Slide vs nia aria mann figa ane zia PE AE iii cn entrino eine ATI DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCIII. 1896 EEE TSO TRNDETA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. VOLUME V. 2° SEMESTRE ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIET À DEL CAV. Ve SALVIUCCI 1896 RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia prima del 5 luglio 1896. _——_——_—TtmC=-_TTTIRTHHO-<--- Meccanica. — Sul moto di un corpo rigido intorno ad un punto fisso. Nota di TuLLIo Levi-CIviTA, presentata dal Socio CERRUTI. L'interesse, che a buon diritto si suole accordare ai problemi classici della meccanica analitica, mi conforta ad esporre alcune poche cose relative al moto di un corpo rigido intorno ad un punto fisso. Premetto una parola di commento sul punto di vista, da cui io mi sono posto. Le equazioni differenziali del moto dipendono, come si sa, da due ele- menti: la natura del sistema mobile, analiticamente rappresentata da una forma differenziale quadratica, e la natura delle forze che lo sollecitano. La conoscenza del primo di questi elementi, se non basta a caratterizzare una determinata questione dinamica, permette tuttavia di confrontare fra loro più sistemi materiali, dotati di uno stesso grado di libertà e di concluderne la identità (analitica), quando le loro forze vive sieno rappresentate da forme, trasformabili l'una nell'altra. In questo caso le equazioni differenziali del moto dei due sistemi si riconducono evidentemente le une alle altre, me- diante una trasformazione di coordinate (lagrangiane) e una conseguente tra- sformazione delle forze. In ordine a questo criterio, io ho preso a studiare la forza viva T di un corpo rigido, per stabilirne i caratteri essenziali. Sarebbe stato oltremodo laborioso il ricorrere per questa indagine agli invarianti della forma differenziale. Ho preferito attenermi al concetto grup- pale, appoggiandomi sugli insigni lavori del sig. Lie. Determinai pertanto e 4 la natura del gruppo, che trasforma in se stessa la forza viva T ed ho tro- vato, come era agevolmente prevedibile, gruppi diversi, secondo il compor- tamento dei momenti principali di inerzia, relativi al punto fisso. Nel caso in cui i tre momenti sieno tra loro eguali, la struttura del gruppo corrispondente porta senz’altro a concludere che la forma differen- ziale T dev essere di curvatura costante positiva, e in fatto un’ acconcia scelta di variabili permette di constatarlo direttamente, talchè si può iden- tificare la dinamica di un punto materiale in uno spazio ellittico a quella di un corpo rigido, mobile intorno ad un punto fisso, per cui sieno eguali i momenti principali di inerzia. Mi permetto ancora di rilevare, quantunque nel presente scritto non ne sia fatto cenno, che, allorquando tutti e tre o due almeno dei momenti di inerzia sono distinti, la espressione di T non è utilmente riducibile a tipo diverso e può invece, come mostrerò in altra occasione, risguardarsi canonica per tutta una categoria di problemi con tre gradi di libertà. Spero allora di poter dar prova, anche dal lato strettamente dinamico, dell'interesse di questo genere di ricerche. Pel corpo rigido in particolare, se non vien fatto di dedurre dalle con- siderazioni gruppali conseguenze meccaniche nuove, si mette in luce tuttavia un fatto analitico, che sembrami degno di attenzione; si mostra cioè l’ esi- stenza di potenziali ‘mmaginarii, per cui (anche quando i momenti di inerzia sono tutti distinti) le equazioni del moto si possono integrare mediante quadrature. L'Accademia vorrà consentire che io dedichi due Note a queste osser- vazioni sul moto dei corpi rigidi. 3 1Ee. i RC i 4 1. Sia T==\ dana, 1 espressione in coordinate lagrangiane della Trs forza viva di un sistema materiale S a legami indipendenti dal tempo; le a,s dovendosi ritenere in tale ipotesi funzioni soltanto delle coordinate x; ((=1,2,...,%). Designeremo al solito con 4 (essenzialmente positivo) il determinante Y © 41 029... Qnn, e con al il complemento algebrico di 4, in 4, diviso per a. Suppongasi che l'equazione: (1) D_ Ara, = cost, + 1 (le A essendo funzioni delle x) costituisca un integrale primo, lineare, come si vede, rispetto alle velocità, per il moto del sistema S, quando non agi- n scono forze. Dico che T ammette la trasformazione infinitesima Zf NA DE 1 (1 2 i n 1 dove p; = Î e AO SI a‘ A,. Per provarlo, mostrerò come tale enun- i 1” dr pefastst gie ansi RMPAR peer ciato non sia che l’espressione, secondo la terminologia ormai classica del sir. Lie, di un teorema, dimostrato in questi stessi Rendiconti (') dal prof. Cerruti. Egli ha infatti osservato che, ogni qualvolta esiste un integrale lineare (1) per un sistema S sollecitato da forze indipendenti dalle velocità (nel qual caso la (1) è sempre integrale, anche quando, come si è supposto, non agiscono forze (2), è possibile nella varietà ® di elemento lineare dg V 2T dt? un moto r:gido infinitesimo, per cui ogni punto (41,42, .., 4%) subisce gli spostamenti de, = AV, de, =A® ,...,dzn=8A9, desi- gnando « una costante infinitesima. Ora il prof. Cerruti chiama, come è naturale, rigido uno spostamento, in cui i singoli elementi sì comportano come fossero collegati rigidamente, e desume questa interpretazione dalla circostanza analitica che, ponendo, nel- n l’espressione dell’ elemento lineare ds° —Y 4,d%,d%s, LCteA® ((=1,2,...,2) 178 al posto di 4; (e quindi de; + «dA al posto di dx;), il ds°, a meno di infinitesimi d'ordine superiore, rimane invariato. Ciò equivale a dire mani- festamente che l'elemento lineare ds, 0, se si vuole, la forza viva T am- mette la trasformazione infinitesima Z/, estesa (erweiterte), si intende, alle NRE da; velocità — . di n Giova notare che, se nell’'integrale DI. A,x',= cost si sostituiscono 41 Te 1 T 5 : alle 4" le variabili coniugate ant , la corrispondente trasformazione i infinitesima Z/ riesce determinata identicamente, poichè il primo membro dell'integrale coincide allora col simbolo della trasformazione. Infatti da ST De a L | SAT: ui, si trae 7) 40; è quindi: dI i I n° n n n SREZZZO (ir) TS (OE ee DE A, g',= Di alt Arpi=)_A° Pi= 4f. 2. Applichiamo queste generalità al caso di un corpo rigido, mobile in- torno ad un punto fisso 0. Si indichino al solito con 2,y, gli assi principali di inerzia nel punto O, con A,B,C i momenti principali, con @, 81,71; &2, #2,Y2; @3,83,Y3 Ì coseni degli angoli, che gli assi 2, 7,4 formano con una terna qualunque d'assi fissi £, 7,6, aventi l'origine nel punto fisso. Converrà aver presenti due sistemi di coordinate lagrangiane: i parametri razionali di Rodrigues (*) (‘) Aprile, 1895. (2) Cfr. la mia Nota, Sugli integrali algebrici delle equazioni dinamiche. Atti del- l’Acc. di Torino, 1896. (8) Darboux, Zecons sur la théorie des surfaces. T. 1, pag. 84. Sg e gli angoli di Eulero. I primi conducono a stabilire utili raffronti, i secondi meglio si prestano al calcolo effettivo. Per evitare di scrivere tutto in doppio, ci atterremo alla rappresentazione parametrica di Rodrigues, riportando in coordinate euleriane (!) soltanto quelle formule, di cui dovrà farsi in ap- presso esplicito uso. Ritenuto ciò, avremo : _lHea_—-% Mez Hd- 2122) 2(— 2.4 123) ie vp E ns __ 2-4 4%) Mita ___2(21 + 2233) ble a ; Peron , fi= ig __ 2a + 143) __2(-21t-22 43) Vaio ir ge e e _ dove si è posto per brevità 0° 14 xt +4î+ 3. Le componenti della rotazione attorno agli assi principali di inerzia sono: r / 4 2 r 14 / pala 05 + Po Ba kyra = ga (OT 030-283) , VA r 2 14 r rv q=o'n0+PaPt+rsn= gl + dd) dia r=a 10948841 veg (+e da) e la forza viva del corpo assumerà la forma: (2) 2T = Ap° + Bg? + Cr° a SM ite dia 03) +B(4 tarda &a0 + Ud +e 2a) Esprimendo le rotazioni p,g,7 per mezzo delle variabili p, , 22 ; 23 C0- niugate ad «"1,2'2,%3, Si trova: (142) pr4 (c++ 2122) po +(_ 24 2122) Pa (—z+2.0)p+(1+2)po + (214 2223) psi (co, da) pr+ (+22 23) Pi 4 (14-25) 23%, —- Ai 2) (3) Lo. =i] (1) Le chiamo così per consuetudine, ma effettivamente userò gli angoli + ,f,g del Kirchhoff (Mechanik, pag. 48), che sono legati agli angoli #, gp, w di Eulero dalle rela- zioni f= — (3+9 (7) =5 — w e permettono di stabilire le espressioni di nove coseni, senza ricorrere a considerazioni geometriche. E et db SB le quali, passando alle coordinate euleriane 4,7, , ove si designino le — DI dI DI ossono essere scritte: Pz, Pr, Po gelo ag? ? con cos f Ap= senfpz + cos Fn9 it ns? I sen ®) Bg =— cos fp3+ sen/ SS pr4 il p, Cr= — eli; Quando non agiscono forze, sussistono, come è ben noto, i tre integrali delle aree : S2T DR 1% + > 7 +az — = cost SIT Ti Pa dp + B: 5 + 83 — = cost DI Ti +ntr ct che, espressi mediante «1,2, 43, P1,P2:P3, divengono: :(1+2)p. +(-23+ 2102) p+ (24 21403) psi = cost (4) #}(c°4+ 21 22) i +(14+23) pe + (14 22 £3) pa | = così | ti(ctz:%)p + (11 +22 0) po + (1+ 3) p34= cost, e e, in coordinate euleriane: NA SZ Ga? a cost seng if "AA / ) sen (4) MMicosipas I Dr— sen @ Si n= cost Pe = COSÌ. Ne deduciamo che la forza viva T ammette le tre trasformazioni infinitesime : Z.f 111+2)p+(—23+% 2) po + (02 + 21 03) ps = =ip+g#2e:U+4(%203— 43) DI Mast c)p+ (1440) po +(— 2a + 22 £3) Ps {= = Pad (23 Pi — da Ps) i}(0wet+a La) pi + (21 + 223) pa + (1 + 23) ps = —tp+4e3U+ti(c1po— 20) ZF Il (U = 10. = 22» + &3 93) ORE Sarebbe facile veriticare direttamente che le Z,/,Zs/,Zzf soddisfanno alle relazioni: (5) (2, Zo)f = —Zsf , (ZeZs)f=—f , 3 4)f=—2af; riesce tuttavia anche più semplice il riportarsi ad una proposizione di Jacobi (1), secondo cui gli integrali delle aree (espressi a mezzo delle coordinate «; e delle variabili p;) sono legati da equazioni del tipo (5), non solo, ciò che si constata immediatamente, per un sistema di punti liberi, ma eziandio per un sistema di punti vincolati in modo qualunque, purchè tale, si intende, da conservare gli integrali delle aree. Proponiamoci di determinare la natura del gruppo, che trasforma in sè stessa la forza viva di un corpo rigido, distinguendo all'uopo tre casi: a) i momenti principali di inerzia A, B, C sono fra loro diversi; 5) due momenti principali, p. es. A e B, sono eguali, ma distinti dal terzo; c) i momenti principali di inerzia sono tutti eguali fra loro. In questa Nota trovano posto soltanto poche considerazioni generali re- lative all'ipotesi @); alcune loro conseguenze e la discussione degli altri casi sono rimessi ad altra Comunicazione. 3. Caso a). — Si hanno, come è noto, i soli (2) integrali (4) linear- mente indipendenti (cioè non legati da relazioni lineari & coeffictenti co- stanti); quindi la forza viva T ammette le sole trasformazioni infinitesime indipendenti Z,f", Z:f,Z3f, le quali debbono per ciò costituire un gruppo Gz a tre parametri. Questo vien messo in evidenza dalle (5), che determinano in pari tempo la struttura (Zusammensetzung) di G3. Da essa direttamente (3) potrebbe desumersi che il nostro gruppo è costituito come il gruppo proiet- livosza— SI sopra la retta. Si può per altro riconoscerlo in modo più (1) Werke, B. V., pag. 113. Giova avvertire che le (5) presentano un cambiamento di segno rispetto alle formule di Jacobi, poichè noi, seguendo il sig. Lie, abbiamo posto CE AI (Z, Zo)f = 2 Zaf bai 200) dpi VERO dx; IP: \ [Z17Zsf ] equivale a — (Zi Z»)f. Cfr. anche: Mathieu, Dynamique analytique, pag. 243; Mayer A., Veber die allgmeinen Integrale der dynamischen Diffgl. ecc. Math. Ann., B. 17, 1880. Aggiungo che la proposizione di Jacobi potrebbe ricavarsi in modo elegante come caso particolare di un teorema gruppale (Lie, Z'heorie, ecc., B. I., pg. 233). (2) Tedone, Sopra è casi, in cui il problema del moto di un corpo rigido si riduc alle quadrature. Nuovo Cimento, 1895. Veramente dalla ricerca del sig. Tedone risulta che, quando A = B = C, esiste, oltre al sistema (4), il solo integrale lineare r = cost. , mentre il simbolo di Jacobi Siccome però quest’ultimo non compete al caso generale, il nostro asserto si trova giu- stifi cato. (3) Lie, B. III, pg. 713-717. BI [e più vantaggioso per l'uniformità dell'indagine, prendendo a considerare il gruppo Gs di proiettività, che trasformano in se stessa la sfera immaginaria a+ a3+z3+1=0 nello spazio ordinario. Tale gruppo è generato (!) dalle trasformazioni infinitesime : Evo a Meta. HaPs7X%3P2 >, C3PrdP3 >, CrPo7T2Pr o, ciò che è lo stesso, da: 2f=sP+sU+s (2209 — spa), Dif p+ MU (pa — dp) Lif=sp+4%:U+3(23p—d1Ps) , Zof=%Po +8 RL Usf=&p3+%3U+i (cip. — cp), Dif=tpi+i43U—s(21po— 22)) la distinzione delle trasformazioni infinitesime del gruppo in due categorie Zif (i(=1,2,3) e Z;f (f=1,2,83) corrispondendo alla circostanza che le tre trasformazioni di ciascuna categoria determinano due sottogruppi inva- rianti semplicemente transitivi, i quali trasformano in sè le singole genera- trici, situate rispettivamente sull’una o sull'altra delle due serie rigate (im- maginavie) TY e I" appartenenti alla quadrica «î +25 +43 +1=0. Le trasformazioni Z/, che lasciano ferme le singole generatrici della serie 7°, operano su I" (e le Z'7 su I°) come le proiettività binarie sopra la varietà semplicemente infinita, e ciò collima con quanto s'è poc'anzi avvertito; no- tiamo ancora che, non solo Z;f (© =1,2,3) e Z;f (f=1,2,3) sono sot- togruppi invarianti, ma ben anco le singole trasformazioni 7} sono permuta- bili colle Z'f. Tradotto in linguaggio analitico, ciò significa che valgono le relazioni : (6) UZ)f—0,(0,j=12,3) ann dn ___ae °T_ _z8z%gzgz_zkKz__y_..... e 33:55:55 le quali del resto si possono ovviamente verificare. Ritornando al gruppo G3 di T, donde abbiamo preso le mosse, siamo ora in grado di caratterizzarlo, dicendo che è simile a quel gruppo pro- iettivo dello spazio ordinario, il quale trasforma in sè una serie rigata T° appartenente alla sfera immaginaria #7 + 23+43+1=0. Di qua sì po- trebbe ricavarne senza integrazione la espressione generale delle sue trasfor- mazioni finite, poichè tali trasformazioni sono date, come si vede immedia- tamente, dalle omografie biassiali, che hanno per assi una coppia qualunque di generatrici coniugate di 1°”. (1) Lie, ibidem, pg. 410. RenpICcONTI. 1896, Vor. V, 2° Sem. 2 NI (() E Meteorologia. — Valori del potenziale elettrico dell’ atmo- sfera a Roma. Nota di ApoLro CANCANI, presentata dal Socio TACCHINI. Nel mese di marzo 1884, per disposizione del prof. Tacchini, venne impiantato nella torre dell’ Osservatorio del Collegio Romano un elettro- grafo Mascart a registrazione fotografica, al doppio scopo di studiare l’ an- damento ed il valore del potenziale elettrico dell’aria e di assecondare un voto emesso dalla Conferenza internazionale di elettricità che sì era tenuta a Parigi poco tempo innanzi. Il servizio di questo elettrografo, che è assai delicato e che presenta non piccole difficoltà perchè proceda a dovere, venne affidato in principio al prof. Chistoni e poi in varie epoche a me ed al prof. Agamennone. Quest’ ul- timo anzi vi apportò delle migliorie considerevoli, che lo resero più spedito e più regolare. Dal marzo 1884 il servizio fu continuato, con alcune poche interruzioni imposte dalla necessità di varie circostanze, fino al luglio 1891, dopo il qual tempo l’elettrografo venne trasferito nell’ Osservatorio geodina- mico di Rocca di Papa, dove attualmente trovasi e dove è stato da me tenuto in azione per un anno. Il prof. Tacchini, in una Nota letta all'Accademia nella seduta del 1° giu- gno 1884, comunicò i primissimi risultati che si erano avuti coll’ elettrografo nei mesi di aprile e maggio del medesimo anno, e ne riferì anche nella suc- cessiva riunione tenutasi a Parigi. Ora io ho l'onore di presentare all’ Accademia le seguenti conclusioni ottenute dallo spoglio delle curve giornaliere del potenziale elettrico dell’ aria a Roma. 1° Di tutte le 365 curve giornaliere di ogni anno, una metà appena presentano un andamento regolare evidentemente sottoposto ad una legge; le altre presentano un andamento affatto saltuario e del tutto bizzarro. 2° Le curve che conservano la regolarità in tutto il periodo diurno si mantengono costantemente al di sopra dell'asse delle ascisse, cioè rappresen- tano un potenziale costantemente positivo. 3° Delle curve irregolari, alcune, circa una metà, rappresentano un poten- ziale costantemente positivo, mentre per l’altra metà sono costituite in tutto od in parte del periodo diurno, da larghissime oscillazioni al disopra ed al disotto dell'asse delle ascisse, cioè rappresentano enormi oscillazioni del po- tenziale fra i campi positivo e negativo. 4° Mentre i potenziali positivi delle curve regolari si mantengono entro il campo della zona di carta sensibile, ossia entro il campo in cui si estende 1) la possibilità di far misure coll’ elettrografo Thomson-Mascart, i potenziali negativi, invece vanno completamente fuori del campo; odin altre parole mentre i potenziali delle curve regolari, che, come abbiamo detto, sono sempre positivi, raggiungono i valori di poche decine di volta, i negativi delle curve irregolari superano i valori di centinaia e di migliaia di volta. Sono raris- sime eccezioni i casi in cui il potenziale negativo rimanga entro il campo di misura. 5° Dall'esame delle curve regolari si deduce assai chiaramente il fatto che il potenziale elettrico presenta durante il giorno due massimi e due mi- nimi, e questi si debbono distinguere in un massimo principale, un massimo secondario, un minimo principale ed un minimo secondario. 6° Il massimo principale segue di due ore ed un quarto circa il tramonto apparente del sole, il secondario oscilla fra le ore 7 e le 9. 7° I minimi principale e secondario oscillano senza legge ben determi- nata, il primo fra lé ore 2 e le 4, il secondo fra le 13 e le 15. 8° I valori del potenziale sono assai maggiori d'inverno che di estate. Così la media dei massimi principali di quattro anni d' osservazioni (1887-90) è di 80 volta per i mesi di decembre, gennaio, febbraio, di 42 volta per i mesì di giugno, luglio, agosto. E la media dei minimi principali, per il medesimo periodo, è di 28 volta per i tre mesi d'inverno e di 20 volta per i tre mesi di estate. Risulta da ciò che anche le escursioni diurne del po- ienziale sono maggiori d'inverno che di estate. 9° I massimi valori del potenziale, per quanto concerne almeno il pe- riodo quadriennale da me preso in esame, si manifestano nel mese di decembre in cui la media mensile dei massimi principali raggiunge il valore di 105 volta. Mi riservo di far conoscere all'Accademia con ‘altra Nota le relazioni che passano fra i fenomeni meteorici ed i fenomeni elettrici, ed i confronti fra il potenziale elettrico dell’ atmosfera a Roma all'altezza di 50 metri sul livello del mare, e quello dell'atmosfera a Rocca di Papa all’altitudine di 770 metri. Paleontologia. — ritorno agli avanzi di Coccodrilliano sco- perti a San Valentino (provincia di Reggio Emilia) nel 1886. Nota del dott. VirrorIo SIMONELLI ('), presentata dal Socio CAPELLINI. Nel volume V del Bullettino della Società geologica italiana il prof. Gu- stavo Uzielli dava notizia di un cranio di coccodrilliano, scoperto dal sig. An- tonio Gazzetti sulla riva sinistra del Rio Marangone, affluente del Tresinaro, nelle vicinanze di S. Valentino (prov. di Reggio Emilia). Dopo una sommaria descrizione dell'interessante esemplare e del luogo in cui fu rinvenuto, conclu- (1) Lavoro eseguito nel Gabinetto di Geologia dell’ Università di Parma. PO e deva l’Uzielli essere « il cranio di S. Valentino certamente quello di un Cro- « codylus, ma certamente da riferirsi a una specie nuova di grandi di- mensioni » ('). Esposto a Bologna nella mostra emiliana del 1888, fra i prodotti delle industrie chimiche ed estrattive, quel fossile fu esaminato dal senatore Ca- pellini, il quale ebbe occasione poco dopo di ricordarlo nei Cenni biblio- grafici sui resti di coccodrilli fossili in Italia premessi alla magistrale monografia del Tomistoma calaritanus (?). « Facilmente mi persuasi, scri- « veva allora il Capellini, che occorrerebbe lavoro lungo e non facile per li- « berare quelle ossa dalla roccia nella quale sono impegnate, dopo di che « se ne potrebbe fare uno studio accurato. Riguardo alla provenienza non è « facile d'indovinarla, e potrebbe anche darsi che si trattasse di un giaci- « mento cronologicamente poco diverso da quello dal quale derivano i tronchi « di Cicadee fossili raccolti erratici nel Reggiano, e dei quali si hanno belli « esemplari nella collezione dell’Ab. Ferretti e nel Museo di Reggio ». Po- steriormente il Capellini stesso confermava la sua opinione e dichiarava che uno studio accurato di quel rettile sarebbe riuscito di grande importanza per la geologia italiana (3). Nel terzo volume del trattato di paleontologia del Von Zittel si tornò a far menzione del coccodrilliano di Reggio; che ritenuto spettante alla se- zione Brevirostres degli Eusuchia, venne ascritto al gen. Crocodilus Laurill., e fu indicato come pliocenico, ossia come « le cerocodile fossile le plus récent que l'on connaisse jusqu'àè présent en Europe » (‘). Per la cortese intromissione del sig. Goffredo Guazzi di Reggio, ottenni che il sig. Carlo Gazzetti, attuale possessore del pregevole avanzo, consentisse a lasciarlo per breve tempo in deposito nel Gabinetto di Geologia della Uni- versità di Parma. Ebbi modo così di lavorare col bulino intorno alle ossa, per liberarle dalla roccia quel tanto che si poteva senza compromettere l'in- tegrità dell'esemplare: di farne ricavare buoni modelli dall’ abilissimo prepa- ratore dell'Istituto Geologico di Bologna, sig. Antonio Agostini, che la ine- sauribile benevolenza del senatore Capellini mise per qualche giorno a mia disposizione: di prendere direttamente sull’originale nuove misure, disegni, fotografie. (1) Uzielli G., Sopra un cranio di coccodrillo trovato nel Modenese. Boll. della Soc. Geol. It., vol. V, fasc. 3°, p. 360. Roma, 1887. (2) Capellini G., Sul coccodrilliano garialoide (Tomistoma calaritanus) sco- perto nella collina di Cagliari nel 1848. Mem. della R. Acc. dei Lincei, serie 42, vol. VI, p. 8. Roma, 1890. (3) Capellini, /chthyosaurus campylodon e tronchi di Cicadee nelle argille scagliose dell'Emilia. Mem. della R. Acc. delle Sc. dell’Ist. di Bologna, ser. 4°, T. X, p. 244. Bo- logna, 1890. (4) Zittel K. A., Traité de Paléontologie, Trad. fr. par le D”. Ch. Barrois P.I, T. III, p. 675. Paris, 1898. RO (OE Una occasione come questa non è facile si ripeta, ora che il fossile è tornato a San Valentino, dove rimarrà sottratto all'esame degli studiosi, se pur non andrà man mano deteriorandosi. E perciò m'induco a far pubblici i risultati delle osservazioni eseguite nel favorevole incontro, malgrado rico- nosca, io per primo, che la insufficente preparazione e la scarsità dei mezzi di studio mi hanno impedito di profittare della circostanza come avrei voluto e dovuto. Com' era noto pei cenni descrittivi pubblicati già dall’ Uzielli, nell’ esem- plare di S. Valentino è conservata la sola porzione rostrale del cranio, in- Di sieme a parte considerevole della man- Pic dibola. L'una e l’altra mantengono la s o rispettiva posizione originaria, e aderi- scono tenacemente mercè la roccia inter- posta, che non volli tentar di remuovere. A vederlo di sopra (fig. 1), il rostro si presenta triangolare allungato, il contorno esteriore dei mascellari seguendo due linee quasi rette, che divergono fra loro di poco più di 15°; è profondamente logoro nella parte anteriore, ma si vede bene che finiva rotondato, senza offrir traccia di espansione terminale o di strozzature premascello-mascellari; una frattura trasversale, che ha interessato anche la mandibola, lo tronca posterior- mente, riducendone la massima lunghezza a 47 centimetri. Danneggiato com'è su gran parte della superficie, il rostro non lascia troppo facilmente discernere i precisi confini delle ossa che concorrono a for- marlo. Si può tuttavia, profittando di certi indizi di suture, di tenui diver- sità di compattezza e di colorito, deter- minare approssimativamente il limite fra mascellari, premascellari e nasali, e ritrovare la posizione e il contorno della Fic. 1 (1/4) narice esterna. È fuor di dubbio che corrisponda ai nasali l’angusta zona pianeggiante interposta fra i mascellari nella regione mediana del rostro, e prolungata per circa 235 mm., con una larghezza massima di 30 mm. I margini esterni dei nasali, paralleli fra loro per un tratto non inferiore a 140 mm., convergono | n in avanti formando un angolo acuto, il cui vertice dovea pervenire fino a breve distanza dalla sinfisi premascellare, e certamente oltrepassava il mar- gine posteriore della narice esterna. Anche posteriormente i margini dei na- sali si accostano l'uno all'altro, e sembra si fondano coi lati dell'osso sti- liforme, assai mutilato, che si trova nel prolungamento dei nasali stessi, e che forse corrisponde all’apofisi anteriore del frontale. Nel quarto anteriore i nasali son fiancheggiati dai premascellari, che con le estremità affilate dei loro prolungamenti posteriori giungono fino a 115 mm. dall’ apice del rostro. Da questo punto la sutura premascello-mascellare sembra seguire una curva leggermente sigmoidea, che scende obliqua in basso e in avanti, sino all'intervallo fra il 2° e il 3° dente superiore. In mezzo all’ area limitata lateralmente da queste suture, e parzialmente invasa dal prolunga- mento dei nasali, è accennato il contorno della narice, che si può ritener fosse ovale e avesse trasversalmente un diametro di circa 50 mm. — Non è rimasta alcuna traccia di foro incisivo. . Uno spigolo che corre quasi orizzontalmente sui due lati del rostro (fig. 2), mantenendosi a poca altezza sul margine alveolare, divide nei mascellari la faccia superiore più larga, leggermente convessa, inclinata di 45°-50° verso l'esterno. dalla faccia laterale che scende quasi verticalmente. La faccia su- periore ha una larghezza massima di 10 centimetri fra lo spigolo anzidetto Fic. 2 (1/4) e la sutura coi nasali; mentre fra lo spigolo e il margine alveolare la faccia laterale non si estende per più di tre centimetri. A partire dalla sutura coi premascellari, la massima lunghezza di ciò che rimane dei mascellari non supera iì 83 centimetri. Posteriormente, a circa 29 centimetri dall’ apice, i margini interni dei mascellari, che fino a quel punto si erano mantenuti paralleli all’ asse lon- gitudinale del rostro, divergono in modo, che prolungati in avanti formerebbero SR i un angolo di 45°; lo spazio che così lascian libero è bipartito dalle estremità posteriori dei nasali e poi da quello che apparisce come prolungamento stili- forme del frontale. Ai lati di quest’ultimo ogni traccia d’osso è scomparsa. Nella mandibola, robustissima, è conservata completamente la regione sinfisaria, con piccola parte dei due rami liberi. Si estende la prima per circa 33 centimetri in lunghezza, fino alla trasversale che passa fra l' 8° ed il 9° dente, e raggiunge quivi una larghezza di 17 centimetri. È distintissimo il solco sinfisario, profondo quasi un centimetro. Non ho potuto accertare se nella costituzione della sinfisi prendano parte elementi spleniali. Le facce laterali delle ossa dentarie, unite alla faccia inferiore con una curva regolarissima, convergono in avanti seguendo l'andamento già osser- vato nei mascellari superiori. L'altezza delle ossa medesime diminuisce len- tamente dall'innanzi all'indietro, per modo che se al settimo dente raggiunge i 75 mm., al quarto non è più che di 60 mm. Il margine alveolare è forte- mente ondulato, al. pari di quello dei mascellari superiori. Tutte le ossa, così del rostro come della mandibola, anche nei punti dove son meglio conservate, non presentano alcuna traccia di veri ornamenti. Per la dentatura del nostro coccodrilliano l' Uzielli indicava la for- Ae VISSE ; î 3 mula Wes = 8... 3 lo trovo invece, tuttora in posto o chiaramente indicati dagli alveoli, undici denti per ciascun lato della mandibola, due sopra ognuno dei premascellari e nove per ciascun mascellare superiore. In ciascuno degli intervalli che separano i denti inferiori s’ intercala, riempiendo completamente l'intervallo stesso, uno dei denti superiori: e come i primi sì adattano con le punte nelle depressioni interalveolari della faccia esterna dei mascellari, così fanno i secondi rispetto alla faccia esterna della man- dibola. Quanto alla forma, le corone son tutte conico-compresse, un po’ curve all'indietro, fornite anteriormente e posteriormente di carene affilate. Delle due facce loro, par che l'esterna sia costantemente la meno convessa. La superficie è ornata di strie longitudinali finissime, e i margini, osservati con la lente, appariscono minutamente crenulati. Alcuni alveoli lasciano vedere nell'interno i denti di sostituzione. La grandezza dei denti cresce abbastanza regolarmente dall’ innanzi all'indietro, come si può rilevare dall’annessa tabella, dove ho raccolte le misure relative insieme ad altre che non sono indicate nel testo. Lunghezza complessiva del frammento. . . ..... . . cm. 47 Altezza ’ ’ nel piano che passa per il decimo dente superiore . SZ ” ” » nel piano che passa per il sesto dente superiore . n 20) Warghezza del rostro al decimo ‘dente . . 00... 0. . » 20 ” ” Sesto men ee. BMP ea Si ART EL in MR Line; Sp9 EIZO Ze Sie Distanza dall'apice del rostro al margine posteriore della narice est. » 8 ” ” » all'estremità posteriore dei premascellari = 13 ” ” » all'angolo posteriore tra i mascellari » 29,5 Altezza della corona del nono dente superiore sinistro. . . . QAS Larghezza della base della corona del nono dente superiore sinistro = 3 Altezza della corona del sesto dente sup. sinistro . . . . . Mato ” ” quarto ” d'estrot1%:57c70 Dire » 3,6 Profondità dell’alveolo del» ” SIDIStIONEA > MAE DARIO Diametro ” È ” ” ” 2,6 Con un rostro, una mandibola e denti cosiffatti, il coccodrilliano di San Valentino non può entrare, mi sembra, in alcuna delle famiglie note di Eusuchia (Mesosuchia ed Eusuchia di Huxley), a muso corto. È bensì vero che ha in comune con questi un carattere di grande importanza: il vrolungarsi dei nasali fino alla narice esterna, traverso la quale costituivano forse un setto mediano come negli alligatori viventi. Ma, d'altra parte, negli eusuchi brevirostri si trova che il muso è più depresso, assai meno estesa (generalmente) la sinfisi mandibolare, costante la ondulazione più o men pro- nunziata dei lati del rostro, come costante è la ineguaglianza della forma nei denti. Anche si deve notare, nella mascella superiore di tutti i brevi- rostri attuali ed in parecchi di quelli estinti, la presenza di scanalature o di fossette destinate a ricevere taluni denti anteriori della mandibola; dispo- sizione che non ha certo riscontro nell'esemplare di cui ci stiamo occupando. Ma nemmeno è facile trovar posto al nostro fossile fra i coccodrilliani a muso allungato. Un carattere che si ritiene di molto valore nella sistema- tica degli ZYusuchia, ci permette di escludere fin da principio le quattro famiglie dei teleosauridi, dei macrorinchidi, dei rincosuchidi e dei garialidi; nelle quali tutte le ossa nasali rimangono separate dagli intermascellari mediante un intervallo assai lungo (teleosauridi, garialidi) o penetrano con la sola punta fra le estremità posteriori degli intermascellari stessi (macro- rinchidi, rincosuchidi) senza mai pervenire fino alla narice esterna. Ridotti a cercare fra i soli metriorinchidi, non possiamo non fermarci per un momento sul genere Plesiosuchus Owen (Steneosaurus p. p. Hulke) che al pari del coccodrilliano di Reggio ha i nasali prolungati in avanti sino a penetrare oltre il margine posteriore della narice. E profittando, per il confronto, del bel cranio di P/esiosuchus Manseli di Kimmeridge, illustrato dall’ Hulke nel 1870 (') e ripreso in esame dall'Owen nel 1881 (2), rileviamo, oltre alla già citata, numerose ed importanti analogie; tali la forma generale del rostro, identica nei due casi: l'andamento rettilineo dei margini laterali del rostro (1) Hulke S. W., Note on a Crocodilian Skull from Kimmeridge Bay. Quart. Journ. Geol. Soc. Vol. XXVI, p. 167, pl. IX. London 1870. (?) Owen R., On the cranial aud vertebral characters of the crocodilian genus Ple- siosuchus. Ibid. Vol. XL, p. 153, 1884. SR Ve figa stesso, l'uniformità che domina nei denti, il numero limitato di questi, la mancanza di vere e proprie sculture ornamentali nella superficie delle ossa. Accanto alle analogie sorgono però dissomiglianze notevoli. Così nel rettile di Kimmeridge affatto diversa è la forma dei nasali, che disposti, quasi direi, come i cristalli di selenite nel geminato a ferro di lancia, di- varicano posteriormente di 45-50° i loro margini interni per abbracciare i larghissimi frontali; i premascellari sono più estesi, e portano tre denti per ciascuno, invece di due: le corone dei denti sono più strette e più allungate. Altre differenze mi sembra scorgere nella mandibola: ma taccio di queste, perchè la descrizione e la figura date dall’Hulke (') non si prestano a pa- ragoni esatti e concludenti. Parmi da ciò che ho esposto poter concludere, che il coccodrilliano di San Valentino, senza rientrare precisamente nel genere P/eszosuchus, rappre- senti un derivato di quei metriorinchi giurassici, che ad un tempo parteci» pavano di alcuni caratteri propri agli eusuchi longirostri e di altri peculiari dei brevirostri. Esso dovrebbe forse esser considerato come tipo di un nuovo genere, pel quale (se non sapessi che nel mio caso la proposta di un nome nuovo altro non è che una ingenua confessione d' ignoranza) proporrei volen- tieri la denominazione « Capelliniosuchus » in omaggio all’ illustre scienziato cui siamo debitori di tanta parte delle nostre conoscenze intorno ai verte- brati fossili d' Italia. Aggiungerei per la specie il nome di mwutinersis, che ricorderebbe la regione ove fu scoperto l’ interessante esemplare. Circa l'originario giacimento del nostro coccodrilliano, supponeva l' Uzielli fosse da ritenere eocenico o miocenico, il pliocene ed il quaternario « essendo probabilmente da escludersi per ragioni locali altimetriche » (?). L'opinione del Capellini, da me già citata in principio, è che il fossile abbia la pro- venienza stessa dei tronchi di cicadeoide scoperti nel Reggiano, o, in altre parole, che venga dalle argille scagliose; e questa opinione mi sembra pie- namente confermata dall'esame della roccia che tuttora aderisce alle ossa. Il materiale grigiastro, ruvido al tatto, abbastanza duro e tenace, che riempie lo spazio tra i due rami della mandibola, potrebbe ricordare al primo aspetto, certe marne sabbiose indurite o certe molasse neogeniche. Ma nelle sezioni sottili esso apparisce come un aggregato di minute sferule giallognole, a struttura fibroso-raggiata, fornite di un involucro pur fibroso-raggiato, ma senza colore. Le sferule mostrano a luce polarizzata la croce oscura, con le branche parallele alle sezioni principali dei nicol incrociati, e si sciolgono con effervescenza nell’acido cloridrico. Dopo il trattamento con l'acido, della laminetta osservata più non rimane che uno scheletro argilloso, formante (1) Hulke J. W., Notes on some Fossil remains of a Gavial-like Saurian from Kimmeridge Bay. Ibid. Vol. XXV, p. 390, pl. XVII, 1869. (2) Op. cit., p. 360. RENDICONTI, 1896, Vol. V, 2° Sem. 3 —=aR3 | iene come un reticolato a grandi maglie. Meno la grandezza delle sferette cal- caree, assai minore nel caso nostro, questo materiale corrisponde completa- mente ad una roccia che fa non di rado la sua comparsa nell’ Emilia (per esempio al calanchi di Ozzano nel Bolognese) fra i rottami e gl’ inclusi svariatissimi che si rinvengono entro le argille scagliose (?). Sotto a certi