 23 22. 79 (9.618n); — 18 54 30.9 (0.815) P. SISSI 0 15 23 30.94 (9.600); — 18 55 48. 6 (0824) M. NS SR 5 0900 15 23. 39. 14 (9.5772); — 18 57 8.5 (0.838) PB. dio Ray o 15 23 44.43 (9.560n); — 18 57 58. 7 (0.839) M. od i CI 5 15.85 4.92 (9.624n); — 20 44 59. 4 (0.816) M. OI o 15 35 12.19 (9.610n); — 20 46 2. 2 (0.824) P. i 901804200 15 35 23.37 (9.584n); — 20 47 48. 5 (0.839) M. Matematica. — Il Presidente BrioscHi dà comunicazione della seguente lettera, ricevuta dal Corrispondente V. VOLTERRA. « Illustre signor Presidente, « Torino, 1 gennaio, 1895. « Mi permetta di comunicare alla S. V. una breve replica alla Nota del prof. Peano inserita nel fascicolo 11° (2° sem. 1895) dei Rendiconti del l'Accademia. « Relativamente a quanto trovasi detto in principio di quella Nota, mi sembra che non valga la pena di spendere alcuna parola, giacchè nessuno può mettere in dubbio la priorità mia tanto rispetto al trattare la questione, quanto riguardo alla idea fondamentale che ne forma il punto di partenza; nè alcun dubbio può nascere circa la originalità di quella idea che a me nacque, come esposi nelle mie lezioni dell’anno scorso, cercando un esempio atto ad illustrare il concetto emesso da Hertz di sostituire, nell'esame di un fenomeno naturale, alla considerazione delle forze, quella dei moti nascosti ; e non occorse valermi della questione del gatto, cui accenna il Peano, questione del resto sulla quale egli si limitò a scrivere pel suo giornale una semplice e modesta recensione di lavori altrui. Non è corretto tro- REA a ORE vare, come dice il Peano, identità fra due problemi di meccanica essen- zialmente diversi, e trattati con metodi diversi per la sola ragione che è comune ad ambedue l'impiego di principî fondamentali di questa scienza; se ciò potesse pensarsi, si potrebbe sempre ricondurre due pro- blemi meccanici qualunque ad un solo, perchè ambedue debbono neces- sariamente farsi dipendere dagli stessi principî. Non vale la pena di spendervi alcuna parola anche perchè l'articolo del Peano è quasi total- mente la riproduzione di quanto egli aveva già esposto in una Nota pre- sentata all'Accademia di Torino nella seduta del 19 maggio u. s. e che il prof. Peano ritirò, dopo avermi comunicato per iscritto che egli stesso rico- nosceva il proprio errore. Ed infatti basta una elementare conoscenza delle fun- zioni ellittiche per accorgersi che, avendo io ottenuta la soluzione del problema mediante queste trascendenti, era impossibile che il Peano pervenisse alla so- luzione della stessa questione senza ricorrere ad integrazioni. Il calcolo del Peano presentato a Torino il 5 maggio è applicabile solo ad un caso parti- colare della questione (quello in cui gli assi d'inerzia siano eguali) che io avevo già trattato nella Memoria presentata il 1° febbraio alle Astronomisehe Nachrichten di Kiel. Ma è da osservare precipuamente che qualsiasi calcolo applicato alla terra e fondato su questo caso particolare, come ha fatto il Peano, deve condurre di necessità a resultati del tutto inattendibili, come vedrà chi legge le conclusioni della detta Nota del Peano, giacchè la eccen- tricità terrestre che viene trascurata, è il fattore principale nell’andamento del fenomeno, tantochè non si può giustificare in alcun modo il procedimento del Peano, nemmeno ritenendolo limitato alle deduzioni più sommarie. È inu- ‘ tile pure, mi sembra, il rispondere agli appunti mossi dal Peano riguardo all'avere io introdotto nei miei calcoli delle derivazioni, secondo lui non neces- sarie, ed infatti esse sono indispensabili per eliminare mediante le formole del Poisson i coseni degli angoli che gli assi d'inerzia formano con quelli fissi; e i cultori della meccanica analitica ravviseranno immediatamente nel procedimento che ho tenuto, il classico metodo usato da Lagrange e da tutti i suoi continuatori, il quale porta di necessità le derivazioni che ho eseguite. « Osserverò che io non ho mai detto che i moti interni terrestri non possono produrre nella ipotesi della rigidità altro che piccole oscillazioni del polo. Anzi, nella Memoria delle Asfr. Nachr. ho mostrato che in un si- stema simmetrico, scelto ad arbitrio il moto del polo, si possono sempre trovare i moti interni capaci di produrlo. Di quì discende evidentemente per continuità che, scelta una conveniente traiettoria del polo la quale si avvicini abbastanza a quelle circolari che il polo descrive quando i moti interni sono nulli, essa potrà corrispondere a moti interni tanto piccoli quanto si vuole, ed è pure evidente che una simile traiettoria potrà in infiniti modi condursì a passare per un punto qualunque. L'avere enunciato questa conclusione im- mediata ed evidente delle mie considerazioni senza citarmi, solo vestendola del SR ago linguaggio dei vettori, valse al Peano la censura contenuta nella Nota che presentai all'Accademia nello scorso settembre. Io non debbo quindi convenire in alcuno dei resultati del Peano. « Nella mia Nota sui moti periodici del polo terrestre io non aveva bi- sogno di trattare il caso generale, avendolo già svolto completamente nella Parte III della mia Memoria dello scorso febbraio inserita nelle Astr. Nachr. in cui, fra le altre cose, integrai l’equazioni differenziali mediante successive approssimazioni, ottenendo serie convergenti. Per ben comprendere quella Nota, conviene tener presenti i resultati stabiliti nella suddetta Memoria, cioè che nel caso di un corpo in cui sussistono moti interni si può sempre scegliere ad arbitrio il moto del polo e quindi determinare i corrispondenti moti in- terni. Ora nella Nota sui moti periodici (come dissi in maniera esplicita) ho voluto trattare espressamente il caso del moto di un corpo simmetrico, in cui i moti del polo fossero per dato decomponibili in piccoli moti armo- nici, vale a dire partendo dalla ipotesi che, durante il tempo in cui si studia il moto, fossero avvertibili solo dei piccoli moti armonici del polo. Nè il partire da esso dato può ingenerare il dubbio, nemmeno in chi si limiti a leggere quella sola Nota, che io abbia voluto escludere la possibilità che per certi moti interni, anche piccolissimi, il polo avrebbe potuto avere moti pro- gressivi; dirò anzi che esso, oltre tutte le altre ('), è una nuova conferma che io ammettevo il contrario, perchè se io avessi ritenuto che piccoli moti in- terni, qualunque essi fossero, non potessero produrre altro che piccoli moti periodici del polo, non avrei avuto bisogno di stabilire a priori come dato che i moti del polo che io voleva considerare fossero piccoli moti armonici, ma mi sarebbe bastato di porre la sola ipotesi di piccoli moti interni, e i piccoli moti armonici del polo avrebbero dovuto venire come conseguenza. È evidente ora che, una volta partito come dato dalla ipotesi di un solido simmetrico il cui polo ha un moto decomponibile in piccoli moti armonici, nessun artificio di calcolo poteva condurre a vedere fra quei moti armonici un moto progressivo, cioè un resultato in contradizione coi dati. Cadono dunque in maniera evidente tutti gli appunti fatti dal Peano riguardo all’an- nullarsi della quantità Z, —@. Oltre a ciò, in una Nota avente il titolo, Osservazioni sulla memoria: Sui moti pervodici del polo terrestre stampata fin dallo scorso giugno, tornai ancora una volta sulla stessa questione. « Il modo di operare nella detta Nota è dunque perfettamente legittimo; esso anzi era necessario volendo applicare i resultati al moto terrestre, onde confrontare (come era mio esplicito scopo) i calcoli colle conclusioni a cui era giunto Chandler. Tutto ciò mi sembra che fosse spiegato chiaramente; sebbene l'articolo sui moti periodici io lo abbia presentato all’ Accademia (1) Fra le altre cose dico che la possibilità di lenti moti progressivi non è esclusa nemmeno ammettendo delle perturbazioni prodotte dalla plasticità, sebbene la natura e le condizioni dei moti progressivi verrebbero essenzialmente cambiate. _—_—r————TTT E di Torino, seduta stante, nell'adunanza del 5 maggio u. s. allorchè il Peano lesse la sua prima Nota, e ciò io feci per mostrare che già da tempo io aveva eseguito i calcoli numerici sulla questione, oltre all’avere ottenuto già i risultati teorici contenuti nelle mie prime quattro Note sull’argomento e nella Memoria del febbraio delle Astr. Nachr.; tutto questo assai prima che il Peano pensasse nemmeno a simile questione (Ved. Proc. Verb. delle se- dute dell’Accademia di Torino). « Dimostrato così esser vano ed insussistente qualsiasi appunto o critica fattami dal prof. Peano, e non originali nè esatte le sue asserzioni, avendole egli stesso già riconosciute tali, ritengo, per parte mia, definitivamente chiusa questa polemica ». Chimica. — Su comportamento del fenol come solvente en crioscopia. Nota del Socio E. PATERNÒ. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Astronomia. — Zatitudine di Catania-Osservatorio. Nota di T. Zona, presentata dal Socio TACCHINI. Fra i due Osservatorî di Palermo e Catania si stabilì di fare una de- terminazione di differenza di longitudine, e ciò si compì nel luglio-agosto 1894, ed ora sì stanno eseguendo i calcoli relativi. Contemporaneamente il prof. Riccò invitommi a voler fare una determinazione di latitudine. Con piacere accettai l’invito, desiderando adoperare il metodo di Talcott. Avendo compita l'operazione e finiti i calcoli, con ottimo risultato, ne do comunicazione all’illustre Accademia. Il metodo Talcottiano è certamente uno dei migliori se non il migliore per simili ricerche; la bontà però dei risultati che può dare tale metodo riposa tutta sulle declinazioni delle stelle. Necessita quindi che le declina- zioni sieno stabilite con la massima esattezza possibile. Prima cura mia fu di ricorrere ad ottime sorgenti; a questo scopo le mie coppie, in numero di 23, le ricavai dai cataloghi Respighi, Bradley-Auwers, Ten Year. Siccome non tutte le stelle si trovarono in tutti i cataloghi, e siccome d’altra parte per qualche stella le declinazioni ottenute nelle singole sor- genti presentano differenze non trascurabili, così decisi, prima di intrapren- dere la determinazione di osservare da me stesso tutte le stelle delle coppie al cerchio meridiano di Palermo. Osservai in tutto 64 stelle e dieci volte ognuna ; con le differenze ottenute usando il metodo dei minimi quadrati, mi fu possibile stabilire in ogni singolo sistema le declinazioni mancanti o quelle che per avventura erano difettose. RETTO Con i sistemi di declinazione così stabiliti calcolai la latitudine ed ebbi: Respighi e SORIA ROL Bradley-Auwers . IRIS 01 2 SA GA io SN e = 97 30 13, 00 == 0, 108 Combinando questi tre valori, si può ritenere che la latitudine dello strumento dei passaggi dell'Osservatorio di Catania sia 37°.30'.13”,25 = 0,07. Astronomia. — Nuovo studio sull’orbita della cometa 1890 IV. Nota di T. Zona, presentata dal Socio TACCHINI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Fisica. — /n risposta ad aleune osservazioni del prof. Righi. Nota di A. GARBASSO, presentata dal Socio BLASERNA. Nel nono fascicolo del quarto volume dei Rendiconti dell’Accademia è comparsa (!) una Nota del prof. Righi nella quale si muovono alcuni appunti ad un mio lavoro Sulla doppia rifrazione dei raggi di forza elettrica (2). L'Accademia mi vorrà perdonare se risponderò brevemente a quelle osservazioni. Il risultato più importante al quale ero pervenuto era questo che, nel gesso, le direzioni possibili di vibrazione per la luce e per i raggi elettro- magnetici non sono coincidenti e nemmeno vicine. Sono lieto di constatare che, tolte alcune differenze numeriche, spiegabilissime per confessione dello stesso Righi, le sue esperienze confermano le mie (3). È parso poi al prof. Righi che ad alcuni dei miei esperimenti si potesse muovere un'obiezione (‘) che io ron sarei stato în grado di prevedere. Ora dal mio lavoro risulta che quell’obiezione ero pur giunto a prevederla da me (°). Il prof. Righi crede anche di dover affermare (5) che non può sorpren- (1) Pag. 203. (2) Atti Ace. di Torino, XXX, 442, 1895. (3) L'angolo compreso fra le direzioni di estinzione ottica ed elettrica fu trovato in alcuni casi dal Righi uguale a 40°. Egli stesso afferma poi che, in determinazione di questa natura, sono possibili errori di tre o quattro gradi; avrei potuto dunque osservare degli angoli di 43° o 44°. Trattandosi di esperienze così grossolane, avevo bene il diritto df dire che l’angolo osservato era all'incirca di 45° o prossimamente di 45°. (4) Righi, 1. c. pag. 203, riga 12. (5) Garbasso, l. c. pag. 447, riga 12 ..... i cristalli essendo piccoli, cioè dell’or- dine della lunghezza d’onda impiegata, intervenivano probabilmente delle perturbazioni dovute alle faccie ed agli spigoli laterali. (6) Righi, l. c. pag. 205, riga 2, salendo. Re 0) dere che le direzioni di estinzione ottica non coincidano con quelle di estin- zione per le radiazioni elettriche, che ciò anzi si poteva prevedere. Confesso che a me la cosa, quando la trovai, non parve così chiara (!); e del resto il mio esimio contradditore mi fece l'onore di ripetere le mie esperienze, ap- punto per il desiderio (2) di vedere, se si sarebbe confermato o no il mio singolare risultato. Finalmente il prof. Righi, in nota (3), mi attribuisce un'ipotesi che, a buon diritto, ritiene offensiva. Io quell’ipotesi non la feci mai, non sono quindi tenuto a scolparmene. Nemmeno è necessario che io attesti quanta stima io abbia per il Righi come scienziato, e quanto mi dolga di avere, involontariamente, irritato la sua suscettibilità. Sono cose che s'intendono senz'altro. Questo non vuol dire però, che io debba ritirare nulla di quanto affermai nel mio lavoro più volte citato. Ciò che dissi allora mi pareva e mi pare conforme alla verità ed era, in sostanza, questo: 1. che il prof. Righi riteneva impossibile la doppia rifrazione dei raggi elettromagnetici nello spato calcare (‘); 2. che la teoria di Maxwell la prevedeva (°); 8. che le esperienze confermavano la teoria (9). Colgo quest'occasione per annunciare all’Accademia che, avendo ripreso le mie esperienze, ottenni già qualche risultato interessante. Ho constatato con sicurezza la doppia rifrazione dei raggi elettrici nell'adularia e in pa- recchi altri cristalli; alcuni di questi, come il granato, appartengono al si- stema regolare. Chimica fisica. — Sopra alcuni fenomeni osservati nel conge- lamento di soluzioni diluite (€). Nota del dott. I. ZOPPELLARI, presentata dal Corrispondente R. NASINI. È noto che nelle soluzioni che si fanno congelare ciò che si separa in principio è il solvente puro; la sostanza disciolta non passa allo stato solido che quando la soluzione si è talmente concentrata da diventar satura: allora (1) Il Righi scrive (1. c. pag. 205, riga 2, salendo, e seg.) che il mio risultato era prevedibile in quanto che è noto, come nel gesso non solo gli assi ottici, ma anche le due bissettrici del loro angolo variano di orientazione al variare della lunghezza d'onda. Questo modo di ragionare non mi sembra completamente sicuro, e mi spiego con un esempio. Nel fenomeno di Kerr vi è dispersione, anzi le esperienze riescono meglio coi raggi lu- minosi ad onda più lunga. Se ne deve forse concludere che, tentando la prova coi raggi d’Hertz, l’effetto sarà notevolmente più intenso ? si prevederebbe una cosa contraria alla realtà. (®) Righi, 1. c. pag. 203, riga 14. (3) Ibid. 1 c. pag. 203, nota 4. (4) Garbasso, 1. c. pag. 443, riga 10. (3) Ibid. 1. c. pag. 444, pag. 10, salendo. (6) Ibid. 1. c. pag. 445, riga 18, salendo. (7) Lavoro eseguito nel’Istituto di Chimica generale della R. Università di Padova. RenpICONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 2 E) = il più .piccolo abbassamento di temperatura fa precipitare insieme solvente e sostanza disciolta. Per dimostrare che realmente così avviene, si sogliono far congelare delle soluzioni acquose colorate e si mostra che realmente spre- mendo il ghiaccio esso è incoloro e la sua apparente colorazione dipende solo dall'essere impregnato del liquido colorato: anche si mostra che dalla solu- zione acquosa di platinocianuro di magnesio si separa del ghiaccio incoloro, mentre, se anche la sostanza solida si separasse, il ghiaccio dovrebbe esser colorato della magnifica tinta di questo sale. Ma una dimostrazione assai migliore di questo fatto si ha nei fenomeni che io ho ora studiati e che non trovo sieno stati sin qui descritti. Ho fatto una soluzione diluita di permanganato potassico, soluzione la quale conteneva grammi 0,1 di sostanza sciolta in 300 cc. d'acqua; ne ho messo una porzione, circa 80 ce., in un bicchiere a precipitare, dell'altezza di 8 cm. e della larghezza di 4 in modo che veniva riempito per circa due terzi, e poi l'ho posta a congelare in un miscuglio frigorifero di neve e sale, che però non aveva una temperatura inferiore a —5°. Dopo cinque o sei ore osservai che la massa congelata era perfettamente incolora e trasparente come il ghiaccio il più puro, e che al suo centro per quasi tutta l’altezza s'era accumulata la sostanza colorante, formando una piccola prominenza alla su- perficie, e nei punti che si vedevano meglio sembrava cristallizzata; attorno a questo nucleo colorato, che aveva l'apparenza di un piccolo tronco d'albero, irraggiavano dei lunghi cristallini apparentemente aghiformi, disposti come le spine di un riccio di castagna o meglio come gli aculei di un’ istrice. Fic. 1 Fre. 2° Nella figura 1° è data un'idea del fenomeno osservato. Ho voluto poi seguire questo fatto nelle sue fasi, e difatti osservai che la separazione della sostanza disciolta dal solvente comincia dalla parte inferiore del recipiente, e va a poco a poco innalzandosi e restringendosi dalle pareti alla parte centrale, formando così una specie di imbuto come mostra la figura 2*. Togliendo poi il bicchiere dal miscuglio frigorifero, e facendo lentamente sciogliere la massa, si vede che la prominenza alla superficie va a poco a poco diminuendo, tanto da for- DET] mare una curva rientrante, ed al fondo del recipiente si comincia a colorare la soluzione. Ho voluto poi vedere se il fatto osservato per il permanganato avveniva anche per soluzioni di altri sali colorati. Feci delle soluzioni di egual concentrazione del permanganato, cioè gr. 0,1 di sostanza in 300 cc. d'acqua, delle seguenti sostanze: bicromato potassico, cromato potassico ed anidride cromica, e per tutte queste ho avuto lo stesso fenomeno osservato per il permanganato; per soluzioni assai più concentrate l’esperienza non riu- sciva bene. Per le soluzioni poi di solfato e cloruro di rame, nitrato e clo- ruro di cobalto. solfato di nichel e allume di cromo, che contenevano egual- mente gr. 0,1 di sostanza in 300 cc. d'acqua, ho ottenuto una massa solida che aveva pressochè il colore della soluzione; ma non avveniva la separa- zione come per il permanganato e gli altri sali di cui parlai più sopra. Studiai anche qualche soluzione molto diluita di sostanze coloranti orga- niche, e per quelle di cocciniglia, bleu di metile B, anilina Genziana, tro- peolina 000 N. 2, ho avuti risultati analoghi al permanganato; all’incontro non ho osservato il fatto in una soluzione diluitissima di potassa, alla quale aggiunsi due goccie di soluzione di fenolftaleina per avere una colorazione rosea. Ho creduto utile fare anche qualche prova cambiando solvente; ado- perai infatti soluzioni di azobenzolo in benzolo, e di bleu di metile B in acido acetico; ma il fenomeno non riusciva. Ricorderò che nei blocchi di ghiaccio artificiale l’aria che era contenuta nell'acqua viene a riunirsi poi al centro nella solidificazione in modo analogo a quello da me osservato per la sostanza in soluzione. Sembrerebbe adunque, dal diverso comportamento osservato per le differenti soluzioni, che la proprietà di separarsi così regolarmente la sostanza dal solvente sia più manifesta per i sali che non contengono acqua di cristallizzazione. Mineralogia — Rame e mercurio nativi nell’ Appennino Ena- liano. Nota di DANTE PANTANELLI, presentata dal Socio STRUVER. Rame nativo. — Il rame nella regione dei galestri eocenici (argille scagliose) e che non può essere collegato a filoni o depositi nelle roccie ser- pentinose, è conosciuto da molto tempo; fra le notizie non scientifiche, si ha la tradizione che il rame impiegato nella lega delle campane di Cargedolo (valle del Dragone, Modena), fosse raccolto nel luogo. Venturi ('), nella storiaZdi Scandiano (1832) accenna al rame del Monte della Croce e a quello di Monte Galbone; ricorda che Merosi e Tonelli ne annunziarono nel 1810 la scoperta al governo di Milano. Un accenno è stato dato da Russegger (1) Venturi, Storia di Scandiano, pag. 211. E pie (1845) (') e Roncaglia (1856) (2), lo cita di Monte Vetto che è lo stesso del Monte della Croce. Chiaramente sotto la sua forma di rame nativo è indi- cato dal Doderlein (1870) (3) per Monte Galbone (Reggio). Ultimamente il rame nativo è stato citato da Bentivoglio (1895) (‘') a Cargedolo, Ospitaletto ed in altri luoghi del Modenese. Probabilmente è assai più esteso di quello che non si creda, per quanto si trovi sempre in piccole quantità: lo conosco, per averlo raccolto, di Monte Galbone (Viano, valle del Tresinaro) e di Cargedolo (Frassinoro, valle del Dragone); si trova sparso nei galestri e in gran parte alterato in carbonato, tanto sotto la forma comune di carbonato verde terroso, quanto in azzurrite a volte nettamente cristallizzata; le scaglie che in generale non oltrepassano pochi grammi, dieci per le più grosse, sono o completamente alterate in car- bonato, o conservano nel loro interno un nucleo inalterato. Le poche inalte- rate, sono raramente di puro rame, più ordinariamente, come i nuclei di quelle alterate superficialmente, sono un miscuglio di rame e di ossido di rame, con ossido di ferro in proporzioni notevoli, di carbonati e di materiale siliceo finamente suddiviso nella massa. Non vi sono traccie di solfuri; in un nucleo trovasi un frammento di dente di pesce (MWozdanus ?). Queste massecole di minerale cuprico sono irregolarmente diffuse nel- l'area limitata dove esse si rinvengono, nè mi è occorso di trovarle raccolte lungo determinate zone; questo però non esclude che lo sieno; nella zona superficiale le argille scagliose sono sempre rimestate o da frane o dalla ero- sione e lavaggio amosferico; occorrerebbe trovarne in plaghe vergini per giun- gere ad una conclusione positiva; l'unica cosa certa è che la quantità del minerale, in ragione della superficie nella quale può raccogliersi, è minima e di nessuna, almeno per ora, pratica utilità. Circa la loro probabile origine, intanto per l'assenza, anche nei nuclei non alterati, di solfuri, mi sembra difficile attribuirla ad alterazioni di uno qualunque dei solfuri di rame e ferro, come pure non potrei riferirla alla semplice concentrazione di elementi cuprici naturalmente contenuti in ogni sedimento marnoso di origine marina, chè allora dovrebbero trovarsi per tutto o almeno più comuni di quello che non sieno. Preferirei ricondurla a suc- cessive alterazioni di solfati secondo le ricerche di Knop (°) ripetute da Wibel sull'azione dei carbonati alcalini nelle soluzioni di vetriolo di ferro e rame. - Mercurio nativo. — Nel settembre scorso un proprietario di S. Quirico d'Albareto presso Borgotaro, alla confluenza della Gotra con l’Arcina, aggiun- (1) Russegger, Geographische Reisen in Modena 1843. N. Jahrb. fur Min. Jahrg. 1844, pag. 779. (2) Roncaglia, Statistica degli Stati Estensi, vol. I, pag. 265. (8) Doderlein, Statistica della provincia di Reggio. pag. XV. (4) Bentivoglio, L’Appennino modenese. Mineralogia, pag. 37. (3) Bischof, Le&Rrbuch der Chem. und Phys. Geologie, vol. III, pag 693. gendo alcune stanze terrene alla sua casa, scavando per abbassare la soglia di una nuova porta, s'imbattè in un galestro imbevuto di mercurio e da circa un metro cubo o poco più di materiale, separò con il lavaggio più di sei chilogrammi di mercurio. Recatomi sul luogo neì novembre scorso, potei constatare che i galestri con mercurio, appartengono ad uno strato di circa quindici centim. di po- tenza, racchiuso tra due strati di galestro assai duri, e inclinati a NE di circa 45°; al contatto del galestro compatto che limita lo strato vi è una sfioratura di talco, in qualche punto di circa un centimetro; quest’ultima circostanza ho rilevata da alcuni frammenti che trovavansi in disparte nella casa del proprietario, avendo il medesimo riempito la fossa scavata nell’in- terno della casa, lasciando solo scoperto una parte dello scavo, quello esterno davanti la porta. Detta località essendo al sommo della collina che separa la Gotra dal- l’Arcina a circa trenta metri dal letto di questi torrenti, la parte superficiale dove ancora potrebbe manifestarsi detto strato è assai limitata, nè l’ho po- tuto rintracciare in altre parti. Il mercurio è diffuso nella roccia marnosa assai irregolarmente in mi- nute goccioline; le piccole cavità nelle quali è racchiuso, sono rivestite in- ternamente di cloruro mercuroso e in un piatto che aveva servito al lavaggio della terra e del mercurio, era raccolta una discreta quantità di croste sot- tili di calomelano; quest'ultimo minerale si trova anche in sottili incrosta- zioni nelle fenditure del galestro senza che vi sia unito il mercurio. L'ana- lisi qualitativa ha dato solo traccie d’argento. Il mercurio nativo lungi da conosciuti giacimenti di cinabro, non è fatto nuovo e a Ipplis a Sud di Cividale fu trovato in identiche condizioni, cioè nelle marne dell’eocene superiore e precisamente nello scavare una cantina: è inoltre citato di Montemaggiore, Cravero, Spessa, sempre nel flisch alpino come nel Siebenbiirgen e nella Gallizia (!). E però una assoluta novità anche come minerale nell’ Appennino, non potendosi tenere in conto l'indicazione di Roncaglia (*) che lo cita senza dire il suo stato, di Cervarezza (alti Appennini reggiani), tanto più che detta in- dicazione non è stata accolta da Doderlein al capitolo geologia nella stati- stica della provincia di Reggio. La presenza costante del calomelano e la sua disposizione, lasciano sup- porre che il minerale originario sia il cloruro mercuroso dal quale per suc- cessiva riduzione, si è raccolto il mercurio nativo. Alla domanda se possa essere in tale quantità da convenire la ricerca, non saprei rispondere; mi limiterò a ricordare che casi consimili hanno dato magri risultati. (1) Taramelli, Spieg. della carta geol. del Friuli, pag. 106. (2) Roncaglia, loc. cit. Se Conclusione. — Tenendo in disparte il rame di Cargedolo per essere nel centro di una plaga serpentinosa e cuprifera, e limitandosi a quello di Monte Galbone e di Ospitaletto (Gombola) lontani assai da affioramenti ser- pentinosi, la presenza del rame e del mercurio nelle argille scagliose, quella dei petroli, del solfo, del gesso, della baritina, della halite, della pirite, del- l'acerdesio, costituiscono un complesso che congiunto all’altro più grandioso delle serpentine, sempre più o meno ricche di minerali di metalli pesanti, permettono di dedurre essere stato il sedimento dei galestri complicato da fenomeni endogeni, ripetendo condizioni analoghe a quelle dei depositi per- miani: questo senza pregiudizio di nessuna delle ipotesi circa la origine delle argille scagliose o galestrine e delle roccie massiccie che le accompagnano. La estrema rarità di avanzi organici lascia ritenere che le cause di detti fenomeni endogeni fossero attive nell'epoca del sedimento dei galestri, come è da ritenersi che devono aver continuato anche in tempi posteriori, senza essere completamente cessate nel periodo attuale; l’ultimo residuo della loro ‘ manifestazione sarebbero, le salse, le sorgenti termali, le fontane ardenti; lo stesso, come già da molto tempo ho detto, per le moltissime sorgenti ter- mali della Toscana, le quali debbono considerarsi come la continuazione dei fenomeni avvenuti nelle eruzioni serpentinose o connesse alle dislocazioni che hanno accompagnato il sollevamento pliocenico. Fisiologia. — Osservazioni ed esperienze sulla permeabilità della pelle. Nota di MarGHERITA TrauBE MENGARINI, presentata dal Socio BLASERNA. Sulla permeabilità della pelle si conoscono con certezza due soli fatti: 1. La pelle è permeabile per i corpi che si fanno penetrare mediante una determinata pressione meccanica. Esempio: il mercurio che passa frizio- nando la pelle colla pomata mercuriale. 2. La pelle è permeabile, o per meglio dire, compenetrabile, per af- finità chimica. Così i corpi che formano composti chimici coi costituenti della pelle, penetrano in essa. Esempio: l’iodio e tutte le sostanze che attac- cano la pelle. Questi due fatti si verificano sia sulla pelle che su tutte le altre mem- brane organiche ed inorganiche. Ma siccome la pelle può essere studiata sul- l'animale vivente, o distaccata da esso, sorge spontaneamente la domanda, se la pelle vivente possegga quelle proprietà che fa delle altre membrane, strumenti specialmente atti a studiare i fenomeni osmotici. Tale questione fu posta ed affermata verso la metà del secolo dagli au- tori che fecero esperienze su pelle umana distaccata dal corpo ed acconciata in modo diverso; ma i risultati di queste esperienze non potevano applicarsi A senz'altro alla fisiologia. In seguito si formarono due scuole; l’una negava ogni permeabilità alla pelle, l'altra ammise ed ammette ancora, una permea- bilità speciale, propria alle membrane « viventi ». Consideriamo che cosa risulterebbe dall’ ipotesi, che la pelle sia osmo- ticamente permeabile. Se la pelle si comportasse come una pergamena, se fosse cioè penetrabile per l’acqua e per i corpi sciolti in essa, niun animale acquatico potrebbe esistere. Per la ben nota legge fisica ogni animale di- verrebbe idropico nell'acqua dolce. Nell'acqua marina invece gli animali per- derebbero tant'acqua da prosciugarsi in mezzo al mare. Non tenendo conto della dottrina della perfetta impermeabilità della pelle, mentre i risultati sulla permeabilità meccanica e chimica sono assicu- rati, resta l'ipotesi che la pelle animale vivente possegga qualità speciali ed in sostegno di questa è stato invocato il sistema nervoso. Ma tutto ciò che è noto sull'influenza del sistema nervoso non dà modo di spiegare un feno- meno unico, come quello ammesso da chi crede in una permeabilità speciale della pelle. Prendiamo l'esempio classico e maggiormente discusso: sì immerga un uomo in un bagno minerale. Nel bagno si trovano gli stessi sali che sì tro- vano nel corpo umano, soltanto la soluzione è più ricca. La terapia pretende che i sali debbono entrare nel corpo umano, mentre invece la fisica insegna che è l'acqua contenuta nel corpo che deve uscirne. Contrariamente quindi a quello che la fisica ci addimostra, la pelle dovrebbe essere semi-permea- . bile nel senso opposto a quello ritenuto finora; cioè la pelle dovrebbe es- sere permeabile per i sali ed impermeabile per l'acqua. Ed i sali dovrebbero emigrare dal luogo della minore pressione, che è il bagno, a quello che ha pressione maggiore, quale è il corpo d'un animale. Niun fatto giustifica questo modo di vedere, e certo non è comprensi- bile la parte che vi potrebbe avere il sistema nervoso. La sua azione nella cute è nota. Produce per azione riflessa, contrazione e rilasciamento nei mu- scoli lisci, maggiore o minore affluenza del sangue, maggiore o minore at- tività nelle glandole. Tutti questi fatti possono rendere la pelle più o meno compatta, e quindi più o meno permeabile nel senso fisico; ma finora non esiste alcun fatto per attribuire un'altra azione ad esso. Esaminiamo poi, dopo la pelle, che è lo strato che delimita i vertebrati dall'ambiente, quella superficie che corrisponde alla pelle negli altri ani- mali. Uno sguardo macroscopico sui diversi metazoi, ci fa vedere anzitutto due fatti. La pelle contiene gli organi dei sensi e mette quindi gli animali in relazione coll'ambiente; non è identica per tutti gli animali, ma appare modificata nelle varie classi, in modo da riparare l’animale contro uno scambio immediato col mezzo che lo circonda, sia esso aria od acqua. Negli animali terrestri la pelle, colle sue glandole ed i suoi peli, impedisce l'es- ea pene sicamento dell'animale. La viscosità di tutti gli animali, acquatici li isola in certo modo dall'acqua. La bocca e gli organi della respirazione nei me- tazoi, e la bocca od il suo succedaneo nei protozoi, indicano la localizzazione della nutrizione e della respirazione. I protozoi sì prestano molto bene per gli studi sulla permeabilità della superficie che li separa dall'ambiente in cui vivono. È noto che le amobe e gli infusorî posti in acqua colorata, non si colorano tranne che nelle vacuole che contengono gli ingesti. Essi, come i metazoari, hanno una bocca per il cibo, persistente negli infusorî, temporanea nelle amebe. Seguendo il metodo dell'acqua colorata, osservai alcune eccezioni a questa regola. Così nelle vorticelle trovai delle parti colorate, quindi presumibilmente permeabili. Il peduncolo rigido delle vorticelle si colora con tutti i colori d’anilina, come pure avviene dello zaffo che rimane aderente ad alcune vorticelle quando si staccano dal peduncolo. Il peduncolo contrattile nella vorticella invece non si colora. Parvemi pure di osservare la colorazione di uno strato finissimo, il più esterno dell’ectoplasma. Vidi nettamente la colorazione di una specie di spirale in rilievo che si osserva sull’ectoplasma di alcune vorticelle. Ri- tengo quelle parti colorate non essere più nutrite dall'animale. Vidi anche nei metazoari, con una sola eccezione, che le parti colorate, cioè permeabili sono fuori della circolazione dell'animale, e se non morte, almeno in uno stato di denutrizione che avvicina alla morte, come lo strato corneo fino allo strato granuloso, nel quale le cellule, dopo pennellazioni coll’'iodio, dimo- strano dei nuclei più appariscenti e meno appiattiti che allo stato normale. In condizioni diverse dei metazoi e protozoi finora considerati sì trovano quei pochi parassiti che hanno perduta la bocca nella loro vita parassitaria. Studiai finora un solo tra essi, un infusorio parassita nella rana, l'Opa- lina. Questa è una cellula senza apertura di sorta. Essa vive nella cloaca della rana, mentre non si trova in altri tratti dell'intestino. Ciò che imme- diatamente colpisce, osservandola al microscopio, è la sua grandissima sen- sibilità contro il più lieve cambiamento di densità dell'ambiente. Essa si raggrinza se esposta ad un'acqua contenente più sali del suo ambiente fisio- logico, e se l’acqua non ne contiene si gonfia smisuratamente, sino a scio- gliersi. Tutto ciò avviene coll’Opalina, mentre altri infusorî provvisti di bocca, ancora non danno segni apparenti di malessere. La superficie di questa Opa- lina rappresenta una membrana osmotica, attraverso alla quale debbono evi- dentemente passare oltre ai sali, pure i composti azotati necessari a farla crescere e riprodursi. Per poter esistere ha bisogno di un ambiente della sua densità. La sua pressione osmotica interna deve essere piccolissima, e lo scambio dei suoi prodotti con quelli dell'ambiente si deve fare come a traverso ad una membrana di Traube, che trattiene alcune sostanze e ne fa passare altre. Nutrendo una rana con un'acqua colorata, ad esempio con eo- sina, che anche in quantità abbastanza forte è innocua, questa si ritrova 7 nelle opaline che popolano il suo intestino. L'Opalina allora, vista nel taglio ottico, pare tappezzata d'un nastro color di rosa. Questo nastro è mancante soltanto in una zona limitatissima al polo anteriore dell'animale. Questa zona pare impermeabile ed allo stesso tempo abbastanza sensibile per fare retrocedere l'animale avanti ad un ambiente nocivo. Essa costituisce l’unica possibilità di difesa dell'Opalina per schivare un ambiente nocivo. Si vede che la permeabilità osmotica di un animale limita molto le condizioni della sua esistenza. Limitarla ad una parte della superficie è di vantaggio per l'animale onde potersi salvare da un ambiente nocivo, e per rallentare lo scambio osmotico. Osservai un fatto analogo nelle cisti del- l'amoeba undulans (Celli), che coltivai nel fucus aggiungendovi pochissimo sale. Si vede allora l’ameba, che normalmente ha forma lenticolare, intro- flettersi in modo che sembra un vetrino di orologio. La ragione di tale fe- nomeno regolarissimo, che si incontra ogni qualvolta si espone l’ameba alle stesse condizioni, non può essere altro che la permeabilità di un polo e l'impermeabilità dell'altro. Dopo morta l’ameba, la cisti ridiventa lenticolare, perchè allora tutta la sua superficie diventa permeabile, come in tutti gli animali dopo morte. Feci altre osservazioni di permeabilità parziale su crostacei ed insetti acquatici, che hanno organi dei sensi nelle articolazioni estreme delle antenne. Tenendo gli animali in un'acqua leggermente eosinata, queste ultime articolazioni si colorano, mentre il resto dell'animale, tranne un sottilissimo strato esterno, rimane incolore. Ho considerato finora l'’impermeabilità contro i colori d'anilina come un segno di impermeabilità contro i sali. Credo di essere autorizzata a farlo dopo molte esperienze in proposito. È noto che i colori d'anilina passano benissimo come i sali negli osmometri, attraverso le membrane animali. Osservai che solo è diverso il tempo che richiedono per il passaggio, e che perciò un miscuglio di colori d'anilina viene nell'osmometro separato nei suoi compo- nenti. Nelle mie esperienze sulla permeabilità della rana, osservai che i co- lori d’anilina dati per bocca all'animale, circolano per tutto il corpo e si ritrovano dappertutto, tranne nei mesi caldi, quando lo scambio di materia è molto rapido e i colori vengono già ridotti nell'intestino. D'inverno si ot- tengono, specialmente coll’eosina che è il colore più stabile ed innocuo, de- gli animali che sono tinti uniformemente di rosa. Le cellule sono colorate in totale ed il nucleo rimane invisibile nei muscoli, e nelle cellule epite- liali non più accentuato che nella cellula viva incolore. Il colore d'anilina circola quindi nel sangue senza trovare ostacoli di natura osmotica. Se non passa dall'ambiente nell'interno, è perchè trova un ostacolo nella pelle stessa. Feci molte esperienze sulla permeabilità della rana di cui do qui som- mariamente i risultati: tenendo una rana in un'acqua leggermente colorata in modo che essa non può attingerne colla bocca, la pelle rimane perfetta- RenpICONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 3 E gie mente incolore, tranne la colorazione dei nuclei dello strato corneo. Tutti quei pori che corrispondono ad organi dei sensi rimangono incolori tranne i nuclei delle cellule più esterne che li circondano. Si vede che la materia colorante, che dall’intestino penetra facilmente sino nella pelle, non vi giunge affatto se l'animale è immerso in acqua che contiene la stessa materia colorante. Le particelle coloranti una volta entrate nella circolazione si di- ramano con essa e penetrano ovunque ha azione la pressione interna. Le particelle coloranti invece, se sciolte nell'acqua ove è immerso l’animale, si limitano alla superficie esterna della pelle; e se anche gli spazi intracellu- lari non fossero sottoposti a pressione, il liquido che volesse penetrarvi dal- l'esterno, troverebbe in essi, pieni di liquido come sono, la resistenza che trova un liquido per penetrare in un tubo capillare pieno d'un altro liquido, se pur questo abbia la stessa densità del primo. Si vede da ciò che la rana è impenetrabile per i colori di anilina quanto le amebe e gli infusorîì. La differenza sta unicamente negli strati cornei più esterni. Questi soli sono permeabilissimi. E ciò si verifica piena- mente nel cane, nel coniglio e nell'uomo, nonchè nello strato esilissimo più esterno di chitina dei crostacei e degli insetti che vivono nell'acqua. Il resto della cute è impermeabile. Gli strati più esterni della superficie dei diversi animali sono permeabili; ma non già in senso osmotico, come le membrane che da alcune sostanze vengono attraversate e da altre no; non dipendono da pressioni di alcun genere; sono invece attraversati come lo è la carta da filtro che viene bagnata ed attraversata da ogni liquido. Però questa specie di permeabilità cessa allo strato granuloso ed i liquidi pene- trati non entrano in circolazione. La superficie degli animali acquatici considerata rispetto al loro am- biente fisiologico e quella degli animali terrestri posti in ambiente indiffe- rente, si comporta verso questo come uno strato di caoutchouc, su cui ade- risca fortemente una membrana di carta bibula. Il risultato ultimo è la impermeabilità. Ho parlato finora dell'ambiente fisioloco in cui vivono gli animali. Esa- miniamo ora l'effetto di un ambiente nocivo. Feci a questo riguardo delle esperienze osmotiche sulla rana che ben si presta a queste ricerche. Una rana pesata prima in una data quantità di acqua dolce, viene poi tenuta per un’ora e più nell'acqua contenente 5°/, di cloruro di sodio. 1. Una rana del peso di gr. 27,22 dopo un'ora e mezza d’immersione nell'acqua salata pesa gr. 24,86. Ha perduto quindi gr. 2,36 cioè 8,7 °%/o. Immersa di nuovo nell'acqua dolce pesa, dopo ore 2,40 gr. 27,70. Aveva riacquistato nell'acqua dolce quasi mezzo grammo più del suo peso primitivo. 2. Una rana del peso di gr. 25,75 è immersa nel bagno salato per ore 4,30. Perde gr. 4,20, cioè il 16,3°/ del suo primitivo peso. Un'altra rana che era riuscita ad inghiottire dell’acqua, perdette nonostante in 55 minuti di permanenza nel bagno salato gr. 3,10 da 33,80 che pesava. N E RO PE TE I Feci esperienze di controllo per vedere quanto perde una rana per eva- porazione dalla superficie interna della bocca e dai polmoni, sospendendola nell'acqua dolce colla testa sopra l'acqua, posizione che feci tenere alle rane nelle esperienze di cui sopra, per impedire che inghiottissero dell’acqua. La perdita di peso risultò così poca cosa, da non essere apprezzabile in questo genere di esperienze. Per valutare le perdite di epitelio che le rane, più di altri animali, possono subire, cercai il peso di epitelio che può esser gettato da una rana. Pesate due rane nell'acqua, asciugate poscia all'aria ed impol- verate, gettarono gli strati cornei più esterni appena rimesse nell'acqua. Il peso di questo materiale insieme alla polvere era di gr. 0,70. Da ciò de- duco che la perdita di peso delle rane tenute nell'acqua salata non può es- sere spiegata colle perdite di acqua e di epitelio che subiscono. Voglio pure notare, ciò che è noto a chi ha sperimentato con rane, che queste appena prese, vuotano per la paura tutta l'orina della vescica, in modo da non doverne più tener conto. Del resto le rane messe nell'acqua salata non gettano il loro strato corneo, come fanno in molte altre condizioni. Si raggrinzano a vista d'occhio e paiono alfine ischelitrite. Aggiungendo all'acqua salata del colore d’ani- lina, questo non passa più che nelle altre esperienze con l’acqua dolce. Ciò dimostra che nella pelle non penetra nulla; ma che il movimento del li- quido non era andato che dall'interno all'esterno, come è voluto dalle leggi osmotiche. Conchiudendo posso ritenere. 1. Che la pelle immersa nel suo ambiente fisiologico è imper- meabile. 2. Che la pelle di una rana posta nell'acqua salata diventa semi- permeabile facendo passare l’acqua contenuta non solo nella pelle stessa, ma in tutto il corpo dell'animale, nel bagno più ricco in sali che l’acqua conte- nuta nell’animale. Si vede che la rana, come gli altri animali di cui ho parlato, vivono in un ambiente fisiologico tale da non dar luogo a fenomeni osmo- tici. Se si varia l'ambiente, provocando l'osmosi, la superficie degli animali dà luogo a fenomeni di semipermeabilità perniciosissimi all'animale. Prima che la semipermeabilità, diventi permeabilità, prima cioè che principii l’eso- smosi, avviene la morte dell'animale. 8. Dopo aver visto che i protozoi si comportano come molti metazoi, e questi tutti allo stesso modo, ritengo che la pelle umana segua le stesse leggi; sicchè un uomo immerso in un bagno di acqua minerale non otterrà altro che una perdita di acqua dalla pelle, certamente importante per l'atti- vazione della sua circolazione cutanea. Mineralogia. — Z granato a Caprera ed in Sardegna. Nota di D. Lovisato, presentata dal Socio STRUEVER. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. annie RELAZIONI DI COMMISSIONI Il Socio CERRUTI, relatore, a nome anche del Socio BELTRAMI, legge una Relazione sulla Memoria del sig. G. PROCENZANO, intitolata : Nuova teoria delle parallele e saggio di Pangeometria con nuova curva non eu- clidea e corrispondente superficie di rotazione; la Relazione conclude col proporre che all’autore sia inviato un ringraziamento per la sua comunica- zione. Le conclusioni della Commissione esaminatrice, messe ai voti dal Pre- sidente, sono approvate dalla Classe. CONCORSI A PREMI Il Segretario BLASERNA comunica gli elenchi dei lavori presentati ai concorrenti ai premi Reali e del Ministero della pubblica Istruzione, scaduti col 31 dicembre 1895. Elenco dei lavori presentati per concorrere al premio reale di matematica scaduto il 31 dicembre 1895. 1. ALIBRANDI Pietro. 1) Saggio di una teoria sui coefficienti di con- trazione e di efflusso nelle bocche a battente (st... — 2) Studio sopra al- cuni problemi di meccanica (ms.). — 3) Sulle variazioni di temperatura dell’acqua nelle condotture (st.). 2. Isé Ernesto. 1) Relazioni metriche tra due piani collineari (st.). — 2) Su le forse di ordine superiore (st.). — 3) Applicazione della teoria delle forze del I° e 2° ordine alla teoria matematica della elasticità (st). — 4) Sulle velocità lineare e planare (ms.). 3. LiveRaNI PaoLo. Descrizione di una ruota meccanica (ms.). 4. PascaL Ernesto. 1) Sullo sviluppo delle funzioni 0 abeliane di- spari di genere 3 (st... — 2) Sulle formole di ricorrenza per lo sviluppo delle 0 abeliane dispari a tre argomenti (st). — 3) Sulla teoria delle funzioni 0 iperellittiche pari e dispari di genere 3 (st.).. — 4) Sulla teoria delle funzioni 0 abeliane pari a tre argomenti (st.).. — 5) Sopra le fun- sioni iperellittiche di 1° specie per p=2 (st.).. — 6) L'equazione razio- nale della superficie di Kummer (st). — 7) Sulle sestiche di contatto alla superficie dî Kummer (st.). — 8) Sulle funzioni o ellittiche pari (st.). — 9) Rappresentazione geometrica delle caratteristiche di genere 3 e 4 e Slo loro gruppi di sostituzioni (st.).. — 10) Saggio sul gruppo delle sostitu- zioni fra le 27 rette della superficie di 3° ordine e sui gruppi ad esso isomorfi (st... — 11) Continuazione del saggio sul gruppo delle sostituzioni fra le rette della superficie cubica (st... — 12) Sulle 315 coniche coor- dinate alla curva piana generale di 4° ordine (st.). — 13) Ricerche sugli aggruppamenti formati colle 315 coniche coordinate alla curva piana generale di 4° ordine (st.). — 14) Sugli aggruppamenti tripli di coniche coordinate alla quartica piana (st... — 15) Su di un'estensione della con- figurazione delle 10 rette della superficie di 5° ordine a quintica doppia (st.). — 16) Osservazioni sui gruppi di sostituzioni fra le caratteristiche dispari di genere 3 e di genere 4 (st... — 17) Sulla configurazione dei 120 piani tritangenti della sestica storta di genere 4 (st... — 18) Sui piani tritangenti della sestica storta di genere 4 (st.). 5. Prano Giuseppe. 1) I principii di geometria logicamente esposti (st.).. — 2) Arithmetices principia nova metodo exposita (st.). 6. SAPoRETTI ANTONIO. 1) Illustrazione del metodo di Gauss sulla determinazione di alcuni principali elementi delle orbite planetarie (ec- centricità, parametro, longitudine del perielio sull'orbita) e nuovo metodo di soluzione (st.). — 2) Sull’origine della determinazione fra il tempo medio e il tempo vero, solari, esposta da alcuni astronomi, che diversa- mente interpretarono i ritrovamenti di Keplero, spiegati nella sua massima opera « Astronomia Nova » (st.). — 3) Metodo razionale, differente dagli an- tichi e dai moderni stessi di approssimazione, intorno alle epoche di eguaglianza del tempo solare (vero) al tempo medio, e delle massime loro differenze (st.).. — 4) Nuove considerazioni sulla metafisica del calcolo infinitesimale (st.).. — 5) Analisi nuova per dimostrare giusto l'usato me- todo pratico degl immaginari e teoria più generale dell’usata sulle re- lazioni fra i coefficienti delle funzioni algebrico-intere ad una variabile ed i fattori lineari, siano funzionali, siano propri delle equazioni (st.). — 6) Metodo analitico dello sviluppo di un arco circolare in funzione trigonometrica di un altro arco, cognito il quoto costante delle loro tan- genti trigonometriche (st.). 7. SegRE CoRRADo. 1) Studio sulle quadriche in uno spazio lineare ad un numero qualunque di dimensioni (st.).. — 2) Sulla geometria della retta e delle sue serie quadratiche (st.).. — 3) Ricerche sui fasci di coni quadrici in uno spazio lineare qualunque (st.). — 4) Studio delle diverse su- perficie del 4° ordine a conica doppia 0 cuspidale (generale 0 degenere) con- siderate come protezioni dell’intersezione di due varietà quadratiche dello spazio a quattro dimensioni (st.). — 5) Sulla teoria e sulla classificazione delle omografie în uno spazio lineare ad un numero qualunque di dimen- sioni (st.). — 6) Sugli spazi fondamentali di un’omografia (st.).. — 7) Ri- cerche sulle omografie e sulle correlazioni in generale, e particolarmente MITE su quelle dello spazio ordinario considerate nella geometria della retta (st.). — 8) Sulla varietà cubica con dieci punti doppi dello spazio a quattro dimensioni (st.). — 9) Sulle varietà cubiche dello spazio a quattro dimen- sioni e su certi sistemi di rette e certe superficie dello spazio ordinario (st.). — 10) Sulle rigate razionali in uno spazio lineare qualunque (st). — 11) Sulle varietà normali a tre dimensioni composte di serie semplici ra- zionali di piani (st.). — 12) Ricerche generali su le curve e le superficie rigate algebriche. Osservazioni sulle trasformazioni univoche delle curve ellittiche in se stesse (ms.). — 13) Ricerche sulle rigate ellittiche di qua- lunque ordine (st.). — 14) Introduzione alia geometria sopra un ente al- gebrico semplicemente infinito (st... — 15) Un nuovo campo di ricerche geometriche. Note I-IV (st.). — 16) Ze rappresentazioni reali delle forme complesse e gli enti iperalgebrici (st.). — 17) Le coppie di elementi ima- ginari nella geometria protettiva sintetica (st.). 8. VoLtERRA VITO. 1) Sopra un problema di elettrostatica (st.). — 9) Sull’equilibrio delle superficie flessibili e inestendibili (st.). — 3) Sulla deformazione delle superficie flessibili e inestendibili (st.). — 4) Sopra una proprietà di una classe di funzioni trascendenti (st.). — 5) Sulle funzioni analitiche polidrome (st.). — 6) Sulle equazioni differenziali lineari (st.). — 8) Sui fondamenti della teoria delle equazioni differenziali lineari. Parte 1° (st.). Parte 2% (ms.). — 7) Sulla teoria delle equazioni differenziali li- neari (st.).. — 8) Sopra le funzioni che dipendono da altre funzioni (st.). — 9) Sopra le funzioni dipendenti da linee (st.). — 10) Sopra una estensione della teoria di Riemann sulle funzioni di variabili complesse (st.). — 11) Sopra una generalizzazione della teoria delle funzioni di una vartabile immaginaria (ms.). — 12) Delle variabili complesse negli iperspazii (ms. e st.). — 13) Sulle variabili complesse negli iperspazii (st.). — 14) Sulle funzioni coniugate (st.). —15) Sulle funzioni di iperspazii e sui loro parametri differenziali (st.). — 16) Sulla integrazione di un sistema di equazioni diffe- renziali a derivate parziali che si presenta nella teoria delle funzioni coniu- gate (st.).. — 17) Sulle equazioni differenziali che provengono da questioni di calcolo delle variazioni (st.). — 18) Sopra una estensione della teoria Ja- cobi-Hamilton: Del calcolo delle variazioni (st.). — 19) Sopra le equazioni fondamentali della elettrodinamica (st.). 20) Sopra le equazioni di Hertz (st... — 21) Sopra le equazioni fondamentali della elettrodinamica (st.). — 22) Sulle vibrazioni luminose nei mezzi birefrangenti (ms.). — 23) Sulle vibrazioni luminose nei mezzi isotropi (st.). — 24) Sulle onde cilindriche nei meezi isotropi (st.). — 25) Sulle vibrazioni dei corpi elastici (st.). — 26) Sulla integrazione delle equazioni differenziali del moto di un corpo elastico isotropo (st... — 27) Sulle vibrazioni dei corpi elastici isotropi (ms.). 28) Sulla teoria dei moti del polo terrestre (st.). — 29) Sulla teoria dei movimenti del polo terrestre (st.). — 30) Sul moto di un sistema nel quale — 23 — sussistono moti interni stazionarit (st.). — 31) Sopra un sistema di equa- zioni differenziali (st.). — 32) Un teorema sulla rotazione deicorpi e sua ap- plicazione al moto di un sistema nel quale sussistono moti interni stazionari (st... — 33) Sui moti periodici del polo terrestre (st.). — 34) Osservazioni sulla mia Nota: Sui moti periodici del polo terrestre (st.). — 35) Sulla teoria dei moti del polo nella ipotesi della plasticità terrestre (st.). — 36) Sulle rotazioni permanenti stabili di un sistema in cui sussistono moti interni stazionarii (st.). — 37) Sulla rotazione di un corpo in cui esistono sistemi ciclici (st.). — 38) Sulla rotazione di un corpo in cui esistono sistemi policiclici (st. e ms.). — 39) Esercizi di fisica-matematica - Sulle funzioni potenziali (st.). Elenco dei lavori presentati per concorrere al premio reale di astronomia scaduto il 31 dicembre 1895. 1. AveeLITTI Fiuippo. 1) Distanze zenitali circummeridiane di alcune stelle principali osservate nell’anno 1821 da C. Brioschi (st.). — ?) Di- stanze zenitali circummeridiane del Sole osservate nell’anno 1821 da C. Brioschi (st.).. — 3) Ulteriore discussione delle distanze zenitali cir- cummeridiane del Sole, osservate da C. Brioschi negli anni 1819, 1820, 1821. Parte Prima (ms.). — 4) Nuova determinazione della latitudine geo- grafica del R. Osservatorio di Capodimonte mediante i passaggi di alcune stelle al primo verticale osservati nell’anno 1889 (st.). 2. GerMozzi Decio. IZ Cosmo (ms.). Elenco dei lavori presentati per concorrere al premio del Ministero della P.I. per le scienze matematiche scaduto il 81 dicembre 1895. (Premio L. 1500). 1. Bertazzi RopoLro. 1) Fondamenti per una teoria generale dei gruppi (ms.).. — 2) Teoria dei limiti. (st.).. — 3) La risoluzione dei pro- blemi numerici e geometrici (st.) — 4) Sulla definizione della linea retta (st.).. — 5) Z7 concetto di lunghezza e la retta (st.). 2. CERTO Luci. 1) Z/ così detto « problema dell'ago » di Buffon (ms.). — 2) Lezioni di Algebra (st.). 8. Ducci EnRIco. Somma delle potenze simili dei termini di una pro- gressione per differenza (st.). 4. GAMBERA Pierro. 1) Zeoria matematica dei gas perfetti (st.). — 2) Delle proprietà dei miscugli di gas perfetti (st.). 5. GreMmIenI MicHELE. 1) A proposito del postulato dell equivalenza r e di altre questioni geometriche. Due note (st.). — 2) A difesa della seconda edizione degli Elementi di Euclide (st.). — 3) Sull’ equivalenza dei poligoni (st... — 4 Za Teorica dei poligoni equivalenti con aggiunte e note (st... — 5) Sull’equivalenza dei poligoni piani e sferici. (st.). 6. PANNELLI MaRINO. 1) Sopra ? sistemi lineari quadruplamente in- finiti di superficie algebriche (ms.). — )2 Sulla costruzione della super- ficie del 3° ordine individuata da 19 punti (st.).. — 3) Sulla riduzione delle singolarità di una curva gobba (st.). 7. PiIronDINI GEMINIANO. 1) Alcune formole relative alle linee tracciate sopra una superficie e loro applicazioni (st.). — 2) Teorema geometrico (ms.). — 3) Sur la conique osculatrice des lignes planes (st.). — 4) Intorno alle indicatrici sferiche delle linee dello spazio (st.). — 5) Sur une famille remarquable de courbes (st.). — 6) Due problemi geometrici (ms.). — 7) Simmetria ortogonale rispetto a una superficie di rivoluzione (st.).. — 8) Quelques propriétés de l’hyperbole (st... — 9 Sur les surfaces réglées (st... — 10) Di alcune superficie che ammettono un sistema di linee eguali e un secondo sistema di linee equali o simili (st.). —11) Simmetria orto- . gonale rispetto a una linea qualunque (ms.). 8. Toppi Pierro. Prospettiva (ms.). PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario BLASERNA presenta le pubblicazionl giunte in dono, segna- lando quelle inviate dai Soci PincHERLE, PorncaRÈ e dai signori BOTTI, DE TonI, LANDAUER; presenta inoltre il vol. V dell'edizione nazionale delle Opere di Galileo Galilei. Il Socio StTRUEVER fa omaggio di una Memoria a stampa del sig. G. CortEAU sugli Echinidi raccolti dal prof. Lovisato nel miocene della Sardegna. CORRISPONDENZA Il Segretario BLASERNA dà comunicazione della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute : La Società Reale di Londra; la Società di scienze naturali di Emden; le Società geologiche di Manchester e di Londra; la Società Reale e il R. Osservatorio di Edinburgo; l'Associazione degl’ Ingegneri civili di Londra; l’ Università di Tokyo. Annunciano l'invio delle proprie pubblicazioni: L'Istituto meteorologico di Berlino; l’ Università di Kasan. tenne OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 5 gennaio 1896. Boccardo E. C. e Baggi V. — Trattato elementare completo di geometria pratica. Torino, 1895. 8°. Bormans A. — Sull'azione che il siero di sangue di alcuni animali spiega contro la proprietà sporificatrice del bacillo del carbonchio (Min. Int.). Roma, 1895. 8°. Botti U. — Dei piani e sottopiani in geologia. Manuale alfabetico ragio- nato. Reggio Cal., 1895. Caf E. — I ragni di Calabria. Bergamo, 1895. 8°. Catalogo della Biblioteca dell'Ufficio Geologico. R. Corpo delle miniere. Roma, 1895. 4°. ° Cotteau G. — Description des Échinides miocènes de la Sardaigne (Mém. Soc. Géol. France, Paléontologie T. V, 2). Paris, 1895. 4°. De Toni J. B. — Sylloge Algarum omnium hucusque cognitarum. Vol. III. Patavii, 1895. 8°. Flores E. — Catalogo dei mammiferi fossili dell’Italia Meridionale conti- nentale. Napoli, 1895. 4°, Id. — Notizie sui depositi degli antichi laghi di Pianna (Napoli) e di Melfi (Basilicata) del prof. J. Jonston-Lavis, e sulle ossa di Mammiferi in essi rinvenute. Roma, 1895. 8°. Galilei G@. — Le opere. Ed. naz. Vol. V. Firenze, 1895. 4°. Keller F. — Sull'intensità orizzontale del Magnetismo terrestre nei pressi di Roma. Roma, 1895. 8°. Landauer J. — Die Spectralanalyse. Braunschweig, 1896. 8°. Pincherle S. — Sopra alcune equazioni simboliche. Bologna, 1895. 4. Poincaré H. — Calcul des probabilités. Paris, 1896. 8°. Id. — Capillarité. Paris, 1895. 8°. Id. — Théorie analytique de la propagation de la chaleur. Paris, 1995. 8°, Sabbatini A. — Sugli Echinodermi dei Cetacei. Genova, 1895. 8°. Whiteaves J. F. — Paleozoic fossils. III 1. Montreal, 1884. 8°. Valenti G. — Sopra alcune generalità che riguardano la evoluzione della cellula. Perugia, 1895. 8°. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ___—__—_—_—_—__—_—_——_———m——t6&6S—z Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 19 gennaio 1896. F. BrIioscHI Presidente. MEMORIE E. NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Della validità effettiva di alcuni sviluppi m serie di funzioni. Nota del Corrispondente S. PINCHERLE. È ben noto l’artifizio con cui il Weierstrass ed il Mittag-Leffler, nei celebri teoremi che portano i loro nomi, sono giunti ad ottenere, il primo, l'espressione di una funzione trascendente intera che si annulla nei punti 4,02; Gn; .. di una successione data, il secondo, quella di una funzione . uniforme che nei punti d,,d2,... dn, ... di una successione data diventa in- finita come funzioni pure date: per esempio, che in è, è infinita del prim’or- dine col residuo 7,. Nel primo caso, la funzione richiesta sarebbe rappresen- tata dal prodotto infinito (© uu) quando esso fosse convergente assolutamente; nel secondo, la funzione do- mandata si avrebbe espressa dalla serie co) (0) ) Ci Vo, b) n=z1% — A qualora tale serie fosse convergente in ugual grado in tutto il piano x, esclusi i punti d,. Ciò non accade in generale: ordinariamente, tanto il prodotto (4) quanto la serie (2) divergono e pertanto non rappresentano effettivamente al- cuna funzione. Ma se si moltiplica ogni fattore del prodotto infinito per un nuovo fattore conveniente e se si aggiunge ad ogni termine della serie (0) una RenpIcoNTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 4 SE espressione opportuna, come hanno fatto i nominati autori, si riesce a sosti- tuire ad (a) e a (2) altre espressioni che (pur godendo delle stesse proprietà formali in modo da soddisfare, come quelle, alle condizioni dei rispettivi pro- blemi) hanno incondizionata convergenza e rappresentano effettivamente le funzioni domandate. Ora esistono, in parti assai diverse dell'analisi, certi sviluppi i quali si presentano in una forma sotto cui hanno un campo di validità assai limitato, ma ai quali è applicabile una modificazione del tutto analoga a quella ricordata e che permette di renderli effettivamente validi per quei casi in cui, nella pri- mitiva forma, la loro esistenza è puramente virtuale. Questo fatto mi è sem- brato assai degno di nota, e per porlo in evidenza nel modo più semplice possibile, mi sono limitato nella presente Nota a considerare un esempio par- ticolare, riserbando ad altro lavoro la trattazione del metodo nella sua gene- ralità. L'esempio sarà fornito dalla serie _$ dg (e) f(2) = da” in cui g è una funzione analitica della #. Formalmente, lo sviluppo (e) sod- disfa all’equazione @) d_ ma la serie (c) non è convergente se non eccezionalmente, cioè per funzioni g soggette a condizioni assai restrittive, talchè alla (c), come formula per la risoluzione dell'equazione (d), non si può dare che un valore assai limitato. Però, mediante una modificazione opportuna dei termini della (c), la quale non altera la proprietà formale in forza della quale essa soddisfa all'equazione (d), si può renderla convergente per ogni funzione analitica 4 regolare in un in- torno (sia pure piccolo quanto si vuole) del punto x = 0. Questo metodo, come ho accennato, è applicabile a sviluppi assai più generali di (c); ma anche limitato a questo caso, spero che non riuscirà privo d'interesse per la novità dell'argomento e per le osservazioni generali che è d'uopo premettere sulle serie ordinate secondo le derivate successive di una funzione. 1. Considereremo, in ciò che segue, le serie della forma A) Y ea) 92), n= dove con @,(2)(2=0,1,2,..) si rappresenta una successione data di fun- zioni analitiche della variabile x regolari in un intorno del punto 2 = 0, con — 9005 g(x) una funzione analitica della stessa variabile, che si può assumere arbi- trariamente sotto la sola condizione di essere pure regolare nell’intorno del medesimo punto 2 = 0, e con g(x) si indica la DA, In luogo di consi- derare g(z) ed @,(4) regolari nell'intorno del punto 4 = 0, si potrebbero supporre tali per l'intorno di un altro punto arbitrario #, del piano della va- riabile: noi continueremo però a fare 2, = 0. Quando una funzione (x), sostituita nello sviluppo (1), rende questo sviluppo convergente in ugual grado in un intorno di 2 = 0, diremo che g() appartiene al campo funzionale di convergenza della serie (1). Per ogni funzione y(4) appartenente al suo campo di convergenza, la serie (1) rap- presenta una funzione analitica regolare in un intorno di x =0; essa serie può quindi riguardarsi come l’espressione di un'operazione funzionale eseguita su g(7). Di più, se g(7), Y(x) appartengono al campo di convergenza della (1), vi appartiene anche la g(2) 4 w(), e l'operazione rappresentata dalla (1) è distributiva. Ora dimostreremo, nei due paragrafi che seguono: a) che una serie (1) ammette in generale un campo funzionale di con- vergenza; 5) che le serie della forma (2) possono essere di due nature diverse; quelle di prima specie, al cui campo di convergenza appartiene ogni (4) regolare nell'intorno di < = 0, quelle di seconda specie, al cui campo di con- vergenza appartengono quelle sole g(x) che soddisfano a determinate con- dizioni. 2. Una serie (1) ammette sempre un campo funzionale di convergenza, purchè esista un intorno del punto e = 0 in cui tutti è coefficienti della serie rimangono finiti. Si indichi con C quell’intorno di < = 0 in cui tutte le «,(4) riman- gono finite, e sia #, il limite superiore dei valori assoluti di @,(2) in C. Si formi poi una successione di numeri positivi 9, arbitrarî purchè soggetti alle condizioni e CAZZI , Ing” (1 essendo «e un numero positivo minore dell'unità, infine si prenda % in C. Sotto queste condizioni dico che la funzione 0 n % (2) g(a)=Y Gi n=0 L appartiene al campo di convergenza della (1): ne verrà che con essa vi ap- partengono tutte le serie di potenze in cui il coefficiente di 4” è minore in In n! valore assoluto di Infatti, essendo gd) = = In = In+10 Ri > Geerd DA + -+ a VAL e, sì avrà IpP9(2)]< gne! onde DPXZ0) RIT ed essendosi fatto #£< 1, risulta dimostrata la convergenza assoluta ed in ugual grado della (1) per la funzione (2) e per tutti i valori di x presi nel- l’intorno C. 3. Volendo ora provare l'esistenza delle due diverse specie di serie (1) indicate alla fine del $ 1, basterà, all'uopo, di fornire esempî delle une e delle altre; ora un esempio semplicissimo della prima specie ci viene dato da (Co) n XL p Ta PAL), n= è mentre esempî non meno semplici della seconda specie sono le serie 2 a =i =; Considerando infatti la prima serie, si ricordi che (x) è regolare nel- l’intorno di x = 0, ed ammette quindi uno sviluppo in serie di potenze di 4 convergente in un cerchio di centro <= 0 e di raggio 7; ora per|a|<47 la serie stessa è certamente convergente assolutamente ed in ugual grado. Il suo campo funzionale di convergenza è dunque costituito da tutte le funzioni regolari per 2 = 0. Invece la seconda serie non è convergente in ugual grado se non per le funzioni g(x) in cui il raggio del cerchio di convergenza re- lativa ad ggi funzioni trascendenti intere: esse sono quindi della seconda specie. 4. Le funzioni razionali intere appartengono al campo funzionale di con- vergenza di ogni serie (1), poichè per esse lo sviluppo (1) si riduce ad un numero finito di termini. Questa osservazione permette di togliere ogni resti- tuzione al teorema del $ 2, e di dire che una serze (1) ha sempre un campo di convergenza. Una serie (1) si dirà identicamente nulla quando sia nulla per ogni funzione del suo campo funzionale. Ora ciò non può avvenire altro che se tutti i coefficienti @,() della serie sono identicamente nulli: basta infatti porre successivamente p=1,g@=% 1 mula al caso nostro, facciamovi: (iso. DITTA l,h=2acosg, {==0 e notiamo (3) che: I_1 (tà) VR = A cos 777À4 , e che: n(- 3) = (5) — x. Avremo: À 1/8 i ___60S 7004 Ti dà 1 ari IQain100sg)—Y:(2aix1 0059) 2° 4 4a? cos cos? TI — 2y ni \ ossia : i i e E gt cao) = Yo(2aimt cossg) | . VR 4 4a? costg 2 ( ) Ora è proprietà nota della funzione cilindrica di seconda specie Y, che la differenza Y.(a) —2logxI(x) è finita per4=0 e sviluppabile in serie di potenze di 4. Noi possiamo trarne la triplice conseguenza che (1) Recherches sur les fonctions cylindriques. Math. Ann., B. XVI, S. 51. (2) Il secondo membro della formula precedente è complesso solo in apparenza, come si potrebbe verificare, tenendo presenti gli sviluppi delle funzioni I ed Y. Per lo scopo nostro serve però benissimo la forma sopra indicata. (3) Ib., S. 34. RenpICcONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 5 SR ge Yo(ZQairt cos g) — 2 log tI(2adt cos g) è funzione di # regolare per {=0, che Y,(2azzrt cos g) — 2 log a In(Qairtt cos g) è funzione di @ regolare per = 0 e che Y,(2aizrt cos p) — 2 log cos pI(2aizzt cos g) è funzione di gp, regolare per g = 3 5 Dopo ciò, si conclude senza difficoltà (') che, per certi intorni di {=0 esi tai —=0si tha: (5) h(t)=— 4ralogt + Ri(t) + #° log # Ra (0) , (6) Ml 47 log a + Rs(a)+ a? log a Ri(a) , R,,R:, R; ed R, designando serie di potenze. Cerchiamo da ultimo ciò che avviene della funzione %,(4), quando % cresce indefinitamente. Osserviamo a tale scopo che l’espressione precedente SIAE” 2 di (0 3a ( #49 | AIA, tenuto conto del valore I a N84 da? così g testè trovato per l'integrale interno, diviene : hi(t) = 4a fe mi I(Qaisrt cos p) — Yo(Zadrt cos g) (ag £ 0 La quantità sotto il segno, come si è già osservato, è una funzione della variabile 4 solo apparentemente complessa, la quale diviene infinita loga- ritmicamente appena nell'estremo superiore dell'intervallo di integrazione (9 dl potremo dunque applicare il primo teorema della media e at- tribuire ad /,(#) la forma: hi(t) = 2rra mi l,(2ai mt cos p)—Yo(Qaint cos gp)i, CA È TE + ) ; g essendo un certo valore di g, compreso fra 0e =, gli estremi esclusi. 2 Sotto questo aspetto si riconosce subito che /,() si annulla d'ordine si per {= 0, poichè, secondo una osservazione di Poisson, tale proprietà, al crescere indefinito dell'argomento, appartiene sì alla funzione I che alla Yy (?). (*) Basta tener presente che la Io è una funzione pari, eguale all’unità per il valore zero dell'argomento. (2) Per dare a questa dimostrazione un carattere di completo rigore, avremmo do- vuto mostrare altresì che il gruppo dei valori, assunti dalla funzione $ al crescere inde- finito di £, zon ammette come punto limite: ciò avrebbe per altro richiesto considera- zioni minuziose, soverchiamente discoste dallo scopo della presente Nota. 2 317 Se Riassumendo, abbiamo stabilito che la funzione #,(%) della variabile e del parametro 4, supposto a > 0, diviene infinita logaritmicamente per t=0, è diversa da zero e positiva per ogni valore finito di f e si annulla all'infinito d'ordine 3: oltre a ciò, in un certo intorno di 4= 0, sussiste la (6). Ciò posto, notiamo ancora che il potenziale P_ delle masse inducenti è, nei punti ad esse esterni, ed in particolare sopra la superficie cilindrica, una funzione analitica di 2 e quindi ammette derivate di tutti gli ordini, nulle (0°) anch'esse all'infinito. Questo permette di eseguire in [ cos ri(s—s)P(4, a) de dl una duplice integrazione per parti rispetto a 3, assumendo ciascuna volta il fattore trigonometrico come fattore differenziale; siccome i termini ai limiti svaniscono, dividendo anche per %,(4), si ha l'identità: Il E 3° Pa) rd hi(0)e co) cos T7(8—8 | ( ) de - n 1 ke = ==; s— 6 dele 2%, hi (0). co: tt ( s) P(2, a) d da cui agevolmente deduciamo che la funzione: — (cos ai(e — s) P(2, a) de hi(t)- — 0 i i 5 e integrabile rispetto a £ fra 0 e co. E per verità, ciò che si è visto, ri- spetto alla natura della funzione %,(t) per valori finiti di 7, stabilisce sen- z'altro l'integrabilità di api cos 71(:—s) P(,a)dz in ogni inter- 1 SEI vallo finito; la relazione identica sopra accennata permette poi di assumere per limite superiore anche l'infinito. Î cos 7f(: —s) P(c, a) dz sotto la forma: —_ 1 Prendendo infatti — —— hi(t) i — f cos srt (€ — s) P(c, a) ds, abbiamo che separatamente i due fattori TOGA hi(t) SE Il io Di P(#,0) È OE) ==“; COS 2 S dz soddisfanno alle condizioni di in- Mo tegrabilità, quando il limite superiore converge verso l' infinito; ERO 5 1 : AN OR Si, È DAEena in quanto ha all'infinito uno zero d'ordine DI) e il cos 776(2 — s) o, — 2 in causa del teorema di Fourier, per cui, avendosi: ara i RAEE (61,10) BMD E (to) Saef coswee — s) FP de= ni Pe Fi DALE siamo fatti certi che lim di f cos i (e — s) Sera) dE=0a B,f=0v/8 o Li Milo FUeno : 1 È SE (di Dimostrata così la convergenza di — NO) cos rt(e—s) P(2,a) de, LAT) avremo dalla (1), dividendone entrambi i membri per /;() e integrando fra 0 e 00: i — f di | cos 7et(e — s) P(e, a) de= f di f cos 7et($ — s) u(é) dé . ATO hi(0). SEI 0) 00 Supponendo che all’incognita funzione u($) sia applicabile il teorema di Fourier, abbiamo per essa l'espressione: © (db «== f TO) foco. nt(s — s) P(2,a)dz, di cui oramai ci resta solo a constatare l'effettiva validità mediante diretta sostituzione nella (1). In primo luogo, ponendo & al posto di s e s al posto di 2, potremo scrivere: (7) Mo I si i | cos at(s —$)P(s,a)ds e il secondo membro della (1) assumerà l'aspetto : rina - Aadg Sal 0 fo cos at(s—t)P(s,a) ds f pri Invertendo, il che si riconosce facilmente essere lecito, l'integrazione rispetto a È con entrambe le intermedie rispetto a Z e ad s, si ottiene: ; i 4adgp PIù (7) ; fi (1) da A ci, di n 4adg tn (Î- È P(s,a) ds Ji cos rt (s —C) dé 1 essi, VED Pia dd se g Ora, se nel terzo integrale si assume 4 = — 2 come variabile di integra- zione, si ha l'identità : I cnr) f* GG /_00 V(—0)}+4a—4a? sen? 9 = oosat6—a) f cosnra f* _— Ma V/2° + 4a? — 4a? sen? g 0 a 4 +smet(s—3)f. sonni da f> ty, -% o VA + da? — 4a? sen? g LC SIIO) n la quale, in causa della (4), e per essere: e sen s7/à di so nat dad — /_w o VI° +4 4a — da sen? sì riduce semplicemente a: (O cossri (s — €) dé = = vo 0 —C)+4a?—4a?sen*g Infine, portando questo valore nella (7'), troviamo: co n z 4dadg I u(6) dé i) V(e — ©) + 4a° — 4a? sen? (Co) 0 IAN i hi(t) cos rt (s— e). -—-f di ( cos af (s— <)P(s,a)ds=—P(z,a), 0 Y —0%0 in virtù del teorema di Fourier. Con ciò resta provato che la funzione (6), definita dalla (7) soddisfa effettivamente all’equazione (1) e rappresenta per conseguenza la richiesta densità della distribuzione indotta. Abbiamo dalla (7) che la quantità di materia, la quale viene a disporsi sulla superficie di un segmento cilindrico di spessore dî, può essere espressa da: Py A0) hi (9) (4) Supponendo 4 molto piccolo, cioè passando al caso limite del filo con- duttore, il primo membro, diviso per dé, rappresenta la densità lineare, che indicherò con v (6); la (6) ci dà poi: 2774 R; (a) a° R.(0)\"} 00 =! +>. ne he) a 2a u(î) di = — A uf cos et (s— l) P (5, a) ds. e, supponendo « così piccolo che i termini del tipo (e a più or a’ log a forte ragione i successivi p=l,qg=2,0vverop=2,q=1l)si SICA (log a)?’ possano trascurare di fronte ad , ne deduciamo: a log 4 quindi : 1 2 logaL De af, cos at (s— é) P(s,a)ds, LAZ PA donde, al solito, applicando il teorema di Fourier: ] 2 loga (8) v(0)= IR(C,9) Leggiamo in quest'ultima formula la proposizione seguente: « Un filo rettilineo indefinito a sezione circolare, in presenza di « masse esteriori, si elettrizza in modo che la densità lineare della di- « stribuzione indotta è, in ciascun punto, direltamente proporzionale al « potenziale esterno, e varia da filo a filo în ragione inversa del loga- « ritmo del raggio della sezione ». Nell'enunciato di questo teorema non è detto che la distribuzione indu- cente sia simmetrica, poichè il teorema stesso può ritenersi indipendente da tale condizione restrittiva. Qualora infatti lo spessore del filo sia abbastanza piccolo, il potenziale esterno può assumersi costante lungo ciascuna sezione circolare ed è quindi applicabile il procedimento testè indicato. Fisica terrestre. — Misure relative della componente oriz- sontale del magnetismo terrestre sul Monte Rosa, a Biella ed a Roma. Nota di ALronso SELLA, presentata dal Socio BLASERNA. Mi propongo in questa Nota di esporre i risultati di alcune misure rela- tive dell'intensità orizzontale del magnetismo terrestre, eseguite negli anni 13893 e 1894; le misure del 1893 furono fatte da me solo, quelle del 1894 in unione col dott. Antonio Ragnoli. Veniamo dapprima ad una breve descrizione delle stazioni di osservazione. Roma. — Come località fu scelta la Farnesina, già dettagliatamente stu- diata dal Folgheraiter e che ha servito come stazione centrale al Keller nelle sue numerose misure magnetiche nel Lazio ('). Biella. — Le misure vennero eseguite nell’altipiano di alluvione sulla sinistra del torrente Cervo, presso le località dette S. Gerolamo e Rotonda. In simili terreni di alluvione alpina sono per vero a temersi perturbazioni magnetiche, potendo l'osservatore essere condotto a disporre l'apparecchio in vicinanza di un blocco, p. e., serpentinoso o dioritico, od anche di magnetite ricoperto dallo strato di terreno coltivato. Questo pericolo è però facile ad evi- tarsi, se sì è constatato che uno spostamento del luogo di osservazione non (1) G. Folgheraiter, Sulla scelta d'un terreno per osservazioni magneto-telluriche. Elettricista, II, 1893, p. 91. — F. Keller, Risultati di alcune misure relative dell'inten- sità orizzontale del magnetismo terrestre, Roma, 1894; e Sull'intensità orizzontale del magnetismo terrestre nei pressi di Roma, Roma, 1895. ei = produce delle variazioni sensibili nelle indicazioni dell’istrumento, oppure se sì studia l’intorno della stazione coll'aiuto di una bussola di declinazione. Monte Rosa. — La recente costruzione della capanna Regina Margherita sulla Punta Gnifetti (m. 4560) facilita assai le misure a quelle grandi al- tezze. L'altipiano estremo formato dal ghiacciaio del Grenz, cioè un formida- bile ghiacciaio ricoprente roccie che offrono segni di magnetizzazione solo negli estremi cocuzzoli delle punte ('), costituisce un luogo molto adatto per mi- sure magnetiche, potendosi escludere a priori perturbazioni locali. Le osser- vazioni vennero fatte sul ghiacciaio in diversi punti, non lungi dalla strada che si tiene ordinariamente per salire sulla Gnifetti dal colle del Lys ed al- l'altezza circa di m. 4300. Riporto pure le misure fatte sul ghiacciaio del Garstelet in località ove le perturbazioni sono assai più temibili, causa la na- tura delle roccie circostanti. Qui l'apparecchio fu disposto nel mezzo del ghiac- ciaio, all'altezza della via tenuta da chi lo attraversa per recarsi dal colle Vincent alla capanna Gnifetti. Un'ultima stazione venne fatta sul prato che si estende a valle dell’al- bergo Thédy a Gressoney la Trinité, in località che sì poteva a priori ritenere perturbata, perchè direttamente su terreno serpentinoso. Metodo di misura. — Questo consisteva nel paragonare la durata di oscillazione di una sbarra magnetica parallelepipedica lunga 16 cm. e del peso di 40 gr., costruita da oltre 20 anni e quindi offrente garanzie di costanza del momento magnetico. La sbarretta sospesa ad un sottilissimo filo di seta lungo circa un metro, rinchiusa in una cassetta ed oscillante per le punte sopra due divisioni lineari, costituisce un apparecchio assai comodo per le mi- sure e molto preciso, come lo dimostrano le numerose misure fatte dal Keller nel Lazio. Un eccellente cronometro Dent tascabile ed un termometro Baudin diviso in gradi, servivano alla misura del tempo e della temperatura della sbarretta. Prima dell’osservazione si aprivano i vetri della cassetta facendo oscillare il magnete per un'ora e mezza, affinchè esso assumesse la tempera- tura dell’aria. Si aveva cura di osservare in luogo protetto dai raggi solari e dal vento; questo si otteneva sul ghiacciaio sotto la tenda rincalzata tut- t'all'intorno di neve. Si poneva in oscillazione la sbarra con un magnetino ausiliare, che poi veniva immediatamente portato a grande distanza (sul ghiacciaio bisognava anche allontanare gli scarponi a chiodi, gli occhiali da neve ecc.); indi: si determinavano gli istanti dei passaggi della sbarra per la posizione di equilibrio nelle prime dieci oscillazioni, e poi gli istanti di passaggio nella oscillazione centesima sino alla centodecima, prendendo poi la media dei dieci intervalli di cento oscillazioni (intere) l’uno. L'orologio veniva tenuto nel piano normale al meridiano magnetico passante per il centro (1) E. Oddone ed A. Sella, Contributo allo studio delle roccie magnetiche nelle Alpi centrali. Rend. 1891, VII, 1° sem., p. 100. I della sbarra durante le osservazioni, e poi discosto nell’ intervallo dalla de- cima alla centesima oscillazione. Il coefficiente termico del magnete fu determinato nell'Istituto fisico di Roma col metodo delle tangenti tra le temperature 0° e 40°. Come media delle misure fatte a più riprese, risultò il valore 0,000093. Questo numero insolitamente basso — circostanza estremamente favorevole nelle mie misure, che comportavano differenze di temperatura assai notevoli — è proprio al limite estremo inferiore assegnato dal Lamont al coefficiente termico dei magneti, ritenendo egli che esso varii fra 0,0001 e 0,001 ('). Assumendo come coeffi- ciente di dilatazione dell'acciaio il valore 0,000012, le durate di oscillazioni vennero moltiplicate per (1 —0,000058 6) essendo 6 la temperatura della sbarra. La correzione per l'ampiezza di oscillazione venne fatta colla nota for- mola di Borda; questa correzione ha del resto pochissima importanza in mi- sure relative nelle quali — come fu fatto — si abbia cura che l'ampiezza ini- ziale e finale sieno sensibilmente le medesime (dell'iniziale si può natural- mente disporre a volontà; la finale dipende per lo stesso apparecchio dalla maggiore o minore altezza della sbarra sul fondo; la costanza del resto del- l'ampiezza finale è un eccellente criterio per riconoscere se durante le oscilla- zioni è intervenuta qualche causa perturbatrice come urto, soffio di vento ecc.). Finalmente l'essere la pressione atmosferica sul Monte Rosa quasi la metà. come nelle altre due stazioni principali, non influisce sulla durata di oscillazione, essendo, come è noto, la resistenza dell’aria in prima approssima- zione di nessun effetto sulla durata di oscillazione; nè è a temersi che cambii il momento d'inerzia della sbarra a causa della diversa massa d’aria trasci- nata insieme nel movimento; ci rassicurano in proposito le esperienze di Lamont (*). Risultati. — Riporto in seguito i valori corretti della durata in secondi di un’oscillazione intera. 1895 Biella. Punta Gnifetta. 26 agosto 11”,6615 20 agosto RESTSIo 27.» 6576 ZI 7392 30.» 6844 29 settembre (3) 7308 Sit 6703 (1) Lamont, Handbuch des Erdmagnetismus. Berlin, 1849, p. 124. (3) Lamont, Reduction der Schwingungen eines Magnets auf den luftleeren Raum; Pogg. Ann. 71, 1847, p. 124. (3) In questa seconda spedizione alla Punta Gnifetti, potei fare una sola osservazione il giorno dell’arrivo; poscia fui colto da una violenta bufera, che mi costrinse nell’ interno della capanna Margherita per molti giorni, rendendo poi difficile e pericolosa la discesa, causa la grande copia di neve fresca caduta. BSMo Biella. Garstelet. 1 settembre 6648 22 agosto 11”,7228 2 ” 6703 Gressoney la Trinite. 5 ” 6688 16 agosto 11”,8738 6 ” 6770 IR 38879 q ” 6616 23» 8847 8 ” 6759 9 ” 6692 Jil ” 6844 13 ” 6684 15 ” 6735 16 ” 6741 I valori riportati per un dato giorno rappresentano soventi la media di due o tre misure; ma non per ciò sarebbe il caso, nel fare le medie per cia- scuna località, di dare pesi diversi ai valori per ciascun giorno, trattandosi di misure di una grandezza variabile col tempo, le cui variazioni possono essere molto superiori agli errori di osservazione. Avremo dunque Biella. 26 agosto - 16 settembre 11”,6708 Punta Gnifetti. 20 e 21 agosto; 29 settembre 11,7346 Ghiacciaio Garstelet. 22 agosto 11,7228 Gressoney la Trinité. 16-23 agosto 11,8821 Dalle misure del 1893 risulta adunque come rapporto del valore della componente orizzontale a Biella e sul Rosa (Punta Gnifetti) bs = IOULOS G Veniamo ora alle misure del 1894. Biella. Roma. 25 luglio 11”,6871 26 aprile 11”,1464 27.» 6937 6 maggio 1489 28» 6855 90.» 1578 o 6756 4 luglio 1328 8 dicembre 1383 1 agosto 6811 12 ” 1406 DICO 6753 13 5 1416 A 6703 IZ » 1396 TOSO 6679. Punta Gnifetti. con 6770 22 agosto 11”,7346 UO 6671 25.» 7467 IL 59 6687 26000 7321 TE) 6683 27000 7219 IO a 6778 Garstelet. 27 agosto 11”,7220 Gressoney la Trimte. 19 agosto 11”,8885 RENDICONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 6 i pg E le medie risultano in: Biella. 25 luglio - 29 agosto 11”,6766 Roma. 4 aprile - 17 dicembre 11,1433 Punta Gnifetti. 22-27 agosto 11,7338 Ghiacciaio Garstelet. 27 agosto 11,7220 Gressoney la Trinité. 19 > J1,8885 e quindi avremo i rapporti Hg Ha fra La 1,0098 a 1,0980. Quest'ultimo rapporto fra Roma e Biella ove venisse corretto per l’effetto prodotto dall’induzione della Terra sulla sbarra, non sarebbe alterato che di una od al più due unità nell'ultima cifra decimale. Il confronto tra i valori della componente orizzontale a Biella e sul Rosa potrebbe gettare luce sull’ importante questione della variazione del magne- tismo terrestre coll’altezza, sulla quale si hanno dati assai scarsi. Infatti poco si può dedurre dalle vecchie misure di Biot e Gay-Lussac in pallone areostatico, di Saussure sul Monte Bianco, di Kupffer nel Caucaso, di Laugier e Mau- vais sui Pirenei, di Bravais sul Faulhorn e sul Monte Bianco. Dalle osser- vazioni di Erman (Newjansk, Jekaterinenburg), di Locke (Canada), di Lenz (isola Jussar-Oe) e dalle misure di O. E. Meyer nei monti della Slesia e della Boemia, risulta in modo concorde che l’intensità orizzontale cresce coll’altezza in monti costituiti da roccie magnetiche. Così le misure di declinazioni fatte da Oddone e Franchi sul monte Gronda, le numerose osservazioni di Folghe- raiter, di recente pubblicate in questa Accademia, sulle condizioni delle roccie magnetiche nel Lazio, conducono a considerare un monte formato da roccie magnetiche come magnetizzato per induzione dal campo terrestre e questo porta senz'altro ad un aumento dell'intensità orizzontale sulla vetta. Invece importerebbe assai anche sotto il punto di vista del problema teo- rico del magnetismo terrestre, il conoscere come stieno le cose quando si para- gonino fra di loro due stazioni a grande differenza di altezza, ma situate sopra terreno non magnetico, ed a sufficiente distanza da terreni magnetici. Ora se la prima condizione è soddisfatta per le due stazioni Biella e Punta Gnifetti, non può dirsi altrettanto della seconda; come lo provano le roccie fortemente magnetiche a punti distinti che io ho riscontrato sul Riffelhorn, a Zermatt, sul colle del Teodulo, sul Piccolo Cervino, presso il Col d'Olen, presso Gressoney (vedi questi Rend. 1891, VII, 1° sem., p. 100) ed inoltre i valori assolutamente anormali della componente orizzontale ad Alagna e Gres- soney, determinato il primo da Battelli, risultante tale il secondo dalle mie misure relative. E del resto ai piedi del Monte Rosa abbondano tutto all’’at- CSR USA torno roccie amfiboliche e serpentinose dotate di magnetizzazione molto intensa. E voglio ancora fare osservare che le mie misure a Gressoney la Trinité die- dero valori concordanti anche spostando l'apparecchio di 200 metri, dal che risulta che si hanno qui anomalie che interessano vasti tratti di terreno e non le comuni irregolarità a brevissimi intervalli delle roccie a punti distinti. Ad ogni modo data la distanza sia orizzontale, sia verticale della sta- zione sulla Gnifetti da queste località perturbate, non sarà del tutto inutile il confrontare sotto questo punto di vista Biella col Monte Rosa con un dislivello di circa 4000 metri. Bisogna però tenere conto della differenza di latitudine, ed è questa una correzione non facile, essendo assai incerto il gradiente della componente orizzontale, quando si attraversano le Alpi. Per averne un'idea, ho paragonato il valore della componente orizzontale a Novara determinato dal Chistoni (*) coi valori in stazioni della Svizzera all'incirca sul medesimo meridiano determinati dal Battelli (?) in terreni meno sospetti per la loro natura geologica. Risulta da questi confronti come gradiente al minuto di latitudine : Novara. — Gòschenen. . . . . . 0,00034 ” ie lenire i: Po 32 ” DARE GOLE AO DI ” MELO AE Sl ” Minthilol. (sgengi. 32 Media 0,00032 Ora la differenza di latitudine delle mie due stazioni a Biella e sul Rosa è di circa 21’ e quindi il rapporto Hs| Hz dovrebbe essere secondo tale gra- diente 1,0067 invece del valore osservato 1,0104. Quindi, con tutte le riserve fatte avanti, si verrebbe a concludere che la componente orizzontale diminuisce coll’altezza e col gradiente di circa 0,001 ogni mille metri. Fisica. — Azione di un raggio luminoso, periodicamente inter- rotto, sul selenio (®). Nota del dott. Quirino MAJORANA, presentata dal Socio BLASERNA. Facendo seguito ad un mio precedente lavoro (4), sulla rapidità dei fe- nomeni foto-elettrici del selenio, espongo delle altre esperienze e considera- zioni sull'argomento. Ricordo anzitutto brevemente i risultati di quello. Illuminando una cel- (*) Annali dell'Ufficio centrale Meteorologico e Geodinamico italiano, serie 2* ,vol. VIII, parte I, p. 104, 1889. (2) Id. id. serie 2°, parte III, vol. XI, 1891. (8) Lavoro eseguito nel R. Istituto Fisico dell’Università di Roma. (4) R. Acc. dei Lincei, 1894, vol. III, 1° sem., fasc. 3°. Pi lula a selenio, l'abbassamento di resistenza elettrica prodotto, non iscompare istantaneamente col cessar della luce, ma perdura assai sensibilmente sino a parecchi secondi dopo. Il fenomeno è rappresentato, per una cellula da me costruita, e di cui diedi la descrizione nella mia prima Nota, dalla curva C, della fig. 1. In questa l’asse OX è quello dei tempi contati a partire dal- l'istante in cui l'illuminazione cessa, e l'asse OY quello delle resistenze della cellula. Parecchi anni or sono i sigg. Bellati e Romanese assoggettarono una cellula a selenio del Bréguet di Parigi, all'azione di un raggio periodica- mente interrotto da un disco girante con fori alla periferia (‘). Osservarono che la resistenza di quella restava immutata al variare della velocità rota- dI | 7 o. | pi Resistepza ord delselenzo | 2.58 100-okb od Migliaic{ ra To] diohm \ asa A 250 i ZA == op 220 X Brcaple toria del disco. Gli sperimentatori operarono con dischi aventi rapporti va- riabili tra i pienî ei vuoti, e n qualunque caso trovarono che, variando la velocità, la resistenza della cellula restava costante per lo stesso disco. Ine- sattamente gli autori ne trassero la conseguenza di una estrema rapidità nello svolgersi dei fenomeni foto-elettrici del selenio. Ho ripetuto infatti l’espe- rienza, servendomi di un galvanometro semplice anzichè differenziale, come era quello adoperato dagli autori, e il risultato da me ottenuto è stato iden- tico a quello di questi; vale a dire la deviazione del galvanometro rimaneva assolutamente costante, malgrado che avessi spinto il numero delle interruzioni del raggio luminoso, sino a 10,000 per minuto secondo. Ho operato con due dischi di differente costruzione. Uno di essi, in metallo e di circa 10 cm. di raggio, aveva 100 tagli radiali partenti dalla periferia. Le larghezze dei tagli (1) Atti del R. Istituto Veneto di sc. lett. ed arti, 1888. Me — dl e quella dei denti che ne risultavano, erano eguali; eguali dunque erano le durate di illuminazione e di oscurità. Potevo animare il disco della velocità di circa 100 giri a 1” corrispondente alle 10,000 interruzioni di cui ho detto. Ma al fine di meglio studiare il fenomeno, ho voluto costruire un disco che mi permettesse, mediante un semplice congegno meccanico, di far variare a volontà il rapporto delle durate di luce e di oscurità. Esso è rappresentato dalla fig. 2; era in sottile metallo e fornito di aperture o finestre triango- lari come si scorge dal disegno. Dirigendo un fascio di luce concentrata da una lente contro il forellino F della lastra metallica P fissata al sostegno del disco, e quindi non girevole con questo, a seconda che essa veniva più o meno avvicinata al centro del disco, al girare di esso, potevano rendersi le Fio. 2° durate di illuminazione più grandi o più piccole di quelle di oscurità. Per ogni posizione dunque della lastra P il galvanometro dava deviazioni diverse. In tale guisa ho determinato ogni volta la resistenza media della stessa cellula che fornì la curva C,, comparandola come già avevo fatto in prece- denza con quella, conosciuta, di una soluzione di solfato di rame. Per ragioni. che si rileveranno in seguito, regolai l'intensità del fascio luminoso adoperato, in modo che per una continua illuminazione della cellula questa presentasse una resistenza di circa 200,000 ohm, mentre al buio ne presentava una di 260,000 circa. Queste due cifre sono i limiti dentro cui avevo, per lo studio da me fatto in precedenza, la conoscenza della C, (fig. 1). Un mag- giore abbassamento avrei potuto provocare nella resistenza della cellula, ser- vendomi direttamente della luce solare. Riporto le medie delle osservazioni : Durata Resistenza della cellula della luce della oscurità per qualunque velocità del disco 1 0 200.000 ohm 1 1/, 206.200» 1 I/, 210.400» 1 Il 218.800.» 1 2 239.000.» 1 Ad 248.800» 0 Il 258.100 » Il diagramma della resistenza della cellula per una certa velocità del disco, può essere rappresentato dalla figura 3. In questa è supposto che le durate di illuminazione sieno più grandi di quelle di oscurità. Il modo di variare della resistenza del selenio in un periodo di oscurità, è come si è visto, dato dalla curva C, della fig. 1. Se il periodo è piccolo, come è il caso di quelli generati dalle interruzioni del disco, in modo da non suscitare dali gii ce delle oscillazioni sugli aghi del galvanometro, approssimativamente la resi- stenza crescerà secondo un segmento rettilineo o. Nei periodi di luce invece, poichè si tratta di fenomeno di egual natura, è logico ammettere che la re- ‘ U ' ' ' Ì ' Ì Ì l I I I ' I I ' I 1 09C. sistenza diminuisca secondo altri segmenti rettilinei /. Questi segmenti / sono tutti uno stesso tratto sensibilmente rettilineo di una curva C; (fig. 1) finora ‘conosciuta, come i segmenti o sono tutti uno stesso tratto della Ci. Per una stessa posizione della lastra P della fig. 2, poichè resta immu- tata la resistenza della cellula, pur variando la velocità, i segmenti /. 0, non cambiando di inclinazione, si raccorciano, ed i loro punti di mezzo restano sempre sopra una parallela all'asse dei tempi i cui punti hanno per ordinata il valore di quella resistenza. Si vede dunque che per qualunque rapidità di rotazione del disco, per le ipotesi fatte, la resistenza del selenio oscilla sotto l'influenza del raggio luminoso, ma le ampiezze di tali oscillazioni vanno continuamente diminuendo col crescere della velocità del disco sino a diven- tare insensibili, come ha potuto constatare Mercadier, il quale non otteneva suoni con più di 1800 vibrazioni, da un telefono inserito nello stesso circuito di una cellula. Se cambia la posizione della lastra P, e cioè il rapporto tra le luci e le oscurità, variano le inclinazioni dei segmenti /,0, ed essi saranno due piccoli tatti delle C, e Cz staccati metà a destra e metà a sinistra di quei punti di medesima ordinata in cui /e tangenti trigonometriche delle due curve hanno valori inversamente proporzionali alle durate di oscurità e di luce, e di segno contrario. Ma vediamo se non si possa ricercare, coi dati che si posseggono, la curva C.. Riportisi sopra delle rette parallele ad OX (fig. 1), passanti per i va- lori delle resistenze assunte dalla cellula sotto l’azione del raggio luminoso periodicamente interrotto, e a partire dall'asse OY, i rapporti numerici delle rispettive durate di oscurità e di luce. Si otterrà la curva C, che chiamo per semplicità curva delle tangenti, e che partendo dalla resistenza mi- 0 A nima 200,000 ohm, diventa assintotica alla retta parallela ad OX di ordi- nate eguali alla resistenza massima 258,100 ohm. La scala delle ascisse di questa curva potrebbe nel disegno essere arbitraria. Ma per comodità l’unità è rappresentata dallo stesso segmento che per la C, rappresenta l’unità di tempo e cioè il minuto secondo. È ora facile trovare la C;. Si conducano delle rette parallele all'asse dei tempi come le due P'P e Q'Q. Esse deb- bono essere distanti tra di loro in guisa da intercettare sulla C, dei tratti che sensibilmente possano ritenersi rettilinei, come è il tratto PQ. Sia m la lunghezza del segmento proiezione di PQ sopra OX, segmento che non è segnato in figura. Se si traccia a partire da un punto arbitrario Q' di QQ' un tratto rettilineo Q'P' compreso tra QQ' e PP', tale che la sua proiezione sopra PP' sia (AMO pren Q'P' sarà un tratto della curva C;. La ragione di ciò è manifesta, tenendo conto di quanto precedentemente si è visto. Si prosegue quindi da P' in giù il tracciamento della C;, in guisa affatto analoga. Siccome la curva C, è assintotica alla retta RS, così è diffi- cile il tracciamento del segmento RQ' della C;, anche perchè l’ultimo tratto della C., è stato tracciato per extrapolazione grafica al di là del punto ul- timo osservato T. È quindi necessario costruire egualmente per extrapola- zione il tratto RQ', e poi spostare tutta la C, con moto parallelo ad OX, sino a che il suo punto estremo R venga a giacere sopra l'asse OY delle resistenze. Quest'ultima operazione non è indicata nella figura per sempli- cità, e la C, è nella sua giusta posizione. Osservo che anche commettendo un errore sulla costruzione dell'ultimo tratto RQ', ciò non può portare che una piccola influenza sopra la posizione della C3, perchè questa in quel tratto ha una tangente molto grande, astrazione facendo dal segno. È facile in base alle considerazioni ed ipotesi fatte, trovare una rela- zione analitica tra le curve C,,C:,C3. Sia P=I(0) l'equazione della Ci dove 7 rappresenta la resistenza variabile del selenio, e { il tempo. Scrivasi la stessa, ponendo come variabile indipendente la {: if) L'equazione delle tangenti trigonometriche 4, a C,, riferite all'asse OY, ossia delle cotangenti riferite ad OX è di df (7) (1) nre ‘dr TONG — 50 — Sia ora e= (0) l'equazione della C,; poichè nel caso della figura l’unità di misura’ del parametro variabile e fu scelta linearmente eguale a quella del tempo, così sì potrà anche scrivere: i=(7) (#70 è per cose già viste il valore della tangente trigonometrica della Cz con segno cambiato, nel punto di medesima ordinata a quello in cui è stata L'espressione presa la derivata di per la C,. E quindi l'equazione analoga alla (1) per le tangenti della Cz è Mg I 5 Tal È ci (7) (2) Mi ORO dre dr (7) che integrata dà l'equazione della C;: toi Uf(ai «== de PO dr +4 Cost. Non è facile determinare la natura delle tre curve C,, C., C3; avrei po- tuto. mediante il metodo delle costanti fisiche, trovare delle espressioni ana- litiche più o meno approssimate delle C, e C., e conseguentemente se l’in- tegrazione fosse stata possibile, trovare l'equazione della C3; ma ciò non sarebbe stato di grande importanza. Invece farò vedere che se fosse lecito supporre che la variazione della resistenza della cellula avvenisse con legge analoga a quella della propagazione del calore, vale a dire fosse propor- zionale alla differenza tra la resistenza finale (in luce od in oscurità) e quella variabile in ogni istante, sarebbe facile trovare una espressione della C.. Sia dunque secondo l'ipotesi fatta (3) 5 =ec(R— nr) la equazione differenziale della C,. Le resistenze vengono contate a partire dall'origine 0, e quindi nel caso della figura esse sarebbero state tutte di- SEI) minuite di 200,000 ohm. Nella precedente espressione R è la resistenza or- dinaria, quando cioè la cellula non è colpita da luce, ed 7 è quella varia- bile, c è una costante di proporzionalità. Analogamente l'equazione della Cz è (4) — === Le due espressioni (3) e (4) integrate danno due equazioni esponenziali per C, e C3 e cioè ct =—log.(R—7)+ H (oscurità) — log.r +{/K (luce) dove H K sono due costanti, od anche Si Ss r= R— he- (oscurità) PE he-°! (luce) L'espressione (2) della C, si può anche scrivere dr dt (A Servendosi dunque dei valori di queste due derivate dati dalle (3) e (4) si ha MC eR—r) Se essa vien riferita invece che agli assi OX ed OY, ad RS, e ad un asse delle resistenze che si trova spostato rispetto ad OY verso i tempi ne- {7 0 c È : gativi per la costante 2° esule la forma assai semplice; nok. c Il che dice che C, è un’iperbole equilatera i cui assintoti sono l’asse RS ed una retta parallela ad OY, e che si trova sulla sinistra di questa a una r È c distanza eguale alla cost. mar La curva C,, per una stessa cellula, è unica, perchè come altrove feci osser- vare, è logico ammettere che se una particella di selenio in un certo istante ha una resistenza diversa da quella che essa avrebbe qualora non fosse stata per- turbata da azione luminosa, da quell’istante la resistenza vada aumentando, e ciò sempre alla stessa guisa, indipendentemente dall'essere stata colpita da luce più o meno intensa e per tempi più o meno lunghi. — (ct +4 K) ReENDICONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. Yi SP 7 pe Ma di curve Cz ve ne possono essere infinite, poichè ad ogni intensità luminosa corrisponde una curva diversa. È chiaro però che, prescindendo dal fatto che una luce troppo intensa può alterare la sensibilità di una cellula a selenio, tali curve non possano oltrepassare una certa posizione di 0%, più bassa di quella segnata nella fig. 1, che sarà la posizione limite dell'asse dei tempi, e ciò perchè non è ammissibile che la resistenza della cellula possa decrescere indefinitamente. Poichè per ogni intensità luminosa vi è una curva Cs speciale, e quindi anche una C;, la legge con cui decresce la resistenza del selenio sotto l’azione della luce, non è in generale esattamente l’inversa di quella con cui, succes- sivamente, cresce nell'oscurità. In un modo simile a quello con cui ottenni la C,, potrebbe tentarsi la ricerca diretta della C; termino dunque proponendo a chi volesse studiare l'argomento, la verifica sperimentale delle considerazioni fatte. Chimica biologica. — Sopra un fermento solubile che si trova nel vino. Nota di GruLio ToLOMEI, presentata dal Socio BLA- SERNA. È noto che l’azione dell’aria sul vino provoca l'ossidazione della materia colorante, la rende insolubile e sviluppa dei profumi particolari. Il Martinand ha emesso l'ipotesi (') che queste reazioni possano essere prodotte da un fermento solubile, o ezeima, avente le proprietà di quello, chiamato /ae- casi, trovato dal Bertrand in diverse parti di molte piante (2). Le esperienze seguenti confermano tale ipotesi. Le uve mature dànno, all'aria, con la tintura di resina di guaiaco, con l’idrochinone e col pirogallolo le reazioni caratteristiche indicate dal Bertrand per la laccasi; e tali rea- zioni non hanno più luogo se il liquido ottenuto da quelle uve si riscalda a 100°; il mosto non si decolora più all'aria, ma acquista di nuovo questa proprietà se si addiziona di enzima precipitato dall'alcool in un mosto d'uva non riscaldato. Esaminando il contenuto degli acini, sì riscontra che il fermento solubile in questione si trova nelle uve matuve in maggior quantità che in quelle acerbe, ed è attorno ai semi che si rinviene più abbondante. Lo studio della fermentazione del mosto dimostra inoltre che il fermento solubile si diffonde molto lentamente, anche se gli acini sono completamente immersi. La polpa dà con la tintura di guaiaco una colorazione molto intensa, mentre il liquido si colora poco; ma se si lasciano le vinacce in contatto (1) Comptes rendus, vol. CXXTI, p. 502. (2) Ibid., vol. CXX, p. 266; vol. CXXI, p. 166. REOR del vino, questo si colora di più in più con la tintura di guaiaco, ed inoltre con dei lavaggi successivi della vinaccia si disciolgono sempre nuove quantità di questo enzima. Di più una fermentazione energica ne fa disciogliere nel mosto una quantità maggiore che una fermentazione lenta, Ci una grande divisione della polpa agisce nello stesso senso. Essendomi proposto di indagare da che cosa potesse prevenire l’enzima in questione, ho istituito alcune ricerche i cui risultati mi sembra che possano condurre a conclusioni molto interessanti. In questa Nota espongo brevemente quello che ho fatto, e quello che ho trovato. * x x Presi del fermento di moscato, come viene spedito di Francia dall'Istituto La Claire, lo aggiunsi a mosto d’uva perfettamente sterilizzato, che non dava all'aria nessuna delle reazioni indicate dal Martinand; lasciai compiere la fermentazione, e dopo avere abbandonato il tutto in riposo, fuori del contatto dell’aria, decantai il liquido sovrastante, ed ebbi così una quantità rilevante di fermento ellittico che lavai a più riprese con acqua distillata e sterilizzata. Posta la poltiglia formata dalle cellule del fermento sopra un pezzo di carta da filtri, la feci un poco asciugare; poi ripresala con acqua cloroformizzata e lasciatala riposare per un paio d'ore, la filtrai ottenendo un liquido legger- mente colorato in giallo, il quale diede all'aria con la tintura di resina di gualaco, con l’idrochinone e col pirogallolo le reazioni caratteristiche indicate dal Bertrand per la laccasi, e dal Martinand per il fermento solubile del vino. Fra queste reazioni quella che riesce sempre meglio è la prima, e con- siste nella produzione di una bella colorazione azzurra della tintura di resina di guaiaco in contatto della sostanza che si studia. Tale reazione non deve essere confusa con quella indicata da Schoenbein, e che consiste nella colo- razione azzurra della tintura di resina di guaiaco in presenza di una mesco- lanza di acqua ossigenata e di diastasi ordinaria ricavata dal malto d'orzo. Gli stessi risultati ottenni con del lievito di birra selezionato ( Saccha- romyces cerevistae) e col fermento apiculato (S. apiculatus). Aggiungendo un eccesso d'alcool al liquido ottenuto nel modo sopra de- scritto, si ottiene un leggero precipitato bianco; e l'acqua madre alcoolica, che si può separare da esso, conserva le proprietà di colorare intensamente in azzurro la tintura di resina di guaiaco; ciò che dimostra che il fermento è solubile nell’aleool di media concentrazione. Questi fatti dimostrano che anche nel fermento ellittico è contenuto lo enzima trovato dal Martinand nel vino, o almeno vi si trova un fermento solubile che gode delle medesime proprietà. E molto probabilmente sono dovute ad un'enzima analogo a quello in quistione le proprietà scoperte qualche anno addietro dal sig. De Rey-Pai- lhade nell’estratto alcoolico del lievito di birra. Per preparare tale estratto io si prende del lievito di birra molto giovane, si sospende in una certa quan- tità d'acqua contenente disciolto del glucosio, si aggiunge dell'alcool ed il miscuglio ottenuto si conserva in un pallone, in un ambiente a 0°, agitandolo di tanto in tanto. Il liquido filtrato, in capo a tre giorni, attraverso ad un filtro ordinario di carta e poi passato alla bugia sterilizzatrice D'Arsonval, è posto sotto la campana della macchina pneumatica, nella quale viene fatto il vuoto per togliere l'eccesso di anidride carbonica. Questo liquido, contenente circa il 20 per certo d'alcool, un poco acido e privo di ogni organismo vivente, gode delle tre proprietà chimiche seguenti: 1° in contatto con lo zolfo produce idrogeno solforato; 2° sviluppa anidride carbonica fuori del contatto dell’aria; 3° as- sorbe ossigeno dall'aria libera. Inoltre, come io ho potuto riscontrare, anche questo liquido dà con la tintura di resina di guaiaco una bella colorazione azzurra, e perde questa proprietà quando è scaldato per pochi minuti a 72°. Con un eccesso d'alcool dà un precipitato bianco di enzima che, aggiunto al liquido riscaldato a 72°, gli fa riacquistare le proprietà perdute col ri- scaldamento. Nessun dubbio quindi che le proprietà dell'estratto alcoolico del lievito di birra preparato nel modo anzidetto, non siano dovute alla pre- senza in quel liquido di un fermento solubile analogo alla laccasi. * x x Il Martinand, volendo vedere se l’ enzima da esso trovato nel vino esercita un'influenza sull’invecchiamento, ossia prende parte alle reazioni che si producono nel vino che invecchia, aggiunse dell'enzima, precipitato con l'alcool, a del vino di Borgogna del 1894, esposto all'aria, e trovò che in capo a 48 ore quel vino presentava un colore più giallo, ed aveva un profumo di vino vecchio molto più accentuato di quello del campione testimonio. Volendomi persuadere della cosa, e nello stesso tempo vedere se l’en- zima ricavato dal fermento ellittico gode delle medesime proprietà, potei constatare un fatto che mi sembra di una grande importanza per l’enologia, giacchè risolve la questione, da tanto tempo dibattuta, dell'origine del profumo del vino. Ricavato una certa quantità di enzima da un fermento di moscato ed aggiuntala a del vino bianco ordinario, riscontrai che non solo questo acqui- stava il gusto di vino vecchio, ma in capo ad un certo tempo, mantenendolo in contatto dell’aria, presentava il profumo particolare del moscato che prima non aveva affatto. Ripetuta l’esperienza con altri fermenti ottenni sempre il medesimo risultato. Aiutando l’azione dell'enzima col porre i recipienti contenenti il vino sotto una campana ripiena di ossigeno, invece che di aria, l'invecchiamento e lo sviluppo del profumo particolare del vino, da cui fu tolto il fermento ellittico che servì a preparare l’enzima adoperato, ha luogo più rapida- mente, e ancora più presto se l'ossigeno della campana è leggermente ozonato. E Ma vi è peraltro una differenza in peggio in confronto col vino lasciato sem- plicemente esposto all'aria, differenza che, sebbene sia molto piccola, è facil- mente avvertita. Non posso dir nulla relativamente a quello che succede quando il vino, invece di essere esposto all’aria, è chiuso in recipienti nei quali l'ossigeno non arriva che lentamente attraverso alle pareti o ai turaccioli di sughero; ma ho incominciate alcune esperienze in proposito, e ne darò a suo tempo i risultati. Adoperando del vino perfettamente sterilizzato si ha sempre lo sviluppo del profumo dopo l'aggiunta dell'enzima ottenuto da un dato fermento, accompagnata dall'esposizione all'aria; ciò che dimostra che le idee che si hanno sopra i processi chimici che si producono in un vino che invecchia, devono essere modificate. Quando il vino ha finito di fermentare nel tino, l’azione del fermento figurato è finita, e comincia allora quella dell'enzima elabo- rato da quel fermento, azione lenta che ha per effetto il deposito della ma- teria colorante e l’eterificazione dell'alcool. Un altro fatto che conferma questo modo di vedere, è che, mentre l’azione della luce non è favorevole allo sviluppo dei fermenti figurati, favorisce l'azione dell'enzima. Infatti, aggiungendo dell'enzima ottenuto nel modo in- dicato sopra a due porzioni uguali dello stesso vino sterilizzato, ed espo- nendo l'una alla luce del sole e mantenendo l’altra nell'oscurità, alla stessa temperatura, si ha nel primo vino, dopo 48 ore, lo sviluppo del gusto di vec- chio, mentre nel secondo non si riscontra alcuna modificazione, ed è solo dopo un tempo molto più lungo che si comincia a produrre un leggero ac- cenno alle modificazioni anzidette. Ora, tutti sanno che un mezzo per invec- chiare rapidamente il vino consiste appunto nell’esporlo, in bottiglie di vetro ben trasparente, all'azione della luce solare; quindi nessun dubbio che l'in- vecchiamento non sia prodotto dall'azione del fermento solubile in questione, favorita dalla luce del sole. Questa interpretazione del fenomeno è confermata anche dal fatto se- guente. Per conservare un fermento purificato e mantenergli le sue proprietà per servirsene in seguito, si paralizza la sua attività, ossia si esaurisce fa- cendolo vivere in un mosto costituito da acqua zuccherata al 10 per cento, che si rinnova fino a che esso sia divenuto incapace di agire su questo mezzo, e di manifestare il più piccolo sintomo di fermentazione. Questo fermento, conservato sotto l’acqua zuccherata, si risveglierà quando sarà posto in un mosto contenente tutti gli elementi necessarî al suo sviluppo. Ora, durante il periodo che precede questa specie di letargo. mentre le cellule agiscono ancora un poco sull'acqua zuccherata, si produce in questa il profumo particolare del vino a cui il fermento adoperato darebbe luogo, e decantando quest'acqua zuccherata si ottiene un liquido, contenente pochissimo alcool di fermenta- zione, il quale dà con la tintura di resina di guaiaco, con l’idrochinone e col EN pirogallolo le reazioni caratteristiche del fermento trovato dal Martinand nel vino. Concludendo: dai fatti e dalle esperienze sopra riportate si può trarre la conseguenza che il Saccharomyces ellipsoideus, durante il suo sviluppo, elabora un fermento solubile, il quale, rimanendo disciolto nel vino, è capace di compiere tutte le modificazioni che si producono in un vino che invecchia. Di più il trovarsi il fermento solubile nelle uve mature, quando appunto su di esse sl comincia a constatare la presenza delle cellule del fermento ellittico, fa supporre che anche nelle condizioni di vita in cui si trova il fermento stesso sopra gli acini, sia capace di segregare la sostanza in questione, precisamente come avviene quando si paralizza l’azione del fermento nell’ac- qua zuccherata nel modo sopra indicato. Inoltre, il fatto che l’azione del fermento solubile di cui si tratta è modificata a poco a poco dalla temperatura fino ad essere annullata, potrebbe far supporre che si trattasse di più fermenti invece che di uno solo, che eser- citassero ciascuno una azione speciale; ma per ora non si può affermare niente di certo. Mineralogia. — / granato a Caprera ed in Sardegna. Nota di D. Lovisato, presentata dal Socio STRUEVER. I minerali di questo gruppo, che tanto differiscono fra loro pei compo- nenti chimici e pei pesi specifici, sono conosciuti in taluni punti dell’isola fino dai tempi del Lamarmora. Infatti nella sua classica opera noi troviamo citati gli schisti ricchi in: granato di S. Lucia di Posada ('), la massa granatifera giallo-verdastra, ac- compagnante la magnetite di Perdasterri (Perda Steria) (2), l’altra analoga di Talana nella località Perda e Mengia (3) e di altri giacimenti di ma- gnetite, nonchè il curioso granato di colore rosso d'un filone di retinite madre- perlacea nell'isola di S. Pietro, non lontano dalla località detta « 7 Pesceztà » (4), granato che non conosco affatto e che non mi venne fatto di scoprire nel trachitico di quella cara e simpatica isoletta. Il Barelli ricorda i granati di Talana (°), che abbiamo già citati, e vi aggiunge quelli pei giacimenti analoghi della montagna di Capoterra (6), gli (1) Voyage en Sardaigne. Troisième partie, pag. 12. (2) Opera citata, pag. 465-6. (3) Op. cit., pag. 471. (4) Op. cit., pag. 479. (5) V. Barelli, Cenni di Statistica mineralogica degli Stati di S.M., il re di Sar- degna, ovvero catalogo ragionato della raccolta formatasi presso l’ azienda generale del- l'interno. Torino 1885, pag. 624. (5) Op. cit., pag. 647. RE iO altri della località Sos Frailes in quel di Arzana (!) e quelli in massa di Villanova Strisaili (*); oltre di che, senza precisare località, rammenta i gra- nati in massa nelle montagne di Pula e nella val di Oridda (8). D'un numero maggiore di località pei granati parla il Jervis, il quale ai banchi di granato, che accompagnano le masse di magnetite di Perdasterri (‘), della località Perda Mengia, non lungi dalla regione Orcesi, alquanto più vicina al villaggio di Talana (5), già ricordati dal Lamarmora, aggiunge per giacimenti analoghi il granato di Capoterra (6), l’altro di Arzana in massa sul monte di Sos Frailes (7), già menzionato dal Barelli, nonchè un bel granato rosso vinato nel granito di Arbus (8) e ch'egli chiama g70s- sularia, granato che certamente deve riferirsi ai superbi esemplari, che si trovano nelle granuliti sopra la miniera di Ingurtosu, ma che io non saprei affermare appartenere alla specie grossularia; aggiunge ancora il granato, sottospecie grossularia (sono parole dello stesso Jervis) in piccoli cristalli negli schisti nella regione Is Arenas di Domus novas (°), ch'io non conosco; quello entro roccie cristalline granatifere presso il mare verso il Capo di Monte Santo in quel di Dorgali (19), pure a me ignoto; l’altro in rombo- dodecaedri rinchuisi in roccia amfibolica in vicinanza all'abitato di Villanova Strisaili (!1), a me pure ancora incognito; l’altro compatto cristallino in vi- cinanza del filone argentifero a ganga di quarzo e di calcite nel permesso di S'Acqua Rubia nel comune di Villaputzu ('2); e finalmente i granati del permesso Su Fraizzu a 10 chil. a N. O. del villaggio di Pula, risa- lendo il rio Mannu sulla destra del torrente, come nel permesso di Monte Santo (!*), che prende nome dal monte in cui trovasi a circa 12 chil. da Pula. Il Traverso (!4) ricorda il granato di color giallo-miele amorfo od in cristalli rombododecaedri in una speciale roccia clastica, che finora fu chia- mata quarzite; e Traverso junior più tardi fa menzione dello stesso giaci- mento, riportandolo dalla pubblicazione citata (19). (1) Op. cit., pag. 626. (2) Op. cit., pag. 627. (3) Op. cit., pag. 096. (4) G. Jervis, / tesori sotterranei dell’ Italia. Par e 32, Le Isole 1881, pag. 38. (5) Op. cit., pag. 155. (9) Op. cit., pag. 36. (7) Op. cit., pag. 158. (8) Op. cit., pag. 106. (9) Op. cit., pag. 29. (10) Op. cit., pag. 154. (31) Op. cit., pag. 164. (12) Op. cit., pag. 180. (13) Op. cit., pag. 38. (14) G. B. Traverso, Giacimento a minerali d’argento del Sarrabus. Genova 188 , ag. 6 e 23. Ad (15) S. Traverso, Note sulla geologia e sui giacimenti argentiferi del Sarrabus (Sardegna) Torino 1890, pag. 44. » MR Il De Castro rammenta lo stesso granato (!), togliendolo dal medesimo lavoro del Traverso e fa pure menzione di un altro granato colle parole (2): Altre volte, come presso i lavori di Su Girò (Nicola Secci) le felsiti di- rette esattamente E-0, a contatto di scisti molto ferruginosi, si presentano di aspetto verdastro e molto granatifere, ma anche questo granato io non conosco. Dal complesso vediamo che il granato in Sardegna finora era conosciuto negli schisti della zona arcaica, fino a poco tempo fa riguardati come silu- riani, in roccie che accompagnano filoni metalliferi, assieme alla magnetite in masse ed in banchi ed anche stando al Lamarmora in una roccia vulca- nica terziaria. Quest'ultimo curioso presentarsi del granato è anche menzio- nato da non molto in un suo importante lavoro micrografico dal sig. ing. S. Bertolio, cui però non riuscì di trovare il granato in parola (8). Completerò ora, per quanto oggi mi è possibile, le notizie sulla diffu- sione del granato in Sardegna, descrivendo particolarmente quello di Caprera. Si sa che il granato, minerale interessante anche per la costituzione delle roccie, si trova in generale nella zona dei micaschisti, fra le roccie metamorfiche, nelle granuliti particolarmente e solo occasionalmente in roccie vulcaniche: ed in Sardegna lo si avrebbe in tutte queste forme litologiche, stando al Lamarmora per la così detta retinite dell'isola di S. Pietro. Infatti nei micaschisti e negli schisti gneissici noi lo troviamo nella zona arcaica di Caprera e nella sua continuazione a Capo dell'Orso, a Golfo Aranci e giù per S. Teodoro a Posada, dove fu rinvenuto negli schisti anche dal Lamarmora, e giù per Siniscola, al cui scalo noi troviamo gli schisti tempestati di granati, a quella guisa che sono i micaschisti filladici del- l’Istintino presso Capo Falcone e da me menzionati in altra Nota (‘). Del granato in roccie metamorfiche ricorderò quello del calcare saccaroide della vetta del pittoresco monte di Santa Maria di Gonari nel Nuorese: comparisce in masse cristalline, che talvolta lasciano vedere qualche faccia del rombo- dodecaedro; lo si direbbe una grosselarza, ma la mancanza di analisi non mi fa sicuro. Questa bella lente calcare contiene degli inclusi di granulite pur granatifera, granulite bellissima, talvolta bianca, ricca in frammenti di oligoclasio, come appare dalla sezione sottile: fu questa granulite che ha metamorfizzato il calcare. (‘) C. De Castro, Descrizione geologico-mineraria della zona argentifera del Sar- rabus. Memorie descrittive della Carta Geologica d’Italia. R. Ufficio geologico. Roma 1890, pag. 18. (2) Op. cit., pag. 28. (3) S. Bertolio, Studio micrografico di alcune roccie dell’isola di S. Pietro (Sar- degna). Estratto dal Bollettino del R. Comitato geologico. Anno 1894, n° 4; pag. 14. (4) Za tormalina nella zona arcaica di Caprera. Rendiconti della R. Accademia dei Lincei. Vol. IV, 1° semestre, 1895. A questa categoria ascriveremo il granato nelle così dette quarziti del Sarrabus. A questa stessa categoria od a quella che accompagna la magnetite, ascrivo del pari il granato in masse, che si trova non lungi dalla cima del Monte Santo di Pula, che forse può coincidere con quello di Monte Santo, citato dal Jervis: il granato quivi si presenta in masse, qua oscuro, quasi nero, là giallo verdognolo ed altrove quasi bianco, sempre in rombododecaedri. Per riguardo alla magnetite possiamo dire che quasi dovunque essa si trova accompagnata dal granato in massa, come mi piace qui ricordare quello che in vene si mette in mezzo alla magnetite nei pressi di Meana Sardo sulla strada che conduce a Laconi. Un simile granato in massa, accompagnato da amfibolo, trovasi pure presso la cantoniera Sa Rena per andare da Fonni a Correboi in schisti uroniani molto ferruginosi. Riguardo al granato nelle granuliti, possiamo dire ch'esso si trova acci- dentalmente in massecole od in cristalli isolati od in gruppi di cristalli in tutte le granuliti di Sardegna, da quelle di Caprera e di Maddalena, pas- sando per la massa del Limbara, a quelle di Lanusei e delle più meridio- nali di Capo Carbonara, non escluse certamente quelle della massa occiden- tale. Raramente però si presenta in grossi cristalli: il maggiore, derivante dalle falde del Limbara, fra Oschiri e Tempio, un trapezoedro }211{ ha il diametro di 14 mm. ed è rosso oscuro. I più belli che ho raccolto, son quelli delle granuliti a poca distanza da Dorgali per andare a Baonei, e fra Monti e Tempio sulla via percorsa dalle ferrovie secondarie. Da queste ultime deriva un cristallo splendidissimo, di color rosso vinato, tendente al giallo rosso ambrino, del diam. di 4,5 mm. in forma di trapezoedro modificato dal rombododecaedro }211{ {110}: questo cristallo più grosso si trova circondato da altri cristalli interi più piccoli, che presentano le stesse forme ed una quantità di pasta appartenente al altri granati fratturati. Quasi, egualmente splendido, dello stesso colore, ma più piccolo, misurando il diametro di 3 mm., è il cristallo da me trovato nella granulite presso Dorgali. Le forme sono quelle del precedente, ma accanto a questo trapezoedro, modificato dal rombododecaedro s'annida altro cristallo molto più piccolo, presentante net- tamente le faccie del rombododecaedro. Non crederei d'errare riferendo questi ultimi granati di Dorgali e del Limbara all’almandino, granato nobile, anche come quello che il più di frequente si trova nelle granuliti. E qui ricorderò i granati che ho trovati nella interessantissima zona eruttiva, che sollevò gli schisti uroniani, sopportanti i siluriani a 7ww%02s: quivi rinvenni in una porfirite andesitica oscura, ricca in epidoto, contenuto in cavità ed anche in vene assieme a pirossene, un bel granato color miele carico in rombododecaedri e presentante interessanti anomalie ottiche. Farò menzione anche del bellissimo granato, che alcuni anni fa fu tro- vato assieme alla galena nella miniera di Genna Caru sulla destra della strada da Iglesias a Flumini Maggiore. I campioni del museo, da me di- RenDICONTI. 1896, Vol. V, 1° Sem. 8 Re e retto, presentano generalmente il rombododecaedro combinato col trapezoedro }110{ }211{: quest'ultimo si osserva in un solo cristallo nettamente, ma sopra di esso compariscono le piccole faccie del rombododecaedro: in nessuno dei cristalli degli esemplari a mia disposizione ho potuto osservare isolatamente il rombododecaedro, come lo si trova nelle masse di granato, che accompa- gna la magnetite e negli schisti, nè isolatamente il trapezoedro, come avviene di incontrare nei granati delle granuliti. I granati disseminati dentro la ga- lena, ora isolatamente ed ora a gruppi, sono di colore di miele, se piccoli; oscuri con fascie o macchie melate, se grossi, variando il loro diametro da 1 mm. a 12 mm. Ma il granato più interessante e che forma lo scopo principale della presente Nota è quello di Caprera. Nella zona arcaica del fatidico scoglio, che abbraccia oltre una buona parte della penisola di Punta Rossa assieme all'isola della Pecora anche un lembo della parte orientale su Cala Portese, noi troviamo delle roccie ricchissime in granato, e son quelle che conten- gono la tormalina, di cui diedi cenno illustrativo in una Nota superiormente citata. Andando verso oriente nella penisola di Punta Rossa, lambendo il mare, in una specie di conca rocciosa, levigata dai marosi, e che permette scen- dere alla spiaggia, dà all’occhio una roccia verde oscura, che va dalle por- firiti alle ortofiriti ed in dicco, che si divide in due, attraversa le granuliti ed i gneiss divenuti molto micacei, quasi micaschisti: quivi questi mica- schisti gneissici sono attraversati da vene rosee, che contengono in grande quantità il granato, di cui più sotto riporto l’analisi quantitativa, eseguita dal mio assistente prof. Michelangelo Fasolo. Il granato in minutissimi cristalli, che dal diametro di 0,25 mm. vanno a quello di 1 mm. poco più, sono semitrasparenti a translucidi, rosei, ame- tistini, talvolta melati per incipiente decomposizione e tal altra rosso vinato oscuro. Presentansi in trapezoedri, rarissimamente in rombododecaedri, ma non m'avvenne di trovare combinate le due forme: sono quasi sempre dentro il quarzo, pochissimi nel feldispato e più raramente ancora nella mica, che è sempre la muscovite. Questo granato è fragilissimo, ma più duro del quarzo, rigando il mortaino d'agata; è brillante, a lucentezza vitrea e frat- tura concoidale ineguale colla polvere bianco sporca. Nel tubo chiuso diviene oscuro; al cannello fonde facilmente in globulo quasi nero attirabile dalla calamita e ridotto in polvere finissima gelatinizza coll’acido cloridrico, mentre il granato non calcinato anche in polvere finissima non viene attaccato dagli acidi cloridrico e nitrico. Intubo chiuso il granato ridotto in polvere viene decom- posto totalmente dall’acido solforico diluito nel rapporto di 3: 1. L'acido fluori- drico discioglie rapidamente i piccoli cristalli senza bisogno di polverizzarli: la soluzione è completa senza residuo anche dopo eliminato l’acido fluoridrico con l'acido solforico, ciò che dimostra la mancanza del titanio, del bario e dello stronzio: col borace si ha la perla ametistina. La polvere si è ottenuta nel mortaio d'agata abbastanza facilmente dopo aver frammentati i granati nel mortaio di Abich: però i granati non vennero polverizzati per la determina- zione della silice, che si ottenne colla fusione del granato senza polverizza- zione col carbonato sodico, e come si è veduto non vennero polverizzati i granati neppure per ottenere la soluzione fluoridrica. Pel peso specifico dirò che, mancandomi qui gli apparecchi e i prepa- rativi per calcolarlo più direttamente e magari su quantità minori di quelle adoperate da me, mi sono ridotto alla bilancia idrostatica. Con essa si son fatte diverse pesate e sempre su differenti quantità di granato. Il prof. di fisica di questa Università, sig. Guglielmo, su gr. 0,8270 ottenne 4,110 alla temperatura dell'acqua di 29° e 4,093 su gr. 0, 7915 alla temperatura dell’acqua di 27°. Una terza prova, fatta assiome a me dallo stesso profes- sore sopra gr. 1,132 diede 4,072 colla temperatura dell'acqua di 16°, essendo quella dell’aria 15°. Il prof. Fasolo in una pesata da ultimo eseguita sopra gr. 1,1237, ottenne col picnometro colla bilancia Sartorius, a braccia corte, al decimo di milligrammo, 4,11009, la temperatura dell'acqua essendo di 13,7°.Io feci una sola pesata pure con la bilancia idrostatica al decimo di milligrammo sopra una quantità di gr. 1,1251, ed ottenni 4,121 essendo la temperatura dell’acqua 14,4° e quella dell’aria 15°. Questi valori, che di non molto differiscono fra loro, ci darebbero in media pel peso specifico del nostro granato 4,1016 valore che ben conviene ad un granato manganesifero come il nostro. Però conviene tener conto che la bilancia col corpo immerso nell'acqua oscilla un po male e perde quindi di esattezza, non potendo garantire più del mezzo ‘milligrammo. Questo bel granato però oltrechè trovarsi nelle vene rosee sopracitate, si rinviene anche nella maggior parte dei micaschisti gneissici di quella zona: spesseggia nei chiari, nei quali spiccano l'abbondante quarzo vitreo, il feldspato bianco od azzurrognolo e la mica muscovite, talvolta in larghe lamelle sovrapposte; scarseggia e talvolta manca negli oscuri, ricchissimi in mica quasi nera: tutte queste varie forme litologiche che contengono anche la tormalina, appartengono certamente alla parte superiore dei gneiss (mi- caschisti), e come ho già detto altra volta, hanno subìto più o meno l'azione metamorfica della granulite. Avendo potuto disporre per l’analisi quantitativa di due grammi e mezzo di sostanza, si poterono controllare i dati con due analisi successive. I dati percentuali, concordando nelle due analisi fino alla seconda decimale, danno alla composizione del granato un valore attendibilissimo. ELE La composizione centesimale è la seguente: I Ind O, 37,82 37,80 AO... 18,06 18,03 Fe; 03) 3,20 PRIVIERLE 29,26 A Moon. e 17,02 17,04 Calo. . RR (0,48)? 0,48 Moio. e (0,34)? 0,34 102,98 100,29 O... . 2,60 100,38 Dalla II. la composizione molecolare risulta: silice 126, allumina 835, ferro ferrico 4, ferro ferroso 65, manganese 48, calce 1,7 e magnesia 1,7. Il rapporto fra le basi monosside, le sesquiosside e la silice è: MIO SS) e zio = 200) 8 IL 3 2a con una eccedenza di 9 molecole di Si O, sulle 117 occorrenti per la compo- sizione del granato della formola: (Fe Mn)z} q. Al; | Sis (08 nella quale una piccolissima porzione di Mn è sostituita da Ca e da Mg, e pure una piccola porzione di Al, è sostituita dal ferro ferrico. L'eccedenza della silice si può spiegare colla immensa difficoltà di liberare completa- mente dalle piccolissime porzioni di silice, che stanno aderenti ai circa 25000 granatini impiegati nell'analisi, avendo calcolato approssimativamente che occorrano 10,000 granati per un grammo. La silice venne determinata direttamente disaggregando il granato con carbonato sodico, agendo sopra mezzo grammo circa. Nella soluzione cloridrica venne determinato il ferro totale, l'alluminio, il calcio ed il magnesio coi soliti mezzi ed il maganese come solfuro. Da una seconda porzione di granato (circa grammi 1,5), di- sciolta con acido fluoridrico allo scopo di determinare i metalli alcalini, per differenza si determinò la silice dopo espulso l’acido fluoridrico con acido solforico; le operazioni chimiche eseguite per ricercare i metalli alcalini riu- scirono negative anche impiegando lo spettroscopio. La soluzione precedente servì per controllare i dati percentuali ottenuti. Il ferro ferroso venne deter- RO RE Pep PEA GE minato direttamente dalla soluzione solforica, ottenuta in tubo chiuso, dopo espulsa l’aria. Sarebbe dunque una spessastina il granato di Caprera e la sua analisi concorda abbastanza bene con quelle riportate dal Dana (!) nel suo classico testo di Mineralogia per questa specie. (1) J. D. Dana, Descriptive Mineralogy. New Jork, 1893; pag. 442 e 1035. Msg: ara Re RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI na______—È—©—<<——<“—" Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 2 febbrato 1896. F. BrioscHI Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Astronomia. — Sulle osservazioni solari fatte al R. Osser- vatorio del Collegio Romano durante il 4° trimestre del 1895. Nota del Socio P. TACCHINI. Ho l'onore di presentare all'Accademia i risultati delle osservazioni fatte sulle macchie facole e protuberanze solari, durante l’ultimo trimestre del 1895. Nel mese di Dicembre l'atmosfera fu poco favorevole alle osservazioni, spe- cialmente per quelle spettroscopiche, ma ciò nondimeno riteniamo i dati raccolti egualmente comparabili con quelli delle precedenti serie. Per le mac- ‘chie e per le facole i risultati sono contenuti nel seguente specchietto : 1895 3 55; cibi! RIESE aus °° 2 Mrs | SSS| Gi di | da sîg) 58) 35 | FIi|sSi. | iL Ss | £° | és |Fsg|asg|&3 | 353) 38 I Ottobre. . 22 | 6,00 | 9,77| 15,77| 0,00 | 0,00 | 3,73 | 77,77] 76,14 Novembre . 25 5,52 4,84| 10,36| 0,04 | 0,00 | 3,24 | 41,16| 66,80 Dicembre. . 16 | 8,81 8,25 | 16,56| 0,00 | 0,00 | 5,81 | 72,88| 67,81 Trimestre. . 63 6,40 7,43| 13,83| 0,02 | 0,00 | 4,06 | 62,00| 70,32 Nel mese di Novembre ebbe dunque luogo un minimo secondario nel feno- meno delle macchie, e fecero comparsa i giorni col sole senza macchie e senza fori. RenpiconTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 9 Lie Nel complesso il fenomeno delle macchie ha continuato a diminuire, risultando la loro frequenza tanto rispetto al numero delle macchie che dei gruppi, in- feriore a quella trovata per il trimestre precedente. Anche nelle facole si nota una leggiera diminuzione. Le osservazioni furono fatte da me in 45 giornate e in 18 dall'assistente sig. Palazzo. 1895 Medio numero Numero , o Media Massima delle Media altezza | Estensione Mesi dei giorni della massima altezza di osservazione DIO Ra Dean per giorno media altezza osservata per giorno / o) Ottobre . . 20 4,45 36,4 1g 45,6 60° Novembre . 21 5,10 36,1 1,8 46,7 73 Dicembre. . 13 5,98 38,0 2,0 53,8 105 Trimestre . 54 4,93 36,7 1,8 48,0 105 i I]. Paragonando questi dati con quelli della Nota precedente, si vede che il fenomeno delle protuberanze è andato diminuendo, risultando tutte le medie inferiori a quelle del 3° trimestre. Inoltre dobbiamo far notare la mancanza di corrispondenza fra il minimo secondario delle macchie e quello delle protube- ranze. Le osservazioni furono fatte da me in 39 giorni e in 15 dal sig. Palazzo. Per ciò che riguarda la distribuzione in latitudine dei fenomeni osser- vati, ho ottenuto i risultati seguenti per la frequenza relativa nelle diverse zone. 4° trimestre 1895. Latitudine | Protuberanze Facole | Macchie (0) (0) 90-+ 80 | 0,000 | 80+70 | 0,003 70+.60 | 0,000 60+-50 | 0,007 50-40 | 0,071) 0,485 40+- 30 | 0,128 0,011 Î 20+-10 | 0,099 0,228 0,277 % 0,570 | 10. 0 | 0,060 0,179 \ 0,262 0-10 | 0,057 0,141 0,092 10—20 | 0,135 0,201 | vat 0,430 | 20 — 30 | 0,124 0,120 ( 484 | 0,092 30— 40 | 0,089 0,022 \ 40— 50 | 0,028) 0,515 50— 60 | 0,011 60— 70 | 0,000 70— 80 | 0,014 80— 90 | 0,007 SI 7 Piccola è la differenza nella frequenza delle protuberanze nelle zone per ciascun emisfero. Come nel trimestre precedente, anche in questo le protu- beranze si mostrarono sempre numerose dall'equatore a = 50, qualche pro- tuberanza fu notata in vicinanza del polo sud, mentre mancarono intorno al polo nord come nel trimestre precedente. La frequenza delle facole è un poco diversa nei due emisferi solari, e la zona di grande frequenza è come nel 8° trimestre, estesa dall'equatore a # 20, ed i limiti estremi si conservarono pressochè gli stessi. Le macchie furono più frequenti nelle zone boreali e presentano un massimo di frequenza nelle zone (= 10° = 20°), ciò che si è verificato pure nei tre precedenti trimestri, e così su tutta l'annata si sono mantenuti i limiti estremi # 30°. I massimi di frequenza delle macchie corrispondono coi massimi delle facole, le quali sì estesero fra = 40, mentre le protube- ranze hanno una distribuzione ben diversa e figurano in quasi tutte le zone. Non furono osservate eruzioni metalliche, nè fenomemi degni di nota al posto dei gruppi di macchie. Fisica. — Sui raggi scoperti dal prof. Rintgen. Nota del Socio PIETRO BLASERNA. Quando il prof. Roòntgen mi fece conoscere i brillanti risultati da lui ottenuti e m’inviò, oltre alla sua breve ma succosa Nota, anche nove fotografie, presi tutte le misure per fare continuare le ricerche, dove l’autore le aveva lasciate. La scoperta dei raggi Rontgen ebbe in Europa un successo straordi- nario, specialmente nella parte che faceva intravedere grandi applicazioni alla medicina e alla chirurgia. Lo scopo che mi proposi di raggiungere, era non solo quello di vedere, fino a qual punto di chiarezza si potesse giungere colle fotografie, ma ben anco di studiare le proprietà tanto interessanti di tali raggi. Ebbi l’ajuto efficacissimo degli assistenti dott. A. Sella e dott. N. Pierpaoli, e dei si- gnori dott. Q. Majorana, dott. A. Fontana e dott. A. Umani, ai quali volle aggiungersi anche il dott. U. Dutto, assistente all'Istituto fisiologico. Frutto di questi primi studî fu la piena conferma delle numerose espe- rienze del prof. Réntgen, tanto per la parte che riguarda le applicazioni fo- tografiche, quanto per quella che concerne gli effetti di fluorescenza. È col mezzo di quest'ultima, che si possono fare in maggiore numero esperienze e studî, mentre la fotografia serve a fissare i principali risultati. Credo che non sarà discaro all'Accademia di conoscere alcuni particolari sul modo di procedere in simili indagini. I migliori tubi di Crookes, atti alla produzione dei raggi Rontgen, sembrano decisamente essere quelli regi- strati nei cataloghi col numero 9. Anche il prof. Rontgen ha costruito tubi speciali, che fin qui ebbi occasione bensì di vedere, ma non di studiare. Quanto ai primi, sono palloncini di forma allungata, in cui i raggi catodici vanno a battere normalmente contro una bella parete di vetro, grande e liscia, la quale, resa fluorescente, diviene l'origine dei raggi Rontgen. I tubi, per essere capaci di fornire questi raggi, devono contenere l’aria molto rarefatta, p. e. fino a ’/.000 di millimetro. Se la pressione è maggiore, sì hanno bensì i raggi catodici, ma non la formazione dei raggi Réntgen. I primi, secondo le belle ricerche di Lenard, sono vibrazioni dell’etere puro, che quindi consumano la loro energia, quando devono riscaldare e rendere incandescenti grandi quantità di aria (relativamente parlando) e non sono più atti a produrre i raggi Ròntgen. All'incontro, quando la rarefazione dell’aria è portata ad un alto grado di perfezione, purchè la scarica ancora passi, i raggi catodici producono una forte fluorescenza del vetro, là dove lo incon- trano normalmente, e provocano con ciò la formazione dei raggi Rontgen. Questi sarebbero quindi una trasformazione dei raggi catodici col mezzo della fluorescenza del vetro od anche di altre sostanze, come p. e. di alluminio. Tuttavia non è possibile dire a priori, se un tubo Crookes sia atto oppur no, a dare il fenomeno Rontgen. Ma spesso ho trovato, che un tubo men che mediocre diviene buono ed anche eccellente, quando lo sì sottoponga all'azione continuata per parecchie ore del rocchetto di Ruhmkorff. Il migliore degli apparecchi Crookes da me posseduto era precisamente uno, che in sul prin- cipio non dava pressochè niente, e che dopo un lungo trattamento col roc- chetto d’induzione, produceva fenomeni di fluorescenza ed effetti di fotografia in misura veramente straordinaria. Bisogna probabilmente cercarne la causa in un leggiero disgregamento del vetro, prodottosi nel punto battuto dai raggi catodici, disgregamento impercettibile ma necessario alla formazione dei raggi Rontgen. Checchè ne sia di ciò, è certo che molti tubi migliorano quando sono adoperati. Come apparecchio d’induzione serviva un rocchetto di Ruhmkorfî di media grandezza, che dà scintille, nell’aria ordinaria, di 10 centimetri di lunghezza. L’aver prima adoperato un rocchetto molto più potente, è co- stato la vita a parecchi dei miei migliori tubi. Non è quindi prudente il voler forzare gli effetti: per la fotografia vi si rimedia con un prolungamento di posa; per la fluorescenza talvolta si deve ricorrere ai forti effetti, ma lo si fa sempre col pericolo di rimanere a mezza strada. Queste sono le prime osservazioni e impressioni, che risultano dalle molte, svariate e prolungate esperienze eseguite nell'Istituto fisico, che ho l’onore di dirigere. Presento intanto all'Accademia nove fotografie originali del prof. Rontgen, che servono a illustrare i fatti più importanti da lui sco- perti. Aggiungo ad esse alcune delle fotografie eseguite all'Istituto fisico. Esse servono a dimostrare il grado di precisione e di nitidezza, che si può fin d'ora raggiungere in simili lavori. 2:99, — Fisica. — Su alcune esperienze fotografiche esequite all’ Isti- tuto di studî superiori in Firenze, per mezzo dei tubi di Crookes. Nota del Corrispondente A. RoITI. Ho l'onore di presentare all'Accademia la riproduzione di una negativa ottenuta nella mia lezione di sabato 25 gennaio, facendo posare una mano (con anello d'oro e brillante) sopra una cassetta di legno contenente una lastra del Lumière, ed illuminandola con un tubo di Crookes attivato dal rocchetto di Ruhmkorff. Nella medesima lezione ho ottenuto una fotografia simile, ado- perando la macchina di Holtz invece del rocchetto. Subito dopo la lezione ho ottenuto, attraverso al legno, la fotografia di ben venticinque oggetti. Ne unisco la riproduzione colla leggenda esplicativa, avvertendo che questa riproduzione, contrariamente alla prima, è una posi- tiva, così che il tono più chiaro rappresenta qui maggiore trasparenza per l’azione tanto maravigliosamente illustrata dal Rontgen. Secondo le mie osservazioni ha grandissima influenza sull’intensità di tale azione, la qualità e la grossezza del vetro ond’è composto il tubo di Crookes: in maniera che la maggiore o minore rapidità dell'effetto è da ascri- versi, in questi primi tempi, più che altro a fortuna. Ho in corso delle espe- rienze per ricercare le sostanze che meglio si prestano all’ uscita dei raggi catodici dal recipiente vuotato, ma purtroppo sono inceppato, perchè non vi è qui a Firenze un buon soffiatore di vetro. Grande influenza è pure esercitata dalla qualità della lastra o meglio dello strato impressionabile. Ho fatto poi un'osservazione che ritengo nuova: e cioè che quando un catodo è così vicino al fondo del tubo da toccarlo quasi, esso non mani- festa azione di sorta, o, se la esercita, è incomparabilmente più debole di quando si trova, come al solito, discosto dal fondo. Ho incominciato ad applicare l’azione di Rontgen alla petrografia. Mando anche la positiva di una manina di bambino morto a due mesi, dalla quale si vede che le falangi non sono ancora interamente ossificate. SI NES Chimica. — Nuovi studi sul comportamento del fenol come solvente in crioscopia. Nota del Socio E. PATERNÒ. Ho accennato nelle Note precedenti le ragioni per le quali ho creduto utile lo studio del comportamento delle sostanze di diversa funzione chimica nel maggior numero di solventi. Le conoscenze che ora abbiamo intorno al- l'impiego, come solventi, degl'idrocarburi, e dei loro prodotti di sostituzione alogenati ed anche nitrati, sono sufficienti per formarsi un concetto abba- stanza preciso dell'andamento del fenomeno. Ma non è lo stesso per altri solventi ossigenati o azotati (fenoli, acidi, amine, alcooli), per ì quali man cano quasi interamente i dati per concentrazioni molto elevate, e si os- servano delle notevoli lacune per intere funzioni. Così, ad esempio, nei fe- noli non è stato studiato il comportamento di nessun alcool. Ho creduto quindi necessario, allo scopo da me prefissomi, di completare l'esame del com- portamento delle sostanze di differente funzione anche in taluni dei solventi già sommariamente studiati da altri, e di estenderlo a solventi della più diversa costituzione chimica. In questa Nota mi occuperò del fenol. Sul fenol, come solvente, esiste uno studio di Eykmann abbastanza completo per il tempo in cui fu fatto (1). In seguito il fenol è stato adoperato da qualche chimico per la determina- zione del peso molecolare di talune sostanze. Così Zecchinine fece uso per tentare di risolvere la quistione del peso molecolare della metaldeide (2), Garelli esaminò il comportamento del pirrolo (3) e Garelli e Montanari (4) studiarono il comportamento nel fenol della pirocatechina, della resorcina e dell’idrochinone, ricercandovi un argomento in conferma della loro regola che ogni corpo ciclico che differisca dal solvente per un solo ossidrile deve, disciolto in esso, fornire abbassamenti termometrici più piccoli det teorici. Però in tutte queste esperienze non sì perviene a concentrazioni molto forti; nei 18 corpi presi in esame dall’Eykmann, per 13 la concentrazione è inferiore all'8 9/0, e solo per 6 supera il 10 °/,, con una depressione termometrica che solo in sei casi sorpassa i 5°: le determinazioni con la metaldeide ed il pirrolo sono per soluzioni diluitissime, e quelle con le diossibenzine arrivano sino al- l’8-9 °/. Da queste esperienze risulta che in generale tutte le sostanze studiate (acidi, fenoli, ammine) hanno un comportamento normale o prossimo al nor- male, e che poco muta col variare della concentrazione: è poi notevole il fatto che tutte le sostanze studiate forniscono una depressione molecolare che aumenta col crescere della concentrazione, eccettuati gli acidi (Eykmann) ed i fenoli (Garelli e Montanari). (1) Zeitschrift fir Phys. Chemie, IX, 501, 1889. (2) Gazz. Chim. XXII, 2°, p. 590. (3) Id. XXIII, 2°, p. 364. (4) Id. XXIV, 29, p. 236. Ecco ora i ni risultati delle mie esperienze : Punto di congelamento del fenol 40°,18. concentr. 0,727 2,351 3,220 4,109 5,241 6,289 7,326 9,402 11,236 12,346 13,885 15,957 18,707 22,685 27,028 Punto di congelamento del fenol 39°,99. concentr. 0,8208 2,5002 5,9328 11,9154 19,7419 32,9433 Punto di congelamento del fenol 390,92. concentr. 0,4782 1,3645 3,9739 7,6579 11,6716 15,8879 23,6335 1. Acqua. abbass. termom. 2,68 8,98 10,94 13,04 16,67 19,02 DILILY 25,10 27,90 29,29 30,95 32,77 34,67 36,46 37,92 2. Bromoformio. abbass. termom. 0,20 0,65 1,57 3,08 9,03 7,90 8. Toluene. abbass. termom. 0,36 0,97 2,68 5,09 7,44 9,62 13,32 coeffic. abbassam. 3,68 3,56 3,99 3,17 3,18 coeffic, abbassam. 0,243 0,259 0,264 0,258 0,254 0,243 coeffic. abbassam. 0,752 0,711 0,691 0,664 0,637 0,605 0,559 abbassam. molecolare. 66,24 64,08 61,02 97,12 97,25 04,43 92,01 48,05 44,69 42,70 40,12 36,96 33,96 28,93 24,61 abbassam. molecolare. 61,48 65,53 66,79 65,27 64,26 61,48 abbassam. molecolare. 69,18 65,41 63,57 61,09 58,60 55,66 52,42 Punto di congelamento del fenol 39°,20. concentr. 0,6408 2,4435 4,6930 7,9796 11,4650 19,8724 24,5828 Punto di congelamento del fenol 40°,00. concentr. 0,9364 2,2357 4,7856 8,9027 14,3148 18,6162 31,1052 concentr. 1,999 6,164 9,767 17,262 24,476 27,679 88,852 03,605 Punto di congelamento del fenol 39°,66. concentr. 1,886 6,439 10,371 14,189 17,112 22,637 27,827 83,109 IA 42,981 e7o: — 4. Parazxilene. abbass. termom. 0,45 1,57 2,95 4,76 6,57 10,42 12,57 5. Nitrobenzina. abbass. termom. 0,55 1,26 2,62 4,84 7,58 9,79 15,65 6. Bromotoluene. Punto di congelamento del fenol 40°,06. abbass. termom. 0,72 2,38 3,00 6,00 7,58 9,18 11,29 12,62 7. Veratrol. abbass. termom. 0,62 3,99 5,606 8,12 9,92 13,63 17,29 22,99 25,49 28,89 coeffic. abbassam. 0,702 0,642 0,628 0,594 0,574 0,524 0,511 coeffic. abbassam. 0,587 0,534 0,547 0,543 0,529 0,526 0,503 coeffic. abbassam. 0,360 0,386 0,378 0,347 0,309 0,331 0,290 0,235 coeffic. abbassam. 0,447 0,526 0,546 0,572 0,580 0,602 0,621 0,694 0,673 0,672 abbassam. molecolare 76,21 68,05 66,57 62,96 60,84 55,54 54,16 abbassam. molecolare. 12,20 65,68 67,28 66,79 65,07 64,70 61,87 abbassam. molecolare. 61,56 68,01 64,64 59,34 52,84 56,60 49,59 40,18 abbassam. molecolare. 61,68 72,59 75,99 18,94 80,04 83,08 85,70 95,77 93,56 92,74 SS 8. Ossalato di etile. Punto di congelamento del fenol 409,31. N. abbass. coeffic. abbassam. d’ord. concentr. termom. abbassam. molecolare. 61 0,4942 0,24 0,485 70,81 62 1,9493 0,67 0,496 12,41 63 2,9097 1,51 0,518 75,60 64 4,9103 2,56 0,523 76,96 65 6,9939 3,74 0,534 77,96 66 10,1129 5,65 0,558 81,47 67 13,3609 7,94 0,594 86,72 68 17,4097 10,64 0,611 89,21 9. Alcool. Punto di congelamento del fenol 39°,74. N. abbass. coeffic. abbassam. d’ord. concentr. termom. abbassam. molecolare. 69 0,346 0,52 1,502 69,09 70 0,943 1,44 UST 14,24 71 2,076 3,26 1,570 72,22 72 2,881 4,54 1,575 72,45 73 4,191 6,86 1,636 75,26 14 10,496 17,50 1,572 72,31 75 7,090 12,11 0,561 71,80 76 9,207 14,43 1,567 72,08 Ida 12,554 20,25 1,613 74,19 78 17,046 27,05 1,587 73,00 10. Alcool benzoico. Punto di congelamento del fenol 400,29. N. abbass. coeffic. abbassam. d’ord. concentr. termom. abbassam. molecolare. 79 0,9098 0,59 0,648 69,98 80 2,3851 1,52 0,637 68,79 81 4,0868 2,61 0,638 68,92 82 6,5152 4,22 0,647 69,87 83 10,4520 6,77 0,647 69,87 84 20,1853 13,28 0‘657 70,95 RenpICONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 10 N. d’ord. $5 Magi 11. Etere bietilico della gliceriua. Punto di congelamento del fenol 39°,72. abbass. concentr. termom. 0,218 0,16 0,612 0,39 1,225 0,75 1,938 14 2,958 IST 4,324 2,69 5,448 9,94 1.914 4,52 IILLZS 8,12 12,440 8,92 16,654 2:99 12. 7imol. Punto di congelamento del fenol 39°,53. abbass. concentr. termom. 0,801 0,46 1,447 0,76 2,920 125 3,408 1.75 4,951 2,41 TS 3,93 9,662 4,46 12,972 5,67 15,060 OA 18,313 7,95 21,666 9,29 26,135 10,74 28,748 11,883 32,836 13,58 coeffic, abbassam. 0,734 0,637 0,595 0,588 0,598 0,603 0,615 0,659 0,726 0,709 0,741 coeffic. abbassam. 0,574 0,525 0,530 0,513 0,436 0,464 0,462 0,458 9,446 0,484 0,428 0,419 0,415 0,413 13. Salicilato metilico. Punto di congelamento del fenol 409,11. abbass. concentr. termom. 0,5265 0,26 3,4394 1,54 5,7162 2,51 8,8784 3,92 12,4964 5,50 17,8793 1,12 23,2442 9,84 30,1990 12,54 coeffic. abbassam. 0,493 0,447 0,439 0,441 0,440 0,432 0,423, 0,413 abbassam. molecolare. 108,63 94,28 88,06 87,02 88.50 89,98 90,72 97,59 107,45 104,93 109,67 abbassam. molecolare. 86,10 (8,75 719,50 76,95 72,90 69,60 69,30 68,70 66,91 65,10 62,20 62,99 62,25 62,10 abbassam. molecolare 14,94 67,94 66,73 67,03 66,583 65,66 64,50 63,08 RE EEE 14. Acido formico. Punto di congelamento del fenol 409,21. N. abbass. coeffie. abbassam. d’ord. concentr. termom. abbassam. molecolare 118 0,5036 0,73 1,449 66,65 119 1,1725 1.66 1,415 65,09 120 ._ 2,0820 2,91 1,398 64,08 121 6,5575 8,92 1,238 56,95 122 8,8549 10,61 1,198 Dale 123 12,2465 13,80 1,126 51,79 124 16,1847 7691 1,069 49,17 15. Actdo acetico. Punte di congelamento del timol 399,73. N. abbass. coeffic. abbassam. d’ord. concentr. termom. abbassam. molecolare 125 0,874 0,99 1.018 61,08 126 2,005 2,07 15032 61,92 127 STIA] 3,99 1,050 63,00 128 4,433 4,51 1,017 61,02 129 5,926 5,61 0,963 57,78 130 8,202 UST 0,923 55,98 ol 10,907 10,49 0,961 57,66 132 13,090 12,05 0,922 55,92 133 16,491 15,02 0,911 54,66 134 22,297 19,22 0,862 DILLO 155 33,963 27,92 0,836 50,16 136 85,480 29,18 0,322 49,32 137 45,598 33,93 0,779 460,74 138 DILTTAL 38,92 0,753 ; 45,10 16. Acido valerianico. Punto di congelamento del fenol 40°,09. N. abbass. coeffle. abbassam. d’ord. concentr. termom. abbassam. molecolare 139 0,4129 0,30 0,726 74,05 140 0,9397 0,67 0,712 72,02 141 DIM 1,59 0,669 68,24 142 4,0251 2,02 0,651 66,40 143 6,3505 3,98 0,625 63,75 144 8,9841 5,44 0,605 (GUSTA! 145 12,7905 7,43 0,579 59,06 146 16,0965 9,12 0,567 57,83 147 18,0864 10,41 0,575 58,65 17. Piridina. Punto di congelamento del fenol 40°,35. abbass. concentr. termom. 0,6791 0,60 1,6390 1,43 2,8450 2,60 4,5587 4,36 6,9073 7,12 8,6394 9,68 10,6959 11,94 18. Anilina. Punto di congelamento del fenol 409,39. abbass. concentr. termom. 0,5211 0,39 IUS. 1,95 4,6336 3,57 7,1845 5,60 10,0385 8,20 12,1587 9,96 17,0943 14,22 coeffic. abbassam. 0,883 0,372 0,913 0,956 1,031 1,120 NIKK6, coeffic. abbassam. 0,748 0,757 0,770 0,779 0,816 0,819 0,831 19. Dimetilanilina. Punto di congelamento del fenol 40°,21. abbass. concentr. termom. 0,5965 0,34 1,9188 0,37 2,3693 1,46 4,3174 2,60 7,6365 4,63 10,4270 6,36 15,4828 9,89 coeffic. abbassam. 0,569 0,659 0,616 0,602 0,619 0,609 0,632 20. Etilsuccinimide. Punto di congelamento del fenol 399,70. abbass. concentr. termom. 1,313 0,74 4,512 2,72 9,619 6,82 12,755 10,26 18,262 15,92 21,065 18,92 28,060 27,95 32,764 39,41 coeffic. abbassam. 0,563 0,602 0,709 0,804 0,942 0,898 0,996 1,080 abbassam. molecolare 69,66 68,89 72,13 75,52 81,45 88,48 88,16 abbassam. molecolare 69,56 70,40 71,61 72,45 75,99 16,17 77,29 abbassam. molecolare 68,85 79,74 74,34 73,84 74,90 73,69 76,47 abbassam. molecolare 71,50 76,45 90,04 102,11 106,93 114,05 126,49 137,16 Riservandomi a discutere in altra occasione e comparativamente ad altri solventi i risultati ottenuti, sembrami che per ora possa dedursi: 1°. Per quanto riguarda gli idrocarburi ed i loro derivati alogenici e nitrogenati, mentre che dalle esperienze di Eykmann col tetracloruro di car- bonio, il difenilmetano e la naftalina, sembrava che la depressione moleco- lare tendesse a crescere con la concentrazione, le mie esperienze col bromo- formio, la nitrobenzina, il toluene, il parabromotoluene e il paraxilene mo- strano nettamente ch'essa invece diminuisce col crescere della concentrazione. 2°. Gli alcooli nel fenol hanno un comportamento assai regolare, e la depressione molecolare presenta una costanza rimarchevolissima col variare della concentrazione. Per l'alcool etilico l'abbassamento molecolare che è 74,24 per una concentrazione di meno che l'1°/,, è di 73 per una concentrazione superiore al 17°%/; per l'alcool benzoico è 69,98 per la concentrazione dell'1°/ (0,9098) e 70,95 per una concentrazione di più del 20°/,; nè per lo stesso etere bietilico della glicerina, che è un alcool secondario, la va- riazione è molto notevole. 3°. Per i fenoli, le esperienze di Eykmann (timol, p. cresol, @ naftol, bromofenol) si deduce una rimarchevole costanza, con tendenza ad aumen- tare con la concentrazione. Le esperienze mie sul timol e sul salicilato me- tilico mostrano invece che l’abbassamento molecolare va gradatamente de- crescendo con l'aumentare della concentrazione. La stessa cosa avviene, se- condo le esperienze di Garelli e Montanari, con le biossibenzine. 4°. In quanto agli acidi dalle esperienze di Eykmann (acido benzoico, cinnamico, fenilpropionico) si deduce un andamento costante, tranne che per l'acido benzoico, pel quale oltre ad aversi un abbassamento molecolare mi- nore in valore assoluto della maggior parte delle altre sostanze, si nota una notevole decrescenza coll’aumentare della concentrazione. Cogli acidi formico, acetico e valerianico da me esaminati si ha lo stesso andamento; e da questo punto di vista può dirsi che nel fenol come solvente, quelli che dànno il comportamento più lontano dal normale sono propriamente gli acidi. 5°. Gli alcaloidi (metilanilina, naftilammina, p. toluina) diedero ad Eykmann per la depressione molecolare valori che aumentano notevolmente con la concentrazione. Le esperienze da me fatte con la piridina, la anilina, la dimetilanilina, quantunque io mi sia spinto a concentrazioni più forti di quelle dell’Eykmann, non mostrano questo comportamento così spiccato. È degno di nota il fatto che per l’acetoanilide (per analoghe variazioni di con- centrazione) la depressione molecolare è maggiore di alcune unità che non sia per la metilanilina, la toluidina, la naftilammina. Un fatto analogo si osserva con l'etilsuccinimide per la quale l'aumento è rilevantissimo. 6°. Dalle esperienze di Eykmann risulta che talune sostanze che non rientrano nelle funzioni chimiche sopraenumerate, quali la canfora, il ben- zofenone, dànno una depressione molto più elevata della media e che cresce Mio no notevolmente con la concentrazione. Lo stesso ho osservato col veratrol e con l'ossalato di etile. I 7°. Finalmente è degno di nota il comportamento dell'acqua, la quale dà una depressione molecolare senza dubbio inferiore alla normale e che ra- pidamente decresce con l'aumentare della concentrazione. Il comportamento dell’acqua è perfettamente analogo a quello degli acidi. Merita poi tutta l'attenzione il fatto dell'aumento della depressione molecolare, col crescere della concentrazione. Comunemente cogli altri sol- venti si ha un comportamento inverso, che si spiega nel maggior numero dei casi ammettendo che in molte sostanze le molecole siano riunite in complessi, che si disgregano in soluzioni diluite, mentre in soluzioni concen- trate rimangono in tutto o in parte polimerizzate. Ammettere che vi siano dei casi, in cui avvenga il contrario, è tutt'altro che razionale. Si può spie- gare il fatto supponendo che si formino dei complessi molecolari tra il fenol e la sostanza disciolta, i quali funzionando come una sola molecola, avreb- bero il solo effetto di diminuire la quantità del solvente, ed in proporzione tanto maggiore quanto più si aggiunge di sostanza. Oppure si può in gene- rale supporre che vi siano sostanze che mischiate influiscano l'una sull'altra, facendo mutare il rapporto relativo della complessità delle loro molecole. Paleontologia. — /: una caverna ossifera presso Pegazzano nei dintorni di Spezia. Nota del Socio G. CAPELLINI. Dopo le mie prime fortunate ricerche nella Caverna ossifera di Cassana nel 1858 (!), persuaso che scoperte importanti restavano ancora da farsi nelle numerose caverne dei dintorni del Golfo di Spezia, visitai ripetutamente quelle della Palmaria, di Coregna, di Fabbiano, del Vallone di Biassa, di Monte Parodi nel lato occidentale, e mi interessai anche di altre da antica data segnalate nel lato orientale. Nella descrizione geologica dei dintorni del Golfo di Spezia nel 1864 (?) resi conto di quelle mie esplorazioni sotterranee, e nel 1869 annunziai che la Grotta dei Colombi nell'Isola Palmaria era stata abitata dall'uomo preistorico nell'epoca Maddaleniana (3). Da allora in poi, mi adoperai di interessare quanti (*) Capellini G., Nuove ricerche paleontologiche nella Caverna ossifera di Cassana. Lettera al prof. M. Lessona. Genova 1859, V. Liguria medica, n. 5 e 6. (2) Capellini G., Descrizione geologica dei dintorni del Golfo della Spezia e Val di Magra inferiore. Bologna 1864. (3) Capellini G., L’Antropofagismo in Italia all’epoca della pietra. Lettera sulle sco- perte peleoetnologiche fatta nell'isola Palmaria. Bologna 1869. Capellini, Grotta dei Colombi à l’ile Palmaria, Golfe de la Spezia; Station de Cannibales à l’epoque de la Madeleine. Compte Rendu du V° Congrès int. d’Anthrop. préhist. en 1871. Bologna 1873. TO e sì occupavano di escavazioni nelle montagne della. Spezia, perchè volessero av- visarmi qualora si fosse scoperto qualche cosa che potesse interessare per la storia geologica del mio golfo. K difatti nel 1878 fui avvertito che i lavori per la nuova Batteria di Santa Teresa presso Pertusola avevano messo allo scoperto una interessante breccia ossifera, e dal gentilissimo generale Parodi, allora direttore del Genio a Spezia, ebbi preziose indicazioni su quanto già era stato raccolto o disperso, e ad esso sono pure debitore del disegno di un piccolo pozzo che conteneva la detta breccia ossifera, e che ora trovasi sepolto sotto la ricordata batteria. Degli avanzi, specialmente di Ippopotamo, provenienti da quella breccia ossifera, resi conto all'Accademia di Bologna con una Memoria pubblicata nel 1879 ('), e nello scorso anno, trattando del £u00/e-Dri/t e delle Brecce ossifere della Palmaria e dei dintorni della Spezia, fui lieto di annunziare che, nel gennaio del 1894, il giovane De Champs mi aveva favorito alcuni esemplari di breccia ossifera da lui scoperti in una delle Caverne del Monte Santa Croce, e precisamente nelle cave Cozzani nel vallone di Biassa. La nuova scoperta non mi lasciava più dubitare che, presto o tardi, le importanti escavazioni che si praticano in quel vallone per avere dalla dolo- mia e dal calcare nero fossilifero del Retico, eccellenti materiali per calce e per costruzioni d'ogni sorta, avrebbero pure messo allo scoperto qualche nuova importante Caverna ossifera. Il prof. Alberti, da altra parte, avendo sempre raccomandato ai suoi sco- lari di campagna di tenerlo informato, qualora sentissero parlare di nuove caverne scoperte o esplorate, la mattina del 24 gennaio scorso, entrando in classe (egli è professore di storia naturale nel Liceo di Spezia), fu piacevol- mente sorpreso di trovare sulla cattedra (depostevi dai suoi alunni di Pegaz- zano) alcune grosse ossa di mammifero, e due denti che sospettò poter essere di Orso speleo. Il gentilissimo professore essendosi affrettato ad avvisarmi telegraficamente della importante scoperta, disposi subito per la mia partenza, e poichè il telegramma spiegava trattarsi di un crepaccio enorme scoperto con una mina e ricco di ossa in terreno vergine, temendo che potessero avvenire dispersioni di fossili e che la Caverna avesse ad essere guasta prima che io fossi arrivato per studiarla, risposi subito con altro telegramma, raccoman- dando di trattare coll'affittuario della cava, di nulla guastare, di impedire l'ac- cesso a tutti, di rivolgersi all'uopo a nome mio al signor Sindaco di Spezia e al Sotto-Prefetto perchè, nell'interesse della scienza e della città, occorrendo intervenissero per ottenere quanto io desiderava. Ed ora dirò brevemente della nuova caverna e dei fossili che già vi sono (!) Capellini G., Breccia ossifera della Caverna di Santa Teresa nel lato orientale del Golfo di Spezia. Mem. della R. Accad. delle Scienze dell’Ist. di Bologna, ser. 3°, t. X. Bologna 1879. i i LE stati raccolti, in parte per cura dello stesso prof. Alberti che mi ebbi com- pagno nella prima esplorazione e al quale rendo pubbliche vivissime grazie per avermi premurosamente avvisato. La Caverna si trova nel lato meridionale di Monte Parodi, a breve di- stanza dal paese di Pegazzano, in prossimità del secondo pozzo della galleria della strada ferrata. Al punto in cui la strada militare, che da Spezia per- corre la riva destra del torrente e attraversa il ponte, si ricongiunge alla vec- chia strada di Biassa, nei calcari neri fossiliferi compatti che intercalati con calcare schistoso e schisti argillosi costituiscono quel gruppo fossilifero che altra volta indicai col nome di Serie del Tino e spetta all’ Infralias o Retico su- periore (Piano dell’Azzarola in Lombardia), vi ha una stupenda cava di pietre da costruzione di proprietà della vedova Romilda Cerretti, ed ora affittata a Lamberti Stefano di S. Marcello pistoiese. Quasi di faccia a quella cava, nel lato destro del torrente, sul fianco settentrionale del Monte Santa Croce, vi hanno poi le importantissime cave del signor Cozzani aperte nella dolomia superiore retica con la quale si pre- para la rinomata calce di Biassa. In esse cave, come ho sopra accennato, fino dal 1894 fu scoperta la prima caverna con breccia ossifera, ed ora mi sono convinto che molto pos- siamo riprometterci quando anche questa venga resa accessibile e sia conve- nientemente esplorata. Nel mio primo lavoro sull'Infralias nei dintorni di Spezia nel 1862 di- mostrai che la catena occidentale del Golfo aveva descritto una specie di eli- coide e che, per la subìta torsione, era avvenuto un importante rovesciamento di tutta la serie nella parte meridionale della catena stessa; a partire dal Monte Parodi ove si può meglio che altrove verificare la avvenuta torsione, poichè la sua parte nordica si trova ancora in serie normale ma fortemente raddrizzata, mentre nel lato meridionale si osserva il già avvenuto rovescia- mento accompagnato, come è naturale, da una quantità di fratture delle quali ormai fanno rendersi conto i geologi, dopo gli studî e gli esperimenti del Daubrée e di altri che, in questi ultimi anni, si sono tanto occupati di geo- tettonica (1). Tutti i torrenti che dalla catena occidentale recano contributo delle loro acque fangose al golfo, ripetono la loro origine dalle fratture secondarie, le quali si originarono per il movimento di torsione che diede luogo al parziale rovesciamento del Retico sopra il Lias, il Giurassico, il Cretacico e l'Eocene, come fu da me altra volta dimostrato; e quelle fratture si complicano con altre di ordine diverso, per modo che sarebbe opera non agevole il render conto (*) Capellini G., Stud? stratigrafici e paleontologici sull’Infralias nelle montagne del Golfo della Spezia, Mem. dell’Accad. delle Scienze dell’ Ist. di Bologna, serie II, tomo I, Bologna 1862. di tutte con la voluta esattezza, dovendoci contentare di studiare e far cono- scere quelle che, di mano in mano, presentano un qualche particolare interesse. Sul lato sinistro del torrente, poco prima di arrivare al secondo pozzo segnato col numero I, si vede una frattura degli strati, la quale interessa una piega sinclinale approssimativamente allineata secondo la direzione della ca- tena montuosa; è in corrispondenza di questa frattura che, nell’interno della montagna, si trova aperta la Caverna ossifera, come ora verrò a dimostrare. Fratture maggiori parallele a questa, e apparentemente più importanti, hanno dato origine alle vallette trasversali e ai piccoli rii che le solcano, a cominciare sotto Cà Matellina e terminando col canale di Sant'Anna, ma di esse per ora non mì interesserò. Il piazzale della Cava, indicata col nome Cava del Termo, è presso a poco a livello del ponte che congiunge le due strade vecchia e nuova, a metri 127 sul livello del mare; attualmente l'ingresso della Caverna guarda a sud-sud-ovest, e si trova a circa 25 metri sul livello del piazzale della cava stessa, ossia a 150 metri sul livello del mare. Trattandosi di una frattura in una piega sinclinale, per chi sa di geo- tettonica è facile di capire che, anche quando tali fratture non sono aceompa- gnate da faglie, si ha divaricazione degli strati fratturati in basso, avve- nendo il contrario quando si tratta di fratture in una piega anticlinale. Innumerevoli e complicatissime sono le pieghe che si originarono pel movimento di torsione, che rovesciò una parte della serie stratigrafica della catena occidentale dei monti della Spezia; ove le rocce piegate erano ancora abbastanza plastiche o flessibili si ebbero pieghe sentitissime senza frattura ; in caso contrario si ebbero fratture, stiramenti, laminazioni e assottigliamenti di strati fino a sparirne alcuni, per modo da avere contatti con Aiatus cro- nologici, e faglie complicatissime. Di tutto ciò si ha una splendida esposizione sul lato del seno di Porto Venere che comincia con la punta della Castagna e, passando per l’Oliva e Agonera, termina alla punta di s. Pietro con la celebre Grotta Arpaia da pochi anni battezzata col nome di Grotta di Byron. Nel lato meridionale dell'Isola Palmaria, in questi ultimi anni, i lavori delle cave hanno messo in evidenza le classiche pieghe delle quali aveva reso conto fino dal 1864, accompagnandone la descrizione con un disegno per me eseguito dal vice Am- miraglio Guglielmo Acton; dette pieghe ho potuto in seguito fare fotografare, come pure quelle per le quali ha avuto origine la Grotta Arpaia. Penetrando nella caverna si scende per circa 24 metri, con forte incli- nazione ma abbastanza comodamente in seguito ai piccoli adattamenti che già vi sono stati fatti dal bravo Lamberti. Al primo pianerottolo che ho intitolato della Statua, perchè vi ha una massa stalagmitica la quale ricorda una donna seduta a un capo scala, ho verificato un dislivello di circa 20 metri dall'ingresso ; ho misurato la base XENDICONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 11 della sezione triangolare della galleria e l'ho trovata di 5 a 6 metri, mentre l'altezza di quel triangolo isoscele il cui vertice è tagliato dalla frattura che, lungo la volta, segue l’asse della galleria si può ritenere approssimativamente eguale a 7 od 8 metri. A sinistra, scendendo dal pianerottolo della statua, ho notato le prime tracce di breccia ossifera che ho creduto opportuno di lasciare al suo posto; quindi proseguendo per un certo tratto della galleria tutto ornato di cortine stalattitiche, percorsi circa 12 metri, si arriva alla sala della colonna o dell'Organo, essendo stata così battezzata perchè alla base di una elegan- tissima colonna costituita dall'incontro delle stalattiti con le stalagmiti, si ha una bella serie di piccole stalattiti le quali toccate convenientemente rispon- dono con note e suoni diversi, d'onde il nome di Organo. Dalla volta stupenda per il rivestimento alabastrino pendono stalattiti perfino di 3 metri di lunghezza; percorso breve tratto si passa in altra sala che ho denominata la Sala del Monumento. Questa sala, pure elegantissima per le stupende incrostazioni delle quali è rivestita, presenta nel mezzo un bel gruppo di stalattiti e stalagmiti, com- binate in modo da giustificare il nome che le fu imposto. Meglio di ogni descrizione, la fotografia verrà in aiuto per fare apprezzare queste meraviglie sotterranee dei dintorni dell’incantevole Golfo di Spezia, e al mio figlio Carlo, che insieme al fotografo Robatel mi accompagnò in una delle visite alla Grotta, devo i primi saggi i quali, sebbene per difetto di convenienti ap- parecchi onde avere la completa illuminazione dell’antro non siano ancora perfettamente riesciti, valgono a dimostrare che non sarà difficile di rie- scire, e lasciano intravedere quanto si potrà ottenere con nuove prove. La larghezza della sala è di circa 6 metri, ma penso che, allorquando il fondo della Caverna sarà stato liberato da quanto attualmente lo ingombra, mentre si scopriranno importanti depositi di breccia ossifera, verrà ampliata la galleria e probabilmente si scopriranno dei cunicoli laterali e delle vie di comuni- cazione con caverne contigue, forse ora ostrutte parzialmente dalle incrosta- zioni e dalle brecce e terra ossifera, come ebbi a notare per talune delle sinuosità e depressioni già esplorate. Dal monumento al termine della discenderia, per ora accessibile a tutti, si ha una lunghezza di circa 15 metri, e l'ingresso della caverna appare ancora come un punto luminoso, perchè in pieno meriggio per esso penetra un raggio che va a lambire la parete sinistra della galleria dove la Ca- verna si ristringe riducendosi la sua larghezza a soli 4 metri. Qui la caverna essendo ben poco incrostata, si può benissimo misurare la inclinazione degli strati troncati che costituiscono la parete sinistra, e scendono come la galleria con una inclinazione di 38° a 40°. Grandi massi ingombrano il suolo e rendono meno agevole il passaggio al fondo attuale della Caverna; la volta è spaventevolmente fratturata, pia- — Egea neggiante per la caduta di massi sui quali si passa, e per taluni di essi è facile di constatare che si staccarono dalla volta forse in epoca non troppo lontana. Percorsi circa altri 12 metri si arriva finalmente a un piccolo antro che ho denominato l'Antro del pantano; ivi la Caverna ripiglia la sua forma ordinaria, cioè con sezione triangolare; la sua altezza però è ridotta appena a 3 metri, e in alcuni punti solamente a due; in compenso vi hanno qui pure, piccole ma bellissime stalattiti. Un importante masso di breccia ossifera si presenta di fronte e quasi al livello del suolo, ove un angusto cunicolo invita il naturalista a proseguire impavido nella sua gita sotterranea. Da quella breccia staccai una bella mandibola del vero Orso speleo, e altre ossa furono cavate dal prof. Alberti, dal giovane De Champs, dal Podenzana e da altri che mi accompagnavano; ma dopo tutto pensai di insistere affinchè, per ora, anche quella breccia sia lasciata al suo posto. Il barometro segna a quel punto m. 112 sul livello del mare, ossia m. 38 sotto il livello dell'ingresso attuale della Caverna. Sul lato destro vi ha un potente ed esteso deposito di terra rossa molto argillosa e in stato di fango; essa racchiude enorme quantità di ossa le quali, con molta cura e pazienza, si potranno avere in buone condizioni. Dalla stessa parte vi ha un secondo cunicolo con un dislivello sull’antro del fango di circa quattro metri; il prof. Alberti, che volle tentarne in mia presenza la esplo- razione, rilevò che si estendeva per circa una diecina di metri, abbassandosi la volta fino a diventare assolutamente per ora impraticabile; ivi pure è ricchezza di ossa fossili, la direzione sarebbe esattamente da sud-ovest a nord-est. Più oltre per ora non fu possibile di investigare, ma vi è ragione di credere che quel crepaccio si avanzi e si ramifichi ancora notevolmente in più direzioni; frattanto può dirsi che la porzione della Caverna già esplo- rata misura complessivamente una lunghezza di settanta a ottanta metri, ciò che in realtà è poca cosa rispetto alla lunghezza e vastità di altre Caverne, le quali però non furono scoperte nè tanto agevolmente, nè in così breve tempo come questa, che è destinata a diventare una delle più interessanti curiosità dei dintorni di Spezia d'onde è distante appena quattro chilometri. To nutro fiducia che il Municipio di Spezia si interesserà perchè sia con- venientemente esplorata, e reso facile l’accesso a quanti desidereranno di visitarla. I fossili che finora vi sono stati raccolti si trovano presso di me e, uni- tamente a quanti ancora se ne scaveranno, figureranno poi nel museo civico di Spezia, ove sono pure gli avanzi della breccia ossifera di s. Teresa, e gli altri provenienti dalle brecce ossifere di Monte Rocchetta e dell’ Isola Palmaria. Per ora, riguardo a detti fossili mi limiterò a dire che trattasi esclusi- vamente di ossa di Orso. Sono in prevalenza i resti di Zysus spelacus BL, ma ho già constatato la presenza di un orso più piccolo, probabilmente iden- Lr ee tico a quello che trovai nella Caverna ossifera di Cassana nel 1858,e che fu pure scoperto or sono pochi anni nella breccia ossifera della famosa Groéta di Gargas nei Pirenei, illustrato maestrevolmente dal prof. Gaudry. Anche dell’U/rsus priscus Goldf., credo di avere qualche indizio; ma poichè mi man- cano ancora parti dello scheletro caratteristiche di questa specie, così mi riservo a dirne in altra circostanza. Chimica. — Sopra la legge dell’eterificazione di V. Meyer. Nota di AnGeELO ANGELI, presentata dal Socio CIAMICIAN. In questi ultimi anni V. Meyer ha pubblicati i risultati delle sue ri- cerche sopra l'andamento dell’eterificazione di un grande numero di acidi aromatici, e dall'esame di una serie di fatti è giunto a conclusioni molto interessanti. V. Meyer ha trovato che nel mentre l'acido benzoico e molti suoi de- rivati si possono facilmente eterificare per mezzo dell'alcool metilico ed acido cloridrico, gli acidi benzoici ortobisostituiti C\ C. COOH Rio4 non vengono eterificati punto, oppure solamente a stento ed in piccolissima parte. Gli eteri di tutti questi acidi si possono invece agevolmente ottenere per azione del joduro di metile sopra i loro sali argentici. V. Meyer spiega il comportamento anormale di questi acidi, ricorrendo a concetti stereochimici, ed ammette che i due gruppi R impediscano la so- stituzione dell'idrogeno basico col residuo alcoolico. Accettando la spiegazione ingegnosa di V. Meyer, non si comprende però perchè sia impedita l’eterificazione con alcool ed acido cloridrico, mentre avviene senza difficoltà la salificazione dell'acido e la eterificazione del sale argentico con un joduro alcoolico. V. Meyer fa invero notare che la salifi- cazione ha luogo immediatamente, mentre l’eterificazione è più lenta; ciò però non è sufficiente per fare intendere il diverso comportamento dello stesso acido nelle due reazioni. To credo invece che dando al processo dell'eterificazione una interpre- tazione un poco diversa dall'ordinaria, ma che sta in accordo con tutti i fatti noti finora in proposito, si possa arrivare a spiegare meglio le ecce- zioni osservate da V. Meyer, e si possa dallo stesso punto di vista inten- dere anche le altre reazioni anomale, le quali a priori non sembrano avere nessuna analogia coll’ordinaria eterificazione. CRA V. Meyer ammette che nella formazione degli eteri, per mezzo dell'alcool metilico ed acido cloridrico, avvenga semplicemente eliminazione di acqua fra l'alcool e l'idrogeno carbossilico : R_C\ RESICN AO VE H:0 76-000R, RT—C R Secondo questo modo di vedere, e che oggi è generalmente ammesso, in questa reazione prenderebbe parte l'atomo d'idrogeno o tutt'al più il residuo ossidrilico del carbossile. Io ritengo invece che la reazione, molto probabilmente, non sia così sem- plice come a prima vista si sarebbe indotti a credere, e che l'eguaglianza accennata non esprima che l'andamento finale della reazione ; secondo me, nel processo di eterificazione, oltre all’ossidrile prende parte attiva anche il carbossile del residuo carbossilico. Nell’eterificazione, a me sembra si possa ammettere, che in una prima fase avvenga addizione dell'alcool al gruppo carbossilico secondo lo schema: 0A A — CN /0R i 700O0 Spi Mi / a da questo composto intermedio, per eliminazione di una molecola di acqua, si formerebbe il corrispondente etere: #(g ORDINO Yo 0lon— Yo- co0r +0. i NORMIZSio È evidente che la reazione potrebbe essere più complicata ancora, quando si ammetta che l’acido minerale che si impiega non faccia l'ufficio di sem- plice disidratante. Così p. es. nel caso dell'acido cloridrico ed alcool meti- lico si può supporre che in una prima fase si formi il cloruro dell'acido, il quale per addizione all'alcool darebbe il composto: SN — 9 708 C.COC1+ ROH = C-CC0H, io i — c$ al che per successiva eliminazione di acido cloridrico originerebbe l'etere: 0 708 ON CT—-CT_0H = HCI °C.COOR. gi NA ud Mr 06 — Secondo questo modo di vedere, il problema che riguarda l'eterificazione prende da un aspetto differente. Nella formazione degli eteri non si tratterebbe di una semplice sosti- tuzione dell'idrogeno carbossilico col residuo alcoolico, come avviene nella salificazione ma invece, nei casi studiati da V. Meyer, i radicali R impedirebbero che si formi il primo prodotto intermedio della reazione : ROW OCH No_e4o0H R- 04 \0H Si vede subito come nella formazione di questi composti di addizione, i radi» cali R possano avere, anche secondo la ipotesi stereo-chimica, una influenza notevole, e si comprende assai meglio in qual modo la loro presenza possa impedire o rendere difficile l'eterificazione. Secondo questa ipotesi i due metodi di eterificazione, l’ordinario e quello dei sali argentici, sebbene nella maggior parte dei casi conducano agli stessi prodotti finali, rappresenterebbero due processi essenzialmente diversi. È del pari noto, e V. Meyer lo mette in evidenza, che gli eteri che difficilmente si formano anche difficilmente si lasciano saponificare. Anche questo fatto, secondo me, può trovare una spiegazione analoga. Se invece di ammettere, come si fa finora, che in questa reazione av- venga un semplice scambio secondo l'eguaglianza: si può supporre che in una prima fase avvenga addizione di una molecola di acqua (o dell’alcali oppure dell'acido, secondo i mezzi che si impiegano) nel senso rappresentato dallo schema: Zig 0) OR Y0.0008+H0= Yonoton o 900 \0H e che poi si elimini alcool: A AR _ Gr CC‘ Hi \R.0H C.COOH. TA \0H ma Sugo Si comprende subito come, a questo modo, anche la saponificazione, l'inversa dell’eterificazione, rientri nello stesso ordine di reazioni. Questa ipotesi verrebbe avvalorata dal fatto che Claisen ha potuto con tutto rigore dimostrare l'esistenza dei composti di addizione degli eteri con gli alcoolati: EIZO — C OR Y0.000r + RONa= Ne cor ZO 04 NO Na Basandosi sulla mia ipotesi si può prevedere una serie di altri fatti. Così p. e. è noto che l'etere benzoico, in presenza di etilato sodico, può condensarsi con l’acetone per dare il benzoilacetone. Secondo le interessanti ricerche di Claisen in questa reazione dapprima l’ alcoolato si addiziona all'etere benzoico : /0 (075 H; CEREIS O C_-0 C-0EA 3 NO Na da questo composto, in una fase successiva, si eliminano due molecole di alcool: O C. Hz Co H;s. OSL C, H; + CH;C0.CH3 = C,H;.CO.CH Na.C0.CH; +- 2 C, H;.0H O Na Ne risulta quindi che con gli eter: benzoici ortobisostituiti, essendo impe- dita l’addizione dell’alcoolato, questa reazione non potrebbe avvenire, oppure dovrebbe procedere in modo stentato ed incompleto. Anche la difficile saponificazione dei cloruri di alcuni radicali acidi e di taluni nitrili si potrebbe spiegare nello stesso modo. Infatti è molto probabile che anche nel processo di trasformazione dei cloruri negli acidi corrispondenti : R.CO.C1 + H:0= R.COO0H + HC] , in una prima fase si formino prodotti di addizione : OH R.0C0E, NO che per successiva eliminazione di acido cloridrico dànno origine ai rispet- tivi acidi. Naturalmente, lo stesso vale per i nitrili: R.CN. Mors < ea Anche la saponificazione di queste sostanze è preceduta dall’addizione di una molecola di acqua, con formazione dell’ammide: J NH RECNI=Z RIC me RACOSNH RECCO \0H Come si vede, queste reazioni sono molto affini e si possono riguardare tutte da uno stesso punto di vista. Accennerò infine che anche il fatto che alcuni chetoni non reagiscono con l'idrossilammina per dare le ossime corrispondenti, probabilmente si deve intendere nello stesso modo. Tutti infatti sono oramai d'accordo nell'ammettere che la formazione delle ossime sia preceduta da un’addizione dell’'idrossilammina: H Anche in questo caso, sarebbero appunto i residui R che impediscono questi processi di addizione e quindi anche la successiva formazione delle ossime. Lo stesso vale probabilmente anche per alcuni chetoni che non addi- zionano l'acido prussico oppure il bisolfito per dare le cianidrine ed i com- posti bisolfitici: TON /CN OA 80; Na c c EEE AMIN0H neo A ga Io comunico naturalmente queste mie vedute col massimo riserbo, fidu- cioso che ulteriori esperienze abbiano ad apportare loro nuove conferme. Chimica. — Sulla stabilità delle sei Xililsuccinimmidi iso- mere (!). Nota di A. MroLATI e di A. LoTTI, presentata dal Socio CANNIZZARO. L'importanza della costituzione di una molecola sull'andamento di una reazione che ne modifica una sua parte venne posta, particolarmente in questi (1) Lavoro eseguito nell'Istituto chimico della R. Università di Roma. — 4*% Comuni- cazione di A. Miolati, Sulla stabilità delle immidi di acidi bibasici. Vedi questi Ren- diconti, vol. III, 1° sem., pag. 515 e 597 (1894); vol. IV, 1° sem., pag. 3851 (1895). - RO ultimi tempi, in un rilievo speciale. Fu precisamente quando i lavori di V. Meyer ebbero dimostrato che la presenza di gruppi sostituenti l'idrogeno vi- cino al carbossile d'un acido aromatico, rendeva più difficile la sua eterifica- zione, che si ricordarono e coordinarono moltissimi fatti analoghi già da lungo tempo osservati e che se ne ricercarono di nuovi. È naturale che un gruppo, il quale si trovi vicino alla posizione in cui una molecola chimica viene modificata da un agente qualsiasi, eserciti una influenza sulla facilità con cui avviene questa modificazione, ed è altresì ovvio che questa influenza dipenderà dalla natura di quel gruppo, e cambierà col cambiare di esso. Quale sia la causa di questa azione non si può stabilire a priori, soltanto pare che più della natura chimica del gruppo influisca lo spazio da esso occupato. Certamente le osservazioni sperimentali non si pos- sono ancora considerare sufficienti a decidere la questione, la quale forse sol- tanto in base ad uno studio esteso ed accurato si potrà fino ad un certo punto chiarire. È certo però che in questa tanto delicata questione di mec- canica molecolare, più che in qualsiasi altro problema chimico, le osserva- zioni debbono essere quantitative; ciò che dall'altra parte non è difficile di fare, poichè la determinazione della velocità d'una reazione o quella del- l'equilibrio di due reazioni inverse, ci offre un criterio esatto e compara- bile dell'andamento di un processo chimico. In precedenti pubblicazioni uno di noi ebbe occasione di mostrare che la velocità con cui le immidi succiniche sostituite nell’azoto si trasformano per mezzo dell’idrato sodico negli ammidoacidi corrispondenti, era diversa a seconda del gruppo unito all’azoto stesso. Nel caso che il gruppo fosse alifa- tico, la velocità di decomposizione diminuiva coll’aumentare del suo peso. La fenilsuccinimmide invece si mostrava, in confronto alle immidi contenenti gruppi alcoolici, molto meno stabile, indicando così che la massa del gruppo sostituente non è da considerarsi il solo fattore modificante la velocità della decomposizione. Si presentava allora interessante di ricercare quale influenza «avrebbero esercitato sulla velocità di decomposizione gruppi che si fossero introdotti nel residuo fenico della fenilsuccinimmide. Lo studio delle tre toluilsuccin- immidi diede per risultato che il metile aumentava sempre la stabilità e par- ticolarmente quando esso si trovava in posizione orto all’azoto, cioè nella posi- zione più vicina al punto in cui la molecola viene intaccata dall’idrato sodico. I valori delle costanti allora ottenuti sono î seguenti: Fenilsuccinimmide . . . . . Ac. = 2,27 o Toluil » >» MER » 0,8558 m L) Lu) kl d. o . . è » 1,098 P n È) L) o . » 1,12 La ortotoluilsuccinimmide è dunque più stabile degli altri suoi due iso- meri di posizione. RenpICONTI. 1896, Vol. V, 1° Sem. 12 NEO IS Con questo risultato concordano perfettamente le ultime osservazioni di E. Goldschmidt sulla eterificazione di alcuni acidi aromatici (!). Diamo qui i valori delle costanti di eterificazione di alcuni acidi: AGITOMDONZOLCO) (RED Ke — 00428, » fio coluico sauna ce » 0,0111 » m n» Mn » 0,0470 PUGNI ” i COSE » 0,0241 ni lol bromobenzoico . » 0,0203 » m ” di ico ‘o ” 0,0558 » P ” so A » 0,0450(2) » © nitrobenzoico LO » 0,0028 L) m L) 5 O d b,) 0,0296 » D ” ti » 0,0261 Il confronto delle tre serie di acidi isomeri, mostra che gli acidi orto hanno sempre la minore velocità di eterificazione, vale a dire che anche in questo caso il gruppo carbossilico viene modificato più lentamente quando ha sostituito l'idrogeno vicino con un altro gruppo. Nella Nota presente noi studiamo la decomposizione delle sei xililsuc- cinimmidi isomere, per stabilire l'influenza dei due gruppi metilici posti in differenti posizioni reciproche. I metodi di ricerca seguiti furono quelli esposti nelle Note precedenti sopracitate, le lettere nelle tabelle hanno il medesimo significato che in tutte le altre. Le sei xililsuccinimmidi non erano finora conosciute, e furono pre- parate appositamente per questa ricerca. CH cod i o. Xililsuccinimmide vicinale | NK Y CH, Sa CO: er Fu ottenuta, insieme coll’isomera susseguente, seguendo il processo ge- nerale indicato dal Menschutkin per le succinimmidi della serie aromatica (2). Il miscuglio delle due ortoxilidine isomere si è ottenuto dall'ortoxilolo se- guendo il metodo indicato da Nòlting (*). Le rxilidine distillate con acido succinico dettero le due immidi, le quali furono cristallizzate frazionatamente dall'acqua alcoolica, dove la vicinale è molto più solubile dell'altra. Dopo una prima separazione con questo metodo, l’immide vicinale si è depurata sciogliendola ripetutamente in cloroformio e precipitandola con li- groina, finchè non mostrò un punto di fusione costante a 105°. L'immide bolle (1) Berichte, XXVIII, 3218 (1895). (2) Menschutkin. Liebigs Annalen CLXII-166. (3) Nòlting u. Forel, Berichte, XVIII, 2674. ERO) al di sopra di 300° e cristallizza dal cloroformio e ligroina in piccoli prismi. Una determinazione d'azoto dette i risultati seguenti : gr. 0,2356 di sostanza dettero 14,5 cm? d'azoto misurati a 25° e 760mm e corrispondenti a 0,01648 di azoto. Per cento: trovato calcolato per C,:H130,N Ne 6,99 6,91 I valori trovati nella determinazione della velocità di decomposizione sono i seguenti : A'= 9,15 t x A-x x: A-x Ac 4 7,00 2,15 3,256 0,8140 5 7,39 1,76 4,199 0,8398 6 7,65 1,50 5,100 0,8500 % 7,79 1,36 5,728 0,8182 8 7,93 1,22 6,500 0,8125 9 8,06 1,09 7,994 0,8215 10 8,13 1R02 7,971 0,7971 11 8,22 0,93 8,839 0,8035 12 8,30 0,85 9,766 0,8138 13 8,95 0,80 10,43 0,8023 14 8,40 0,75 11,20 0,8000 15 8,45 0,70 12,07 0,8046 Media 0,8147. o. Xililsuccinimmide asimmetrica | N- pci CH, lo AR NILE: Fu ottenuta, come si è detto insieme colla precedente, e fu preparata inoltre servendosi della xilidina solida, ottenuta col metodo di Jacobsen (1), cioè gettando l'ortoxilolo nell’acido nitrico fumante e riducendo il nitroxilolo formatosi, con Fe ed CH; COOH. L’immide distilla sopra 300°, cristallizza dall'alcool e dall'acqua alcoolica in sottili laminette splendenti che hanno il punto di fusione a 150°. Le analisi dettero i risultati seguenti: gr. 0,1965 di sostanza dettero gr. 0,5102 di CO. e gr. 0,1176 di H,0 cor- rispondenti a gr. 0,1391 di C e gr. 0,01306 di H. (1) Jacobsen, Berichte XVII, 160. gr. 0,2120 di sostanza dettero gr. 13,3 cm.* di azoto misurati a 20° e 758 mm. e corrispondenti a gr. 0,01514 di azoto. Per cento: trovato calcolato per C;2H 1302.N = 70,81 O 7080 Hi= 83 Rio 645 N= 7,14 NiE= 6,91 Diamo qui le determinazioni di velocità di decomposizione: A=9,15 t Xx A-x x: A-x Ac 4 7,78 1°9,7 5,679 1,419 5 7,98 IESIe7 6,821 1,364 6 8,14 1,01 8,060 1,943 7 8,25 0,90 9,168 1,309 8 8,31 0,84 9,393 1,236 9 8,39 0,76 11,04 1,226 10 8,45 0,70 12,07 1,200 11 8,52 0,63 13,52 1,229 12 8,57 0,58 14,78 1,231 13 8,62 0,53 16,27 1,251 14 8,64 0,51 16,93 1,209 15 8,68 0,47 18,47 1,231 Media 1,270. DIE — GO pe NK picie m. Xililsuccinimmide asimm. | 7 CH, — CO È stata pure preparata, seguendo sempre il metodo generale, e partendo dalla m. xilidina pura del commercio. Distilla anch’ essa sopra 300°, si so- lidifica solo dopo un certo tempo e cristallizza dall'acqua alcoolica in mi- nuti aghetti riuniti a cespuglio, che fondono a 118°. All’analisi dette i seguenti risultati: 0,1983 gr. di sostanza dettero gr. 0,5130 di CO, e gr. 0,1219 di H;0 cor- rispondenti a gr. 0,1399 di C e gr. 0,01354 di H. 0,2243 gr. di sostanza dettero 13,8 cm.* d'azoto misurati a 20° e 7569 e corrispondenti a gr. 0,01567 di azoto. Per cento: trovato calcolato per C,2H,3 0:N CE= 70,56 70,89 = 6,82 6,45 N=" 609 6,91 TROIA Le determinazioni di velocità di decomposizione hanno dato i risultati seguenti : ATC9515 t x A-x x: A-x Ac 4 TS 2,00 3,575 0,8937 6 7,64 oil 5,059 0,8431 7 7,90 1,25 6,320 0,9028 8 8,02 1,13 7,098 0,8872 9 8,13 1,02 7,971 0,8856 10 8,20 0,95 8,632 0,3632 11 8,27 0,88 9,397 0,38542 12 8,33 0,82 10,16 0,3466 13 8,98 0,77 10,88 0,3369 14 8,44 0,71 11,89 0,38492 15 8,49 0,66 12,86 0,38566 Media 0,8653 CH, — C0 e m. Xililsuccinimmide simmetrica | bre SY CH, — CO suora Si partì dalla m. xilidina simmetrica ottenuta col processo. di Wrob- lewsky (!), cioè acetilando la xilidina asimmetrica, nitrando il composto ace- tilato, saponificandolo e diazotandolo poi ed infine riducendo il nitroxilolo ottenuto. Si ebbe in tal modo la xilidina 1. 3. 5, colla quale si preparò l’im- mide che distilla sopra 300° e si condensa subito in massa cristallina. Da acqua alcoolica cristallizza in begli aghi bianchi che fondono a 168°. L'analisi dette i risultati seguenti : 0,2043 gr. di sostanza dettero gr. 0,5300 di CO. e gr. 0,1234 di H.0 cor- rispondenti a gr. 0,1445 di C e gr. 0,01371 di H. 0,2184 gr. di sostanza dettero 13,1cm.8 d'azoto misurati a 19° e 762 mm. e corrispondenti a gr. 0,01496 d'azoto. Per cento : trovato calcolato per C,aH13 023.N Ca 70,73 70,89 = 6,69 6,45 NE= 6,93 6,91 (1) Wroblewsky, Ann. CCVII, 91. Mr 04 A= 9,15 t x A-x x: A-x Ac 4 7,60 1,55 4,904 1,226 5 7,86 1,29 6,092 1,218 6 7,94 1,21 6,561 1,093 7 8,14 1,01 8,060 1,151 8 8,26 0,89 9,281 1,160 9 8,92 0,83 10,02 TEENS 10 8,40 0,75 11,20 1,120 11 3,44 Oa7A 11,89 1,080 12 8,52 0,63 13,52 1,126 13 8,56 0,59 14,51 1,116 14 8,62 0,53 16,27 1,162 15 8,66 0,49 17,67 1,178 Media 1,145 CH, osp CO\ CHs m. Xililsuccinimmide vicinale | DAL 3 Fu preparata col solito metodo, partendo dalla base, ottenuta solo in piccolissima quantità col processo di Nòlting e Forel (!) ed in quantità maggiore con un metodo speciale, del quale verrà fatta da noiin altra Me- moria speciale menzione. L'immide preparata colla xilidina ottenuta col primo processo fonde a 184°-186°, ma non deve essere completamente pura, perchè partendo dalla Xilidina simmetrica vicinale ottenuta col nuovo metodo si ha un'immide che fonde a 187°. L'immide cristallizza dall'alcool in cristalli appiattiti, bianchi, terminati a punta, che sono pochissimo solubili in alcool a freddo, molto a caldo. Una determinazione d'azoto dette : 0,2025 gr. di sostanza dettero 12,7 cm.* d'azoto misurati a 22° e 754 e corrispondenti a gr. 0,01414 d'azoto. Per cento. trovato calcolato per C.2H130,.N N= 6,98 6,91 !) Nòltin u. Forel Ber. XVIII, 2674. Si ig E A=19}15 t x A-x x: A-x Ac 4 3,61 5,54 0,6516 0,1629 5) 4,11 5,04 0,8155 0,1631 6 4,50 4,65 0,9677 0,1612 7 4,93 4,22 1,168 0,1668 8 5,13 4,02 1,277 0,1596 9 5,49 3,66 1,500 0,1666 10 5,98 3,57 1,584 0,1584 11 5,80 3,95 18722 0,1574 12 5,87 3,28 1,789 0,1490 13 6,10 3,05 2,000 0,1538 14 6,25 2,90 2,155 0,1540 15 6,44 2,11 2,376 0,1584 16 6,47 2,68 2,414 0,1508 al 6,64 2,51 2,645 0,1555 18 6,70 2,45 2,735 0,1515 19 6,984 2,31 2,961 0,1558 20 6,90 2,25 3,066 _0,1588 21 6,97 2,18 3,524 0,1522 Media= 0,1571 CH, — C0\\ p. Xililsuccinimmide | NK >) CH, — CO CH Si ottenne, impiegando la p. xilidina preparata col metodo di Jan- nasch ('), per nitrazione del p. xilolo e successiva riduzione del nitroderi- vato formatosi. L’immide ottenuta distilla essa pure sopra 300° e cristal- lizza dall'alcool in lamine splendenti che fondono a 120°. Una determinazione d'azoto dette il risultato seguente: gr. 0,2511 di sostanza dettero 15,3 cm.* d'azoto misurati a 19° e 760! e corrispondenti a gr. 0,01756 di azoto. Per cento : trovato calcolato per C,2H13 02.N NE= 6,99 6,91 (*) Jannasch, Ann. CLXXVI, 55. wo 06 A = 9,15 t Xx A-x x: A-x Ac 4 7,14 2,01 ODA 0,8880 5 7,47 1,68 4,446 0,8892 6 7,65 1,50 5,100 0,8500 T 7,89 1,26 6,262 0,8945 e) 7,98 1,17 6,821 0,8526 9 8,12 1,03 7,884 0,8760 10 8,21 0,94 8,734 0,8734 11 8,30 0,385 9,766 0,8887 12 8,35 0,30 10,43 0,8691 13 8,42 0,73 11,58 0,8868 14 8,44 0,71 11,89 0,8592 15 8,50 0,65 13,08 0,8720 Media 0,8757 Le medie dei valori ottenuti sono qui ordinate in serie crescente : CH, CH 0; NC p le dia CH, RENI 814 > 0,8147 CH, CH, Rin Ven Xx 4 3 0,8653 CH, CH, RN ) 0,8757 DS CI, CH, "_N N 14 R < > 1,145 MINORI BNS buu:e 1,270 CH. I valori si possono dividere rispetto alla grandezza in 3 gruppi. Al primo appartiene la sola m-xililsuccinimmide vicinale. Essa ha i due metili in posizione orto all’azoto, e risulta perciò la. più stabile. Al secondo gruppo appartengono le tre xililsuccinimmidi aventi un solo gruppo metilico in po- sizione orto. Esse si decompongono in confronto all’'isomero meta-viccinale molto più velocemente, sono però alla loro volta più stabili delle altre due formanti il terzo gruppo, le quali non hanno nessun metile in posizione orto. Questi risultati concordano come si vede con quelli ottenuti precedente- mente e di cui si fece cenno in principio di questa nota. Vedremo se sa- ranno confermati dalle ulteriori ricerche, che abbiamo intrapreso su questo argomento. — (97, SS MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI BERNARDI G. Estrazione abbreviata della radice cubica dei numeri. Presen- tata dal SEGRETARIO. PERSONALE ACCADEMICO Il Presidente BrioscHI dà annuncio della perdita fatta dall'Accademia, nella persona del Socio nazionale Giuseppe FIORELLI, mancato ai vivi il 29 gennaio 1896; il Presidente commemora brevemente l’ estinto, il quale faceva parte dell'Accademia sino dal 1875. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario BLASERNA presenta le pubblicazioni giunte in dono, segna- lando quelle inviate dai Soci Bassani, GEGENBAUR, HALL, 6 dai signori GaLLoni e D'EnceLHARDT. Presenta inoltre il vol. IX delle Opere di Cayley inviato in dono dall’ Università di Cambridge. CORRISPONDENZA Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: La R. Accademia di scienze ed arti di Barcellona ; l'Accademia di scienze naturali di Filadelfia; la Società di scienze naturali di Emden; la Società geologica di Manchester; l'Istituto Teyler di Harlem; l'Istituto goodetico di Potsdam; la Scuola politecnica di Delft; l'Osservatorio Radcliffe di Oxford. Annunciano l'invio delle proprie pubblicazioni : L'Ufficio idrografico di Genova; la Società di scienze naturali di Franco- forte s. M.; la Società zoologica di Londra; le Università di Cambridge, di Utrecht e di Kasan, OPERE PERVENUTE IN DONO ALL'ACCADEMIA presentate nella seduta del 2 febbraio 1896. Bassani F.— La ittiofauna della Dolomia principale di Giffoni. Pisa, 1895. 4°. Bisogni C. — Intorno all'evoluzione del nucleo vitellino del Salticus sce- nicus e della Scutigera coleoptata. Leipzig, 1895. 8°. Bottazzi F. — Sul metabolismo dei globuli rossi del sangue. Milano, 1895. 8°. Carazzi D. — Fagocitosi e diapedesi nei Lamellibranchi. Firenze, 1895. 8°. RenpICONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 13 Mi (9g Cayley A. — The Collected mathematical papers. Vol. IX. Cambridge, 1896. 4°. Cruls L. — Determinagio das Posicdes Geographicas de Radeio, Entre Rios, Juiz de Féra, Joào Gomes e Barbacena. Rio de Janeiro, 1894. 4°. Id. — Le Climat de Rio de Janeiro. Rio de Janeiro, 1894. 4°. Id. — Méthode graphique pour la détermination des heures approchées des eclipses du Soleil et des occultations. Rio de Janeiro, 1894. 8°. Elenco dei fari e fanali 1896. Genova, 1896. 4°. Engelhardt B.d’. — Observations astronomiques. 3° partie. Dresde, 1895. 4°. Fono G. — La Fisiologia nel passato e le cause dei suoi recenti progressi. Firenze, 1895. 8°. Id. — Résumé des travaux de l’année 1895 publiés sous sa direction au La- boratoire de Physiologie de l’Institut d’'études supérieurs de Florence. Turin, 1896. 8°. Frassineto A. di.— Contributo allo studio degli albuminoidi del siero san- guigno. Firenze, 1895. 8°. Galloni L. — La peronospora infestante. Roma, 1896. 4°. Id. Maggese e frumento. Roma, 1895. 4°. Gegenbaur C. — Morphologisches Jahrbuch. Bd. XXIII, 1, 2. Leipzig, 1895. 4°. Gori F. — Antichi nomi dei fiumi di Romagna. Roma, 1895. 8°. Hall J. — Natural history of New Yark. — Palaeontology. Vol. VIII. Albany, 1894. 4°. Herlitzka G. — Contributo allo studio della capacità evolutiva dei due primi blastomeri nell'uovo del tritone (Triton Cristatus). Leipzig, 1895. 8°. Klein C. — Ein Universaldrehapparat zur Untersuchung von Diinnschliffen in Fliissigkeiten. Berlin, 1895. 8°. Langmuir A. C. — Index to the Literature of Didymium 1842-1893. Washing- ton, 1894. 8°. Libertini G. — Sulla localizzazione dei poteri inibitori nella corteccia cere- brale. Torino, 1895. 8°. Magee W. H. — Index to the Literatures of Cerium aud Lanthanum. Washington, 1395. 8°. Morley E. W. — On the densities of Oxigen and Hydrogen and on the Ratio of theiratomic Weights. Washington, 1895. 4°. Nobile A. — Abbreviazione del calcolo di una linea geodetica quando si voglia solo una buona approssimazione. Napoli, 1895. 8°. Id. — Contribuzioni sul numero della costante dell’aberrazione annua delle stelle. Napoli, 1895. 8°. Id. — Osservazioni di ascensioni rette, direttamente e per riflessione, fatte nel 1883. Napoli, 1895. 4°. Li 00) e Palazzo L. — Misure assolute degli elementi del Magnetismo terrestre ese- guite in Italia negli anni 1888 e 1889. Roma, 1895. 4°. Piette Ed. — Hiatus & Lacune. Vestiges de la periode de Transition dans la grotte du Mas-d'Azil. Beaugency, 1895. 8°. Schaeberle J. M. — Report on the total Eclipse of the Sun observed at Mina Bronces, Chile (Contributions from the Lick Observ. 4). Sacramento, 1895. 8°. RETCOTIRI dorati Nevano. Toe RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI AN Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 16 febbraio 1896. A. MessEDAGLIA Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Chimica. — Sulla costituzione della granatonina e dei suoi derivati. Nota del Socio Gracomo CIAMICIAN e PaoLO SILBER. In una serie di Memorie pubblicate in questi ultimi anni (‘) abbiamo dimostrato che fra i derivati della pseudopelletierina e quelli della tropina esiste una stretta relazione, in modo che i primi devono essere considerati quali omologhi superiori dei secondi. Malgrado questa esatta conoscenza dei rapporti che passano fra le due serie di sostanze, pure, fin’ ora, non abbiamo creduto opportuno di esprimere le nostre vedute intorno alla costituzione degli alcaloidi del melagrano. Questo riserbo è stato determinato dalla difficoltà di mettere d'accordo alcuni fatti da noi osservati, con la formola, ora quasi generalmente accet- tata e certamente assai probabile, che Merling ha attribuito alla tropina. Dalle nostre ricerche risulta, che la metilgranatonina (?) può essere trasfor- mata da un lato in @-propilpiridina, e dall'altro in un composto non azo- tato, il granatone (CsH,,0), il quale non è probabilmente che un diidroace- tofenone (C$H,. CO. CH3), perchè dà per ossidazione l'acido fenilgliossilico (C5H;.CO. COOH). Volendo ora esprimere con una formola la costituzione fondamentale degli alcaloidi da noi studiati, non si può ammettere che essi (1) Gazzetta chimica italiana, vol. 22, II, pag. 514, e vol. 24, I, pag. 116 e II, pag. 350. (2) La granatonina viene qui chiamata metilgranatonina in seguito ad alcune consi derazioni sulla nomenclatura più opportuna tanto per gli alcaloidi del melagrano, che per quelli tropinici, che si trovano più avanti. RenpICONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 14 — 102 — contengano semplicemente un metile di più di quelli tropinici, perchè i due seguenti schemi, che in tal caso sarebbero da prendersi in esame (010) Ca C ca e. C (06) NIGRO N 06) (0760) Ca) se servono a spiegare come dalla granatanina possa prendere origine la a-propilpiridina, non dànno conto dell'altro fatto, ugualmente importante, cioè della formazione del granatone. Non si potrebbe comprendere come questo corpo dia per ossidazione l'acido fenilgliossilico, giacchè, secondo i due schemi, l'anello non azotato, da cui deriverebbe questo acido, dovrebbe dare, invece di un derivato monosostituito del benzolo, l’ acido ortoftalico (4 — 5 oppure3 — 4). Per evitare queste difficoltà basta fare una supposizione, che ci apparve subito la migliore, ma che fin qui ci siamo astenuti dal menzionare, essendo ora soltanto in grado di confortarla coll’ esperienza. Se si ammette che le relazioni fra i derivati della granatanina e gli alcaloidi tropinici non sieno quelle della ordinaria omologia, ma se si sup- pone che si tratti invece di quella, che uno di noi, molti anni or sono, chiamò omologia nucleare, la granatanina apparisce costituita da due anelli esato- mici, i quali anzi che da otto, come nella tropina, sono formati da nove atomi. C6) C6) 0 Ce C CO C Cm C Cm N schema delle basi tropiniche schema delle basi granataniche In questo modo si viene però a stabilire un nuovo tipo di combinazioni nucleari, il quale, come si vedrà, per l'interesse speciale che presenta non poteva essere da noi accettato senza ulteriori prove e mature riflessioni. Cercando dei fatti che venissero ad appoggiare una tale ipotesi abbiamo incominciato collo studio del cosidetto granatale (C3H120), il quale è nella serie granatanica il composto che corrisponde al tropilere (0:Hx00). Le ri- — 103 — cerche del Merling rendono, come si sa, assai probabile che questa interes- sante sostanza non sia che l’'aldeide te/raidrobenzoica (C:Ho. CHO). Per ana- logia noi abbiamo sempre supposto essere il granatal l'a/deide tetraidrofe- nilacetica, oppure il fetraidroacetofenone: C;Hs. CH,. CHO oppure CEHoCONCH;- Finora però tutte queste relazioni non erano state sufficientemente pro- vate, neppure quelle riguardanti la natura del tropilene. Merling (!) non riuscì a trasformarlo in un composto aromatico, ed il Ladenburg (?), che l’ ot- tenne pel primo dalla tropidina e lo ossidò con acido nitrico, non potè con- tribuire a svelarne la costituzione, non essendo egli riuscito a riconoscere quella dell'acido C:H,004, che per tale processo si origina. Noi crediamo di essere stati più fortunati. Sottoponendo il granatale ed il tropilene all’azione ossidante del permanganato potassico al 2 per cento, abbiamo ottenuto in entrambi i casi lo stesso acido, della formola Cs H100, il quale s' è dimo- strato identico all’ucido adipico normale. Le nostre esperienze confermano quindi una supposizione del Merling, che aveva preveduto la formazione di quest’ acido dal tropilene. Accettando la formola che questo autore attribuisce al tropilene, e tenendo conto dei fatti da noi osservati a proposito del gra- natale, crediamo che quest'ultimo sia da considerarsi meglio come un tetra- idroacetofenone che come un’ aldeide tetraidrofenilacetica. La sua trasforma- zione in acido adipico riesce in questo modo più facile ad intendersi. C HO CO-CH,; | | CH CH PAESI H.C CH H;C di CH | H,C CH La CH SL CH, CH, CO, COOH — CH; CH, — CH, — COOH CH, — CH, — COOH | | CH, — CH, — COOH CH, — CH, — COOH Noteremo per ultimo che per la forma acetonica del così detto granatale parla anche il fatto, che mentre il tropilene, quale omologo ciclico di un'al- deide crotonica, ha un odore fra l’ aromatico ed il pungente, manca total- mente quest’ ultimo carattere al granatale; esso possiede un odore simile (1) Berichte, vol. XXIV pag. 3116. (*) Liebig's Annalen, vol. CCXVII, pag. 138. — 104 — a quello del tropilene, ma che non ha più nulla di pungente. Sarà forse più opportuno dare al granatale il nome, più conforme alla sua natura, di d/2dr0- granatone. JOb La formazione di acido adipico da un derivato della granatanina è un fatto che da solo non prova ancor nulla in favore della nostra formola. Era necessario perciò trovare argomenti più stringenti, e quale nuovo punto di con- fronto ci parve opportuno l’altro composto non azotato, da noi ottenuto dalla metilgranatonina, il già citato granatone. Dagli alcaloidi tropinici non era stato ancora ottenuto un composto cor- rispondente al granatone, perchè in questa serie non si conosce ancora l'omo- logo inferiore della metilgranatonina, il chetone che corrisponde alla tropina. Accettando le nostre formole e le relazioni che esse esprimono era da pre- vedersi che il jodometilato del chetone della tropina dovesse scindersi cogli alcali in dimetilammina ed aldeide diidrobenzoica. Il jodometilato della metilgranatonina dà, come è noto, dimetilammina e diidroacetofenone. Si trattava dunque anzitutto di compiere la serie degli alcaloidi tropinici, ed anche questa volta la soluzione del problema non è stata difficile. Dopo esserci assicurati che la metilgranatolina può essere trasfor- mata, almeno parzialmente, in metilgranatonina, ossidandola con quella miscela cromica, con cui Beckmann (') in altri casi riuscì ad effettuare il passaggio dagli alcooli ciclici secondarî ai corrispondenti chetoni, abbiamo sottoposto la tropina allo stesso trattamento, ed abbiamo ottenuto, con ottimo rendimento, il chetone cercato. Esso è un bell’ alcaloide solido, che fonde a 42°, mentre la tropina fonde a 62-63°. Esso è assai più volatile di quest'ultima ed è deli- quescente. La sua ossima, che sì ottiene come la metilgranatoninossima, fonde a 1180-1200, Ma qui, prima di procedere oltre, ci sembra opportuno intercalare una questione di nomenclatura, dovendo dare un nome al nuovo alcaloide da noi trovato. I nomi attualmente in uso per designare gli alcaloidi della tropina sono assai poco appropriati, e noi crediamo di non mancare di deferenza agli illustri chimici, che ci hanno preceduto in questo campo, se proponiamo di mutarli per metterli in relazione con quelli della serie granatanica (?). Il van- taggio di porre in rilievo la perfetta corrispondenza di queste due importanti serie di sostanze emergerà, come speriamo, da quanto diremo in fine di questa (1) Liebig*s Annalen, vol. CCL, pag. 325. (2) Alle volte le questioni di nomenclatura riescono spinose; così l’avere dovuto mu- tare nome alla pseudopelletierina ci attirò le ire dell’egregio scopritore degli alcaloidi del melagrano, il sig. Tanret (Bul. de la société chim. de Paris (3), XI, pag. 422), al quale però non crediamo di dovere rispondere, dolenti di non poterlo contentare. Speriamo d’essere più fortunati questa volta. — 105 — Nota. Ma anche i nomi da noi proposti due anni or sono per gli alcaloidi del melagrano vanno leggermente emendati. La nostra nomenclatura parte dalla pseudopelletierina, che è base terziaria per un metile imminico, e ne viene perciò di conseguenza che i nomi di tutte le basi secondarie da noi descritte sono preceduti dalla particella « 207 », che certo sarebbe utile eli- minare. Noi proponiamo ora di prendere quali composti fondamentali le due basi sature, non ossigenate, secondarie, cioè la norgranatanina da un lato, e la noridrotropidina dall'altro. A questi due composti esaciclici binucleari a 8 e rispettivamente 9 termini diamo i nomi di granatanina e tropanina; gli altri vengono di conseguenza nel modo qui indicato : Granatanina CH NH Tropanina C:HieNH (Noridrotropidina) Granatenina CsH,.NH Tropenina (*) C.H.NH ? Granatonina (*) C:H,:0NH ? Troponina (*) CH. ,0NH ? Granatolina C3H;:(0H)NH Tropolina CH, (0H)NH(Tropigenina) n-Metilgranatanina CsHi4NCHg n-Metiltropanina CH,.NCH3 (Idrotropidina) n-Metilgranatenina CsHi:NCH; n-Metiltropenina CHxNCH; (Tropidina) n-Metilgranatonina (*#) CxH,,O0NCH3 n-Metiltroponina CH 0ONCH3 —_ n-Metilgranatolina CsH,s(0H)NCH; n-Metiltropolina C:H,;(0H)NH; (Tropina) Va da sè chein modo corrispondente sono da chiamarsi anche i derivati della ecgonina, la quale ad es. sarebbe da dirsi acido m-metiltropolincarbonico. Il jodometilato di metiltroponina (joduro di dimetiltroponinammonio) si comporta, come avevamo preveduto, analogamente a quello della metilgrana- tonina; se lo si riscalda con un’ alcali caustico, si scompone profondamente con sviluppo di dimetilammina. Però, mentre è facile ottenere col jodometilato di metilgranatonina una scissione netta, p. es. distillandolo con barite, abbiamo trovato che quello della metiltroponina viene trasformato dagli alcali caustici, ed anche dalla barite in una materia catramosa brunastra. Così pure il cor- rispondente idrato, ottenuto coll’ossido d’argento, non dà che assai incomple- tamente la scomposizione voluta. Questa sì ottiene invece in modo più sod- disfacente impiegando il bicarbonato sodico. Distillando il jodometilato im- pastato con bicarbonato sodico mediante una conveniente quantità di acqua, passa un liquido acquoso in cui sono sospese delle goccioline oleose d'un odore irritantissimo, pungente, che però nello stesso tempo ricorda quello delle mandorle amare. La soluzione acquosa contiene in quantità abbondante la dimetilammina, e l'olio, che si separa con etere dalla soluzione acidificata, ha la composizione e la proprietà dell'a/deide didrobenzoica. Esso riduce pron- tamente una soluzione di nitrato d’argento ammoniacale, e distilla, a 14 mm. di pressione, a 70-72°; a 124 mm. bolle a 120-122°. È da notarsi però che b) (*) Gli alcaloidi segnati coll’asterisco non sono stati ancora preparati. (#*) Pseudopelletierina. — 106 — anche operando col bicarbonato sodico, gran parte del prodotto si resinifica, e si converte in un olio denso e catramoso; evidentemente, forse anche per la natura del composto che si genera, la reazione è più delicata, e dà perciò rendimenti meno buoni, che nel caso della metilgranatonina; però anche il Jodometilato di questa base si resinifica in gran parte colla potassa, mentre dà colla barite risultati migliori. Diciamo tutto ciò per fare intendere che la scissione, tanto coll’uno che con l’altro dei due jodometilati, è in fine della stessa indole. È probabile che l’aldeide da noi ottenuta sia identica a quella descritta da Eichengriin ed Einhorn ('), che l’ebbero per decomposizione del bibromuro di anidroecgonina con carbonato sodico. Il prodotto descritto da questi autori bolle, a 120 mm., a 121-122°. Per ora non crediamo opportuno cercare di dare una esauriente spiega- zione del complicato processo per cui dalla metiltroponina e dalla metilgra- natonina si generano rispettivamente l’aldeide diidrobenzoica ed il diidroaceto- fenone. Noi crediamo che queste reazioni sieno da interpretarsi in modo ana- logo alla scissione del bibromuro di anidroecgonina (2) (acido n-metilbibromo- tropanincarbonico), e mentre ci riserbiamo in proposito uno studio ulteriore, vogliamo colle seguenti equazioni indicare schematicamente l'andamento dei due processi. Pel jodometilato o idrato di metiltroponina si avrebbero le due fasi: 1) CH. 0N(CH:;0H = C;H;N(CH;); + 2H;0 2) C,H,N(CH3):+-Hs0 == C,Hs0 + NH(CH3): ed analogamente pel jodometilato o idrato di metilgranatonina : 1) C3H,,0N(CH:);0H == CsHyN(CH3): + 2H,0 2) C:H;N(CH;), + H0= CH0 +N(CH;);H. I fatti esposti permettono però già ora di trarre delle conclusioni che per noi sono di qualche interesse. Secondo la nostra ipotesi, si deve ammet- tere che nella granatanina l'anello esametilenico sia intrecciato con quello piperidinico in posizione mefa, e che perciò quando quest'ultimo si apre resti al primo una catena laterale formata da due atomi di carbonio: così si ge- nera dalla metilgranatonina il diidroacetofenone. Era perciò da vedersi se, in una reazione perfettamente analoga, dalla metiltroponina, in cui è provato che i due anelli si compenetrano in posizione para, si ottenesse un derivato idro- genato del benzolo conosciuto, con una catena laterale costituita da un solo atomo di carbonio. E questo avviene realmente, perchè, come abbiamo ora esposto, si forma la didrobenzaldeide. La premessa è stata quindi confermata dall'esperienza. (1) Berichte, XXIII, pag. 2880. (2) Vedi Einhorn, Berichte, XXVI, pag. 451. stecca — 107 — Ta La prova più decisiva per la nostra formola era però da attendersi dalla ossidazione. Si sa dalle ricerche di Merling (!) che la tropina dà per ossi- dazione un acido bibasico, chiamato tropinico, che secondo questo autore è da considerarsi come un acido n-metilpiperidindicarbonico. Sebbene una prova diretta dell’esattezza di questa interpretazione non sia stata ancor data, pure le recenti ricerche di Willstitter (?) la rendono oltremodo probabile. Se la tropina dà l'acido n-metilpiperidindicarbonico, evidentemente, se- condo la nostra ipotesi, la corrispondente n-metilgranatolina deve dare un acido n-metilpiperidincarbonacetico, CH CH-COOH H,C 7 HCOHX CH; H;C CH; ue H;C Ho cH H.C CH — CH; — C00H N N CH3 CH; n-metilgranatolina (8) acido omotropinico (granatico) ammettendo che l’ossidrile sia unito ad uno dei tre atomi di carbonio che costituiscono il così detto « ponte » dei chimici tedeschi. E questo avviene realmente. Ossidando la metilgranatolina con acido cromico in soluzione solforica, si ottiene, sebbene con maggiori difficoltà che nel caso della tropina, un acido della suindicata composizione, C, H,; NO,, che per le sue proprietà ricorda assai da vicino l'acido tropinico, di cui è l'omologo superiore. Noi lo chiameremo acido omotropinico, oppure acido granatico. Esso si scompone verso i 240-245° con sviluppo gassoso, e dà un bel cloroaurato, che fonde a 190°. Noi crediamo che la troponina potrà ottenersi dall'acido 3-5-piperidin- carbonacetico per eliminazione d’acqua e di anidride carbonica: COOH 00 CH NH —H.0+-00,4+-G:H: NEC], CH, COOH CH, (1) Liebig*s Annalen, vol. CCXVI, pag. 348. (2) Berichte, vol. XXVII, pag. 2277 e 3271. (8) In questa formola è arbitraria soltanto la posizione dell’ossidrile ; esso però non può occuparé che uno dei tre posti 2, 3 o 4 (ossia 4, 5 o 6; vedi il capitolo seguente). Noi abbiamo ragione di preferire quella indicata dalla figura. — 108 — la granatonina potrà ottenersi analogamente da un acido piperidincarbonpro- pionico o da un acido piperidindiacetico. Noi ci riserbiamo di fare delle esperienze in proposito. TIVE La granatanina, la di cui costituzione noi riteniamo ora sufficientemente provata, viene, come si vede, a colmare una importante lacuna nella serie dei composti esaciclici binucleari; essa sta fra la tropanina e la decaidro- chinolina, preparata da Bamberger e Lengfeld (!). Quest'ultima base ha, come è noto, proprietà completamente piperidiniche, come la granatanina e la tropanina, di cui è l'omologo nucleare più elevato. Per mettere bene in evidenza queste relazioni, giovano meglio le seguenti formole, che, bene inteso, non hanno nulla di essenzialmente diverso da quelle fin qui usate in questa Nota; il così detto « porte » , invece d'essere scritto entro l'anello piridico, si trova in certo modo spostato di 180°, sul piano del disegno. H H H “ (3) lo ma H,C (4) 0 8) CH, EC (5) Co OH: H.C 6 4 CH, (3) CH, E B | H.Co ©CH; 0 Pi ONE H;C o 5 CHy | e Ho | @ CH, qu quia - CH, HN-—CC-L CH, IN___Go_@ OH: H i H Decaidrochinolina Granatanina Tropanina (Chinolanina) In questa guisa però le formole della granatanina e della tropanina (quella della tetraidrochinolina è la solita) perdono quel certo che di artifi- cioso, che sembrano contenere se scritte nel modo ordinario. Si tratta semplice- mente della congiunzione di due anelli esatomici nelle tre posizioni orto, meta e para, aventi in comune due, tre o quattro atomi di carbonio. La concatenazione di due anelli esatomici aromatici (come anche di quelli pentatomici) non può, a quanto sembra, avvenire che nella posi- zione ‘ orto’, di cui sono noti esempî la chinolina e la naftalina. Quando però quel complesso speciale di legami, che determina il carattere aromatico è rotto, qualunque intreccio diventa possibile. Questi nuclei condensati costitui- scono altrettanti composti fondamentali come il cicloesano e la piperidina. - (1) Berichte, XXIII, pag. 1145. — 109 — Geodesia. — Sopra un punto della teoria di Laplace relativa alla figura di equilibrio di una massa fluida rotante. Nota di PaoLO PIZZETTI, presentata dal Socio BELTRAMI. 1. Consideriamo una massa animata da un moto di rotazione uniforme attorno ad un asse, e terminata da una superficie poco diversa da una sfera. Laplace ha dimostrato (Méc. cél., livre III°) che la superficie este- riore di una tal massa, supposta in equilibrio relativo deve, in un determi- nato ordine di approssimazione, essere quella di un ellissoide di rotazione in uno di questi casì: 1° che la massa sia omogenea, e sia o tutta fluida o fluida soltanto in superficie, 2° che la massa sia fluida e non omogenea, in guisa che la densità diminuisca in modo continuo dal centro alla superficie e che le superficie di egual densità siano poco diverse da sfere concentriche. Nei calcoli di Laplace, vengono considerati come termini piccoli quelli che contengono a fattori gli scostamenti fra la superficie e la sfera, ovvero il quadrato della velocità angolare, e sono trascurati, rispetto a questi, i termini piccoli del 2° ordine almeno. Pel 1° caso, ossia per la massa omogenea, si hanno, oltre le due di- mostrazioni di Laplace, una dimostrazione di Liouville e un’altra di Poisson, le quali nulla lasciano a desiderare. Ma pel 2° caso, ossia per la massa fluida eterogenea, l’unica dimostrazione data da Laplace si fonda sull’uso delle funzioni sferiche ed è soggetta alla seguente gravissima obbiezione: la funzione potenziale dell'attrazione esercitata dalla massa sopra un punto interno M viene espressa da Laplace come somma di due sviluppi per fun- zioni sferiche; uno di questi procede secondo le potenze negative del raggio vettore 7 di M e serve ad esprimere la f. p. di quella porzione di massa, che è interna alla superficie S di equilibrio passante per M ; l’altro sviluppo, procedente secondo le potenze positive di 7, esprime la f. p. della restante porzione della massa. Affinchè il primo di questi sviluppi fosse legittimo, sarebbe evidentemente necessario che 7 fosse non minore dei raggi vettori dei varî punti della S; e non maggiore di tali raggi vettori dovrebbe es- sere 7 perchè fosse legittimo l’uso del secondo sviluppo. Queste condizioni non sono evidentemente verificate (!). (1) Obbiezioni di tal sorta agli sviluppi di Laplace si trovano p. es. in Helmert, Hòhere Geodùsie, Bd. 2, s. 135, e in Tisserand, Mécanique céleste, 1°. II°, p. 317. RenpIcONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 15 — 110 — Siccome, per quanto sappiamo, nessun'altra dimostrazione è stata sosti- tuita a quella di Laplace, così è interessante, e ci proponiamo di farlo qui, di tentare una parziale modificazione dei calcoli di Laplace, in guisa da evitare la ora detta obbiezione. 1. Indichiamo con 7 il raggio vettore di un punto qualsiasi M rispetto ad una origine collocata sull'asse di rotazione, w sia il coseno dell'angolo che 7 fa coll’asse stesso, w l'angolo che il piano 7 fa con un piano fisso passante per #. Sia poi Vla funzione potenziale dell’ attrazione di tutta la massa sul punto M, © la velocità angolare, e si indichi con W il valore che as- sume nel punto M la somma (1) (V4 go (1—-w?)r°. Le superficie d’equilibrio saranno rappresentate dall'equazione W = costante e la densità @ dovrà, per l'equilibrio della massa fluida, essere funzione di W soltanto. Assumiamo come variabile ausiliaria la quantità 4 funzione della sola W e legata a questa dall’equazione (2) iL (out da pdf f oa.da 0 a a dove A è tale che per a= A, W assume quello speciale valore che le com- pete alla superficie esterna del fluido. Pei punti esterni alla massa, ossia per a>A, si ha o=0 e alla (2) deve sostituirsi la seguente: (2') ae olanda È facile vedere che tanto 4 quanto la sua derivata prima rispetto a W, variano in modo continuo con W. Se la velocità di rotazione fosse nulla, se le superficie di egual den- sità fossero sfere concentriche, e se fosse A il raggio della sfera limite, la formola (2) darebbe il valore della funzione (1) per ogni punto distante di 4 dall'origine. È quindi naturale, nel caso nostro, di esprimere il raggio vet- tore 7 di un punto M, nel quale la espressione (1) assume il valore W, colla formola (3) r=a(1+ as) dove s è funzione finita di 4, w,w ed « è una costante piccolissima, della quale trascureremo le potenze superiori alla prima. Deriviamo parzialmente i due membri della (38) rispetto ad 7, osser- — lll — vando che, nel 2° membro, a è funzione di W e che questa è funzione di 7,u,w. Avremo ds\ da IW 4 I-(1+estaeF) 0°, Ora ponendo sl o.a*.da=U, dalla (2) otteniamo (0) dW 4 ce: i a a? Quindi la (4), a meno di termini in a*, dà aW_ dn} » (5) gir PO U(1-es—aut). 5. Indichiamo, come d'uso, con P,, la funzione di Laplace dell'ordine 7, ossia il coefficiente di 7” nello sviluppo di [1+r°—2r (pu +1 #1 cost —w)) | Si ha, com'è noto: (6) 4,(rP,)=0. Se ora nella formola di Green Sd. vas= f(oT-vT) dS dn dn poniamo 7” P, in luogo di V, e W in luogo di U, estendendo l’integra- zione destra a tutta la superficie S di equilibrio passante per il punto M, e quindi l'integrazione a sinistra a tutto lo spazio o racchiuso dalla S, avremo n de dra (e (7) fred do= (W.È (0 P,) 08 feet. In questa formola dr indica l'elemento di normale interna alla S. Ora lungo la S si ha W= costante; sicchè il 1° integrale nel 2° membro della (7) sl può scrivere wft (e P,) ds=— ws Podoo in virtù della (6). Osservando poi ancora che per la (1) si ha dA,W=—47nfo-|2@, la (7) diverrà 8) free dnf do = fm has. — 112 — Ora si ha, a meno di quantità dell'ordine di «a? r=a"(1-4+nsa) dS=a?(14- 2as)du.dy do =r°.dr.du.dv= dì (1-+3es+ aa S\ da. dp. dy. Osserviamo poi che si ha dW dW = — cos (7%); dr dn e poichè cos(77) differisce da —1 di quantità dell’ordine di «?, potremo, nel nostro ordine di approssimazione, porre, ricordando la (5) i _tely(1-as-cad). dn 4) dA Con queste sostituzioni la (8) diverrà finalmente FLS Peo irroan]1+0@+8) ast+ aa Z| da.du.dyw (9) dave | f P.|1+@+bes —acÈ |au.ay. Esprimiamo s per serie di funzioni sferiche, ossia poniamo s= hh 1A Lot Loti 0 dove Y,, è funzione sferica, dell'ordine n, delle variabili u e w, e, del resto, funzione qualsiasi di «. Sostituendo nella (9) e ricordando che 1 227 Zero, ernzm i tI P, Yn.du.dy—} ji ar lv 09 == TI] Vi e = " 47t avremo per 2 > 0, sopprimendo un fattore comune gi DIG (11) Ro — 4rfo)| (n+3)a"?Y, uni i . da DIG da n — 4nfaUa® IC sh) — 113 — Nell'ordine di approssimazione qui tenuto, il prodotto w®@ è trascura- bile, quindi la (11) può scriversi, con ovvie semplificazioni si d N+3 LI 7 dI n EN (12) Jl ea Y,)da—- |@+Dy—d e lo=a Da questa derivando rispetto ad « e dividendo per a"*! U, 2 (13) Ce piee(v, ta 2) mint 1) e. 0: È questa l'equazione differenziale alla quale Laplace è pervenuto (Mée. cdl. livre III°, n. 29) partendo dai ricordati sviluppi, per funzioni sferiche, della funzione potenziale dell'attrazione sopra un punto interno alla massa. Moltiplicando la (12) per a-?*=? ed eseguendo la integrazione rispetto ad 4, si può dare all’integrale questa forma Ra, 9, nl = (14) i. OS (a Y,).da +(2n+1)@ EAU] nom or (SEDE) - da= € dove ce deve riguardarsi come funzione di w e w. Indicando con A, un'altra funzione di u e w, si potrà anche porre la (14) sotto la forma (15) Î et (a-"Y,).daT—-(2n+1)a"-Y,U+ + a?! f Q DI (GREEN) da = 0 Resta ora a determinare la A,. 4. Consideriamo, a tale scopo, un punto M esteriore alla massa e tale che la sua distanza 7 dall'origine sia maggiore del massimo raggio vettore della superficie esterna della massa stessa. Per un tal punto sarà lecito esprimere la funzione potenziale V dell'attrazione collo sviluppo di Laplace procedente secondo le potenze negative di 7. In tal modo si ottiene noto- riamente : (16) we pina) fed da dove M è la massa totale. Quando ad 7 si sostituisca la sua espressione (10), la somma (V+ Fot (1_ 1) — 114 — deve risultare funzione della sola 4. Vale a dire che nel solito ordine di approssimazione dev'essere (17) Zabel) apo watt (0.0) ili A N È d n+3 = E pere reni gl Yn)da= F(a). Osservando che, nei termini moltiplicati per @ si può sostituire al posto di M il prodotto A 47 f oa° da= 47 U, 0 ed eguagliando a zero, nella (17), le somme di funzioni sferiche di egual grado si ha, per n >0 e differente da 2, n_l A (47 (18) ÙU, Yn 9 n 2m 41 1 oÈ (a Y,)da=0, eNpertzi—i2l Il Il 5 RR e O) dc EDO an (19) U, Ya mal elle Lada a È ui). Queste relazioni ci dànno modo di determinare A, nel 2 membro delle (15). Se infatti le (15) si applicano al punto M esterno ora considerato, os- servando che per a >A si ha o=0, e U=0U,, si ottiene — (n +1)a"- YyU, + aa f Q È (2) ai rACS 0 l ‘Paragonando questa colle (18) (19) si vede che per 7 >0 e diverso da 2 si ha A,=0, 0 pern=2, eee i) Sicchè finalmente la (15) si scinde nelle due seguenti: (20) Set Dai U+ See Y,)da= sal! -3) (1) fe ca (a-"Y,)da—(2n+1)a" Y,U 4 a”! Set OG (a*3Y,_)da==0. a 0 per x>0 e diverso da 2 Queste equazioni, nella teoria di Laplace, direttamente si deducono dagli sviluppi esprimenti la f. p. dell'attrazione per un punto qualunque %7- terno alla massa. Da esse si parte per dimostrare che, per x maggiore di zero e differente da 2, dev'essere Y,==0, e che Y; deve essere della forma n (0-3) dove % è funzione di @ soltanto; il che dimostra, nel nostro — 115 — ordine di approssimazione, che le superficie di equilibrio sono ellissoidi di rivoluzione aventi per asse l’asse £ di rotazione. Le dette equazioni, essendo ora dedotte, in modo non soggetto alle obbiezioni mosse al metodo di Laplace, rimandiamo il lettore, per il seguito della dimostrazione, o al libro III già citato della Méc. cél., ovvero alla esposizione che della teoria di Laplace ha dato il sig. Tisserand nel cap. XVIII del II vol. del suo 7razté de Méca- nique céleste. Le nostre equazioni (12) (13) (20) (21) corrispondono rispet- tivamente alle (49) (D) (B) (A) di Tisserand. 5. Aggiungeremo che all’equazione differenziale (13) si può direttamente pervenire in un altro modo abbastanza semplice. Nella formola (22) dA, W=—4nfo+ 20° pongasi per 4, W la sua espressione in coordinate U eg TV I n [a] si DIVA TP. dPR ad? W 7° (1-1?) SI] b ‘ In modo analogo a quello tenuto per dedurre la formola (5), si calco- DaAMeo NINA VITO d lino, derivando successivamente la (3), le espressioni di 2 i e si sostituiscano nella (23). La (22) diverrà così, trascurando sempre le quantità dell'ordine di «?, eseguendo alcune riduzioni e dividendo per /, TOXA TEO ut ea EPA 1 dis Qua ri UE è e a3(1 MIL ue) SIA ue gd ai du Sostituendo ora ad s il suo sviluppo ZY,, ricordando che una funzione sferica dell’ordine x soddisfa all’equazione (0 +1 Y + | e +0 ed eguagliando a zero la somma delle funzioni sferiche di egual grado, sì ricade nella (13), per n > 0. 6. La nostra deduzione della formola (12) suppone in realtà che non solo siano piccolissimi gli scostamenti lineari fra le superficie S di equilibrio e le sfere di un sistema concentrico, ma che anche gli angoli (7) fra le normali ed i raggi vettori siano quantità piccole i cui quadrati si possano trascurare. Ciò equivale a supporre che oltrechè la funzione «s, anche le sue derivate ea 7 aS3 assumano ovunque valori tanto piccoli, da poter- sene trascurare i quadrati. — 116 — La nostra dimostrazione cadrebbe dunque in difetto, quando le effettive superficie d'equilibrio fossero accidentate in guisa da presentare ondulazioni, delle quali l'estensione superficiale non fosse molto grande di fronte all’al- tezza loro. Ma è da osservare che anche la deduzione di Laplace, di dubbia legittimità in ogni caso, è, in questa ipotesi delle superficie ondulate, asso- lutamente inaccettabile. Giacchè non vi ha alcun ragionamento che possa giustificare l'applicazione degli sviluppi di Laplace pel calcolo, sia pure ap- prossimato, della f. p. dell'attrazione sui punti che occupano le regioni più basse delle supposte ondulazioni. Fisica. — /cerche sui raggi di Rontgen. Nota preliminare dei dott. A. SELLA e Q. MAJORANA, presentata dal Socio BLASERNA ('). 1. I signori Benoist e Hurmuzescu a Parigi ed il prof. Righi a Bo- logna hanno mostrato che i raggi Rontgen godono della proprietà di scari- care i corpi elettrizzati. Guidati dall'analogia dei raggi Réontgen colle radia- zioni ultraviolette, per quanto riguarda l’azione fosfogenica e fotogratica, noi avevamo iniziato delle ricerche in questa direzione, ma ora che la detta pro- prietà è stata da più parti scoperta e resa di pubblica ragione, non staremo a riferire le esperienze che la dimostrano e che sono d'altronde assai facili a riprodursi. Questa nuova proprietà dei raggi Roòntgen ha una portata molto grande, quella cioè di fornire un mezzo assai delicato e sensibile per determinare l’in- tensità delle radiazioni, immensamente superiore per precisione all’apprezza- mento della fluorescenza e della posa fotografica. Ed è precisamente con questo mezzo, che abbiamo intrapreso le nostre ricerche, di cui ora espo- niamo i primi risultati. Un elettrometro Mascart veniva posto in una cassa di lastra di zinco ro- busta in comunicazione col suolo, per eliminare sia le azioni elettrostatiche interne, sia il passaggio dei raggi Rontgen. Una parete laterale della cassa portava una finestra quadrata ricoperta da una sottile lastra d'alluminio, la quale mantenendo uno schermo assoluto contro azioni elettrostatiche permet- teva il passaggio dei raggi Réontgen in un punto determinato. All'interno, poco discosta dalla lastra d'alluminio, era disposta una lastra metallica in comunicazione coll'ago dell’elettrometro. I tubi di Crookes da noi adoperati erano della forma raccomandata dal prof. Blaserna nella sua comunicazione a questa Accademia; cioè quella che nei cataloghi va col numero 9, a guisa di pera, essendo catodo un disco di alluminio normale all'asse, anodo la croce, ovvero un'altro disco di alluminio paralleli all'asse. (1) Lavoro eseguito nell'Istituto fisico dell’Università di Roma. — 117 — I tubi, ove occorreva, furono rievacuati in questo Istituto fisico con una buona pompa a mercurio Alvergniat sino a pochi micron di mercurio, avendo per criterio della loro bontà sia l'azione fosfogenica, sia poi più semplice- mente la distanza esplosiva nell'aria in un circuito in derivazione, mentre funzionava il rocchetto d’'induzione. 2. Colla descritta disposizione ci ponemmo subito a ricercare, se i raggi Rontgen sono capaci di riflettersi. Il tubo veniva disposto orizzontale paral- lelamente alla finestra e di fianco, in modo da ridurne per quanto possibile l’azione diretta. Poi si poneva a circa 45° sulla finestra e sull'asse del tubo lo schermo, che doveva funzionare da specchio. Le misure si facevano per dif- ferenza, misurando cioè la velocità di scarica dell’elettrometro, quando c’era o no lo schermo. Come risultato ebbimo un'azione di riflessione molto netta per schermi di zinco, ottone, argento, stagnola, ma in misura poco ed incer- tamente diversa dall'uno all'altro; così pare non influisca lo stato superfi- ciale del metallo. Il vetro ed il legno non ci diedero una riflessione sensibile. Traccie di riflessione erano già state notate dal Rontgen stesso; poi il fatto venne da chi confermato, come p. e. dai prof. Battelli e Garbasso, e da chi contraddetto; le nostre osservazioni non lasciano alcun dubbio in proposito. i 3. Avendo notato che quando il fondo del tubo, su cui battono i raggi catodici, emette raggi di Réòntgen intensi, esso si elettrizza fortemente, ri- volgemmo tutta la nostra attenzione sovra questo fenomeno, per scoprire se esso fosse di natura secondaria ovvero essenziale. Furono eseguite in pro- posito le seguenti esperienze. a) Ricoprendo la parete radiante con un foglio di stagnola ben ade- rente o meglio argentandola, le radiazioni noa vengono impedite; ricoprendo il velo di argento con uno strato sempre più spesso di rame, le radiazioni vanno mano a mano diminuendo. b) Ponendo il rivestimento metallico in comunicazione con un’arma- tura di una boccia di Leida essendo l’altra a suolo, ovvero direttamente col suolo, l'intensità delle radiazioni viene notevolmente diminuita e talvolta quasi distrutta; e bisogna tenere presente che una lamina di stagnola, se non è a contatto col vetro, si comporta come un corpo trasparente sia se iso- lata, sia se al suolo. Per discutere il significato di queste esperienze conviene però ricordare che se si pone una porzione del vetro del tubo al suolo, si altera la distri- buzione per così dire della carica nel tubo stesso, generando nuove sorgenti di raggi catodici ecc. L'esperienza d) si può facilmente ripetere coll’aiuto di un disco fluorescente. 4. Constatammo il fatto osservato dal Righi, che i raggi Rontgen oltre allo scaricare con velocità sensibilmente eguale corpi elettrizzati sia negativa- mente sia positivamente, caricano di elettricità positiva un conduttore scarico, ReNDICONTI. 1896, Vol. V, 1° Sem. 16 — 113 — p. e. carbone di storta o rame, quando operavamo col metodo Righi, cioè po- nendo rocchetto e tubo Crookes nell'interno di una cassa a pareti di piombo avente una finestra di alluminio. Operando invece colla nostra disposizione prima descritta, ottenemmo dei fenomeni molto complessi; il carbone di storta sì carica positivamente, il rame negativamente; lo zinco si carica diversa- mente a seconda della distanza dalla finestra; e, quello che è più interes- sante, sì ottenevano talvolta cariche di segno opposto rovesciando il senso della scarica nel tubo Crookes; p. e. con raggi catodici sì aveva ad una determi- nata distanza e collo zinco, elettrizzazione negativa e positiva coi raggi per così dire anodici. Stiamo ora studiando dettagliatamente gli effetti osservati per eliminare le azioni secondarie e perturbatrici. Fisica. — Sua dipendenza della conducibilità elettrica delle fiamme dalla natura degli elettrodi (*). Nota del dott. P. PETTINELLI, presentata dal Socio BLASERNA. M. Becquerel nelle sue classiche ricerche sulla conducibilità dei gaz caldi trovò che se si scaldano al calor bianco un filo di platino dentro un tubo di platino, e si isolano bene l’uno dall'altro, la corrente passa più facilmente attraverso l’aria interposta fra il tubo ed il filo, se si collega il polo negativo della pila col tubo, vale a dire con la superficie metallica più estesa, che nel caso contrario (?). Andrews aveva trovato precedentemente che la corrente di 20 coppie decomponeva dell’ioduro di potassio passando, da un filo di platino avvilup- pato dalla fiamma di una lampada d'Argant al tubo d'ottone saldato all'ori- fizio della lampada, se a questo era unito il polo negativo della pila; nel caso contrario la decomposizione non avveniva (3). Avendo, con la collaborazione del sig. B. Marolli, cominciato una serie di ricerche sulla conducibilità dei gaz caldi, ho osservato alcuni fatti, che si collegano direttamente con quelli già noti e sopra citati, ma che per la loro spiccata singolarità e per le applicazioni, alle quali possono dar luogo, credo meritino d'esser conosciuti. Se si prendono due asticelle di ferro ed alle estremità di queste si fis- sano con filo di ferro due cilindretti di carbone di legna, e si isolano bene le asticelle una dall'altra, affacciando le estremità libere dei carboni ad un centimetro di distanza dentro la fiamma di un bruciatore Bunsen, il gaz caldo (1) Lavoro eseguito nel Gabinetto di Fisica del R. Istituto Tecnico Bordoni di Pavia. (2) Annales de chimie et de phisique, 3° s., t. XXXIX, p. 855. (3) De La Rive, Zraité d'électricité. Paris 1856, tomo II. pag. 103. — 119 — interposto fra i carboni presenta una resistenza circa cinquecento volte più piccola di quella che presenterebbe se i cilindretti fossero di ferro. Ho trovato che la resistenza elettrica presentata dalla fiamma di un bruciatore. Bunsen interposta fra due lastre di carbone di legna, distanti l'una dall'altra di circa mezzo centimetro e di due centimetri quadrati di superficie ciascuna, era di circa trecentomila Ohm. Così adoperando un sensibile galvanometro ho potuto misurare correnti, che attraversavano la fiamma, di F. E inferiore a ;i7 di Volta, e anche con queste piccole forze elettromotrici non ho riscontrato indizio di polarizzazione durante il pasaggio della corrente. Se poi si adoperano due elettrodi, uno di carbone di legna e l’altro di ferro, e se si collega il polo negativo della pila coll’elettrodo di carbone di legna, la fiamma presenta alla corrente una resistenza relativamente piccola, come se tutti e due gli elettrodi fossero di carbone di legna; se invece si unisce il polo negativo con l'elettrodo di ferro, la resistenza offerta dalla fiamma è centinaia di volte più grande. Così facendo passare attraverso tale conduttore una serie di correnti alter- nate, passano soltanto quelle dirette dal ferro al carbone. E siccome tale conduttore può essere facilmente improvisato e la sua resistenza può non superare i 100,000 Ohm, potrà servire in molti casi; per esempio in diverse. circostanze il galvanometro, interponendo nel circuito questo conduttore, potrà sostituire l’elettrodinamometro. Adoperando elettrodi di carbone di storta, di platino, ferro, rame, ni- ckelio, la conducibilità delle fiamme è assai piccola e poco differente. Con due laminette di palladio, gentilmente favoritemi dall'illustre prof. Bartoli, ho tro- vato che la fiamma acquista una conducibilità circa dieci volte più grande che adoperando laminette di ferro. Peraltro nei primi istanti in cui la fiamma avviluppa le laminette di palladio si ha la maggiore conducibilità, che poi rapidamente diminuisce, riprendendo il valore di prima se si raffreddano e si lasciano un certo tempo in riposo le lamine. Servendosi di lamine d'alluminio per elettrodi, appena queste si intro- ducono nella fiamma, la conducibilità del saz è piccola, ma quando alla tem- peratura di fusione si ricoprono di una pellicola, la conducibilità della fiamma è circa venti volte più grande, che adoperando elettrodi di ferro. Con un elettrodo d'alluminio o di palladio e l'altro di ferro, si ha un comportamento analogo a quello osservato adoperando un elettrodo di carbone di legna e l’altro di ferro; soltanto la conducibilità della fiamma è circa 60 volte minore. Riservo le considerazioni teoriche suggerite dall'esame di questi e di altri fenomeni a quando avremo completate le ricerche sulla conducibilità dei gaz caldi. ma 12002 Chimica. — Sull’azione del nitrato di etile sopra l’idrossi- lammina. Nota di ANGELO ANGELI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. È noto da parecchio tempo che gli eteri organici R.COOR, possono reagire con l'idrossilammina H,N.0OH secondo l'equazione generale: R.COOR + NH..0H=R.CO.NH.0H-+R.0H, per dare origine a quella classe di composti che vengono chiamati acidi 0s- sammici. A queste sostanze, analogamente a quanto vale per le ammidi, si possono attribuire due formole di struttura: RE 00 oppure R. ci‘ Siccome anche questa reazione generalmente si effettua in presenza degli alcoolati, è molto probabile, per quanto ho esposto in una mia precedente comunicazione, che in una prima fase si formi il composto di addizione AR R.COOR--R(0Na)=R.CC0R , \ONa dal quale in una fase successiva per azione dell’idrossilammina, si eliminano due molecole di alcool con formazione dell’acido ossammico : AR NO . Na R.CC0R + H. N.0H=R.0C +2R.0H \ONa OH A quanto io mi sappia, questa reazione è stata applicata finora sola- mente agli eteri degli acidi organici, ed ha naturalmente sempre condotto a derivati organici dell’idrossilammina; io ho tentato ora di estenderla anche agli eteri degli acidi minerali. Sebbene le mie esperienze in questa direzione non sieno ancora molto inoltrate, tuttavia le ricerche eseguite lasciano intravedere che la reazione in parola è applicabile anche agli eteri inorganici, e che molto probabilmente — 121 — per questa nuova via si potrà pervenire ad una serie di acidi minerali con- tenenti il residuo dell’idrossilammina — NH.OH. Naturalmente, anche in questi casi, conviene operare per mezzo dell’idros- silammina libera. Siccome però la preparazione dell’idrossilammina libera se non è difficile, richiede tuttavia molte cautele e spesa di tempo; io ho pre- ferito di impiegare la soluzione, che si ottiene per semplice trattamento del cloridrato di idrossilammina, con alcoolato sodico. Il cloruro sodico che tosto sì forma viene separato per filtrazione. In tal modo si ha anche il vantaggio che si ottengono direttamente i sali dei composti. La nuova reazione avviene con molta facilità impiegando p. e. il nitrato di etile C:H;.0.NO, . Alla soluzione alcoolica, piuttosto diluita, di due atomi di sodio, si ag- giunge la soluzione pure alcoolica di una molecola di cloridrato di idrossi- lammina; si separa per filtrazione il cloruro di sodio, e la soluzione limpida ottenuta viene trattata con una molecola di nitrato di etile. Il liquido, dapprima trasparente, poco a poco si intorbida, e dopo breve tempo lascia depositare un precipitato bianco che viene filtrato alla pompa e lavato con alcool. Il sale sodico in tal modo ottenuto si presenta sotto forma di una pol- vere bianchissima, cristallina, molto solubile nell’acqua. Per trattamento con gli acidi minerali, ed anche con l'acido acetico stesso, immediatamente si decompone con sviluppo tumultuoso di vapori rossi. Con nitrato d'argento dà un precipitato che al primo istante appare giallo, ma che poi subito annerisce con sviluppo gassoso. È molto probabile che il nuovo composto, sia per il modo di forma- zione, come anche per il suo comportamento, sia il sale bisodico della n2t70- idrossilammina od ossinitrammite, che ancora non si conosce. Anche impiegando gli eteri dell'acido nitroso si ottiene un sale, il quale, probabilmente ha costituzione analoga. Il composto che in tal modo si ottiene, impiegando p. e. il nitrido d'amile, si presenta sotto forma di una polvere d'un bianco lievemente giallognolo; appena preparato esplode con violenza 122 — per riscaldamento; fa effervescenza con gli acidi, e con nitrato d’argento dà un precipitato giallo, voluminoso che dopo breve tempo annerisce. L’iponi- trito d'argento invece, come è noto, è un sale stabile e mantiene a lungo ed anche a caldo il suo colore giallo caratteristico. Il sale sodico in parola è molto alterabile, e per azione dell’aria si con- verte in parte nel carbonato. Io comunico con tutto riserbo questa Nota preliminare, allo scopo di riservarmi lo studio di queste muove reazioni, nonchè la loro applicazione ad altri eteri degli acidi minerali ed ai derivati ammidati sia minerali come organici. Fitochimica. — Sopra la fermentazione delle olive e l’os- sidazione dell’olio di oliva. Nota di GruLio ToLomEer, presentata dal Socio BLASERNA. Fra le diverse cause che contribuiscono a rendere cattivo l'olio di oliva di molte regioni d'Italia, la principale è senza dubbio la fermentazione delle olive, la quale viene praticata in quei luoghi in cui grande è l'estensione degli oliveti in confronto dei mezzi di raccolta e di manipolazione del frutto, ed in quelli in cui è radicata la credenza che colla fermentazione le olive diano una quantità d'olio superiore a quella che darebbero se fossero molite fresche. Secondo taluni agronomi, con la fermentazione delle olive la resa sì aumenta realmente, sebbene di poco, mentre si ottiene olio di pessima qua- lità; ma ormai è dimostrato da numerose esperienze che anche la resa di- minuisce; e che debba essere così lo provano i fenomeni chimici che si producono durante la fermentazione, fenomeni poco: o nulla conosciuti, dei quali mi propongo di parlare in questa Nota. Per far fermentare le olive si ricorre nelle varie parti d'Italia a di- versi metodi, i quali tutti, per altro, hanno per iscopo di tenerle bene in contatto le une con le altre, senza impedire totalmente l'accesso dell'aria negli interstizî rimasti fra esse, ossia di fare in modo che non vada disperso il calore che si sviluppa per certe azioni chimiche a cui va soggetto il loro contenuto. Così in Basilicata si rinchiudono, ben pigiate, in grandi sacchi entro i quali si lasciano fino al momento di frangerle; nella Maremma to- scana si ammucchiano sul pavimento delle stanze, ed in Calabria si con- servano entro vasche in muratura di diverse capacità, dette /m20unz, ed a più riprese sì pigiano con un mazzapicchio, il quale non batte direttamente sulle olive, ma sopra bruscole fatte, in generale, di fettucce di castagno. In queste condizioni sono conservate perfino dei mesi, e durante questo tempo E n — 123 — si sviluppa in essa la fermentazione accompagnata da un notevole innalza- mento di temperatura. Le olive in fermentazione si presentano alla superficie dei sacchi, dei mucchi o delle vasche, intere, avvizzite e lucenti e non hanno alcun odore disgustoso pronunziato. Ma a misura che si scende nella massa si trovano contuse ed ammaccate sempre più, ed alla profondità di circa 50 cm. sono aderenti le une alle altre, hanno la polpa schiacciata, e formano una massa. più o meno pastosa, da cui emana un odore acuto, disgustoso che è proprio dell'olio d'oliva fabbricato nelle regioni sopra indicate. Introducendo un termometro nella massa delle olive a diverse profon- dità si riscontra che fino a circa 10 cm. al disotto della superficie la tempera- tura è presso a poco quella dell'ambiente, ma al disotto va aumentando fino a circa 50 cm., dove si ha un massimo, per poi tornare a diminuire fino al fondo della vasca o della stanza in cui sono ammucchiate le olive. Di più nel primi giorni la temperatura cresce con una certa rapidità, ma poi va a mano a mano diminuendo quando la massa delle olive è abbandonata a sè. In certi luoghi, quando non è possibile procedere subito alla molitura delle olive, appena si avverte il forte innalzamento di temperatura, si torna a battere ben bene la massa che cede facilmente essendosi nella fermenta- zione rammollita la polpa. In tal modo la fermentazione è disturbata e la temperatura si abbassa; ma in capo a qualche giorno torna ad innalzarsi lentamente. La massima differenza trovata fra la temperatura delle olive e quella dell'ambiente non oltrepassa, almeno per quanto ho potuto riscontrare in tutte le determinazioni fatte fin qui, i 20° centigradi, e si ha ad una profondità di 35 a 50 cm.; al disotto è molto minore. Questo fatto ha grande impor- tanza per la spiegazione che io do del fenomeno in questione. Data la temperatura esterna che si ha in generale all’epoca della rac- colta delle olive, la massima temperatura a cui sono portate quest’ ultime durante la fermentazione oscilla fra i 35 ed i 40°. L’olio ottenuto dalle olive fermentate conserva l'odore sgradevole di queste; ha un sapore bruciante, attacca la gola e riscaldato emana un odore molto disgustoso. Esso contiene inoltre una quantità di acido oleico che è circa quattro volte e mezzo quella contenuta nell’olio ottenuto dalle olive fresche, e col tempo, specialmente se lasciato in contatto dell’aria ed in ambienti dove la temperatura è piuttosto elevata, si altera profondamente Ciò posto ecco quali sono i fatti che permettono di dare una spiega- zione dei fenomeni sopra esposti. * * * Nella polpa delle olive mature è contenuto un fermento solubile ossi- dante, o enzima, la cui presenza può essere svelata per mezzo delle reazioni — 124 — caratteristiche che questi fermenti danno con la tintura di resina di guaiaco, con l’idrochinone e col pirogallolo. La prima reazione specialmente, che con- siste nella produzione di una bella colorazione azzurra della tintura di resina di guaiaco in contatto della polpa delle olive mature, può essere verificata con grande facilità. Riducendo in poltiglia la polpa delle olive, ponendola a macerare per qualche ora in una certa quantità d'acqua e filtrando, si ottiene un liquido di colore rosso-violaceo, che col tempo s'imbruna, il quale ha proprietà os- sidanti molto energiche, dando una colorazione azzurra molto intensa con la tintura di resina di guaiaco, dei cristalli di porporogallina con l'acido piro- gallico, del chinone e del chinidrone con l’idrochinone, ed infine una colora- zione bruno-cupa con l'acido gallico. Se la polpa delle olive od il liquido ottenuto nel modo anzidetto sono stati scaldati per pochi minuti ad una temperatura di circa 75°, non si ha più nessuna di queste reazioni. Questi fatti dimostrano che esiste nella polpa delle olive mature un fermento solubile ossidante la cui presenza, intraveduta dietro le osservazioni fatte sopra la fermentazione delle olive ed i fenomeni che l’accompagnano, non era ancora stata constatata per mezzo di reazioni che ne mettessero fuori di dubbio l'esistenza. Per preparare una certa quantità dell'enzima in questione si estrae dalla polpa delle olive il succo che contiene, si tratta con alcool assoluto, sì decanta il liquido soprastante ed il precipitato è ripreso con acqua di- stillata. Si filtra, ed il filtrato sì raccoglie in circa cinque volte il suo vo- lume di alcool assoluto, e si ottiene così un nuovo precipitato nel quale è contenuto l'enzima che sì rivela con le reazioni sopra ricordate. È a questo enzima ossidante che si deve la fermentazione delle olive, come lo provano i fatti seguenti. Presa una certa quantità di olive raccolte in uno stesso giorno, le di- visi in due parti eguali; una porzione la scaldai per circa tre quarti d'ora in una stufa a 75° e l’altra no; poi, non potendo lasciarle fermentare spon- taneamente perchè in troppo piccola quantità, le misi in due cassette di legno che posi in una incubatrice, la cui temperatura fu mantenuta per otto giorni a 38°. In capo a due giorni la temperatura delle olive non scaldate era salita di 4° e dopo sei giorni di 7°,5 al disopra di quella dell’incuba- trice, mentre non aveva variato affatto quella delle olive prima scaldate. Inoltre le prime presentavano l'aspetto ed avevano il puzzo speciale delle olive fermentate, mentre le altre furono tolte dalla cassetta nelle stesse condizioni in cui vi erano state poste. Da una metà di ciascuna porzione di olive fu estratto l'olio, e determinata in esso la quantità di acido oleico fu trovato che, mentre nelle olive scaldate a 75° la proporzione era di 0,978 per cento, nelle olive che avevano fermentato era di 3,265 per cento. Di più l’olio ottenuto da queste ultime aveva il sapore piccante e l'odore sgra- — 125 — devole di quello prodotto nelle regioni in cui ancora oggidì è in uso la fer- mentazione delle olive. Della metà delle olive scaldate rimaste furono fatte due parti, delle quali una fu lasciata inalterata, mentre le olive dell'altra furono ammaccate in modo da romperne in parte la buccia e vi fu versata sopra dell’acqua con- tenente l'enzima ossidante ricavato da altre olive mature, rimestando ben bene la massa perchè tutte le olive venissero bagnate dal liquido, col quale furono lasciate in contatto per circa due ore. Poi, fattele asciugare quasi completa- mente, furono poste in una cassetta di legno, che, insieme all'altra contenente il resto delle olive scaldate, fu messa di nuovo nell’incubatrice, dove fu man- tenuta per otto giorni alla temperatura di 38°. Le olive così trattate subi- rono tutte le modificazioni che si producono in quelle che fermentano natu- ralmente, mentre le olive dell'altra porzione rimasero inalterate. Nessun dubbio quindi che i fenomeni che si producono nella fermentazione delle olive non siano dovuti all’enzima ossidante contenuta nella loro polpa. Si potrebbe domandare perchè le olive fermentano solo quando sono ammassate o pigiate dentro vasche o sacchi, mentre il fenomeno non si pro- duce se le olive sono distese sopra graticcio sul pavimento delle stanze in istrati di piccolo spessore. La risposta è facile a darsi. Il fermento ossidante a cui io attribuisco il fenomeno della fermentazione delle olive, agisce molto lentamente alla temperatura che si ha d'ordinario all’epoca della raccolta delle olive, mentre la sua azione è molto energica, come quella di tutti gli enzimi, alle temperature comprese fra i 35° e i 60°, e per conseguenza quando le olive sono poste in locali aperti, bene aereati e non ammassate in istrati molto profondi, l'ossidazione prodotta dall'enzima non può dare origine ad uno sviluppo di calore sufficiente per portare la temperatura della polpa a quel grado a cui l'enzima produce il massimo effetto. Invece, quando le olive sono ammassate, l'ossidazione a cui dà luogo l'enzima, lenta in principio, va a mano a mano esaltandosi per il calore stesso da essa sviluppato e che non può disperdersi. È tanto vero questo, che nelle vasche in cui si conservano le olive la temperatura, che alla superficie non differisce da quella dell’am- biente, aumenta con la profondità e col crescere di essa, diviene maggiore il grado di alterazione della polpa, che raggiunge il suo massimo negli strati dove massima è la temperatura. Si potrebbe domandare perchè nelle vasche l'aumento della temperatura, e quindi l'alterazione delle olive, si verifica fino ad una certa profondità oltre la quale la differenza con la temperatura dell'ambiente va diminuendo fino a divenire trascurabile sul fondo se le vasche sono abbastanza profonde. La risposta è facile, quando si pensi che l'enzima che si trova nelle olive ma- ture ossida la sostanza grassa della polpa prendendo l'ossigeno dall'aria e quindi fino ad una certa profondità tale ossidazione può compiersi, l'ossigeno che penetra fra gli interstizî delle olive essendo in quantità sufficiente, ma RenDpICONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 17 — 126 — oltre un certo limite no, perchè o l'ossigeno non arriva o arriva in quantità troppo piccola. Questo modo di vedere è confermato dal fatto che quando le olive de- vono essere mantenute entro le vasche per un tempo troppo lungo prima di essere sottoposte alla frangitura, sono pigiate nuovamente quando hanno co- minciato a fermentare. In tal modo la fermentazione viene disturbata e la temperatura si abbassa notevolmente, ma poi torna a salire, sebbene con maggiore lentezza della prima volta. Ciò avviene perchè con la seconda pi- giatura, essendo la polpa delle olive rammollita e quindi cedendo facilmente alla pressione, vien cacciata la maggior parte dell'aria che si trova negli interstizî rimasti fra le olive, ed è necessario un certo tempo perchè l’aria che rimane e nella quale l'ossigeno non è più contenuto che in piccola quan- tità, possa essere rinnovata per diffusione. Questo tempo è maggiore di quello necessario affinchè si produca la prima fermentazione, e la temperatura sale molto più lentamente perchè dopo la seconda pigiatura sono ridotti ad un volume molto più piccolo gli interstizî rimasti fra le olive. Aggiungerò che lasciando le olive nelle vasche per lungo tempo (in certi luoghi perfino tre mesi) l'alterazione di cui è parola sì propaga in tutta la massa fino negli strati più protondi, e sì capisce che deve essere così, se si riflette che le modificazioni prodotte dagli enzimi non sono mai complete, ma si arrestano quando una certa quantità della materia sulla quale produ- cono la loro azione è trasformata. Per tale ragione, quando in uno strato situato ad una certa profondità si è raggiunto tale limite nell’ alterazione della polpa, l’azione dell’ enzima cessa e allora l'ossigeno, non rimanendo più fissato dalle olive poste in quello strato, può arrivare a mano a mano a strati più profondi e compiere per mezzo dell'enzima l'ossidazione della so- stanza grassa delle olive poste a profondità sempre maggiori. Se l’azione dell'enzima sulla sostanza grassa delle olive si manifesta in modo così energico solo quando le olive sono ammassate, perchè allora non va disperso il calore che si produce nell’ossidazione, non bisogna cre- dere che sia nulla quando le olive sono poste in istrati sottili ed in locali bene aereati, giacchè anche in queste condizioni, sebbene più debolmente, l’enzima produce il suo effetto dando luogo allo sviluppo di anidride carbo- nica ed alla formazione di acido oleico, come può facilmente verificarsi de- terminando la quantità di quest’ acido nell’ olio ottenuto dalle olive frante appena colte ed in quello dato dalle olive lasciate in riposo sui graticci per qualche tempo. Aggiungerò anzi a tale proposito che in tutte le regioni d'Italia in cui si fa l'olio senza far prima fermentare le olive, si lascia sempre il frutto qualche giorno sui gratieci o steso sul pavimento di appo- site camere prima di frangerlo, perchè si ritiene che in tal modo l’ olio riesca migliore. Forse è per dar modo all’enzima ossidante di dar luogo alla for- mazione della piccola quantità di acido oleico che si rinviene nell’ olio d' oliva — 127 — che si procede in tal modo, perchè, molto probabilmente, l'olio privo affatto di acidi liberi, non sarebbe così apprezzato come quello che ne contiene una quantità che non oltrepassi certi limiti. Le trasformazioni chimiche che si producono nella polpa delle olive asssog- gettate alla fermentazione sono molto complesse, essendo di natura molto diffe- rente le sostanze che costituiscono la polpa stessa; quello che è certo, e che si può constatare facilmente, è che il fenomeno è accompagnato dalla formazione di anidride carbonica, acido oleico, acido acetico e acido sebacico. Si generano inoltre, in piccola quantità, altri acidi grassi volatili superiori, i quali dànno alle olive fermentate l'odore caratteristico che presentano. Aggiungerò che le pro- porzioni di questi acidi sono molto differenti a seconda della durata della fer- mentazione, ciò che porterebbe o ad ammettere l’esistenza di diversi enzimi che produrrebbero ciascuno una modificazione speciale ad una determinata temperatura, o a supporre che lo stesso enzima fosse capace di produrre mo- dificazioni differenti a misura che è modificata la natura della sostanza sulla quale agisce. La questione non si può risolvere tanto facilmente; ma sta il fatto che mentre nelle olive che sono alla superficie delle vasche non si ha, anche dopo parecchi giorni, che la formazione di acido oleico con sviluppo di anidride carbonica, in quelle situate ad una certa profondità si riscontra la presenza degli altri acidi sopra ricordati. Se poi si fanno dei saggi sopra le olive poste ad una stessa profondità, a mano a mano che procede la fermen- tazione, si trova che mentre va dapprima crescendo abbastanza rapidamente la proporzione di acido oleico, sì arriva ad un punto in cui la produzione di questo corpo si riduce quasi a zero, mentre ha luogo con una certa energia quella degli altri acidi. Anche l'apparizione di questi avviene successiva- mente, ma data la loro piccola quantità non mi è stato possibile determi- nare l’ ordine che seguono nel formarsi. Quello che si può affermare è che per ciascuno di essi si ha una quantità limite, raggiunta la quale la sua pro- duzione cessa. Sarebbe interessante determinare con esattezza tale quantità per ciascuno dei composti che si formano, ma la cosa non è troppo facile. Le trasformazioni descritte non devono essere confuse con quelle prodotte dall’ enzima scoperto dal Green nei semi oleosi, al quale fu dato il nome di saponasi, che ha per effetto di trasformare l' oleina in acido oleico e glice- rina in presenza dell’ acqua, fuori del contatto dell’ aria. L'enzima che si trova nella polpa delle olive è invece un vero e proprio fermento ossidante, il quale per agire ha bisogno dell’ ossigeno. Per tale ragione la fermentazione non si produce se le olive sono poste entro recipienti contenenti azoto o ani- dride carbonica, anche se la loro temperatura è fatta salire a quel grado a cui l’ enzima agisce con la massima energia. Il nome più appropriato per tale enzima mi pare che sarebbe quello di oleasi. L'oleasi si trova nell’ olio d' oliva, specialmente in quello non chiarifi- cato, ed è la causa delle alterazioni a cui l’ olio stesso va soggetto coll’ an- dar del tempo. Come è noto, l’ olio d'oliva esposto all’azione dell'ossigeno e conservato in ambienti a temperatura piuttosto elevata, acquista un sapore acre, piccante e un cattivo odore che lo rendono inadatto all’ alimentazione. Inoltre si deco- lora rapidamente, dando luogo ad un abbondante deposito di materia colorante. Tali fenomeni si producono tanto più rapidamente quanto maggiore è la quan- tità di sostanze mucillagginose e parenchimatose rimaste nell’ olio. Alcuni fatti conosciuti, ma non ancora spiegati, dimostrano che le modi= ficazioni sopra citate sono dovute all’ azione di un enzima ossidante. Così, per esempio, si è osservato che l’ olio estratto dalle olive acerbe si conserva più a lungo di quello ottenuto dalle olive perfettamente mature. E si capisce che deve essere così se si riflette che mentre nelle olive acerbe non si riscontra affatto la presenza dell’ oleasi, se ne trova invece una quantità rilevante in quelle mature. Anche lo scoloramento, che è abbastanza rapido nell'olio ottenuto dalle olive mature. avviene invece molto lentamente nell’olio ricavato dalle olive acerbe, ciò che dimostra che l’oleasi esercita un'azione sulla precipi- tazione delle materie coloranti dell’ olio. Che l’ oleasi sia contenuto nell’ olio d’ oliva lo dimostrano i fatti seguenti. Agitando un olio non chiarificato con un poco di acqua e lasciandolo poi ripo- sare, sì rinviene in questa, in quantità più o meno grande a seconda delle condizioni dell’ olio trattato, dell’ oleasi la cui presenza è svelata dalle rea- zioni sopra indicate. Se si ripete l’ operazione parecchie volte, l’ enzima può essere portato via quasi completamente, ma in tal modo l' olio rimane molto alterato perchè col rimescolamento della massa e con la sua divisione si favo- risce il contatto con l'ossigeno e quindi l’' ossidazione. Operando invece con acqua priva affatto d'aria e dentro bottiglie in cui sia impedito l’' accesso dell’ ossigeno, l'olio si libera quasi totalmente dall’enzima che contiene senza alterarsi affatto e si conserva per lungo tempo senza subire alcuna mo- dificazione. Così pure si conserva inalterato se si riscalda per pochi minuti ad una temperatura compresa fra i 70° e i 75°; ma questo metodo non sa- rebbe consigliabile in pratica, perchè l'olio scaldato acquista un sapore che lo fa diminuire notevolmente di prezzo. Di più se all’ olio scaldato, o a quello privato del fermento solubile nel modo indicato sopra, sì unisce una certa quantità d'acqua contenente disciolto l’oleasi ricavato dalle olive mature e si agita, l'alterazione si produce di nuovo. Sulla rapidità dell’ alterazione dell'olio ha inoltre una grande influenza la luce, la quale favorisce notevolmente l’ azione dell’ oleasi. Difatti, esponendo alla luce, in recipienti aperti per facilitare l’ accesso dell’ ossigeno, dell’ olio — 129 — contenente dell’ oleasi, l'ossidazione si produce in pochissimo tempo e l'olio invecchia rapidamente, presentando in breve i caratteri che non avrebbe acquistato altro che in capo a qualche anno. Ma se l'olio è stato privato affatto dell’ enzima o l'ossigeno non può penetrare, neppure in piccola quan- tità, nell’ interno dei recipienti, la luce non ha sopra di esso nessuna azione. Aggiungerò che le alterazioni che subisce l'olio esposto all’azione della luce sono accompagnate da una decolorazione molto rapida che lo rende in poco tempo quasi perfettamente bianco. Se invece 1’ olio è stato privato dell’ oleasi, si può tenere quanto si vuole esposto all’ azione della luce senza che il suo colore si alteri minimamente. Ma se si aggiunge l'enzima la decolorazione incomincia. Le trasformazioni chimiche che si producono nell'olio d'oliva col tempo, sono della stessa natura di quelle che hanno luogo nella sostanza grassa che si trova nella polpa delle olive, cioè si ha sviluppo di anidride carbonica accompagnato dalla produzione di acido oleico, acido acetico, acido sebacico e altri acidi grassi superiori. Questi ultimi per altro sono sempre in quantità minima e qualche volta non si formano affatto. Fisiologia. — otografie del sistema arterioso ottenute cot raggi Rontgen. Nota del dott. UBeERTO DuTTO , presentata dal Socio BLASERNA. L'esperienza ha oramai dimostrato che le ossa sono relativamente opache al raggi di Réontgen. Ciò è dovuto alla composizione chimica delle lamelle fondamentali ossee, costituite prevalentemente da sali di calcio (fosfato, carbonato, floruro di calcio). Così è stato da altri osservato il grado di opacità di parecchi cristalli di sali di calcio, fra i quali lo spato di Islanda. Restava a vedersi se un sale di calcio, introdotto nei tessuti, anche allo stato polverulento, avrebbe permesso di fotografare l'ombra. Questo fu fatto all'Istituto Fisico romano nel modo seguente : Fu injettato per l'arteria brachiale di un cadavere un impasto liquido di solfato di calcio (scagliola) abbastanza tenue, affinchè potesse penetrare anche nei piccoli vasi. Avvenuto l’indurimento, si fotografò la mano, nella posizione oramai classica, cioè colla palma rivolta verso la lastra fotografica, avendo cura di tener il tubo di Crookes a distanza grande, per avere l'ombra nettamente accentuata. — 130 — La fotografia riuscì benissimo, e la parte di solfato di calcio, indurita, risultò più opaca dello stesso tessuto osseo. Si vedono l'arteria radiale, il ramo dorsale, il ramo ulnare, le arterie interossee del dorso, le arterie digitali del dorso, ed anche qualche piccolo ramo muscolare. È chiaro che questo metodo generalizzato e portato in altre regioni ed in altri sistemi vasali, può essere di efficace ajuto all’'Anatomia. A titolo di prova, presento all'Accademia una copia della fotografia ottenuta. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI TP «l@#«<<-- Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 1° marzo 1896. F. BrioscHI Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sopra una classe di superficie collegate alle superficie pseudosferiche. Nota del Socio Lurci BIANCHI. Nel quarto volume, recentemente uscito, delle Zegons sur la théorie générale des surfaces il Darboux, esponendo il nuovo metodo di Weingarten per la ricerca di intere classi di superficie applicabili, tratta l’ esempio delle superficie applicabili sulla sfera (1. c., pag. 321) e fa osservare come tale problema viene così ricondotto all'altro: Determinare le superficie X dotate della proprietà che ogni segmento di normale, compreso fra i due centri principali di curvatura, sia visto da un punto fisso O dello spazio sotto angolo retto. L'equazione a derivate parziali del secondo ordine, caratteristica per queste superficie X, si scrive: (1) (0 + p)(0 + p)=p°—29, ove o', 0" indicano i raggi principali di curvatura, p la distanza del piano tangente dal punto fisso O e 29 la distanza del punto di contatto da 0 stesso. Il Darboux dopo avere così trasformata la ricerca delle superficie a cur- vatura costante nella integrazione della equazione (1) soggiunge: Z #°Y @ là qu'un fait curieux, l’équation précédente étant plus compliquée que celle des surfaces à courbure constante. Tuttavia la ricerca effettiva delle rela- zioni geometriche fra le superficie X delia classe (1) e le superficie a cur- vatura costante conduce, come si vedrà, a risultati ben semplici che meri- RenpICONTI. 1896, Vol. V, 1° Sem. 18 — 134 — tano di essere osservati. Qui mi limiterò a dare gli enunciati dei teoremi fondamentali, riserbando ad altro luogo le dimostrazioni e gli sviluppi. I Indicherò in questa Nota, per brevità, col nome di superficie X ogni superficie della classe (1). E innanzi tutto osserverò che limitandosi, come sembra opportuno in queste ricerche, a superficie reali, le superficie 2° non vengono già a collegarsi, secondo il metodo di Weingarten, colle superficie applicabili sulla sfera, sibbene con quelle applicabili sulla pseudosfera, ossia colle pseudosferiche ('). Il modo di derivazione delle superficie X dalle pseudosferiche è il se- guente. Presa una superficie pseudosferica S qualunque, si tracci sopra di essa un sistema di geodetiche parallele 8 = cos'° (uscenti da un punto all'infinito della superficie) e le loro traiettorie ortogonali @ = cost° (oricicli). Assumendo convenientemente i parametri a,#, il quadrato dell’ elemento lineare di S prenderà la nota forma parabolica (e) dst = da* + e-*2dp?. Indicando con é,n,6 le coordinate di un punto mobile sopra S, pongasi a (DE dé d NEL x RED (3) 2=e (E edi), AE] ine +e) e saranno 2,Y, le coordinate di un punto mobile sopra una superficie X della classe (1). Viceversa ogni superficie X si ottiene da una conveniente pseudosferica S, su cu? sta tracciato un determinato sistema di geodetiche parallele colle formole (3). Ma si noti che per tal modo dalla superficie S si deduce non una sola X, ma un'intera serie di tali superficie ® parallele, giacchè mutando $ in 8 + cost'*, la (2) non si altera, mentre la superficie (3) si cangia in una parallela. È evidente del resto, per la definizione geometrica delle superficie X, che ogni superficie parallela ad una X è nuovamente una 2. Ciò significa che l'equazione a derivate parziali (1) è ‘nvariante rispetto alle trasformazioni parallele. 2. Formando l’equazione differenziale delle linee di curvatura della super- ficie > data dalle (3), si trova l'importante risultato: Sopra la superficie 3 (1) E invero nelle formole corrispondenti (1. c., pag. 322) il Darboux pone p= Vp?-2q; ma poichè per ogni superficie reale 2 è p° < 29, così g è puramente immaginaria e le superficie corrispondenti hanno puramente immaginarie le coordinate dei loro punti cor- rispondenti a valori reali di p , g, talchè dividendo queste coordinate per WES si ottengono in effetto superficie reali a curvatura costante negativa (pseudosferiche). Se così non fosse, sarebbe trovato ciò che fino ad ora è stato da più parti inutilmente cercato cioè un me- todo efficace di trasformazione per le superficie a curvatura costante positiva! — 135 — le linee di curvatura corrispondono alle linee di curvatura della super- ficie pseudosferica S, da cui deriva secondo le formole (3). Ora alle geodetiche 8 = cost'° di S si tirino le tangenti; la congruenza così formata ha per prima falda della superficie focale la S e per seconda falda una nuova superficie pseudosferica S' complementare della S. D'altronde si vede subito che la corrispondenza di punto a punto della X e della S' è tale che le normali in due punti corrispondenti sono parallele, e poichè alle linee di curvatura di S corrispondono, come è noto, quelle di S', ne deduciamo il teorema: A) Ogni superficie X ha la stessa immagine sferica delle linee di cur- vatura di una superficie pseudosferica (!). Questa proprietà fondamentale spiega appunto il perchè la teoria delle superficie viene necessariamente a collegarsi con quella delle superficie pseudosferiche. Di più si osservi che presa una qualunque superficie pseudosferica S', vi sono co! sistemi di superficie > parallele aventi a comune con S' l’imma- gine sferica delle linee di curvatura, e ciò prescindendo da un’omotetia col centro in O, che cangia manifestamente una superficie X in un'altra. d. Ho dimostrato nel mio libro (*) che la congruenza delle normali ad ogni superficie, avente la medesima immagine sferica delle linee di curvatura di una superficie pseudosferica, è una congruenza ciclica (1. c., pag. 333), che cioè esiste uno ed un solo sistema 00° normale (3) di circoli, aventi per assi le dette normali. Ne segue che le normali ad una superficie X costitui- scono appunto una congruenza ciclica. Come sì caratterizzano i circoli C del sistema normale corrispondente? Il risultato è estremamente semplice, poichè si trova che questi circoli C vanno tutti a passare pel punto fisso O. Inoltre, e questa è la proprietà più notevole, le oo! superficie ortogonali ai circoli C sono nuovamente superficie X rispetto al medesimo punto fisso 0. Si ha dunque la costruzione seguente: B) Presa una qualsiasi superficie X della classe (1), dal punto fisso O sî conduca ad ogni sua normale m la perpendicolare OP e, fatto centro nel piede P di questa, si descriva, nel piano normale a m, il circolo che passa per O. IL sistema co? di circoli © così costruiti ammette una (1) Anche il Weingarten era pervenuto dal canto suo a questo teorema, come ho sa- puto dopo avergli comunicati i risultati da me ottenuti. (*) Lezioni di geometria differenziale. Pisa, Spérri, 1894. (3) Un sistema 00? di circoli dicesi normale se ammette una serie di superficie or- togonali. — 136 — serie co! di superficie ortogonali D', che appartengono nuovamente alla classe (1). Così da una superficie X si ottengono co! nuove superficie della mede- sima classe e ciò con operazioni che richieggono manifestamente una sola quadratura. Si osservi poi che mentre la superficie X ha a comune con una super- ficie pseudosferica S la immagine sferica delle linee di curvatura, le super- ficie 2°, derivate da X colla costruzione B), hanno a loro volta le stesse im- magini delle linee di curvatura delle co! superficie pseudosferiche S' com- plementari di S. Si può dunque dire: C) Za trasformazione delle superficie X, fornita dalla costruzione B) corrisponde precisamente alla trasformazione complementare delle super- ficie pseudosferiche. Le considerazioni superiori conducono altresì al teorema: D) Se pel punto fisso O si conducono i circoli normali ad una su- perficie 3, tutte le co) superficie ortogonali ai circoli appartengono alla classe (1). 4. L'ultima costruzione D) deriva facilmente dal seguente teorema di Wein- garten (1): Un’ inversione per raggi vettori reciproci rispetto ad ogni sfera col centro in O cangia una superficie X in un altra della medesima classe. In altre parole l'equazione fondamentale (1) è invariante non solo ri- spetto alle trasformazioni parallele, ma anche rispetto alle inversioni. Ora è chiaro che invertendo il nostro sistema ciclico (2') del teorema B) per raggi vettori reciproci si ottiene una serie di superficie X parallele; così la costruzione (D) risulta d'immediata evidenza. A quale trasformazione delle superficie pseudosferiche corrisponde l’in- versione delle XY? Facilmente si dimostra che: Un’ inversione per raggi vettori reciproci delle superficie X corrisponde ad una trasformazione delle superficie pseudosferiche composta di due sue- cessive trasformazioni complementari. Così per le superficie X la trasformazione elementare rimane quella de- finita dalla costruzione B); due tali successive trasformazioni B) si combi- nano in un'inversione per raggi vettori reciproci. Combinando le costruzioni geometriche sopra indicate se ne possono ot- tenere delle nuove. Osserveremo ancora la seguente: E) Ad ogni normale m di una superficie X si cali dal punto fisso O la perpendicolare OP sulla quale si assuma un punto P' tale che OP.OP'=costt*, (1) Esso mi fu comunicato dall’autore in occasione della citata corrispondenza. — 137 -- se per P' si conduce la retta m' normale insieme a OP e alla m, queste rette m' saranno le normali di una serie di nuove superficie S'. Le due serie (2) (2°) di superficie X parallele si deducono appunto da due superficie pseudosferiche S,S' complementari, secondo le formole (3); esse hanno a comune con S,S' l'immagine sferica delle linee di curvatura. Osserviamo poi che invertendo per raggi vettori reciproci una delle due serie di superficie (2) o (2") si ottiene quel sistema ciclico che ha per assi le normali dell'altra serie (n° 3). Inoltre si dimostra: Za proprietà descritta nella costruzione E) è caratteristica della superficie S. d. Riserbando ad altra occasione uno studio più dettagliato delle super- ficie ®, mi limiterò qui ad indicare la notevole forma che assume l’ elemento lineare dello spazio riferito ad un nostro sistema ciclico 2° (n. 3). Sia 6 una funzione di v, v che soddisfi alla nota equazione DO O ASI, così DUALE e si determini la funzione © dalle equazioni simultanee di Darboux dw 209 % % = sen così dU (4) do mIo) = — =— Cos seno dV dU Indicando con w la costante arbitraria (parametro) che entra nella so- luzione più generale w delle (4) e con @, una soluzione particolare, pongasi x = (cos o, 089 du + seno, sen 0 dv). La formola dz 22 | (coso + coso)? du° + (seno 4- sen@) do? + (I dw? definirà appunto un sistema ciclico 2’ (!). Esso è derivato per trasformazione di Combescure dal sistema ciclico pseudosferico : ds? = cos? w du? + sen? w dv? + (35) de 3 ( Matematica. — Sulla inversione degli integrali definiti. Nota del Corrispondente Vito VOLTERRA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. (1) Le superficie x” ortogonali ai circoli sono le w = coste. — 138 — Astronomia. — Sulla nube solare del 10 ed 11 febbraio 1896. Nota del Socio P. TACCHINI. Favoriti dal bel tempo abbiamo potuto eseguire le osservazioni solari spettroscopiche in tutti i primi 20 giorni del mese di febbraio, ripetendo l’esame del bordo più volte nella stessa giornata, atteso alla continua eccezionale sere- nità durante il periodo suddetto. Nei giorni 8 e 9 sul bordo est al nord del- l’equatore solare non si vedeva che cromosfera semplice, e sul disco del sole non vi erano nè macchie nè fori in quel quadrante. Il giorno appresso invece, alle 11°. 15" trovai alla latitudine di 4- 27°,3 una bella protuberanza, che innalzandosi a forma di albero ripiegava a sud, estendendosi così fra + 21°, e + 28°. Col mezzo dei passaggi ne calcolai l'altezza, che mì risultò di 103”. Era di carattere nebuloso-filoso e non viva, ma dotata di quella luce speciale piuttosto smorta, come se l'oggetto si vedesse attraverso a nebbia molto al di là del bordo; così che non era da ritenersi, che la protuberanza sorgesse in quel punto del bordo solare. Al mezzodì sì ripetè l'osservazione e si trovò la stessa forma ed altezza, ed anche alle 152.20" non presentava cambiamenti rimarchevoli, e l'altezza fu pure trovata poco diversa, risultando allora di 108”. Nel mattino seguente, 11, non mi fu possibile di osservare presto il sole, ma verso mezzodì in quella stessa posizione trovai una nube la cui forma non lasciava dubbio sulla identità colla protuberanza osservata il giorno avanti, la quale per effetto della rotazione solare ed anche forse per moto proprio, sì presentava in quel giorno, come una vera nube a molta distanza dal bordo del sole. Alle 11°. 53" la punta più bassa della nube corrispondeva alla lati- tudine di + 32°, e la più alta a quella di + 25°; la nube era distante dal bordo solare di circa 100”, mentre la parte più elevata ne era lontana di 290". oltre cioè a 200 mila chilometri. La nube presentava nella parte centrale, inferiormente, luce più intensa ed era tutta di carattere nebuloso; alle 12°,13" l'altezza era diminuita, fu cioè trovata di 227” e di soli 130” alle 12°,43"; allora il pedunculo era di- sceso sottile e sembrava sorgesse dalla cromosfera a + 32°, unita cioè colla punta cromosferica visibile a 12,13". La protuberanza estendevasi in alto fra -+ 29° e 4- 35°, e alle 122.54" la sua altezza non era più che di 114”, alle 13°.2 solo di 92” ed alle 13%.22% non'si vedeva altro che la cromosfera. È ben vero, che le condizioni dell’ aria andavano naturalmente peggiorando. ma la visibilità della cromosfera ci dava la prova, che la nube si era veramente disciolta o resa invisibile per mancanza di illuminazione. Nello stesso giorno al bordo ovest si era presentata un'altra protuberanza nebulosa e di carattere stabile; essa occupava il tratto + 23,9 + 28,6 e in alto allargavasi fra -|- 209,9 e + 29°,4; essa dunque stava a latitudini quasi — 139 — eguali a quelle della nube al bordo est. La sua altezza poco prima del mez- zodì fu trovata di 66”. Ora verso le 3® quando esaminai ancora il sole all’ est, per avere un paragone collo stato del cielo al mattino, puntai alla protuberanza all’W, ma con mia sorpresa la trovai scomparsa, mentre anche in quel posto la cromosfera vedevasi assai bene. Nel giorno successivo non si ebbe traccia alcuna delle due protuberanze, e nemmeno furono osservate macchie e facole in quelle regioni. Si trattava dunque di un fenomeno, dirò così isolato nell'atmosfera del sole, di lunga durata rispetto alla nube all’ est, senza i corrispondenti fenomeni alla super- ficie dell’astro. È certo un fatto assai curioso, quello della scomparsa contem- poranea di queste due protuberanze, ciò che mi fa anche questa volta sup- porre, che non si tratti di scomparsa delle nubi, ma solo di mancata illuminazione per causa di ordine generale a quella latitudine, escludendo intieramente il carattere eruttivo o trasporto di materia. Meteorologia. — Sulla insolazione a Roma nel periodo 1887- 1895. Nota del Socio P. TACccHINI. Appellasi insolazione il numero delle ore, che il sole splende sull’oriz- zonte di un luogo in un dato periodo di tempo, che può essere il giorno, la decade, il mese, l’anno; ma d’'ordinario si cerca di determinare il valore medio diurno dell’insolazione, cioè il numero medio per giorno delle ore, in cui il sole splende su di un dato orizzonte. È chiaro, che se il cielo si man- tenesse sempre sereno e che se l'orizzonte del luogo fosse intieramente li- bero da ostacoli qualsiasi, la durata dell’ insolazione corrisponderebbe alla durata del giorno pel detto luogo. Invece le nubi e gli ostacoli naturali o artificiali vengono a turbare la detta eguaglianza, ed è perciò di speciale interesse, specialmente rispetto all’ igiene e all’ agricoltura, il conoscere la du- rata media dell’insolazione nei diversi mesi dell’anno. Per determinare il nu- mero delle ore di insolazione giorno per giorno, si fa uso di un apparecchio, chiamato presso di noi Z/iofanografo : esso si compone di una lente sferica fissata in un asse, che sì dispone parallelo all'asse del mondo, e questa lente sferica, se colpita dai raggi del sole, produce dall'opposta parte una brucia- tura su di una carta, a mezzo della quale si rileva facilmente la durata dell’insolazione e le ore o parti di ore in cui il sole agì sull’apparecchio e per conseguenza anche su di un’ampia estensione di terreno tutto attorno al luogo di osservazione. L'apparecchio funziona infatti come un orologio solare, e deve essere collocato in luogo intieramente libero, in modo cioè che possa sempre essere colpito dai raggi solari, quando l'astro splende. Le osservazioni furono incominciate al nostro Osservatorio nel 1887, e qui ho l'onore di presentare all'Accademia i risultati ottenuti a tutto il 1895, — 140 — cioè nel periodo di nove anni, per il quale ho calcolato l’ insolazione per ciascuna decade di ogni mese. Questi dati trovansi riuniti nella seguente tabella, ove ho aggiunto il rapporto dell’ insolazione media osservata alla durata del giorno; che potrebbe chiamarsi anche il coefficiente d’ insolazione. TABELLA A. o o L90s,; 2 0° 82go Insolazione| 5 E |#8# £ Insolazione| 8 £ SEE 1887-1895 3° (5834) 1887-1895 © (355% antim.| pom. | É 5. biclale antim.| pom. | È S Belaic h h h h h h Gennaio 1° dec.| 1,33 | 1,24| 2,57 | 0,28 |Luglio 1° dec.|5,61|5,35 | 10,96 | 0,73 2% n |2,39/2,28| 4,67 | 0,50 2% » |5,67|5,74|10,41 | 0,77 3°» |2,00|2,04| 4,04 | 0,42 || 8°» |5,52 | 5,29 | 10,81 0,74 Febbraio 1% » |2,50 | 2,88| 4,88 | 0,48 ‘Agosto 1° » |5,59 | 5,15 | 10,74 | 0,76 2a» | 2,65 2,73 5,38 | 0,51 2% » |5,43|5,31|10,74 | 0,78 3* » |1,86|2,88| 4,74 | 0,43 3° » |4,86|4,66| 9,52 | 0,71 Marzo 1° » |2,59|2,54| 5,13 | 0,45 Settembre 1°» |4,18|3,91| 8,09 0,63 2° » |2,13|1,85| 8,98 | 0,34 | 22» |8,94|3,77| 771) 0,62 38» |3,06/2,81| 5,87 | 0,48 || 3* » |3,52|3,47| 6,99 | 0,58 Aprile 1° » |3,01|3,07| 6,08 | 0,47 Ottobre 1° » ‘2,82|2,80| 5,62 | 0,49 2° » |3,26/3,10| 6,36 | 0,48 | 2° » |3,14|3,02| 6,16 | 0,56 3* » |3,09|3,17| 6,26 | 0,46| 3°». |2,81|2,51| 582] (0,50 Maggio 1% » |3,27|3,83| 6,60 | 0,47 | Novembre 1® » |2,39 | 2,06| 4,45 | 0,44 22» |4,50|3,95| 8,45 | 0,58 || PRIORI 52% 0,54 9° n |3,87|3,68| 7,55 [M051| 3° n |1,97|1,73| 3,70| 0,39 Giugno 18 » |4,40]|4,70| 9,10 | 0,61 Dicembre 1° » |1,89|1,94| 3,83 | 0,42 2% » |4,69|4,77| 9,46) 0,63 | 22 n |1,86|1,88| 3,74 | 0,41 ent 5502415713105 M06/7 | 3%» |1,50 | 16521 MRSt028 M0133: Il minimo dell’insolazione ha luogo nella prima decade del mese di gennaio, il massimo nella prima del luglio. Descritta una curva coi valori della colonna terza, risulta più chiaro all'occhio l'andamento annuo dell’ in- solazione e si vede come dal minimo al principiare dell’anno salga con lievi variazioni discendendo poi ad un minimo secondario nel mezzo del marzo. Dal marzo l’insolazione cresce fino al massimo assoluto della prima decade di luglio, e si ha il periodo dalla terza decade di giugno alla seconda di agosto, durante il quale l’insolazione si mantiene sempre superiore a 10 ore. Inoltre è degno di nota l'anomalia nella seconda e terza decade del maggio, fatto che potrebbe essere in relazione col periodo meteorologico così detto dei santi di ghiaccio, cioè dei santi Servazio, Pancrazio e Bonifacio, la cui festa ricorre nei giorni 12, 13 e 14 maggio, e che in Germania sono chia- mati santi di ghiaccio, perchè in quel periodo avvengono assai di frequente delle gelate, che per la stagione inoltrata sogliono arrecare gravi danni alla — 14l — vegetazione. A partire dalla seconda decade di agosto l’ insolazione dimi- muisce fino alla fine dell’anno, risultando il valore dell'ultima decade di di- cembre poco diverso dal minimo assoluto nella prima del gennaio. In questa discesa è da notarsi il massimo secondario della seconda decade del novembre, che corrisponderebbe al così detto estate di s. Martino. Il mese di maggiore insolazione è il luglio, e quello della minima il dicembre; tenuto però conto della minor durata del giorno, anche il valore dell’ insolazione in dicembre è rilevante, avendosi in media 4 decimi circa della giornata con sole, ciò che costituisce una delle belle qualità del clima di Roma. Riguardo all'insolazione avanti e dopo il mezzodì vero, che trovasi re- gistrata nella prima e seconda colonna, sembra che si possa dire che dal dicembre a tutto giugno ci sia maggiore tendenza al sereno nelle ore pome- ridiane, e dal luglio a tutto novembre in quelle antimeridiane. Dai valori contenuti nella tabella A non si può certo avere indizio della variabilità o frazionamento dell’insolazione per giorno, e perciò ho creduto opportuno di calcolare anche il numero medio delle ore intiere di sole per giorno in ciascuna decade e i risultati sono contenuti nella seguente tabellina : Medio numero per giorno delle ore intiere di sole per ogni decade dalle osservazioni del periodo 1887-1895. TABELLA B. Gennaio 1° decade 1,81 Luglio 1° decade | 8,77 2° n 3,62 ® 5 9,82 oe 2,72 a 9,08 Febbraio 1%» 952100 MPA Costo mani o 9,12 Qai 3,99 22 9,06 3A 3,92 ED 7,62 Marzo ENTRO 3,73 Settembre 1°» 5,83 DA 2,40 DO 5,86 Shin 4,15 SRO 5,93 Aprile ea 4,28 Ottobre. 1%» 3,80 2 4,31 » 4,50 9 4,08 ONE 3,77 Maggio 1%» 4,44 || Novembre 12» 2,50 O 6,12 DE 3,68 3 471 SP 2,78 Giugno ezio 6,90 || Dicembre 1°» 2,48 QRO 6,88 2° 2,26 o? 8,10 SP. 1,97 Nessuna decade dunque manca di ore intiere di sole, anzi la differenza coll’insolazione totale si mantiene sempre piuttosto piccola, ciò che costituisce un'altra ottima qualità del nostro clima. Le maggiori differenze trovansi per RenpIconTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 19 — 142 — i mesi di aprile, maggio e giugno, durante i quali l'atmosfera sarebbe rela- tivamente più variabile. Anche coi dati della tabella B si arriva alle stesse conclusioni riguardo all'andamento annuo dell’insolazione, che abbiamo di- chiarato in base a quelli della tabella A. Fra la serenità e l’insolazione non si può ammettere un accordo rigo- roso che nei limiti estremi, cioè di serenità continua o continua nebulosità totale durante la giornata: ma in considerazione dei forti valori in ciascun mese delle ore intiere di sole era da ritenersi, che un discreto accordo vi potesse essere fra la serenità, come viene determinata a stima in poche os- servazioni, e l’insolazione data dall’eliofanografo. Nella mia Memoria sul clima di Roma (') trovansi i dati per la serenità a Roma. ricavati dal pe- riodo 1858-1879, che metto qui appresso a confronto coi valori del coeffi- ciente d’insolazione mese per mese: Serenità Coefficiente d’insolaz. Gennaio 0,50 0,40 Febbraio 0,51 0,48 Marzo 0,45 0,42 Aprile 0,54 0.47 Maggio 0,57 0,52 Giugno 0,65 0,63 Luglio 0,82 0,75 Agosto 0,79 0,75 Settembre 0,67 0,61 Ottobre 0,53 0,52 Novembre 0,46 0,46 Dicembre 0,48 0,39 Come si vede l'accordo è maggiore di quanto poteva aspettarsi, e in conclusione non si commetterebbe un grande errore nel calcolare per Roma la durata dell’ insolazione, assumendone per coefficiente il valore della serenità. Astronomia. — Osservazioni delle comete Perrine nov. 16 e Lamp-Perrine febb. 13, fatte all’equatoriale del R. Osservatorio del Collegio Romano. Nota del Corrispondente E. MiLLOSEVICH. La cometa Perrine, di cui resi conto in passato all’ Accademia, rifattasi astro del mattino, fu da me osservata come segue: 1896 febbraio 16. 1v4am46e par; © epbarenio J9//0S09: 52/00 ° d apparente —1°83’ 17”.7 (0.775) (1) Vedi Annali dell’Ufficio di Meteorologia e Geodinamica. Roma, 1881. — 143 — L'astro, per la distanza cresciuta tanto dal sole, quanto dalla terra, ap- parve meno lucido dell’epoca della scoperta e senza coda; tuttavia presentava un nucleo di 11"® srandezza, avvolto da nebulosità irregolare. Il 13 febbraio la cometa Perrine trovavasi assai vicina ad un’ altra cometa più lucente, locchè diede luogo ad equivoco che venne ben presto tolto di mezzo. Pare che il primo a scoprirla sia stato il dott. Lamp, ma che l'’ accer- tamento della non identità spetti all’ astronomo Perrine del Lick Observatory. Il nuovo astro fu da me osservato come segue : a apparente 19° 5637594 (9.621 n) d apparente + 9°81' 257.0 (0.733) Il nuovo astro mi apparve senza coda, con nucleo un po' mal definito, con nebulosità circolare ampia 2' circa. 1896 febbraio 18 17° 4285 RCR; Fisica. — Sulla dispersione dell'elettricità prodotta dai raggi di Rontgen. Nota del Corrispondente Augusto Ricni. 1. Dispersione delle cariche elettriche. In una mia recente Nota (') ho fatto conoscere alcune mie esperienze, dalle quali risulta dimostrato che: I raggi X hanno in comune coi raggi ultravioletti la proprietà di determinare la dispersione delle cariche negative, e di dare origine a cariche positive nei conduttori non elettrizzati. Come pure che: I raggi X, a differenza dai raggi ultravioletti, provocano la disper- stone anche dai corpi elettrizzati positivamente. (1) Rend. della R. Accad. di Bologna, seduta del 9 febbraio 1896. Appena stampata questa mia Nota, e cioè 1’ 11 febbraio, mi giunse il n. 5 dei Comptes Rendus dell’Accad. di Parigi, nel quale sono narrate delle esperienze dei signori Benoist e Hurmuzescu dimo- stranti pure la dispersione delle cariche elettriche prodotta dai raggi di Réntgen. Ho saputo or ora che, sempre indipendentemente e quasi nello stesso tempo, altri hanno sco- perto lo stesso fenomeno, e cioè J. J. Thomson a Cambridge, Borgmann e Gerchun a Pietro- burgo, e O. Lodge. A Thomson ed a Lodge è però sfuggita la fase finale del fenomeno, giacchè hanno bensì constatata la dispersione della carica di corpi elettrizzati, ma non la produ- zione di una carica positiva finale, in un corpo inizialmente scarico o comunque elettrizzato. I due fisici di Pietroburgo (vedi Comp. Rend. n. 7 del 17 febbraio 1896) hanno invece riconosciuto che il corpo elettrizzato raggiunge una certa carica finale sotto 1’ azione delle radiazioni di Roòntgen. Però, secondo i medesimi, questa carica finale sarebbe negativa anzichè positiva, e la dispersione delle cariche positive sarebbe più rapida che quella delle cariche negative, per cui i loro risultati sarebbero in completa opposizione con quelli trovati da me e dagli altri fisici nominati più sopra. È importante il notare che i due fisici di Pietroburgo non dicono di avere prese le necessarie precauzioni per eliminare l’azione che sull’ elettroscopio possono produrre il tubo di Crookes e il rocchetto che fornisce le scariche, nè quella che può provenire dai raggi che forse colpivano diretta- mente lo strumento indicatore, e specialmente le parti comunicanti col suolo. — 144 — Nella stessa Nota ho poi fatto osservare come questo nuovo effetto pro- dotto dai raggi X possa fornire un metodo per ottenere una misura relativa della loro intensità. Di questo metodo mi sono di poi occupato. 2. Misura dell’ intensità dei raggi di Rontgen, basata sulla disper- stone dell'elettricità da essi provocata. Si potrebbe procedere in diverse maniere, e cioè 1° misurare la velocità della dispersione, e cioè la diminuzione di potenziale nell'unità di tempo prodotta in un dato corpo elettrizzato ad un dato potenziale; 2° misurare il potenziale positivo al quale un dato corpo, per esempio allo stato naturale, è portato dalle radiazioni; 3° misurare con un galvanometro l'intensità della corrente che passa pel filo che congiunge il corpo esposto alle radiazioni col polo isolato di una pila. Il primo metodo è poco pratico ed esatto, perchè richiede letture a tempi stabiliti, ed è esposto a diverse cause d'errore; il secondo pure non sembra suscettibile d’esattezza, e richiede tempo notevole per ogni lettura; il terzo richiede un galvanometro sensibilissimo e a filo lunghissimo, ed io non lo posseggo. Ho quindi preferito un quarto metodo, che ho riconosciuto esatto e facile, e che permette rapide misure. Eccone la descrizione. Un disco A di circa 11 c. di diametro, per esempio di rame (fig. 1), riceve le radiazioni di Ròntgen, che escono da una finestra di 10 c. di diametro, chiusa E Fic. 1. con sottile alluminio, e praticata in una parete di piombo (spessore 0,5 c.) d'una grande cassa metallica comunicante col suolo, entro la quale stanno tutti gli apparecchi occorrenti alla produzione dei raggi X. Il tubo di Crookes si trova entro la cassa in tal posizione, che la parete di esso che è colpita dai raggi catodici, sia a piccola distanza dall’alluminio. Il disco R comunica coll’elettrometro di Mascart £, e, a seconda della posizione data ad un ponte metallico isolato, con uno dei tre pozzetti di — 145 — mercurio è, e, d, il primo dei quali comunica col suolo e con un polo di una coppia campione €, il secondo col polo isolato di questa, ed il terzo d con uno dei poli di una serie A di 10 piccoli accumulatori, di cui il polo opposto è in comunicazione colla terra. Un inversore 7 permette d'invertire le comu- nicazioni, e di utilizzare così a piacere o il polo + o il —. Nella comunicazione fra gli accumulatori e il pozzetto d è intercalata una forte resistenza, costituita da un tubo 7 (lungo 80 c. con foro del dia- metro di 0,1 c.) pieno di alcool assoluto del commercio. Se il ponte mobile è fra @ e d, il disco (e quindi anche l’elettrometro) è a terra; se è fra a e c, l’elettrometro dà la deviazione prodotta dalla coppia campione, ciò che fornisce il mezzo di tradurre in Volta le deviazioni dell’istrumento. Se infine il ponte è fra @ e d, il disco è caricato dagli ac- cumulatori ad un potenziale, che indicherò con vo. Il valore di v, si può variare a piacere entro certi limiti, facendo uso d'un numero più o meno grande di accumulatori. Una disposizione semplice, non indicata nel diagramma, permette di variare facilmente questo numero. Infine, un diaframma metallico non isolato DD, rivara gli apparecchi descritti dalle radiazioni di KRéntgen, e un simile ufficio compie un tubo metallico comunicante col suolo (non rappresentato nel diagramma), che cir- conda il filo che va dal pozzetto « all’ elettrometro £. Posto il ponte in @d, si osserva una deviazione che corrisponde al po- tenziale vo dato dagli accumulatori. Se allora si fanno agire le radiazioni X sul disco A, si nota una diminuzione della deviazione, ed il potenziale di- venta v,. La nuova deviazione resta immutabile finchè il tubo di Crookes è in azione (se non si verificano cambiamenti d’intensità della radiazione, p. es. per essere in cattive condizioni l'interruttore del rocchetto), giacchè si stabilisce una compensazione fra l'elettricità sottratta nell'unità di tempo dalle radiazioni al disco , e quella che nella unità di tempo la sorgente fornisce attraverso il tubo 7. Quest'ultima è evidentemente proporzionale a V— i, per cui la diminuzione di potenziale vo — v, misura la disper- sione, che nell'unità di tempo il disco subisce quando il suo potenziale è ©, . Ho verificato che, almeno fra 4 Volta e 16 Volta, vo — vi; è sensibilmente Une — si può prendere come misura della disper- Vi proporzionale a v,. Perciò sione, qualunque sia v,. La dispersione prodotta dai raggi X, e cioè la quantità odg 1 proporzionale alla loro intensità. Infatti, mediante un semicerchio ed un quadrante di piombo, tagliati da un disco grande quanto la finestra da cui partono i raggi di Réntgen, ed applicati contro l'alluminio in modo da ri- durne l’area libera successivamente ai tre quarti, alla metà, oppure ad un quarto, ho ottenuto per i di valori sensibilmente eguali ai tre quarti, 1 — 146 — alla metà, od al quarto, di quello avuto lasciando interamente libera la finestra. o a fornisce dunque una misura dell’ intensità 1 della radiazione di Roòntgen ricevuta dal disco di rame, ed è evidente che questo metodo è incomparabilmente più sicuro ed esatto di tutti quelli ai quali, in mancanza di meglio, si ricorse finora. Riserbandomi di comunicare in altro tempo i risultati di ricerche, che ora sono appena iniziate, mi limiterò ora a dare alcuni esempî. Con sette accumulatori e col disco di rame a circa 40 c. dalla finestra, ho una deviazione che corrisponde a v = 14,98 V. Fatte agire le radiazioni ho v= 10,87 V. (l'elettrometro dà 30 mm. di deviazione per un Volta, per cui le radiazioni hanno fatto diminuire la deviazione di circa 123 mm.) (1). PD 0,876. Vi Posta fra la finestra ed il disco una lastra di cristallo da specchio grossa 0,85 c., trovo v\ = 14 V., e quindi la nuova intensità della radiazione sul so = — 0,07. Il rapporto —- = 0,186, cioè quasi ’/; , rappresenta dunque il rapporto nel quale la lastra di vetro riduce l'intensità della ra- diazione. Similmente, per una lastra di paraffina di circa 3,9 c. di spessore, il detto rapporto fu di 0,553. Ho poi constatato che per potenziali un po’ elevati, p. es. da 12 V. in su, la dispersione dell'elettricità negativa è appena più rapida di quella del- l'elettricità positiva, mentre per potenziali più bassi la differenza si fa più notevole. Ciò si accorda col fatto da me constatato della carica finale positiva, la quale produce un potenziale generalmente di una frazione di Volta. Un'altra particolarità degna di nota è questa, che mentre adoperando i raggi ultravioletti è necessario pulire spesso i corpi sui quali devono produrre la dispersione fotoelettrica, questa necessità è quasi nulla nel caso dei raggi X.. 8. Azione dei raggi X sui dielettrici. Dimostrai altravolta che i raggi ultravioletti provocano anche cadendo sui corpi isolanti quella disper- sione elettrica che era stata dimostrata nel caso dei corpi conduttori. Lo stesso ho fatto ora per rapporto ai raggi X, giacchè ho riconosciuto che una lastra dielettrica, elettrizzata in + o in—, si scarica allorchè è colpita dai La determinazione di L'intensità della radiazione sul disco è dunque rappresentata da disco è (') Per dare idea della sensibilità del metodo qui descritto dirò, che col disco di rame collocato a due metri dalla finestra, dietro la quale sta il tubo di Crookes, la dimi- nuzione della deviazione elettrometrica prodotta dai raggi X fu di 3 mm. della scala; per cui si sarebbe distinto certo un effetto anche a distanza doppia. Ora è chiaro che a così grandi distanze l’effetto sui corpi fluorescenti sarebbe quasi nullo, e quello sulle lastre fotografiche richiederebbe parecchie ore di posa per manifestarsi. — 147 — nuovi raggi, o più esattamente è ridotta ad un certo stato elettrico positivo, che essa raggiunge anche se è presa allo stato naturale. Di più, dimostrai altravolta (*) che sotto l’azione dei raggi ultravioletti sì genera una energica convezione di elettricità negativa dalla superficie di una lastra isolante che non ha carica propria, ma è semplicemente polarizzata per trovarsi in un campo elettrico. Sono riescito ad ottenere un analogo fe- nomeno anche mediante i raggi di Réntgen, e qui descriverò la relativa esperienza con dettaglio, in quanto che con essa si ottengono delle imagini, che se finora non sono riescite così perfette e dettagliate come quelle che dà la fotografia, hanno però il pregio di richiedere un tempo d'azione gene- ralmente minore. 4. Ombre elettriche prodotte coi raggi di Rontgen. Una lastra me- tallica 45 isolata è mantenuta elettrizzata da una piccola macchina elettrica, fino ad un potenziale corrispondente all'incirca a quello necessario per una scintilla nell'aria da 6 a 8 millimetri. Per regolare questo potenziale ho l’uso di mettere gli eccitatori della macchina a 8 mm. di distanza, e di girare tanto lentamente la manovella, che fra essi non scocchino scintille. A 3 o 4 c. al di sopra della lastra A si trova un telaio BC nel quale è teso un cartone nero, coperto, nella sua faccia inferiore, di foglie d' allu- minio, in comunicazione col suolo. Più su ancora, e a 14 o 15 c., è collocato il tubo di Crookes T. Per eseguire l’esperienza si mette, a metà dell'intervallo fra A e BC, una lastra d’ebanite, che un momento prima è stata asciugata e scaricata sopra una fiamma, e sopra il cartone si pone un oggetto qualunque, per esempio una busta di compassi chiusa. Si fa agire il tubo di Crookes per un paio di minuti; poi si toglie di posto la lastra d'ebanite, e si proietta sulle sue due faccie il noto miscuglio di solfo e minio. (1) Sui fenomeni elettrici provocati dalle radiazioni, II Memoria. Atti del R. Isti- tuto veneto, serie 6°, t. VII. — N. Cimento, 3° serie, t. XXV, p. 194 (1889). — 148 — Apparisce immediatamente su ciascuna faccia una imagine o ombra degli oggetti posti sul cartone, per esempio della scatola di compassi. Non solo si riconosce il contorno della busta, ma più marcatamente l'ombra dei com- passi in essa contenuti. Se la lastra A era carica negativamente, l'ombra dei compassi e della busta è rossa in fondo giallo sulla faccia dell’ ebanite che era rivolta in su, e gialla in fondo rosso sulla faccia opposta. Queste nuove ombre elettriche riescono particolarmente bene allorchè la lastra d’ebanite è posata sulla lastra metallica 4. È bene che in tal caso l'ebanite porti incollata sulla faccia inferiore una foglia di stagno, e allora si proietteranno naturalmente le polveri solo sulla faccia nuda. Con quest'ultima disposizione, e facendo durare l’azione del tubo di Crookes per 4 o 5 minuti, ho ottenuto una bella ombra della mia mano distesa sul cartone BC. In essa appariscono d'un rosso più carico (se A è —) le parti corrispondenti alle ossa della mano, per cui s’intravvede il contorno di queste. o. Esperienza dimostrativa sulla dispersione prodotta dai raggi X. Per mostrare a più persone questo fenomeno, si può adoperare un semplice elettroscopio a foglie d'oro, e così feci davanti alla R. Accademia di Bologna. Ma si può fare invece quest'altra esperienza. Una grande lastra isolata riceve ì raggi di Rontgen, e comunica con un elettrodo di un piccolo tubo di Geissler, di cui l'elettrodo opposto comunica con una armatura di un condensatore carico. Naturalmente la seconda arma- tura di questo deve comunicare col suolo. Se la carica è assai forte, il tubo s'illumina in seguito alla dispersione energica che ha luogo dal contorno della lastra; ma dopo poco il tubo diviene oscuro. Se a questo istante si eccita il tubo di Crookes, il tubo di Geissler s'illumina nuovamente, per effetto della dispersione provocata dai raggi di Rontgen. Ho descritto qui questa esperienza perchè mi gioverà richiamarla nel seguente paragrafo. 6. Azione dei raggi di Ròntgen sul radiometro. I signori Gossart e Chevallier hanno descritto recentemente delle esperienze interessanti (*), dalle quali essi deducono la conseguenza, che entro un radiometro posto presso un tubo di Crookes in azione, si manifesta un campo di forza meccanica, in virtù del quale il molinello, che prima girava sotto l’azione d’ una sorgente luminosa qualunque, si arresta, non appena il radiometro è colpito dai raggi X. Fra le altre osservazioni c' è anche questa, che, una volta arrestato, il mo- linello non riprende a girare, anche dopo che si è cessato di eccitare il tubo di Crookes, che in capo a quasi cinque minuti. I fenomeni elettrici, dei quali qui mi sono occupato, mi hanno suggerito (1) C. R. n. 6 (1896). — 149 — una spiegazione di quei fatto singolare, che metto avanti però con riserva. Siccome ogni corpo si elettrizza positivamente allorchè è colpito dai raggi X, così è certo che la parte del palloncino del radiometro, rivolta verso il tubo di Crookes, si elettrizzerà. Il prodursi di questa carica e il suo successivo disperdersi, deve provocare un movimento di elettricità, o una convezione elettrica, nel gas rarefatto, press' a poco come accade entro il tubo di Geissler della precedente esperienza. Questa convezione deve poi determinare un orien- tamento del molinello, di cui una delle alette si immobilizza verso la parte elettrizzata. È noto che si può ottenere questa orientazione elettrizzando direttamente il vetro, e che essa ha luogo, quantunque per altra causa, scaldando un punto del palloncino ('). D'altronde, se anche non si vuol tener conto dei moti molecolari del gas, basta riflettere che una carica elettrica localizzata in una porzione della parete del palloncino, deve orientare il molinello. Per mettere alla prova la spiegazione proposta, ho eseguito più volte l’esperienza, alternativamente col palloncino ben asciutto esternamente, o completamente bagnato. Il molinello girava lentamente sotto l'azione della luce diffusa e si arrestava, non appena il tubo di Crookes era posto in azione, se la superficie esterna del vetro era ben asciutta. Se questa era bagnata, il moli- nello continuava a girare liberamente anche sotto l’azione dei raggi X. Evi- dentemente, non si poteva in tal caso localizzare una carica in una porzione di parete, e la forza orientatrice mancava. Non voglio asserire che l’elettrizzarsi del palloncino sia la causa unica del fenomeno osservato dai signori Gossart e Chevallier; ma almeno mi sembra che abbia una parte notevole nella produzione del fenomeno stesso. Fisica. — Sulla produzione delle ombre di Réntgen, per mezzo della dispersione elettrica provocata dai raggi X. Nota del Corrispondente Augusto RIGHI. Dopo compiuta la redazione della precedente Nota, Sulla dispersione della elettricità prodotta dai raggi di Ròontgen, mi è stato possibile il semplificare e perfezionare alquanto l’esperienza descritta nel $ 4 di quella Nota. Prima di tutto ho soppresso la piccola macchina ad influenza colla quale si crea il campo elettrico nel quale è collocata la lastra di ebanite che ri- ceve la radiazione. Anche se le due lamine conduttrici A e BC (vedi la se- conda figura della Nota citata) sono entrambe in comunicazione col suolo, si ottiene, dopo qualche minuto d'azione del tubo 7, una imagine sull'ebanite, (1) Za scienza applicata, vol. I, parte II, fasc. 8. RENDICONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 20 2 150 — nell'atto in cui si proietta su di essa il miscuglio di minio e solfo. Ritengo che l’effetto sia dovuto alla formazione di una carica positiva nelle parti del dielettrico che sono colpite dalle radiazioni. Però le imagini così ottenute sono sempre assai deboli. Qualche volta esse riescirono con cariche inverse di quelle che la spiegazione data farebbe prevedere, per cui, se quella spie- gazione si vuol mantenere, bisogna attribuire questi casi eccezionali a cariche eletttriche rimaste nella ebanite, ad onta delle precauzioni prese per eli- minarle. Per avere belle imagini conviene dunque caricare la lastra metallica su cui è posata l’ebanite. A questo scopo basta mettere in comunicazione col suolo, oltre che la lamina BC, anche l'anodo del tubo di Crookes 7, e mettere i due dischi di un condensatore ad aria (p. es. il comunissimo con- densatore di Epino), in comunicazione, l'uno col catodo del tabo 7 e l’altro colla lastra metallica A, e per conseguenza coll’armatura di stagnuola in- collata nella faccia inferiore dell’ebanite. Allo scopo poi di ottenere ombre ben nette, ho sollevato la lastra A finchè la faccia superiore dell'ebanite (la quale è bene sia grossa almeno un centimetro, affinchè non perda troppo facilmente la sua forma piana) si trovi a uno o due millimetri di distanza dalla lastra 80. Però, quanto più piccola è questa distanza, e tanto più piccola deve essere la differenza di potenziale massima fra A e BC, giacchè se si oltrepassa un certo limite, si producono piccole scariche fra l'ebanite e il conduttore BC (la così detta pioggia di fuoco, visibile nell'oscurità). Occorre dunque regolare a dovere la distanza fra i due dischi del con- densatore ad aria, e perciò si comincia col metterli assai vicini, per poi allontanarli poco a poco, sinchè si constati la formazione di ombre perfette. Coll’ebanite tanta vicina alla lamina BC (che, secondo la descrizione della precedente Nota, è di cartone nero rivestito inferiormente di foglie d'alluminio) è impossibile ottenere l'ombra della mano, giacchè, quando essa è posata sul cartone, determina, col proprio calore, una specie di distilla- zione dell'umidità del cartone, che si condensa sull’ebanite, e la rende super- ficialmente conduttrice. Ho tolto di mezzo questo inconveniente sostituendo alle foglie di alluminio, una lamina del medesimo metallo, grossa circa un decimo di millimetro. È bene che sopra questa lamina resti il cartone, giacchè questo impedisce le deformazioni che essa potrebbe subire in causa del peso o della pressione esercitata dagli oggetti dei quali si vuole ottenere l'ombra sull'ebanite. Ho riconosciuto poi che si guadagna assai nella perfezione delle ombre, sostituendo alle solite polveri il miscuglio di licopodio e minio. In conclusione, l'esperienza viene eseguita nel modo seguente. Regolata una volta per tutte la distanza fra le due armature del condensatore ad aria, si asciuga e si scarica sopra una fiamma l’ebanite, e la si colloca colla sua i È | | i | E IT O e MUTU — 151 — armatura in contatto della lastra A, in modo che la faccia nuda della eba- nite si trovi vicinissima all'alluminio. Poi si colloca sul cartone 80 la mano o l'oggetto qualunque del quale vuol prodursi l'ombra, e si mette in azione il tubo di Crookes. Nel caso mio, essendo il tubo a circa 15 c. di altezza sul cartone, per avere una buona ombra della mano occorrono sette a otto minuti, mentre per l'ombra dei compassi chiusi nella loro busta, basta assai meno. Dopo ciò si ritira l’ebanite e si proietta su di essa la polvere. Le parti che furono colpite dai raggi di Rontgen divengono gialle, mentre le parti ombreggiate da grossi oggetti metallici si coprono di rosso. Le due tinte sono più o meno intense, a seconda della maggiore o minore trasparenza od opacità degli oggetti collocati sul cartone. Ad un certo grado medio di trasparenza corrispondono nell’ebanite regioni nere, perchè prive di polvere. Come ho spiegato altra volta a proposito delle ombre elettriche, il depo- sitarsi del minio nelle parti non colpite dalla radiazione, non indica che ivi realmente si trovi una carica negativa. Accade infatti che, mentre dai punti dell’ebanite colpiti dai raggi di Rontgen si disperde dell'elettricità negativa, restandovi altrettanta elettricità positiva, la carica positiva così formata in- duce una carica negativa nell'armatura della lastra, allorchè questa è tolta dall’apparecchio allo scopo di spolverarla. Può darsi benissimo che questa carica negativa dell'armatura attiri e trattenga la polvere di minio, nei luoghi ove l’ebanite non ha carica positiva. Ad ogni modo, la presenza dei due colori fa sì, che mentre queste mie ombre elettriche mostrano la presenza di masse metalliche nascoste, forse con maggior evidenza di quella che offrono le fotografie, esse hanno un aspetto assai diverso da quello delle ombre ottenute col processo fotografico. Ho quindi voluto cercare di ottenere le ombre elettriche ad una sola tinta, e vi sono riescito come segue. Proiettando sulla lastra, dopo che ha ricevuto le radiazioni, una polvere unica, per esempio licopodio, ho qualche volta ottenuto l'intento, ma non sempre, giacchè in certi casi la polvere usciva dal soffietto senza essere abba- stanza elettrizzata. Bisognava dunque, per avere risultati sicuri, continuare a far uso di un miscuglio di due polveri; ma basta che una di queste abbia lo stesso colore della lastra, e cioè sia nera, nel caso dell’ ebanite, affinchè il risultato in vista venga raggiunto. Il miscuglio di minio e solfuro d'antimonio, già indicato da Bòttger (!), mi ha dato un discreto risultato, giacchè mentre il solfuro poco si distingue sulla ebanite, il minio, che aderisce nelle ombre, si vede nettamente. Ma, dopo numerosi tentativi, sono giunto a trovare un miscuglio di polveri che, anche pel loro colore, dà ottimi risultati. Questo miscuglio si ottiene con pesi all’in- (1) Pogg. Ann. t. XCVIII, p. 170 (1856). — 152 — circa eguali di talco, e di biossido di manganese, in polveri impalpabili. Le particelle bianche di talco escono dal soffietto elettrizzate negativamente, mentre le particelle nere del biossido assumono carica positiva. Con questo miscuglio si ottengono ombre con gradazioni simili a quelle che mostra la copia positiva allorchè si procede col metodo fotografico. Ed in- vero, mentre la polvere nera che si accumula nelle ombre intense non si distingue sull’ebanite, la polvere bianca si addensa nelle parti che ricevet- tero colla massima intensità le radiazioni, e forma uno strato di densità via via minori in quelle regioni nelle quali le radiazioni giunsero con inten- sità di più in più piccola. Benchè i luoghi ove la polvere bianca è in maggior quantità non assumano che una tinta color cenere, le ombre sono così nere, che fra questi due estremi può stare tutta una ricca gamma di tinte in- termedie. Naturalmente se, come oggetto proiettante l’ombra, si prende una mano, si distinguono nell'ombra elettrica i contorni delle ossa. Appendice — (aggiunta corregendo le bozze il 4 marzo 1896). — Dò qui, per prendere data, una breve notizia di esperienze eseguite sulla dispersione elettrica provocata dai raggi Ròntgen su conduttori circondati da aria rarefatta. Partendo dalla pressione ordinaria, che poi grado a grado si diminuisce, sì osserva dapprima un leggiero aumento della dispersione elettrica sino ad un massimo, dopo di che torna a diminuire. La fase di diminuzione, che co- - mincia quando la pressione è ridotta a qualche millimetro, è la più impor- tante, giacchè essa è assai rapida. Infatti, quando la pressione è ridotta a qualche centesimo di millimetro, la dispersione elettrica è quasi annullata. Ciò indicherebbe la necessità della presenza delle molecole gassose in numero sufficiente, per effettuare il trasporto dell’ elettricità dalla superficie del con- duttore che riceve le radiazioni. Anche il potenziale positivo finale, al quale è portato un conduttore esposto alle radiazioni di Réntgen, varia colla pressione del gas che lo circonda. Ho constatato infatti che esso cresce moltissimo al diminuire della pressione, risultato identico a quello che ottenni altra volta coll’ impiego dei raggi ultravioletti. Tutto ciò sarà esposto in altra Nota, nella quale renderò conto anche dell’ influenza che sulla dispersione elettrica, prodotta dai raggi di Ròntgen, ha la natura del gas ambiente. Fisica. — Sulle direzioni d'estinzione, relative alle onde elet- triche, nei cristalli di gesso. Nota del Corrispondente AuGusTo RIGHI. In una Nota presentata a questa Accademia il 17 novembre 1895, ho fatto vedere come in una lastra di gesso colle sue faccie parallele alla sfaldatura — 153 — principale, posta fra l’oscillatore ed il risonatore incrociati, le due direzioni di estinzione (e cioè quelle direzioni che sono parallele l'una al risonatore e l’altra all’oscillatore, allorchè, girata opportunamente la lastra nel proprio piano, l’azione sul risonatore è nulla come in assenza della lastra) sono pressa poco luna parallela e l’altra perpendicolare alla direzione della sfal- datura secondaria non fibrosa (!). Di più ho formulato l'ipotesi che soltanto con onde infinitamente lunghe, il parallelismo fra una delle direzioni d'estin- zione e la direzione della sfaldatura non fibrosa sarebbe rigoroso, per cui questa nuova relazione geometrica fra il comportamento delle onde nel gesso e la sua forma cristallina, che a giudizio di alcuni cristallografi avrebbe una certa importanza, costituirebbe forse una legge limite. Mi ha sembrato interessante il misurare colla maggior possibile preci- sione gli angoli che fa la sfaldatura non fibrosa colle due direzioni d'estin- zione, onde vedere se e quanto questi due angoli differiscano de 0° e 90°. Ho proceduto nel modo seguente: Da una lastra di gesso grossa circa 3,5 c. ho tagliato un disco di 11,5 c. di diametro, ed ho segnato sulle sue due faccie con una punta finissima il diametro parallelo alla sfaldatura non fibrosa. Per fissare questa direzione ho profittato della sfaldatura fibrosa, pro- vocata sollevando in porzione del disco un sottile strato di gesso, giacchè questa sfaldatura riesce netta e rettilinea, mentre l’altra assume spesso forme curve, ed ho tracciato sul gesso, oltre alla direzione della sfaldatura fibrosa, una retta ad essa perpendicolare. Su queste due rette ortogonali ho misurato, aiutandomi con una lente, due cateti, calcolati in modo che l’ipo- tenusa, che ne congiungeva le estremità, facesse colla sfaldatura fibrosa un angolo (circa 67°) eguale a quello noto che fanno fra loro le due sfalda- (1) Nella citata Nota rilevai come il prof. Garbasso, che per primo scoprì la doppia rifrazione delle onde elettriche nel gesso, fosse giunto ad un' risultato diverso, e cioè che le linee d’estinzione per le onde elettriche facevano angoli eguali a 45° con quelle rela- tive alle onde luminose, il che porta ad una differenza di circa 6° rispetto ai risultati più esatti che riferirò più oltre. Per spiegare quella notevole differenza, cercai di attri- buirla ad una causa di errore che poteva essere sfuggita al Garbasso senza sua colpa, e che a me non era passata inosservata, perchè l’avevo studiata in precedenza. Alludo qui ai fenomeni prodotti dai dielettrici di forma allungata, che descriverò in una prossima pubblicazione. Ad onta di ciò, il prof. Garbasso, in una recente Nota insiste nel combattere alcune mie asserzioni. Non entrerò in una polemica la quale, cessando di essere pu- ramente obbiettiva, offrirebbe poco interesse ai lettori, e non avrebbe in queste pagine il posto conveniente, tanto più che sento di non avere nulla a mutare a quanto esposi nella mia Nota citata. E neppure mi fermerò a dimostrare come fosse ragionevole il prevedere, come mi accadde di fare, la non coincidenza fra le linee d’estinzione relative alla luce e quelle relative alle onde elettriche, ragionevolezza che mi sembra evidente, e che tale è stata riconosciuta da quelli che hanno fatto delle recensioni dal mio lavoro, x mentre è messa in dubbio dal mio egregio contradditore. — 154 — ture. Questa ipotenusa ha segnato così la direzione della sfaldatura non fibrosa. L'operazione, eseguita con la massima attenzione sulle due faccie della lastra, ha dato due direzioni che sono riescite perfettamente parallele, giacchè l'una si può far coincidere coll'altra, osservando la lastra per trasparenza. Il disco di gesso è stato allora fissato concentricamente ad un anello, del diametro esterno di 43 c. e colla periferia divisa in gradi, mobile in- torno al proprio centro in una finestra circolare di diametro un po' maggiore praticata in un diaframma verticale collocato fra l’oscillatore ed il risona- tore. Si può così misurare con precisione (i decimi di grado si valutano ad occhio) la rotazione data al gesso, il quale è messo in modo che la dire- zione tracciata sulle sue faccie, che segna la direzione della sfaldatura non fibrosa, coincida col diametro 0°-180°. Siccome l'indice, fisso sul diaframma, col quale si leggono i gradi sul- l'anello mobile, è collocato in corrispondenza al punto più basso di esso, così quando sulla graduazione si legge 0° oppure 180°, la sfaldatura non fibrosa è sensibilmente verticale. Contro il gesso ho collocato una grande lastra di rame con un foro circolare del diametro di 8 c., cioè alquanto minore del diametro del gesso. Prima che il gesso fosse messo al suo posto si era dato all’oscillatore (*) una tal posizione che il suo asse, e cioè la retta passante pei centri delle quattro sfere metalliche, fosse sensibilmente verticale; poi si era disposto il risonatore in modo da essere esattamente perpendicolare all'asse dell’oscil- latore (?). Girando il gesso nel proprio piano, ho determinato le due orientazioni (fra loro ortogonali) che deve avere, affinchè l’azione sul risonatore rimanga nulla, ed ho trovato che in una di quelle due orientazioni la direzione trac- ciata sul gesso riesce quasi verticale. Anzi ho letto sulla graduazione (media di quattro misure) 19,6% Questo valore può non essere quello cercato, in quanto che nulla assi- (1) Per la descrizione dei miei apparecchi vedi Mem. della R. Acc. di Bologna, serie Va, t. IV, pag. 487 (1894). (*) Se tutte le scintille che rapidamente si succedono nell’oscillatore generassero onde di eguale intensità, per determinare la direzione del risonatore perpendicolare e quella dell’oscillatore, basterebbe prendere la media fra le due direzioni, poste l'una da una parte e l’altra dalla parte opposta rispetto alla direzione cercata, per le quali spari- scono le scintille nel risonatore. Ma così non è, giacchè mano a mano che il risonatore si avvicina ad essere perpendicolare all’oscillatore, le scintille, che in esso si osservano, divengono grado a grado più rare e più deboli, ciò che produce incertezza nella determi- nazione. Ma trovai modo di superare questa difficoltà, ed ecco come. Si sposta il risonatore di piccoli intervalli per volta, per esempio di un mezzo grado, finchè si giunga al punto che nessuna scintilla si presenti in esso, anche aspet- tandola per circa un minuto primo, e perciò è comodo contare le battute d’un orologio — 155 — cura che il diametro dell'anello, passante per lo zero della graduazione, sia esattamente parallelo all’ asse dell’ oscillatore. Perciò ho dovuto procedere alla seguente determinazione. Levato il gesso, l'ho sostituito con un risonatore, collocato in modo da essere esattamente sul diametro 0°-180° dell’anello graduato, ed ho de- terminato l'orientazione che esso deve avere onde sia nulla l’azione che sul medesimo esercita l’oscillatore. Questa orientazione sarebbe stata corrispondente alla lettura di 90° o di 270°, se la condizione menzionata circa la posizione relativa dell'anello graduato e dell’oscillatore fosse stata verificata. Ho tro- vato invece (come media di quattro misure) una differenza di 0°,3, di senso tale da ridurre l'angolo fra una delle direzioni d'estinzione e la direzione della sfaldatura non fibrosa, a 19,3. Questo angolo è di segno tale che la detta direzione di estinzione fa colla sfaldatura fibrosa un angolo di 67° -— 19,3 = 650,7. Ammesso, come risulta dalla media fra le determinazioni di vari fisici, che una delle direzioni d'estinzione per la luce (e precisamente la bisettrice dell'angolo acuto degli assi ottici) faccia un angolo di 38° colla perpendi- colare alla sfaldatura non fibrosa, risulta che le direzioni d'estinzione per le onde: elettriche fanno con quelle relative alle onde luminose (di media rifrangibilità) angoli di 39°,3 di 50°7. Concludendo, la direzione della sfaldatura non fibrosa non coincide esat- tamente con una delle direzioni d'estinzione per le onde elettriche, ma fa con essa un angolo di circa un grado. Sarebbe interessante, ma difficile, stante la poca probabilità di trovare grandi cristalli di gesso, ripetere le misure con onde più lunghe di quelle da me adoperate (10,6 c.), onde vedere se una delle direzioni d'estinzione si accosti anche più alla direzione della sfaldatura non fibrosa. Con onde più brevi (2,6 c.) di quelle adoperate prima, non ho ottenuto risultati che diano affidamento di sufficiente esattezza. a pendolo che sia a poca distanza. Letta la posizione che occupa allora il risonatore, si ripete una simile determinazione collocando il risonatore dalla parte opposta rispetto alla direzione cercata, e si prende la media delle due letture. Si vengono così a fissare le due orientazioni, per le quali cessano di prodursi scintille nel risonatore in corrispondenza alle più intense delle onde generate dalle successive scintille dell’oscillatore. Coll’attesa di circa un minuto prima di constatare l'assenza delle scintille, la precisione delle determi nazioni è sufficiente, giacchè ripetendo le misure, raramente si trovano differenze che su- perino un mezzo grado. In modo simile si procede allorchè, come è detto più oltre, il risonatore resta fisso, ed invece si muove il gesso onde determinare la direzione delle sue linee d’estinzione. Così pure ho l’uso di procedere in ogni altra determinazione, per esempio in quelle delle lunghezze d'onda, e degli indici di rifrazione, col metodo di Boltzmann. È preferibile far uso di un risonatore già a lungo adoperato, poichè la sensibilità di uno nuovo, scema troppo rapidamente in sul principio. — 156 — Fisica. — Alcune esperienze coi tubi di Hittorf e coi raggi di Rontgen. Nota del Corrispondente A. RòrTI. Mi permetta l'Accademia d’ indicarle alcune fra le molte esperienze che ho fatto in questo mese, sebbene siano ancora imperfette ed impari al lavoro che m'hanno costato, e sebbene io possa essere stato prevenuto da altri, che probabilmente avranno raccolto frutti migliori de’ miei. 1. Ombre e penombre. Ròntgen dice che i raggi X partono dal posto ove la parete del tubo è colpita dai raggi catodici, e soggiunge che se i raggi interni sono deviati da una calamita, i raggi X partono da un altro posto, cioè di bel nuovo dalle estremità dei raggi catodici. Tutti gli altri osservatori confermano questa circostanza; alcuni suppongono anzi che la causa dei raggi di Réntgen sia la fluorescenza destata nel vetro dai raggi catodici, altri ammettono che tale fluorescenza sia una condizione necessaria per la loro emissione, altri pochi sono più riservati, e fra questi ultimi sono io che inclino a ritenere la fluorescenza un fenomeno puramente concomitante. Ma prima di affrontare questa questione ho voluto, per mia soddisfa- zione, cercare di stabilir bene il luogo geometrico d'onde emanano i raggi di Rontgen ed il modo dell'emanazione. I raggi X partono dalla parete del tubo; ma partono da ciascun punto di essa come prolungamenti dei raggi catodici interni, oppure li emette la parete in direzione normale, o in tutte le direzioni? Viene subito in mente di osservare le ombre portate e le penombre: ed infatti, limitando il fascio impressionante con opportuni schermi metallici opportunamente forati, mi sono persuaso che le penombre vi sono sempre, anche se i raggi catodici partono da un punto, per poco che il corpo opaco si trovi discosto dalla lastra. A primo aspetto si penserebbe di aver davanti un fenomeno di diffrazione, perchè si osservano quasi sempre nelle penombre delle alternative di maggiore e minore intensità; ma bisogna andar guardinghi sapendo che i raggi catodici interni si riflettono sul metallo e sul vetro. La cosa si complica ed è giustificato il dubbio per l’ ignoranza in cui siamo relativamente alla possibile lunghezza d'onda, poichè i contorni sareb- bero sfumati anche per grandi frequenze se la velocità di propagazione fosse grandissima. Ad ogni modo ho tentato di ridurre ad un punto il luogo di emanazione dei raggi X, prendendo per catode uno specchio sferico col centro di curvatura sulla parete d'un palloncino di vetro (!). (1) Grandi difficoltà ho dovuto sormontare per costruire qui dei tubi vuoti, ma dopo in- numerevoli insuccessi, il sig. Adolfo Calamandrei, conservatore del Museo degli strumenti antichi, comincia con rara perseveranza ad uscire dal noviziato e riesce a soffiare qualche tubo che regge, e che è abbastanza regolare. È doveroso che gliene esprima la mia rico- noscenza. oi — Il palloncino è rappresentato ad un terzo del vero dalla fig. 1, il suo spec- chio concavo d'alluminio ha 40 mm. di raggio di curvatura, l’anode filiforme si trova nella tubulatura laterale. Dopo averlo vuotato il più che mi fosse pos- sibile, esso presentava una splendida fluo- rescenza; ma la presentava su tutta quanta la superficie, e direi quasi più intensa nella tubulatura contenente l’anode. Ho notato però che, tenendo l’anode in co- municazione col condotto del gas illu- minante, la fluorescenza sì raccoglieva sopra una callotta opposta al catode, pronta a risplendere per tutto se alitavo contro il palloncino. Immergendo poi il fondo del palloncino nell'acqua depositata sopra una sottilissima lamina di mica, la fluorescenza scompariva quasi interamente. In queste condizioni ho potuto ottenere delle impressioni ben delineate, finchè gli oggetti erano vicini alla lastra fotografica; ma sfumate quando n’ erano discosti. Per esempio, una rete metallica a maglie di 1 mm., incliata a 45° sulla lastra e sull'asse dello specchio, ha dato l'ombra ben distinta solamente nei punti vicini; ma ad 1 cm. circa dalla lastra non si distinguevano già più le maglie: e la lastra era a 14 cm. dal fondo del palloncino. Le sfumature provengono forse dalla circostanza che i raggi non partono dal solo punto del palloncino ov è il centro di curvatura dello specchio ca- todico? oppure dalla periodicità dell’azione, non abbastanza regolare per dare le frangie di diffrazione, ma sufficientemente lunga nello spazio per tur- bare la nettezza dei contorni? Una lampadina elettrica col bulbo spulito, delle dimensioni del pallon- cino, posta alla stessa distanza, mi ha dato le ombre presso a poco sfumate come quelle fissate sulla lastra suddetta. E quantunque le condizioni non fossero identiche, perchè la lampadina splendeva tutto intorno, mentre il pal- loncino era debolmente fluorescente solo nelle immediate vicinanze del centro dello specchio, pure mi pare che anche nel caso dei raggi di Réontgen le sfumature sieno da attribuirsi alla diffusione della parete di vetro, la quale per emanarli non abbisogni di essere fluorescente ('!). In conferma di ciò posso citare le ombre a contorni ben definiti che ho ottenuto anche da distanze Te de ('/s del vero) (*) A titolo di curiosità presento la positiva di un'impressione di noci, nocciuole, mandorle, castagne nel loro guscio, ottenuta con questo palloncino mentre non era quasi niente luminoso. Delle foglie di oleandro e di leccio hanno lasciato sulla negativa qualche lieve traccia delle loro nervature: ed è certo che si potranno ottenere belle fotografie dello scheletro delle foglie, variando opportunamente la durata della posa. XENDICONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 21 — 158 — ragguardevoli, quando limitava il fascio impressionante con uno schermo avente una piccola apertura. Ma di ciò dirò più oltre. 2. Contegno d’un tubo durante la sua vuotatura. Tl tubo che chiamo 77 (fig. 2 ad un sesto del vero) è cilindrico, lungo 150 mm. e del diametro di 40 mm., ha uno specchio sferico di 4 em. di raggio di curvatura, ed il centro di curvatura si trova nel centro d'un anello di filo d'alluminio, che serve da anode. Dallo specchio al fondo del tubo (che è una callotta sferica) corrono 122 mm. Ho adoperato questo tubo tenendolo sempre attac- cato ad un'ottima tromba di Geissler, così da farne va- riare la rarefazione a piacere. E per seguirne le varie fasi di luminosità, l’ ho inserito in serie con uno spin- terometro a palline sul secondario di un grande roc- chetto di Ruhmkorff eccitato in modo da dare, con un interruttore rapido di Deprez, delle scintille di 6 cm. fra Fia. 2 punte nell'aria. L'inserzione dello spinterometro è ne- Gis fciavero) cessaria se nei primi stadî si vuole eliminare la lumi- nosità prodotta dalle correnti di chiusura che, per la persistenza delle ima- gini sulla retina, si sovrapporrebbe alla luminosità destata dalle correnti di apertura. Lo specchio era il catode per quest'ultime correnti, e 1’ anode era l'anello comunicante collo spinterometro. Trascuriamo gli stadî preliminari nei quali si manifestava ancora la lu- minosità positiva, e fermiamoci al primo stadio della sola luminosità nega- tiva nella quale sì sogliono distinguere tre strati: il primo più prossimo al catode, è di color camoscio; il secondo è denominato spazio oscuro, ma ve- ramente, come ha rilevato il Goldstein, è di color celeste; il terzo strato, più splendente in sulle prime, è di vario colore a seconda delle circostanze, violaceo nell'aria rarefatta, bianchiccio per lo più quando è stata estratta tutta l’aria ed il tubo è invaso dagli aeriformi già assorbiti dagli elettrodi e dal vetro (!). (1) Questa luminosità bianchiccia è difficilissima da eliminare, specialmente se il tubo è stato a lungo in comunicazione coll’atmosfera. Avevo qui da parecchi anni un tubo fornitomi aperto dal Miiller di Bonn e non mai vuotato. Ora, dopo un’ ostinata azione della tromba a mercurio facendolo senza posa attraversare dalla scarica elettrica, sono riuscito a fargli assumere una bella fluorescenza verde e ad ottenerne una buona prova fotografica : ma poi la luminosità bianchiccia è ricomparsa e con essa il tubo ha perduto la sua effi- cacia. E ciò s'è ripetuto per ben tre volte che l’ho vuotato. Il criterio che mi serve a riconoscere se un tubo si guasta, perchè vi si apre qualche angustissimo meato, o perchè vi si espandono degli aeriformi prima condensati all’ interno, è il colore della luminosità: violaceo o rossiccio nel primo caso, biancastro nel secondo. Buone precauzioni, perchè un tubo duri, sono di arroventarlo in tutte le sue parti mentre — 159 — In questo primo stadio il secondo strato forma il doppio cono azzurro- gnolo col vertice nel centro di curvatura dello specchio, attraversa la lumi- nosità bianchiccia e dove incontra il vetro vi suscita la fluorescenza, molto più viva al fondo del tubo, che si arroventa a tal punto da apparire rosso per un momento quando si sospendono le scariche. Aumentando la rarefazione, il terzo strato si estende, impallidisce ed alla fine si dilegua. Qui diremo che comincia un secordo stadio nel quale si possono condurre al contatto le palline dello spinterometro senza che l’ anode diventi luminoso. Il vertice del doppio cono celeste non è più al centro di curvatura, ma più lontano dal catode, ed il color camoscio del primo strato si è prolungato. La fluorescenza diventa più intensa lungo la parete risalendo dal fondo, ed il fondo va abbassandosi di temperatura, così che si può toc- carlo senza scottarsi. Colla scomparsa della luce biancastra, cioè al principio del secondo stadio, comincia a diventare ben visibile il fondo del criptoscopio spalmato di pla- tino-cianuro di bario: e quindi si può dire che di qui cominci il buono dell’azione di Réntgen (1). Spingendo ancora più oltre la rarefazione, il doppio cono si assottiglia sempre più, impallidisce anch'esso, diventa invisibile, e da ultimo scomparisce pure l’aureola color camoscio ond' era soffusa finora la concavità del catode. In questo zerzo stadio lo splendore della parete laterale e quello nel cripto- scopio sono al loro massimo: il fondo del tubo è appena tepido e meno lucente, anzi ha l'apparenza di essere come imbrattato da un fluido color caffè, che va risalendo alla guisa che risale l'alcool versato in fondo ad una coppa bagnata d’acqua. Da questo terzo stadio, che ritengo il più efficace, insistendo ancora colla tromba, il passaggio della elettricità si fa più difficile, avviene come per sussulti, in corrispondenza ai quali qualche scintilla lambisce la parete esterna del tubo senza che si stacchi dagli elettrodi, ed i reofori esterni al tubo mandano degli sprazzi di luce violacea. Ma prima di ciò la fluorescenza si si soffia e di applicarlo senza indugio alla tromba, od almeno di serbarlo chiuso ermeti- camente. Durante l’azione della tromba conviene farvi passare continuamente delle sca- riche alternate e più forti e più frequenti di quelle che vi si manderanno poi, dopo il distacco dalla tromba. Citerò anche il caso di una tromba di Bessel-Hagen che ho lasciata inoperosa per al- cuni anni e comunicante coll’ atmosfera perchè non v'era il mercurio. Con essa, sebbene a tenuta perfetta, non mi è ancora riuscito di eliminare interamente la luminosità bian- chiccia del terzo strato catodico: e la tengo in azione da una settimana circa! (') Aggiunta nel correggere le bozze (5 marzo). — Ho ottenuto una fotografia anche da un tubo che si trovava nel primo stadio, ed era tutto invaso dalla luminosità bian- castra; ma ciò a condizione che scoccassero nell’aria delle scintille di 4 cm. davanti al- l’anode. Sopprimendo queste scintille, la fotografia mancava, malgrado una lunga posa. — 160 — indebolisce sulle pareti taterali per ridursi alla callotta terminale ; ed il campo del criptoscopio va facendosi più debole. Anche altri due tubi furono da me seguiti in tutte queste fasi di lu- minosità. 3. Ombre direttamente ingrandite. Ho disposto il tubo orizzontal- mente; ho collocato a 5 mm. dal suo fondo la fenditura del banco di diffra- zione dandole la larghezza di 1 mm., ho collocato a 48 mm. dalla fenditura un reticolo formato di fili di rame paralleli ad essa e così sottili che ne erano compresi 25 in 20 mm. Dietro al reticolo ed a distanze diverse ponevo la lastrina fotografica involtata in più doppi di carta nera. Nel prendere questa fotografia ho avuto cura di mantenere la rarefazione nel terzo stadio, cioè al punto che non si vedesse più l’ aureola color camoscio e che tutta la parete avesse un’ intensa fluorescenza: e per ciò dovetti ricor- rere spesso alla tromba, giacchè il semplice fatto delle scariche prolungate, muta le condizioni interne dell’aeriforme. In queste condizioni e coll’ inter- ruttore rapido ho ottenuto, fra le altre, le due fotografie p e 9 che presento, e coll interruttore lento a mercurio la 7. Per la p la distanza fra reticolo e lastra era di 13 mm., per la g era di 96 mm. e per la 7 di 120 mm. Siamo ancora lontani dalla m7croscop?a dell’ invisibile; ma ad ogni modo abbiamo ottenuto un ingrandimento da 2 a 7 con contorni abbastanza definiti. 4. La fluorescenza pare non sia condizione necessaria all' emanazione dei raggi di Rontgen. Mi pare poter conchiudere da quanto precede che le onde, se onde ci sono, dei raggi di Ròntgen debbano essere corte; e ritengo . di aver provato che la sfumatura delle ombre, anche nel caso del palloncino / sia da ascriversi alla grande estensione della superfice di emissione, sebbene la parte fluorescente fosse piccolissima. (Quest'altra esperienza mi pare che dimostri come Le: TAI DIARR _ raggi di Réntgen possano avere origine anche senza qu N fluorescenza. [ Nel tubo 7 dianzi descritto, era racchiuso un di- 00) AL I schetto di mica che, nella posizione orizzontale adope- rata dianzi, non intercettava i raggi catodici. Quando invece il tubo era verticale ed il disco appoggiava sul fondo come nella fig. 2 o sull’anello come nella fig. 3, le scariche arroventavano la mica intorno al suo centro fino al rosso cigliegia, e la fluorescenza verde non sì de- stava al di là. Mi fu impossibile in queste condizioni passare dal secondo al terzo stadio, mi fu impossibile a cioè di fare scomparire il doppio cono, del resto molto (15 del vero) assottigliato. Nella posizione della fig. 2, avevo posto a 3 mm. dal fondo del tubo un diaframma di zinco 77 con un foro di 18 mm. di 2bes » — 161 — diametro e sotto, alla distanza di 22 mm., una rete metallica che ne oc- cupava circa la metà, ed era appoggiata direttamente sulla carta nera in- volgente a più doppi la lastrina fotografica ZZ. La positiva « è tratta dall’ im- pressione ottenuta a questo modo. Nella posizione della fig. 3 il tubo era capovolto, avendolo fatto girare intorno al cannello che lo congiungeva colla tromba, ed il disco di mica copriva tutto l'anello che faceva da anode. Disposte così le cose, la plaga rovente era più estesa, sebbene ora la mica si trovasse nel centro di curva- tura dello specchio che fa da catode. Al di sopra, ed a 3 mm. dal fondo, sì trovava lo schermo di zinco ZZ col foro di 18 mm., ed a 22 mm. da esso la rete / ad immediato contatto coll’ involucro della lastrina fotografica ZL. La positiva è mostra l'impressione così ottenuta. E, confrontandola con la positiva 4, si vede tosto che i raggi impressionanti emanavano dalla mica rovente. Si ha una conferma di ciò nella positiva e proveniente dalla disposizione della fig. 4, nella quale il tubo era raddrizzato, la mica era sul fondo come nella fig. 2; ma le distanze fra la mica e lo schermo e la lastrina erano quelle stesse della fig. 3. Essendo uguali queste distanze, l'impressione è la medesima, tanto se la mica si trova sull’anello, quanto se si trova sul fondo (1). 5. Complicazione del fenomeno, e convenienza di descrivere minutamente tutte le circostanze nelle quali si fanno le osservazioni. Non bisogna badare nelle prove fotografiche precedenti alla intensità relativa delle impressioni, perchè sono troppe le circostanze che pos- sono farla variare, e non tutte governabili. Prescindendo dalla durata dell’azione, dalla sensibilità della lastra, Z:____________z dal modo di svilupparla, dalla intensità e dalla frequenza L__—‘— e dalgenere delle scariche, si pensi alla variabilità della Fra. 4 parete di vetro (o piuttosto nel caso nostro della mica (je delIvero) che andava disaggregandosi) col prolungarsi dell’azione, alle condizioni sempre mutabili dell’ aeriforme interno, perchè può svolgersi od anche essere assorbito, alle condizioni d’ isolamento del tubo nei varî punti, e però alla varia distribuzione delle cariche ed alle conseguenti scariche sal- tuarie che spesso si osservano anche lungo la parete esterna dei tubi ecc.; (1) Quantunque lo stimassi superfluo, pure, per uno scrupolo, ho voluto sottoporre lastrina, rete e diaframma, nelle loro posizioni relative della fig. 2, all’azione di una lamina di mica arroventata col dardo della fiamma, in maniera che presentasse il medesimo aspetto che presentava quand’era rovente per effetto della scarica nell’interno del tubo. Non ottenni, come prevedeva, nessuna impressione, sebbene avessi prolungato la posa per un tempo molto maggiore. — 162 — e si troverà giustificata la diffidenza con la quale io accolgo, oggi come oggi, le determinazioni quantitative nelle esperienze di questo genere. Sarebbe desiderabile che gli osservatori indicassero almeno la forma e le dimensioni dei tubi e degli elettrodi, lo stadio nel quale si trova la lu- minosità all'atto dell’ osservazione ed il modo di eccitazione. Così riceverebbero probabilmente la loro giustificazione alcuni risultati contradditorî, come per esempio quello del prof. Righi il quale trova che sotto l’azione del Rontgen un metallo isolato tende a conservare o ad acquistare una carica positiva, e quello di Borgman e Gerchun che trovano negativa la carica residua. In alcuni casi credo che si possano osservare effetti opposti anche con un medesimo tubo eccitato nel medesimo modo, a seconda del punto esplorato nel campo esterno. Citerò un esempio. Un tubo / (del diametro esterno di 25 mm., della lunghezza di 142 mm., avente in cima per catode una cal- lotta di 10 mm. di raggio di curvatura ed 8 mm. d'altezza ed avente verso la metà per anode un anello coassiale con la callotta) era eccitato con un interruttore rapido e col grande rocchetto che dava 6 cm. di scintilla nel- l’aria; si trovava nel secondo stadio di luminosità, quando cioè è scomparso tutto il terzo strato, non si manifestava più sull’anode alcuna traccia di lu- minosità catodica, e mostrava ancora debolmente la luminosità del secondo strato formante il doppio cono col vertice molto più lontano del centro della callotta. Esplorato il campo col criptoscopio, questo presentava il proprio dia- framma più luminoso nel mezzo che alla periferia fin che si trovava vicino al tubo; ma quando n'era discosto, appariva più scuro nel mezzo: e ciò qualunque fosse la sua orientazione rispetto all’ asse del tubo. Con questo fatto se ne collega forse un altro, che mi pare molto strano e che indicherò con tutte le riserve, perchè finora non l'ho potuto studiare abbastanza. Da alcune osservazioni fatte colla fotografia, mi è parso di rile- vare che il grado di trasparenza di certe lamine variasse al variare della loro distanza dalla superfice d'emissione dei raggi X. Ma ripeto che di questo fatto non ho ancora prove sufficienti per escludere che non si sia insinuata nell’osservazione qualche circostanza perturbatrice. 6. Applicazioni alla petrografia. In fine dirò che fra le varie fette di roccie favoritemi del R. Opificio delle Pietre Dure, ho riscontrato alcune singolarità nei diaspri: ed ho pregato il prof. Grattarola di studiare la que- stione sotto l'aspetto mineralogico. Le altre roccie non erano in fette abba- stanza sottili da dare delle differenze notevoli. Le gemme orientali che ho provate in confronto di quelle occidentali d'ugual nome, non offrono differenze di opacità tali da farle riconoscere, come si riconoscono con sicurezza i diamanti veri fra i falsi. 7. Aggiunta il 5 marzo nel rivedere le prove di stampa. — In questi giorni il sig. Calamandrei mi ha preparato due tubi simili a quello della fio. 2, ma contenenti l'uno un disco di platino di ‘/100 di mm., l’altro un — 163 — disco di porcellana che ho ricavato da un piattino del Ginori ed assotti- gliato collo smeriglio fino a !/, mm. Entrambi i dischi erano relativamente più grandi di quello di mica segnato nella fig. 2, perchè occupavano quasi per intero la sezione dei tubi. Amendue i tubi erano eccitati coll’interrut- ruttore rapido e col grande rocchetto che dava scintille di 15 cm. nell'aria. Furono mantenuti entrambi fra la fine del secondo ed il principio del terzo stadio di rarefazione: e colla disposizione della fig. 2 mi hanno dato la fo- tografia d'una rete metallica. Il platino era rovente nel mezzo, e subliman- dosi ha annerito la parete laterale fino all'altezza dell'anello che faceva da anode, mentre ha lasciato trasparente l'emisfero sottostante. Al vetro ed all’alluminio sono dunque da aggiungere la mica, il pla- tino e la porcellana, che emettono raggi di Réontgen quando sono colpiti dai raggi catodici. Fisica terrestre. — Dei terremoti di Spoleto nell’anno 1895; con Catalogo dei terremoti storici della valle Umbra. Memoria del Socio T. TARAMELLI e del prof. P. I. CORRADI. Questo lavoro sarà pubblicato nei volumi delle Memorie. Matematica. — Su di un teorema del sig. Netto relativo ai determinanti, e su di un altro teorema ad esso affine. Nota di ERNESTO PAscaL, presentata dal Socio CREMONA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Meccanica. — Sw moto del polo terrestre. Nota di G. PrANO, presentata dal Socio BRIOSCHI. Nella mia Nota, pubblicata negli Atti della R. Accademia di Torino, 5 maggio 1895, ed avente questo stesso titolo, dopo aver applicato l’Ausdeh- nungslehre di H. Grassmann ai principî della meccanica, come esercizio nu- merico dell’ultima proposizione, mi proposi di stimare la velocità con cui si spostano le terre polari in virtù dei moti della parte fluida del nostro globo. Ma l'aver fatto uso di questo nuovo metodo, e l'avere in una Nota: Sul moto d'un sistema nel quale sussistono moti interni variabili (Rendiconti della R. Acc. dei Lincei, 1 dicembre 1895) esposti i risultati sopprimendone la dimostrazione, può lasciare oscurità in qualche lettore. Quindi non sarà del tutto inopportuno il tradurre alcune di quelle formule in coordinate car- — 164 — tesiane. Le formule diventano più lunghe: ma il ragionamento non perde punto della sua semplicità. Abbiasi un sistema composto d’una parte rigida, e d'una mobile qua- lunque. Per brevità di linguaggio, diremo terr il sistema, continente e mare le sue due parti. Supponiamo che sul sistema non agiscano forze esterne. Al- lora il principio di meccanica: la somma dei momenti delle quantità di moto del sistema intorno ad ogni asse è costante equivale alle sei equazioni (Vola di de; 08) CO di \Dn(y 3, 2 a, Dmifae di = b, Vac prada la da; dz; VE riali Im lie, d mi ‘gpiolie ove 4, bd, ...f sono sei costanti, che qui dirò costanti iniziali. Questi sei nu- meri sono le coordinate, o caratteristiche, di quella forma geometrica, che proposi di chiamare quantità di moto del sistema; e queste equazioni equi- valgono alla (3) della mia Nota. L'ipotesi che il continente sia rigido, si traduce in quella che le coordi- nate, o componenti della velocità d'ogni suo punto («;, yi, <;) siano espresse da : n dyi dz; (2) =l+q—- TY, mtra pi, di TIVI; ovel/,m,#,P,q,7 sono sei costanti invariabili con (x; , yi, <;). Vedasi ad es. il pregevole Corso di meccanica razionale che ha or ora pubblicato il pro- fessor Maggi, S 303. I sei numeri /, 1, ...7 sono le coordinate della forma geometrica che chiamai velocità del corpo rigido, e queste equazioni equi- valgono alla (4) della mia Nota. Siano wi, v;, wi le componenti della velocità relativa del punto (x;, %i , 4) del mare, rispetto al continente; sicchè la velocità assoluta di questo punto abbia per coordinate: i CIO Pe i dyi dei _ eri n i ie Sostituisco nelle (1) alle da i valori dati dalle (2) pei punti del ErIUDE continente, e dalle (3) pei punti del mare. Pongasi = d) mi (giu an), det Mir, Ui 3 Ci i in ove il DI si estende ai punti del mare. Queste sei quantità, analoghe alle (1), ove invece di velocità assolute si considerino le relative, dipendono dalle sole velocità relative degli elementi del mare, che suppongo note. Le (1) divengono: — 165 — n) mi Yi oo (8 Wi vr) maz=a—d RAZR IEEE ARE E SISRe =bT—- 0 , 2 Mii da ; Sn ati hai = a —_ d . =e—_ e =/-l equivalenti alla (11) della mia Nota. Il > si intende quì esteso a tutti i punti della terra. Se ora supponiamo noti i dieci coefficienti: dm, massa della terra, ) mi xi; ... coordinate del baricentro terrestre, moltiplicate per la massa, dmi (0a ES x mi Vi Zi, ... momenti d'inerzia della terra, da queste equazioni possiamo ricavare /, 22, ... 7 in funzione dia—a' ... ft nie e sostituendo questi valori nelle (2), si hanno le componenti della velocità d'un punto qualunque del continente (x;,7;,%;); e sia ai d8; i glad, N) Le y(ad, [E Nada) Ora, senza eseguire i calcoli indicati, si osservi che le (4) dànno le sei quantità a — a', ...f— f' quali funzioni lineari omogenee delle sei /, 72,...7 risoltele, avremo queste quali funzioni lineari omogenee di quelle; e sosti- tuendo nelle (2), pure lineari omogenee in /,w,..., avremo infine che le tre funzioni p,w,y ora considerate sono lineari ed omogenee; quindi si avrà: (6) Di — g(a,b,...f)—g(a' ,0',...f), e analoghe e si conchiude la proposizione di cui feci uso nell'esempio numerico: « La velocità d'un punto qualunque del continente è la risultante di due. « L'una, di coordinate d(@ 00) VCI ASSI che dipende dalle sole costanti iniziali; essa è la velocità che avrebbe il « punto se si suppone a = =.-=/"=0, cioè se si suppone la terra irrigidita. L'altra, di coordinate en g(a' ’ d' (000 0) O Y(...) sgra=— Mc) R CS che dipende dalle sole velocità relative dei punti del mare; questa è la ve- locità che avrebbe il punto supponendo a=0=-.=/f=0, cioè nulle le costanti iniziali; vale a dire la velocità che avrebbe il punto supponendo LS CS ES RenDICONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 22 — 166 — « d'aver arrestata la terra nella posizione considerata, ed in seguito si met- « tano in moto i mari ». L'indipendenza delle due velocità è conseguenza della sola forma lineare delle equazioni considerate. Ad esempio, la velocità d'un punto della terra, ove su essa si spari un cannone, è la risultante di due; l'una è la velocità che avrebbe il punto se il cannone non fosse sparato; e l'altra è la velocità che avrebbe il punto stesso supposta fermata la terra, e poi si spari il can- none. Amendue queste velocità si calcolano, o colle formule scritte, o seri- vendole semplificate in ogni caso particolare. i Prendiamo per origine il baricentro della terra; sarà d mi ge = Vo per assi coordinati gli assi d'inerzia; sarà d mi Yizi= = 0. Facciasi astra- zione dal moto del baricentro terrestre; sarà d = e == 0. Suppongasi che il baricentro del mare sia fisso rispetto al continente, il che avviene quando si considerino solo correnti chiuse o cicli; sarà d' = e = /' = 0. Detti A, B, C i momenti principali d'inerzia, le (4) diventano: 1 i Ap=a—a', Bg=b—b0, Cr=cec—-c' Quindi il continente rota attorno al baricentro della terra; la sua velocità rotatoria, considerata come un vettore (considerazione già comune nei trat- tati), avrà per componenti ed è la somma, o risultante della velocità di componenti ) e Se CA VAR B” CI dovuta alle costanti iniziali; e della velocità di componenti al e (8) "AR pa pio nato dovuta al moto del mare. Ora, riferendoci al globo terracqueo, i momenti d'inerzia A,B,C, che compaiono al denominatore delle formule (8) sono noti con discreta appros- simazione da studî astronomici e geodetici. Ma i numeratori d',d',e°, mo- menti della quantità di moto del mare, ci sono incogniti. Volendo ricono- scere se i moti marini, quali quelli che noi vediamo, possano produrre una — 167 — velocità rotatoria sensibile, calcolai quella prodotta dalla Corrente del Golfo. La portata e la posizione di questa corrente sono date, con approssimazione grossolana, dalla Geografia. Per calcolare il momento della quantità di moto d'una corrente chiusa, si hanno più metodi dal calcolo geometrico. Il più semplice ad esporsi si è di proiettare ortogonalmente, sul piano perpendico- lare all'asse, il ciclo considerato; il doppio dell'area proiezione, moltiplicato per la portata della corrente, dà il momento della corrente rispetto all’asse. Così si hanno @',d',c'. Risulta dal calcolo numerico che questa corrente imprime alle terre polari, ad es. allo Spitzberg, una velocità di più d'un metro all'anno. Ma non sarà inutile il ricordare che le correnti regolarmente distribuite attorno all'asse polare, o simmetricamente rispetto all'equatore, imprimono velocità che si distruggono fra loro. Quindi in questo calcolo non si può tener conto nè dei venti alizei, nè di altri fenomeni regolari; ma solo delle irre- golarità che queste correnti hanno nei due emisferi, e secondo i varî me- ridiani. Avuta la velocità dei varî punti del continente, si potrebbero determi- nare le loro posizioni alla fine d'un tempo qualunque, supposte note le quan- tità &';',.../" nella successione dei tempi. Ma noi non conosciamo i loro valori attuali, e meno i futuri. Variando il polo, la corrente del golfo potrà gelare, e altre correnti si produrranno. Ritengo perciò puro esercizio di ana- lisi il fare ipotesi speciali sulle leggi che regolano queste correnti, onde de- durne dopo integrazione, la posizione della terra alla fine d'un tempo qua- lunque. Sotto l'aspetto analitico, una conveniente scelta di queste ipotesi può rendere l'integrazione immediata, ovvero introdurre ogni funzione trascendente che si desidera. E sotto l'aspetto pratico, che più importa, due ipotesi, che paiono rappresentare prossimamente il fenomeno fisico, possono, dopo inte- grazione, condurre a risultati del tutto opposti. Poichè mentre noi possediamo regole semplici per stimare l’approssimazione nelle operazioni di analisi finita, la questione è assai complicata quando si integrano equazioni differenziali approssimate. E un esempio ci è dato in questa stessa questione. Lo Schwahn, dal fatto che supponendo costanti certe quantità ne deriva che il polo terrestre può fare solo piccole oscillazioni, emise l'opinione che ciò avvenga in generale; e tale opinione manifestarono pure Helmert, Schiaparelli, ed altri, di cui feci men- zione nella mia seconda Nota (23 giugno 1895). Per togliere ogni dubbio scrissi questa seconda Nota, in cui supposta la terra di rivoluzione, riduco l'integrazione generale ad un problema noto. Come caso particolare feci ve- dere che una corrente dell’intensità di quella del golfo, e che si comporti col variare del tempo in modo conveniente, trasporterebbe effettivamente le terre polari all'equatore in 10 milioni di anni. È facile il vedere che lo stesso avviene considerando la terra come un ellissoide a tre assi. — 168 — La conclusione si è che l'intensità delle attuali correnti atmosferiche e marine è più che sufficiente ad imprimere ai poli vasti movimenti irrego- lari, di ampiezza qualunque, e ciò sia supponendo la terra plastica, come già affermò lo Schiaparelli, sia supponendola rigorosamente rigida. Spetta all'Astro- nomia e alla Geologia il riconoscere se questi spostamenti ci siano, o ci siano stati. Fisica. — Metodo per determinare l’indice di rifrazione della luce di un minerale nelle lamine sottili. Nota di C. VioLa, pre- sentata dal Socio STRUVER. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Fisica. — £sperienze sui raggi Rontgen ed apprezzamento di un limite inferiore della loro velocità. Nota dei dott. A. SELLA e Q. MAJORANA, presentata. dal Socio BLASERNA ('). 1. L'interesse che presenta la conoscenza dell’azione di un campo ma- gnetico sui raggi Rontgen propagantesi nel vuoto, in riguardo alla loro dif- ferenziazione dai raggi catodici, è stata rilevata dal Lodge. Istituimmo in proposito la seguente esperienza. In un tubo di vetro del diametro di 2 cm. e della lunghezza di 50 cm. chiuso ai due estremi con due dischi di alluminio, fu spinta la rarefazione sino a mezzo micron di mer- curio. Il tubo fu disposto di fronte alla porzione attiva di un Crookes con. l'estremità più vicina A alla distanza di 30 cm. I raggi Rontgen dovevano così percorrere tutto il tubo ed uscirne dopo di avere attraversato le due pareti di alluminio. Su di un disco fluorescente normale all'asse del tubo e posto alla sua estremità più lontana 2, si poteva allora vedere un cerchio illuminato corrispondente alla sezione interna del tubo, un anello oscuro e poi un campo pure chiaro all’ intorno. Ponendo il tubo in direzione della porzione più attiva della sorgente Réontgen si può far sì che il campo interno e l'esterno sieno egualmente luminosi, malgrado che l’ interno corrisponda a raggi, che hanno dovuto attraversare due strati di alluminio. Alla distanza di 5 cm. dall estremita A, sotto il tubo venivano disposti i poli di un elet- tromagnete molto potente, destinato a esperienze sul diamagnetismo. Ora chiu- dendo il circuito eccitatore di questo, non potemmo vedere la più piccola variazione relativa d’ intensità luminosa dei due campi. (‘) Lavoro eseguito nell'Istituto fisico della R. Università di Roma. — 169 — Questa esperienza non esclude naturalmente ogni azione magnetica, ma certo dimostra che la sua eventuale esistenza è molto piccola, per nulla paragonabile all’azione sui raggi catodici. 2. Passiamo ora a descrivere un'altra esperienza. In R, R' fanno capo gli estremi del circuito secondario di un Ruhmkorff; da essi partono paralleli due grossi fili di rame; M M' sono gli estremi (palline di ferro di 1 cm. di dia- metro) di un eccitatore in derivazione; C, 4 catodo ed anodo di un Crookes di cui è segnata solo la superficie attiva 0; la distanza tra M M' e @ è oltre un metro. Tra o ed M M' si possono porre degli schermi trasparenti od opachi ai raggi Rontgen. Con questa disposizione osserrammo che per ottenere Runa scintilla in M M' con la stessa scarica che illumina il Crookes, bisogna avvicinare M M' assai più quando sono colpite dai raggi Roòntgen, che non quando questi vengono intercettati. Così p. e. per ottenere una scintilla, quando non c'è schermo, oppure quando si interpone una sottile lastra di alluminio, una tavola di legno, un libro, un disco di paraffina ecc., bisogna avvicinare M M' a 4 cm. Se invece si interpone una lastra di piombo, di zinco, di vetro spesso, la scintilla scocca già alla distanza di 7 cm. Che si tratti di un’ azione diretta di o sull’ ec- citatore, si vede molto nettamente praticando negli schermi opachi una fessura, che permetta per piccoli spostamenti di essi nel loro piano di inter- cettare o no i raggi. Notiamo che l’azione dell’ interruttore del Ruhmkorff serve solo ad otte- nere rapidamente parecchie ripetizioni del fenomeno; lo stesso si osserva con una scarica so/4 ottenuta interrompendo a mano il primario, con che resta esclusa la possibilità di azioni susseguenti. Così osserviamo che, per avere questi fenomeni, conviene porre il Crookes lontano dal rocchetto, perchè in vicinanza si verificano delle perturbazioni, dovute all’azione diretta del campo magnetico del rocchetto sulla distribuzione della scarica nell’ interno del Crookes. Questa nostra esperienza ci permette di assegnare un primo limite infe- riore alla velocità di propagazione dei raggi Rontgen. Così è chiaro che i raggi generati nella prima fase della scarica sono già arrivati in M M'a far sentire la loro azione, prima che in M M' si sia prodotta la differenza di potenziale necessaria per l’ esplosione. In quest’ intervallo di tempo deve essere avvenuta formazione di raggi catodici, susseguente produzione di raggi Rontgen, propagazione di questi da o sino ad M M'. Noi speriamo, continuando in quest'ordine di esperienze, di poter trarre conclusioni più precise circa la velocità dei raggi X. = 170 — Fisica. — Azzone del tubo di Crookes sul radiometro. Nota dei dottori A. FONTANA ed A. UmanI, presentata dal Socio BLASERNA (!). Allorquando si pone un radiometro davanti ad un tubo di Crookes, nel quale passi la scarica elettrica, si osserva che questo ha un'azione direttrice sulle palette del molinello. In questo lavoro ci siamo proposti di esaminare se tale effetto si debba o no attribuire ai raggi di Rontgen. Facemmo uso di tubi di Crookes piriformi, col catodo nella parte più stretta, e coll’anodo assai prossimo alla parete, a metà circa della lunghezza, e li illuminammo colla scintilla di un rocchetto di induzione, di media gran- dezza, animato dalla corrente di otto elementi di Bunsen. Inoltre, per mantenere il radiometro con velocità costante, adoperammo una lampada normale di Kriiss, ad acetato di amile. Il radiometro era posto sopra un regolo graduato, tra il tubo e la sorgente calorifica, e se ne stu- diava la velocità rotatoria, osservando, con un cannocchiale, i successivi pas- saggi delle palette. Il molinello del radiometro, anche se posto in rapido moto di rotazione, sì arrestava, quando la scarica passava nel tubo di Crookes, e rivolgeva il piano di una paletta alla parte più illuminata del tubo. La distanza limite, alla quale si verificò il fenomeno, fu di 10,5 cm., tra la parete del tubo e l’ asse del molinello. Allora abbiamo posta la sorgente calorifica a 19 cm. dal ra- diometro, in modo che questo girasse colla velocità di 10 giri in 50”. Spe- gnendo il lume, il molinello si fermava dopo 24”. Ripetendo l' esperienza in modo che, al momento in cui si spegne la lampada, si ponga in azione il tubo, sì osservò che il rallentamento avviene colla stessa rapidità di prima; soltanto il molinello risente della forza direttrice del tubo. Diminuendo la distanza tra il tubo ed il radiometro, l’azione diventava molto più energica, ed il molinello si fermava in minor tempo, dopo aver eseguite un certo nu- mero di oscillazioni pendolari intorno alla posizione di equilibrio. Alla fermata seguì un periodo, più o meno lungo, di resistenza del mu- linello a rimettersi in moto sotto l’azione del calore, anche se il tubo non era più illuminato, e questo periodo fu tanto più breve, quanto minore è stata l’azione del tubo. Alla distanza limite, sopra notata, non era più sen- sibile. Gli stessi effetti si sono ottenuti rovesciando il senso della scarica. Dopo che il tubo abbia orientato il molinello, spostando questo lateral- mente, la paletta si mantiene orientata verso lo stesso punto del tubo. È assai facile dimostrare che il tubo di Crookes percorso dalla scarica elettrica si elettrizza: di fatti si vedono scoccare frequenti scintille tra questo (1) Lavoro eseguito nell’ Istituto fisico della R. Università di Roma. — 71 — ed un conduttore che sia posto in vicinanza. Noi abbiamo voluto separare gli effetti della induzione elettrostatica da quelli dei raggi di Rontgen. A tale scopo abbiamo rinchiuso il radiometro in una gabbia di fitta rete metallica, la cui parete, rivolta al tubo, era di alluminio sottile, e per ciò assai trasparente ai raggi di Rontgen. Poi abbiamo addirittura rivestito il radiometro con uno stretto involucro di stagnola finissima, ed abbiamo con- statato che, messa al suolo la custodia metallica, il molinello non era me- nomamente influenzato nè dal raggio catodico, nè dall’ anodico, quantunque la di- stanza tra il tubo di Crookes ed il radiometro fosse ridotta a circa 5 mm. Abbiamo rinnovato l'esperimento con un tubo di Crookes, la cui super- ficie, opposta al catodo, era ricoperta con un deposito galvanico di rame di tale spessore, da intercettare completamente i raggi di Rontgen. Se il rive- stimento di rame era messo al suolo, nessuna azione si manifestava, ed il radiometro si fermava indifferentemente in qualunque posizione, senza oscil- lazioni; ma tosto ricompariva l’azione, se veniva tolta la comunicazione col suolo. Chiudemmo altresì il tubo ed il rocchetto in una grande cassa di piombo, messa al suolo, nella quale era praticata una finestra, in corrispondenza del- l'estremo del tubo, chiusa da una esile lastra di alluminio; e il radiometro, posto vicinissimo alla finestra della cassa, non alterò il suo moto. Studiammo anche il comportamento di varî diaframmi collocati tra il tubo ed il radiometro, e ne scegliemmo che fossero conduttori od isolanti, trasparenti od opachi ai raggi di Rontgen. Potemmo così constatare che la maggiore o la minore trasparenza dei diaframmi ai raggi X non aveva al- cuna influenza sulla forza direttrice del tubo. Invece osservammo che i dia- frammi buoni conduttori della elettricità, messi al suolo, intercettavano l’ azione tra il tubo ed il radiometro, mentre quelli isolanti non l’impedivano affatto. Così osservrammo che una sottile lamina di stagnola, trasparentissima al raggi di Ròntgen, non permette l’ orientamento del molinello, laddove l’ azione si esercita attraverso una tavola di legno, trasparente anch’ essa. A tal punto nacque l’idea di vedere se un corpo qualsiasi elettrizzato, fosse capace di rinnovare i fenomeni sopra esposti, senza l’ intervento dei raggi di Rontgen. Di fatti abbiamo ripetuti tutti gli esperimenti, avvicinando al radiometro, non più il tubo di Crookes, bensì i poli di una macchina elettrostatica; e, ciò che è più persuasivo, abbiamo anche ottenuti gli stessi fenomeni coll’ armatura interna di una bottiglia di Leida carica, la cui ar- matura esterna era al suolo. Mentre accudivamo a questa ricerca, comparve una Nota dei signori Gossart e Chevallier (!), nella quale gli autori, constatando il fatto fonda- (1) Gossart e Chevallier, Sur une action mécanique émanant des tubes de Crookes ecc. Co i (GIOIE 1 — 172 — mentale osservato da noi, attribuivano il fenomeno all’azione dei raggi di Rontgen, perchè credevano di aver trovato che l’ azione del tubo sul radiometro si esercitasse anche attraverso sostanze diverse dall'aria, e, tanto più inten- samente, quanto maggiore fosse la loro trasparenza ai raggi di Réontgen. Tra le loro osservazioni, in una assai notevole, trovarono che un magnete, por- tato in giro attorno al radiometro, già influenzato dal tubo, riesce a vin- cerne la inerzia, e lo ripone in movimento. Su questo riguardo noi abbiamo visto che il molinello sente bensì la vicinanza del magnete, perchè la paletta più vicina viene attratta; ma sol- tanto debolmente, e non lo segue nel suo movimento; che, anzi, quando il magnete viene a trovarsi vicino alla paletta successiva, è questa che viene attratta di più, ed il molinello compie uno spostamento opposto al primi- tivo. Si vede che il magnete non funziona che come una massa metallica che altera il campo elettrico, la quale risente della azione elettrostatica, e di questo ci siamo vieppiù convinti coll'osservare che, presentando al molinello l'uno o l’altro polo, o la zona neutra di una calamita a ferro di cavallo, o un qualunque altro conduttore, il fenomeno avveniva sempre nello stesso modo. È fuori di dubbio che il vetro del radiometro, nelle condizioni esposte, si elettrizza; e lo prova, prima il vivace scintillio che avviene tra l’ involucro metallico con cui lo investimmo, ed un conduttore posto in vicinanza; poi il fatto, che, allontanando il tubo di Crookes dal radiometro, dopo orientate le alette, si vedono queste non solo persistere nella posizione ricevuta, ma tornarvi anche dopo un certo tempo, se, con una sorgente luminosa, vengano spostate alquanto. Non vogliamo escludere completamente l’azione inducente dei raggi di Rontgen (‘); ma, se mai, questa è assai piccola, e su di essa hanno preva- lenza assoluta le azioni elettrostatiche. E queste possono avere due origini; o agisce sulla paletta la carica più intensa, ma più lontana, che si forma sulle pareti del tubo di Crookes, o quella debole, ma assai più vicina, che si accumula per convezione sul vetro del radiometro, 0, molto più proba- bilmente, agiscono l’una e l'altra, sommando i loro effetti. Noi quindi riteniamo che l’azione meccanica del tubo di Crookes sopra il radiometro sia dovuta ad azioni elettrostatiche secondarie, con piccolissima e forse nessuna relazione coi raggi Rontgen, e che, in quest'ordine di fatti, non si possano fare osservazioni quantitative sulle nuove radiazioni. (1) A questo proposito veggasi la Nota del prof. A. Righi: Sulla produzione di fe- nomeni elettrici per mezzo dei raggi di Réintgen, Bologna, 1896; e l’altra dei dottori A. Sella e Q. Majorana: Ricerche sui raggi Rontgen, Rendiconti della R. Acc. dei Lincei, 1896, vol. V, sem, 1°. — 173 — Chimica. — Ricerche sul comportamento della Dimetilanilina come solvente nelle ricerche crioscopiche. Nota di G. AmpoLa e C. RimaDpoRI, presentata dal Socio PATERNÒ. Chimica. — Nuove ricerche sulla trasformazione delle «-al- dossime in nitriti. Nota di G. MinuNNI, e D. VAssALLO, presentata dal Socio PATERNÒ. Chimica. — Acerche sui prodotti di ossidazione degli idra- coni. I. Ossidazione del benzolfenilidrazone. Nota di G. MINUNNI ed E. Rap, presentata dal Socio PATERNÒ. Paleontologia. — Sul recente rinvenimento di fossili nel cal- care a Bellerophon della Carnia. Nota del dott. A. Tom- MASI, presentata dal Socio TARAMELLI. Fisiologia. — //luenza della musica sulla termogenesi ani- male. Nota del dott. U. DurTo, presentata dal Socio LUCIANI. Fisiologia. — Sull’azione fisiologica di alcuni derivati della santonina. Nota del dott. D. Lo Monaco, presentata dal Socio LUCIANI. Fisiologia. — Apparecchio portatile per determinare l’acido carbonico nell'aria espirata dall'uomo. Nota del prof. UcoLINO Mosso, presentata dal Socio AnceLo Mosso. Fisiologia. — Za respirazione dell’uomo sul Monte Rosa. Eliminazione dell’ acido carbonico a grandi altezze. Nota del prof. UGoLino Mosso, presentata dal Socio AnceLo Mosso. Le precedenti Note saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario BLASERNA presenta le pubblicazioni giunte in dono segna- lando quelle inviate dal Corrispondente ARcANGELT, dai Soci stranieri GE- GENBAUR, KUHNE, RECKLINGHAUSEN, STEENSTRUP, e dai signori Livi e CHANTRE. ReEnDICONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 23 — 174 — CORRISPONDENZA Il Segretario BLASERNA dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: La R. Accademia di scienze ed arti di Barcellona; la Società Reale di Londra; la Società di scienze naturali di Emden; la Società geologica di Manchester. Annunciano l'invio delle proprie pubblicazioni: Il R. Istituto di studi superiori di Firenze; la Società geodetica di. Washington; la Società geologica di Ottawa; la Facoltà di scienze di Mar- siglia; la R. Università di Norvegia a Christiania. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 1° marzo 1896. Arcangeli G. — Alcune esperienze sulle foglie di Nuphar. S. 1. e a. 8°. Id. — Brevi notizie sopra alcune agaricidee. S. 1. e a. 8°. Id. — Cenni necrologici sul Generale Vincenzo Ricasoli. S. 1. e a. 8°. Id. — Giovanni Passerini. S. l. e a. 8°. Id. — I pronubi dell’Helicodiceros muscivorus (L.F.). S. 1. 1891. 8°. Id. — La collezione del cav. S. De Bosniaski e le Filliti di S. Lorenzo nel MPePisano sissi nona s8o Id. — Le stranezze meteorologiche dell’anno 1895. S. l. e a. 8°. Id. — Muscinee raccolte di recente nell’ Italia meridionale. S. 1. e a. 8°. Id. — Relazione sulle comunicazioni inviate alla presidenza della Commis- sione per l'esplorazione della Flora italiana. S. L e a. 8°. Id. — Sopra alcune agaricidee. S. 1. e a 8°. Id. — Sopra alcune piante della Repubblica Argentina. S. l. e a. 8°. Id. — Sopra alcune piante raccolte presso Ripafretta nel Monte Pisano. SAlronaio0Ì Id. — Sopra alcune piante raccolte recentemente. S. 1. e a. 8°. Id. — Sopra alcuni casi di Clorosi. S. l. e a. 8°. Id. — Sopra alcuni lavori del sig. E. Bach concernenti la decomposizione del- l’acido carbonico nella funzione di assimilazione. S. 1. e a. 8°. Id. — Sopra alcuni lavori del sig. L. Maquenne concernenti la respirazione e loro relazione con la funzione fotogenica. S. 1. e a. 8°. Id. — Sopra alcuni Narcissus. S. 1. e a. 8°. Id. — Sopra alcuni recenti lavori riguardanti l’ isomorfismo fisiologico. Stile dato, Id. — Sopra l’ infiorescenza di una pianta di Nepenthes. S. 1 e a. 8°. — 175 — Id. — Sopra una mostruosità del Lentinus tigrinus. S. l. e a. 8°. Id. — Sopra un caso di sinanzia osservato nella Saxifraga (Bergeria crassifolia L. S. I. e a. 8° Id. — Sopra varie mostruosità dell'Ajax odorus Car. e della sua pro- babile origine. S. 1. e a. 8°. Id. — Sopra varie mostruosità osservate nella Cyclanthera pedata, e sui viticci delle Cucurbitacee. Genova, 1892. 8°. Id. — Sopra varî fiori mostruosi di Narcissus e sul N. radiiflorus. Sh IL © 2a 00 Id. — Tentativi d’' incrociamento e fruttificazione del Dracunculus vul- Caio Sb I 0185 80 Id. — Sulla Larrea cuneifolia e sulle piante Bussola. S. 1 e a. 8° Id. — Sulla Larrea cuneifolia e sulle piante Bussola. S. L e a. 8°. Id. — Sulla Tulipa saxatilis Sieb. S. 1. e a. 8°. Id. — Sulle affinità delle Sfenofillacee. S. 1. e a. 8°. Id. — Sull' Hermodactylus tuberosus. S. L e a. 8°. Id. — Sull'impollinazione di varie cucurbitacee, e sui loro nettarii. Genova, 1892. 8°. Id. — Sul Narcissus italicus Sims, e sopra alcuni altri Narcissus. So 1 Gao ES Id. — Sul Narcissus Puccinellii Parl. e sul N. Biflorus Curt. Saline na 9880" Id. — Di nuovo sul Narcissus Puccinellii. S. L e a. 8°. Bardelli G. — Sull'uso delle coordinate obliquangole nella meccanica razio- nale. Milano, 1896. 8°. Brédikhine Th. — Variations séculaires de l’orbite de la Comète 1862, III, et de ses orbites dérivées. St. Pétersbourg, 1895. 8°. Catalogue of scientific papers (1874-1883). Vol. XI. London, 1896. 4°. Chantre E. — Missions scientifiques en Transcaucasie, Asie Mineure et Syrie. 1890-94. Lyon, 1895. 4°. Contributions to Canadien Palaeontology. Vol. II, p. I. — Scudder. Canadian fossils insects. Ottawa, 1895. 8°. Facciolà L. — La prima forma larvata dell'Anguilla vulgaris. Palermo, 1895. 8°. i Fauna und Flora des Golfes von Neapel. 22 Monogr. — 2B&rger O. Nemer- tinen. Berlin, 1895. 4° (a€g.). Folgheraiter G. — Intensità orizzontale del magnetismo terrestre, lungo il parallelo di Roma. Roma, 1896. 8°. Forir H. — Nouvelles découvertes relatives aux terrains paléozoiques de la Gileppe et de le Meuse. Liège, 1895. 8°. Id. — Sur la bande dévonienne de la Vesdre. Liège, 1893. 8°. Id. — Sur la présence de Rhynchonella Dum. et de Cyrtia Murch. dans les schistes de Matagne. Liòge, 1896. 8°. — 176 — Id. et Lohest M. — Découverte du niveau è paléchinides dans la Bande Car- bonifère de la Meuse. Liège, 1895. 8°. Geological Literature added to the Geological Societys Library during the year ended Dec. 315. 1895. London, 1896. 8°. Haffkine W M. — Anti-cholera inoculation. Report. Calcutta, 1895. 4°. Hòfer H. — L'origine des gisements de minerais de Plomb, de Zinc et de Fer de la Haute-Silésie. Trad. par H. Forir. Liège, 1895. 8°. Index Catalogue of the Library of the Surgeon-General's Offico U. S. Army. Vol. XVI. Washington, 1895. 4°. Livi R. — Antropometria militare. Testo e tavole. Roma, 1896. 4°. Lohest M. et Forir H. — Les schistes a spiriferina octoplicata, et les Cal- schistes de Tournai. Liège, 1895. 8°. Lussana S. — Contributo allo studio della resistenza elettrica delle soluzioni considerata come funzione della pressione e della temperatura. Pisa, 1395. 8°. Id. — Influenza della pressione sulla temperatura del massimo di densità dell’acqua e delle soluzioni acquose. Pisa, 1895. 8°. Morselli E.— Biologia e medicina negli ultimi trent'anni. Genova, 1895. 8°. Passerini N. — Esperimenti di concimazione del frumento nei terreni gale- strini. Modena, 1895. 8°. Id. — Sulla quantità di acqua contenuta nel terreno durante la estrema sic- cità estiva nel 1894. Modena, 1895. 8°. Id. — Sul potere assorbente per la umidità che alcune materie concimanti comunicano al terreno. Modena, 1895. 8°. Recklinghausen F.v. — Die Adenomyome und Cystadenome der Uterus- und Tubenwandung, ihre Abkunft von Resten des Wollf'schen Kòrpers. Ber- linaili89 69880 Ricerche ed esperienze istituite nei poderi sperimentali, nel laboratorio di chimica agraria e nell’ osservatorio meteorologico, sotto la direzione del prof. N. Passerini. Anno II, 1894. Firenze, 1895. 8°. Ricordo del XX Settembre MDCCCXCV (Comitato pel concorso delle Uni- versità ecc.) in Roma. Roma, 1896. 4°. Salvioni E. — Studî sui raggi di Rontgen. Perugia, 1893. 8°. Id. — Una condizione necessaria per ottenere ombre nitide coi raggi di Rontgen, e un fenomeno che offre il modo di realizzarla. Perugia, 1896. 8°. Steenstrup JT. — Det store Sòlvfund ved Gundestrup i Jylland 1891. Kiòbenhavn, 1895. 4°. : Travaux et mémoires du Bureau international des poids et mesures. T. XI. Paris, 1895. 4°. Valenti G. — Sulla origine e sul significato della ipofisi. Perugia, 1895. 8°. Id. — Sullo sviluppo dell’ ipofisi. Pisa, 1895. 8°. Wery W. — Photometry of a lunar eclipse. Chicago, 1895. 8°. P. B. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI __—__—_—___—_y6—_mT—mT—m6TmTmm——m——TFFT Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 15 marzo 1896. A. MessEDAGLIA Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sulla inversione degli integrali definiti. Nota del Corrispondente Vito VOLTERRA. 1. Sia So(2,7) una funzione finita e continua qualunque definita per i valori di 7,y compresi fra @ e £ (a < £f). Partendo da essa costruiamo successivamente le espressioni (#19) = f 09 dando ad % i valori 1,2,3... e scegliendo 7 compreso fra 1 e 2. Si di- mostra facilmente che l'integrale precedente non dipende dalla scelta del numero j. Inoltre chiamando M il limite superiore dei valori assoluti di So(4,y) si ha Me (pae gl : |Si(@,9)|= Se ne può concludere che la serie CO Fo(c,g)=> S(1,9) 0 è uniformemente convergente e per conseguenza rappresenta una funzione finita e continua di x,y. RenpICONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 24 — 173 — Noi possiamo dare una forma notevole al resto di questa serie. Chia- mandolo infatti R,(<,g) si otterrà R,(2,9) =Fo(2,9) —V8:(4,9) a, Fo($,y)dE = (6,9) F,(e,E)de. Y i Ponendo n= 0 questa formula diviene: 1) Po(2,9) —Si(2,9)=f 82,9 PE) = [SE,)P(,94. Yy 2. Applichiamo ora alla funzione F,(«,y) delle operazioni analoghe a quelle che si sono eseguite sopra So(@,y); calcoliamo cioè successivamente y Pi(#,9)= f Fis(e,) Fm (,9) 8 e formiamo la serie, che resulterà convergente, To (E y) IV 54) . 0 Possiamo provare che Za somma di questa serie è la funzione So (£ , Y) da cui primitivamente siamo partiti. Infatti per questa serie sussisterà una formula analoga alla (1), vale a dire @ T, (2,9) — Vo(e,9)=f Poe, 9)TE,y) dé — (E), e onde sommando le (1) e (2) si otterrà To (4,9) — So (2,9) = f Fo) IT (2,9)—S(0, IE. Poniamo o(7,y)=T(e,9) — So(2,9), avremo che la equazione precedente si scriverà @®) o(c,9)=f F.E,9) 02,5) da cui segue o(2,9)= (Fat, 9) def Fo (81, 0(7,5) (ME) ef TE PEA Si può in tal modo procedere indefinitamente sostituendo sempre a o(x,&;) il valore che se ne ricava dalla formula (3). Chiamando dunque M' il limite superiore dei valori assoluti di F,(4,y) ed m quello dei valori assoluti di o(4,y), si avrà B 5 O In Pad n (2, y) Mm dé f ag: f mp eo) n! Siccome n è un numero che può scegliersi tanto grande quanto si vuole, così |o(z,y)| dovrà essere inferiore ad ogni quantità assegnabile, e perciò sarà Y (ay) Toe9)— SE) =0 e in conseguenza S(e,y)=T(,9)=YF(1,9). 0 Possiamo enunciare dunque il teorema: Si hanno le due formule reciproche (4) Si @,9)—Y(#,9) » 4) Po (2,9) = S(0,9) in cui Y x Fi(c,9) =) Fi;j(@,%)F;(f,9)d8, Si(e,y)=|] SuSE). x Yy Prendendo arbitrariamente una delle due funzioni finite e continue So (4,y), F (4,9) st può calcolare l’altra mediante operazioni di quadratura. Inoltre sî avrà Fo (2,9) —S(c,9)=f Fo(2,8) STAR) di= | Po@,9)S: (4,9). 8. La risoluzione del problema della inversione degl’ integrali definiti si può raggiungere in virtù del precedente teorema in maniera molto semplice. Denotiamo infatti con g(x) una funzione finita e continua, e poniamo TO Fo(a, 9) de=9(9)) —f(9)- — 180 — Moltiplichiamo ambo i membri di questa equazione per So(y,)dy e inte- griamo fra @ e 2; si otterrà [tM-/MSW,94= (80,94 MT) de e pel principio di Dirichlet, ed il precedente teorema, [T@M-/I80W,94= (900) de (84,9 Pe) = (9) [So (€, 4) — Fo(e, 2)]de quindi fs 94=fyML6,9d2=49-/0. Dunque la formula 6) VA=/9+f 78,94 si può invertire e si ha l’altra 6) fa)=9- f 9A de Prendendo arbitrariamente una delle due funzioni finite e continue Si(Y €) o F;(4,) si può calcolare l’altra mediante le formule (4) e (4) date pre- cedentemente. Quindi, scelta ad arbitrio una delle due funzioni finite e continue (2) o /(), si ottiene l’ altra funzione mediante una delle due formule (5) e (5), e si vede che non vi è che la funzione /(z) data dalla (5') che verifica la relazione funzionale (5) e reciprocamente non vi è che la g(#) data dalla (5) che soddisfa la (5). Del resto è facile riconoscere che la operazione di passaggio dalla prima alla seconda formula è la stessa che quella di inversione della seconda nella prima. Si denoti infatti la — F;(2,7) con ®, cioè scriviamo (!) D[S;(2,9)]}= —Fol@,%); allora tenendo conto delle operazioni di quadratura con cui partendo dalla F, si calcola la So; sì avrà DI F(2,9)]}=S(7,9). (1) È superfluo l’osservare che non deve confondersi la ®[So(2 , y)] con una funzione di funzione (Vedi: Sopra le funzioni che dipendono da altre funzioni, nel vol. III di questi Rendiconti). — 181 — Possiamo dunque riassumere i resultati trovati nel seguente teorema : Posto D[S(e,y))}=—d Si(e,9) 0 om cui LC 9,2.) =8(,9) + S(@19)= f Slc) 9 st ha: 1°) se S(2,y) è una funzione finita e continua per è valori delle variabili compresi fra a e 8, anche D[S(x,y)] è una funzione finita e continua entro gli stessi limiti; 2°) la funzione D gode della proprietà | 9[S&,y))]= 5,9); 3°) se g(7) è una funzione finita e continua e A) M=fM+ (Se AIA resulta (A) MM =9)+ fs, MI de. Nelle formule (A) e (A') si ha «oy>Da>e. 4. I varî problemi che si presentano di inversione di integrali definiti con limiti variabili, possono in generale risolversi facilmente ricorrendo alle formule ora stabilite. Esaminiamo infatti il problema di invertire l'integrale © 04) —UA)= f4(2)H(2,9) de, cioè determinare w(x) conoscendo 0(y) e H(#,y). Derivando si avrà n 2dH(2,7) = MAYA f (EL a e dividendo per H(y,%) 1 ?3H(2,9) 0 (4) y ( Hy.g) 0) +/ v 20) dY f; — 182 — 2dH(4,7) H(y,9) HiCh7) MIMO (A') ci fornirà subito la soluzione del problema mediante operazioni di qua- dratura. La questione può risolversi in un altro modo, sempre impiegando le for- mule precedenti. Infatti, mediante una integrazione per parti, la (6) può scriversì è finita e continua e così pure 0(y) — (e) =H(y, ya) = f'# el 4a Da in cui y vM)= fu) de quindi 60(y) — 6(@) 1_ 2H(7,9)); H(Y,y) '-— 1) +0 dI Il procedimento precedentemente indicato ci darà la &(y) e perciò con una derivazione otterremo la w(y). Il caso in cui H(x,g) per #= y diviene infinito, in modo che sì possa porre H(x,y)= sei con G(#, y) finita e A<1, sfugge all'analisi precedente, ma vi si riconduce facilmente moltiplicando ambo i membri per mE quindi integrando fra @ e <. Se H(y,y) si annulla, il problema della inversione può in taluni casi risolversi univocamente, in altri resultare indeterminato. Non mi dilungo nello svolgimento dei varî problemi di inversione, giacchè le formule che resultano applicando il procedimento indicato furono direttamente discusse e verificate in alcune Note da me recentemente lette all'Accademia di Torino ('); osserverò solo che il caso in cui si abbia e 0(d=f MH, 9) de può in generale ricondursi al precedente, quando si ponga x(y) = 2; d’ onde se sì può ricavare inversamente y= @(z), si otterrà 0(0()) — = f WA H(2, 0(9)) de. (1) Sedute del 12 e del 26 gennaio 1896. Una terza Nota sullo stesso soggetto sarà letta nella seduta dell’ 8 marzo. — 183 — 5. Mostriamo ora come la questione trattata sia suscettibile di una ge- neralizzazione, la quale rende possibile di risolvere in maniera semplice una classe molto estesa di problemi funzionali, che per quanto io so, non vennero fin qui considerati. Supponiamo che gl’'indici 7 ,s possano prendere i valori 1,2... e consideriamo le n° funzioni finite e continue S® (x,y) per i valori delle va- riabili compresi fra @ e £. Formiamo (7) VICE n=SX Str? (5 8) Sr” (E, y) dé Tn dando ad ? successivamente i valori 1,2,3... e prendendo :.=/j= 1. Si ha che S©, non dipende da 7 e ee) (yz) chiamando M il massimo dei limiti superiori dei valori assoluti delle S®; quindi le serie (8) ISO, )=Y, SÉ (e, Y) 0 sono uniformemente convergenti e rappresentano funzioni finite e continue, e calcolando i resti di queste serie si giunge alle formule Foe, 9) = Sk, dl Sin(e, E) FR (E, y) de Da Ja, SE.) FO, 8) de Yy dalle quali si deduce che, prese È sg n Tei fr. COMNGNOE st ha co) =, © (2 59). 0 Ciò premesso, siano g,(x), (2 = 1,2...) x funzioni finite e continue e poniamo (dp (OEM 9) de = 910), — 184 — sì avrà con semplici calcoli fX(eM-10) fo: (4,2) dy = | Da 9, (2) (80 (7, e) — Fi(2,8)) de 7 ] e quindi ST 1082 794=[ Xp TINTO il che prova che /e equazioni funzionali © = 10+S XL0SY)%y ti.) si invertono mediante le formule (9°) fn (€) = 4n(8) | Da 4,() FS (0 2) da (h =; SO n) x l in cui le FS, si calcolano dalle SO, per mezzo delle formule (17) e (8). Si supponga ora di dover risolvere il problema di determinare le fun- zioni finite e continue /1() , f:(@)... f() che soddisfano le equazioni funzionali 09) —0(= f T/i6) Ha(2,9)+/ (2) Bi (,9) ++) TL co) POS 9/0 [Yi (2) Hex) +0) Ha(29) +-+ (2) Hg) 0,1) (@)= f C/162) Ha (@9)+/(0Hno(09) + a) Hm: 22 quando si suppongano note le funzioni finite continue e derivabili 6;(y) e H,,s(2,7). Derivando le equazioni precedenti rapporto ad y, abbiamo (UD) 9@=L (MH tS È, 0) ile, supponendo IHis(1.4) KG) dY Denotiamo con D(x,y) il determinante Hu sHie .. dala È. Hi ) Hoc Da rece. ès — 1355 — e si ammetta D(y,%) diverso da zero, e chiamiamo %;s(y,7) gli elementi reciproci delle H;,s(y,y) divisi per D(y,y). Dalle (11) segue n y n R X li@MUO=SO+S LX, hs4,9) Kisa, 9) de I CI l onde, posto SE hisr(Y 9) di (4) = 9r(Y) X he(4 +9) Kis(e,9)= 92,9) le equazioni precedenti diverranno i gM=feM+f DUE 9) da e perciò si otterranno le /:(x) applicando le (9°). Fisica. — // luogo d’emanazione dei raggi di Rintgen. Nota del Corrispondente A. ROITI. Poche cose ho da aggiungere alla mia Nota presentata all’ Accademia nella seduta del 1 marzo. In essa ho dato notizia di alcune esperienze dimo- stranti come i raggi di Rontgen partano e si propaghino in tutte le direzioni dai punti ove i raggi catodici colpiscono varî solidi: oltre il vetro e l’allu- minio, anche la mica, il platino e la porcellana. Le impressioni in quelle esperienze sono sempre state ottenute rivolgendo la lastra fotografica dalla parte d'onde provengono i raggi catodici. Ora ne riferirò alcune altre, nelle quali l'ho rivolta invece alla faccia della lamina colpita da questi raggi, e vi ho ottenuto delle impressioni relativamente più intense. Rue 1 Fre. 2. 1. Nel collo del palloncino £, rappresentato a circa un terzo del vero nella fig. 1 di prospetto, e nella fig. 2 di profilo, si trova uno specchio RenpICONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 25 — 186 — concavo di lastra d'alluminio col raggio di curvatura di 20 mm., ed a circa 34 mm. da esso è collocato a 45° sul suo asse ottico un dischetto di terra- cotta porosa, della grossezza di !/, mm. e del diametro di 20 mm. Questo dischetto è montato sopra un anello d'alluminio, che fa da anode. Il palloncino, sempre attaccato alla tromba di Geissler ed ai reofori secondarî del grande rocchetto di Ruhmkorff (eccitato dall’ interruttore rapido in modo da dare scintille di 12 cm. nell'aria), era mantenuto vicino al terzo stadio di rarefazione, a quel punto cioè che la luminosità negativa è in pro- cinto di scomparire. Il dischetto di argilla presentava allora al centro una piccola ellissi rovente contornata da un bel violetto, e questo da un color celeste simile a quello emesso per fluorescenza dal solfato di chinina, ma molto più splendido. Tutta la superficie del palloncino era più o meno lu- minosa: più di fronte al disco che a tergo; ma era perfettamente oscura verso il fondo ove si proiettava l'ombra ellittica del dischetto. Ho disposto davanti, dietro e sotto al dischetto tre diaframmi di zinco con fori di 10 mm. di diametro, ed a 20 mm. da essi tre lastrine fotografiche, le cui impronte, malgrado i difetti di simmetria del palloncino, rivelano che l’azione fu più energica di fronte. Se ne può dedurre che i raggi di Rontgen abbiano origine sulla faccia colpita dai raggi catodici, e che la loro azione sia indebo- a lita dalla imperfetta trasparenza del disco d'argilla. Il disco si trovava sull’anode, e non v'ha dubbio che avrebbe prodotto effetti consimili un disco tutto d'alluminio o di platino: quindi rimane fino ad un certo punto giustificata l’asserzione di taluno che dall’ anode partono i raggi di Rontgen. Ma, da questa esperienza e da quelle pre- cedentemente riferite, mi pare più circo- spetto conchiudere che il loro luogo d' ema- nazione sia in genere la superficie di un solido qualunque, comunicante o no col- l’anode, sulla quale arrivino i raggi ca- todici. Aspetto dei dischetti di zirconio e di magnesio, che ho ordinato, e ripeterò la prova anche con essi. si Z 2. Pensando poi che l'alluminio è tra- n sparente pei raggi di Rontgen, ho fatto costruire il tubo 7 rappresentato a circa un Fia. 3. terzo del vero dalla fig. 3. In esso sono — 187 — inseriti lateralmente ed affacciati due specchi concavi identici, che ne occu- pano quasi tutta la sezione, ed hanno comune il centro di curvatura, così da essere all’ incirca due callotte di un’ unica sfera avente 40 mm. di raggio. Uno degli specchi, quello segnato S nella figura, si è dovuto tenere, per difficoltà di costruzione, più discosto dal fondo che non sia l’ altro specchio 7°: e mentre quest'ultimo, facendo da catode, lascia il vetro dietro a sè nel primo strato della luminosità negativa, e però (come ho rilevato già nella adunanza del 2 febbraio) non lo rende sorgente di raggi X; lo specchio S' invece, quand’ è catode, fa risplendere, sebbene debolmente, il fondo che gli sta dietro e deve dare origine a quei raggi. In una prima esperienza il catode era S, e i due diaframmi di zinco Z e Z, col foro di 10 cm., per metà coperto di rete metallica, si trovavano davanti ai due fondi del tubo e ad ugual distanza dal catode S; ed a 20 mm. da ciascuno si trovava la lastra impressionabile ben protetta dalla luce e coperta anch'essa per metà dalla medesima rete metallica. Presento le po- sitive delle due impressioni ottenute con la stessa eccitazione che all'art. 1, e sviluppate insieme. La positiva 4, è quella della lastra vicina all’ anode 7°: è molto più estesa, più intensa e più sfumata dell'altra positiva 41, malgrado che questa dovesse risentirsi un poco dell’azione esercitata dal fondo fluo- rescente a tergo di S. Rimane dunque confermato, se ve ne fosse bisogno, che il luogo d' ema- nazione dei raggi di Rontgen non è il catode, ma la superficie colpita dai raggi catodici, e precisamente da quelli del secondo strato. Disgraziatamente, dopo questa prima esperienza il tubo si è guastato, e son dovuti passare dei giorni prima che potessi averne un altro della stessa forma. L’'ebbi ieri alla fine, e potei fare una seconda esperienza con la me- desima disposizione, ma con S anode e con 7' catode. Se i due fondi del tubo avessero la stessa grossezza come l’ hanno i due specchi, i raggi di Réntgen, che emanano dalla superficie concava di S, sa- rebbero ugualmente assorbiti per arrivare alle due lastre; così che, prescin- dendo dalle riflessioni, le due impressioni dovrebbero riuscire fra loro uguali. Invece, nell'unica prova che ho fatto, riuscì più intensa la inferiore, quella cioè rivolta alla faccia convessa dell’anode: e non so se debba ascrivere questa diversità ad una differenza di grossezza dei fondi di vetro, non avendo potuto farne la riprova, perchè anche questo tubo s'è guastato. Aggiunta nel rivedere le prove di stampa. — Il 14 marzo ho ripetuto questa esperienza prendendo due fotografie con la disposizione indicata nella fig. 3 e con S anode; e prendendone poi altre due con i diaframmi Z, 4 e le lastre 4, 0, equidistanti da 7 e con 7 questa volta anode. Le quattro fotografie, sviluppate insieme, si possono dire identiche fra loro poichè non è possibile distinguerne una dalle altre. Quindi si conchiude che nè le ri- flessioni dei raggi catodici, nè quelle dei raggi X all'interno del tubo, nè — 188 — il verso della concavità non esercitano influenza sensibile; ed inoltre che il trovarsi il vetro o l'alluminio a potenziali elettrici diversi, non altera la trasparenza di questi corpi peri raggi X. Il tubo adoperato in queste prove del 14 marzo differisce da quelli delle prove precedenti, perchè i due specchi concavi, sempre aventi 40 mm. di raggio di curvatura, sono fra loro distanti di 60 mm., anzi che di 80 mm., e si trovano alla stessa distanza dai fondi, senza però che i fondi appari- scano fluorescenti. 