punti di vista le argille scagliose presentano, anche al dì d'oggi, più di un problema insoluto. Ma sopra il significato cronologico dei resti animali e vegetali che di tratto in tratto si vanno in esse sco- prendo, non v'è più luogo a discussioni o ad equivoci. Dagli Ptychodus di Vernasca e del Santerno all'ittiosauro di Gombola, dagli Inoceramus e dalle Sehloenbachia alle superbe cicadeoidee del Bolognese e del Reggiano, accennano tutti chiaramente al cretaceo. Cretaceo quindi si può ritenere anche il rettile di San Valentino, che così viene ad essere, non il più recente coccodrillo d'Europa, ma il più antico coccodrilliano finora scoperto in Italia. Patologia. — Una polmonite sviluppatasi e quarita sulla vetta del Monte Rosa (altezza 4560 metri). Nota del dott. VITTORIO ABELLI, Capitano medico, presentata dal Socio A. Mosso. Nel 1894 fui invitato dal prof. A. Mosso a far parte della spedizione che egli stava organizzando per studiare la fisiologia dell’uomo sul Monte Rosa. Dopo una serie di studî preliminari che durarono circa un mese, mentre eravamo nella capanna Regina Margherita, a 4560 m. di altezza, capitò che uno dei nostri compagni si ammalò di polmonite. Pubblicando la storia di questo caso raro di una malattia svoltasi e guarita a così grande altezza, ri- cordiamo le inquietudini e l'ansietà di quei giorni, sperando che la ristret- tezza del luogo, e le difficoltà che dovemmo superare, ci serviranno di scusa se questo studio clinico non è riuscito completo quanto avremmo desiderato. Ramella Pietro, abitante in Oropa, è un giovane alpigiano dell'età di 22 anni, pesa 62 chilogr. ed è alto m. 1,62. La conformazione del suo corpo è regolare. La costituzione sua robusta, benchè abitualmente sia alquanto pallido. Da ragazzo soffrì di un'otorrea doppia e non ricorda altri fatti anamne- stici degni di nota. Nell'organizzare la spedizione al Monte Rosa, avendo bi- sogno di gente robusta che resistesse ai disagi e alle fatiche, scegliemmo col (3) In una lettera che Th. Fuchs scriveva da Vienna al compianto amico dott. Angelo Manzoni, il 28 ottobre 1880, trovo, a proposito di questa roccia, il cenno seguente: « Oolitisches Gestein aus den argille scagliose. — Sehr sonderbares Gestein! Der Kern der Kigelchen scheint Sand zu sein, der strahlige Kranz ist nach der Untersuchung D. Berwerth's Kohlensaurer Kalk. Das Ganze scheint mir ein Art Pisolithbildung zu sein ». RINO prof. A. Mosso con ripetuti sperimenti, uno per uno quelli che desidera- vano far parte della nostra carovana. Per dare una prova della robustezza del giovane Ramella, ricorderò l’ e- sempio di una della marcie che egli fece nel periodo di allenamento, quando ci esercitavamo con delle marcie di prova nella pianura e nelle prealpi. Il giorno 5 luglio 1894 partì da Ivrea alle ore 17 con alcuni compagni, portando sulle spalle uno zaino che pesava circa 15 chilogrammi, ed arrivò a Gressoney St. Jean alle ore 7 ant. del giorno successivo. Mi ero recato col prof. A. Mosso ad aspettare la comitiva un'ora sotto a Gressoney St. Jean. Quivi trovammo che il Ramella aveva la temperatura rettale di 37°4, polso 98, respiro 25 al minuto; era cioè in condizioni eccellenti e si continuò poco dopo per Gressoney la Trinité, dove si arrivò alle ore 10. Fu dunque una marcia di circa 12 ore senza tener conto delle fermate, con un dislivello di 1400 metri, portando circa 15 chilogrammi nello zaino sulle spalle. — Con altre marcie eguali fatte nella pianura tra Montanaro e Torino ci eravamo assicurati della resistenza alla fatica e della robustezza del Ramella. Mentre noi eravamo da alcune settimane sui ghiacciai del Monte Rosa, mandammo ad avvertire il Ramella, perchè raggiungesse la nostra comitiva, trovandosi egli ad Ivrea. Il giorno 10 agosto 1894 Ramella partì alle 7 ant. col treno; giunto a Pont St. Martin si incamminò a piedi alle ore 8 ed arrivò alle 17 a Gressoney St. Jean. Quivi dormì e partito con alcuni com- pagni ed una guida alle ore 6, arrivò alle 17,30 alla Capanna Gnifetti (al- tezza 3620 m.) dove dormì bene. Il giorno successivo che fu il 12 agosto partì alle ore 5,30 dalla Capanna Gnifetti portando, come già aveva fatto il giorno precedente, un sacco di pane sulle spalle del peso di circa 20 chi- logrammi. Durante tutto il viaggio sopra il ghiacciaio anche nelle salite più faticose non diede alcun segno di stanchezza anormale. Anche nell’ ul- tima parte della salita che è la più ripida e difficile (quantunque tre per- sone della nostra comitiva fossero andate incontro alla piccola carovana come si faceva sempre per dare aiuto e portare ristoro con un po’ di vino caldo) il giovane Ramella non volle essere aiutato, e portò il sacco del pane fino alla capanna Margherita. Arrivarono alle 9,12 ed erano in quattro. Il tempo ‘era sereno ed il vento forte. La pressione barometrica 440 mm., la tempe- ratura dell’aria all'ombra — 9°. Appena la comitiva entrò nella capanna, ciascuno di noi, essendo in quattro medici, prese una di queste persone in esame per conoscere i feno- meni della fatica e studiare le modificazioni che presenta l'organismo appena giunto a quell’altezza. Il giovane Ramella capitò in osservazione al profes- sore Ugolino Mosso. Dal giornale delle osservazioni, copio la parte che si ri- ferisce alle prime ore dopo il suo arrivo nella capanna Margherita. « Pietro Ramella è giunto alle ore 9,12, si sente bene, non ha male di capo, ma è molto stanco. La faccia alquanto cianotica, le mani assai fredde. EMO) - Tolte le scarpe e le calze, trovati i piedi in stato normale, si avviluppano in una coperta di lana: e subito Ramella si corica su di un materasso. Ore 9,18. PMSOIIta » 9,45. » 17,50. Polso 110. Respiro 25. Temperatura rettale 37°,6. 102, . MP 20. ’ n. 970. 110. 20. ’ n ESIA0. 120 a 124. Resp. 26. Temperat. rettale 39°. Accusa n» s » male di capo e tendenza al vomito; essendo molto depresso gli amministriamo 10 centigr. di cloridrato di cocaina in mezzo bichiere di vino di Marsala. La cianosi è cresciuta, compaiono i brividi ». Nella notte cresce ancora la febbre, e solo nel giorno successivo, in se- guito all'esame dei polmoni, esprimo il dubbio che si tratti di una polmonite. Nella seguente tabella sono raccolte le ossevazioni fatte durante la ma- lattia : E SUE Agosto 12 21 13 | 6,20 945 12- 16,30 7—- 19—- 4|7- 10,30 17,90 21 15 | 6— Polso 118 102 104 98 96 94 Respiro 32 30 24 29 24 25 Temperatura rettale (ul) ce (i 9 Lo o) OSSERVAZIONI Continua la forte cefalea, la respirazione è periodica, cioè si alterna un certo numero di respirazioni superficiali, con una o due inspirazioni profonde. Respiro vescicolare da per tutto, eccetto che alla base del torace, a destra e posteriormente, dove è indeterminato. — Non si avverte l’ urto della punta del cuore: area di ot- tusità cardiaca aumentata — toni non alterati ma debo- lissimi, polso debole e piccolo, non percettibile alla ra- diale. Alla base del torace a destra e posterior. odonsi rantoli crepitanti, ipofonesi alla percussione, leggero au- mento del fremito vocale. Assenza completa di tosse; respiro periodico, cefalea frontale intensa, cianosi diffusa marcatissima, assopimento, lingua leggermente patinosa. Respiro bronchiale soffiante, alla base destra poster.; epi- stassi. Continua cefalea e assenza di tosse. Orina scarsa, densa, scura. Continua la cefalea e l’assenza della tosse; broncofonia, rantoli crepitanti, aumentata l’ottusità sulla superficie che corrisponde alla sede della polmonite. Respirazione periodica, ben manifesta. Con rari e deboli conati di tosse punto rumorosa, si eli- mina un escreato pneumonico caratteristico, il quale emana un forte odore putrido, insopportabile allo stesso ammalato. La cefalea si è fatta più grave. Si ammini stra 3 gr. di fenacetina e una tazza di caffè forte. Giorni Agosto 16 17 18 19 14 Polso 96 95 90 86 90 80 64 Respiro 23 24 22 21 23 22 19 18 Temperatura rettale _——————————11—1—t————111———_—1111111111{ }_——_——_—_—_—_m_—_—_m > mezze ssi OSSERVAZIONI Calmata di molto la cefalea: il malato prende un tuorlo d'uovo con marsala, e dopo due ore un brodo all’uovo. Leggera cefalea: il malato è assopito; ha preso del vino caldo e del marsala. Nella notte continuò la cefalea, che è scomparsa stamane; il malato ha preso una tazza di caffè; accusa senso di peso, come se avesse dell’acqua nei condotti uditivi esterni, i quali però sono normali. — Escreato sanguigno: che si emette come sempre, facilmente, al primo conato di tosse. Si nota un erpete labbiale: è scomparsa la cefalea: il ma- lato ha preso un brodo con uova, vino nero e marsala. Stette alzato due ore. Ritornò la cefalea per tre ore : il malato ha preso un brodo e vino nero. Il malato ha riposato nella notte: non ha cefalea. Malato tranquillo: ha preso una minestra. Espettorato di- minuito e più chiaro. Sono scomparsi quasi completamente i sintomi locali: ri- tornata la respirazione vescicolare: cessati i rantoli cre- pitanti: espettorato quasi scomparso : polso filiforme, poco tastabile alla radiale: diminuita la cianosi. L’ammalato dice di sentirsi meglio: dorme tranquillo. D Ha riposato tutta la notte. Scarsissimo escreato muco-pu- rulento. L’individuo è stato alzato 4 ore: ha mangiato: leggiera cianosi con pallore, polso filiforme e respirazione pe- riodica. In tutta Ja malattia non si ebbe mai dolore puntorio al torace. Il tracciato qui annesso (fig. 1) segna il corso della temperatura del respiro e del polso durante la malattia del Ramella. Il giorno 17 agosto, quando il miglioramento era decisivo, scrivo il trac- ciato del respiro. Collo sfiswmografo del Marey non ci fu possibile ottenere un tracciato, tanto il polso era debole e filiforme. Avrei potuto tentare di seri vere il polso coll’idrosfismografo del prof. A. Mosso che avevamo con noi nella capanna Margherita, ma mi parve inutile recare molestia al malato, perchè eccettuata la grande debolezza, la funzione del cuore e dei vasi san- guigni era normale. R(25| 80] N «I (05) Ke) o T 38° VE 37° Agosto 12 14 15 16 7 18 Tracciato della temperatura rettale linea T — Frequenza del respiro linea R — Frequenza del polso pure ad ogni minuto linea P. Sulla linea delle ascisse sono indicati i giorni della malattia. James IL Ciascuna linea del tracciato del respiro (fig. 2) comprende lo spazio di un minuto. La irregolarità nella frequenza e nella ampiezza dei movimenti re- spiratori è evidente. Mi sono assicurato con ripetute osservazioni che la respi- razione in Ramella era più superficiale e più frequente che in tutti noi. Questo dipende dal sovrapporsi di due fattori che agiscono in senso inverso, quali sono la febbre ed il riposo. e forse la lesione stessa dei polmoni. Ad ogni DO AO DI modo è interessante per la dottrina del male di montagna che in questo caso fosse meno grande l'ampiezza delle inspirazioni malgrado la pressione barometrica di soli 440 mm. e malgrado che per effetto della polmonite l’area respiratoria fosse più limitata del normale. Tracciato della respirazione toracica di Ramella. Scritto il 17 agosto col pneumografo doppio di Marey. Ogni linea corrisponde ad 1 minuto. DICE Qui la frequenza era maggiore del normale, ma la temperatura dell’ or- ganismo era anche superiore al normale, cioè di 38°. Si vede in questo caso una nuova prova della respirazione di lusso, l’esistenza della quale venne dimostrata dal prof. Angelo Mosso (!). L'organismo, malgrado l’aria residua che rimane accumulata nei polmoni e che ad ogni inspirazione non si rin- nova completamente negli alveoli, non fa sulla vetta del Monte Rosa delle inspirazioni più profonde del normale anche quando per effetto di una pol- monite è divenuta minore l’area respiratoria dei polmoni ; solo, forse per l’ef- fetto prevalente della temperatura febbrile e per altre cause, si limita ad accelerare il ritmo della respirazione, mantenendo superficialissime le inspi- razioni. Per comprendere quanto fosse superficiale il moto del respiro nel gio- vane Ramella, riferisco per il raffronto un tracciato scritto nel medesimo giorno e collo stesso pneumografo in un’altra persona che era però alquanto più alta di statura. La lunghezza leva del timpano registratore e tutte le altre cose nella registrazione grafica del respiro erano eguali (fig. 3). (1) A. Mosso, Za respirazione periodica e la respirazione superflua 0 di lusso. Me- morie dell’Accademia dei Lincei, 1885. Il dott. Noro di Pont St. Martin era venuto a farci una visita alla capanna Margherita. Egli giunse con una guida alle ore 9,5 del mattino dopo Tracciato della respirazione toracica del dott. Noro. Scritto nella medesima ora colla medesima velocità del cilindro, e col medesimo pneumografo. Hicss3: aver dormito la notte precedente alla capanna Gnifetti. Si riposò fino alle 2 e fu a quest'ora che scrivemmo il tracciato presente, dove si vede che la frequenza del respiro è la stessa che nel Ramella ed è assai più grande la profondità dei movimenti respiratorîi. Devo pure avvertire che il dott. Noro, malgrado il riposo, non era ancora ritornato alle condizioni normali e soffriva dell’ eccitamento febbrile prodotto dalla grande stanchezza. Un altro fatte degno di menzione è che la respirazione durante la ma- lattia si mantenne periodica. Questo fenomeno che era comune in tutti noi durante il sonno si mostrò evidente anche nel Ramella, colla differenza che in lui i periodi erano costituiti da 10 o 12 respirazioni superficiali separate da una o due inspirazioni profonde. Lo studio della respirazione periodica a grandi altezze verrà trattato con maggiori particolari dal prof. Angelo Mosso. La frequenza del respiro toccò il suo massimo nel secondo giorno di malattia, raggiungendo la frequenza di 32 inspirazioni al minuto; dopo andò successivamente e gradatamente diminuendo fino a 18 respirazioni al minuto. Nella pianura la frequenza media del respiro era in Ramella solo di 14 al minuto. La frequenza del polso pure cominciò a decrescere dopo il secondo giorno scendendo, da 118 che fu nel giorno 13, fino a 64, senza raggiungere mai il minimo osservato nella pianura dopo il sonno, che fu di 50 pulsazioni al minuto. Durante tutto il soggiorno nella capanna Regina Margherita il polso fu piccolo e debole. Caratteristico nel decorso di questa polmonite fu il decorso della tem- peratura, che anche nell’'inizio arrivò solo vicino ai 40° (399,9), oscillando nei giorni successivi fra 38°,8 e 389,0. La pneumonite sì risolse in settima gior- nata, e può considerarsi il decorso della febbre durante la medesima quasi come una lunga lisi. SO La guarigione per lisi, abbastanza rara nella polmonite acuta, accenna ad un decorso anomalo, del quale dobbiamo discutere le cause. L'ipotesi che questa polmonite sia prodotta dal raffreddamento, non mi pare molto proba- bile; perchè in tale caso le polmoniti dovrebbero essere molto più frequenti tra gli alpinisti, mentre in generale non lo sono. Anzi per l’esperienza che ho delle Alpi, credo che le polmoniti siano nelle regioni elevate meno fre- quenti che nella pianura. Sebbene manchi l'esame microscopico degli sputi, secondo ogni probabi- lità si tratta qui di una polmonite fibrinosa acuta. La tosse quasi mancante, — le qualità fisiche dell’ escreato che aveva l’ aspetto tipico, croceo, rugginoso, sanguigno, consistente e vischioso — la mancanza di altri sintomi caratteristici dei catarri bronchiali — ci fanno ammettere che si trattasse veramente di una infezione per il pneumococco del Fraenkel. Appena diagnosticata la malattia, la prima domanda che ci siamo fatta fa, se il lasciare il malato a quell’altezza avrebbe aggravato le sue condizioni, o se invece la depressione atmosferica sarebbe stata favorevole al decorso della febbre e della polmonite. Nei due primi giorni ci spaventammo nel vedere crescere la cianosi e la depressione delle forze. Una terribile burrasca scoppiata in quell'epoca sulle Alpi, non ci lasciò neppure discutere sulla pos- sibilità di uscire dalla capanna, e tanto meno di portare l’ ammalato in basso. La rapida defervescenza della malattia ci fece credere dopo che la ra- refazione dell’aria abbia reso più benigno il decorso della polmonite. Certo il pneumococco ebbe una virulenza minore che esso non abbia generalmente nelle infezioni che succedono nella pianura. L'essere stato questo malato per una settimana in mezzo a noi, nell'ambiente stretto di una capanna male ventilata, senza che nessuno di noi siasi preso la sua malattia, prova che i bacilli non dovevano essere molto virulenti. È vero però che pochi malati furono curati con eguale attenzione; eravamo quattro medici tutto il giorno intenti ad occuparci di lui e a tenergli alto il morale. Se non fu pos- sibile l'isolamento e dovemmo abitare e dormire vicino al malato, vennero messe in pratica tutte le precauzioni possibili, specialmente riguardo agli sputi che vennero sempre raccolti in vasi contenenti una soluzione di sublimato corrosivo. Ogni cosa che egli toccasse per mangiare o per bere, era dopo egual- mente lavata nel sublimato corrosivo. Per tutte le altre cose che provenivano dal malato, vi era un mezzo di disinfezione assoluto e come nessuna clinica può adoperare. Aprendo una finestra della capanna Margherita verso sud, vi sta sotto alla profondità di 1500 metri, il ghiacciaio delle Vigne. Ciò che si gettava da quella finestra verso la valle della Sesia, scendeva a picco ad una distanza vertiginosa. La risoluzione di questa polmonite per lisi può dipendere da ciò che fu meno attiva la virulenza dei germi, ma potrebbe anche darsi che dopo una invasione imponente la quale ci apparve piena di pericolo, la rarefazione dell’aria abbia giovato a diminuire la febbre e limitare il processo infettivo. ReENnDICONTI. 1896, Vor. V, 2° Sem. 4 Patologia. — Azione dell’ aria rarefatta sulla virulenza del diplococco della polmonite. Nota del dott. DesimeRIo KuTHy di Budapest, presentata dal Socio A. Mosso. Il decorso anomalo di una polmonite, sviluppatasi e guarita a 4560 metri di altezza descritta dal dott. Vittorio Abelli (!), mi fu di incentivo allo studio del quale ora presento i risultati. Due furono i problemi che ho cercato di risolvere dietro invito del prof. Angelo Mosso. Prima cercai se l’ infezione col pneumococco di Fraenkel venga modificata nel suo decorso mortale dalla rarefazione dell’ aria corri- spondente a quella che vi è sulla vetta del Monte Rosa. Secondo, se il pneu- mococco di Fraenkel tenuto nell’aria rarefatta e fuori dell'organismo animale, manifesta dopo, inoculandolo, la medesima virulenza. Le prove seguenti vennero fatte esclusivamente sui conigli. L' infezione venne provocata per mezzo di culture purissime del pneumococco di Fraenkel, somministratoci dal prof. Pio Foà. Un apparecchio costrutto dal prof. A. Mosso permetteva di mantenere indefinitamente gli animali nell’ aria rarefatta alla pressione voluta, dando loro una corrente d’ aria più che sufficiente ai bisogni della respirazione. Questo apparecchio consiste in una pompa ad acqua per l’ aspirazione, messa in rapporto colla conduttura principale dell’ acqua potabile. La pompa, funzionando sotto la pressione di circa quattro atmosfere, produce in una grande campana di vetro della capacità di 18 litri, la rarefazione dell’aria che occorre. Il bordo smerigliato di questa campana combacia con una tavola di marmo, e, servendosi del grasso, chiude ermeticamente. Nel collo della campana un tappo da passaggio a tre tubi. Uno di questi porta una chiavetta per rego- lare l' entrata dell’ aria sotto la campana. Perchè il maneggio della chia- vetta fosse più facile, erasi attaccato allo zipolo della chiavetta un’ asticella di metallo lunga dieci centimetri. Con questa specie di manico applicato alla chiavetta, potevasi regolare meglio l'apertura dell’aria, in modo da man- tenere quasi costante la pressione nella campana, mentre era continuo il passaggio della corrente. Un contatore esattamente calibrato della fabbrica Riedinger di Augsburg, messo prima della chiavetta, indicava i litri d'aria che passavano dentro alla campana, per sapere se la ventilazione era suffi- ciente ai bisogni del respiro. Un secondo tubo stabiliva la comunicazione colla pompa ad acqua. Su questo tubo di gomma a pareti spesse nel quale circola l’aria, era innestata per mezzo di un tubo a T una valvola a mer- (1) Vittorio Abelli, Una polmonite sviluppatasi e guarita sulla vetta del Monte Rosa. Questi Rendiconti, p. 18. STES curio. L' ufficio di questa valvola era di permettere l’ entrata dell’aria, qua- lora per un'attività maggiore della pompa ad acqua, tendesse a prodursi un vuoto sotto la campana maggiore di quello da noi voluto. Anzi, per mante- nere costanti le condizioni dell’ esperienza, disponemmo l'’ efflusso dell’ acqua dalla pompa e l'afflusso dell’aria nella campana, in modo che la valvola funzionasse quasi sempre. Questa valvola era costituita da un cilindro di vetro pieno di mercurio, nel quale un tubo di vetro che dava afflusso all'aria esterna affondava nel mercurio per l’ altezza di 43 centimetri. Un altro tubo fisso ermeticamente accanto a questo nel collo del cilindro, senza che si af- fondasse nel mercurio, serviva a dare passaggio all'aria quando questa, dopo aver gorgogliato nel mercurio, entrava nel tubo di comunicazione colla pompa ad acqua. Il terzo tubo che usciva dal collo della campana, andava ad un manometro a mercurio per conoscere la pressione interna dell’aria nella quale doveva vivere per parecchi giorni un coniglio. Tralascio la descrizione di altri particolari, come quelli richiesti per la alimentazione e pulizia degli animali. Dentro alla campana vi era un grande cristallizzatore di un diametro poco inferiore a quello della campana. Un' assicella di legno con dei buchi serviva a mantenere il coniglio all'asciutto. A ciascun animale si dava una provvista d'erba sufficiente per le 24 ore, dopo il quale tempo, dovendosi fare la pulizia, l’animale veniva ricondotto per pochi minuti alla pressione ordinaria. Alcuni conigli vissero bene per intere settimane dentro questo ap- parecchio, mantenendoli ad una pressione di poco superiore a quella del Monte Rosa. L’ infezione veniva fatta colle solite regole e con colture fresche di 24 ore: esaminando sempre preliminarmente lo stato di purezza del brodo iniettato. La dose che somministravasi fu di 0,30 ce. fino ad 1 ce. ed iniet- tavasi colle note cautele nella vena marginale dell’ orecchio. Solo una volta abbiamo iniettato 1 cc. trattandosi di una coltura meno fresca.’ Prima di provare l’azione dell’aria rarefatta, mi assicurai del grado di esattezza col quale potevansi graduare le colture somministratemi dal prof. Foà. Feci otto esperienze con colture differenti. Scegliendo due conigli eguali e del medesimo peso, iniettando a ciascuno la stessa dose di pneumococco, morivano nel medesimo tempo, essendo solo di poche ore la differenza che passava fra l’ uno e l' altro. Il fatto più importante in tale ricerche di controllo, fu che il coniglio più leggero moriva prima del suo compagno per la medesima dose, come appare dalla seguente tabella: CBR Esperienze di controllo per stabilire nei conigli normali il grado del- l’azione letale delle colture di pneumococco, e la possibilità del raf- fronto per lo studio della virulenza delle colture. DERISO | Conigli meno pesanti | Conigli più pesanti SERGI (Peso dell sigle Dataidono SE ‘Peso dell’ animale| Durata” Sopravvivenza in doppio in grammi | l’ iniezione | in grammi | dopo Suna DR FI, 1 2460 30,0 2600 ! 34,0 4,0 | 2 1850 24,5 1920 28,0 3,5 } 3 1680 9955 1800 35,0 1,5 4 1700 15,0 | 2180 40,0 25,0 Risulta evidente la singolare esattezza della quale sono capaci queste ricerche batteriologiche. Eccetto la coppia n. 4, la differenza nell’ epoca della morte non fu superiore, negli altri esperimenti, alle 4 ore. Raffronto nella resistenza dei conigli alla infezione col pneumococco di Fraenkel, quando sono tenuti alla pressione atmosferica ordinaria di circa 740 mm. oppure alla pressione di 430 mm. Dopo aver stabilito con una serie di esperienze preliminari che i co- nigli di grandezza media, cioè di circa 2 chil., morivano generalmente in 24 ore, quando si iniettava loro nelle vene 0,3 ce. di brodo nel quale erasi col- tivato il pneumococco di Fraenkel, ci accingemmo allo studio comparativo dell’ aria rarefatta per decidere se l'infezione pneumonica aveva un decorso più grave o meno nella pressione atmosferica diminuita. Tabella delle esperienze fatte a 430 mm. di pressione barometrica e alla pressione normale. Animale nell’ aria rarefattta Animale nell’ aria comune ci Re 3 5 Peso . Tempo del decorso Peso — Tempo del decorso È ma del coniglio dalla infezione del coniglio dalla infezione 1 1920 gr. RIA in 27,0 ore 1860 gr. morto in 33,0 ore 2 2110 » ” 29,5 » 2075 » ” 30,0 » 3 (1) 2170 » ” 15,0 » 2440 » ” 30,0 » 4 1950 » » 24,5 n 1790 » ” 51,5 » 5 830 » ” 17,5 » 560 » ” 24,5 » 6 2050 » ” 28,5 » 2020 » è sopravvissuto T 2120 » ”» 23,0 » 2059 » morto in 21,0 ore 8 2140 » ” 34,0 » 2020 » ” 25,0 » 9 2110 » ” 80,0 >» 2010 » » 52,0 » () L’ animale nell’ aria rarefatta è meno pesante. Nella tabella precedente sono raccolti i risultati di nove coppie di esperienze fatte ciascuna con un paio di conigli eguali e colla medesima coltura di pneumococco, amministrata in dose uguale e contemporaneamente. Per rendere meno incerto il risultato, abbiamo messo il coniglio più pesante nell’ aria rarefatta. Quantunque la differenza sia piccola, e quasi trascurabile, può valere come argomento per dire che i conigli nell’ aria rarefatta rice- vettero in proporzione una quantità minore di pneumococchi e ciò nullameno morirono prima. In sei casi i conigli nell’ aria rarefatta morirono prima. In un caso, cioè nella sesta esperienza, il coniglio di controllo non morì. Nei rimanenti tre casi i conigli infetti messi nell'aria rarefatta vissero più lungamente che non quelli di controllo tenuti nell’ aria normale. Da queste esperienze appare che vi è poca differenza nel corso letale della infezione per il pneumococco di Fraenkel, sia che l’animale resti alla pressione normale, o alla pressione barometrica di soli 430 mm. Considerando però che 6 su 9 degli animali sono morti prima quando erano tenuti nell’ aria rarefatta, e che questi erano tutti più pesanti dei co- nigli di controllo conservati nell’ aria normale, viene spontaneo il dubbio che la depressione atmosferica sia riuscita piuttosto dannosa anzichè utile a questi animali infettati col pneumococco di Fraenkel. Se pensiamo che nel- l’aria rarefatta la respirazione è più frequente e più debole l’azione del cuore, si comprende che un numero maggiore di animali abbia dovuto soc- combere più presto nell’ aria rarefatta che nell'aria normale. Ma l' interpretazione dei risultati di questa prima serie di esperienze è così strettamente congiunta coll’ altro problema che forma il titolo di questa Nota, che devo subito procedere alla esposizione delle esperienze che ho fatto per stabilire in modo speciale l'influenza dell’aria rarefatta sui microbi del Fraenkel. Azione dell’ aria rarefutta sulla virulenza del pneumococco di Fraenkel. Il metodo che seguii è molto semplice. Due tubi da saggio contenenti una porzione eguale del medesimo brodo, vengono infettati nello stesso modo col sangue preso dal cuore di un coniglio morto per infezione col pneumo- cocco di Fraenkel. Tutti due i tubi vengono subito messi nella stufa a tem- peratura costante del D' Arsonval. Uno di questi però viene tenuto ad una pressione inferiore all’ atmosferica. A tale intento adoperai un grande ma- traccio di vetro della capacità di circa tre litri, che chiudevo ermeticamente nel collo per mezzo di un grosso tappo di caoutchouc, attraversato da un robinetto di vetro a tenuta perfetta del vuoto. Essendo il matraccio capo- volto colla sua apertura rivolta in basso, introducevo prima il tubo da saggio nel collo del matraccio e dopo chiudevo col tappo di gomma in modo che il tubo da saggio poggiava col fondo su di esso. E OTT, n Mettevo quindi il matraccio in comunicazione colla pompa ad acqua per mezzo di un tubo di gomma, e quando la pressione interna era di 440 mm., chiudevo il robinetto di vetro e mettevo il matraccio nella stufa a temperatura costante del D'Arsonval, che mantenevasi costante a 33°. Prima di cominciare il raffronto della virulenza di queste colture, mi assicuravo per mezzo di un manometro che la chiusura era perfetta ed erasi mantenuta costante la pressione diminuita nel matraccio. Feci 9 esperienze con 18 conigli. Le colture che adoperai erano state da 48 ore a 120 ore nella stufa del D'Arsonval. È inutile che io ripeta di aver preso tutte le precauzioni perchè i risultati fossero attendibili. La punta dello schizzetto veniva sterilizzata fra due iniezioni successive. Nella seguente tabella trovansi raccolti i risultati di queste nove paia di esperienze. Colture nell’aria rarefatta | Colture nell'aria normale SE | Ì DIS Peso Tempo Ora Pes | Tempo Ora £ 5 del coniglio della cultura della morte del Coniglio | della Gio della morte 33 in grammi in ore dopo l'infezione | in grammi | in ore dopo l'infezione 1 2170 48 30,5 22950 | 48 | 28,0 2 1950 48 | 50,0 2210 48 29,0 3 1680 ma MISTO 1780 72 29,5 4 1860 ta \MMNIBTO 1880 72 29,0 5 2500 120 | non morì || 2540 120 45,0 6 1440 96 30-34 (*) | 1760 96 30-34 (*) | 7 2000 48 | 32,0 2160 48 32,0 8 1910 72 32,0 | 1940 72 36-40 (*) | 9 2090 48 | 23:50 00] 102160 43 25,0 (#) A mezzanotte erano vivi e in condizioni discrete, e furono trovati morti alle ore sei. Risulta, dunque, che oltre la metà degli animali infettati colle colture dell’aria rarefatta sopravvisse a quelli delle colture normali, e ciò successe malgrado che avessimo infettato sempre i conigli meno pesanti colle colture tenute nell’ aria rarefatta. In una di queste esperienze, la 5*, morì il coniglio di confronto colla coltura normale, e non morì il compagno infettato colla medesima coltura tenuta nell'aria rarefatta. Questa fu una delle colture più vecchie da noi adoperate, che era rimasta 120 ore nella stufa. Nell’ esperienza 2* il coni- glio infettato colla coltura dell'aria rarefatta sopravvisse assai più a lungo all’ altro infettato con cultura normale, di quanto non mi sia mai capitato nelle esperienze di controllo. Nella esperienza 6* morirono i due animali pal ogg nella notte: la differenza probabile tra l'uno e l’altro non fu superiore alle 4 ore. Se però si considera che il coniglio normale pesava 320 grammi più dell'altro, anche in questo caso risulta una attenuazione del pneumococco. Nell’ esperienza 7° gli animali morirono alla stessa ora: ma era alquanto più leggero quello infettato colla coltura tenuta nell’ aria rarefatta. I risultati di queste esperienze accennano ad una diminuzione della virulenza del pneumococco di Fraenkel, quando questo viene tenuto in un ambiente dove la pressione atmosferica corrisponde a quella che vi è sulla vetta del Monte Rosa. La differenza però è piccola, ed è maggiore prudenza in base a questi esperimenti il dire che la cosa è probabile anzi che l’af- fermare che sia dimostrata. Per eliminare il dubbio che la minor virulenza del pneumococco di Fraenkel tenuto nell’ aria rarefatta non dipendesse tanto dalla diminuita tensione dell’ossigeno, quanto dall’ inquinamento per acido carbonico prodotto dalla respirazione del pneumococco, ho dovuto fare l’ analisi dell’ aria chiusa nel matraccio. Vi lasciai dentro due tubi infettati, in un'altra esperienza ne misi anche tre. e li lasciai per 48 ore. Per estrarre l’aria, essendo questa rarefatta, feci prima penetrare dentro il matraccio tanto mercurio quanto occorreva per ridurre la pressione interna al valore della atmosferica. Chiuso il robinetto capovolsi il matraccio, e ho raccolto nel modo solito l’aria per farne l'analisi col metodo di Hempel. Trovai 20,55 °/ di ossi- geno e 0,2" °/, di CO». La differenza osservata nelle esperienze precedenti non è dunque prodotta da una modificazione che abbia subìto l'aria del matraccio in seguito alla presenza dei tubi da saggio colle colture. Queste esperienze istituite per illustrare il caso di una polmonite svi- luppatasi e guarita con decorso anomalo sulla vetta del Monte Rosa, mi condussero, come era da aspettarsi, in un campo più vasto ed importante di studi. Non credo che altri abbia fatto delle ricerche sulla influenza che la diminuita pressione barometrica esercita sulla vita dei microbi patogeni. . gi un argomento che certo merita di essere meglio approfondito. Due cose risultarono da queste ricerche preliminari: cioè, che i conigli muoiono più facilmente quando, dopo essere infettati col pneumococco di Fraenkel, stanno in un ambiente dove la pressione atmosferica corrisponde a quella del Monte Rosa. La morte più rapida succede, malgrado che le nostre esperienze accennino ad una virulenza minore del pneumococco quando questo si sviluppa nell’ aria rarefatta. Quest’ ultimo fatto è tanto più importante venga confermato da altri, perchè fino ad ora erasi ritenuto che il pneumococco di Fraenkel apparte- nesse al gruppo degli organismi aerobî facoltativi, i quali vegetano bene in un mezzo ricco di ossigeno, ma che possono anche svilupparsi quando l’ossi- OO geno viene ad essere deficiente. Certo avrei dovuto. per completare questo studio, fare delle ricerche dove la tensione dell’ ossigeno fosse normale, e diminuita solo la pressione atmosferica, servendomi di mescolanze di azoto ed ossigeno. Di queste ed altre indagini complementari spero di occuparmi in seguito. Ritornando al caso della polmonite sviluppatasi e guarita sul Monte Rosa, che fu l' origine di questo mio studio, credo che risulti come cosa molto probabile essere stata l'infezione nel giovane Ramella meno intensa per l' attenuazione del pneumococco dovuta alla rarefazione dell’aria: ma che il decorso della polmonite fu più grave in causa alla depressione atmo- sferica, malgrado la mitezza della infezione. CONCORSI A PREMI Al concorso del premio SANTORO, scaduto col 30 giugno 1896, fu pre- sentato il seguente lavoro: CeLLoRE LoRENZO. Estensività della produzione agricola. CORRISPONDENZA Il Prof. G. GraBLoviITz inviò al Segretario una bellissima fotografia contenente un diagramma ottenuto dai pendoli orizzontali, con masse di 12 chilogrammi e con l'amplificazione meccanica di 1:8. La fotografia rap- presenta il diagramma, in grandezza naturale, del terremoto, pur troppo ce- lebre, giapponese del 15 giugno 1896. È forse la prima volta, che un feno- meno proveniente da tale distanza, si trova riprodotto con tanta nitidezza. Annunciano l'invio delle proprie pubblicazioni: Il R. Istituto di studi superiori di Firenze; la R. Accademia delle scienze di Stockholm; l'Accademia delle scienze di Cracovia; le Società di scienze naturali di Karlsruhe e di Elberfeld; la Società zoologica di Londra; la So- cietà scientifica di Santiago; il Museo Teyler di Harlem; la Biblioteca na- zionale di Rio de Janeiro. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute : La Società di scienze naturali di Emden; la Società geologica di Man- chester; il Museo di zoologia comparata di Cambridge Mass.; gli Osservatorî di Lisbona e di Edinburgo; la Scuola politecnica di Delft. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA dal 7 giugno al 5 luglio 1896. Atlas geologiczny Galicyi. V. Krakow, 1895. 8°. Atti dell'Istituto Botanico dell’ Università di Pavia redatti da G. Briosi. 2a ‘ser., vol. III. Milano, 1894. 8°. Beobachtungen der russischen Polarstation an der Lenamiindung. I Th. Astron. und magn. Beob. 1882-84. L. S. Petersburg, 1895. 4°. Berlese A. — Ricerche sugli organi e sulla funzione della digestione negli Acari. Portici, 1896. 