3. Mi propongo di sostituire in seguito allo specchio S° uno scodellino contenente sostanze diverse, per vedere dall’ impressione sulla lastra superiore se ed in quale misura queste sieno variamente propizie all'emanazione dei raggi di Rontgen. Ho tentato anche di produrre questi raggi con un palloncino vuoto privo di elettrodi; ma nelle due prove che finora ho potuto fare, ì palloncini si sono forati, non senza però che in uno di essi mi fosse dato di osservare due belle macchie fluorescenti alle estremità d'un diametro; ed insistendo, spero di riuscire ad ottenere delle fotografie anche in questo modo. Aggiunta nel rivedere le prove di stampa. — Ci sono riuscito il 16 marzo con un palloncino sferico di vetro avente il diametro di 73 mm. Due callotte opposte, del diametro di 33 mm., che nelle prove dei giorni passati avevo inargentate, in questa le ho coperte di acqua, e nell’ acqua ho tuffato i reofori del rocchetto di Ruhmkorff. Per ciò ho circondato cia- scuna callotta con un grosso anello di mastice (colofonia e cera): l'anello superiore fa da vaschetta e l’inferiore pesca in una vaschetta col fondo di mica sottilissima. La lastra fotografica, ben protetta dalla luce e coperta poi di rete metallica, è a 20 mm. dalla mica. Il rocchetto è eccitato con interruttore rapido, in maniera da dare scin- tille di 6 cm. nell'aria. Il palloncino risplende tutto di sola luce verde, ma con maggior intensità ai poli, che sono i vertici delle callotte, e dai poli partono dei fasci di luce lungo i meridiani, così da dare l'illusione come se entro il palloncino si muovesse un involucro sferico luminoso for- mato di spicchi. Derivando al suolo una delle callotte, essa si oscura, come nell’ espe- rienza rappresentata dalla fig. 1 della mia Nota del 1° marzo. Matematica. — Su di un teorema del sig. Netto relativo at determinanti, e su di un altro teorema ad esso affine. Nota di ERNESTO PASCAL, presentata dal Socio CREMONA. Ultimamente il sig. Netto in un lavoro nel Giornale di Crelle (£7wez- terung des Laplaceschen Determinanten- Zerlegunssatzes. Crelle, v. 114, p. 345, 1895) ha presentato una formola da considerarsi come un’ estensione della — 139 — cosiddetta regola di Laplace. Però la dimostrazione che l'autore dà di quel teorema lascia qualche cosa a desiderare dal punto di vista della semplicità e della eleganza. Onde credo conveniente riprendere la quistione da un punto di vista che mi permetterà di dimostrare semplicemente il teorema in tutta la sua gene- ralità, e che contemporaneamente mi potrà dare anche un altro teorema assai affine a quello, e che con quello si confonde solo in uno specialissimo caso. SUE Sia dato un determinante D di ordine x + #, e sopprimiamo le prime % linee e colonne; resta un determinante M di ordine 72 che noi svilupperemo colla formola di Laplace, cioè facendo la somma algebrica con segni oppor- tuni dei prodotti dei minori contenuti in #m, linee per i minori contenuti in altre mm, linee, ecc., per i minori contenuti in #7 linee, dove mt mt += i e due fattori di uno stesso prodotto sono sempre minori contenuti fra colonne tutte diverse. In questo sommatorio, in luogo di ciascun fattore di ciascun termine poniamo quel minore, di tutto il determinante D, che si ottiene sopprimendo în D solo le medesime colonne e linee che bisognava sopprimere mel dezer- minante M di ordine m per ottenere quel fattore. Il valore del sommatorio diventa allora il prodotto di D per la potenza (£K — 1) del minore com- plementare di M, che chiameremo N, cioè del determinante racchiuso dalle x linee e colonne soppresse. Ecco una semplicissima dimostrazione del teorema. Formiamo il reciproco di D e sia D'=D"**-1; gli omologhi di N e M in D' sieno N’, M. Sia Am Amr: - Amy un termine del sommatorio, dove Am, è di ordine n ++ m;. Moltiplichiamo questo termine per pmmir pmmt... pmr_m,_1 e osserviamo che per i notissimi teoremi sui reciproci, il prodotto pm_mi-1 4m, è un minore di M' di ordine 1 — m;, e propriamente quel minore di M' il cui omologo in M ha per complemento in M quel minore che si ottiene da 4m, sopprimendovi le x colonne e linee. Si riconosce così che, dopo ef- — 190 — fettuato il prodotto indicato, il sommatorio diventa ciò che si otterrebbe se si sviluppasse il determinante M' colla regola di Laplace, e indi in luogo di ogni minore di ordine 7, #s...Ssi sostituisce il proprio complemento di ordine m — Mi, MM Mg,... È facile mostrare che così operando si ottiene allora il determinante su cui si opera elevato alla potenza X — 1 ('); dunque possiamo dire che il som- matorio primitivo moltiplicato per Dem-D)i-m è eguale a MP: — NI! peon-b a» donde infine Dtm Amy = DN! sa . Accanto al teorema di Netto. dimostrato nel $ precedente, cogli stessi principii ne possiamo trovare un altro. Come nel $ precedente formiamo secondo la regola di Laplace lo svi- luppo di M, cioè del determinante ottenuto da un dato D di ordine x + # sopprimendo 7 linee ed 7% colonne. Indi ad ogni minore di M che comparisce nella formola sostituiamo il proprio complemento, e infine ognuno dei minori così formati rendiamolo di ordine x +(m — m;) aggiungendo le n linee e n colonne soppresse in D. Quale sarà allora il valore del sommatorio ? Moltiplichiamo ciascun termine per mil T)M2-1 mr=l D Dirt e osserviamo che allora ogni termine diventa il prodotto di % minori di MY, uno di ordine 7,, uno di ordine 7, e infine l’ultimo di ordine 72}; il som- (2) E facile dimostrare questo risultato. Sia dato un determinante A di ordine m. Formando i minori come occorre per applicare la regola di Laplace si ha N 4m, Im, DIGO Am, =À. Di ogni 4m, formiamo il suo complemento e sia 4m—m,; vogliamo trovare il valore del sommatorio si \ i Amm, DECIO Am—my, 19 € Di A formiamo il reciproco e sia A' e sviluppiamo A’ secondo prodotti di minori omologhi ai Am, ---Amy. Si ha 7 À N dro A mg 3A AMI. E potendosi ogni 4" esprimere mediante i 4m-m; e potenze di A, si ha infine il risultato annunciato nel testo. atea riti rin LADA: PE E I VO ict, — 191 — matorio diventa allora esattamente lo sviluppo del determinante M' e quindi eguale a NIDI, Sopprimendo al primo e secondo membro il fattore comune D®-*, resta SI Amon Amy Amm, = A N. Si ha in certo modo un risultato inverso a quello che si raggiunge colla formola di Netto, in quantochè restano come invertiti fra loro i due deter- minanti D e il suo minore N. È evidente che per X = 2, i due teoremi si confondono. Di questi teoremi si può dare una estensione, come farò vedere in altro lavoro in corso di stampa negli Annali di Matematica. Matematica. — Sopra le superficie algebriche di cui le curve canoniche sono iperellittiche. Nota di FEDERIGO ENRIQUES, pre- sentata dal Socio CREMONA. 1. Nella teoria delle superficie hanno fondamentale importanza le così dette curve camoniche (sezioni della superficie supposta d'ordine x con su- perficie aggiunte d'ordine 7 — 4) possedenti carattere invariantivo rispetto a trasformazioni birazionali. Il numero delle curve canoniche linearmente indipendenti è il genere (geometrico superficiale) p della superficie, mentre il genere di esse curve ne costituisce il 2° genere o genere lineare p®. Le superficie (p >1,p® = 1) di cui le curve canoniche sono (irriduci- bili) ellittiche o si spezzano in curve ellittiche (d’un fascio) sono state con- siderate dal sig. Noether ('!). Nello stesso lavoro il sig. Noether ha dimo- strato che le superficie a curve canoniche irriducibili hanno il genere lineare pY = 2p — 3, e che il valore minimo pî° = 2p — 3 si ottiene in corrispon- denza alle superficie di cui le curve canoniche sono iperellittiche. A queste superficie è dedicata la presente Nota, nella quale mi pro- pongo dunque di determinare tutti i tipi di superficie aventi curve canoniche irriducibili iperellittiche (p > 2,9% >.1) E innanzi tutto un richiamo per spiegare come deve intendersi l'irri- ducibilità del sistema canonico (?). (1) Zur Theorie des eindeutigen Entsprechens algebraischer Gebilde. Mathem. An- nalen VIII. (2) Per questa osservazione e per l’altra contenuta nel $ 2 riferentisi alla teoria ge- nerale delle superficie, si può confrontare la mia: Introduzione alla geometria sopra le superficie algebriche (Memorie dell’Accad. dei XL, 1896). — 192 — Allorchè è data una superficie F,, d'ordine # e se ne considera la se- zione con una generica superficie aggiunta ,-4 d'ordine 7 —4, si deve an- zitutto ritrarne la curva multipla stessa contata opportunamente secondo ri- sulta dal modo di comportarsi in essa di una superficie aggiunta (dunque 2 (£—1) volte se si tratta di una curva ipla ordinaria): la parte residua contiene sempre come parti fisse quelle, eventuali, curve (eccezionali) che con una trasformazione della superficie possono esser mutate in un punto sem- plice; ma di queste curve eccezionali si distinguono due specie, secondochè il punto che viene a corrispondere ad una di esse sopra una opportuna trasfor- mata F", d'ordine n°, non appartiene o invece appartiene a tutte le super- ficie @,_y d'ordine x — 4 aggiunte a F",: ora le curve eccezionali della 1° specie debbono ancora essere ritratte dalla sezione di F,, colle pn-4; le in- tersezioni residue costituiscono propriamente le curve canoniche di F,,. Dunque nelle curve canoniche di F,, verrebbero incluse le eventuali curve eccezionali della 2° specie, la presenza delle quali costituisce perciò un caso di riduci- bilità del sistema canonico di F,. Siccome poi si tratta di questioni inva- riantive ammettendo la irriducibilità del sistema canonico, deve anche esclu- dersi la presenza di qualche punto di F, (comune a tutte le g,-4) che in una trasformazione di F, possa dar luogo a curve eccezionali di 2* specie: in altre parole il sistema canonico su F, non deve avere punti base (chè l’intorno d'un punto base costituirebbe una componente fissa del sistema stesso). Per queste superficie a sistema canonico irriducibile (che debbono ri- guardarsi costituenti il caso generale) si ha che il numero delle intersezioni variabili di due curve canoniche (di genere pl’) è p® = pV_1 (Noether, 1. c.). Ciò premesso (a scanso di equivoci) si ha il resultato seguente: Le superficie algebriche di cui le curve canoniche sono irriduci- bili iperellittiche (20225 Ap -19) a) posseggono un fascio razionale di curve di genere due, oppure sono rappresentabili ; 6) sul piano doppio con curva di diramazione dell’ 8° ordine (p= 3); c) 0 sul piano doppio con curva di diramazione del 10° ordine ((I—10)5 2. Avanti di entrare in argomento, cioò di venire alla dimostrazione del resultato innanzi enunciato, mi par conveniente di riportare la proprietà che caratterizza le curve canoniche sopra una superficie di fronte ad un qualsiasi sistema lineare (irriducibile) su di essa tracciato, poichè di questa proprietà dovremo far uso più volte nel seguito. — 193 — Sopra una superficie F_una curva canonica sega la curva generica C di un qualsiasi sistema lineare irriducibile |C| secondo un gruppo che sommato all'intersezione di un'altra C (ossia ad un gruppo della serie caratteristica di |C|) e al gruppo dei punti base di |C|, costituisce un gruppo canonico (di 2p® — 2 punti) della detta C (di genere pl). Viceversa tale proprietà è caratteristica per le curve canoniche. È sottinteso che alla superficie F si possa indifferentemente sostituire una sua trasformata, e però si debba tener conto opportunamente delle curve ecce- zionali di F cui venissero a corrispondere punti base per |C|, aggiungendo esse pure alle curve canoniche, appunto come si fa dei nominati punti base. 3. Consideriamo una superficie F_a curve canoniche (irriducibili) iperel- littiche (p >2,9% >). Consideriamo su di F un fascio generico di curve canoniche: le infinite 9g, appartenenti alle curve (iperellittiche) del fascio, danno luogo ad una involuzione 1° su F: se gli elementi (coppie) di questa T° si considerano essi stessi come i punti (in senso astratto) d'una nuova superficie F', la F' possiede un fascio razionale di curve razionali (ciascuna curva essendo costituita dalle infinite coppie di una delle nominate 921), € però è razionale (!), ossia rappresentabile punto per punto sul piano. Per con- seguenza la data F è rappresentabile sul piano doppio, riferendo ai punti del piano le coppie della 7° (e ciò osserva pure il sig. Noether, Mathem. Annalen VIII). Segue (*) che tutte le curve canoniche di F_ appartengono all’involuzione 7° ossia contengono infinite coppie di questa (costituenti alla lor volta su ciascuna curva una involuzione y3'). La involuzione 7° ottenuta su F a partire da un fascio di curve ca- noniche (iperellittiche), varierà con questo fascio, o sarà indipendente da esso? È facile riconoscere che la 7* non varia al variare del fascio di curve canoniche scelto su F. Si può fare la dimostrazione per assurdo nel modo seguente: se la 7»? su F varia col fascio nominato, essa deve variare con con- tinuità, e con continuità deve variare ancora l' involuzione y»* composta dalle coppie di I° appartenenti ad una data curva canonica; si ha dunque sulla curva canonica una serie continua di involuzioni y,*, le quali debbono essere razionali (3), e la curva stessa è in conseguenza una curva ellittica ( p° = 1), mentre abbiamo supposto che essa sia di genere p® > 1. (1) Cf. Noether, Veber Flichen welche eine Schaar rationaler Curven besitzen, Math. Ann. II. (2) Cf. Castelnuovo, Istituto lombardo 1891, e le mie: Ricerche di geometria sulle superficie algebriche, VI (Memorie Accad. Torino 1893). (£) Il teorema che afferma l'impossibilità di una serie continua di involuzioni irra- zionali sopra una curva è stabilito implicitamente dal sig. Painlevé: Iémotre sur les équa- tions differentielles du premier ordre, Annales de l' École normale 1891, ed esplicitamente (con altro metodo) dal sig. Castelnuovo, Atti dell’ Accad. di Torino 1893, e dal sig. Hum- bert, Comptes rendus e Journal de Mathématiques 1893. RENDICONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 26 — 194 — Deduciamo che sopra la superficie F vi è una involuzione 77° alla quale appartengono tutte le curve canoniche, tale che le coppie di 77° formano su ciascuna curva canonica (iperellittica) la 9. che essa possiede. Dunque nella rappresentazione di F sul piano doppio (ottenuta riferendo ai punti del piano le coppie di 7°) le curve canoniche hanno per immagini le curve razionali d'un sistema lineare 002-!. Questo sistema lineare di curve razionali è determinato dal gruppo base, perchè altrimenti ogni curva razio- nale del sistema più ampio cogli stessi punti base sarebbe l’immagine (doppia) di una curva su F cui spetterebbero le stesse proprietà caratteristiche per le curve canoniche ($ 2). Questa osservazione ci permette di affermare in particolare che le 002-? curve canoniche di F passanti per un suo punto generico A, (le quali curve passano in conseguenza per il punto coniugato di A nella 7°), non passano tutte per altri punti variabili con A. 4. Riferiamo proiettivamente gli elementi (curve) del sistema canonico 002! su F, agli iperpiani Sp-s di un Sp-1: si ottiene allora in Sp-, una su- perficie ® i cui punti rappresentano le coppie della T*, cioè una superficie doppia (dotata d'una certa curva di diramazione) su cui la F viene rappre- sentata. La ® è (per ciò che si è detto innanzi) una superficie razionale rap- presentabile sul piano prendendo come immagini delle sezioni iperpiane le coP-! curve razionali di un sistema determinato dai punti base; essa è dunque una superficie normale a sezioni iperpiane razionali; perciò il suo ordine vale La ® può essere ('): 1° un piano; 2° una superficie di Veronese del 4° ordine in S;; 3° una superficie rigata. Discutiamo partitamente i tre casi. Caso 1°. Se la ® è un piano (doppio), si ha o= 3 GIG e poichè una retta del piano è l’immagine (doppia) di una curva canonica su F, di genere 3, la curva di diramazione del piano doppio ® ha l’ ordine 8. Caso 2°. Se la ® è una superficie di Veronese del 4° ordine in S;, si ha p=6 pY=9, e poichè una sezione iperpiana di ® è l’immagine (doppia) di una curva ca- (*) Cfr. Picard, I von Crelle, C. e Guccia, Circolo Mat. di Palermo, I. — 195 — nonica su F avente il genere pl — 9, la curva di diramazione su ® ha l'ordine 20. Rappresentiamo la ® punto per punto sul piano, in guisa che le sezioni iperpiane di essa abbiano per immagini le coniche, ed avremo rappresentato la superficie F_sul piano doppio con curva limite di ordine 10. Caso 3°. La ® sia una rigata razionale normale in Sp-1 (P >3). Dico che le generatrici di ® rappresentano (doppiamente) curve di ge- nere 2 (costituenti un fascio) su F. Si escluda dapprima che la ® stessa sia in cono. Allora le generatrici di ® non hanno alcun punto comune, e poichè inoltre a ® non appartiene alcuna curva eccezionale, le curve C di F corrispondenti alle rette di ® for- mano pure un fascio (lineare) senza punti base; perciò le curve canoniche se- gano le curve C (di genere 7) su F, ciascuna in un gruppo canonico di 2rr—2 punti e poichè le segano in due punti, le C stesse hanno il ge- mere ze 2. Se la ® è un cono, potrebbe nascere il sospetto che il suo vertice fosse immagine di qualche punto base pel fascio delle curve C aventi come immagini (doppie) le generatrici di D. Ma in questo caso possiamo valutare il ge- nere 77 delle C nel seguente modo: Un iperpiano pel vertice del cono ® (di Sp_1) sega il cono stesso in DO ee: Il 2 nonica spezzata in altrettanti componenti di genere 77 ciascuna: queste com- ponenti debbono esser fra loro connesse, come si deduce riguardando la detta curva spezzata come limite di una curva canonica irriducibile, e però se si valuta il genere (p°) della nominata curva composta secondo la nota for- mula che dà il genere d'una curva spezzata (!), si ha generatrici, al gruppo delle quali corrisponde su F una curva ca- T0 S ni (pe? SD 1) p 9 7? da cui segue (essendo 77 > 1) :=2. Del resto ciò può anche confermarsi col computo dell'ordine della curva di diramazione su ® e del numero delle sue intersezioni colle generatrici di ®. Resta così provato che le superficie a curve canoniche iperellittiche rien- trano nelle tre classi delimitate nel $ 1. Importa ora di vedere che le superficie di queste classi hanno effetti- vamente le curve canoniche iperellittiche. 5. Chè le superficie possedenti un fascio lineare di curve C di genere due abbiano le curve canoniche iperellittiche (supposto p>2,p%>1), (1) Cfr. Noether, Acta matematica, 8, e la mia: Introduzione ecc., $ 16. — 196 — segue subito dalla proprietà caratteristica delle curve canoniche. Invero cia- scuna curva canonica deve incontrare una C in due punti costituenti una coppia della 92° su di essa, e quindi le C (costituenti un fascio lineare) de- terminano sopra ogni curva canonica una g>°. Rimane soltanto da stabilire che i piani doppi con curva limite di ordine 8 e 10 hanno risp. il genere p=3,p=6, e posseggono come immagini delle curve canoniche le rette e risp. le coniche del piano: da ciò segue invero che tali piani doppi rap- presentano superficie algebriche a curve canoniche iperellittiche. L'asserzione precedente è contenuta come corollario nel seguente e- nunciato : Il piano doppio avente come curva limite la curva generale d' or- (a—-3)n dine 2n ha il genere p= uo, possiede come immagini delle curve canoniche le curve d'ordine n—3 (contate due volte). Sia g(cy) =0 l'equazione della curva limite d'ordine 27, e si rappresenti il piano doppio sulla superficie (d'ordine 2%) e = g(2) che ha come 2 (2 — 1) plo il punto all'infinito 0 dell'asse 3 perpendicolare al piano <= La sezione piana generica della superficie fatta con un piano per O ha il genere x —1, e quindi possiede oltre al punto 2(x — 1) plo O, altri #a—1 punti doppi (sia pure infinitamente vicini ad 0): in conseguenza le super- ficie d'ordine 2x — 4 aggiunte alla 2° = g(#y) (le quali sono cilindri di vertice 0), si spezzano in un cilindro fisso d'ordine 7 — 1 proiettante da O la curva doppia, ed in un qualsiasi cilindro d'ordine 7 —3 col vertice O. Segue il precedente enunciato. E rimane così esaurita la questione che forma argomento della pre- sente Nota. 6. Aggiungeremo l'osservazione seguente relativa alla costruzione di una superficie proiettivamente determinata, tipo della classe di superficie con un fascio razionale di curve di genere due. Tali superficie, da quanto si è detto, risultano riferibili al piano doppio con curva di diramazione d'ordine 27 dotata di punto (27 — 6) plo. Si può supporre il punto (2% — 6) plo di questa curva nel punto all’ in- finito dell'asse #, ed allora la sua equazione (in coordinate cartesiane) 9 (29) =0 conterrà 4 al 6° grado. — 197 — Il piano doppio è allora da riguardarsi come proiezione dal punto al- l'infinito dell'asse <, della superficie d’ ordine 2% e=p(47), per cui la retta all'infinito dei piani y = cost è (2 — 6) pla. Si deduce che: Ogni superficie con un fascio razionale di curve di genere due può trasformarsi in una superficie di un certo ordine 2n con retta (2x — 6) pla e un (particolare) punto (2n — 2) plo su questa. In casi par- ticolari si può rappresentare questa superficie sopra un’altra d’un certo or- dine m con retta (m—5)pla o (m—4)pla e punto (m — 2)plo su di essa. Matematica. — Swi determinanti di funzioni nel calcolo alle differenze finite. Nota del prof. ErrorE BoRTOLOTTI, presentata dal Socio V. CERRUTI. Matematica. — Sulle equazioni differenziali delle quadriche di uno spazio ad n dimensioni. Nota di LurGr BERZOLARI, pre- sentata dal Socio BELTRAMI. Le due Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Chimica-fisica. — Su coefficienti di affinità degli acidi dedotti dalle decomposizioni idrolitiche. Nota di U. o: presentata dal Corrispondente R. NasInI('). In una Nota inserita nella Gazzetta chimica italiana (anno XXV, 2, pag. 1) pubblicai uno studio da me fatto, in unione al dott. G. Gigli, Sulla decom- posizione idrolitica del cloruro ferrico, studio che successivamente fu esteso anche al nitrato e al solfato relativamente al quale è stata già inviata per la pubblicazione una nuova Nota alla Gazzetta stessa. Le conclusioni stabilite al seguito delle varie esperienze, mi sembrano di una qualche importanza, non solo per quanto ha stretto riguardo alla decomposizione idrolitica dei sali fer- (*) Lavoro eseguito nel laboratorio di Chimica generale della R. Università di Pisa. — l98.— rici stessi, ma anche perchè offrono il mezzo di misurare con metodo molto semplice i coefficienti di affinità dei varî acidi. Per quanto ha riguardo alla decomposizione idrolitica dei detti sali fer- rici, le osservazioni fatte conducono a ritenere che dessa non si esercita esclusi- vamente a dare idrato ferrico e acido libero, talchè possa dirsi con W. Ostwald (!) che: i sali ferrici, anche ad acidi forti, sono, in soluzione acquosa, più o meno idroliticamente dissociati in acido libero e idrato ferrico colloidale disciolto, ma che la sostituzione di idrossili ai residui alogenici si effettua per gradi, a seconda della diluizione, per modo che devono considerarsi in soluzione o i sali normali, o i derivati mono-, e bi-idrossilati di questi, poi per diluizioni forti anche idrato ferrico, e da ultimo idrato ferrico soltanto per il cloruro e per il nitrato; mentre pel solfato, l’ idrato che si forma, non può assumere lo stato colloidale dipendentemente dalla presenza dell’ acido solforico e quindi si separa allo stato insolubile. Con osservazioni, quanto più è stato possibile accurate, e con esperienze eseguite su gran numero di soluzioni di tali sali ferrici potei, insieme al dott. Gigli, stabilire la quantità di acqua necessaria perchè tutti i residui alogenici fossero sostituiti da idrossili, ossia perchè tutto il sale ferrico fosse scomposto idroliticamente a dare acido libero e idrato ferrico: e i numeri seguenti esprimono, appunto, la quantità di acqua occorrente perchè tale decom- posizione sia completa per una parte in peso del sale, e così: per 1 p. di cloruro ferrico, occorrono p. 120000 di acqua, » 1 » nitrato » ” » 80000 ” a ln solfato i ” » 60000 ” Questi numeri non saranno esatti, nè potrebbero esserlo stante le cause d' errori inevitabili, fra le quali convien notare, principalmente, la difficoltà di preparare i sali in modo che in essi ferro e residuo alogenico si trovino esattamente nel rapporto dato dalle formule : la difficoltà di preparare le solu- zioni a vario grado di diluizione, dovendo misurare, sia volumi piccolissimi delle soluzioni concentrate di sali ferrici, sia grandissimi di acqua; ad ogni modo, tali quali sono, posson dare un adeguato concetto del come varii la quantità di acqua col variare della natura del residuo alogenico. E calco- lando in base a detti numeri, quanta acqua occorra per separare dal ferro i varî residui alogenici, si può dire che, in numeri tondi, pel residuo Ch. occorrono p. 6480000 di acqua, ” ” NO? ” » 6430000 ” ” n. LS, ) » 3980000 ) 2 Questi ultimi numeri poichè esprimono la quantità di acqua necessaria e sufficiente ad impedire che l'acido fattosi libero reagisca con l’ idrato fer- (4) Wiss. Grundl. d. anal. Chemie, 126. iii — 199 — rico, oppure, il che è lo stesso, ad annullare l’azione degli acidi stessi, do- vranno anche esprimere l' energia relativa degli acidi cloroidrico, nitrico, sol- forico : dovranno cioè essere proporzionali ai numeri coi quali Thomsen espresse l’avidità degli acidi, proporzionali, quindi, ai coefficenti di affinità di Guld- berg e Waasge. I numeri, dati da Thomsen ad esprimere l’ avidità dei detti acidi, sono: per 1 molecola di acido cloroidrico = 1 » ll ” nil ‘canibaicompie== 1 mbe ” » solforico = 0,49 I numeri che ho dato sopra stanno fra loro nel rapporto: pel residuo Ch. = 6480000 . . . 1 7 ’ INO=:—=6430000 ae. 10,99 7 DMS 3980000, Me 700,61 2 L'accordo coi numeri di Thomsen è dunque perfetto per l'acido cloro- idrico e nitrico. Il leggero disaccordo per l'acido solforico, trova ampia giu- stificazione nella maggiore difficoltà incontrata nelle esperienze relative al sol- fato ferrico pel quale la insolubilità dell’idrato ferrico, non consente di co- gliere con sufficiente esattezza il punto della completa decomposizione; in prova di ciò, mi basta di far rilevare che si avrebbe avuto accordo perfetto, qua- lora la quantità di acqua necessaria a determinare la decomposizione relati- vamente ad 1 p. in peso di solfato ferrico, fosse risultata di p. 50000 anzi- chè di 60000, vale a dire per una differenza del contenuto in solfato di gr. 0,00033 0/6. Credo dunque poter concludere che lo studio delle decomposizioni idro- litiche relativamente ai diversi sali, possa condurre alla misura dei coefficenti di affinità dei varî acidi (e dei varî metalli) come î metodi di Thomsen e di Oswald ed in modo molto più semplice. Chimica. — Avcerche sui prodotti di ossidazione degli idra- coni. I. Ossidazione del benzalfenilidrazone ('). Nota di G. MinunnI ed E. Rap, presentata dal Socio PATERNÒ. Per ossidazione del benzalfenilidrazone con ossido giallo di mercurio in soluzione cloroformica uno di noi (*) ottenne tempo fa una sostanza gialla ben cristallizzata fusibile a 180°, che all'analisi diede numeri corrispondenti alla formola Cs, Hs» N,. H. v. Pechmann (8) trovò in seguito che questo (!) Lavoro eseguito nel laboratorio di Chimica generale della R. Università di Palermo. (2) Gazz. chim. Ital., t. XXII, parte II, 228. (8) Berichte, XXVI, 1045. — 200 — prodotto di ossidazione si forma anche per trattamento del benzalfenilidra- zone con nitrito di amile in soluzione eterea e per azione dell’ aldeide hen- zoica sulla nitrosofenilidrazina. Recentemente poi H. Ingle e H. H. Mann (') ottennero l’ identica sostanza trattando l’ idrazone dell’ aldeide benzoica con Jodio ed etilato sodico in soluzione eterea. In quest'ultima reazione si forma contemporaneamente un corpo fusibile a 208°, che i chimici inglesi consi- derano come uno stereoisomero dell’osazone del benzile. Al prodotto di ossidazione del benzalfenilidrazone uno di noi attribuì la formola di struttura C; HSCH:N.N.C,H; | CE CACHE NI. N /CJHL che fu poi accettata da H. v. Pechmann, il quale diede al suddetto prodotto il nome di dibenzaldifenilidrotetrazone (°). Gli studî sui prodotti di ossidazione degli idrazoni furono continuati in questo laboratorio. Noi ci siamo occupati specialmente del benzalfenilidrazone, ed abbiamo trovato che esso fornisce non uno ma tre prodotti di ossidazione, due dei quali sono isomeri fra di loro e capaci di subire delle trasforma- zioni chimiche interessanti. Sul meccanismo di queste trasformazioni e sulla costituzione dei composti che ne risultano non è stata fatta ancora piena luce; pur nondimeno, per ragioni di priorità, crediamo opportuno, dopo le pubblicazioni di v. Pechmann e di Ingle e Mann, comunicare sommariamente i risultati finora ottenuti (8). Ed anzitutto dobbiamo rettificare le inesattezze in cui sono incorsi i sullo- dati chimici a proposito del punto di fusione del dibenzaldifenilidrotetrazone. Secondo H. v. Pechmann questo corpo fonde a 190° e non già a 180° come aveva osservato uno di noi. Evidentemente v. Pechmann non lesse il lavoro originale pubblicato nella Gazzetta chimica (t. XXII, II, 228): ivi è detto che la sostanza fonde con decomposizione a 180° in un bagno prece- dentemente riscaldato, e così è realmente. Ma nella fusione il dibenzaldife- nilidrotetrazone si trasforma, come noi abbiamo trovato, in un composto iso- mero che fonde a temperatura più elevata, e si differenzia dall’ idrotetrazone anche per le sue proprietà chimiche. Provvisoriamente chiameremo questa sostanza deidrobenzalfenilidrazone. In un bagno riscaldato precedentemente a 200° circa il dibenzaldifenil- idrotetrazone fonde a 180-181° con sviluppo di gas, e viene lanciato con vio- (1) Journal of the chem. Society 1895, 606. (2) Berichte, XXVII, 2920. (8) La descrizione particolareggiata delle esperienze eseguite si trova, unitamente ai dati analitici, in una Memoria che è stata giù presentata alla Direzione della « Gazzetta chimica italiana » e che verrà pubblicata in uno dei prossimi fascicoli di detto periodico. — 201 — lenza nella parte superiore del tubicino, ove immediatamente sì solidifica. Quando si riscalda lentamente la trasformazione nell’ isomero avviene egual- mente fra 175-180°, ma non è preceduta dalla fusione, anzi l’ alterazione che subisce la massa in queste condizioni di esperienza, nel momento in cui ha luogo la trasposizione molecolare, è appena visibile. Continuando a riscaldare, il deidrobenzalfenilidrazone formatosi fonde fra 185 e 190°, ma questo non è che il punto di fusione del prodotto grezzo, il deidrobenzalfenilidrazone puro fonde verso 198-200°. Ingle e Mann non si accorsero neppure essi della trasformazione che subisce l idrotetrazone per azione del calore; essi trovarono per il deidroben- zalfenilidrazone grezzo il punto di fusione 186°, che erroneamente attribuirono all' idrotetrazone. In una nota successiva uno di noi descriverà altre esperienze ora in corso, da cui risulta che anche i prodotti di ossidazione di altri idrazoni sono in grado di subire analoghe trasformazioni per azione del calore. Abbiamo inoltre osservato che il deidrobenzalfenilidrazone si forma anche direttamente dall’ idrazone dell’aldeide benzoica. Ossidando quest’ ultimo con ossido giallo di mercurio in soluzione cloroformica più o meno concentrata, sì ottiene costantemente un miscuglio di deidrobenzalfenilidrazone e di diben- zaldifenilidrotetrazone. Operando invece con ossido di mercurio in soluzione cloroformica molto diluita, oppure in soluzione eterea, si ottiene esclusivamente deidrobenzalfenilidrazone. H. v. Pechmann ossidando l’ idrazone dell'aldeide benzoica con nitrito di amile ottenne soltanto l’ idrotetrazone. Appena egli pubblicò la sua nota noi ripetemmo l’esperienza e consta- tammo che in questa reazione si formano invece tre prodotti, cioè 1’ idrote- trazone, il deidrobenzalfenilidrazone, che noi avevamo fin d'allora ottenuto per le vie suindicate ed un terzo composto ossigenato che, a differenza dell’ i- drotetrazone e del suo isomero, è insolubile nel benzolo anche a caldo; esso sì scioglie invece nell’alcool bollente da cui cristallizza in aghi od in gra- nellini che non fondono neppure a 240°. Su questa sostanza non abbiamo potuto fare uno studio accurato, perchè si forma in piccolissima quantità e non fu ottenuta allo stato di chimica purezza. La formazione del deidrobenzalfenilidrazone nella reazione fra 1’ idrazone dell’ aldeide benzoica ed il nitrito di amile, è stata constatata anche da Ingle e Mann, ma questi chimici non fanno alcun cenno del terzo prodotto di ossi- dazione che noi siamo riusciti ad isolare. Per quanto riguarda le proprietà chimiche dei due isomeri, noi ci siamo occupati per ora principalmente del loro comportamento col cloruro di benzoile. Il dibenzaldifenilidrotetrazone CH; .CH:N.N.C6 Hs | CRESCENTI. N. CREA RenpICONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 27 — 202 — pur non contenendo idrogeno immidico, reagisce, come noi abbiamo constatato, con grande facilità col cloruro di benzoile dando un miscuglio di diversi corpi. Ma il prodotto principale della reazione, che noi abbiamo ottenuto chimica- mente puro e che fonde a 211-213°, non è un derivato benzoilico. All’analisi esso diede numeri corrispondenti alla formola C,4 Hio N. Su questo composto, cui molto probabilmente compete una formola doppia di quella suindicata, non abbiamo ancora fatto uno studio profondo; abbiamo però osservato un fatto importante che contribuirà certamente a chiarire la sua costituzione. È Secondo le nostre esperienze la sostanza fusibile a 211-213° si forma anche per azione del cloruro di benzoile sul f-osazone del benzile (p. di f. 255°): CH; CIN.NH.C H; | C H5C:N.NH.C;H; Molto probabilmente nella reazione fra il cloruro di benzoile e l’ idrotetra- zone si formerà dapprima per trasposizione molecolare C, H; CH:N.N.C, H; Cs H; C:N.NH.C; H; > | | CH; CH:N.N.C5H5; CH; G:N.NH.0:Hs l’osazone del benzile, che in una seconda fase fornisce col cloruro di benzoile la sostanza fusibile a 211-213°. In favore di questa interpretazione parla la proprietà che ha 1’ idrote- trazone di trasformarsi in benzileosazone (punto di fusione 225°) per azione della potassa alcoolica (1). Il deidrobenzalfenilidrazone riscaldato con cloruro di benzoile a 100° for- nisce anch'esso il composto fusibile a 211-213°, però in soluzione benzolica, oppure per l’azione diretta del cloruro di benzoile a 95-97° fornisce come prodotto principale un composto anch’ esso ben cristallizzato e fusibile a 173°. Avendo tentato di cristallizzare quest’ ultimo corpo dall’ alcool bollente, abbiamo constatato che esso si trasforma in un nuovo prodotto fusibile a 186°, che ha la composizione di un derivato monobenzoilico dalla formola C26 Ha; N4(COG:; H5) La sostanza fusibile a 173° non è stata ancora analizzata, non avendo potuto riprepararla per mancanza di materiale. È probabile che ad essa competa anche la formola suindicata di un derivato monobenzoilico, e che per l’azione del- l'alcool subisca semplicemente una trasposizione molecolare. (1) Journal of the chem. Society 1895, 611. — 203 — Uno di noi ha già in corso altre esperienze dirette a chiarire la costi- tuzione dei prodotti di ossidazione del benzalfenilidrazone e dei loro derivati. Le ricerche saranno estese anche ad altri idrazoni. Nella seguente tabella sono riunite le trasformazioni che abbiamo pre- cedentemente accennate. é (H°900)"N"H"9 0981 © OTIqISnI ICOOTERU09 e (H°000) "N H °°9 o8I6-118 39 1000 °H°9 uo9 oî6e 3 "d — O’N°®“H°°9 ezuegsog an Ì oI8I-081 ‘3 ‘d QUOZEIFIZOIPI[TU9}IP]eZuOqrq —_—> — > 09Ipos 0}e[Igo pa OIOZUIQ aprop[e uo9 CUIZEIPI]TUAFOSOIZIN oS4I è oqrqisny ezuegsog | TO 00 *H°9 u09 TO 09 “H°o uo | @9I1]009]8 essezod uoo N°'H"9 ezuegsog | i Quozeso]Izuag-g | 23 | 299 [000]e ‘2UIZEIPI]IU9] UO9 07uawIep[eosti 10d | | | È 008ISLI © opuoweprrosia 10d SE E ER: ©) | —©uIztIpi;uo; u00 | 2 00FG © 9[tqIsu} uou 008-861 1} ‘d | 0808 + ‘d UJeuaSISSO eZUEgsog Î rue Ip OpIziU 09 orpof po o]IWre 1) OQuIzIU ‘OTIMOIOUI IP _Opisso uo009 QuoZBIpi[Iu9j[ezuaqoIpio(] Quozeso[IzUog-» PE Î 09Ipos 07e[iga pa orpof uoo : } > OTture Ip oxINIU 0 OTINIIOU Ip OpIsso 10 (0)9) QuoZeIpIjruojezuog 205 Chimica. — Sulle soluzioni solide del fenolo in benzolo. Nota di FELICE GARELLI, presentata dal Socio G. CrAMICIAN. In una Memoria pubblicata nel 1893 (') io ho fatto rilevare, che il comportamento crioscopico del fenolo sciolto in benzolo era diverso da quello proprio agli altri fenoli in genere: e già allora ho enunciato l'ipotesi che tale anomalia caratteristica risultasse dalla concomitanza di due cause diverse. L'una di queste, e la principale secondo me, doveva risiedere nella formazione di soluzione solida fra il fenolo e il benzolo, indotta dalla so- miglianza di costituzione delle due sostanze: l'altra, comune ai corpi ossi- drilati in genere, era rappresentata dalla ben nota tendenza a formare molecole complesse non interamente dissociate dal solvente, specie quando questo è un idrocarburo. Io fondavo allora questa supposizione, e sull’ analogia di comportamento crioscopico coi due naftoli sciolti in naftalina, e sulla notevole differenza di comportamento del fenolo in benzolo a seconda che impiegavo il metodo crioscopico o quello ebulliometrico. Nello stesso anno Auwers (*), benchè non anco a conoscenza della mia pubblicazione e senza fare dal canto suo alcuna ipotesi, avvertiva egli pure che il fenolo sciolto in benzolo si comportava diversamente dagli altri com- posti aventi la medesima funzione chimica. Recentemente (3) ho avuto occasione di ritornare su tale questione, poichè credetti di aver trovato muovi fatti in appoggio della mia ipotesi: dacchè anche il comportamento erioscopico degli acidi ossibenzoici nel ben- zoico, dei biossibenzoli nel fenolo, corpi tutti differenti dal solvente per un solo idrossile, fu da me attribuito parimenti alla formazione di soluzione solida. Ciò anzi ho potuto dimostrare pel caso dell'acido salicilico sciolto nel henzoico. Allo stesso ordine di anomalie mi sembrò si dovesse ascrivere quella interessantissima e caratteristica scoperta da Paternò per l'ossidifenilmetano sciolto nel difenilmetano. Però, mentre per il comportamento dei naftoli (4) in naftalina e degli acidi ossibenzoici in benzoico (°) ci sono delle espe- rienze dirette che ben dimostrano come in tal caso l'anomalia crioscopica sia dovuta alla formazione di soluzioni solide, pel caso importante e fonda- mentale del fenolo in benzolo una tale prova non era stata ancor data. (1) Gazz. chimica, 1893, II, pag. 369. (2) Zeitschrift. phys. Chem. 1893, XII, pag. 709. (8) Gazz. chimica, 1895, vol. II, pag. 179. (4) Zeitschrift. phys. Chem., VIII, 343. (>) Gazz. chimica, 1896, vol. I, pag. 61. — 205 — Perciò mi parve necessario colmare questa lacuna, e questo mi propongo di fare nella presente Nota. Per provare che il fenolo cristallizza in parte con il solvente quando se ne fa congelare la soluzione benzolica io ho seguito il metodo ideato da A. van Bijlert del quale già ripetei la descrizione nella mia ultima Nota. Nella massa cristallina, che si separa, il fenolo si può determinare molto esattamente per via volumetrica, trasformandolo in tribromofenolo. Rispetto al modo più conveniente di preparare i liquidi titolati e di eseguire il saggio ho seguito le istruzioni contenute in un lavoro di Kiister (!). Posso confermare anch'io che con tale metodo la determinazione del fenolo viene eseguita con una esattezza sorprendente. Come sostanza normale ho scelto il benzile. Per effettuarne nettamente la separazione dal fenolo e dal benzolo mi occorreva un corpo di natura indifferente, che fosse insolubile nell'acqua, che non venisse alterato dalle soluzioni alcaline neppure con lieve riscaldamento, ed infine che si potesse determinare con facilità ed esattezza sufficiente. Il benzile risponde abba- stanza bene a tutte queste condizioni. Prima naturalmente mi sono assicurato, con alcune determinazioni crioscopiche, che il benzile, sciolto in benzolo, dà peso molecolare normale, e che il fenolo, in presenza di benzile, dà il medesimo abbassamento del punto di congelamento che produce da solo. Benzile in benzolo, Cra Hio Os =: 210. Concentrazione Abbassamento Peso molecolare del p. di congelamento 1,2201 09,290 206 2157 0,515 205 Fenolo aggiunto alla precedente soluzione 2,971 09,640 181 169 (?) Rispetto al modo di eseguire la determinazione ho operato così: dalla miscela preparata in proporzioni note, separavo con l'apparecchio solito, una porzione di cristalli uguali circa al decimo del peso totale della miscela. I cristalli venivano fusi col calore della mano , il liquido raccolto in boc- cettina di vetro a tappo smerigliato, di conveniente capacità, tarata, e ripe- sata in seguito. Aggiungevo poscia soluzione di potassa caustica in eccesso, agitavo fortemente, trasportavo il liquido in cassula di vetro, lavando la boccetta prima con etere, poi con acqua; scaldavo la cassula per qualche (*) Berichte, XVII, pag. 328. (2) Peso molecolare fornito dal fenolo in soluzione puramente benzolica alla concen- trazione del 2,4465, secondo le esperienze di Paternò. — 206 — tempo, ma senza far bollire, su bagno maria a fine di eliminare l'etere e il benzolo. Il benzile così separatosi dal liquido veniva raccolto su filtro tarato e pesato dopo essicamento nel vuoto su acido solforico e paraffina. Nel filtrato determinavo il fenolo col metodo volumetrico sovra accennato. Esperienze preliminari eseguite prima sopra quantità note di fenolo, poi sopra mescolanze di fenolo, benzile e benzolo, mi hanno dato i seguenti risultati, comprovanti la bontà del metodo di analisi testè descritto. I. Fenolo presente gr. 0,0537; fenolo trovato gr. 0,05334 pari a 99.3 °/, II ( Benzile » » 0,0943; benzile » » 0,0938350 =» 99.2» ‘(Fenolo > » 0,0643; fenolo » » 0,06425 >» 99.9» III ( Benzile » » 0,0840; benzile » » 0,08260 » 98.3» ‘0 Fenolo ” » 0,0537; fenolo » » 0,05294 » 9845 Ed ora ecco i risultati delle prime sei esperienze ch'io ho eseguite sopra soluzioni di diversa concentrazione: I. Esperienza. Composizione della miscela: Benzolo gr. 52,11 pari a 94,06 pcto. Fenolo » 1,647 » 2,97. > Benzile » 1,647 >» 2,97 >» » 55,404 100,00 Peso della massa cristallina separata . . . . . . . gr. 6,778 In. essa. si trovò: Ferolo Ml, LL Bene eee L00000) Fenolo nella soluzione solida. . . . » 0,0485 Su 100 parti di massa cristallina havvi dunque 0,6860 di fenolo in soluzione solida. Cioè su 100 parti di esso, contenute nella miscela, se ne depongono 23,10. II. Esperienza. Composizione della miscela: Benzolo gr. 30,167 pari a 90,50 peto. Fenolo » 1,583 ” 4,05» Benzile » 1,583 ” GT » 33,333 100,00 Peso della massa cristallina separata . . . . . . . gr. 3,157 In essa si trovò: Fenolo MM. 0 0, e 090 BenzileBi6s ti. 0 e 0000 Fenolo della soluzione solida . . . . » 0,0383090 ” ’ » p. 100 cristalli »_ 0,9787 — Cioè su 100 parti di fenolo nella soluzione se ne depongono 20,60. ITI. Esperienza. Composizione della miscela: Benzolo gr. 31,45 pari a 87,66 peto. Fenolo » 2,318 ’ 6,46» Benzile ». 2,113 ” 5,88» » 35,881 100,00 Peso della massa cristallina separata . . . . . . . gr. 3,256 ImgessafsietrovoFenoloem setti n. n 009244 Benzi ei. n) 0490) A 0,0490 gr. di benzile corrispondono gr. 0,0539 di fenolo dell’acqua madre. Il fenolo della soluzione solida rimane quindi uguale a 0,03854, cioè a 1,1836 su 100 di massa cristallina. Sopra 100 parti di fenolo se ne separano quindi /8,32. IV. Esperienza. Composizione della miscela: Benzolo gr. 29,70 pari a 84,74 pcto. Fenolo » 2,676 ” TOA Benzile » 2,676 ” TOS » 35,052 100,00 Peso della massa cristallina separata . . . . . . . gr. 3,3180 Inmessalisiatrovo FHienologie e reno. Se n 01029 Benzi ee SE e n 0,0990 Fenolo in soluzione solida . . . . . » 0,04429 ” ” » su 100 di cristalli » 1,3313 Su 100 parti di fenolo della miscela se ne separano /7,44. V. Espertenza. Benzolo gr. 30,23 pari a 80,78 pcto. Fenolo » 83,599 ” (0) (091 INTO Benzile » 3,599 ” 9,61» » 37,428 100,00 egg Peso della massa cristallina separata. . . . . . . gr. 1,2949 InWessatsietrov0ReHeno] 0A OO eo MOVE BenzilesMMBsee 050892 Fenolo in soluzione solida. . . . . » 0,0328 ” » » sul0Qdicristalli » 1,2949 Su 100 parti di fenolo della miscela se ne separano parti 73,47. VI. Esperiensa. Benzolo gr. 31,41 pari a 80,20 pcto. Fenolo » 3,877 ” 9,90.» Benzile » 3,377 ” 9,90. » » 839,164 100,00 Peso della massa cristallina separata . . . . . . . gr. 2,7770 INMessa si tro VERO Benzilebette: piego ez 0AI 2.00, Fenolo della soluzione solida. . . . . » 0,03178 ” ” » inl00dicrist.» 1,29 Su 100 parti di fenolo della miscela se ne separano 73,03. Da tutte le esperienze risulta provato nel modo più evidente, che il fenolo cristallizza in parte con il solvente quando se ne fa congelare la soluzione benzolica. Anzi, se si considera la speciale esattezza e facilità con la quale il fenolo ed il benzile si prestano ad essere determinati quantita- tivamente si può asserire, che la prova di quanto volevo dimostrare, risulta anche più sicura che non negli altri casi fin ora esaminati da me e da altri. In quasi tutte le esperienze io ho impiegato soluzioni contenenti la stessa quantità di fenolo e di benzile, e ciò per far risaltare subito, senza bisogno di calcoli, che nella massa cristallina separata trovasi sempre una quantità di fenolo superiore a quella di benzile: lo che prova indiscutibil- mente che il primo si scioglie nel benzolo solido. La differenza fra la quantità di benzile e quella di fenolo è sempre molto rilevante, e tale che non si può assolutamente attribuire ad errori di determinazione o a perdite accidentali dell'una o dell'altra sostanza. Nel rappresentare i risultati io ho adottato lo stesso metodo seguito per le soluzioni benzoiche di acido salicilico. Siccome io ho sempre separato una quantità di cristalli piccola rispetto al totale della miscela, e sempre in proporzione di questa, così non feci altro che sottrarre dalla quantità totale di fenolo quella di benzile, ritenendo la differenza uguale al fenolo in soluzione solida. Non tengo conto cioè del piccolo aumento in benzile che subisce l’acqua madre per effetto della separazione della piccola quantità di puro solvente. Ciò ho fatto osservare anche altra volta. Volendo essere — 209 — più esatti si può tener conto anche di questa circostanza adottando il modo di calcolo seguito da Beckmann (') per le soluzioni di jodo in benzolo. Con tale metodo si avrebbero risultati numericamente diversi anche perchè le concentrazioni sono riferite a 100 parti di solvente e non a 100 parti di miscela come ho fatto io. Sia però che si eseguisca il calcolo nell’un modo o neli’ altro si rileva un fatto molto interessante: ed è che la quantità di fenolo che si separa nella soluzione solida, non rimane costante, ma diminuisce regolarmente col crescere della concentrazione. Come si vede tale diminuzione è ben mani- festa ed è graduale, e per accertarmene meglio ho ripetuto la quinta espe- rienza giungendo, come si vede dalla sesta, all’ identico risultato. Il seguente quadro riassuntivo pone meglio in evidenza questo fatto: Benzile e Fenolo Fenolo della Parti di fenolo Temperatura contenuti in 100 di miscela soluz. solida che si separano approssimativa di contenuto in 100 di crist. su 100 congelam. della miscela I i x 0,6886 23,10 49,57 II I Re di 0,9787 20,60 30,28 DIL.) A d- 1,1836 18,82 20,38 dI i o 1,3313 17,44 19,32 V. i AR di 1,2949 13,47 — 00,18 VI. dt. SS 1,2900 13,00 — 09,41 Adunque, il rapporto tra la concentrazione della soluzione solida e quella della soluzione liquida di fenolo in benzolo non è costante ed inva- riabile con le diverse concentrazioni delle miscele fatte congelare, ma dipende invece da queste. Facendo il calcolo secondo Beckmann per determinare questo rapporto, si ha per la prima esperienza un rapporto uguale a 0,31; per la sesta tale rapporto non è più che del 0,16. Laddove nelle tre espe- rienze a differente concentrazione (però non molto diversa) eseguite da Beckmann su soluzioni di jodo in benzolo il rapporto rimane presso a poco costante e uguale in media a 0,357. Per altri casi invece studiati da Kiister (2) (equilibrio di un sistema di acqua, etere e caucciù, di naftalina acqua e p-naftolo ecc...) non si trovò un rapporto costante, ma un rapporto crescente rapidamente col crescere delle concentrazioni. Nel caso da me studiato adunque tale rapporto non è costante. Ciò (1) Zeitschrift XVII, pag. 123. (*) Zeitschrift XIII, 452; Id. XVI, 156 e XVII, 357. RenpICONTI, 1896, Vol. V, 1° Sem. 28 — 210 — indicherebbe secondo van’t Hoff (!) che il fenolo non possiede lo stesso peso molecolare nella soluzione liquida come in quella solida: lo che potrebbe anche essere attesa la tendenza che ha il fenolo a formare molecole doppie già nel solvente liquido. Ma se ciò fosse il rapporto tra la concentrazione della soluzione solida e quello della soluzione liquida dovrebbe crescere con l'aumentare della concentrazione di questultima, come avviene appunto nei mentovati casi studiato da Kiister. Sembrami invece, che per le soluzioni benzoliche di fenolo si debba porre mente ad un'altra circostanza. In tutte le esperienze da me eseguite la temperatura alla quale avviene il congelamento della soluzione e quindi la ripartizione del fenolo tra il solvente solido e quello liquido non è la stessa, ma va diminuendo dalla soluzione meno concentrata a quello che lo è di più. Ora si sa, che il coefficiente di ripartizione di una sostanza fra due solventi deve essere costante ed indipendente dalle concentrazioni, quando la sostanza nelle due soluzioni ha la stessa grandezza molecolare (?); ma ciò è vero ad una data temperatura. Che la temperatura possa in certi casi influire notevolmente sul coefficiente di ripartizione è provato anche speri- mentalmente dalle citate ricerche di Kiister sull'acqua, l'etere e il caucciù. Io credo quindi che dalle soluzioni più concentrate si deponga col ben- zolo solido sempre meno fenolo, precisamente pel fatto, che tali soluzioni congelano a temperatura più bassa. Devesi notare, che la differenza di tem- peratura non è tanto piccola dall'una all'altra esperienza, come si vede dal precedente quadro nel quale ho dato pure le temperature approssimative di congelamento delle miscele, calcolate in base alla conoscenza dei coefficienti di abbassamento. Nell’ intendimento di provare la mia asserzione ho fatto ancora una espe- rienza. Ho sottoposto alla separazione dei cristalli una soluzione contenente il 3 peto. circa di fenolo, come quella della I* esperienza, ma in essa ho aggiunto l’11 pecto. circa di benzile a fine di abbassare la temperatura di congela- mento e portarla presso a poco verso i 2°. L'analisi dei cristalli mi diede i seguenti risultati : VII. Esperienza. Composizione della miscela: Benzolo gr. 33,87 pari a 85,89 peto. Fenolo » 1,167 ” 2,96» Benzile » 4,40 2 oi 39,437 100,00 (1) Zeitschrift V, 358. (9) ” VII, pag. 110. — 211 — Massaficristallmagiseparata Mentone. (Ae or 14,765 Ingfessa@itiovalsteBienolo Nemesis ci cage o 0 1001070423 I CnZil e Mon Me 0/98, Agr. 0,1738 di benzile corrispondono gr. 0, 0461 di fenolo dell’acqua madre. Il fenolo della soluzione è uguale a gr. 0,024323, cioè a 0,5104 per 100 di massa cristallina. Adunque su 100 parti di fenolo in soluzione se ne depon- gono 17,58. Come si vede io ho trovato quanto mi aspettavo: cioè la quantità di fenolo che si depone, invece di essere uguale al 23 peto., come nel caso della I° esperienza, sta fra le quantità trovate con le esperienze III e IV, nelle quali avviene il congelamento in condizioni poco diverse di temperatura. Riconosco che una sola di queste esperienze non può bastare come prova della spiegazione ch’ io credo di poter dare al fenomeno osservato, e per esclu- dere qualsiasi altra. Anzi sarà necessario in seguito ritornare su tale argomento, e mi riservo di portare il contributo di nuove esperienze. Fin d'ora però è da prevedersi, che l’ influenza della temperatura sul coefficiente di ripartizione di una sostanza fra un solvente solido e quello liquido, non si farà sempre sentire ugualmente ed in modo così evidente in tutti 1 casi, ma dipenderà dalle sostanze considerate. I risultati di queste mie esperienze acquistano un certo interesse perchè il fatto che dalle medesime risulta si accorda con un numero abbastanza no- tevole di osservazioni crioscopiche fatte in questo campo. Di fatto nello studio del congelamento di tali caratteristiche soluzioni anormali ben di rado ho no- tato quella costanza nell’anomalia che la teoria di van't Hoff farebbe preve- dere, e che si constata per es. nella soluzione benzolica di tiofene, ed in poche altre. Assai spesso invece io ho notato, che aumentando la concentrazione dimi- nuisce il peso molecolare, talchè questo va avvicinandosi a quello normale, fino ad un certo grado della concentrazione (!). Questo comportamento è spic- catissimo e ben manifesto per le soluzioni di 22dolo, di scatolo, di indene, di a-naftolo, del cumarone in naftalina, del fetraidrodifenile nel difenile e per altre ancora. Tale fatto con la teoria di van’ t Hoff non si può spiegare se non am- mettendo che dalle soluzioni più concentrate si separi col solvente minor quan- tità di sostanza sciolta. Come ciò potesse avvenire non si comprendeva facil- (1) Pel fenolo sciolto in benzolo tale fatto non si può verificare in modo evidente, perchè a determinarne il comportamento crioscopico anormale influisce anche la funzione chimica di esso, che tende ad accrescerne per altra ragione il peso molecolare. Tuttavia, secondo accurate determinazioni di Auwers, parrebbe che anche pel fenolo, almeno a con- trazione molto bassa, si abbia l’accenno ad un analogo comportamento. Questo autore di fatto ha trovato (Zeitschrift XII, 696) pel fenolo in benzolo alla concentrazione del 0,30 °/o il peso molecolare 145, mentre a 0,51 °/, trovò 143. — 212 — mente; ed il comportamento delle summentovate soluzioni anomale costituiva una difficoltà che la sola teoria di van’ t Hoff a prima vista non riusciva a sormontare: e ciò feci rilevare già altra volta (!). Laddove se la mia suppo- sizione può venire confermata, tale difficoltà scompare, ed il comportamento crioscopico speciale delle citate soluzioni riceve una spiegazione piana e soddisfacente. Mineralogia. — Metodo per determinare l’ indice di rifrazione della luce di un minerale nelle lamine sottili. Nota di C. VioLAa, presentata dal Socio STRUVER. Il metodo che qui presento al giudizio del lettore, si basa sulla ma- niera di illuminazione proposta ed impiegata da Fr. Becke per distinguere un minerale più rifrangente da un minerale meno rifrangente, a contatto fra loro e trovantesi in una lamina sottile (?). Avendo a disposizione un diaframma-iride centrale situato sotto o sopra il Nicol polarizzatore di un microscopio, per mezzo del quale è possibile di regolare a piacere l’entrata della luce, che deve attraversare la lamina sot- tile, si osserva una striscia chiara dalla parte del minerale più rifrangente, alzando di poco l'obbiettivo, ed una striscia scura dalla parte del minerale meno rifrangente. A causa di ciò quello apparisce in rilievo sopra questo. Il fenomeno è più distinto se in luogo del diaframma centrale, si impiega illu- minazione laterale od obbliqua, come Becke stesso consigliò. Ma è da notarsi che il rilievo non apparisce, o non apparisce distinto, se il campo è troppo illuminato; anzi ognuno avrà osservato che il detto ri- lievo, o la striscia chiara sarà discernibile tanto più facilmente per una data illuminazione, quanto più è grande la differenza degli indici di rifrazione dei due minerali contigui. Se ad esempio, per una data illuminazione, si vede distinta la striscia chiara al contatto dell’anortite colla leucite, non la si vede al contatto della leucite coll’ ortoclasia. Io mi servo del grado di illu- minazione, che è appena necessario a discernere la striscia chiara al con- tatto di due minerali, e che chiamo limite di illuminazione, per determi- nare la differenza degli indici di rifrazione di quelli. (‘) Gazzetta chimica, 1894, II, 273. (2) Fr. Becke, Veber die Bestimmbarkeit der Gesteinsgemengtheile auf Grund ihres Lichtbrechungsvermogens. Abh. d. k. k. Akad. der Wiss. Wien 1893. A. Michel-Lévy, Étude sur la détermination des feldspaths. Paris 1894, pag. 58 e seg. C. Viola, Veber eine neue Methode zur Bestimmung des Lichtbrechungsvermogens der Minerale in den Dinnschliffen. Tschermak°s Miner. Mitth. etc. 1895, p. 554. — 213 — Una breve considerazione ed un disegno renderanno chiara la cosa. M, ed M rappresentano in sezione trasversale due minerali in una lamina sottile, il contatto dei quali è 40, ed i cui poteri rifrangenti sono 7, ed 23, es- sendo 7, < 23. La luce polarizzata viene dall’apertura CC = 22 del diaframma- iride BB. La quantità di luce che sarà total- mente riflessa dal piano di contatto 4b, sarà quella compresa nell'angolo 247, n essendo cos g = n . Essa determina Ìa 2 striscia chiara nel minerale più rifran- 1 gente M. (alzando l'obbiettivo), e per ; la sua mancanza nella parte opposta, la Î . striscia oscura nel minerale meno rifran- B B gente M,. I raggi contenuti nel fascio D-33 zay non pervengono naturalmente da tutta l’iride, ma da una sola parte di essa, vale a dire da un'apertura, il cui raggio è 4, qualora 4 si determina prolungando il raggio luminoso passante per 2, e facente con 40 l'angolo g. Dunque solo la luce proveniente da un'apertura 4 dell’iride è la quantità luminosa, che viene in aggiunta per generare la striscia chiara nel minerale più rifrangente. Chiamo con I, l'intensità di questa luce, la quale sarà pro- porzionale a d?. Sia I l'intensità di tutto il campo, la quale sarà pure pro- porzionale prossimamente a D?. Il rapporto fra l’intensità I, e l'intensità I, cioè I d? d) co: avrà un determinato valore, e non dovrà mai scendere sotto un dato limite, se sì voglia che l'occhio sia capace di distinguere la luce I, collocata sulla luce I. Chiamo con é questo rapporto, che non è noto, nè fa d'uopo che esso lo sia. Il raggio d sarà proporzionale a sen g, avremo intanto d eSS, T7 n° TM a I (n° a mM) (n° + ni) : Na? 03 Notiamo che qui si potrà porre 27» in luogo di x» + ,, e che allora il rapporto 2% pg No sarà proporzionale a 2: — ,, quando si voglia paragonare minerali meno ri- — 214 — frangenti a un minerale più rifrangente. Se all'incontro si hanno da parago- nare minerali più rifrangenti ad uno meno rifrangente, il raggio 4 si met- terà sotto la forma ed anche in questo caso sarà d° proporzionale a 2 — %1 . Queste brevi considerazioni tendono semplicemente a dimostrare che è sempre lecito di scrivere d=k(n—-n), e di ritenere /% come costante in tutti i casi, e dentro i limiti, che si pos- sono avvicinare, quanto si vuole. Stabilito questo, la 1) diviene ge k(ne-m) ° DI ossia (nm—-n)=4D? essendo 4 una costante da determinarsi : La differenza degli indici di rifrazione di due minerali contigui è proporzionale direttamente al quadrato dell'apertura del diaframma-iride al limite dell’ illuminazione del campo. Questa condizione dice pertanto che quando è noto l'indice di rifrazione di un minerale, è determinabile anche quello dell'altro, purchè sia nota l’a- pertura dell’'iride al limite dell'illuminazione del campo per avere la striscia chiara discernibile. Ed ecco ora in quale maniera si può procedere in pratica. La prima questione è di determinare la costante 4; ciò si consegue per mezzo di minerali, il cui potere rifrangente per la luce è dato. Supponiamo, per modo d'esempio, di avere dell'apatite, tagliata normal. mente all’ asse, in contatto col balsamo del Canadà. L'indice di quella è ns == 1,638, di questo 7, == 1,549. Si alza di poco l'obbiettivo, e si chiude man mano l’iride, finchè sì in- comincia a vedere la striscia chiara nell’apatite al contatto col balsamo. Al limite di questa illuminazione l’ apertura delliride è D= 15 mm. Avremo __1,638— 1,549 ; 15° = 0,00039 . Nella stessa lamina sottile dispongo di un pirosseno a contatto col bal- samo, tagliato parallelamente a (010). La direzione y (xy) di questo fa con € un angolo di 46°. Determino dapprima y indi « (7). A quest’ uopo dispongo — 215 — il cristallo di pirosseno con la direzione y parallelamente al piano di pola- tizzazione del Nicol inferiore. Chiudo man mano l' iride finchè ottengo la striscia chiara nel pirosseno. L'apertura dell’iride è in questo caso D= 20,5 mm. Avremo come dianzi y— 1,549 _ ge = 000089, e quindi y= 1,549 + 0,164= 1,713. Sì gira la preparazione di 90°, e si determina l'apertura delliride, che in questo caso è D= 19 mm. Con ciò si ha a=10 e —- a =0,00039, da cui a = 1,549 + 0,141 = 1,690. Se l'indice di rifrazione per la luce del balsamo del Canadà non è noto, in tale caso si determina la costante 4 necessaria, per mezzo di una lamina sottile, che può servire costantemente di norma, nella quale sia preparato il contatto di due minerali perfettamente noti. Con questo metodo ho determinato gli indici di rifrazione delle diverse zone colorate, che costituiscono i pirosseni delle leucotefriti di 7echiena (prov. di Roma). Le zone gialle, verde-gialle, e verde-prato sono denominate con I, II e III. L'angolo degli assi ottici è stato calcolato: a B y yic 2V() JI 1,675 1,681 1,704 40° OLD II 1,678 1,685 ISZO7 47 59, 48 IMI 1,680 1,687 1,709 56 60, 15 Questi risultati coincidono bene con quelli determinati con un altro metodo. Se l'occhio è sufficientemente esercitato nell’ osservazione, questo metodo può assicurare la terza decimale nell'indice di rifrazione, ma si deve far uso possibilmente di più sezioni o di sezioni grandi, e calcolare la media delle osservazioni. Esso è tuttavia semplice e speditivo, ed ha la preferenza su (1) Il calcolo dell’ angolo degli assi ottici si fa comodamente con la formola loga- ritmica di G. Bartalini: : tan g. tan pi Vedi: Società toscana di scienze naturali, 1887, pag. 179; Zeitschrift f. Kry- stall. etc. XIV (1888), pag. 525; Z'schermak°s mineralogische u. petr. Mittheil. XV (1895), pag. 45. B « COSIRi i MMNicOsigii—=i cosi P 7 Pi 7 — 216 — molti, perchè non si richiede la conoscenza della grossezza della lamina. Io sono giunto a farne pratica per determinare le esilissime inclusioni di apa-. tite e pirosseno nei cristalli di leucite delle lave degli Ernici. A causa della sottigliezza di tali inclusioni, la tinta di polarizzazione di queste non va più in su del grigio scuro, ed altre volte non si rende nemmeno visibile, ed al- lora questo è l’unico mezzo, a cui si deve ricorrere per la diagnosi di tali inclusioni. Nello stesso modo come si riesce di determinare la differenza degli in- dici di rifrazione di due minerali contigui aprendo o chiudendo conveniente- mente l’'iride, si può ottenere lo stesso scopo, lasciando invariata l’ apertura dell'iride e adottando luce più o meno obbliqua secondo la differenza degli indici di rifrazione. Paleontologia. — Sul recente rinvenimento di fossili nel cal- care a Bellerophon della Carma. Nota del dott. A. Tom- MASI, presentata dal Socio TARAMELLI. Sono lieto di poter ora far seguire qualche notizia più dettagliata al- l'annuncio del rinvenimento di fossili determinabili nel calcare a Beller'ophon carnico, dato dal prof. Torquato Taramelli con due Note, l'una (!) del set- tembre dello scorso anno all’adunanza estiva della Società Geologica ita- liana, e l’altra (*) del 17 novembre alla R. Accademia dei Lincei. Ma, prima di entrare in materia, credo non inopportuno di riassumere le varie vedute, ch’ ebbero in questo ultimo ventennio i geologi, sul riferimento cronologico del così detto calcare a Bellerophon. Richthofen, considerando la indisturbata successione degli strati, che dalle colate porfiriche permiane si seguono fino agli orizzonti triasici tipici, lo giudicò triasico e lo comprese nello stesso gruppo cogli strati calcarei di Seiss. L'opinione di Richthofen fu abbracciata anche da Mojsivovies ed Hornes, che, or son quasi vent'anni, studiarono il distretto compreso tra la Val di Gròden e quella di Sexten. Invece lo Stache (3) dapprima considerò quel calcare come un membro di transizione tra il dias ed il trias, tra la massa principale cioè dell’are- naria rossa (Gròdnersandstein) e l'orizzonte di Seiss ad Avieula Clara; ma poi volle in esso vedere un membro del permiano superiore che rappresenta (1) Bollettino della Società geologica italiana, vol. XIV, 1895. (2) T. Taramelli, Osservazioni stratigrafiche sui terreni paleozoici nel versante ita- liano delle Alpi carniche. Rendic. della R. Accad. dei Lincei, vol. IV, 2° sem., serie 58, fasc. IX, 1895. (3) Dott. Guido Stache, Beitràge zur Fauna der Bellerophonkalke Std-Tirols. Jahrbuch der k. k. geol. Reichsanst., XXVII Bd., 1877, Wien. — 217 — una facies alpina, sviluppata con tipo a prevalenza paleozoico, della fauna extraalpina dello Zechstein. A tale veduta di Stache non aderì subito il Giimbel ('), secondo il quale nella fauna del calcare a Bellerophon non si doverano vedere che i resti di una più antica fauna paleozoica continuatasi fino all’epoca triasica; ma più tardi si accostò alle idee di Stache, accon- sentendo a considerare l’ arenaria ad Ullmannia e gli strati a Bellerophon come facies alpina del dyas superiore, quando riuscisse di provare la piena identità di forme tipiche del calcare a Bellerophon con specie caratteristiche dello Zechstein. Che se Stache fondava il suo riferimento sulla affinità della parte maggiore e più importante della fauna di quel calcare con tipi paleo- zoici, massime carboniferi, anzichè con tipi triasici, Gilmbel a sua volta non poteva passar sotto silenzio che i foraminiferi del Bellerophonkalk somigliano assal a quelli del Muschelkalk e gli Ostracodi dello stesso calcare si legano piuttosto con forme del Lias e nulla affatto con quelle del Dyas. Ad ogni modo tra le due opinioni ebbe la prevalenza quella dello Stache, poichè la abbracciò anche il Mojsivovies (2), che, rinunciando all'idea della triasicità del Bellerophonkalk, dapprima manifestata, si pronunciò per la per- micità di questo piano indottovi dal carattere nettamente paleozoico della sua fauna. Il Mojsivovies vede in esso rappresentato lo Zechstein ma con una fauna locale fortemente individualizzata. Però, tenendo conto della man- canza di specie comuni ai due depositi, nega la contemporaneità della fauna dello Zechstein e di quella del Bellerophonkalk e, se c'è differenza d'età, ritiene quella più antica di questa in considerazione degli stretti legami che la rannodano colle faune permo-carbonifere. Ed anche il prof. Taramelli (3), che nel 1877 aveva assegnata al trias la formazione gessifera comprendente, insieme col calcare nero a Be/lerophon, le dolomie cariate e le marne cineree, nei suoi lavori susseguenti sulla geo- logia del Friuli (‘) delle Provincie Venete (5) e del Bellunese (6) riferì la zona del Bellerophonkalk al permiano, pur riconoscendo lo stretto legame stratigrafico, che passa tra essa edi sedimenti del trias inferiore nelle aree da lui studiate. Nè lo Stache (7) nel frattempo cambiò modo di vedere, poichè nel 1884 (1) C. W. Giimbel, Die geognostische Durchforschung Bayerns. Minchen, 1877 im Verlage der K. B. Akademie. (2) E. Mojsivovics, Die Dolomit-Riffe von Sid-Tirol und Venetien, Wien, 1879. (3) T. Taramelli, Catalogo ragionato delle roccie del Friuli. Roma, 1877. (4) Id., Spiegazione della carta geologica del Priuli. Pavia, 1881. (5) Id., Geologia delle Provincie Venete. Memorie della R. Accademia dei Lincei. Roma, 1882. (5) Id., Note illustrative alla carta geologica della provincia di Belluno. Pavia, 1883. (?) G. Stache, Veber die Silurbildungen der Ostalpen mit Bemerkungen iiber die Devon, Carbon, und Perm-Schichten dieses Gebietes (Zeitschr. d. d. geol. Gesellsch. Jahrg., 1884). È RenpIcoNTI. 1896, Vol. V, 1° Sem. 29 — 218 — ebbe anzi a riaffermare la spettanza del Bellerophonkalk al permiano ed a riferirlo al gruppo dello Zechstein. Un ritorno alla prima idea dello Stache, pel quale il calcare a Belle rophon appariva come un membro di transizione tra il Dyas ed il Trias, l’ha fatto l’anno scorso il dott. W. Salomon ('), che vede in quel calcare « una formazione di passaggio fra il permiano ed il Trias, comprendente per certo una parte, e cioè l' inferiore, dell'/7/aupibduntsandstein tedesco ed un’ altra dello Zechsteîn o permiano superiore dell'Europa centrale ». Nella dibattuta quistione prese finalmente per ultimo la parola il dott. G. Geyer (?) dell’ Istituto geologico di Vienna, che nello scorso autunno studiò con molto amore gli equivalenti marini della formazione permiana nella plaga posta tra la valle di Gail e la Val Canale. Egli riferì il calcare a Lelle- rophon al permiano superiore, considerò le arenarie rosse ed i conglomerati rossi, che richiamano la facies delle arenarie di Gròden, come probabili rap- presentanti del permiano medio, e pose nel permiano inferiore i calcari a Fusulina del Trogkofel giacenti sul carbonifero superiore ed i calcari chiari del Rosskofel e di Malborghetto, che sarebbero da parallelizzare con quelli. Dopo questa digressione, per così dire storica, tornando allo scopo pre. cipuo della mia Nota, mi piace anzitutto ed in omaggio alla verità ricor- dare come dell'esistenza di fossili negli strati del calcare a Bellerophon fosse già persuaso il prof. Taramelli, a cui, omai da più che tre lustri, oc- corse di trovare presso a Comeglians nella dolomia cariata gessifera dei nuclei di bivalvi indeterminabili, e nella discesa dai monti di Suttrio e presso Dierico di Paularo entro al calcare marnoso bituminoso alcune sezioni di conchiglie. A me nello scorso agosto e durante le varie gite compiute nell'alta Carnia negli anni di mia dimora ad Udine, non riuscì mai di notare alcuna traccia di reliquie organiche entro a quella dolomia, mentre fu appunto nei calcari marnosi neri bituminosi che si lasciò raccogliere il materiale, ch' ebbi di fresco a studiare. Fu sulla strada della Val Pesarina, a metà cammino tra Entrampo e Sostasio, negli strati in posto sulla diruta parete che fiancheggia la via, il luogo dove, in compagnia degli amici prof. Luigi Brugnatelli e Gioacchino De Angelis, trovai per la prima volta i fossili del calcare a Ze/lerophon, scorti anzi dall’ occhio acutissimo dell'amico mineralogo. Sono calcari un po' schistosi, grigio nerastri sulle superficie fresche di frattura, ma che sotto l’azione degli agenti atmosferici si alterano e tendono ad una colorazione dove giallastra e dove rosea. È in essi abbondantissima, anzi sarei per dire (') Bollettino della Soc. geol. ital., vol. XIV, fasc. II, pag. 281, 1895. (2) G. Geyer, Weber die marinen Aequivalente der Permformation zwischen dem Gailthal und dem Canalthal in Karnten. (Verhandl. der k. k. Geol. Reichsanst, 1895, n. 15, Wien. — 219 — esclusiva, l’Avieula striato-costata Stache, e rappresentano la parte più alta del Bellerophonkalk, poichè pochi metri più su vengono ricoperti dagli strati rossi marnosi del piano di Werfen. Tra questi ed il calcare a Bellerophon esiste perfetta concordanza nella stratificazione; di più il passaggio di questo calcare alle roccie del Trias inferiore è così graduato anche litologicamente che, in presenza d'una lastra calcareo-marnosa con leggero colorito roseo, sarei stato assai incerto circa il suo riferimento, ove non m’avesse tratto d’ imbarazzo un esemplare dell’Av/cul4 sopra nominata, che ne era attaccata alla superficie. In questa località non riuscimmo a trovare nemmeno un solo Bellerophon, mentre raccogliemmo parecchi esemplari di Najadites sp.: in- separabili dalla roccia includente, una Aucella Hausmanni? alquanto dubbia e due esemplari di Valzca pusiuneula e di Pecten (Entolium) #irolensis, Stache. Altra località fossilifera del piano in discorso è quella a sud di Co- meglians e del Rio di Villa presso le prime case di Bausc sulla parete che s'erge alla manca della via per Ovaro. Anche qui affiorano dei calcari mar- nosì neri volgenti al cinereo appoggianti sulle dolomie cariate gialle gessi- fere, nelle quali è incassato il rio suddetto. È una località piuttosto povera di fossili, poichè non vi si raccolse che l’Avzicula striato-costata discreta- mente abbondante. Anche qui non si trovarono Bellerophon, che sembrano invece annidati nei pressi di Entrampo e di Grazzano, suburbio di Come- glians. La roccia che li alberga è un calcare nero grigiastro a grana piut- tosto grossolana, duro e compatto. Sulle sue condizioni di giacitura nulla posso dire, perchè il materiale di queste due località lo debbo alla provata gentilezza dell’esimio collega prof. Alessandro Wolf, che me lo mandò il settembre scorso da Comeglians, dove villeggiava. I Bellerophon, che ne potei estrarre sono: Bellerophon cadoricus, Stache? Bellerophon sextensis, Stache ? fallax, —’—Stache 7 Ulrici, Stache dei quali a Grazzano si rinvenne solo il B. fallax. Determinai ancora di Entrampo una dubbia Awucella Hausmanni malis- simo conservata, la Diplopora Bellerophontis, Rothpl: ed attendono la deter- minazione alcuni Aviculo-pecten ed una Nucula. Nella Val del Degano non mi son note fino ad ora altre località fos- silifere del Bellerophonkalk, nel quale ebbi l'opportunità di continuare le ricerche più a levante tra Dierico e Paularo nel Canal del Chiarsò. Battendo l' arido greto, che biancheggia sulla manca del torrente, ci sì im- batte. poco prima della salita per Dierico, nei calcari neri del Bellerophonkal]k, bituminosi, assai compatti e quasi marmorei. Son disposti in istrati pressochè verticali, assai ondulati, inclinanti a nord e con direzione Est nord-est Ovest sud-ovest. Qui sono assai scarsi e mal conservati i Be//erophon ridotti al puro modello in parte convertito in calcite cristallina: non vi riscontrai che un Bellerophon molto somigliante al £. sextensis, Stache. n 220 In compenso vi sono oltremodo copiose le bivalvi, in generale piccole e con ornamentazione complicatissima. Tra esse potei riconoscere le specie seguenti: Pecten Pardulus, Stache » (Aviculo-pecten) comelicanus, Stache ’ id. Trinkeri, Stache ” id. Giimbeli, Stache. Ma alcune altre elegantissime forme restano a determinare, che non trovai nè descritte nè figurate nella fondamentale illustrazione della fauna del Bellerophonkalk di Stache. Trovai molto strano di non aver incontrato nel materiale riportato da questa località nessun esemplare della Avicula striato-costata, così abbon- dante nel giacimento di Val Pesarina. Questi calcari a Bellerophon tagliati insieme colle altre roccie dalla corrente del Chiarsò, che vi incise il suo letto, ricompaiono anche sulla destra del torrente proprio di faccia a Dierico sulla strada postale. Qui però si presentano in istrati inclinanti a sud-ovest e diretti da est ad ovest, e distin- tamente incuneati tra i calcari marnosi verdognoli e le arenarie rosse dei Werfener-Schiefer a sud e la dolomia cariata, gialla, gessifera, che affiora più a nord tra la sinistra del torrente Orteglazzo ed il rio Minischite. Alla dolomia cariata sottostanno degli schisti dapprima verdognoli con mosche e venuzze di tetraedrite, poi rossastri e rosso cupi, che occupano l’area com- presa tra il Rio Minischite ed il Rio Ruat, e rappresentano l'arenaria di Gròden. Anche qui di faccia a Dierico è evidente la concordanza di stratifica- zione tra le roccie del Trias inferiore, che affiorano giù nel torrente al ponte del Foos, ed il calcare a Be//erophon. È però una località assai povera di fossili, poichè non vi si raccolsero che due mal conservati Bellerophon e qualche imperfetto Avieulo-pecten. Confido che, continuando le ricerche, si possa trarre dai luoghi indicati, massime da Dierico e da Entrampo, un materiale assai più abbondante, che, oltre a permettere una illustrazione di quest’ altra fauna carnica prima non conosciuta, venga anche ad accrescere il numero delle specie già note nelle classiche località del Tirolo meridionale ed a Lussnitz nell'alta valle del Fella. Per ora, paragonato al ricco materiale che studiò lo Stache, è ben poca cosa questo primo tributo in petrefatti del Bellerophonkalk di Carnia, le cui specie sì riducono, riassumendo, alle seguenti : Bellerophon Urici, Stache » >. sextensis, id. ” fallax, id. ” cadoricus, id.? Natica pusiuncula, id. — 221 — Pecten (Entolium) #rolensis, Stache. » Pardulus, id. » (Aviculo-pecten) comelicanus, id. » (Aviculo-pecten) Trinckeri, id. ” ” Giimbeli, id. Avicula striato-costata, id. Aucella cfr. Hausmanni, Goldf? Nucula nov. form. Najadites sp. Diplopora Bellerophontis, Rothpl. Non m'imbattei in nessun cefalopodo, nè trovai brachiopodo alcuno ('); mentre di quest’ultima classe tanta copia di forme si offersero allo Stache. E così pure non mi fu dato di scorgere nemmeno le traccie di un forami- nifero nelle parecchie sezioni microscopiche preparate da varî pezzi del cal- care di Entrampo e dell’ affioramento di fronte a Dierico. Nè tra le forme già note, nè tra le nuove avvene alcuna, che possa non solo essere identificata ma nemmeno ravvicinata all'una od all'altra delle specie del Trias inferiore alpino, della cui fauna ho pubblicato l’anno scorso una illustrazione, e neppure con specie del Muschelkalk o di piani triasici più recenti. Le nuove forme saranno per dare una novella conferma alla grande affinità, che fu già rilevato correre tra la fauna del calcare a Bellerophon e la fauna paleozoica? È quanto potranno forse dire ulteriori studî condotti su materiale nuovo e più abbondante. Fisiologia. — Apparecchio portatile per determinare l'acido carbonico nell'aria espirata dall'uomo. Nota del prof. UGoLINO Mosso, presentata dal Socio AnceLO Mosso. Gli apparecchi che servono per determinare l'acido carbonico nell'aria espirata dall'uomo sono complessi e delicati; quasi tutti di tal mole da riu- scire difficile il loro trasporto. Nessuno di essi determina con precisione la quantità di acido carbonico eliminato in tempi successivi di breve durata. Manca perciò la curva giornaliera della eliminazione fisiologica dell'acido car- bonico, e vedremo che questa curva può presentare delle variazioni maggiori della curva della temperatura del polso e del respiro. Molti problemi del ricambio dell'organismo non ebbero ancora, per la mancanza di un apparecchio opportuno, una soluzione soddisfacente. Basta ri- cordare ad esempio: quanto acido carbonico venga eliminato, prima o dopo (®) Non è da escludersi che si possan trovar brachiopodi anche nel calcare a 2el- lerophon di Carnia, dal momento che anche il sig. prof. Taramelli ne raccolse fino dal 1877 nella stessa zona del Bellunese alla sella del Monte Cestello da Padola ad Auronzo. — 222 — la somministrazione di un medicamento, prima o dopo un accesso di febbre, a stomaco vuoto o nel periodo della digestione. i Due anni fa, quando mio fratello organizzò una spedizione scientifica al Monte Rosa, ebbi l’incarico di studiare l'eliminazione dell’acido carbonico a diverse altezze. Tra gli apparecchi che servirono alla determinazione dell'acido carbonico, è inutile ch'io ricordi quello di Lavoisier e di Séguin, di Dulong et Despretz, di Regnault et Reiset ('). e quello di Pettenkofer (*) e Voit; monumenti di precisione sperimentale coi quali la scienza si arricchì delle più importanti cognizioni sui fenomeni della respirazione, perchè si trovano in tutti i ma- nuali di chimica fisiologica. Mi limiterò ad un breve cenno sugli apparecchi costrutti per il medesimo intento di queste mie ricerche. E. Smith (3) si occupò lungamente dell’eliminazione dell'acido carbonico da punti di vista svariatissimi. Col suo apparecchio determinava la quantità totale di CO?. L'aria espirata passava sopra una soluzione di potassa caustica distribuita sopra una grande superficie. L'esperienza non poteva durare a lungo. Richet ed Hanriot (‘) hanno costrutto un apparecchio col quale si va- luta direttamente non più il peso, ma il volume totale dell’acido carbonico. La persona respira per mezzo di un imbuto o di una maschera di guttaperca applicati alle labbra, il naso resta chiuso con una pinza. L'aria per essere esaminata passa attraverso a tre contatori, due valvole di Miiller, due bot- tiglie di lavaggio, una colonna alta 1,50 piena di pezzi di vetro bagnati con liscivia di potassa ed un lungo tubo con bolle di vetro bagnate di acqua di calce, e perciò la persona per respirare deve superare una forte resistenza. Essendo i contatori, i tubi e le bottiglie a grandi dimensioni l’ iscrizione diffe- renziale fra i due ultimi contatori, che danno il volume del CO? eliminato, subisce un notevole ritardo. Inoltre la chiusura del naso con una pinza è, come dicono gli autori, cagione di dolore da non poter durare molto nell’espe- rienza. Per queste ragioni l'apparecchio di Richet e di Hanriot, sebbene abbia il vantaggio di dare delle misure continue, non poteva servire al mio scopo. L'apparecchio del Marcet (°) consta di una campana, della capacità di 40 litri di aria, sospesa sopra un bagno di acqua salata e controbilanciata con un peso attaccato ad una ruota eccentrica. L'apparecchio è così sensibile, che l'aria espirata dentro la campana si trova sempre alla pressione atmosferica. La persona inspira col naso ed espira colla bocca, per mezzo di un tubo (1) Regnault et Reiset, Annales de Chimie et de Physique, 1849, Tome XXVI, pag. 299. () Pettenkofer, Annalen der Chemie, 1862. (3) E. Smith, The Philosophical Transactions, 1859. (4) Hanriot et Richet, Annales de Chimie et de Physique, 1891, pag. 495. (5) Marcet, Proceedings of the Royal Society of London, 1889, pag. 340. — 223 — in comunicazione a vicenda colla campana e coll’esterno, ed a sua insaputa, l'aria espirata viene diretta dentro la campana. Di quest’aria ne viene tolta un cilindro di 1000 c.c. e quindi esaminata coi soliti metodi. È un appa- recchio abbastanza semplice ed esatto, il primo che sia stato portato sulle montagne; ma con esso si può solo esaminare un volume totale di 40 litri d'aria, cioè quanto ne respira un uomo adulto in meno di cinque minuti. Più di cinque minuti un'esperienza non può durare, e non è possibile farne un’ altra subito dopo. Inoltre manca il controllo che tutto l'acido carbonico sia entrato in combinazione colla barite. Questo stesso difetto ha l'apparecchio di Richet et Hanriot e quello di Smith. L'apparecchio, che ha servito per le esperienze che ho fatto sul Monte Rosa, venne ideato dal prof. A. Mosso; esso non ha gli inconvenienti degli altri, li supera in semplicità e leggerezza, ed ha la disposizione indicata dalla seguente figura. APPARECCHIO PORTATILE PER DETERMINARE L'ACIDO CARBONICO NELL'ARIA ESPIRATA DALL’ UOMO. | LU Il | | | I | MI ) esi) EI | - | ' TE TATRT ULI i TTT Il metodo consiste nel misurare per mezzo di un contatore la quantità d’aria inspirata, di prendere per mezzo di uno schizzetto una frazione bene determinata di aria espirata (circa un trentesimo), e di esaminarla coi liquidi titolati. L'apparecchio si compone di una maschera di guttaperca, che applicata alla faccia con mastice da vetrai non disturba i movimenti respiratorî, e chiude ermeticamente anche nelle respirazioni forzate. La maschera porta in corrispondenza delle narici una cupola sulla quale sta un tubo. Questo co- munica con due valvole di Miller. L'aria inspirata attraversa un contatore — 224 — Riedinger ed una valvola di Miller: l'aria espirata passa per la seconda valvola, per una vescica di gomma, ed esce da una valvola ad acqua fatta con un tubo a T. Uno schizzatoio in comunicazione colla valvola a T, pompa una data quantità di aria espirata, e la spinge attraverso 6 tubi contenenti fra tutti un litro circa di acqua di barite. I tubi sono di vetro del diametro di 3 cm., della lunghezza di 50 cm., e sono messi in comunicazione fra di loro con tubi di gomma. L'uso dell'apparecchio è facile, occorrono però le seguenti precauzioni. Verificare il contatore che si adopera; questo si fa colle norme solite che non sto a ripetere. Una precauzione importante è quella di mettere il conta- tore sempre nel piano orizzontale. A tale scopo mi serviva di una tavoletta di legno con tre viti. Anche in montagna ho portato con me la tavoletta e, per mezzo di un livello a bolla d'aria, mi assicuravo che fosse bene oriz- zontale prima di mettere l’acqua nel contatore. I contatori costruiti dalla casa Riedinger di Amburgo sono molto esatti, e funzionano colla pressione di 1 cm. di acqua. Le divisioni centesimali del quadrante sono segnate da due lancette; una corta per le centinaia, ed una lunga per le unità. Ciascuna unità del mio contatore, parecchie volte verificato, corrisponde a 24,4 c.c. di aria: in un giro del contatore passano perciò litri 2,440 di aria. Come sia fatta la maschera di guttaperca si vede dall’annessa figura : perchè aderisca bene alla faccia, basta applicare al margine un bordo di ma- stice da vetrai rammollito con olio o vaselina e poi legarla al capo con una fascia od un tubo di gomma. Un' altra precauzione è quella di riempire bene lo schizzatojo e di spin- gere l’aria nei tubi così lentamente che riesca suddivisa in piccole bolle. Operando in questo modo si ottiene che l'acido carbonico sia trattenuto nei primi tubi e non intorbidi i due ultimi: si ha così la certezza che tutto l'acido carbonico è entrato in combinazione. Perchè il respiro incontri la minima resistenza, occorre che la colonna d'acqua nelle valvole sia poco elevata; resterà così più piccolo lo sforzo della respirazione. In tutto l'apparecchio la pressione da superare è un centimetro e mezzo di acqua. Per comprendere il modo di funzionare, bastano le seguenti spiegazioni : La vescica, che funziona da serbatoio dell’aria, è di gomma elastica sottile. della capacità di mezzo litro; si distende e si rilascia ad ogni atto respi- ratorio, mentre l'aria vi si rinnova continuamente. Cessata l’espirazione, l’ela- sticità della vescica caccia il di più dell’aria che l’aveva distesa. Lo schiz- zatoio è di metallo, della capacità di 260 c.c.; ha uno stantuffo a perfetta tenuta, e porta all'estremità inferiore una chiavetta, la quale permette di aspirare l’aria dalla vescica e di dirigerla nei tubi a barite col movimento di una leva laterale come si vede nella figura. — 225 — Quest'apparecchio ha su quelli adoperati dagli altri, il vantaggio di analizzare direttamente l’aria nell'istante in cui viene espirata. Esso offre la possibilità di fare parecchie osservazioni di seguito senza il bisogno di inter- rompere l’esperienza; basta infatti avere due serie di tubi, e si fanno quante osservazioni si vogliono. Con esso le persone si mantengono nelle loro abi- tuali condizioni per la funzione del respiro; l'inspirazione e l’espirazione si compiono sotto una pressione minima. Inoltre è di facile e pronto impianto, poichè in mezz'ora si mette tutto in opera e si incomincia l'esperienza. Ba- starono due uomini per portare l'apparecchio e l'occorrente per la titolazione dei liquidi sul Monte Rosa sino alla capanna Regina Margherita a 4560 metri. Un altro vantaggio di questo apparecchio è che si può fare da solo le esperienze senza il concorso di alcun aiuto. Così ho potuto determinare l’acido carbonico che io eliminava stando chiuso in una camera pneumatica, dove la rarefazione dell’aria era portata ad un terzo di atmosfera. Per verificare il grado di esattezza dell'apparecchio, ho preparato del- l'acido carbonico puro, ricavandolo dall'azione dell'acido cloridrico su pezzi di marmo bianco. Mi sono assicurato della purezza del gas preparato: una parte di esso veniva tutto assorbito dalla soluzione satura di idrato di bario con- tenuta in una campanella capovolta. Ho preso successivamente dal gazometro due schizzatoi di gas: ricondotta a zero la pressione dentro lo schizzatoio, col lasciare sfuggire il di più del gas, ho spinto lentamente l'acido carbo- nico nei tubi ad acqua di barite. L'acqua di barite era fatta con circa 10 grammi di idrato di bario sciolti in 1200 d'acqua, e per titolarla mi servii di una soluzione di acido ossalico puro al 2,8636 per 1000 c.c. di acqua: ogni centimetro cubico di questa soluzione corrisponde a grammi 0,001 di acido carbonico, perchè il rapporto fra il peso molecolare dell'acido ossa- lico 126, e quello dell'acido carbonico 44, è appunto 2,8636. 1° esperienza di controllo. 20 c.c. dell'acqua di barite contenuta nei tubi sono neu- tralizzati da 35,8 cc. della soluzione titolata di acido ossalico. 20 c.c. della stessa acqua di barite presi dopo il passaggio di due schizzetti di CO? (cioè 520 c.c.) sono neutraliz- zati da 23 c.c. di acido ossalico; furono cioè trattenuti 12,8 milligrammi di acido carbo- nico in 20c.c. di acqua di barite. Ma l’acqua di barite totale essendo 1300 c.c. l’acido carbonico corrisponde a gr. 0,8320 secondo la seguente uguaglianza 20:12.8=1300: x. Siccome l'esperienza fu fatta alla pressione di 74 cm. ed alla temperatura ambiente di 23°, i 520 c.c. di CO? pesavano 0,8925: ne andarono perduti gr. 0,0605. 2° esperienza di controllo. Ho preso lo stesso volume di acido carbonico, ed ho ri- cuperato gr. 0,8600: avendo fatto l’esperienza a 74 cm. di pressione e 23° di temperatura, il peso del CO? adoperato sarebbe stato di gr. 0,8925: ne andarono perduti gr. 0,0325 cioè il 3 per °/ circa. Risultato soddisfacente se si considera le molte cause di errore del metodo dei liquidi titolati. Riferisco, come saggio, una serie di esperienze eseguite su una stessa persona durante 24 ore. In essa si può avere un'idea dei grandi cambia- XENDICONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 30 — 226 — menti che avvengono nella eliminazione dell'acido carbonico per l'esercizio muscolare, per il riposo, pel vitto abbondante, e pel sonno. Caudana Ernesto, meccanico, è un giovane di anni 18 che pesa 59 kg. Sottoponendolo per parecchi giorni a queste ricerche, ho potuto determinare, con esperienze fatte nello stato di riposo parecchie volte al giorno, che egli respira in media 214,560 litri ogni mezz' ora, e che elimina gr. 14,100 di CO°. Influenza del riposo. 1° esperienza. Caudana dopo aver passato la notte a ballare, arriva alle ore 7 del 27 gennaio 1895 al laboratorio; temperatura ambiente 119,7. Gli applico subito sulla faccia la maschera, ed alle 7,5 respira nell’apparecchio: l’esperienza incomincia alle ore 7,10 rimanendo seduto, 20 c.c. dell’acqua di barite sono neutralizzati da 30 c.c. della soluzione di acido ossalico. Altri 20 c.c. presi dopo il passaggio dell’aria espirata sono neutralizzati da soli 22,9 c.c. d’acqua di barite: sono perciò grammi 0,0071 di acido carbonico che en- trarono in combinazione. Ma l'acqua di barite nei tubi essendo 955 c.c. l’aria esaminata 5720 c.c. ne conteneva perciò gr. 0,33902 (20 :71= 955 : 2). Ma l’aria totale respirata nella mezz'ora che ha durata l’esperienza essendo stata di litri 187,026, l’acido carbonico elimi- nato in questa mezz'ora è (5720:0,33902= 187026: x) di gr. 11,098. 2° esperienza. Appena finita la precedente esperienza, Caudana si è coricato sopra delle sedie rimanendo in comunicazione coll’apparecchio. Aspettai fino alle 8,85 che si addormentasse: in questo momento incomincia la determinazione dell’acido carbonico della seconda esperienza. Caudana passò una mezz'ora nella più perfetta tranquillità, in uno stato di dormiveglia, cogli occhi chiusi senza però addormentarsi. Durante questa mezz’ ora egli respirò litri 172,656 di aria, ed eliminò gr. 10,506 di CO?. Esaminando i risultati di queste due esperienze, si vede che la quantità di aria respirata dopo un prolungato esercizio dei muscoli è minore della quantità media che viene respirata normalmente; così pure è dell'acido car- bonico che vediamo essere molto diminuito. Questa diminuzione, tanto del- l'aria totale come dell’acido carbonico, è anche più evidente nella seconda esperienza fatta dopo un'ora e mezzo di riposo. Influenza della digestione. 8° esperienza. Caudana alle ore 12,27, dello stesso giorno, dopo un pasto abbondante di farinacei respira, nell’apparecchio. Alle ore 12,37 incomincia l’esperienza; durante questa mezz'ora respirò litri 228,334 di aria, ed emise gr. 14,562 di CO?. 42 esperienza. Tre ore dopo il pasto ho fatto ancora una determinazione di CO?, dalle ore 15,21 alle 15,51. In questa mezz’ ora Caudana respirò litri 207,400 con 15,607 gr. di CO?. Queste due esperienze, fatte nel periodo della digestione, dimostrano che il vitto abbondante influisce sull’aria respirata e sull’acido carbonico forma- tosi, l'una e l’altro essendo molto aumentati; il massimo si è verificato nel periodo più avanzato della digestione, ed è pure il massimo di tutta la giornata. Influenza del sonno. 5° esperienza. Caudana ha mangiato alle ore 17,30; alle 22 si coricò presso l’appa- recchio col quale fu subito messo in comunicazione. Quando giudicai che fosse addor- — 220 — mentato, perchè era cambiato il ritmo respiratorio, incominciai l’esperienza, che durò dalle ore 23,5 alle 23,35. In questa mezz’ ora Caudana respirò litri 188,490, ed eliminò gr. 13,608 di CO?. 6° esperienza. Caudana continuò a dormire: io lasciai passare mezz’ ora e poi feci un’ altra determinazione: mentre stavo facendo questa esperienza entrò una persona nella stanza e Caudana non se ne accorse. Dalle ore 23,55 alle 0,25, respirò litri 193,248 di aria ed eliminò gr.13,613 di CO?, precisamente come nell'esperienza precedente. 7° esperienza. Caudana dormiva ancora alle ore 0,45 quando io lo svegliai e lo feci alzare. Alle ore 0,50 incominciai l’esperienza, egli restò in piedi e sveglio durante questa mezz'ora. Respirò litri 209,987 ed eliminò gr. 13,392 di CO?. La respirazione e la produzione di CO? sono uniformi durante queste tre esperienze, ed è pure degna di nota la identità dei risultati ottenuti. Abbiamo inoltre avuto la conferma che quest’ apparecchio disturba così poco la respirazione, che fu possibile a Caudana di continuare per lungo tempo a dormire, finchè lo svegliai. Per mostrare meglio i rapporti che passano fra i risultati di queste sette esperienze, ne raccolgo ì dati sotto forma di tabella. Esperienze fatte su E. Caudana dal mattino alle 7 fino alle ore 0,50 del 27 febbraio 1895. z Ore 13 ss SER SEE #9° SE OSSERVAZIONI Zi È Serao STE OE 5 5_IS® 1 | 7,10|119,5| 72,8| 187,026) 11,098) 0,403 | 0,059 | Dopo una notte di esercizio muscolare. DI MS:35) ”» 172,656| 10,506) 0,382 | 0.061 | Dopo un’ora e mezzo di riposo. 8 |12,97|12° » | 228,334| 14,562) 0,530 | 0,065 | 10 minuti dopo un pasto abbondante. 4 |15,21| » » | 207,400| 15,607| 0,566 | 0,075 | 3 ore dopo il pasto. 5 |23,5 |139,2| 72,5; 188,490 13,608| 0,498 | 0,072 | Sonno. 6 |23,95 D) 193,248| 13,613) 0,498 | 0,070 | Sonno. 7 | 0,50 » | 209,986|13,392| 0,486 | 0,064 | Subito dopo svegliato. Queste esperienze preliminari dimostrano che nell'uomo la curva dell’ eli- minazione giornaliera del CO?, e la quantità di aria respirata subiscono delle grandi oscillazioni. Infatti noi vediamo, che un giovane sui vent'anni dopo essersi affaticato con un prolungato esercizio muscolare, nel riposo suc- cessivo elimina la più piccola quantità di CO? e respira la quantità mi- nore di aria di tutta la giornata (1% e 2° esp.): che il massimo dell’aria inspirata e dell'acido carbonico eliminato si ha dopo il pasto, durante la digestione (3% e 4% esp.). Le tre ultime esperienze fatte nella quiete assoluta dimostrano che le combustioni organiche, da cui dipende la tempe- ratura del corpo, procedono in modo uniforme quando nessuna causa esterna venga a disturbare la quiete del riposo. — 228 — Fisiologia. — In/luenza della musica sulla termogenesi ani- male. Nota del dott. U. Durto, presentata dal Socio LUCIANI. Gli effetti fisiologici che la musica produce sugli organismi animali sono ancora assal poco noti. Dogiel (*) e Tarchanoff (2) studiarono: il primo l’' influenza della musica sulla circolazione del sangue, ed il secondo l'influenza della musica sulla fatica e sullo scambio respiratorio. Servendoci del doppio calorimetro ad irradiazione del D' Arsonval abbiamo voluto vedere se sotto l'influenza della musica avvenivano variazioni pella quantità di calore irradiato dagli animali. Gli animali che servirono agli sperimenti furono conigli, cavie, polli, piccioni ed uccelli. Il calorimetro era situato in una camera a piano terreno dell’ Istituto di Fisiologia, luogo lontano dai rumori ed abbastanza illuminato, ma con luce diffusa. Queste condizioni erano vantagiosissime alle misure calorimetriche e specialmente al genere di osservazioni che facevamo. Circa due ore dopo che avevamo messo l’animale nel calorimetro, e quando questo tracciava una linea orizzontale quasi parallela all' ascissa, la qual cosa dimostrava essersi raggiunto l'equilibrio fra la produzione di calore e la ir- radiazione, si incominciava a suonare, per la durata di un'ora o di un'ora e mezza, con un organetto di Heller di Berna, mosso da un movimento di orologeria. I risultati non furono uguali per tutte le specie di animali, perchè mentre nelle cavie, nei conigli e nei polli si ebbe una diminuzione nella emissione del calore, nei piccioni e negli uccelli invece si ebbe un aumento. Il fenomeno della diminuzione del calore emesso nell'unità di tempo, durante l’ eccitamento musicale, fu, specialmente per le cavie, costante, ed in certi casi molto evidente. Dalle grafiche che annettiamo, si rileva che nei giorni 6, 8, 19 luglio le cavie emettevano in media, prima dell’eccitamento musicale, all’ ora 4,62, 3,41, 2,92 Ca., e durante l’ eccitamento musicale 4,17, 2,73, 2,44 Ca. Si potrebbe ammettere che la musica agisca come un rumore qualsiasi che, spaventando la cavia, la faccia cadere in quello stato di prostrazione che Preyer chiamò cataplessia. Questi fenomeni psichici depressivi o stati ipnotici degli animali, già noti al padre Kircher, col suo Experimentum mirabile, e che sono stati stu- (1) I. Dogiel, Veder den Einfluss der Musik auf den Blutkreislauf. Archiv. fir Physiologie, 1880, 416. (2) I. De Tarchanoff, Influence de la musique sur l'homme et sur les animaua. Atti del Congresso medico internazionale, vol. II, pag. 153, 1894. —— Ne diati da Czermak ('), Preyer (?), Heubel (3) e Danilewsky (4), determinano, qualunque sia il significato che ad essi si voglia dare, ipuotismo (Czermak) o sonno (Heubel e Danilewsky) o spavento (Preyer), delle modificazioni in alcuni fenomeni della vita vegetativa degli animali. La respirazione diventa più profonda, e quasi affannosa, il che deve pro- durre una diminuzione di temperatura dell’ animale per aumento dell’ evapora- zione acquosa. Ma, dato e non concesso che la musica, prodotta improvvisamente, spa- venti la cavia, e produca in essa uno stato cataplettico, noi possiamo dimo- strare che altre cause, che ben più a ragione produrrebbero questo stato nella cavia, non danno origine ad alcuna variazione nella emissione del calore. Abbiamo ottenuto dei tracciati nel modo seguente: Circa due ore dopo di avere messo l’animale nel calorimetro, venivano sparati, nella camera di esperimento, di 5' in 5', dei colpi di rivoltella. Mal- grado ciò le linee seguitavano il loro andamento in senso orizzontale senza abbassarsi, e nulla di anormale presentavano, all’ infuori di quelle ondulazioni che si hanno anche quando l’animale è abbandonato a sè, e non soggetto ad alcun eccitamento. Dall’osservazione dei nostri tracciati si ricava un fatto importante. Si vede che per tutto il tempo che dura il suono sì ha una diminuzione nella emissione di calore; eppoi appena cessato il suono, si ha subito un in- nalzamento della linea, cioè un aumento delle calorie, molte volte netto e reciso (tracciato del 6 luglio), come se in quel momento si fosse aumentata artificialmente la sorgente calorifica nell’ interno del calorimetro. 6 luglio — Cavia del peso di gr. 810. Il tratto bianco grosso indica È durata dell’ cc- citamento musicale. Ore 1,30”. (1) I. Czermak, Beobachtungen und Versuche diber hypnotische Zustinde bei Thie- ren. Phlùgers Archiv. f. gesammte Physiologie B. VII, 1873, S. 107. (?) Preyer, Veber eine Wirkung der Angst bei Thieren. Centralblatt f. d. medic. Wissenschaften, 1873, S_ 177. (9) Heubel, Veber die Abhingigkeit des wachen Gehirneustandes von iiusseren Er- regungen. Pfliger’'s Archiv. f. gesammte Physiologie. B. XIV, S. 158. (4) Danilewsky, Weber die Hemmungen der Reflex-und Willkirbewegungen. PAiger's Archiv. f. gesammte Physiologie B. XXIV, S. 489. — RO Ma non è inutile fare osservare che, in questo tracciato, come in tanti altri, l'abbassamento della curva, fedele alla durata del suono, durava già più di un ora. La cataplessia non potrebbe spiegare questo fatto. Lo stato cataplettico non dura in molti animali che pochi minuti, come già Kircher aveva visto per la gallina; dura un po più negli uccelli e nelle cavie, come hanno visto Czermak e Preyer, e per un'ora ed anche più nelle rane, come hanno visto Heubel e Danilewsky. E molto probabile che le nostre cavie, passati i primi momenti di stu- pore, e visto che a loro non suecedeva di peggio, come dice Preyer, si sa- rebbero rimesse dallo spavento, e le loro funzioni avrebbero seguitato nel modo regolare di prima. L'espressione grafica di questo fatto sarebbe stata, per il calorimetro, lieve; si sarebbe notato soltanto un piccolo dente nel tracciato, ma seguito tosto dalla linea orizzontale del regime termico normale. Anche nel caso dei conigli, e dei galli provveduti di cresta e di bargigli, cioè di quei tessuti erettili che colla massima facilità si riempiono e si svuotano di sangue, noi vediamo nei loro tracciati un fatto degno di nota. Nessun animale è più sensibile alle impressioni esterne del coniglio, il quale per un nonnulla si spaventa. Esso reagisce col suo apparecchio vaso- motorio che è di una mobilità straordinaria. Il Mosso ha molto accuratamente studiato questi fatti, ed ha visto che un lieve rumore, un raggio di luce, tutto è sufficiente per fare impallidire o rendere turgido di sangue l'orecchio del coniglio. Ma questi stati di replezione e di svuotamento non durano che poco tempo, e si succedono repentinamente l'uno all’ altro. In questo modo noi spieghiamo quelle ondulazioni che sono caratteristiche delle grafiche calorimetriche dei conigli. Poichè è evidente che quando il sangue irrora in quantità maggiore le parti superficiali del corpo, la dispersione del calore dalla superficie deve essere maggiore. Non diversamente deve succedere per i galli provveduti di tessuti erettili ; ed infatti noi abbiamo avuto la prova di ciò, confrontando i tracciati dei galli con quelli delle galline. Le piccole galline, quasi completamente sprovviste di cresta e di bargigli, danno un tracciato più regolare che rassomiglia a quello delle cavie. Da questi tracciati quindi noi riceviamo la conferma che i fenomeni va- somotori, che danno luogo a quei riempimenti e svuotamenti di sangue nelle parti superficiali del corpo, sono di corta durata; ed anche ammettendo che avvenisse, per effetto della musica, una costrizione dei vasi superficiali, non potremmo, per la lunga durata del fenomeno, spiegarlo come conseguenza di un comune fenomeno vasomotorio. — 231 — Ma nelle nostre grafiche si osserva anche un altro fatto degno di nota. I tracciati che prima erano ondulati, durante tutto il tempo in cui si suona, diventano una linea quasi regolare, con poche o nessuna di quelle ca- ratteristiche ondulazioni, per ridiventare ondulati dopo l’ eccitamento musicale. Questo fatto, che fisicamente si deve interpretare come effetto di una emissione regolare del calore, fa pensare che durante quel tempo l’animale sì trovi in una condizione psichica speciale, per ia quale, quelle azioni ri- flesse che determinano un abbondante e momentaneo trasporto di sangue, per vaso-dilatazione, nelle parti superficiali e periferiche del corpo, siano inibite. Questa condizione psichica speciale, capace di rendere regolari le grafiche calorimetriche, può essere l’ attenzione. Ma se si ammette che un atto psichico, il quale duri lungo tempo, sia capace di regolare il fenomeno della emissione del calore, esso potrebbe pure, determinando una costrizione durevole dei vasi superficiali, spiegare il feno- meno della diminuzione di calore irradiato. È un fatto trovato sperimentalmente da Mosso (!), che durante l’attività cerebrale e l’attenzione, si produce una contrazione dei vasi sanguigni alla periferia del corpo. x Il fenomeno da noi osservato è un fenomeno di lunghissima durata. Nel tracciato del 19 luglio p. e. noi abbiamo seguito il fenomeno per più di un'ora e mezza, e durante questo lungo tempo si ebbe sempre l' ab- 8 Luglio. — Cavia del peso di gr. 800. Durata dell’eccitamento musicale. 1 ora. bassamento della linea calorimetrica, senza minimo accenno ad una successiva elevazione. Quindi essendosi stabilito certamente dopo sì lungo tempo l'e- quilibrio tra la produzione e l'emissione del calore, ed essendo l'interno dell'animale a temperatura costante, la produzione di calore è diminuita, (1) A. Mosso, Sopra un nuovo metodo per scrivere i movimenti dei vasi sanguigni nell'uomo. R. Accademia delle scienze di Torino, vol. XI, 1875. — 232 — perchè a causa della produzione di uno strato coibente, è — come si os- serva — diminuita la emissione del calore. Questa minore produzione di calore potrebbe in qualche modo spiegarsi come effetto dell'atto psichico dell’ attenzione? 19 luglio. — Cavia del peso di gr. 420. Durata dell’eccitamento musicale. Ore 1,40/. Questa ipotesi riceve un certo suffragio da fatti sperimentali già acquisiti alla scienza. Gli autori che hanno cercato di vedere un rapporto tra il calore animale e gli atti psichici, non si sono mai allontanati dalle misure termometriche. Le prime misure a questo scopo furono fatte colle pile termoelettriche ; le ultime e più estese furono fatte da Mosso con termometri sensibilissimi di Baudin, nei quali si può leggere il centesimo di grado. Ma il termometro, misurando solo le variazioni della temperatura di determinate località, non ci dà che un valore relativo, perchè la temperatura è la risultante di tre fattori, cioè del calore prodotto, del calore che cede o che assume dall’ esterno, e del calore specifico del tessuto. Coi soli dati ter- mometrici inoltre non si può decidere se si tratti di semplice cangiamento di distribuzione di calore, oppure di variazione di produzione del medesimo. Soltanto il calorimetro, che ci dà il valore assoluto del calore emesso in una unità di tempo, è capace di risolvere la questione se un atto psichico sia accompagnato da fenomeni ectolermici 0 endotermici, vale a dire implichi aumento o diminuzione di calore. Lombard (!) e Fasola (*) fecero ricerche di questo genere misurando la temperatura della superficie esterna della testa con una pila termoelettrica. Schiff (*), Corso (4), Tanzi (?) adoperarono pure nelle loro ricerche (1) Lombard, Experiments on the Relation of Heat to Mental Work. New-Jork, Me- dical Journal, 1867. (2) G. Fasola, Sulle variazioni termiche cefaliche durante il linguaggio parlato. Archivio per le scienze mediche, 1890. (3) M. Schiff, Recherches sur l’échauffement des nerfs et des centres nerveua è la suite des irritations sensorielles et sensitives. Archiv. de Physiologie 1869-70. (4) F. Corso, L'aumento e la diminuzione del calore nel cervello per il lavoro antel- lettuale. Firenze, 1881. (9) E. Tanzi, Ricerche termoelettriche sulla corteccia cerebrale in relazione cogli stati emotivi. Rivista di Freniatria e di medicina legale, 1889. — 233 — le pile termoelettriche, ma misurarono direttamente la temperatura del cer- vello. Le più numerose ed estese ricerche su questo argomento sono state fatte da Mosso (') che si è servito dei termometri. Orbene Mosso (*) ha visto qualche volta seguire ad eccitamenti psichici un leggiero aumento della temperatura del cervello; ma ha anche visto in molti casi non variare la temperatura, ed in alcuni casi anche avvenire un raffreddamento, durante l’attività psichica del cervello. Data la grande estensione dei centri psichici, e poichè il termometro non può rivelare che la temperatura di un limitato campo di questi, non sappiamo che cosa risulterebbe 77 foto, con un eccitamento psichico di lunga durata, se un riscaldamento od un raffreddamento del cervello. Se il termometro rivela un aumento di temperatura in un dato momento ed in una data regione del cervello, non possiamo perciò ripudiare l’ ipotesi che contemporaneamente in altri punti avvenga un raffreddamento. Data quindi l'ipotesi che la cavia, sotto l’ influenza della musica, compia un atto psichico, nella forma tonica dell’ attenzione, la diminuzione delle ca- lorie emesse nella unità di tempo, può interpretarsi come l’espressione di quest’ atto psichico. Resta ad interpretarsi un altro fatto osservato da noi in altre specie di animali. Mentre nei conigli, nei galli, ma specialmente nelle cavie, la diminu- zione del numero delle calorie, emesse in una unità di tempo, è un fenomeno costante, nei piccioni e negli uccelli canori si osserva il fenomeno contrario. Sotto l’ influenza della musica questi animali emettono una maggior quantità di calore. Nei piccioni questo fenomeno è molto evidente, ed è un fenomeno di lunga durata, per quanto tempo cioè dura l’ influenza del suono. Non sappiamo se ciò sia dovuto ad agitazione o accresciuto movimento degli animali, perchè ci mancava il mezzo di illuminare il calorimetro e quindi di osservarli direttamente. Si potrebbe pensare che la musica agisca come uno stimolo attivando il metabolismo dei tessuti. Se questa ipotesi corrispondesse al vero, allora il fenomeno dell’ aumento di calore rientrerebbe nell'ordine dei fatti osservati da Tarchanoff (8) nelle cavie e nei conigli, che sotto l'influenza dell’ eccitamento uditivo, consumano più ossigeno ed emettono più acido carbonico. (1) A. Mosso, Zes phénomènes psychiques et la température du cerveau. Croonian Lecture, 1892. (2) Id., Za temperatura del cervello. Milano, 1894. (3) I De Tarchanoff, loc. cit. Mo MRESTLIPÀi: (eni; RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 12 aprile 1896. F. BrIoscHI Presidente. ‘MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Astronomia. — Sulle osservazioni solari fatte al R. Osser- vatorio del Collegio Romano durante il 1° trimestre del 1896. Nota del Socio P. TACCHINI. Ho l'onore di presentare all'Accademia i risultati delle osservazioni fatte sulle macchie, facole e protuberanze solari nei primi tre mesi del corrente anno. La stagione fu assai favorevole ed eccezionalmente buona nel mese di Febbraio, in cui si hanno 24 giorni di osservazioni anche per le protuberanze. Per le macchie e per le facole i risultati sono contenuti nel seguente spec- chietto : 1896 6 È 5 a e FA au dun SÈ ©,2 Mesi ghz | 38 So Zio | Sa | aos | Sas | esa 8° zo 2 LS z7 | 55 | é8 al | Fo | "85 sa SE SG [cai FS ASS (Ho) s Eos 9 E Gennaio . . 25 | 3,12 | 2,86| 5,48] 0,00 | 0,00 2,48 | 29,96) 60,20 Febbraio. . 24 6,75] 6,04| 12,79] 0,00 | 0,00 3,29 | 51,92] 64,79 Marzo... 24 9,08 | 5.67 | 10,75| 0,00 | 0,00 8,00 | 39,17| 78,75! Trimestre . 73 4,96 | 4,66 9,62 | 0,00 0,00 | 2,92 | 40,21| 67,81 In complesso il fenomeno delle macchie solari continuò a diminuire, ri- sultando le medie tutte inferiori a quelle del precedente trimestre; diminu- zione pure si verificò nelle facole. E però da far rimarcare il massimo se- RenpIcONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 81 — 236 — condario nel mese di Febbraio tanto per il numero, che per la estensione delle macchie e frequenza dei gruppi. Le osservazioni furono fatte da me in 61 giorni e in 12 dall’assistente sig. Palazzo. Per le protuberanze ab- biamo ottenuto i dati seguenti: 1896 i i Ti Hiedio numero È A Neo delle Media altezza | Estensione MEuO Miragino MESI dei giorni (ORE 3 È delle massime altezza di osservazione Lc ia DOLIEIONNO ostia altezze osservata per giorno o 1 o TI) ‘ Gennaio . . 23 5,22 40,4 2,3 53,0 90 Febbraio. . 24 9,79 41,7 2,0 69,2 290 Marzo... . 16 4,56 84,0 1,3 42,7 65 Î Trimestre . 63 5,27 39,3 2,0 55,0 290 | 1) Nel fenomeno delle protuberanze si ha invece un leggiero aumento in confronto dell’ ultimo trimestre del 1895 ed è pure da notare, come per le macchie, il massimo secondario nel mese di Febbraio, sebbene di minore importanza. Le osservazioni furono eseguite da me in 55 giornate ed in 8 dal sig. Palazzo. Meteorologia. — assunto delle osservazioni meteorolo- giche fatte all'Osservatorio Etneo. Nota del Corrispondente A. Riccò. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Matematica. — Operazioni distributive: l'integrazione suc- cessiva. Nota del Corrispondente S. PINcHERLE. 1. Col nome di elemento designeremo in ciò che segue una serie (1) a(x) = a b+act a: e+L Lana + ordinata per le potenze intere e positive della variabile x che supporremo convergente nel cerchio (7), cioè pei valori di x il cui modulo è minore del numero positivo 7. Un elemento si dirà dato, o variabile, o arbitrario, a seconda che saranno dati, o variabili, o arbitrarî i suoi coefficienti 40, 41,42,» Indicheremo con @(x) l'elemento che si ottiene sostituendo ad ogni coeffi- ciente a, di &(x) il rispettivo modulo |a,|, talchè sarà a(2) = |el+]a|o+]a| e + +|anle"+ -; — 237 — Questo elemento convergerà nello stesso cerchio (7) di @(x), e per ogni punto « interno a quel cerchio si avrà leo) = «(|2]). 2. L'integrazione indefinita applicata all'elemento «() ci darà un ele- mento convergente entro il medesimo cerchio, in cui rimarrà però indetermi- nato il termine indipendento da 4. Volendo togliere questa indeterminatezza, potremo convenire di determinare la costante d'integrazione in modo che se &(x) è nullo dell'ordine m per #=0, l'integrale sia nullo dell’ ordine m-+ 1: fatta questa convenzione, l'operazione d'integrazione viene ad essere resa ad un valore, cioè tale che applicata ad un elemento determinato dà come risultato un elemento unico e determinato; essa è inoltre un’ opera- zione distributiva. Usando, come al solito, il simbolo D ad indicare l’opera- zione di derivazione, indicheremo con D-! l'operazione di integrazione deter- minata come si è detto, e colla reiterazione di essa avremo le operazioni distributive D-2, D-3,... esse pure determinate ad un valore dalla condi- zione che D-?, applicata ad un elemento che si annulla dell’ ordine 7 per x=0, dia per risultato un elemento che vi si annulla dell’ordine m + p. Essendo 7, un numero positivo arbitrario inferiore ad 7, si ha imme- diatamente, per |x|= 7, 2) |D-> PI sarà |D"e| SIVE] Mo99 — e per la (2): ID sl< 30) onde i |D-1 (Dre. D-* 8) < "I D'az(#). BM); ora per le ipotesi fatte, la serie a termini positivi è convergente, onde il termine ultimo della (6), D-(D"«.D-"8), tende a zero per 2= 00; da ciò risulta dimostrata la convergenza della serie che si ottiene facendo x = co nel secondo membro della (6), e dalle considerazioni stesse che si sono fatte emerge inoltre la convergenza in ugual grado ed as- soluta della serie stessa per lr. Siamo giunti in tal modo alla for- mula : (7) Driade S (IMAA n=0 valida per ogni coppia di elementi «8 convergenti in un cerchio comune (7) di centro 0 e pei valori di # compresi nel cerchio i r). Le serie (3), (5), (7) procedono per le derivate successive della funzione arbitraria @; esse appartengono quindi alla classe di serie che ho conside- rate in un recente lavoro (!) e precisamente sono fra quelle che ho dette di prima specie, cioè al cui campo funzionale di convergenza appartiene ogni funzione regolare in un intorno di 2 =0. La formula (7) si può dire in qualche modo l’ analoga, nel calcolo fun- zionale, di ciò che è la serie geometrica nella teoria delle funzioni. Con procedimento analogo si giunge alla formola più generale (7) Dna g = DI 1° le i i) Da. D=Mm+mg, di cui lo stesso ragionamento fatto per la (7) vale a provare la convergenza ponila|=< 5 P% 6. Nella formula (7), se alle D-*# sostituiamo i loro sviluppi (5), ot- teniamo una serie doppia, che risulta però convergente assolutamente e che (1) Della validità effettiva di alcuni sviluppi. Rendiconti della Reale Accademia dei Lincei, 19 gennaio 1896. — 240 — quindi si può sommare nell'ordine che più aggrada pei valori di x com- presi nel cerchio GF n). Infatti, il termine generale di questa serie doppia sarà goblin — > vy 2 n-1l Coe nrgne) Oeni il cui modulo, per |[e|<7", è minore della quantità positiva n p'nty VD(p' NET n 1100 PONTE) e la serie doppia formata con questi termini positivi e che risulta dal pro- dotto delle serie p' n-l RI Me Dina) x Évam | 1 è certamente convergente per 7" < 9°: Una analoga osservazione vale per le serie (7). 7. Abbiasi una successione infinita di elementi 4,4, ...4n,. con An(£) == AUn.0 + An.1 a+ Un.2 db + o + Un. E° + SO) i quali siano convergenti in un cerchio comune (7), e si consideri la serie (8) S(g)= > 4, D"9 n=0 dove g è un elemento arbitrario convergente nel medesimo cerchio (7). Per poter parlare della convergenza nella serie (8), occorre naturalmente assoggettare i suoi coefficienti 4, a qualche limitazione. Noi porremo la se- guente, assai poco restrittiva, essendo essa, come è facile vedere, soddisfatta in casi estesissimi: ammetteremo che esistano tre numeri positivi 7, <7, 9 e c qualunque, tali che essendo È, il limite superiore dei moduli di @,(4) nel cerchio (7,), si abbia (9) MIR , (PERO) Sotto questa condizione, la serie (8) risulta convergente assolutamente ed in ugual grado per i valori di x tali che sia QUE essa darà quindi un elemento di funzione analitica pure regolare nel cerchio (71), ed S sarà pertanto simbolo di un'operazione funzionale distributiva. A dimostrare ciò, indichiamo ancora con g ciò che diviene 4 quando si — 241 — cambia ogni coefficiente di questo elemento nel rispettivo valore assoluto; avremo in forza della (2): |a (@) D" g(2)|2 (‘')] di dimen- sioni, basterebbe ripetere gli stessi ragionamenti fatti dall’Halphen nei n'. 4 e 5 del l. c., e si concluderebbe che tali quadriche debbono soddisfare ad 1 6 n(n-71)+1 equazioni (°) alle derivate parziali del 3° ordine (nou contenenti nè le coor- (1) Bulletin de la Société Math. de France, t. III, pag. 28. (®) Cours d’analyse de l'Ecole polytechnique, 1873, pag. 139 e segg. (8) L. c., pag. 148-149. (4) Il caso delle coniche (n= 2) dev'essere trattato a parte, perchè l'equazione dif- ferenziale corrispondente è del 5° ordine. Un metodo diretto e semplicissimo per trovarla è stato indicato dall’Halphen nella Nota Sur l’é&quation différentielle des coniques (Bul- letin de la Soc. Math. de France, t. VII, pag. 83), la lettura della quale ha appunto dato occasione al presente lavoro. Il metodo dell’ Halphen è stato riprodotto dal Jordan a pag. 157-158 del 1° volume del suo Cours d’analyse de l' École polytechnique (2° edi- zione, 1898). (5) Cioè ad una di più del numero che verrebbe assegnato dalla teoria generale: cfr. ad es. Jordan, l. c.; pag. 159. — 248 — dinate nè le derivate parziali di 1° ordine), e che queste equazioni si pos- sono ottenere in modo analogo a quello accennato poc’ anzi. Ma è facile riconoscere con qualche esempio che le equazioni, a cui si sarebbe condotti per tal via, non presentano tutte la forma più semplice possibile; in ogni modo, ad ottenerle effettivamente per un valore qualsiasi di #, si richiederebbe qualche ulteriore sviluppo. Perciò in questa Nota mi propongo di esporre un altro metodo, per mezzo del quale le dette equazioni vengono direttamente stabilite sotto forma esplicita ed assai semplice: esso si desume da una formola, che dimostro nel n. 1, e che, oltre a presentare interesse anche in sè, fornisce altresì, in un suo caso particolare, una notevole espressione della curvatura (di Kro- necker) di una quadrica di un iperspazio. 1. In uno spazio (euclideo) di x dimensioni siano «1,42, .-,n-138 le coordinate cartesiane di un punto; allora la # del punto corrente di una quadrica data in quello spazio si può esprimere, in funzione delle rimanenti coordinate, come segue: (1) s=L=®ì, dove L è un polinomio di 1° grado nelle #1, 2, .-, &n-1, 0 PD è un poli- nomio di 2° grado nelle stesse variabili. Per simmetria daremo a ® (che solo interverrà nelle relazioni seguenti) forma omogenea introducendo una nuova variabile #,, cioè porsemo D_Piarzioa (102000) DI Vo intendendo che sia <= 1. Chiamando ®; la semiderivata di ® rapporto ad ;, cioè ponendo 1 dQD en Di — ra ==> / DI 9 È DIR PO, di risulta : 25 ng i 2(D_- Di), (2) SU ag) dani — o AE Ora formiamo il determinante simmetrico d°8 DEz de dai dI dd dI, ddn-1 d°5 DE REG (3) dI‘ dA DI Mia dea o d°e dî dz DITE DIII De — 249 — e consideriamone uno qualunque dei minori d'ordine 7(= a — 1) costruito intorno alla diagonale principale. Prendendo, per fissar le idee, quello che si trae dalle prime 7 linee di (3), poniamo per brevità DEE dî DEE doi VD da dI Ep cron d°z dz i dia ddr dA dA dI? dI Per le (2) avremo: st D_- DI a DP_- DD... . lr D_-D, D, Fida TAO i ooo o SE: 0 OMO INE a P__ DD, ao D_D,Ds.... I, P_D ossia dii 04192 00 Ur Al esce U1,i1 D, Arji+1 cene May r+2 i=r , - 732,1) Da = D VCR Udo 0000 Gar per DI D, dai DODO Aa,i1 D, Ua,i+1 0000 Uoy oo. aio io tg Lo ‘Zi, O 0° 0 o o o Ò ù Uri Ur e000 Ur Uri 000 Ar,i1 D, Urit1 0000 dpr dove al secondo membro, quando 7 sia dispari, va premesso il doppio segno ©. Svolgendo secondo gli elementi della colonna 7° il determinante che nel se- condo membro figura come coefficiente di ®,, si ottiene dii 42 «0 Ur ; Ai ese Ua,i1 U,r+j Ar,i+1 eee Ur SENTI Ud, 492 n Ag U91 ceco Ua,i-1 U2,r+j U2,i+1 000 Aa r Li + x i r+j d2,i+ r Lysi. . CD . . . . . «es ° . ° . D . . . C Arr Ur «eve Urp Api seno Orsi-1 Uryrtj Arziti ee Upy Perciò, sostituendo, osservando che dEP i3ntr D-) DBoxj= > Druitri, ces3il desi e ordinando rispetto alle 4,41, 4,42, 4%»; risulta: r+2 Jen pas = fjantr di csc Gay Un di cec0 Ui,;i1 U,r+j A1,i+1 ce0e diy Î = DI Cr+j D..;|- dbio «| Di DTT SIR . 5 sell Uri 0000 Ur e=1 (URI CO00 Uri Urr+j Ar;i+1 0000 Upr ) — 250 — Il coefficiente di «,.; nel secondo membro si può scrivere sotto forma di un unico determinante come segue: Uri 42 n Ur AU,r+j 02, 422 0.0 Aar Aa,r+j e 00000 Arr Urz «ee Arr Ursr+j P, D,... D, D,.; e questo alla sua volta, sviluppato secondo gli elementi dell'ultima linea decomposti nei loro termini, equivale alla somma Uri +. Urr Arr+j Urzig en Arti, Urtis+j Se quindi per brevità chiamiamo 4;; (= 4;) il determinante che qui figura come coefficiente di x,+;, cioè il determinante d'ordine 7 + 1 che si ottiene orlando il determinante dii 0000 CAVA Uri DOCO Ure cogli elementi 4,41, Qar+i, ««Mdrigrti Cd \d1r4) dar isla finalmente : r+2 (4) YA — Dale i=n—rjan—r d= 1 Da di dij Crt Ur+j , (o (SA ii dove, quando 7 sia dispari, al secondo membro va premesso il doppio segno =. Il risultato sostanziale contenuto nella formola precedente può enun- ciarsi dicendo che se dal determinante (3), formato colle derivate parziali di 2° ordine della 2, si estrae un minore qualunque di ordine r(=n—1) costruito intorno alla diagonale principale, e però contenente le sole de- rivate parziali prese rapporto a certe r (del resto qualunque) fra le va- riabili 41, %2, Cnr, 0880 SÌ spezza nel prodotto di una potenza di D per un polinomio di 2° grado nelle sole n—-r—1 vartabili ri- manenti. 2. La formola (4) è specialmente notevole quando si assuma y=n—1: invero il secondo fattore che comparisce nel suo secondo membro diventa al- lora (posto #,= 1) il discriminante del polinomio D, il quale, come facil- — 251 — mente si verifica, non è altro che il discriminante della quadrica moltipli- cato per (— 1)". Chiamando dunque D quest’ultimo discriminante, otteniamo DE d°a DI Dai dI‘ dd e REAMELTER GRES (5) MR po, * dia Ve o >: degne DA DID, dove, quando x sia pari, il secondo membro dev’ essere ancora moltiplicato pert== d-. Prima di venire all'argomento principale di questa Nota, faremo un'ap- plicazione di questa formola all’ espressione della curvatura della quadrica considerata. Com'è noto, il Kronecker per primo (') ha esteso alle varietà (di 7 — 1 dimensioni), definite da un'equazione fra le coordinate 1, €2,..., Cn_né di un punto di uno spazio euclideo ad 7 dimensioni, il concetto di curvatura Gaussiana di una superficie dello spazio ordinario. Senza entrare in altri par- ticolari, ci basterà ricordare che in seguito il Beez (?) ha trovato, come espressione della curvatura di Kronecker per una siffatta varietà, la seguente : DE AR e i=a=1/ 3g \2}} 7° dai da: dd DANA ( ) Dn Ol DEA 2 2 n dEne1 dd dUn-r dI2 Dan Dalla (5) si deduce quindi senz'altro che /a curvatura di Kronecker in un punto qualunque di una quadrica ad n—-1 dimensioni rappresen- lata dall’ equazione (1) è data dall’ espressione nti oomesil g\_ +1 —D® è: 31+ Cai. rg z=1 dI la quale, quando » sia pari, va risp. moltiplicata per * 1. Poichè ® in ciascun punto della quadrica assume valore positivo, la espressione precedente, se x è dispari, è sempre di segno contrario a quello (1) Kronecker, WVeder Systeme von Functionen mehrerer Variabeln (Monatsberichte . der k. P. Akad. d. W. zu Berlin, 5 agosto 1869, pag. 688). (2) Beez, Veber das Krimmungsmaass von Mannigfaltigkeiten hòherer Ordnung (Math. Ann., Bd. VII, pag. 390-391). — La stessa espressione si ottiene senza difficoltà ponendo 4=0c0 nella formola 41), colla quale il Killing, a pag. 221 del suo libro Die nicht-euklidischen Raumformen in analytischer Behandlung (Leipzig, 1885), determina i raggi principali di curvatura di una varietà ad x — 1 dimensioni appartenente ad uno spazio non euclideo di n» dimensioni (e di curvatura Riemanniana 7a) ReEnDICONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 38 — 202 — di D, onde si conclude incidentalmente che per una quadrica di uno spazio avente un numero dispari di dimensioni, la curvatura di Kronecker ha lo stesso segno în ogni punto, e precisamente è positiva 0 negativa, se- condo che il discriminante della quadrica è negativo 0 positivo. 3. Per dedurre ormai dai risultati del n. 1 le equazioni differenziali cui deve soddisfare la #, osserviamo che per la (4) si ha: dî 23 pe MO = VEL), dI ( ) dove w# è un polinomio di 2° grado nelle sole variabili #1, 22,41, TI+1 3 +00 9 Cn-1. Da questa relazione e da quella che se ne ottiene derivando rapporto ad .2, segue: de DIA D (0) e A=1,2,.,2—1). PEA Se inoltre chiamiamo Zf%:>* l’espressione analoga alla 70%? e for- mata colle derivate seconde prese rapporto ad 7 qualunque, &;, , di, ; +», Li, delle variabili 4@1,%2,---; &n_n dalla (4) si deduce: r+2 VASO sees È) = 7% P È essendo P un polimonio di 2° grado nelle sole r—r —1 variabili rima- nenti. Dividendo per quest'ultima relazione quella che se ne ricava derivan- dola rapporto ad una qualunque delle «;,, <;, , 4, che diremo ), si ha 1 ny/ (13t2 ir) Dy Ao : (0 = da RC) pi A Z V4 30 97000,27 la quale, al pari della (6), qualunque sia 7, è valida anche nei segni. Dalle (6) e (7) si deduce allora: DI sigr0egîr) Di (8) DEI VAI ROGAIA/ +2 d°z glrivi _ È 2 3 3 Ca Un dI DIA dI LR ; RETRO e queste sono in sostanza le equazioni alle derivate parziali del 3° ordine, a cui deve soddisfare la funzione &. Per ottenere tali equazioni sotto la forma più semplice, basta dare ad 7 i valori più piccoli possibili, cioè 2 e 3. — 259 — Per 7= 2, ponendo ad es. î1= 4, 7z= u, e denotando per semplicità cogli indici 1, 2,...,%=1le derivate rapporto. ad 1, 42,.--.) n, dalla (8) risulta: (1) 3 za (Ar Giu 2 da ap) + Ara (4 27 — 4a Zu) = 0 dove 4 e w sono due qualunque fra i numeri 1, 2,...,n—1.Ma si pos- sono ottenere equazioni ancora più semplici: invero, se nella precedente si scambiano fra loro Z e w, indi dalle due equazioni ottenute si elimina 4,u, e si divide la risultante per 4 e%u — 211 uu (quantità che sulla quadrica non è nulla), si ottiene: 7 (I ) 2 Su Epi EN + 2% Epp, 9) EN Sup. EIA —= 0. Per 7 =3, posto ;1=, ##:=w, ==», la (8) diventa: ZE I (cup Sy 82 un) | HYo00Ì (2x0. SW Spy TT Du En — 8 Sp) — 3% Zap (4 Guy — Sp Zwy) 3 280 (ru Suy Ty Guy) + )0) (cr up Sy + xvy Sup. T 260uy Zu) + 2x1uy Xu XY —_ Gip 2aay — Saw avi: = 0, dove 4, u, v sono tre qualunque fra i numeri 1, 2,...,m—1. Anche a questa si può dare una forma assai più semplice: infatti, moltiplicandola per zx, sostituendo a 32% ciuu e 36% sr le loro espressioni che sì rica- vano da (I), e dividendo poi per il binomio 41 suv — au 4, che sulla quadrica non è nullo, risulta: (IT) 2a0a (Ar, drv — 22a uv) — 21 (Gra 22 T 24 Fap — Zapy 421) = 0. Concludiamo che /e (LZ) e (Z/) sono, sotto la forma più semplice, le equazioni alle derivate parziali delle quadriche di uno spazio ad n di- mensioni; le equazioni del tipo (I°) sono in numero di (2 — 1) (x — 2); nel ; i 5 «SOL tipo (II) basta scegliere quelle, in numero di 6 (n-1)(a—-2)(2—3), che si ottengono ponendo per 4, u, v le sole combinazioni dei numeri 1, 2,...,n — 1. Così si hanno in tutto le richieste equazioni nel numero voluto, cioè cn 7)+L Notiamo ancora che alle (II) si può dare una forma simmetrica ed assai notevole, eliminando da esse z\xu, e 4. y per mezzo di (I°); si ottiene così: (III) ENNA Epp Sy Sun + Sup Eyy VA SVX + Eyyy EM Sua 6mu “e IE Y ENI spp yy 0. Onde si può dire che le equazioni richieste sono o le (1') e (II), o le (I°) e (III). Sotto quest’ultima forma riesce evidente che le equazioni trovate sono tutte indipendenti fra loro: infatti ciascuna contiene una derivata (di 3° or- — 254 — dine) che non comparisce in nessuna delle rimanenti, cioè 2,1, per le Tua: zioni del tipo (I°) e 4x,y per quelle del tipo (III). Per lo spazio ordinario (n= 3) le equazioni assegnate dall’ Halphen sono due, l'una del tipo (I) e l’altra del tipo (I°): si guadagna però in semplicità e simmetria prendendo, come s'è detto, le due del tipo (I°). 