8°. Keller F. — Sull'intensità orizzontale del magnetismo terrestre nei pressi di Roma. (Frammenti concernenti la Geofisica dei pressi di Roma). Roma, 1896. 4°. Liitken Chr. F. — E Museo Lundii. B. II. 2. Kiébenhavn, 1895-96. 4°. Mollame V. — Le equazioni cubiche con radici reali per le quali la for- mola cardanica diviene algebricamente reale ed il casus irreducti- bilis. Napoli, 1896. 8°. Morselli E. — Nota sulla psicosi cocainica e sue varietà nosografiche. Na- poli, 1896. 8°. Mourgues L. E. — La Epidemia de fiebre tifoidea en los Cerros Alegre i Concepcion etc. Santiago, 1896. 8°. Rizzardi U. — Contributo alla fauna tripolitana. Firenze, 1896. 8°. Smith J. Warren. — Observations of the New England weather Service. Cambridge, 1896. 4°. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia prima del 19 luglio 1896. Fisica. — Dell azione dei tubi opachi sui raggi X; del come questi scaricano è conduttori elettrizzati, e delle differenze che essi raggi manifestano quando vengono studiati con l’ elettroscopio o con la fotografa. Nota del Socio E. ViLLARI (!). SUI In una Nota presentata il 15 feb. all’ Acc. di Napoli (*) ed in una Me- moria letta il 12 aprile a quella di Bologna (3) dimostrai che i raggi X nel passare per un tubo opaco di zinco, di latta ecc., o per uno semitrasparente di alluminio, o per uno trasparente di cartone o rete metallica, perdono molto, poco o punto della loro efficacia nello scaricare un corpo elettrizzato. D’ onde conclusi, che sui corpi elettrizzati non solo agiscono i raggi provenienti in linea retta dal Crookes, ma bensì quelli laterali e divergenti, che vengono eliminati dai tubi opachi. Cotesto effetto dei tubi opachi può osservarsi sott’ altra forma. Situai un Crookes €, fig. 1, in una cassa di grosse lastre di piombo PP, con un foro di 9 c. di contro al fondo del Crookes. Al foro adattai un tubo di latta Z, 9 X 25 cm., emergente per 16 cm. dalla cassa: in D, a 33,5 cm. da C, situai un disco (1) Inviata il 15 luglio 1896. (2) Rend. d. Acc. d. Sc. fisiche matematiche feb. 1896 Napoli. () Atti dell’Acc. di Bologna 1896. RenpIconTI. 1896, Vol. V, 2° Sem. 5 SIAT li di piombo (11 X 0,44 cm.) centrato e normale ai raggi; ed in £, a 7,5 cm. da D, disposi l'elettroscopio 4, chiuso nella sua gabbia di guardia e cen- l____________---- RiGogle trato col disco. Attivai il Crookes e misurai il tempo della scarica di 2° del: l’elettroscopio nelle disposizioni seguenti dell’ esperienze : Senza il tubo Li. . . .E perde 2° in 3,7 Col soloStubo. £ Marmo ’ ” As Col solo \disco: DEI: i ’ 127,0 Col tubo Z e col disco D . ’ » 267,0 Da questi valori sì ricava: 1° Che il solo tubo Z rallenta un poco lo scarico (da 37,7 a 47,5). 2° Che il solo disco D, per l'ombra che produce, rallenta di molto la scarica (da 3,7 a 12"). 3° Che il disco D rallenta moltissimo la scarica (da 3,7 a 26"), quando i raggi sieno prima passati pel tubo £. Ed è bene avvertire, che l’effetto complesso ed energico del tubo e del disco non può attribuirsi ad una proporzionata diminuzione sofferta dai raggi nel passare pel tubo; giacchè, mentre i raggi liberi scaricano l’ elettroscopio in 3," 7, quelli che hanno attraversato il tubo lo scaricano in poco più, in 4" 5. Aggiungendo il disco la scarica si prolunga, nel primo caso (senza tubo) a circa il triplo (da 3,77 a 12”) e nel secondo (col tubo) a circa il sestuplo, (da 4//5 a 26”). D'onde risulta, che i raggi provenienti direttamente dal Crookes sono, a parità di circostanze, più adatti ad agire sopra un elettro- scopio carico situato nell'ombra di un disco, che quelli che sono passati per un tubo opaco; il quale pare sopprima i raggi laterali e divergenti, che sono i più adatti a flettersi sul bordo del disco. In altre esperienze operai senza il tubo L, e feci uso di una. sottile lastra di rame (7 X 7 X 0,04 cm.) unita all’ elettroscopio, della quale avevo setto gal ricoperto a caldo (’) una faccia con una lastra di paraffina 9 X 9 X 1,5 cm. Caricato l’elettroscopio esposi alle radiazioni, ora la faccia nuda della lastra ed ora quella paraffinata, ed ottenni i seguenti risultati medî: Gl'X colpiscono la faccia nuda: E perde 5° in 217,0 ’ ’ ’ paraffinata ’ 31”,0 ’ ” ’ nuda ” 217,0 ’ ’ ” paraffinata ’ 29,4 Si vede, che la scarica è sensibilmente più rapida quando i raggi col- piscono la faccia nuda; e la differenza potrebbe attribuirsi alla efficacia dei raggi, scemata nell’attraversare il grosso strato di paraffina. Ma, siccome un metallo coperto di paraffina si scarica poco o punto pei raggi X (come ho detto in altra occasione e come ripeterò fra poco), così bisogna ammettere, che la scarica della lastra avvenga presso che solo dalla faccia nuda, anche quando questa sia nell'ombra delle radiazioni. Temendo che l'efficacia dei raggi si potesse trasmettere dalla faccia paraffinata e colpita a quella nuda, per trasparenza, rifeci le stesse esperienze con un disco di piombo affatto opaco (78 X 4,4 mm.) preparato come la lastra precedente ed ottenni i valori medî che seguono: Gl'X colpiscono la faccia paraffinata: E perde 5° in 24,1 ’ ’ ’ nuda ’ 16,9 : 7 ” paraffinata ’ ZA TI Questi risultati numerici sono affatto simili ai precedenti, e perciò la scarica prodotta dalla faccia nuda ed in ombra, non può attribuirsi ai raggi che vi pervengono per la trasparenza del metallo. Supposi allora, che se non alla trasparenza per i raggi, potesse il feno- meno attribuirsi ad una speciale conducibilità del metallo per l'attività, che destata dai raggi su una faccia si trasmettesse all’ altra. Questa supposizione volli saggiare con una esperienza, ma prima di descriverla è necessario che lo ricordi alcuni fenomeni già da tempo studiati da me e pubblicati in pre- cedenti miei scritti. Quando i raggi X colpiscono un conduttore elettrizzato, p. e. un disco metallico unito ad un elettroscopio, esso si scarica rapidamente, e con velo- cità pressochè costante, dal principio alla fine. Ma se il conduttore è ricoperto da un coibente, come la paraffina postavi bene a contatto, la scarica provocata dagl’X, appena iniziata si rallenta, e dopo poco s' arresta. Col ripetere le espe- rienze, dopo le successive cariche, s' osserva, che le scariche che s’ iniziano di- (*) E necessario saldare a caldo la paraffina sul metallo perchè v’aderisca bene, a fine di eliminare, al possibile, l’aria interposta e la scarica, che per essa si produrrebbe sotto l’azione degli X. Mio O ventano sempre più piccole, in modo, che alla 3 o 4 esperienza, la radiazione non produce quasi più alcuna scarica. Dal modo adunque, col quale avviene la scarica di un conduttore colpito dagl’ X, noi siamo in grado di stabilire se essa avvenga da un conduttore nudo o da uno ricoperto da un coibente. Ciò premesso veniamo alla esperienza. Per provare la precedente supposizione disposi l'apparecchio come è indi- cato schematicamente in pianta nella figura 2. L'eiettroscopio £ era unito pel filo di rame £4, lungo circa 70 cm., ad un disco di al- luminio 4 di 6 cm. Il conduttore dell’ elet- troscopio era chiuso strettamente con un blocco di paraffina, ed il filo era teso in una canna di vetro stata riempita di pa- raffina fusa. E e d Fis. 2. erano chiusi in cor- rispondenti gabbie di guardia, di stagnola, unite al suolo, ed unite alla stagnola che avvolgeva tutta la canna di y vetro: così che queste varie parti potevano conside- rarsi come rinchiuse in una ampia gabbia non isolata. Il Crookes €, chiuso nella sua cassa di piombo PP, affinchè non agisse direttamente sul disco D, trovavasi a piccola distanza dall'elettroscopio £. Attivato C' l' elettro- scopio si scaricò come un corpo inviluppato da un coibente solido; cioè sì sca- ricò di pochi gradi alla prima azione degl X; ed alla terza o quarta esperienza, ' t Ù ' I ' ' il I ' ' ' il [| t Ì I ' 1 il ' ' I il i I lr—_____________— dopo esser disceso di DI di divisione o meno, rimase stazionario. Perciò bisogna concludere, che la supposta efficacia destata dagl’ X nell’ elettroscopio non si trasmette al disco, chè altrimenti questo avrebbe dispersa tutta la carica. Per queste diverse prove deve ammettersi, che quando gl’ X percuo- tono la faccia paraffinata della lastra o disco metallico, questi disperdono la loro carica dalla sola faccia nuda ed in ombra, pei raggi che ripiegati ven- gono a colpirla (!). (1) Potrebbe forse ritenersi quest'ultima esperienza non del tutto concludente, per essere il filo adoperato troppo lungo: tuttavia non mi detti cura di modificare la ricerca, sì perchè mi parve assai distinta, e sì perchè le esperienze successive mi confermarono a pieno nell'ultima spiegazione qui sopra riportata. 23% DA SUIT Messo in chiaro il flettersi dei raggi o della loro efficacia, nell’ ombra dei dischi, cercai studiare più da vicino la maniera con la quale si verifica tale flessione. Situai il Crookes € (fig. 3), nella solita cassa di piombo PP, e questa ZL BIO: col rocchetto in una di zinco ZZ, unita al suolo. Le radiazioni di C venivano all’esterno pei fori di 9 cm. x ed 0; e quest ultimo era chiuso da una sottile lastra di alluminio. In ZZ, ad oltre 20 cm. da C, situai una lastra di zinco ampia ed affatto opaca (40 X 40 X 0,42 cm.) con un foro di 4 cm. nel mezzo, centrato con C. A circa 10 cm. da essa misi il disco di piombo precedente unito all’ elettroscopio #, e con una delle sue facce coperte di paraffina. La lastra ZZ col suo foro serviva a limitare il fascio dei raggi. Le esperienze furono eseguite nel modo consueto, irradiando or l'una or l'altra faccia del disco, ed i risultati medî furono i seguenti: GlX colpiscono la faccia paraffinata. I SERIE. Tempo di scarica per 1° 1° Esp. E perde 3° in 62” 21” DELE) ” 3° in Moni 22" ISEE) 7 3° in. 86” 29” 4% n i) 3° in 96% 32” 2008? ” 4° in 124” 31” E) ” È) 5° in 170” 944 MZ II SERIE. 1° Esp. E perde 1° in 35” 35” n ” 2° PANONOTSI 36” » n» ” SRIDOLON 37" » n ’ do nalo55a 39” » n» ” 5° in 205” 41" La scarica è continua, ma si rallenta un poco, mostrando che essa si verifica, in massima parte, dalla faccia nuda, sebbene in ombra, ed un poco anche da quella paraffinata. Esponendo alle radiazioni la faccia nuda, la scarica ebbe luogo come segue: GlX colpiscono la faccia nuda. I SERIE. Tempo di scarica di ]° E perde 1° in 12" 12” ’ 2° in 23" dub ” 3° in 30° 10” ’ 4° in 40" DOL Ù 5° in 45” 9” ’ 6° in 55” 9” I Media 10,2 II SERIE. I E perde 1° in TI 0” I ai 12° in 22” Lu | ” 3° in 31” 10" | ’ 4° in 40” 10” | 7 5° in 48" 9”,6 Media 10",3 In questo caso la scarica avvenne con una rapidità tre a quattro volte | maggiore della precedente, ma costante; indizio questo che essa ebbe luogo dalla sola faccia nuda. Quindi par- rebbe che la faccia in ombra, se pa- di 5 raffinata, non prendesse parte alla C © E scarica. nr A meglio mettere in evidenza l'azione dalla faccia paraffinata nella scarica fu necessario scemare l'effi- cacia di quella nuda, ed a ciò pervenni in due modi diversi. Nel primo, al disco di piombo pp (fig. 4), unito all'elettroscopio e coperto dalla solita lastra di paraffina /, aggiunsi un tubo di latta #f, saldato a caldo al contorno Fic. 4. 7 Ke della paraffina. Indi rivolsi al Crookes €, contenuto nelle solite casse, la faccia paraffina //, ed ottenni i dati che seguono: 1° Esp. E perde 10° in 43” da ln ” 95” 32» ” 120” 420» ” 120” Si procedeva da una esperienza all'altra ricaricando ciascuna volta l’'elet- troscopio allo stesso potenziale. Si vede da questi numeri, che la scarica si rallenta nelle successive esperienze ma non si annulla, lo che dimostra che essa ha luogo in parte dalla faccia paraffinata ed in parte da quella nuda, sebbene protetta dal tubo #4, perchè i raggi passano sempre, per la paraffina p/, intorno al disco. Tolto il tubo di latta ## ed esposta alla radiazione ancora la faccia paraffinata, la scarica fu come segue: 1* Esp. E perde 10° in di ga 5 pi 9g" 82 5 n (OV44 GR n 8” (L Media 8” Il ritardo della scarica fu quasi insensibile per- chè essa ebbe luogo pressochè solo dalla faccia nuda, D sebbene in ombra. 5 Se s'espone la faccia nuda ai raggi la scarica | procede come nell'ultima esperienza, ma con mag- ; * giore rapidità, 10° in 5” circa, invece di 8”. Nella seconda maniera di limitare il fascio dei raggi, aggiunsi alla lastra ZZ un piccolo tubo %/ (4 X 6 cm.) (fig. 5 e 8), e rivolgendo al Crookes, ora l'una ora l'altra faccia del disco D unito all’elet- | L troscopio, ebbi le sei serie di risultati, numerate nel- l'ordine col quale furono ottenute: Fis. 5. i, , "i Faccia paraffinata colpita dagl' X. I SERIE. II SERIE. Scarica di Tempo di Differenze Scarica di Tempo di Differenze scarica È scarica oa 1° 20” sa 1° 25” sE 2° 47" rr 2° 100" 7 II 48 20 " 66 se 95 70” Bb) 166 79! 4° I654 85" 4° 245” 100” 5° 250” 80” 50 345” 75" 6° 330” 80” 6° 420" 75! 70 410” 70 495” me gore. V SERIE. VI SERIE. Scarica di Tempo di Differenze Scarica di Tempo di Differenze scarica scarica 1° 99" 29 1° 99" 29” " 61 "I 51 22 90 85 PA 80 89” s° IDE 99” BL 169” PAST 4° 267" rr 4° 244" rr 7 123 7 81 SO 390 54/ DI 325 I È Ti 120 7 135 6 510 150” 6° 460 118” Th 660" (0, Dai Faccia metallica colpita dagl' X. III SERIE. IV SERIE. Scarica di Tempo di Differenze Scarica di Tempo di Differenze scarica scarica 1° 10” vi. Ù 9" 4 Si 20 18” g" 2° JOKR2: 101 3° 27” 95 3° 29,2 9" 8 40 367.5 4 4° 39” 96 DÒ 40,5 15” 5° 48,6 98 6° 555. 6° 51,4 18” (0 TAO 69”,4 Media 9,2 Media 10" Ho riportato in esteso i risultati delle varie serie di esperienze ese- guite, per mostrare la regolarità e l'andamento generale dei fenomeni inve- stigati. Da essi risultati possiamo ricavare le seguenti conclusioni. Quando gl'X colpiscono la faccia paraffinata del disco (serie I e II) la scarica è lenta e continua; ma la durata della scarica di 1°, fra i limiti 1° e 7°, aumenta man mano da 20" ad 80". Lo stesso si scorge nelle serie simili V e VI; se nonchè in queste la scarica è assai più lenta, prolungandosi la durata della scarica di 1°, nei limiti 1° ce 7°; da 297 a 118"@00150! Ciò dimostra che la scarica ha luogo, in sulle prime, non solo dalla faccia nuda del disco ma ancora da quella paraffinata e colpita dagli. X, ed è più rapida. In seguito, la paraffina si carica man mano, ed impe- disce la scarica della faccia sottoposta; talchè la diffusione elettrica limi- tandosi sempre più alla sola faccia nuda, sì rallenta. Quando i raggi colpiscono invece direttamente il piombo, serie III e IV, la scarica è rapidissima ed uniforme, e la durata, per la perdita di 1°, è di 9" a 10”; lo che dimostra che essa avviene esclusivamente dalla faccia nuda. Se però si considerano i tempi spesi per la scarica di 7° nelle diverse 49 ae serie d'esperienze, si trovano i valori qui sotto riportati, pel caso che gl’ XY battano sulla paraffina. Nella I serie E perde 7° in 410" SENTITI È ’ ” 495” ” V ” ” ” 660" DIA ” ’ ” EST Nel caso invece che gl’ _X colpiscano il metallo si ha: Nella III serie E perde 7° in 55,5 Ne nin ra 51,4 Dalla costante durata della scarica di 1°, nel caso che i raggi colpi- scano il metallo, (serie III e IV) si cavano due conseguenze: la prima che il tempo di scarica è proporzionale al numero dei gradi, cosa che ho sempre osservato e che anche il Righi ha notato; la seconda che quando gli X col- piscono la faccia nuda, quella paraffinata ed in ombra non prende parte alla scarica. Ciò fa supporre, o che i raggi non s' inflettono nell'ombra del disco, o che non agiscono direttamente a scaricare l' elettroscopio; giacchè la paraffina essendo trasparentissima non potrà impedir mai ad essi di perve- nire al disco sottostante ed attivarne la scarica. Più consentaneo ai fatti è invece il ritenere, che la scarica sia promossa dall'aria attraversata dai raggi ed attivata in modo speciale; e questa aria, naturalmente, non potendo at- traversare la paraffina che copre la faccia del disco in ombra, non può eccitarvi la scarica. In precedenti miei scritti dimostrai con molte esperienze, che la sca- rica provocata nell’ aria dagli X era dovuta ad una specie di convezione o trasporto delle sue particelle, idea che poi ho trovato essere stata già soste- nuta dal Righi. Ora meglio precisando, parmi che i raggi attivano l'aria che attraversano, in maniera speciale, ed essa poi, diffondendosi e traspor- tandosi, porta seco la proprietà acquistata, di essere cioè più atta alla con- vezione o trasporto delle cariche. Idea questa che viene confortata ancora meglio dalle esperienze che seguono. SENI Se realmente la scarica è provocata non dagl’ X ma dall’ aria da essi attivata, è chiaro che allontanando questa dal corpo elettrizzato od appor- tandovela, la scarica dovrà rallentarsi od accelerarsi. Per verificare tali previsioni feci diverse esperienze. RenpIcoNTI. 1896, Vol. V, 2° Sem. 6 Redi La TTT" bui SLI A Disposi il Crookes nelle solite due casse metalliche; e sia A A (fig. 6) la parete anteriore di quella di zinco col foro centrale /, chiuso dalla lastra di A alluminio. In dd fissai un disco di piombo (11 X 0,44 cm.) per mezzo del tubo p/ di piombo a grosse pareti sal- d datovi nel centro. A circa 3 cm. da p, 10 da dd e 50 dal iI RACC _> 6? Crookes situai (il solito@ielet- troscopio £. Soffiai pel tubo d tp, col mantice che serve per lavorare il vetro, una forte corrente di aria sull’ elettro- scopio carico, ed esso non ne era punto affetto. Indi, attivato 70 il Crookes feci due diverse Fis. 6. serie di misure sulla durata della scarica: una con la corrente d’aria, l’altra senza, ed i risultati fu- rono ì seguenti: Con la corrente d’aria energica E perde 5° in 7,3 sa 100 in 14,2 Senza la corrente d'aria E perde 5° in 9”,6 200710? in 277,3 Con la corrente d’aria energica E perde 5° in 6,9 n». 10° in 147,9 Senza la corrente E perde 5° in 92 ann 00 in 194,4 La corrente d’aria soffiata contro l’elettroscopio, a Crookes attivo, acce- lera la scarica, perchè essa corrente produce una aspirazione, ed agevola il trasporto dell’aria attivata al di là dell'ombra del disco, sull’elettroscopio. In una altra esperienza soppressi il tubo #p, chiusi il foro del disco dd, che fissai ad opportuno sostegno, e situai a circa 15 cm. dall’ elettro- scopio, ed a destra della figura, una canna di vetro vv, unita alla soffieria. Soffiai con questa una forte corrente contro l'elettroscopio carico, e vidi che non si scaricava punto: in seguito operai come in precedenza ed ottenni, col Crookes attivo, i dati seguenti: gr Con corrente forte. E perde 5° in Te o) IMOO in 22" ,4 Senza corrente. E perde 5° in 9" » 10° in i log _ La corrente d'aria, in questo caso adunque, rallenta la scarica allontanando od impedendo all'aria attivata o scarzcatrice di pervenire allo elettroscopio. Per rinvigorire l'efficacia della corrente adoperai una soffieria acustica, molto più grande e poderosa di quelle ordinarie, e con essa spingevo contro l’elettroscopio, da destra a sinistra, una fortissima corrente di aria, attra- verso una canna di vetro lunga circa 1 m. e di 3 cm. circa di luce. Una esperienza preliminare mi assicurò che la corrente, da sola, non influiva sul- l'elettroscopio carico; indi ebbi i valori che seguono: Con corrente E perde 5° in 28” 1 i IO in 627,0 Senza corrente E perde 5° in HT) nl 02 in 14,8 Con corrente fortissima E perde 5° in 387,8 » 10° in 66,0 1 QI ILE in 120”,0 (l’elettroscopio era fermo). È dunque evidente che la corrente d'aria spinta contro l’ elettroscopio, allontana da esso l’aria attivata dagl'X e ne rallenta la scarica; e se ab- bastanza poderosa può anche impedirla del tutto, come nell’ ultima espe- rienza. Osservai inoltre, che la lentezza della scarica era in relazione con l'energia del soffio. Risultati simili, sebbene meno cospicui, si ottengono ripetendo le espe- rienze senza il disco dd, come si vede dai dati che seguono, ottenuti da due lunghe serie di misure: Con corrente d’ aria Senza corrente d’ aria E perde 10° in a) Hi Sperde@tel09 rim (0259 ” 20° in JEZARO,. ” 20° in 7,0 ” TOO sim 100) ’ 100 8 300 20°. in Ie ” 20° in 67,0 ” OO an 77,0 ’ OCA TAO, ” 20° in a ” 20° in 6,0 DI 10° in 1,9 L) 10° in XA) ” 20° in Tei ” 20° in 67,0 ” 2 OOMNOIDI oa ” DIO in ISO Medie 10° in 10) Medie 10° in 30 ” 2. OCA I5d05 ” 2 OLII 67,0 2007 (5 2A In questo caso, quando cioè l’ elettroscopio è direttamente colpito dagli X, la scarica ha luogo, con la corrente d’aria, in un tempo, oltre il doppio che senza la corrente. Un tale effetto, sebbene assai distinto è però inferiore a quello ottenuto di sopra, con l' elettroscopio situato nell'ombra del disco. E ciò mi pare facile ad intendere. Quando l’elettroscopio è nell'ombra, la corrente allontana l’ aria attivata al di là del limite dell’ ombra, e, se abbastanza può impedire del tutto la scarica dell’elettroscopio. Ma quando questo, non ripa- rato dal disco, viene direttamente colpito dai raggi, la corrente può allonta- nare l’aria laterale attiva, ma non può impedire ai raggi diretti di attivare l’aria in contatto con l’elettroscopio, nè asportarla prima che essa vi agisca. E se l’azione è, come pare, rapidissima, essa potrebbe verificarsi sulla stessa corrente d’ aria; la quale limiterebbe il suo uffizio, come nel primo caso, ad impedire l’azione dell’aria attivata dai raggi divergenti e laterali. Questo modo d'intendere l’azione scaricatrice dell’aria, rende forse facile comprendere l’azione dei tubi sui raggi XY. Un breve e largo tubo opaco, sovrapposto all’ elettroscopio e rivolto con l’asse al Crookes, impe- disce all'aria attivata dai raggi circostanti di pervenire all’ elettroscopio ; che perciò si scarichera soltanto per l’aria interna al tubo e direttamente attivata. Il tubo così rallenterà la scarica. I tubi opachi, interposti fra il Crookes e l' elettroscopio, limitando i raggi al solo fascio che li percorre, e sopprimendo quelli laterali e divergenti, diminuiscono la massa di aria atti- vata e la sua efficacia. In una esperienza precedente (!) disposi una ampia lastra di zinco opaca (40 X 40 X 042 cm.) perpendicolarmente alla parete della solita cassa di zinco, in modo da essere tangente al foro che era di contro al Crookes, tal- mente che i raggi da questo emesso, quasi strisciavano una delle faccie della lastra. Dalla faccia opposta della lastra, ed in prossimità di un suo foro centrale di 4 cm., situai la pallina dell’elettroscopio, garantito dai raggi di- retti e dalle induzioni. Attivando il Crookes, l’elettroscopio sì scaricava pei raggi, dissi allora, che si flettevano, e pervenivano all’ elettroscopio attraverso al foro. Chiusi questo con foglio di carta bene appiccicato sui bordi, e la scarica non ebbe più luogo. Questo fatto, allora inesplicabile, s'intende ora fa- cilmente. La scarica non è prodotta dagl’ X ma dall'aria da essi attivata. A foro aperto l’aria diffondendosi può pervenire all'elettroscopio; ma col foro chiuso dalla carta l’aria scaricatrice non può pervenire all’elettroscopio e la scarica non può aver luogo. Ma oltre all’inflessione apparente dei raggi, osservata con l’ elettroscopio e dovuta al diffondersi dell’aria scaricatrice, vi è una effettiva flessione o dispersione propria dei raggi XY. Una lastra Lumière in uno schàssis chiuso, (1) Rend. Acc. Lincei, seduta 6 giugno, vol. V, fasc. 12, Roma 1896. A posta nell'ombra d'un disco affatto opaco dà, per l'azione degl’ X, un imma- gine nera dell'ombra di esso, contornata da una zona chiara di 7 ad 8 mm., interna al limite dell'ombra geometrica, dovuta alla flessione o dispersione assai ristretta dei raggi ('), ed apparisce come degradata allo interno. Lo studio dell’ interno dell'ombra, fatto, invece, con l’elettroscopio dà risultati affatto differenti, manifestandosi l’azione dell’aria attiva anche nel centro di ombre vastissime, generate da dischi di 40 a 60 cm. di diametro. Lo che è dovute al facile diffondersi dell’aria scaricatrice. Da quanto precede si rileva la differenza grande che debbono presentare i fenomeni di questa natura, a secondo che si studiano con la fotografia o con l’elettroscopio. Nei primi miei studi intorno ai raggi X io investigai, per via dell’elettroscopio, la loro riflessione su superficie piane e levigate di piombo, zinco ecc: ed i risultati mostrarono trattarsi più di una diffusione che di una vera e propria riflessione. A dir vero però, per la poca intensità della diffusione io non potei sperimentare su fasci abbastanza sottili, e perciò la conclusione a cui giunsi non era del tutto sicura. Non pertanto, dopo quanto si è detto può ritenersi, anche senza ulteriori esperienze, che i raggi debbono sembrare diffondersi e non riflettersi sulle superficie opache, quando vengono studiati ed osservati con l’elettroscopio. Lo che non toglie che i raggi X propriamente possano subire la riflessione regolare. E difatti il Murani ha re- centemente dimostrato con la fotografia, che essi, sebbene debolmente, pur si riflettono con le note leggi su di una superficie di acciaio tersa e levigata. Perciò potremo aggiungere che a studiare direttamente i raggi XY occorre ado- perare la fotografia, a studiarli per uno dei loro effetti può adoperarsi l' elet- troscopio. Fisica. — Sui tubi produttori dei raggi X. Nota del Corr. Aucusto RIGHI. 1. Per rendere più perfette le ombre del Rontgen occorre sopratutto ridurre l’ estensione della superficie anticatodica, dalla quale partono i raggi X. Uno dei mezzi a cui si può ricorrere per raggiungere questo intento, è quello di adoperare tubi di dimensioni piccolissime, giacchè è presumibile che tali tubi dieno lo stesso effetto dei tubi usuali, purchè la pressione del gas che essì contengono sia convenientemente aumentata. È noto infatti che in generale riducendo le dimensioni dei tubi di sca- rica e aumentando opportunamente la pressione del gas che essi contengono, (1) Rendiconto R. Acc. Napoli 15 feb. e 14 marzo 1896. Rend. Ace. Lincei, 6 giugno 1896, Roma. IE la scarica conserva i suoi caratteri, e solo le varie sue parti acquistano mi- nori dimensioni e spesso maggiore luminosità. Ciò è quanto constatai in par- ticolare nel caso di quella singolarissima forma di scarica cui diedi il nome di scarica globulare (1). Per verificare la mia previsione ho costruito tubi cilindrici, la cui se- zione ha pochi millimetri di diametro, e in cui la distanza fra il catodo e la parete che gli sta di fronte, è di qualche centimetro. Ho riconosciuto che si ottengono da essi raggi X assai intensi, e che effettivamente questi raggi acquistano la massima intensità allorchè la pressione dell’aria interna ha un valore assai superiore a quello che deve avere in un tubo di ordinarie di- mensioni. Per esempio, con un tubo avente 8 mm. di diametro interno, e 8 c. di distanza fra il catodo ed il fondo del tubo, la massima intensità dei raggi X si ebbe quando la pressione interna era di !/3o di millimetro, mentre è noto che nei grandi tubi a pera la pressione interna è circa 50 volte più piccola. La misura dell'intensità dei raggi X fu fatta col metodo elettrico (?). Questi piccoli tubi producono ombre fotografiche nettissime ed intense con pose relativamente brevi. La precisione dei contorni si deve all'essere piccolissima l'estensione della superficie radiante, e alla conseguente assenza quasi completa di penombra; la brevità della posa si deve, non solo alla medesima circostanza, giacchè col favore di essa si può porre la lastra foto- grafica a pochi centimetri dal tubo senza che le penombre divengano dannose, ma anche al fatto che il fondo del tubo si può fare estremamente sottile. I tubi piccoli a fondo sottilissimo sogliono avere però non lunga durata, per cui è preferibile chiuderli all’ estremità con una lastrina di alluminio, che in pari tempo funziona da anodo e da superficie anticatodica. 2. Ero alla fine delle esperienze, delle quali do quì un breve cenno, allorchè giunse a mia cognizione una comunicazione fatta alla Società di Fisica francese dai sig. Chabaud e Hurmuzescu (#), dalla quale risulta che anche questi fisici hanno trovato come in tubi sottili la pressione dell’aria che dà il massimo rendimento in raggi X sia relativamente elevata. Ma se- condo questi autori quella maggior pressione spetterebbe ai tubi lunghi e sottili, e non ai tubi piccoli secondo tutte le loro dimensioni, o in altri ter- mini sarebbe questione più di forma dei tubi che della loro grandezza. Infatti essi dicono di avere osservato dapprima, che in un tubo cilin- drico la pressione producente la massima intensità di raggi X era superiore a quella necessaria a dare lo stesso effetto in un tubo a pera, per cui pen- sarono di esagerare la diversità di forma, prendendo un tubo lungo 883 c. e di (1) Mem. della R. Acc. di Bologna, serie 5%, t. V, pag. 445 (19 maggio 1895). (2) V. questi Rend. 1 marzo 1896. (3) L'éclairage électrique, 27 juin 1896, pag. 599. LS (0) piccolo diametro interno. Questo tubo diede gli effetti massimi alla pressione di !/100 di mm. Secondo me non è la forma allungata, ma in genere la piccolezza del tubo, che rende più elevata la pressione corrispondente alla massima inten- sità dei raggi X. Mi risulta infatti che variando la lunghezza del tubo (e cioè la distanza fra catodo e superficie anticatodica), la pressione corri- spondente al massimo di raggi X varia in senso inverso di quella distanza, ciò che è precisamente il contrario di quanto si prevederebbe ammettendo che più il tubo ha forma allungata, e più elevata è la pressione dell’aria corrispondente all’ effetto massimo. Misurando l'intensità dei raggi X prodotti da uno dei miei piccoli tubi, per vari valori della pressione, ho osservato il seguente andamento. A pressione troppo alta nessun effetto. Ad una certa pressione si presentano i raggi X, e crescono rapidamente d' intensità al diminuire della pressione. Bentosto raggiungono un massimo, e poi l’ intensità diminuisce lenta- mente mentre si continua la rarefazione. Variando anche la lunghezza del tubo, si trova che la massima inten- sità possibile pei raggi X varia essa pure. Dalle prove fatte mi ha sembrato che un tubo la cui lunghezza sia circa 10 volte il diametro interno, abbia la forma la più conveniente. 3. Credo vantaggioso per gli sperimentatori far conoscere un metodo facile e spedito di costruzione dei tubi per radiazioni X, col quale si otten- gono, come dirò dopo, effetti assai rimarchevoli. Uno di tali tubi, mentre costa quasi nulla, può essere costruito in pochi minuti, dopo di che una pic- cola pompa a mercurio può rarefarne l’aria interna al punto giusto in meno d'un quarto d'ora. Prendo un pezzo di tubo di vetro a grosse pareti (p. es. lungo 15 cen- timetri, diametro interno 0, 8, diametro esterno 1,6) e ne introduco una delle estremità in una specie di ditale di alluminio, abbastanza largo affinchè il tubo arrivi sin quasi al fondo. D' ordinario adopero uno di quei ditali da cucire di alluminio, che oggi si trovano in commercio. Con buona ceralacca chiudo poi lo spazio che resta fra il vetro e l'orlo del ditale, procurando che essa non scenda verso il fondo. Per l’altra estremità del tubo introduco il catodo ed un tubetto di vetro destinato a stabilire la comunicazione colla pompa, chiudendo bene ogni inter- stizio con ceralacca. Il catodo non è altro che un dischetto di alluminio grosso 1 a 2 mm. e del diametro di 7 mm., collocato a circa 8 c. dal fondo del ditale, e fissato ad un gambo pure di alluminio che esce dal tubo. Occorre tener immerso nell'acqua il ditale mentre il tubo funziona, onde impedire la fusione della ceralacca che lo congiunge al vetro. Per esempio, se il tubo deve stare verticale col ditale all’ in giù, si immerge quest’ ultimo SARI in un recipiente a fondo d'alluminio pieno d’acqua. È bene che il ditale tocchi il fondo del recipiente. Gli effetti ottenuti con tubi così costruiti sono assai notevoli. Per esem- pio, adoperando un rocchetto il quale colla corrente di 15 Ampère ed un interruttore a mercurio producente 10 o 12 interruzioni al secondo, dava scin- tille di 8 c. fra sfere d'ottone di 4 c., ho ottenuto colla posa di 120 secondi su una lastra distante 12 c. dal tubo, un'ombra nettissima delle ossa della mia mano. L'ombra d'un feto di 4 mesi, fatta per incarico di un collega, riescì così netta, che esaminandola colla lente vi si scoprono assai minute particolarità, tanto che si direbbe che, almeno in corrispondenza alle parti dell'oggetto le quali durante la posa erano non troppo lontane dallo strato sensibile, la finezza dei dettagli non sia limitata che dalla granitura della preparazione fotografica. Portando la corrente a 24 Ampère ho ottenuto delle belle fotografie delle ossa della mano con 10 a 20 secondi di posa, tenendo la lastra fotografica 10 c. dal tubo. Tenendo poi la lastra a 7 c. soltanto, ho ottenuta un'ombra distinta delle ossa della mano, con una unica interruzione di corrente, ossia con un unica scarica. Questa fotografia merita davvero di essere chiamata istantanea. Aumentando ancora un poco la corrente induttrice nel rocchetto, le foto- grafie istantanee divengono perfette anche dal punto di vista dell’ intensità; ma occorre aumentare un poco lo spessore delle pareti del tubo aftinchè possa resistere. Questi tubi di semplice costruzione non sì possono separare dalla pompa, se no la pressione interna cresce col tempo, e specialmente coll’ uso, ciò che del resto si verifica spesso, quantunque assai lentamente, anche coi tubi usuali, tanto che gli effetti che essi danno non sono costanti. Col tubo unito alla pompa si ha il vantaggio di potere, prima di ogni esperienza, portare la pressione al suo miglior valore, e così avere sempre e con sicurezza l' ef- fetto massimo. Chimica. — /rtorno alla costituzione delle basi che si for- mano dagli indoli per azione dei joduri alcoolici ('). Nota del Socio Giacomo CIAMICIAN e del dott. ANTONIO PICCININI. È noto che l’indolo o gli indoli metilati nel nucleo pirrolico per azione del joduro di metile si trasformano in un alcaloide, al quale, in seguito alle (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di chimica generale dell’Università di Bologna. Le ojiee ricerche di E. Fischer ed a quelle eseguite in questo laboratorio dal Fer- ratini (!), dovrebbe competere la formula schematica C CH; /NCK; (07 H, | Ne CH, N CH; questa formula può essere intesa in vario modo e venne interpretata attribuendo alla base indolica una delle due seguenti costituzioni : 0 CH, c CH, H ANTE 3 A oppure ion sr Yi NCH, N CH; Per determinare la posizione del doppio legame, noi, in principio di que- st' anno, abbiamo eseguito una serie di esperienze, di cui diamo un breve cenno nella presente Nota, rimandando ad una più estesa Memoria la dettagliata esposizione delle medesime. Sottoponendo la base indolica all’ ossidazione col permanganato potassico in soluzione alcalina o col bicromato potassico in soluzione solforica, si ottiene lo stesso prodotto; un composto ossigenato della formula Cn Hz NO, volatile col vapore acqueo, che, cristallizzato dall’ etere petrolico, fonde a 55-56°. Questa sostanza ha deboli proprietà basiche, tanto che viene aspor- tata dal vapore acqueo dai liquidi acidi, ma è ancora base terziaria per un metile imminico. Sebbene non si combini coll’ idrossilammina, essa si com- porta coll’ idrogeno nascente come un chetone, addizionando una molecola d’ idrogeno. Per riduzione con alcool e sodio si ottiene dal composto ora accennato un liquido oleoso, del pari assai debolmente alcalino, che in parte si soli- difica e che, cristallizzato dall’etere petrolico, fonde a 97-98°. La sua com- posizione corrisponde alla formula: Ci His NO. (*) Gazzetta chimica, 24, II, pag. 190. RenpicontI. 1895, Vor. IV, 2° Sem. 7 pi ccà AG RETE © A ORE In quest’ ultima sostanza l’ ossidrile, che essa evidentemente contiene, può essere sostituito facilmente coll’ idrogeno. Di fatti scaldandola con acido Jodidrico, saturo a 0°, e fosforo rosso a 150° in tubo chiuso, si ottiene, assieme a trimetilindolo, una base, che bolle fra 226° e 236°, della formola Cn His N, il di cui /jodidrato fonde a 181-182° ed il di cui /odometilato si volati lizza senza fondere a 204-205°. Quest’ ultimo composto della formula CC His N.CH3I ha i caratteri di un joduro quaternario. Come si vede questa base è l’ omologo inferiore di quella descritta da E. Fischer, che si forma dall’ alcaloide primitivo per idrogenazione : Ci Hu N, a cui corrisponde un jodometilato, che si volatilizza senza fondere a 250-251°. Prendendo per punto di partenza una delle due formole suaccennate, p. es. la seconda, bisognerebbe attribuire ai composti ora descritti la seguente costituzione : C CH; H C CH3H ANCH AC; (6: lol | e (0 H, | “Aia \/CCH;z NYA000 CH; CH; C CH; H C CH}H AX6E: VAOH CH 2a CHA i X/CHz CH, CH; ed il prodotto finale dovrebbe essere la n-metiltetraidrolepidina, oppure la n-metiltetraidrochinaldina. I punti di ebollizione di questi due alcaloidi, che sono rispettivamente 255° e 247-248°, differiscono invece notevolmente da quello della base da noi ottenuta e si può dire che essa è diversa da entrambi. Come si vede anche in questo caso si incontra una difficoltà analoga a quella rilevata da E. Fischer e Meyer(') e poi dal Ferratini(?) a proposito (?) Berichte 23, pag. 2633. pag (2) L. C.. UO della base idrogenata derivante direttamente dagli indoli. L'alcaloide primi- tivo dà per idrogenazione una base, che dovrebbe essere identica ad una delle n-metiltetraidrodimetilchinoline e precisamente a quella della formola: C CH, H GO NY c/cH; HB N CH; CH ma invece la base che si ottiene dagli indoli ha proprietà del tutto diffe- renti. Per spiegare questo fatto il Ferratini ha invocato una isomeria geo- metrica, che in questo caso non poteva apparire inverosimile, perchè il com- posto contiene due atomi di carbonio asimmetrici. Tale supposizione sembrava necessaria, dal momento che dalla corrispondente base secondaria, il Ferra- tini potè ottenere realmente per distillazione del cloridrato sulla polvere di zinco, la «y-dimetilchinolina. Nel nostro caso invece le difficoltà sono molto maggiori; l’ alcaloide da noi ottenuto non conterrebbe che un solo atomo di carbonio asimmetrico, per cui sarebbe necessario ammettere un’ isomeria geometrica di indole speciale, invocando ad es. l’ asimmetria dell'azoto. Una tale ipotesi non sarebbe cosa nuova, perchè il Ladenburg (*) credette necessario applicarla a certe isomerie da lui osservate nei derivati della piperidina, ma non potrebbe nel caso attuale ritenersi sufficientemente giustificata. Inoltre poi neppure i fatti sarebbero tali da renderla indispensabile. Se col metodo di Herzig si cerca di convertire la base da noi ottenuta nel corrispondente alcaloide secondario, il metile imminico sì elimina e si arriva ad una base che distilla fra 224° e 230°, diversa perciò pel suo punto d’ ebollizione dalla tetraidrochinaldina e della tetraidrolepidina, il di cui cloridrato, per distillazione sulla polvere di zinco, dà @f-dimetilindolo ed una base chinolinica. L'unica prova ritenuta decisiva per la natura chinolinica della base in questione era la formazione della «y-dimetilchinolina, per distillazione del cloridrato della base secondaria idrogenata sulla polvere di zinco. Ora, sebbene questa reazione abbia in molti casi dato risultati attendibili, pure per la sua indole pirogenica, non può essere ritenuta sempre assoluta- mente dimostrativa. Per queste ragioni noi abbiamo tentato di ottenere la ey-dimetilchinolina, dalla base secondaria proveniente dagli indoli, ossidan- dola, col metodo di Tafel, con acetato mercurico. La prova riuscì del tutto (') Berichte 26, 854. — Vedi poi Marckwald, ibid. 29, 1293. — 54 — negativa; una parte del prodotto resta inalterata e l’ altra si converte in una resina; mentre invece impiegando la corrispondente tetraidrodimetilchinolina sintetica la trasformazione in @y-dimetilchinolina avviene in modo completo. Inoltre noi abbiamo trovato che mentre la base idrogenata di origine indo- lica dà, per ossidazione col permanganato, lo stesso composto, fusibile a 55-56°, che si ottiene, come abbiamo detto in principio, dall’ alcaloide primitivo, la tetraidrotrimetilchinolina sintetica si trasforma collo stesso trattamento in altri prodotti, che noi non abbiamo per ora studiato. Questi fatti rendono a nostro avviso assai probabile, che le basi in que- stione non sieno geometricamente isomere e cioè di identica costituzione, tanto più che fin ora non ci è riuscito in nessun modo di trasformare l' una nell’ altra. Noi eravamo giunti a questo punto coi nostri studî, quando comparve un lavoro di K. Brunner (') sulla condensazione indolica della isobutiliden- metilfenilidrazina. Proseguendo le sue belle ricerche sui derivati indolici che si possono ottenere dall’ aldeide isobutirrica (?), egli preparò per condensa- zione del metilfenilidrazone isobutirrico con cloruro di zinco in soluzione al- coolica un composto, che è identico a quello da noi ottenuto dal prodotto di ossidazione della base di E. Fischer pe: trattamento con alcool e sodio. Brunner dà il punto di fusione 95°, noi invece 97-98°. Da questa sostanza il nostro autore ebbe, per ossidazione col nitrato d'argento, il prodotto, che noi preparammo direttamente ossidando la base indolica. Anche per questo corpo noi abbiamo trovato un punto di fusione un po' superiore a quello indicato dal Brunner 55-56° invece di 50°. Per togliere ogni dubbio sul- l'identità dei prodotti da noi ottenuti con quelli descritti dal Brunner, abbiamo preparato il derivato bromurato, C,1H1s Br NO, e quello nitrico C,, Hj2(NO»)NO, e li abbiamo trovati perfettamente corrispondenti alle indicazioni che si tro- vano nel lavoro citato. In base alla loro formazione ed in seguito al loro comportamento, il Brunner attribuisce a queste sostanze la seguente costituzione : C(CH3): C(CHx)» ZAN CH CH e CH 00 NA N N N AT CH; CHVOH (1) Monatshefte fiùr Chemie, 17, pag. 258. (2) Ibid. 16, pag. 849. SG (372, DR che noi riteniamo abbastanza giustificata. Si potrebbe ammettere naturalmente che il composto quaternario possa esistere anche in forma alcoolica : C(CH3)s C(CH3), C(CH3)» N ZN CH, CH => CoHy CH.OH rune CoHj CO N NA A N N N AN CH; CH; CH: OH massime per spiegare la sua formazione dal composto carbonilico per tratta- mento con alcool e sodio. La forma quaternaria serve ad intendere meglio la sua sintesi dalla isobutilidenmetilfenilidrazina e la salificazione. Davanti a questi nuovi fatti la formola fin qui ammessa per rappresen- tare la costituzione delle basi che si ottengono dagli indoli per azione dei joduri alcoolici va modificata. Tenendo conto del comportamento della base fin qui chiamata trimetil- tetraidrochinolina proveniente dagli indoli, nell’ ossidazione, apparisce assai poco probabile che un simile derivato chinolinico venga in questo modo tra- sformato in trimetilindolinone e si è invogliati ad ammettere che la detta base invece di una tetraidrochinolina sia piuttosto un derivato d’ un diidroindolo o indolina (!): C(CH;); C(CH;). COHICHCH e. CRHeSco A NEADIBTS NCH; NCH; Le tetraidrochinoline sono omologhi nel nucleo dei diidroindoli o indo- line e perciò si comprende benissimo, che nel loro comportamento chimico si riscontri molta somiglianza. Dall’ altra parte ritenendo che la base idro- genata proveniente dagli indoli sia una tetrametilindolina, diventa evidente l’ impossibilità di identificarla con una delle tetraidrotrimetilchinoline. Reste- rebbe è vero a spiegarsi la trasformazione della trimetilindolina in @y-dime- tilchinolina eseguita da Ferratini per distillazione del cloridrato sulla polvere di zinco: C(CH.), C CH; 4N ANCH CHISCHeH, e. Coi. | A \/CCH3. NH N (1) Per la nomenclatura vedi la citata Nota di Brunner: Monatshefte fiir Chemie, 17, pag. 274. e pie Ma qui si potrebbe invocare la trasformazione piridica dell’ anello pirrolico e ricordare che assieme alla ay-dimetilchinolina si forma pure «$8-dimetilindolo. La base da noi ottenuta dal composto ossidrilico per riduzione con acido jodidrico e fosforo, che noi ci aspettavamo essere una dimetiltetraidrochino- lina, serebbe invece naturalmente la trimetilindolina: C(CH3), C(CH3), C(CH3); AN LS Ce H, CO Rae (67, Ji CHOH no (0% Jola CH, VA NA ù ; NCH; NCH; NCH; dalla quale col metodo di Herzig si ottiene la corrispondente dimetilindolina, il di cui cloridrato per distillazione sulla polvere di zinco dà, oltre ad una base chinolinica, «f-dimetilindolo : C(CH;); C CH; A AN Cs iHÉ CH, at 6 H, C CH, NA VA NH NH A questo proposito è da notarsi, che il composto ossidrilico stesso si trasforma in trimetilindolo colla massima facilità; come osservò il Brunner e come nol potemmo confermare, basta l’ ebollizione con acido cloridrico concentrato. Per questa ragione, riducendo il composto ossidrilico con acido jodidrico si ottiene, assieme alla trimetilindolina, sempre anche trimetilindolo. Accettando questa interpretazione della natura chimica dei composti in questione, resta naturalmente a risolvere l’altro problema non meno impor- tante, cioè quello della struttura della base primitiva, che si forma per azione del joduro metilico sugli indoli. Questa base, che fin ora venne considerata come una trimetildiidrochi- nolina, si forma dal trimetilindolo per azione del joduro metilico, per addi- zione del gruppo metilenico, CH». Ora, tenendo conto di tutti i fatti qui esposti, si potrebbe supporre, che la base, senza essere una diidrochinolina nel senso delle formole fin qui usate, corrisponda allo schema citato in principio di questa Nota, ammettendo che in luogo di un doppio legame essa contenga un anello trimetilenico : CH; C CH; C—CH, AN ATI (07 H, Cc CH, + CH;I = Ce H, C CH; A NZ NESSEDI CH, CH; Sas lr i Tutte queste considerazioni noi le esponiamo qui con la massima riserva, perchè, come si vede, il problema presenta singolari difficoltà, e perchè i fatti finora noti non permettono ancora una definitiva soluzione del medesimo. Però già ora crediamo di poter fare osservare che la formola enunciata in via d’ ipotesi, la quale naturalmente non è altro che la seguente: CH CCH; C C CH NCH, non sta senza riscontro nella chimica organica moderna; l' esistenza del gruppo trimetilenico viene ammessa in molti composti, come ed es. nel carone di Baeyer ('). Supponendo poi, che tanto nella riduzione, che nella ossidazione di questa trimetildiidrochinolina di speciale costituzione, si apra il gruppo trimetilenico in modo da lasciare illeso l’ anello indolico, si spiegherebbe facilmente la natura indolinica dei prodotti a cui essa in tale guisa darebbe origine: C CHy C(CH;), [CHo AN (07 J5L: (0; CH, | H, —_ C H, CHCH, A N CH, CH; C CH; C(CH;): C(CH;)» AN CRE CH IC: HLj SCOHCHEMN —. (CH. (60 DA CH; CH; CH; Lo studio dell’azione dei joduri alcoolici sugli indoli, si presenta ora, come si vede, sotto un nuovo punto di vista e perciò intendiamo proseguirlo nel prossimo anno accademico. (') Berichte 29, pag. 3 e seguenti. Meccanica. — Sulle vibrazioni dei corpi elastici. Nota di O. TEDONE, presentata dal Corrispondente VOLTERRA. 1. Abbiamo mostrato, in una Nota (') presentata, contemporaneamente alla presente, a codesta R. Accademia, come sì può pervenire alla integrazione delle equazioni del moto vibratorio per un corpo elastico isotropo. Nelle for- mole che abbiamo stabilito, i valori di «.v,w, nel punto (x1,%1, 41,4) dello spazio lineare (2,y,4,), sono determinati in funzione dei valori che u,v,w 6 le derivate di v,v,w, rapporto ad 4,7 ,4,f, prendono su due determinate porzioni di una varietà X a tre dimensioni dello stesso spazio (2,7Y,4,t) ed in queste formole le derivate, rispetto ad x,7,4, com- paiono aggruppate nelle espressioni di 9, w,x,0. Mostreremo ora come si possono stabilire delle altre formole in cui le derivate di u,v,w rap- porto ad 4,7, compaiono raggruppate come nelle componenti delle ten- sioni. 2. Scriviamo perciò le nostre equazioni nella forma seguente: ar O, Sa dla _ (1) x da dai nio pren uo +3 DA A pla A pla doo _ con d 000 —u=—t&=a(Î ob È. — tn=(°—2a")0+-2a de —mu—tne(î +3), Se indichiamo ancora con S, una porzione dello spazio lineare (2,7,2,%) limitata da una varietà X a tre dimensioni soggetta alle solite condizioni generali, con 4, v", w' un sistema di tre funzioni regolari in Sy come wu, v,w, distinguiamo con un accento le quantità che dipendono da w',v',w', ed in- (!) Sulla integrazione delle equazioni della elasticità. (3) Sq È Il VIRILE 8-({14% Ù ) 1+(x SRO ER dichiamo con la direzione positiva della normale a X diretta verso l'in- terno di S,, possiamo facilmente stabilire la formola fondamentale seguente : JET +(N M dv di ; ting di da)? 0+(N a) Lim dn à cia Me ofaz—o di dn 2WwW mi di dn (Xu +Yv'+Zw') dS4 +I( dove: dy da d d dz Ù io, +aÉ ) vr da ha dn DE ta i dn Do a de” Notiamo ancora che se @ (£, @,y,) indica un integrale particolare del- l'equazione (5) e poniamo: = [bt t), di Z,YyT_Yy8T5]) ge IAT) LYTYETE] dove (#1, %1,%1,41) sono le coordinate di un punto fisso del nostro spazio a quattro dimensioni, saranno: le E E ORI, IT dI dY dE pera e dP2 de dp. (6) i d8 dY dg 2 U3 = >) Va ) n (ge Dio Z dI BICE BICE Ua, = 3, Va 3 = 0 bi dY i dI de quattro sistemi di integrali particolari delle equazioni (1) quando si ponga re 3. Prenderemo per g la funzione (7) sicchè risulti: _P AH ACI te = ner DIrA cli) IEP, = Va} +MyY+_9 ed applicheremo la formola (3), dapprima, al sistema di funzioni w,0,w, RENDICONTI. 1896, Vol. V, 2° Sem. 8 SAS al sistema %,,v,,%, corrispondente alla funzione g data dalla (7), ed allo spazio S',, limitato dalla varietà conica C (8) aid) SS), dalla varietà cilindrica € (9) r—s e dalla porzione 2°, di una varietà X a tre dimensioni soggetta alla condi- zione di essere incontrata in un solo punto da ogni parallela all'asse 7 e di non essere toccata dalla parallela a quest’ asse condotta pel punto (41, %1, 1,41). Supporremo inoltre che in S',» sia sempre 4, > e chiameremo 3}, 3} le porzioni di C e e che insieme a 2”, limitano completamente S',,. Prima di passare a tirare le nostre conseguenze dalla formola (3) osser- veremo che, corrispondentemente alle funzioni : 2 2 2 2 U = 1 b (fi t) x Ie Di 1 dò (ti t) Uso p? r ge a CO) | b( 0)? | er sì ha, su di una varietà di rotazione intorno alla parallela all’ asse # condotta pel punto (1 ,%1; 1,4%), come è il caso appunto delle varietà C e c: 2 ILA Le a og3 20 (0a i) da Wi 1 r dn ni da (11) M, = — 2 (5° — Que) 1 dl — gga SA O dy N, ——2(8- 20) das DUTY de, La (3) nel nostro caso si scriverà intanto (eo ei (12) Sito Z+Sbt+ > ( dui di dvi di dwi 3) | I - ({@ 2424 (+24 (N Sid, 0. es SUGSFRSIONaE U,== Vi = Wi = 0 e per le (11) duidi 4a’da db (ti 1)? aL [È ty, —tdt Saia — LI | op S| — 2 |20, Li PIA IA ZE ni 2; r , per essere die. GE CRI di ipo di YItR Similmente si troverebbe: dI dt dQWI di M, 0 = TSI né dre SALA nasa sicchè ne viene che l'insieme degli integrali estesi a 2} che compaiono in (12) si riduce a zero identicamente. TIRA AA i i MO L'insieme degli integrali estesi a 3}', osservando che su c è —=0, dn dr 0 ; pri 1, si riduce, invece, a n fe + Mo + Nw,) 435 — | (Liu + Mv + Nw) d3y = tI DI Zh (Ad ai Oi 2 dude dv dy dw de b°(t,—0)? trI 7 1a s Ja i Li 16 dr Arg drdr Ha RE isa sil 2h o Facendo impiccolire « indefinitamente si trova subito : Ù ta fe i (ii LL; e |axl = dat (YU Y1381) 1) di NC, lo E da de d3y' : tm {(& ino 04 dA r SA Vili Zh (14) | Per trovare il limite degli altri due integrali cominciamo col dire che noi supponiamo «,v,w funzioni finite e continue insieme alle derivate par- ziali del primo e del secondo ordine rispetto a tutte le variabili 2,7,4,4 anche nella porzione del nostro spazio a quattro dimensioni limitato da C, X e c in cui è verificata la condizione ” = #. In questa ipotesi, indicando sem- plicemente con x i valori che questa funzione acquista su 3}, si potrà scrivere = RO, 0) IW(L1YLent) de, IWLY Est) dYy | Meyers) de A n 07.7 ha IU LL1Y Lt) A 2 cf [ da dr st Ya dr i MAr dr nre A essendo una quantità finita. In virtù della formola testè scritta si avrà: duda Me) SULA Sal 7? Jai We III 1 ; b*( net [ta Yet)de | W(1Y1818) Li W(L1Y1EÎ) de | AR Log 190139) PNT IO, d î | 22]; SL dY1 n dY PRIDE dé Tsi di 0 essendo © la superficie di una sfera a tre dimensioni di raggio uno e £ il valore di { che corrisponde alla intersezione di X con la parallela all'asse % condotta pel punto (4,,%1,%1,%). Quindi, poichè: de ro (Lin (Ero (LU dy da | (ded PUO i da <| a =|fe dr {a dr Ha [fio dr * -=(£ go TO da? io = | (& dr {(G)2 -{(0) ={(f)-7 risulta subito du da b(ti—t) LETALI SICA 5 U(L1:Y1 81 A) ef È dr E DUET i Pi ala DI da de Se applichiamo questi ragionamenti a ciascuna delle parti che compon- gono i due integrali che compariscono in (13) e di cui cerchiamo i limiti, si trovano facilmente le due formole : t duda dvdy dwdz b*(t ai (0 n im ( (3 nu ar dr ms li Pai sa oi 3 {CP 0 DA (15) Si i): d I”) bè im | ali E Ly DL Si) jo #0 Sica 0(21,Y14,,t)dt . E=0 PIA Riunendo questi risultati possiamo dunque concludere che l’ insieme degli integrali estesi a Xy", quando « =0, si riduce a î, (16) 4rh* (fn si i 0, ) Yi GIU t) di to per cui, se indichiamo con S,,, e 2, ciò che diventano S» e 2 quando «= 0, potremo scrivere la formola (17) 4nb* _ 0(21,Y1, 81,8) == {(in+ Yo t0) dS.» Ss, -{ fi 26-40) ui + (+32) + (N44), fa ( da di) wi dA wi DA) a | anvri (dai Cl aneeie r da RC) È facile vedere che 11 limite dell’ ultimo integrale, in questa formola, è finito. Se indichiamo, infatti, con wo, %v,wn i valori di w,v,w nel punto (1, Y1, 81, to) @ facciamo nelle formole precedenti : U=Uo, V= Va, W= Wo, troviamo o (| e=0 per cui uo dv di ( da di) | Dea, di e im | ira ee ia 39 dudit dvx dt dwidt fil Si) + SAC E 2)H(N t3r da Je 1) 0 > e l’ultimo integrale è certamente proprio. 4. Andiamo ora a stabilire delle formole analoghe alla (17) per le espressioni : (18) o=3(2_ È sl O] mind TEL) ei a 30 Sa oa Applicheremo perciò la formola (3) al sistema di funzioni «,v,w0, al si- stema di funzioni ws , 02, w0:, corrispondenti alla funzione 4 data dalla (7), ed allo spazio S', a limitato dalla varietà conica C' alti —t) (19) Gp dalla varietà cilindrica ec e dalla parte 2°, della stessa varietà X di prima e chiameremo 27,2% le parti di C' e di c che insieme a 2", determinano il contorno completo di S',4. In questo caso abbiamo: 2 ASIAN do. LANA e (20) u,=0, ve = — na d) i Di di Wa -|i _ Ci) d) a p* ( du, di DO Dadi Von ( Mustara di du OE E di dn Cr Boi % dn conio) —1=0, e corrispondentemente su C' e e dra — 8 1,01) | Rae i P dryT% IL (0)? en PRO RO Cs E S___ 4 | Ne Vin r | r a 78 i a (3), in queste ipotesi, si scriverà (21) 3 du di dw dt i + Zwa) dS 4 Ji M aper dI mL Va an (x CY DI aL, 4 dla S a+Za (22)/ Se | 7 dw2 di) ) DE | -|| Lin (1 dd ni dn (N eri d o) ati ra w” III Z'atZatZa e gd Ora suse: 20, — 06M =-0 dv di _ Rim SC Gbit sla AMTO —t) td _ dEi - Pn ra — xe col Ja r? dn r da du quindi l'insieme degli integrali estesi a 2% che compaiono in (22), è identi- camente nullo. L'insieme degli integrali estesi a Zz, invece, ricordando che su 3% SIT è dt dr 0: nine 05 T — il si riduce a (23) _ 1] (Mv + Na0) dX/ + (0% + Nw) dt = de dy PSI (ti == D)È de o III 2 Dova per li te A 4 SO ae CE “((© TR w 2) E BI) il na ( di ag diaz; Li Sa -aA dy de Uli dv dw rri = — 2 A 2 n 2 (6° — 2a ii ax —_2 "(( va + dr 02 )az: INI x LÀ 9 da dy III 3% Ses inni DAL TR (x re A) Ù | dS-RE : dz dy\ dXx° im | ( api n) P_ =% t ti 1) di rr 87 i im | e Vr e uil GI 334 to ti (1° D(11Y1, 81,6) dt, de a) rrI N et) o+(x7 —nÉ 2) wo |a ae) tai CA o 3 (CDA) to SE (A mentre è identicamente dy de _ Oalgg Da dr i sicchè, per e = 0, l’espressione (23) si riduce a Ù Srat|\ (0° D(21,Y1381Ì)- 1) Se dunque indichiamo con Sa, Za ciò che diventano S'4,a, 2" quando e tende a zero potremo scrivere la formola ti (24) 87 (o D(d1,Y1381) )dt=— (Yvs + Zws) dS4,a t (U) Sia -|| DI di dn OP Oa di da) dTa “a 5 dv» di dwe di : it (fe + (1; Daly 4 (N: + = Pio (dX,. a Come prima si vede facilmente che l’ultimo integrale è finito. Le altre formole, relative a y e 0 che si potrebbero stabilire diretta- mente partendo dagli altri due sistemi di funzioni 43,03, W%3; %4, Va, W corrispondenti alla funzione g data dalla (7) si otterranno dalla (24), facil- mente, con lo scambio circolare delle quantità X,Y,Z;w,0v,w e col mu- tare l'indice 2 successivamente negli indici 5 e 4. 5. Derivando una volta, le formole (17), (24) e le analoghe in y e o, ri- spetto a 7, e indicando con 870° T, Szra? P, Szra°(, 8a R i secondi membri delle formole che così risultano, si può scrivere: di MIC => t) 6(%, ) Ya 381 , 9) di n T to ti Ùù (26) da (=) W(d1:V1,8110) dti, 20. (0-0 x(ciyst) di=Q, t 0 ù 20 (li Det ‘Yi 1831, i)dit=R. Ì lo Da queste formole, operando come nella Nota citata in principio, si de- terminano facilmente i valori di %,v,w nel punto (#1, %1,1,%) nel modo voluto. Matematica. — Sulla trasformazione delle equazioni lineari omogenee alle derivate parziali del secondo ordine con due va- riabili indipendenti. Nota del dott. OnoraTO NiccoLETTI, presentata | dal Socio Lurci BIANCHI. Meccanica. Sul moto di un corpo rigido intorno ad un punto fisso. Nota di T. Levi-CIvitA, presentata dal Socio BELTRAMI. Meccanica. — Su! moto dei sistemi con tre gradi di libertà. Nota di T. Levi-OrvitA, presentata dal Socio BELTRAMI. Queste Note saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. Fisica. — Variazione secolare dell’ inclinazione magnetica. Nota del dott. G. FOLGHERAITER, presentata dal Socio BLASERNA. Le prime misure dell’ inclinazione magnetica furono fatte a Londra da Roberto Norman nel 1576 e da Gilbert nel 1600 (!). A Parigi le osserva- zioni di questo elemento magnetico furono incominciate solo molto più tardi. nel 1671, e da quest epoca si ha una serie di misure, dalle quali si deduce, che l'inclinazione andò ivi costantemente diminuendo in modo che da 75° è ora ridotta dopo due secoli ed un quarto a 65°5'. Anche nelle altre località d'Europa ove furono fatte analoghe misure si è trovata per l inclinazione una diminuzione continua, ma non è ancora bene conosciuta la legge, secondo la quale essa varia col tempo. Se dai valori ottenuti per l’ inclinazione a Londra da Norman e Gilbert, che sono per le epoche 1576 e 1600 rispettivamente 71°50' e 72°, si voles- sero dedurre i corrispondenti valori per Parigi, ammettendo in prima appros- simazione, che la differenza d’ inclinazione magnetica tra Parigi e Londra sia stata allora quale è oggi di circa 2°, si avrebbe persili15:76.. Men e 000501 ” 600 i 000] Ne verrebbe di conseguenza, che l'inclinazione magnetica nel secolo XVII avrebbe dovuto crescere per raggiungere il suo massimo, probabilmente assai vicino al valore trovato nel 1671, per poi diminuire continuamente. Ad onda degli errori molto grandi da cui potevano essere affette le prime misure dell’ inclinazione sia per il modo di calamitare e sospendere gli aghi, sia per altre cause a noi ignote (*), questa conclusione non deve essere giu- dicata troppo azzardata: essa trova conferma nel fatto dell' uso continuo della (*) I. C. Poggendorfî, Geschichte der Physik, p. 278 e seg. Leipzig, 1879. (2) Lo scopritore dell’ inclinazione Hartmann (nel 1544) aveva osservato, che un ago di declinazione s' inclinava, dopo essere stato magnetizzato, di circa 9°. Vedi Poggendorfî, op. cit., pag. 277. 37 O bussola dal secolo XIII in poi. Se l'inclinazione magnetica nei secoli ante- riori al 1600 avesse avuto dei valori più grandi che dopo tale epoca, e se le sue variazioni fossero state dell’ ordine di grandezza che le attuali, il polo nord magnetico si sarebbe avvicinato assai all’ Europa, ed i navigatori dei mari posti alle latitudini anche di poco superiori a quelle di Parigi e Londra avrebbero dovuto nei loro viaggi accorgersi, che l’ ago magnetico delle loro bussole in certe regioni assumeva posizioni quasi indifferenti (dove l’ inclina- zione era press a poco 90°, e perciò la componente orizzontale del magneti- smo terrestre era circa zero), e che attraversando da una parte all’ altra quelle regioni l'ago della bussola girava di 180°. Tali rapide variazioni non sa- rebbero certamente sfuggite a persone pratiche nell'uso della bussola come lo sono i marinai; ed è da credere perciò, che l’ inclinazione magnetica dal XIII secolo in poi non ha mai raggiunto il valore di 90" nell’ Europa e nelle regioni solcate da navi europee. Sull’andamento dell’ inclinazione magnetica non si hanno altre notizie, ed anche le misure degli ultimi anni sono insufficienti per stabilire, quale sia la forma e l'estensione del suo ciclo. Tuttavia le serie di osservazioni fatte negli osservatorii magnetici furono utilizzate per calcolare mediante for- mole empiriche il valore dell'inclinazione per una data località in un’ epoca qualunque. Coll’ aiuto di queste per esempio si è trovato, che il minimo del- l'inclinazione a Berlino cadrebbe nel 1902 col valore 66°38': per Gottingen Kohlrausch ha dato come minimo il valore di 65°50' per l’ epoca 1935: Chi- stoni ha calcolato, che il minimo d' inclinazione avverrà per Milano nel 1910, per Padova nel 1930, per Venezia nel 1960 (!). Ma per mostrare quanto poca fiducia si debba porre nei valori ottenuti da formole empiriche, le cui costanti sono calcolate su dati sperimentali poco numerosi, forse non ancora sufficientemente precisi allo scopo e talvolta non confrontabili neppure tra loro, perchè ottenuti con istrumenti diversi, aggiun- gerò ancora, che Eschenhagen ha dedotto come epoca del minimo a Wilhelms- haven l’anno 1889,1. Ora da un lavoro di Schick (*) che riassume le varia- zioni dell'inclinazione magnetica in Europa dal 1885 al 1893 si ricavano per questo elemento magnetico in quella località i seguenti valori: noise Re 605 A no ISS9R 06807255 TN S OR I OIT0LO ai ME SO e 005959 3 IST fMSRSTESSCERZO) n SSD e LOCO 6 mp SS 08013 200 NSOE ODO che mostrano chiaramente, come l'inclinazione magnetica non ha cessato di diminuire. Dallo stesso lavoro di Schick s'impara, che nei varî osservatorî provve- duti di istrumenti discretamente sensibili le variazioni d’ inclinazione fra un anno e l'altro nella stessa località differiscono di quantità discretamente (1) G. Neumayer, Atlas des Erdmagnetismus. Gotha, 1891, pag. 10. (?) Die Aenderung der Elemente des Erdmagnetismus in Europa. Meteorologische Zeitschrift, vol. XII, 1895, pag. 318. ReNDICONTI. 1896, Vor. V, 2° Sem. 9 eg grandi tra loro. E quantunque la misura di quest’ elemento magnetico sia piuttosto difficile, pure è probabile che le differenze in parte almeno siano reali, e che la legge secondo la quale varia l’ inclinazione anche entro limiti di tempo abbastanza ristretti, non sia così semplice da essere rappresentabile con una funzione di 2° grado. Io credo d'aver trovato un metodo indiretto per allargare le nostre cogni- zioni sopra le variazioni secolari dell’ inclinazione magnetica. Esso è basato sulla proprietà, che hanno le argille di magnetizzarsi durante la cottura e di conservare perennemente il magnetismo acquistato per l’azione induttrice del campo magnetico terrestre (almeno fino a che non vengano nuovamente riscaldate ad alte temperature o sottoposte all'azione di campi magnetici in- tensi). Ora sono pervenuti fino a noi intatti, perchè dimenticati sotto terra nelle tombe antiche, degli oggetti di argilla cotta di cui possiamo conoscere entro limiti relativamente ristretti l’ epoca ed il luogo della loro fabbricazione. Essi portano con sè come carattere indelebile l’orientazione del magnetismo ter- restre in quell'epoca e di quel luogo, e se noi siamo in grado di stabilire con certezza la posizione, nella quale tali oggetti erano stati collocati durante la cottura, possiamo dedurre dall’orientazione del loro magnetismo la dire- zione della forza magnetizzante, che su di essi ha agito. È certo difficile giudicare ora sulla posizione, nella quale erano stati col- locati entro la fornace molti degli oggetti di terracotta, che ornano ora musei pubblici e privati presso tutte le nazioni civili : ma per alcuni di essi, come vedremo, in base a dei criterî razionali è impossibile non ammettere, che non siano stati disposti entro la fornace coll’asse sensibilmente verticale. Prima però di esporre quali sono stati i criterî, che mi hanno guidato nella scelta del materiale da sottoporre ad esame, ed i risultati ottenuti, credo opportuno studiare: 1.° Se l’orientazione attuale del magnetismo negli oggetti fittili antichi corrisponde realmente a quella del magnetismo in essi indotto nell’ atto della cottura; il che vuol dire, se e fino a qual punto la forza coercitiva delle ar- gille cotte ha resistito all'azione induttrice continua del magnetismo terrestre. 2.° Con quale esattezza si arriva a determinare sperimentalmente la direzione di un campo magnetico inducente dall'orientazione e distribuzione del magnetismo da esso indotto in oggetti di varie forme e dimensioni. I. Forza coercitiva delle argille cotte. Già R. Boyle (') alla fine del secolo XVII sapeva, che i mattoni durante la loro cottura diventavano delle vere calamite permanenti, e che l’ orientazione del loro magnetismo era conforme alla direzione del campo magnetico terrestre. Molto posteriormente Beccaria, al quale probabilmente non era nota la scoperta di Boyle (così almeno appare da una lettera, che egli scrisse al conte Luigi Cotti (2)), riporta alcuni casi in cui mattoni, che erano stati fulminati, 0 Observations sur la Piysique ecc. vol. X, 1777, pag. 14. Vedi pure questi Ren- diconti, serie 5%, vol III, 2° sem. 1894, pag. 169. (2) Observations sur la Physique, ecc. vol. IX, 1777, pag. 382. li; (30) cea possedevano del magnetismo permanente: ma egli non sapeva, che tale ma- gnetizzazione si producesse anche per effetto della cottura, e solo attribuiva al mattoni fulminati una forza coercitiva più o meno grande secondo il mag- giore o minor grado di cottura avuta nella fornace. Si deve al Gherardi (') uno studio abbastanza importante sul magnetismo delle terre cotte. Egli ha confermato l’ esistenza del magnetismo dei mattoni, ed ha trovato, che questi « rzfeagono (il loro magnetismo) tenacissima- « mente e mel senso fisso in cui lo concepirono, qualunque sia poi la dire- « zione, che loro si dia nel metterli in opera, in cui siano lasciati anche per « secoli, o che ne venga pure le cento volte tramutata col tempo». E dal- l'esame di altri oggetti di terracotta, stoviglie, ecc. provenienti dalle più sva- riate regioni d' Italia, Egitto ecc. e fabbricate in epoche molto diverse inco- minciando dall’ attuale fino ai tempi dei Romani, Etruschi, ha concluso che il magnetismo permanente si riscontra in ogni sorta di vasi (escluse le sole porcellane) di tutti i tempi e di qualsiasi paese. In realtà però le ricerche fatte dal Gherardi banno avuto quasi esclu- sivamente l’ obbiettivo di dimostrare l’ esistenza di magnetismo permanente (bipolare) nelle argille cotte e di vedere la sua influenza sopra le misure degli elementi magneto-tellurici entro gli edificî: il fatto invece che le argille cotte ritengono il loro magnetismo tenacissimamente e nel senso fisso in cui lo concepirono, è piuttosto accennato che dimostrato. È scopo mio di studiare se e fino a quale punto la forza coercitiva delle terrecotte, che da remotissimi tempi sono giunte fino a noi, ha resistito al- l’azione induttrice continua del campo magnetico terrestre, al quale sono state sottoposte in tutto l'intervallo di tempo trascorso dall’ epoca della loro cottura ai giorni nostri. Innanzi tutto credo necessario di stabilire il significato di forza coerci- tiva, che non viene adoperata dai varî autori sempre nello stesso senso, e che fino a pochi anni addietro non era una quantità sottoposta al calcolo. Generalmente s'intende per forza coercitiva la resistenza, che si oppone all'orientazione del magnetismo in una sostanza magnetica posta in campo magnetico, oppure la resistenza alla disorientazione del magnetismo quando la forza magnetizzante cambi direzione o cessi d’ agire. Da altri si definisce ancora la forza coercitiva la proprietà, che possiede un corpo magnetico di acquistare per l'azione di un campo magnetico una maggiore o minore quantità di magnetismo permanente (?). Con questa defi- nizione sì mette in relazione il concetto della forza coercitiva con quello della suscettività magnetica. () Sul magnetismo polare di palazzi ed altri edifizi in Torino. Nuovo Cimento, vol. XVI, 1862, pag. 384. — Sopra una speciale esperienza attinente al magnetismo delle terrecotte. Id., vol. XVIII, 1868, pag. 103. (2) A. L. Holz, Veber die Coercitivkraft des Magneteisenstein und des glasharten Stahles. Wied. Ann. vol. V, 1878, pag. 169. Anche A. Abt in una sua Nota: Veber das magnetische Verhalten des moraviczaer Maynetits im Vergleich zu Stahl. (Wied. Ann. vol. XLV, 1892, pag. 88), implicitamente ritiene come valore della forza coercitiva la mag- giore o minore quantità di magnetismo permanente acquistato per induzione. Satira Le due definizioni della forza coercitiva rappresentano evidentemente due cose diverse. Teniamo presente il ciclo scoperto e studiato da Ewing, che dà le variazioni d’ intensità di calamitazione colla forza magnetizzante : Se le ascisse rappresentano la forza magnetizzante e le ordinate l’ intensità B di calamitazione prodotta, nel primo caso è defi- nita e determinata la forza coercitiva dal valore dell’ ascissa corrispondente all’ ordinata zero, 0s- sia è rappresentata dalla forza necessaria per togliere ad un corpo magnetizzato il suo magne- tismo permanente: nel secondo caso invece la forza coercitiva è definita e misurata dall’ ordi- nata OB all'origine, che rappresenta il magne- tismo permanente della sostanza dopochè ha cessato d’agire la forza magnetizzante. Io mi atterrò al primo dei due modi di definire la forza coercitiva, che risponde meglio all'antico concetto generico, il quale delineava la differenza intrinseca tra il comportamento del ferro e dell’ acciaio. Le cause, che possono avere influito per fare variare l’ orientazione del magnetismo permanente nelle terre cotte antiche sono essenzialmente la tem- peratura e l’azione del campo magnetico terrestre. Esaminiamo singolarmente i possibili effetti dovuti a queste due diverse cause. È noto, che la forza coercitiva di una sostanza dipende essenzialmente dalle condizioni termiche, nelle quali si trova. Così nel ferro dolce essa è assai piccola ancora a temperatura ordinaria, mentre nelle stesse condizioni è grande nell’ acciaio; ma se questo viene riscaldato, la sua forza coercitiva va successivamente diminuendo, e viene con ciò sempre più reso facile il com- pito delle forze orientatrici, tanto che a 300° una sbarra di acciaio può essere calamitata per la sola azione del campo magnetico terrestre comportandosi come il ferro dolce (!). L' ossido ferroso-ferrico (magnetite) che costituisce la sostanza magnetica più importante, e forse l’ unica, delle argille cotte, si com- porta come l’ acciaio, solo la sua forza coercitiva è un po' minore come risulta dai lavori di Holz e di Abt(?). Nel caso dei vasi fittili antichi, dopochè hanno subìta la cottura e sono stati quindi magnetizzati, le variazioni di temperatura sono comprese entro limiti abbastanza ristretti e conosciuti, perchè sono dati dalle variazioni mas- sime di temperatura nelle varie ore di un giorno e nelle varie stagioni di un anno, e noi possediamo indizi sicuri, che tali variazioni circa 25 0 30 (') G. Poloni, Sul magnetismo permanente dell'acciaio a diverse temperature. Me- moria