4. Se con 4 indichiamo la coordinata z del punto corrente sopra un’ ar- bitraria varietà S ad n — 1 dimensioni, le equazioni (I°) e (II), ossia le loro equivalenti (I°) e (III), esprimono anche le condizioni necessarie e sufficienti perchè in un punto dato di S, avente le coordinate «1,42, &n-1, 4; esì- stano quadriche aventi con S un contatto di 3° ordine. Da ciò che precede risulta che per x >3 non è possibile, in generale, ottenere un tale contatto in nessun punto di S, mentre (come già notarono l’ Hermite e l’ Halphen), se n= 3, ciò è possibile in un numero finito di modi. Però, se la cosa è possibile in un punto determinato di S (cioè se le precedenti equazioni sono soddisfatte in quel punto), essa è possibile in infiniti modi, poichè si ha allora un fascio di quadriche, di cui ciascuna ha con S nel punto dato un contatto di 3° ordine. Se > = 0 è una qualunque di esse, il fascio viene rappresen- tato, al variare di 4, dall’ equazione D IMA Matematica. — Sui determinanti di funzioni nel calcolo alle differenze finite. Nota del prof. Errore BoRTOLOTTI, presentata dal Socio V. CERRUTI. È nota l’importanza dei determinanti: Yi e Yi 3Y8 v00Yn DA ; ) 7 —1) Vite SET SARA Vr nello studio delle equazioni differenziali lineari. Eguale importanza hanno, Del calcolo alle differenze finite, i determi- nanti: Y1) VPIOSE Yn AGO VAYT MIA V(Ya ,Y2, Yn) dI y, : any, RZ di cui qui mi propongo di studiare le proprietà principali, a fine di servir- mene per lo studio delle relazioni fra quelle forme alle differenze che il Pin- — 255 — cherle chiama 7rverse una dell'altra ('), e che, come lo stesso prof. Pincherle mi ha fatto osservare, sono, l'una rispetto all’ altra, quello che, rispetto ad una data equazione lineare alle differenze, è la sua aggiunta di Lagrange. Al fine di far meglio risaltare le analogie fra il calcolo alle differenze finite e quello infinitesimale, ho cercato che, anche nella forma, gli enun- ciati e le dimostrazioni si corrispondano. Ricorderò a questo proposito la me- moria di Frobenius: Weber determinanten meherer funetionen einer Varia- beln (Crelle, 77) alla quale appunto questa mia Nota può essere riferita. 1). Usando il simbolo: 0y=y+d4y=y(x 41), si troveranno con facili riduzioni le formule: (1) V(Y1,Y2 Un) = (GY, 442 A°yn)= (4139423 0 Yna) 4 (Y1,Y2) = 9Y1-4y2 + ya Ayy = 4yo + 0y2:4y, A°(Y1 3 Y2) = yy + 204yAyo 4 ya Apr. (2) ‘ "a n-(n—-1),, 4"(Y, E gn 1 dYyx4+n0 Ap 4" Viale o 6" °A°yd"y> + + 00.417 yy Ayg + ye: d"Y,- Coll’aiuto delle quali, moltiplicando per linee, si ha: y,4Y,4°Y DICCUE) Agg Ya »Y2 3001 Yn 0 04 204y,..., (0-1) 047?y.| |4y AYSTANA YA OMOMMNOzziN fede nò) Ge4n3y |A A yi a Aa | (OOO) oa Gtely). AVATI A Ya YYa ‘YY2 003 YYn A(yyn) 444) 44%) —|4*yy) 444) .--:4°(Yn) Da AYY) 4A (YY2) + A (YYn) cloe: n_l (3) LL Ey-V(Y142 1 Yn) = (492 YI + YI) (1) Saggio di una generalizzazione delle frazioni continue algebriche. Acc. di Bo- logna 1890. — 256 — che, per la (1), potremo scrivere: n—l HEY -(Y1, 0427 6 Ya) = (411 yy) 07490) ) Facendo y ni sì ha: 1 7 n_l Y» Y3 al Zig) = VAN ZROZAN e ( VINCI Yi Si noti che: Ur Bi sei 4 RATTO Y (Y1,Yr) facendo 7(y1,Yr)=%r, avremo allora: E V(U2,U3, + Un) Yi Ya Yi I 0"Y, Ù 0+1Y, e sostituendo : È 1 i (4) V(Ya Yz Un) = V(U2 ; U3 ..- din)» Il 60"Y, Ù r=1 Sono casi particolari: 1 V(Yx,Y2,Y3) mig a, ) 1 V(Y,Y23Yn) em (e) 1 V(Un,Uz, Un \=3zg: V(V(U2,U3), V(U2zz Ud), ..) II r=3 Dalla combinazione di queste colla (4) si ricava: 1 A 4- Ya) a VI (Y1YY) V(YYYA) è» (YYY) )» CAT) Così continuando giungeremo in fine al teorema: Se Ur, Ug 3 Un UV, 023 + Vy sOnO funzioni della variabile a, e sia: We V (ui 3U2 0 Up, 5 vi) wy= Y(U1 )U2, +. Up 3 Uv) sarà: Y(Wi,W2,... UN) (5) { V(ui ,Uz; Up. 1V1 302, vi) VE] i = ; II Vu, 2... Up) r=l — 257 — In particolare avremo: V(YrsYas e Yi Yi 5 + YnyYnoY) = UA Ur Yer Yin) A Yer Unire Yan 9) V(Ya »Y2 + Yer» Yk+1 Yn) Siccome poi è P@uso)=u 0.42), così potremo scrivere: (009 VIA 05 3010) (Yi, Y2, Un) TRE Sì ponga: sy (— jr EG Var ree Yao Gis 1 n) AGRO) AEREA) 7 A —(— 1} 7 (7) (4) =(-1) VM dra) vs) =(— e tired a) V(Y15Y23 Yn) avremo: (8) eA(y) = 4. W(Y 8). In questa formula si può notare che 24 (£K=1,2....), sono i reci- proci degli elementi dell’ ultima linea nel determinante /(y1, y2 --- 7») divisi pel determinante stesso, e che A(y) è proporzionale al primo membro della equazione alle differenze: (CACRO,RE. IIO di cui Y1,%2--%» sono integrali formanti sistema fondamentale. 2. Dalla definizione delle , risultano le identità : i 0ses Yrti 3e3Yn 67 1y, a 7 yn 3 ORIO NEO, TY 6*y, 090.9) 6"Yn ’ 0Yns, 9009) 6Yn 0" 1y, 9 0000) 60" Ya D) 0 1yne) 9. 200.9 CETEO 1 20 ,0 SI) yi (o OO 0 IRE] ,0 ES) 6-1), ..., 67 yx,0,...0 81 30009 $k , SK+1 gere, n Ris 1 ERROR AMOS SS — (n-kT —(n—kh7 — (n—h—1) 1 n_ 1 ; g_n k Ven) (n_ k Vg,,0 (n—k Da e130030 n Zn 6 Oropa) Yn1,:.-0 ossia: (13) (Y1 ’ 02 p) 1000 Oseri 1) O (2x1 ’ 0713542 Mino i) = (n-k—A)(n—Kk) (—1) 2 (Ya Ù 0Y2 VISCO 60-1y,). Cioè: I minori formati colle lk prime linee del determinante V(Y1,Y2.-Yn) di un sistema di funzioni y.,Y2--Yn Sono proporzionali ai minori for- mati colle prime linee n— k linee del determinante del sistema aggiunto. Simili conclusioni valgono pei minori formati colle ultime % linee. In particolare dalla formula (13) si ha per X=0: (14) (yi <0ya a OT Ye 083, TOT) = 1 — 259 — Il prodotto dei determinanti di due sistemi aggiunti è equale al- l’unità. Di quì si scorge che: Se le funzioni Yi, Y2 Yn sono linearmente in- dipendenti lo sono anche le funzioni aggiunte, e reciprocamente. 4. È noto che se f(w),g(v) sono i primi membri di equazioni diffe- renziali lineari aggiunte l'una dell’ altra, e y{w,v) è una funzione bilineare, omogenea delle «,v, e delle loro prime x —1 derivate si ha la relazione identica: vf@)—-ug()=y (1,0). Voglio ora cercare quale relazione sia a questa corrispondente nel cal- colo alle differenze finite. Si consideri perciò l’ espressione : n-1 2 (RESTARE ZA GRGee SSIRIDE k—=0 poichè 1 AR Ea il termine generale della somma indicata al secondo membro assume il va- lore w(y, x) per #= x, ed è nullo quando # assume uno qualunque dei valori 21,22. 2k-134k+1: + én, COSì avremo formato una funzione (yz) che per 2=%x, prende il valore W(Y, x) dato dalle formule (7). Quando ivi si faccia y= x, quella funzione assume il valore: V_i(e 3 109 000 Shel 3 Sh+1 3 eee En) ’ =(— 1 kh_-1 > n UO ; Woo AEG GB) e ponendo: / YA (31085: CAMICIA Ato En) e ian) \ sa Va (GIR) (17) < | A_(A)= (= 1) Oa ZE (< E) sì. avrà, analogamente alla (8), la relazione: (18) IA) = 47. YY3 8). si sviluppi ora secondo gli elementi dell'ultima linea il determinante: Yi 3Y1 e Yn OOO VEST... Gun Ollo, ; CETO 3 SAI 0400, Gy 04, 30m RenpICONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 34 — 260 — per tutti i valori positivi di X<%, sarà identicamente: Oy (Yi r i Yn) — dYy(Y Ye Ya ++ (Dn (Ye Un) = 0 o, dividendo per Z(%1,%2- Yn), (19) 0y= > diys. (Ye) (0: DE Sk—r r—=0 eliminando le quantità 1,%1,.+%n, si ha: W(7002) e Io Y ’ $0,0 D) So,—1 DI VOO 0) S),- (Mm_-1) (471 3 $1,0 » 51,1 000% S1,- (n-1) =0 6" ly ’ Sn-1,0 ’ Sn-1,-1 DECORO) Sn-1,— M-1) da cui, ricordando le formule (12), 0 58 0A n(M+1)| Y 3 $0,0 3 S0,—1 903 So, (M_-1) (21) — w(y,e)=(_1) = —(n—-1) 6 Y >Sn-1,0 3 Sn-1,—19 e: 3 Sn 1, M-1) La funzione w(y,<) bilineare ed omogenea rispetto alle y,4, ed alle loro differenze finite fino all'ordine x — 1, è in tutto simile a quella che, nel caso delle differenze infinitesime si trova nella relazione ricordata ('). Ricordando ora che è: (— 1) Ag) = Y »Yi 9g ce0nUn 1 9 0 IOGOIA 0 Y , 80,1 MICCOE So,— n 2) 0y ) 0Y, q e00 0Yn 0 $ 0z, gere 0&n AE 0y 3 S1,19 09 Sk, M—-2) 6" O 0"Y, PRE 0" È 0 ; 0niaizi IVREA 0A 6"y 2 don SHARE Sei DSS (1) Cfr. p. es. Frobenius, loc. cit., pag. 254. — 261 — si sviluppi secondo la prima colonna il determinante identicamente nullo: 0a 0,08 8, 0007%% S0,13% 80,1 S0,0 3 -- S0o,—@M-2) $1,1 ’ 6y » S1,1 b) $1,0 9500 S1,- M—-2) Sn,1 D) 60"Y ’ Sn,l b) Sn,0 geco Sn,— M-2) sarà, per le (12) e (21): nMn+1) nM+1) (—1)". 08. A(y) + (= E soa W(07 06) + (1) yy, 06) =0 ed essendo # funzione arbitraria della «: nm_l) — < A(y) =(— 1) a } 501 04,4) +(- 1)" Y(Y, 0). Nello stesso modo si giunge alla formula: nn--1) yAu()=(-1) 3 1810940) + (e WY13)Ì, e sottraendo: nmz2) yA_ (2) — A(yY) = (177) son W(04 8) — S10 YY 072) |. Poichè y1,Y2;---Yn è un sistema di integrali della equazione alle dif- ferenze : AI 0Mhoas) = DI GI = si ha (formule (12)): n 4 eee In Go e= -? = (— 1} Le do) ed Si 071, SALE 0 0 (Y1 --- Yn) Se il determinante /(71..-yn) fosse invariante per la operazione 6, sa- rebbe so = s-10=(— 1)”, d'onde sostituendo nella (22): nnz1) (28) VA) —M)=(- 1° 4.440). che è la formula cercata. Matematica. — Za forma aggiunta di una data forma li- neare alle differenze. Nota del prof. ErroRE BorTOLOTTI, presen- tata dal Socio V. CERRUTI. Questa Nota sarà pubblicata in un prossimo fascicolo. — 262 — Matematica. — Nuneioni olomorfe nel campo ellittico (esten- stone di un celebre teorema di Weierstrass). Nota di ERNESTO PASCAL, presentata dal Socio CREMONA. Matematica. — Sulla dimostrazione della formola che rap- presenta analiticamente il principio di Huyghens. Nota del dott. ORAZIO TEDONE, presentata dal Corrispondente VOLTERRA. Le Note precedenti saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. Elettricità. — Sulla Isteresi dielettrica viscosa (!). Nota di Riccarpo ARNÒ, presentata dal Socio G. FERRARIS. Il fenomeno, da me posto in evidenza, della rotazione di un cilindro dielettrico in un campo elettrico rotante (?) ed i risultati delle mie esperienze sulla dissipazione di energia, che avviene nel dielettrico sottoposto all’ azione di tale campo (*), dimostrano l’esistenza di un ritardo con cui la polarizza- zione del dielettrico segue la rotazione del campo stesso. Due specie di ritardo possono produrre la dissipazione di energia di- mostrata: o un ritardo delle variazioni della costante dielettrica, per cui questa assumerebbe valori più piccoli per un campo elettrico la cui intensità va aumentando che per un campo la cui intensità va -diminuendo; o un ri- tardo di tempo fra l'istante dell’applicazione della forza elettrica e l'istante in cui la polarizzazione del dielettrico ha raggiunto il suo valore corri- spondente. A questa seconda specie di ritardo, che viene denominata Zsteresi die- lettrica viscosa, sembra essere dovuta, almeno in parte, la dissipazione di energia che avviene nei dielettrici sottoposti all’ azione di un campo elet- trico alternativo. Ciò risulta essenzialmente: TO Dagli esperimenti di Northrup (‘),i quali dimostrano come il va- lore del potere induttore specifico di un dielettrico, sotto l'influenza di un (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Elettrotecnica del R. Museo industriale ita- liano in Torino. (2) Rendiconti, fascicolo del 16 ottobre 1892. (3) Rendiconti, fascicoli del 30 aprile e 12 novembre 1893, 18 marzo, 17 giugno e 18 novembre 1894. (4) Philosophical Magazine, gennaio 1895. — 263 — campo elettrico ciclicamente variabile, dipenda dalla rapidità con cui si ef- fettuano le variazioni del campo stesso. 2° Dagli esperimenti di Janet (!) e di Porter e Morris (?) sopra con- densatori soggetti a rapide ed a lente oscillazioni elettriche: per un dato valore della differenza di potenziale tra le armature dei condensatori sperimentati, ri- sulta nel primo caso che la carica è più piccola quando la differenza di poten- ziale è crescente che quando essa è decrescente; nel secondo caso che la ca- rica è costante sia che quel valore della differenza di potenziale sia stato raggiunto mentre cresce o diminuisce la differenza di potenziale medesima. 8° Dagli esperimenti di Fisler (8), i quali pongono in chiaro l' influenza della frequenza di una data differenza di potenziale alternativa sulla perdita di lavoro per ciclo nel dielettrico di un condensatore, e dimostrano come tale perdita, col crescere della frequenza, dapprima cresca, poi raggiunga un massimo e quindi prenda nuovamente a diminuire. Le esperienze, di cui intendo in questa Nota riassumere i risultati, fu- rono intraprese con lo scopo di verificare se la dissipazione di energia nei campi elettrici rotanti, od una parte di essa, abbia ad essere attribuita, come per i campi alternativi, al fenomeno di isteresi dielettrica viscosa. L'effetto dell’isteresi viscosa è, per un campo elettrico rotante, funzione della velocità di rotazione del campo stesso: dunque a rilevare l’ esistenza di tale fenomeno basterà sottoporre il dielettrico all’azione di un campo ro- tante di cui si mantenga costante l'intensità e possa invece venire variata a piacimento la velocità di rotazione. Per produrre il campo rotante io mi sono servito in queste esperienze, come già nelle altre mie precedenti, della composizione di due campi elet- trici alternativi di uguale intensità, mutuamente perpendicolari e presentanti una differenza di fase di 90°, ottenuti per mezzo di ùna semplice corrente alternativa (‘). La durata di una rotazione del campo risultante è allora uguale al periodo della corrente alternativa; e quindi, per variare la velocità di rotazione, non ebbi a far altro che variare la frequenza della corrente, mantenendo però, in tutti gli esperimenti, le intensità dei due campi com- ponenti costanti ed uguali fra di loro. Nella seguente tabella sono indicati i risultati delle esperienze eseguite col medesimo apparecchio descritto nelle mie Note sovracitate, in corrispon- denza di due valori (0,083 e 1,818 unità elettrostatiche C. G. S.) dell’ in- duzione elettrostatica 8, sopra un cilindro cavo di carta paraffinata del peso di 2,011 grammi, dell'altezza di 26 mm. del diametro esterno di 30 mm. e della grossezza di 1 mm. Nella seconda colonna sono registrati i valori della (® Comptes Rendus, 20 febbraio 1893. (*) Proceedings of the Royal Society, vol. 57. (3) Zeitschrift fin Elektrotehnik, 15 giugno 1895. (4) Nota sovracitata: Rendiconti, fascicolo del 16 ottobre 1892, p. 285. — 264 — frequenza 7 della corrente alternativa e nella terza colonna le letture 4 in mm. fatte col cannocchiale. h N° n d I | 1 44 5,5 2 29 9,5 BI=S0 ; ARE | 11 13,5 II 44 59 sn 5 29 87 a 11 129 La lettura 4, a cui è proporzionale il lavoro in erg per ogni ciclo fatto dalle forze elettriche deviatrici, si riferisce, a seconda del valore di 2 in corrispondenza del quale si è sperimentato, a due sensibilità diverse dell’ ap- parecchio. Questi risultati dimostrano che l'energia dissipata per ogni cielo nel cilindro dielettrico varia col variare della velocità di rotazione del campo stesso. Sembra dunque che la dissipazione di energia, o parte di essa, sia l’effetto dì isteresi viscosa nel dielettrico sperimentato. Fisica. — Azione dei raggi Rontgen e della luce ultravioletta sulla scarica esplosiva nell’ aria. Nota dei dott. A. SeLLa e Q. MaJo- RANA, presentata dal Socio BLASERNA. Fisica. — Sulla riflessione der raggi di Rontgen. Nota del dott. KR. MaLAGOLI e 0. BonACcINI, presentata dal Socio BLASERNA. Queste note saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. Chimica. — Za Dimetilanilina in crioscopia. Nota di G. Am- POLA e C. RimaTORI, presentata dal Socio PATERNÒ. Quali solventi negli studi crioscopici sono state sperimentate molte so- stanze di funzione chimica assai diversa, ma per le basi, se si eccettuano poche esperienze eseguite da Eykmann con la Naftilammina, la Difenilam- mina e la Paratoluidina (!) e talune con l’ Anilina intorno alla quale ritor- neremo prossimamente, non è conosciuto altro. A colmare tale lacuna ab- biamo intrapreso lo studio del comportamento come solventi di diverse basi organiche, ed in questa prima Nota riferiamo i risultati ottenuti con la Di- metilanilina. La Dimetilanilina da noi adoperata ci fu fornita dalla Casa Kahlbaum di Berlino e l'abbiamo purificata distillandola a pressione ridotta e cristallizzandola frazionatamente. Il suo punto di congelazione era 1°.96 e si mantenne tale durante le nostre esperienze. (1) Zeits. f. phy. Ch. t. IV, pag. 497. N. d’ord. HHH O_o 0041 UT 0 34 — 265 — I. Sostanze varie. Benzina C6H°. PM. = 78 Concen- Abbass. Coeffic. Abbass. Peso trazione termom. d’abbass. molecolare molecol. 0.6778 0.54 0.796 62.088 72.8 TRA: SINNNIR09 07351 151330) 7818 3.2580 2.34 0.718 56.004 80.7 4.5624 3.22 0.705 54.990 82.2 6.1791 4.24 0.686 53.508 84.5 7.6324 5.30 0.694 54.132 83.5 9.3529 6.37 0.681 53.118 11.9463 7.91 0.662 51.636 15.1972 9.79 0.644 50.232 19.0119 12.09 0.635 49.530 23.2631 14.15 0.600 46.800 28.1709 16.45 0.587 45.786 98.8 Tiofene C+H'S. PM. = 84 0.7706. 0.56 0.726 60.984 79.8 1.5821. 1.14 0.720 60.480 80.5 2.9034 2.04 0.702 58.968 82.6 4.1162 2.770.672 56.448. 836.3 5.6815 3.76 0.661 55.524 87.7 6.8813 4.50 0.653 054.852 8.4704 543 0.641 55.844 10.1163 6.36 0.628. 52.752 12.0510 7.54 0.625 52.50 14.4357 8.87 0.614 51.576 17.1719 10.80 0.599 50,316 26.8813 15.28 0.569 47.796 101.9 Toluol C'H3. PM. = 92 0.5448 0.32 0.587 54.004 98.8 1.6291 1.02 0.626 57.592 92.6 8.7022 2.26 0.610 56.120 95.08 5.9158 3.52 0.595 54.740 97.4 8.5262 4.96 0.581 53.452 JOZ517 6.11 0.568 52,252 12.9138 7.18. 0.555 51.060 15.0523 8.92 0.552 50.784 17.3453 9.34 0.598 49.496 32.0953 15.79 0.491 45.172 118.1 Bensaldeide C°HS0. PM. = 106 44 45 1.1891 2.6666 4.7422 6.7251 8.8231 10.9222 12.9122 16.0659 19.3185 21.3880 29.20.14 0.66 1.44 2.58 3.04 4.57 5.08 6.51 7.94 944 10.44 13.85 0.555 0.540 0.533 0.526 0.517 0.510 0.504 0.494 0.488 0.488 0.474 98.880 1045 57.240 107.4 56.498 108.8 55.756 110.2 54.802 54.060 95.424 52.364 51.728 51.728 50.244 122.3 Parazilene C°H*.(CH*)?. PM. —=106 N. Concen- d’ord. trazione 0.5513 1.6677 2.9057 4.5639 6.0611 7.9976 10.4384 12.8633 14.6366 16.6424 18.5416 21.2053 58 22.9286 59 28.6602 Abbass. termom. 0.325 0.90 1.56 244 3.17 4.155 5.24 6.30 6.99 7.92 8.87 9A ‘10.34 12.59 Coeffic. Abbass. Peso d’abbass. molecolare molecol. 0.589 0.539 0.536 0.584 0.523 0.517 0.501 0.489 0.477 0.475 0.478 5.457 0.450 0.439 62.434 98.4 57.134 107.6 56.816 108.2 56.604 108.6 59.438 110.8 54.802 53.106 51.884 50.562 50.350 50.668 48.442 47.700 46.534 132.1 Cloroformio CHC1* PM. = 119,5 0.5407 1.1511 24576 3. 4.1555 6.2902 8.5340 10.0624 11.8127 14.0333 16.1701 18.3946 21.8177 Nitrobenzina CSH>. NO;. 0.2768 0.9991 2.2058 3.9086 5.6612 8.2043 10.7805 13.3801 16.9672 20.6595 31.0940 0.25 0.56 118 1.985 3.00 3.99 4.66 5.46 6.47 7.40 8.36 9.42 0.16 0.49 1.04 1.84 2.68 3.78 4.91 6.02 7.45 9.08 18.02 0.462 0.486 0.480 0.477 0.476 0.467 0.463 0.462 0.461 0.457 0.454 0.431 0.578 0.490 0.471 0.470 0.475 0.460 0.455 0.449 0.439 0.439 0.418 55.209 58.077 57.360 57.001 56.882 55.806 55.328 55.209 55.089 54.611 94.263 51.504 134.5 125.5 119.7 120.8 121.5 121.8 PM.= 123 71.094 60.270 97.933 57.810 98.179 56.580 55.965 55.227 93.997 55.997 51.414 100.3 118.8 123.1 123.4 122.6 136.3 Veratrol C°H'.(0CH;)? PM. = 138 0.8535 2.2700 3.9723 5.9885 8.1399 10.8736 13.6478 16.9486 20.2709 24.5545 93 29.2126 94 35.2273 0.40 1.00 2.09 247 3.28 4.29 5.28 6.40 7.56 8.88 10.48 12.46 0.468 0.440 0.539 0.412 0.402 0.394 0.386 0.377 0.372 0.361 0.358 0.353 64.584 60.720 74.382 56.856 d9.476 54.372 53.268 52.026 91.336 49.818 49.404 48.714 123.9 131.8 140.7 148.2 164.3 N. Concen- trazione 1.7345 3.9413 5,8260 7.0456 10.4715 12.9873 16.9747 102 20.1207 103 24.7321 104 29.2547 105 33.8840 Abbass. termom. d’abbass. 1.145 1.77 2.51 5.21 4.24 5.18 6.42 7.28 8.72 9.80 11.14 Coeffic. 0.660 0.529 0.471 0.437 0 404 0.398 0.379 0.361 0.352 0.334 0.328 Bromobenzina C°H°Br 0.5758 1.6941 3.0410 4.5351 1106.5250 111 8.6616 112 11.8754 113 15.9175 114 19.8906 115 23.5529 116 32.6273 106 107 108 109 olio ES Ro, fn 00 00 SO DI D2.00 0.373 0.377 0.361 0.361 0.358 0.355 0.344 0.346 0.341 0.384 0.333 Bromotoluene C"H"Br 1170.6080 118. 2.7378 119 4.8088 1207.4810 121 10.2979 122 12.7590 123 14.9377 124 18.5193 125 26.6162 0.23 0.94 1.62 2.54 9.52 4.31 5.00 6.00 8.86 0.378 0.343 0.336 0.359 0.341 0.337 0.334 0.323 0.332 Abbass. 96.360 77.284 68.766 63.802 58.984 58.108 55.994 52.706 51.398 48.764 47.888 58.561 59.189 56.677 56.677 56.206 55.735 54.008 94.322 93.537 92.438 52.281 — 266 — Ossalato d’ etile C6H*°*04 PM. = 146 Peso molecolare molecol. 143.5 145.7 176.8 SEMI RI 155.4 153.8 160.6 160.6 162.01 174.10 SEME 64.658 98.658 57.456 57.969 58.811 57.627 57.114 55.233 56.772 150.7 169.09 172.6 171.09 174.6 Bromuro d’etilene. C*H'Br®.PM.=188 0.6771 1.7918 3.8186 9.9899 1307.5721 1319.5711 132 11.8935 133 14.3974 134 16.7756 155 19.3004 136 21.6973 137 25.1052 138 28.9705 139 33.8735 126 127 128 129 0.22 0.57 1.09 1.66 2.86 2.98 3.64 4.36 5.02 9.72 6.34 7.48 8.49 9.60 0.325 0.318 0.285 0.308 0.311 0.311 0.306 0.302 0.298 0.296 0.246 0.297 0.293 0.288 61.100 59.784 53.580 57.804 58.468 58.468 57.528 56.776 56.024 55.648 46.248 55,836 95.084 93.204 179.4 182.3 203 5 188.3 186.4 186.4 204.9 Bromoformio CHBr? PM = 253 N. Concen- d'ord. trazione 140 11591 1412.3987 1424.4822 1436.1670 1448.7804 145 12.4514 146 16.9115 147 21.1124 148 26.8130 149 34.2629 150 40.3887 151 46.6552 0.4369 1.1837 2.2466 3.9228 4.7285 5.7400 158. 6.8849 1598.7167 160 11.5242 161 17.3273 162 26.4231 163 45.1621 152 159 154 155 156 157 Abbass. termom. 0.29 0.60 106 1.46 2.09 2.90 3.94 4.82 6.23 786 9.12 11.00 Coeffie. Abbass. 0.250 63.250 0.250. 63.250 0.236 59.708 0.236 59.708 0.238. 60214 0232 58.696 0.232 58.696 0.228. 57.684 0.232 58.696 0.229 57.937 0.225. 56.925 0.235 59.455 Il. Alcooli. Alcool metilico CH'0. PM. = 32 1.444 46.112 1.182 37.824 0.943 30.176 0.766 24.512 0.652 20.864 0.585 18.720 0.525 16.800 0.452 14.464 0.380 12.160 Peso d’abbass. molecolare molecol. 232 250 250 254.8 40.1 0.287 0.210 0.140 9.184 6.720 4.480 414,2 Alcool isobutilico C4H!°0. PM 164 0.4576 0.36 165 1.1991 0.82 166 1.9495 1.20 167 26898 1.52 1683.9600 1.98 169 5.3442 2,40 1707.9743. 2.98 171 12.0429 83.70 172 15.9375 424 178 20.5904. 4.70 174 26.4965 5.29 175 33.4201 5.78 176 39.5580 6.12 177 45.7847 6.44 Trimetilearbinol 1780.8420. 0.20 179 0.9584 0.65 180 1.9341 1.17 181 3.0717 1.68 1825.4531. 2.52 183 7.8252 3.08 184 95571 3.52 185 13.9253 4.36 186 23.8571. 5.70 187 85.9846 6.30 188 46.9156 6.42 0.786 0.683 0.615 0.565 0.500 0.449 0.373 0.307 0.266 0.228 0.199 0.172 0.154 0.140 58.164 50.542 45.510 41.810 37.000 33.226 27.602 22.718 19.684 16.872 14.726 12.728 11.396 10.360 C“H!°0. PM. 0.584 0.681 0.604 0.546 0.462 0.413 0.368 0.313 0.258 0.175 0.136 43.216 50.394 44.696 40.404 34.188 30.562 27.232 23.162 17.612 12.950 10.064 i 73.7 416.2 = 74 99,3 426.4 N. Concen- d’ord. trazione 1890.6900 1901.8824 1914.1005 1926.9815 1939.6211 194 13.5760 195 17.3074 196 21.9481 197 27.4477 198 34.9599 199 41.1066 Abbass. termom. 0.36 0.88 1.74 2.64 3.855 4.28 5.06 5.94 6.98 8.22 9.56 Coeffic. d’abbass. molecolare molecol. 0.521 0.467 0.424 0.378 0.348 0.315 0.292 0.270 0,254 0.235 0.252 — 267 — Alcool benzilico C'HS0 PM. = 108 Abbass. Peso 56.260 111.1 50.436 45.792 40.824 37.584 34.020 31.536 29.160 27.432 25.380 25.056 250 Alcool caprilico C*H'80. PM = 130 0.4682 1.3222 2.6539 4.1681 5.8522 8.1277 10.7222 14.6036 22.9034 209 30.7558 210 38.2192 211 44.1497 200 201 202 203 204 205 206 207 208 0.26 0.655 1.14 1.66 217 2.82 3.46 4.82 6.02 1.39 8.545 9.58 0.555 0.495 0.429 0.398 0.370 0.346 0.322 0.295 0.262 0.240 0.223 0.211 Etere dietilico della C°H!603. PM. = 148 0.5061 1.2123 2.2820 3.0177 4.9509 7.1298 9.7370 13.0644 16.7522 21.0140 25.3932 38.9396 44,4881 49 8530 55.9307 614144 212 213 214 215 216 217 218 219 220 221 222 223 224 225 226 227 0.20 0.44 0.79 1.03 1.61 2.04 2.59 3.24 3.865 4.58 5.25 TI 8.02 8.73 9.44 10.12 0.395 0.362 0.346 0.341 0.325 0.286 0.265 0.248 0.230 0.217 0.206 0.138 0.180 0.175 0.168 0.164 72.150 104.5 64.350 55.770 51.740 48.100 44.980 41.860 38.350 34.060 31.200 28.990 27.430 274.8 glicerina 58.460 146.8 53.576 91.208 90.468 48.100 42.328 39.220 36.704 34.040 32.116 30.488 27.084 26.640 25.900 24.864 24.272 353.6 III. Alcaloidi. Piridina C°H°N. PM. = 79 1.6554 3.38639 6.1911 2318.7865 232 11.1032 238 14.0979 234 17.4233 235 25.6461 228 229 230 1.60 2.72 4.52 6.08 747 QI 10.81 14.26 0.966 0.807 0.730 0.691 0.672 0.646 0.620 0.555 76.31 63.75 73.1 97.607 794 54.60 83.9 58.08 51.03 48.98 43.84 104.5 ReNnDICONTI, 1896, Vol. V, 1° Sem. N. Piperidina C°H!N. PM. = 85 Concen- d’ord. trazione 236 237 238 239 240 241 242 243 244 245 246 247 248 249 250 251 252 259 254 255 256 257 258 259 260 1.4869 2.4482 3.38562 4.7198 6.4586 8.3720 10-4981 127477 14.9872 17.5096 20.3331 22.0227 25.4703 29.2338 37.2818 Anilina 0.5912 1.6738 2.0746 4.38559 5.9441 10.5570 13.4042 16.4155 19.4332 22.3230 Abbass. termom, 0.80 1.36 1.88 2.66 3.60 4.56 5.96 6.69 7.63 8.78 9.81 10.66 11.82 13.00 15.72 Coeffie. Abbass. Peso d’abbass. molecolare molecol. 0.538 0.555 0.560 0.563 0.557 0.544 0.529 0.524 0.509 0.501 0.482 0.484 0.464 0.444 0.421 45.730 47.175 47.600 47.855 102.6 47.345 104.1 46.240 44.965 44.540 43.265 42.585 40.970 41.140 39.440 37.740 35.785 137.7 C°H>. NH,. PM. —=:93 035 0.98 1.73 2.49 3.36 5.61 6.86 8.18 9.34 9.66 0.592 0.585 0.581 0.571 0.560 0.531 0.512 0.498 0.480 0.432 95.056. 97.9 54.405 991 54.033 99.8 53.103 101.5 52.080 103.3 49.388 47.616 46.314 44.640 40.176 134.2 Orio dada eo PM.=107 261 262 265 264 265 266 267 268 269 270 271 272 273 274 275 276 277 278 0.7690 2.0785 3.4335 4.8602 6.1924 8.0605 9.6089 12.0459 14.1597 18.4409 24.2329 0.46 1.14 1.83 2.52 3.16 4.02 4.69 5.72 6.62 8.40 10.38 0.598 0.548 0.532 0.518 0.513 0.498 0.488 0.474 0.466 0.455 0.428 63.986. 96.9 98.636 105.4 56.924 109.02 55.426 111.9 54.891 113.06 03.286 52.216 50.718 49.862 48.685 45.796 135.5 Chinolina C°H"N. PM. = 129 2.9204 4.9485 7.6560 11.0482 14.3402 18.6731 24.5946 1.64 2.52 3.66 4.88 5.99 7.505 8.40 0.650 0.509 0.478 0441 0.410 0.401 0.342 83 850 65.661 61.662 121.3 56.889 131.5 52.890 51.729 44.118 169.5 35 — 268 — IV. Acidi. V. Fenoli. Fenol C°HS0. PM. = 94 N. Concen- Abbass. Coeffic. Abbass. Peso d’ord. trazione termom. d’abbass. molecolare molecol. 0 - Abbass. Coeffic. Abbass. Peso mr ina Vento termom. d’abbass. molecolare molecol. sio ORSO Cor E DIO 97.9 279 0.6820. 0.64 0.938 43.148 618 812 14647 0.82 0.559 52.546 2802.3057 1.64 0.712 32.752 75.4 9182.5261 140 0.554 52.076 2813.4376 2.08 0.605 27.830 914 4.8854 2.62 0.536 50.384 2824.5992 240 0.521 23.966 111.1 9155.8919 318 0.539 50.666 2836.2383 2.71 0.434 19.964 133.5 316 74800 401 0.586 50.384 Acido formico CH? 0° PM. = 46 284 9.0818 3.00 0.330 15.180 317 8.1695 4.34 0.531 49.914 285 12.3242 3.26 0.264 12.144 3188.4653 444 0524 49.256 286 16.9684 3.56 0.209 9.614 319 10.9329 5.55 0.507 47.658 287 22.2210 3.90 0.175 3.050 320 14.8562 7.31 0.492 46.248 288 36.6946 5.44 0.148 6.808 321 194492 9.24 0.475 44.650 122.1 289 54.8942 8.52 0.156 7.176 871,7 CH? Cresol C°H*' < OH: PM.= 108 322 0.4129 0.17 0411 44.888 141.1 328 1.8670 0.68 0497 53.676 116.7 2900.5161 0.29 0.562 49.456 103.3 3242.2547 114 0.505 54540 114.8 291 1.3059 0.68 0.520 45.760 111.8 325 34055 1.66 0487 52.596 119.5 2922.8853 141 0496 43.648 115.8 326 5.0822 2.40 0.472 50.976 122.8 2935.2495 244 0.464 40.832 124.7 327 6.7350 3.10 0.460 49.680 Acido isobutirrico C4H80?. PM. = 88 2947.2654 3.24 0.445 39.160 328. 9.38582 4.20 0.448 48.884 295 11.9448 4.94 0.418 86.344 329 11.5576 5.06 0.437 47.196 296 17.3056 6.64 0.383 33.704 148.3 330 16.1563 6.96 0.430 46.440 297 24.9954 8.95 0.350 30.800 331 21.6427 9.02 0.416 44.928 298 28.8489 9.93 0.334 30.272 332 30.1969 12.30 0.407 43.956 299 38.5372 12.80 0.332 29.216 144.6 333 35.1759 14.19 0.403 43.524 143.9 Timol C*°H'40. PM. = 150 3340.5157 0.20 0.387 58.050 149.8 3351.6516 0.63 0.381 57.150 3000.4886 069 1412 144.024 41.07 336 3.1518 = 1.22 0.387 58.000 149.8 3011.1242 1.03 0.916 93.432 8875.2989 2.015 0.380 57.000 3022.1963 1.49 0.678 69.156 8885.4451 2.10 0.385 57.750 150.6 3033.8688 2.18. 0.563 57426 103.01 8397.4102 2.79 0.376 56.400 3046.2003 3.04 0.490 49.970 118.3 8408.5724 3.28. 0.382 57.300 3059.1008 4.02 0.441. 44.982 131.5 841 10.9192 4.11 0.376 56.400 Acido valerianico C°H'°0*%.PM.—102 306 12.6977 5.11 0.402 41.004 842 14.1370 5.22 0.369 55.350 307 23.2470 8.20. 0.352 35.904 943 15.7345. 5.58. 0.354 53.100 808 27.8196 9.40 0.337 34.374 844 16.3180 5.98 0.366 54.900 809 33.6953 10.94 0324 33.048 175,8 345 20.2292 7.61 0.376 56.400 154.2 Carvacrol C'°H!40. PM. = 150 N. Concen- Abbass. Coeffic. Abbass. Peso d'ord. trazione termom. d’abbass. molecolare molecol, 3460.4695 0.18 0.883. 57.450. 151.4 8471.9366 0.76 0.392 58.800 147,9 3483.9620 1.51 0.881 57.150 152.2 349 5.9228 3.16 0.364 54.600 159.3 3508.3975 3.02 0.359 53850 161.5 3851 10.7922 . 3.88. 0.359. 53.850 352 13.2314 4.72. 0.356. 53.400 358 16.8280 5.92 0.351. 52.650 854 19.7228 6.880.348 52.200 355 22.1505 7.61. 0.348. 51.450 356 24.5466 8.320.338 50.700 357 27.4617 9.30. 0.338 50.700 171.5 _1—Prrr—— m——n—_—r——_—__——’ —269 — Dalle esperienze che precedono si deduce prima di tutto che i corpi di varia funzione chimica si comportano nella Dimetilanilina in modo abbastanza regolare. In generale può dirsi che la Dimetilanilina come solvente ha un comportamento molto vicino a quello degli idrocarburi e dei loro prodotti di sostituzione. Ed invero: 1° L’abbassamento molecolare degli alcooli, che è molto prossimo al nor- male per soluzioni diluite, diminuisce rapidamente col crescere della concen- trazione, tanto che per l'alcool metilico si riduce a meno di 7 per una con- centrazione di circa il 26°/, e per lo stesso alcool benzilico scende a 25 per una soluzione al 34 °/o. 2° Il fenol ordinario ed il p. cresol danno un abbassamento inferiore al normale che diminuisce con la concentrazione, ma molto meno rapidamente che per gli alcool. Gli altri omologhi del fenol (timol e carvacrol) può dirsi che si comportano regolarmente. 8° Per gli acidi abbiamo una notevole differenza col crescere del loro peso molecolare. L'acido formico si comporta come l'alcool metilico, ma per i suoi omologhi il fenomeno è molto meno marcato. Del resto per quanto la Dimetilanilina sia una base debole, non è esclusa in questo caso la for- mazione di sali che alteri il fenomeno. 4° Gli alcaloidi si comportano abbastanza regolarmente. 5° Per tutte le altre sostanze (idrocarburi, etere, aldeidi) si osserva che in soluzioni diluite l'abbassamento molecolare è ordinariamente superiore al normale, e che per quelle molto concentrate può divenire notevolmente infe- riore, come del resto avviene per quasi tutte le sostanze in tutti i solventi. Scegliendo fra le nostre esperienze quelle relative a sostanze che hanno un comportamento più regolare, e limitandoci ai dati forniti da soluzioni nè molto diluite, nè molto concentrate, si hanno le seguenti medie; Benzina (1. 2. 3. 4.) DIVANAZIO Tiofene (1. 2. 3. 4.) 59. 220 Toluol (2. 3.) 56. 856 Benzaldeide (1. 2. 3.) 57. 522 Paraxilene (2. 3. 4.) 56. 851 Cloroformio (2. 3. 4. 5.) 97. 327 Nitrobenzina (2. 3. 4. 5.) 58. 548 Veratrol (1. 2. 4.) 60. 720 Bromobenzina (2. 3. 4. 5. 6.) 56. 896 Bromotoluene (2. 3. 4.) 58. 026 Bromuro d'etilene (2. 4. 5. 6) 58. 631 Di cui la media è 58. 02. Non essendo noto il calore latente di fusione della Dimetilanilina, non abbiamo potuto calcolare con la formola di van’t Hoff la costante dell’ ab- bassamento molecolare e noi crediamo che si possa adottare il numero 58. Con la regola di Raoult si calcola 75. 02. — 270 — Chimica. — Nuove ricerche sulla trasformazione delle a-al- dossime in nitriti (). Nota di G. MinunnI e D. VAassaLLO, presentata dal Socio PATERNÒ. Le belle ricerche di A. Hantzsch (?) hanno, come è noto, dimostrato che i derivati acetilici delle 8-ossime per azione dei carbonati alcalini si sdoppiano nettamente, già a temperatura ordinaria, in acido acetico e nitrili, e che le a-acetilossime isomere nelle stesse condizioni non forniscono nitrili, ma rige- nerano semplicemente le «-ossime. Questi fatti sono di grande importanza, perchè furono logicamente considerati come una prova dell’esattezza delle for- mole stereochimiche SO, X__CCH I e | HO—N NT-0H a-Aldossime B-Aldossime che, secondo la teoria di Hantzsch e Werner, competono alle aldossime isomere. La trasformazione delle a-ossime in nitrili fu effettuata molti anni addie- tro da Lach (8), il quale ottenne benzonitrile riscaldando 1’ a-benzaldossima da sola, oppure in presenza di anidride acetica. Ma in queste reazioni, come fece giustamente osservare Hantzsch, è possibile che per l’azione del calore l’a-benzaldossima si trasformi dapprima nell’isomero 8, e che questo in una seconda fase fornisca il nitrile. Esperienze descritte da uno di noi in una Memoria pubblicata nella « Gazzetta chimica italiana » (t. XXII, II, 174 e 191) hanno però dimostrato, come si possa ottenere il nitrile da un’ «-ossima, operando a temperatura ordi- naria ed in condizioni, in cui la trasformazione dell’a-ossima nel suo isomero non sembra possibile. Risulta da quelle esperienze, che l’ @-benzoilbenzaldos- sima, trattata in soluzione eterea con acido cloridrico gassoso secco a tempera- tura ordinaria, si sdoppia quantitativamente in benzonitrile ed acido benzoico, e che risultato analogo si ottiene, sottoponendo allo stesso trattamento l’e-ace- tilbenzaldossima. Fu inoltre osservato, che lasciando in riposo per molti giorni in tubi chiusi a temperatura ordinaria una soluzione eterea di a-acetilbenzal- dossima saturata a —10° con acido cloridrico gassoso secco, si forma, per azione dell’ idracido sul benzonitrile proveniente dallo sdoppiamento dell’ aceti- lossima, il prodotto di addizione CH 0C1,.NH,, (1) Lavoro eseguito nel laboratorio di Chimica generale della R. Università di Palermo. (2) Berichte, 24, 13 e 36. (8) Berichte, 17, 1571. O che trattato con acqua fornisce acido benzoico, benzammide e benzonitrile, secondo l'equazione seguente : 80 H; ° COL, . NH, + 3H,0 (= ORE . CO . NH, + CH; è COOH + CH; Ò C : N + NH, Cl + 5 HCl è In base a questi fatti uno di noi (*) sollevò dei dubbî sull'esattezza delle formole geometriche attribuite alle ossime isomere da Hantzsch e Werner. Se- condo la teoria di questi chimici l’ eliminazione dell’acqua e la trasforma- zione diretta in nitrile è possibile soltanto nelle 8-ossime R—_—CT—-H N—-0H, in cui l'idrogeno e l’ossidrile si trovano in posizione corrispondente (*). Ma nelle reazioni studiate da uno di noi il benzonitrile si forma, secondo il nostro modo di vedere, direttamente dai derivati dell'a-benzaldossima. La possibilità che questi corpi, prima di reagire, si trasformino in deri- vati della 8-ossima è, secondo noi, inammissibile, perchè si opera non solo a bassa temperatura, ma anche in presenza di acido cloridrico, che ha, come è noto, la proprietà di trasformare i derivati acetilici e benzoilici delle 8-0s- sime in quelli delle «-ossime. Così trattando la #-benzaldossima con cloruro di benzoile, oppure con clo- ruro di acetile, si ottengono i derivati dell’a-benzaldossima; trattando con acido cloridrico gassoso l’acetil-8-benzaldossima già formata (ottenuta con anidride acetica ), avviene istantaneamente la trasformazione in acetil-a-ben- zaldossima. Ci è sembrato opportuno studiare l’azione dell'acido cloridrico sui deri- vati benzoilici di altre «-aldossime, seguendo il metodo indicato da uno di noi, saturando cioè la soluzione eterea del derivato con acido cloridrico gas- soso a — 10°, e lasciando la massa per alcuni giorni a temperatura ordinaria. I derivati benzoilici furono preparati trattando l’e-ossima con cloruro di ben- zoile in soluzione eterea a temperatura ordinaria (8). I fatti da noi osservati sono i seguenti: I. La denzoîl-a-m-nitrobenzaldossima (p. di f. 161°) preparata secondo le indicazioni di Minunni e Corselli (4) si sdoppia per l’azione dell'acido clo- ridrico in acido benzoico e m-nitrobenzonitrile fusibile a 117°. (1) Gazz. chim. ital., t. XXII, II, 191. (2) Berichte, 23, 26. (3) La descrizione particolareggiata delle esperienze eseguite si trova, unitamente ai dati analitici, in una nota, che verrà pubblicata quanto prima nella « Gazzetta chimica italiana ». (4) Gazz. chim. ital., t. XXI, II, 171. — 272-— II. La bdenzoil-a-cuminaldossima, che dall'alcool bollente cristallizza in aghi bianchi fusibili a 125-126°, fornisce allo sdoppiamento acido ben- zoico e cumonitrile bollente a 239-241°. III. Dalla derzozl-a-anisaldossima (p. di f. 109-110°) già preparata da Minunni e Corselli si ebbe il nitrile anisico fusibile a 59-60°. IV. La denzoil-a-salicilaldossima cristallizza dall'alcool acquoso bol- lente in aghi bianchi fusibili a 114,5-115°. Con l'acido cloridrico si com- purta in modo analogo, perchè fornisce acido benzoico e salicilonitrile fusi- bile a 97-98°. V. Il miscuglio di @- e #-furfuraldossima (p. di f. 45-65°) che secondo Goldschmidt e Zanoli (') si ottiene trattando il furfurolo con una soluzione alcalina di idrossilammina, fornisce con cloruro di benzoile un composto unico che ha la composizione del derivato benzoilico della furfuraldossima, e che fonde a 138-138,5°. Questo composto, che, in base a quanto si sa sull'azione dei cloruri acidi sulle f-aldossime, deve essere considerato come il derivato dell'a-furfuraldossima, si sdoppia per l’azione dell'acido cloridrico in furfuro- nitrile (p. di f. 145°) e acido benzoico. VI. Il derivato benzoilico della propilaldossima è un olio denso, gial- lognolo che non cristallizza nè per lungo riposo, nè per raffreddamento con sale e neve. Trattato con acido cloridrico gassoso in soluzione eterea fornisce propionitrile (p. di eb. 97-98°), acido benzoico e tracce di una sostanza cri- stallina fusibile verso 160° con decomposizione. Questi fatti dimostrano, che lo sdoppiamento dei derivati acidi delle a-ossime in acido organico e nitrile per azione dell'acido cloridrico secco a temperatura ordinaria è una reazione generale che può essere rappresentata con la seguente equazione: R. CH: NO. CO.R=R.C:N#+R. COOH. In base ai risultati delle nostre esperienze si può perciò affermare, che tanto dalle @-, quanto dalle - ossime si possono ottenere nitrili a {empera- tura ordinaria. Differente è soltanto il mezzo, con cui si riesce ad effettuare questa trasformazione, e cioè per i derivati (acetilici o benzoilici) della serie @ impiegando l’acido cloridrico secco, per quelli della serie 8 i carbonati alca- lini. Per conseguenza la trasformazione in nitrile non potrà più considerarsi, a nostro modo di vedere, come un metodo per determinare la configurazione delle aldossime, neppure nel caso, in cui si riuscisse a conciliare le formole stereochimiche attribuite da Hantzsch e Werner alle aldossime coi fatti da noi osservati, secondo i quali anche le @- ossime possono fornire nitrili senza trasformarsi prima negli isomeri della serie. ft. (1) Berichte, 25, 2573. — 273 — Chimica. — Sui cementi idraulici — Fustoni al forno elet- trico. Note di G. Oppo, presentate dal Socio CANNIZZARO. Queste Note saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. Fisiologia. — Za respirazione dell’uomo sul Monte Rosa. Eliminazione dell’ acido carbonico a grandi altezze. Nota del prof. UcoLIino Mosso, presentata dal Socio AnceLo Mosso. Ho studiato l’ eliminazione dell’acido carbonico alle seguenti altezze sul livello del mare: Torino, nell’ Istituto di fisiologia metri 276 Gressoney la Trinité » 1627 Alpe Indra sulla strada del Monte Rosa » 2515 Accampamento Regina Margherita presso la capanna Linty » 3047 Capanna Gnifetti » 3620 Capanna Regina Margherita » 4560 Camera pneumatica dell'Istituto fisiologico » 7400. Queste esperienze le feci seguendo la spedizione di mio fratello al Monte Rosa dal luglio all’ agosto 1894. Le persone sulle quali eseguii i miei studî erano soldati alpini, cioè: il caporale Jachini d'anni 22, del peso di kgr. 71,120, della statura di m. 1,75; il soldato Solferino d'anni 22, del peso di kgr. 63,910, della statura di m. 1,71; il soldato Sarteur d'anni 22, del peso di kgr. 64,820, della statura di m. 1,73. Mi servii dell'apparecchio che ho descritto nella Nota precedente (1). Ho preso la precauzione di fare le esperienze nei giorni di riposo, pos- sibilmente sempre alla stessa ora e così lontano dal pasto che sì potesse tra- scurare l’ influenza della digestione. Ho seguito lo stesso metodo che ho de- scritto nella Nota antecedente, e qui per brevità riferisco, sotto forma di tabelle, le esperienze fatte in ciascuna delle località dove ci siamo fermati. Le medie ottenute per mezz'ora nelle determinazioni fatte a Torino sono le seguenti: Caporale Jachini aria inspirata litri 270, CO? dell’aria espirata gr. 16,1 Soldato Solferino » ” 202.05 ” » 12,6 Soldato Sarteur > ” » 200 » » ni 205. (1) Ugolino Mosso, Apparecchio portatile per determinare V acido carbonico nell'aria espirata dall'uomo. Rendiconti della R.Accad. dei Lincei, 1896, 1° sem., fasc. 5°, pag. 221. — 274 — La prima tappa è stata Gressoney la Trinité (m. 1627) dove arrivammo il 18 del mese di luglio. I soldati erano accampati all’ aperto e le esperienze sì facevano sotto una tenda militare. I. Esperienze fatte a Gressoney la Trinité a 1627 metri. È ca Grammi di CO? ro È Co) DI Si E a E OLE o 3 Ea BMEE Sfalo Se lo Le 3 Data Ore 32 DE 333 È 3 Ch Ess E Be RE AE E95| 52 | #55 È E 9 Re) È fsi o 3a Jachini . 1 (21 VII 9,25/17°| 65 cm. | 261,075 |15,423| 0,434 | 0,059 Jachini . 2 (21 » 14,4 |18 ” 285,010 |17,036| 0,479 | 0,059 Solferino 9022000 Ao 21 » 206,223 |11,998| 0,375 | 0,053 Sarteur . 4 123 » LSMMI|25. D) 207,983 |13,003| 0,400 | 0,062 Sarteur . 5 |24 » | 13,30|26 ” 177,203 | 9,224| 0,284 | 0,052 Solferino 6 (24 » | 15,55 |24 » 289,633 | 18,380) 0,574 | 0,063 Il giorno 25 luglio la spedizione lasciò Gressoney e si accampò sotto tende in una località denominata Alpe Indra (m. 2515), posta in un piano fiancheggiato da tre parti da montagne, ed ai piedi del ghiacciaio che ha lo stesso nome. Il giorno successivo incominciarono le esperienze. II. Esperienze fatte all’ Alpe Indra a 2515 metri. È 3 Grammi di CO? S ì È © Ad sE s S Dagpll=========" = S8| SÉ SENI a (E, Spi Datert Re Sala Sa | GS SEE 3 Bici telo Rea | Sat 5 Ate STE gue do AS Z j RoToo Ne mot Mor Jachini. . . . .| 7|26 VII| 10,45|15°| 62 cm. | 290,405 |17,676| 0,497 | 0,061 Solferino MP 8/26» 16,20|16 » 208,561 |12,383| 0,386 | 0,059 SOlferIN'O MNFtAr IN 9/29» 9,35|10 D) 240,421 9,528| 0,298 | 0,039 Sarte e e ee LO (DI 10,50|10 » 174,990 9,965) 0,306 .| 0,057 LE e o UO ca 14,16|12 ” 283,126 |17,563| 0,494 | 0,062 Il giorno 80 luglio, continuando a salire, ci siamo attendati a 3047 m., poco distanti dalla capanna Linty, in un piano che ha servito di accampa- mento a S. M. la Regina Margherita nelle sue escursioni al Monte Rosa. III. Esperienze fatte all’accampamento Regina Margherita a 3047 metri. z Sh Grammi di C0° Li di È È SM) o 3 Sal Ou s 7 st ss FLO MERO, È _2 = UE Sa 58 | CERI sE | Esa 9 Data Ore 25 ZE ISIS) FIG ep® Fesios Si SSj £e ‘ag SA g|ege E © fa She FIS 9 = Fiato È Hi 0a) RIE alia MO SE Jachini . . . . .| 12|1 VIII) 14,80 |15°| 51 cm. | 243,898 | 13,926] 0,388 | 0,053 Solferino . . . .| 13/2 _» 15,99 |13 D) 303,660 | 16,483| 0,515 | 0,054 Sarte uri SIA I 15 12 » 220,354 | 12,601| 0,392 | 0,057 — 275 — A quest’ altezza, benchè l’aria sia rarefatta di circa un terzo, non si os- servò alcun fatto nella funzione respiratoria che possa riferirsi al male di montagna. Il 5 agosto ci traslocammo nella capanna Gnifetti (m. 3620). Questa è circondata da ogni parte da ghiacciai; a nord s' innalza un contrafforte che la ripara dai venti. La Direzione del Club alpino italiano aveva concesso alla spedizione l’uso della piccola capanna che è vicino alla grande. Le espe- rienze vennero fatte in questa capanna. IV. Esperienze fatte alla capanna Gnifetti a 3620 metri. Ei È 2 D Grammi di CO? n) si >) Co) 3 La £ DL g 2 SE sca AL mi ° S ES) 35 SG EGR IESLIGSE ° Data Ore DE n E (CR = FS IDE ESE S dici: EAlE Ft=ila GoSas (ni D ei C [a az E fi fa S ne È Ei SE He Jachini . . . . ..| 15/7 VIII| 14,20 |10°|48 cm. | 231,649 |14,388| 0,405 | 0,062 Solferino e ee OTO. 7000» 16,20 | 5 ” 231,866 | 16,597| 0,518 | 0,071 Sarieuie oa sg 725067 5) 218,828 | 11,216] 0,345 | 0,051 Comparvero a questa altezza i primi sintomi di un'alterazione nella funzione del respiro; infatti la mia respirazione durante il sonno e qualche volta durante la veglia assumeva una forma decisamente periodica. Anche in altre persone si manifestarono nella capanna Gnifetti dei disturbi respi- ratorî specialmente nel sonno. Nessuna modificazione osservai nei soldati. Il giorno 8 la nostra spedizione incominciò a traslocarsi nella capanna Regina Margherita a 4560 metri. Quivi giunti e ristabilitici dalla faticosa ascensione, siamo restati dieci giorni. In principio abbiamo sofferto qual più qual meno. La respirazione periodica era in me così marcata, che non po- tevo dormire a lungo durante la notte, perchè mi svegliavano le profonde inspirazioni che di quando in quando dovevo fare. Anche durante il giorno respiravo a periodi, ed il respiro diveniva penoso quando, non distratto da occupazioni, vi badavo. I soldati alpini furono quelli che meno sentirono l’ in- fluenza dell’aria rarefatta; in essi la respirazione periodica compariva distinta solamente durante la notte e non sempre nè in tutti. Ma anche coloro che sono abituati a quell’atmosfera per il loro lungo soggiorno, come i guardiani della capanna, alpigiani sui quarant'anni, presentarono disturbi respiratorî. Le esperienze furono fatte nella stanza destinata ad osservatorio dove la tem- peratura oscillò fra + 7° e + 20°: fuori la temperatura si mantenne sempre inferiore allo zero fra — 2° e — 15°. ReEnDICONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 36 — 270 — V. Esperienze fatte nella capanna Regina Margherita a 4560 metri. ® © - 3: 2 î s8| 25 ssa |#ÉS| cs | af ? Data Ore 2S SÈ ES: EEE 5 Esa E &° RUS SM 34 Eni SIAE [ Il Jachini . . . . .| 18,12 VIII, 16,28| 7° 43 cm. | 276,427 |15,282| 0,430 | 0,055 TRE SONS pa i730)18) ” 289,296-|16,096| 0,454 | 0,055 Sartewr i 20] M6/ i L65350 12 5) 192,065 |11,284| 0,347 | 0,058 Sarte ut e 21 7 RL025] 18 ” 151,830 | 8,698| 0,268 | 0,057 Solferino . . . . | 22 18» 10,20 |20 ” 267,220 |14,595| 0,456 | 0,054 Solferino . . . .| 23118 » 13,45 [19 ” 259,171 |12,703| 0,396 | 0,050 Ritornati a Gressoney la Trinité (metri 1627) ho ancora fatto le seguenti serie di esperienze. VI. Esperienze fatte a Gressoney la Trinité di ritorno dal Monte Rosa. RIE n 2 Grammi di CO? È Sol 38 | isf (Sai a x RE E (nh 38% 29 |a | 3 | Data ore |52| 3 358 |T.5S &5 |E5s |3 B6| e | aste SD (») i E È ara SAM ooo I Sarteurt. UU. 0 ‘| 24/23 vai 10 15°| 65 cm. 161,229 | 8,938] 0,275 | 0,055 Ja ChIN IA Ne e 125] 29/60 11,20 [12 » 301,973 |18,411| 0,518 | 0,060 Solferino «0. a 202300 15,40 |12 » 197,861 |10,454| 0,336 | 0,053 Per avere più facilmente sott'occhio i risultati delle precedenti espe- rienze le riassumo nella seguente tabella, riportando il peso del CO? elimi- nato in mezz ora alle diverse altezze. 1627 m. | 2515 m. 3047 m |3€20 m. 4560 m. 1627m Va T——__ er u —— = —— —_—_|[=—-—'|—- _——_ Jachini . .| 15,423. 17,036] 17,676] 17,563| 13,926| 14,388 15,282| 16,096] 18,411 Solferino . .| 11,998| 18,380| 12,383] 9,528] 16,483] 16,597) 14,595; 12,703) 10,454 Sarteur. . .| 9,224] 13,003] 9,965 12,601| 11,216] 11,284| 8,698| 8,938 Appare evidente che la rarefazione non modificò gran fatto l’ eliminazione del CO?, rimanendo essa quasi la stessa che nella pianura. Anche la quantità dell’aria respirata in mezz ora non subì una varia- zione notevole, come si vede dalla seguente tabella. 1627 m. 2515 m. 8047 m.)3620 m. 4560 m. 11627 m. _ — —_d———_r_| —— ———————_y_—_—__ y|[_—_— |. »>— *—>°'><>"*="-;. rr JE ChINIRAESieE 261,075|285,010; 290,405 283,126 243,898|231,649 276,427|289,296 301,973 Solferino . . |206,223/289,633208,561|240,421 303,660/231,866 267,220 259,171|197,861 Sarteur. . . |207/988|177/203|174/990 220,354 218 826/192,065|151,830,161,229 Da questi dati risulta che quando si è tranquilli ed in riposo non com- paiono modificazioni importanti nella eliminazione del CO? e nel volume del- — 277 — l'aria respirata a grandi altezze. È necessario però notare che se si passa dallo stato di quiete a quello di lavoro intenso dei muscoli, il bisogno di una respirazione più accelerata compare in modo visibile e più presto che non nei luoghi meno elevati. Arrivato a Torino volli verificare se i medesimi risultati potevano ot- tenersi per rarefazioni maggiori dell'atmosfera. A tale scopo mi servii della camera pneumatica che esiste nell'Istituto fisiologico. È questa una campana cilindrica di ferro della capacità di circa 900 litri, alta m. 1,80, del dia- metro di m. 0,79. Una persona può stare dentro coll’ apparecchio a determina- zione dell'acido carbonico, che ho descritto nella precedente Nota e farlo fun- zionare. Una pompa aspirante, messa in movimento da un motore a gas, man- tiene una corrente d’aria sufficiente alla respirazione, mentre l’aria nella campana va continuamente rarefacendosi. Però l'atmosfera nella campana può mantenersi per mezzo di una chiavetta alla pressione voluta. Questa serie di esperienze l’ ho fatta sopra di me. Io entravo nella cam- pana al mattino ed al pomeriggio circa due ore dopo la colazione. Facevo prima una determinazione di acido carbonico per una mezz ora alla pressione atmosferica ordinaria. Dopo un quarto d'ora incominciava la depressione nella campana. Ottenuto in circa mezz'ora il grado di rarefazione che desideravo, rimanevo in quell’atmosfera per alcuni minuti. Applicavo prima la maschera sulla faccia e respiravo attraverso le valvole. Dopo qualche minuto congiun- gevo le valvole col contatore e così incominciava l’esperienza. Subito dopo facevo passare l’aria espirata attraverso itubi di barite mettendo in movi- mento lo schizzatoio. Dovendo lavorare manualmente e fare attenzione allo esperimento non ero nello stato di riposo completo. Da una finestra prati- cata nella parete della campana un aiuto leggeva dal di fuori sul contatore il valore di ogni mia respirazione. 1° Esperienza. Il giorno 17 febbraio 1896 entro nella camera pneumatica alle ore 14,5; la pressione atmosferica è di 75 cm.; dopo 10 minuti incomincio l’esperienza. In mezzora respiro litri 308,528 di aria ed elimino gr. 24,595 di CO?. La temperatura della campana era 20°. Il numero delle respirazioni passò da 9 a 12 per minuto. 2a Hsperienza. Alle ore 16 rientro nella campana ed incomincia subito la rarefa- zione dell’aria. Alle ore 16,25 la pressione interna è 36 cm. L’ esperienza venne fatta a questa pressione che corrisponde ad un'altezza di 5950 metri. Alle ore 16,30 incomincia l’esperienza, ed in mezz'ora respiro litri 345,156 di aria ed elimino gr. 24,851 di CO?. La temperatura della campana era 21°. Il mio polso 100 al minuto. Il numero delle respira- zioni passò da 8 a 12 per minuto. Non ho sofferto, sentivo però il bisogno di respirare meglio, e finita l’ esperienza l'ingresso di una maggior quantità di aria nella camera mi fece piacere. Paragonando i risultati di queste due esperienze si vede che non vi è una variazione notevole nell’ eliminazione dell'acido carbonico per la respi- — 278 — razione alla pressione ordinaria di 75 cm. e per la respirazione alla pressione di 36 cm. Il volume dell'aria respirata aumentò leggermente. 3° Esperienza. Il giorno 23 febbraio 1896 entro nella camera pneumatica alle ore 9,17, la pressione ordinaria è di 74 cm. Alle ore 9,19 incomincio l’esperienza, ed in mezz’ ora respiro litri 327,173 di aria ed elimino gr. 23,583 di CO?. La temperatura della campana era 17°,5. Il numero delle respirazioni 8 a 10 al minuto. 4° Esperienza. Rientro nella ‘campana alle ore 10,10, ed alle 10,45 la pressione interna è 34 cm. di mercurio. L'esperienza venne fatta a questa depressione, che corri- sponde a 6405 metri di altezza. Incomincio l’esperienza ad ore 10,51, ed in mezz'ora respiro litri 381,409 di aria ed elimino gr. 24,268 di CO? La temperatura della cam- pana passò da 17° a 199,5. Il polso era 104 al minuto. Il respiro da 10 a 15 al minuto. Non ho provato vertigini, non mi sentii male. Anche in queste due esperienze, sebbene la depressione sia stata mag- giore che nella antecedente, non si ebbe una variazione notevole nel CO? eliminato, aumentò solo la frequenza dei movimenti respiratorî. Ho voluto sottopormi ad una rarefazione maggiore dell’ aria. 5® Esperienza. Il giorno 17 febbraio 1896 la pressione esterna è 743; dopo aver fatto un'esperienza di controllo come le anzidette, rientro nella camera alle ore 10,25, la pressione in mezz'ora raggiunge i 30 cm. di mercurio e corrisponde ad un'altezza di metri 7402. Incomincio l’esperienza alle ore 11. Ma dopo 12 minuti devo sospendere perchè non era più in stato di attendere all’esperienza e sentivo un gran bisogno di re- spirare. Il polso era 95 al minuto. 6% Esperienza. Il giorno 22 febbraio 1896 ho voluto ripetere questa esperienza alla pressione di 30 cm. colla speranza di riuscire, ma dopo 11 minuti dacchè era incomin- ciata, non ho più potuto continuare e non ricordo il perchè. Mi accorsi che l'intelligenza e la memoria erano diminuite, ed il sistema nervoso e muscolare non rispondevano più in modo normale, come lo provò il carattere alterato nella scrittura delle note che pren- devo durante l’ esperienza. L'acido carbonico, calcolato per quel tempo che hanno durato le due esperienze e portato a 30 minuti, sarebbe di gr. 13,22 per la 5* esperienza e di gr. 15,667 per la 6°. L'aria respirata per 30 minuti’ sarebbe stata di litri 580,812 per la 54 esperienza e di 370,306 per la 6° esperienza. Alla pressione di 50 cm. si sarebbe dunque verificato una forte dimi- nuzione nell’acido carbonico eliminato ed un aumento nell’ aria respirata. Tutto questo però è comparso. quando sopravvenne malessere insieme a disor- dini funzionali. In base alle esperienze riferite in questa Nota, si deve ammettere che l'uomo respira sulle montagne fino all'altezza di 6400 metri un volume d’aria quasi eguale a quello che respira al livello del mare. La rarefazione dell’aria produce una diminuzione della quantità di ossi- — 279 — geno, ma l'ossigeno contenuto nell'aria anche alla pressione atmosferica di 34 cm. è ancora sufficiente per i bisogni del sangue, e non è necessaria una maggiore attività respiratoria. La quantità di CO? eliminata dall’ uomo nell'aria rarefatta corrispon- dente ad un'altezza di 6400 metri è poco diversa da quella che esso elimina a 276 metri sul livello del mare. Fisiologia. — Su/l'azione fisiologica di alcuni derivati della santonina. Nota preliminare del dott. D. Lo Monaco, presentata dal Socio LUCIANI. Innumerevoli sono le ricerche chimiche compiute in questo ultimo ven- tennio allo scopo di dimostrare la costituzione chimica della santonina. Questo campo di studî è stato principalmente battuto dalla Scuola di Chimica del- l’ Università di Roma diretta dall’illustre prof. Cannizzaro, il quale ha il merito di avere arricchito la scienza di uno dei capitoli più completi ed interessanti. In conseguenza questa sostanza, della quale non si conosceva che la sola formula grezza, è stata trattata con tutti i reagenti sia ossì- danti che riducenti, sia fisici che chimici, fornendo così un numero straor- dinario di derivati, per mezzo dei quali, se da una parte si è ottenuto di decifrare ‘varî nuclei o sezioni della molecola da utilizzarsi poi per la dimo- strazione della formula di costituzione completa; dall'altra servono come esempî di parecchie nuove teorie chimiche. Lo studio farmacologico di tutti questi derivati o meglio dei più im- portanti, messo in relazione con quello della sostanza-madre (la cui azione fisiologica è ben determinata, e quella terapeutica è molto importante) merita di essere fatto; sia perchè esso può riuscire utile contributo alla dimostra- zione della teoria del rapporto che esiste tra costituzione chimica e azione fisiologica, sia per le applicazioni terapeutiche utili che possono scoprirsìi in qualcuno di questi nuovi corpi. Con questo scopo noi abbiamo intrapreso questo lavoro, usufruendo dei prodotti preparati e gentilmente fornitici dall’ illustre prof. Cannizzaro e dai prof. Grassi-Cristaldi e Andreocci. Prima però di riportare i risultati spe- rimentali ottenuti con queste sostanze, crediamo opportuno di descriverle som- mariamente raggruppandole secondo l'interesse farmacologico che esse pre- sentano. È noto che la santonina (C1H1s03), scoperta da Kahler e Alms, i quali la estrassero dai fiori dell’ Artemisia marittima che cresce nel Turkestan, si presenta in prismi incolori che però diventano gialli se esposti alla luce. Essi sono inodori e insipidi, insolubili nell’ acqua fredda, e solubili nella calda — 280 — (nella proporzione di 1:300), nell’ alcool, nell’ etere, nel cloroformio e nelle so- luzioni alcaline. Chimicamente il prof. Cannizzaro e i suoi allievi hanno dimo- strato che la santonina è un derivato dell'esa-idro-naftalina con un ossigeno chetonico nel nucleo, con 2 metili in posizione para e con una catena late- rale residuo dell'acido propionico connessa con legame lattonico, che si trova nell’ altro anello naftalico non metilato. Restano ancora a decidere alcune particolarità della struttura di qualche parte della molecola che sono sog- getto di varie ricerche in corso. Per ora schematicamente la santonina si può rappresentare con questa formula: ] H C c C HsC CH—-0 CO 0C O cn È C CH, Gli, E Lasciando a sè per molti giorni e a temperatura ordinaria una soluzione di santonina in acido cloridrico fumante, si trasforma in un'altra sostanza che si depone lentamente cristallizzata, l'analisi elementare della quale conduce alla formula C,;H,g803. Essa è un isomero della santonina, dalla quale oltre a differire per tutti i caratteri fisici compreso il potere rotatorio essendo essa destrogira, non forma alcun composto con la fenilidrazina e con l'idros- silammina che reagiscono con l'ossigeno chetonico della molecola della santo- nina; ma invece dà coll’ anidride acetica un acetil derivato, la qual cosa indica che questo nuovo prodotto non contiene più l’ossigeno chetonico, ma un OH fenico. La formula quindi sopra riportata si è cambiata in quest'altra: CH, I C î CH; HC CH_0 | CO HOC i “ CH-CH Ù CHE SM UHE I CH, Il lato della molecola contenente DA H,C | 0C — 281 — si è mutato per desmotropia in di HC | HOC È e questo nuovo corpo è stato chiamato dal suo scopritore prof. A. Andreocci(*) desmotroposantonina (?). È possibile, dice questi, che nella trasformazione desmotropica della san- tonina nel suo isomero, si addizioni prima all’ossigeno chetonico una molecola di HCl formandosi il seguente composto clorurato intermedio, che dovrebbe esistere nella soluzione cloridrica della santonina: ch N 0 C “H HC CH—-0 CO Cl i C P; HOT c CH CH C O CHE Î CHO De il quale composto, a mano a mano che avviene l'eliminazione del cloro allo stato di acido cloridrico, il cui idrogeno gli vien fornito dal CH. vicino, si trasforma depositandosi in desmotroposantonina. Fondendo questa sostanza con idrato potassico a 210°, il prof. Andreocci ha potuto, dopo ulteriori trattamenti, ricavare uno stereoisomero che ha chiamato iso-desmotroposantonina, la quale alla sua volta differisce dal corpo che la genera e dalla santonina per molti caratteri fisici e chimici. Altri importanti derivati della santonina sono le due iposantonine (1) Gazz. chim. ital., vol. XXIII, 1893, parte II, p. 469. (2) Per desmotropia s'intende la proprietà che si riscontra in alcune formole di co- stituzione, un atomo d’idrogeno delle quali possiede una speciale mobilità potendo, col passare da un posto a un altro della molecola, formare sostanze differenti fra di loro. Per capire bene questa definizione, bisogna partire dal concetto che una formula qualsiasi di costituzione si può paragonare a una specie di edifizio in equilibrio. I corpi desmotropici sarebbero per l’appunto quelli in cui questo equilibrio si può ottenere in parecchi modi. Questa anomalia, chiamata da Laur (D. chem. G., 18, 648 e 19, 730) tautomeria, e da Jacobson (D. chem. G., 20, 1732) desmotropia, è stata notata già in parecchie sostanze come l'acido prussico, la floroglucina, l’isatina, il carvol, la santonina ecc. ecc. Essa co- stituisce una nuova funzione chimica, che merita di essere studiata farmacologicamente per vedere se esiste relazione tra azione fisiologica e stato desmotropico. 2382 — C.5H1s0» (iposantonina e isoiposantonina) scoperte dal prof. Grassi-Cristaldi (!) alle quali attribuì la seguente formula di costituzione : CH, I Cc CH, HC S CH_0 co HC A CH—CH C CH, CH; ] CH, dove non abbiamo nè l'ossigeno chetonico della santonina, nè l’OH fenico della desmotroposantonina, ma il semplice anello naftalico. Lo studio dell’azione fisiologica delle due iposantonine e delle due de- smotroposantonine paragonata a quella della santonina, costituisce la prima parte del nostro lavoro. La seconda parte delle ricerche comprende le esperienze eseguite con i 4 acidi santonosi -C,:H2003 molto ben descritti ultimamente dal prof. An- dreocci (). Questi acidi hanno la formula di costituzione eguale: HC C CHy COOH HOC È CH--CH C C CH; ch, YU Essi sono: 1° L'acido destro santonoso preparato per la prima volta dai prof. Can- nizzaro e Carnelutti (3) per l’azione dell'acido jodidrico e del fosforo rosso sulla santonina. 2° L'acido levosantonoso ottenuto, or non è molto, dal prof. Andreocci facendo agire l’ H nascente sull’isodesmotroposantonina. 8° L'acido racemo santoso che è la riunione del 1° col 2°. Esso cor- risponde all'acido isosantonoso preparato dai prof. Cannizzaro e Carnelutti nel 1882 (*). (1) Gazz. chim. ital. XIX, 1889, pag. 382. (2) Gazz. chim. ital. XXV, 1895, parte I. (3) Gazz. chim. ital. XII, pag. 393. (4) Loc. cit. HC HOC — 283 — 4° L'acido desmo-tropo-santonoso scoperto dal prof. Andreocci ridu cendo la desmotroposantonina con l’H nascente. Questo acido devia a sini- stra la luce polarizzata, ma con minore intensità del levo-santonoso. Lo studio fisiologico dell'acido racemo e del destro-santonoso è stato pub- blicato dal compianto prof. Coppola (?). Noi, oltre a ripetere e controllare queste ricerche, siamo ora in grado di completarle prendendo in esame tutti e 4 gli acidi, e servendoci della conoscenza esatta che abbiamo ora . della loro costituzione. Vedremo poi se l’azione fisiologica degli acidi santonosi somiglia a quella delle desmotroposantonine che contengono pure l' ossidrile fenico, e se essa resta influenzata dal diverso potere ratatorio; unico loro ca- rattere differenziale. Gli acidi santonosi per azione della potassa a forte calore si scindono in dimetilnaftolo, idrogeno e acido propionico. Ecco come avviene la reazione : | H° ( H Ù 0 c c C G I ca, È L'azione fisiologica di questi prodotti di scomposizione è paragonabile a quella degli acidi santonosi? È questo il problema che ci siamo proposti di risolvere, e che formerà la terza parte del nostro lavoro. Abbiamo poi aggiunto altre due serie di esperienze. La prima comprende quelle eseguite sugli elminti per determinare quale infiuenza esercitino sulla vitalità di essi la santonina, la desmotroposantonina, l’iposantonina e alcuni altri deri- vati, e nello stesso tempo per investigare il meccanismo d'azione della san- tonina, che finora è controverso. Nella seconda serie abbiamo descritto i prodotti di eliminazione estratti, dall’urina di cani ai quali si sommini- strava la santonina per diverse vie, ora allo stato libero, ora in combina- zione. In queste esperienze ci ha preceduto solo il Jaffé (*), il quale, dando questa sostanza per bocca ai cani, ha estratto un composto nuovo che ha chiamato santogenina. (1) Lo Sperimentale, 1887. (2) Veber das Verhalten des Santonins im thierischen Stoffwechsel. Zeitschf. f. klin. med. XVII. H. 3 u. 4. ReENDICONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem, 37 — 284 — RELAZIONI DI COMMISSIONI Il Socio G. FERRARIS, a nome anche del Corrisp. FAvERO, relatore, lesge una Relazione sulla Memoria dell'ing. N. NicoLi intitolata: Sull'e/- flusso dei fluidi e specialmente dei liquidi soprariscaldati sotto forti pres- sioni, concludendo col proporre l'inserzione di questo lavoro negli Atti acca- demici. Il Socio CERRUTI, relatore, a nome anche del Socio BELTRAMI, legge una Relazione sulla Memoria del dott. G. BERNARDI, avente per titolo: £stra- zione abbreviata della radice cubica dei numeri, proponendo che all'autore sia inviato un ringraziamento per la fatta comunicazione. Le conclusioni delle Commissioni, poste ai voti dal Presidente, sono approvate dalla Classe. PERSONALE ACCADEMICO Il Presidente Brioscni dà la dolorosa notizia della morte del Corri- spondente prof. ERNESTO Papova, mancato ai vivi il 9 marzo 1896; appar- teneva il defunto all'Accademia sino dal 18 luglio 1891. Il Socio BELTRAMI, legge il seguente cenno necrologico del prof. E. PADOVA. Ernesto Padova è stato uno dei più distinti allievi della scuola di Pisa, insegnante egregio e zelantissimo, cultore appassionato degli studî ma- tematici, dei quali sempre amò nutrirsi largamente, anche al di lè: di quella già estesa cerchia cui lo legavano i suoi doveri di professore. Pubblicò intorno a 50 lavori, alcuni dei quali di non breve mole, sopra svariati soggetti sia dell'analisi pura e delle sue applicazioni, sia della fisica matematica, sia, e massimamente, della meccanica analitica e dell’ idrodi- namica. Nel primo gruppo si notano specialmente gli studî sull’ integrazione delle equazioni a derivate parziali, come pure quelli sulle coordinate curvi- linee e sulla geometria differenziale. In fisica matematica il Padova si oc- cupò più specialmente di questioni attinenti alla teoria dell’ elasticità, ma in questi ultimi anni molto s' interessò alle ricerche elettromagnetiche di Maxwell e di Hertz, che egli si sforzò di ricondurre sul terreno della dina- mica classica. In meccanica analitica si occupò ripetutamente delle equa- zioni generali, si addentrò nello studio di parecchie questioni importanti, come quella della stabilità del moto e quella dei moti relativi, ed analizzò numerosi ed interessanti problemi della dinamica dei corpi rigidi. In idro- — 289 — dinamica arrecò pregevoli contributi alle due belle teorie inaugurate da Di- richlet, a quella cioè dell’ ellissoide fluido, che fu argomento della lodata sua tesi d'abilitazione presso la Scuola normale di Pisa, ed a quella del moto d'un solido in un fluido indefinito, alla quale si riferisce anche uno degli ultimi opuscoli da lui dati alla luce. Dei menzionati lavori, 12 apparvero negli Atti di questa nostra Acca- demia, alla quale il compianto professore molto si onorò di venire aggregato nel 1891 e dove lascia numerosi amici e colleghi, cui la sua perdita imma- tura ha recato vivo e profondo cordoglio. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario BLASERNA presenta le pubblicazioni giunte in dono, segna- lando quelle inviate dai Corrispondenti BassanI, Riccò, SEGRE, dal generale De TiLLo, dal dott. von WETTSTEIN, e dal Ministero della Marina. CORRISPONDENZA Il Segretario BLASERNA dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: La R. Accademia delle scienze di Lisbona; la Società Geologica di Manchester; la società di scienze naturali di Emden; la R. Biblioteca di Berlino; la Biblioteca dell'Università di Strasshurg; l’ Osservatorio astro- nomico di Vienna. Annunciano l'invio delle proprie pubblicazioni: Le Università di Roma e di Pisa; la R. Accademia delle scienze di Berlino; l'I. R. Osservatorio astronomico-meteorologico di Trieste; l’ Ufficio per la misura del grado di Vienna; le Università di Greifswald e di Lund. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 12 aprile 1896. Achiardi G.d’.— Le tormaline del granito elbano. P. 2.* Pisa, 1896. 8°. Albert I. P.° de Monaco. — Sur la deuxième campagne scientifique de la « Princesse Alice ». Paris, 1895. 4°. Arcidiacono S. — Sul terremoto del 13 aprile 1895 avvenuto in provincia di Siracusa. Roma, 1895. 4.° — 286 — Arvelo (Capitan) — Tabla estelar. Montevideo, 1896. 3.° Bassani F. — Appunti di ittiologia fossile italiana. Napoli, 1895. 4°. Bentivegna R. — Sul risanamento della città di Forlì (Min. Interni). Roma, 1895. 4°. Berlese A. e Leonardi G. — Notizie intorno all'effetto degli insettifughi nella lotta contro la Cochylis Ambiguella. Firenze, 1896. 8°. Bordano 0. — Contributo allo studio del Bacterium Coli commune (Min. Interni). Roma, 1896. 4°. Campanile N. e Stromei E. — La fosforescenza ed i raggi X nei tubi di Crookes e di Geissler. Napoli, 1896. 8°. Carlinfanti E. — Contributo alle analisi chimico-legali del latte (Min. Interni). Roma, 1896. 4°. Cohn F. — Nathanael Pringsheim. Berlin, 1895. 8°. Cope E. D. — Criticism of D Baur's rejoinder on the homologies of the paroccipital bone &. S. 1. 1896. 8°. Id. — Reply to D Baur's critique on my paper on the Parrocipital bone of the Scaled Reptiles and the Systematic Position of the Pythonomor- pha. S. 1. 1895. 8°. Id. — The Reptilian Order Cotylosauria. — On Plistocene Mammalia from Petite Anse, La. Philadelphia, 1896. 8°. Corthell E. L. — The Tehuantepec route. Philadelphia, 1895. 8°. Daday E. v.— Cypridicola parasitica Nov. Gen. Nov. Sp. Ein neues Raderthier. Budapest, 1893. 8°. Fényi J. — Meteorologische Beobachtungen angestellt zu Boroma in Sud- Africa (Publ. Haynald-Observat. VII). Kalocsa, 1896. 4°. Grulich O. — Katalog der Bibliothek der K. Leop.-Carol. D. Akademie der Naturforscher. Halle, 1895. 8°. Hegyforky J. — Ueber die Windrichtung in den Landern der Ungarischen Krone. &. Budapest, 1894. 4°. Hibsch J. E. — Erliuterungen zur geologischen Karte des Bòhmischen Mittel- gebirges. Bd. I. Wien, 1896. 8°. Lozano y Ponce de Leon D. — Las radiaciones de Ròntgen qué son y para qué sirven. Barcelona, 1895. 8.° Madards: J. v. — Erliuterungen zu der aus Anlass des II internationalen Ornithologen-Congresses zu Budapest veranstalteten Ausstellung der Un- garischen Vogelfauna. Budapest, 1891. 8°. Martino E de. — Navi della R. Marina. — Acquarelli pubblicati per cura del Ministero della Marina. 16 tavole. Roma, 1892. Mascari A. — Osservazioni sul pianeta Venere fatte negli anni 1892-93- 94-95 all’ Osservatorio di Catania e sul Monte Etna. Leipzig, 1895. 4°. Id. — Sulla frequenza delle macchie solari osservate nel R. Osservatorio di Catania durante l’anno 1893. Roma, 1894. 4°. — 287 — Ndirdor F. — Die Characeen (Chareceae L. Cl. Richard) mit bosonderer Ricksicht auf die in Ungarn beobachteten Arten. Budapest, 1893. 4°. Pagliani L. — Civca i fatti principali riguardanti l'igiene e la sanità pub- blica nel Regno nel 2° sem. 1895 (Min. Interni). Roma, 1896. 4°. Palet y Barba D. — Estudio del terreno pliocénico de Tarrasa y de sus relaciones con las formaciones contiguas. Barcelona, 1896. 8°. Pretto O. de. — La degradazione delle montagne e sua influenza sui ghiac- ciai. Roma, 1896. 8°. Relative Schwerebestimmungen durch Pendelbeobachtungen 1892-94. Wien, 1895. 8° (Dono del Min. della Marina austriaca). Riccò A. — All Osservatorio Etneo. Catania, 1895. 8°. Id. — Eclisse di luna del 5 settembre 1895, osservata all’ Osservatorio Etneo ed in quello di Catania. Roma, 1895. 4°. Id. — Photograph of the Nebula near 42 Orionis, made at the astrophysical Observatory to Catania. May, 1895. 8°. Salazar A. E. &. Newmank.— Kosto komparatibo en Chile del Gas i de la Elektrizidad komo sistemas de distribuzion de enerjia Santiago. 1896. 8°. Sanchez A. — La Cornoide. San Salvador, 1895. 8°. Segre C. — Intorno ad un carattere delle superficie e delle varietà supe- riori algebriche. Torino, 1896. 8°. Tillo A. de. — Tables fondamentales du magnétisme terrestre avec Atlas. S. Pétersbourg, 1896. 4°. Vecchi S. — Per la diffusione dei disegni axonometrici. Parma, 1893. 4°. Wettstein R. v. — Monographie der Gattung Euphrasia. Leipsig, 1896. 4°. di gio dle DATE! fil, ' RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI _——————————6m6&<66€<ÉE— << Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta. del 26 aprile 1896. A. MEssEDAGLIA Vicepresidente. _ MEMORIE E NOTE | DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — .SuMa inversione degli integrali multipli. Nota del Corrispondente Viro VOLTERRA. 1. Il metodo da me dato (!) per risolvere i problemi di inversione degl'integrali definiti semplici è suscettibile di estendersi agli integrali mul- tipli. Una tale generalizzazione forma il soggetto della presente Nota, nella quale il problema dell’inversione viene sciolto qualunque siano il numero delle funzioni incognite e quello delle variabili indipendenti da cui esse di- pendono. La risoluzione si ottiene in virtù di un procedimento con cui par- tendo da una funzione qualsiasi finita e continua di più variabili e mediante operazioni di quadratura, sì giunge a costruire una nuova funzione pure finita e continua; la quale alla sua volta riproduce la funzione primitiva, allorchè si ripetono su essa quelle stesse operazioni che si sono eseguite sulla prima. Mi permetto di comunicare all’ Accademia il detto procedimento ed il teorema fondamentale da cui esso discende, giacchè non è a mia cogni- zione che siano state risolute fin qui le questioni funzionali che in tal modo vengono trattate. fi 2. Sia (ea VA) una funzione finita e continua di 27 variabili e si ammetta che ciascuna (1) Seduta del 1° marzo della R. Accademia dei Lincei. — Vedi anche gli Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, sedute del 12 gennaio, 26 gennaio e 8 marzo 1886; una Nota successiva sarà presentata nella seduta del 26 aprile. ] ReENDICONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 38 — 290 — coppia di variabili x; ,y Si mantenga compresa entro i limiti @;,f;, es- sendo #8} > &;. Si calcolino, partendo da Si, le funzioni (1) Si (1 seo Gal Yi. Yn) = DA Ya Un f at, f dég sl dE,.Sisj(1 seo Ch È; 000 E,) Sa (È, 000 E,| Yi. Yn) in cu =] =1. Cominciamo dal dimostrare che S: è indipendente da /. A tal fine osserviamo che questa proposizione resulta ovviamente per = 1. Supponiamola verificata per tutti i valori dell'indice inferiori ad é, e mo- striamo che è vera per %. Infatti avremo i ‘af dEy .. iL dEn Si-j (01 +. En|F1 + En) Sa (É1- En|Y1--:Yn) = Yi n Y, n I dé, cl dE, Swi) f, din S, IMaSionr(E1--En |M: Sher (MM |Y1-Yn) ed applicando il principio di Dirichlet il secondo membro diverrà YU, Yn UR U5 | ol dijiSrer (1-91 01-21) f der. { LEnSi(C1--n|E1--En)Sj-n1(E1-En| 71-70) Y Yn dpf RISE INR AIo) il che dimostra il teorema. Denotiamo ora con M il limite superiore dei valori assoluti di Sy; ne resulta come conseguenza che (|3 xd n n Cn (2) [Si] = MY |a c: MIZZ a 2 _ (ly = i Infatti se ammettiamo soddisfatta la precedente relazione per il valore %, avremo, ponendo nella (1) 2 --+ 1 in luogo di #, e prendendo j = 1, Vs(Y — Sil % (Y — ép)f In(Yn — Èn) IL vi - tf. ana Bf n la va Les (ua: (|y2 — xa Desa (ee ere: E (€ DIMM (+1)! il che prova la proposizione. Sii | i M*+? — 291 — Dalla (2) segue jon (On ft enni 2! 2! e perciò la serie (3) Each ù Si (21. Cn] Y1 Un) sarà uniformemente convergente e rappresenterà una funzione finita e con- tinua delle variabili 41, 42. 4a; %1: Ya Yn- 8. Operiamo ora sulla F, nello stesso modo tenuto colla S; costruiamo cioè le funzioni Vi Yn F; (1 000 Lal Yi DOS Yn) =] dé, | dénFi-;(% cola iI voò Yn) e formiamo la serie uniformemente convergente 00 —_ DI bilie Dico che la sua somma sarà Sc. Per provarlo si può seguire lo stesso metodo tenuto nella Nota citata (!) per dimostrare il teorema medesimo nel caso in cui S, è una funzione di due sole variabili; ma si può anche far uso di un altro procedimento come ora mostreremo. Si ponga il coefficiente binomiale cl WMotti (i>0); m=1 e cominciamo dal dimostrare che 0 90 (4) F; — (— Da Di Mi Sim = (— DE DER Mi Om © x î 0 Infatti questa formula è vera per è = 0. _ Supponiamola verificata per valori dell’ indice inferiori ad 7 e mostriamo che è vera per l'indice 7. A tal fine poniamo un apice ad una qualsiasi fun- zione F o S, quando alle y, si sostituiscono le È,, e poniamo due apici (1) Sulla inversione degli integrali definiti. Rendiconti R. Accad. dei Lincei, fasc. del 15 marzo 1896, $ 2. — 292 — quando le È, si sostituiscono invece alle x,. Avremo allora, applicando le note regole pel prodotto delle serie, ù Fi; 1a) Sia =(— DE SL, 3 (m == O); hj-a Si 9", 3 on e per la convergenza uniforme della serie CO Yi Yn pei (" ‘de. S de RBB dd Sn DIA SJ, der. dEsgnon XI 0 2, n —=(— iS Dame Da (Mm h)ijhp=(- DD >. (+1); Sn Sc D O La (4) resta dunque provata. Ne segue co) (co) — )_Fi=% + Su(m—-m+ me + Mn) - Ù 41 Ma per una nota proprietà dei coefficienti binomiali Mo Mt mi — E Mn=0, onde 0 —)Fi=S 0 come volevasi dimostrare. 4. Riprendiamo la (3); da essa segue 0 F/ Sig n DI S/ SÙ 0 Col pi SÙ Si di SU SI quindi per la convergenza uniforme delle serie 0 ! In 2 (Ya Yn Pr Sa faersr=—d (dr. fs 848, Lori Ca (OZZZAA Cn fazif* "Berss 2 ff] "GE Sii Sl = — DISSI Vi 1 e per conseguenza Y Un Y, Yn IDRA E, 3 So =[ dé, ff dEn Po 900 = dé, 2) dé, F, So . Lo Xn LA) Cn — 2939 — 5. Riassumendo i diversi risultati ottenuti potremo enunciare il teorema seguente: Posto (A) b(@o@lhegdg== Di S, (a A) in cut Y, Yn Si (1 Dodo Cnl Yi Yn) ={ dé, il dé, Sid n SOA MEG] Y1-Yn)5 se la funzione S (a, &n | Y1 + Yn) da cui si parte è finita e continua per valori di xi, yi compresi fra a; e Bi, anche F,(&1..%n|Y1 Yn) sarà una funzione finita e continua per i valori delle variabili compresi entro gli stessi limiti; e avremo la formula reciproca della (A), cioè (A') So (21 < >@, sl'otvenna 07 DI "dn f(Yi DO Yn) h (Yi ceo Yn| Bi 000 Zn) — iù dyi A "dn P(Y1--- Yn) h(Y1-Yn|Z1-- en) + +flda. [P deng(.) f "dyi--f agu ia edn|Y1 Un) MY2:-Yn|c1--En) n e a cagione della (5) il secondo membro diverrà =— fCae, OTTO ZE (21 dat) EPY a %,, Avremo quindi $ (81 8) ={ (60 + fg fg 90 1 pl — 295 — Potremo dunque enunciare il teorema: La relazione funzionale , Un (C) f(Y1 ---Yn) =P(Y1 Un) +f dar il daeny(&1%n) B(21--%n|Y1:-Yn) st inverte mediante la formola (©) dea) =) +f, ‘dyn n "dn f(Yx + Yn) BY Yale 20) în cui h si calcola dalla H mediante le formole precedenti. 8. Non sempre i problemi d'inversione si riducono immediatamente alla forma precedente in modo da risolverli applicando subito il procedimento in- dicato. Per gl’ integrali semplici (!) la detta riduzione è immediata, invece la questione si presenta in modo molto complicato nel caso di integrali multipli. Per chiarire questo fatto si consideri, per esempio, il problema di determinare % (x, >) dalla relazione funzionale DA Ya (6) 0(%, Ya) =f da, } des 9(Z1, Lo) H(,,%| Y1) Ya). Derivando la precedente espressione rapporto ad y, e ad y, otterremo 29 a | | 3 sn -9 1 Mg +f/ 0 E +S0 PV ca TORE da +f ‘dex f "dar 9(21,0) °H(&1,402|Y1 142) dY dY2 Y2) Supposto H (y.,%: | 71,92) = 0, dividendo per questa funzione la re- lazione precedente, essa potrà scriversi sotto la forma (7) f(Y» 3 Y2) = 9(Y1 3 Y2) +f (1, Y2) T(21|y1 592) de Yo Y, Ya +f'e@ Ein) dt fr fd) 2 (A CA che è evidentemente ben diversa dalla (C). 9. In generale, allorchè H (Y1..-4n|%1--%n) = 0, la equazione fun- zionale Y, Yn ©0008 Ji dr, sl 0068) (1) Cfr. Nota citata $ 4. — 296 — condurrà, derivandola rapporto :ad %:,%2---4n, e quindi dividendo per H(Y1--Yn|%1--Yn), 24 una relazione in cui il primo membro è noto ed il secondo contiene la somma della funzione incognita e di integrali i cui ordini vanno da 1 ad 7 e sotto ai quali comparisce la funzione incognita stessa. Essa avrà quindi la forma (9) f (Ye Yn) =P(Y1 Ya) SI Vi Vin . È ui, ZA dazio. ‘AL; GLi, Ying Yi) Tiri, (Li, Li, | VisYins Vinz:Iin) th nella quale 7... în denota una permutazione dei numeri 1,2...7; con P(Li, + Li Vi, + Yi,) si intende la funzione 9 (1... %,) in cui si sono sostituite y;,., 7%, al posto di 4, , anzichè da 1 ad » sia estesa da 7 ad 2. Essa allora sarà ridotta al tipo - la (10) F(Y1 e Yn) GY Yn) = Yi, Vin ie f (4 Dn 060 di, Pio Goti Mostriamo come, giunti a questo punto, sia possibile trasformare l’ equazione - funzionale in modo da eliminare gl'integrali d'ordine 7. Sia s1..s, una delle combinazioni d'ordine 7 degl’ indici 1,2 ..., a cui nel secondo membro della equazione precedente corrisponda un integrale d'ordine r. i Si sostituisca in ambo i membri della equazione (10) &s,_, .-.4,, in luogo di Ys,,1+-Ys,5 Quindi si moltiplichino ambo i membri per (11) Es cnesp (sy eee Yap |(Eop 002887 5 opa En) DU Ae — 297 — e sì integri rispettivamente rapporto ad ogni ys, da @, 2 «sg. Denotiamo con (D) la equazione che così si ottiene; il suo primo membro sarà Ji "dys, 2 3 dys, C{(Ys,e-YsrrBsna ua 8sn) Cs $ Con sy ER P (Ys, 00 Ys, . Sspyi DOO sn )] GAIA (Ys, DOO Valea OOO Bs, 0 SISINDÌ 000 2A) ° Per trovarne l’espressione del secondo membro, consideriamo il termine generico del secondo membro della (10) corrispondente alla combinazione î, ... în di indici e supponiamo che g di essi, 71 ...ég siano rispettivamente eguali a s1... sg, mentre irimanenti %,+1 ... 7, siano diversi dalle 8441... 8. Allora, dopo la moltiplicazione pel fattore (11) e le successive integrazioni, il termine stesso assumerà la forma #91 “sg s9+1 sn Is, È sg Sig+1 (12) dico dys Ca Roo dys ESE das da. x E Va Sao) "Io, e U a; Sai Hi Sg S9+1 S, Si Sg tg+1i ih ; il dati, P(Le Ls plli pat LinYsp ga YspErsa Boro) ip , Ti iL Lia Lin | Us YspRiz di, 3 Ysgsat Us 88,8 ). + r+v «Ls, .8 (Ys,e0Ys,| 8810088, Bse 8n) + Se noi applichiamo il principio di Dirichlet ad ogni integrale eseguito rapporto A Ys, 9 0-Ys, ed al corrispondente integrale rapporto ad %;,,... Ls, la espressione precedente potrà scriversi. r ESTA “sg Îsg+1 îsr fig41 (127) das. dxs, dYss so dYs, ZII si ) il primo membro della (15), dalla (0°) si ricaverà finalmente Va z (21,82) =9(41: 22) Dl CA] "deo m(&r, &2|4182) 9(41, 42) - di da 11. Accenniamo ora brevemente al caso in cui si abbiano v equazioni del tipo Yi Yn y (16) 0(y1-9)=f der. f den D_ P{L1-En)His(&1EnYaYn); (s'— 102829) ci %, 1 o colle v funzioni incognite 41, 2... gy. Per risolverle cominciamo dal deri- varle rispetto ad y1, Y2---Yn. Se il determinante Ea E in cui si sono fatte le 4; = y; è diverso da zero, potremo facilmente porre (') la (16) sotto la forma (17) TY E PARETI RISE) in cui fs è una funzione nota e K; è una somma d'integrali i cui ordini vanno da 1 ad 7 e che contengono linearmente le funzioni incognite. Supponendo note >... g,, dalla prima delle (17) potremo ricavare 4, mediante il pro- cedimento esposto superiormente. Sostituendone la espressione nelle succes- sive v— 1 equazioni, avremo un sistema di v — 1 equazioni che conservano il tipo (17) dalle quali g, è eliminata. Così procedendo per successive eli- minazioni si ricondurrà la questione a risolvere una sola equazione funzio- nale del tipo esaminato con una sola funzione incognita. (1) Cfr. Nota citata $ 5. — 301 — Matematica. — Operazioni distributive: le equazioni differen- ziali lineari non omogenee. Nota del Corrispondente S. PiNcHERLE. In una Nota precedente (‘') ho indicate alcune delle proprietà fondamen- tali delle serie ordinate secondo le potenze intere negative del simbolo D, rappresentativo dell’operazione di derivazione, convenendosi di intendere con D-* g(x) quella determinazione che è nulla dell'ordine 414-m per il punto 7 = 0, se 4 è nulla dell'ordine 7 in quel punto. Nel presente lavoro mi propongo di mostrare come quelle serie si prestino facilmente all’ inte- grazione delle equazioni differenziali lineari non omogenee o, in altri ter- mini, come esse siano atte a rappresentare l’operazione F-! inversa di una forma differenziale lineare F (°). È nota l'analogia, già ravvisata fin dal Lagrange e dal Libri, fra le equazioni differenziali lineari omogenee e le equazioni algebriche; è pure noto come benchè studiata e svolta da numerosi autori in varî sensi e per una così lunga serie di anni, essa conduca oggi ancora a risultati di grande in- teresse, come ne fanno fede recenti lavori dei signori Picard e Vessiot. 4 quindi naturale di pensare che questa analogia debba riposare su alcunchè di es- senziale, ed è altrettanto naturale di cercare di estenderla, raffrontando le forme differenziali lineari coi polinomî razionali interi, poi, con un passo ul- teriore, le inverse delle forme differenziali colle funzioni razionali fratte. Questo riavvicinamento, facilitato dall'impiego delle serie più sopra ricordate, non solo permette di porre in migliore luce risultati già noti, ma serve anche a dedurre nuove conseguenze, fra cui quella espressione analitica di F-! che co- stituisce l'oggetto principale della presente Nota. 1. Abbiasi una forma differenziale lineare dell’ ordine 7 (1) F(9) = D'p + D'ig +. +rrna De + mg 1 cui coefficienti 77, , Ti, ...7t, siano funzioni analitiche regolari in un in- torno comune di un determinato valore della variabile 2, per esempio del valore < = 0, essendo di più 7, differente da zero in quel intorno. Per bre- Vità, gl’ integrali dell'equazione differenziale lineare omogenea F=0 sì di- ranno cntegrali della forma. Diremo razionalmente risolubili quei problemi riguardanti la forma F, la cui soluzione si ottiene colle sole operazioni razionali e di derivazione (!) Operazioni distributive: l'integrazione successiva. Rend. della R. Accademia dei Lincei, fasc. 7°, 1° sem., 1896. (2) Con forma differenziale lineare F, s' intende, secondo il solito, il primo membro di un'equazione differenziale lineare F=0; è chiaro che F è simbolo di una operazione fun- zionale distributiva. — 302 — eseguite sui coefficienti della forma stessa, senza che sia necessario di co- noscerne gl integrali. Dalla forma F si possono dedurre, applicando la regola di derivazione al simbolo D (come se la F fosse un polinomio razionale intero in D) le nuove forme E (9) = NT D"- 1g + (2 ig 1) TT) D"-?g + FES + Tn P; F(p)=r(r-1)mD"-?pg+(n-1)(a—-2)2D"?p+ 12729, (= n! To P, che si diranno le derivate funzionali successive di F. Con queste derivate funzionali si forma il noto sviluppo per F (gw): I Il I 1 n n @) F(gu)=gF(4)+Dg. PW)+ 5; D'g. PW) +-+ Dg.F(y). 2. Essendo w una funzione incognita, g una funzione data, la F(w)=9 è un'equazione differenziale non omogenea, la cui integrazione equivale alla esecuzione dell’ operazione funzionale F-*, inversa di F, sulla funzione g. Questa operazione F_! è a determinazione multipla: dico però che se ne può dare una determinazione unica e determinata mediante una serie della forma (3) DID, in cui le 4, sono funzioni analitiche determinabili univocamente e razional- mente. Di più, per ogni elemento di funzione analitica g regolare nell'in- torno di 2 =0, la serie precedente è convergente assolutamente ed in ugual grado in un intorno di quello stesso punto e rappresenta quindi un elemento di funzione analitica regolare nell'intorno di x = 0. i Per giungere a questo risultato, procederemo come segue: dovendo essere (4) FF_1=1, applicheremo l'operazione F alle serie (3), ordineremo per le potenze decre- scenti di D ed uguaglieremo a zero i coefficienti delle singole potenze di D (meno quello di D°) in forza di quanto è stato dimostrato al $ 8 della Nota precedente. Avremo così una successione di equazioni che varranno a deter- minare di mano in mano i coefficienti Z,; in quanto alla legittimità del procedimento, essa si dimostrerà 4 posteriori mostrando che i coefficienti 4, per esso ottenuti soddisfano alla condizione di convergenza (9) della prece- dente Nota. 3. Dalla (4) ricaviamo anzitutto che il più alto esponente del simbolo D — 303 — nello sviluppo (3) è —, il che esprimeremo dicendo che quello sviluppo è dell'ordine —x. Posto dunque Fi=Y2,D, applichiamo la F ad ambo i membri ed ordiniamo il secondo membro per le potenze decrescenti di D. Con un calcolo facile, scorgiamo che nei coef- ficienti si presentano in evidenza le derivate funzionali di F, essendo x , lm ln si PR! S(F) ++ FA + PA) dove sono da porre uguali a zero tutte le Z con indice inferiore ad n. Avremo dunque dalla (4), per il citato teorema: Tora nil: 1 Et Aa) An = 0 1 Mz 1 (5) dos ga BEDA) + To An+2 = 0 1 n_- 1! P(4,) + FA.) + FO (Ain) + ro din =0 che determinano univocamente le Z,,,Z,,,... come elementi di funzioni ana- litiche regolari nell'intorno di «= 0. Si ha in particolare: ln 5 (ie = =" 0 IT To La forma stessa delle equazioni (5) dimostra inoltre che tutti questi coefficienti sono determinati razionalmente mediante i coefficienti 77, ,... 7, della forma data. 4. Rimane ora da dimostrare la validità effettiva dello sviluppo trovato. A quest’ uopo, indichiamo con 7, la serie di potenze di 4 che si ottiene sostituendo nella 4,, ad ogni coefficiente, il rispettivo valore assoluto; indi- i Sgroo Ji £ chiamo con ® la forma che si ottiene da TÈ mutando pure, nello svi- 0 luppo in serie dei singoli coefficienti —, —,.. — di essa F, ogni coeffi- To Ito Tto ciente nel rispettivo valore assoluto, e con D' , D" , ... lesue derivate funzionali ; sia infine 7 il raggio dell’intorno di < = 0 in cui convergono le serie di potenze IT, IT9 TT Ò st AA e 0 sì ponga TUoNCo SITO RE W< TIR — 304 — La relazione ricorrente (5) ci darà: 1 n_- 1! 0) Rn 7(FO)+P ++ Mi) da cui Zrsv(1) = D(A(0)) + OR) I (Ar) Sia ora g il massimo valore delle 4,(%),4n41(%),. Avena peru 72 <71; si ponga per brevità Ue riU ® (7) = e si avrà per una nota proposizione della teoria delle serie di potenze: dnx:(U) = g0(U), (s=0,1,2,..v—1) e quindi Ani), = 100) + D'(0) +-+ l n_- 1! 1 PIV (W) + Da) 2 (0)) n Ma l'espressione entro parentesi, per la formula (2), non è altro che en“ D(e') : espressione che per tutti i valori di u<7, ammette un limite superiore finito /, che si può senza inconvenienti supporre in ogni caso maggiore del- l’unità. Questo numero % dipende naturalmente dalla forma ®, ossia dalla F, ma non dalla funzione arbitraria g cui essa forma è applicata. Ne viene Any) ,...@, un sistema fondamentale di integrali della forma F e &i, #4. nil corrispondente sistema di moltiplicatori. È nota la formula di risoluzione dell’ equazione non omogenea F(W)=9 ottenuta da Lagrange col metodo della variazione delle costanti arbitrarie; questa formula è: n x wu=> cf Ion 9 de Rel e ci dà l'integrale principale quando in tutte ed 7 le quadrature si prende il limite inferiore uguale a zero. Con ciò le quadrature si riducono alla nostra operazione D-* e la formula di Lagrange viene a scriversi HST, DI an D! (17 9). =] La F-! si può ora sviluppare per le potenze negative di D mediante la formula (7) della Nota precedente e indicando con ul la D'u, avremo 0 Rialg == Di » (1)! Ap Rap. v=l h=1 Ma questo sviluppo non può, per il teorema del $ 8 della citata Nota, dif- ferire da quello trovato al $ precedente: onde concludiamo che le 4%, de- finite dal sistema (5) sono esprimibili in funzione degl’ integrali e dei mol- tiplicatori della F, mediante la formula (0) (7) n=, ii RenpICcONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 40 — 306 — In particolare le condizioni XA\}=Z,=--=4%,_1=0 e 4, Sal ci TT dànno le equazioni n a DICI (-0,1,2,:.a— 2), Via sa = (290 _ DA h=0 To è) che sono, come è noto, quelle che servono a determinare i moltiplicatori. Meteorologia. — assunto delle Osservazioni meteorologiche fatte all’ Osservatorio Etneo. Nota del Corrispondente A. Riccò (!). L'Osservatorio Etneo è posto al piede del cratere centrale di Mongibello, a circa 1 km. dall’orlo S-SE: dista dall'Osservatorio di Catania 27 km. nella direzione N. 15° W; gli strumenti meteorologici sono all’ altezza 2947” sul mare. Si accede all’ Osservatorio Etneo da Catania con tre ore di via carrozza- bile fino a Nicolosi, tre ore di via mulattiera fino alla Casa del Bosco, poi per sentieri più o meno visibili dopo un'altra ora si arriva alla Cartonzera meteorico alpina, e dopo altre 3 ore all’ Osservatorio; nella buona stagione si giunge coi muli fino davanti alla porta dell’ Osservatorio. Nell’ inverno da Casa del Bosco in su vi è neve, per lo più molle, di spessore crescente fino ad alcuni metri attorno all’ Osservatorio Etneo, sulla quale i muli non pos- sono camminare: perciò il viaggio riesce assai faticoso, e col cattivo tempo, pressocchè impossibile. Per il soggiorno continuo lassù, anche nell'inverno, non abbiamo nè personale, nè mezzi sufficenti; tanto più che manca finora una linea telegrafica o telefonica di comunicazione coll’ abitato. Il termobarografo Richard che potrebbe funzionare da solo per 40 giorni, d'inverno agisce male e spesso si ferma, anche usando lubrificanti incon- gelabili. Per tutto questo le nostre osservazioni meteorologiche, specialmente nella stagione fredda, sono scarse e discontinue. Però siccome lassù i feno- meni meteorologici hanno molte regolarità e variazioni ristrette, si potrà da quel che si è fatto finora, ottenere valori delle medie meteorologiche delle stagioni abbastanza vicini al vero: naturalmente quelle dell'inverno hanno un peso minore. Nulla di meno crediamo opportuno pubblicare i risultati (1) Queste osservazioni saranno pubblicate più completamente negli Annali dell’ Ufficio Centrale di meteorologia e Geodinamica. Tutti i calcoli e le riduzioni Leo questo lavoro sono stati fatti dall’ assistente prof. G. Saija. — 307 — ottenuti finora, stante il particolare interesse che presenta la singolare loca- lità dell’ Osservatorio Etneo. Le osservazioni dirette della temperatura cominciarono nell’ agosto 1891: il termobarografo fu messo in posto ed in azione nell'agosto 1892: le osser- vazioni dirette del barometro cominciarono nel marzo 1893. Le osservazioni dirette si fanno ad ore 6, 9, 12, 15, 18, 21; dal termobarografo la tempe- ratura e la pressione sono state rilevate pure di tre ore in tre ore, stante la ristrettezza della variazione diurna. Le riduzioni delle registrazioni del termobarografo sono state portate fino a tutto giugno 1895; ma poi avendo riconosciuta l'insufficenza delle osser- vazioni termometriche invernali, abbiamo aggiunto quelle fatte nell’ ultimo inverno 1895-96. Temperatura. Per le stagioni e per l’anno si ha: Stagioni Inverno. Primavera. Estate. Autunno. Anno Giorni d’ osservazione 117 147 166 224 554 Medie Lego gi SS fo Mogli igo gi go 4 Si ha dunque all’ Osservatorio Etneo una temperatura bassa, uniforme, presso a poco come nel circolo polare artico in Europa. Queste medie sono pressochè eguali a quelle del Brocken (Harz), alla latitudine +4 51°.48" ed altitudine di solo 140". Per più di metà dell’anno le medie diurne all’ Osservatorio Etneo sono inferiori allo zero. Per anomalia la temperatura può scendere sotto zero anche d'’ estate. Nell' Osservatorio di Catania le osservazioni simultanee hanno dato: Inverno. Primavera. Estate. Autunno. Anno. Temp. media in Catania -+10°.3 +14°.8 + 249.9 +-20°.3 -+17°.6 Diff. colla temp. all’Oss. Etneo + 16.9 416.3 -+17.6 +17.6 -+17.2 Diff. temp. per 100" di altezza 0.59 0.57 0.61 0.61 0.60 Diff. altezz. per 1° di temper. VEZAOES Tg 164" 164° 166” Dove si vede che la media d'estate sull’ Etna è più bassa della media d'inverno in Catania. La differenza delle medie dei due Osservatorii sono assai regolari, mag- giori nella stagione calda che nella fredda, come è stato trovato altrove. La oscillazione diurna della temperatura nelle varie ore rispetto la media è: Oro 3 6 9 12 lory! 18 21 — 0a ila ay CERESIO Sn0 assai ristretta e regolare, col massimo a mezzodì, cioè coincidente col mas- simo dell’irradiazione solare; perchè lassù l'atmosfera poco densa, povera di Vapore acqueo, e continuamente rinnovata da forti venti, non accumula calore. A 18° la temperatura è eguale alla media diurna. — 308 — Gli estremi assoluti di temperatura osservati finora sono: Massima + 16°.3 al 14 luglio 1894 Minima =——13.3 al 5 febbraio 1896 Escursione + 29°.6 L'escursione annua in Catania è circa da 0° a 40°. L'escursione diurna media fra minimo e massimo all'Osservatorio Etneo è: Inverno. Primavera. Estate. Autunno. Anno. 39.5 3°.7 49.8 3°.8 49.0 Temperatura della cima dell’ Etna. Colle trovate variazioni della tem- peratura coll’ altezza, partendo dalle medie per l’ Osservatorio Etneo si otten- gono le seguenti per la cima del vulcano (3318”): Inverno. Primavera. Estate. Autunno. Anno. — 89.8 — 3°.6 + 5°.1 + 02.5 — 10.8 Le temperature effettivamente osservate sull’ orlo del cratere sono in media di circa mezzo grado superiori alla calcolata, il che vuol dire che il cratere stesso per le azioni vulcaniche riscalda assai poco l'atmosfera circostante, come era da aspettarsi per il rapido rinnovamento dell’aria lassù. Temperatura del suolo. Alla superficie per la radiazione solare, il ter- reno essendo poroso e nero, può arrivare fino a circa 40° nell'estate. Ma es- sendo la temperatura media annua dell’aria vicina allo zero, scavando la temperatura del suolo si trova rapidamente decrescente, e vicina a zero alla profondità di un paio di metri: ed in certe epoche e luoghi si può trovare anche ghiaccio, ma il suolo, anche profondo, non è gelato. Nel terreno fra l'Osservatorio Etneo ed il cratere centrale vi sono poi singolari anomalie di temperatura. Al piede del cratere stesso in alcuni pic- coli thalweg la neve, venendo coperta dall’ arena trascinata giù dal vento e dalle acque piovane o di fusione, si conserva tutto l’anno: naturalmente in questi punti la temperatura del suolo è più bassa che altrove. Nello stesso spazio fra l’ Osservatorio ed il Cratere e sulle falde di questo vi sono numerose fumarole: ivi il terreno è assai caldo, ed in alcuni luoghi arriva a 60° e 70° a pochi centimetri di profondità. Osservazioni attinometriche (*). Sono state fatte in 23 giorni d' estate nel 1894 e 1895 coll'attinometro di Arago. Essendo all’ Osservatorio Etneo la pressione circa 0,7 di atmosfera ed avendo spesso osservato d'estate presso mezzodì, colla rappresentazione grafica delle osservazioni, abbiamo ottenuto facilmente la differenza di temperatura che darebbero i termometri, nero e bianco dello strumento, quando i raggi solari attraversassero lo spessore e (1) Queste osservazioni furono eseguite da Riccò, Mascari e Tringali, il quale ha pure fatta la riduzione e la rappresentazione grafica delle osservazioni. — 309 — massa «= 1 dell’ atmosfera, ossia in direzione verticale fino al livello del mare : ci è risultata in media ANMIA075 Colla estrapolazione grafica ci è risultato per lo spessore dell’ atmosfera e= 0 ossia al disopra dell’ atmosfera, la differenza dei termometri in media Ani-MI9032 quindi il coefficiente di trasmissione risulta In Catania si hanno corrispondentemente i seguenti valori Ai 14604, — 19.750, = 0.742 In Catania 4, risulta alquanto maggiore che sull’ Etna, perchè la rifles- sione e radiazione atmosferica, che si aggiunge alla radiazione solare, in basso è più forte per la maggior densità ed impurità dell’aria. Il coefficente di trasmissione p in Catania è alquanto minore, perchè quivi l'atmosfera più ricca di vapor acqueo esercita assorbimento maggiore sui raggi solari. L' effettiva trasmissione zenitale, all’ Osservatorio Etneo, ossia per la massa d'aria 0.7, quale all'incirca si avvera al mezzodì d'estate, è p>oî = 0.828 più sensibilmente superiore a quella trovata per Catania. Ma le osservazioni attinometriche all’ Osservatorio Etneo presentano una singolarità molto caratteristica: per più di metà delle osservazioni nelle ore meridiane le differenze dei termometri invece di crescere, diminuiscono. Questo abbassamento è certamente dovuto alle correnti ascendenti, le quali sull’ Etna nelle ore meridiane sono assai attive (come lo sono in generale sulle alte montagne, specialmente isolate) e trascinano in alto nubi e vapori visibili, ed anche invisibili, i quali esercitano un forte assorbimento sulla radiazione solare. Questa anomalia non ha luogo affatto in Catania. Pressione atmosferica. Da 299 giorni di osservazione diretta e registrata si hanno le seguenti medie: Stagioni Inverno. Primavera. Estate. Autunno. Anno. Millimetri 528.8 591.4 538.6 596.8 593.9 Si rileva subito la grande differenza di 9"%.8 fra l'estate e l'inverno, mentre in Catania è minima. Ciò dipende dalla dilatazione dello strato d'aria interposto fra le due stazioni, per cui all'estate una massa notevole d’aria passa al di sopra dell’ Osservatorio Etneo, e vi aumenta la pressione: infatti trascurando l'umidità, la detta dilatazione sarebbe: 273 ni — 310 — Ora, se colle formole ipsometriche sicerca quale è l’ altezza corrispondente alle differenze di pressione 9".8, all’ altitudine e condizioni meteorologiche dell’ Osservatorio Etneo, si trova 148": l’ accordo non potrebbe esser migliore. L'oscillazione diurna della pressione è assai piccola e regolare: le dif- ferenze colle medie diurne sono: Ore 0 3 6 9 12 15 18 21 Millimetri + 0.18 — 0.13 — 025 +-0.06 + 0.23 +0.03 —0.11 — 0.03 con un massimo intorno a mezzanotte ed un altro a mezzodì. Gli estremi di pressione osservati sono: Massima 5459 al 12 settembre 1894, 9° Minima 515.4 al 16 novembre 1894, 9 Escursione 30.5 L'escursione è circa Ja stessa in Catania, il che significa che sull’ Etna la minor densità dell’aria è compensata dalla maggiore mobilità nel produrre le variazioni di pressione. Tensione del vapore acqueo. Da 191 giorni d'osservazione diretta del psicrometro si hanno le seguenti medie: Stagioni Inverno. Primavera. Estate. Autunno. Anno. Millimetri 2.6 2.6 4.3 573) 3.2 Questi valori sono tutti circa + dei corrispondenti in Catania, il che prova la forte diminuzione del vapor acqueo coll’ altezza, in media di 0.22 per 100". Le precedenti medie delle stagioni sono ben rappresentate dalla nota formola del dott. Hann. h Enix loco partendo dalla media ©, di Catania: ciò prova che le emanazioni di vapori dal cratere centrale non modificano sensibilmente l’ umidità dell’aria all’ Os- servatorio Etneo. La variazione diurna della tensione del vapor acqueo è poco rilevante: il massimo non cade a mezzodì, come la temperatura, ma verso le 15, pro- babilmente in causa delle correnti ascendenti che continuano a portar sù vapori nelle ore pomeridiane. Gli estremi osservati sono: Massimo 7.7 al 14 luglio 1894, 15°, vento SE Minimo 0.8 al 25 gennaio 1893, 21°, vento WNW Umidità relativa. Si hanno le seguenti medie in centesimi di satu- razione : Inverno. Primavera. Estate. Autunno. Anno. 79 63 52 65 65 — 311 — tutte un po' superiori alle simultanee per Catania, il che vuol dire che sul- l’ Etna la scarsità del vapor acqueo è più che compensata dalla bassa tem- peratura nel produrre una umidità relativa abbastanza elevata. L'andamento diurno è dato dalle seguenti medie orarie : Orellt6 9 12 15 18 21 65 62 56 66 64 63 ove il forte minimo normale a mezzodì, è seguito da un caratteristico rapido aumento, certamente dovuto pur esso all’azione delle correnti ascendenti. Gli estremi dell'umidità verificatisi diverse volte sono: Massimo 100, Minimo 9: Escursione 91. Questi massimi son dovuti specialmente alle nubi che talvolta avvolgono l'Osservatorio Etneo: qualche volta ai vapori del cratere centrale che produ- cono lo stesso effetto. Righe spettrali atmosferiche. Ho studiate le variazioni di grossezza di diverse righe spettrali al variare dell'altezza del sole, su cui dirigevo lo spettroscopio, nelle stazioni Catania, Nicolosi, Osservatorio Etneo, ove la pres- sione atmosferica e la densità dell’aria è nel rapporto 10:9:7, e la tensione o la quantità del vapor acqueo è circa come 10:7:3. Fra le righe o zone atmosferiche osservate, le più interessanti sono: a Rain band 0) Lunghezza d'onda 628 594 580 Ho fatto 33 serie di osservazioni in Catania, 81 in Nicolosi, 34 all’ Os- servatorio Etneo. Per ogni serie si è calcolata la distanza zenitale del sole e quindi lo spessore d'aria attraversata, e poi la massa secondo i predetti rapporti delle pressioni atmosferiche nelle stazioni. Per eliminare l'influenza degli errori di osservazione sono riuniti in una media i valori della grossezza delle righe, i quali corrispondono a valori vi- cini della massa d'aria attraversata. Le grossezze della riga « sono espresse in numeri, ritenendo 10 la grossezza della riga solare €; lagrossezza della Rain band, o meglio della sua componente principale, è stata confrontata alla riga solare D., considerata come 10; l'intensità della zona d si è stimata in gradi da 0 a 7, da invisibile a molto forte. I risultati sono dati dalla seguente tabella, dove si vede che la gros- sezza od intensità delle righe o dei fasci cresce pressochè proporzionalmente alla massa d'aria attraversata: quindi il rapporto della detta intensità alla massa d'aria è all'incirca costante; per « e d è anche pressocchè eguale nelle tre stazioni, invece per la Rain dand il rapporto all’ Osservatorio Etneo, ove il vapor acqueo è tanto più scarso, è meno della metà di quel che è nelle due altre stazioni inferiori. — 312 — TABELLA daga Grossezza 9 Rapporti ENEA delle righe r=g:m sata. rain rain Ha © | band 0) | 5 band o] 0 160 008 Molo Mor Mio \ TA ose 060 Li ao o 8 Etnat oo 53 06, 1,6 | sO og | Quifbi (Resta 0805 gio (ice vale oso ui NE IS A RISE ELIO, 0,5 0,5 eine (el et 13 0a Diigo ole eo to nie lo og 0 ili isa zie 44 E e o Mole e di Con Nicolosi 1,4 2,4 2,0 0,5 1eS7, 1,4 0,4 2,6 9,8 3,5 1,0 1,5 1,3 0,4 Mez | ie oa og 10,3 11,9 8,5 5,8 1,2 0,8 0,6 Medie....||.... 0 See o ga Catania O Dunque è fuori di dubbio che mentre la « e d dipendono dai gaz com- ponenti costanti dell'atmosfera, e sono causate dal loro assorbimento, la Rain band dipende invece dal vapor acqueo. Ciò è confermato dal trovarsi che tanto all’ Osservatorio Etneo che in quello di Catania (ove si hanno osservazioni psicrometriche), ai massimi d' in- tensità della Ran dand corrisponde una media della tensione del vapor acqueo maggiore di quella che corrisponde ai minimi. Infatti si ha: mm Etna: media tensione del vapor acqueo per i massimi della Rain dand 3.8 mm diff. 1.1 » D) » ” D) ” minimi ” 5) ” Dr) Catania » » ” ” ” massimi » ” » 119 Di IST » DI) D) D) ” » minimi ” D) » 10.2 Dunque la Rain dand veramente merita il nome datole da Piazzi-Smyth, perchè indica l'umidità dell'aria, e quindi la probabilità della pioggia. — 313 — Evaporazione. Osservata con evaporimetri eguali esposti all'ombra a Nord all’ Osservatorio Etneo ed in Catania, nei mesi in cui l’acqua non gela, si hanno le seguenti medie : Giugno. Luglio. Agosto. Settembre. Giugno a Settembre. Etna Roi 5 ‘7 44 dA 4,8 Catania 4.6 6.9 5.3 Ba DI Differenze — 0.1 — 1.2 — 0.9 — 1.3 — 0.9 Dunque negli stessi giorni l’ evaporazione è minore nell’ Etna che in Catania: ciò significa che l’azione favorevole della minor pressione e della maggior ventilazione all’ Osservatorio Etneo è più che bilanciata dalla bassa temperatura. Infatti se si confronta l’ evaporazione diurna media di luglio sull’ Etna con quella di gennaio in Catania, nei quali mesi si hanno nelle due stazioni temperature medie poco differenti, si ha: Etna: luglio temp. media + 8.3. Evaporazione 5.7 Catania: gennaio » n +96. ” 1.8 cioè sull’ Etna evaporazione più che tripla. La massima evaporazione diurna osservata finora sull’ Etna è stata di 10%, mentre in Catania si è avuto fin 18"%,3 nel settembre 1893, per straordinaria siccità e forte vento di ponente. Vento. La direzione del vento all'Osservatorio Etneo è determinata os- servando quella del fumo del cratere centrale: così questo dato è indipen- dente dalla presenza del cratere stesso che domina l’ Osservatorio. Da 248 giorni d'osservazione si hanno i seguenti rapporti di frequenza dei diversi venti su 100 osservazioni. N NE E SE S SW W NW pi; 6 18 6 5) Il 1 21 49 100 Ove vedesi la grandissima preponderanza del NW e poi dell’ W. La risultante secondo la formola del Lambert, ossia il vento unico che produrrebbe egual movimento d' aria, avrebbe la direzione NW 5° N e dovrebbe spirare 60 volte in 100 osservazioni. La direzione del fumo dell’ Etna si osserva anche da Catania, ed i ri- sultati ottenuti sono abbastanza concordanti coi precedenti. La forza del vento espressa nella scala da 0 a 4, dalla calma al vento fortissimo che impedisce di camminare, per le diverse ore del giorno è in media: 6 9 12 15 18 21 1.8 Io 1.6 1.9 2.0 Dal con un minimo a mezzodì ed un massimo vespertino: invece in Catania la brezza di mare produce un massimo nelle ore meridiane e pomeridiane, spe- cialmente d’ estate. xENDICONTI. 1896, VoL. V, 1° Sem. 41 — 314 — I venti che portarono la pioggia nel periodo 1892-95 all’ Osservatorio Etneo furono quasi sempre W o NW; invece in Catania il vento che porta maggiori pioggie è il NE. Nubi. La quantità media delle nubi, stimata in centesimi di cielo co- nerto all'Osservatorio Etneo ed in Catania in giorni corrispondenti, è: Inverno. Primavera. Estate Autunno. Anno. Giorni d'osservazione 13 292 144 64 243 Osservatorio Etneo (15) 49 22 46 33 Osservatorio di Catania 33 46 13 39 33 Eccettuato l'inverno, all’ Osservatorio Etneo si hanno più nubi che in Catania: ciò dipende dalle correnti ascendenti che portano sù vapori e nubi, ed anche dall'azione condensante esercitata dall’ Etna, come tutte le montagne alte, specialmente isolate. Il risultato contrario per l'inverno, quantunque si tratti di osservazioni simultanee, non merita gran peso, perchè in questa stagione si scelgono per le visite all’ Osservatorio Etneo le giornate di bel tempo su Mongibello. La seguente statistica dei giorni sereni, misti, coperti dà un risultato analogo : Inverno (908) | Primav. (928) | Estate (92€) | Autunno (918)| Anno (8658) ——————_—— t__m+—e@am——»_mmmmmm—_——_—______—tll''Ò——_—@—————@tt@6P_______—_—___—momuuem Ser. | Mis. | Cop. Ser. | Mis. | cop Ser. Mis. | Cop. Ser. Mis. | Cop. Ser. Mis. | Cop. Etna (28) |(48) [(14)[ 25 | 21 |46 |44|38 | 10 | 22 | 42 | 27 |119|149| 97 Catania ....|25 |29 |36 [34 | 30 |28 | 74 | 13 5 | 36 | 33 | 22 |169|105| 91 ma si trova che anche nel complesso dell’anno vi è all’ Osservatorio Etneo un maggior numero di giorni nuvolosi ed uno minore di giorni sereni: la differenza è più notevole in estate. All'Osservatorio di Catania si nota quando la cima dell’ Etna è coperta da nubi: in media si hanno i seguenti numeri di giorni per stagione ed anno: Inverno. Primavera. Estate. Autunno. Anno. 51 48 24 44 167 con un minimo ben netto nell’ estate. L'Etna dà luogo alla produzione di nubi di forme speciali, le quali si prestano al pronostico del tempo, come è noto anche popolarmente. Se ne sta facendo uno studio particolare, specialmente dall'assistente ing. A. Ma- scari, col sussidio della fotografia. Il periodo della nebulosità sull’ Etna è assai caratteristico, e mostra pur esso l'influenza delle correnti ascendenti: si hanno infatti le seguenti diffe- renze: colla media diurna: Ore 6 9 12 15 18 21 —10 —4 +11 +14 +2. — 13 ove notasi il grande massimo pomeridiano. — 315 — Precipitazioni atmosferiche. Per i venti violentissimi che di frequente spirano all’ Osservatoriò Etneo, la collocazione di un pluviometro capace di raccogliere per lunghi periodi tutta la pioggia e la neve che cade, presenta singolari difficoltà. Alla metà del luglio 1895 si collocò un pluviometro di speciale costruzione e grande capacità: da quell'epoca al 15 marzo 1396 si è raccolto 300"".0 di pioggia ed acqua di fusione della neve, mentre in Ca- tania nello stesso periodo di 8 mesi se ne è raccolta 537"".75, cioè quasi il doppio. Anche tenuto conto che il pluviometro riceve tanto meno di pioggia e neve quanto più è spinta obliquamente dal vento, che lassù è molto più forte, risulta certamente che le precipitazioni atmosferiche all’ Osservatorio Etneo sono ancora più scarse che in Catania. Anche la frequenza delle precipitazioni atmosferiche all’ Osservatorio Etneo conferma il detto ora, infatti si ha: Inverno. Primavera. Estate. Autunno. Anno. Giorni con pioggia 1 1 2 2 » con nevicata 11 5) 1 4 21 » con grandinata (o nevischio) 1 Ii 3 5) 10 » con precipitaz. atmosferiche 13 Ù 6 11 37 Numeri piccoli in sè e rispetto a Catania, che nell’anno ne presenta circa il doppio. Siccome in queste regioni le precipitazioni atmosferiche man- cano quasi completamente nei mesi caldi, così sull’ Etna le pioggie sono rare, e sono surrogate da nevicate o caduta di nevischio. Questi fenomeni dell’ Etna essendo ben visibili da Catania e da Nicolosi, ci riesce possibile di comple- tare la statistica delle precipitazioni atmosferiche sulla Montagna durante le assenze invernali del personale dall’ Osservatorio Etneo. La neve al piede dell'Etna, al livello del mare, in Catania, non cade tutti gli inverni, e raramente arriva a coprire il terreno; sul versante me- ridionale dell’ Etna, nella regione piedemontana ogni anno avvengono nevicate di alcuni decimetri: raramente arrivano ad oltrapassare l'altezza di 1"; nella regione zemorosa in tutti gli inverni si ha più di un metro di neve; nella regione deserta, al piano del Lago la neve ordinariamente arriva a 3"; in- torno all'Osservatorio, può accumulandosi per l’azione del vento, arrivare fino a 5”. Negli ultimi 5 inverni le date della prima e dell'ultima nevicata, e della scomparsa della neve sull’ Etna, e le corrispondenti temperature all’ Os- servatorio Etneo sono in media: Prima nevicata. Ultima nevicata. Scomparsa della neve. 15 ottobre 2 giugno. 16 luglio + 3.0 + 3°.1 + 8°.3 Dunque si hanno nevicate all’ Osservatorio Etneo per 7 4 mesi e la neve vi persiste per 9 mesi. Le nevicate cominciano e finiscono presso a poco con pe ale eguale temperatura media, superiore sensibilmente allo zero e vi persistono fino circa al massimo del calore estivo. Sull’ Etna non vi sono nè ghiacciai nè nevi perpetue, poichè all’ estate scompare tutta la neve che non è riparata. Dunque la temperatura annua media della cima dell’ Etna, —1°.8 è superiore a quella del limite delle nevi perpetue: la cima non raggiunge il detto limite, ma gli è assai vicina. E siccome la base è al limite inferiore delle nevi sporadiche, ne viene che sulle falde dell'Etna le nevi variano continuamente durante l’anno, e solo nella parte superiore persistono per tutto il semestre freddo. Occorrerebbe una lunga serie di osservazioni per stabilire il luogo e la temperatura media della stagione al limite inferiore delle nevi nelle diverse stagioni: l'osservazione ha dato finora: Autunno (novembre e dicembre (")) : Tacca Albanelli 2300, temper. 09.0 Inverno (gennaio e febbraio) : Casa del Bosco 1500,» +1.9 Primavera (marzo, aprile, maggio) : Tacca Arena 2100,» +33 Estate (giugno) . . . . . +. : Cratere centrale 3300,» +3 .8 Come vedesi le temperature sono ineguali e crescenti, il che vuol dire che alle ‘prime nevi per fermarsi occorre che la temperatura sia scesa a 0°, ma le successive, accumulandosi, persistono a temperature medie sempre più alte. Neviere. Sull’ Etna vi sono diverse località, dette Zacche della neve, ove la neve coperta da sabbia vulcanica, sia artificialmente, sia naturalmente dalle eruzioni, dai venti o dalle acque, si trasforma in ghiaccio e si conserva lungamente, producendo così delle anomalie nella distribuzione ed estensione delle nevi. L'acqua di parziale fusione delle 7aucche scorre in parte sotterra. formando dei singolari cunicoli di ghiaccio, a sezione semicircolare. Attualmente nel versante meridionale vi è una trentina di queste Tacche, comprese fra le direzioni SE ed W divergenti dal cratere centrale: queste neviere si esten- dono in giù fino all’ altitudine 1750”. Nel versante settentrionale ve ne sono una ventina che arrivano in basso fino all’altitudine minima 750”, giusto 1000 più in giù che nel versante meridionale più battuto dal sole. Perfino entro al cratere centrale sul pendio interno rivolto a N. si trova spesso il ghiaccio, il che fece credere anticamente ad un ghiacciaio entro il cratere: ma questo ghiaccio scompare all'estate. Sull' Etna vi sono pure delle Grotte ove si conserva la neve: sono ap- parati eruttivi estinti ed antichi: meravigliosa è la Grotta degli Archi, ap- parato vulcanico dell'eruzione del 1607, formato di una galleria lunga 700", rischiarata da sette pozzi o cortili, che non sono altro che gli avanzi dei conì eruttivi impiantati sul detto canale. La neve che vi si raccoglie e si conserva (1) In Sicilia il dicembre ha carattere autunnale. — 817 naturalmente e l’acqua che stilla continuamente dalle pareti servono ad ab- beverare i pastori e gli armenti che sogliono rifugiarsi là dentro. Anomalie in senso inverso nella distillazione delle nevi sono prodotte sull’ Etna dal calore vulcanico: i nuovi crateri e le lave eruttate conservano per molti anni sensibile calore. Le lave dell’ eruzione del 1879 a poca pro- fondità, presso Mojo, sono ancora scottanti; il cratere dell’ eruzione del 1886 (Monte Gemmellaro) fino al 1891 aveva calore sufficiente per sbarazzarsi pron- tamente delle nevi invernali; i crateri dell’ ultima eruzione del 1892 anche nell'inverno ultimo 1895-96 si disegnavano in nero sul fondo bianco gene- rale della neve. i Non di rado i vapori caldi che emanano dal cratere centrale, lambendone le falde vi provocano fusione della neve. Temporali. Le manifestazioni elettriche dell’ atmosfera sono generalmente in Sicilia meno frequenti che altrove in Europa, ed in Catania sono ancor più rare, avendosene solo 33 per anno: all’ Osservatorio Etneo sono poi raris- sime: in 248 giorni di permanenza lassù ne abbiamo osservate in 27 giorni, il che darebbe 32 all'anno; ma in massima parte questi fenomeni hanno luogo non sopra l’ Osservatorio Etneo, ma in basso a distanza. Inoltre i casi in cui le manifestazioni elettriche sono accompagnate da pioggia o grandine, cioè i veri temporali, sono in numero ancor più esiguo. La Casa Inglese dal 1810, e poi l’ Osservatorio dal 1880, malgrado le sue grandi masse metalliche e quantunque non fornito di parafulmini, non sono mai stati colpiti dal fulmine. Tale immunità dell’ Osservatorio Etneo deve dipendere (come per Catania secondo il prof. E. Canestrini (!)) dall’ essere coibente'il materiale vulcanico del suolo, ed inoltre per l'Osservatorio Etneo dalla presenza del gran cono che lo domina per 360" d'altezza, e che col suo pennacchio di vapori caldi ed umidi agisce come grande parafulmine e scaricatore dell’ elettricità atmo sferica. Confrontando quattro burrasche osservate simultaneamente all’ Osserva- torio Etneo ed in Catania, si ha: l'abbassamento barometrico è sempre mag- giore sull’ Etna che in Catania: la variazione termica invece sul vulcano è mi- nore. L’abbassamento rapido del barometro è seguito da rialzo men rapido o lento: il minimo precede quello della temperatura: tutto ciò in conformità a ciò che osservasi generalmente nelle burrasche. Il vento spirante forte 0 fortissimo sull’ Etna è sempre stato W o NW o WNW. Le condizioni atmosferiche generali furono: minimo di pressione al nord, sull'Italia; pressione uniforme e bassa in Sicilia; venti dominanti occidentali; temporali in Italia. Ipsometria. Da 144 osservazioni simultanee, riunite in 21 gruppi per (1) Atti della Società Veneto-Trentina. m 318 — diverse ore e stagioni (escluso l'inverno) fatte nella maggior parte da me all’ Osservatorio Etneo e dal prof, Saija all’ Osservatorio di Catania, si è calcolata la differenza di livello (£2882") tra i due Osservatorii, adoperando le tavole meteorologiche ‘internazionali pubblicate per decisione del Congresso di Roma nel 1879, fondate sulla formola di Laplace, coi perfezionamenti in- trodotti da Rihlmann e Wild, tenendosi conto del vapor acqueo. Gli errori, cioè le differenze fra calcolo e misura, sono in media: OR IN) + 17m 4 ogm — 10 + 12" Assai piccoli, in generale minori di ;;;; piccolissimi alla sera (21°) e nella media delle tre ore, cioè minori di sx; nei singoli gruppi le massime differenze sono + 40" e — 27". Queste differenze si potrebbero diminuire nelle livellazioni barometriche delle regioni etnee, dando alla costante barometrica della formola invece del valore adottato 18400, il valore risultante dalla media di tutti i confronti che è 18327. L'applicazione della formola ipsometrica alle medie generali delle osser- vazioni meteorologiche dà ottimi risultati: infatti si ottiene per altitudine dall’ Osservatorio Etneo colle Osservazioni all’ Etna serie 1892-95 (incompleta) È al ” di Catania » 1892-95 (id. e simultanea) n) errore + 11 ’ di Riposto (!) » 1880-89 (completa) 2902 NASO La picciolezza degli errori, oltre a dimostrare l’ applicabilità delle formole della ipsometria alla determinazione delle differenze di livello anche grandi fra stazioni meteorologiche non molto lontane, colle loro osservazioni, è anche un controllo sintetico delle principali medie che abbiamo date per 1’ Osser- vatorio Etneo. Fisica. — Sulle cariche e figure elettriche alla superficie dei tubi del Crookes e del Geissler. Nota del Socio EMILIO VILLARI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. (1) Osservazioni fatte nell’ Osservatorio dell'Istituto nautico di Riposto, Direttore prof. F. Cafiero. — 319 — Matematica. — Aureioni olomorfe nel campo ellittico (esten- sione di un celebre teorema di Weierstrass). Nota di ERNESTO PASCAL, presentata dal Socio CREMONA. Dato un piano complesso (Riemanniana di genere zero), si possono co- struire su esso funzioni frascendenti le quali abbiano un solo punto di s7x- golarità essenziale, infiniti punti-zero, e nessun altro punto d'’ infinito. Tali funzioni si sogliono chiamare ol/omorfe, e il punito di Singolarità essenziale può porsi in un luogo qualungqne della Riemanniana. Un celebre teorema di Weierstrass insegna a costruire una siffatta funzione mediante un prodotto infinito, quando sono stabiliti i punti-zero della funzione stessa. Supponiamo ora data una Riemanniana di genere uno (ellittica); propo- niamoci per essa il medesimo problema, cioè costruire funzioni trascendenti che non abbiano punti d’ infinito salvo i due punti all’ infinito dei due piani che costituiscono la Riemanniana, nei quali la funzione abbia singolarità essenziali, e che abbia infiniti punti-zero sulla Riemanniana stessa. Considerando p. e. la Riemanniana ellittica corrispondente alla relazione solita P°(u)=4p*(u) — gs P(u) — gs si ha una funzione di « definita nel primo parallelogrammo fondamen- tale dei periodi 20, 20", e che in questo possiede infiniti punti-zero, e nessun punto d'infinito, oltre il punto u="0 che è un punto di singolarità essen- ziale. Disporremo la rete di parallelogrammi nel piano «, in modo che il punto u=0 sia il centro del parallelogrammo fondamentale. È notevole che per queste funzioni, le quali stanno alle funzioni ellit- tiche, come le funzioni olomorfe ordinarie stanno alle funzioni razionali, si può dimostrare una formola che è assai simile a quella citata di Weierstrass. Quando i semiperiodi w, w' diventano infiniti, le funzioni ellittiche degene- rano in funzioni razionali, e il parallelogrammo fondamentale viene ad esten- dersi per tutto il piano delle v, tali funzioni diventano le funzioni olomorfe ordinarie (quando si trasporti il punto di singolarità essenziale nel punto « = 0). Scopo di questa Nota è di mostrare la costruzione della formola indi- cata, e infine di applicarla alla costruzione di una funzione da reputarsi, da questo punto di vista, come estensione della funzione olomorfa o di Weier- strass. Si potrà poi anche definire un numero simile a quello chiamato da Laguerre il genere di certe funzioni olomorfe. Funzioni di tale specie sarebbero p. e. delle serie convergenti i cui termini sono dei due tipi AnP" , 0nP' p" — 320 — (2 = numero intero positivo), e che poi per le note proprietà della funzione p, sì possono trasformare in serie i cui termini procedono secondo le deri- vate successive della funzione p. > $ 1. Estensione della formola di Weierstrass. Sia F() la supposta funzione olomorfa nel campo ellittico, e indichiamo con &(u) il noto integrale di 2* specie ellittico e) co) e sieno %, %s ... i punti zero di F nel parallelogrammo fondamentale; tali punti li indichiamo con un indice solo, ma potrebbero anche dipendere da più indici. Essi formino un gruppo di punti il cui punto limite è il punto u= 0. Consideriamo la serie Dico che si può sempre scegliere un tal valore intero positivo di £, in modo che questa serie sia equiconvergente nel parallelogrammo fonda- mentale, da cui con un’ area, piccola a piacere, sia stato escluso il punto x = 0. In effetti se X non può prendersi fisso al variare di 7, potrà sempre prendersi X = (se le «, dipendono da più indici, sieno p. e. del tipo mn, allora si prende % eguale al prodotto degli indici), e per un tale % certa- mente la serie è convergente in egual grado. Giacchè escludendo dal paral- lelogrammo fondamentale con aree piccole a piacere il punto «= 0, e i punti ,, nell’area restante i moduli delle funzioni p(u) e î(u— un) — Î(4) avranno valori sempre finiti che ammetteranno dei limiti superiori finiti, e anzi col variare di 7 il modulo della seconda di queste quantità può ren- dersi piccolo a piacere. Se sono rispettivamente A, B tali limiti superiori i moduli dei termini della serie A” T PUn) N, sono rispettivamente maggiori di quelli della serie data; ora questa serie è convergente assolutamente perchè il n n = UVA Vs, = VB D(Un) tende a zero per n= 00, giacchè P(un) tende ad c0, e B tende anch’ esso a Zero per n= 00. Se le w, dipendessero da due indici p. e. m, n la serie proposta sa- rebbe allora una serie doppia, e si potrebbe ripetere lo stesso ragionamento prendendo in considerazione, anzichè il radicale n°, il radicale (m2)", po- — 321 — tendosi dimostrare facilmente che un simile criterio opportunamente modi- dificato vale anche per le serie doppie, o multiple. La serie proposta essendo dunque equiconvergente sarà integrabile ter- mine a termine. Ora dico che ogni termine di quella serie può porsi sotto la seguente forma : | se — n) — 0) [ERE — | ce — un) — t0) ]+ Pt) essendo Py (u) una funzione razionale intera di grado k in p(u) e p'(u). In effetti partiamo dalla cosiddetta formola di addizione per la fun- zione é ponendola sotto la seguente forma «n 1 + pn) Cu—un— (= 000 E(Un) 3 (0) — (01) Pl) +| 311) + 504) p(U) | sa P(U) — p(Un) Sostituendo questo valore nella espressione precedente si vede che P, (u) diventa: Pit) = aq 3A 0) — (00) 2 +[39(0) +01) 2(,)] ] x [© 4 pie) pù) + +) | Formiamo ora la differenza TL] tw + Pt | Si ha una funzione sempre finita nel parallelogrammo fondamentale (escluso il punto «= 0) compresivi anche i punti «, nei quali primo e se- condo termine di questa differenza diventano infiniti di primo ordine. Ab- biamo dunque una funzione della specie di F; chiamandola G(v), e inte- grando si ha (essendo c una costante) F(u) = C eSeendu pg o(u a: Un) eSPa (u)du n o(u) S G(u) du S Pau) du Le funzioni sono a loro volta funzioni olomorfe nel campo ellittico; la seconda anzi è di grado finito; ammette cioè in w = 0 un polo, e non propriamente un punto di singolarità essenziale. RenpICONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 42 — 322 — $ 2. Costruzione della funzione da ritenersi come generalizzazione della 0 di Weierstrass. Quando i punti-zero della funzione sono tali che X può prendersi co- stante, allora il numero 2% lo chiameremo genere della funzione olomorfa nel campo ellittico. Passiamo alla costruzione di una funzione di genere 2, da ritenersi come estensione della o di Weierstrass. Prendiamo i punti zero della funzione nei punti B 1 “mn Tomo + 2no' essendo 7, interi positivi o negativi, meno la combinazione m=0 n=0. Tali punti hanno per punto limite il punto zero, quindi, almeno da certi va- lori di 72, 2 in poi, stanno tutti compresi nel parallelogrammo fondamentale. Dico che con tali punti si può scegliere nelle formole precedenti % == 1, e quindi si viene a costruire una funzione di genere 2. In effetti un termine della serie >| w- Un) — c(u) | ML È (per effetto della formola precedente, e degli sviluppi noti 1 P (Um) = Un + Ao Dm) =— È + Bi Un $ (Uma) = 2 +0; dove A, B, C3 sono delle serie tendenti a zero per mn tendente a zero, e propriamente contengono come fattore «n, ai gradi 2, 1, 3 rispettivamente) può porsi sotto la forma —PUKFR SILA] 1 + S Umn dove R, S sono delle quantità tendenti a zero per mn tendente a zero. Il denominatore diventa zero solo nei punti % = %nn, quindi in una area che escluda il punto u=0 e i punti %m», la precedente espressione sarà sempre finita e ammetterà un limite superiore A. Paragonando allora questi termini con quelli della serie 1 2 P(U) — 323 — che, come si sa, è assolutamente convergente, se ne ricava la equiconvergenza della serie in esame. Il valore di P;(v) risulta P.(u) = sa J I — S(Umn) PU) + 3/0) + (£ PC C(Umn) (6) onde (Umm) Sp mo) ata E(Umn) P(Umn) Sri) Con P(Umn) a t; 00 pi E P(Umn) x Prendendo G(v) = 0 costruiamo allora la funzione DI (u) Mese 7 | o(v _ Umn) PIE u)du m n S(u) Se i semiperiodi w © diventano co, questo sviluppo diventa valido in tutto il piano delle «, le funzioni ellittiche diventano p=I r@=-È ‘=? o(u) = e si ha u U “ u? Il (1 = Sari e mn u 3 D Cn) + (Um) Pn) = 0 e quindi l' esponenziale risulta solo di due termini. Questo sviluppo infinito è appunto quello noto della o ellittica quando osservando che allora vi si faccia il cangiamento di variabile « in — . U Fisica. — Azcone dei raggi Rontgen e della luce ultravioletta sulla scarica esplosiva nell’aria (*). Nota dei dott. A. SeLLa e Q. MAJORANA, presentata dal Socio BLASERNA. 1. Nei Rendiconti della seduta del 1° marzo 1896 di questa Accademia noi rendemmo di pubblica ragione un'esperienza relativa all’azione dei raggi Rontgen sopra una scintilla esplosiva in derivazione sulla corrente di scarica di un rocchetto, la quale illuminava il Crookes. Il fatto da noi osservato era che la distanza esplosiva era molto minore in presenza dei raggi Rontgen, che non quando questi venivano intercettati. L'esperienza riesce con tutta si- curezza nelle condizioni da noi descritte e la differenza fra le due distanze esplosive è così marcata — potendo variare circa del doppio da un caso (1) Lavoro eseguito nell’Istituto fisico di Roma. — 324 — all’altro — che non si potrebbe davvero immaginare un’ esperienza più dimo- strativa di un effetto dei raggi Ròntgen. Noi avevamo ricercato una disposizione sperimentale, che permettesse di mostrare un'azione dei raggi Réontgen sopra la corrente di scarica stessa, che li generava, per giungere a conclusioni circa la loro velocità; ed effettiva- mente ne segue un limite inferiore. Ma in seguito i fatti sperimentali, che inducono a ritenere i raggi Réntgen come costituiti da vibrazioni trasversali a brevissima lunghezza d'onda crebbero sì, che noi ci occupammo di stu- diare più intimamente la natura del fenomeno da noi scoperto. Tanto più che si presentava come degno di nota il fatto che secondo le esperienze di Hertz la luce ultravioletta favorisce la produzione di scintille, anzichè im- pedirla. Perciò diremo in questa Nota dapprima brevemente delle diverse condizioni, in cui ci fu dato di osservare il nostro fenomeno, per poi pas- sare alle nuove esperienze, con cui riuscimmo ad ottenerne l'inversione e poi dimostrare che lo stesso ha luogo per la luce ultravioletta. 