della R. Acc. dei Lincei, Classe Scienze fisiche ecc. 32 serie, vol. XII, 1882, pag. 481. (2) Vedi memorie citate. Potrebbe nascere il dubbio, che l’ossido ferroso-ferrico, che si forma per reazioni chimiche durante la cottura delle argille, non si comporti come la magnetite naturale. Per levarmi il dubbio feci una serie di esperienze i cui risultati ver- ranno più oltre riportati, che avevano appunto lo scopo di vedere fino a quale tempera- tura si potea impunemente riscaldare un pezzo di argilla cotta, senza che l’induzione terrestre ne disorientasse il magnetismo. RIT secoli addietro non erano molto diverse dalle attuali. Anche nei vasi fittili perciò come nelle calamite comuni, si sarà stabilito dopo un certo numero di anni uno stato normale di calamitazione corrispondente alle massime varia- zioni di temperatura, saranno state cioè eliminate un po’ alla volta le varia- zioni transitorie del magnetismo, rimanendo unicamente quelle permanenti, che stabiliscono il valore del coefficiente termico delle sostanze stesse. Per questo riguardo quindi non c' è da temere che l' orientazione del magnetismo nei vasi antichi abbia potuto variare. Prima di esaminare se ed in che modo l’azione induttrice del campo magnetico terrestre continua per tanti secoli ha prodotto notevole cambia- mento nell’orientazione del magnetismo delle terre cotte, devo fare notare, che quantunque di quella forza siano state studiate le variazioni soltanto da poco più di mezzo secolo, pure è lecito arguire che anche all’ epoca etrusca e romana la sua intensità non doveva essere, almeno nell’ Europa meridio- nale, di molto superiore all'attuale. Esaminando le ricerche fatte sul valore della componente orizzontale nei varî paesi d’' Europa (!) si trova quasi con- cordemente, che la variazione annua di tale. elemento magnetico si aggira attorno al valore medio + 0.0002, ed in questo numero è compreso pure l’'au- mento che deriva dalla diminuzione dell’ inclinazione. Anche se si volesse supporre, che l' intensità partendo dall'epoca attuale e ritornando indietro verso i primi periodi della civiltà abbia avuto un valore sempre più grande, si arriverebbe alla conclusione, che trenta secoli fa essa sarebbe stata ancora minore di un'unità (C. G. S.). A maggior ragione si arriva a questa conclu- sione se si considera, che ora siamo in un periodo di aumento dell’ intensità, e che quindi per lo addietro, almeno fino a mezzo secolo fà, il suo valore era più piccolo che al presente, e che probabilmente anche l’ intensità come gli altri elementi magnetici percorrerà un ciclo chiuso. Non voglio dare a questa conclusione un peso maggiore di quanto possa valere, solo m' interessa di fare notare, che anche nella peggiore ipotesi la forza magnetica della Terra molti secoli addietro era come ora di gran lunga inferiore al valore della forza coercitiva dell’ acciaio e della magnetite, alla forza (*) cioè necessaria per annullare o cambiare orientazione al loro magnetismo. (1) G. Neumayer, op cit., pag. 13. (2) Che campi magnetici deboli siano insufficienti a far variare a temperatura ordi- naria l’ orientazione del magnetismo permanente nell’ acciaio e perfino anche nel ferro è stato dimostrato sperimentalmente. Dagli studî fatti da Rowland risulta, che il magnetismo indotto sviluppato da deboli campi magnetici è temporaneo, e che coll’ acciaio il fenomeno si manifesta meglio che col ferro. Vedi Rowland H. A. On Magnetic Permeability and the Maximum of Magnetism of Iron, Steel and Nickel. PhilosophicalMagazine, 4* serie, vol. XLVI, 1873, pag. 155. — Anche E. Dom ha trovato, che il momento magnetico per- manente delle calamite temperate non prova alcuna variazione permanente quando lo si sottometta per più ore all’azione della componente verticale del magnetismo terrestre. Vedi: E. Dorn. Beitràge sum Verhalten harter, stark magnetisirter Stahlstibe gegen schwache magnetisirende Krifte. Wied. Ann. vol. XXXV, 1888, pag. 275 — Del resto anche nella pratica delle misure è a priori ammesso, che alla temperatura ordinaria piccole forze magnetizzanti non producono magnetismo permanente. Se non fosse così, non si potrebbero trasportare i nostri istrumenti magnetici, di cui colla massima cura abbiano determinato le costanti, in carrozza od in ferrovia per il pericolo, che il momento magnetico delle sbarre possa cambiare per l’azione induttrice di masse di ferro o d’ acciaio: non si po- trebbe avvicinare ad una calamita un pezzo di ferro dolce per farlo oscillare, ed ogni mi- sura sarebbe resa assolutamente impossibile o senza valore. DIR TO A conferma che realmente la forza magnetica terrestre anche all’ epoca etrusca e romana era relativamente piccola e certo insufficiente a produrre qual- siasi variazione nella distribuzione del magnetismo delle terre cotte, sta il fatto che mattoni messi in opera nelle costruzioni all’ epoca della Repubblica o dell'Impero romano e rimasti nell’identica posizione fino ad oggi, si mostrarono magnetizzati in tutte le possibili orientazioni rispetto alla direzione attuale dl campo magnetico terrestre. Esistono in Roma e nella sua Campagna in numero grandissimo avanzi di monumenti, ville, sepolcri, alcuni anche di data certa, i quali sono costruiti in tutto od in parte di mattoni, che senza alcun dubbio non sono stati mai smossi dal posto, in cui furono collocati nella costruzione. Ho staccato da varî mattoni un piccolo pezzo di forma a press’ a poco di parallelepipedo, e ho avuto cura di fissare con appositi segni le direzioni, che i singoli pezzetti avevano sul monumento nel senso dell’ altezza e da nord a sud. Determinai in questi all'ingrosso la direzione del loro asse magnetico, cer- cando coll’aiuto di un intensimetro a deflessione (est-ovest) le due regioni di massima azione sud e nord. In tal modo ho trovato, che l' orientazione del magnetismo nei diversi pezzi non corrisponde ad una direzione fissa, ma varia invece da pezzo a pezzo, senza che ne predomini alcuna. Così in alcuni casì l’ orientazione del magnetismo era proprio opposta a quella, che dovrebbe essere secondo la direzione attuale della forza magnetica terrestre, in altri casi nel senso di questa, in altri ancora normale ad essa e così di seguito. Ciò era da aspettarsi perchè nelle costruzioni i singoli pezzi sono stati messi al posto indipendentemente dalla posizione, che avevano nella fornace; ma nel medesimo tempo questo fatto dimostra, che il magnetismo dei mattoni poste- riormente alla loro messa in opera non è stato disorientato dall’ induzione terrestre, perchè altrimenti essi fatti tutti di una stessa sostanza, cotti tutti nello stesso modo si dovrebbero trovare tutti magnetizzati colla stessa orien- tazione (!). (1) Quanto risulta e si verifica per i mattoni, si riscontra pure per il tufo e la lava basaltina. Anche queste due specie di roccie vulcaniche hanno conservato, almeno dal- l'epoca romana in poi, ossia da oltre 26 secoli, l’ orientazione del loro magnétismo inal- terata. Ho esaminato l’ orientazione del magnetismo in piccoli parallelepipedi di tufo stac- cati dai grossi massi delle prime mura, che circondavano la Roma quadrata, dai massi che formavano la gradinata d’ accesso all’ ara di Vesta nel Foro romano ed al tempio di Vesta a Bocca della Verità, dalle mura di Servio Tullio, dall’ acquedotto di Claudio, dal Colosseo, ecc., ed ho trovato che anche qui l’ orientazione varia da pezzo a pezzo. Così pure dai numerosi avanzi di muro in calcestruzzo ho preso dei piccoli pezzi di lava basal- tina, che trovai magnetizzati come i mattoni ed il tufo, in tutte le orientazioni possibili. Ed è noto che anche Melloni esaminando l’ orientazione del magnetismo in pezzi di leu- citofiro ed in altre qualità di lava estratti dalle pareti dell’anfiteatro di Pompei, ha tro- vato che erano calamitati sotto qualunque inclinazione risp'tto all’ orizzonte. Ma mentre qui abbiamo una prova non dubbia, che i pezzi di tufo staccati dalla roccia viva da almeno 26 secoli hanno conservato i loro assi magnetici nella posizione primitiva indipendentemente dalla nuova orientazione in cui furono posti nelle costruzioni, d’ altra parte siamo anche certi, che il magnetismo in quei giacimenti di tufo, per i quali è necessario ammettere che la loro posizione attuale sia diversa da quella, ove caddero in origine le materie vulcaniche, deve avere subìto sotto l’azione del campo magnetico ter- restre delle successive e nuove orientazioni. Si hanno cioè dall’ epoca delle eruzioni vul- caniche fino a noi due periodi di comportamento diverso del magnetismo nei tufi: nel primo periodo questa specie di roccia vulcanica si trovava in condizioni tali da dovere cedere alla forza magnetizzante terrestre; nel secondo periodo ha resistito e conservato il proprio magnetismo. Lo stabilire il limite, anche con una larga approssimazione, tra questi due ri Ho voluto ancora esaminare, se anche nei vasi etruschi dei quali alcuni risalgono almeno ad 8 secoli a. C., la forza coercitiva abbia resistito all’ azione del magnetismo terrestre. In questi ultimi anni furono scoperte nelle necro- poli dell’ antica Narce (oggi Calcata) e di Falerii delle tombe etrusche ver- gini, mai cioè fino ad ora toccate dall'uomo. La suppellettile fittile fu na- turalmente trovata al posto come fu collocata accanto al cadavere, e si ha quindi la certezza sulla sua posizione durante tutti i secoli passati dall’ epoca della civiltà etrusca fino al presente. Degli oggetti di varie tombe furono anche fatti i disegni nella posizione e disposizione precisa, nella quale erano stati collocati entro la tomba (!), ed al presente chi visita il museo di Villa Giulia in Roma, trova tali oggetti ordinati in modo ammirevole tomba per tomba, e collocati come lo erano nelle tombe secondo lo scopo al quale servivano. Ho determinato con cura l’ orientazione del magnetismo in molti di questi oggetti (*) e riporto come esempio alcuni risultati : Nella tomba XVIII di Narce a pozzo con loculo votivo, appartenente proba- bilmente all’ VIII secolo a. C., erano stati collocati varî oggetti; tra questi due tazze ad alto piede (n. 21 e 22) a copertura bianca con ornati geometrici di rosso. Una di esse (n. 21) fu trovata magnetizzata come se l’ azione induttrice fosse stata press a poco orizzontale; l’ altra mostrò al di sotto decisamente un polo sud, di sopra un polo nord. Anche le tazzine n. 23 e n. 24 avevano decisa- mente il polo sud al di sotto, il nord al di sopra. Invece i due vasi (crateri) collocati sopra i sostegni n. 17 e n. 19 al centro della base avevano un polo nord all’ orificio superiore un polo sud. Il cratere della tomba vergine XXXII di Narce appartenente all’ VIII secolo a. C. posto col suo asse verticale sopra il sostegno fu trovato magne- tizzato come se la forza induttrice avesse agito in senso orizzontale. periodi è cosa assai difficile per non dire impossibile, almeno per ora, giacchè qui entrano in gioco principalmente tre fattori, la temperatura, la forza magnetica terrestre e la durata di quest'azione, di nessuno dei quali conosciamo il valore dall’ epoca delle eruzione fino alla comparsa dell’ uomo. Io volli tuttavia fare un tentativo per vedere se la magnetite contenuta nelle roccie vulcaniche perdesse la propria orientazione sotto l’ influenza del magnetismo terrestre, qua- l.ra fosse tenuta ad una temperatura sufficientemente alta, ma non superiore a 100°, per un tempo abbastanza lungo. Presi a tal uopo dei pezzi di tufo e di mattoni, che tagliai a forma di parallelepipedi e in modo che la direzione del loro magnetismo corrispondesse a press’ a poco al senso dell'altezza. Ne determinai col metodo delle deflessioni (est-ovest) l’ intensità magnetica, e poi li collocai entro un grande bacino d’ acqua col loro asse ma- gnetico press’ a poco parallello alla direzione dell'ago d’ inclinazione, ma coi poli rove- sciati. Riscaldai l’acqua per 15 giorni di seguito regolarmente per 10 ore al giorno ad una temperatura, che oscillava tra 90° e 95°. Dopo tutto questo lavoro trovai nei varî pa- rallelepipedi una diminuzione appena sensibile nell’ intensità magnetica. In seguito a questo risultato negativo abbandonai l’ idea di modificare le condizioni dell’ esperienza, aumentando 1’ intensità del campo. giacchè non avrei egualmente potuto dare il peso giusto ai risultati avuti non essendo possibile lo stabilire, se siano paragona- bili gli effetti prodotti da un’azione che dura 150 ore, con quelli prodotti nelle medesime condizioni dalla stessa azione prolungata per migliaia di secoli. (1) Antichità del territorio falisco, parte 1°. Roma 1894, Tip. della R. Acc. dei Lincei, Monumenti antichi, vol. IV, 1894, pag. 133-134. (2) Devo ringraziare vivamente il chiarissimo prof. comm. F. Barnabei per il favore fattomi di mettere a mia disposizione gli oggetti di quel museo, e di avermi dato come aiuto il colto ed intelligente soprastante Malavolta Natale. SI fa Due tazze della tomba vergine XXVI di Falerii appartenente al VII od VIII secolo a. C., avevano al centro della base un polo sud, ed un oîvoxor, della stessa tomba aveva un polo nord all’ estremo superiore del becco. Potrei continuare ancora a citare esempi, in cui l’ orientazione del ma- gnetismo era diversa da quella corrispondente all'attuale direzione del campo magnetico terrestre; ma credo che sia sufficiente quanto ho già esposto per potere con sicurezza asserire che l’orzentazione del magnetismo, che riscon- triamo negli oggetti di terracotta antichi, è quella in essi indotta dal ma- gnetismo della Terra durante la loro cottura. Fisica. — Sulla conducibilità elettrica dei gas caldi. Nota del dott. P. PeTTINELLI e di G. B. MAROLLI, presentata dal Socio BLASERNA. Fisica. — Sulla durata delle scariche elettriche rallentate nel campo magnetico. Nota del dott. FeLICE MASTRICCHI, presentata dal Socio BLASERNA. Fisica. — Sulla polarizzazione e depolarizzazione delle la- mine metalliche sottilissime. Nota dei professori Giov. PreTtRo GRI- MALDI e GIOVANNI PLATANIA, presentata dal Socio BLASERNA. Chimica. — Muove osservazioni sul comportamento eriosco- pico di sostanze aventi costituzione simile a quella del solvente. Nota di FeLICE GARELLI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Mineralogia. — Za Danburite ed altri minerali: in alcuni pezzi notevoli di rocce antiche, tra è « blocchi erratici » della re- gione Cimina. Nota del dott. LieRTo FANTAPPIE, presentata dal Socio STRUEVER. Chimica. — Su/la composizione chimica delle Comenditi. Nota di G. BERTOLIO, presentata dal Socio A. Cossa. Queste Note saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. STATI Paleontologia. — Motizia sopra la ittiofauna sarda. Nota di D. LOvISATO, presentata dal Socio CAPELLINI. Non temo asserire che l'ittiofauna sarda sia una delle più ricche finora trovate nel terziario medio: disgraziatamente in Sardegna pochissimi sono gli scheletri ed assai rare le mascelle, riducendosi i resti, che si riscontrano a profusione, a vertebre e specialmente a denti. La mia collezione ittiolitica era appena iniziata, quando il Bassani studiò gli avanzi a lui inviati in comunicazione: d'allora il materiale sui pesci è più che centuplicato e quindi è facile comprendere come si abbiano molti ge- neri nuovi e nuove specie da aggiungere ed anche parecchie correzioni a farsi allo stesso lavoro dell’ egr. prof. Bassani, che io sperava vedere fra i conve- nuti al Congresso Geologico, che qui ebbe luogo nell'aprile passato. A tal uopo avea messo in mostra le parti più interessanti di quella ittiofauna, che naturalmente attrassero l’attenzione dei giovani visitatori, i quali però s' ac- contentarono di vedere tutta quella bella roba attraverso i vetri delle bacheche, che la racchiudevano. Perciò le notizie, che da loro fossero date su questo argomento, non possono essere sempre molto attendibili; neppure quelle del sig. dott. De Angelis ('), che volle precipitare una notizia interessantissima dopo il semplice esame di denti contenuti in due tubetti, che a lui non ho saputo rifiutare. Sebbene io non sia specialista per l'ittiofauna, pure una certa pratica nel giudicare quei resti l’ ho acquistata, manipolando, esaminando, stu- diando, confrontando un materiale tanto ricco; ma dico il vero non mi sentirei capace di giudicare di certi generi e particolarmente di certe specie attraverso dei vetri e potendo solo scorgere qualche individuo di quel creduto genere o di quella supposta specie. Così se il sig. De Angelis m' avesse fatto qualche domanda in proposito, gli avrei detto che resti di 7rzgonodon e della pos- sibile Umbrina erano già stati scoperti da me prima che il Bassani stam- passe il suo lavoro sulla ittiofauna sarda, e che pure qualche Sargus e qualche dente della supposta ZVwmbrina ho a lui inviato assieme al materiale stu- diato: del primo non se n'è occupato, ma un dente dell’ altro genere fu da lui battezzato dapprima quale Ck7ys0phrys, come del resto si vedono denti analoghi riferiti dallo stesso professore alla Chrysophrys miocenica al Museo di Padova: fu solo dietro alcune mie osservazioni, che da lui fu poi riferito ad un Dentea sp. (1) G. De Angelis d’Ossat, Il 7rigonodon Qweni, E. Sism. e Umbrina Pecchiolii? Lawley nel miocene di Sardegna. Estratto dalla Rivista di Paleontologia, fasc. di aprile 1896. XENDICONTI. 1896, Voc. V, 2° Sem. 10 Ron È stata certo fortuna pel sig. De Angelis d’inviarmi le bozze di stampa della sua notizia sulle due forme di 7rigorodon Oweni E. Sismonda ed Wm- brina Pecchiolii ? Lawley, perchè a Fangario, dove egli m’avea collocato i Trigonodon non ne ho mai trovato uno: essi sono elveziani e non langhiani. Del resto ho detto ed ho scritto al sig. De Angelis di non avere mai dubi- tato della presenza dell’ Umbrina in Sardegna, ma che la maggior parte dei denti conici, allungati e ricurvi per me appartengono al genere Derfex con diverse specie. Al Probst nel 1893 assieme ad altro ho mandato in comuni- cazione anche alcuni di questi denti colla scritta Zmbrina; ma l'egregio uomo nel restituirmi quegli esemplari scrisse sul mio cartellino, che natu- ralmente conservo prezioso, in matita la parola douteux: lo stesso valga pei denti di 7rigonodon, genere che avea supposto nella mia collezione da pa- recchi anni, che mandai pure in comunicazione al Probst, ma che a me ri- tornò senza la parola confirmo dell'illustre uomo sul mio cartellino. Sicchè l’abbondantissimo materiale, appartenente pel sig. De Angelis al genere Umbrina, è da me riferito per la massima parte al genere Dentex. Non avendo però alcuna premura d' illustrare il ricchissimo materiale dell’ittiofauna miocenica sarda, ben degna di una speciale monografia, mi limito oggi a dare l'elenco delle specie nuove o tuttora inedite per la Sar- degna, dopo aver reso un mondo di grazie agli illustri Woodward, Capellini, Probst, che tanto generosamente mi aiutarono in qualche determinazione degli stessi ittioliti. I. Sottoclasse: Selachii (ZMasmobranchi). Ordine: Plagiostomi. Sottordine: SQUALIDAE. Famiglia: Notidanidae. 1. Notidanus Targionii Lawley (non N. primigenius Ag.) (!). 2. Notidanus gigas Sismonda. — Un solo esemplare nel calcare argil- loso del Monte San Michele. Elveziano. 3. NM. repens. Probst n. sp. 4. Notidanus sp. i Famiglia: Scylliidae. 5. Scyllium sp. che non ardisco riferire a nessuna delle specie del Probst (?). (1) F. Bassani, Contributo alla paleontologia della Sardegna. Ittioliti miocenici. Me- moria estratta dagli Atti, Vol. IV, Serie 2°, N. 3, della R. Accademia delle Scienze Fis. e Mat. di Napoli, 1891, pag. 43. (2) Dott. J. Probst, Beitrige sur Kenntniss der fossilen Fische aus der Molasse von Baltringen. Separat-Abdruck aus des Wiirthemb. naturw. Jahresheften, 1879, pag. 169-71. Sara Famiglia: Lamnidae. 6. Carcharodon Rondeleti Miller et Heule. 7. Odontaspis elegans (?) Ag. 8. Oxyrhina minuta Ag. 9. 0. Desori Ag. 10. 0. Lawleyi Bass. sp. 11. Otodus debilis Probst n. sp. 12. O. serotinus Probst n. sp. 13. Alopecias ctr. Acuarius Probst. Famiglia: Carcharidae. 14. Galeus affinis Probst. 15. Carcharias (Prionodon) Baltringensis Probst. 16. C. (Scoliodon) Kraussi Probst. 17. C. (Physodon) sp. 18 C. (Aprionodon) sp. Famiglia: Spinacidae. 19. Acanthias radicans Probst. 20. Seymnus cfr. trituratus Winkler. 21. Scymnus sp. Sottordine: BaromEei; Famiglia: Myliobatidae. 22. Myliobates Lovisatoi De Zigno (in litteris). 23. M. Stokesi Ag. del miocene di Malta. 24 e 25. Myliobates sp. sp. 26. Aetobates cfr. arcuatus Ag. 27. A. cfr. giganteus Ag. 28. Zygobates Studeri Ag. Famiglia: Rajidae. 29. Raja cfr. molassica Probst. 30. Raja rugosa (?) Probst. Famiglia. — Trygonidae. 31. Trygon sp. II. Sottoclasse: Teleostei (Orthropteri). Ordine: Plectognathi; Gymnodontes. 32. Tetrodon sp. erroneamente dal Lawley e da altri attribuito al Diodor Scillae Ag. mg ce Sottordine: SCLERODERMI. 33. Balistes Sp. Ordine: Pharyngonathi. Famiglia: Labridae. 34. Phyllodus sp. 35. Labrus sp. Ordine: Acanthopteri. Famiglia: Berycidae. Pi 36. Holocentrum sp. Famiglia: Pristipomatidae. 37. Dentex sardiniensis Lov., alla quale ascrivo la maggior parte dei denti riferiti alla supposta ZWmbrena. 38 e 39 Dentex Sp. Sp. | | Famiglia: Sparidae. 40. Chrysophrys Agassizi E. Sismonda. 41. 0. molassica Probst. 42. Pagrus Sp. 43. Anarhichas sp. 44. Capidotus Sp. 45. Sargus Sp. 46. Trigonodon Sp. Famiglia: Sciaenidae. 47. Umbrina sp. Famiglia: Xiphidae. | 48. Brachyrhyneus sp. | Famiglia: Trichiuridae. 49. Lepidopus Sp. Famiglia: Scombridae. 50. Scomber Sp. Famiglia: Mugiliformes. 51. Sphyraena sp. 52. Sphyraenodus sp. Si vede che buona parte del ricchissimo materiale scientifico dell’ ittio- | fauna sarda attende ancora la determinazione. Potrà darsi anche ch’ essa comprenda pure avanzi di Certrina trovata la prima volta nel miocene di Castries (Herault) dal Gervais, indi dal Lawley ad Asciano e non rara nel miocene del Piemonte, ma i caratteri specifici non m'autorizzano a strappare nessuno dei derti, da me trovati nel langhiano ed og elveziano sardo, al genere Scymnus, già identificato dal Woodward (!) e dal Probst (*). A questo genere avea pensato anche il Prof. Bassani e tanto me ne scrisse, che rimasi sorpreso di non vederlo ricordato nel suo lavoro sopra citato. L’'equilateralità della corona ed i caratteri della radice persuasero anche il Woodward ed il Probst di ascrivere i miei resti, da loro esaminati, al ge- nere Scymnus. Geologia. — Per la geologia della Calabria settentrionale. Nota preliminare di E. Bòse e G. DE LORENZO, presentata dal Corrispondente FR. BASSANI. Questa Nota sarà pubblicata in un prossimo fascicolo. PERSONALE ACCADEMICO Giunse la dolorosa notizia della morte dei Soci stranieri Sir GiusEPPE PRESTWICH, mancato ai vivi ai primi di luglio 1896, ed EnRIco ERNESTO BeyRIcH, morto il 9 luglio 1896; apparteneva il primo all'Accademia sino dal 2 dicembre 1883, e ne faceva parte il secondo dal 6 agosto 1894. ELEZIONI DI SOCI Colle norme stabilite dallo Statuto e dal Regolamento, si procedette alle elezioni di Soci e Corrispondenti dell’Accademia. Le elezioni dettero i risul- tati seguenti per la Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali: Fu eletto Socio nazionale : Nella Categoria IV, per la Botanica: BRIosI GIOVANNI. Fu eletto Corrispondente : Nella Categoria I, per la Meccanica: MoRERA GIACINTO. Furono inoltre eletti Soci stranieri : Nella Categoria I, per la Meccanica: NEUMANN CARLO GOFFREDO e GyLDEN GIovannNI Augusto Uso. Nella Categoria II, per la Fisica: BoLTZzMANN LuIci e CornuU MARIA ALFREDO. (1) The Geological Magazine, N. 3828, New Series, Decade III, Vol. VIII, N. X. — Remarks on the Miocene Fish-Fauna of Sardinia. October 1891, pag. 465. (2) Dott. J. Probst, Beitrige zur Kenntniss des fossilen Fische aus der Molasse von Baltringen. Separat-Abdruck aus der Wiirthemb. naturwissenschaft. Jahresheften, 1878, pag. 2, 5; 1879, pag. 174-5 e seg. Pb: RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’Accademia prima del 2 agosto 1896. __—_—T—— 6 MN Fisiologia. — A/cune ricerche comparative sulle principali acque clorurate di Montecatini('). Nota del Socio LucianNI in col- laborazione coi dott." U. Durtto e D. Lo Monaco. Gli effetti fisiologici delle ben note acque elorurate di Montecatini in Val di Nievole, non sono stati finora determinati con metodi scientifici. Tutto quanto ne è noto si limita ai risultati raccolti colla semplice osservazione empirica. Sebbene sia stato ammesso che oltre un’ azione locale lassativa, le acque di Montecatini esercitino un’ azione generale, specificata vagamente cogli attri- buti di r/costituente, alterante, e risolvente (*); tuttavia si può affermare con franchezza, che il solo effetto bene accertato da tutti, medici e non medici, sapienti e ignoranti, è che esse lavano più o meno cito, tuto, et jucunde il tubo gastro-enterico, secondo la sorgente, secondo la dose, e secondo l’ individuo che ne usa. È a cotesto effetto purgativo, così ovvio a constatare, e al quale le acque di Montecatini debbono principalmente, come quelle di Kissingen, la loro rinomanza, che noi abbiamo rivolta la nostra attenzione, dedicandovi un primo saggio di ricerche, che qui esporremo colla massima possibile brevità e chiarezza. Il primo problema che si presentò alla nostra mente, fu di graduare, con una serie di ricerche perfettamente comparabili, le principali sorgenti (*) Lavoro eseguito nell’ Istituto Fisiologico della R. Università di Roma. (?) V. Manuale clinico delle acque di Montecatini del prof. Fedele Fedeli. Firenze, 1880, pag. 100-103. RENDICONTI. 1896, Vol. V, 2° Sem. 11 ERGONO che scaturiscono nel così detto campo minerario di Montecatini, in ordine alla loro diversa efficacia purgativa, per riconoscere se questa fosse in stretto rapporto col loro diverso grado di mineralizzazione. Sembra un problema facile a risolvere, e invece ci offrì a superare non lievi difficoltà. Primieramente abbiamo dovuto convincerci che le analisi chimiche finora esistenti delle diverse sorgenti, vuoi perchè di data troppo remota e fatte forse con metodi in parte antiquati e imperfetti, vuoi per infiltramenti sotterranei e parziali mescolamenti di acque di origine diversa, avvenuti in tempi poste- riori alle dette analisi, non hanno che un valore assai dubbio e certamente insufficiente per costruire una scala abbastanza esatta del loro diverso grado di mineralizzazione. Non ci siamo naturalmente assunto la colossale impresa di rinnovare in modo completo le analisi chimiche delle sorgenti da noì prese a studiare; ci siamo limitati a determinare in modo esatto la quantità to- tale del cloro, che in forma di cloruro sodico rappresenta, come è noto, l'ingre- diente caratteristico, principalissimo, e grandemente prevalente nelle acque di Montecatini. I risultati ottenuti ci hanno convinto dell’ inattendibilità delle vecchie analisi e della necessità di rinnovarle. Le nostre determinazioni del cloro totale delle principali acque, furono eseguite col metodo del Volhard, e la conformità dei risultati ottenuti con prove ripetute, ci è sicura guarentigia della loro esattezza. Riuscirà utile e interessante il confronto tra le quantità di cloro da noi ottenute, e quelle risultanti dalle vecchie analisi delle sorgenti prese in esame. Riassumiamo in una tabella tutti i dati numerici, riferibili a mille parti in peso delle diverse acque minerali, per facilitarne il confronto. TABELLA I. Nome Î oto 2 2 o ia se dell EROI S788|5354 5532 Nomi degli autori SIOE Le aaa Sdi [#5 O delle vecchie analisi Note adoperate 252|23*£|2"d% ” RAI SS#3|55,8 2552 e data di queste per uso in oissslo = 550 Tamerici (*) 5 7,70 7.38 |+ 5,6) Targioni Tozzetti . 1848 ({(*) Proprietàdegli eredi Schmitz. tal ARnO. ORI7 — ICIAR Torretta (**) 7,2 1,38 1,0 Buonamici 1861 (**) Proprietà del- Olivo. (8) 00 0. 47102) |0:3,76|(4246)5|! Silvestri. USA 286:862 a Bo- Ì rlns è Savi (*** 9 6,82 di O RRISE CORRI MEER ti Savi) Lee Rent N0,928)1 61/824/raleD | Orosi 1874 (°*) Proprietà de- Regina (**) . . .| 6,91 | 6,56 |+ 5,2) Bechi . ... . . 1865 maniali. Acqua media (**) .| 6,81 | 6,39 |+ 6,2) Buonamici . . . 1861 Villino), (0 40. 5,1 | 4,6312694 bBechi 000 865)? Tettuccio (***) . .| 4,40 | 2,95 |+383,0| Targioni Tozzetti, Taddei e Piria . 18583 Preziosai(a Ul NOTO — Non fu mai anelizzata. Rintrescolet>) i i 2:51 2,48 |+ 1,1| Targioni Tozzetti, Taddei e Piria . 1858 Di igONE Come si scorge in questa tabella, le sorgenti adoperate per uso interno da noi prese ad esame, sono state disposte in ordine alla quantità decrescente del cloro che esse contengono, secondo le nostre analisi. Confrontando le quan- tità del cloro totale risultate da queste, col cloro calcolato secondo le tabelle delle vecchie analisi, si rilevano due fatti non poco interessanti: a) La quantità complessiva del cloro delle diverse acque (fatta ecce- zione di quella della 7orretta) è più o meno cresciuta in confronto di quella rinvenuta al tempo delle vecchie analisi. 5) L'aumento del cloro è notabilissimo nella sorgente dell'Olivo (46,5 °/5) e del Tettuccio (33 °/,); moderato nelle sorgenti Villino, Acqua media, Tame- rici, e Regina; minimo e quasi trascurabile nelle sorgenti Savi e Rinfresco, alle quali possiamo aggiungere la sorgente Torretta, che invece di un lieve aumento, ha subìto una tenue diminuzione di cloro. Abbandoniamo volentieri ai geologi i tentativi per trovare la spiegazione precisa di questi fatti. Noi ci limiteremo a fare poche osservazioni generiche che riteniamo di qualche importanza. Fermiamoci dapprima a considerare la sorgente dell'0/7v0 che dai 1862, ad oggi, ha quasi raddoppiata la quantità di cloro che contiene! Ci sembra evi- dente che con semplici e lievi infiltramenti sotterranei di altra sorgente più cloru- rata, non sì spiega una così enorme differenza. Assai più probabile ci sembra il ritenere, che l’acqua dell’0/7v0 analizzata dal Silvestri nel 1862 e quella del- l’istesso nome esaminata recentemente da noi ,siano acque ben distinte e diverse. Leggendo la Memoria sul! acqua dell’ Olivo pubblicata nel 1893 dal prof. Fedeli juniore (!) vi abbiamo rinvenuto notizie che confermano in modo evidente la nostra induzione « La sorgente dell’ Olivo (egli scrive) in antico sgorgava alla superficie del terreno di un oliveto posto al lato nord- ovest del fabbricato delle ferme Zeopoldine: raccolta ed esperimentata, visto come notevolmente purgasse, ne fu cominciato l' allacciamento nel 1851: dipoi abbandonata. Gli insigni chimici Taddei, Targioni e Piria nel 1853 ne esegui- rono l’analisi. Nell'uso medico però, quest'acqua, che stando all'analisi, per cifra di cloruro di sodio, molto si avvicinava a quella della Torretta, non venne mai introdotta. Nel 1860, per desiderio espresso da mio padre e da Paolo Savi, la Regia Amministrazione riprese i lavori di allacciamento, ma, fatti i neces- sari lavori di escavazione, si trovò non essere la pretesa polla dell’ O0/7vo che la riunione di acque provenienti da due lati diversi, cioè l' una da S.-E. e l’altra da N.-N.