2. Nelle nostre prime esperienze, per potere variare comodamente la di- stanza esplosiva, avevamo posto a terra un punto del circuito fra l'elettrodo negativo del Crookes ed il polo negativo dello spinterometro. Presto ci ac- corgemmo che soventi questa è condizione essenziale, perchè il fenomeno riesca. Diciamo soventi e non sempre, perchè nella grandissima varietà di disposizioni che noi demmo ai fili, al Crookes ed all’ eccitatore, trovammo dei casi in cui non è necessario mettere a terra il catodo, senza che ci sia però riu- scito di afferrare le condizioni sperimentali, in cui ciò fosse o no necessario o per lo meno favorevole. Ad ogni modo sarà raccomandabile di porre sempre il catodo a terra, perchè se non avesse a favorire, non osservammo mai che potesse nuocere. Invece in tutte le disposizioni da noi realizzate il fenomeno spariva, se si poneva a terra il polo positivo dell’ eccitatore. Data la grande distanza esplosiva era facile il ricercare con schermi opportuni quale dei due poli doveva essere illuminato per ottenere l’azione impeditrice dei raggi Rontgen, e ci risultò che l’azione ha luogo quando i raggi battono sul polo positivo. Appena questo si trova nell’ ombra geome- trica della sorgente Ròntgen, le scintille scoccano, anche se il tratto d’aria fra i due poli, ed il polo negativo seguitano ad essere illuminati. Se proprio si tratti della superficie del polo oppure dell’aria nell’immediata vicinanza, non potemmo decidere causa l’ impossibilità di concentrare in un punto i raggi Rontgen, come in analoghe ricerche fece Hertz colla luce ultravioletta. All’eccitatore si possono dare le forme più svariate, entro certi limiti però, come vedremo meglio in appresso; una disposizione molto istruttiva e che mostra anche senz’ altro che si tratta di raggi Rontgen, si ha ponendo al polo negativo una lastra di alluminio e disponendo il tratto di scintilla coincidente col fascio di raggi Rontgen, sì che questi prima di arrivare sul- l’anodo debbono attraversare la lastra di alluminio. — 325 — Alla nostra esperienza si possono dare anche altre disposizioni. Essa si verifica quando la scintilla, su cui agiscono i raggi Rontgen, si trova inse- rita in serie nel circuito che illumina il Crookes. Così si possono rendere indipendenti le due correnti di scarica che accendono il Crookes e l' eccita- tore, prendendo due rocchetti, i cui due primarî sieno in serie e su cui agisca lo stesso interruttore, e ponendo nel secondario dell’ uno il Crookes e nel secondario dell’ altro l’eccitatore. Così aggiungeremo che nella nostra disposizione primitiva inserendo fra un elettrodo del Crookes ed il corrispondente polo dell’eccitatore dei circuiti a fortissima antoinduzione, come dei secondarî di grossi rocchetti, oppure delle grandi resistenze (colonne liquide, scintille laterali in serie, ecc.) il feno- meno si manteneva sempre. Quando i raggi Ròntgen impediscono la produzione della scintilla, si ha uno stato di cose molto sensibile alle più piccole perturbazioni. Così avvi- cinando al tratto esplosivo anche a parecchi centimetri un pezzo di vetro terminato a punta, la scintilla scocca immediatamente annullandosi l’ effetto dei raggi Rontgen. Altrettanto avviene avvicinando un pezzo di cartone, ov- vero circondando il braccio che porta il polo positivo (anche ad una certa distanza da questo) con un tubo di vetro, ma non così se questo tubo è di cautciù. Ad ogni modo bisogna avere alcune precauzioni per ottenere una grande differenza nelle due distanze esplosive, evitando la vicinanza di corpi estranei presso l'eccitatore, mantenendo bene puliti i poli di esso ecc. 3. L'esperienza fondamentale di Hertz sull'azione della luce ultravioletta sulle scintille, completata poi dagli studi di E. Wiedemann ed Ebert, Elster e Geitel, dimostra, come è noto, che quella favorisce la produzione di queste aumentando la distanza esplosiva e diminuendo il potenziale esplosivo (solo in un caso non bene determinato, Elster e Geitel mostrarono che la luce ultra- violetta può agire in modo impediente sulle scariche date da una macchina elettrostatica coll’ impedire il fiocco anodico). Ed è, in tale caso, essenziale che il polo illuminato sia il negativo. Il fenomeno da noi osservato, che diremo il secondo fenomeno, è precisa- mente il rovescio di quello di Hertz, che diremo il primo; ed interessava quindi moltissimo studiarlo più da vicino. Cominciammo col porre uno schermo opaco fra il Crookes e l’eccitatore in modo da eliminare i raggi Rontgen, e poi illuminammo l’eccitatore dall'altra parte con un arco voltaico, ricchissimo, come è noto, di radiazioni ultraviolette. Con nostra sorpresa constatammo che la luce dell'arco voltaico agisce nello stesso modo come i raggi Réntgen. Anzi con questa disposizione, cioè un ecci- tatore sottoposto da una parte all’azione di una sorgente Ròntgen, e dall’ altra di una sorgente ultravioletta, si può elegantemente dimostrare il diverso grado di trasparenza delle due radiazioni nei diversi corpi, ove si facciano funzio- nare questi da schermo ora da una parte, ora dall'altra. Anche in questo caso l’azione della luce ultravioletta si fa sentire sul polo positivo. — 326 — Ottenuto così parallelismo di azione fra le due radiazioni, importava potere osservare se anche coi raggi Rontgen si potesse ottenere il primo feno- meno. Ripetemmo allora la disposizione in cui Hertz scoprì il suo fenomeno, cioè due scintille, l'una attiva, l’altra passiva, date dai secondarii di due rocchetti in serie, essendo la lunghezza della scintilla passiva pochi milli- metri fra poli piuttosto grossi. Sostituendo la scintilla attiva con un Crookes, noi osservammo che i raggi Rontgen facilitavano in questo caso la produzione della scintilla. Non potendo però concentrare i raggi Rontgen con lenti in un punto dato, non era facile il constatare su quale dei due poli posti a così piccola distanza si facesse sentire l'azione. Dopo molti tentativi, che non staremo a descrivere, riferiamo una disposizione che permette di decidere facilmente la questione, ed anche di ottenere i due fenomeni col solo cambiare la di- stanza esplosiva. Nella nostra disposizione primitiva (cioè eccitatore in derivazione sulla stessa scarica, che illumina il Crookes) i poli dell'eccitatore sieno costituiti da due sfere di ottone amalgamato del diametro di 52 mm. Allora, regolando l intensità della corrente del primario del rocchetto, si possono avere distanze esplosive massime variabili. Alla distanza di 13 mm. si ha nettamente il primo fenomeno, per quanto in tale caso il Crookes si illumini debolissimamente; crescendo la distanza sino a 24 mm. si ha sempre ancora il primo fenomeno; verso i 30 mm. non sì ha azione, ed a 38 mm. comparisce nettamente il secondo fenomeno. In queste condizioni è molto facile l' osservare che nel primo fenomeno il polo illuminato vuol essere il negativo, nel secondo invece il positivo. Facendo agire su questo stesso eccitatore la luce di un arco voltaico dopo di avere schermato i raggi Rontgen. sì osservano, parallelamente ai raggi Rontgen, i due fenomeni, avendosi nettamente il primo alla distanza esplo- siva di 24 mm. il secondo a 38 mm. e così si scambia la funzione dei due poli. Dobbiamo notare che perchè avvenisse il primo fenomeno, non ci accor- gemmo mai della necessità che uno dei due poli fosse a terra, come avviene soventi pel secondo. Il presentarsi del primo o del secondo fenomeno dipende dunque dalla distanza esplosiva. Però la distanza esplosiva neutra, cioè quella in cui non vi ha azione, ma bensì passaggio fra i due fenomeni, varia col diametro degli elettrodi dell’ eccitatore. Così con palline di 21 mm. di diametro si ha a tre mm. il primo fe- nomeno, a 17 mm. il secondo; cosicchè si può dire che si ottiene facilmente il primo con palle grosse relativamente alla distanza esplosiva, il secondo invece con palle piccole; non senza aggiungere però che con punte questo non compare più. Wiedemann ed Ebert avevano mostrato che l’azione della luce ultravio- — 327 — letta non si fa sentire soltanto in quanto essa provoca scintille, che altri- menti non avverrebbero, ma anche con l alterare la natura della scarica, quand’ essa avviene nei due casi. Questo egli mostrava col fare agire un arco voltaico sopra un eccitatore alimentato da una macchina elettrostatica, e poi interponendo nel circuito un telefono, un tubo Geissler, osservando la linea percorsa dalla scintilla nell'aria, ecc. Lo stesso osservammo anche noi e nei due casi, cioè a distanze esplosive tali che la scarica avvenisse sempre sia con, sia senza raggi Rontgen, ma vicine ora a quelle che danno il primo ora a quelle che danno il secondo fenomeno. Si sente nettamente alterato in altezza il suono della scintilla; un tubo Geissler, interposto nel circuito dell’eccitatore, si illumina con di- versa intensità; cambia la traiettoria della scintilla nell'aria in modo da dimostrare, che l’azione della luce Rontgen altera profondamente la natura della scarica. Su questo fatto vertono ora le nostre ricerche. Abbiamo però creduto di dovere pubblicare sin d'ora i nostri risultati, che dimostrano come l’azione dei raggi Rontgen su di una scintilla esplosiva, agisca ora in un senso ora nell'altro, a seconda delle circostanze, e che nei due casi si rovescia pure la funzione dei due poli e che anche in questo ordine di fatti, esiste paralle- lismo tra le radiazioni Ròntgen e le ultraviolette. Fisica. — Sulla riflessione dei raggi Rontgen ('). Nota dei dott. R. MALAGOLI e 0. BONACINI, presentata dal Socio BLASERNA. I. — Il prof. Ròntgen, che da prime esperienze era stato condotto a negare la riflessione dei raggi da lui scoperti, ebbe invece prova di questo fenomeno nella traccia che un oggetto metallico collocato dietro la lastra determina sopra di essa. I prof. Battelli e Garbasso (2) confermarono poi con prove dirette la riflessione dei raggi X. Nella presente Nota ci proponiamo di rendere conto di ricerche da noi fatte, allo scopo di utilizzare il fenomeno della riflessione per esaltare il ren- dimento fotografico dei raggi di Ròntgen. II. — Fino dalle prime prove ci venne fatto di notare, che i negativi otte- nuti col nuovo processo presentano un carattere tutto particolare. Anche per deboli pose, la gelatina-bromuro resta impressionata per tutto lo spessore dello strato, talchè allo sviluppo l’imagine si mostra subito anche dalla parte del vetro: nel bagno fissatore poi le imagini indeboliscono stranamente, e talora scompaiono affatto. Quest'ultima è la ragione per cui le negative ottenute (*) Lavoro eseguito nel R. Istituto tecnico di Modena. (2) Nuovo Cimento. Serie 4%, vol. III, fasc. 1. — 328 — coi raggi X richiedono d'ordinario un processo di 77rforzo, quando se ne vogliano ricavare dei buoni positivi. Sperimentando con lastre di diverse case, ortocromatiche ed ordinarie, con carte alla gelatina-bromuro, e con pellicole autotese, ed anche facendo uso di diversi sviluppi, notammo sempre le stesse particolarità. — Come altri sperimentatori, verificammo avere influenza sulla densità del negativo unica- mente la sensibilità generale dello strato. Il carattere speciale osservato nelle nostre fotografie, ci indusse a con- frontare l'assorbimento degli strati fotografici per le radiazioni Rontgen e per quelle della luce ordinaria. — Una lastra sensibile fu ritagliata in quattro stri- scie di eguale larghezza: una di queste si lasciò intatta; e in ciascuna delle altre tre, partendo da un estremo, si levò la strato di gelatina per una por- zione trasversale variabile dall'una all'altra progressivamente. Queste sì so- vrapposero ordinatamente alla prima, di modo che i raggi che arrivavano nelle diverse parti di essa erano condotti ad attraversare, oltre i vetri, un numero di strati sensibili 1, 2, 3, 4. Esponendo questa pila di lastre, protetta da più giri di carta nera, alle radiazioni del tubo di Crookes, e sviluppandole poi simultaneamente, si ottenne in tutte una tonalità grigia pressochè dello stesso valore, ed in ciascuna non si aveva distacco apprezzabile fra le zone che si trovarono sottoposte ad un numero diverso di strati sensibili. Esponendo un’ identica pila di lastre, scoperta solo superiormente, ad una sorgente di luce ordinaria, notammo invece dopo lo sviluppo che l’azione grafica diminuiva rapidamente (come era prevedibile) colla profondità, e pre- cisamente in ragione degli strati sensibili attraversati dalle radiazioni: sicchè la striscia inferiore appariva divisa in zone di densità nettamente progressive. Fummo così condotti a concludere che: « dell’ energia delle nuove radia- zioni soltanto una minima parte viene utilizzata nella produzione dell’ ima- gine latente ». È evidente poi che il diverso comportamento del vetro per i raggi X e gli ordinarî, non ha influenza sulla comparabilità dei risultati. III. — Ciò posto, pensammo se non fosse possibile di esaltare l’ effetto fo- tografico dei raggi X conducendoli ad attraversare nuovamente lo strato sen- sibile dopo aver agito sopra di esso. Ci siamo valsi perciò dell’azione riflet- tente di un metallo collocato dietro la lastra, disponendo le cose nel modo seguente. Una lastra sensibile presentava al tubo di Crookes la sua faccia scoperta, su cui era disposto l'oggetto da riprodurre (un intaglio metallico): a contatto della pellicola e per una sola porzione di essa, stava una lamina speculare di ottone, funzionante da riflettore. Allo sviluppo i neri del negativo riuscirono molto più marcati nella parte dell’ imagine sovrastante al riflettore; anzi, di questo disegnavasi distintamente l’' intero contorno. — 329 — IV. Volendo passare ad uno studio sistematico del fenomeno, cercammo dapprima se questo potesse attribuirsi ad una causa diversa dalla riflessione. È noto per le classiche esperienze di Carey-Lea (!), come ogni forma dell’ energia sia capace di determinare un'azione Jatente sul bromuro d'’ ar- gento. Poteva perciò sospettarsi che la causa del rinforzo del fondo fosse la pressione meccanica risentita dallo strato sensibile, che si viene a trovare fra il riflettore e la lastra di vetro caricata del soggetto. Ma disponendo fra la pellicola ed il riflettore una sottile cornice che ne sopprimesse il contatto, il fenomeno si verificò ancora, sebbene meno accentuato. Di questo indebolimento sì può trovare ragione nell’anmentata distanza fra la pellicola ed il riflettore; difatti in altre esperienze con distanze diverse notammo che già a circa 3 millimetri il rinforzo era pressochè inapprezzabile; mentrechè facendo gal- leggiare una porzione dello strato sopra il mercurio, per modo che il con- tatto sia intimissimo, il rinforzo del fondo riesce molto intenso. Poteva ancora ascriversi il fenomeno ad una azione elettrica; dappoichè le esperienze del Righi provano che i raggi X determinano un campo elet- trostatico. Ma dividendo il riflettore in due parti, una delle quali durante la posa fu mantenuta in buon contatto col suolo, non si notò alcuna diffe- renza nei due rinforzi. E neppure si aveva differenza, isolando il riflettore con un avvolgimento di carta. Queste ricerche preliminari, assieme ad un’ altra sull’ influenza dello spes- sore del riflettore, che risultò negativa, ci confermarono pienamente nell’ idea che il fenomeno studiato dipende realmente dalla riflessione superficiale dei corpi sottoposti allo strato sensibile. V. — Si venne quindi allo studio del comportamento relativo dei diversi corpi, e specialmente dei metalli. Una lastra sensibile veniva esposta al tubo Crookes senza alcun oggetto sovrapposto, ma avendo in contatto della pellicola lamine metalliche di eguale spessore, riconoscibili per la forma diversa dall’ una all'altra. Dopo sviluppo, si confrontavano le opacità delle singole regioni corrispondenti ai riflettori, con quella del fondo. Per questi confronti si usò un diafanometro di Abney: esso ci forniva gli spessori diversi di un vetro affumicato, che avevano lo stesso potere assor- bente delle regioni esaminate sul negativo. I valori fotometrici forniti da que- sto istrumento, sono da ritenersi largamente approssimati (l’ errore può arri- vare a 1:10). I numeri trovati non misurano il potere riflettente dei metalli corrispon- denti alle zone studiate, poichè la trasparenza £ del negativo è legata alla quantità 9g delle radiazioni fotografiche agenti per mezzo della nota formola di Abney: t==e7% (1) Bulletin de la Société Francaise de Photographie. 1892. ReNDICONTI. 1896, Vol. V, 1° Sem. 48 — 330 — a essendo un coefficiente che dipende dal grado di sensibilità della lastra, dallo spessore dello strato sensibile, e dai coefficienti di assorbimento della gelatina pura e satura di argento ridotto. Qualora fossero noti questi ultimi elementi, si potrebbero determinare da questa formola i valori di g relativi alla trasparenza dell'immagine di ciascun riflettore e alla trasparenza del fondo; e quindi, per differenza, i coefficienti di riflessione cercati (!). VI.— I risultati ottenuti cogli stessi metalli in diversi negativi non furono per vero molto concordanti; perchè, oltre l’ influenza della maggiore o mi- nore perfezione del contatto colla pellicola, potemmo notare che aveva pure grande importanza il grado di pulitura della superficie metallica. Stralciamo dal giornale delle nostre esperienze i valori trovati in due delle migliori prove: esse serviranno a dare un'idea dell'effetto comparativo dei diversi metalli nella riflessione, e della loro efficacia nell’ aumentare l’ opa- cità del fondo. Metalli BERE 3É33 Metalli iis sÉs$ & E| dE ta f_& 5 E E là a_& Alluminio ...| 230 | 230 || Pakfong....| 290 250 Stagno. ..... 275 ” Acciaio ..... 360 ” Ottone. ..... 300 ” TESA ovo 00 450 ” LAN ORRORI 340 D) Platino 0 495 ”» Piombo ..... 370 ” Rame. ...... 570 ” Da questa tavola si può ad esempio arguire che un riflettore di rame permetterebbe di ridurre la posa circa a metà, dappoichè esso raddoppia l’ ef- fetto grafico dei raggi X. Dei corpi non metallici da noi adoperati come riflettori, la maggior parte mostrò effetti poco notevoli: noteremo però il vetro e la selenite come i migliori. VII. — Dall'esame dei negativi dove sia riprodotto un oggetto qua- lunque, si può anche dedurre una loro singolare proprietà. I bianchi dell’ im- magine sono molto più puri nella regione che durante la posa sovrasta il (') A questo proposito facciamo notare che i valori dati dai proff. Battelli e Garbasso (loc. cit.) per la trasparenza dei diversi corpi ai raggi di Rontgen, rappresentano invece soltanto la trasparenza ottica relativa delle loro imagini fotografiche. Infatti, dalla formola di Abney si deduce che la trasparenza relativa di due regioni di uno stesso negativo è data da: T — e o(a-9) mentre la trasparenza relativa # dei due corpi per i raggi di Rontgen, sarebbe 9 = LA Cosicchè 4, lungi dall'essere proporzionale a T, risulta legato con essa dalla relazione: 1 PER — 331 — riflettore, quasichè l'oggetto riprodotto presentasse nelle parti corrispondenti una maggiore opacità. Abbiamo lungamente cercato quale potesse essere la causa di questa particolarità. Senza dilungarci nel riferire le ricerche che ci diedero risultato negativo, possiamo ormai dire in base a ripetute esperienze, che il fenomeno è dovuto ai corpi sottostanti alla lastra durante la posa, in particolare al sostegno. Questi corpi diffondono dei raggi X che vanno a colpire lo strato sensibile dal di sotto, in tutta la regione non protetta dal riflettore, produ- cendovi un velo. Difatti, se si ha cura di sopprimere l’' intervento di questi raggi diffusi, facendo sì che sotto la lastra non si trovino corpi che a gran- dissima distanza, il fenomeno non si verifica più, cioè 1 bianchi sono egual- mente puri in tutte le regioni della lastra. Dopo ciò è intanto da ritenere che nessun negativo finora ottenuto col processo Rontgen sia andato esente dal velo dovuto alla diffusione dei corpi sottostanti. La possibilità poi di evitare questo velo è una nuova ragione per rac- comandare l’uso del riflettore, il quale concorre ad avvantaggiare la prova, e col suo potere riflettente, e colla sua opacità. Chimica. — Sui cementi idraulici. Nota del dott. G. Oppo, presentata dal Socio CANNIZZARO. I lavori sui cementi, che io ho pubblicato in collaborazione con E. Man- zella (‘), hanno avuto l’ onore di due riviste critiche, una dell’ illustre prof. Cossa (2) e l’altra del dott. Rebufatt (3). Sopra una quistione così complessa ed ancora oscura, com’ è quella della costituzione dei cementi e dei fenomeni che avvengono durante la presa, la critica non mi sorprende, poichè ehi ha coltivato un po’ questo campo, saprà che, quot sunt capita tot sunt sententiae. E però dalla discussione dei fatti nel nostro caso risulterà, di quali osser- vazioni si debba tener conto. Il prof. Cossa incomincia con la seguente osservazione: « Certamente il solo studio della composizione chimica mediata di un «cemento non può servire a giudicare della natura delle specie chimiche che «lo compongono (silicati, alluminati ecc.); però si ammette che anche dalla « sola composizione centesimale si possono ricavare conseguenze utili per rico- « noscere il loro valore pratico ...». (?) Rendic. della R. Accad. dei Lincei 1895, vol. IV, 2° sem., pag. 19 e Gazzetta chi- mica ital. 1895, V. II, p. 101. (2) Rendiconti 1895, vol. IV, 2° sem., pag. 263. (8) Gazz. ch. it., XXV, parte II, pag. 481. — 332 — Per rispondere, citerò alcuni tratti delle Memorie di Le Chatelier, all’ autorità del quale il prof, Cossa si riferisce, e la quale perciò non può essere sospetta : « L'analyse chimique brute n’apprend rien sur la nature des composés « formés; elle ne distingue pas un mélange de silice et de chaux, d'un sili- «cate de chaux, un ciment simplement décarbonaté qui n'est pas susceptible «de faire prise, d'un ciment véritable cuit è point. « Le seul renseignement utile que l’on puisse tirer de l’analyse chimi- «que est de savoir si le ciment ne renterme pas un excès de base, c’est-à- «dire plus de 3 équivalents de protoxryde Ca0, Mg0, pour 1 équivalent « d'acide (Si0», Al»03)..... « L'analyse élémentaire d'un ciment ne peut donc indiquer qu'une limite «de composition au delà de laquelle tous les produits obtenus sont certaine- «ment mauvais. L'analyse 2mmédiate, si elle était possible, pourrait seule « jeter quelque jour sur les qualités d'un ciment..... «J'ai essayé, sans succès, diverses méthodes d'analyse immédiate plus «ou moins détournées: action des sels ammoniacaux, mesure calorimétrique « de la chaleur de dissolution dans les acides, examen de lames minces au « microscope; mais je n'ai réussi par aucune de ces méthodes à obtenir des « resultats concluants » (*). E nella seconda Memoria (?) ribadisce più volte questi concetti e così a pag. 258 dice: « Les ciments ne sont pas de mélanges de composés définis, mais des « mélanges de semblable composés: il est donc tout à fait irrationnel de cher- « cher dans une composition chimique donnée un indice quelconque de qua- « lité, il ne faut y voir qu'une probabilité d'analogie avec un autre produit « déterminé ». Non ci pare ora dubbio, che le poche conseguenze utili che si possono ricavare dalla composizione centesimale per riconoscere il valore pratico dei cementi sono fallaci, e che noi non fummo nè temerarî, nè trascurati, nel rica- vare dal nostro lavoro di analisi le seguenti conclusioni (pag. 25): «Da questi risultati riesce evidente, che nella composizione centesimale « dei cementi italiani ed esteri non esistono notevoli differenze. Faremo sol- « tanto rilevare che tutti i cementi italiani a lenta presa, eccettuato quello « di Marchino, che ha una composizione centesimale del tutto speciale, con- « tengono circa l'1°/, di calce in più dei cementi esteri. Faremo osservare « inoltre, poichè ciò depone per la bontà dei prodotti, che la quantità di ma- «gnesia, di acido solforico e di alcali che contengono o è trascurabile, 0 è « molto lontana dai limiti di tolleranza. Intanto per ora di questi risultati (1) Annales des Mines, s. 8°, tom. XI, pag. 458-460. (2) Ibidem, s. 9, t. IV, pag. 252. — 393 — « di analisi così concordanti, noi possiamo trarre profitto per stabilire, in quale «rapporto stanno nei cementi le basi e gli acidi...». Dopo quanto ho riportato a proposito dei tentativi infruttuosi di analisi immediata eseguiti da Le Chatelier, parmi evidente il minore valore della 2% osservazione : « Si è trascurato di determinare con saggi microchimici, o almeno con « osservazioni microscopiche, la natura delle sostanze insolubili nell’ acido « cloridrico ». Quale importanza infatti avrebbe potuto avere questa determinazione, consigliata ora per la prima volta, in un miscuglio di sabbia quarzosa e sili- cati (!) che alla temperatura elevata alla quale si cuociono i cementi ha resistito all’ azione della calce, è poi insolubile in acido cloridrico e non oltre- passa ordinariamente il 3 °/,? i Quale parte può avere questo residuo nel fenomeno della presa, se non quella di funzionare come materiale inerte? Nella 32 obiezione il prof. Cossa non trova sufficientemente fondata la conclusione dedotta dalle nostre analisi, che cioè la quantità di basi nei ce- menti a lenta supera quella dei cementi a rapida, perchè abbiamo confron- tato la media aritmetica del tenore percentuale di offo cementi a lenta con quella corrispondente di soli quattro cementi a rapida presa e crede che «qualora avessimo analizzato un egual numero di cementi per ogni serie, con « molta probabilità la differenza sarebbe potuta riuscire di senso opposto ». Per seguire il suo consiglio, confrontiamo egual numero di cementi a lenta e a rapida presa, forniti daile medesime fabbriche (*). Società anonima F. Gavelli Schifferdecker onto palo basi COMPONENTI Sr ru mi A uti campioni sa rapida lenta rapida lenta | rapida Ii oninto Si Os 20,26 | 21,09 | 20,18 | 23,76| 19,16| 19,33 Als Og 9,44 | 10,41| 8,88| 10,06| 9,00| 10,20 Fe. 0; 1,07| 1,02| 1,99) 1,08| 2,10| 2,00 Ca 0 64,01 | 60,69 | 64,05 | 55,92 | 60,04| 57,85 Mg 0 1,01 — 0,70 0,80 0,86 1,00 | lenta rapida Ca0-+Mg 0 Si 0:Al. + 03 + Fea 03 2,68| 2,36] 2,67| 2,04| 2,69] 2,43) 2,55| 2,21 (1) Fresenius, 7raité d’analyse chimique, pag. 859. (2) Omettiamo quelli di Marchino, perchè, come abbiamo fatto rilevare nel nostro lavoro di analisi, il cemento a lenta ha una composizione del tutto speciale. (8) Eccettuato quello di Marchino a lenta, e se anche di esso si tien conto, il rapporto diventa 2,44. — 334 — Dando uno sguardo a questo quadro si osserva subito che la quan- tità di basi esistente nei cementi a lenta, supera quella dei cementi a ra- pida. Nè deve ritenersi che questo fatto sia accidentale per questi tre casi, perchè a mio invito le seguenti fabbriche: Società Anonima, Società Cementi, F. Savelli e anche Marchino e C.i mi hanno concordemente affermato ('), che per la preparazione dei cementi a lenta e a rapida impiegano sempre marne diverse, e quelle che adoperano per i cementi a rapida sono più ricche di argilla. Basterà poi dare uno sguardo ai numerosi quadri di analisi, che si tro- vano in tutti i trattati, come in quello di Candlot, Ciments et chaux hy- drauliques, pag. 34 e 76, che sì riferiscono a prodotti di diverse nazioni; e sentire finalmente Le Chatelier che dice, parlando dei cementi a pronta presa (pag. 433, 1% Mem.): «...Ceux-ci différent complètement par leur composition, leur cuisson « et leur emploi des ciments Portland. L’expérience a montré que les meil- «leurs résultats étaient obtenus en employant des calcaires riches en argile, « en cuissant peu la roche, et enfin en laissant éteindre le ciment è l’air avant «son emploi ». A noi quindi si poteva fare il rimprovero, di avere rilevato un fatto non nuovo, ma non mai quello di essere arrivati ad una conclusione erronea. Per la 5* osservazione ammiro la diligenza con la quale il prof. Cossa ha riveduto il nostro lavoro; però l'inesattezza, che egli rileva, è dovuta ad un errore di stampa a noi sfuggito, avendo scritto a pag. 25 la parola pronta invece di /enta. Basta esaminare il seguente quadro, per accorgersi dell’ esat- tezza della nostra conclusione, che i cementi italiani a lenta contengono circa l' 1° di calce in più dei cementi esteri. Fabbriche italiane Calce ° Fabbriche estere Calce °/ F. Gavelli 64,05 Dickerhoff 62,36 a o 9 Sei noli | 1° qual. 63,93 Senliorilenat 60,04 ( 2° » 64,01 Port. Mannheimer 61,00 Società Cementi 62,74 RAT TONE lenta 57,96 lentissima 56,64 Avendo risposto alle quattro obiezioni d' indole generale, restano per il primo lavoro le osservazioni 12, 4% e 62. Conveniamo che se avessimo esposto i risultati di un' analisi completa, nella quale la somma degli elementi doveva corrispondere alla quantità del composto impiegato, sarebbe stato un errore gravissimo l’ esprimere quei com- posti con la quantità d’ idrato a cui corrispondono e non di anidridi. Ma trattandosi di determinazioni analitiche comparative, nelle quali non si è nemmeno tenuto conto dei prodotti che si trovano in quantità trascurabile, credo che quello si potrà considerare come un peccato veniale, dal quale la (1) Conservo le copie delle mie lettere e le risposte gentilmente ottenute. — 339 — comparazione non risentirà nessun nocevole effetto, come nemmeno dall’ aver dato per la magnesia la media 0,90 invece di 0,45 (4 osserv.) e una cita- zione letteraria errata (6* osserv.). Al secondo nostro lavoro il prof. Cossa muove le seguenti due obiezioni: 1.° Non abbiamo tenuto conto sufficientemente dei lavori di Le Cha- telier, e avremmo dovuto definire quali sono i componenti che s idratano e quali specie chimiche siano i sali polibasici dei cementi. 2.° Abbiamo erroneamente adoperato carbonato potassico per anidride carbonica. Lo scopo del nostro lavoro è molto più modesto di quello che il prof. Cossa avrebbe desiderato. Pure incominciando ad occuparci dei fenomeni che avvengono durante la presa, noi ci siamo limitati a ricercare (pag. 25): «se i cementi italiani « ed esteri, sia prima che dopo la presa, si comportassero ugualmente rispetto «ad un reattivo comune ». Dalle nostre esperienze è risultato con evidenza che si comportano invece in modo diverso, e siamo venuti alla conclusione che si deve perciò ammettere che hanno costituzione intima diversa. La soluzione titolata di carbonato potassico è stata per questo scopo un eccellente reattivo, poichè la potassa che si metteva in libertà c' indicava la quantità di calce, che reagiva nelle successive unità di tempo; mentre l' esi- stenza nei cementi di acidi liberi ci sarebbe stata svelata da una diminu- zione dell'alcalinità totale. Nell'adoperarla non potevamo aver la pretesa di riprodurre condizioni che in natura non esistono e, se invece di avvalersi di un periodo isolato, avesse tenuto di mira la tessitura completa dei nostri lavori, il prof. Cossa non vi avrebbe trovato nessuno scopo determinato di adoperare il carbonato potassico per anidride carbonica e forse non avrebbe creduta necessaria l' iro- nia che noi abbiamo fatto come quel fisiologo, il quale volendo conoscere l’azione fisiologica dell'acido citrico sull’ organismo, studia quella del citrato di chinina. È proprio vero poi che i lavori di Le Chatelior dovevano esser tenuti in maggior considerazione, di quel che fu da noi fatto, come quelli che avessero chiarito definitivamente, come pare ammettano i due critici, la co- stituzione dei materiali idraulici e i fenomeni che avvengono durante la presa e rendessero perciò inutile ogni altra indagine in questo campo? A me così non è sembrato e pur riservandomi di discutere ampiamente quei lavori, quando avrò raccolto maggior numero di dati sperimentali, mi limito per ora a poche osservazioni. Anzitutto Le Chatelier, per le esigenze del suo metodo, potè studiare al microscopio con la luce polarizzata soltanto il cemento Portland, perchè è il solo a struttura cristallina. — 396 — Per la medesima ragione dei tre silicati Si0,.Ca0;Si0,.2Ca0 ed Si 0.8 Ca0, preparati per sintesi, studiò soltanto il primo, che non fa presa, essendo gli altri due amorfi; e dell’ossido di calcio, degli alluminati Al: 03.Ca0 e Al, 03.3Ca0 sintetici, per i quali il merito di averli ottenuti per il primo nel 1865 e di averne dimostrato l’ idraulicità è dovuto a Fremy, nessun criterio cristallografico potè ricavare per ricercarne poi la presenza nei cementi anidri, perchè, essendo cristallizzati nel sistema cubico, sono inattivi sulla luce polarizzata. Interpretando i risultati delle sue ricerche, viene alle seguenti conclu- sioni generali. I cementi Portland anidri: 1. non contengono calce libera (pag. 421); 2. sono costituiti da due elementi essenziali: a) il silicato Si0,.3 Ca0O che si presenta nelle sezioni in cristalli che l'autore chiama pseudocubici; questo, quando s' idrata, sì decompone in Si 0,.Ca0.2,5 H:0-+ 2 Ca(0H), e determina la presa (pag. 425); b) un silicato di alluminio, di ferro e di calcio, che non è idraulico, ma funziona nella cottura come fondente e rende possibile la precipitazione del silicato basico. L'esistenza di piccole quantità di alluminati di calce è solamente pro- babile (pagg. 414, 416, 421). Quali sono i dati sperimentali che ve lo hanno condotto? Ritiene che la calce libera porterebbe la disgregazione dei materiali dopo la presa, perchè in alcune esperienze (pag. 420 1 Mem.) trova che basta l’1°/, di calce dal nitrato fortemente calcinata per produrre tale effetto. Ora è noto che non tutte le varietà di calce si comportano ugualmente rispetto all'acqua. Quella dal carbonato granulosa si estingue istantaneamente, quella dal nitrato cristallina invece molto lentamente, dopo ore o all’ ebolli- zione con acqua e non è per lo meno dimostrato perchè se calce libera esiste nei cementi, essa debba paragonarsi a questa e non all'altra (1). Vedremo in seguito che sottoponendo alla temperatura del forno elettrico fornita da una tensione di 40 Volta e 120 Ampère dei pezzi di calce dal carbonato, sino a farne fondere soltanto una porzione, questa, immersa nell’ ac- qua, dopo otto giorni non era estinta completamente, mentre la porzione ri- (1) Lo stesso Le Chetelier dice a pag. 452 1* Mem.: Pour que l’extinction de la chaux produise des effets aussi désastreux, il faut que son extinction soit très lente et ne se complète qu’après le durcissement du mortier. La chaux obtenue par la cuisson du calcaire pur constitue une masse extrèmement poreuse, qui s’éteint dans l’ intervalle de quelques secondes; sous cet état elle est peu nuisible, car son hydratation est terminée avant le commencement du durcissement proprement dit. C'est là ce-qui paraît se passer pour les ciments è prise rapide cuits àè basse témpérature et très poreurx. Mais si la chaux est compacte et ne présente pas des pores possedant une surface d’attaque par l’eau extrè- mement considérable, 1’ hydratation devient fort lente. — 337 — masta granulosa e attaccata alla precedente, quantunque avesse subito quella elevata temperatura, si estinse istantaneamente; e similmente fondendo al forno elettrico un miscuglio intimo di Si O, (1 mol.) e Ca0 (6 mol.) si forma dell’ ortosilicato di calcio e rimane della calce che si estingue rapidamente. Studiamo ora per quali dati sperimentali Le Chatelier al silicato idrau- lico (eterno scoglio di tutti i cultori di questo campo) attribuisce la formola Si 0,3 Ca0. Egli non l’ha potuto preparare per fusione diretta di 1 mol. di Si O; con 8 mol. di CaO, anche in presenza di solventi. Crede di averlo ottenuto per l’azione del vapore acqueo sul sale doppio Si 0,.2 Ca0. Ca Cl, a temperatura un po’ superiore ai 450°. È una polvere amorfa, che fa presa nell’acqua bollente e soltanto dopo otto giorni dà mattoni paragonabili a quelli dei cementi. L'autore crede che sia un composto e non un miscuglio soltanto, perchè se esso contenesse della calce libera, le mattonelle bollite con acqua dovrebbero disgregarsi. Siamo in un circolo vizioso, e questa volta non si capisce affatto come mai una calce ottenuta a circa 450° possa paragonarsi a quella fusa che si prepara a 1500°. Avrebbe potuto l’autore osservare al microscopio le sezioni delle matto- nelle indurite, dando un'utile applicazione al metodo d’ indagini che egli istituisce sui cementi, e senza dubbio con ottimo discernimento, ma anche questo ha trascurato di fare. Viceversa silicati di calcio che mischiati con calce fanno presa, ne sono stati preparati ad incominciare da Fuchs nel 1833 e a venire a Fremy nel 1865, quantunque non siano stati studiati. Vedremo in seguito che, fondendo al forno elettrico i miscugli intimi di 1 mol. di Si 0, e 3 o 6 mol. di Ca0, non ho ottenuto questo preteso silicato tricalcico, bensì il metasilicato di calcio. Studiando poi Le Chatelier al microscopio le sezioni dei cementi anidri, ha trovato quei cristalli pseudocubici che ho sopra rammentato e sono costi- tuiti da silicati; li ha riscontrati in quantità più abbondante nei grappiers, e dalle analisi di questi ultimi, che contengono ancora 3-4°/, di Al, 03 Fe, 03 oltre la magnesia e sono tutt'altro che decisive, ricava che i cristalli pseu- docubici hanno la composizione Si 03.3 Ca0, senza pensare nemmeno ai casi d’ isomorfismo che egli ha riscontrato tra gli alluminati Al, 03.Ca0 e Al, 03.3 CaO e che anche nei silicati crede possibili, dicendo a pag. 419 12 Mem. per ispiegare un’ altra osservazione: « On peut supposer que les deux silicates Si 0,.2 Ca0 «et Si 0,.3 CaO forment des mélanges isomorfes...?». È bene quindi osservare che nessuna relazione esiste tra il lavoro di sintesi ReNDICONTI, 1896, Vol. V, 1° Sem. 44 — 338 — e quello di analisi e nell’un caso e nell’ altro le conclusioni sono per lo meno premature. Nè meno arbitrariamente ricava la formola del silicato idrato Si 0, .Ca0. 2,5 H:0 la cui formazione ha determinato la presa. Egli non lo prepara per idratazione del silicato anidro, bensì mischiando una soluzione colloidale di silice con un eccesso di acqua di calce. È amorfo e molto voluminoso (1 grammo arriva ad occupare il volume di 2 litri). Si decompone lavandolo con acqua sino a lasciare silice pura; però la decom- posizione viene limitata dalla presenza di acqua di calce; e avendo ottenuto in un'analisi in equivalenti (pag. 402): Si 0, 1,21; Ca0 1,28; H.0 3,00 togliendo !/,; di equivalente di Ca(OH), calcola la formola che ho sopra riportato. Questo per via sintetica. Nell’ analisi microchimica dei cementi idratati, osserva assieme a larghi cristalli a doppia refrazione energica d' idrato di calcio degli aghi sottili, che vengono distrutti dai sali ammoniacali lasciando silice gelatinosa e senz’ altro conchiude (pag. 424): «... éls (gli aghi) sont constitués par un silicate de chaux auquel j'at- tribuerai la formule du seul silicate de chaux hydraté que j'aie pu reproduire synthétiquement: Si 0,.Ca0, 2,5 H30 ». Dimostra l’ incertezza che vi è ancora sullo stato di combinazione dei varî componenti dei cementi, un certo disaccordo che vi è a proposito della forma di combinazione dell’ allumina. Nel mentre l’autore mira a confermare l'opinione che i composti che tendono a formarsi sono: Si:02.3020) e (AI, 03-3 Ca0 e che perciò, contando l’allumina (e con essa l’ossido di ferro) tra gli acidi, il rapporto tra le basi e gli acidi non può superare il 3, abbiamo visto che nei cementi anidri egli dice di avere osservato quasi esclusivamente Si 0 3 Ca0 e un silicato doppio di allumina, di ferro e di calce e che ammette soltanto come probadile l’esistenza di piccole quantità di alluminato di calce. L' al- lumina quindi, secondo questa interpretazione dei dati sperimentali, funziona principalmente da base. Calcoliamo il rapporto che esiste tra gli equivalenti di basi e di acidi nella seguente analisi di un cemento di duona qualità che trovo riportata in equivalenti dall’ autore a pag. 459 della 12 Mem. Si 0, 1,00; A1,03 0,21; Fe» 030,04; Ca0 3,29; Mg0 0,08 Si ha: Ca0 + Mg0 + Al» 0; + F; 0; Si 0, = 3,62 — 339 — e se anche non si tien conto degli ossidi di alluminio e di ferro, ammettendo che essi funzionino e da basi e da acidi, si ha sempre: Ca0 3,29 + Mg0 0,08 Si 0, 1 Poichè il rapporto supera il 3, da questo dilemma non si esce: o si deve ammettere in quel Portland, che è pure di buona qualità, della calce libera; ovvero la presenza di silicati più basici ancora del preteso Si 0,3 Ca0. In tutti e due i casi non si è di accordo con le sue conclusioni (!). Al dott. Rebufatt ho risposto implicitamente. Gli farò soltanto osservare che il nostro lavoro non è stato eseguito a scopo pratico e che quindi tutto il lusso di conoscenze di norme delle diverse nazioni, che si usano nella pra- tica per la ricezione dei cementi (norme ancora mal definite e molto discusse!) non è opportuno, tanto più perchè noi, ogni volta che ci siamo discostati dalla pratica, ne abbiamo dato avviso nelle nostre memorie; e lo abbiamo fatto senza scrupolo, perchè le nostre ricerche erano comparative, come dichiariamo fin dal primo periodo della 1% Memoria. Quelle norme non ci erano sfuggite e a pag. 21 del primo lavoro; le abbiamo tutte riportate, e siamo stati anzi i primi a lamentare che nulla di simile si sia fatto ancora in Italia per regolare l’ industria cementizia, che ha raggiunto da noi così mirabili progressi. = 3,37. MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Ricci G. Dei sistemi di congruenze ortogonali in una varietà qualunque. Presentata dal Socio CREMONA. Lori F. Influenza degli sforzi di tensione e di compressione sulle proprietà magnetiche del ferro. Presentata dal Socio BLASERNA. (1) Lo stesso Le Chatelier fu meno corrivo del prof. Cossa e del dott. Rebufatt nel giudicare i suoi lavori, poichè a pag. 887 1% Mem. dice: « Si j’insiste sur le peu de résultats obtenus par des savants éminents, c'est pour montrer la difficulté de cette étude et m’excuser de publier un travail qui ne permet pas de formuler sur ce sujet des conclusions aussi complètes qui je l’aurais voulu. Je n'ai pas la prétention d’avoir résolu complètement le probléme que j'ai abordég; j’espère seu- lement avoir fait connaître un assez grand nombre de faits nouveaux qui pourront servir de matériaux utiles pour établir un jour la théorie complète des mortiers hydrauliques. P. B. Ratino li Do 1 RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI n_a___—___—_———m—“<“"<"- Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 3 maggio 1896. F. BrIoscHI Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Astronomia. — Sulla distribuzione in latitudine dei feno- meni solari osservati al R. Osservatorio del Collegio Romano nel 1° trimestre del 1896. Nota del Socio P. TACCHINI. Il numero dei giorni di osservazione fu di 63 per le protuberanze e di 73 per le macchie e per le facole. Dalle latitudini calcolate per ciascuna protuberanza e per i gruppi delle macchie e delle facole, ricavai i seguenti dati per la frequenza relativa ai diversi fenomeni in ciascuna zona nei due emisferi del sole. 1° trimestre 1896. Facole | Macchie o Latitudine | Protuberanze 90-80 | 0,006 | 80+ 70 | 0,008 70-+- 60 | 0,006 60-50 | 0,006 50+-40 | 0,052/ 0,495 0,000 40-+30 | 0,114 0,016 30-+20 | 0,136 0,108? 0.456 | 0,000 20-+10 | 0114 0,172\ 0,250 ( 0,391 10. 0 | 0,058 Vee 0,141 0—10 | 0,086 0,151 0,047 10-20 | 0,130 | 0,236 | 0,421 ( 0,609 20-30 | 0,116 0,145( 0.964 | 0.141 30— 40 | 0,097 0,027 \ 40-50 | 0050) 0,505 | 0,005 50— 60 | 0,014 60— 70 | 0,006 70— 80 | 0,006 80 90 | 0,000 RENDICONTI, 1896, Vor. V, 1° Sem. 45 — 342 — Nel complesso dunque in questo trimestre la frequenza delle protube- ranze può considerarsi eguale nei due emisferi e le protuberanze si trovano sempre numerose dall’ equatore a = 50 gradi come nell’ ultimo trimestre del 1895, mentre furono assai scarse o mancanti nelle altre zone. Le facole furono un poco più frequenti nelle zone australi, specialmente nel mese di marzo; la zona di maggiore frequenza per le facole è, come nel trimestre precedente, estesa dall'equatore a # 20 gradi, ed è pure egual- mente manifesto il salto brusco nella frequenza dopo le latitudini di = 30 gradi. Le macchie, come le facole, furono più frequenti nelle zone australi, e continuarono a presentare i due massimi di frequenza nelle zone = 10° = 20° cioè nelle stesse zone dei massimi delle facole. Come nel precedente trimestre le macchie non oltrepassarono la latitudine di 30 gradi. Una sola eruzione metallica fu osservata, e questa nel giorno 5 di feb- braio al bordo W alla latitudine di — 149,3 in corrispondenza del tra- monto di un gruppo di macchie e facole. Sembra dunque che in questo tri- mestre si possa ritenere maggiore l’' attività solare nell’ emisfero S. Fisica. — Muovi studi sulla dispersione elettrica prodotta dai raggi di Rontgen. Nota del Corrispondente Aucusto Rioni. $ 1. Esame di una causa d'errore. Durante le mie ricerche intorno ai fenomeni elettrici prodotti dai raggi di Réontgen, delle quali ho reso conto sommariamente in varie successive Note (*), ho avuto occasione di constatare, che non sempre basta collocare una grossa lastra di piombo fra la sorgente dei raggi ed il conduttore elet- trizzato, onde sottrarre quest’ultimo alla loro azione; e siccome l' ignorare questa circostanza può produrre, e forse ha prodotto già, dei gravi errori, così ho creduto necessario mettere in piena luce un fatto, che, almeno sotto questo rapporto, è di qualche importanza. (1) Sulla produzione di fenomeni elettrici per mezzo dei raggi di Ròntgen. Ren- diconti della R. Accad. di Bologna, 9 febbraio, 1896. — Phéromònes électriques produits par les rayons de Ròntgen. Compt. Rend. 17 février, 1896. — Sulla dispersione dell’elet- tricità prodotta dai raggi di Rintgen. Rend. della R. Accad. dei Lincei, 1 marzo, 1896. — Sulla produzione delle ombre di Rontgen per mezzo della dispersione elettrica provocata dai raggi X. Rend. della R. Accad. dei Lincei, 1 Marzo, 1896. — Sulla influenza della natura e pressione del gas ambiente nella dispersione elettrica prodotta dai raggi di Ròntgen. Mem. della R. Accad. di Bologna, 8 marzo, 1896. — £fets électriques des rayons de Ròntgen. Compt. Rend. 9 mars. 1896. — Observations sur une Communication de MM. Benoist et Hurmuzescu. Compt. Rend. 20 avril, 1896. — 343 — Davanti alla finestra circolare chiusa con sottile lastra di alluminio, praticata nella parete di piombo della grande cassa metallica comunicante col suolo, che contiene il tubo di Crookes e gli apparecchi che servono ad eccitarlo, è posto un disco metallico isolato. Questo disco comunica diretta- mente coll’ elettrometro di Mascart, e, coll’ interposizione d' una lunga colonna d'alcool assoluto, col polo isolato di una batteria di piccoli accumulatori. Al di dietro del disco sta una grande e grossa lastra di piombo non isolata, munita di un piccolo foro per lasciare passare il filo che stabilisce la co- municazione fra il disco e gli altri strumenti, destinata a difendere dall’ azione dei raggi X gli apparecchi comunicanti col disco. Infine, dall'altra parte di questo, e cioè verso la finestra, trovasi una lamina d'alluminio, che dista qualche millimetro dal disco, e che, essendo in comunicazione col suolo, è destinata a sottrarre il disco dalle azioni elettriche che potrebbero provenire dai corpi che si collocano sul cammino dei raggi X. In queste condizioni i raggi che, attraversata la lastra di alluminio, cadono sul disco, provocano la dispersione della sua carica, e di questa di- spersione si può avere una misura relativa calcolando l’ espressione “e 1 in cui vo è il potenziale misurato dall'elettrometro quando i raggi X non esistono, e v quello misurato sotto l’azione di essi (!). Si ponga ora fra la finestra ed il disco isolato un disco di grossa lamina di piombo, in modo che il disco isolato e la lastra d'alluminio, che gli è vicina, sieno interamente compresi nella sua ombra geometrica. Si crederebbe che in tali condizioni la dispersione della carica del disco non si risentisse più dell’azione dei raggi X; ma così non è, giacchè un effetto si osserva ancora, la cui intensità cresce al crescere della distanza fra il diaframma e la finestra. Ed in vero, se il diaframma combacia colla finestra, non si osserva la minima dispersione; ma basta allontanarlo qualche poco perchè l’azione si manifesti. Ciò prova, intanto, che la debole azione sul disco elettrizzato che si constata quando il diaframma non è a contatto della finestra, non è do- vuta a raggi che lo abbiano attraversato. La dispersione osservata diminuisce assai adoperando un diaframma assai largo, oppure circondando quello adoperato prima con un altro di forma an- nullare, che lo prolunga in ogni senso. Anzi, questo diaframma forato pro- duce il suo affetto anche adoperato da solo. Ho constatato, infatti, che esso attenua l’azione sul disco elettrizzato, riducendo la dispersione anche a meno della metà di quello che era senza il diaframma, benchè l’ apertura in esso praticata sia tale da non restare intercettato il cammino rettilineo dei raggi (1) Per la descrizione del mio metodo di misura della dispersione, veggasi la terza delle Note citate in principio. — 344 — dalla finestra al disco. Si direbbe dunque che i raggi i quali agiscono sul disco elettrizzato, non giungono tutti in linea retta dalla sorgente. Ho controllato queste esperienze con altre, nelle quali al disco elettriz- zato è sostituita una lastra fotografica, avvolta in carta nera, e sulla quale si è poi collocata una reticella metallica. Così, nel caso in cui la lastra è interamente entro l'ombra geometrica d'una grossa lastra di piombo non troppo grande, dopo una sufficiente durata d'azione, si ottiene una distinta ombra della reticella. Non saprei indicare in modo sicuro la causa di questo singolare feno- meno, benchè due spiegazioni si presentino subito alla mente. Una è che l’aria si comporti come un mezzo leggermente torbido, e perciò dia luogo a diffusione delle radiazioni. L'altra è che questa diffusione avvenga per opera dei corpi solidi colpiti dai raggi X (p. es. il diaframma di piombo, la cassa ecc.). Speravo trovare una differenza di effetti variando la pressione dell’aria; ma avendo ripetuto in piccola scala l’esperienza fo- tografica descritta, in modo cioè che diaframma, lastra fotografica, ecc. si trovassero tutti entro una campana di vetro, non ho ottenuto sensibile diffe- renza nell’ imagine, secondo che l’aria era alla pressione ordinaria o a quella di 0 mm., 005. Come si vede, la causa del fenomeno non è ancora bene stabilita; ma del fenomeno stesso devesi tener conto onde evitare inganni. $ 2. Influenza della distanza fra il disco elettrizzato e la VE comunicante col suolo che gli sta di fronte. Uno dei modi di constatare la dispersione prodotta dai raggi ultravioletti, è il far uso d'una coppia fotoelettrica, e cioè del sistema costituito da un disco conduttore elettrizzato comunicante coll’ elettrometro, e da una reticella metallica comunicante col suolo e parallela al disco, pei meati della quale passano le radiazioni. Se con tale apparecchio, che si può anche considerare come un condensatore ad aria, si misura la dispersione prodotta dai raggi ultravioletti che colpiscono una delle armature, si riconosce che questa di- spersione diminuisce al crescere della distanza fra le armature stesse. Ho istituito l’analoga esperienza coi raggi X, sia mantenendo l’ identica disposizione, sia sostituendo alla reticella una lastra piana: di alluminio, ed il risultato ottenuto, con disco o di zinco, o di ferro, o di rame, è stato che la dispersione fra le due armature del condensatore ad aria, cresce al crescere della distanza fra le due armature, sino ad un certo limite. Ho fatto le esperienze con potenziali di 1 a 80 Volta; ma poi, sosti- tuito all'elettrometro Mascart un elettroscopio a foglie d’oro, ho constatato lo stesso fenomeno con potenziali assai più elevati. In questo caso misurayvo il tempo necessario affinchè le foglie d’oro cadessero alla posizione di riposo, dopo avere caricato l’ elettroscopio ed il disco metallico con esso comunicante, — 345 — mediante una pila di Zamboni. Questo tempo diminuiva al crescere della distanza fra le armature. Un tal risultato sembra a primo aspetto assolutamente in contraddizione con quanto si sa accadere nella ordinaria propagazione dell’ elettricità nei gas, e nella dispersione elettrica provocata dai raggi ultravioletti. Ma certi fenomeni che altravolta ebbi occasione di constatare, inducono a modificare questo giudizio. i $ 3. Fenomeni analoghi a quello descritto nel S precedente. Se, nel caso in cui la dispersione nel condensatore ad aria è prodotta dai raggi ultravioletti, si tende presso la rete metallica comunicante col suolo un filo isolato comunicante con un elettrometro, si trova che, mentre coll’ aria alla pressione ordinaria il potenziale acquistato dal filo in un tempo costante d'azione dei raggi diminuisce al crescere della distanza fra le armature, quando invece l’aria è abbastanza rarefatta, quel potenziale comincia col crescere al crescere di quella distanza (*). In quest'ultimo caso il fenomeno ha qualche analogia con quello del $ precedente. Un fenomeno simile ottenni nell'aria rarefatta anche senza l’azione dei raggi ultravioletti, purchè < potenziale impiegato fosse appena sufficiente a che la propagazione dell’ elettricità nel gas potesse aver luogo (*). Però, in queste mie non recenti esperienze, la dispersione viene valutata indirettamente, e cioè deducendola dal potenziale assunto in un dato tempo da un terzo conduttore, che a guisa di una sonda si colloca fra i due con- duttori principali; perciò ho giudicato necessario modificare quelle esperienze in modo da renderle simili a quella del $ 2. Per l'esperienza nella quale intervengono i raggi ultravioletti, ho rac- chiuso il condensatore ad aria, costituito dal disco metallico e dalla reticella, entro una campana di vetro, chiusa alla bocca con un disco di quarzo, e comunicante con una macchina pneumatica, ed ho misurato la dispersione prodotta dai raggi ultravioletti di una lampada ad arco nel solito modo, cioè calcolando “e Ho così verificato che, con conveniente rarefazione e con 1 potenziali non molto inferiori a quello necessario, perchè la propagazione del- l'elettricità nell'aria avvenga anche senza l'azione dei raggi ultravioletti, l'andamento dei fenomeni è simile a quello constatato nel $ 2, e cioè la dispersione comincia col crescere, al crescere della distanza fra le due armature. Quanto al fenomeno analogo che si può ottenere senza far agire raggi di alcuna specie, ecco come l'ho realizzato. Ho costruito un tubo di vetro con due elettrodi in forma di dischi paralleli (diametro 3,5 c.), di cui uno (1) Sulla convezione fotoelettrica e su altri fenomeni elettrici nell’ aria rarefatta. $ 14. Mem. della R. Acc. di Bologna serie IV, t. X. — N. Cimento, 3 serie, t. XXX, pag. 201. © Le. 8 17 — 346 — è fisso e l’altro mobile, tanto da potersi facilmente variare la loro reciproca distanza dando piccoli urti al tubo opportunamente inclinato; e dopo aver ri- dotto a circa mezzo millimetro la pressione dell’aria interna, l'ho chiuso alla lampada. Messo il tubo, insieme ad un galvanometro, nel circuito di una pila di Volta, della quale si deve adoperare il numero minimo di coppie ne- cessarte affinchè l’ elettricità possa propagarsi nel tubo (da 400 a 600 coppie nel caso mio) sì osserva che quando i due dischi sono a meno di 2 mm. di distanza, il galvanometro resta a zero. Ma allontanando lentamente i due elettrodi, d'un tratto il galvanometro devia, per tornare allo zero quando la distanza fra i due elettrodi supera un certo valore. La massima corrente col mio apparecchio si ha quando i due elettrodi distano di 5 o 6 mm. Se l'esperienza si fa nell'oscurità, si può sopprimere il galvanometro, giacchè il presentarsi della luminosità del gas fra i due dischi allorchè la loro distanza reciproca, che si fa gradatamente aumentare, ha raggiunto un certo valore, indica che la propagazione dell'elettricità nel gas si compie più agevolmente a una certa distanza che a distanze più piccole. Naturalmente, se si adopera un numero di coppie troppo piccolo, non si ottiene mai la corrente fra i due elettrodi; se invece se ne adopera un numero troppo grande, sì ha corrente qualunque sia la distanza fra i due dischi. In conclusione, il fenomeno del $ 2, che si produce sotto l’azione dei raggi X alla pressione ordinaria e con qualunque differenza di potenziale fra le due armature del condensatore ad aria (o almeno con differenze di poten- ziale che vanno da circa 1 Volta sino a quella necessaria per ottenere una forte divergenza in un elettroscopio a foglie d’oro), è identico a quello che nell'aria rarefatta e con differenze di potenziale non troppo piccole si pro- duce sotto l’azione dei raggi ultravioletti, come pure a quello che, senza far agire nessuna specie di radiazioni si produce nell'aria rarefatta, allorchè si fa uso di differenze di potenziale appena sufficienti affinchè abbia luogo la propagazione dell’ elettricità. $S 4. Producono i raggi X la dispersione della carica, alla superficte di un conduttore immerso in un dielettrico liquido o solido? Il sig. J. J. Thomson ha annunciato che i raggi X fanno disperdere la carica di un conduttore, non solo quando è circondato da un gas, ma anche allorchè è immerso in un dielettrico liquido o solido, e ne ha concluso che ogni dielettrico diviene conduttore allorchè è attraversato dai raggi di Rontigen. Siccome questo risultato stabilirebbe una differenza notevole fra gli ef- fetti prodotti dai raggi X e quelli dovuti alle radiazioni ultraviolette, ho giudicato interessante di controllarlo. Bisogna ben distinguere il caso in cui il dielettrico è in forma di strato posto in contatto del metallo elettrizzato, e di cui la faccia opposta è in contatto dell’aria ambiente, dal caso in cui il dielettrico liquido o solido — 347 — riempe tutto lo spazio che resta fra il metallo elettrizzato ed un involucro metallico chiuso che lo circonda e che è in comunicazione col suolo. Se, nel primo caso, si vede diminuire sotto l’azione dei raggi X la de- viazione nell’ elettrometro comunicante col metallo elettrizzato, ciò non prova che una dispersione abbia luogo dalla sua superficie entro la massa del die- lettrico, ed in ogni caso è un errore il supporre che questa sia l'unica causa del fenomeno. Ho infatti dimostrato (') che in tali condizioni l’effetto si produce alla superficie di separazione fra il dielettrico e l’aria ambiente, e precisamente che dell’ elettricità dello stesso nome di quella del conduttore sì disperde nell'aria, restando sulla superficie del dielettrico una carica di nome contrario. Del resto, questo fenomeno è identico a quello che dimostrai altra volta compiersi in simili condizioni per opera dei raggi ultravioletti. Se dunque si vuol rispondere alla domanda che serve di titolo a questo $, bisogna operare come nel secondo caso, e cioè far in modo che il dielettrico liquido o solido non abbia superfici di contatto con un gas. In base a queste considerazioni ho costruito una cassetta parallelepipeda di piombo di 18 X 14 X 4 centimetri, in una delle grandi faccie della quale ho praticato un’ apertura rettangolare di 11 X 13 centimetri, che poi ho chiusa con una sottile lastra d'alluminio. Entro la cassetta ho collocata una lastra di rame di 12 X 14 centimetri isolata, da cui parte un filo di rame che, oltre a sostenerla, serve a farla comunicare coll’ elettrometro e colla batteria d’ ac- cumulatori (secondo la solita disposizione), passando nel centro d'un foro praticato nel piombo. Ho successivamente misurata la dispersione prodotta sul rame dai raggi X, che entrano nella cassetta attraversando l'alluminio, mentre la cassetta era in comunicazione col suolo e riempita dall'aria, op- pure con essenza di trementina, o con olio di vasellina, o infine con un die- lettrico solido (paraffina, gomma lacca, colofonia) introdotto dietro fusione. Vo — Vi Quando la cassetta era piena d’aria, trovai per la dispersione 7 1 il valore 0,6. Quando invece la cassetta era piena d'un dielettrico liquido o solido, trovai valori assai minori, per esempio 0,02. Sembrava dunque che i raggi X producessero un effetto, quantunque assai debole, anche in questo caso. Ma ben tosto riconobbi che l’effetto scemava assai accostando la cas- setta alla finestra della grande cassa metallica da cui escono le radiazioni, tanto che quando la cassetta toccava la finestra e la chiudeva completamente, la dispersione era ridotta quasi a nulla. Dunque l'effetto osservato era in massima parte dovuto alla causa di errore messa in chiaro nel $ 1, vale a dire che, quantunque i conduttori ed apparecchi comunicanti colla lastra di rame fossero entro l'ombra che dovevano proiettare la cassetta ed una grande lastra di piombo posta al di dietro di essa, pur tuttavia le radiazioni X pro- ducevano su di essi un’ azione. (1) Vedi la 3° e 4% delle Note citate in principio. — 348 — Che questa interpretazione sia giusta, risulta dalla seguente osservazione, e cioè che press'a poco la stessa dispersione si osservava troncando la co- municazione della lastra di rame col resto degli apparecchi. Infine, siccome anche dopo interrotta quella comunicazione, la piccolis- sima dispersione rimasta dopo avere messo la cassetta contro la finestra non cambiò sensibilmente, ne conclusi che nessuna dispersione percettibile era prodotta nell'interno del dielettrico. Dunque: zon può considerarsi come dimostrato che un dielettrico non gassoso sia reso conduttore allorchè è attraversato dai raggi di Ròntgen. Morfologia. — Sullo sviluppo dei Murenoidi. Nota del Corri- spondente B. Grassi e del dott. S. CALANDRUCCIO. Prevedendo un nuovo ritardo di qualche mese nella pubblicazione della nostra Monografia sui Murenoidi, riteniamo opportuno comunicare in questa altra Nota preliminare alcune nuove conclusioni delle nostre ricerche. Conclusioni anatomiche. I. Come già abbiamo altra volta accennato, la membrana propria della corda (cordolemma) nelle larve dei Murenoidi subisce una vera vertebrazione. Nelle regioni vertebrali diventa ossea, ossia sclerizza. I sali calcarei si com- portano come nell’osso. Mancano le cellule ossee anche qui come nelle poche ossa che si incontrano nel cranio delle stesse larve (mascellare, dentale, pa- rasfenoide ecc.). Abbiamo perciò dei corpi vertebrali d'origine cordale che denomineremo prozocentrocicli (*) (corpi vertebrali primitivi) per distinguerli dai deutocentrocicli (corpi vertebrali definitivi) d'origine pericordale (strato scheletogeno, o seleromatrice). I protocentrocicli risultano dalle fusione di vari pezzi; probabilmente due dorsali e due ventrali: quelli precedono questi nello sviluppo. I protocentrocicli esistono anche in altri Teleostei. Con essi non si debbono però confondere gli pseudocentrocicli che ha già notato il G. Miller nel pesce spada: la loro presenza fa sembrare doppio il corpo vertebrale. Essi sono d'origine pericordale e non risultano di sostanza ossea. Questi fatti, da noi constatati, da una parte dimostrano la possibilità che una sorta di tessuto osseo origini dell’entoderma, e dall’ altra parte re- clamano una revisione delle colonne vertebrali dei pesci, degli anfibi e dei rettili fossili. II. I cuori caudali dei Leptocefali e dei giovani Murenoidi sono alinf- tici. Esiste nei Leptocefali un sistema circolatorio linfatico, assolutamente distinto da quello sanguigno; esso è rappresentato oltre che dal cuore caudale, da un tronco subassile in parte semplice e in parte doppio. Le ramificazioni che (1) Il termine centrociclo è dell’ Haeckel. — 349 — prendono origine da questo tronco sono piuttosto abbondanti. Il tronco finisce in un cuore caudale, mentre dall'altro cuore caudale dipartesi la vena cau- dale. I due cuori comunicano l'uno coll’altro per mezzo di un foro. Le ra- mificazioni suddette non hanno comunicazioni dirette coll’ apparato circolatorio sanguigno, nel tronco del Leptocefalo. Al capo le osservazioni riescono ma- lagevoli. Il lume dell’ apparato linfatico è rivestito dovunque da endotelio. Così resta definitivamente dimostrata l’esistenza di un apparato linfa- tico nei pesci, la quale dopo tante discussioni, ai nostri giorni veniva gene- ralmente messa in dubbio. III. La muscolatura dei Murenoidi inizialmente è lamellare nel foglietto mediale del somite. Ricorda così quella dello sturione. Conclusioni biologiche. I. I Leptocefali dello Sphagebranchus si distinguono da quelli del- l' Ophichthys hispanus Bellotti (Sin. H. remicaudus) perchè la pinna dor- sale non sorpassa l’ estremità posteriore. Tra di loro i Leptocefali dei due Sphagedbranchus si distinguono per la diversa punteggiatura. Precisamente la punteggiatura sottolaterale è quasi uniforme nello S. 2- berbis, mentre nello S. coecus forma delle macchie simili a quelle del Zep- tocephalus dell’ O. serpens e dell'O. hispanus. 3 II. La Chlopsis bicolor è imparentata da una parte col Muraenichthys, dall’ altra colla Muraena. ‘III Il Nettastoma brevirostre Facciolà, per la disposizione delle narici posteriori, devesi scindere dai /Meftastoma, e perciò vien da noi elevato a nuovo genere ( Zodarus). Matematica. — Za forma aggiunta di una data forma lineare alle differenze (‘). Nota del prof. Errore BORTOLOTTI, presentata dal Socio V. CERRUTI. 1. In molte delle ricerche in cui il calcolo alle differenze trova appli» cazione, insieme ad una forma lineare: (1) A(/) = do) (2) + a(2) 0/(2) +» + ana(2) 0!/(2) + 0"/(2), occorre considerarne un'altra che dal Pincherle, il quale per primo ebbe ad occuparsene (*), fu chiamata la sua inversa. Tale è la forma: A(=a(c+)f(c+)+a(e+1—1)f(e+a-1)+-+/() (1) Questa Nota fa seguito ad un’ altra pubblicata nel fascicolo 7, 1° sem. 1896, di questi Rendiconti col titolo: Sui determinanti di funzioni nel calcolo alle differenze. (*) Cfr. p. es. Memorie Acc. di Bologna, serie IV, tomo X, pag. 526. RENDICONTI, 1896, Vol. V,1° Sem. 46 — 350 — o, più semplicemente : A(P=a)f@+ale—1)e-1)+-+/le—-»), cioè: (2) A_(/)=a(2)/(2)+9(1(2)(2))+--+077P(4n1(2)/(2)) + 07"/(2) . È manifesta l'analogia fra il modo con cui dalla data forma si ottiene questa sua inversa, ed il modo con cui da una data equazione differenziale lineare se ne ottiene l'aggiunta di Lagrange; qui c'è solo da considerare che, nel formare la inversa, bisogna invertire anche il senso della opera- zione 0. Tenuto conto di questo si vede che: la inversa della inversa è la forma data. Ed infatti questa può scriversi: A(f)=a(2) (2) + 0(a(1-1) f(2)) +-+ 0°Man (011) [(2))+-0"/(2). Avendo verificato che tutte le proprietà che una data equazione diffe- renziale ha rispetto alla sua aggiunta di Lagrange, trovano riscontro in pro- prietà al tutto simili di una forma alle differenze rispetto alla sua inversa, non mi è parsa necessaria questa nuova denominazione ed ho creduto di poter chiamare le due forme A(/), A-;(7), aggiunte luna dell’ altra. Mi è poi grato il dichiarare che debbo allo stesso prof. Pincherle l’idea di ri- cercare per le forme inverse le proprietà analoghe alle aggiunte di Lagrange. 2. Dalla definizione discende : a) La aggiunta della aggiunta di una forma lineare alle differenze è la stessa forma data. b) Za aggiunta della somma o della differenza di due forme date è eguale alla somma od alla differenza delle aggiunte. Dimostriamo inoltre che: c) Za aggiunta del prodotto AB(f) di due forme date è eguale al prodotto, fatto in ordine inverso, B_1A-1(f), delle aggiunte (’). Sia infatti A(/)= D &,(2) 0"/, B(/)= > b,0"f. Avremo: AB(/)= = > (4% br + @ 00-24 + @ 0 bo) 0"f; la inversa di questo prodotto è : (AB)1(7) => 672005 + @ 00-14 + ar &b0o) f] 2a, DI (0740 Ù 607"b, + 07", } Ot de + IO + 0a Î do) î 607" f = DI (do 0a, + 01d, 0 + + 07d,, 07") 07 fi, cioè appunto il prodotto delle due forme Y 97*8,.077f. > 07ar.07f aggiunte delle date. Ne segue che: d) Za aggiunta del prodotto di più forme INT (0) (1) Prodotto AB(7) di due forme A,B, è quella nuova forma che si ottiene ponendo in A, in luogo della funzione arbitraria f, il risultato della operazione B(/) (Pincherle, L’algebra delle forme alle differenze. Mem. Acc. Bologna, serie V, tomo V, pag. 91). — 301 — è il prodotto K_, H_; OSO B_i Ai (7) ’ fatto in ordine inverso, delle aggiunte. Come applicazione di questo teorema si consideri una forma B(/) = = A A_;(f), che sia prodotto di due forme aggiunte l’ una dell'altra ; avremo: B_i(f) = (A), Au()=AA1(/). e) Cioè: Se sé hanno due forme lineari alle differenze aggiunte l'una dell'altra, il loro prodotto è una forma identica alla sua aggiunta. 3 .Giovandomi ora dei risultamenti a cui sono giunto in un lavoro pubblicato negli Annali di Matematica dello scorso anno, col titolo: Contributo alla teoria delle forme lineari alle differenze, posso formare una funzione di due variabili indipendenti che, relativamente a ciascuna di queste, considerata come fonda- mentale, sia integrale della forma data e della sua aggiunta rispettivamente. Tale è la funzione: @) Ple ,a)=(-1)9=. @n-1(6+1) ) 1 È 0 7000 0 ’ 0 b) 0 An-o(24+-2), Gn-1(6+2), 1,...0, 0, 0 0, 0, 0,.. Gno(a-n+41), an(e—n+1), 1 0, 0, 0,.. Qns(a—n), Un-o(£ — N) Un-r(0—N) come del resto può verificarsi sviluppando quel determinante secondo gli elementi della ultima linea, o secondo quelli della prima colonna. Fu ancora provato che il sistema (4) F(2,4), F+1,2),.-Fe+a—-1,%) è fondamentale per la forma A(/) e che il sistema: (5) F(e, 2), F@,e+41),..F@,a+a—-1) è fondamentale per la sua aggiunta. Siccome poi si può avere un accresci- mento nell'ordine di quel determinante in due modi diversi, e cioè: per la aggiunta successiva di una ultima linea e colonna, o per la successiva ag- giunta di una prima linea e colonna, ciò che corrisponde nel primo caso ad una variazione di % in 02, nel secondo di 2 in 0-12, così potremo dire che quel determinante compendia le due forme aggiunte l'una dell'altra, e si vede anche bene ora perchè, nella formazione della aggiunta occorra inver- tire il senso della operazione 0. 4. Fra le co” varietà di integrali della forma A(/), sono specialmente notevoli quelli che si possono ricavare dal sistema (4) con la sostituzione: do(6) , 0, VEE 0 0 (0) a), +1), 0,.. 0 0 Qn-r(6), @Qn-e(6+1), @n-3(6+2),.- @a(e+a—-2), @&(e+a—1) — 352 — e che nella citata Memoria (') indicai coi simboli AGRA) CERN) ATRIA) Ricordando che nella forma A(/) qui considerata è supposto eguale ad 1 il coefficiente di 0"/, avremo (?): INDIRE AGIO Ani 0A MIA, ... 60An-, % (7)7 (Ac Are An) = =(—1)"@=4=D Za(8), GNA MONTA. 0ITLALS, e pei reciproci dell'ultima linea (indicando sempre con x la variabile prin- cipale) si avranno le espressioni (3): (8) ACACIA Ue) dl), OL i 0 e “ene È isa sone 0 0, 0, 0, e. dele Se ora si considerano le funzioni: V(À DICCO Ani ’ Axa geco An-1) Kg) si vede, sviluppando secondo la prima colonna il determinante al numera- tore, che soro integrali della forma aggiunta. D'altra parte le formule (9) ci dicono che è sistema Bu-1(£,2), Bn-(7,8+1),...,Bna(@,6+#—1), è aggiunto al sistema Ax, Ax. Ann, nel senso che a questa denominazione fu dato nella ricordata Nota: Suzi de- terminanti di funzioni nel calcolo alle differenze; potremo dunque subito concludere: a) Il determinante (10) V_(Bn-:(£,2), Bua(e,8+2—1))= Broi(#h)5 Bn-(2,8+1),.. ,Bnr(0,8+a—-1) i i: 073Broi(ee 21) (3 ia Na i n > (9) B,(2,2-+4)=(1) 0-9-DB,_ o6, ) OCZ ,8 + DI i a 2 Lug n_- I) Gi ha il valore: (1)? . I A 5 s=s Uo(8) (1) $ III, n. 13, formula (10). Si noti che nella ultima linea del determinante (11) ivi considerato, fu, per errore di trascrizione, scritto: 0,0,0,... a.(:4+m— 3), a.(c4+m—2), ao -+m_— 1), anzichè: dm_1(8) , Gm-2(8+1), 0m-s(2-+2),... a:(2+m—3), a(e-4+-m— 2) (a+ m— 1). (2) Loc. cit. formula (13). (3) Loc. cit. n. 17. — 358 — b) // sistema B,_1(%,3),...,Bn_i(x,8-+— 1), è fondamentale per la aggiunta. c) Le funzioni Ax, An1, sono proporzionali ai reciproci dell’ ul- tima linea nel determinante delle B,_i(x,),... Bi_i(@,2+4+n— 1). 5. Sia ora Y1,%2--Yn un sistema fondamentale qualunque di integrali della forma A(/); siccome il determinante della sostituzione che trasforma il sistema Ao, A1... An_1 nel sistema y1,%2..-Y/n non può essere identica- mente nullo, così è facile dedurne che 77 sistema a EDT er 0) (AE) ) aggiunto al dato, è fondamentale per la forma aggiunta e che reciproca- mente: Se 81,82... è un sistema fondamentale di integrali della forma aggiunta, è reciproci dell'ultima linea nel determinante V_,(21,82, + &n) divisi pel determinante stesso formano sistema fondamentale di integrali della forma data. Potremo in generale (loc. cit. n. 3) dedurne che: Considerati î sistemi di n° elementi Yi , Ya DICOD Yn 07M; 3 (Se Se 079-Dg, 0Y1,9Y2, 03 0Yn G-=Da, 070-Dz, 070%, 0 Yy, ’ (ELI, g ood19 OT 0% 200 G000) 1% i minori formati colle prime p linee nel primo sistema sono proporeio- nali ai complementari dei minori corrispondenti nel secondo. E concluderemo, nello stesso modo che nel caso delle differenze infini- tesime (!), che: Un sistema fondamentale di integrali della data forma, ed il suo sistema aggiunto sono contragredienti. 6. Si chiami moltiplicatore di una forma alle differenze A(y), qualunque funzione 4(4) che soddisfi identicamente la relazione: (7) A(y) = 4A(y,e(2)). Dalle relazioni: zx A(y) = 44(y , » An . senza esserlo delle rimanenti. Similmente per la forma aggiunta : 2) ME AREA (047 (053 An formeremo il sistema fondamentale : Uni An x Unire Cn D Cnr o (23) ea x x Vi =(— pn Dn Dda (1) o (o) e v; sarà integrale delle prime è fra le forme alle differenze ege=daty e, Ge 1 di ’ 1 a Yz 03 n —1 n_-1 È, Y. senza esserlo delle rimanenti. Osserverò in ultimo, ciò che risulta immediatamente dal teorema sul prodotto delle forme aggiunte, che le forme G; e F; sono aggiunte } una dell’ altra. (1) Cfr. p. es. Darboux, Legons sur la théorie générale des surfaces. T. II, pag. 106 seg. — 357 — Matematica. — Sulla dimostrazione della formola che rap- presenta analiticamente il principio di Huyghens. Nota del dott. ORAZIO TEDONE, presentata dal Corrispondente VOLTERRA. 1. In questa Nota vogliamo applicare un procedimento di integrazione di cui, in parecchi casi(!), si è servito il prof. Volterra, a ritrovare la no- tissima formola di Kirchhoff relativa alla equazione Das (1) VET e(T+3 +7 + 3 li e che rappresenta analiticamente ed in modo preciso il principio di Huygens. La dimostrazione a cui accenniamo, molto notevole per la sua semplicità e perchè conduce in pari tempo a stabilire una formola più generale di quella di Kirchhoff, si ottiene facilmente trasportando le considerazioni del prof. Vol- terra in uno spazio a quattro dimensioni. 2. Consideriamo perciò l'equazione di d°U (2) SETE Cna (+ ap Yy? + Mt Xx, dove X rappresenta una funzione nota di x, y,,é, e che comprende l’equa- zione (1) come caso particolare. Interpretiamo x, y, 4, &, come le coordi- nate di un punto variabile in uno spazio lineare a quattro dimensioni e chiamiamo Sy quella parte di esso che è limitata dalla varietà conica C a tre dimensioni (3) al—)= Va + 1-7 + (= dalla varietà cilindrica € (4) (a+ (ad = è, e essendo un numero piccolo ad arbitrio, e da una varietà Z, pure a tre -dimensioni, la quale soddisfi alla condizione di essere incontrata in un solo punto da ogni parallela all'asse #, e del resto completamente arbitraria. Sup- porremo inoltre che in S', si abbia sempre 4 ># ed indicheremo con Zi, >,,2' le parti di C, c e X che, rispettivamente, lo limitano. (') Vedi Sulle onde cilindriche nei mezzi isotropi. — Sulle vibrazioni dei corpi elastici. R. Ace. dei Lincei, v. I, ser. 5°; e specialmente: Sur les vibrations des corps élas- tiques isotropes, Acta math. T. XVIII. RenpICONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 47 — 398 — Se con n indichiamo la direzione della normale al contorno di S',, di- retta verso il suo interno e con %, v, due funzioni che in S', sono regolari e soddisfano alle equazioni (2) e (1) si avrà: e x | d°U di 5 QI pi (5) E dA (+3 d°U dè U DI 22 sa = JE (420, to ds fida 2 (| dd (UE IUIY Dede) ns pi 54 Valar (ar da pi QYAn IO dd dui di, (Quid EDU dY du de) il ; — —_@a(— = x — X dS di dn (= dn mi; dY E y dE Z) |{ di j 3. Se si cercano le soluzioni g della equazione (1) che dipendono sol- tanto dal rapporto it sì trova VEFGFA g= 48 Va +y° 4-82 « e f£ essendo due costanti arbitrarie. Si potrà dunque porre: (6) ma EM. V(ai—2)+ (yy)? 4 (1 — 2)? Î Su X; si ha allora: CR O AR et _ Di on Ano Me) VR E o DR e a ( 6h — i = == == « =] (4) ) Vite e giacchè PI; a P 1 — = cos(n)=—T==, DI sos! (10) — è dn Vl ela: dn V1+ a? Ne viene quindi che l'integrale esteso a Xi, che comparisce in (5), è iden- ticamente nullo. Su X, abbiamo invece: DI dUI da dU dY dUI de du, ti, C=0; S_Ll__a : dn dI N ui, dyY wp DADI TE du da | dudy | dude vadi DDA — 359 — per cui l'integrale esteso a X:, che comparisce in (5), si potrà scrivere É lime o du 2 ut (all 1)3% |edo, dove # indica il valore di # che corrisponde alla intersezione di X con l'asse # ed è è la superficie di una sfera a tre dimensioni di raggio uno, od una parte di essa. Facendo ora impiccolire e indefinitamente e chiamando S, e ciò che allora diventano S', e 2", la (5) ci darà: î, di (0) lo —oa | (1 t)u(21,Y1381,4) d+ [. la It 1) xs, + né du di DU DIZERUDIETDUTO ) SIT] La Lai +S.(è 7 ) da (Ss Rita $) Cor ad gl 0 dr | aiet Lp Sea, ar In questa formola «w sarà eguale a 477 se l’asse 7 incontra X in un punto senza esserle tangente, sarà eguale a zero se non l'incontra, e rappresenterà in generale una parte della superficie sferica di raggio uno, se l’asse £ è tan- gente a >. Se ora si osserva che su 2, e sull'intersezione di X, con X è inez a——1=0, r derivando la formola precedente successivamente due volte rispetto a f, e dividendo per a, si trova: (7) da ‘ul dt) | FIST +3 f) e eda, dupafina 2) 35 Tor 57 di Dose da dI > DE de 2? —13, ht dii SE 7 ani Rn i e questa formola è più generale di quella di Kirchhoff. 4. Per ritrovare la formola di Kirchhoff ordinaria, supporremo che 2 si componga di una parte S3 di uno spazio lineare a tre dimensioni determinato dalla equazione f = £, limitato da una superficie o, e dalla va- rietà cilindrica y a tre dimensioni, che si ottiene conducendo da ogni punto di o una parallela all'asse 7. Su $3 è di dI dY dE d7 —h=cost. —=1, —= = ‘—- É Îo COS x - 0 — 360 — mentre su y è dI du DE dU dY dU dE DU L — — (0) dn a vo DI ye per cul du dI dU dI IUWIY, dI sale bei) ee hi (È dn di dn ul dYy dn di de i) (124; ds: [E ) fia ( n) -— dS3— difl-—do:=— a?|== at, |do. rr oran | TA Similmente DE si — 1 di Dia bn —_ 2 dr 7 E +4 DE DELE ] rd w || ») L IP pi) Bi acre NSD n° dm DAVE 7 n do cà = — ‘0 Sa 0 s(205 dit) onendo ONERI Da P dn dd Così pure si ha È gg si + = Sa u x(c.9051—3) Yy,8,t Cral Mira] ——_—_—_—_— dS;. la Tenendo conto di questi risultati la (7) si potrà scrivere: (P cafe) 19 di (8) WU (2) »Y1, 81; ht) ii Î or __L eg, )de+ 4h abi In questa formola w sarà eguale a 4 se l'asse # incontra Ss in un punto interno, sarà zero se non l’ incontra, rappresenterà una parte della su- perficie sferica di raggio uno se l'incontra in un punto del contorno 0. — 361 — Chimica. — A/cuni nuovi derivati del Veratrol. Nota del prof. Ausonio DE GasPARIS, presentata dal Socio PATERNÒ. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Chimica. — Ausioni al forno elettrico ("). Nota di G. Oppo, presentata dal Socio CANNIZZARO. A convalidare le obbiezioni che ho mosso alle memorie di Le Chatelier nella Nota precedente (2), tolgo da un lavoro che ho in corso alcune esperienze. 1. Calce dal carbonato fusa in parte al forno elettrico. Ho sottoposto all’azione della temperatura dell'arco voltaico, fornito da una corrente alternante di 40 Volta e 120 Ampère, dei pezzi di calce gra- nulosa dal carbonato che si estinguevano nell'acqua rapidamente. Dopo cinque minuti soltanto una porzione era fusa (3). Al rosso oscuro tolsi i pezzi dal forno e li conservai in un disseccatore. Si osservavano due parti: una fusa, di aspetto vitreo e l'altra granulosa. Distaccata l'una dal- l’altra, quella vitrea mostrò nella faccia interna delle bellissime squamette brillanti. Immersa nell'acqua dopo un giorno era quasi inalterata; dopo 2-3 giorni incominciò a rompersi in pezzi che diventarono più numerosi nei giorni successivi. Dopo otfo giorni in gran parte era estinta; restavano tuttavia dei piccoli pezzettini non disgregati dall’ acqua. Viceversa immergendo nell'acqua la porzione rimasta granulosa e che era aderente alla precedente, subito si spense con molto sviluppo di calore. Questa esperienza vale a dimostrare che non basta la temperatura ele- vata affinchè la calce diventi inerte rispetto all'acqua, ma occorre un muta- mento nello stato di aggregazione molecolare, che viene appunto determinato dalla fusione. 2. Metasilicato di calcio Si 0,.Ca0. Esiste in natura e viene chiamato Wollastonite, ed è stato anche otte- nuto per sintesi. To l’ ho preparato al forno elettrico fondendo un miscuglio equimoleco- lare di Si 0, e Ca0. Per ottenere il miscuglio intimo ed evitare anche l’uso dei crogiuoli (*) Lavoro eseguito nel R. Istituto di Chimica generale dell’ Università di Roma. (2) V. pag. 831. (*) Facendo uso di lenti colorate si può seguire facilmente l’ andamento dell’azione. — 362 — di carbone che arrecano la formazione di carburo di calcio, io ho adottato in questo, come in tutti gli altri casì, il seguente processo. Ho usato anidride silicica passata allo staccio di 3000 maglie per cmq., lho rimescolato con Ca0 polverizzata e impastato. L’impasto veniva versato dentro stampi di latta a forma prismatica di circa 3 cm. di lato, che si potevano aprire da due parti, e le cui pareti erano state lubrificate con vasellina per impedire l'adesione; veniva compresso e disseccato prima a circa 50-60°, poi sino a 110-120°. I prismi compatti così preparati venivano cotti poggiandoli sopra uno stampo più grande dello stesso miscuglio che serviva da crogiuolo. Dopo 5 minuti di azione della temperatura dell'arco di 40 Volta e 120 Ampère, il miscuglio di 1 mol. di Si 0, e 1 mol. di CaO era fuso completa- mente, e col raffreddamento si rapprese in una massa cristallina molto compatta. Ridotto in polvere e passato allo staccio di 3000 maglie per cmq. e impastato sia a solo che con 1 o 2 mol. di Ca0 non fece presa. Trattato con HCI diede silice gelatinosa. 3. Ortosilicato di calcio Si 0.2 Ca0. Fu ottennto per sintesi da Le Chatelier (!). Il miscuglio di 1 mol. di Si 0; e 2 di Ca0, preparato come nel caso precedente, l’ ho sottoposto nelle medesime condizioni all’azione della tempe- ratura dello stesso arco voltaico. È più refrattario del precedente, e soltanto dopo 9' si ha la fusione, pure restando la forma prismatica del miscuglio. Togliendo il prodotto dal forno al rosso oscuro e conservandolo in un dissec- catore da principio è compatto e cristallino; col raffreddamento incomincia a ridursi spontaneamente in polvere bianca sporca amorfa e restano soltanto piccoli pezzettini compatti, di aspetto porcellanico, corrispondenti a quella parte del prisma che era esposto più direttamente all'azione dell'arco. Questo fenomeno importante della disgregazione spontanea dell’ ortosili- cato di calcio, fu osservato per la prima volta da Le Chatelier e descritto come caratteristico per questo sale. Ridotto in polvere fina e passato al solito staccio e impastato con acqua sia a solo che assieme a 1 mol. di CaO non fa presa. Trattato con HCl dà silice gelatinosa. Poichè, come è noto, la temperatura elevata può rendere inerti i mate- riali idraulici, ho cercato di preparare questi due silicati facendo uso dei for- nelli ordinarî a gas o a carbone per ricercare, ciò che non ha fatto Le Cha- telier, se mischiati rispettivamente con 2 e 1 mol. di CaQ fanno presa; ma con i fornelli che ho finora impiegato anche dopo 8 ore di riscaldamento, non ho ottenuto la fusione. (‘) Ann. d. Mines S. 8, T. XI, pag. 392. — 363 — 4. Tentativi per ottenere il silicato basico Si 0,.3 Ca0. Dimostrato che al forno elettrico si possono preparare il meta e l’ orto- silicato di calcio, tentai di preparare il preteso silicato basico di Le Chatelier Si 0, 3 Ca0 fondendo nelle medesime condizioni il miscuglio di 1 mol. di Si 0, e 3 mol. Ca0 preparato al solito. Questo miscuglio è alla sua volta più refrattario dei precedenti. Dopo 10' è fuso completamente soltanto nella parte superiore più esposta all’ azione dell'arco; la porzione inferiore viceversa, pure mostrandosi modificata, conserva la forma prismatica. Tolto dal forno al rosso oscuro e conservato in un dissec- catore, col raffreddamento si riduce spontaneamente in polvere amorfa bianca sporca e restano soltanto pochi pezzi inalterati di aspetto porcellanico. L'analisi mi ha mostrato che la porzione che si è ridotta in polvere è un miscuglio di 1 mol. di Ca0 e 1 mol. di ortosilicato di calcio: gr. 0,7316 di miscuglio diedero gr. 1,3206 di solfato di calcio. Calcolato per Si 0.2 CaO 4 Ca0 trovato °/o Cao 73,68 74,31 Si 0 26,32 25,69 La porzione porcellanica diede i seguenti risultati: gr. 0,7734 di sostanza fornirono gr. 1,4788 di solfato di calcio. trovato °/o Cao 78,72 Si 03 21,28 Contiene quindi un eccesso di calce anche sul preteso silicato tricalcico. L'una e l’altra porzione passati al solito staccio e impastati sia a solo che assieme a calce, non fanno presa. Trattati con HCl danno silice gelatinosa. Se l’azione della temperatura dell’ arco si fa prolungare sino a 15', au- menta la quantità della parte porcellanica. 5. Fusione di un miscuglio di 1 mol. di Si 0, e 6 mol. di Ca0. Molto istruttivo mi sembra il seguente caso. Ho preparato al solito i prismi con 1 mol. di S10, e 6 mol. di Ca0. Il miscuglio è molto refrattario alla temperatura del solito arco di 40 Volta e 120 Ampère. Dopo mezz’ ora di azione, togliendo al rosso oscuro il prodotto dal forno si ha una gran parte porcellanica, un’altra parte non fusa completamente che conserva la forma primitiva. Messa in disseccatore, parte si riduce in polvere, parte resta a struttura porcellanica. — 364 — Quest’ ultima venne analizzata. gr. 0,7450 di sostanza fornirono gr. 1,5538 di solfato di calcio. trovato °/o Cao 85,87 Si 0, 11,13 Rompendola, mostra una struttura molto compatta e soltanto qualche rara squa- metta splendente. In polvere fina non fa presa nè impastata a solo con acqua, nè assieme a calce. Trattata con HCl dà silice gelatinosa. Immersa nell'acqua dopo parecchi giorni si riduce in pezzi, estinguendosi lentamente come la calce fusa. i La porzione che si è disgregata spontaneamente è un miscuglio di orto- silicato di calcio (che ha determinato quel fenomeno e con HCl dà silice gelatinosa) e di ossido di calcio libero. Difatti impastata con acqua dà svi- luppo di notevole quantità di calore e si rigonfia. Questo fatto credo che abbia molto interesse per discutere la costituzione dei cementi, perchè esso mostra che l’' anidride silicica in presenza di un ec- cesso di calce tende a combinarsi soltanto con quella quantità che può fornire l’ortosilicato di calcio, e inoltre la calce eccedente continua a conservare la proprietà di estinguersi facilmente con l’acqua. Quando poi la calce raggiunge la temperatura di fusione, discioglie i silicati che si erano formati con precedenza e dà col raffreddamento quelle masse inerti a struttura porcellanica che abbiamo riscontrato dalla 2 alla 5* esperienza (*). Istologia vegetale. — Sui cristalloidi della Phytolacca abyssinica Hof. Nota del dott. 0. Kruc4&, presentata dal Cor- rispondente R. PIROTTA (°). Le lainine fogliari della Phytolacca abyssinica terminano al loro apice in una specie di mucrone avente la forma di un piccolo cono. Esso differisce dal rimanente della lamina, oltre che per la forma e la consistenza carno- setta, anche per il colore verde pallido gialliccio. Comunemente non giace sul piano dorso-ventrale della lamina fogliare ma fa con questo, dirigendosi verso il basso, un angolo più o meno accentuato. Questo mucrone è costituito dalla ripiegatura dei margini della regione apicale della foglia verso la pagina supe- riore e differisce in riguardo alla costituzione anatomica da quella offerta (1) Ringrazio il dott. Helbig per l’aiuto che mi ha apprestato in queste ricerche. (2) Il lavoro corredato di disegni sarà quanto prima pubblicato nell’ Annuario del R. Istituto Botanico di Roma. — 305 — dalla lamina e dalla nervatura mediana per una forte riduzione del sistema assimilatore ed areatore, per aumentato sviluppo del sistema conduttore vasco- lare e per la presenza di uno speciale tessuto subepidermico. Questo tessuto, proprio dei mucroni, è limitato nella loro regione basale ad una zona, forte di tre o più strati di elementi, estendentisi immediata- mente al disotto dell'epidermide della pagina superiore; ma procedendo verso l'apice del mucrone stesso la zona ora accennata, si estende anche ai margini della pagina superiore fino a formare una zona subepidermica continua. Gli elementi che la costituiscono sono di forma poliedrica, di differente grandezza ed a pareti sottili; si differenziano dagli elementi del tessuto parenchimatico assimilatore, costituente la massa interna del mucrone, perchè offrono i loro protoplasti privi di corpi clorofilliani e perchè sono fra loro a perfetto con- tatto, non lasciano, cioè, spazî intercellulari. La zona di tessuto speciale è più sviluppata e meglio differenziata dagli elementi del tessuto assimilatore verso la pagina superiore che verso l’ inferiore. Nel tessuto assimilatore, i cui elementi sono però forniti di un numero relativamente piccolo di corpi cloro- filliani, stanno immersi numerosi fasci vascolari bene sviluppati e riccamente ramificati. Gli stomi che nella lamina si trovano anche sulla pagina superiore, vi scompaiono nel mucrone e persistono in numero assai limitato soltanto sulla pagina inferiore. Ora è nei protoplasti delle cellule di questo tessuto speciale, al quale ho sopra accennato, ed in quelli delle cellule epidermiche della pagina supe- riore e dei tratti dell'epidermide inferiore, che si trovano in corrispondenza alle zone del tessuto speciale, che s'incontrano dei corpiccioli, incolori, di forma poliedrica regolare, corpiccioli che in seguito ad un attento esame morfo- logico e microchimico si possono caratterizzare come eristalloidi di proteina. I cristalloidi meglio sviluppati in grandezza s'incontrano negli elementi del tessuto speciale. In ciascun protoplasto si osservano immersi nel citoplasma uno, due o parecchi cristalloidi di varia grandezza. Le loro dimensioni variano nelle differenti cellule e nelle stesse cellule confrontati fra di loro; ma esse sono però sempre considerevoli in rapporto alle dimensioni della cellula e del nucleo; in generale si puo dire che le maggiori dimensioni sono raggiunte dai cristalloidi solitarî. La forma tipica da loro offerta è quella di un prisma più o meno allungato, esagonale, terminato da due piramidi. Riguardo alla posizione da essi occupata nel protoplasto, è da notarsi che per lo più si trovano avvicinati al nucleo e talora perfettamente addossati a questo. Quando si trovano parecchi cristalloidi in ciascuna cellula essi, possono essere sparsi senza ordine oppure disposti l'uno accanto all'altro cogli assi maggiori disposti parallelamente; in altri casì poi, essi non sono semplicemente avvicinati, ma concresciuti gli uni cogli altri in modo da formare un aggregato di cristalloidi. I cristalloidi della P/. «byssinica sono insolubili nell'acqua; sarà quindi RENDICONTI, 1896, Vol. V, 1° Sem. 48 — 1300 — facile osservarli, in tagli fatti sopra materiale fresco, nell’ acqua od in una solu- zione di zucchero al 5°/,; coll’ aggiunta di una soluzione di iodio in ioduro di potassio, od immergendo i tagli per qualche tempo in acqua iodata, il protoplasto sì fissa ed il cristalloide si colora intensamente in giallo bruno. In soluzioni al 10 ed al 20°/, di cloruro di sodio, di nitrato di potassio si disciolgono, e così pure nell’idrato di potassio diluito, negli acidi acetico e cloridrico diluiti, e nella glicerina. Col reattivo del Millon si ha un'intensa colorazione rossa, con solfato di rame ed idrato di potassio una colorazione violetta ed una colo- razione gialla coll’acido nitrico a caldo. Assorbono con avidità, anche da solu- zioni assai diluite, l’eosina e la fucsina acida. L’alcool assoluto non solo li conserva inalterati, ma perdurando a lungo la sua azione, li rende resistenti all’azione dei solventi salini e della glicerina. Eleganti preparati duraturi, assai dimostrativi per quantità di cristalli e purezza di tinta, si ottengono trattando tagli fatti sopra materiale fissato in alcool assoluto od in soluzione satura di sublimato in alcool assoluto, colla fucsina acida secondo il metodo dell’Altmann. In preparati ben riusciti solo il cristalloide ed il nucleolo appariranno intensamente colorati in rosso sopra il fondo giallo. L'analisi morfologica e microchimica, e fino ad un certo grado anche le colorazioni accennate, provano a sufficenza che i corpiccioli che si trovano nei protoplasti delle cellule del tessuto speciale e dell’ epidermide dei mucroni nelle lamine fogliari della Ph. adyssinica sono cristalloidi di proteina. Si è andato in tal modo aumentando di un nuovo esempio il numero delle dicoti- ledoni in cui si è constatato la presenza di cristalloidi citoplasmatici in cellule appartenenti ad organi vegetativi; ed il caso ora descritto nella Phytolaeca credo si possa annoverare fra i pochi fino ad ora noti, nei quali i cristalloidi sì presentano nettamente differenziati, di grandi dimensioni ed anche in numero considerevole, quando si tenga calcolo del piccolo spazio occupato dal tessuto nelle cui cellule essi s'incontrano. Fisiologia. — Za combustione nell’aria rarefatta. Nota del dott. A. BENEDICENTI, presentata dal Socio A. Mosso. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Fisiologia. — Swll'azione fisiologica di alcuni derivati della santonina. Nota del dott. D. Lo Monaco, presentata dal Socio L. LUCIANI. A. Desmotroposantonina. — La desmotroposantonina C?° H!8 03, come abbiamo detto nella Nota precedente ('), preparata dal prof. Andreocci, si pre- (1) V. pag. 279. — 367 — senta in aghi lucenti, insolubili nell'acqua fredda e nell’acido cloridrico, pochissimo solubile nell’ acqua bollente, poco nell’etere e nel benzolo; discre- tamente solubile a caldo nell’alcool e nell’acido acetico. Essa fonde a 260°, devia a sinistra il piano della luce polarizzata, mentre la santonina lo devia a destra. Nelle seguenti esperienze noi abbiamo adoperato il sale sodico che si è ottenuto sciogliendo la desmotroposantonina in una quantità di soda normale esattamente calcolata, e riducendo la soluzione al titolo del 10 °/,. Questo liquido, di color giallo-rossiccio, dopo parecchi giorni, si cambia in rosso-porpora. Tanto la desmotroposantonina che tutti gli altri derivati della santonina sono stati somministrati agli animali per la via ipodermica. Esperienze sulle rane. Esperienza I. — Rana di gr. 20. H. 8,15. — Iniezione di 0,3. c. c. » 8,55. — La rana sta cheta, ma non presenta nulla di anormale. Si fa una iniezione uguale alla precedente. » 9,95. — 8° iniezione. » 9,45. — 4* iniezione. » 10, 5. — 5° iniezione. » 12,55. — La rana sta sul ventre, ma pizzicata reagisce fortemente. » 13 — Iniezione di 0,4 c. c. » 13,10. — Messa sul dorso vi rimane ; riflessi persistenti. » 14 — Riflessi indeboliti; scoperto il cuore, esso pulsa debolmente. Esperienza II. — Rana di gr. 32. H. 9,15. — S'inietta 1 c. c. di soluzione. » 9,25. — La rana sta tranquilla; presenta i movimenti ioidei diminuiti; sopporta la posizione dorsale, ma non la conserva. » 10 — Larana si trascina, non riuscendo più, anche se pizzicata fortemente, a saltare. » 12,45. — La rana si è rimessa, sta tranquilla, ma pizzicata salta bene. » 13, 5. — 2 iniezione uguale alla precedente. » 15,25. — Riflessi generali scomparsi; si conservano quelli corneali. La mattina dopo, sezionata, si trovano gli organi iperemici, il cuore fermo in dia- stole e pieno di grumi sanguigni, stimolato, esso compie piccole contrazioni. Si nota una discreta quantità di liquido nella cavità addominale. Da queste e da altre esperienze, che non trascriviamo per brevità, ri- sulta che per dosi fino a 10 centigr. la desmotroposantonina nelle rane pro- duce un indebolimento dei movimenti volontari, il quale però si dilegua dopo 2-3 ore. Per dosi maggiori (20 centigr.) si ha la morte con sintomi di pa- ralisi motoria. Il cuore è l’ultimo organo che viene attaccato da questa sostanza. = 909 = Esperienze sui mammiferi. Esperienza I. — Cavia di gr. 480. H. 9,5. — S'iniettano 2 c. c. di soluzione. » 11,5. — Iniezione uguale alla precedente. La cavia non presenta nulla d’ anormale, anche nei giorni che seguono. Esperienza II. — Cavia di gr. 270. H. 9,25. — Iniezione di 2 c. c. di soluzione. » 10 -— Iniezione di 1 c. c. » 11,10. — Non presenta nulla di anormale. Si ripete l’iniezione di 2 c. c. » 20 — La cavia sta ferma, ma pizzicata corre per la stanza. Il respiro è diventato raro, ma è sempre regolare. L'indomani fu trovata morta. Esperienza III. — Cavia di gr. 420. H. 9,10. — S'iniettano 10 c. c. di soluzione. » 14 — Nen presenta nulla di anormale. Il giorno seguente la cavia sta abbandonata sul ventre, e si rifiuta di mangiare, Il respiro è più raro e più profondo. Facendo molto rumore, o pizzicandola, si riesce a farle compiere piccoli passi. Nelle ore pomeridiane i movimenti respiratori diventano sempre più rari, come pure più evidenti sono i fenomeni di paralisi. Muore nella sera per arresto di respiro. Il cuore si sentiva battere con forza fino a pochi minuti prima della morte. Alla sezione si trova fermo in diastole, e nell’addome vi è un poco di liquido, il quale raccolto e filtrato, non si colora alcalinizzandolo fortemente con soluzione di potassa. Esperienza IV. — Coniglio di gr. 850. S’ iniettano 2 gr. di sostanza in soluzione sodica, senza che il coniglio mostri alcun sintomo di avvelenamento. Dopo tre giorni s'infondono gr. 8 di sostanza in soluzione sodica al medesimo coni- glio. Trascorse alcune ore e anche l'indomani, l’ animale è meno vivace di prima, sta fermo e solamente, quando è pizzicato, s'allontana dal suo posto facendo pochi passi. Il respiro è meno frequente, l'impulso cardiaco invece molto forte. La mattina seguente si trova morto. Esperienza V. — Cane di gr. 3030. H. 10 — S'infondono gr. 5 di sostanza sodica in due volte con l'intervallo di qualche ora. » 14 — Il cane sta sdraiato, e dorme; però ogni piccolo rumore lo sveglia. Applicata una mano sul torace si sente l’ impulso cardiaco molto forte. L° indomani il cane mangia poco, e preferisce di stare accovacciato. Il respiro è raro, ma sempre regolare. Nelle ore pomeridiane il cane cammina barcollando; l'impulso cardiaco si mantiene però sempre forte. Nella sera i movimenti respiratori si fanno sempre più rari, finchè avviene l’arresto preceduto da leggera cianosi. Fatta la sezione, si trova il cuore in diastole, nulla di anor- male nei vari organi; tratta un poco di urina dalla vescica, essa non si colora in rosso colla potassa. La desmotroposantonina esercita sui mammiferi un'azione simile a quella già descritta antecedentemente nelle esperienze sulle rane. La differenza più essenziale sta in ciò; che nelle rane lo stato paralitico si manifesta in ma- niera molto evidente, e dura anche per un periodo abbastanza lungo, mentre nei mammiferi dalla leggera ipnosi si passa senz'altro alla morte, che av- viene per arresto di respiro. — 369 — Benchè l’ impulso cardiaco, come abbiamo osservato, sino all'ultimo pe- riodo dell’ avvelenamento non s' indebolisce, ci è sembrato opportuno di fare alcune esperienze per studiare direttamente l’ influenza della dosmotroposan- tonina sulla funzione cardiaca. Nelle rane tanto col cuore allo scoperto, che col cuore staccato e ap- plicato all’ apparecchio di William, ci siamo convinti che la funzione car- diaca risente della sostanza, quando questa viene data in grandi quantità o quando l’animale è vicino a morire. Allora si ha rallentamento nella fre- quenza dei battiti, e diminuzione nella pressione. Per dosi piccole il cuore continua a funzionare normalmente. Gli stessi fenomeni si osservano, stu- diando le variazioni della pressione sanguigna nei mammiferi avvelenati con la desmotroposantonina. Considerando i risultati di queste esperienze, il fatto che prima ci col- pisce è quello che l’ azione della desmotroposantonina differisce completamente da quella della santonina suo isomero. Questa sostanza infatti produce con- vulsioni che rammentano quelle stricniche, e la dose mortale di essa sia per le rane che per i mammiferi è molto minore di quella che occorre adope- rando la desmotroposantonina. Inoltre questa diversità nell’ azione fisiologica è tanto più strana, in quanto che la desmotroposantonina contiene l’ossidrile alcoolico. È noto infatti che questo radicale sia quando si trova negli alcooli della serie grassa, che nei fenoli agisce come convulsivante, e poichè la de- smotroposantonina per la sua costituzione differisce dalla santonina perchè il gruppo H;C a di quest'ultima si è trasfor- HC mato nel gruppo fenico. | : | Hoc | do Ci a priori dovevamo aspettarci che la desmotroposantonina esercitasse un’ azione eccitante superiore a quella della santonina. Viceversa dai risultati delle esperienze si deduce che essa è paralizzante. Dallo studio degli altri prodotti della santonina ricaveremo fatti ana- loghi che ci permetteranno di spiegare il fenomeno. B. Isodesmotroposantonina. — Questa sostanza scoperta da Andreocci si presenta in aghi solubili nell’ alcool e nell’ etere più a caldo che a freddo; poco solubili invece nell’ etere e nell'acqua bollente; essi fondono a 187°-188° con leggiera scomposizione. Al pari della desmotroposantonina dalla quale deriva, conserva l' ossi- drile fenico; infatti dà un acetil-derivato, e non si combina con la fenilidra- zina. Agli animali è stata somministrata come sale sodico. Esperienze sulle rane. Esperienza I. — Rana di gr. 30. H. 11,10. — S'inietta 0,5 soluzione 10 °/.. » 13,30. — 2° iniezione uguale alla precedente. La rana non presenta nulla di anormale. — 370 — H. 14,80. — 8° iniezione. » 14,40. — Sopporta la posizione dorsale, ma non la conserva. La rana sta cheta, i riflessi generali sono persistenti. » 16,50. — Continua nel medesimo stato. L'indomani si trova morta. Sezionata, si trova il cuore fermo in diastole e pieno di sangue. Gli altri organi non pre- sentano nulla di anormale. Esperienza IT. — Rana di gr. 35. H. 8,15. — Iniezione di 1 c. c. di soluzione. » 9 — Nulla d’anormale; si ripete l’ iniezione eguale alla prima. » 9,10. — La rana sta cheta; non sopporta la posizione dorsale. » 9,15. — Pizzicata riesce a fare dei piccoli salti; messa sul dorso vi rimane. » 9,80. — La rana non può più muoversi; i riflessi generali sono conservati. » 10,80. — Riflessi diminuiti. » 14,80. — Si trova morta. Da queste esperienze risulta che le rane avvelenate con l’ isodesmotropo- santonina, presentano gli stessi sintomi che produce la sostanza isomera an- tecedentemente studiata. Al pari di questa, essa non ha alcuna azione sulla funzione cardiaca. Esperienze sui mammiferi. Per deficienza di sostanza, noi ci siamo contentati di provare l’azione dell’ isodesmotroposantonina in una cavia e in un coniglio. Esperienza I. — Cavia di gr. 310. H. 8,5. — S'inietta sotto la pelle 4 c. c. di soluzione. » 16,15. — La cavia sta cheta e non presenta alcun sintomo di avvelenamento; si ri- pete allora l'iniezione uguale alla precedente.. L'indomani la cavia sta sul ventre e si muove con difficoltà. Il respiro è diventato raro, ma sì mantiene sempre regolare. Il cuore batte fortemente sino a pochi minuti prima della morte della cavia, che avviene nelle ore antimeridiane per arresto del respiro e con sintomi di paralisi. Esperienza II — Coniglio di gr. 650. H. 8,15. — S'iniettano gr. 8 di sostanza in soluzione sodica al 10°/. L'animale sta bene tutto il giorno, mangia l’ erba e corre per la stanza dove è stato messo. L'indomani l’animale non è più vivace; costrettovi, cammina barcollando, non riu- scendo a fare che pochissimi passi. Il respiro è meno frequente e più profondo, 1° impulso cardiaco invece rimane sempre forte. I riflessi si conservano pure sempre normali. La morte avviene, preceduta da una leggiera cianosi, nelle ore pomeridiane. Sezio- nato si trova un poco di liquido nell’addome, che raccolto, non presenta la reazione ca- ratteristica della santonina. I risultati ottenuti ci autorizzano ad affermare che i due stereo-isomeri desmo- e isodesmotroposantonina spiegano sugli animali eguale azione fisio- logica che differisce completamente da quella del loro terzo isomero: la san- tonina. C. Iposantonina. — L'iposantonina C,; H1g 0; fonde a 132°-153°, e devia a destra la luce polarizzata ; è insolubile nell'acqua, poco solubile nell’ etere solubilissima nel cloroformio, nel benzolo e nell'acido acetico glaciale. Nel- — 371 — l'alcool, mentre a freddo è pochissimo solubile, a caldo vi si scioglie facil- mente; l’alcool è quindi il solvente più adatto per la sua depurazione. L’iposantonina è attaccata a caldo dagli alcoli, però con molta difficoltà. Si riesce ad ottenere la soluzione sodica di questa sostanza, sciogliendola prima a caldo in poco alcool, e versando questo in un grande recipiente pieno d'acqua distillata. Dopo si filtra e il precipitato raccolto si fa cadere in un bicchiere che contiene una quantità di soda un poco superiore a quella ne- cessaria per salificare teoreticamente la sostanza. In questo modo si ottiene agendo a caldo, la soluzione esatta che noi riducevamo al 10 °/.. Esperienze sulle rane. Esperienza I. — Rana di gr. 20. H. 8,30. — S'inietta 1 c.c. di soluzione. » 14 — La rana sta ferma, ma pizzicata reagisce vivamente, e non sopporta la po- sizione dorsale. » 15 -— Si nota un'eccessiva sovraeccitazione. L'indomani la rana si trova in tetano, e basta battere le mani o poggiarle anche lievemente sul tavolo, per provocare un accesso convulsivo. In queste condizioni la rana rimase per tre giorni; dopo essa cadde in paralisi e morì. Il cuore si trovò fermo in diastole. Esperienza II. — Rana di gr. 24. H. 9,30. — S'inietta 1 c.c. di soluzione. » 10,80. — La rana non presenta nulla di anormale; s’inietta allora un altro c.c. di soluzione. » ll — La rana sta ferma, pizzicata reagisce fortemente. » 11,80. — Sopporta la posizione dorsale; i riflessi persistono. » 14 — I riflessi sono molto indeboliti. Scoperto il cuore, si osserva che esso compie ancora piccole pulsazioni regolari, gli altri organi non presentano niente di anormale. Nelle rane quindi l’iposantonina produce un'azione convulsivante, ed è molto più velenosa della desmotroposantonina. Il cuore è influenzato da questa sostanza in un periodo molto inoltrato dell’ avvelenamento. L'azione convulsivante dura poco quando la dose del veleno è molto elevata; perchè allora sopravviene subito la paralisi. Per difetti di sostanza abbiano fatto una sola esperienza sui mammiferi. A un coniglio di gr. 850 iniettammo un grammo di sostanza. Dopo tre ore l’animale è in preda ad eccessi convulsivi caratterizzati da opistotono, trisma e movimenti delle estremità. Le convulsioni, mentre in un primo periodo erano rare, poi si fecero più frequenti, e lasciavano negli intervalli l’animale privo di forze; dimodochè esso, non potendosi reggere sugli arti, si abbandonava sul fianco. I riflessi, col progredire dell’avvelenamento, diventavano sempre più de- — 372 — boli, e i moti convulsivi si limitavano a piccole contrazioni dei muscoli della faccia. L'impulso cardiaco si mantiene sempre forte, anche poco prima della morte dell'animale. D. Isoiposantonina. — Anche l’isoiposantonina è stata per la prima volta preparata dal prof. Grassi-Cristaldi. Essa è una sostanza che fonde a 167°,5- -168°,5, è insolubile nell'acqua; negli altri solventi: alcool, etere, cloroformio, essa presenta presso a poco la medesima solubilità dell’ iposantonina, ad ecce- zione del benzolo in cui è molto meno solubile. Per ottenere la soluzione sodica si dovette ripetere il metodo adoperato per l’'iposantonina. Esperienze sulle rane. Esperienza I. — Rana di gr. 25. H. 8,30. — S'inietta 0,5 c.c. di soluzione. » 13 — La rana non presenta nulla di anormale; pizzicata, reagisce abbastanza vi- vacemente. L'indomani si trovò in tetano; gli accessi convulsivi si potevano provocare con leg- gerissime eccitazioni. Esse sono del tutto simili a quelle prodotte dalla stricnina. La rana rimase per 48 ore in questo stato; dopo ritornò normale. Esperienza II. — Rana di gr. 22. H. 13, 5. — S’inietta 1 c.c. di soluzione. » 13,20. — La rana è in preda a vivacissimi movimenti; s'iniettano 0,5 c.c. di soluzione. « 13,35. — Pizzicata, la rana reagisce fortemente. » 14 — La rana non si mostra più eccitabile come prima; stimolata fortemente riesce ancora a fare piccoli salti. » 14,30. — Messa sul dorso, vi rimane. DI — I riflessi sono quasi scomparsi. Scoperto il cuore batte, debolmente e len- tamente. Anche sull’ unico coniglio al quale abbiamo iniettato 10 c.c. di soluzione, l’isoiposantonina produsse i medesimi fenomeni che si notarono esperimen- tando col suo isomero. La funzione cardiaca è poco influenzata da questa sostanza. Dal complesso di queste esperienze risulta evidente che questi due ste- reoisomeri presentano un'uguale sindrome fenomenica dell’avvelenamento la quale è di natura simile, ma d'intensità maggiore di quella della santonina. Ci occuperemo in seguito del rapporto che esiste tra l'azione fisiologica e la costituzione chimica di questi due stereoisomeri. Segue qui lo studio della santoninammina la quale, come dimostreremo nelle conclusioni finali, può ritenersi come uno degli esempi più dimostrativi della teoria su accennata che tutti i formacologi ammettono. E. santoninammina. — Con i medesimi processi di riduzione che il prof. Grassi-Cristaldi adoperò per la preparazione delle iposantonine, riuscì eziandio ad isolare un'altra sostanza con molta difficoltà a causa della straor- dinaria solubilità di essa nell'acqua. — 373 — Essa è la santoninammina, la quale corrisponde alla formula C,5 Ha, NO» CH, CRMMANTCHT. H,0 Ù CH-0 co NH;. HC g CH-CH È CH, CH; CH? Però siccome questa base si trasforma subito in una sostanza gialla alte- randosi profondamente, così il prof. Grassi-Cristaldi ha creduto più conve- niente di preparare direttamente il solfato di santoninammina. Questo sale acido, si ottiene riducendo la santoninossina (C,; His NO:) per mezzo dell’ acido solforico e dello zinco in soluzione alcoolica e a temperatura di 30°-40°. Si ottiene una sostanza ben cristallizzata, solubile nell'acqua e poco solubile nell’ alcool. La soluzione da noi adoperata, di sapore molto amaro, aveva il titolo dell’ 1 °/0. Esperienze sulle rane. Esperienza I. — Rana di gr. 28. H. 14 — S'iniettano 0,5 c.c. di soluzione. » 14,55. — La rana sta cheta, pizzicata, reagisce energicamente emettendo delle grida. » 15,30. — Messa sul dorso vi rimane, ma riesce a riprendere la posizione normale. I riflessi sono diventati deboli. IIC, — La rana sembra che sia normale, si mostra però molto eccitabile. L'indomani si trova in tetano. Le convulsioni sono simili a quelle prodotte dalla santonina, e la rana ne soffrì per 48 ore; dopo ritornò. normale. Esperienza II. — Rana di gr. 24. H. 10,55. — S'inietta 1 c.c. di soluzione. » 11,15. — La rana sta ferma, i movimenti ioidei sembrano diminuiti, essa risponde energicamente agli stimoli, estendendo gli arti. » 13 — Sopporta la posizione dorsale, i riflessi sono conservati. » 14,30. — I movimenti ioidei e i riflessi sono quasi annullati. Scoperto il cuore esso pulsa regolarmente, ma i battiti però sono rari. I muscoli eccitati di- rettamente o per mezzo dei loro nervi da una corrente indotta leggeris- sima si contraggono. La funzione cardiaca è molto influenzata dalla santoninammina. Anche con dosi mi- nime si osserva un rallentanento nella pulsazione accompagnato da aumento nella pres- sione arteriosa. Questo periodo dura poco se le dosi sono letali; perchè col progredire della paralisi, la pressione si abbassa, e la diminuzione dei battiti si fa sempre più insi stente, finchè avviene l'arresto in diastole. Risulta da queste esperienze e dalle altre che per brevità non abbiamo riportate, che il solfato di santoninammina è, fra tutti quelli che abbiamo studiato, il derivato più velenoso della santonina. YxENDICONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 49 — 374 — Nelle rane con dosi mortali dopo un breve primo periodo di sovraeccita- zione si produce l'indebolimento dei movimenti volontari e dei riflessi ge- nerali i quali finiscono coll’ annullarsi. Se invece la dose non è letale, la rana ritorna normale dopo parecchi giorni nei quali si manifesta un'intensa azione convulsivante. Esperienze sui mammiferi. Esperienza I. — Cavia di gr. 520. H. 9,30. — Iniezione di 5 c.c. di soluzione, » 10 — Nulla d’anormale, si ripete l’iniezione. » 10,30. — Terza iniezione. > 10,50. — Primo accesso convulsivo con opistotono e digrignamento dei denti. Gli ac- cessi si ripetono frequentemente, e negli intervalli la cavia sta ferma come se dormisse però di un sonno agitato, perchè cambia sovente di posizione. » 11,15. — Sta sul ventre, la mobilità comincia a diminuire. Le convulsioni sono più rare. » 13,45. — Si trova morta. Esperienza II. — Coniglio di gr. 900. H 9,50. — Iniezione di 10 c.c. di soluzione. » 10,10. — Primo accesso convulsivo che lo fa rotolare per la stanza, con opistotono e con perdita dei riflessi corneali. Il cuore però batte fortemente durante l’accesso. Il coniglio dopo si rimette in piedi, sta però con gli occhi soc- chiusi, e presenta la respirazione accelerata. » 10,30. — Altro accesso convulsivo durante il quale si osserva una breve apnea. Il co- niglio poco dopo ritorna nello stato di sonnolenza accompagnata da tre- more in tutto il corpo. Le convulsioni si ripetono sempre più frequentemente, e durarono sino alle ore 11,80; dopo diminuirono e alle ore 14 il coniglio era tornato normale. Nei mammiferi, quindi, il solfato di santoninammina produce un’ azione convulsivante con dosi tanto leggiere, da rammentare quelle che si adoperano negli animali avvelenati coi più forti alcaloidi. Esso è il solo derivato della santonina che tanto nelle rane che nei mammiferi influenza la funzione cardiaca, aumentando la pressione e dimi- nuendo la frequenza dei battiti. È degno di nota inoltre il fenomeno che l'azione convulsivante, quando si adoperano dosi molto forti, diventa para- lizzante: proprietà comune a molte sostanze tossiche. Farmacologia. — Sul! azione vermicida della santonina e di alcuni suoi derivati. Nota del dott. D. Lo Monaco, presentata dal Socio LUCIANI. (Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. — 375 — PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario BLASERNA presenta le pubblicazioni giunte in dono, segna- lando quelle inviate dai Socè CARUEL, PincHERLE, VILLARI, dal prof. BER- LESE, dal cap. GavortI, dal barone von MiLLER e dal colonnello StAGGE- MEIER. Presenta inoltre un volume inviato dal Ministero d’ Agricoltura, In- dustria e Commercio avente per titolo: Mozzzie e studi intorno ai vini e alle uve d’ Italia, ad una raccolta delle Osservazioni della temperatura atmo- sferica, eseguite all’ Osservatorio di Greenwich dal 1841 al 1890. CORRISPONDENZA Il PRESIDENTE presenta una medaglia commemorativa del 70° anniver- sario del Socio straniero prof. G. THomsEn, inviata dal sig. S. M. JORGENSEN, presidente del Comitato. Il Segretario BLASERNA dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute : La R. Accademia delle scienze di Lisbona; la R. Società delle scienze di Lipsia; la Società di scienze naturali di Emden; la Società geologica di Manchester; l' Istituto Smithsoniano di Washington; il R. Osservatorio di Arcetri; la R. Scuola degl’ Ingegneri di Torino; l’ Università di Aberdeen. Annunciano l'invio delle proprie pubblicazioni: Il Ministero della Marina; la R. Società di scienze naturali di Budapest; la Società di scienze naturali di Francoforte s. M.; l'Osservatorio di Pietroburgo. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 3 maggio 1896. Berlese A. — Le cocciniglie italiane viventi sugli agrumi. P. ITI. Firenze, 1896. 8°. Blasio A. de — Il cranio microcefalo dell’ ossuario dell’ Annunziata di Napoli. Napoli, 1896. 8°. Folgheraiter G. — Sopra il nuovo lago di Leprignano. Roma, 1896. 8°. Gavotti Y. — Manuale del Timoniere. Vol. I, IT. Genova, 1895. 16°. — 376 — Lozano y Ponce de Leon E. — Las radiaciones de Rontgen II. Barcelona, 1896. 3.0 Manzini G. — Il forno rurale economico, ecc. Udine, 1896. 8°. Miller F. v. — Observations on new vegetable Fossils of the auriferous drifts. I, II. Melbourne, 1874. 1883. 8°. Notizie e studi intorno ai vini ed alle uve d’ Italia (Min. Agr. Ind. e Comm.). Roma, 1896. 4°. Parlatore F. — Flora italiana. Indice generale. Firenze, 1896. 8°. Pincherle S. — Le operazioni distributive e le omografie. Milano, 1896. 8°. Reduction of Greenwich meteorological Observations. Part. III. Temperature 1841-1890. London, 1895. 4°. Villari E. — Azione del magnetismo trasversale. Sul magnetismo ordinario del ferro e dell’ acciajo. Bologna, 1893. 4.0 Id. — Intorno ad alcune modificazioni dell’ Elettrometro a quadrante del Thomson. Napoli, 1896. 4°. Id. — Sui raggi Rontgen. Note I, II. Napoli, 1896. 8°. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI __——TCTvyTytLCTT Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 17 maggio 1896. A. MEssEDAGLIA Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Fisica. — Sulle cariche e figure elettriche alla superficie dei tubi del Crookes e del Geissler. Nota del Socio EmiLio VILLARI. Dopo d'avere studiato l’ influenza dei tubi di Crookes e dei raggi X su di un elettroscopio (!), ho investigato lo stato elettrico della superficie dei Crookes e dei Geissler, e qui indicherò i principali fenomeni osservati. In sulle prime ho saggiato la superficie dei tubi attivati da un rocchetto di 12 a 15 cm. di scintilla, toccandola in varî punti con un piano di prova a pallina isolata, e determinando le cariche raccolte con un elettroscopio a pile secche. In seguito, ho legato un capo di un filo sottile di rame allo stesso elettroscopio e con l'altro, legato ad un'asta di vetro, toccavo in varî punti la superficie del tubo in attività, e così determinavo la natura delle cariche raccolte. Ma con questi metodi non era facile fare un'analisi com- pleta del fenomeno, che in principio mi apparve abbastanza complesso. Ri- corsi perciò all'uso delle polveri elettroscopiche ed ottenni delle figure, di solito assai nette e precise, che manifestavano, a colpo d'occhio, lo stato elettrico della superficie dei tubi. Dopo moltissime prove ed esperienze mi parve, che le cariche elettriche superficiali dei Crookes, e le figure che le manifestano, fossero come regolate dai seguenti principî: (1) R. Ace. di Napoli, 15 febb. 1896, e R. Acc. d. S. di Bologna, seduta del 12 aprile 1896. ENDICONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 50 — slo > a) Nei Crookes in attività agiseono non soltanto i raggi catodici ne- gativi, ma bensì quelli anodici positivi, b) I raggi catodici, come è noto, si propagano in linea retta, e mo- strano la loro carica — là dove battono contro la parete del tubo. c) I raggi anodici invece, si diffondono tutto intorno, apportando e manifestando la loro carica + su tutta la superficie del tubo da essi colpita. Ciò premesso esaminiamo i fenomeni, che si manifestano in alcuni dei tubi più comuni. In un Crookes sferico con tre elettrodi filiformi ed uno a calotta sferica concava, se si ta negativo quest'ultimo, la sua luce catodica battendo contro la parete opposta del tubo vi produce una macchia luminosa, ramificata ed oscillante pel battere dell’interruttore del rocchetto eccitatore. Soffiando il miscuglio sul pallone in attività si produce una macchia rossa di minio, per carica — del vetro, là dove batte la luce catodica. Ma più sottilmente osser- vando si scorge, che il minio è attratto sulle parti poco splendenti e quasi oscure della macchia, meglio che su quelle luminose. Così che si sarebbe quasi indotti a credere, che la radiazione catodica dove rende luce non sì mostra elettrizzata. Con pochi colpi di soffietto si produce una macchia rossa leggiera e di forma variabile da una esperienza all’ altra. Siccome le pareti del tubo con- servano per poco la carica ricevuta dalle radiazioni, così le figure possono ottenersi, ed anche più nette, facendo passare soltanto alcune scariche pel pal- lone, e poscia soffiandovi sopra il miscuglio. Le fig. 1 e 2 furono ottenute in questo modo, in due diverse esperienze con lo stesso tubo. La parte ombreggiata verso il centro risponde alla mac- chia di minio. Intorno, ed anche un po nel centro di essa, ove meglio pare splender la luce, vi è una zona neutra, indicata in chiaro, priva di minio 0 qualche traccia di solfo. Su quasi tutto il palloncino si depone un leggiero strato di solfo, attrattovi da carica +, e raffigurato dalla punteggiatura o chiaroscuro. Continuando a soffiare il miscuglio, mentre il tubo è in attività, nuovo minio si raccoglie sulla macchia, che prende aspetto alquanto diverso e meno delicato del precedente, pel continuo oscillare delle parti oscure della macchia, che attraggono il minio. Sul bocciuolo del catodo si depone un poco di minio, che sì estende, qualche volta in bellissime e lunghe ramificazioni. Una zona tersa e neutra, in prossimità del catodo, separa il minio dal solfo. Queste figure nette e distinte, è bene avvertirlo, che ho ottenute con un vecchio palloncino, non s'ottengono sempre. In tre palloncini nuovi ricevuti dal Desaga, con elettrodo a disco piano, le figure si producono assai imperfette e poco o punto distinte. Facendo anodo l'elettrodo concavo od uno di quelli in fili, ed un altro di questi catodo, la luce catodica si diffonde sul suo bocciuolo, che con le — 379 — polveri si riveste di poco minio, mentre il resto del pallone, dopo una zona neutra, si ricopre di solfo per le radiazioni anodiche + . In queste esperienze è utile adoperare un miscuglio non troppo ricco di minio, per ovviare che questo, se in eccesso, si sovrapponga al solfo. V' hanno dei palloncini del Crookes, ed io ne posseggo uno grande ed uno piccolo, con una lastrina centrale di platino iridato, unita ad un elettrodo, e con un elettrodo a disco in alto ed uno a coppa in basso. Questi palloni comunque attivati si ricoprono quasi per intiero di solfo, quando vi si soffia la ae IL Mie 2 nota miscela. Difatti, facendo catodo l'elettrodo superiore od inferiore ed anodo il centrale, i raggi catodici vengono come fermati dalla lastrina centrale, che s'arroventa; ed i raggi anodici, provenienti da questa, si diffondono sul pallone e lo caricano in +. Se invece si fa catodo la lastrina centrale, i raggi emessi dalle sue superficie sono fermati dagli elettrodi verticali, dei quali il posi- tivo diffonde sul pallone i proprî raggi anodici. Solo sul bocciuolo negativo può raccogliersi un po’ di minio. In un tubo diritto con appendice a potassa, per la variazione del vuoto, e diaframma di mica ad una o due fenditure, per osservare la propagazione dei fasci catodici, scorgesi con le polveri, che tutta la superficie del tubo è — 380 — positiva o gialla, mentre poco minio si depone intorno al catodo, e là dove percuote la luce catodica. Nei palloncini con un minerale fosforescente e due elettrodi superiori a disco s' osserva con le polveri, che il gambo inferiore di vetro, che fa da sostegno ed anche un po’ il piede di legno corrispondente, influenzati dai raggi catodici di uno dei dischettini, si rivestono di minio. La superficie del pallone, ove si diffondono i raggi anodici, si ricopre di solfo. Sul bocciuolo catodico v'è del minio, che spesso riveste anche la base dell’ anodico, influen- zato dal primo, che vi è vicinissimo. Interessanti sono i fenomeni che ho osservato in un tubo a V. In esso vi sono tre elettrodi a disco, uno a ciascun estremo e l’altro nell’ angolo. Fatto catodo uno degli elettrodi (') e l’altro anodo, la luce catodica batte sul disco in angolo, e la radiazione anodica si diffonde per tutto il tubo. Soffiando le polveri, il tubo si copre per intiero di uno strato di solfo, e solo alla curvatura ed intorno al catodo, d'onde sfuggono pochi raggi catodici, si raccoglie pochissimo minio. Su questo tubo se, subito dopo interrotte le sca- © riche del rocchetto, si striscia, secondo la sua lunghezza, un filo unito al suolo, la carica ano- dica + del vetro attira dal filo carica — su quei punti pei quali passa. Soffiandovi poscia le pol- veri, la traccia del filo sarà in- dicata da una linea rossa. Se il filo striscia sul tubo mentre è in attività, il fenomeno e le figure sono più complesse. Oltre la traccia rossa precedente accadrà, che ad ogni scintilla interna al tubo si provocheranno delle sca- riche dal filo, successive e di- verse le quali sì manifesteranno con le polveri. Nella fig. 3 è dise- gnato uno di cotesti tubi ad ‘/4 del vero; il quale, per la sua ca- rica +, si ricoprì tutto di poco solfo; la linea mediana longitudinale risponde alla traccia rossa —, rimasta dal filo, che riunisce le varie macchie, non del tutto simile sulle due branche. Su quella a sinistra o catodica, le macchie hanno una parte rossa centrale 2, circondata da una zona gialla radiata e da una rossa continua, separate da zone neutre e terse. La zona +, radiata di solfo IMNE (1) È bene far catodo l’elettrodo c, di fronte al dischetto nell’angolo. — 381 — è predominante, anzi sola, in vicinanza del catodo, e scema man mano allonta- nandocene; così che il solfo più non si scorge intorno alla macchia presso l'angolo del tubo, nè in quelle della branca anodica a destra. L'origine di queste figure è difficile indicarla con precisione, tuttavia le possiamo supporre generate nel modo seguente. Al mo- ao mento di una scintilla nel tubo, la scarica anodica + vu si diffonde, come si è detto, su tutta la superficie di questo, mentre la catodica è assiale e batte contro l’elet- trodo posto nell'angolo. Per tali radiazioni il tubo si carica, ad un dipresso, come nella figura 4. Avvicinando al tubo il filo superiore 4 unito al suolo, la carica su- perficiale + superiore attirerà dal filo elettricità —, che con le polveri produce la macchia rossa centrale. La carica catodica —, nel centro del tubo, richiama dal filo carica +, che si raccoglie intorno alla macchia Tha A centrale, e si ricopre di solfo; e finalmente la parete b ce, più lontana ancora dal filo, richiama da questo nuova carica —, che forma l’ultima zona esterna, che ricopresi anche di minio. Dette zone sono naturalmente separate da zone neutre. Tale interpretazione pare confermata dal fatto, che la zona + del solfo diminuisce con l’allontanarci dal catodo, e più non si osserva, nè all’ angolo del tubo, nè dopo di questo, sulla branca destra od anodica, perchè, come è noto, le radiazioni catodiche non passano oltre le curvature dei tubi. Invece le radiazioni anodiche si diffondono su tutta la superficie, che perciò si ri- veste di solfo. Ciascuna macchia, come si disse, risponde ad una scarica pel tubo, per cui spostando su di esso uniformemente il filo, si possono ottenere, con le pol- veri, macchie vicine o lontane a seconda della rapidità con cui oscilla l' in- terruttore delrocchetto. Sulla branca a destra le macchie sono vicine, perchè l'interruttore oscillò rapidamente, e su quella a sinistra sono lontane perchè oscillò lentamente. Per mezzo del filo possono, come è naturale, tracciarsi delle lettere sui tubi, che con le polveri appariscono rosse in campo giallo. Più complesse e variate sono le figure che si producono sui tubi a pera, nei quali, e negli altri ancora, debbono distinguersi due periodi, a se- conda che essi sieno nuovi od a lungo stati adoperati. Nel primo periodo, specialmente facendo anodo il dischetto, il tubo si riempie di luce violacea, che va man mano diminuendo. In questo primo periodo la resistenza interna del tubo è piccolissima e cresce di molto con l’uso; onde è che acco- standovi le dita, in sulle prime non se ne ottengono quelle molte e piccole scintilline che s’ ottengono dopo. E per questa piccola resistenza, in sulle prime, passa pel tubo anche la scintilla inversa di chiusura, indicata da uno sprazzo di luce. Per misurare la detta resistenza misi in derivazione di — 382 — un nuovo Crookes a pera, uno spinterometro a punte di platino; e, smuovendo a mano l'interruttore del rocchetto, allontanai le punte dello spinterometro fino a che la scarica passasse, pressochè egualmente, fra esse e pel tubo. La lungheeza della scintilla misurava, con una certa approssimazione, la resi- stenza del pallone. Ecco alcuni dei risultati, relativi alla scintilla d' inter- ruzione, ottenuti con un tubo a pera, nel quale s' era staccato la croce. Tubo nuovo a pera. Scintilla spinterometro. La scarica va dall’apice del tubo al mezzo. . ... 3mm. ” dal mezzo all’ apice del tubo. . . . 23 » Dopo aver adoperato il tubo per circa 20 minuti La scarica va dall’apice al mezzo del tubo . . . . 4 » ” dal mezzo all’ apice ” pi Qi AIAR Dopo circa 2 ore d'attività del tubo la luce violacea era quasi sparita e si ottenne La scarica va dall’apice al mezzo del tubo . . . . 15 » ” dal mezzo all’ apice ” ARRE RO ETA A Questi risultati, sebbene non rigorosi, pure mostrano chiaro che la resi- stenza del tubo s'è accresciuta grandemente con l'uso, così che nelle ultime misure essa è circa quintupla che nelle prime. Quando, adunque, la resistenza interna è piccola, il potenziale alla superficie del tubo è piccolo, ed accostan- dovi le dita non se ne cavano scintille, che invece s'ottengono quando il tubo, per lungo uso, ha acquistato grande resistenza. In questo primo periodo, quando la scarica va dal centro all'apice del tubo, esso, con le polveri, si ricopre di solfo, salvo l'apice, catodo, che sì riveste di minio per 2 o 3 cm. Se invece si fa catodo l’ elettrodo centrale, il tubo, con le polveri, si ricopre pressochè completamente di minio. Quasi si direbbe, che la carica elettrica si diffondesse alla superficie del tubo, dall’ elet- trodo centrale che vi è più vicino; ed a seconda che questo sia + o —, il pallone si ricopre di solfo o di minio. Questo pallone, essendosene staccata la croce, non potei adoperarlo a croce elevata od abbassata; pure con altro tubo, con la croce, mi pare aver notato, che i fenomeni su indicati sono in- dipendenti dalla posizione di essa. Veniamo a dire del secondo periodo, che si manifesta dopo lungo uso del tubo, e che è più interessante del primo. Facendo anodo la croce elevata od abbassata, il tubo, con le polveri, si ricopre tutto di solfo, salvo il vertice che si ricopre di minio, come nel caso analogo del primo periodo. Se invece facciamo catodo la croce, che si tiene abbassata, il tubo s' illumina quasi tutto di luce catodica, la quale emanata dalla croce viene a battere più special- mente contro la parete superiore del tubo. Ivi forma una specie di macchia — 383 — luminosa irregolare con ramificazioni interne ed esterne, quasi oscure, oscil- lanti e con moti quasi vermiformi, dovuti al battere dell’ interruttore. Essa macchia, con l’uso del tubo, diventa sempre più ampia, distinta ed interes- sante, e solo dopo più giorni che si è adoperato, acquista tutto il suo sviluppo e la sua bellezza. Soffiando il miscuglio sulla macchia si produce una figura di minio, raccolto principalmente sulle sue parti oscure ed oscillanti. Le stesse figure possono ottenersi, abbenchè meno perfette, soffiando il miscuglio dopo una sola scarica pel tubo. Ma per averle più belle e vistose è bene lasciare andare l’ interruttore per parecchi secondi, fermarlo quando l’immagine luminosa, con le sue ramificazioni, ha raggiunto tutto il suo splen- dore, e subito dopo soffiarvi le polveri. Così s' ottenne la fig. 5, qui accanto IRMGSROE Fic. 6. disegnata alla meglio. Non deve nascondersi che occorre, il più delle volte, di adoperare i tubi per qualche ora, prima che sì prestino a queste esperienze. Nel tubo adoperato s'è presentato un fatto degno di nota. La luce ca- todica, spinta in alto dalla croce abbassata, pare che si rifletta sul vetro, e venga a battere contro la parete inferiore del tubo, formandovi una seconda immagine luminosa, a ramificazioni oscure oscillanti. Con le polveri si pro- duce un'altra figura, indicata dalla fig. 6, vista dal disopra del tubo, alquanto — 384 — diversa dalla precedente, e che ricorda quasi le ramificazioni delle corna di cervo. Questa seconda figura sospettai, in principio, fosse generata dalla proie- zione diretta delle radiazioni del bordo della croce abbassata, ma dopo varie osservazioni la credo piuttosto dovuta alla riflessione, come ho detto di sopra. Osservai, di fatti, fra le altre cose, che disposto l'asse del tubo e la croce verticalmente, si producevano quattro figure luminose sulle pareti del tubo; due più ampie per la luce diffusa dalle due facce della croce, e due più piccine, e più verso l’anodo, che mi parvero prodotte dalla riflessione sul vetro della luce catodica, che emanata dalla croce produceva le due macchie precedenti, e non già dalla proiezione diretta. Il fondo e la parte vicina del tubo si ricoprono lievemente di minio, per diffusione catodica dal gambo della croce. Il resto del tubo, dalla croce all'apice, per diffusione anodica dell’anodo che era all'apice, si ricopre di grosso strato di solfo, separato dal minio da zona tersa e neutra. In mezzo allo strato di solfo e di minio si producono spesso delle macchie di minio o di solfo per radiazioni singole. I bocciuoli portanti gli elettrodi si ricoprono delle polveri rispondenti alle proprie cariche. Nel tubo da me adoperato in queste esperienze, che ha una croce d' al- luminio molto sottile e leggierissima, s'è mostrato un fenomeno, che non credo sia stato osservato da altri. Quando il tubo è orizzontale, se si fa catodo la croce, essa subito s' abbatte, come se fosse stata respinta dal fondo del tubo. L'azione è tanto energica, che si osserva anche quando il tubo è incli- nato a 45°; e si è talmente accresciuta con l’uso del tubo, che quando è verticale la croce viene respinta e saltella con l’ oscillare dell’ interruttore. Questo fatto non credo possa riferirsi ad una reazione dei raggi catodici emessi, egualmente forse, dalle due facce della croce. Suppongo invece, che i raggi catodici, provenienti dalla croce, riflessi sul fondo del tubo, vengano a ripercuotersi sulla croce stessa e l’abbattono. Facendo catodo il dischetto al- l'apice del tubo, può osservarsi una spinta della croce, come nel caso prece- dente, ma assai più debole. In questo caso i raggi catodici provenienti dal disco batterebbero, in parte sulla croce ed in parte sul fondo del tubo, d'onde riflessi ripercuoterebbero sulla faccia opposta della stessa croce per abbatterla. Facendo catodo l'apice del tubo, le cariche svelate dalle polveri sono meno costanti nei varî tubi. In un vecchio tubo che trovavasi in gabinetto e che dava, con la croce elevata, una splendida ombra, si disegnava questa nitidamente in giallo, con l’uso delle polveri. Negli angoli apparivano dei filetti rossi ed il resto del tubo si rivestiva di solfo. Un tubo più recente, inviatomi dal Desaga, a croce elevata od abbassata, si ricopriva tutto di solfo, salvo una zona, fra il fondo ed il corpo del tubo, che si rivestiva come d'una corona di macchie circolari rosse. Studi galvanometrici. Le cariche superficiali del Crookes possono osser- — 389 — varsi spesso accostandovi le dita, che vengono colpite da sottili e lunghe scintilline. La loro natura può determinarsi con l’ elettroscopio a pile secche, o meglio con un galvanometro. Adoperai il galvanometro del Wiedemann ad un solo rocchetto di circa 4000 giri, con uno dei capi unito ai tubi del gas e l’altro ad un sottile filo di rame, che avvicinavo, come scandaglio, ai diversi punti della superficie del tubo. Le prime indagini furono eseguite su di un tubo, a potassa, diritto, che divisi con segni ad inchiostro di 5 in 5 cm. da sinistra a destra. Le esperienze mi dettero le seguenti deviazioni del gal- vanometro, unito ai varî punti del tubo. Punto Deviaz. i a LI pei 0 SIERI4O Cc D 5 st 4 15 SC SNICO) + 20 + 49 25 + 60 30 SO Fic 8. 35 ISO 40 -+ 57 n 5 45 + 58 50 ii “n B 0 6 SICA 20 N24 30 Ju gl 40 SL 9 Fic. 7. 50 pane Il segno + indica una corrente, che parte dalla superficie del tubo. Le deviazioni riportate non sono regolari, e variano grandemente, specialmente quando lo scandaglio s' approssima troppo agli elettrodi. Da essi saltano spesso scintille, che fanno deviare il galvanometro anche di tutta la scala, in + 0 —, secondo i poli dai quali scattano le scintille. Ma facendo astrazione da queste ultime ed energiche correnti, e conside- rando che le deviazioni osservate, scandagliando i varî punti della superficie del tubo, sono saltuarie per effetto dell’ oscillare dell’ interruttore, possiamo dire, che la carica positiva del tubo è presso a poco costante in tutta la sua lunghezza, come si vede anche adoperando le polveri. Però nella esperienza, con la disposizione della fig. 8, la carica è oltre il doppio che con la dispo- sizione della fig. 7, per la diversa resistenza elettrica, che il tubo oppone alla scintilla, come diremo in seguito. Tubi sferici. Nei Crookes sferici, fatto catodo l'elettrodo leggiermente concavo ed anodo quello filiforme opposto, si trova col galvanometro, che la x macchia fluorescente prodotta dal catodo è sempre, ma variamente, negativa, RenpICONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 51 — 386 — mentre il resto del pallone apparisce positivo, salvo nelle vicinanze del ca todo che di nuovo si mostra negativo. Risultato questo d'accordo con quello ricavato con le polveri. Le indicazioni galvanometriche ottenute dalla super- ficie di un vecchio pallone ad elettrodo concavo e molto resistente, per lun- ghissimo uso, erano più energiche quando la scarica andava verso il disco dalla punta di faccia, cioè quando la scarica incontrava nel pallone maggior resistenza (come vedremo or ora), che in verso contrario. Riunendo poi il galvanometro con l' elettrodo superiore od inferiore di cotesto pallone s' ot- tenevano sempre delle correnti positive di 8 a 12 mm. qualunque fosse la direzione della scarica del pallone. Queste diverse correnti, raccolte alla superficie dei Crookes, pare (sebbene forse non sempre) che siano in relazione con la diversa resistenza incontrata dalle scariche, nel pallone, secondo la loro direzione. Per misurare coteste resistenze misi uno spinterometro a punte di platino in derivazione nel circuito del Crookes, la cui resistenza veniva, con approssimazione, indicata dalla lunghezza della scintilla fra le punte, quando essa scattava, ad un dipresso, egualmente pel tubo e per lo spinterometro. Ecco ì risultati medî ottenuti col Crookes sferico precedente: Scarica nel Crookes Scintilla spinterometro Scintilla dal disco al filo mediano 58 mm. ” dal filo mediano al disco 214 mm. Coteste misure, benchè non rigorose, mostrano che la resistenza del pallone è molto maggiore quando la scarica vi passa dall’ elettrodo a disco a quello a filo, che in senso contrario; ed è appunto nel primo caso che, le cariche superficiali del pallone sono più vistose, che nel secondo (!). Avver- tasi che nell’aria libera la scintilla è più lunga, e v' incontra minore resi- stenza, quando va dalla punta al disco. Risultati simili, ma meno distinti, ottenni dall’ esame dei tubi diritti adoperati di sopra. Così, nel caso della disposizione della fig. 8 del tubo diritto, a carica superficiale maggiore, la sua resistenza fu trovata di 35 a 39 mm. di scintilla dello spinterometro; e nel caso della disposizione della fig. 7, a carica superficiale minore, la resistenza fu del pari minore, cioè di 25 a 33 mm. Simili ricerche eseguii con un Geissler sferico eguale e simile al Crookes più sopra adoperato, e trovai che la resistenza del Geissler era tanto pic- cola, da non potersi avere scintille nello spinterometro in derivazione. Sulla (1) Devo notare, che nel mio giornale trovo registrate delle esperienze fatte col me- desimo pallone nuovo e di piccola resistenza, dalle quali risulta, che le indicazioni gal- vanometriche maggiori si ebbero quando la scintilla lo percorreva nel senso della minore resistenza. Risultato, cioè, contrario a quello riportato sopra. Mi propongo ristudiare il fenomeno quando avrò nuovi tubi. — 387 — superficie di cotesto tubo non si osserva alcuna carica sensibile, nè all’ elet- troscopio nè al galvanometro, nè alle polveri. Però delle lievi cariche si poterono constatare agli elettrodi verticali, quando la scintilla del rocchetto si faceva balenare fra quelli orizzontali. Per semplificare queste ricerche spe- rimentai gli effetti di una sola delle scariche, di chiusura o di apertura. giacchè passavano entrambi. Dalle varie osservazioni risultò, che gli elettrodi verticali dànno sempre segni di carica +, debole quando la scintilla interna (diretta od inversa) vada dall'elettrodo a filo a quello a disco, e carica più energica quando la scintilla vada dal disco al filo. Riassunto. I tubi del Crookes s' elettrizzano sulla loro superficie pei raggi catodici, che vi si propagano internamente secondo una data direzione e per gli anodici, che vi si diffondono su tutta la superficie. Le cariche superficiali possono determinarsi con l’ elettroscopio, col gal- vanometro e con le polveri elettroscopiche. Queste vi producono delle figure, spesso assai nette e caratteristiche, che possono, per sommi capi, indicarsi come segue. In un Crookes sferico, facendovi catodo il disco concavo, le polveri vi producono una bella figura di minio (fig. 1 e 2) là dove batte la luce catodica, ed il resto del pallone si ricopre di leggiero strato di solfo. Spesso ramificazioni rosse produconsi vicino al catodo, il cui bocciulo, del pari, presentasi rosso. Il minio e lo zolfo sono sempre separati da una zona neutra e tersa. I palloncini destinati a mostrare l’arroventamento di una lastrina cen- trale di platino ed iridio, con le polveri si ricoprono per intiero di solfo per la radiazione anodica 4, che si diffonde sulla superficie; mentre la ca- todica, se proviene dalla lastrina centrale, è fermata dalle lastrine degli elettrodi verticali; e se emana da una di queste, viene fermata da quella centrale. Per analoghe azioni i tubi diritti e quelli a V, che hanno un elettrodo a ciascun estremo ed uno nell’ angolo, si ricoprono di zolfo, salvo il catodo e l'angolo, ove batte la luce catodica, che attraggono un poco di minio. Appoggiando o strisciando lungo cotesto tubo a V un filo di rame unito al suolo, le cariche del vetro e quelle che vi si manifestano ad ogni scin- tilla interna, richiamano dal filo sul tubo cariche diverse, che le polveri svelano, fig. 3, con una linea rossa, e con delle macchie a zone rosse e gialle intramezzate da zone neutre. Coteste macchie sono vicine, se l'interruttore batte rapidamente, e lontane se batte lentamente. Nei tubi a pera la loro resistenza interna s'accresce grandemente con l’adoperarli; cosa che accade con gli altri tubi ancora; onde vi si possono di- stinguere ben due periodi. Nel primo (tubi a piccola resistenza), facendo l'’ e- lettrodo centrale ('), positivo o negativo, la carica si diffonde su tutto il pal- (1) Nel pallone adoperato in queste esperienze s'era distaccata la croce d'alluminio. — 388 — lone, che con le polveri si ricopre di solfo o di minio, salvo l'apice che si riveste di minio o solfo. Nel secondo periodo (tubo a grande resistenza) fa- cendo anodo l'elettrodo a croce, elevata od abbassata (*), la carica + di essa si diffonde sul pallone, che si ricopre di zolfo, come nel caso analogo del primo periodo. A croce abbassata e negativa, la sua luce catodica si vede dif- fusa pel tubo, e più specialmente battere contro la parete superiore di esso, e riflettersi sulla inferiore, producendo così due immagini luminose ramificate, oscillanti e bellissime, le quali con le polveri producono in rosso le fig. 2 e 3. Anche il fondo ed il grosso del tubo, per diffusione catodica, si coprono di pochissimo minio, mentre la parte verso l'apice si ricopre di molto solfo. Se si fa catodo la croce elevata (che nel mio tubo è sottilissima), essa viene come respinta dal fondo del tubo e subito abbassata, anche quando questo sia quasi verticale. Il fatto sembra dovuto ai raggi catodici, che ri- flessi contro il fondo del tubo vengono ripercossi contro la croce e l’abbat- tono. Un fenomeno simile, ma meno distinto, s’ osserva facendo catodo il disco, all'apice del tubo. Nel caso che il disco si faccia catodo, e la croce anodo, la carica + di questa si diffonde sul tubo, che si ricopre di solfo. Le cariche dei tubi furono studiate anche col galvanometro, ed i risul- tati furono d'accordo con quelli ottenuti con le polveri. I Crookes mostrano cariche +, pressochè costanti sulle loro superficie, e più energiche quando la scintilla interna ad essi incontra, per la sua direzione, una maggiore resi- stenza. Là dove batte la luce catodica ed in vicinanza del catodo lo scandaglio galvanometrico raccoglie carica negativa. Se poi si raccolgono le cariche degli elettrodi verticali, che penetrano nell'interno d'un palloncino Crookes, s' ot- tengono sempre delle deboli correnti positive col pallone da me adoperato, a grandissima resistenza. Le resistenze nei tubi furono determinate approssimativamente dalla lunghezza della scintilla fra le punte d'uno spinterometro messo in deriva- zione coi tubi. Nei Geissler, che hanno grandissima conducibilità, non s'osserva alcuna carica superficiale con le polveri, con l’ elettroscopio, col galvanometro. Scan- dagliando, invece, l’ interno d'un palloncino con gli elettrodi verticali, che vi penetrano, s’ ottengono sempre cariche positive più o meno distinte, a se- conda che la scintilla vi vada dal disco al filo di contro, o viceversa. (1) In queste esperienze adoperai un pallone con la croce. — 389 — Fisica. — Sull’azione dei raggi Rontgen sulla natura della scarica esplosiva nell’ aria (*). Nota dei dott. A. SeLLa e Q. MA- JORANA, presentata dal Socio BLASERNA. 1. Sulla fine della Nota da noi presentata a questa Accademia nella seduta del 12 aprile 1896, noi accennammo al fatto, che l’azione dei raggi Rontgen sulla scintilla esplosiva nell'aria, si fa sentire non solo in quanto essa può provocare od impedire la produzione di essa scintilla, ma anche nell’alterare la natura della scarica stessa. Ed è appunto su questo proposito che ci proponiamo ora di riferire brevemente alcune esperienze, che ci pajono più dimostrative, lasciando la descrizione dettagliata di tutte le nostre ri- cerche sui raggi Roòntgen dal punto di vista della loro azione sulla scintilla ad un lavoro di maggior mole. Noi avevamo indicato coi nomi di fenomeni primo (Hertz) e secondo l’accendersi o lo spegnersi della scintilla sotto l’azione di radiazioni Roòntgen ovvero ultraviolette. Ma visto che in prossimità del limite del passaggio della scintilla — quando cioè questa scocca, sia lasciando agire le radiazioni, sia eliminandole — la natura della scarica resta alterata dalla presenza dei raggi, denomineremo genericamente con le parole fenomeno primo e secondo non solo l'accensione e rispettivamente lo spegnimento della scintilla, ma anche il complesso delle alterazioni che avvengono nella scarica, quando la distanza esplosiva limite minima (nel primo fenomeno senza azione delle radiazioni, nel secondo sotto questa azione) viene appena accorciata così da permettere sempre il passaggio della scintilla. 2. Veniamo dapprima alla descrizione delle due disposizioni sperimentali diverse, con cui abbiamo operato per sperimentare sui due fenomeni. IT R R Fic. 1. Fic. 2. (1) Lavoro eseguito nell'Istituto fisico della R. Università di Roma. — SU La disposizione I è quella già da noi riportata nelle nostre Note pre- cedenti. Con essa è possibile ottenere sia il primo sia il secondo fenomeno, e ciò regolando convenientemente le dimensioni delle palline MM", la loro distanza e l'intensità della scarica. Questa disposizione però è stata da noi adoperata nelle presenti ricerche solo per studiare il primo fenomeno, e all’ uopo le palline VM' hanno 52 mm. di diametro, e sono costituite da ottone amal- gamato di fresco alla distanza di circa 1 cm. Crescendo questa distanza si avrebbe il fenomeno secondo, ma poichè trovammo che la disposizione II, che ora descriveremo, ce lo forniva in misura molto maggiore, così destinammo la I puramente allo studio del primo fenomeno. Nella disposizione II lo spinterometro posto in derivazione sul tubo è costituito da una lastra di alluminio JM e da una pallina M' di ferro che può avvicinarsi ed allontanarsi da quella. I raggi Rontgen traversando la lastra di alluminio corrono paralleli e coincidenti alla linea esplosiva della scintilla. Al fine di avere un buon funzionamento della disposizione, occorre che la lastra 2% e la pallina M' sieno molto ben pulite; e fu trovato conveniente e semplice asportare gli ossidi o pulviscoli metallici della lastra con un pan- nolino imbevuto di olio, e strofinare la pallina anodica con carta smerigliata finissima. Osserviamo che in buone condizioni, se la distanza esplosiva sotto l’azione dei raggi Roòntgen è di 25 mm. quando questi vengano schermati, introducendo una lastra opaca fra il tubo ed M, quella diventa circa lunga 10 cm., crescendo così nel rapporto di 1 a 4. Con questa disposizione è pos- sibile ottenere anche il fenomeno primo; però fu trovato che esso non com- pariva, che quando la distanza MM' era di pochi millimetri e quindi con un'intensità di scarica molto debole. In conseguenza di ciò, questa disposi- zione fu sempre destinata allo studio del fenomeno secondo. La lastra M era quadrata con 20 cm. di lato e 0,5 mm. di spessore; la pallina M' di 10 mm. di diametro e la distanza esplosiva MM' tenuta intorno ai 3 cm. Nella disposizione I, al fine di difendere il tratto esplosivo dalle azioni secondarie del Crookes, che, come è noto, si elettrizza fortemente, veniva inter- posta nel cammino dei raggi Ròontgen una lastrina sottile di alluminio in comunicazione col suolo. Nella II invece la lastra 2’ catodica, essendo al suolo, riempiva lo stesso ufficio senz'altro. 3. Supponiamo ora di interrompere il circuito in due punti 2, P', di sopprimere il tratto P P' e di porre quelli in comunicazione con gli estremi della spirale primaria di un trasformatore. Questo era costituito da pochi giri di una spirale di filo di rame di filo di 3,5 mm. di diametro entro un tubo di ebanite, sul cui mantello esterno erano avvolte 200 spire di un filo di 0,5 mm.; il tutto immerso nell'olio. Gli estremi del secondario termina- vano ad uno spinterometro S S' a punte con vite micrometrica difeso con cura da ogni radiazione. In tali condizioni si può avere colla disposizione I una distanza esplo- — 391 — siva nello spinterometro secondario S'S' tale che passa una piccola scintilla quando i raggi X non possono agire sul tratto esplosivo MM"; mentre quella cessa subitamente, quando si toglie lo schermo che li intercettava. Tutto il rovescio avviene colla disposizione II; se si regola la distanza esplosiva S S' in modo che la scintilla passi ancora quando i raggi X agiscono su MM", essa cessa subito quando si interpone lo schermo. Se sui punti P P' si pongono in derivazione una spirale di filo con- duttore e lo spinterometro a punte predetto, si avranno gli stessi fenomeni di prima, se pure in scala alquanto minore. Vale a dire per l’autoinduzione propria della spirale, che nella specie era la spirale secondaria del nostro trasformatore od anche la primaria, scoccavano nello spinterometro delle scin- tille, quando nel fenomeno primo venivano schermati i raggi X, e nel secondo quando questi agivano su MM". 4. Uniamo ora RA' colle armature di un piccolo condensatore e rego- liamo come prima la distanza del tratto esplosivo MM in modo che la scin- tilla passi anche quando i raggi Rontgen sono schermati, nella disposizione I, e nella II quando i raggi vi battono sopra. Unendo ora PP' con i capi del primario del trasformatore sopra de- scritto (siamo qui nel caso di un condensatore che si scarica per un tratto esplosivo nell'aria in un trasformatore, cioè realizziamo — a parte il ramo derivato in cui sta il Crookes — una disposizione adottata nelle esperienze Thomson-Tesla) mentre il secondario termina allo spinterometro SS’; allora colla disposizione II, cioè nel secondo fenomeno, i fiocchi in S S' sono molto più vivi e la distanza della scintilla è maggiore, quando i raggi battono su M M', che non quando questi vengono schermati. Avviene il rovescio colla dispo- sizione I, cioè nel primo fenomeno. 5. Se conservando il condensatore, come nella esperienza precedente, si pone su P, P' un corto circuito formato da un filo di rame di 5 mm. di diam. e lungo circa un metro e mezzo, si ha quella disposizione che serve a dimostrare l’impedenza delle sca- riche rapidamente oscillatorie; potendosi avvicinare due palline metalliche collegate metallicamente con P P' ed ottenere fra di esse una vivace scintilla. Questa scintilla nella disposizione II è molto più lunga quando i raggi Réntgen agiscono su YM' e nella I è invece più lunga quando i raggi vengono schermati. Inutile aggiungere Fra. 3. che questa scintilla secondaria veniva accuratamente sot- tratta all’azione di radiazioni. Anche con una lampadina elettrica appoggiata cogli estremi metallici sull’arco del corto circuito si può constatare l’impedenza cresciuta nel fenomeno secondo, quando i raggi bat- tono su MM", nel fenomeno primo quando i raggi sono schermati. 6. Finalmente supponendo soppresso l'intervallo P ?' e ponendo in quel 4 P P — 392 — punto il circuito in contatto con l'armatura di una boccia di Leida, dall’ altra armatura si possono trarre con un conduttore al suolo lunghe scintille ed ancora qui avviene che la lunghezza di queste scintille, quando i raggi X agiscono su MM, è nel primo fenomeno maggiore, nel secondo minore che non quando i raggi sono schermati. 7. Osserviamo in ultimo che tutte queste azioni le abbiamo potute ot- tenere anche illuminando il tratto MM" con luce ultravioletta fornita da un arco voltaico. E questo fatto è da porsi in relazione coll’ osservazione di Hertz, che se il tratto di scintilla nell’oscillatore è colpito da luce ultravioletta ri- mane depressa la sua attività oscillatoria (!); ma la discussione delle conse- guenze delle nostre esperienze ci porterebbe lontano dai limiti che ci siamo prefissi in questa Nota. Citiamo ancora, come riferentesi a questo argomento, le recenti esperienze di Elster e Geitel (?). Storia della fisica. — Sopra wn' colipila del principio del secolo. Nota del dott. G. FoLGHERAITER presentata dal Socio BLASERNA. Il Socio di questa R. Accademia W. Helbig donava all’ Istituto fisico di Roma una eolipila trovata in uno scavo dei dintorni di Roma, esprimendo il desiderio di conoscere l’ epoca a cui appartiene. Le poche osservazioni che seguono tendono a chiarire tale problema. L'colipila, istrumento portatile usato oggi assai comunemente per fare saldature, è un'applicazione dell’ eolipila di Herone d' Alessandria (3). Questa è l’unica macchina a vapore conosciuta dagli antichi, che rimase, salvo pic- cole modificazioni, inalterata fino alla fine del secolo scorso e senza vere pra- tiche applicazioni. Un tentativo di applicarla come forza motrice fu fatto da Branca, archi- tetto della chiesa di Loreto, il quale nella sua opera intitolata Macchine (4) offre il disegno di una macchina, che agisce per mezzo di un motore mera- viglioso, che non è altro che il vapore. Questo esce dalla caldaia per un foro, ed agisce direttamente sulle pale di una ruota, che viene mossa. Molto più tardi il barone Cristiano Wolf (°) espose una serie di espe- (1) Wied., Ann. 24, p. 169; 1888. (2) Wied., Ann. 57, p. 302; 1896. (3) Gli artificiosi e curiosi moti spiritali di Herone tradotti da G. B. Aleotti. Bo- logna, Tip. Carlo Zenero, 1647, pag. 56. (4) Quest’ opera fu pubblicata in Roma nel 1629; il disegno della macchina trovasi nella parte 1*, fig. 25. Vedi Enciclopedia italiana, 6° edizione, vol. VIII, pag. 628. (5) Wolf. Niitzliche Versuche u. s. w. Halle 1737. Confr. pure il Gehler®s, Physika- lisches Woòrterbuch, vol. II, pag. 416. — 393 — rienze e di usi, ai quali si prestava l' eolipila: tra le altre cose egli accenna di avere acceso una corrente di vapore di spirito di vino, che usciva da un'eolipila, e che dirigeva sopra una fiamma; ma non parla di applicazioni alle quali avrebbe potuto servire il caldo che ne risultava. Chi ha utilizzato e reso pratico questo sistema per avere fiamme di alta temperatura è stato l'abate Gian Antonio Nollet ('). Egli descrive un’ applicazione dell’ eolipila, riempita in parte di alcool, per sostituire alla corrente d’aria prodotta da un mantice e destinata a soffiare sopra una fiamma (lucerna dello smaltista) una corrente di vapore infiammabile. Ecco come si esprime: « Se non aveste « d'adoperare la lucerna dello smaltista, che per minuti pezzi come quelli, « dei quali ho fatto menzione e per un lavoro di quarti d'ora, vi proporrei « un piccolo equipaggio molto comodo e di poca spesa di cui io stesso mi servo « quando, quel che ho da fare, non richiede nè un gran fuoco, nè un fuoco di « lunga durata. Questo apparecchio rappresentato dalla figura..... consiste in una « lucerna capace di una o due oncie d' olio...... Invece di un soffietto, un eolipila « di vetro o di metallo anima la fiamma, quando è acceso lo stoppino ed è posata « al di sopra di una lampada a spirito di vino, sorpassata da tre mensole, che « portano un cerchio piatto, o da due braccia a molla, che terminate sono « da due rosette concave per abbracciare la palla di questo piccolo vaso, « come quello che serve a spandere un vapore odoroso. « Avrete cura, che il becco di questa eolipila non abbia che un piccolissimo « buco, come quello che formarsi potrebbe da un finissimo spillo, vi farete « entrare dell’acquavita o pur dello spirito di vino mescolato con acqua per « metà, e non l’empirete se non se fino al terzo della sua capacità. « In fine bisognerà, che la lampa a spirito di vino posta sotto l' eolipila « non abbia che un piccolissimo stoppino composto di 5 o 6 fili di bombace « sottilissimi, e che la sua fiamma non sia distante che tre o quattro linee « dal fondo dell’ eolipila. « Con una fiamma animata dal soffio si ammolisce il vetro, ma quando se ne « prenda una piccola quantità per volta, si fa colare e si riduce in piccole « goccie ritondissime...... ecc =. Come si vede, l'abate Nollet è stato il primo, che ha utilizzato l’ eoli- pila per produrre delle fiamme ad alta temperatura. Il suo apparecchio ha due fiamme, una per riscaldare l'alcool contenuto nell’ eolipila e produrre la corrente di vapore, che soffiando sulla seconda fiamma dà il dardo ad altis- sima temperatura. Nel 1801 il prof. Pictet di Ginevra ha portato un apparecchio simile al sopra descritto a Londra e l’ha esposto nella sala di lettura dell’ Istituto (1) L'arte dell’esperienze, vol I, pag. 144, traduzione italiana dal francese. Venezia 1783, Tipogr. Fratelli Bassaglia. Non c'è la data dell’originale francese; secondo il Pog- gendorff (Biographisch - literarisches Handwérterbuch 2ter Bd, S. 296) esso fu pubblicato in Amsterdam nel 1770, anno della morte dell’ Autore. RENDICONTI, 1896, Vol. V, 1° Sem. 52 — 394 — reale (!). Due anni dopo Beniamino Hooke (?) costruì un’ eolipila ad alcool, che presentava sull’ antecedente alcuni vantaggi: 1° Era munita di valvola di sicurezza; 2" veniva utilizzata la stessa fiamma che riscaldava l' eolipila per produrre il dardo caldo. La forma data a quest’ apparecchio da Hooke è assai elegante, come si può vedere dalla figura riprodotta nel Gehler's Phys. Worterbuch vol. IV, n. 189. Anche in altri paesi, pare, la lampada per fondere sostanze in piccole quantità, come fu ideata da Hooke non è stata in uso prima del 1803: il prof. Lampadius (3) in un lavoro sull'analisi dei minerali per via secca descrive una sua lampada, che richiama alla mente quella di Nollet. Egli riempie una storta d'argilla con del biossido di manganese, ed adattando per mezzo di un tubo intermediario di rame il cannello ferruminatorio alla storta, dirige il gas ossigeno nel momento stesso del suo sviluppo sopra i diversi minerali. Due libbre di biossido di manganese gli davano una corrente continua di gas ossigeno per tre quarti d'ora. L'eolipila trovata dal prof. Helbig rassomiglia perfettamente a quella di Hooke per forma, eleganza e dettagli di costruzione, e perciò non risulta, che possa essere anteriore al 1803, data in cui Hooke ha costruito la sua. La lampada di Hooke si è estesa in un tempo probabilmente breve in tutti i paesi, e l'Istituto fisico della R. Università Romana ne possiede un modello fabbricato in Roma da Luigi Lusvergh nel 1818. Chimica. — Azione dell’ acido nitroso sopra alcune ossime della serie della canfora. Nota di AnceLo ANGELI ed ENRICO RIMINI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. In un lavoro precedente noi abbiamo dimostrato come, per azione del- l'acido nitroso sopra la canforossima, si ottenga un prodotto da noi chiamato pernitrosocanfora Cio His N: 0; ’ nel quale molto probabilmente è contenuto l’aggruppamento > CN,0; . Per azione del bromo, nelle opportune condizioni, la pernitrosocanfora dà un bromoderivato Cio EE Br N, 0, 5 (1) A description of a blow-pipe. Nicholson's Journal vol. III, 1802, pag. 1. (2) Description of a blow-pipe by Alcohol, having a safety Valve, with other udvan- tages. Nicholson®s Journal vol. IV, 1803, pag. 106. Vedi pure Gehler's Physikalisches Worterbuch,IV Bd., Erste Abth. pag. 1155. (3) W. A. Lampadius, Zandbuch zur chemischen Analyse der mineral Kòrper. An- nales de Chimie vol. XXXIX, 1801, pag. 304. — 395 — il quale, per trattamento con alcali, facilmente si trasforma in un isomero, l’isobromopernitrosocanfora. Tutti questi composti, per trattamento con acido solforico concentrato, perdono una molecola di protossido: d'azoto per dare origine a prodotti non saturi, che possiedono caratteri del tutto diversi da quelli di cui sì è partiti. La pernitrosocanfora infatti, per azione di questo reattivo, dà origine ad una sostanza di natura chetonica che noi chiamammo zsocanfora : Cio His N; 0; = N,0 + Cio H,;0 . La bromopernitrosocanfora, e con maggior facilità ancora l’ isobromoper- nitrosocanfora, oltre al protossido di azoto perdono anche una molecola di acido bromidrico. In tal modo si forma l'isocanfenone, un composto cristal- lino che all'aria facilmente si altera: Cio His Br N, (075 = N30 + HBr + Cio H_0 . Noi abbiamo naturalmente cercato di estendere questa reazione anche ad altre ossime, ma come era da aspettarsi, l'andamento può essere molto di- verso, e nella maggior parte dei casi si ottengono prodotti di tutt’ altra natura. In modo analogo alla canforossima, si comporta l'ossima del canfenone, che per azione dell’ acido nitroso facilmente si trasforma nel pernitrosocan- fenone. Anche dall’ossima del mentone si ottiene un derivato che per azione dell'acido solforico concentrato si decompone con sviluppo gassoso. Siccome però il prodotto è liquido e facilmente alterabile, i risultati forniti dall'analisi non ci permettono per ora di pronunciarci con sicurezza in- torno alla sua natura. Migliori risultati abbiamo invece potuto avere dallo studio dell’ ossima del fencone, isomera, come è noto, con la canforossima. Anche questa sostanza, per azione dell'acido nitroso, dà un magnifico pernitrosoderivato, il quale per trattamento con acido solforico concentrato si decompone con sviluppo di protossido d’ azoto. È notevole che il prodotto chetonico, il quale in tal modo si forma: Cio His N, 0, = N.0 + Cio H,50 ’ è identico all’ isocanfora. Come noi abbiamo già dimostrato, l’isocanfora, molto probabilmente, è da considerarsi come un derivato del metacimolo. Che il fencone possa dare origine a derivati del metacimolo è già noto da lungo tempo; non si comprende invece egualmente bene come anche dalla canfora, per mezzo della stessa reazione, si arrivi ad una identica sostanza. — 396 — Chimica. — A/cuni nuovi derivati del Veratrol (*). Nota di Ausonio De GASPARI, presentata dal Socio PATERNÒ. Azione del bromo sul veratrol. — Il veratrol è assai facilmente attaccato dal bromo (?). Non è guari, il Briggemann facendo agire sul vera- trol disciolto in quattro volte il suo peso di tetracloruro di carbonio una cor- rente di vapori di bromo, ha ottenuto il bibromo derivato, identico a quello già avuto da Merck. Ripetendo queste esperienze, io ho potuto constatare che se i vapori di bromo passano diluiti da una corrente di aria, si ottiene facil- mente il monobromo composto. Gr. 10 di veratrol, disciolti in gr. 50 di acido acetico, si pongono in un palloncino, raffreddato da corrente di acqua fredda e comunicante con altro palloncino contenente la quantità calcolata di bromo (circa gr. 4) e con un aspiratore. In questo modo si ottiene una corrente di vapori di bromo assai diluita; e si nota che il liquido rimane affatto incoloro: soltanto verso la fine della reazione appare una leggera colorazione giallognola. L'esperienza dura circa 24 ore. Neutralizzato l’ acido acetico con soluzione di carbonato sodico, precipita un olio pesante, biancastro: questo prodotto contiene in soluzione piccola quantità di bibromo, come potei accorgermi dal residuo della: distil- lazione. Trattato infatti questo residuo con alcool bollente, si ottengono ceri- stalli aghiformi, fondenti a 92, che l’ analisi ha confermato essere di bibromo- veratrol. Due distillazioni in corrente di vapor d’acqua bastano per ottenere il monobromoveratrol in stato di sufficiente purezza: è allora incoloro, for- temente rifrangente e di odore gradito. Distilla a 254°.5-256°. Il rendimento è di circa l’ 85 0/0. La determinazione di bromo, fatta col metodo di Carius, ha dato i seguenti risultati : I. gr. 0,4836 di sostanza diedero gr. 0,4162 di AgBr II. » 0,5475 ” ” » 0,4732 ” trovato calcolato per C6H*(0CH?)?.Br. TENSON Br. %,= 36,86 36,62 36,76 Azione dell’acido nitrico sul monobromoveratrol. — Questo composto si nitra assai facilmente. Con acido nitrico della densità di 1,36 la rea- zione è piuttosto blanda. Per diluizione con molta acqua precipita un prodotto giallo, amorfo, che cristallizza dall’ alcool diluito, dove è solubilissimo, in sot- tili aghi giallo-citrino chiari, fondenti a 124°5-125°. Sublima, decomponen- dosi in parte con deflagrazione. In corrente di vapor d’ acqua distilla inalterato. (") Lavoro eseguito nell'Istituto Chimico della R. Università di Roma. (2) Merck, Annalen CVIII, 60. — Briiggemann, Journal fiir pr. chem. N. 4-5, 1896. — 397 — Una determinazione di azoto ha dato i seguenti risultati : per gr. 0,4435 si ebbero cc. 21 di azoto a 751 mm. di pressione e a 14°.5 calcolato per C°H*(0CH*)®.NO?.Br trovato Azoto °/ = 5,84 9,47 È dunque un mononitrobromoveratrol. Con acido nitrico fumante a 1,48 di densità si ottiene del pari il derivato mononitro. Con miscela di acido solforico e di acido nitrico fumante a parti uguali la reazione è assai energica e conviene raffreddare. Diluendo con molta acqua, precipita un prodotto giallo cupo, amorfo, che raccolto su filtro e cri- stallizzato dall'alcool si presenta in minute laminette formate da unione di aghi, e fondenti a 113-114°. È pur esso volatile in corrente di vapor d’acqua. La determinazione dell’ azoto ha dato questo risultato : per gr. 0,2882 di sostanza, cc. 23 di N. a 755 mm. e a 14°. calcolato per C*H(0CH*).(NO?): Br trovato N %,==9.12 9,23 trattasi cioè di binitrobromoveratrol. Ho tentato di preparare un trinitrobromoderivato, ma il risultalo è stato negativo. Azione dell'acido solforico sul veratrol. — Gr. 10 di veratrol sono stati messi a contatto di gr. 20 di acido solforico del commercio (66° Beau- mé = 1,84 di densità). Il veratol si è disciolto tosto sviluppando calore. Dopo qualche ora, aggiungendo entro tubo d' assaggio un po' acqua ad alcune goccie della miscela, precipitava ancora inalterato il veratrol: dopo una giornata la reazione non era ancora completa. Si scaldò allora per circa mezz’ ora a bagno maria e, diluendo quindi con acqua, il liquido restò omogeneo, legger- mente roseo. Neutralizzando un carbonato di bario, se ne ebbe il sale bari- dico che per evaporazione della soluzione si depose in belle laminette a con- torno rombico, con angolo del rombo di circa 45°, appartenenti al sistema trimetrico (‘). Solubile nell’ acqua, pochissimo nell’ alcool e nell’etere. Ricristallizzato quattro volte, l’ analisi ha dato questi risultati : acqua di cristallizzazione — a 100° perde 2H?0 ” D) a 140° rimane anidro " ” a 145° comincia a decomporsi colorandosi in violetto scuro. I. gr. 1,3781 di sostanza perdono gr. 0,1176=a 8,53 °/ Neca 1,9689 E) » LI) 0,1158 —=@ 8,45 % Calcolato per [C5H*.(0CH?),S0° PBa.3H?0= a 83,64 ‘/.. (') Da osservazioni al microscopio polarizzatore che debbo alla cortesia del sig. F. Millosevich. — 398 — La determinazione di bario ha dato: I. per gr. 1,1494 di sostanza — gr. 0,4240 di BaS0* II. » » 1,1918 ” — » 0,4416 ” trovato calcolato do 21,92%/ 21,68 21,78 Sale di piombo. — È stato preparato dal sale di bario per doppia decomposizione con carbonato di piombo. È solubilissimo nell'acqua, assai più del precedente; quasi del tutto insolubile in alcool assoluto, etere assoluto. Cristallizza anch'esso in lamine a contorno rombico, a riflesso madreperlaceo, trimetrico. Ricristallizzato tre volte, l'analisi ha dato i seguènti risultati: per l'acqua di cristallizzazione — a 100° perde 2 !/, H?0 ” ” a 155° si ha anidro ” ” a 145° si decompone colorandosi in bruno. Gr. 0,7385 perdono —. 0 . gr. 0,0575480), di H20 Calcolato per (C°H*(0CH?).S0*).Pbh.3H?0 = 7,78 0/0 ” La determinazione di piombo: I. gr. 0,6022 di sostanza danno gr. 0,2591 di PbSO' IONI ’ ” » 0,6845 di PbCr0* trovato calcolato ani Pb 0/, = 29,68 29,34 29,72 Lo studio di altri sali mi ha confermato trattarsi veramente di acido monosolfonico. L'acido libero ho potuto ottenerlo dal sale di piombo per decomposi- zione con idrogeno solforato. È difficile ottenerlo in buona quantità, perchè assai volatile in vapor d’acqua, per cui nel concentrarne a bagno maria la soluzione, la massima parte di esso va perduta. Cristallizza assai difficilmente, dall’ acqua in lamine sottilissime, di aspetto madreperlaceo; dall’ alcool di- luito in sottili aghi. È insolubile nell’ alcool assoluto, nell’ etere, ligroina, benzina, Non fonde, si decompone col calore appena oltre i 100°, imbru- nendo. Lasciato per alcun tempo nel vuoto, perde tutta l’acqua, che riac- quista poi in breve al contatto dell’ aria. La determinazione del S ha dato questi risultati : I. gr. 0,9227 danno gr. 0,8445 di BaSO*= 12,46 °/, II. » 0,6181 » » 0,9646 ” _M2993I0h Calcolato per C°H*(0CH*),.S0*H.2H?0= 12,59 °/o — 399 — Tanto di questo acido veratrilmonosolfonico, quanto del monobromove- ratrol, ho tentato di stabilire la costituzione. Ho fuso perciò e l'uno e l’altro con potassa, arrestando l’ operazione non appena avvenuta la fusione ignea. Trattando quindi con un acido la massa ed estraendo con etere, ho ottenuto da questo in entrambi i casi pochi centigrammi di prodotto cri- stallino, fondente a circa 135°. Con soluzione diluita di cloruro ferrico ebbi una colorazione verde bluastra: con soluzione di idrato sodico la ebbi rosso-viva. Per mancanza di prodotto non ho potuto fare altre e più sicure ricerche; ma il fatto, che il punto di fusione del prodotto ottenuto si avvicina assai a quello dell' ossiidrochinone (140°,5), anzichè a quello del pirogallol (115°), e che le due reazioni colorate corrispondono a due caratteristiche dell’ ossi- idrochinone, mi fanno propenso a credere che la costituzione dei due com- posti da me avuti sia la seguente : C.0CH* C.0CH? “i \feri HC7 \c.0cH" i È | è CH bl C CH C.Br C.S03H monobromoveratrol acido veratrilmonosolfonico Ma su questo argomento spero di poter dare fra breve più sicuri risultati. Azione del PhCl® e dell’ NH? sull’acido veratrilsolfonico. — Gr. 3,5 di sale baritico anidro sono stati posti a reagire con gr. 2,3 di pen- tacloruro di fosforo. A freddo non si manifesta reazione alcuna. Scaldando leg- germente, la miscela si rapprende ed a temperatura di circa 50° si compie la reazione con notevole sviluppo di acido cloridrico: la miscela si trasforma in un liquido denso sciropposo, leggermente giallognolo. Si lascia raffreddare, quindi si aggiunge poco per volta soluzione di ammoniaca concentrata a 0°: avviene una reazione tumultuosa, energica con grande sviluppo di calore. Si raffredda, e si ottiene una massa cristallina colorata in roseo, che sciolta in acqua lascia depositare per raffreddamento un prodotto cristallizzato in sottili e lunghi aghi, flessibili, che purificati per ripetute cristallizzazioni dell’ alcool diluito rimangono scolorati e fondono a 136°,5-137°,5. La reazione avviene meglio usando il sale sodico. È solubilissima nell'acqua, poco solubile nella benzina, nell’ etere, eteri del petrolio, alcool assoluto: fonde sotto l’ acqua. Cristallizza con 2H?°0. L'analisi la caratterizza per solfoveratrilamide. — 400 — Una determinazione di azoto ha dato i seguenti risultati : I. per gr. 0,2897 cc. 14,2 di Azoto a 750 mm. e 149,5 I = 01935 MON. Paone È 105 calcolato per C*H*(0CH*),S0*.NH.2H?0 trovato Rio LE INO SE=#5108 II. a Bi _1o108 Azione dell’anilina sul cloruro di solfoveratrile. — Il cloruro di solfo-veratrile, preparato come più sopra ho detto, è stato messo a reagire con fenilammina purissima. La reazione è meno energica che nel caso del- l’ammoniaca. Si ottiene una massa densa, brunastra, che lasciata a sè di- venta vischiosa e si mantiene tale per lungo tempo. Trattata con acqua non si discioglie che in piccolissima parte. È solubile abbastanza nell’ alcool diluito e da questo sì ottiene per raffreddamento un prodotto cristallizzato in lunghi aghi bianchi, flessibili, che fonde costantemente a 130°,5-1319,5 rammol- lendo a 124°. Nell’ etere è assai solubile ed in quasi tutti i solventi ordinari, appena nell’ acqua. Cristallizza con 2H?0. La determinazione dell’ azoto ha dato questi risultati : per gr. 0,2465 cc. 8,95 di N a 753 mm. e 14°. calcolato per C$H3(0CH?)..S0?,NHCH5.2H?0 trovato N°/= 4,25 N 0/,4,21 È quindi la solfoveratrilanilide. Azione del CH? .COCÌ sulla solfoveratrilammina. — Della solforoveratrilammina ho preparato il derivato acetilico. Gr. 5 di solfoveratrilammina sono stati posti a reagire con il doppio della quantità calcolata di cloruro di acetile, in palloncino munito di refri- gerante a ricadere. La solfoveratrilammina era stata precedentemente tenuta per un'ora in stufa a 130°. A freddo non si manifesta reazione alcuna: ri- scaldando, cominciano tosto a svilupparsi abbondanti vapori di acido clori- drico e solo dopo circa sei ore la reazione è completa. Distillando l'eccesso di cloruro di acetile, rimane una massa biancastra, che cristallizzata diverse volte dall'acqua e dall'alcool diluito fonde a 140-141°: si presenta in sot- tili aghi. L'analisi ha dato questi risultati : gr. 0,8290 di sostanza hanno dato gr. 0,1569 di H°O e gr. 0,5333 di CO? » 0,2767 ” ” cc. 13,85 di N a 760° e 14°. Calcolando per C5H*(O0CH?)*S0?.NH.COCH* trovato C°/= 44,98 C°/= 44,20 HO N5:91 Hi =M590 No, = 54 N°/— 5,80 — 401 — L'acido solforico fumante colora in verde il veratrol e dà una massa densa, vischiosa, verde, che dopo un giorno si rapprende cristallina. Forma- tone il sale di bario, l’ analisi ha dimostrato ch' esso è acido monosolfonico. La reazione qui avvieno tosto, a freddo, e con sviluppo di calore. Se si riscalda, il veratrolo si resinifica; per cui credo sia difficile poterne avere il bisolfo acido. Continuerò lo studio di questi derivati, e spero di poterlo fra breve pre- sentare assai più completo. Chimica — Sopra un caso di pietrificazione artificiale dei tessuti vegetali. Nota dell’ ing. ENRICO CLERICI, presentata dal Socio S. CANNIZZARO. Da quasi un decennio il dott. Carlo Auer von Welsbach enunciò una singolare proprietà delle terre rare, che cioè le miscele fatte con esse o colla magnesia, o colla zirconia, o coll’ allumina, hanno un potere emissivo per la luce, mentre sono arroventate, maggiore di quello posseduto dalle singole terre (!) e propose anche un modo per utilizzare praticamente questa pro- prietà nell’ illuminazione a gas (?). Questo metodo consiste nell’ imbevere un tessuto di fibre vegetali della soluzione di sali delle anzidette terre che, come per esempio i nitrati, siano decomponibili col calore; nello spremere fortemente l'eccesso di liquido; nell’ asciugare e nel sospendere il tessuto così impregnato sulla fiamma di un becco Bunsen. In questa operazione il tessuto brucia completamente, i nitrati sì decompongono e si ottiene un residuo leggero e poroso di ossidi intimamente mescolati, ulteriormente inalterabile al calore, il quale conserva tanto la forma a rete del tessuto quanto la forma cilindro-conica che ad esso fu data affinchè meglio abbracciasse la fiamma. Quali altri fenomeni avvengono in quel procedimento e perchè il tenue residuo o scheletro terroso, malgrado la sua sottigliezza, ha una solidità tale da permetterne l’ uso per lungo tempo ? Se sì impregna un pezzo di tessuto di cotone — ed è indifferente la grossezza dei fili e delle maglie — colla soluzione di una delle accennate (!) Invece l'aggiunta di taluni ossidi, per es. dell’ossido di ferro, diminuisce grandemente il potere illuminante delle miscele e le rende praticamente inapplicabili. Per dimostrarlo si può servirsi di una ordinaria reticella Auer: con un pennello si ap- plica, nel senso longitudinale, una soluzione diluita di solfato ferroso in modo che per capillarità essa si estenda soltanto sopra una metà della reticella: accendendo la lampada, una metà emetterà la luce come prima, l’altra metà resterà oscura. (*) Bollettino delle privative industriali del Regno d’ Italia, anno 1886, pag. 255 e 1838. RenpICONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 53 — 402 — miscele, o per semplicità con una soluzione per es. al 30 per cento, di ni- trato di torio e sì calcina, si otterrà un residuo bianchissimo di ossido di torio che conserva, come ho già detto, la reticolatura del tessuto. Esami- nandolo al microscopio a debole ingrandimento ed in campo oscuro si vedrà che, a parte le diminuite dimensioni, conserva anche la forma propria dei fili risultanti dall’ attorcigliamento di un fascetto di fibre. Si sarebbe con- dotti a concludere che l'ossido di torio sì sia modellato sulle fibre di cotone. Ho immerso nella soluzione di nitrato di torio dei pezzi di sottili se- zioni trasversali ottenute col microtomo dal legno di Quercus suber e di Rhamnus cathartica, che, fra le specie di cui ero in possesso, hanno una caratteristica distribuzione di vasi in ciascuna zona d’ accrescimento. Asciu- gate le sezioni, le ho calcinate sulla lamina di platino: ho ottenuto uno scheletro terroso, che, con un po’ di abilità, può essere montato in balsamo per osservarlo al microscopio. È una riproduzione, in minori dimensioni, di tutte le particolarità che offriva la sezione non ancora imbevuta. Dalle foglie di alcune piante si può distaccare facilmente una pellicola epidermica che imbevuta di nitrato di torio e calcinata lascia un residuo nel quale è possibile vedere ancora le cellule dell’ epidermide e la distri- buzione degli stomi. Bisogna però aver cura di fare il confronto colla stessa pellicola non impregnata, perchè in molte piante le cellule dell’ epidermide sono incrostate di sali calcarei o di silice, e la loro cenere riproduce gli scheletri delle cellule (!). Ho incluso in paraffina dei pezzi di tela e di garza impregnati e cal- cinati allo scopo di farne sezioni col microtomo. In questi preparati le se- zioni trasversali dei fili risultano costituite dalle sezioni delle singole fibre che li componevano, che appariscono ben distinte l'una dall'altra. Quando la soluzione impregnante è stata preparata con nitrato di torio e nitrato di magnesio, per es. a parti uguali, e lo scheletro terroso ottenuto per calcinazione si mette a digerire in acqua — e meglio se si aggiunge acido nitrico e si scalda — il detto scheletro in pochi minuti va in disfa- cimento nel senso che la forma del tessuto viene distrutta ed i fili sì scin- dono nelle fibre che li componevano, le quali possono essere montate in bal- samo ed osservate al microscopio. Le esperienze finora riferite valgono a dimostrare che il residuo di ossido di torio assume la forma generale delle fibre e delle cellule; ma con espe- rienze altrettanto semplici si può dimostrare che tutte le particolarità, come ispessimenti spirali, striature, punteggiature areolate ecc., che si riscontrano nelle pareti delle cellule, delle fibre e dei vasi, vengono esattamente ri- prodotte. (1) Un risultato più o meno soddisfacente, a seconda dei casi, si ottiene impiegando intere foglioline, per es. di muschi, e perfino taluni petali di fiori. — 403 — A questo scopo ho pestato dei pezzi di legno di 7axus daccata, Pinus pinea, Clematis vitalba ed altri. La polvere più sottile, trattata con acido cloridrico e lavata, la immersi nel bagno di nitrato di torio; raccolta su filtro, spremuta ed asciugata, procedetti alla calcinazione sulla lamina di platino. Le ceneri montate in balsamo ed osservate al microscopio mostrano tutte le sculture proprie alle dette specie. Lo stesso risultato si ottiene con i vasi scalariformi di Pferzs aquilina. Questi fatti probabilmente sono in rapporto colla costituzione moleco- lare delle membrane vegetali, secondo la teoria del Naegeli, per la quale le membrane cellulari sarebbero costituite da aggruppamenti di molecole di materia organica, detti micelle, interamente circondati da molecole d'acqua, allo stato di imbibizione. Una pianta disseccata può riassorbire una certa quantità d’acqua, la quale è trattenuta in modo diverso da quanto farebbe una spugna e che può dirsi acqua intermicellare. Perciò quando le cellule e le fibre legnose dei precedenti esperimenti vengono imbevute dalla soluzione di nitrato di torio o di altri nitrati terrosi, le molecole di sostanza organica saranno circondate da molecole d'acqua, e da molecole di nitrati uniformemente distribuite. Coll' asciugamento una gran parte del- l’acqua, la quale ha reso possibile l’accesso del nitrato nelle pareti della fibra, sarà cacciata via; ma con tal mezzo il nitrato di torio non potrà essere eliminato, non essendo volatile, e le sue molecole resteranno interposte e circonderanno quelle di sostanza organica. Nella operazione successiva il calore decompone il nitrato, altera la so- stanza organica e la fa bruciare: dopo l’ eliminazione delle parti volatili, di tutto l'edificio non resteranno che le molecole di ossido di torio, le quali ora, benchè non sostituiscano effettivamente le molecole organiche, riprodur- ranno, col loro insieme, la forma e tutti i minuti particolari dell’ edificio che era costituito dalle molecole di sostanza organica. La connessione delle par- ticelle di ossido di torio essendo d’ordine molecolare, ne risulta nell’ insieme una coesione e solidità certamente maggiore di quella che potrebbe avere un aggregato di particelle finissime materialmente, ma assai grossolane rispetto alle molecole. Ciò può comprovarsi spalmando un pezzo di garza con la pol- tiglia fatta macinando finamente l'ossido di torio con acqua. Dopo l’ incene- rimento resta uno scheletro terroso fragilissimo e che spesso va in disfaci- mento durante la bruciatura. Convincente è poi l’ esame microscopico delle sezioni trasversali di questo scheletro terroso incluso in paraffina. Ho già di sopra accennato alla naturale interposizione di sali calcarei e di silice nelle pareti cellulari in alcune piante, talchè dopo la calcinazione le ceneri rappresentano come uno scheletro delle cellule stesse. Ma la natura offre anche un più completo esempio; infatti nelle roccie sedimentarie si rinvengono di frequente tronchi e rami d’alberi pietrificati, costituiti attual- mente di calcite o di silice, nei quali oltre l'aspetto legnoso sono spesso con- — 404 — servati tutti i dettagli anatomici ed istologici (!). Nel processo di fossilizza- zione la soluzione calcarea o la silicea si è interposta molecolarmente alla materia organica, e prima che questa venisse alterata o distrutta, la calcite o la silice presero la forma solida (*). Si può dunque concludere che nella pratica del sistema descritto si ha un fenomeno d'interposizione molecolare col quale è possibile far penetrare nelle pareti delle cellule e delle fibre vegetali un corpo solido, insolubile e refrattario come l’ ossido di torio od altra miscela di ossidi terrosi, per com- pierne in pochi minuti una vera e propria pietrificazione. Chimica fisiologica. — Za combustione nell’ aria rarefatta. Nota del dott. A. BENEDICENTI, presentata dal Socio A. Mosso. Dopo le esperienze fatte dal Cigna (*) nel secolo scorso intorno alla com- bustione e alla respirazione nell'aria rarefatta molti studiarono questo inte- ressante problema. Davy, nelle sue classiche ricerche sulla fiamma (4), dopo aver accennato alle difficoltà di questo genere di studi, scrisse che la rarefazione dell’ aria non diminuisce considerevolmente il calore della fiamma, ma che il potere illumi- nante della medesima è diminuito dalla rarefazione ed aumentato invece dalla condensazione dell’aria atmosferica. Triger (°) vide che nell'aria compressa le candele si consumavano più rapidamente, ma che la combustione era incompleta, perchè facevano più fumo. Le Conte ($) in una sua Memoria intorno all’ influenza della luce solare sulla combustione, ritenne come dimostrato che il processo di combustione sia ritardato dalla diminuzione della pressione e accelerato dall’ aumento della medesima. Altre ricerche su tale questione furono fatte, più tardi, da Frankland e Tyndall facendo bruciare alcune candele a Chamounix ed altre affatto si- mili sulla sommità del Monte Bianco, e calcolando il consumo di stearina per ogni ora. Essi trovarono come risultato le medie seguenti: A Chamounix. . . . . 9,4 gr. di stearina per ora Sul Monte Bianco |. WR. 952) gr. id. (?) Posseggo due campioni di legno di conifere pietrificato, uno in calcite trovato nei dintorni di Roma, l’altro in silice trovato nei dintorni di Oschiri, che toccati si ridu- cono in polvere e questa si compone di tracheidi isolate e ben conservate. Questo esempio illustrerebbe il fenomeno di scissione nelle singole fibre precedentemente descritto. (3) Nella maggior parte dei casi, prima o dopo l’alterazione della materia organica, la sostanza mineralizzante riempie tutte le cavità esistenti nel legno. (8) Mélanges de philos. et de math. de la Société Royale de Turin 1760, 1761, pag. 200. (4) Philosophical Transactions, 1817, p. 65. (5) Annales de Chimie et de Phys. 3° sér., tom. III, p. 234. (6) American Journal of Science and Arts [2] XXIV. 317. — 405 — Conclusero che tale piccola discordanza era probabilmente dovuta alla differenza di temperatura (21° cg.) tra le due stazioni e che la combustione delle candele era perciò intieramente indipendente dalla intensità dell’aria. Alcuni anni dopo Frankland (!) riprese questo argomento: ma egli, più che del diverso consumo di combustibile, si occupò delle variazioni del po- tere illuminante della fiamma nelle varie pressioni. Concluse che al di là di un certo limite minimo la combustione è tanto più perfetta quanto più è rarefatta l'atmosfera. In un lavoro successivo (*) Frankland dimostrò che la fiamma diviene assai luminosa nell'aria compressa e che la depressione atmosferica ne diminuisce molto lo splendore. Trovò che la fiamma dell’ idro- geno e dell’ossido di carbonio rischiarano come una candela alla pressione di 20 atmosfere. Berthelot (3) nelle esperienze sulla decomposizione dell'acetilene per mezzo della scintilla elettrica vide una maggiore luminosità della medesima per effetto delle aumentate pressioni; Saint-Claire Deville (4) richiamò l’at- tenzione sulle variazioni di temperatura della fiamma nella pressione aumen- tata e diminuita, e Cailletet (°) in base a varie esperienze fatte bruciando delle candele, dello solfo, del potassio, del solfuro di carbonio e dell’ idro- geno nell’ aria compressa, asserì che la combustione nell'aria compressa è incompleta, ma che però i raggi luminosi e i raggi chimici aumentano di intensità. Parecchie altre esperienze furono fatte sulla fiamma dosando l'acido car- bonico da questa prodotto in una determinata unità di tempo, e più special- mente allo scopo di dimostrare l'influenza della ventilazione sulla quantità di acido carbonico contenuto nell'aria di ambienti chiusi. Ricorderò solo i lavori di Zoch (5), Cramer (7), Grehant ecc. e quelli più recenti fatti in Erlangen da Hibner (8) e in seguito da Gengler (°). ‘Hiibner fece delle esperienze con lumini da notte, ma siccome questi facilmente si spegnevano, se la ventilazione era un po’ troppo forte, adoperò più tardi delle candele steariche, delle piccole fiamme a gas ed inoltre la lampada di Hefner-Altenech. Determinò l'acido carbonico prodotto dalla fiamma (1) Frankland, Philosoph. Transact., vol. CLI, p. 629, 1862. — J. Tyndall, Hours of ewercise in the Alps, pag. 56. (2) Philosophical Magazine, t. XXXVI, p. 309-311; e Archives de Genève, t. XXXIII, Do (00 (3) Berthelot, Compt. rend. Académie des sciences, t. LXVIII, p. 536. (4) Saint-Claire Deville, ibid., t. LXVIII, p. 1089. (5) Cailletet, ibid., t. LXXX, p. 487 e in Annales de Phys. et de Chimie, 1875, p. 429. (5) Zoch, Zeitschr. f. Biologie, Bd. III, S. 122. (7) Cramer, Arch. f. Hygiene, Bd. X, S. 315. (8) Hibner, Sitzungsber. med.-physikal. Soc. zu Erlangen, 1895. (®) Gengler, Inaug. Dissert. Erlangen, 1896. — 406 — col metodo di Pettenkofer analizzando solo una parte dell'aria che circolava entro la campana dove la fiamma ardeva. Non riscontrò che vi fosse uno stretto rapporto fra l'altezza della fiamma e il contenuto in acido carbonico dell’aria ambiente. Egli dimostrò che se la circolazione dell’aria è inferiore a 117 litri per ora, la combustione è imperfetta. Facendo passare l’aria (che ha circolato nella campana ove la fiamma brucia) attraverso a del sangue, egli potè notare in questo per mezzo dello spettroscopio le strie di assorbi- mento proprie dell'ossido di carbonio, allorquando la ventilazione era insuffi- ciente; e disse che l’ossido di carbonio era uno dei principali prodotti secon- dari di questa incompleta combustione. Avvertì che occorrevano almeno 240 litri di aria all’ ora, perchè la fiamma bruciasse perfettamente come all'aria li- bera. Egli notò il fatto sul quale più tardi ritornò anche Gengler, che cioè la fiamma si modifica assai quando brucia in un ambiente molto ricco di. acido carbonico. Essa diviene periodicamente piccolissima, come se stesse per spegnersi e brucia senza spandere alcuna luce, indi va lentamente prendendo la grandezza e lo splendore di prima. Questo giuoco si ripete sempre di nuovo con determinate pause, tanto più lunghe quanto maggiore è la quantità di acido carbonico contenuto nell'aria. Quando l'acido carbonico ha raggiunto il 18 °/,, la fiamma si spegne. Sino dal 1894, quando il prof. A. Mosso stava preparandosi alla sua spedizione sul Monte Rosa per studiare la fisiologia dell’uomo a grandi al- tezze, venni da lui incaricato di studiare la combustione nell'aria rarefatta; e fu in quell’anno che feci le presenti ricerche. Il problema della respirazione sulle Alpi è un fenomeno molto complesso, perchè oltre alla rarefazione dell’aria possono intervenire altre cause che modi- ficano la produzione e la eliminazione dell’ acido carbonico. Dopo aver fatto nella campana pneumatica alcune esperienze sulle scimmie, simili a quelle pubbli. cate dal prof. Ugolino Mosso (') ma con metodo diverso, tentammo di ridurre il problema della respirazione nell'aria rarefatta ad una esperienza più ele- mentare, studiando semplicemente la combustione di una candela a differenti pressioni. Avendo naturalmente cura che mentre la diminuzione diminuiva, ri- manesse così abbondante la corrente dell’ aria da non temere per questo degli inconvenienti. Nelle mie prime esperienze sulla combustione mi servii di candele steariche; più tardi però feci le mie ricerche con un piccolo lume il quale dava una fiamma uguale durante tutto il tempo della esperienza. In un bic- (1) Ugolino Mosso, Za respirazione dell’uomo sul Monte Rosa. Rendiconti Acca- demia dei Lincei, 12 aprile 1896. — 407 — chierino ripieno di olio puro di oliva, mettevo a galleggiare un piccolo di- schetto di sughero attraversato nel centro e verticalmente da un finissimo tubo di vetro, a mo' dei comuni lumini da notte. Attraverso a questo tubo avevo fatto passare pochi fili di amianto i quali fungevano da lucignolo. In tal modo si ovviava alla variabile inclinazione del lucignolo e alla facile carbonizzazione del medesimo, fatti questi che nelle candele modificano sempre la maggiore o minore attività della combustione. Per rarefare l’aria entro la campana nella quale era collocato il lume, mi sono servito di una pompa Deleuil, grande modello, costruita in modo che ad ogni colpo di stantuffo si possono togliere 725 ce. di aria. L'aria aspirata dalla campana nel cilindro della macchina pneumatica, nel venire spinta fuori, poteva farsi circolare attraverso all’ apparecchio destinato a fissare l’ acido carbonico prodotto. Due cose erano tuttavia necessarie: prima, ottenere una attiva circola- zione d'aria nella campana pur mantenendo la pressione diminuita, ed in secondo luogo analizzare, nelle determinazioni del CO?, solamente una parte della grande quantità di aria che circolava, non potendosi tutta far passare rapidamente attraverso all’ apparecchio d’ analisi. Ho ottenuto il primo scopo adottando una disposizione analoga a quella di Frankland, vale a dire facendo penetrare dall'esterno l’aria nella campana e regolandone l’accesso per mezzo di un rubinetto in modo da avere una forte corrente d’aria anche a pressioni diminuite. Ho poi facilmente risolto il secondo quesito, lasciando sfuggire all’esterno una parte dell’aria che circolava nella campana e calcolando con due conta- tori, dei quali l'uno era posto prima della campana e l’altro prima dell’ ap- parecchio d'analisi, la quantità totale di aria circolata e la quantità di aria sottoposta all’ analisi. L'apparecchio per la determinazione del CO? prodotto dalla fiamma, era composto di alcuni tubi ad U con cloruro di calcio per trattenere il vapore acqueo, di sei tubi collocati in serie l'uno dietro l’altro e contenenti solu- zione di potassa al 50 °/, di altri due tubi ad U con cloruro di calcio allo scopo di fissare l'acqua evaporata dai tubi a potassa, e di un tubo di vigilanza contenente potassa caustica in pezzi. Talora ho fatto sorgogliare per ultimo l’aria analizzata attraverso ad una soluzione di idrato di bario, e l invariato peso del tubo di vigilanza e la costante limpidezza di tale soluzione durante tutto il tempo dell’ esperienza, mi assicuravano che tutto il CO? veniva fissato. In tali esperienze sulla combustione occorrevano però altre precauzioni onde evitare che la corrente d'aria, penetrando nella campana, agitasse la fiamma e influenzasse così la combustione. A tal uopo feci giungere il tubo pel quale l’aria entrava nella campana, al disotto di un disco di cartone poco minore del diametro interno della campana: e sopra tale disco, sostenuto da quattro pezzetti di sughero, collocavo il lume circondandolo da tutti i lati — 408 — con una reticella metallica a guisa delle lampade Davy. L'aria, aspirata dalla pompa, giungeva dallo esterno sotto al disco di cartone e scorreva lungo le pareti della campana. In tal modo la corrente d'aria non disturbava affatto la combustione, e la fiamma rimaneva perfettamente immobile durante tutto il tempo della esperienza. Ho fatto dapprima bruciare il lume, per determinati periodi di tempo alla pressione ordinaria per conoscere la differenza nel consumo che sì riscontra da una volta all'altra, e stabilire se le differenze trovate nelle esperienze fatte alla pressione diminuita rientrassero o no nel limite degli errori possibili. Trovai che le differenze nel consumo tra una volta e l’altra sono assai pic- cole, come appare dai dati seguenti: Esperienze Pressione atmosferica Consumo in l ora I 740 gr. 1,7976 IDE 740 » 1,7826 III. 742 » 1,8225 TIVE 742 » 1,8100 Stabilito tale fatto, in altre esperienze feci bruciare il lume prima alla pressione di 360 mm. di mercurio, pari a circa 6000 metri di altezza. Nella seguente tabella, riferisco come esempio i dati di cinque espe- rienze: Numero | Durata di CONSE Pressione Differenza | Temperatura 1,9119 360 mm Variabile fra o ‘ |} 0,2811 US AE ( 2,1930 | ordinaria i ana ÎI | 1 ora O) eviao 2,1054 ordinaria Ti ora I a O ( 1,2980 ordinaria IV | 10ra loro ORLO | lena 1,3170 ordinaria Wii sora i, 900 A ioi2000 i 2,1540 ordinaria Dall'esame di queste cifre si riconosce che il consumo di combustibile è minore nella pressione diminuita che non alla pressione atmosferica ordi- naria. — 409 — Con tale risultato, si accordano le determinazioni dell'acido carbonico ottenuto dalla combustione in differenti pressioni barometriche. Questo risulta dalle cifre di altre esperienze raccolte nella seguente tabella: c ; CO? prodot- Consumo Aria Aria PASTOR Numero | di com- Durata |analizzata | circolata Pressione ato sla bustibile a 0° e 760°/a 0° e 160nI Da i ; 1,3980 1,0485 1,3170 ( i (38,84 | 323,05 ordinaria l (66,51 | 596,55| 370 mm. | | (44,50 | 453,52 | ordinaria | (lE i 55,01 | 444,22 | 370 mm. III (1,3010 1), ora 45,25 | 428,91| ordinaria | iLozo0 |} (I, \ i | l | ) | (I ) ( 1,0200 39,90 | 410,20| 370 mm. 58,21 | 441,10| ordinaria 56,26 | 791,40| 370 mm. 92,82 | 435,02 | ordinaria 56 65 | 850,17 | 370 mm. 0,9770 TSO Si poteva pensare che la diminuzione nel consumo di combustibile di- pendesse dalle variazioni di temperatura, o dalla diminuzione dell’ ossigeno dovuta alla rarefazione dell’aria, od infine che la combustione fosse imper- fetta e che altri prodotti secondari si avessero oltre l’ CO? analizzato. Ma per ciò che riguarda le variazioni di temperatura, col metodo che io ho adoperato, esse non superano un grado, od al più un grado e mezzo, e non possono certamente dar ragione delle differenze riscontrate nel consumo di combustibile, e per ciò che riguarda la quantità di ossigeno io ho elimi- nato il dubbio con ripetute esperienze (come alla IV e V riferite nella ta- bella precedente) facendo circolare una quantità doppia di aria mentre si man- teneva il lume alla pressione diminuita. Se si confrontano i dati della precedente tabella e si cerca quale sia il rapporto tra la differenza nel consumo e la differenza nella quantità di CO? prodotto nelle due diverse pressioni, si hanno dei numeri abbastanza concor- danti avuto riguardo alla relativa esattezza del metodo usato. N. Differenza nel consumo Differenza nel CO? prodotto I 0,3495 0,490 II 0,2362 0,226 III 0,2810 0,306 IV. 0,2740 0,270 Vi 0,1817 0,190 RenpIcONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 54 _'AS Rimaneva pur tuttavia interessante investigare se la combustione alla pressione diminuita fosse oltre un certo limite perfetta, come già Frankland aveva ammesso, ovvero se fosse incompleta come scrissero alcuni degli autori sovraccennati. Fra i prodotti secondari della combustione io non ho ricercato che l' os- sido di carbonio, facendo gorgogliare l’aria, in cui era avvenuta la combu- stione, attraverso ad una soluzione titolata di cloruro di palladio. Il minimo precipitato di palladio ridotto per opera dell’ossido di carbonio che sì for- mava, sia allorquando il lume bruciava alla pressione normale, come quando ardeva alla pressione diminuita, mi hanno mostrato che non vi era una sen- sibile differenza nei due casi. Le esperienze che feci raccogliendo il precipitato su filtro tarato e pe- sandolo accuratamente mi dimostrarono che l’'ossido di carbonio che si pro- duce allorquando la fiamma brucia a pressione diminuita è in quantità mi- nima, semprechè la diminuzione della pressione non oltrepassi un determinato limite. Tracce di ossido di carbonio si possono riscontrare anche allorquando la fiamma brucia con sufficiente ventilazione alla pressione normale. Resta quindi confermato che sulle alte montagne diminuisce l'intensità dei processi di combustione, ma che a 6000 metri di altezza la combustione è ancora completa. Per riferirsi all’ esempio delle candele che Frankland e Tyndall fecero bruciare a Chamounix e sulla vetta del Monte Bianco, senza giungere ad un risultato sicuro, possiamo conchiudere che a 6000 metri di altezza una can- dela brucia meno attivamente che alla pressione ordinaria. ) La combustione è perfetta, e se la quantità di acido carbonico prodotto è minore, ciò dipende da ciò che è meno grande la parte di combustibile che si consuma. Fisiologia. — Su/l azione fisiologica dei quattro acidi santo- nosi. Nota del dott. D. Lo Monaco, presentata dal Socio L. LUCIANT. L'acido destro-santonoso si presenta in aghi bianchi che fondono a 178°, insolubili nell'acqua. Neutralizzandolo col carbonato sodico, metodo adoperato anche per gli altri acidi, ne abbiamo preparato il sale sodico, riducendo dopo la soluzione al titolo del 10 °/o. Esperienze sulle rane. Esperienza I. — Rana di gr. 26. H. 8,30. — S'iniettano 0,4c.c. di soluzione. » 845. — La rana sta sul ventre, molto cheta. Pizzicata non riesce a saltare bene. — 411 — H. 9,15. — Non sopporta la posizione dorsale. » 9,80. — Messa sul dorso vi rimane. » 12 — I riflessi si sono indeboliti. » 16 — Il cuore si arresta in diastole. Esperienza II. — Rana di gr. 20. H. 8,30. — S'iniettano 0,6 c.c. di soluzione. » 8,45. — La rana sta ferma, pizzicata fa piccoli salti. » 9,15. — Sopporta la posizione dorsale, i movimenti ioidei sono diminuiti. » 10 — I riflessi si mostrano deboli. Scoperto il cuore, esso pulsa debolmente, e finisce coll’arrestarsi in diastole dopo parecchie ore. Esperienze sui mammiferi. Coniglio di gr. 450. H. 8,30. — S’iniettano 10 c.c. di soluzione. » 9,80. — L'animale è meno vispo di prima; bisogna pizzicarlo fortemente per farlo muovere. » 10,45. — Il coniglio cammina barcollando. Il cuore pulsa con forza, ma il respiro è diventato raro. n INI — Il coniglio non riesce più a camminare; i riflessi sono però conservati. » 11,80. — Si trova morto; alla sezione gli organi non presentano nulla di anormale. L'acido santonoso tanto nelle rane che nei mammiferi non esercita al- cuna azione sulla funzione cardiaca; crediamo quindi inutile di riportare per disteso tutte le esperienze eseguite in proposito. Sicchè il decorso dell'avvelenamento che subiscono gli animali a’ quali si è iniettato l'acido santonoso, procede nella stessa maniera di quello che abbiamo descritto studiando le desmotroposantonine. Si nota, cioè, prima una leggiera narcosi seguita dalla paralisi generale, con perdita più o meno forte dei riflessi, tanto che la morte avviene nella completa anestesia per arresto del respiro. Gli acidi levo-, racemo- e desmotropo-santonosi sono sostanze paralizzanti come l'acido santonoso, per la quale ragione omettiamo per brevità la descri- zione delle varie esperienze. E poichè non solo il decorso dell’avvelenamento, ma anche la dose tos- sica di questi acidi è uguale, bisogna ammettere che il potere rotatorio, unico carattere differenziale di essi, non ha alcun rapporto coll’azione fisio- logica. Tenendo poi presente la loro formula di costituzione, notiamo che essi, oltre un carbossile, contengono l’ossidrile fenico la cui presenza è stata dimo- strata dai professori Cannizzaro e Carnelutti prima, e dal prof. Andreocci dopo, essendo riusciti ad ottenere i benzoil-santoniti, i derivati sodici e gli etil-santoniti-etilici. Vedremo che l'azione fisiologica degli acidi santonosi è in rapporto con la loro costituzione chimica, anche per la presenza dell’ossidrile fenico nella loro molecola. — 412 — I prodotti di scomposizione, come abbiamo detto, degli acidi santonosi sono il dimetilnaftolo e l'acido propionico. Il dimetilnaftolo, cristallizzato in aghi splendenti, fonde a 135°-136°; è solubilissimo nell’ etere, nell’acido acetico e negli idrati alcalini; pochis- simo solubile invece nell'acqua, alla quale comunica una bella fluorescenza azzurra. La soluzione sodica, che noi abbiamo adoperata al titolo del 2,5 °/o, iniettata alle rane e ai mammiferi, produce fenomeni intensi di paralisi mo- toria con piccole dosi come quelle di cui ci siamo serviti per lo studio dell’azione fisiologica del solfato di santoninammina. Per ottenere l’avvelenamento invece negli animali con la somministra- zione del proprionato sodico al pari del dimetilnaftolo, sostanza paralizzante, bisogna iniettare dosi molto più grandi. Mentre una rana muore con 2 cgr. di dimetilnaftolo, ce ne vogliono 30 o 40 di propionato sodico per ottenere il medesimo risultato. Sulla funzione cardiaca questi composti non esercitano alcuna influenza. Cosicchè tanto gli acidi santonosi che i prodotti della loro scomposizione, presentano eguale azione; però il potere tossico dei primi è molto più de- bole di quello del dimetilnaftolo e molto più forte di quello dell'acido pro- pionico. Dimostreremo in seguito che queste azioni non hanno nessun rapporto colla loro costituzione chimica. Considerazioni sintetiche e conclusioni. Gli importanti lavori eseguiti dal prof. Cannizzaro e dai suoi assistenti sulla santonina, ci hanno messo in grado di compiere uno studio completo dei suoi prodotti di trasformazione, e di decomposizione, e di poter così ri- cavare alcuni criteri generali. Stando alla formula di costituzione della santonina. — 413 — ammessa dal prof. Cannizzaro, possiamo ad essa ravvicinare le due iposan- tonine isomere CH; RICA, HC S CH) at HC CH—CH î CH, 3 MCH, CH, e la santoninammina: CH, c Mc: H;C CH-0 CO NH,0 d CH-CH C CH, CH; CH; per formarne un primo gruppo farmacologico. Tra i prodotti compresi in questo gruppo è utile considerare l’iposantonina come tipo fondamentale, perchè nella sua molecola manca l'ossigeno chetonico (!). Essa costituisce un nucleo di natura eccitante, che bisogna tener presente nella interpretazione dell’azione fisiologica di tutti i derivati della santonina. Se ora passiamo ad esaminare la formula della santonina, noi osserviamo che essa differisce da quella dell'iposantonina per la presenza dell’ ossigeno chetonico il quale, in qualunque composto esso si trovi, esercita sempre un'azione paralizzante. Tra questi composti basterà citare l’acetone ordinario studiato da Alber- toni, l'ipnone CH; CO < C,H, (1) Veramente il tipo fondamentale sarebbe la biidroiposantonina CH; [ C 6 CH, H;C CH-0 CO HsC 0 CH-CH C CH, CH; | CH; Questo composto che non è stato ancora preparato, differirebbe dalla santonina per la sostituzione dell'ossigeno con due atomi di idrogeno. — 414 — studiato da Dujardins-Beaumetz, la cumarina da Koeler e molti altri. Viceversa la santonina, che dovrebbe far parte della serie suddetta, eser- cita sugli animali un'azione eccitante, che però è un poco più debole di quella dell’iposantonina. Bisogna quindi ammettere che nel nostro caso l’os- sigeno chetonico non riesce a neutralizzare e a cambiare l'azione del nucleo fondamentale, ma solamente ne scema l'intensità. L'effetto opposto noi osserviamo quando all’ossigeno chetonico sostituiamo il gruppo amminico (NH) il quale in tutti i composti manifesta una for- tissima azione eccitante. Allora il potere tossico del nucleo fondamentale si rinforza, e la san- toninammina può considerarsi come un vero alcaloide di azione eccitante. Quindi tanto la santonina che la santoninammina mostrano che l’azione del nucleo fondamentale dei corpi si può modificare cambiando qualche parte della sua molecola. Questa proprietà è stata utilizzata in farmacologia, in quanto che al- cune sostanze che presentavano inconvenienti per essere utilizzate nella te- rapia, trasformate per mezzo dell'introduzione o della sostituzione di altri radicali nella loro molecola, sono ora ritenuti farmaci preziosi. Lo studio dei prodotti di eliminazione della santonina, che noi abbiamo intrapreso, ci fornirà altri risultati per dimostrare meglio il rapporto che passa tra azione fisiologica e costituzione chimica nei composti da noi presi in esame. i Un secondo gruppo farmacologico dei derivati della santonina risulta costituito dalla desmotroposantonina, dall'isodesmotroposantonina e dai quattro acidi santonosi. Tutte queste sostanze contengono nella loro molecola l'ossidrile fenico (OH), ed esercitano sugli animali un'azione paralizzante. Pare a prima giunta che ciò si trovi in contradizione con le conoscenze che si hanno sull'azione dell’ ossidrile, il quale tanto negli alcoli, che nei fenoli è di natura eccitante. Dobbiamo però notare che il tipo dei composti da noi studiato non si può paragonare nè alle sostanze della serie grassa, nè a quella della serie aromatica; ma appartiene a quella più importante classe di composti a catena chiusa saturi o parzialmente non saturi, che da Bam- berger furono chiamati alzezelici. La letteratura sull'azione fisiologica dei compostî idrossilati di questa classe è molto scarsa. — CO Per quanto noi sappiamo, risulta soltanto che il merzolo che è un al- cole secondario aliciclico della costituzione FM C.H' NA C - SH o CL ) si | OH H,0 DICH dalle esperienze di Pellacani (!) si sa che è paralizzante; e similmente il borneolo Cin Hi;0H (che è l'alcool secondario corrispondente alla canfora), e che, quantunque la sua costituzione non sia ancora conosciuta, pure da tutti i chimici viene considerato come un composto aliciclico con due nuclei, per le esperienze dello stesso autore, risulta che è anche esso paralizzante. Il gruppo di queste sostanze idrossilate da noi studiate viene quindi ad aumentare le conoscenze che si hanno in questo campo, e a porre la questione, se l’ossi- drile dei composti aliciclicici esercita un’ azione completamente opposta a quella che si nota in quelli alifatici e aromatici. Uno studio completo di queste sostanze alicicliche idrossilate merita di essere intrapreso. Negli acidi santonosi, oltre la presenza dell’ ossidrile, esiste un carbos- sile proveniente dall’ossidazione del legame lattonico. Il prof. Coppola ha dimostrato che questo non ha alcuna influenza sull'azione fisiologica dei derivati della santonina (*); la differenza quindi nel potere tossico che osser- viamo tra la desmotroposantonina e gli acidi santonosi, deve forse dipendere dalla maggiore solubilità che presentano gli acidi, i quali per questa pro- prietà sono assorbiti più facilmente delle desmotroposantonine. In questo gruppo di sostanze che abbiamo esaminato, non abbiamo com- preso il dimetilnaftolo, per la semplice ragione che esso non appartiene alla serie aliciclica, ma bensì a quella aromatica. Nessun paragone possiamo quindi fare tra esso e gli acidi santonosi, quantunque sieno tutti e due paralizzanti. Osserviamo però per il dimetilnaftolo che l’azione eccitante dell’ ossi- drile attaccato al nucleo aromatico, viene ad essere neutralizzata e cambiata dall'azione paralizzante dei due metili; di modo che l’azione finale risulta di natura uguale a quella di questi ultimi radicali. (1) Arch, scienze mediche, vol. VI. (2) Zo Sperimentale, loco citato. — 416 — Biologia. — .Sw//a azione biologica dei raggi di Rontgen. Nota del prof. STEFANO CAPRANICA, presentata dal Socio TOMMASI-CRUDELI. Per studiare l’azione biologica dei raggi di Ròntgen sugli animali su- periori (mammiferi), era necessario scegliere fra i più piccoli e capaci di es- sere studiati con certezza assoluta, come determinazioni analitiche, potendo con essi evitarsi le multiple cause d'errore derivanti dai momenti speciali di nutrizione, di lavoro, ecc. Ho scelto a tal uopo il Mus musculus, Var. Albina. Determinai sopra 6 individui durante 40 giorni consecutivi, tutti i diversi coefficienti d' eliminazione del CO? studiando l’ influenza della luce o diffusa, o diretta solare, o quelle artificiali (luce Wolz, luce elettrica, ecc.); quindi passai tenendo gli animali ad un regime costantemente ed esattissimamente uguale, ad osservare gli effetti della luce dei tubi Geissler, e finalmente dei tubi Rontgen. Per coteste esperienze mi sono servito di un apparecchio speciale (del quale sarà data completa descrizione nella Memoria da presentarsi completa), capace di dare risultati di un’ esattezza assolutamente uguale a quella richiesta da un apparecchio d'analisi chimica, giacchè sostituendo al topo un fram- mento di carbonato di calcio purissimo (spato), trovai, agendo nella identica guisa che nell’esperienze con gli animali, la cifra di 0,210 per 0,5 di Ca0,C0?, mentre teoricamente doveva trovare 0,220, e la differenza fra i due valori deve essere calcolata anche con le quantità di CO°, assorbite dai tubi ad acido solforico ecc. interposti fra l'apparecchio a respirazione, ed i tubi a dosamento del CO?. Questa esattezza era necessaria per la limitazione del tempo delle espe- rienze, ed anche per questo presenterò i documenti provanti oltre il necessario, essere cotesta limitazione (da 1, a 3 ore) più che sufficiente per l’ attendibilità dei risultati. Come pure feci esperienze onde cercare, se il rumore dell’ in- terruttore fosse causa d'errore (sostenendo alcuni essere i topi ed altri ani- mali sitfatti impressionati da’ suoni, rumori, ecc.). Eliminato ogni dubbio, e studiata ogni possibile condizione, ecco i ri- sultati raggiunti : 1° Il Ms musculus dà la medesima quantità di CO?, sia all’ oscu- rità completa, sia alla luce ordinaria diffusa (luce mista del giorno, in qua- lunque ora ed in qualunque condizione metereologica). 2° Il Mus musculus invece è fortemente impressionato, ed il ricambio è diverso, quando è costretto a respirare sotto la ferza dei raggi solari diret- tamente projettati su lui. Non è la temperatura che influisce, poichè mediante soluzioni d’allume e doppia riflessione de’ raggi (mantenuti fissi da un elio- — 417 — stata), la temperatura rimaneva invariata. La diversità del ricambio è do- vuta soltanto alla intensità luminosa, e non ai differenti raggi dello spettro solare. Ciò richiese una serie speciale di ricerche, e mediante soluzioni, e schermi monocromatici, furono provati i sette colori (grossolanamente divisi) sempre con identico risultato. Ossia quando erano semplicemente interposti fra l'apparecchio, ove era il topo e l’ apertura dell’ ambiente, all’ ingresso della luce, nulli: identici come eccitanti e come variazione di C0?, quando pro- jettati dall’ eliostata e concentrati sull’ apparecchio. 8° Le luci artificiali (luce Wolz, luce Auer, luce elettrica) agiscono identicamente alla luce solare, cioè soltanto quando projettati concentrandoli con lenti ecc., ma non quando adoperati come illuminanti la stanza delle espe- rienze. 4° La luce dei tubi Geissler (varii modelli) non ha assolutamente azione veruna. 5° Finalmente la luce Rontgen (ottenuta con un palloncino nuovo mo- dello Geissler), alimentato da un rocchetto capace di dare scintille di 12 a 14 centimetri con un voltaggio costante durante tutta la durata dell’ espe- rienza, di 10 a 12 Volts, non ha azione veruna sulle quantità di CO? eli- minate dall’ animale, e ciò qualunque sia la condizione di questo: cioè se digiuno, se în digestione, se tenuto prima molte ore all’ oscurità 0 viceversa. 6° Quello che sì è constatato sempre con tutti i sei topi adoperati per le esperienze, è un eccitamento fortissimo che si manifesta cessata l’espe- rienza, e che perdura per parecchie ore. Mentre i topi in tutte l’ esperienze, appena rimessi nelle loro gabbiette, mangiano ed assorbono avidamente il latte che loro si prepara, quando sono stati sottoposti durante 1 ora soltanto all’azione dei raggi X, corrono e arrampicano disordinatamente su le pareti della gabbietta, non mangiano se non dopo vario tempo, in una parola sì mostrano eccitati e 7e7v0s7, in rimarchevole modo. 7° Io stimo dover essere coteste forme d’eccitazione nervosa, in di- retta ragione con i fatti già noti, dell'influenza dei raggi X sopra i corpi carichi d’ elettricità. Assai probabilmente i raggi X, agiranno sugli stati elettrici dei piccoli animali integralmente sottoposti alla loro azione. 8° Ho fatto anche alcune prove sugli animali a sangue freddo (Coronelle, ropidonatus natrix), ma senza alcun apprezzabile risultato sinora (1). (1) Credo superfluo accennare, come in ogni esperienza con i raggi X, venisse posta una lastrina sensibile chiusa in scatolina di legno, sulla quale era un piccolo schermo metallico di cui si otteneva l'ombra fotografata, e ciò per escludere ogni obiezione sulla potenzialità del tubo a produrre i raggi suddetti. Come pure, onde prevenire altra obie- zione, dirò che l’aria passante nell’ apparecchio, mentre funzionava il rocchetto, era presa dall'esterno e non dall'ambiente nel quale si trovavano certo dei gaz assai nocivi agli organismi animali. P. B. 1 TN MAO TI ARAZIO) va Ni aida sara RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 6 giugno 1896. F. BrioscHI Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Astronomia. — Sulla rotazione e sulla topografia del Pia- neta Marte. Memoria del Socio G. SCHIAPARELLI. Questo lavoro sarà pubblicato nei volumi delle Memorie. Fisica. — Sw modo col quale i raggi X facilitano la sca- rica dei corpi elettrizzati. Nota del Socio EMILIO VILLARI. In una Nota, presentata il 14 marzo scorso alla R. Accademia di Napoli ('), io indicavo il modo di operare dei raggi X nello scaricare i corpi elettrizzati. In seguito ho fatto molte ricerche sul medesimo soggetto, e vengo qui ad esporre i risultati sino ad ora ottenuti. La mia prima idea fu di studiare se i raggi X attraversando un dielet- trico lo rendessero conduttore in maniera da agevolare, attraverso di esso, la (1) Rend. d. R. Acc. di scienze fisiche, matematiche di Napoli, fasc. 4°, aprile 1896. RENDICONTI, 1896, Vol. V, 1° Sem. 55 — 420 — scarica di un corpo elettrizzato. In queste ricerche, come dielettrico, adoperai la paraffina perchè, oltre ad essere fra i migliori coibenti, è trasparentissima ai raggi X e si lavora con la massima facilità. L'apparecchio che adoperai, indicato schematicamente dalla fig. 1, era formato da un Crookes a pera C, contenuto in una cassa di legno LL, rive- media BR ETNO stita e chiusa affatto, meno che posteriormente. da una di lastra di piombo grossa 4,4 mm. e saldata tutta all’intorno. Di contro al fondo del tubo la cassa aveva un foro di 9 em., e di contro ad esso, a 40 0 50 cm., trovavasi l’elettroscopio E. Questo era chiuso completamente in una gabbia di guardia di fitta e sottile rete di ottone ricoperta di stagnola, salvo nella parete di contro al Crookes, che era ricoperta da una lastra d'alluminio grossa 0,5 cm. e 30 X 30 cm. di superficie. Detta gabbia era unita al suolo per via dei tubi del gas. Le foglie di oro dell’'elettroscopio vedevansi attraverso la rete della gabbia, per due fori opposti di 5 cm. praticati nella stagnola; ed erano osservate a distanza con un cannocchiale ad ingrandimento, avente una scala in vetro minutamente graduata al posto del reticolo. La durata della scarica dell’ elettroscopio si determinava con un cronometro puntatore a quinti di secondi con grande esattezza. L'elettroscopio, col suo gambo iso- lato con tappo di paraffina, conservava invariata per molto tempo la sua carica; cosicchè le misure, relative alla durata delle scariche, sempre brevi, non abbisognavano di correzione alcuna. Ciò detto, ecco come sperimentai. Caricai l’elettroscopio con una pila a secco, e facendo poscia agire il tubo Crookes, osservai che : — 21 — L'elettroscopio discendeva di 10° in 4,7 (‘). INTE Indi circondai strettamente il bocciuolo, il gambo e la metà inferiore della pallina dell’elettroscopio con un blocco di paraffina « d fig. 2, accuratamente prepa- rato; ed esposto ai raggi X, come sopra, osservai che: L'elettroscopio scendeva di 10° in 14,5. L'elettroscopio, adunque, col gambo e la pallina tutta scoperta si scarica, per l'azione degli X, nel terzo del tempo, che gli occorre quando il gambo e la mezza pallina inferiore sono inviluppati dalla paraffina. E giova ricordare, che la paraffina essendo trasparentissima pei raggi X, poco può affievolirli quando l’attraversano. Perciò è a credersi, come sarà confermato in seguito, che nella ultima esperienza la scarica abbia luogo pressochè solo dalla mezza pallina scoperta, e perciò più lentamente. Di poi ricoprii il blocco 4 d col coperchio di pa- raffina cd, avente l’impostatura esatta della mezza pallina scoperta, così da chiuderla per intiero. Esposi l’apparecchio alla ra- diazione e vidi, che l’elettroscopio scendeva da 4° ad 8° abbastanza rapi- damente, e poi rimaneva fermo. Nella seconda esperienza, l’elettroscopio scen- lo deva di 3°, e nelle successive di 1°, di 4°, di 1°, od anche meno, per poi rimanere immobile affatto. 2 4) N@ Sk Queste esperienze, che eseguii con l’ elettroscopio nella sua gabbia, volli ripetere con l’elettroscopio libero. Rinchiusi il rocchetto £, e la cassa di (*) I numeri dei secondi rispondono alle medie di più risultati concordi, — 422 — piombo pp col Crookes c, in un’ ampia cassa di zinco 22 (100 X 100 X 75 cm.) tutta chiusa ed unita ai tubi del gas. Le due casse avevano, in corrispondenza del Crookes, ciascuna un foro / di 9 cm., e quello della cassa di zinco era chiuso da un'ampia lastra di alluminio di 0,5 mm. scorrevole a seracinesca. In tal modo erano, come mi assicural, impedite affatto le induzioni esterne, e le radia- zioni X si trasmettevano soltanto attraverso i fori e la lastra di alluminio. Per ripetere le esperienze precedenti rinchiusi la parte superiore dell’ elet- troscopio strettamente nella paraffina, come nella fig. 2; e dopo averlo ca: ricato e chiuso col coperchio di paraffina c d lo esposi ai raggi X, di contro al fori delle cosse, fig. 3. L'elettroscopio scese, in sulle prime, di 6°,5 in circa 9", e poi rimase affatto immobile per più minuti primi. Ricaricato e ricoperto l' elettroscopio col blocco c d, ed esposto ai raggi, scese di 1° e poi rimase immobile. In una terza esperienza simile, l’elettroscopio scese di +° in 4” e poscia rimase immobile per parecchi minuti primi. Perciò possiamo dire, che un conduttore carico di elettricità e circondato strettamente da un invoglio di paraffina, perde, per l’azione dei raggi X, la prima volta solo una piccola parte della sua elettricità; e nelle volte seguenti, dopo le successive cariche, perde sempre iî men d'elettricità per l’azione dei detti raggi, in modo che alla quarta o quinta esperienza la scarica provocata è nulla o quasi nulla. 9) Praticai nel coperchio cd un foro verticale abbastanza dh ampio, e poi anche uno orizzontale, in direzione opposta al Crookes, e tali da raggiungere la pallina. Indi, l'elettroscopio esposto alla radiazione si scaricò lentamente fino a zero. Un corpo adunque, può scaricarsi per l’azione dei raggi X, quando è in contatto con l'aria. Per meglio investigare il modo col quale la scarica si verifica nell'aria per mezzo dei raggi X, costruii un tubo di paraffina alto 9 cm., di 3,5 cm. di diametro interno e 7 cm. esterno. Caricai l’elettroscopio, lo ricoprii col tubo di pa- L_____l] raffina /f, come nella figura 4, e situatolo nella sua gabbia di guardia, lo esposi alle radiazioni X. I risultati ottenuti sono i seguenti : G 12 Esp. L'elettroscopio discese di circa 3° in 82°”, indi . Fis. 4. scendeva assai lentamente fino a 0°. 2a Hsp.Iuelettroscopio, diseeset 2°} ee 208 7 O) 7 89 gie e ea O ON] L) L) » 4° . . . . . . » 860” ” ” » 9g 00 PERITO SETE SOIT CI LAICO MIU ELI) 1100” — 423 — 9a MNHsp\Wligelettroscopiordiscese@Wi2gU). «i ani vola. Usimoti 190% ” ” ” DOD vi RINBIEVOT DOD in 360° ” ” ” 8° pi MESE il 700” D) L) ” ORIO: 3 TO REESE TUO 810” ") ’ PINA i CRMMETRO ION eva 10000 Quando, adunque, l’elettroscopio è immerso nell'aria, e circondato a pic- cola distanza dal tubo di paraffina, esso si scarica per intiero, ma assai len- tamente. Nè sensibile differenza notai chiudendo in alto il tubo con una lastra di paraffina. È da avvertirsi che l’elettroscopio così circondato dalla paraffina non si scarica affatto senza l’azione dei raggi X. Le medesime ricerche ripetei col rocchetto ed il Crookes nella cassa di zinco, fig. 2, e con l'elettroscopio fuori la sua gabbia, ed ottenni gli stessi ri- sultati indicati daì numeri che seguono : 1? Esp. L'elettroscopio col tubo paraffina scende 59,0 in 18” ” ” ” ” TOO vo uo gn | È ; ; SO] ” ” ” P Oi zig ” ” ” ” O o LOS ; ’ ’ , 59,0» 277" 34 n ” ” ’ e 04 ” ” ” ” 200 ) , ’ 7 390» 125” 4° : * ; od an ul ” ” ” ” TOS pie RG ; 3 0025 » 7" ” ” ” ” TO Fg ele ” ” ” ” n 0240 I precedenti risultati, ed altri simili, confermano, che nelle prime espe- rienze le scariche iniziali di pochi gradi si verificano con maggiore rapidità che nelle successive; e che la scarica totale avviene sì, ma con grandissima lentezza quando il corpo carico è circondato dall'aria e dal coibente. Da questi e da altri fatti consimili fui indotto a credere, che la sca- rica avvenga per convezione o trasporto delle particelle dell’aria, atti- vato dall’ azione dei raggi X. Esse particelle, prima attratte e poi respinte dal corpo elettrizzato, per una specie di danza elettrica, ne trasportano via la carica. Nel caso che il corpo sia nell'aria libera, la scarica procede rapida- mente pei raggi X, perchè alle particelle caricate e respinte, sempre nuove e neutre si sostituiscono. Ma se il corpo è circondato a piccola distanza da un invoglio di paraffina, la scarica provocata dagl’ X, in principio è rapida, perchè le particelle d’aria trasportando l'elettricità la cedono alla paraffina — 424 — e tornano neutre alla dansa; ma dopo che la paraffina è elettrizzata, la sca- rica non può avvenire che con lentezza, per la difficoltà con cui le particelle d'aria perdono la carica acquistata. Se però il corpo è strettamente circondato dalla paraffina, la scarica appena iniziata, carica la superficie della paraffina e quindi s' arresta, non avendo l’ elettricità modo di disperdersi. Secondo questa interpretazione, la paraffina, che involge il corpo che sì scarica pei raggi X, dovrebbe prendere la carica del corpo stesso. Per di- mostrare ciò ho eseguito svariate ricerche, che a vero dire riescono assai de- licate e difficili, sia per la esiguità delle cariche, sia ancora perchè i coi- benti s'elettrizzano, e spesso fortemente e per lungo tempo, per lievissime azioni. Avanti tutto, avvicinando ad un elettroscopio elettrizzato £, fig. 5 in pianta, una, o meglio due strisce, Ae 8 di paraffina o di ebanite, scaricate con la fiamma ed affatto neutre ad un sensibilissimo Bohnenberger, sì vedrà si B. costantemente scemare la deviazione dell’ elettroscopio. Tale E fenomeno non può attribuirsi ad una carica, anche minima, O) delle strisce, giacchè si produce con le medesime strisce, e con l’elettroscopio elettrizzato in più od in meno; ed invece deve ascriversi ad una influenza esercitata dal coibente, per la quale accrescendosi un poco la capacità dell’ elettro- scopio ne fa diminuire il potenziale. Tali induzioni però sono — trinsitorie e, come ho detto, le lastre agiscono ugualmente invertendo la carica dell’ elettroscopio. Un fenomeno affatto simile si verifica soprapponendo il tubo di paraffina alla pallina dell'apparecchio. Onde è necessario di tener conto di queste azioni induttrici, quando si voglia studiare, con un elettroscopio già carico, lo stato elettrico di un coibente. Una seconda causa d'errore è dovuta alla grandissima attitudine che ha la paraffina ad elettrizzarsi. Basta toccarla appena con le mani, o sempli- cemente appoggiarla o staccarla dalla tavola che la sostiene, perchè prenda carica negativa, e spesso assai vigorosa. Per evitare coteste cariche nel tubo di paraffina che adoperava, l’ ho abbrancato fra le gambe di un composto da grossezze a vite, come nella fig. 6, così strettamente da tenervelo fisso. Servendomi poi del compasso come manubrio, ho potuto ado- perare il tubo di paraffina senza elettrizzarlo meccanicamente. Ed ora veniamo alle espe- rienze. Per raccogliere la elettricità scaricatasi per via dei raggi X, operai nel modo seguente. Disposi verticalmente, in una capna di vetro a d. la solita pila a Bresso. Fic. 6. — 425 — secco P, che adoperavo per caricare l'elettroscopio, sopra un sostegno d unito al suolo, fig. 7. La canna era a grosse pareti e rivestita in alto di molti giri di stagnola per renderla opaca agl’ X. Intorno al ESTR polo p della pila abbassai, come è indicato in sezione, il tubo / di paraffina, sostenuto dal compasso, affidato ad un sostegno Bunsen, non indicato nella figura. La pila col tubo era disposta avanti il Crookes C della fig. 3, così da poter ricevere le radiazioni sul suo polo p. Attivato il Crookes per circa 15' ed esaminato poscia l'interno del tubo con uno squisito Bohnenberger, lo trovai lievemente carico dell’ elettricità del polo p. Prolungata l’azione dei raggi per da 25’ a 30', la carica raccolta dal tubo era assai più energica e distinta. Inoltre essa era più intensa nella parte inferiore, corrispondente al polo p, che nella superiore. Le esperienze furono più volte ripetute, invertendo i poli della pila; ed usando le opportune diligenze si trovò, che il tubo nell'interno aveva sempre carica omologa Fic. 7. al polo p. Ma potrebbe forse sospettarsi tale carica essersi trasmessa dal polo senza bisogno di alcuna radiazione. Per sincerarmi di questo dubbio rifeci l’ esperienza precedente, senza l’azione dei raggi X, e dopo una ventina di minuti trovai, che l'interno del tubo di paraffina era carico d'elettricità opposta a quella del polo p. L'esame riusciva nettissimo col Bohnenberger; e l’esperienza fu ripetuta molte volte con ciascuno dei poli della pila, e dopo avere, ogni volta, accuratamente scaricato il tubo con la fiamma a gas. Tale carica contraria è dovuta alla influenza che si notò più sopra, esercitarsi dalla pila sulla paraffina. Essa carica, è fugace per una in- duzione di breve durata, ed è permanente per una induzione prolungata. Da ciò si comprende, che la carica della pila trasportata per l'azione dei raggi, deve prima neutralizzare la carica opposta, indotta nella paraffina, e poscia caricarla con la sua propria elettricità. Ma non contento di queste esperienze volli più direttamente raccogliere ed esaminare la carica portata via dall'aria attivata dagli X. Situai il polo p della pila, fig. 8, precedentemente usata, avanti il Crookes rinchiuso nelle solite casse fio. 3, e su di esso polo fissai, su apposito sostegno di paraf- fina ss, un tubo di latta 7 7, 7X7 cm., con l’asse nella direzione del Crookes, ed unito, per un filo sottile 7 all’elettroscopio #, a pile secche. Attivando il Crookes, l’ elettroscopio man mano si caricava, e la foglia veniva a battere su una delle pile, indicando carica omologa al polo p. Su- bito dopo la foglia ricadeva a 0°, per essere poi nuovamente attratta nel medesimo verso di prima, eseguendo così delle oscillazioni incessanti, ciascuna della durata di pochi secondi. Invertendo il polo p della pila P, si invertiva la deviazione di 7, e cessava affatto al cessare dell’attività del Crookes. — 426 — Mi parve che le oscillazioni dell’ elettroscopio # fossero più rapide, e perciò la carica raccolta maggiore, dopo aver chiuso con stagnola l' estremo Fic. 8. T' del tubo. Le oscillazioni della foglia s'accelerarono togliendo la lastra d'alluminio, che chiudeva il foro della cassa di zinco, ed aumentando la ra- pidità dell’interruttore del rocchetto. È quasi superfluo il dire, che a Crookes inattivo l’ elettroscopio non accennava a carica di sorte ('). In seguito agli studi fatti col tubo di paraffina volli sperimentare con dei tubi conduttori e trasparenti agli X. Adoperai un tubo di sottile e fitta rete di ottone di 6 X 3,5 cm., ed uno di lamina d' alluminio, grossa circa FASI 0,4 mm. Essi erano fissati con tappi di paraffina /', all’elettroscopio, come nella fig. 9. I tubi si tenevano, ora isolati, ora uniti al suolo con sottili fili di rame. I esperienze vennero fatte come segue: Quando il tubo era unito al suolo si caricava l' elettro- scopio con la pila, si misurava il tempo di scarica sotto l’azione degli X, e poscia scaricato si caricava di nuovo per procedere alla seconda esperienza: e così di seguito. Nel caso del tubo isolato, si scaricava il tubo e l'elettro- scopio, indi si isolava il tubo, si caricava l’ elettroscopio e si misurava il tempo di scarica per l'azione dei raggi X. Dopo si scaricavano entrambi, s'isolava il tubo e si ricaricava l’ elettro- scopio per procedere a nuova misura, e così di seguito. Ecco alcuni risultati ottenuti col tubo di alluminio: l’ elettroscopio (') Ricorderò, a proposito di queste mie ricerche, che il Thomson J. J. dice che un conduttore si scarica della sua elettricità per l’azione degl’ X anche se immerso in un coibente: ed il Righi trova invece che in tal caso la scarica è minima (V. Comptes Rendus, n° 16, Aprile 1896); ma di ciò dirò più ampiamente in una prossima comunicazione. — 427 — era fuori della gabbia, mentre il rocchetto ed il Crookes erano disposti nelle loro casse, come nella fig. 3. Tubo alluminio unito al suolo. Tubo rete unito al suolo. agio | disenita | "i" dlioscpi || seo | "Ea® 1 27 Il 20 2 50 où 2 96 16 9 80 80 8 55 19 4 103 23 4 70 15 5) 135 32 5 85 15 6 160 985 6 100 15 7 192 82 7 118 18 8 220 28 8 132 14 9 250 30 9 145 13 10 280 30 10 165 20 media 30 media 16 N. B. Il numero con l’ asterisco non è calcolato nella media finale. Nelle medesime condizioni, ma senza i tubi, l’ elettroscopio discendeva dio onimi Billa ii La scarica dell’ elettroscopio è enormemente rallentata quando esso è ricoperto da un tubo di fitta rete di ottone, e più ancora, da uno d'alluminio, uniti al suolo. Tale ritardo non può dipendere, che in piccola parte, dalla incompleta trasparenza dei tubi, essendo essi trasparentissimi. Le esperienze eseguite coi medesimi tubi isolati dettero i seguenti ri- sultati : Tubo alluminio isolato. Tubo rete isolato. Scarica Tempo Ù Scarica Tempo TI Rae dira, [nio o 0 1 brevissimo 1 brevissimo 2 4 2 D) 3 12 8 3 » 4 41 29 4 ”» 5 70 29 5 10 6 100 30 6 28 15 7 128 28 7 40 15 8 160 32 8 ? 17 9 190 30 9 75 117 10 225 35 10 95 20 media 80 media 17 RENDICONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 56 — 428 — Questi numeri sono simili ai precedenti, e mostrano che anche coi tubi isolati di alluminio e di rete di ottone, la scarica viene rallentata come coi tubi uniti al suolo. Infatti il tempo medio per la discesa di 1° è di 30" tanto col tubo di alluminio unito al suolo che isolato, ed è di 16 col tubo di rete unito al suolo e di 17 col tubo isolato. Non pertanto una differenza nel tempo complessivo della scarica esiste nei due casi, giacchè coi tubi isolati le sca- riche dei primi gradi sono più rapide, che coi tubi uniti al suolo, ed in al- cuni casi sono così rapide da non potersi misurare. Il rallentarsi della scarica prodotto dai tubi tiene, secondo ogni proba- bilità, ad un fenomeno di condensazione, pel quale maggior carica s'accumula nell’ elettroscopio, e maggior tempo occorre per dissiparla. Il fatto notato della scarica più rapida nei suoi primi gradi, quando i tubi sono isolati, è dovuto anche ad un fenomeno d' influenza. Quando si carica 1’ elettroscopio coperto dal tubo isolato, questo prende nell’ interno carica opposta all’ elet- troscopio ed omologa all’ esterno. I raggi X, che arrivano sul tubo, disperdono subito la sua carica esterna omologa respinta, la capacità cresce e l'elettro- scopio scende. In seguito la scarica condensata si sperde lentamente. Quando il tubo è unito al suolo, un tale fenomeno non può aver luogo. A con- fermare questa interpretazione ho sovrapposto all’ elettroscopio il tubo alluminio isolato e, dopo averli scaricati, ho caricato l’ elettroscopio di 17° con la pila a secco. Ho toccato il tubo per iscaricarlo della sua elettricità omologa, e l’elettroscopio è disceso di 29,5; dopo ho fatto agire i raggi X, e la sca- rica è avvenuta lenta e continua fin da principio, di 1° per ogni 20 o 80", come al solito. Finalmente l’effetto della rete è minore di quello dell’allu- minio, forse per la sua minore efficacia condensante, forse per la maggiore sua trasparenza, e più probabilmente per ambedue queste ragioni. Riassumendo le cose su esposte potremo dire: 1. La scarica di un conduttore nell'aria, quando è provocata dai raggi X avviene per convezione o trasporto, quasi per una danza elettrica delle particelle dell'aria, attivata dalla radiazione. 2. La scarica del conduttore si rallenta quando se ne diminuisce la superficie esposta all’ aria, ricoprendone una parte con la paraffina. 8. Quando il conduttore carico è ricoperto dalla paraffina postavi a contatto, la scarica iniziata dagli X subito s' arresta. Poca elettricità tra- sportata dalla poca aria circostante e per contatto carica la paraffina, e l’ul- teriore scarica viene impedita. 4. Se il conduttore è circondato dall’ aria e da un tubo di paraffina, il conduttore colpito dai raggi X si scarica in principio, abbastanza ra- pidamente; ma subito dopo la scarica procede con grandissima lentezza. L' elettricità trasportata, al solito, dall’ aria, carica subito le pareti del tubo, e poscia con difficoltà e lentezza si disperde. 5. L' elettricità dispersa dal corpo sotto l’azione dei raggi X può rac- — 429 — cogliersi su un tubo di paraffina, come nel caso precedente, o di metallo isolato, che circondano il corpo che sì scarica. L' elettricità raccolta può di- rettamente osservarsi con un elettroscopio a pile secche, e trovasi della istessa natura di quella del corpo. 6. I tubi metallici isolati o no, che circondano l’ elettroscopio, val- gono a condensarvi le cariche che vi s' impartiscono. Essi tubi rallentano molto la scarica generata dai raggi X, sia per la molta elettricità accumulata, sia per la non completa loro trasparenza ai raggi medesimi. Fisica. — Del ripiegarsi dei raggi X dietro i corpi ad essi opachi. Nota del Socio E. VILLARI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Meccanica. — Sulla integrazione delle equazioni della ela- sticità. — Sulle equazioni del moto vibratorio di un corpo ela- stico. Note di 0. TEDONE, presentate dal Corrispondente VOLTERRA. Queste Note saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. Geologia. — Muovi lembi mesozoici în Sardegna. Nota di DomenNICcO LovisaTo, presentata dal Socio CAPELLINI. Nella mia breve Nota del 1891 « Brani sparsi di geologia sarda » (1) dopo vari importanti lembi miocenici, ricordava alcuni altri del secondario e tra gli altri quello del Lias medio o forse meglio superiore del Monte Timi- lone nella Nurra colle ammoniti più antiche dell’isola, ricordate dal prof. Canavari (?) e l’altro triasico del Monte Santa Giusta pure nella Nurra colle arenarie ed anageniti, che fino a prova contraria persevero ad ascrivere in parte al permiano. Posteriormente, alle stesse falde del Monte Timilone in quei calcari rossastri ho trovato dei pecten e degli echinidi, fra i quali un Pigaster, genere caratteristico del giurese. Scopo della presente mia breve Nota è di dar notizia di altri lembi, appartenenti a formazioni conosciute, ma non ancora determinate, oppure a formazioni che si dichiaravano mancanti per la Sardegna. (1) Rendiconti della R. Accad. dei Lincei, vol. VII, 1° sem., 1891. (2) Notizie paleontologiche. Estratto dal processo verbale della Società Toscana di Scienze Naturali. Adunanza del dì 6 luglio 1890. — 430 — Lasciando a parte il permiano, al quale persevero ad ascrivere non poche delle arenarie e delle anageniti alla base dei calcari triasici, e ciò per la perfetta analogia che hanno colle forme veramente permiane dei Vosgi, cominciamo col triasico. Questo terreno, scoperto da me nella Nurra nel 1880, venne subito dopo aumentato dall’illustre Bornemann (') coi calcari della regione Narocci, for- manti delle collinette in mezzo a dune sabbiose fra Capo Pecora e le miniere di Gennamari. Però, mentre il primo pei suoi fossili caratteristici, determi- nati dal compianto Meneghini (*), si deve nettamente ascrivere alla parte alta del Muschelkalk, i lembi di Narocci apparterrebbero secondo il loro illustre scopritore al Wellenkalk, cioè alla parte inferiore del Muschelkalk, mentre al Trias inferiore secondo lo stesso Bornemann e secondo il De Ste- fani (3) sarebbero da riferire le arenarie e le anageniti, che in parte io aserivo al permiano. Sicchè in Sardegna si avrebbe non solo il Trias medio, ma anche il Trias inferiore. Nè manca il Trias superiore, il quale completa la serie dei terreni triasici, che fino al 1880 si riteneva mancassero in Sardegna. Già nella mia Nota, prima ricordata, io dicea che nei pressi di Orroli, di Nurri, nel Tacco di Sadali ed anche nella Massa Maggiore del S' Arcidano, sono riservate allo studioso nuove scoperte, essendo la Sardegna eminente- mente la terra delle sorprese. Nè m’ingannava così dicendo, perchè proprio nei dintorni di Nurri abbiamo un magnifico sviluppo delle formazioni tria- siche, con qualche lembo permiano, sopportante formazioni liassiche. E sarebbe con ciò constatata la presenza del Lias in un secondo punto dell'isola. Queste formazioni si trovano sviluppate tanto ad oriente che ad occidente dell’ospitale e cara borgata, e possiamo dire che da una parte e dall'altra del simpatico paese esse formano una serie ridotta di terreni triasico-liasici. Agli studiosi dei terreni mesozoici, ai cultori di roba antica lascio il farne l'illustrazione; a me oggi basta di dare in poche parole la notizia, dove essi si trovano per guidare gli altri a studiarli, avendo riservato per me il terziario, che tanto m'ha dato e mi dà a fare. Scendendo da Nurri verso il Flumendosa si arriva a Sutta Corongiu, località pittoresca, un vero lembo di Svizzera, interessantissimo pel geologo, il quale dal basso all’alto trova questa serie di terreni: 1. Schisti neri azoici con vene di quarzo, contorti, cogli strati talvolta verticali. Questi schisti si veggono al basso attraversati da masse di. por- fidi rossi, che passano da una parte all'altra del letto del Flumendosa. (€) G. Bornemann, Sul 7rias nella parte meridionale dell'isola di Sardegna. Bol- lettino del R. Comitato geologico, luglio ed agosto 1881, n. 7 ed 8. (2) G. Meneghini, 7rias in Sardegna. Atti della Società Toscana di Scienze Natu- rali. Adunanza del dì 4 luglio 1880. (3) De Stefani, Cenni preliminari sui terreni mesozoici della Sardegna. Rendiconti della R. Accad. dei Lincei, vol. VII, 1° sem., 1891. — 481 — 2. Calcari rossastri ed azzurrastri, senza fossili macroscopici. 3. Calcare dolomitico cavernoso, cinereo-oscuro, senza fossili visibili. 4. Dolomiti fetide. 5. Arenarie ed anageniti chiare, contenenti talora arnioni di pirite e qualche forma vermicolare, che potrebbe ricordare il RAisocorallium jenense Zenk., come m'avvenne di trovare allo stesso livello al di là di Orroli. 6. Banco di altra anagenite. 7. Banchi calcari magnesiaci diversi fra loro. 8. Calcare fetido a Gervilliae, Chemnitziae, Pecten ecc. 9. Calcari cristallini della potenza di più di 20 metri in istrati prima compatti, poi quasi lamellari e corrosi e dividentisi in forme prismatiche. È da questi banchi che ritengo derivino i massi che si trovano pieni delle cosidette Merineae, che sono ancora a studiare. 10. Argille indurite bianche, pavonazze, grigie ad impressioni giallo- ruggine riferentesi a vegetali, il tutto della potenza di circa 10 m. 11. Banco di anagenite che ad Orroli si sviluppa assai potente e che serve come eccellente materiale da costruzione. 12. Calcare intercalato con specie di tufi giallo-verdognolo. 13. Calcare compatto potente che forma la cosidetta perda tachina dei nurresi, e che si vede sviluppatissimo nell’alto piano della stazione ferroviaria. 14. Calcare argilloso giallo, fossilifero, che si vede all'alto di Sa Scala is Baccas, del miocene medio. 15. Colata basaltica del Pitzi Ogu. Gli schisti del n. 1 sarebbero nettamente uroniani: della loro vertica- lità s'accorge il visitatore nella rapida salita a Nurri, ritornando per Sa Scala is Baccas. I numeri seguenti fino al 7 inclusivo apparterrebbero per me al permo- triasico. Il n. 8 è il banco più interessante come quello che contiene una fauna abbastanza ricca di Gervi/liae, di Pecten, di Chemnitziae e di altri gasteropodi. L’abbondanza delle Gervilliae e la forma di una di esse, che richiama alla mente la G. Boveiî, porta a pensare al Keuper, cioè al Trias superiore: quindi con esso si avrebbe completa per la Sardegna la serie di questi terreni. Mi conforta in questa idea una notizia che mi dà il mio egregio amico, il prof. Taramelli, al quale sono ben contento di aver inviato il materiale finora raccolto, di avere cominciato lo studio dei fossili triasici di Nurri e di avere già determinato alcune Gervi/Ziae, assai analoghe a quelle del Raibliano lombardo. Anche le Chemmnitziae, di forme molto distinte, offrono varie specie caratteristiche: non so quanto potranno dire gli altri gasteropodi ed i Pecten, che pur si rinvennero in quei calcari. Potrà darsi che la determinazione di questa fauna ringiovanisca le formazioni di Nurti, che si trovano poi sparse in molti altri luoghi di Sardegna: avremo sempre — 432 — guadagnato colla determinazione di terreni, che si ritenevano mancare nel- l'isola. Negli strati sovrapposti passiamo al liasico, al quale si passa anche nel non lontano S'Arcidano, dove la potente formazione calcare non è tutta triasica, ma in parte giurassica, avendo io trovato da non molto in quei cal- cari quasi saccaroidi il Pecten giganteus Goldf. Tra i numeri 13 e 14 a Padenti di Nurri scendendo per Scala Janti si mette un potente ed interessantissimo conglomerato calcare, che comprende assieme a ciottoli di calcare giurese e cretaceo anche ciottoli nummolitici colle specie Nummolites biaritzensis d'Arch., N. Ramondi Dfr., N. Guttardi d'Arch. e N. perforata d'Arch., ed altri ciottoli pure nummolitici con bra- chiopodi come una Crazza, probabilmente da riferirsi alla €. Bayaniana Dav., specie rara della parte più elevata dell'eocene superiose. In altri punti sopra il liasico abbiamo formazioni calcari a Clypeaster e Scutella ed a Sant'Am- brogio una superba successione di strati aquitaniani ed elveziani. Liasica e non triasica è la formazione calcare su cui è costruita Alghero, e che si prolunga a sud verso il Cantaro e più avanti. Ecco quindi una terza località, ove si sviluppano i terreni liasici, forse un lembo di Retico; infatti in quei calcari ho trovato il Plagiostoma duplum, la Spiriferina cfr. al- pina, specie del lias inferiore, assieme a varie Ostreae, indeterminabili spe- cificamente. A me non è riuscito di trovare l’Zalobia Lommeli, H. simpless Daonella styriaca, specie del trias alpino, che vi avrebbe rinvenuto il De Ste- fani (!). Il Trias invece si trova più a mezzogiorno e scendendo ancora s'in- contra il permiano. Sulla sponda sinistra del Flumendosa in faccia a Sutta Corongiu, dove arditamente sale la linea delle ferrovie secondarie, al piano di Esterzili e di Sadali, ai monti di Ussassai, di Ulassai, di Jerzu ecc. addito agli stu- diosi dell'avvenire formazioni calcari analoghe a quelle citate, e che sono sicuro compenseranno delle fatiche fatte. Alla Perdaliana sopra il triasico si mette una bella massa calcare, ric- chissima di Pholadomya Murchisoni Sow., del Dogger (giura bruno) od oolite media. Anche sui famosi Tòneri avrei molto a dire, ma trattandosi oggi di semplice notizia, che possa servire di guida a chi mi seguirà negli studi di Sardegna, passo alla creta, che dovrà essere molto ridotta anche nella Nurra ed aumentata altrove. Il Traverso (junior) ha accennato (?) ad una formazione cenomaniana nella regione /Zs Cantonis al nord dei monti Gennas nel Sarrabus: sono stato io il fortunato a dirgli pel primo trattarsi di exogyrae, analoghe a quelle trovate dal Seguenza a Brancaleone nella provincia di Reggio Calabria. Or (1) Lavoro citato, pag. 429. (2) S. Traverso, Calcure fossilifero nel Gerrei (Sardegna), Franc. Casanova, Torino, 1891. — 433 — bene, un altro lembo molto ristretto di quella stessa formazione è stato da me trovato nella immediata vicinanza di Sant'Andrea Frius, arrivandovi da Donori. È un impasto di ezogyrae, fra le quali predomina l'X. cfr. /label- lata Goldf.; ma all'infuori di queste e di qualche altra bivalve, che mi pare di poter avvicinare ad una Cyprina, non m'è riuscito di trovare altri fossili. Ricorderò altro lembo cretaceo ad Acquacadda presso Nuxis nel Sulcis, il quale contiene gasteropodi di forme allungate come nerineae, che per quanto mi scrive l'illustre Bornemann, cui ho comunicato alcuni di quei resti, si possono riferire alla MNer:nea incavata Bron. dei Gosauschichten. Si veggono soltanto le sezioni trasversali del canale, e la roccia che le comprende è di struttura detritica, composta di grani fini di sabbie calcari, cementate da calcare. Al microscopio devono comparire pure foraminiferi, perchè anche ad occhio nudo si scorgono frammenti sparsi a struttura organica. Non dimenticherò altro nuovo lembo cretaceo da riportarsi all'ippuritico, in un valloncello sotto gli avanzi della chiesetta di Santo Michele di Sicci, lembo che appena si vede sopra il primitivo e coperto dal terziario medio. Più esteso invece è il lembo pur ippuritico che s'adagia sopra le gra- nuliti e che viene ricoperto dalle andesiti e trachiti al Sasso di Perfugas: è pieno di ippuriti, fra le quali predomina l'Iippurites cornuvaccinum. Così come oggi farò per l'avvenire, se m'avverrà nelle mie escursioni di trovare qualche frammento secondario da aggiungersi a quelli che già si CONOSCONO. Farmacologia. — Sul! azione vermicida della santonina e di alcuni suot derivati. Nota del doti. D. Lo MonaACO, presentata dal Socio LUCIANI. È noto che la santonina si adopera generalmente per espellere gli el- minti dall’intestino. Uno studio molto importante su questo argomento venne pubblicato, alcuni anni or sono, dal compianto prof. Coppola (!) allo scopo di determinare il meccanismo d'azione di questa sostanza nell’ organismo animale. Egli, dopo aver riportato le opinioni che in proposito hanno sostenuto gli sperimentatori che prima di lui si erano occupati di questo argomento (1) Arch. p. le scienze med., vol. XI. — 434 — come il Redi ('), il Baglivi (2), il Kichenmeister (3), il Falck (4), il Bat- tistini (°), lo Schroeder (9), ed altri i quali, o hanno visto morire gli el- minti posti nella soluzione della santonina, e quindi la decantano come ver- micida, o non avendo osservato alcuna modificazione nella vitalità di questi parassiti, e allora la proscrivono dalla terapia; basandosi sui risultati ottenuti con le sue esperienze, formula una nuova teoria : Egli crede che la santonina « non esercita alcuna azione tossica sugli ascaridi, e che non può nemmeno considerarsi come vermifuga. Senza dubbio il meccanismo d'azione della santonina come antielmintico consiste precisa- mente nei movimenti convulsivi che essa determina nei lombrici ». L'autore opina che questi parassiti i quali si puntellano contro la mu- cosa intestinale, caduti in preda ai movimenti convulsivi prodotti dalla san- tonina, diventano liberi nel lume intestinale, e non possono più resistere ai movimenti peristaltici dell'intestino, normali o esagerati dai purganti. La teoria del prof. Coppola ammette implicitamente che la santonina è assorbita dagli elminti nei quali produce, al pari che negli altri animali, l'avvelenamento che deve evidentemente, come in questi, finire con esito letale, quando l’azione è lunga e la dose forte. Ci è sembrato utile ristudiare questo argomento, aiutati come siamo ora, da cognizioni chimiche sulla santonina maggiori di quelle note ai precedenti sperimentatori. Inoltre le esperienze del prof. Grassi e del suo aiuto dott. Ca- landruccio (7) i quali riuscirono a coltivare le uova degli ascaridi nelle me- desime feci con le quali venivano eliminate, ci hanno suggerita l’idea, che per metterci nelle condizioni più adatte alla conservazione della vita di questi parassiti, invece di tenerli durante l’ esperienza in acqua distillata o di fonte; nella soluzione normale di cloruro di sodio o in quella di carbonato di sodio, all’ 1/5; nell'olio di oliva o di mandorle dolci; bagni prescelti dai prece- denti sperimentatori, bisognava immergerli nel liquido dell'intestino tenue dove essi dimorano. Il dott. Calderone (8) dell’ Ist. farmacologico di Messina è riuscito a tenere in vita gli ascaridi per più di 10 giorni, tenendoli nella soluzione normale di cloruro di sodio, alla quale aggiungeva del (!) Opuscoli di storia naturale, Le Monnier. Firenze 1858. (2) Opera omnia. Lugduni 1714. (3) Arch. f. phys. Heilk. Bd. X. 630-1851. (4) Froriep's Tagesber. 1852. (5) Bollettino Acc. Romana 1883. (6) Arch. f. exp. Path. u. Pharm. XIX. 801. (7) Animali parassiti dell’uomo in Sicilia. Atti Acc. Gioena di Sc. naturali in Ca- tania. Anno 66. 1889-90. (8) Intorno all’azione di alcune sostanze usate contro gli ascaridi lombricoidi. Arch. di farm. e terapeutica, vol. I, 1893. — 435 — peptone o dell’albume d’uova o del glucosio allo scopo d’'impedire la loro inanizione. Gli ascaridi porcini si mandavano a prendere al mattatoio, ritirandoli dall’intestino tenue subito dopo che gli animali erano macellati, e si mette- vano in un vaso contenente liquido intestinale dei medesimi animali. Trasportati in Laboratorio, si dividevano (scegliendo quelli dotati di movimenti più vivaci) in parecchi vasi a bocca larga, chiusi da una lastra di vetro finestrata e contenenti 150 c.c. di liquido intestinale per ciascuno, e poi si lasciavano dentro una stufa regolata a 38°. I risultati confermarono le nostre previsioni, in quanto che noi abbiamo potuto osservare che gli ascaridi porcini immersi nel liquido intestinale e tenuti a temperatura costante di 38°, vivono per 10-12 giorni, e se si cambia il liquido ogni 4-5 giorni, essi possono sopravvivere per un tempo molto più lungo. Ottenuto questo primo risultato, ci siamo proposti di provare in vitro sui lombrici l’azione della santonina e dei derivati più importanti di essa che noi abbiamo studiato, cercando d’ imitare più che ci era possibile l’am- biente intestinale. Dagli studi del prof. Andreocci ora sappiamo che la santonina sciolta nell’acido cloridrico, dopo un lungo periodo di tempo, precipita come desmo- troposantonina; se però si neutralizza subito la soluzione cloridrica, o si aggiunge a questa molta acqua, si riottiene la santonina pura. Ci è pure noto dall’esperienza di Lewin (!), di Kaspari (*) e di Neumann (3) che la san- tonina è molto solubile nel succo gastrico e che in parte viene assorbita dalla mucosa dello stomaco. È evidente che questa forte solubilità bisogna attri- buirla più all’ acido cloridrico, che al lattico, come ritenevano i summentovati autori. Da ciò si deduce che la santonina passa nell'intestino in soluzione, dove viene precipitata dall’alcale contenuto nel succo enterico. Questo precipitato, che dai risultati delle nostre esperienze susseguenti costituisce la sostanza che agisce contro gli ascaridi, che si trovano nell’ in- testino, è secondo noi solamente formato di pura santonina. Si può per un momento supporre che insieme alla santonina passi nel- l'intestino un poco di desmotroposantonina. Noi crediamo che ciò si debba escludere a priori, perchè è impossibile che si formi desmotroposantonina nelle poche ore di dimora nello stomaco della santonina. Ma pur nondimeno abbiamo creduto conveniente di fare un’ esperienza in proposito, che è stata disposta nel seguente modo: (1) Veber die Wirkung u. Anwendung des Santonins B. Klin. Wochensch., n. 12. 1883. (®) Veber das Verhalten des Santonins in Thierkòrper. 8.42 Ss. Diss. Berlin 1883. (8) Inaug. Diss. Dorpat. 1883. XENDICONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 57 — 436 — Si versa una soluzione satura di santonina in 10 c.c. di acido cloridrico dentro un matraccio contenente tre litri di acqua distillata. Dopo aver bene agitato il liquido, si filtra in vasi asciutti con chiusura smerigliata che si met- tono dentro alla stufa regolata a 38°. Dopo quattro giorni si osserva che non si sono depositati cristalli nel fondo dei vasi; allora si alcalinizza il liquido e si raccoglie in un piccolo filtro il precipitato, che presenta il punto di fu- sione e le reazioni della santonina. Escludiamo anche che l'acido cloridrico rimasto libero per la precipi- tazione della santonina nell’ intestino, diminuisca l’alcalinità del succo enterico e guasti l’ambiente adatto alla vitalità dei lombrici, per i quali i liquidi acidi sono micidiali. Nella migliore condizione la diminuzione di questa alcalinità calcolata è così leggiera, che poco o niente potrebbe nuocere al quieto vivere dei parassiti. Risulta in questo modo dimostrata che la santonina ingerita si scioglie nell’acido cloridrico dello stomaco, e viene precipitata dall’alcale contenuto nel succo enterico. Come si spiegherebbe che nell'intestino essa riesce vermicida, mentre fuori dell'organismo (in liquidi artificiali contenenti santonina), non influisce sulla vitalità degli ascaridi? La cagione di questo meccanismo d'azione è, secondo noi, la seguente: Questa sostanza di fresco precipitata, come è quando si trova nell’inte- stino dopo l’azione del succo enterico, è estremamente suddivisa, e quindi in condizioni favorevolissime per esser subito salificata e assorbita. Quantunque questa proprietà sia comune a tutti i corpi chimici, i quali reagiscono molto più facilmente quando sono da poco tempo precipitati, che quando sono in cristalli, pur essendo ridotti in polvere finissima, essa di- venta di eccezionale importanza per la santonina e per i suoi derivati che sono corpi difficilmente attaccabili anche dai loro migliori solventi. Rammentiamo (e ciò abbiamo eseguito dietro avvertimento datoci dai prof. Cannizzaro e An- dreocci) che per poter preparare la soluzione sodica di alcuni derivati, biso- gnava prima farne a caldo quella alcoolica, e dopo precipitare la sostanza con molta acqua; allora solo si riesciva, adoperando una quantità di soda maggiore di quella calcolata, ad ottenere la soluzione esatta. Cosicchè in queste condizioni la santonina agisce direttamente contro gli ascaridi avvelenandoli, mentre in vitro, non avvenendo la precipitazione di cui sopra abbiamo parlato, l'assorbimento è difficoltato, o non avviene affatto; e l'osservatore resta ingannato, non sapendosi spiegare il mecca- nismo d'azione di questa sostanza antielmintica. La dimostrazione della nostra teoria è resa evidentissima dai risultati che abbiamo ottenuto nelle seguenti esperienze. Come abbiamo detto, gli el- minti venivano posti in piccoli vasi a bocca larga, coperti da lastre finestrate — 437 — e contenenti 150 c.c. di liquido intestinale per ognuno, al quale si aggiungeva la sostanza di cui si voleva indagare l’ azione vermicida. Ogni 24 ore l’inserviente cavava i vermi dei vari vasi, che si tenevano nella stufa regolata a 38°, vi rimetteva quelli dotati di movimenti, e notava in un taccuino il numero dei morti. Non ci siamo preoccupati dei movimenti più o meno vivaci presentati dagli elminti durante il periodo sperimentale per poi attribuirli all’azione di questa o di quell’altra sostanza, perchè temevano di cadere in errori di osservazione: come abbiamo detto, constatavamo solamente la morte dei pa- rassiti, per la qual cosa, dopo esauriti i mezzi meccanici, si ricorreva alla corrente elettrica. L'esperienza durava sempre quattro giorni, al termine dei quali si cal- colava la percentuale della mortalità degli ascaridi. Dalle prime esperienze che per brevità non riportiamo per disteso, ma che abbiamo compreso nello specchietto, risulta evidente che gli ascaridi di maiale vivono male, tanto nei liquidi acidi, che in quelli troppo alcalini; niente invece possiamo dedurre in riguardo all’ effetto che su di essi produce la santonina in queste condizioni. Volendo anzi apprezzare con rigore i risultati che abbiamo ottenuti, si dovrebbe escludere che essa abbia influito sulla vita dei lombrici, perchè nei vasi dove venne posta in soluzione, si notò una mortalità minore che negli altri che contenevano il solo solvente alcalino o acido. Smesso questo indirizzo sperimentale, ne abbiamo seguito un altro, che ci ha condotti a buonissimi risultati. Quando da noi si scioglieva la santonina nell’ acido cloridrico, e si versava la soluzione nel vaso contenente gli elminti, si aveva da una parte la precipitazione della sostanza, e dall’ altra l’acidi- ficazione del liquido intestinale, alla quale abbiamo giustamente attribuito la forte azione vermicida osservata. Urgeva quindi, per eliminare ogni diffe- renza tra le condizioni sperimentali e quelle dell'ambiente intestinale, di neu- tralizzare questa forte acidità. Avremmo così avuta la santonina sciolta prima nell’acido cloridrico, e poi precipitata dal liquido intestinale, escludendo nello stesso tempo l’azione dell'acido con la neutralizzazione per mezzo della soda. Se in queste condizioni le quali diventavano così identiche a quelle dell’ in- testino, noi ottenevamo una mortalità negli ascaridi piuttosto alta, essa do- veva essere ritenuta come una conseguenza dell’azione vermicida della san- tonina. — 438 — EspPERIENZA I. Si mettono in ciascun vaso 12 ascaridi di maiale. Numero degli ascaridi trovati morti %o N. dopo il della Sidi SOSTANZE ADOPERATE n omalità Slavati Primo | Secondo| Terzo | Quarto dopo giorno | giorno | giorno | giorno | 4 giorni ' 1 TACERE] O FIAT CORSICA CR 0 d 2 0 50 Santonina 20 cg., ac. cloridrico 1 c. c. 1 1 4 0 50 Santonina 25 cg., ac. cloridrico 1 c.c., soda quanto basta per neutralizzare 1 3 1 2 59 4 Ac. destrosantonoso 25 cg. sciolto nel carbonato sodico . : 1 2 0 3 90 Solfato di santoninammina 25 cg 2 0 0 3 41 RIMINI Ort a IE 0 0 2 25 EsPERIENZA II. Si mettono in ciascun vaso 18 ascaridi di maiale. Numero degli ascaridi trovati morti Yo N. ; dopo il della E SOSTANZE ADOPERATE EC Primo |Secondo| Terzo | Quarto dopo giorno | giorno | giorno | giorno | 4 giorni AGR CI OrIARICOMIME LCA 0 Ò | 4 2 61 2 | Santonina 25 cg., ac. cloridrico 1 c. c. 0 1 5) 3 50 8 | Santonina 25 cg., ac. cloridrico 1 c. c., soda quanto basta per neutralizzare 1 2 4 6 72 4 Idem 2 0 3 5) 55 5 Elminti normali (0) 1 2 0 15 EspeRIENZA III. Si mettono in ciascun vaso 15 ascaridi di maiale. Numero degli ascaridi trovati morti o N. dopo il della noe SOSTANZE ADOPERATE TARA [debgari Primo | Secondo| Terzo | Quarto dopo — giorno | giorno | giorno | giorno | 4 giorni 1 Santonina 25 cg., ac. cloridrico 1 c. c. soda quanto basta per neutralizzare 0 d 2 4 66 Zi A TCENER RO 0 1 5 4 66 3 RMInt n oral | 0 0 1 2 | 20 — 439 — Perchè al lettore riesca più facile apprezzare i risultati che abbiamo ottenuto, sono state riunite nel seguente specchietto le varie percentuali; e di esse per ciascuna sostanza abbiamo calcolato la media. SPECCHIETTO 28 SOSTANZE ADOPERATE glo, Media || 3 SOSTANZE ADOPERATE 10, Media S mortalità 5) mortalità 1 | Elminti normali 8 Sola | 50 50 2 Id. 16 2 TAR | 50 3 Id. 8 1 Santonina e ac. clo- 4 Id. 20 16 rideico. . .. | 58 \| 5 Id. 25 2 Id. 41 | 6 Td. 15 8) Id. 60 52 7 Id. 20 4 Id. 50 \ 1 | Iposantonina e soda 25 995 ù Lal 50 2 Id. 20 È 1 | Acido cloridrico . 