-0. Della prima non fu tenuto alcun conto, giacchè i suoi caratteri e la direzione della sua scaturigine mostrarono chiaramente non esser altro che una infiltrazione di questa dal prossimo cratere delle 7erme; della se- conda ..... fu presa a rintracciar la sorgente, ma per lavori male eseguiti se ne perdè la traccia. Nel 1885, ripresi i lavori di rintracciamento più e (*) Carlo Fedeli, L'acqua dell’ Olivo (dal periodico Idrologia e Climatologia ita- liana. Torino, 1893). ìl Moio — più volte incominciati e quindi interrotti, fu trovata nuovamente la perduta sorgente, come risultò dai saggi geologici e chimici di controllo fatti ese- guire dall’ illustre prof. Meneghini geologo delle R. Terme. Che anzi, per quanto mi risulta, anche da recenti indagini ed accurati apprezzamenti, sembre- rebbe che questa volta si fosse allacciata non la filtrazione orizzontale, ma la vera sorgente che emerge in un pozzo e di là sgorga in una galleria ove è raccolta in serbatoi appositamente costruiti, per modo che l’acqua abban- doni le particelle silicee che tiene in sospensione, prima di essere usata. L'ana- lisi di quest’ acqua fu eseguita dal prof. O. Silvestri ». Esistono dunque due analisi dell’ acqua dell’ Olivo: la prima, fatta nel 1853 dal Taddei, Targioni e Piria, riguarda la miscela di due acque di di- versa origine; la seconda, eseguita nel 1862 dal Silvestri, riguarda l’ acqua della vera sorgente dell’ Olivo, affatto separata dai forti infiltramenti prove- nienti dal cratere delle vicine Terme Leopoldine. Ma le determinazioni del cloro da noi fatte recentemente, riconducono l’ attuale acqua dell’ Olivo a quel che era nel 1853, ossia prossima per quantità di cloro alla 7orretta, prossi- missima alla Savi e alla Regina. È dunque più che probabile che dopo gli ultimi lavori di allacciamento, e dopo l’ analisi del 1862, una forte corrente proveniente dalle Terme Zeopoldine sì sia di nuovo confusa con la vera sorgente dell’ Olivo, che più non esiste quale fu descritta dal Fedeli nel 1893. È probabile che anche l’ acqua della famosa sorgente del 7'ettuccio, che dal 1853 ad oggi ha subìto il notabilissimo aumento del 33 °/, del conte- nuto in cloro, si sia mescolata con un ramo di altra sorgente maggiormente clorurata, p. e., con quella della Regina che sorge a pochi metri di distanza. Ma di questa congettura non possiamo offrire in appoggio le prove e gli ar- gomenti quasi diretti che esistono per ritenere che la sorgente dell’ Olivo si sia mescolata con un ramo delle Terme Leopoldine. I moderati aumenti di cloro da noi segnalati nelle sorgenti del Villino, dell’ Acqua media, della Tamerici, e della Regina provennero da lievi infil- tramenti di altre sorgenti più clorurate, oppure sono da considerare come au- menti originari della quantità di cloruri che si va sciogliendo dai depositi salini che le dette acque attraversano nel loro corso sotterraneo ? — Ai signori geo- logi il còmpito di chiarire questi dubbî. Notiamo infine che tra le acque che hanno subìta una variazione minima e trascurabile del contenuto in cloro, la Suv è quella la di cui analisi chi- mica è di data più recente, il che può forse spiegare abbastanza il lieve cam- biamento subìto; l’acqua del Rzxfresco è distinta tra tutte per essere la sor- gente senza confronto più abbondante, e per questa ragione capace di risen- tire assai meno delle altre, gli effetti di leggeri infiltramenti di altre sorgenti più clorurate; la Zorretta, infine, che ha subìto una leggiera diminuzione di cloro, sorge a pochi metri di distanza dal /rfresco, sorgente assai meno clorurata, dalla quale probabilmente subisce un lievissimo infiltramento. RO e Da queste particolari osservazioni ci sembra lecito elevarci ad una con- siderazione più generale, ed è che le diverse e molteplici sorgenti che sor- gono dal campo minerario abbastanza ristretto di Montecatini, mostrano ten- denza ad influenzarsi reciprocamente e a confondersi. Non ci sembra assurdo il ritenere che coll’ opera dei secoli possano assai diminuire, se non scompa- rire affatto, le differenze del grado di mineralizzazione delle diverse sorgenti. I nostri esperimenti per graduare le dette sorgenti dal punto di vista del loro effetto fisiologico meglio accertato, vale a dire della loro e/ficacia purgativa, per maggior garanzia di esattezza, furono fatti su due di noi negli ultimi giorni di luglio e nei primi di agosto dello scorso anno. A co- testo intento non ci siam valsi come criterio della quantità e caratteri delle deiezioni, nè della maggiore o minore prontezza degli effetti catarsici, nè in- fine dei fenomeni intestinali che li precedono ed accompagnano. Sono dati di difficile valutazione, e criteri estremamente fallaci, quando si tratti non di constatare in genere se una data acqua riesca o no purgativa, ma di appurare se essa abbia maggiore o minore efficacia purgativa di un' altra. Il nostro metodo fu del tulto inodoro, e assai più esatto. Per quanto ci è noto, non è stato mai finora impiegato allo scopo di graduare l’azione catarsica delle acque clorurate. Consiste nella determinazione quantitativa del cloro assorbito dal tubo gastro-enterico ed eliminato colle urine, durante il tempo in cui l’acqua minerale ingerita dimora ed agisce nell’ intestino. Prima di svolgere le ragioni di cotesto metodo, accenniamo brevemente al modo di procedere costantemente adottato nei nostri esperimenti. — I dot- tori Dutto e Lo Monaco, giovani fisiologi in perfetto stato fisiologico, sì leva- vano al mattino di buon’ ora. Alle 5 e 30' vuotavano perfettamente la ve- scica, poi subito bevevano un litro di acqua minerale, a più riprese, da esau- rirlo in mezz’ ora. Poi passeggiavano tranquillamente fino all’ ora in cui erano chiamati a scaricare l' intestino. Massima cura avevano di separare perfetta- mente le feccie dalle urine, che raccoglievano in un vaso cilindrico graduato. Alle ore 10 e 30' vuotavano di nuovo, nel modo più completo possibile, la vescica. Misurata rigorosamente la urina raccolta nelle 5 ore successive alla inge- stione del litro di acqua minerale, ne venivano presi, con pipetta graduata, due saggi di 10 c.c., che posti in distinti provini, acidificati con poche gocce di acido nitrico puro, e chiusi con saldatura alla lampada, per porterlì tra- sportare senza perderne alcuna traccia, dovevano servire per fare con comodo le determinazioni quantitative del cloro col noto metodo del Volhard. Ciò fatto, l'esperimento per quel giorno era finito, e i due sperimentatori potevano recarsi a colazione con appetito invidiabile. Fermiamoci a considerare le ragioni di questo procedere, e vedere in che modo e perchè, dalla quantità di cloro contenuto nell’ urina raccolta nelle 5 ore che seguono alla ingestione di un litro delle diverse acque clorurate, Pe sì possa dedurre con sufficiente approssimazione il grado diverso di azione pur- gativa delle medesime. È un fatto notorio per ripetute determinazioni dirette, che la quantità di cloruro sodico contenuta nel sangue oscilla entro angusti confini, circa da 0,55 a 0,65 per cento (!). Quando questa quantità venga ad arte aumentata, mediante infusioni intravenose di soluzioni salate, l’ eccesso del sale è, dopo poche ore, eliminato per le vie urinarie. Quando ne venga sospesa per lungo tempo l'introduzione cogli alimenti, il sangue conserva il cloruro sodico in una quantità ben poco inferiore alla normale, mentre l’ eliminazione del cloro per l'urina è ridotta al minimo. Quando infine aumenti la quantità di clo- ruro sodico immessa nel tubo gastro-enterico (come deve accadere appunto per l’ introduzione delle acque di Montecatini), non aumenta la quantità percentuale del sale del sangue, perchè per la legge fisica dell’ osmosi (per quanto più o meno modificata e regolata nei suoi effetti dall’ attività fisiologica degli epitelî intestinali), diminuisce in proporzione l’ assorbimento di esso sale, e aumenta in proporzione la quantità di acqua che dal sangue si versa nell’ in- testino, finchè si produce la catarsz. È dunque evidente che l'intensità dell’azione purgativa delle acque di Montecatini, è inversamente proporzionale alla quantità di cloro che si as- sorbe nel sangue rispetto al cloro introdotto; e che il cloro assorbito è sen- sibilmente eguale a quello emesso coll’ urina, perchè l'eccesso di cloro che giunge nel sangue (se i tessuti dell’ organismo non ne difettano) è rapidamente eliminato per l’ emuntorio renale. I recenti studî sulla concentrazione molecolare degli umori dell’ organismo, eseguiti col metodo crioscopico, non possono che dare maggior peso e valore a questi dati su cui fondiamo le nostre ricerché sulle acque clorurate. Oggi infatti si ritiene che il siero del sangue e altri umori dell'organismo abbiano un grado di concentrazione molecolare pressochè costante, perchè presentano un punto di congelazione oscillante entro angusti confini. Quindi ogni qual volta penetri nel sangue una soluzione non isotonica, ossia non equimolecolare col siero, ne deve seguire un perturbamento dell’ equilibrio molecolare degli umori, a cui, se non viene rapidamente riparato, tien dietro la dissolu- zione dell'emoglobina delle emazie, e un’ alterazione del movimento nutritivo dei tessuti non ancora ben determinato (*). A questi facili perturbamenti dell’ equilibrio molecolare, l’ organismo normalmente provvede con due diversi processi, regolando cioè da un lato l’escrezione renale, e dall'altro l'assorbimento e l’ escrezione intestinale. (1) Si consulti in proposito il lavoro del prof. Ivo Novi, Za concentrazione del sanque, ecc., eseguito nell'Istituto di studî superiori di Firenze, e pubblicato nel pe- riodico « Lo Sperimentale ». Firenze 1887. (*) Si consulti M. J. Winter, De l’equilibre moleculaire des humeurs. Role des clo- rures, Archives de Physiologie normale et pathologique. Avril 1896. A gna Quando dunque soluzioni saline non isotoniche, ma più o meno ipertoniche (come appunto le acque clorurate di Montecatini), s' immettono nell’ intestino, l'assorbimento dei sali nel sangue sarà rappresentato da una quantità per- centuale tanto minore, quanto maggiore sarà l'ipertonicità della soluzione, o il grado di mineralizzazione dell’acqua ingerita; viceversa l'emissione di acqua dal sangue nell’ intestino, sarà rappresentata da una quantità propor- zionale alla ipertonicità o al grado di mineralizzazione. E siccome l'azione catarsica deve dipendere principalmente dalla quantità di soluzione salina che non si assorbe e resta ad agire sull’intestino; ne segue che essa do- vrebbe essere presso a poco proporzionale al grado di mineralizzazione delle diverse acque purgative. Vediamo fino a che punto i risultati dei nostri esperimenti concordano con questi principî dottrinali. Nella seguente tabella esponiamo i risultati ottenuti dal dott. Lo Monaco sperimentando su sè medesimo, secondo le norme precedentemente descritte. Gli esperimenti colle diverse sorgenti sono stati disposti secondo l'ordine decrescente della efficacia purgativa di queste, applicando per determinarla il criterio da noi prescelto. TABELLA II. ) j (M) (U) (A) TS per- Date Nome delle sorgenti Cloro Quantità di urina Quantità di cloro | centuale tra degli esperimenti | delle acque ingerite | introdotto emessa contenuta il cloro emes- in un litro in 5 ore nell’ urina FRRRITUSLO 27 luglio .| Torretta. . .| 7,20gr.| 390c.c.) 3,78 gr. 9.800, A » DIOR » 485 » > 481 cc.| 3,97 » > 3,90gr.| 54,17/, 29» ; ” Et ” 420 » \ 3,96 » 7 agosto . | Tamerici:. .| 7,70» | 4380» } Pi 4.20097) 8 50 2 di È Rei, 442 » usi 4,30 » | 55,84 » SORU 1oNNFA fSavitn coi 6,92 » | 455 » } 450 » | 31 E i È i: Li 430 » | 442 » 30400 4,22 » 60,98 » allfagosto n MOlivo o: 1. 10.17,02 >» (420 » } 4,42 » ) ; È 1 settembre DIRRMBR De ” 440 » | po0 4,18 » $ 190078912017 6 ” Regina gar OO 2 NOOO: 4 S| CRE DIE 7 È hi “new È FO, 405 » icSin 4,55 n! 66,75 » 5 agosto .| Acqua media . | 681 » | 580 » | 4,81 » | 6 Îo 3 ”» ; D) 525 » 4 502 » 4,56 » 4 4,68 » | 68,72 » Lo 9. || VANO La ee 5,11 » | 540 » } » | 382» Ì 4 GU: i n RIA a 645 » | 092 » TA N RATA SHE) SUN Mi DettuecionE:ai 440 » | 825 » | 3,80 » è 4 d; ; s vai PI 670 » \ 747 » 4,18 E \ 3,99 » 90,68 » 4 settembre | Preziosa. . .| 2,73 » | 300 » } 2,75 » È 5 È È dai ù I 410 » 3/04 » | 2,89 » | 105,86 » 9 ” Rinfresco . . doi: (M350 € 4,69 » è 12 Li 3 ai i 675.» \ 705 » 3,25 S $ 3,97 » 158,16 » Dai dati numerici raccolti in questa tabella è facile ricavare i risultati principali degli esperimenti eseguiti su sè stesso dal dott. Lo Monaco. Per comodità di linguaggio, e per meglio segnalarlo ai lettori, vogliamo chiamare quoziente catarsico il rapporto percentuale tra la quantità di cloro introdotta con un litro di acqua minerale, e quella assorbita dal tubo ga- stro-enterico ed eliminata coll’ urina, durante le cinque ore consecutive alla SRI ingestione. Le cifre di questo quoziente, esposte nella colonna Q, crescono progressivamente col decrescere dell'efficacia purgativa delle acque delle di- verse sorgenti. Si vede che nel dott. Lo Monaco l'effetto purgativo è stato massimo coll’ acqua della Torretta, minimo con quella del Tettuccio, e af- fatto negativa coll'acqua Preziosa e Rinfresco. Paragonando le cifre della colonna Q con quelle della colonna M, che esprimono esattamente la quantità di cloro contenuto in un litro delle diverse acque, e approssimativamente il diverso grado di mineralizzazione delle me- desime; si scorge subito che l'efficacia purgativa non si è dimostrata nel dott. Lo Monaco esattamente in proporzione col grado di mineralizzazione delle diverse sorgenti. Infatti la Torretta si è dimostrata leggermente più purgativa della 7americi, e la Savi più dell'O/7vo, benchè le prime sorgenti siano alquanto meno clorurate, e probabilmente meno mineralizzate, delle seconde. Vedremo quale interpretazione si debba dare a questo fatto, che non armonizza con quanto si attendeva secondo le premesse, dopo avere esa- minato nella seguente tabella i risultati degli esperimenti eseguiti su sè stesso dal dott. Dutto. TABELLA III (M) (U) (A) Ro per- Date Nome delle sorgenti | Cloro Quantità di urina | Quantità di cloro |centuale tra degli esperimenti | delle acque ingerite | introdotto emessa contenuta il cloro emes- in un litro in 5 ore nell’ urina so eno 2 luglio ‘| Torretta... 7,20 gr.| 420 tà) Si gr. 250007 : D) 3 acer ”» 480 » 9,13 n 6 A ? 298, fn I. 5 | 500» (48708 508965 Mecaio 30 ” È ” ARE, ” 550 » | 9 5,28 » / 8 agosto .| Tamerici . . 7,70» | 645 » } 4,95 » 9 O È TOR È 640 DE 642 » 6,08 È 5,51 » | 71,55 » 6 ” Olivo. . .| 7,02» | 669 » } gn, 509 » 4 7 È b Eb) n 610 » | 637 » SMOGSEI 5,73 » | 81,62 » 6 agosto . | Acqua media . | 6,81» | 680 »n |} bor) TESE È | Mi 670.» $ 000 569, ji 20 Sie Savi. 026,926 E610% 5,91 » È 1 agosto , MONNONIATAA o ” di ” | UR Soi ” 9,97 n| 86,27 » 8 settembre | Regina . . .| 6,92» | 770» 5,54 » 9 ” ” a, ” 690 » 730 » 6,43 » $ 6,01 » 86,84 » 4 agosto .| Tettuccio . .| 4,40 » | 670 » 4,23 » } 5 ” 3 ” PARETO 1, ” 575 » 622 » 4,19 » | 4,21 » 99,68 » 2.» SAVA ino RE 5,11» | 740» } 6,96 » SII i = ii 3 Gir ni 792 » 5.07 » 5,71 » | 111,74 » 10 settembre | Rinfresco . . 2,51 » |1270 » 4 5,08 » è 11 Di A ich n 1150 » 1210 do 4,89 » | 195,21 » Confrontando questi dati raccolti su sè medesimo dal dott. Dutto con quelli del dott. Lo Monaco, esposti nella precedente tabella, si rimane subito colpiti da un fatto assai rilevante, e cioè che tanto le cifre della quantità di urina raccolta in 5 ore in ciascuno esperimento (colonna U), quanto quella del cloro assorbito dall intestino ed eliminato in detta urina (colonna A), si presentano notevolmente più elevate nel dott. Dutto che nel dott. Lo Monaco. EAST E siccome la quantità di cloro introdotto in ciascuna esperienza è stata la stessa, perchè entrambi bevvero giornalmente un litro delle diverse sor- genti; ne segue di conseguenza che anche le cifre del quoziente catarsico (colonna Q) sono notevolmente più elevate nelle ricerche del dott. Dutto che in quelle del dott. Lo Monaco. Ciò vuol dire che le diverse acque di Mon- tecatini riescono in genere meno purgative nel primo che nel secondo spe- rimentatore, il che è confermato dalle note raccolte intorno agli effetti catarsici ottenuti dalle acque stesse, che sono stati scarsi o nulli nel primo, abbon- danti e immanchevoli nel secondo. È da ritenere che queste differenze non si sarebbero avvertite, se il Dutto invece di un litro avesse adoperato per ogni esperimento una dose maggiore delle diverse acque, p. e. un litro e mezzo. Questo differente modo di agire delle acque clorurate su due diversi soggetti, ambedue giovani e sani, ci sembra molto istruttivo per apprezzare in giusta misura l' influenza modificatrice che esercita sui fenomeni osmotici, sulla diffusione, e sui trasudamenti degli umori nell'organismo, il temperamento, vale a dire la somma delle differenze organiche e funzionali che s' incontra nei diversi individui, che fino ad ora siamo assai lungi dal poter determinare in ma- niera concreta. Gli è certo che questo diverso grado di azione delle stesse acque clorurate, non sarebbe affatto intelligibile, ove si ammettesse che î processi di assorbimento, di ricambio, e di secrezione degli umori, fossero retti esclu- sivamente dalle leggi fisiche della osmosi, della diffusione, della filtrazione. Riprendendo il confronto tra i dati del dott. Dutto e quelli del Lo Monaco, osserviamo che la graduazione della efficacia purgativa delle diverse sorgenti, desunta dal valore del quoziente catarsico, è risultata alquanto differente nei due sperimentatori. Se si eccettuino le due sorgenti Torretta e Tamerici che in ambedue sono risultate le più purgative, e la sorgente del Riwfresco che tigura in ultima linea, tutte le altre sorgenti occupano posizioni differenti nelle due serie. La spiegazione precisa di questo fenomeno è senza dubbio assai difficile; tuttavia ci sembra esso riceva qualche lume dall'altro fatto che si riscontra in ambedue le serie, e cioè che i valori delle colonne U ed A oscillano ab- bastanza sentitamente non solo nei giorni in cui i due sperimentatori fecero uso delle acque di diversa sorgente, ma anche nei giorni in cui ingerirono l’acqua della stessa sorgente. Evidentemente lo stato funzionale dell’ orga- nismo non è identico, ma varia notabilmente nei diversi giorni di esperimento, e queste variazioni sono tali, da spostare la posizione relativa di alcune sor- genti rispetto alla intensità della loro azione catarsica. È un nuovo argomento, non meno efficace del precedente, per apprezzare l'importanza dei poteri fisiologici modificatori dei processi fisici dell'osmosi, della diffusione, e della filtrazione che han luogo nell’ organismo. Moltiplicando le prove sperimentali con ciascuna sorgente, e poi pren- dendo la media dei singoli risultati, si otterrebbe certamente, col nostro RenpICONTI. 1896, Vol. V, 2° Sem. 12 EZIO SE metodo d’ indagine, una graduazione più esatta della efficacia purgativa delle diverse sorgenti, vale a dire in perfetta armonia col loro differente grado di mineralizzazione. Per tentare di avvicinarci al nostro intento, di dimostrare cioè che l’ in- tensità dell’azione catarsica delle acque di Montecatini è caeteris paribus proporzionale al grado di mineralizzazione delle medesime, abbiamo voluto calcolare le medie dei risultati ottenuti nelle due serie di ricerche. Ripor- tiamo nella seguente tabella cotesti dati medî, disposti secondo la decrescenza delle cifre del cloro contenuto in ciascuna sorgente (colonna M). TABELLA IV. (M) (U) (A) {Q) SRI 5 Nome ‘ ; Cloro Quantità media | Quantità media Rapporto delle principali sorgenti purgative contenuto di urina di cloro percentuale medio di Montecatini in emessa contenuta tra il cloro emesso un litro in 5 ore nell’ urina e quello introdotto ( (DamMIEeri Cie en 7,70 gr. 542. c.c. 4,90 gr. 63H1900/5 ro ee 7,20» 459» 4,56.» 61,32 » Ollvo ei ri, 7,02» 083» 5,01» 71,43. » Savi ; SIGLE 6,92 » 526 » 5,09» 73,62» Regina ne 6,92 » 567 » 5,28» 76,79 » Acqua Media 6,81» 613» 5,lo 75,69 » III eiage esa DA 692 » 4,79 » 93,73.» (AletbUC CIONI n 440» 684» 4,10 » 93,18» Come si scorge in questo quadro riassuntivo, alle cifre successivamente decrescenti della colonna M, che indicano il cloro introdotto, non sempre corrispondono cifre regolarmente crescenti della colonna Q, che esprimono il quoziente catarsico. L'acqua della Torretta ci ha fornito il quoziente medio meno elevato, vale a dire è riuscita la più purgativa di tutte, benchè sia un po' meno clorurata della Tamerici; l’acqua Media ci ha dato un quo- ziente più basso, e quindi è risultata alquanto più purgativa della Regina, benchè questa sia un po’ più clorurata della prima; infine l’acqua del V7/lzr0, che è alquanto più clorurata di quella del 7eztueczo, ci ha fornito il quoziente più elevato, vale a dire si è dimostrata la meno purgativa. Ma queste sono discordanze assai lievi, come si scorge dalla poca distanza delle cifre da cui sono rappresentate. Esse scomparirebbero forse se potessimo fornire la media di un maggior numero di ricerche, praticate su parecchi individui. Forse anche la quantità di cloro delle diverse sorgenti (che solo ci è nota con esattezza), non è una misura abbastanza approssimativa del grado di mineralizzazione delle medesime. Avvalorano questo ultimo dubbio un primo saggio di ricerche crioscopiche eseguite recentemente dal dott. Lo Monaco sulle diverse sorgenti di Monte- catini, dalle quali risulterebbe, che la temperatura del punto di congelamento di dette acque, non decresce sempre regolarmente col diminuire del contenuto di cloro delle medesime. Ci limitiamo ad accennare di volo questo argomento, perchè sarà a suo tempo approfondito e trattato dallo stesso dott. Lo Monaco che ne ha avuto la felice iniziativa. Intanto, dal punto di vista pratico, abbiamo dati più che sufficienti per procedere alla graduazione delle principali sorgenti di Montecatini, più fre- quentemente usate per uso interno come purgative. Fondandoci sui valori del quoziente catarsico, possiamo con tutta esattezza classificare le acque purga- tive di Montecatini che abbiamo preso in esame in tre distinti gruppi: ac- que forti, acque medie, acque leggiere. Le forti sono rappresentate dalle sorgenti Torretta e Tamerici; le medie dalle sorgenti Olivo, Savi, Media e Regina; le leggiere infine dalle sorgenti del Tettuccio e del Villino. I quo- zienti catarsici delle sorgenti riunite in ciascuno dei tre gruppi differiscono poco tra loro; mentre notevole è la differenza di valore dei quoszenti catarsici delle acque appartenenti ai tre diversi gruppi. Per poter ben apprezzare a colpo d'occhio coteste differenze, abbiamo cre- duto utile la seguente rappresentazione diagrammatica dei valori delle colonne M e Q dell'ultima tabella. (V. pag. seguente). Le sorgenti sono disposte nell’asse delle ascisse secondo il contenuto crescente del cloro, e i dati delle colonne M e @ nell'asse delle ordinate in forma di colonne tratteg- giate (scala M) e bianche (scala Q). Si scorge chiaramente come non sia affatto artificiale la nostra classifi- cazione in tre gruppi delle sorgenti che abbiamo preso in esame. Infatti salta agli occhi la notevole differenza di altezza che presentano le colonne tratteggiate (che esprimono il grado di mineralizzazione) e le colonne bianche (che indicano il grado di azione purgativa), corrispondenti alle sorgenti che fan parte dei tre diversi gruppi. In quali casi o occorrenze è da preferire per uso interno l’uno oppur l'altro dei tre gruppi di sorgenti purgative ? È una questione d’ indole cli- nica, la discussione della quale rimandiamo volentieri ai medici pratici. Dal nostro punto di vista fisiologico, ci limiteremo a fare una sola considerazione generica, che ci sembra di non poca importanza. In ogni caso in cui si voglia per una volta tanto lavare il tubo dige- rente, ingombro di residui alimentari stagnanti e mal digeriti, od occorra stimolare energicamente i moti peristaltici, senza produrre soverchia irrita- zione della muccosa intestinale, sono da preferire le sorgenti forti, come la Torretta 0 le Tamerici, che in poco volume sono capaci di un'azione catarsica pronta ed intensa. In tutti gli altri casi in cui si crede utile produrre un più attivo rinnovamento degli umori, con purgazioni continuate per una die- cina di giorni (come praticano tutti coloro che si recano in estate a Mon- tecatini), giova attenersi a preferenza alle sorgenti leggiere, alle acque del Tettuccio o del Villino, che non esercitano alcuna azione irritante sugli epiteli intestinali, e ingerite in dose sufficiente, producono effetti catarsici mai pre- ceduti da premiti dolorosi neanche fugaci. ERGO Da che dipende questa completa assenza di sensazioni moleste dopo l'ingestione del 7e/tuccio 0 del Villino, che quasi mai mancano completamente quando si passano le acque clorurate più forti? Certamente dal fatto (che per quanto ci è noto, non è stato finora rilevato da alcuno) che il Tettuccio e il Villino rappresentano soluzioni di cloruro sodico assai prossime alla così M Q 60 65 80 85 90 . Tettuccio . Villino . Media. Regina . Savi . Olivo . Torretta . Tamerici . re i — —T— ess —_TT_r—.. __ tt ro——P Acque leggiere Acque medie Acque forti detta soluzione fisiologica, rappresentata, come è noto, da 0,75 o 0,73 °/ di detto sale. Nella soluzione fisiologica i corpuscoli del sangue, gli epiteli, e in generale i diversi elementi vivi dei tessuti, si conservano inalterati, es- sendo presso a poco dsotonica, vale a dire equimolecolare agli umori circolanti, al sangue e alla linfa, che normalmente irrorano i tessuti stessi. Molto in- Reggie teressanti si presentano al caso nostro alcuni esperimenti dell’ Aronsohn sulla muccosa della regione olfattiva, eseguiti a Berlino nel 1883. E. H. Weber avea veduto che dopo l'iniezione di acqua comune nelle fosse nasali, si perde temporaneamente l’ olfatto, perchè per circa un minuto più non si avverte l'odore dell’acqua di Colonia o dell’ acido acetico. Anche iniettando attraverso la regione olfattiva un acqua odorosa, egli vide che non si ha sensazione che nel principio della iniezione, e dopo vuotato il cavo nasale, è perduto l'olfatto come dopo l'iniezione di acqua semplice. Weber spiegò questi fe- nomeni coll’ ammettere che l’acqua imbeve ed altera gli epiteli olfattivi, e impedisce loro di funzionare finchè non si ripristinano le condizioni normali. L'Aronsohn sostituendo, per consiglio del nostro illustre amico prof. H. Kro- necker, a quelle con acqua comune, le irrigazioni nasali fatte con la soluzione fisiologica di cloruro sodico a 38°C., vide che non solo l'olfatto resta inal- terato dopo vuotato il cavo nasale, ma anche durante l'iniezione si possono avvertire e riconoscere gli odori disciolti nel liquido iniettato (). Nessun esperimento ci sembra più eloquente di questo per dimostrare l’importanza del giusto grado di concentrazione delle soluzioni che debbono andare in contatto degli epiteli o degli elementi vivi in generale, per evitare qualsiasi irritazione e alterazione dei medesimi. Fisica. — Aggiunta alla nota: Dell’azione dei tubi opachi sui raggi X ; del come questi scaricano i conduttori elettrizzati, e delle differenze che essi raggi manifestano quando vengono studiati con l’elettroscopio e con la fotografia (*). Nota del Socio E ViLLARI. L'aria eccitata dai raggi X conserva la proprietà di scaricare un elet- troscopio, anche dopo aver percorso un tubo di vetro di 10 m. o più di lunghezza. La natura del tubo non pare abbia influenza sul fenomeno, giacchè esso si verifica tanto con un tubo di vetro, quanto con uno di piombo co- municante col suolo. Lo stesso, all'incirca, si verifica col gas illuminante e coi miscugli di aria e vapori di etere o solfuro di carbonio. Però in questi casi dei miscugli la proprietà scaricatrice sembra perdersi assai prima che nell'aria, essendo con essi il fenomeno della scarica meno energico che con l'aria sola, a parità di distanza. L'aria ed il gas illuminante possono acquistare la proprietà di scaricare l'elettroscopio passando per un tubo di vetro percorso dalle scintille del- l’induttore rinforzate da una o più giare di Leida. Infatti cotesti gas, così attivati, se vengono spinti per un tubo di vetro di circa 70 x 1 cm., contro di un elettroscopio elettrizzato in più o meno, lo scaricano facilmente. La (1) Ed. Aronsohn, Experimentelle Untersuchungen zur Physiologie des Geruchs. (Du Bois-Reymond’s Archiv fir Physiologie. Jahrgang 1886). (2) V. questi Rendiconti, pag. 35. scintilla senza i condensatori non attiva l’aria in modo sensibile; invece eccita distintamente il gas luce, sebbene meno che coi condensatori, Accenno appena a questi risultati per prendere data, mentre le ricerche seguitano sui vari gas e sulle diverse cagioni che possono avervi influenza. Fisica. — Criptocrosi, ed altre ricerche intorno ai raggi X. Memoria del Corrisp. A. ROITI. Questo lavoro sarà pubblicato nei volumi delle Memorie. Matematica. — Su//a trasformazione delle equazioni lineari omogenee alle derivate parziali del secondo ordine con due va- riabili indipendenti. Nota del dott. OnorATO NICCOLETTI, presentata dal Socio L. BIANCHI. In un lavoro, collo stesso titolo di questa Nota, che ho presentato alla R. Scuola normale superiore di Pisa per l'abilitazione all’ insegnamento, ho trattato la questione seguente: « Data un'equazione lineare di 2° ordine: (1) Q() = ar + 2bs+ ct 4- 2dp + 2eg + fa =0, « dove, secondo le notazioni di Monge dE SOG DO. i xy «ed a,b,c...f sono funzioni note di x e di y; « determinare ufte le funzioni 9 composte linearmente ed omogeneamente « con < e colle sue derivate, e che per ogni forma della funzione <, integrale « della (1), soddisfano ad una equazione analoga; « determinare tuffe le funzioni g, il cui differenziale sia una funzione lineare « omogenea in z e nelle sue derivate, che, per ogni forma di < integrale « della (1), soddisfano ad una equazione analoga ». Una tale funzione 6 si dirà una #rasformata differenziale della 3 di ordine m, quando la < contenga (in modo essenziale) le derivate della fino all'ordine m: e la trasformazione che lega le due equazioni in 2 e @ si dirà una trasformazione differenziale dell'ordine m; analogamente, una tale funzione g si dirà una trasformata integrale della & di ordine m, quando il suo differenziale contenga (in modo essenziale) le derivate di 4 fino all'ordine w: e la trasformazione corrispondente si dirà una #rasforma- sione integrale dell'ordine m. Mi permetto di comunicare a questa R. Accademia i risultati delle mie ricerche, riserbandomi di dare in altra occasione le dimostrazioni. PSICO | 33 “a == Prgicnit S (4) FOCE pine dI dWY iù dYy° È dI 3 pf du DU DO dU d | ie 101 > nero si dice aggiunta dell'equazione data, e le sue componenti: (4) (= aL > ta ai del LOR Ae Pi ped di DI So) G; si + du ni, nrcep Leu sono le espressioni aggiunte delle componenti £, ed 9, (1). Un'equazione del secondo ordine e la sua aggiunta sono equivalenti, si riducono cioè l'una all'altra con un cambiamento proporzionale di funzione incognita, quando si abbia: (aleo — e) —b(di=4d)) 2 (ble —e) —c(di —d)) (5) n=} 4 \ n y Ì 4 (aa dove id1=b°— ce. È perciò necessario e sufficiente che si possano determinare una solu- zione w della equazione data ed una w dell'aggiunta, che soddisfino alle due relazioni: (6) uQi(0) — 0 D(u) = 0; u2:(0) — 0 ®, (u) =0 ed allora ad ogni soluzione # della (1) se ne può coordinare una della (3), che insieme colla z soddisfi a due relazioni analoghe alle (6). La funzione H dei coefficienti della (1) è un imvarzante: non muta, quando si muti proporzionalmente la funzione incognita: cambiando variabili indipendenti si moltiplica per il determinante funzionale delle antiche varia- bili in funzione delle nuove. 2. Il teorema fondamentale della teoria delle trasformazioni differen- ziali del 1° ordine è il seguente: (1) Darboux, Zecons sur la théorie... Vol. II, pag. 71 e ss. SEO « Se 4 è l'integral generale della (1), condizione necessaria e sufficiente, « perchè un'espressione della forma: (7) 0= 084 fptya « soddisfi, per ogni forma di s, ad un'equazione lineare del secondo ordine, «è che @ si annulli per due soluzioni particolari della equazione data, e sia « determinata da questa condizione a meno di un fattore di proporzionalità. « L'equazione, a cui in tal caso 9 soddisfa, appartiene alla medesima classe « dell'equazione data e si riduce alla forma normale col medesimo cambia- « mento di variabili. « Vi sono però due casì di eccezione: « a) se l’ equazione è del tipo iperbolico ed ha la forma normale: (8) stap+ bg + ce=0 « un'espressione >= a: 8p (oppure 9= a+ y9) « soddisfa ad un'equazione analoga alla (8), o quando ne sia una trasformata « di Laplace, oppure si annulli per una soluzione particolare dell’ equazione « stessa (trasformazione del Levy); « b) se l'equazione è del tipo parabolico ed ha la forma normale: (9) r+2ap+ 2bg + ce= 0. « un’ espressione : @= @24- fp « soddisfa allora ed allora soltanto ad un'equazione analoga, quando sì an- « nulli per una soluzione particolare dell’ equazione stessa ». Queste trasformazioni si diranno singolari. Di più: « Ogni trasformazione differenziale del 1° ordine si ottiene, nel caso del « tipo iperbolico, dalla composizione di due trasformazioni elementari: cioè « una trasformazione di Laplace (e la sua inversa) ed una trasformazione « del Levy: nel caso del tipo parabolico, componendo due trasformazioni « singolari ».. « Due trasformazioni differenziali del 1° ordine sono sempre permutabili ». Questi risultati per le equazioni del tipo iperbolico sono dovuti al Darboux (1). Il metodo di dimostrazione del teorema fondamentale enunciato, fa co- noscere, nel caso generale, due soluzioni particolari dell’ equazione aggiunta (*) Cf. Darboux, l. c., pag. 177. gran a quella, a cui soddisfa la (7), una soluzione nel caso delle trasformazioni singolari (eccettuata quella di Laplace); e si dimostra agevolmente che: « Indicando con P(09)=0 l'equazione in 6, con Q(4)=0 la sua equa- « zione aggiunta, dalla Q(4)=0 si passa alla ®(v) = 0 con una trasforma- « zione differenziale del 1° ordine, che corrisponde alle soluzioni particolari « della Q(A)= 0, a cui sopra abbiamo accennato ». Ne segue: « Quando per l equazione primitiva sia noto anche l’ integral generale « della equazione aggiunta, altrettanto accade di ogni sua trasformata diffe- « renziale del 1° ordine; e l’integral generale della equazione aggiunta della « trasformata si ottiene da quello della P(v) = 0 con quadrature ». 3. Il teorema fondamentale della teoria delle trasformazioni integrali del 1° ordine è il seguente: « Ad ogni coppia di soluzioni w ed « dell'equazione data e dell’ aggiunta, « corrisponde una serie semplicemente infinita (dipendente da una costante « arbitraria #) di equazioni lineari del secondo ordine, trasformate integrali « del 1° ordine della <, il cui integral generale è dato dalla formula: (10) A “ dove ati eC5) (ff Dica) (Mp= | (0. —s2. (0) + SZ de — fu) _ sol) SE a « essendo: 12) —r0= f2.(0)— 00M de — j2(0) — D(1}dy, « e dove e è la costante arbitraria da cui l'equazione dipende ». Vi sono però a questo teorema due casì di eccezione, che portano alle trasformazioni singolari: e precisamente: « Soltanto le equazioni del tipo iperbolico e parabolico ammettono delle « trasformazioni singolari: e queste sono date, nel caso del tipo iperbolico, « quando l’ equazione abbia la forma (8), dalle formule: (13) o= |uQ(a)dxr + eD(u)dy, (14) T = [0.42 + uQ()dy; «e nel caso del tipo parabolico, quando l' equazione abbia la forma (9), « dalla formula: (15) o= | }uQ2(s) — Du) de — }u Lie) — sD(u)dy ». RenpIcoNTI. 1896, Vor. V, 2° Sem. 13 wo i — Inoltre: « L'equazione trasformata integrale di 1° ordine della £(2)=0. cor- « rispondente alla coppia (wu), ha come aggiunta l’ equazione a cui soddisfa (0° — du?) « la funzione © w, essendo w la trasformata integrale della D(4) =0 « corrispondente alla coppia (wu). La costante ha lo stesso valore in tutte « due le equazioni ». Ne segue che per ogni trasformata integrale è noto anche l' integral generale dell'equazione aggiunta e quindi: È « L'applicazione ripetuta del medesimo processo non richiede più che « quadrature ».. Da questi risultati, si ottengono, come casì particolari, le trasformazioni finora note. Quando sia H=0 e si prendano per eseguire la trasformazione due soluzioni w ed v legate dalle (6), e si faccia inoltre e = 0, si ha la trasfor- mazione del Moutard per le equazioni equivalenti alla loro aggiunta. Se l'equazione data ammette la soluzione particolare e = 1, prendendo w = 1, « affatto arbitraria, si ha una trasformazione dovuta al Liouville, ritrovata poi dal Burgatti per le equazioni del tipo ellittico (*). Tutte due queste trasformazioni sono involutorie. La trasformazione del Liouville gode di proprietà importanti, essa dà come caso particolare quella del Moutard; l'applicazione successiva della medesima trasformazione non richiede più quadrature; ed infine: « Ogni trasformazione integrale del 1° ordine (non singolare) della « Q(2)=0, si ottiene cambiando dapprima la funzione incognita nell’ equa- « zione data, moltiplicando la # per una soluzione particolare dell’ equazione « stessa ed eseguendo quindi sull’equazione così mutata la più generale « trasformazione del Liouville ». E di qui segue: « Se 4 è la trasformata integrale della £(:) = 0, corrispondente alla « coppia (©, w), la — si deduce dalla 4 con una particolare trasformazione (02) « del Liouville ». Osserviamo infine il teorema, relativo alle trasformazioni singolari: « Nei due casi iperbolico e parabolico, nei quali le trasformazioni « singolari esistono, la trasformata integrale del 1° ordine più generale della « Q(2)=0 sì ottiene eseguendo su una trasformata integrale singolare una « trasformazione differenziale singolare del 1° ordine, o inversamente ». (1) Cf. R. Liouville, Formes intégrables des 6quations linéaires du secondordre(Journal de l’Ecole Polytechnique, LVI Cah. 1886, pag. 32 e ss. — P. Burgatti, Sulle equazioni lineari alle derivate parziali del 2° ordine (tipo ellittico) etc. (Annali di Matematica, Serie II", Tomo XXIII, luglio 1895). SS SE Per il caso del tipo iperbolico, questo risultato è dovuto al Darboux (!). 4. Veniamo ora alle trasformazioni, differenziali ed integrali, di ordine superiore. Il risultato, molto semplice, è dato dal teorema: « Ogni trasformazione differenziale od integrale, di ordine superiore al « primo, si ottiene componendo delle trasformazioni del 1° ordine: e preci- « samente una trasformazione differenziale dell’ ordine #2 si ottiene componendo « delle sole trasformazioni differenziali del 1° ordine: una integrale, compo- « nendo una trasformazione integrale del 1° ordine con altre differenziali. « L'ordine di composizione è affatto arbitrario. « Due trasformazioni differenziali, una integrale ed una differenziale sono « sempre permutabili. « Insieme con ogni equazione trasformata è noto anche l’ integral gene- « rale della equazione aggiunta (quando lo sia per la primitiva); e si ottiene « con quadrature da quello della ®(u)=0 ». 5. Le trasformazioni integrali singolari del tipo iperbolico danno, succes- sivamente applicate, un metodo ricorrente, molto semplice, per costruire zuzze le equazioni lineari di questo tipo integrabili col metodo di Laplace, e pre- cisamente : « L'applicazione illimitata delle trasformazioni singolari 0 e 7 conduce « dall’ equazione elementare g=30 «a tutte le equazioni, per le quali la serie di Laplace è finita nei due sensi; « partendo invece dalle equazioni più generali di rango nullo rispetto ad «0 ad y: 2 Sa PEA\CRo)ATO Dy\ de «a tutte le equazioni, la cui serie di Laplace è finita in un sol senso ». E di qui segue: « Se un’ equazione lineare del 2° ordine è integrabile col metodo di « Laplace, il problema di Cauchy ad essa relativo è ricondotto alle quadrature »; un risultato già ottenuto dal Goursat per una via affatto diversa (2). (1) Cf. Darboux, l. c., pag. 183. (2) Cf. Goursat, Sur une classe d'équations aua derivées partielles du second ordre... (Acta Mathematica, tomo XIX, pag. 314). — 100 — Fisica. — Sulla polarizzazione e depolarizzazione delle la- mine metalliche sottilissime (1). Nota dei professori Giov. PreTRo GRI- MALDI e GIOVANNI PLATANIA, presentata dal Socio BLASERNA. Se si chiude un galvanometro aperiodico con un voltametro polarizzato e si notano le deviazioni dello strumento in tempi successivi, si può dedurre facilmente da queste la capacità del voltametro per una data f. e. m. di scarica e la velocità di depolarizzazione di esso per forze e. m. successive. L'esperimento si può eseguire con un galvanometro Deprez d' Arsonval: questo strumento, com’ è noto, quando è munito di shunt conveniente, è perfettamente aperiodico e, come abbiamo potuto constatare, dopo un tempo variabile da !