75 1 | Santonina. 25 n 2 Di ; 50 | 9 To) 37 3 Id. È 60 59 4 Id. È 50 1 |Santonina e soda . 41 Ì DO 5 Id. ; 61 2 Id. 37 | 1 | Santoninae ac. clo- 1 | Desmotroposantoni- ridrico neutraliz- na e soda. 58 415 VAIO. o o eoro 59 2 Id. 25 i 2 Id. 72 1 | Acido levosantonoso 40 E 3 Id. 59 63 2 1a. 50 sai Let 06 5 Id. 66 1 | Solfato di santoni- nammina . . . 50 45,5 2 Id. 41 I risultati sono tanto evidenti, che crediamo inutile illustrarli. Notiamo solamente che il percento della mortalità negli ascaridi messi nei vasi con- tenenti l'iposantonina, e gli acidi (destro o levo) santonosi e così poco alto, che non si può ammettere che siano dotati di azione antielmintica. Il solfato di santoninammina invece, sciolto nel liquido intestinale nella proporzione da noi adoperata (0,16 °/,), riesce abbastanza vermicida; però il facile assorbimento di questo derivato tanto solubile, e la sua forte azione tossica, lo rendono disadatto all’ applicazione terapeutica. Per quello che riguarda la santonina, le nostre esperienze mostrano evi- dentemente, che siamo riusciti a farla agire in vitro sugli ascaridi e a spie- garci in questo modo il suo vero meccanismo di azione. — 440 — Infatti, mentre la santonina in cristalli, o sciolta nella soda, ha pochis- sima azione sugli elminti, invece quando in soluzione cloridrica, la versiamo nel liquido intestinale insieme ad una quantità di soda, che neutralizza l’aci- dità, essa manifesta il suo forte potere vermicida, già da tutti i clinici am- messo. Questo risultato deve, come abbiamo detto, attribuirsi all’ avvelena- mento che gli ascaridi subiscono assorbendo la santonina, la quale per l’ av- venuta precipitazione, si trova estremamente suddivisa, e quindi in condizioni favorevolissime per agire. L'ambiente nel quale la santonina si manifesta sostanza elminticida, deve essere di reazione alcalina, come è quello intesti- nale, perchè se questo non fosse necessario, nei casi in cui abbiamo versato la santonina in soluzione cloridrica, senza aggiungere la soda per neutralizzare, avremmo dovuto registrare la massima mortalità negli ascaridi causata dal- l’azione combinata dell'acido e della santonina. Poichè questo non avviene, bisogna concludere che in quelle condizioni la santonina rimane inerte, e che quindi al liquido acido debbono attribuirsi i risultati antielmintici che allora sì osservano, e che non differiscono molto da quelli ottenuti mettendo gli asca- ridi nella pura soluzione cloridrica. Escludiamo, fondandoci su molte esperienze eseguite in proposito, qua- lunque azione vermicida dovuta al sale che si ottiene con l'acido cloridrico neutralizzato con la soda. Dal complesso dei fatti da noi dimostrati, sorge l'indicazione terapeu- tica di adoperare la santonina di fresco precipitata, invece di quella in cri- stalli. Noi crediamo però, che questa pratica non debba mettersi in uso perchè in questo modo andremmo incontro, aumentando la solubilità della santonina nel succo gastrico, ad un maggiore assorbimento di essa attraverso la mucosa stomacale, la qual cosa costituirebbe, da una parte un pericolo per l'orga- nismo, e dall'altra una perdita di efficacia nell'azione vermicida. Potrebbe se mai tentarsi questa nuova pratica nei casi in cui dopo la ripetuta somministrazione della santonina, non si fosse ottenuto alcun bene- fico effetto. Secondo noi questi casi, e quelli di avvelenamento, che spesso si osservano somministrando la santonina, debbono esser messi in relazione con una minore o maggiore secrezione dell'acido libero dello stomaco, o con la presenza in esso di altri acidi eterogenei, durante il periodo della dige- stione gastrica della santonina. In quanto alla somministrazione dei purganti, dei quali crediamo ne- cessario il sussidio nella cura dell’ elmintiasi, considerando che l’ azione della santonina è lenta, sarebbe più opportuno, come fanno molti clinici, di darli a distanza di parecchi giorni, quando si può supporre che l’azione della san- tonina sia già finita. — 4d4l — RELAZIONI DI COMMISSIONI Il Socio CREMONA, a nome anche del Socio BELTRAMI, relatore, legge una Relazione sulla Memoria del prof. G. Ricci, intitolata: Dez sistemi di congruenze ortogonuli in una varietà qualunque, concludendo col proporre l'inserzione del lavoro negli Atti accademici. Le conclusioni della Commissione esaminatrice, poste ai voti dal Pre- sidente, sono approvate dalla Classe, salvo le consuete riserve. PERSONALE ACCADEMICO Il Presidente BrioscHI dà il doloroso annuncio della morte del Socio nazionale FEDERICO MENABREA, avvenuta il 25 maggio 1896, e di quella del Socio straniero GABRIELE Augusto DAUBREE, mancato ai vivi il 28 dello stesso mese; apparteneva il primo all'Accademia sino dal 4 gennaio 1874, e ne faceva parte il secondo dal 17 marzo 1881. L'Accademia, in adunanza generale, procedette alla elezione del Presi- dente, del Vicepresidente, e degli Amministratori. Risultato della votazione pel Presidente: Votanti 46. BrioscHI 41. Schede bianche 5. Eletto BRIoscHI (ricon- ferma). Risultato della votazione pel Vicepresidente: Votanti 46. MesseDAGLIA 41. ComPARETTI 1. Schede bianche 4. Eletto MESssEDAGLIA (riconferma). Risultato della votazione per gli Amministratori : Votanti 41. CERRUTI 38. ToMMASINI 83. BELTRAMI 2. SCHUPFER 2. StRiveRr 1. Eletti CERRUTI (riconferma) e TOMMASINI. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 6 giugno 1896. Abetti A. — Cometa I, 1896 (Perrine-Lamp). Roma, 1896, 4°. Bertini E. — Sugli spazi lineari delle quadriche a numero di pari dimen- sioni. Torino, 1895. 8°. Id. — Sulle configurazioni di Kimmer più volte tetraedroidali. Milano, 1896. 8°. — 442 — Boccardo E. e Baggi V. — Trattato elementare completo di geometria pra- tica. Disp. 43. Torino, 1896. 8°. Brédikine Th. — Sur l'origine et les orbites du système des Aquarides. S. Pétersbourg, 1896. 4°. Castracane F. — I processi di riproduzione e quello di moltiplicazione in tre tipi di diatomee. Roma, 1896. 4°. Catalogo della Biblioteca dell’ Ufficio geologico. 1° suppl. 1894-95. Roma, 1896. 8°. Cinelli M. — Sul massimo di densità di alcune soluzioni acquose e sull’ azione del corpo disciolto sulle proprietà del solvente. Pisa, 1896. 8°. Id. — Sopra la diffrazione della luce per aperture praticate sopra superficie curve. Pisa, 1895. 8°. Freda A. — Contributo alla flora vascolare del territorio livornese. I-IIIL Firenze, 1895. 8°. Id. — Contributo allo studio delle Narcissee italiane. Firenze, 1896. 8°. Gemmellaro G. G. — Sopra due nuovi generi di brachiopodi provenienti dai calcari con fusulina della provincia di Palermo. Palermo, 1896. 4°. Lussana S. — Sul calore specifico dei gas. Pisa, 1896. 8°. Id. e Cinelli. — Sulla propagazione dei raggi Réontgen. Siena, 1896. 8°. Meli R. — Ancora sugli esemplari di Neptunea Stnistrorsa Desh. (Fusus) pescati sulla costa di Algeri. Roma, 1895. 8°. Id. — Molluschi fossili estratti recentemente dal giacimento classico di Mon- temario. Roma, 1896. 8°. Id. — Relazione sommaria delle escursioni geologiche eseguite con gli allievi della r. Scuola di applicazione degli Ingegneri di Roma nell'anno sco- lastico 1894-95. Roma, 1895. 16°. Id. — Sopra alcune rocce e minerali raccolte nel viterbese. Roma, 1895. 8°. Observatorio (R.) de Lisboa (Tapada). — Observations méridiennes de la Pla- nete Mars pendant l'opposition de 1892. Lisbonne, 1896. 4°. Palmieri L. — Le correnti telluriche all’ Osservatorio vesuviano, osservate con fili inclinati all'orizzonte, durante l’anno 1895. Napoli, 1896. 4°. Passerini N.— Sul governo del vino come si pratica in Toscana. Firenze, 1896. 8°. Id. — Su di un nuovo carburatore nell’ apparecchio per il gas installato nel Laboratorio di chimica della Scuola agraria di Scandicci. Firenze, 1896. 8°. Perini E. — Sulla immunità contro la difterite conferita agli animali me- diante la somministrazione delle sostanze antitossiche per la via della bocca (Min. d. Int.). Roma, 1896. 4°. Reina V. e Ciconetti G. — Ricerche sul coefficiente di rifrazione terrestre eseguite in Roma nel 1895. Roma 1896, 4°. Schaudinn F. — Heliozoa. Berlin, 1896. 8°. Sclavo A. — Delle sofisticazioni del pane e delle paste alimentari coi pro- dotti del maiz bianco (Ministero dell'Interno). Roma, 1896. 4°. — 443 — Silvestri ©. — Lettera aperta al prof. Cora Guido. Roma, 1896. 8°. Staggemeier A. — Le millioniòme de la surface terrestre représenté comme une unité convenable pour l’estimation des étendues géographiques. Co- penhague, 1396. 8°. Valenti G. — Processo sopracondiloideo dell’omero in due criminali ed in una pazza. Perugia, 1896. 8°. Id. — Un caso di saldatura immediata dei talami ottici. Perugia, 1896. 8°. Weingarten J. — Sur la déformation des surfaces. Stockholm, 1896. 4°. PS. È AO dad MCR ri) o, Nt PORSE 4 i ì Ù \ A RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI nor _ __—---“<<<-< Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 21 giugno 1896. A. MessepAGLIA Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Fisica. — Del ripiegarsi dei raggi X dietro i corpi opachi. Nota del Socio E. ViLLARI (!). In una Nota preventiva presentata alla Accademia di Napoli nell’ adu- nanza del 14 marzo 1896 (?) dissi come ero riuscito a dimostrare, con l’ elet- troscopio e con la fotografia, che i raggi X, quando battono sopra un corpo ad essi opaco, vi si ripiegano dietro, in modo da penetrare nella sua ombra. In questo scritto esporrò più minutamente le esperienze fatte in proposito, ed i vari risultati ottenuti. La prima idea del ripiegarsi (3) dei raggi, dietro di un corpo opaco, mi venne studiando la trasparenza dei metalli. In sulle prime misurai la traspa- renza di una lastra di piombo di 20X20X0,44cm., e di una di zinco di 40 X 20 X0,42cm., interponendole, una dopo l’altra, perpendicolarmente (1) Presentata nella seduta del 6 giugno 1896. (2) Sui raggi X e sulle scariche elettriche da essi prodotte. III. Nota (Rend. Acc. di sc. fis. e mat. di Napoli, aprile 1896). (3) Adopero la parola « ripiegarsi » od oltra simile, soltanto per indicare il fatto, non ancora bene spiegato. Esso forse dipende dalla diffrazione dei raggi X, e più ancora da una proprietà da essi comunicata all’aria, come dirò, spero, fra poco. XENDICONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 58 — 446 — alle radiazioni, fra un Crookes a pera ed un elettroscopio carico e chiuso nella sua gabbia (!). Le misure più volte ripetute mostrarono, con mia sorpresa, che l’elettroscopio posto nel centro dell'ombra delle lastre si scaricava; e più rapidamente quando era interposta la lastra di piombo (5° in 59”), che quella di zinco (5° in 91”). Cosicchè queste lastre, sebbene molto spesse, pure sembravano abbastanza trasparenti; e quella di piombo più di quella di zinco, contrariamente alla realtà. Sospettando di qualche azione laterale perturbatrice dei raggi, chiusi un Crookes a pera in una cassa di lastre di piombo grosse 4,4mm. con un foro di 9 cm. di contro al fondo del tubo. Disposi a 50 o 60 cm. l’ elettroscopio nella sua gabbia, ed esaminai la trasparenza di una lastra di piombo e di una di zinco, grosse 0,4 mm., disponendole contro il foro in modo da chiu- derlo perfettamente. La scarica di 5° dello elettroscopio s° ebbe, col piombo in 14375 in media, e con lo zinco in 53,6. Da ciò due conseguenze: la prima, che il piombo è sensibilmente più opaco dello zinco, come è già noto; la seconda, che la scarica nelle prime esperienze delle grosse lastre, prodotta dai raggi X, non può attribuirsi alla loro trasparenza, che è certamente minima, per la loro grande spessezza. Perciò supposi, che l'apparente trasparenza delle grosse lastre di piombo o zinco dovesse riferirsi al ripiegarsi dei raggi X, o della loro efficacia, sui bordi delle lastre; e che la maggior trasparenza apparente della lastra di piombo fosse effetto della sua minore estensione, rispetto a quella di zinco. Questa interpretazione fu confermata dalle seguenti osservazioni: 1? Una lastra di piombo di 60 X 60 X 0,42 cm., esaminata come sopra, ‘apparve assai più opaca (scarica di 3° in 192”) di una simile ma più piccola, 20 X 20X0,42cm. (scarica di 5° in 40"). 2* Due lastre pressochè eguali, una di piombo 20 X 20 X 0,42 cm. ed una di zinco 20 X 20 X 0,44, esaminate al solito modo, mostraronsi assai diverse: quella di piombo apparve più opaca (scarica di 5° in 40”) di quella di zinco, (scarica di 5° in 33"), come è in realtà. 5® Interposi fra il Crookes e l’elettroscopio, a guisa di grande schermo, una lastra di zinco 60 X 60 X 0,42 cm. con un foro di 62 mm. ben centrato con gl'istrumenti. Contro di esso situai una lastra di platino 10 X 10 X 0,2 cm., in modo da chiuderlo, ed osservai che l’' elettroscopio discendeva di un certo (?) L’elettroscopio da me adoperato era a foglie d'oro, isolate perfettamente con tappo di paraffina così da tenere invariata la carica per molto tempo. Esso era chiuso intieramente in una gabbia di rete d’ottone fitta e sottile ricoperta di stagnola, salvo dal lato esposto alle radiazioni, ove la stagnola era sostituita da un’ ampia lastra. d’ alluminio grossa 0,5 mm. ed ampia 20X 20cm. Le foglie di oro erano osservate, attraverso due fori diametrali praticati nella stagnola, con un cannocchiale ad ingrandimento, nel quale al reticolo erasi sostituito una scala divisa sul vetro. — 447 — numero di gradi in 93": tolta la lastra di zinco e rimasta sola quella di platino, come dianzi, vidi che la medesima scarica dell’ elettroscopio av- veniva in 8". Dopo tali osservazioni bisogna ammettere, che lo scaricarsi dell’ elettro- scopio, situato nell'ombra di una delle precedenti lastre, sia da attribuirsi realmente al ripiegarsi dei raggi dietro di esse, e non alla loro trasparenza; tanto più, che chiudendo il foro della cassa di piombo contenente il Crookes, con una delle grosse lastre precedenti e collocando a breve distanza l’ elet- troscopio, questo non si scaricava punto. Stabilito il fatto, mi detti a studiarlo nei suoi particolari. Adoperai un disco di piombo 13 X 0,44 ed il Crookes chiuso, come sopra, nella cassa di piombo con un foro di 9cm. Chiudendo il foro col disco, i raggi erano del tutto arrestati, per essere questo affatto opaco. Disposi l’ elettroscopio, chiuso nella gabbia, a 45 cm. dal fondo del Crookes, ed il disco, centrato e normale all’ asse comune, lo situai, man mano, a diverse distanze dell’ elettroscopio. Misurai nei varî casi il tempo di scarica ed ottenni, come medie di più misure con- cordi ed incrociate, i seguenti valori in secondi: Distanza DE (1) Tempi di scarica di 1° 37 cm. 39” 20.» 39 15» TA 7,9 > 4,2 Tolto il disco la scarica di 1° fu rapidissima. Per potere avvicinare maggiormente il disco all’ elettroscopio, cavai questo dalla sua gabbia: ed avendo chiuso il foro della cassa di piombo, che conteneva il Crookes, col disco precedente osservai, che attivando il Crookes l’elettroscopio, sebbene oscillasse di circa !/,, pure non modificava punto la sua carica. Perciò potevo misurare il tempo delle scariche senza errori sen- sibili. Ripetute le esperienze precedenti ottenni i dati seguenti: Distanza DE Tempo di scarica di 10° 26,4 cm. 187,0 20,4 » gi0 15,0 » 13”,1 7,0» MORAL 1,8 » 22” 0 Tolto il disco 6,1 Cioè il tempo di scarica scema avvicinando il disco all’ elettroscopio, fino ad un minimo, di 10,1, alla distanza di 7 cm.; indi, avvicinando di più il disco all’elettroscopio, il tempo della scarica cresce di nuovo; ed è di 22” alla distanza di 1,8 cm. Perciò può dirsi che l'ombra al centro del (1) Indico per brevità, con D ed E il disco e l’elettroscopio. — 445 — disco, è meno fitta ad una certa distanza da esso, che potremo dire d7s/an24 critica, e diventa più densa a distanze maggiori o minori della critica. Altre esperienze eseguii con dischi di ottone affatto opachi, e più grandi del precedente. I numeri seguenti, medie di più misure, GsDrARORO in secondi la durata della scarica di 1°. Disco di ottone 18 cm. di diametro ed elettrometro in gabbia : Distanza DE Tempo di scarica 13,5 cm. 90” 11,5 » 667,5 9,5 » 385,5 ON PRU Questi risultati sono identici a quelli della prima serie di misure. Con un disco di ottone di 32 cm. si ebbe: Distanza DE Tempo di scarica per 1° 18 cm. 75 8 ” 144 Con questo ampio disco, situato ad 8 cm. dall’elettroscopio, s' ebbe al suo centro un’ ombra quasi assoluta, mentre che con gli altri dischi più piccoli, alla stessa distanza s' aveva l’ ombra di minima intensità. A 18 cm. di distanza l'ombra al centro era assai meno fitta. Cosicchè la distanza critica, del punto dell'ombra meno fitta al disco, ovvero la distanza critica dal disco, varia con le dimensioni di questo. Ad investigare l'efficacia dei raggi nelle diverse regioni dell’ ombra, su di un medesimo piano normale all’ asse del Crookes e passante per il centro del disco perpendicolarmente al disco stesso, disposi il tubo nella sua cassa ed il disco di piombo a 7,5 em. dall'elettroscopio, chiuso nella sua gabbia. Indi, attivando il Crookes, portai l’elettroscopio a destra o sinistra del centro del disco, senza porlo mai fuori della sua ombra geometrica, ed ottenni i se- guenti valori, rispondenti alla durata media della scarica di 5°. Elettroscopio Tempo di scarica Al centro 29 A destra lor Al centro 20" A sinistra dA Esperienze simili col disco di ottone di 18 cm. Elettroscopio Tempo di scarica Al centro 877,0 A sinistra 1542 Analoghi risultati si ebbero portando l'elettroscopio in alto od in basso dell'asse e dell'ombra; e del pari identici furono quelli ottenuti adoperando, invece del disco, una lastra di zinco di 40 X 40 X 0,42 cm., posta a 7,5 cm. dall’ elettroscopio. In queste condizioni l’ ombra al centro era piena e totale. Mio Da ciò si può concludere che l’ ombra dei raggi X, dietro i corpi opachi, scema dal centro alla periferia. h queste esperienze si è tenuto conto della sola posizione della pallina dell’ elettroscopio, che situavo nelle varie regioni dell'ombra, per apprezzarne la intensità. Potrebbe forse credersi, che anche il corpo dell’istrumento ri- sentisse l'efficacia dei raggi, che avrebbero potuto scaricarlo, indipendente- mente dalla sua pallina. In tal caso l’ effetto osservato non misurerebbe l’in- tensità dell'ombra nei varî punti ove trovavasi la pallina, ma risponderebbe ad un’ azione complessa dei raggi sulla pallina e sul resto dell’istrumento. Per rispondere a questo dubbio, ricoprii la pallina ed il gambo dell’ elettroscopio con un grosso tubo o cappello d’ottone perfettamente chiuso, e vidi che l'apparecchio non era punto influenzato dagli X, ai quali venne liberamente esposto. Questi raggi adunque non operano, che sulla pallina e sul gambo. Nè ciò deve far meraviglia, imperocchè il corpo dell’elettroscopio era fatto di una sfera di ottone di grosse pareti con 2 fori chiusi da grossi vetri, for- mando così un sistema impervio ai raggi. Per confermare il ripiegarsi dei raggi, ricorsi all’uso della fotografia; e dopo una prova abbastanza distinta, ottenuta con un Crookes a pera, ado- perai con molto miglior successo un tubo fuoco, cioè con l’anodo a lastra di platino riflettente i raggi catodici. Disposi una lastra Lumière 21 X 27 cm. a 29 cm. dal tubo ed interposi, a 7,5 cm. della stessa lastra un disco di piombo, 13 X 0,44 cm., normalmente ai raggi X. Attivai il tubo per circa 20 minuti ed ottenni un immagine del disco di 157 mm. diametro, con una sottilissima e lievissima penombra esterna. All’interno del limite dell’ ombra l’immagine era circondata da una zona chiara di 6 ad 8 mm. di larghezza, prodotta da radiazioni ripiegate e di intensità lievemente decrescenti, dal- l’esterno all'interno. Questa zona dimostra e conferma, che realmente i raggi X, o la loro efficacia, si ripiegano ai bordi dei corpi opachi, e penetrano nella loro ombra geometrica. Una riprova del ripiegarsi dei raggi ottenni del pari con la fotografia nel modo seguente: Situai avanti ad un piccolo tubo a fuoco (fig. 1) C, una grossa lastra di zinco (40 X40X0,42 cm.) affatto opaca, ZZ'. Normalmente ad essa, alcuni millimetri dietro del bordo Z' e dalla parte opposta di C, fissai una lastra Lumière Z'F, chiusa in più strati di carta nera. Essa, così, trovavasi nell'ombra piena di ZZ' e non poteva ricevere diret- tamente i raggi X provenienti da C. Attivai il tubo C, che era assai dete- riorato per lungo uso, e sviluppai la lastra dopo circa *#/, d'ora di azione. Essa mi si mostrò attaccata assai visibilmente dai raggi, ed in modo decre- scente dall’ estremo vicino Z' a quello lontano F. Una lista di stagnola grossa e ripiegata in quattro strati aveva prodotta una traccia chiara (non bene uniforme per non essere rimasta dapertutto aderente alla lastra) sul campo — 4590 — oscuro della negativa. Le prove furono più volte ripetute e sempre col me- desimo risultato, confermando il ripiegarsi dei raggi X dietro i corpi opachi. La energia però di cotesti raggi ripiegati scema da Z' ad F, pel crescere della distanza, sia dal tubo T, sia dal limite dell'ombra geometrica. Z Fic. 1. Riprendendo le esperienze con l’elettroscopio, situai il Crookes C nella sua solita cassa di piombo AA, e questa in quella ampia di zinco BB, come è di- segnato in pianta nella fig. 2. Il fondo di C rispondeva a due fori di 9 cm. TCA praticati nelle pareti delle casse, e quello /, della esterna, era chiuso da una lastra di alluminio di 0,5 mm. di spessezza. Al bordo del foro esterno e lateralmente fissai una lastra di zinco (40 X 40 X0,42 cm.) verticale, e pa- rallela ai raggi X, provenienti da C, ed avente nel suo mezzo un foro 4 di 4cm. Ad esso, e dalla parte esterna della lastra avvicinai, a 3 o 4 mm., una lastrina di alluminio 4 unita all’ elettroscopio E; ed in P, disposi una grossa lastra di piombo, per meglio riparare l’elettroscopio E dalle radia- zioni. Indi chiusi il foro 4 dalla faccia opposta della lastrina di alluminio, — 451 — con una grossa lastra di zinco e vidi, attivando C, che l’elettroscopio non sì scaricava in modo sensibile (scendeva 1°. . . . . in 80 a 100”). Poscia aperto a ed attivato C osservai che l’elettro- scopio scendeva in media di 10°. . . . . in 80 D'onde si rileva che gl’ X, o la loro efficacia, si piegano lateralmente alla loro direzione. Aggiunsi una lastra di latta L riflettente, a circa 10 cm. da Z, e l’elettroscopio scendeva 10° . in 83" Tolta L l’elettroscopio scendeva 10°... . » 84 Chiusogilifforoliiaglzelets@&scende) dio: .. fait. Ul 018011 Quindi potremo dire che la lastra riflettente L non ha influenza sensibile. Allontanando l’elettroscopio con la sua lastrina dal foro «, l'influenza degl’ X scema. Così con la lastrina a 45 mm. dal foro 4, sempre centrata, l'elettroscopio scendeva di 10°... . a 1011654 Chiuso con lastra zinco grossa il foro DI 1 elettro- troscopio scese di 1°. . . ar! Li 1-70 Portata la lastrina a a 5 mm. Dil firo l’ elet. SCESERO ORE Ae MR ESA Se si chiude il foro 7 con carta nera, han licollata ai bordi, l'efficacia degl’ X si riduce pressochè a nulla, così che l’elettroscopio scese di 10° in 147” Dai fatti precedenti sembra che per scaricare l'elettroscopio non sia ne- cessario che questo sia colpito direttamente dai raggi X, essendo sufficiente che vi arrivi l'aria stata attraversata da essi. Ed infatti l’ elettroscopio si sca- picagprontamentenencioe diel0o e 0. e in 9 30” O DI se sì soffia con un mantice Quante vr: azione di Crookes), contro la lastrina a l’aria che viene attreversata dai raggi. Per contro, quando il Crookes è inattivo l’aria soffiata su di 4 non scarica l’elettroscopio. Perciò può dirsi, che gl X impartiscono all'aria l’attività di scaricare l'elettroscopio, attività che conservano per un certo tempo. Questo fatto è simile a quello osservato dal Réontgen, il quale vide, che l’aria, su cui hanno agito i raggi X, fatta passare, per aspirazione, sopra di un elettroscopio lo scaricava rapidamente della sua elettricità. Intorno ad alcune ricerche del prof. A. RicHi state prima fatte da me. Il prof. A. Righi in una recente Nota, Muovi studi sulla dispersione elettrica prodotta dai raggi Ròntgen (Rend. Ace. dei Lincei, seduta 3 mag- gio 1896, vol. V, fasc. 9°) dimostra, per mezzo della dispersione elettrica e della fotografia, che i raggi X agiscono anche nella loro ombra prodotta da — 452 — un disco opaco, o come egli si esprime « che i raggi X non giungono al corpo elettrizzato tutti in linea retta dalla sorgente ». Osserva, inoltre, che quando gl' X passano per un diaframma forato, che opera come un cortissimo tubo, perdono assai della loro efficacia nel disperdere l'’ elettricità dei corpi elettrizzati. Ora io faccio notare, che l’azione dei raggi dietro i dischi opachi, e l'influenza dei tubi, di scemare l’ efficacia delle radiazioni, fu già prima scoperta e studiata da me, sia con la dispersione elettrica, sia ancora con la fotografia. E di coteste mie ricerche lessi due Note preventive nelle sedute del 15 febbraio e 14 marzo scorso, alla R. Accademia di Napoli (!). Oggi poi ho presentato all’ Accademia dei Lincei una più minuta descrizione delle esperienze eseguite in proposito insieme a due fotografie; ed una nuova Nota presentai ancora il 9 maggio all’ Accademia di Napoli sul medesimo soggetto. Fisica. — Osservazioni sulla precedente comunicazione. Nota del Corrispondente A. RIGHI. Avendomi l'illustre prof. Villari fatto conoscere in tempo il testo della precedente comunicazione (è), sono lieto di potere ad essa aggiungere questa mia. Quando mandai alla R. Accademia dei Lincei la mia Nota intitolata Nuovi studî ecc., il lavoro del prof. Villari non era giunto a mia cogni- zione; ma riconosco ora che il significato delle sue e delle mie esperienze è perfettamente il medesimo. Anzi, in certo modo, le nostre esperienze si completano a vicenda. Però, per le date che hanno le nostre pubblicazioni, rimane accertato che prima di me il prof. Villari fece conoscere dei fatti, che suggeriscono l'ipotesi di una diffusione dei raggi X, operata dall'aria, quasi fosse un mezzo leggermente torbido, ipotesi che nella mia Nota (8) ho esposto colle debite riserve. È dunque colla più viva compiacenza, che constato questo accordo rag- giunto sul campo dei fatti, partendo da vie alquanto diverse, e che riconosco quanta priorità al prof. Villari spetta indiscutibilmente. Fisica. — Sul trasporto dell’ elettricità secondo le linee di forza, prodotto dai raggi di Rontgen. Nota del Corrispondente Augusto RIGHI. In molte Memorie e Note, da me pubblicate dal 1880 in poi, ho di- mostrato che la propagazione della elettricità nei gas è un fenomeno di convezione o di trasporto, operato da particelle materiali, le quali, almeno (1) Rend. R. Acc. di sc. fisiche e matematiche di Napoli, fog. 2° e 4° di febbraio ed aprile 1896. (2) Sul meccanismo ecc. in questi Rendiconti. (8) Nuovi studi sulla dispersione elettrica ecc. Rend. della R. Acc. dei Lincei, 8 maggio, 1896. — 4583 — quando il gas non sia alquanto rarefatto, seguono sensibilmente nel loro moto le linee di forza ('). Queste particelle materiali potrebbero essere (lasciando a parte le ipotesi meno verosimili) secondo alcuni particelle staccate dai conduttori elettrizzati, e secondo altri le melecole stesse del gas. Fra le molte mie esperienze, alcune sembrano additare come più attendi- bile quest ultima ipotesi, alla quale in più occasioni ho mostrato quindi di dare la preferenza, pur non escludendo che in certi casi anche delle parti- celle staccate dai conduttori possano avere una parte nei fenomeni. Ma oggi mi preme far notare, come già feci altra volta, che nulla si oppone a che si adotti, estendendola opportunamente, la teoria elettrolitica delle scariche nei gas; ed in tal caso le particelle elettrizzate trasportanti l’ elettricità sa- rebbero i ioni liberi. Quelle mie ricerche sul meccanismo della convezione elettrica nei gas comprendono, si può dire, ogni caso di propagazione dell’ elettricità nei corpi aeriformi, p. es. dispersione dell’ elettricità dalle punte, dispersione provo- cata dai raggi ultravioletti, dispersione dai metalli roventi elettrizzati. Era dunque naturale che considerassi senz’ altro nello stesso modo anche quella propagazione dell’ elettricità nei gas, che ha luogo allorchè essi sono attraversati dai raggi X, ed è perciò che nelle varie Note pubblicate su tale argomento, e quando l’' occasione se ne presentava, mi son permesso di de- scrivere le mie esperienze o di renderne conto, come se quel trasporto del- l'elettricità secondo le linee di forza fosse cosa dimostrata (2). Che la dispersione provocata dai raggi X avvenga sotto forma di con- vezione operata dalle molecole gassose, è stato ammesso anche dal Villari, col quale sono lieto di trovarmi così in consonanza di vedute (8). Se dopo ciò ulteriori prove in proposito possono apparire superflue, credo tuttavia che il far vedere come, anche per la dispersione provocata dai raggi X, le particelle materiali percorrono un sistema di traiettorie, generalmente curve, che coincidono sensibilmente colle linee di forza, aggiunga al con- cetto, da me da tempo sostenuto, maggior valore. È perciò che descrivo qui succintamente due delle esperienze fatte in (1) Non citerò tutte quelle pubblicazioni onde non ingombrare soverchiamente questa Nota, ma mi limiterò a indicare i titoli delle principali. Sulle ombre elettriche; Sui fenomeni elettrici provocati dalle radiazioni; Sulle traiettorie percorse nella convezione fotoelet- trica; Sulla distribuzione del potenziale nell'aria rarefatta percorsa da corrente elettrica ete. Queste e le altre Memorie furono pubblicate, o nelle Mem. della R. Accad. di Bologna, o nei Rend. della R. Accad. dei Lincei, nel giornale: Il Nuovo Cimento; e tradotte o riassunte nei giornali di Fisica stranieri. (2) Si vegga, per esempio, la 2°% delle Note presentate il 1° marzo alla R. Acc. dei Lincei. (3) Vedi Rend. della R. Accad. di Napoli, aprile 1896, e questi Rend. 6 giugno 1896. RenpICcONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 59 — 454 — proposito, rimandando alla Memoria completa relativa a tutte le mie ricerche sui raggi di Rontgen il lettore che desideri informazioni det- tagliate (). Come si vedrà, le esperienze che sto per descrivere sono simili ad al- cune di quelle che feci altra volta per gli altri casi di propagazione dell’elet- tricità nei gas, e solo sono state adattate alle condizioni speciali imposte dall’ uso dei raggi X. 1° esperienza. Una lastra d'ebanite orizzontale AB (fig. 1), (A avente sulla faccia inferiore un'armatura metallica C e che un momento prima dell’espe- rienza è stata tenuta sopra una FARE fiamma onde asciugarla e scari- a carla, è posta al disotto di una (E; sfera conduttrice isolata D. In mezzo è collocata una croce di 74 ebanite E, rappresentata a parte Fia. 1. in F. Lateralmente è posto il tubo G produttore dei raggi X, mentre una grande lastra verticale d’allu- minio HI è posta fra esso e gli altri apparecchi. I conduttori C e D vengono messi in comunicazione coi poli d'una pic- cola macchina elettrica ad influenza, mossa così lentamente che non giun- gano a formarsi mai, o si formino assai di rado, scintille di 5 o 6 milli- metri fra i suoi elettrodi (dato che la distanza fra C e D sia di 6 0 7 centimetri). Dopo tre o quattro mi- nuti d'azione simultanea della piccola macchina e del tubo G, si toglie di posto la lastra AB, e sì proietta su di essa il miscuglio di minio e solfo. Subito ap- pare l'ombra elettrica della croce (fig. 2), nella quale, se per esempio D ebbe la carica +, vedesi l'ombra 0 == in rosso, ed il fondo FF in giallo (?). Fic. 2. Come nel caso dell'usuale ombra elettrica (per ottenere la quale bisogna collocare al posto della sfera D una punta acuta), la forma e la posizione dell'ombra sono quali si prevedono, ammettendo che l'ombra sia dovuta al- l’impedimento meccanico opposto dalla croce al moto, secondo le linee di (1) La Memoria che ha per titolo: Sulla propagazione dell’ elettricità nei gas at- traversati dai raggi di Ròntgen è stata letta il 31 maggio alla R. Acc. di Bologna, ma non potrà essere stampata che entro non breve scadenza. (3) Spesso l’ombra che si forma è un'ombra composta. Per la descrizione e la spie- gazione delle ombre composte veggasi la mia seconda Memoria sulle ombre elettriche. — 455 — forza, delle particelle elettrizzate che trasportano sull’ ebanite la carica della sfera. Non è necessario che i raggi X cadano sulla superficie della sfera D (fig. 1), nè che questa abbia la superficie ben netta, come invece occorrerebbe se in luogo dei raggi X si volessero adoperare raggi ultravioletti. Che poi l'effetto debbasi veramente all’ azione dei raggi X risulta: 1° dal fatto che non sì ottiene alcuna ombra sull’ebanite se si ripete l’ esperienza mentre il tubo G resta inattivo; 2° dal fatto che, se fra G ed HI si colloca un diaframma di piombo che arresti una porzione del fascio di raggi X, la parte corrispondente dell'ombra risulta debole o mancante. i 2° esperienza. Tutte le volte che ho voluto far misure, per riconoscere se realmente le traiettorie percorse dalle particelle elettrizzate coincidono colle linee di forza, ho ricorso a certi sistemi cilindrici di conduttori, pei quali le linee di forza hanno forma semplice e nota. Così ho fatto nella seguente esperienza. AB (fig. 3) è la lastra d'e- banite, C la sua armatura, D un : lungo cilindro metallico parallelo di ad AB, ed E una riga d’ ebanite, anch'essa parallela al cilindro ed alla lastra. Procedendo come nel caso del- I l'esperienza precedente si ottiene in mn un'ombra di E, limitata da rette parallele al cilindro. La posizione occupata da queste rette coincide sensibilmente con quella che si prevede conducendo, come nella figura, le linee di forza che passano pel contorno di E. Dicendo x la distanza pg fra la superficie metallica piana ed il punto p pel quale passano i prolungamenti di tutte le linee di forza, d la distanza dell'asse del cilindro dal medesimo piano, ed KR il raggio del cilindro, si ha, Fic. 3. per trovare la posizione del punto p, <« =]/d*—R?. Le linee di forza, se- gnate sulla figura, sono archi di cerchio aventi il centro su C e passanti per p. Posso dunque concludere, che il meccanismo della dispersione provocata dai raggi X, è quello stesso con cui si compie anche negli altri casi la pro- pagazione della elettricità nei gas, e cioè una convezione secondo le linee di forza. È poi verosimile che, anche nel caso dei raggi X, quando il gas viene di più in più rarefatto, le traiettorie delle particelle elettrizzate si modifi- chino gradatamente, come appunto accade nei casi analoghi sopra ricordati. Chimica. — Azzone della dimetilammina sugli eteri dietilici degli acidi fumarico e maleico. Nota del Socio K6RNER e del prof. A. MENOZZI. Alcuni anni fa abbiamo comunicato (*) i resultati di ricerche eseguite col sottoporre gli eteri dietilici degli acidi maleico e fumarico all’ azione della metilammina, colle quali arrivammo ad ottenere la dimetilammide dell’ acido metil-aspartico, l'etere dietilico del medesimo acido, l'acido metil-aspartico libero e inoltre l'acido metilammino-metilsuccinammico (di metil-asparagina). In continuazione di questi studi abbiamo trattato gli eteri sopranomi- nati colla dimetilammina per indagare se la reazione da noi trovata per l’ammoniaca e per ammine primarie avvenga in modo analogo anche per basi secondarie. Abbiamo l'onore di comunicare all’ Accademia, i risultati avuti coll'’impiego della dimetilammina, i quali dimostrano che effettivamente anche questa base si somma agli elementi del fumarato e del maleinato dietilico, eliminandosi la doppia legatura, dando prodotti nuovi di sostituzione dell’ a- cido succinico, dell'acido aspartico e dell’asparagina. Etere fumarico e dimetilammina. L'etere fumarico (gr. 15) venne scaldato con soluzione alcoolica di di- metilammina al 30 °/, (gr. 45), in tubi chiusi per tre giorni alla temperatura di 105° - 110°. Il contenuto dei tubi fu sottoposto alla distillazione a b. m., ed il residuo messo nel vuoto su acido solforico. Dopo alcune settimane com- parvero dei cristalli mammellari, duri, mentre il liquido presentò consistenza oleosa. Si aggiunse dell'etere anidro il quale si scioglie nella parte liquida, mentre lascia depositare una piccola quantità di una sostanza sciropposa, che dopo qualche tempo si solidifica. La soluzione eterea a fianco a poco fuma- rato dietilico, sfuggito alla reazione, contiene dimetilammino-succinato dieti- lico; il prodotto solido si dimostrò essere una tetra metil-asparagina. Tetrametilasparagina Il predetto prodotto solido, dopo essere stato ripetutamente lavato con etere anidro e essiccato nel vuoto, si purificò ricristallizzandolo più volte da alcool assoluto nel quale è molto solubile. Per raffreddamento della soluzione cristallizza in lunghi aghi bianchi, talmente deliquescenti da essere assai difficile raccoglierli perfettamente secchi. Dalla soluzione alcoolica la sostanza precipita in gran parte dietro aggiunta di etere. Il prodotto fonde a 104° circa. (1) Rendiconti della R. Acc. dei Lincei, CI. sc. fisiche ecc., vol. V, 1 sem. fasc. 2°, 1889. — 457 — Il prodotto ci diede all'analisi i seguenti risultati : I. gr. 0,2642 di sostanza fornirono c. c. 36 di azoto a 25° e sotto 754 mm. di pressione. II. gr. 0,289 di sostanza diedero c. c. 37,8 di azoto a 16° e sotto 755,0 mm. di pressione. III. gr. 0,2001 di sostanza fornirono gr. 0,3717 di CO» e gr. 0,1562 di acqua. TO II. III. AVANO oo a AI 15,12 — Carbonio ae e le... 50,60 Idrogeno ae a. 8.07 Questi risultati conducono alla formula Cs His N: 03 la quale richiede : VO Re 14:00) Carbonio Ra eee e. dol000 idrogeno Rae 0. topo: Scaldando la sostanza con idrato di bario, svolge dimetilammina e dà il sale di bario dell'acido dimetilaspartico (dimetilammino succinico), e per parziale scomposizione di quest'ultimo fornisce contemporaneamente fumarato baritico. l La costituzione della sostanza è conseguentemente espressa dalla formula : CO. H | CH; | CH.N(CH;)» | CO. N (CH;); Dimetilamminosuccinato dietilico. Per separare questo prodotto dal poco fumarato dietilico, rimasto inal- terato, si agita la soluzione in etere a più riprese con leggiero eccesso di acido solforico diluito, avendo cura di mantenere la temperatura sempre vi- cino a 0°. La soluzione solforica si estrae con etere; indi si soprasatura con potassa acquosa, aggiungendo questa poco per voltà per impedire ogni riscal- damento. In tal modo il liquido si intorbida e lascia separare una sostanza oleosa la quale si ottiene pura, estraendo con etere, eliminando questo per distillazione e ponendo il residuo nel vuoto sopra acido solforico. Il prodotto così risultante si presenta sotto forma di un liquido molto rifrangente di leggerissimo odore, basico e etereo nello stesso tempo; è po- chissimo solubile nell'acqua; si scioglie invece con la massima facilità con — 458 — gli acidi diluiti, formando con essi dei sali da cui può essere ripristinato allo stato inalterato mediante liscivie diluite, purchè si eviti sempre ogni riscaldamento. L'olio a temperatura ordinaria è un poco più pesante del- l’acqua. Facendo uguale ad 1 il peso specifico dell’acqua a 0° quello dell’ olio è risultato : a. 00. . 10418 all l'ote a- 050300 ao 00M 09702 In una determinazione di azoto si ebbero da grammi 0,5430 di sostanza c.c. 32,5 di azoto a 28°, e sotto 756,7 m.m. di pressione, ciò che corrisponde a gr. 0,0355 di azoto, da cui si calcola: azoto per cento 6,54. Questo contenuto in azoto edi prodotti di trasformazione dimostrano che la sostanza altro non è che l'etere dietilico dell'acido di metilaspartico (dimetilamminosuccinico) della formula C.0 His NO, per la quale si calcola: ‘ azoto per cento 6,45. Acido dimetilaspartico (dimetilammino-succinico). L’etere descritto agitato in tubo chiuso colla quantità equivalente di acqua di barite, poco a poco si scioglie e la soluzione deposita cristalli aghi- formi piccolissimi che costituiscono il sale baritico dell’ acido corrispondente. Questo si ottiene precipitando il bario colla quantità richiesta di acido sol- forico diluito. Tuttavia occorre impiegare di questo un leggerissimo eccesso, che in seguito si elimina dalla soluzione filtrata, perchè altrimenti il solfato di bario non si deposita ed il liquido non si può filtrare. La soluzione viene concentrata a temperatura piuttosto bassa, e deposita indi dei grandi cristalli incolori, trasparenti, prismatici, poco solubili nell'acqua fredda, facilmente solubili negli acidi diluiti e negli alcali. La soluzione acquosa ha reazione acida e depone l'acido allo stato anidro. L'acido fonde a 185°. L'analisi ha dato questi risultati : gr. 0,2401 di sostanza diedero c.c. 17,3 di azoto a 10° c. e sotto 756 mm. di pressione; gr. 0,2043 di sostanza diedero gr. 0,3341 di anidride carbonica e gr. 0,1284 di acqua. Da cui si calcola: Trovato Calcolato per Cs Hi, NO, Azoto 8,58 8,69 Carbonio » 44,60 44,72 Idrogeno » 6,98 6,83 — 459 — Il prof. Artini ha voluto fare lo studio cristallografico dell'acido descritto e ci ha comunicato i seguenti dati: Sistema monoclino: as bi: ec = 1.2141 : 1790.6340 BI==178°. 119) Forme osservate: 3100} , j001} , {110 , 3201} , 3011}, {211|. (100) . (101) = 780.19 (100) . (110) = 499.56' (0001) 31%50% Cristalli limpidi, incolori, prismatici allungati secondo [001]. Sfaldatura facile e perfetta secondo }201}. Piano degli assi ottici }010|. I sali di sodio e di potassio, come pure quelli di bario e di calcio, con- tenenti un atomo di idrogeno sostituito dalla quantità equivalente di metallo, sono straordinariamente solubili nell'acqua e soltanto quando la soluzione ha acquistato la consistenza di spesso sciroppo si formano cristalli che non si possono separare dalle acque madri dense. Questi sali sono deliquescenti. Me- scolando la soluzione del sale monosodico o monopotassico con soluzione di solfato ramico si ottiene un liquido intensamente colorato in azzurro cupo, il quale dopo molto tempo lascia depositare un precipitato cristallino del sale ramico che possiede colore azzurro-chiaro e sì presenta, osservato al mi- croscopio, costituito di piccole tavolette allungate. L'etere maleico sottoposto agli stessi trattamenti descritti per quello fumarico ha dato prodotti per tutte le proprietà studiate identici a quelli or ora descritti. Solamente abbiamo osservato che la dimetilammina si somma più prontamente all’ etere maleico che non al fumarico. Se si scioglie l'etere dimetilammino-succinico (ottenuto dall’ etere ma- leico) in un eccesso di acido solforico e si fa bollire la soluzione, questa s' intorbida e dopo qualche tempo si divide in due strati di cui il più rifran- gente è costituito da fumarato dietilico chimicamente puro. Questo esperi- mento abbiamo ripetuto più volte sempre col medesimo risultato; il quale dimostra per conseguenza che col mezzo della indicata reazione l’ etere ma- leico si trasforma quantitativamente nel fumarico; ciò che risulta da tutte le proprietà fisiche della sostanza nonchè dal prodotto di sua saponificazione con acqua di barite. Questa trasformazione è in armonia con un altro fatto da noi osservato e finora non pubblicato, e cioè che gli acidi non saturi che risultano a fianco di trimetilammina dalla scomposizione degli ammino-acidi trimelati costi- tuiscono sempre la forma fumaroide e non mai la maleica. — 460 — Meccanica. — Sulla integrazione delle equazioni della ela- sticità. Nota di O. TEDONE, presentata dal Corrispondente VOLTERRA. 1. Nella mia Nota, presentata lo scorso maggio a codesta Accademia, col titolo Sulla dimostrazione della formola che rappresenta analiticamente il principio di Huyghens, ho dedotto la notissima formola di Kirchhoff che rappresenta nel modo più completo e più rigoroso il principio di Huyghens, servendomi di un metodo di integrazione di cui l'idea fondamentale è do- vuta al prof. Volterra. Mi propongo ora di mostrare che gli stessi concetti possono applicarsi con vantaggio anche alle equazioni della elasticità. 2. Ricordiamo perciò che le equazioni del movimento vibratorio di un corpo elastico, omogeneo ed isotropo, di cui soltanto ci occupiamo, possono scriversì: de d de dY d°v 2.00 2 de dO EE (1) deo — i D DI ca 2 0 I Rita pr — de( 2-3) z_o di 8 Y dI dove : du dV , dWw ; IR a (fica) tp e o NRE. \ Ag là da 2 DR, Ora se indichiamo con S, una porzione di uno spazio lineare a quattro di- mensioni in cui 4, y, #, £ rappresentano le coordinate di un punto varia- bile, limitata da una varietà X a tre dimensioni, soggetta alla condizione di avere in ogni punto un iperpiano tangente determinato e variabile con con- tinuità da punto a punto, almeno generalmente; se indichiamo con w',v', w' un sistema di tre funzioni regolari in S,, come %,v,w, e distinguiamo con un accento le quantità che dipendono da u',0',w'" e se, finalmente, indi- chiamo con 7 la direzione della normale a X diretta verso l'interno di Sy, — 461 — col solito metodo di integrazione per parti, troveremmo la formola se- guente : dg dy du di , E (Xu kYvH2w! ast f, Lee; I Di Co dn ea s da de ddl |, +| rese lea a) de sd da dw dt , __ 2 3ONI Age 0) ba ‘ lee d sde ,dy du di — 2 335D -/ (X'u+Y'0+-Z/00)dS, se re e(4 di da dl vd , de dv di 2 7d von “G 5 dia gli dn o) di dn f 70 CONA le dwv' di ) +| — 020 —29? 2g | 4 dg | e do 2a È dn ho di dn |" | ri 3. Prenderemo dapprima per S4 lo spazio S',, limitato dalla varietà conica © b(ti.—t) r (4) —1=0 , r=lV(@—a}+(1m—y}+ (1-6), dove 41,%1,41,% rappresentano le coordinate di un punto arbitrario dello spazio lineare (2 ,y,<,%), dalla varietà cilindrica c (5) o e dalla porzione 2", di una varietà 3 a tre dimensioni, soggetta ancora alla condizione di essere incontrata in un solo punto da ogni parallela all'asse £. Supporremo inoltre che in S',» sia sempre 4, ># e chiameremo 37, 3y le porzioni di C e c che insieme a 2, limitano completamente S',3. Fac- ciamo poi: _ ITOGZZOTAT_ 2 NAE%2ì 1 AAC =] r all P +e r +e | ed osserviamo che si ha corrispondentemente: (7) SEA ee RenpICONTI. 1896, Vor. V, 1° Sem. 60 — 462 — La (3) ci darà quindi : È 7 ROSETO da de dudt SINUNEZI ul (Xu4Yo' +Zw')dS' o + | ) 9a 2a (17 - et % Ù VI VII Zi SS: prz b Sb di da do dt ez ps I + di; da è(e— ag) + Jo (8); |- eg E _ 7 dy __.d a dwdt |, 1 2 dn de ? dn * dn e di da | dI iP = 20° da SL IÙ, di 26° dy do' di fi r int di da © r 00 di da OE FS +" Db de | VdE]lgo ire POI Ca Le Poichè ora è: _M_PG-O e. [E eda PS i|1 r* dr’ i=|1- 7? dr? -|1- r? ii ? d mentre su Xy è — —=—°*—, si avrà su 37: °° dn dr da’ 0 db da > du di 20° daMidr Vi 2 — r da dida dr dor dn per cui, ricordando che è pure su 3}: dillo | Me i RO dio ee da ini si deduce che l'insieme degli integrali, estesi a 3}, che compaiono in (8) si riduce identicamente a zero. 1/, O 1 d d 111 Su 3} è invece e 008 ora per cui, su 3} , è identicamente TAMA: SR a (ae) +(e7- 0) +(04 n A — 463 — e se facciamo diminuire e indefinitamente sarà: Zad (7 atrio, tot) dx” =0 Cho (+0 Lu a) 20=1im( 5?) | Li iL PI la = wb' (fi — i) 0(21,Y1381 NO) Îo dove w è eguale a 47 se la parallela all'asse £ condotta pel punto (41,181, t1) incontra X senza toccarla, è eguale a zero se non l’incontra e rappresenta una parte determinata di 477 se la nominata parallela è tan- gente a X, e #, indica il valore di £ che corrisponde alla intersezione di X con la stessa parallela. Indicando, quindi, con S,, e X ciò che diventano, ar e=0 Sa SE la (8) diventerà s bd? bi ae ALS | (x cy 742 È) dSy, b Lia Sa: sf. da dy dudi |da Se s [n a (i e)+ ti dr (9) di da ARL dt dy dae) | dw dt (de) 077 9 Ro PS a td vw 2a°( a 0%) ey sc 4] i 67 dI (© dn Ji di da Ad h_tda di du n... 5 de h_—tdedi | {dk tm r dr du r drdn ii: dn vr drdn DI o MERO questa equazione una volta rispetto a 7, e dividendo per 22?, si trova 5 t n di ee Se ati Da pd Te) Bua ina a A) oa ee 2 de du di da (10) de N] i 0 da (i tan * i) dtdn_|dr da ol) dv di mM] dae\ dw di ]dz __ p2904 ___c __}2 I SE. LITAS + 2 6 Lze(e06 tania dd) da 1 67, _2a(@ dn n Y A 3 (de ttded, [WU NÈ... i a wi >; Li di do do drdan de; do dda li r° b — 464 — 4. Per trovare delle formole analoghe alla precedente per w,y,0 pren- diamo per S, lo spazio S',,, limitato dalla varietà conica C' (11) ci: a) IR dalla varietà cilindrica c e dalla parte 2°, della stessa varietà X di prima e chiamiamo X%, Za le parti di C' e di e che, insieme a 2°,, determinano il contorno completo di S',,. Per w',v',w'" prendiamo invece : (12) n= 029 3, '=0, w=0 a cui corrispondono i valori seguenti di 0"; &',x,0'; X',Y',Z': o pe Si i RA A \ e e Voglio 2y (13). È DA 0 ZIA RT 2 WE" (0° —' 2 POST a 2 AI e (0° ay (0 dai (5 a Si ha ora: TI Ù ì: r 3 QU r 2) dU | Xu+Y'0+Z0)08 «n [la cata i z(1 toto uz, S a Sac 5 Ri | PELATI da 2 de AA e) Men dt | ( he dn al dn c9) di di DSP Aaa EA dy def du dd, dd na :|3 e (4) Uta ul T )tz+a iC ‘(ars TR) sE du du dt Sla da dE ni dZal per cui la formola (3) diventa da dz 002) du dt 2 39) — fe XdS ga + S[ b°8 7. dn —2(1 Xn ° dn Ev, dn Ho Za+ È (Eu ris), (atene (14) no {LE Do dandy dn ui È da I n) [2 du du di 5 ; CATA Dog apre GEE = + («fe dn dI a dda (rd vi Bian di ll ULI So E PID DIA SUETORIOTEOR du dy PAIA du de du de _ 0) da dn dy dn a Www Osservando inoltre che su 27 è:u« = 0, a? SZ _ De di = 0, risulta che dn dt dn l'insieme degli integrali estesi a 27 che compaiono in (14) è identicamente nullo; mentre, osservando che su 3 è de gi LA L e che quindi : dn dan dr lim ti de dy du di > DD fe L Mira :(£ di 00) ul di dn ai a du du di È ta LIE Ci para Sd dZa se (ioet n 0, si trova che, per = 0, l'insieme degli integrali estesi a X7 si riduce ap- punto a ta — wa (Yu, 61,0) dt. to Perciò se indichiamo con S,a, Za ciò che diventano S',, e 2",, per «= 0, la (14), per s#=0 diventerà ta e {1 — {u(X1,Y1,381, 0) de © ht È de dy\ dudi -{(ea) )xes. +S( ani) a 2e(1 vigila Mi ti, —É dedy dyda dalda rt da 2 3 ZA ER I OE È ; andre ci SS e( RE È (7 da dr 5) sl) nz di dr dn Sa pic: U Ù, dare É dr 2A nel EA L o ) ef [e i - | Cie 2 Me - 1)648,a. SG S 4.0 Si otterranno altre due formole analoghe a questa cambiando ciclicamente U,0,W}L,Y,e;D,Xx,0 e X,Y;Z e, se indichiamo il secondo membro della (15), a meno dell’ultimo termine, con waU e con waV,waW indi- — 466 — chiamo le espressioni analoghe che si ottengono con la permutazione indicata, la (15) e le altre due analoghe possono scriversi : Î 2 pe CE ei ano è ((12_1)es WA dI Èo 4,0 — bia a de, (16) a \(t-t0(z1.Y1,4,6)dt=V + oi A (02 _1)068,, Èo 4,0 b—a? * ti, i A — t)w(%1,Y,8,0) do =W+ i - al _ 1)648,, 1 Notiamo la formola i ( — i) u(&1,%1,4,)di= — plentiy_ E o IX 1 13%1,$1) = da 0 “dx, Îo e le altre che si ottengono cambiando <, in y1 ed in 2; e vw in v edinw, dove u=%(%1,Y1,81,%0),-.. e le derivate do, n» sono da rica- varsi dall’ equazione /(2,y,2,t)=0 di X. Tenendo conto delle equazioni precedenti si ricavano AiDa, facilmente, dalle (16) le equazioni : lA 5 d È DIO 2a ( (Mole dll) erinii ù vano: to È ; do di IW (17) “TE L_ Lara Èo Uri dto (4 Dez ya Ut) | E — «a UA Îo 5. Indichiamo con wT il secondo membro della (10) e con P, Q, Ri se- condi membri delle (17). Tenendo presenti le equazioni (1), la (10) e le (17) ci permettono allora di scrivere È ; Ò EU USI) dio 9 nf dto (6-2) a Dn dt= (ti, h—t)[ 008 da, + 2a nem lo ti +3 D+ IR (1-0) X(21,%1, 81,6) dt. Le Yi 0 40 — Da questa formola e dalle analoghe in v e 7, notando che: t È du, 1,610 du {G-o sica di=u(m parato)... Îo si deducono le altre: dU dt dt dt, u(xi »Y1 È) 51) t1) = Uo +(4— (+ DB t 20(x 3” —_— Lo 2] RAR È Da dI v VITI + fl DE To 3 dv dt dt di v(x1 »Y1,81) t1) E= vot (i a (+ Ol E 2a(e, ani — Do 2] (18) ?R dI t SIT dP 1 ug 4 (lorena na t È Ut di di Dio) ort(i—t)] (3) +vota (7 — X 2] È eno pote + (1-0) Z (21,48, 0) dt Îo le quali determinano i valori di 4, v, w nel punto (41, %1,%1,t) in fun- zione dei valori che x ,v,w e le derivate parziali di esse rispetto ad 2, y, 4, 4 acquistano su 2, e 3). Meccanica. — Sul moto di un corpo rigido intorno ad un punto fisso. Nota di TuLLIO LEVI-CIVITA, presentata dal Socio CERRUTI. Questo lavoro sarà pubblicato nel prossimo fascicolo. Fisica. — Sopra la teoria cinetica dei gas. Nota del dott. CARLO DeL LunGO, presentata dal Corrispondente RottI. In una Nota pubblicata nei Comptes rendus del 4 maggio passato, J. Bertrand ha mosso un attacco decisivo contro la teoria cinetica dei gas, di- chiarando assolutamente assurdo il noto teorema di Maxwell sulla distri- buzione delle velocità molecolari, e ciò, fondandosi sulla prima dimostrazione che ne diede il Maxwell. L. Boltzmann ha replicato con una lettera (Compt. rend. 26 maggio) nella quale, pure accettando il calcolo del Bertrand, dice, che aver dimostrata — 468 — erronea la prima dimostrazione di Maxwell non prova punto la falsità del teorema: e invitando il Bertrand ad esaminare le altre dimostrazioni che egli e diversi altri ne han dato, aggiunge che, se una di queste è esatta, il teorema è vero. i Il Bertrand risponde che la seconda dimostrazione di Maxwell gli pare anche meno accettabile della prima, e che tutte le altre non gli ispirano alcuna fiducia, perchè fondate sulla considerazione degli urti molecolari, dei quali, dice, non si sa nulla. Le sole equazioni per la soluzione del problema son quelle date da lui, e contengono una funzione incognita; ciò gli sembra una buona ragione per non accettare quelle che non ne contengono. Questa critica ci sembra troppo assoluta. Convien ricordare che tutta la teoria dei gas è fondata sull'ipotesi del movimento delle molecole, conside- rando le loro collisioni soggette alle leggi generali della meccanica. L' ap- plicazione ci conduce a trovare col calcolo la legge di Boyle, l’ indipendenza dell’ attrito dalla densità, ed altre proprietà confermate dall’ esperienza. Quindi, fino a prova in contrario, dobbiamo ritenere tale ipotesi come con- forme alla realtà; e, se fondandosi su di essa, si può dimostrare il teorema di Maxwell, il teorema viene ad avere lo stesso grado di probabilità del- l’ ipotesi, cioè grandissimo e prossimo alla certezza. Premesso questo esaminiamo la questione. Il Maxwell nella sua prima Memoria (*) ammise, che le componenti della velocità delle molecole secondo tre direzioni ortogonali, erano fra loro indi- pendenti; quindi indicando con f(x) da il numero di molecole che hanno una velocità secondo l’asse X compresa fra « e 74 da, il numero di quelle che secondo i tre assi hanno le componenti della velocità comprese fra x e r+da,yey+dy,s e + de, è dato da 1) f) SI) da dy de; e ne risulta allora che il numero di molecole che hanno una velocità totale compresa fra v e v+ dv è 4N no SANA VII aì Vr dove N è il numero totale delle molecole e @ una costante che dipende dalla densità e dalla temperatura del gas. Nella sua seconda Memoria (?) Maxwell riconobbe che la sua asserzione fondamentale poteva esser discutibile « may appear precarious »; e dimo- strò lo stesso teorema partendo da un altro principio. Anche a questa se- (') Philos. Mag. vol. 19, 1860; Scient. papers. vol. I, n. 377. (2) Philos. Mag. vol. 35, 1868; Scient. papers. vol. II, p. 43. — 469 — conda dimostrazione, Boltzmann mosse qualche critica, e la modificò adottan- dola poi nei suoi lavori (!). O. E. Meyer dimostrò il teorema di Maxwell con metodo nuovo, ma che sollevò alcune critiche: l’ autore stesso le riconobbe giuste e modificò la sua dimostrazione nella seconda edizione della Theorie des Gase (?). Ma era rimasta sempre incertezza sul vero valore della prima dimo- strazione di Maxwell, la quale aveva certo, rispetto a queste altre, il merito di una grande semplicità. Il Meyer dice in tutte e due le edizioni che il principio enunciato dal Maxwell è giusto ed evidente di per sè, ma che per rigore di metodo deve esser dimostrato e non ammesso a priori; e così egli fa (3). P. G. Tait. nella sua Memoria, On the foundation of the kin. theory of Gases, è ancora più esplicito, e giudicando inutilmente intricate le di- mostrazioni di Boltzmann, Meyer e altri, ritorna alla prima dimostrazione di Maxwell, sostenendone l’esattezza, e dichiarando che Maxwell, dicendo per scrupolo, poter apparire precario quel principio fondamentale, non intese mai dire che lo fosse in realtà (4). Stando così le cose è venuta molto opportuna la Nota di J. Bertrand a provare rigorosamente, che non è vera ]’ asserzione aprioristica di Maxwell, cioè, che in un sistema di molecole in movimento, le componenti della velo- cità secondo tre assi ortagonali, debbano dirsi sempre indipendenti tra loro. Il Bertrand, indicando con /(v) dv il numero di molecole che hanno una velocità compresa fra v e v+- dv, dimostra che il numero di quelle aventi secondo l’asse X una velocità compresa fra < e 2 + dx è [1] 9p(4) de = dA D e il numero di quelle che hanno secondo i tre. assi le componenti della ve- locità comprese fra 4 e «4 dz, yey+dy,< e #+ dz, non è come vorrebbe il principio di Maxwell [2] (1) (4) 9(e) da dy de ma è invece (33 (0) da si de (1) Wiener Sitzungsber. 1868, Bd. 58; 1872, Bd. 66; 1887, Bd. 95. Vorles. uber Gastheorie, Leipzig 1896. (2) Die Kin. Theorie des Gase. Breslau 1877, 2. Aufl. 1895. (8) 2t° Aufl. Mat. Zus. p. 29. (4) Trans. of the R. S. of Edimburg. vol. 33-36; Proceed. 1888, Jan. 30. RenDICONTI. 1896, Vol. V, 1° Sem. 61 = 40 — La funzione /(v) soddisfa alla sola condizione It dv= N essendo N il numero totale delle molecole ; quindi, egli dice, essa rimane incognita. Il calcolo del Bertrand è giusto; ma egli considera un sistema di mo- lecole, le cui velocità variabili non sono soggette se non alla condizione espressa dalla funzione arbitraria /(0); la quale non contenendo il tempo, esprime solo che, il numero di molecole che posseggono una data velocità, si mantiene costante. Ma un sistema isolato di N molecole di un gas a temperatura costante, è soggetto a qualche condizione ben definita; ovvero, in altre parole, la di- stribuzione delle velocità molecolari espressa dalla funzione /(v) è il risul- tato delle condizioni meccaniche del sistema, le quali, con qualche restrizione , relativa alle mutue azioni molecolari, ci sono note in generale. Infatti decomponendo le N velocità v,,%v,..vn nelle tre componenti x ,Y,&, secondo tre assi ortogonali, pur essendo queste velocità v,&,%,% funzioni del tempo, possiamo stabilire fra di esse le seguenti relazioni [4] + o+0+--- on o — No! M cata e. nda Na M [5] Viale Ue TSbei sd NO di +aoto=No dove m è la massa di ciascuna molecola, M la massa totale del gas, a, b,c le componenti di velocità del centro di massa, e «? la media dei qua- drati delle velocità, la quale è costante, essendo costante la temperatura. Se il gas è in quiete sarà a=d=c=0. Rifacciamo con queste condizioni il calcolo del Bertrand. Sia N/(v) dv il numero delle molecole che hanno la velocità totale compresa fra v e v+ dv; il numero di quelle che hanno secondo un asse la velocità com- presa fra < e «+ de, sarà Ng(«) de, essendo per la [1] f(v) d gi= | EL x RAVE Derivando rapporto ad 4, e ponendo poi v in luogo di «, avremo [6] f@)=— 209). Il problema si riduce quindi a cercare la forma di g. La funzione g(x) esprime la probabilità relativa, che una molecola abbia. secondo un asse, una velocità 4; e, poichè una velocità — x è egual- mente probabile come una +, deve essere g(4) = g@(— «), ovvero ge) = (2°). Il suo valore come quello di una probabilità sarà per tutti i valori di 4, positivo e compreso fra 0 e 1. E poichè anche /(v) esprime una probabilità, e deve quindi essere po- sitiva, deve essere per la [6] sempre P(2)<0. Dunque la g è sempre decrescente e avrà il suo massimo per 4 = 0 e il minimo per == 00. Deve inoltre soddisfare alle seguenti relazioni: Di [so da = 1 ovvero poichè g(x) = g(— 2) (s @gp= > () (0°) e poichè 0 (0 0) (n) dv=1 per la [6] sarà fe gp(a) de = — È 0 0 per le [5] sarà eo 0) IÈ g(e) de = 0 = 90 essendo il gas in quiete; e per la [4] (co) RE voi g'(£) da = — 2 0 ponendo x in luogo di v. — 472 — Una funzione che soddisfa a tutte queste condizioni è quella trovata da Maxwell e da tutti gli altri, cioè 22 g(a) = e e a: dove a?— sor. a Tale essendo dunque la forma della funzione g(«) ne resulta per la [6] + a a/r Ma allora sembra esser vero il principio di Maxwell, che le tre compo- nenti della velocità siano indipendenti fra loro, perchè sono identiche le due [2] e [3], cioè si ha O vi e a, 0) = TOLOSA Resta quindi da domandarsi, come, Maxwell partendo da un principio erroneo abbia potuto dare la vera forma della funzione g; e come, dall'altro lato Meyer, Boltzmann e altri giungendo per altra via allo stesso resultato, vengano a provare vera l’asserzione di Maxwell. Crediamo che il procedimento del presente lavoro risolva questa que- stione. Il principio ammesso da Maxwell non è vero in generale, cioè nel caso di un sistema di particelle in movimento, le cui velocità variabili di- pendano da una funzione arbitraria /(0). Ma in un sistema isolato di mo- lecole gassose costituenti una massa di gas omogeneo e in quiete, la fun- zione f(v) della distribuzione non è arbitraria, perchè dipende dai principî generali della meccanica, della conservazione della forza viva e della quan- tità di moto. In tal caso l’asserzione di Maxwell è vera; e può stabilirsi a priori l'indipendenza delle componenti delle velocità secondo tre direzioni ortogonali. Infatti fra le componenti delle velocità molecolari abbiamo le rela- zioni [5] orta + an=0 Ar AU MI, le quali dimostrano che le componenti # sono fra loro dipendenti, ma sono indipendenti dalle y e dalle 2. “i ind Coira st aa 3 E a PET — 473 — Fra i quadrati delle medesime velocità vi è la relazione (CTVTAO+&+t%+t9+-+@+% +4) = No? e indicando con P la pressione e V il volume si ha rta Mo? _mN rag ivegna:: 37 Ma la pressione sopra un piano parallelo al piano y3 è data da UL 2 2 2 p@+at+- +0): e siccome, essendo il gas in quiete, sta in fatto che la pressione è eguale in ogni verso, deve essere z Nw? dt+ak:- +00 = 3 3 o ANw? i at 4 aio — 2 quindi, anche rispetto alla conservazione della forza viva, le velocità # sono indipendenti dalle velocità y e 2. Come si vede, la condizione perchè sia vero il principio di Maxwell, è che le molecole abbiano tutte la stessa massa, cioè che il gas sia omogeneo. Paleontologia. — Motizia sopra la ittiofauna sarda. Nota del prof. D. LovIsaTo, presentata dal Socio CAPELLINI. Paleontologia. — Intorno agli avanzi di Coccodrilliano sco- perti a San Valentino (provincia di Reggio Emilia) nel 1886. Nota del dott. VitrtoRIO SIMONELLI, presentata dal Socio CAPELLINI. Le due Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. — 474 — RELAZIONI DI COMMISSIONI Il Socio BLASERNA, a nome anche del Socio FERRARIS, relatore, legge una Relazione sulla Memoria del dott. F. LoRt, intitolata: Zu/luenza degli sforzi di tensione e di compressione sulle proprietà magnetiche del ferro, concludendo col proporre l'inserzione del lavoro negli Atti accademici. Le conclusioni della Commissione esaminatrice, poste ai voti dal Pre- sidente, sono approvate dalla Classe, salvo le consuete riserve. — 475 — INDICE DEL VOLUME IV, SERIE 5°. — RENDICONTI 1896 — 1° SEMESTRE. INDICE PER AUTORI A AmpoLa e RimaporI. « Ricerche sul com- portamento della Dimetilanilina come solvente nelle ricerche crioscopiche ». 173; 264. AncELI. « Sopra la legge dell’ eterificazione di V. Mayer ». 84. — « Sull’azione del nitrato di etile sopra l'idrossilammina ». 120. Ip. e Rimini. « Azione dell’ acido nitroso sopra alcune ossime della serie della canfora ». 394. Antony. « Sui coefficienti di affinità degli acidi dedotti dalle decomposizioni idro- litiche ». 197. Arnò. « Sulla Isteresi dielettrica viscosa ». 262. B BELTRAMI. Fa parte della Commissione esa- minatrice della Memoria Procenzano. 20; id. della Memoria Bernardi. 284. — Riferisce sulla Memoria Picci. 441. — « Cenno necrologico del Corrispondente prof. Padova ». 284. BENEDICENTI. « La combustione nell’ aria rarefatta ». 366; 404. BERNARDI. Invia per esame una sua Me- moria intitolata: « Estrazione abbre- viata ecc. ». 97. — E approvato un ringraziamento per la sua comunica- zione. 284. BerzoLARI. « Sulle equazioni differenziali delle quadriche di uno spazio ad x di- mensioni ». 197; 247. BrancHI. « Sopra una classe di superficie collegate alle superficie pseudosferi- che ». 133. BLASERNA (Segretario). Presenta la corri- spondenza relativa al cambio degli Atti. 24; 97; 174; 285; 375. — Presenta le pubblicazioni inviate dai Soci: Arcangeli. 173; Bassani. 97. 285; Caruel. 375; Gegenbaur. 97. 173; Hall. 97; Kiuhne. 173; Pincherle, Poin- carè. 24; Recklinghausen, Ricco, Se- gre, Steenstrup. 173; Villari. 375; — e dai signori: Berlese. 375; Botti. 24; Chantre. 173; D'Engelhardt. 97; De Tillo. 173; De Toni. 24; Galloni. 97; Gavotti. 375; Landauer. 24; Livi. 173: Miller, Staggemeier. 375; von Vett- stein. 173. — Presenta il vol. V delle Opere di Ga- lileo Galilei. 24; il vol. IX delle Opere di Cayley. 97. — 476 — — Comunica l’ elenco dei concorrenti ai premi Reali per l’ Astronomia e per la Matematica, pel 1895. 20. — Presenta, perchè sia sottoposta ad esa- me, una Memoria del sig. Bernardi. 97; id. del dott. Lori. 339; 474. — « Sui raggi scoperti dal prof. Rontgen ». 67. BortoLoTTI. « Sui determinanti di. fun- zioni nel calcolo alle differenze finite ». 197; 254. — « La forma aggiunta di una data forma lineare alle differenze ». 261; 349. BrioscHi. Presenta una medaglia comme- morati7a, coniata in onore del Socio straniero Z'homsen. 375. — È riconfermato Presidente dell’ Acca- demia. 441. C CaLanpRuUCcIO. V. Grassi. CAPELLINI. « Di una caverna ossifera presso Pegazzano nei dintorni di Spezia ». 78. Capranica. « Sull' azione biologica dei raggi di Rontgen ». 416. CeRRUTI. Riferisce sulla Memoria Procen- zano. 20; id. sulla Memoria Bernardi. 284. — È riconfermato Amministratore dell’Ac- cademia. 441. Cramician e SiLBER. « Sulla costituzione della granatonina e dei suoi derivati ». 101. CLERICI. « Sopra un caso di pietrificazione artificiale dei tessuti vegetali ». 401. Cossa A. « Nuove ricerche sulla reazione di Anderson ». 245. CREMONA. Presenta, perchè sia sottoposta ad esame, una Memoria del prof. Aiccs. 339. — Fa parte della commissione esa- minatrice della precedente Memoria. 441. D DauBrER. Annuncio della sua morte. 441. De Gaspari. « Alcuni nuovi derivati del Veratrol ». 361; 396. DeL Lungo. « Sopra la teoria cinetica dei gas ». 467. Dutto. « Fotografie del sistema arterioso ottenute coi raggi Rontgen ». 129. — « Influenza della musica sulla termo- genesi animale ». 173; 228. E EnRIQUES. « Sopra le superficie algebriche di cui le curve canoniche sono iperel- littiche ». 191. F Favero. Riferisce sulla Memoria Nicoli. 284. FERRARIS. Fa parte della Commissione esa- minatrice della Memoria Nicoli. 284. — Riferisce sulla Memoria Lori. 474. FiorEeLLI. Annuncio della sua morte. 97. FoLGHERAITER. « Sopra un' eolipila del principio del secolo ». 392. FontANA e Umani. « Azione del tubo di Crookes sul radiometro ». 170. G GarBasso. « In risposta ad alcune osser- vazioni del prof. Righi ». 8. GARELLI. « Sulle soluzioni solide del fe- nolo in benzolo ». 204. Grassi e CaLanDRUCCIO. « Sullo sviluppo dei Murenoidi ». 348. K KoeRNER e MenOzzI. « Azione della dime- tilammina sugli eteri dietilici degli acidi fumarico e maleico ». 456. KrucH. « Sui cristalloidi della Phytolac- ca abyssinica ». 364. L Levi-Crvita. « Sulla distribuzione indotta in un cilindro indefinito da un sistema simmetrico di masse ». 34. — « Sul moto di un corpo rigido intorno ad un punto fisso ». 467. Lo Monaco. « Sull’ azione fisiologica di alcuni derivati della santonina ». 173; 279; 366. — 477 — — « Sull' azione fisiologica dei quattro i acidi santonosi ». 410. — « Sull’ azione vermicida della santonina e di alcuni suoi derivati ». 874; 433. Lori. Invia per esame la sua Memoria: « Influenza degli sforzi ecc. ». 339. — Sua approvazione. 474. Lovisato. « Il granato a Caprera ed in Sardegna ». 19; 56. — « Nuovi lembi mesozoici in Sardegna ». 429. — « Notizia sopra la ittiofauna sarda ». 473. M MayoRANA. « Azione di un raggio lumi- noso, periodicamente interrotto, sul selenio ». 45. — V. Sella. MaLaGoLI e Bonacini. « Sulla riflessione dei raggi di Rontgen ». 327. MeNABREA. Annuncio della sua morte. 441. Menozzi. V. Aoerner. MesseDAGLIA. È confermato Vicepresidente dell’Accademia. 441. MriLLosevicH. « Seguito delle osservazioni della cometa Perrine ». 3. — « Osservazioni delle comete Perrine nov. 16, e Lamp-Perrine febb. 13, fatte all’equatoriale del R. Osservatorio del Collegio Romano ». 142. MrinunniI e VassaLLo. « Nuove ricerche sulla trasformazione delle «-aldossime in ni- triti ». 173; 270. Ip. e Rap. « Ricerche sui prodotti di ossi- dazione degli idrazoni. I. Ossidazione del benzolfenilidrazone ». 173; 199. MroLati e LorTi, « Sulla stabilità delle sei Xililsuccinimidi isomere ». 88. Mosso U. « Apparecchio portatile per de- terminare l’acido carbonico nell'aria espirata dall'uomo ». 173; 221. — « La respirazione dell’ acido carbonico a grandi altezze ». 173; 273. N NrcoLi. Approvazione della sua Memoria: « Sull’efflusso dei fluidi ecc. ». 284. RenDICONTI, 1896, Vol. V, 1° Sem. 0 Oppo. « Sui cementi idraulici ». 331. — « Fusioni al forno elettrico ». 361. P Papova. Annuncio della sua morte. 284. PANTANELLI. « Rame e mercurio nativi nell’Appennino Emiliano ». 11. Pasca. « Su di un teorema del sig. Netto relativo ai determinanti, e su di un altro teorema ad esso affine ». 163; 188. — « Funzioni olomorfe nel campo ellittico (estensione di un celebre teorema di Weierstrass) ». 262; 319. ParERNÒ. « Sul comportamento del fenol come solvente in crioscopia ». 7; 70. Peano. « Sul moto del polo terrestre ». 163. PETTINELLI. « Sulla dipendenza della con- ducibilità elettrica delle fiamme dalla natura degli elettrodi ». 118. PincHERLE. « Della validità effettiva di al- cuni sviluppi in serie di funzioni ». 27. — « Operazioni distributive : l'integrazione successiva ». 236. — « Operazioni distributive: le equazioni differenziali lineari non omogenee ». 242; 301. PizzeTTI. « Sopra un punto della teoria di Laplace relativa alla figura di equi- librio di una massa fluida rotante ». 109. ProcenzANo. Relazione sulla sua Me- moria: « Nuova teoria delle parallele ecc. ». 20. Rap. V. Minunni. R Ricci. Invia per esame la sua Memoria: « Dei sistemi di congruenze ecc. ». 339. — Sua approvazione. 441. Riccò. « Riassunto delle osservazioni me- teorologiche fatte all’ Osservatorio Et- neo n. 236; 306. RicHI. « Sulla dispersione dell'elettricità prodotta dai raggi di Rontgen ». 143. — « Sulla produzione delle ombre di Réònt- gen, per mezzo della dispersione elet- trica provocata dai raggi X ». 149. 62 — 4783 — — « Sulle direzioni l'estinzione, relative alle onde elettriche, nei cristalli di gesso ». 152. — « Nuovi studî sulla dispersione elettrica prodotta dai raggi di Rontgen ». 342. — « Osservazioni a proposito di una comu- nicazione del Socio Villari ». 452. — « Sultrasporto dell’ elettricità secondo le linee di forza, prodotto dai raggi di Rontgen ». 452. Rimapori. V. Ampola. Rimini. V. Angela. Ròrri. « Su alcune esperienze fotografiche eseguite all'Istituto di studî superiori in Firenze, per mezzo dei tubi di Crookes ». 69. — « Alcune esperienze coi tubi di Hittorf e coi raggi di Rontgen ». 156. — « Il luogo d’emanazione dei raggi di Rontgen ». 185. — « La durata dell’emissione dei raggi di Rontgen ». 243. ScHIAPARELLI. — « Sulla rotazione e sulla topografia del Pianeta Marte ». 419. SeLLa. « Misure relative della componente orizzontale del magnetismo terrestre sul Monte Rosa, a Biella ed Roma ». 40. In. e MasoRana. « Ricerche sui raggi di Rontgen ». 116. « Esperienze sui raggi Rontgen ed ap- prezzamento di un limite inferiore della loro velocità ». 168. — « Azione dei raggi Rontgen e della luce ultravioletta sulla scarica esplosiva nel- l’aria ». 264; 323. — « Sull’azione dei raggi Réntgen sulla natura della scarica esplosiva nel- l’aria ». 889. SiLBeR. V. Ciamician. SimoNELLI. « Intorno agli avanzi di Coc- codrilliano scoperti a San Valentino (prov. di Reggio Emilia) ». 473. STRUEVER. Offre una pubblicazione del sig. Cotteau. 24. : T TaccHINnI. « Osservazioni sul pianeta Ve nere fatte al R. Osservatorio del Col- legio Romano in novembre e dicembre del 1895 ». 3. — « Sulle osservazioni solari fatte al R. Osservatorio del Collegio Romano du- rante il 4° trimestre del 1895 ». 65. — « Sulla nube solare del 10 ed 11 feb- braio 1896 ». 138. — « Sulla insolazione a Roma nel periodo 1887-1895 ». 139. — « Sulle osservazioni solari fatte al R. Osservatorio del Collegio Romano du- rante il 1° trimestre del 1896 ». 235. — « Sulla distribuzione in latitudine dei fenomeni solari osservati al R. Osser- vatorio del Collegio Romano nel 1° trimestre del 1896 ». 341. TARAMELLI e CorRADI. « Dei terremoti di Spoleto nell’anno 1895; con catalogo dei terremoti storici della valle Um- bra ». 163. TeponE. « Sulla dimostrazione della for- mola che rappresenta analiticamente il principio di Huyghens », 262; 357. — « Sulla integrazione delle equazioni della elasticità ». 429; 460. — « Sulle equazioni del moto vibratorio di un corpo elastico ». 429. ToLomer. « Sopra un fermento solubile che si trova nel vino ». 52. — « Sopra la fermentazione delle olive e l'ossidazione dell’ olio di oliva ». 122. Tommasi. « Sul recente rinvenimento di fossili nel calcare a Bellerophon della Carnia ». 173; 216. Tommasini. È eletto Amministratore del- l'Accademia. 441. TRAUBE-MENGARINI. « Osservazioni ed espe- rienze sulla permeabilità della pelle ». 14, U Umani. V. Fontana. - Vv VassarLo. V. Minunni. — 479 — Vicari. « Sulle cariche e figure elettriche alla superficie dei tubi del Crookes e del Geissler ». 318; 377. — « Sul modo col quale i raggi X facili- tano le scariche dei corpi elettrizzati ». 419. — « Del ripiegarsi dei raggi X dietro i corpi ad essi opachi ». 429; 445. VroLa. « Metodo per determinare l'indice di rifrazione della luce di un minerale nelle lamine sottili ». 168; 212. VoLTtERRA. « Replica ad una Nota del prof. Peano ». 4. — « Sulla inversione degli integrali defi- niti ». 137; 177. — « Sulle inversioni degli integrali mul- tipli ». 242; 289. Zona. « Latitudine di Catania-Osservato- rio ». 7. — « Nuovo studio sull’ orbita della cometa 1890, IV ». 8; 33. ZoPPELLARI. « Sopra alcuni fenomeni osser- vati nel congelamento di soluzioni di- luite ». 9. — 480 — INDICE DELLE MATERIE A Astronomia. Seguito delle osservazioni della cometa Perrine. E. Millosevich. 3. — Osservazioni delle comete Perrine nov. 16 e Lamp-Perrine febbr. 13, fatte all’ equatoriale del R. Osservatorio del Collegio Romano. /d. 142. — Sulla rotazione e sulla topografia del pianeta Marte. G. Schiaparelli. 419. — Osservazioni sul pianeta Venere fatte al R. Osservatorio del Collegio Romano in novembre e dicembre del 1895. P. Tacchini. 3. — Sulle osservazioni solari fatte al R. Os- servatorio del Collegio Romano durante il 4° trimestre del 1895. 65. — Sulla nube solare del 10 ed 11 feb- braio 1896. /d. 138. — Sulle osservazioni solari fatte al R. Os- servatorio del Collegio Romano durante il 1° trimestre 1896. /d. 235. — Sulle distribuzioni in latitudine dei fe- nomeni solari osservati al R. Osserva- torio del Collegio Romano nel 1° tri- mestre del 1896. /d. 341. — Latitudine di Catania-Osservatorio. 7. Zona. 7. — Nuovo studio sull’orbita della cometa 1890, IV. /d. 8; 33. B BroLogra. Sull’ azione biologica dei raggi di Rontgen. S. Capranica. 416. C CHÙimica. Ricerche sul comportamento della Dimetilanilina come solvente nelle ri- cerche crioscopiche. G. Ampola e C. Rimadori. 173; 264. — Sopra la legge dell’ eterificazione di V. Meyer. A. Angeli. 84. — Sull’azione del nitrato di etile sopra l’ idrossilammina. /d. 120. — Azione dell’ acido nitroso sopra alcune ossime della serie della canfora /d. e E. Rimini. 394. — Sulla costituzione della granatonina e dei suoi derivati. G. Ciamician e P. Silber. 101. — Sopra un caso di pietrificazione artifi- ciale dei tessuti vegetali. E. Clerici. 401. — Nuove ricerche sulla reazione di An- derson. A. Cossa. 245. — Alcuni nuovi derivati del Veratrol. A. De Gaspari. 361; 396. — Sulle soluzioni solide del fenolo in ben- zolo. F. Garelli. 204. — Azione della dimetilammina sugli eteri dietilici degli acidi fumarico e maleico. G. Koerner e Menozzi. 456. — Nuove ricerche sulla trasformazione delle a-aldossime in nitriti. C. Mi- nunni e D. Vassallo. 173; 270. — Ricerche sui prodotti di ossidazione degli idrazoni. I. Ossidazione del ben- zolfenilidrazone. /d. e E. Rap. 173; 199. — 481 — — Sulla stabilità delle sei Xililsuccinimidi isomere. A. Miolati e A. Lotti. 88. — Sui cementi idraulici. G. Oddo 331. — Fusioni al forno elettrico. /d. 361. — Sul comportamento del fenol come sol- vente in crioscopia. E. Paternò. 7; 70. CHimica-Fisrca. Sui coefficienti di affinità degli acidi dedotti dalle decomposi- zioni idrolitiche. U. Antony. 197. — Sopra alcuni fenomeni osservati nel congelamento di soluzioni diluite. /. Zoppellari. 9. CHimica FISIOLOGICA. La combustione nel- l’aria rarefatta. A. Benedicenti. 366; 404. Concorsi a premi. Elenco dei lavori presentati ai concorsi ai premi Reali per l’Astronomia e per la Matematica, pel 1895. 20. E ELetTRICITÀ. Sulla isteresi dielettrica vi- scosa. R. Arnò. 262. Elezioni del Presidente, del Vicepresi- dente, dell’Amministratore e dell'’Am- ministratore aggiunto. 441. F Fisica. Sui raggi scoperti dal prof. Ròntgen. P. Blaserna. 67. — Sopra la teoria cinetica dei gas. C. Del Lungo. 467. — Azione del tubo di Crookes sul radio- metro. A. Fontana e A. Umani. 170. — In risposta ad alcune osservazioni del prof. Righi. A. Garbasso. 8. — Azione di un raggio luminoso, periodi- camente interrotto, sul selenio. Q. Ma- jorana. 45. — Sulla riflessione dei raggi di Rontgen. R. Malagoli e C. Bonacini. 327. — Sulla dipendenza della conducibilità elettrica delle fiamme dalla natura degli elettrodi. P. Pettinelli. 118. — Sulla dispersione dell’ elettricità pro- dotta dai raggi di Rontgen. A. Righi. 143. — Sulla produzione delle ombre di Réont- gen, per mezzo della dispersione elet- trica provocata dai raggi X. /d. 149. — Sulle direzioni d’ estinzione, relative alle onde elettriche, nei cristalli di gesso. /d. 152. — Nuovi studi sulla dispersione elettrica prodotta dai raggi di Rontgen. /d. 342. — Osservazioni a proposito di una comu- nicazione del Socio Villari. /d. 452. — Sul trasporto dell’ elettricità secondo le linee di forza, prodotto dai raggi di Rontgen. Id. 452. — Su alcune esperienze fotografiche ese- guite all’ Istituto di studi superiori in Firenze, per mezzo dei tubi di Croo- kes. A. otti. 69. — Alcune esperienze coi tubi di Hittorf e coi raggi di Rontgen. /d. 156. — Il luogo d’ emanazione dei raggi di Ròntgen. /d. 185. — La durata dell’ emissione dei raggi di Rontgen. /d. 243. — Ricerche sui raggi di Rontgen. A. Sella. e Q. Majorana. 116. — Esperienze sui raggi Rontgen ed apprez- zamento di un limite inferiore della loro velocità. /d. Id. 168. -— Azione dei raggi Rontgen e della luce ultravioletta sulla scarica esplosiva nell'aria. /d. Id. 264; 323. — Sull’azione dei raggi Ròntgen sulla na- tura della scarica esplosiva nell'aria. Id. Id. 389. — Sulle cariche e figure elettriche alla superficie dei tubi del Crookes e del Geissler. E. Villari. 318; 377. — Sul modo col quale i raggi X facili- tano la scarica dei corpi elettrizzati. Id. 419. — Del ripiegarsi dei raggi X dietro i corpi ad essi opachi. /d. 429; 445. — (Storia della fisica). Sopra un’eoli- pila del principio del secolo. G. Folghe- raiter. 392. Fisica TERRESTRE. Misure relative della componente orizzontale delmagnetismo terrestre sul Monte Rosa, a Biella ed a Roma. A. Sella. 40. — Dei terremoti di Spoleto nell’anno 1895; con Catalogo dei terremoti storici della — 482 — Valle Umbra. 7. Taramelli e P. I Corradi. 163. FisioLoGia. Fotografie del sistema arterioso ottenute coi raggi Rontgen. UV. Dutto. 129. — Influenza della musica sulla termogenesi animale. Id. 173; 228. — Sull'azione fisiologica di alcuni derivati della santonina. D. Zo Monaco. 173; 279; 366. Sull’azione fisiologica dei quattro acidi santonosi. /d. 410. — Sull’azione vermicida della santonina e di alcuni suoi derivati. Id. 374; 433. — Apparecchio portatile per determinare l’acido carbonico nell'aria espirata dal- l’uomo. UV. Mosso. 173; 221. — La respirazione dell’uomo sul Monte Rosa. Eliminazione dell'acido carbo- nico a grandi altezze. /d. 173; 273. — Osservazioni.ed esperienze sulla perme- abilità della pelle. M. Traube-Men- garini. 14. — Sopra un fermento solubile che si trova nel vino. G. Tolomei. 52. — Sopra la fermentazione delle olive e l’ossidazione dell’ olio di oliva. /d. 122. G GeopEsIA. Sopra un punto della teoria di Laplace relativa. alla figura di equili- brio di una massa fluida rotante. P. Piz- zetti. 109. I IsroLOGIA vEGETALE. Sui cristalloidi della Phytolacca abyssinica.0.Aruch. 364, M MatEMATICA. Sulle equazioni differenziali delle quadriche di uno spazio ad di- mensioni. LZ. Berzolari. 197; 247. — Sopra una classe di superficie collegate alle superficie pseudosferiche. Z. Bian- chi. 133. — Sui determinanti di funzioni nel calcolo alle differenze finite. #. Bortolotti. 197; 254. — La forma aggiunta di una data forma lineare alle differenze. Id. 261; 349. — Sopra le superficie algebriche di cui le curve canoniche sono iperellittiche. F. Enriques. 191. — Su di un teorema del sig. Netto rela- tivo ai determinanti, e su di un altro teorema ad esso affine. E. Pascal. 163. 188. . — Funzioni olomorfe nel campo ellittico (estensione di un celebre teorema di Waierstrass). /d. 262; 319. — Della validità effettiva di alcuni svi- luppi in serie di funzioni. S. Pin- cherle. 27. — Operazioni distributive: l'integrazione successiva. /d. 236. — Operazioni distributive: le equazioni differenziali lineari non omogenee. /d. 242; 301. — Replica ad una Nota del prof. Peano. V. Volterra. 4. — Sulla inversione degli integrali defi- niti. /d. 137; 177. — Sulla inversione degli integrali mul- tipli. /d. 242; 289. Meccanica. Sulla distribuzione indotta in un cilindro indefinito da un sistema simmetrico di masse. 7. Zevi-Civita.34. — Sul moto di un corpo rigido intorno ad un punto fisso. /d. 467. — Sul moto del poloterrestre. G. Peano. 163. — Sulla dimostrazione della formola che rappresenta analiticamente il principio di Huyghens. 0. Tedone. 262; 357. -— Sulla integrazione delle equazioni della elasticità. /d. 429; 460. — Sulle equazioni del moto vibratorio di un corpo elastico. /d. 429. METEOROLOGIA. Riassunto delle osserva- zioni meteorologiche fatte all’Osserva- torio Etneo. A. Riccò. 236; 306. — Sulla insolazione a Roma nel periodo 1887-1895. P. Tacchini. 139. MineraLoGIA. Il granato a Caprera e in Sardegna. D. Lovisato. 19; 56. — Rame e mercurio nativi nell'Appennino Emiliano. D. Pantanelli. 11. — 483 — — Metodo per determinare l’ indice di P rifrazione della luce di un minerale nelle lamine sottili. G. Viola. 168; PaLEonToLOGIA. Di una caverna ossifera 212. presso Pegazzano nei dintorni di Spezia. MorroLogta. Sullo sviluppo dei Murenoidi. B. Grassi e S. Calandruccio. 348. G. Capellini. 78. — Nuovi lembi mesozoici in Sardegna. D. Lovisato. 429. — Notizia sopra la ittiofauna sarda /d. 473. — Intorno agli avanzi di Coccodrilliano scoperti a San Valentino(prov. di Reggio Emilia). V. Simonelli. 473. Necrologia. Annuncio della morte dei — Sul recente rinvenimento di fossili nel Soci: Fiorelli. 97; Padova. 284 ; Me- nabrea, Daubrée. 441. A pag. 307 lin. » » b) ” 310 317 348 359 calcare a Bellerophon della Carnia. A. Tommasi. 173; 216. ERRATA-CORRIGE 20 invece di 140% 3 leggasi 1400 24 Di @XI0 do ” e X 10 SU 3 » distillazione »’—’— distribuzione 34 » alinf- v. linfa- 3, 11, 13, e a pag. 860 linea 17, invece di asse t, leggasi parallela all'asse t condotta pel punto (21, Y1,%,t1). "N 4 ” E ì, S Deb, ino i vol Si VOS, ta)! i “DI ì IRA AVICAÌ MI I x fu SRETR MARE \ DD () Digi hi ® \ ti TÀ ) n) De } tr î i Î i lho “i. | In Pi ” il VE È il li Aol Sl ANNO CGXCIII. 1896 SS Biceo E Hi QTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 5 gennaio 1896. Volume V.° — Fascicolo l° REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Ìl 2% | A | i | | i. (A 1 de Ki a) | x il Î| TIPCGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI il th PROPRIETÀ DEL CAV. VW. SALVIUGCI IL tI)! 1896 i Mii i E I E TETTI TO DERRATE I TTT PENE SENTE ZITO EN IEZZO ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I Col 1892 si è iniziata la Serse quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- ] Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus; sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto, II 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il ayoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra: ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta. segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale sì avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un eumero di copie in più che fosse richiesto, è mersa a carico degli autori. siderali sii rode Siani tit Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. “Serie 1° — Atti dell’Accademia pontificia der Nuovi Lincei. Tomo 1-XXIIl Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2* MEMORIE delva Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3° MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. IV. V. Vl. VII VIII «Serie 3* — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1,2). — II. (1, 2). — IN-XIX. MemoRrIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. ; ‘Serie 4° — RenpIcoNTI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. I-X. ì ‘Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-V. (1896) .1° Sem. Fase. 1°. ReNDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-IV. (1895). — Fasc. 1°-10°. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- «denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume è per tutta l’Italia di L. f£@; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Lorscner & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico HoepLi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Gennaio 1896. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 5 gennaio 1896. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Tacchini. Osservazioni sul pianeta Venere fatte al R. Osservatorio del Collegio Romano in novembre e dicembre del 1895... . . ea Ra n e Millosevich. Seguito delle osservazioni della chica ci ERRE N e 0 Volterra. Replica ad una Nota del prof. Peano. . . . e o) Paternò. Sul comportamento del fenol come solvente in crioscopia ©. SES a, N Zona. Latitudine di Catania-Osservatorio (pres. dal Socio Ziacchimi). . . 0. 0.040» Id. Nuovo studio sull'orbita della cometa 1890 IV (pres. dd.) È)... KE) Garbasso. In risposta ad alcune osservazioni del prof. Righi (pres. dal Socio Blascrno) en Zoppellari. Sopra alcuni fenomeni osservati nel congelamento di soluzioni diluite (pres. dal Corrisp. Masini) . . . È SiR, BI) Pantanelli. Rame e mercurio Sa Sorag )pennino (Radio rea da SoGid Sii Libia Traube Mengarini. Osservazioni ed esperienze sulla permeabilità della pelle (pres. dal Socio Blaserno)x i ee e o Lovisato. Il granato a Caprera edi in Sardomil SA i Sheio Striiver) DI SN aa) RELAZIONI DI COMMISSIONI Cerruti (relatore) e Beltrami. Relazione sulla Memoria del sig. Procenzano, intitolata: « Nuova teoria delle parallele e saggio di PA con nuova curva non euclidea e corri- spondente superficie di rotazione ». . . RR E e e CONCORSI A PREMI Blaserna (Segretario). Comunica l’elenco dei lavori presentati per concorrere ai premi reali di matematica e di astronomia, scaduti il 81 dicembre 1895, e al premio del Ministere della P. I. per le scienze matematiche i... . . Mt n PRESENTAZIONE DI LIBRI Blaserna (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle inviate dai Soci Pincherle, Poincarè e dai signori Botti, De Toni, Landauer; presenta inoltre il vol. V delle Opere di Galileo Galilei . . . . ER A I Striiver. Fa omaggio di una Memoria a stampa del sig. *Coftechi SEL A A, Sila ce CORRISPONDENZA Corrispondenza relativa al cambio degli Atti. vv... 00 ea BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. a I) 14 19 20) (*) Queste Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. ATTI | i be | IU || REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCOIII. i, Ci 1896 | gres Toe Q BEN TA I È RENDICONTI È Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. | v: - | È: A b Seduta del 19 gennaio 1896. I 9 i Volume V. — Fascicolo 2° I | È I | de | 1 | i Il i (6 4 i Hi 4 } Tan Br i) È i 008 bi > | il 13 | SA Ît | ur: il 35 ROMA Il Di di TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI il d | | ir PROPRIETÀ DEL CAV. Va SALVIUCCI iL 1896 il ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PRI LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE lb Uol 1892 si è iniziata la Serre quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1.1 Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis al Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei - qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro: priamente dette, sono senz’ altro inserite neì Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il avoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude-con una delle se- guenti risoluzioni. - 2) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casì, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un rumero di copie in più che fosse richiesto, è mersa a carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. | Hi Serie 1 — Atti dell'Accademia pontificia der Nuovi Lincei. Tomo 1-XXIILL Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2% —. Vol. I. (1873-74). | Vol. Il. (1874-75). ' Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. i 2% MeMORIE dela Classe di serenze fisiche, | matematiche e naturali | 3* MEMORIE della Classe di scienze morali. | storiche e filologiche I VolbolVe.N-WICsviEvIII Serie 3 — TransunTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I. (1, 2): — IL (1, 2). — INI-XIX MemoRIE della Classe di scienze moruli, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. | Serie 4° — RenpICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. j Vol. I-VII. | MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e flologiche. | Vol. I-X. Serie 5° — RENDICONTI della Classe di scienze ‘fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-V. (1896) 1° Sem. Fase. 2°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-IV. (1895). — Fase. 1°-11°. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I re ar II em = === CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI era I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume è per tutta l'Italia di L. 19; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : \ Ermanno LoescHer & C.° — Roma, Torino e Firenze. I ULrico Hoepi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Gennaio 1896. IND ICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 19 gennaio 1896. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOLI Pincherle. Della validità effettiva di alcuni sviluppi in serie di funzioni. . . . . . Pag. .7 Zona. Nuovo studio sull’orbita della cometa 1890, IV (pres. dal Socio Z'acchini) . . . . » 33 Levi-Civita. Sulla distribuzione indotta in un cilindro indefinito da un sistema simmetrico di masse (pres. dal Socio Bel4M1) e RR E] Sella. Misure relative della componente orizzontale del magnetismo terrestre sul Monte, Rosa, a: Biella. eda. Roma (pres. dal SocloB/086r20). LR Majorana. Azione di un raggio luminoso, periodicamente interrotto, sul selenio (pres. 24.) » 45 Tolomei. Sopra un fermento solubile che si trova nel vino (pres. dd.). . . ... +...» 52 Lovisato. Il granato a Caprera ed in Sardegna (pres. dal Socio Struver). . . ... .. » 56 ATI REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO GGXOIII RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 2 febbraio 1896. Volume V.° — Fascicolo 3° ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1396 _—__—-— ce e ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I Uol 1892 si è iniziata la Serse quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della muova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 8. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. I 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il avoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - 2) Con una proposta dì stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra; ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è - data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso conternplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia. dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un rumero di copie in più che fosse richiesto, è messa a carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1% — Atti dell'Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo 1-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). i Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2% MEMORIE delva Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali 3% MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. IV. V. VI. VII. VIII. Serie 3* — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MremorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. MeMmoRIE della Classe di scienze ‘morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4° — RenpICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MremorIE della. Classe di sctenze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. ‘ Vol. I-X. Serie 5° — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-V. (1896) 1° Sem. Fasc. 3°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-IV. (1895). — Fasc. 1°-11°. MemoRrIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. £@; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Lorscner & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico HoepLi. — Milano, Pisa e Napoli. | RENDICONTI — Febbraio 1896. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 2 febbraio 1896. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Tacchini. Sulle osservazioni solari fatte al R. Osservatorio del Collegio Romano durante il 4° trimestre del 1895 . . . . SEO O SLI LO a RI Blaserna. Sui raggi scoperti dal prof. Bici. SSR 3 - IO Roiti. Su alcune esperienze fotografiche eseguite all’ Istituto di studi superiori in Fieno per mezzo dei tubi di Crookes . . . . ER e) Paternò. Nuovi studî sul comportamento del is come ii INVCLIOSCOpla ARCO Capellini. Di una caverna ossifera presso Pegazzano nei dintorni di Spezia. . . . .. » Angeli. Sopra la legge dell’eterificazione di V. Meyer (pres. dal Socio Ciamician) . . . » Miolati e Lotti. Sulla stabilità delle sei Xililsuccinimmidi isomere (pres. dal Socio Cannizzaro) » MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI. Bernardi. Estrazione abbreviata della radice cubica dei numeri (pres. dal Segretario). > » PERSONALE ACCADEMICO Brioschi (Presidente). Dà partecipazione della perdita fatta dall'Accademia nella persona del Socio nazionale Guseppe Dore Ae N PRESENTAZIONE DI LIBRI Blaserna (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle inviate dai Soci Bassani, Gegenbaur, Hall; e dai signori Galloni e D'Engelhardt. Presenta inoltre il vol. IX delle: Opere de Gayle) (MORO SE O CORRISPONDENZA Corrispondenza relativa ‘al‘cambio defi Ro BULLETTINO BIBLIOGRAFICO AT TE REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCIII. 1896 STE EN TA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 16 febbraio 1896. Volume V. T—- Fascicolo 4° . ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1996 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE 1. Uol 1892 sì è iniziata la Serze quarta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- ] Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico, 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essì sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II 1. Le Note che oltrepassino i limiti indì- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro - priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com: missione la quale esamina il avoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra: ‘ ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro | posta dell'invio della Memoria agli Archivi . dell’ Accademia. - 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se. estranei. La spesa di un rumero di copie in più che fosse richiesto, è mersa a carico degli autori. | Cig” ix Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo 1-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. ? 2° MEMORIE delia Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3° MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. IV. V. VI. VII. VIII. Serle 3° — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — II-XIX. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RENDICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. “Vol IVII. MemMoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 58 — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-V. (1896) 1° Sem. Fase. 4°. ReNDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-IV. (1895). MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume è per tutta l'Italia di L. 10; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Loescner & C.° — Roma, Torino e Firenze. Urrico HoerLi. — Milano, Pisa e Napoh. pa “a Seduta del 1 f@bbraio 1896; 3 MEMORIE È E NOTE DI P Co e Silber. Sulla cit della Pizzetti. Sopra un punto della teoria di Lap fluida rotante Se dal FARA gd ua (° 1a). non Angeli. Sull'azione del nitrato” ‘di Gule sopra. Tolomei. Sopra la fermentazione. dallo olive ci :Blasertà) ROSSO Dutto. Potografe dl del Sistema arterioso IMcnalt “Da ALT ANNO CGCXCIII. 1896 Sto & UBEIN"TD A RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 1° marzo 1896. Volume V. — Fascicolo 5° REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ROMA T)| TIPCGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI II PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI | 1996 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE L. Uol 1892 si è iniziata la Serse quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : i 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentaté da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca; demia ; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta st ante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’ altro inserite neì Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com: missione la quale esamina il avoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - è) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro posta dell’ invio. della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale sì avverte. che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au: tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50. se estranei. La spesa d. un rumero di copie în più che fosse richiesto, è messa a carico degli autori | Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. | i 2 A Ì | Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo 1-XXIIl Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tome XXIV-XXVI. Sene 2* — Vol. I. (1873-74). | Vol. Il. (1874-75). LI Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. i 2* MEMORIE dela Classe di screnze psiche, I! matematiche e naturale 3% MEMORIE della Classe di scienze morale, ) REI no storiche e filologiche Vol INS VO VIVIL VIII Serie 3* — TransunTI. Vol. I-VIII. (1876-34). Memorie della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — HI-XIX. MemoRrIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. .I-XIII. ì Serie 4° — RenpIcONTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di screnze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. DE > Il MemoRIE della Classe di serenze morali ,. storiche e filologeche. il Vol. A-X. | Serie 5 — ReNDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. i Vol. I-V. (1896) 1° Sem. Fase. 5°. | ! RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-V. (1895). | MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Il Vol. I. CONDIZIONE DI ASSOCIAZIONE Mi AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI | I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche | e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. ) Il prezzo di associazione per ogni volume è per tutta Î l’Italia di L. #0; per gli altri paesi le spese di posta in più. Î Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti | editori-librai : î ‘Ermanno Loescner & C.° — Roma, Torino e Firenze. Utrico HoepLi. — Milano, Pisa e Napoli. , ===} ar —= —ie RENDICONTI — Marzo 1896. INDICE Glasse di scienze fisichg, matematiche e naturali. ||/{|“© © Seduta del 1° marzo 1896. . MEMOkRIR E NOTE DI SQUI 0 PRESENTATE DA SOCI Bianchi. Sopra una. classe di superficie collegate alle superficie pseudosferiche . . . Pag. Volterra. Sulla inversione degli integrali defigiti (*). ./././.0./.0/./ 0 Tacchini.-Sulla nube solare del:-10ed' 11 febipiaio 1896 re Id. Sulla insolazione a Roma nel periodo 18871895. . . . . CA Millosevich. Osservazioni delle comete Perrine nov. 16 e Lamp- Pin febb. 13, fatte all’equa- toriale del R. Osservatorio del Collegio Romano . . . n ERO ie ai Righi. Sulla dispersione dell'elettricità prodotta dai raggi di FOTO SRO È » Id. Sulla produzione delle ombre di Ròntgen, per mezzo della dispersione letta provo- catadalata toe eran er 2 : DE Id. Sulle direzioni d'estinzione. Lu alle onde etici nei a di PENSO n Roiti. Alcune esperienze coi tubi di Hittorf e coi raggi di Roòntgen . . . ir Taramelli e Corradi. Dei terremoti di Spoleto nell’anno 1895; con Cataloo dei drei storici ‘della valle Umbra (5) 00. co. 4 : 2 Uto) Pascal. Su di un teorema del sig. Netto relativo ai Mei e su ‘di un lo teorema ad''essovaffine “(presdal'SociostCremonoL e LO Peano. Sul moto del polo terrestre (pres. dal Socio Brioschi) . . . . ; ” Viola. Metodo per determinare l'indice di rifrazione della luce di un O (ol ui sottili (pres. dal Socio Strwver) (*). . ... . È ” Sella e Majorana. Esperienze sui raggi Roòntgen ed sia di un limite iniortii della loro velocità (pres. dal Socio Blaser#ga) . . . CRA a Fontana ed Umani. Azione del tubo di Crooks sul cadlomignio (i mr TIRA IT Ampola e Rimadori. Ricerche sul comportamento della Dimetilanilina come solvente nelle ricerche crioscopiche (pres. dal Socio Paternò) (*) .. . . . RE E Minunni e Vassallo. Nuove ricerche sulla trasfurmazione delle «-aldossime in nitriti PISO ti i ARROI Minunni e Rap. Ricerche sui uc dî ossidyzione degli iris I dizione del ben- zolfenilidrazone (pres. Id.) (A)... .4 ” Tommasi. Sul recente rinvenimento di fossili del citano 2 ei della ili (pres. dal Socio -Taramel) OLO eee O E Dutto. Influenza della musica sulla termogenesi animale (pres. dal Socio Zuciazi) (®) » Lo Monaco. Sull'azione fisiologica di alcuni derivati della santonina (pres. /d.) (8). . » Mosso U. Apparecchio portatile per determinare l'acido carbonico nell'aria espirata dall’uomo (pres. dal Socio Angelo Mosso) (*) . . i ì ” Id. La pu dell’uomo sul Monte Rosa. iazzone del ovilo RT a Sui altezze (pres. VR SO E ì at NO VARE DE OZ NO PRESENTAZIONE DI LIBRI Blaserna (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono segnalando quelle inviate dal Corrispondente Arcangeli, dai Soci stranieri Me Kihne, Recklinghausen, Steenstrup, e dai signori Livi e Chantre , . . asti MARTI DRD SRO VT CORRISPONDENZA Corrispondenza relativa al cambio “ita ALE RE A BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. (*) Queste Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. I DELLA rr Corn nr Tessa a REALE ACCADEMIA DEI LINCEI | ANNO CCXCIII. 1896 SherR FEO UBSN TA ' RENDICONTI | VII Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. La Seduta del 15 marzo 1896. Volume V.° — Fascicolo 6° aiar i tl | R O M A (AE TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1396 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE i. Col 1892 si è iniziata la Serze quarta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- ] Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante , una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro: priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il avoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore, - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messa a carico degli autori Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. | Serie 1* — Atti dell’Accademia pontiticia dei Nuovi Lincei. Tomo {-XXIII Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tome XXIV-XXVI. | Serie 2* — Vol. L (1873-74). I Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. i 2% MEMORIE delia Classe di scienze fisiche, | matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, | storiche e filologiche VolEIVAgviA Ve VIVI: | Serie 3* — TransuntI. Vol. I-VIII. (1876-84). | MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Il Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. MeMmoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. I Seri. 4° — RenpIcONTI Vol. I-VII. (1884-91). \ MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. sì | Vol. I-VII. \ | MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. I | Vol. I-X. li Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. i Vol. I-V. (1896) 1° Sem. Fasc. 6°. | 4 RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. | Vol. I-V. (1896) 1° Sem. Fase. 1°. (i i * MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. | i Vol. IL : | | CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE I ) AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI i DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI | i il | I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche I ; e naturali della RR. Accademia dei Lincei si pubblicano due ; volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- I denti ognuno ad un semestre. | Il prezzo di associazione per ogni volume è per tutta Ù l’Italia di L. £®; per gli altri paesi le spese di posta in più. Il Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti | editori-librai : \ Ermanno Loescner & C.° — Roma, Torino e Firenze. I ULrico HoepLi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Marzo 1896. INDICE Classe di scienze fisiché, matematiche e naturali. Seduta del 15 marzo 1896. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Volterra. Sulla inversione degli integra Nei Re, e Riti. Il luogo d’emanazione dei raggi di Rontgen . . . . ADE ag een BRR) Pascal. Su di un teorema del sig. Netto relativo ai Ea e su di un uo teorema; ad esso affine (pres. dal Socio Cremona). . . . +. » Enriques. Sopra le superficie algebriche di cui le curve casino sono pria (orde! Id. )n Bortolotti. Sui determinanti di funzioni nel calcolo alle differenze finite (pres. dal Socio Cerri ; ) b ” Berzolari. Sulle equazioni differenziali. io l\adriche di uno spazio arl n dani i dal Socio Beltrami) (). . . . . » Antony. Sui coefficienti di affinità degli acli Sub dalle des tmporizioni idiot (sl dal Socio Masini) . 2 Minunni e Rap. Ricerche sui prodotti di sione SR A I Lai del Ton zolfenilidrazone (pres. dal Socio Paternò) . . . . ai Garelli. Sulle soluzioni solide del fenolo in benzolo dis del Socio o Bi) Viola. Metodo per determinare l'indice di rifrazione della luce di un minerale nelle lamine sottili (pres. dal Socio Stfrwver). . . : 6 O) Tommasi. Sul recente rinvenimento di fossili LI cl a | Bellerophon duro fe (pres. dal Socio Z'aramelli) . . . . 5 A RRINAI Mosso U. Apparecchio portatile per et, l'acido ca nell aria capita dalla (pres. dal Socio Mosso). . . . L GI UND Dutto. Influenza della musica sulla Rc cu (A dal Sia uh cu (*) Queste Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. 185 188: one: REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCIII. 1+896 FEET E UN DA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 42 aprile 1896. Volume V.° — Fascicolo 7° 1° SEMESTRE ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1396 e e eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee— 2 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I. Col 1892 si è iniziata la Serce quanta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- I Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro: priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il avoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. o. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50. se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è mersa a carico degli autori Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1% — Atti dell’Accademia pontiticia der Nuovi Lincei. Tomo I-XXII Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2% MEMORIE dela Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3: MEMORIE della Classe di scienze morali, i storiche e filologiche Vol. IV. V. VI. VII. VIII Serie 3* — TransUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturale. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — II-XIX. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4° — RenpIconTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5 — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-V. (1892-96) 1° Sem. Fasc. 7°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-V. (1892-96) Fase. 2°. MemORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCFI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. il prezzo di associazione per ogni volume è per tutta l'Italia di L. £®; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni s! ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LoescHer & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico HoepLi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Aprile 1896. INDICE Classe di scienze fisichè, matematiche e naturali. Seduta del 12 aprile 1896. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Tacchini. Sulle osservazioni solari fatte al R. Osservatorio del CPIEEO Romano durante. il Teftrimestre (del Wl39 0 MN ea Riccò. Riassunto delle osservazioni ineteorol fil fatte all Deo DIO (Meo Pincherle. Operazioni distributive: l'integrazione successiva. . . MESE Arto) Id. Operazioni distributive: le equazioni differenziali lineari non omogenee DÌ o; Volterra. Sulla inversione degli integrali muttipli (6) RI eee eee ee» Roiti. La durata dell'emissione dei raggi di Ròntgen (L/./\/././ Cossa. Nuove ricerche sulla reazione di Anderson. . . . o RS) Berzolari. Sulle equazioni differenziali delle Og di uno SED “ n dmn Gra dalfSocionee en REA: » Bortolotti. Sui determinanti di funzioni nel calcolo Lu differe enze dc ti dal 550 Cerrutg) n Id. La forma aggiunta di una data forma lineare alle differeuze. (pres. I4.) ©)...» Pascal. Funzioni olomorfe nel campo ellittico rione di un celebre teorema di MEO (pres. dal Socio Cremona) (È). . i, } it) Tedone. Sulla dimostrazione della firirola che rappresenta stione sl PREDA di Mu ghens (pres. dal Corrisp. Volterra) ARTO Arno. Sulla Isteresi dielettrica viscosa (pres. dal Socio n PAFIMUNESATOrGi SANO) Sella e Majorana. Azione dei raggi Rintgen e della luce ultravioletta sulla scarica esplosiva nell’aria (pres. dal Socio Blaserna) (RnS. I SN) Malagoli e Bonacini. Sulla riflessione dei raggi di Rag (tras: o a FRA) Ampola e Rimatori. La Dimetilanilina in erioscopia (pres. dal Socio Paternò) . . . . » Minunni e Vassallo. Nuove ricerche sulla trasformazione delle «-aldossime in nitrili (pres. /4.),» Oddo. Sui cementi idraulici. — Fusioni al forno elettrico (pres. dal Socio Cannizzaro) (È). » Mosso U. La respirazione dell’uomo sul Monte Rosa. Eliminazione dell’ acido carbonico a grandi altezze (presentata del Socio A. Mosso). . . . . . ” Lo Monaco. Sull’ azione fisiologica di alcuni derivati della santonina So dal Sino i) » RELAZIONI DI COMMISSIONI Favero (velatore) e Merraris. Relazione sulla Memoria dell’ ing. N. Micol: « Sull’ efflusso dei fluidi e specialmente dei liquidi soprariscaldati sotto forti pressioni ». . . /. . +.» Cerruti (relatore) e Beltrami. Relazione sulla Memoria del dott. G. Bernardi: « Estrazione abbreviata della radice cubica dei numeri»... e 0 PERSONALE ACCADEMICO Brioschi (Presidente). Dà annuncio della perda fatta dall'Accademia nella persona del Corrisp. prof. Ernesto Padova . . . SIR RS TSI ESA SIRRORIBIO) Beltrami. Legge un cenno ii del qub E Piloni MEDEA ELA PRESENTAZIONE DI LIBRI Blaserna (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in ‘dono segnalando quelle inviate dai Soci Bassani, Riccò, Dia dal generale De A: dal dott. von Pea e dal Mi- nistero della Marina. . BIO IBRA CORI PONDENZA Cortispondenza trelativaftaliicambloRd el VAT RR e BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. (*) Queste Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. 285 (0 el DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCOIII. 3296 SFERE ESE PT RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 26 aprile 1896. Volume V.° — Fascicolo 8° 1° SEMESTRE ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1896 TS > g \ h as bi db; z Ù EEA N Y r\ / \ ALA D \ j ) ki Ji Cd } D Y (\ \d 1} Y, ù 4 = bo, di > T_T‘ ______r—_——_——————rrrt—_r_ q ao—_err_—r —T—1_. ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I. Col 1892 si è iniziata la Serce quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1.I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei» qualora l'autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. I. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro: priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci 0 ‘ da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il avoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una, proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringrar ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- ‘posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall” art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5.L° Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50. se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è mersa a carico degli autori ten cena “nn AL e PR RIE Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XX1I* Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2% MEMORIE delta Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3? MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. IV. V. VI. VII. VIII. Serie 3* — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. MremorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MeMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — ReNDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-V. (1892-96) 1° Sem. Fase. 8°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-V. (1892-96) Fasc. 2°. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. ll prezzo di associazione per ogni volume è per tutta l’Italia di L. £®; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni s! ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LorscHer & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrIco HorepLi. Milano, Pisa e Napoh. RENDICONTI — Aprile 1896. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 26 aprile 1896. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Volterra. Sulla inversione degli integrali multipli (./ SR Pincherle. Operazioni distributive: le equazioni differenziali lineari non omogenee . . . » Riccò. Riassunto delle osservazioni meteorologiche fatte all’ Osservatorio Etneo... . » Villari. Sulle cariche e figure elettriche alla superficie dei tubi del Crookes e del Geissler (*) » Pascal, Funzioni olomorfe nel campo ellittico (estensione di un celebre teorema di Weierstrass) (pres: dal-Socio: Cremona). RM ORIO STO RESA AIA NE ARPA Sella e Majorana. Azione dei raggi Rontgen e della luce ultravioletta sulla scarica esplosiva nell'aria (pres. (daliSocio 8/256720) ME E Malagoli e Bonacini. Sulla riflessione dei raggi di Ròntgen (pres. Id.) ./ 0/0.» Oddo.Sui cementi idraulici (pres daltSocidi 027272220) RR MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Ricci. Dei sistemi di congruenze ortogonali in una varietà qualunque (pres. dal Socio Cremorza) » Lori. Influenza degli sforzi di tensione e di compressione sulle proprietà magnetiche del ferro (pres. dal ‘Socio: Blasco te n VARI eo (*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. A ibi: JR REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCOIII. 1896 SEE ENTO, ULUBbeNE TE A RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 3 maggio 1896. Volume V.° — Fascicolo 9° 1° SEMESTRE TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I. Col 1892 si è iniziata la Serse quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matemetiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci; che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro: priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il avoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. o. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50. se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messa a carico degli autor). Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dex Nuovi Lincei. Tomo 1-XXIl! Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2* MEMORIE delia Classe di serenze fisiche, matematiche e naturali 3* MEMORIE della Classe di scienze morali storiche e filologiche NoESsIVenV. VI CVILOVEITI Serie 3* — TransuntI. Vol. I-VIII. (1876-34). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpIcONTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I-VII. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e. filologiche Vol. I-X. Serie 53 — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-V. (1892-96) 1° Sem. Fase. 9°. ReNDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-V. (1892-96) Fasc. 3°. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. ll prezzo di associazione per ogni volume è per tutta FItalia di L. 1®; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni s! ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Lorscner & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico Hoepi. — Milano, Pisa e Napoli. i RENDICONTI — Maggio 1896. IMPDACE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 3 maggio 1896. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Tacchini. Sulla distribuzione in latitudine dei fenomeni solari osservati al R. Osservatorio del Collegio Romano nel 1° trimestre del 1896 . . . . VAS I AE Righi. Nuovi studî sulla dispersione elettrica prodotta dai raggi di it Meri) Grassi e Calandruccio. Sullo sviluppo dei Murenoidi. . . . . SR e Bortolotti. La forma aggiunta di una data forma, lineare alle differenze da dal Socio Cerruti). » Tedone. Sulla dimostrazione della formola che rappresenta analiticamente il principio di Huyghens (pres. dal Corrisp. Volterra) Li... STRO O De Gasparis. Alcuni nuovi derivati del Veratrol (pres. dal Socio Pioli e) Oddo. Fusioni al forno elettrico (pres. dal Socio Cannizzaro) |... o) Kruch. Sui cristalloidi della Phytolacca abyssinica (pres. dal ci BIO Mus) Benedicenti. La combustione nell’ aria rarefatta (pres. dal Socio A. Mosso (8)... pro) Lo Monaco. Sull' azione fisiologica di alcuni derivati della santonina (pres. dal Socio Dini ” Id. Sull’azione vermicida della santonina e di alcuni suoi derivati (pres. 24.) (0)... 0» PRESENTAZIONE DI LIBRI Blaserna (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono segnalando quelle inviate dai Socî Caruel, Pincherle, Villari; dai siog. Berlese, Gavotti, Muller, Staggemeier; pre- senta inoltre un volume inviato dal Ministero d’Asgricoltura, Industria e Commercio...» CORRISPONDENZA Brioschi (Presidente) Presenta una medaglia commemorativa del 70° anniversario del Socio straniero G. Z'homsen . . . RAME te TI 0 ISO DOT CIAU SL FAN AIAR SEAN SINNI Corrispondenza relativa al cambio degli Atti SFR ES OR Mn BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. (*) Queste Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. ATTI REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCOIII 1896 RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 17 maggio 1896. Volume V.° — Fascicolo 10° 1° SEMESTRE ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1896 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Uol 1892 si è iniziata la Serce quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- ] Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il avoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una. delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un rumero di copie in più che fosse richiesto, è mersa a carico degli autori. FuDDiucazioni ella R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo 1-XXII5 Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. IIl. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2° MEMORIE delta Classe di scienze /stche. matematiche e naturali 3* MEMORIE della Classe di scienze morale storiche e filologiche Vol. IV. V. VI. VII. VIII. Serie 34 — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. I-XIII. Serie 4° — RenpICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturale Vol. I-VII. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e flologiche VOLI Serie 5° — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-V. (1892-96) 1° Sem. Fasc. 10°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-V. (1892-96) Fasc. 3°. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. ÉII prezzo di associazione per ogni volume è per tutta l'Italia di L. 1®; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni s' ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LorescHer & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico HoepLi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Maggio 1896. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 17 maggio 1896. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Villari. Sulle cariche e figure elettriche alla superficie dei tubi del Crookes e del Geissler. Pag. Sella e Majorana. Sull'azione dei raggi Ròntgen sulla natura della scarica esplosiva nel- l’aria (pres. dal Socio Blaserna). . . È È dl O UR gd CI SEA Folgheraiter. Sopra un'eolipila del principio dal sit a id): dn READ SRO Angeli e Rimini. Azione dell'acido nitroso sopra alcune ossime della serie della e, (pres. dal Socio Ciamician). . . n o) De Gaspari. Alcuni nuovi ID del Vai i dol uu; co). DES » Clerici. Sopra un caso di DT artificiale dei tessuti vegetali (pres. dal Sud Con NICOLO) RI I Me o) Benedicenti. La combustione nell aria Po Du dal Socio vi o) Aa St Lo Monaco. Sull’azione fisiologica dei quattro acidi santonosi (pres. dal Socio PR). D) Capranica. Sulla azione biologica dei raggi di Réntgen (pres. dal Socio Zommasi-Crudeli)» 377 389 392 994 396 401 404 410 416. 0 I ANNO CCXCOIII. 1896 Serio & UBENI! TA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 6 giugno 1896. REALE ACCADEMIA DEI LINCEI | Volume V. — Fascicolo 11° 1° SEMESTRE ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 sì è iniziata la Serze quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due ‘ Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1.I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- ] Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei - qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. I 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro: priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com. missione la quale esamina il avoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. o. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messa a carico degli autori. Fuppnceazioni aena R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia der Nuovi Lincei. Tomo 1-XXIl! Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2 MEMORIE delta Classe di scienze fistche, matematiche e naturali. 8 MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. IV. V. VI. VII. VIII. Serio 3* — TransuntI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. | MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4° — ReNDICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MremorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-V. (1892-96) 1° Sem. Fasce. 11°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-V. (1892-96) Fase. 3°. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI | DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI | ——_g—_—_—___ I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. li prezzo di associazione per ogni volume è per tutta l'Italia di L. #@: per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni s: ricevono esclusivamente dal seguenti editori-librai : Ermanno LoescHer & C.° — ftoma, Torino e Firenze. ULrico HoepLi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Giugno 1896. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 6 giugno 1896. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Schiaparelli. Sulla rotazione e sulla topografia del Pianeta Marte (9). . . . . . . Pag. Villari. Sul modo col quale i raggi X facilitano la scarica dei corpi elettrizzati . . ._» Id. Del ripiegarsi dei raggi X dietro i corpi ad essi opachi (**) . . . . . È) Tedone. Sulla integrazione delle equazioni della elasticità. — Sulle equazioni Ol. meli vi- bratorio di un corpo elastico (pres. dal Corrisp. Volterra) (9) 0...» Lovisato. Nuovi lembi mesozoici in Sardegna (pres. dal Socio Capellini) . . o) Lo Monaco. Sull’azione vermicida della santonina e di alcuni suoi derivati (pres. Gal Socio LUCE MI e A O A IE, RELAZIONI DI COMMISSIONI Beltrami (relatore) e Cremona. Relazione sulla Memoria del prof. ceci, intitolata: « Dei sistemi di congruenze ortogonali in una varietà qualunque n. 0.0.0...» PERSONALE ACCADEMICO Brioschi (Presidente). Dà annuncio della perdita fatta dall'Accademia nelle persone del Socio nazionale Federico Menabrea e del Socio straniero Gabriele Augusto Daubrée . . . » Elezioni del Presidente, Vicepresidente, Amministratore ed Amministratore aggiunto . . » BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. (*) Questo lavoro sarà pubblicato nei volumi delle Memorie. (**) Queste Note saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. 441 ASTII DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCIII 1896 sd, EE UgEIN'IE A RENDICONTI Classe di scienze fisiche. matematiche e naturali. Seduta del 2A giugno 1896. Volume V.° — Fascicolo 12° e Indice del volume. 1° SEMESTRE ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1596 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I. Col 1892 si è iniziata la Serse quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II 1. Le Note che oltrepassino i limiti ‘indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro: priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com. missione la quale esamina il avoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - è) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’ invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia, 8. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50. se estranei. La spesa di un rumero di copie in più che fosse richiesto, è mersa a carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Serie 1° — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2% MEMORIE delta Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. IV. V. VI. VII. VIII. Serie 3* — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpiconTI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRrIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5° — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-V. (1892-96) 1° Sem. Fasc. 12°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-V. (1892-96) Fasc. 3°. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume è per tutta l'Italia di L. f@: per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni s! ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LoescHer & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico HoepLi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Giugno 1896. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 21 giugno 1896. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Villari. Del ripiegarsi dei raggi X dietro i corpi opachi . . . . .......... . Pag. Righi. Osservazioni sulla precedente comunicazione . . . Ria) d. Sul trasporto dell'elettricità secondo le linee di forza, STO dai raggi di Rontgen. ” Kòrner e Menozzi. Azione della dimetilammina sugli eteri dietilici degli acidi fumarico e mal eicoMgr eni Bo o Tedone. Sulla inlegnizione do equazioni della elasticità i no Cer Tai È ” Levi-Civita. Sul moto di un corpo rigido intorno ad un punto fisso (pres. dal Socio Cerruti) (®) » Del Lungo. Sopra la teoria cinetica dei gas (pres. dal Corrisp. Roi) . . /../.... Lovisato. Notizia sopra la ittiofauna sarda (pres. dal Socio Capellini) 0)... .. Simonelli. Intorno agli avanzi di Coccodrilliano scoperti a San Valentino (provincia di Reggio Emilia) nel 1886%(pres. dal Str) RE: RELAZIONI DI COMMISSIONI Ferraris (relatore) e Blaserna. Relazione sulla Memoria del dott. Zor:, intitolata: « Influenza degli sforzi di tensione e di compressione sulle proprietà magnetiche del ferro » . . » Indice ‘del vol. ‘IV, I-semestre 1896... 00 i e 474 475 (*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Pur A dar Geo n Te ER ra rare ART e n A antonino n n e. o SR 01 2- =: siente a RATTO dae rai a rai sea Uli là Auster oa 3 9088 01 NULL ARRRI: i 17) VEE RG < ce n Qi uz (©) = =) E [= 7) z z < iz I°) 7) T E = a) " ev peli) sta