/,) a !/; di secondo circa, dà indicazioni continue che rappresen- tano l'andamento della depolarizzazione. Mancano evidentemente le prime misure, durante le quali si dissipa una parte abbastanza notevole della carica; sì rimedia misurando a parte, col metodo di compensazione, la forza elettro- motrice iniziale di polarizzazione. Una tale disposizione, senza essere suscettibile di una grande precisione, nè paragonabile, da questo punto di vista, ai metodi adoperati da altri spe- rimentatori, ha invece il grande vantaggio che permette di fare rapidamente e con sufficiente approssimazione (specialmente quando si tratta di misure relative) un grandissimo numero di determinazioni di tali quantità, le quali, a causa della grande complicazione dei fenomeni, mal si prestano a misure precise. Questa disposizione è stata da noi applicata allo studio della polariz- zazione delle foglie metalliche sottilissime. Nel 1874 Edison osservò che l'attrito fra un pezzo di metallo e una striscia di carta imbevuta di un liquido conduttore, diminuisce quando il metallo è polarizzato. L' Arons (?), dallo studio di tale fenomeno, sul quale erano state eseguite delle ricerche con risultati contraddittorî, fu condotto a fare alcune ricerche sulla polarizzazione del vetro platinato. Egli adottò il metodo ottico, già precedentemente adoperato dal Lippmann con risultato negativo. Sovrappose cioè alla lastra di vetro platinato una lente; immerse il tutto in una soluzione di H?SO* e osservò lo spostamento degli anelli di Newton, quando la superficie di platino aderente al vetro era polarizzata sia con l'idrogeno che con l'ossigeno. In entrambi i casi gli spostamenti degli anelli dimostrarono che la lamina polarizzata si allontanava dalla su- perficie della lente e in pari tempo si sviluppavano bollicine di gas, benchè la f. e. m. della corrente polarizzante fosse di un elemento Meidinger. (*) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Fisica della R. Università di Catania. (2) Wied. Ann., Bd. 41, S. 473, 1890. — 101 — Con altra disposizione egli osservò pure sviluppo di ossigeno con forze elettromotrici fino a !/s di Daniell, confermando quanto aveva già dimostrato il Bartoli, fin dal 1877 ('), con le ingegnose esperienze eseguite col bolli- tore elettrico. In ricerche posteriori lo stesso Arons (2) trovò che se i due elettrodi di un voltametro, contenente H?SO* diluito, si separano mediante una lamina di oro, argento o platino, e una corrente circola nel voltametro in modo che le linee di corrente passino tutte per la lamina di separazione, si osserva sulle superficie di essa sviluppo d’ idrogeno da una parte, di ossigeno dal- l’altra, e nello stesso tempo la corrente polarizzatrice diminuisce. Ciò si comprende facilmente, perchè in tal caso l'apparecchio si comporta come un sistema di due voltametri disposti in serie. Se però alla lamina metallica di separazione si sostituisce una foglia sottilissima dello stesso metallo, cessa lo sviluppo di gas e scompariscono le polarizzazioni sulle faccie della foglia. Tale fatto, che fu esteso e studiato da Daniell (*), secondo Arons (‘) non sì può spiegare (come ha fatto il Luggin (?)) ammettendo che la corrente passi attraverso i pori della foglia d’oro. La diversità di comportamento presentato in queste ricerche dalle foglie metalliche sottilissime ci ha fatto ritenere non inutile lo studiare il compor- tamento delle foglie d'oro relativamente a quello delle lamine in identiche condizioni per quel che riguarda la produzione e la dissipazione della po- larizzazione. Ed è da osservare sul proposito che malgrado il grandissimo numero di ricerche eseguite sulla polarizzazione, se si eccettua un esperimento rife- rito dal Bartoli in una delle sue belle e interessanti memorie su quest’ ar- gomento (°), nessuno sembra si sia occupato dell’infiuenza dello spessore degli elettrodi sulla produzione e dissipazione della polarizzazione. Sarebbe stata nostra intenzione di rifare sulle foglie d’oro, in confronto con le lamine d’oro, lo stesso studio che recentemente il Bouty (7) ha fatto sulle lamine di platino, e avremmo voluto adoperare un metodo analogo. Prima però di eseguire tali esperimenti abbiamo creduto opportuno fare delle ricerche preliminari con la disposizione accennata in principio di questa Nota, perchè le differenze tra le foglie e le lamine si mostrarono, fin dalle prime misure, considerevoli, e la natura del fenomeno richiedeva un grande numero di determinazioni preliminari e approssimate, per istudiarlo dapprima nei suol tratti fondamentali. (1) Nuovo Cimento, s. 3°, t. I, pag. 133, marzo 1877. (2) Wied. Ann., Bd. 46, S. 169, 1892. (3) Philos. Mag., t. XXXVIII, pag. 185 e 228, 1894. (4) Wied. Ann., Bd. 57, S. 201, 1896. (©) Wied. Ann., Bd. 56, S. 347; Bd. 57, S. 700. (6) Memorie dell’ Accad. dei Lincei, serie 3°, vol. VIII, 1880. (7) Annal. de Chimie et de Physique, 7 série, t. III, 1894. — 102 — La disposizione dell'apparecchio era la seguente: Una pila normale di Raoult, attraversando una resistenza R" che poteva arrivare fino a 315000 ohm, caricava alternativamente sia un voltametro a lamine di oro V,, sia un vol- tametro a foglie dello stesso metallo V,. Per mezzo di un interruttore I s' interrompeva il circuito polarizzante, si chiudeva quello del voltametro polarizzato, attraverso un reostato R' e un galvanometro d' Arsonval, munito di uno shunt R, e si facevano le letture del galvanometro di due in due secondi. Per fare ciò un osservatore dava il segnale con un cronometro o un contasecondi; un altro faceva le letture e un terzo le scriveva. Dopo acqui- stata una certa pratica le misure si facevano con facilità, e ripetute in iden- tiche condizioni riuscivano quasi sempre concordanti. L' interruttore I era un'altalena, costruita da Hartmann e Brown, e — come abbiamo potuto convincerci con apposite misure — permetteva di in- terrompere il circuito polarizzante e chiudere, dopo un tempo minore di 1/10 di secondo, quello del galvanometro. Misurando la diminuzione della f. e. m. di polarizzazione a circuito aperto dopo uno e due secondi, ci siamo accertati che. nel tempo interceduto tra l'apertura e la chiusura dei due circuiti, la depolarizzazione era trascurabile nel limite di approssimazione richiesto dalle nostre ricerche. I reostati R ed R' erano costruiti dal Carpentier. La resistenza R' era ottenuta da reostati a solfato di rame, cristallizzato più volte, con elettrodi di rame galvanoplastico. Con appositi esperimenti ci assicurammo che essi erano esenti da polarizzazione apprezzabile. Del Carpentier era pure il gal- vanometro, il telaio mobile del quale era costituito di due circuiti, ognuno di 132 ohm di resistenza. Le letture si facevano sopra una scala del modello dello stesso costrut- tore e ci assicurammo che, fra i limiti delle nostre misure, si poteva ritenere verificato il principio delle tangenti. Per misurare col metodo di compensazione le f. e. m. iniziale di scarica si adoperava un altro galvanometro, che veniva congiunto, mediante dispo- sizioni speciali, con l'uno o con l'altro dei due voltametri. I due reostati R ed R' servivano il primo come resistenza di derivazione, l’altro come re- sistenza intercalata nel circuito della pila compensatrice composta di due elementi Daniell, grande modello, a solfato di zinco, dei quali la resistenza interna era dai 3/00 ai */100 circa di quella di R + R'. Disposizioni, facili a immaginare, permettevano di seguire l'uno o l'altro metodo di misura, e una molla aggiunta all'altalena permetteva di ridurre a breve tempo la durata della compensazione. Immediatamente dopo ogni misura, si scaricava il voltametro relativo per mezzo di un corto circuito, e prima d' intraprendere le misure susseguenti si lasciava trascorrere un tempo sufficiente a che la carica residua fosse tra- scurabile, ciò che veniva volta per volta constatato con apposita misura. — 103 — Degli esperimenti di controllo venivano poi fatti dopo che il voltametro era rimasto in corto circuito per molte ore. I voltametri, le pile, gl interruttori e i fili dei circuiti erano bene isolati; i contatti, per maggior sicurezza erano a mercurio. Il liquido dei voltametri, di composizione uniforme in tutti gli esperi- menti, era acqua acidulata con acido solforico al 10 °/, in peso. Le foglie d’ oro, nelle prime esperienze. venivano distese sopra un telaio ret- tangolare formato da un'asticina di vetro; uno dei lati, prolungato, serviva da sostegno; un pezzo della foglia era avvolta attorno a tale prolungamento e incol- lata a una striscia di stagnola, che a sua volta veniva saldata a un filo di rame. La costruzione di tali elettrodi di foglia d'oro, dopo acquistata un po’ di pratica, non presentava grande difficoltà; era necessario soltanto versare il liquido nel voltametro molto lentamente, per evitare che i movimenti di esso producessero la lacerazione delle foglie; per la stessa ragione sì doveva tenere il voltametro al riparo di qualsiasi benchè piccola scossa. La resistenza di uno dei nostri voltametri così costruito, con elettrodi di 309,4 di superficie, era di 15 ohm circa. Tale resistenza veniva misu- rata, ogni volta che si cambiava la foglia d'oro, col metodo di Kohlrausch e con un ponte a telefono costruito da Hartmann e Brown. La stessa misura sì eseguiva pure per il voltametro a lamine d’oro; queste, accuratamente ripulite, erano immerse completamente in un liquido identico a quello del voltametro a foglie, e sostenute da due fili pure di oro. Le superficie delle lamine e delle foglie erano il più che possibile uguali, salvo in quei casi nei quali si sperimentò a ragion veduta con superficie diverse. Anzi in alcune serie di misure per ben delimitare la superficie delle foglie e ottenere una rigorosa eguaglianza di questa con quella delle lamine, si distese ciascuna foglia d'oro sopra una lastra di vetro forato, limitandola con mastice chatterton, e sì ricoprì con altra lastra identica: fra le due lastre, che erano riunite con mastice a perfetta tenuta, era collocata una striscia di stagnola che serviva a condurre la corrente. Nelle diverse serie la superficie delle lamine e foglie dei voltametri Vanio fida 2 Mila 809. Con questi apparecchi furono cimentate 10 paia di foglie di oro, ese- guendo sopra ognuna un grandissimo numero di serie di misure, alternando una serie delle foglie con una serie fatta immediatamente dopo o prima con le lamine. Le foglie d'oro sinora cimentate sono state di due qualità: foglia comune, a titolo °*5/,000, spessore variante da 0", 000084 a 0", 000088 (dedotto dal peso), e foglie d'oro (Ducatengold), titolo ®*/1000, battute espressa- mente dal Miiller di Dresda, dello spessore di 0,000092 a 0", 000094 (!). (1) Non è stato possibile, malgrado le ricerche fatte, avere delle foglie d’oro puro, che sembra sia impossibile battere. — 104 — Sia le une che le altre davano risultati regolari, solamente le foglie d'oro comune si alteravano dopo una quindicina di giorni circa e si dovevano cambiare, mentre le altre potevano durare inalterate per parecchi mesi, e anzi davano col tempo risultati sempre più regolari. Qualche irregolarità si manifestava subito dopo l’ immersione, e cessava dopo un certo tempo. Passiamo ora all'esposizione dei risultati ottenuti. F.e.m. di polarizzazione e capacità apparenti di carica. — Venivano misurate, come si è detto, col metodo di compensazione: furono cimentate esclusivamente foglie del Miiller. Le misure eseguite con. questo metodo rie- scono molto lunghe, perchè richiedono una serie di tentativi, per ognuno dei quali bisogna ricaricare gli elettrodi: per diminuire tali tentativi si ottene- vano due valori di R che producevano una piccola deviazione del galvanometro da una parte e dall'altra, e per interpolazione si calcolava il valore di R che rendeva il galvanometro sensibilmente immobile. Spesse volte questo va- lore si controllava con esperienze dirette. In tutte le ricerche fatte la f. e. m. polarizzante è stata quella di una pila Raoult, la resistenza del circuito polarizzante variando da 3000 a 315000 ohm e il tempo di carica da 2 a 30 secondi. Dalle misure eseguite siamo stati condotti alle conclusioni seguenti: a) La f. e. m. di polarizzazione p, per una medesima carica (questa misurata dal prodotto del tempo per la f. e. m. polarizzante divisa per la resistenza) è notevolmente più grande per le foglie che per le lamine. b) La differenza fra la detta f. e. m. delle foglie e delle lamine cresce col diminuire della carica; tende invece a diminuire col crescere di questa, man mano che le forze e. m. di polarizzazione tendono a diventare uguali alla f. e. m. polarizzante. c) Col diminuire della superficie delle lamine la f. e. m. di polariz- zazione cresce per le stesse, come è facile prevedere, e quindi le lamine, a superficie più piccola delle foglie, tendono a comportarsi come queste. Però l'aumento della f. e. m. di polarizzazione delle lamine con la diminuzione della superficie è tanto piccolo, che per compensare l' influenza dello spessore sarebbe stato necessario diminuire talmente la superficie di esse da non po- tere nel nostro caso effettuare l'esperimento. Riportiamo qui appresso due tabelle, che servono a dimostrare quanto sopra si è detto: TABELLA À TABELLA B Foglie nel telaio. — Superficie 309,40. Foglie nel vetro forato. — Superficie 3°09,36. L t R F L t R F L 8g 9s 250008 001,48 Od 24 bs 1 «1850000172 041,62 091,65 10 2500 0,68 0,59 10 18500 0 ,78 0,72 — 30 2500 ONER97 01893 5: 60000 0 ,62 0 86 0. ,43 10 19500 0,64 0,50 5. 315000 Ono 0 057 — — 105 — Le colonne f ed R indicano rispettivamente la durata e le resistenze di carica; le colonne F ed L le f. e. m. di polarizzazione delle foglie e delle lamine a superficie eguale; la colonna a indica le f. e. m. di polariz- zazione delle lamine quando la loro superficie attiva è ridotta a 1/,. È da osservare che le cariche, misurate nel modo anzidetto, non sono effettivamente uguali, a causa dell'aumento differente della f. e. m. durante la polarizzazione, aumento che rende la carica effettiva delle foglie minore di quella delle lamine. Per piccole cariche la differenza può ritenersi tra- scurabile, per polarizzazioni non molto piccole essa agisce nel senso di di- minuire la differenza tra il comportamento delle lamine e delle foglie. Ammettendo che, per tutta la durata della carica, l’ intensità della corrente polarizzante sia stata media tra la iniziale e la finale, ciò che in via di approssimazione può accettarsi per piccole polarizzazioni, e trascurando la depolarizzazione spontanea durante la carica, si può calcolare la capa- cità C apparente di carica delle lamine e delle foglie in determinate condizioni. Per esempio per f = 5°, R = 315000 ohm (tabella B), si ha per la capacità delle lamine C= 260 microfarad circa, per la capacità delle foglie Ci _Moeinca: La capacità delle lamine risulta adunque molto minore di quella delle foglie. Però non è da confondere tale capacità apparente con la capacità vera, o capacità iniziale, che si ha per f=0 e p=0, e che sola sembra si debba prendere in considerazione quando si vuol paragonare un voltametro ad un condensatore o ad un sistema di due condensatori uniti in serie. Tale capacità è stata determinata dal Bartoli, adoperando l’ interruttore Felici, convenientemente modificato, che permetteva di ridurre / fino a circa un decimillesimo di secondo. Egli trovò che è identica per le lamine di platino e per il vetro platinato, rivestito cioè di uno strato di platino tal- mente sottile da essere trasparente. Ciò dimostra l'interesse che si avrebbe a far diminuire £ e p e misurare le conseguenti variazioni delle capacità, per vedere la legge con la quale variano, fino a diventare uguali perp=0 e?#=0. Speriamo di poter presto pub- blicare i risultati di tale studio, che richiede un apparecchio più completo di quello attualmente adoperato nelle nostre misure preliminari. Velocità di depolarizzazione e capacità effettiva di scarica. — Sin dai primi esperimenti osservammo che le foglie si scaricavano molto più rapi- damente delle lamine, e tale differenza si osservava tanto nelle foglie d'oro comuni, che nelle foglie del Miller. La velocità di depolarizzazione però dipende, come è noto, dalle forze e. m. di polarizzazione, e queste, sia per la diversa f. e. m. iniziale di pola- rizzazione, sia per la diversa velocità, sono in generale differenti per le la- mine e per le foglie, dopo tempi uguali di scarica. Segue da ciò che per ReEnDpICONTI. 1896, Vor. V, 2° Sem. 14 — 106 — paragonare il comportamento delle foglie a quello delle lamine è preferibile confrontare le velocità di depolarizzazione non dopo tempi eguali di scarica, ma per forze e. m. di polarizzazione eguali. Siano p, e pa i valori dalla f. e. m. di polarizzazione dopo i tempi di scarica £, #2, dei quali quest’ultimo è di un secondo più grande del primo, e sia pb TP: 4="p,— pr. Chiameremo col Bouty velocità media di depolarizzazione fra p, e ps, che differirà poco dalla velocità vera a p. la quantità è Di — P vl 3 2. La quantità dell’ elettricità Q circolata attraverso la resistenza R del circuito di depolarizzazione nel secondo di tempo nel quale la f. e. m. è pas- sata da p, a ps si può ritenere data dalla relazione e quindi I valori così trovati di V, e C", si avvicineranno tanto più ai veri quanto più piccola sarà la velocità di depolarizzazione. Per calcolare, per i diversi valori di p, i valori di V, e C, si deter- minavano nel modo sopra indicato i valori di p di 2 in 2 secondi, per le foglie e le lamine in identiche condizioni, e con le medie delle diverse serie si costruivano delle curve grafiche, dalle quali si ricavavano i dati necessarî. Come si è dianzi accennato, le diverse serie riuscivano quasi sempre molto concordanti; quando per caso si verificavano piccole differenze, si aumentava il numero delle serie per avere medie più esatte, Il primo valore per {= 0, si otteneva col metodo di compensazione. Dalle ricerche eseguite si rileva che le velocità di depolarizzazione V, sono molto più piccole nelle foglie che nelle lamine e decrescono rapidamente col diminuire della f. e. m. Viceversa le capacità efficaci di scarica C',, sia per le foglie che per le lamine d'oro, crescono col diminuire della f. e. m., risultato conforme a quello trovato dal Bouty per le lamine di platino. Esse sono molto più piccole per le foglie che per le lamine (a superficie eguale) — 107 — e abbiamo potuto assicurarci che ciò si verifica pure quando la durata di carica scende fino a */, secondo. È inoltre da osservare che l'aumento di capacità, sia in valore assoluto, sia in valore relativo, è notevolmente più piccolo per le foglie che per le lamine. La stessa obbiezione che abbiamo accennato per la f. e. m. di carica si potrebbe fare per la velocità di depolarizzazione; e in questo caso la diffe- renza della carica effettiva ricevuta dalle foglie e dalle lamine tende ad ac- centuare la differenza di comportamento. Però ci siamo accertati che, anche compensando tale differenza, i risultati sensibilmente non mutano. Abbiamo eseguito un grandissimo numero di ricerche per vedere come variano p e C' per le foglie e per le lamine col variare della f. e. m. pola- rizzante, della intensità e durata della corrente di carica, della superficie degli elettrodi, ecc.; ci riserviamo di discutere i risultati in altra comuni- cazione. Qui riferiremo solamente alcune osservazioni che si possono fare su queste ricerche. Sembra evidente che la differenza tra il comportamento delle foglie e delle lamine debba attribuirsi alla differente quantità di gas ocelusi, i quali sembra altresì penetrino per tutto lo spessore delle foglie in un tempo re- lativamente breve. Il Bouty, nel sopracitato lavoro, con ragione paragona un voltametro a un condensatore, al quale sia unito un accumulatore; ove si am- metta, per ciò che sopra si è detto, che la capacità del condensatore sia identica per le foglie e per le lamine, tale accumulatore ha una capacità notevolmente più piccola per le prime che per le seconde. È dunque conve- niente, quando si vuol determinare la capacità iniziale (quella del condensatore), oltrechè diminuire quanto più è possibile 7, operare sopra elettrodi di spessore piccolissimo. A tale scopo è rivolto ora il nostro studio. Pubblicheremo presto i risultati di esperimenti intrapresi sul platino e di alcune ricerche eseguite con l’ intendimento di distinguere il comportamento degli elettrodi polarizzati con l'ossigeno, da quelli polarizzati con l’ idrogeno. Fisica. — Apparato completo per la Microfotografia. Nota del prof. L. DALL’OPPIO, presentata dal Socio BLASERNA. Chimica. — Su//a costituzione dei derivati per ossidazione dell’ acido santonico. Nota di L. FRANCESCONI, presentata dal Socio CANNIZZARO. Queste Note saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. — 108 — Mineralogia. — Za Danburite ed altri minerali: in alcuni pezzi notevoli di rocce antiche, tra è « blocchi erratici » della re- gione Cimina. Nota del dott. LigeRTO FANTAPPIÈ, presentata dal Socio STRUEVER. Trovandomi da oltre cinque anni in Viterbo coll'idea di eseguire degli studî sulle due importanti regioni Cimina e Vulsinia, segnatamente dal lato mineralogico e litologico, ho potuto mettere insieme un’ abbondante raccolta di materiale delle due regioni. Non tarderò molto ad esporre i resultati principali delle mie ricerche; ma intanto credo di non dover differire alcune notizie riguardanti la regione Cimina, perchè a me sembrano di speciale importanza, non solo per le de- duzioni che riguardano la mineralogia e la litologia di questa regione in par- ticolare, ma anche in rapporto ad alcune questioni più generali di litologia. Per ora mi limiterò ad una breve esposizione di dati di fatto; tanto più che questi hanno di per sè un significato abbastanza esplicito. Tra il materiale litologico e mineralogico della regione tengono un largo posto i « blocchi erratici » ; sui quali per l'importante zona vulcanica me- diterranea fu richiamata in particolar modo l'attenzione dei mineralogisti dalla notevole Memoria del prof. Striiver relativa ai Sabatini (1). In mezzo ai numerosi blocchi da me raccolti si trovano dei pezzi di rocce antiche, i quali sì fanno spesso notare anche al primo aspetto, come ad es. uno che nella massa verde racchiude dei frammenti brecciosi di marmo bianco. Ma non è precisamente su tutti questi pezzi in generale che voglio intrat- tenermi ora qui. Mi limiterò a far menzione specialmente di due. Uno con massa costituita prevalentemente da feldispato grigiastro, e rin- venuto sotto la località detta delle Carcarelle (dintorni di S. Martino) a lato della via delle Tre croci, scendendo verso la via provinciale di Vetralla: cioè nella parte bassa del fianco nord-ovest del grande recinto che racchiude il lago di Vico, ed un poco a nord della massa culminante del Fogliano. L'altro a grana pressochè omogenea e piuttosto fina costituita da fel- dispato bianco: rinvenuto in contrada Fagianello, poco al di là della cura delle Farine (venendo da Viterbo) sotto la via delle Tre croci. Località note- vole, per la relativa abbondanza dei blocchi, che qui, come per solito, si tro- vano specialmente nello strato tufaceo immediatamente sovrastante alla for- mazione friabile a leuciti alterate. ("*) Contribuzioni alla mineralogia dei vulcani sabatini. Parte I, Sui protetti minerali vulcanici trovati ad Est del Lago di Bracciano. Atti della R. Accademia dei Lincei, serie 4%, vol. I, 1885. — 109 — A) La massa cristallina del primo blocco dunque si presenta costituita prevalentemente di feldispato grigiastro, ì cui individui, talora contorti e va- riamente intrecciati, con delle dimensioni che non di rado raggiungono vari centimetri, lasciano in alcuni punti degli interstizi nei quali spesso si rin- vengono dei cristallini oppure degli accentramenti terrosi di ossidi di ferro, e più abbondantemente vene di sostanza bianco-giallastra. Tutta la massa si mostra fittamente punteggiata in nero specialmente da amfibolo a cui si ag- giungono poi anche lamelle di mica. Qua e là delle macchiette rossigne do- vute agli ossidi di ferro o ad alterazione di minerali ferriferi. Le specie che meritano speciale menzione tra quelle che vi si trovano nettamente cristallizzate sono le seguenti: 1. La Danburite: con speciale importanza tra tutte. Nei vari individui che si possono bene identificare si presenta in cri- stalli i quali variano tra le dimensioni di 4 mm. di larghezza per 2 mm. di lunghezza a quelle di oltre mm. 14 di larghezza per circa 4mm. di lunghezza. Questi cristallini mostrano una marcata tendenza all’ associazione paral- lela, tantochè è raro qualche individuo semplice che si presta per le misure. Le forme ottenute da queste misure presentano la seguente combinazione }110{ }120} }101} }041} 5001} 5010} colle }120{ e }001} predominanti e }010| rappresentata da sottilissime li- sterelle. Data l’ approssimazione relativamente grande negli altri angoli (!) è no- tevole il valore di 86° e 11’ per quello delle facce della forma }120j; inquan- tochè con questo valore l'angolo viene ad essere intermedio tra quello di 85° e 8" della Danburite e quello di 86° e 49° del Topazio: essendo anzi più vicino a questo che a quello. La mancanza di un numero sufficiente di mi- sure. mi impedisce per ora di verificare se ciò si debba al fenomeno delle « facce vicinali » segnalato dallo Schuster per questa specie. Per l'aspetto dei cristalli il minerale somiglia da un lato al Topazio, specialmente per la grande corrispondenza che c’ è tra le due specie per l’ in- clinazione delle facce della forma }041{ quando si osservano gli individui perpendicolarmente al piano (100), ma da un altro canto, dato il poco svi- luppo delle facce dei domi e lo sviluppo predominante della forma }120|, (1) Il seguente specchietto permette il confronto rispetto agli angoli dati dal Dana nel System of Mineralogy, sixth edition 1892: angoli misurati dati dal Dana MINIMA 57° 7 54” dd' = 82° 54 82° 53’ 18” TWR SANI 12503: — 110 — il minerale ricorda più da vicino l'Andalusite, specialmente quando si guardi perpendicolarmente al pinacoide }001|{. Lo splendore è vitreo ed inclina leggerissimamente al grasso. Le facce si presentano spesso con delle iridescenze: in particolare quelle lunghe e strette della forma }110!. Del resto l’iridescenza più o meno mar- cata si può dire un carattere ordinario per quasi tutte le specie di questi « blocchi erratici » che hanno subito gli effetti dell'attività vulcanica. Per la trasparenza si va da individui decisamente diafani, che sono al- lora ordinariamente incolori ed a facce molto brillanti, fino a quelli subtra- sparenti e traslucidi. I cristallini incolori predominano; si hanno poi quelli giallo-vino chiaro che ricordano il topazio. A questi se ne unisce qualche altro con colorazione accidentale come ad es. uno piccolissimo macchiato di rossigno tendente al gialliccio. Il minerale dà la caratteristica reazione del boro. Riguardo a questa rara specie non ho bisogno di aggiungere che non solo è nuova per la formazione Cimina; ma deve la sua grande importanza anche al fatto di essere insolita pei proietti vulcanici rinvenuti anche in altre formazioni. 2. Davyna. I cristallini piccolissimi di questo minerale (anche nei più grandi che possono essere staccati per le misure le dimensioni, sono circa */z di mm. in larghezza per mm. 14 in lunghezza) si presentano tra la sostanza bianco-giallastra del blocco in parola, in prismi esagonali terminati da facce di piramide e dalla base. Sono poi ordinariamente associati a granato giallo- bruno; il quale presenta la forma }110{ con facce talora leggermente iri- descenti. Le forme riscontrate colle misure e riferite a quelle della Nefelina danno, in simboli milleriani, la seguente combinazione RIRARZA o, Sp TS DEDO Le facce prismatiche mostrano spesso una striatura in direzione oriz- zontale, dovuta a ripetizione di facce piramidali talora distinte. I cristallini meglio conformati sono quasi translucidi e mostrano uno splendore vitreo: andando dal bianco latteo al bianchiccio. Si mostrano poi decisamente bianchi ed opachi quelli in forme meno ben definite. Anche questa specie non era stata finora segnalata per la regione (!). (1) A questo proposito debbo anzi avvertire che le specie qui numerate non sono le sole che potrei segnalare come nuove per la regione Cimina: tra le altre ho ritrovato quasi tutte quelle delle quali preannunziava giustamente come probabile l’esistenza il prof. Ar- tini nella sua pregevole Memoria: Contridbuzioni alla mineralogia dei Vulcani Cimini. Atti della R. Accademia dei Lincei, serie 4°, vol. VI, marzo 1889. —ill — Finalmente come minerale accessorio che si ritrova cristallizzato in questo blocco oltre il granato giallo-miele bruno, che come ho già detto si mostra qua e là in cristallini di forma rombododecaedrica, c'è la magnetite in pic- colissimi cristallini ottaedrici, poco più di 4 mm. nelle direzioni degli assi monometrici. Tali cristallini, talora a facce con viva iridescenza e splendore metallico, sono rari; e mostrano talvolta un principio di trasformazione verso gli ossidi rossi pulverulenti di ferro, suindicati. B) L'altro blocco, di feldispate bianco, si presenta con struttura cristal- lina ben distinta, ma uniformemente fina, tantochè non si mostra troppo si- cura la possibilità di staccare anche dalle piccole cavità della massa qualche cristallino per le misure. Secondo la caratteristica ordinaria di questi proietti che hanno subito l’azione vulcanica, sulla superficie esterna del blocco si presenta una crosta, la quale nel caso in discorso è di un color giallastro, che va rapidamente sfu- mando verso l'interno ed è accompagnata in alcuni punti della massa più esterna da macchie scure o rossigno-giallastre; le ultime delle quali ricor- dano minerali ferriferi e titaniferi: segnatamente la Titanite che nella varietà semelina può considerarsi come un elemento ordinario dei proietti feldispa- tici del Cimino. Nella massa bianca costituita dai cristallini di feldispato a splendore vitreo tendente leggerissimamente al perlaceo sulle facce laterali e più deci- samente sulle facce di sfaldatura, si nota una minuta macchiettatura di un minerale scuro, che spesso si mostra accentrato in fasci fibrosi, tendenti tal- volta alla struttura finamente bacillare nelle piccole cavità della massa. Su questi frequenti accentramenti, che alla lente sfumano dal bruno ver- diccio intenso al verde chiaro, fino al verde gialliccio appena accennato, è richiamata l’attenzione dell’ osservatore da fitti cristallini o granuli di un mi- nerale ialino con vivo splendore vitreo tendente al grasso sulle superficie di frattura, i quali si rivelano subito per individui di quarzo. Con ciò si completa l'aspetto generale di questo importante proietto del quale vengo ad indicare le specie nettamente cristallizzate seguendo la nu- merazione cominciata colle specie del blocco precedente. Però Je condizioni genetiche, che vengono rivelate da questi blocchi nella regione Cimina non permettono di applicare senz’ altro ad essi (come il prof. Artini mostrerebbe di ritenere nella Memoria citata) le conclusioni che il prof. Striiver traeva a riguardo del materiale dei Sabatini; perchè ad es., malgrado pazienti ricerche nella regione, non mi è riuscito costatare nei blocchi erratici quello spiccato carattere di formazione di contatto colle rocce sedimentarie, che si mostra con tanta evidenza nel materiale dei Sabatini: a me noto per gentile concessione del prof. Striiver. \ Invece, potrò mostrare tra breve che le considerazioni dal prof. Striiver esposte a proposito dei Sabatini si possono addirittura estendere al materiale dei Vulsini, che io posseggo in un'abbondante raccolta sulla quale sto già studiando. — 112 — 3. Il quarzo si mostra talora in granuli, ma più ordinariamente in cri- stallini che variano tra le dimensioni di !/,$ mm. per :/3 di mm. a quelle di 33 per mm. 44: quando i primi termini delle misure sì intendano sta- biliti tra gli spigoli laterali opposti ed i secondi nella direzione dell'asse di simmetria. Ordinariamente il quarzo si mostra associato nel modo suddetto, ma talora si osserva anche isolato nei piccoli vani della massa cristallina. I cristallini, di solito molto regolari ed eleganti, si mostrano nella com- binazione ì con abito piramidale : essendo le facce del prisma }211} rappresentate da pic- cole fascette che possono occupare circa !/g dell'intera altezza. Queste facce poi non mostrano striature. Le facce dei romboedri sì mostrano spesso come corrose, ma danno tuttavia delle buone immagini al goniometro. Ciò non toglie che si riscontrino delle forti oscillazioni nei valori angolari, come accade di solito pei minerali di questi blocchi. L’abbondanza del minerale che sì riscontra qui è notevole riguardo alla determinazione della natura dei blocchi stessi. 4. La formalina è il minerale che coi suoi piccoli fascetti spesso fibroso- raggiati dà la macchiettatura bruna alla massa del blocco. Gli individui pre- dominanti bruni mostrano ordinariamente le dimensioni di !/3 di mm. misurati trasversalmente, per 2 mm. nella direzione dell'asse di simmetria: se ne hanno poi spesso dei più piccoli e raramente dei più grossi; tra i quali sembra eccezionale uno che per mm. 14 in larghezza avrebbe potuto misu- rarne circa 9 in lunghezza a giudicare da un frammento, nel quale si mostra anche evidente la tendenza all’arrotondamento sulla superficie laterale, in- sieme ad una marcata striatura nella direzione degli spigoli di questa zona laterale. Questi individui bruni tendenti alle gradazioni verdi sono i soli che danno qualche raro cristallino adatto per le misure. Quelle eseguite su di un cristallino verdognolo di circa 4 mm. nel senso della maggior larghezza per mm. 14 di lunghezza danno la seguente combinazione :101} 5100} }111}. Predomina spesso lo sviluppo di quattro facce della forma }101} due a due intercalate tra le altre due opposte molto ridotte nella zona dei prismi: tra i romboedri predominano le facce della forma 5100} mentre alcune facce della forma }111} si distendono in lunghi parallelogrammi secondo gli spi- goli colle facce maggiori della forma j101{. Perciò i detti cristalli, un po’ schiac- ciati nella zona dei prismi, assumono un abito pel quale simulano, spesso — 1153 — molto da vicino, le forme trimetriche dell’ orneblenda; e precisamente quelle che presenta ordinariamente questo minerale nei cristalli che si trovano negli altri blocchi della regione. Lo splendore molto vivo negli individui più piccoli e più chiari, è vi- treo con tendenza al resinoso specialmente sulle superficie di frattura. In generale poi gli individui di colorazione più scura anche all’ os- servazione diretta si fanno notare per un marcatissimo pleocroismo che si mostra per tinte bruno-giallognole; oppure per tinte rossigne che ricordano quelle della rubellite. Il minerale va gradatamente da queste colorazioni brune a quelle ver- dognole tendenti al giallastro chiaro: mostrando spesso i segni della stratifi- cazione isomorfa con zone scure, specialmente all'apice dei cristallini ver- dastri chiari che hanno terminazioni libere nelle piccole cavità del blocco. La degradazione del colore giunge a leggerissimi accenni di tinte giallo-ver- dognole nei fascetti dei cristallini aciculari, quasi incolori. Nelle variazioni proteiformi che assume il minerale, specialmente in questi cristallini lucentissimi, sottilmente aciculari e pressochè incolori, i quali lascie- rebbero a prima vista indecisi sulla loro natura, si osservano talora dei gruppi i cui singoli individui mostrano le testine libere con una sottilissima termi- nazione verde scura la quale passa ad una colorazione decisamente bruna quando si traguarda parallelamente all'asse di simmetria: secondo uno dei più notevoli caratteri della tormalina. Si tratterebbe dunque di minuscole zeste di moro effettivamente rife- ribili, con tutta probabilità, alla varietà Acrozte: e nell'insieme ci si trova così dinanzi ad un gruppo di quelle tormaline polierozche e polierome, le quali son tanto notevoli in certi giacimenti come ad es. i giacimenti elbani. Come accessori si mostrano qua e là nel blocco dei piccolissimi aghetti bruni a vivo splendore metallico tendente all’ adamantino, i quali potrebbero esser di rutilo; ma richiedono ulteriori determinazioni che saranno fatte se si potrà avere il materiale in quantità sufficiente. Dopo l'indicazione delle specie che si trovano nei blocchi qui considerati e dopo i cenni che a questi si riferiscono in generale, non ho bisogno di insi- stere sulla loro natura, trattandosi evidentemente di frammenti di rocce an- tiche portate a giorno dal vulcano di Vico. Dovendo poi fra breve ritornare su questo materiale con molta maggiore ampiezza di dati, mi riserbo di svolgere allora relativamente ad esso le mie vedute, che sono state appena in parte adombrate in un’annotazione posta al piede di una delle pagine precedenti. È d'altra parte evidente, come ho già detto, la portata dei fatti qui segnalati. XENDICONTI. 1896, Vor. V, 2° Sem. 15 — 14 Geologia. — Per la geologia della Calabria settentrionale. Nota preliminare di E. Bose e G. De LORENZO, presentata dal Corrispondente FR. BASSANI. A causa delle discussioni recentemente sollevatesi sul trias dei dintorni di Lagonegro (Verhandlungen d. geologischen Reichsanstalt in Wien, 1895 e 1896), abbiamo creduto opportuno fare delle nuove escursioni nelle mon- tagne triasiche della Basilicata meridionale, già da uno di noi descritte, e di prolungarle poi nella parte nord-ovest della Calabria settentrionale, dove delle recenti descrizioni facevano supporre l’esistenza d’ un trias medio ana- logo a quello della Basilicata. I risultati di queste escursioni saranno da noi tra breve esposti in un dettagliato lavoro: per ora ci contentiamo di riassumere qui alcune osservazioni, in forza delle quali viene ad essere sen- sibilmente mutato il concetto ora vigente sulla costituzione geologica di quella parte della Calabria settentrionale da noi percorsa. Nella Descrizione geologica della Calabria dell'ing. E. Cortese (Me- morie descrittive della carta geologica d'Italia, pubblicate dal R. Ufficio geologico, vol. IX, Roma 1895) le montagne comprese tra Morano, Castro- villari, Lungro, S. Donato di Ninea, Cozzo Pellegrino, M. Palanuda, Mor- manno e Lajno, sono descritte come essenzialmente costituite da terreni del trias medio e superiore e subordinatamente da calcari del lias: il trias medio sarebbe rappresentato da calcari bianchi marmorei, dolomie brecciformi, scisti, calcari dolomitici compattissimi, ecc., e il trias superiore da scisti policromi, calcari neri a megalodonti e dolomiti bianche o scure frammentarie. In realtà invece il terreno più profondo di quella regione è dato dal Hauptdolomit, sopra il quale non si trovano che delle masse di calcari scuri probabilmente liasici e dei lembi del caratteristico flysch eocenico-miocenico diffuso in tutto l'Appennino meridionale. A dimostrare ciò, diamo qui la nuova interpretazione di alcuni dei profili già descritti da Cortese. Nei dintorni di Saracena, e propriamente nello spazio compreso fra il Cozzo di Cacazzella e il Vallone Lungo, dovrebbe secondo Cortese cominciare a individuarsi la zona dei calcari marmorei e degli scisti del trias medio, secata profondamente dalle acque del Garga: in verità in quella regione non esiste che un blocco (Scholle) di calcari scuri e neri (identici litologicamente ai calcari liasici inferiori di Lagonegro e di Longobucco), il quale si è me- diante fratture abbassato accanto al Hauptdolomit di S. Marco e Carponoso ed è a sua volta enormemente fratturato e scomposto, in modo che da per — 115 — ogni dove sotto i blocchi calcarei sollevati comparisce il Hauptdolomit, op- pure nelle spinte (Ueberschiebungen) di questo rimangono pizzicati lembi dei probabili calcari liasici: come si può benissimo osservare nelle rupi a sud-est di Saracena, sotto il paese, e nella gola del Garga. Vien dopo la plaga del trias medio di Lungro, di cui Cortese dà pa- recchi profili, che vanno da Lungro alla cima del Cozzo Pellegrino e che offrono sempre la serie seguente dal basso all'alto: 1. Calcari marmorei (trias medio); 2. Scisti verdicci lucenti (/rias superiore); 3. Calcari a megalodonti (#r7as superiore); 4. Scisti lionati (ras superiore); 5. Calcari cristallini (/74s). In realtà, andando da Lungro al Cozzo Pellegrino o al Piano della Ta- volara e da questo al Piano di Vincenzo e al Piano di Novacco e al Monte Palanuda, non si incontrano che i tre terreni seguenti: 1. Hauptdolomit; 2. Calcari scuri probabilmente liasici; 3. Flysch eocenico-miocenico. Di questi tre terreni il primo, o Hauptdolomit, è posto da Cortese ora tra i calcari marmorei del trias medio e ora tra i calcari a megalodonti del trias superiore; i calcari scuri (che sono, come s'è detto, identici ai calcari del lias inferiore di Longobucco e Lagonegro e al pari di questi offrono anche dei brachiopodi) vengono da lui considerati or come calcari marmorei del trias medio, or come calcari a megalodonti del trias superiore e ora come calcari cristallini del lias inferiore; finalmente gli scisti del flvsch eocenico- miocenico sono descritti come scisti del trias superiore. Un'altra plaga della Calabria settentrionale, in cui secondo Cortese do- vrebbero essere sviluppati i calcari marmorei del trias medio, è quella che da Lajno lungo il corso del fiume Lao scende fino a Papasidero; ma anche in questo caso, così come a Saracena e a Lungro, non si tratta che di un gran blocco di calcari liasici, sprofondato, fratturato, ma pur sempre soste- nuto dal sottostante Hauptdolomit. In tutti questi diversi luoghi il Hauptdolomit, sia esso bianco o nero, compatto o frammentario, fossilifero o non, è sempre facilmente riconoscibile al suo aspetto e alla sua posizione stratigrafica; i soprastanti calcari scuri probabilmente liasici hanno quasi sempre il medesimo aspetto e, sia che essi portino megalodonti, brachiopodi o gastropodi, sia che si presentino cristal. lini, compatti o cavernosi, non è possibile separare l'una dall'altra le singole varietà che li rappresentano. In quanto poi ai supposti scisti del trias, basta aver percorso un poco i bacini terziarî a rocce eruttive dell'Appennino meridionale, per vedere che gli scisti di Lungro, di S. Donato di Ninea, della Petrara, del Cozzo del — 116 — Lepre, del Vallone di Acquaformosa, ecc., sono identici a quelli dei dintorni di Castrovillari, di Mormanno, di Lajno, Castelluccio, Latronico, Episcopia, S. Severino Lucano, ecc., e che tutti fanno parte del flysch a rocce eruttive basiche, il quale rappresenta la parte superiore dell’ eocene e la inferiore del miocene. Veramente Cortese fa osservare che gli scisti da lui descritti come ap- partenenti al trias si distinguono da quelli simili, ma pretriasici, della Ca- labria, perchè non contengono mai lenti di rocce cristalline, come diorite, diabase, ecc.; ma noi appunto in questi supposti scisti triasici, e propria- mente nei lembi che scendono dalla Montagnola verso il Piano della Tavo- iara, abbiamo trovato un bel giacimento di diabase, che rende quindi gli scisti che lo accompagnano del tutto identici a quelli di Mormanno e del bacino del Sinni. Infatti recentemente gli scisti del flysch eocenico superiore e miocenico a rocce eruttive basiche, in molti punti (a ovest di Lungro, a Mormanno, alla Manca di Latronico, a S. Severino Lucano, ecc.) sono stati ritenuti a torto da Lovisato, Viola, Baldacci, Cortese e Bucca come rappre- sentanti terreni triasici e anche più antichi, mentre fin dal 1780 Alberto Fortis ne aveva riconosciuto la chiara sovrapposizione ai calcari e giusta- mente li aveva paragonati a quelli che nell'Appennino settentrionale conten- gono anche rocce verdi e filoni metalliferi. A spiegare questa recente confusione, occorre notare che nei profili di Cortese non compariscono quasi mai delle fratture, mentre queste sono in- vece numerosissime e complicate: quindi le supposte sottoposizioni stratigra- fiche e i creduti cangiamenti di facies non sono dovuti che alle abnormi posizioni prese dai terreni costituenti l'Appennino meridionale, in seguito al grande movimento orogenico terziario. A provare meglio il già detto, aggiungeremo ancora provvisoriamente un altro argomento. Nei dintorni di Lagonegro, e propriamente al disotto di quel tratto della nazionale Sapri-Ionio che sta a nord di Nemoli, si sten- dono delle rupi, essenzialmente composte di calcari scuri del lias e di lembi di Hauptdolomit, che nella carta geologica di quei luoghi rilevata da uno di noi erano state erroneamente segnate come tutte formate di lias, perchè non si era tenuto conto delle numerose fratture le quali portano i lembi di Hauptdolomit in mezzo ai calcari liasici. Queste rupi, per le rocce che le compongono, per l'assetto tectonico e per l'aspetto del paesaggio, sono in tutto identiche a quelle di Lajno, di Saracena, di Lungro e di Acquaformosa, e conseguentemente a ciò esse, al pari delle altre, sono segnate come costi- tuite da trias medio nella carta geologica della Calabria che accompagna il citato volume descrittivo. — 117 — Zoologia. — Sul! autotomia delle Cucumaria planci (Br.) v. Marens. Nota di F. Sav. MONTICELLI, presentata dal Socio TRINCHESE. Fisiologia. — Modificazioni che subisce il sanque nelle re- gioni elevate per effetto della diminuita pressione barometrica. Nota del dott. DesimerRIo KurHy di Budapest, presentata dal Socio A. Mosso. Fisiologia. — A/cune ricerche calorimetriche su una mar- motta. Nota del dott. U. DurTTo, presentata dal Socio LUCIANI. Queste Note saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. PERSONALE ACCADEMICO Pervenne all’ Accademia l’ annunzio della morte dei seguenti Soci stra- nieri: Augusto KANITZ, mancato ai vivi il 12 luglio 1896; AuGusto KekuLÈ, morto il 13 luglio 1896. Apparteneva il primo all'Accademia dal 9 giugno 1872; e ne faceva parte il secondo dal 20 settembre 1887. CORRISPONDENZA Ringraziano per le pubblicazioni ricevute : L’I. Accademia Leopoldina-Carolina di Halle; le Società di scienze na- turali di Emden, di Dorpat, di Basilea; le Società geologiche di Manchester, di Ottawa e di Calcutta; l'Istituto Teyler di Harlem; il R. Osservatorio di Greenwich. Annunciano l'invio delle proprie pubblicazioni : L’I. Accademia Leopoldina-Carolina di Halle; l’ Istituto geografico mi- litare di Firenze; il R. Istituto geologico di Stockholm. — 118 — OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA dal 6 luglio al 2 agosto 1896. Abetti A. — Seguito e fine delle osservazioni astronomiche fatte nel 1893 nel R. Osservatorio di Padova. — Appendice sull’ orbita del pianeta 1893. A := (354).... Venezia, 1894. 8°. È Antoniazzi A. — Equazioni di condizione per le occultazioni osservate a Pa- dova nel 1894 e nel 1895. Venezia, 1896. 8°. Id. — Su alcune espressioni dei rapporti 2, ed 73 proposte per la seconda approssimazione nel calcolo di un orbita ellittica su tre osservazioni. Venezia, 1893. Auwers A. — Die Venus Durchginge 1874-1882. Berlin, 1896. 4.° Carta idrografica d' Italia (M.° d'. A. I. e C.). — Il Sele. Roma, 1896. 4°. Cayley A. — The collected Mathematical Papers. Vol. X. Cambridge, 1896. 4°, Ciscato G. — Osservazioni di pianeti e comete fatte alla Specola di Padova nel 1894 e calcoli relativi all’ orbita del pianeta (354). Venezia, 1895. 8°. Id. — Osservazioni di pianeti e comete fatte alla Specola di Padova nel 1895. Venezia, 1896. 8°. D’ Achiardi G.— Il granito dell’Affacciata nell’ Isola d’ Elba. Pisa, 1896. 4°. Koelliker A. — Handbuch der Gewerbelehre des Menschen. Bd. II, 1, 2. Leipzig, 1895-96. 8°. Lie S. — Geometrie der Berihrungstransformationen. Bd. I. Leipzig, 1896. 8°. Lorenzoni G. — L' effetto della flessione del pendolo sul tempo della sua oscillazione. Venezia, 1896. 8°. Loria G. — Il passato ed il presente delle principali teorie geometriche. Torino, 1896. 8°. Lussana S.— Una esperienza di scuola sulla diatermaneità. Pisa, 1896. 8°. Id. e Cinelli M. — Sulla propagazione dei raggi Rontgen. Siena, 1896. 8°. Morselli E. — Primo Rendiconto statistico-sommario (anni 1894-95) dell’ Am- — bulatorio per le malattie nervose. Roma, 1896. 8°. Nicholson H. H. and Lyon T. L. — Experiments in tbe Culture of the Sugar Beet in Nebraska. Lincoln, 1896. 8°. Onboni G. — Di un criterio facile proposto dal Prof. J. Agostini per i pronostici del tempo. Padova, 1896. 8°. Passerini N. — Esperienze di preparazione dei vinelli col processo Mintz. Firenze, 1896. 8°. Id. — Sopra la alimentazione dei bachi da seta con foglia aspersa di polti- glia cupro-calcica. Firenze, 1896. 8°. — 119 — Rivers J. J. — Contributions to the larval history of Pacific Coast Coleoptera. Sacramento, 1886. 8°. Id. — The Oaks of Berkeley and some of their insect inhabitants. Sacramento, iSS7839: Id. — The Species of Amblychila. S. L e a. 8°. Swesey G. D. and Loveland G. A. — The Rainfall of Nebraska. Lincoln, 1896. 8°. Wetmore Ch A. — Treatise on wine production &. Sacramento, 1894. 8°. Wolfer A. — Zur Bestimmung der Rotationszeit der Sonne. Ziirich, 1896. 8°. PB: A 9A ° v94 75 -. Pesio DI > 5 ted $; Li o: ù » _ ù (O CA n 6 2a OMRON fed palio oe el - ai Piu da, z y a ò ME + È, JN: È Mic “ NERI i Ba RR) ° ni Sn i I se i 3 se URTI Dl L & [urne RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia prima del 16 agosto 1896. Meccanica. — Sulla stabilità dell'equilibrio, e sopra una pro- posizione di Lagrange. Nota del Socio F. Sracci. Il sig. Appell nel suo Traité de mécanique rationelle (tome deuxième, p. 354) trattando della stabilità dell’ equilibrio, scrive: « On peut démontrer PM dI. dd» « que, si dans une certaine position d'un système, les derivées sont toutes nulles sans que U (funzione delle forze) soit mazimum, “ PVI « la position d'équilibre correspondante est zrstable. M. Siacci nous a in- « formé récemment qu'il était arrivé è une démonstration rigoureuse de cette « proposition ». Dopo quest’ annunzio (dettato evidentemente da un pensiero, di cui debbo esser grato al sig. Appell) mi è impossibile tacere, che es- sendo ritornato in questi giorni su quella dimostrazione, che del resto non ho mai pubblicata, l'ho trovata non solo non rigorosa, ma assolutamente erronea, perchè fondata sopra una proposizione non vera. Importa notare questa proposizione, in quanto che essa è contenuta nella Mécanique Analytique, e vi è data, anzi, come un principio di Statica. Essa è la seguente: « de toutes les situations que prend successivement le système, celle où il a la plus grande ou la plus petite force vive est aussi celle où il le faudrait placer d'abord pour qu'il restàt en équilibre » (*). Ora questa proposizione, presentata fin dal 1748 dal Marchese di Courtivron all’ Académze des Sciences come un nuovo principio di Statica, e come tale accolta da Lagrange in due edizioni del suo capolavoro, e nelle altre due lasciata pas- (1) Mécanique Analytique. Première partie, section III, art. 22. (Quatrième édition, tome I°, pag. 70). RenDICONTI. 1896, Vol. V, 2° Sem. 16 — 122 — sare pacificamente da critici (!) sagacissimi come il Bertrand e il Darboux, non solo è falsa, ma potrebbe anche dirsi evidentemente falsa, in quanto che la smentiscono i moti più chiari e più comuni, come il moto ellittico dei pianeti, il moto del pendolo conico o piano, il moto dei proietti..... È vera invece la proposizione inversa, cioè: Se il sistema passa per una posizione, ove potrebbe stare in equilibrio, ivi la forza viva è massima, 0 minima, 0 massima-minima. È questa la proposizione in realtà dimostrata da Lagrange. Meccanica. — .Sw/ moto di un corpo rigido intorno ad un punto fisso. Nota di T. Levi-CIviTA, presentata dal Socio BELTRAMI. Il lettore voglia riferirsi ad una Nota apparsa non è guari in questi Rendiconti col medesimo titolo, qui sopra indicato (?). I 4. Le considerazioni gruppali si possono usufruire con vantaggio nel ri- cercare se esistono funzioni delle forze V, per cui si abbiano, oltre all’ inte- grale delle forze vive, due altri integrali lineari delle equazioni del moto e per cui quindi la integrazione si riduca alle quadrature. Se una equazione L= cost, il cui primo membro L sia lineare (nel qual caso, come è facile stabilire, sì può addirittura assumere omogeneo (3) ) nelle velocità, si suppone integrale pel moto del corpo, quando agiscono forze, essa riesce integrale anche in assenza di forze; dunque L, espresso per le p, è necessariamente una combinazione lineare « coefficienti costanti di Zf Def ,Z3f: Una combinazione Yf siffatta sarà poi integrale, allora (*) e solo allora che YV=0. Perchè esistano ad un tempo due integrali lineari indipendenti L, = cost, Le = cost, occorre adunque che il potenziale V delle forze attive soddisfaccia simultaneamente a due equazioni indipendenti: VENE Qu ZiV + USE ZaV + 913 Z3V=0 YiV=g9uZiV+t 922. Z:V+ 923Z23V=0, i coefficienti numerici 9, potendo essere scelti in modo arbitrario. Affinchè due equazioni indipendenti Y\V=0 e Y:V—= 0 abbiano una soluzione co- mune (diversa da V = cost) è necessario e basta che il sistema Y,f= 0, Y.f=0 sia completo, cioè che (Y,Y:)f sia una combinazione lineare, e, in causa delle (5), a coefficienti costanti, di Y,f,Ysf. Ne viene che Y,f, Y:f determinano un sottogruppo a due parametri di G, come reciprocamente ad ogni sottogruppo 00° di G: corrisponde un potenziale dotato della voluta pro- (1) « Cette critique minutieuse qui porte parfois sur le sens d’un not...» (Bertrand, Avertissement de la troisième édition). (2) V. questi Rendiconti, p. 3. (3) Cfr. la Nota citata: Sugli integrali algebrici, ecc. (4) Infatti la condizione affinchè L= cost sia integrale, quando agiscono le forze de- rivanti dal potenziale V, è che le due funzioni T— V,L sieno in involuzione; ora (T -V,L)=0, si scinde precisamente in (T,L)=0,(L, V)=0. — 123 — prietà. Ora esistono in fatto sottogruppi a due parametri del gruppo G3, di- sgraziatamente però soltanto immaginarî e sarebbe facile riconoscere che tali sono altresì le V corrispondenti. Senza soffermarci su ciò, diamo un esempio di funzione potenziale (immaginaria), per cui le equazioni del moto sì possono integrare mediante quadrature; la cosa non ha manifestamente alcun significato meccanico, ma presenta, se non erro, un certo interesse ana- litico. poichè non so che sia mai stata osservata la possibilità di integrare mediante quadrature le equazioni corrispondenti al moto di un corpo rigido, quando le tre costanti A, B,C sono fra loro distinte e i secondi membri (forze nel caso reale) non sono tutti nulli. Come sottogruppo 00° di G; si può assumere: | Lf 4 iDof af |> poichè: erge — ) (Zi + 2 Za) Z3f = (2143) f 4 è (2o4a)f=%af—-ilhf= —i(lf+4 i4of). Il sistema, che determina V, è: dz —\ i L3V =0 ’ ossia in coordinate euleriane (veggansi le (4)): ( (-snyt—l CON DSH cos.gIV 4 Acosg ti pill DICA sen IV _seng coss Dia dI sendIf send dY send d send de IV | a donde, integrando: V = F, (if + log tg 4 3), che può anche essere scritta: s send cos i sen 3 sen VER ((c/1080523)(— Ro So i Sen Re , F; essendo, come F,, 1-+ cos d simbolo di funzione arbitraria. Formiamo le equazioni differenziali, che, corrispondentemente alla fun- zione V, riescono integrabili per quadrature. Le equazioni del moto sono, come si sa: AD (B-0)9+M do (7) BE =(C—4)p+M, CÈ — (A — B)py + — 124 — dove M,,M,,M. rappresentano le componenti della coppia attiva e si in- tendono in generale, come pure p, 9,7, espressi mediante le coordinate la- grangiane del sistema. Riferendoci alle variabili &,/,g, si ha: p= senf# + send cos f g' q= — cos f 9 + sen & sen f g' r= cosìtg—f' e i valori di M,, M,, M., che corrispondono ad una data funzione poten - ziale V(4,/,g), si possono determinare, eguagliando le Gue espressioni del lavoro elementare, compiuto dal corpo rigido, 9V e (pM, + qM, + 7M.)dt. : i È sen 4 cos f + i sen 4 sen f Supponendo che V sia la nostra funzione F, Ceci Te ua Dot, si trova, dopo facili riduzioni: , sen 9 cos f + send sen f cos f così — 7 sen f PF a= # 14 cos 4 sen 9 send cosf + ? sen 4 sen f cosf—senfcosd n, M=— ——_—_—__—_.--... + Ùkl]1dWk 14 cos send sen 4 cos î send sen M=_— 53 cosf +? send sen f, F; s 14 cosè 4 F, designando la derivata di F, rispetto al suo argomento; siccome sen + cos i send sen , $ : ; r SI Pa F. può anch'essa ritenersi una funzione arbi- 1+ cos d ._ q: Send cos USen'diseno DI A traria di FORRDOO ri così potremo porre più semplicemente: 1+ cos. sen 9 cos f+ è send sen f sen 4 cos f + 7 sen 4 sen f —_———————_—_—__ Fr i=FifaA A M--+--T--—- |. 1+ cos è 1-4 cos d Alle equazioni (7) è ora possibile attribuire una forma, che ricorda quella del moto di un corpo pesante: Introducendo i coseni di direzione yy = Send cos f, ya == send sen f, y3 = cos + dell'asse fisso delle z, le (7) divengono : ad (Li) pri =(B—C FARETE w It letra 1—-}} su i y. PE, (7) a =(C—A)mp— p(ht int î Dit) Ser ca AT—B app (EEE a i pa Gi + 73 talchè, per l'integrazione, basta associare a quest’ultimo sistema le formule di Poisson, relative ai tre coseni y,,y:,ys. La medesima circostanza sì pre- senta appunto nel caso della gravità, ma le (7’) sono di più, qualunque sia la forma della funzione F, integrabili per quadrature, mentre, pel corpo pe- sante, quando, come ora si suppone, A = B = ©, il problema del moto è ridu- cibile alle quadrature solo allora che il centro di gravità cade nel punto fisso. Si ha una riprova della esistenza di due integrali lineari per le equa- zioni (7), moltiplicandole ordinatamente per @, + #8,, @2 + 782, «3 + 2$,, ovvero per y1,7:;Yz e sommando: In entrambi i casì il coefficiente di F è identicamente nullo. 5. Caso »). Suppongasi ora A = B. La espressione (2) della forza viva T non muta, cangiando 4, in x, (e quindi 2" in 73); essa ammette per conseguenza, oltre alle trasformazioni infinitesime Z/ , Z2/, Z:/ anche quelle, che da esse si ottengono collo scambio di «x, ,p, in #2, 7. Così operando, Z,f e Zsf si permutano tra loro, ma Z;f diviene Z'3/; abbiamo dunque in questo caso, oltre agli integrali (4), anche Z';/ = cost, che, in virtù delle (3), assume il solito aspetto 7 = cost. Siccome poi (Tedone, loc. cit.) non vi è alcun altro integrale lineare indipendente dai quattro accennati, così T am- ammette le sole trasformazioni infinitesime Z,f", Zef , Z3f , Z'3f, che debbono perciò costituire un gruppo G, a quattro parametri: Le (5) e (6) ce ne danno conferma. Rispetto alla struttura di questo gruppo, si vede subito, con- frontando col gruppo proiettivo G, (Z1f , Zaf, Zsf; Zuf, Z'af , 2'3f) della sfera immaginaria: zi + 43 + «+ 1=0, che G, vi è contenuto, mentre con- tiene come sottogruppo invariante (in causa delle (6)) il Gs (Zif, Zaf, Z3) corrispondente all'ipotesi generale A = B = C. Sotto l'aspetto geometrico il G, può ritenersi individuato dalla condizione di trasformare in sè la quadrica c++ 43+1=0, lasciando ferme due generatrici della serie T° (a differenza del G:, che ne lascia ferme tre e quindi tutte). Ogni sottogruppo co? di G,, come si desume dalle considerazioni della Nota precedente, determina un caso di integrabilità delle equazioni differen- ziali del movimento; per G: si avevano soltanto dei sottogruppi e quindi dei potenziali immaginarî, qui ne troviamo anche di reali, tutti però, come ora verificheremo, sostanzialmente conosciuti. È manifesto dapprima, in virtù delle (6), che le due trasformazioni in- finitesime : ci Lf + Co Zof + C3Lsf è VAT À costituiscono, per qualunque valore delle costanti €), €, c3, un sottogruppo di G,, talchè ogni integrale V del sistema completo: (8) \ CZIV 4 ca ZeV + e3Z3V=0 [| i VA assunto a funzione delle forze, conduce per un corpo di rivoluzione (o più ge- neralmente di cui l’ellissoide di inerzia relativo al punto fisso sia di rivo- luzione) a equazioni del moto integrabili per quadrature. Sarebbe poi facile riconoscere che i potenziali 7ealz V, corrispondenti a sottogruppi c° di Gy, sono tutti contenuti nella formula (8). — 126 — Quanto alla forma di essi, avremo in coordinate euleriane, a tenore delle (3'): , dV Z 3V — DI “na 0 , dopo di che la prima equazione (8) ci dà: dV cost cos IV (—c.seng+cs cos g) o + (-c10089 song 028009 a + în) >” =) il cui integrale generale è: è V=F,(c, send cos g + c. sen 4 seng + c3 cos 4), con F, funzione arbitraria. Se si osserva che l'argomento e, sen # cos + cs send sen gp + c3 cosd può interpretarsi come la componente, secondo l’asse mobile delle e di un vettore costante in grandezza e direzione, si è indotti a immaginare l’asse fisso delle £ parallelo a quel vettore, ciò che riduce l’espressione di V a F, (cz cos 3) = F (cos 4), forma di potenziale ben nota, che conviene in par- ticolare al caso di un corpo pesante, il cui centro di gravità sia situato sul- l'asse di rotazione dell’ ellissoide di inerzia, relativo al punto fisso. .6. Caso c). Quando i tre momenti di inerzia sono tutti eguali, si pos- sono scambiare le coordinate #,,>,3 senza che il valore (2) di T rimanga alterato; ne deduciamo che, insieme a Z1f , Zsf,Z3f,T ammette le trasforma- zioni infinitesime Z,f ,Z'sf,Z'3f e per conseguenza il gruppo G; da esse complessivamente costituito; ma un gruppo siffatto è (anche nel campo reale) simile a quello dei movimenti in geometria ellittica (!), si può dunque « priori asserire che la varietà ® di elemento lineare ds =]/2T di? è a cur- vatura costante positiva. Del resto, a conferma di ciò, è facile attribuire al ds di ® la forma canonica (?) degli spazi a curvatura costante positiva. Si ha infatti dalla (2) per A=B=0C: 4A fr r 9 , r ' 9 r r 90= Rai (x tear 020 3)°+(£ otrr 303T0 + (@ stre ia 3) = 4A ro 2 r ro , , r 04 ((1+-a34+-25)x iT-(1424+2)25+(14+24+-29) 23 200290 00 3 _2a301 030 2a, ,0/,}= 4A 5 2 7 04 {(o°—2})e TH (0°—2)e +02) a A e NE e LAVA 4A o It ritai—-0, come volevasi dimostrare. (1) Lie, ibidem, B. III, pag. 479, si cfr. anche la recente Memoria del prof. Bianchi Sulle superficie a curvatura nulla in geometria ellittica, Ann. di Mat.. anno presente. (2) Beltrami, Zeoria fondamentale degli spazi di curvatura costante, Ann. di Mat., T. 2, 1869, pag. 253. Le conseguenze dinamiche di questa osservazione sono immediate. È noto infatti che le equazioni del moto: ST Mai DI 5 8 (dove X; rappresenta la componente della forza secondo la coordinata lagran- giana %;) di un sistema, alla ‘cui forza viva T corrisponda una varietà di curvatura costante, ammettono le stesse trazettorie del sistema: X, , ì CATA € (10) Gil ; (= R2053) il quale determina nello spazio ordinario il moto di un punto materiale, sol- lecitato da forze, che hanno secondo gli assi «1,%4:,%3 le componenti: Na XX Xi Xs Xi, NERRIZA! PA | } . : Tone (!). Di più i due sistemi (9) e (10) sono tra loro equivalenti a meno di quadrature (?). Ne viene che ad ogni caso di integrabilità delle equazioni del moto di un punto materiale nello spazio ordinario, corrisponde un caso di integrabilità per quadrature delle equazioni del moto di un corpo rigido intorno ad un punto fisso, per cui siano eguali i tre momenti di inerzia. In particolare ai casi integrabili del moto di un punto materiale sopra una superficie, corrispondono esempî pure integrabili di moti di un corpo rigido con due gradi di libertà, i quali si possono sempre supporre determi- nati, imponendo ad un punto del corpo la condizione di strisciare senza at- trito sopra una superficie e quindi sopra una curva sferica di essa. Fisica. — Determinazione sperimentale della direzione di un campo magnetico uniforme dall’orientazione del magnetismo da esso indotto. Nota del dott. G. FOLGHERAITER, presentata dal Socio BLA- SERNA. Dopo di essermi accertato che l’orientazione del magnetismo nei vasi antichi di argilla cotta (*) non ha variato dall'epoca della loro fabbricazione fino al presente, devo esaminare il 2° problema, con quale esattezza cioè si arriva a stabilire, qual’ era l'inclinazione magnetica in quell’ epoca basandosi sull’ orientazione del magnetismo indotto, che noi riscontriamo in essi (am- messa naturalmente conosciuta la loro posizione durante la cottura). (1) Veggasi per esempio la Nota del sig. G. Picciati: Sulla trasformazione delle equazioni della dinamica in alcuni casi particolari, Atti dell’Ist. Veneto, 1896. (£) Cfr. la mia Memoria Sulle trasformazioni delle equazioni dinamiche, Annali di Matematica, 1896. (3) Vedi questi Rendiconti, vol. V, 2° sem., 1896, pag. 66. — 128 — Il nodo della questione sta tutto nel fatto, che non c’è un metodo, col quale si possa determinare con esattezza la distribuzione del magnetismo li- bero nei varî punti di un oggetto, e quindi non è possibile nè conoscere la vera orientazione del magnetismo indotto, nè calcolare di quanto l’ orienta- zione apparente, come risulta dalle misure, sia angolarmente spostata rispetto alla vera. Questa difficoltà non può essere altrimenti levata, che col fare delle misure su oggetti da noi magnetizzati in un campo magnetico di cui conosciamo la direzione, e col calcolare le differenze tra questa direzione a noi già nota e quella apparente del magnetismo indotto. Allora soltanto al valore dell'inclinazione dell'asse magnetico, che noi calcoliamo nei vasi an- tichi, possiamo apportare li dovuta correzione, ed avremo un mezzo per stabilire la direzione del campo magnetico terrestre, che li ha magne- tizzati. Per mettermi in condizioni il più che era possibile analoghe a quelle in cui si trovavano i vasi antichi, su cui doveva fare le mie ricerche, e per poter conoscere a quale forma e dimensione aveva da dare la preferenza nella scelta di essi, ho preso dell'argilla, colla quale ho fatto parecchi oggetti sim- metrici attorno ad un asse come cilindri, coni tronchi, doppi coni, ecc., di varie dimensioni, i quali furono cotti in apposito forno, tenuti ora in posi- zione verticale, ora in altre determinate orientazioni. Poi esaminata la di- stribuzione del loro magnetismo libero ho dedotto l'inclinazione del loro asse magnetico. Le differenze tra il valore di questa e la direzione del campo ma- gnetico terrestre, sono appunto le correzioni che si devono apportare nei vari casi alla prima quantità per dedurre il valore della seconda. E naturale, che le conseguenze che si ricavano dallo studio degli oggetti da me fabbricati, sono perfettamente applicabili anche ai vasi antichi, che sono costituiti della stessa sostanza, e che sono divenuti calamite sotto l’azione della stessa forza magnetizzante. Cercherò ora di dare un breve cenno sul modo di preparare e cuocere gli oggetti e di studiare la distribuzione del loro magnetismo libero per de- durre la direzione del loro asse magnetico. Preparazione degli oggetti. Ho fabbricato con argilla degli og- getti, che come si è detto sopra, avevano la forma cilindrica o conica: per rendere più facile l'operazione e nel medesimo tempo per avere un determinato numero di oggetti della stessa grandezza, ho fatto uso di piccoli modelli, sui quali tali oggetti venivano foggiati. Questi si lasciavano asciugare per circa una settimana, poi venivano ripassati con una raspa per correggere le irrego- larità e dissimetrie, ed in fine per mezzo della carta vetrata erano ripuliti e lisciati. Con speciale cura cercava anche di rendere le due basi piane e perpendicolari all'asse di simmetria: così, determinata l' inclinazione, che nei vari casi stimava opportuno dare al portaoggetti entro il forno, era pure nota l'inclinazione degli oggetti collocativi sopra. — 129 — Tracciava in fine con una punta di acciaio due diametri tra loro pa- ralleli, uno per ciascuna base. Il piano da essi determinato, che per brevità chiamerò la sezzone normale, aveva lo scopo di fissare la orientazione del- l'oggetto durante la cottura, e per non creare delle confusioni, cercai sempre di disporre la sezione normale nel piano del meridiano magnetico. Cottura degli oggetti. Era a mia disposizione un forno Perrot, che il prof. Blaserna aveva fatto costruire appositamente per queste mie ricerche (1). La capacità interna utile era circa 6 decimetri cubi corrispondente ad un cilindro cavo di 20 cm. di altezza per 20 di diametro interno. Tutta l'ar- matura metallica del forno era di rame, la lampada di bronzo, il tubo di uscita dei prodotti della combustione in parte di rame, in parte di zinco: era stato cioè provveduto, che fosse allontanato il ferro o qualunque altra sostanza magnetica, che potesse produrre una variazione nel campo magne- tico terrestre. Il forno fu collocato su apposito piedistallo in muratura nel mezzo di una vasta camera al pianterreno del R. Istituto fisico di- Roma. Il pavimento di questa rimane sopra una volta reale massiccia, priva affatto di travi di ferro, e così pure il soffitto è a volta reale senza ferro. Però può nascere il dubbio, del resto ben fondato, che il magnetismo del materiale da costru- zione adoperato tanto nelle pareti come nel pavimento e soffitto della stanza possa influire sulla direzione e forza del campo magnetico terrestre: per ac- certare il valore della perturbazione prodotta da tutte quelle masse magne- tiche orientate in tutti i modi possibili, feci una misura relativa dell’inten- sità magnetica collocando l’intensimetro ad oscillazione proprio sul forno e confrontando il valore ottenuto con quello, che ottenni alla Farnesina collo stesso istrumento pochi giorni prima e dopo: il rapporto delle due intensità, messo eguale ad uno il valore alla Farnesina è 0,9902. Di più il prof. L. Pa- lazzo mi ha gentilmente determinato per mezzo d'un inclinometro esatto a 2”, appartenente all’ Ufficio centrale di meteorologia e geodinamica. l'inclinazione magnetica proprio nel posto ove prima era stato collocato il forno. Il valore di quest' elemento è 57° 40°. Della declinazione magnetica non mi occupai, e del resto è chiaro, che l'unico elemento, del quale devo conoscere con una certa precisione il valore, è l'inclinazione; solo ebbi cura di collocare gli oggetti colla loro sezione normale sempre nello stesso piano verticale determinato dalla direzione del- l'ago di una bussoletta sensibile al !/, grado, che veniva posta sopra il forno. (‘) Devo ringraziare vivamente il prof. Blaserna per le grandi premure avute a mio riguardo, sia nel mettere a mia disposizione tutto il materiale, che mi ha servito per le ricerche fatte nei musei etruschi di Roma ed Orvieto, sia per gli utilissimi consigli da- timi per portare a compimento questo lavoro. XENDICONTI. 1896, Vor. V, 2° Sem. 17 — 130 — Nell interno del forno venne collocato il portaoggetti costituito da un disco di argilla refrattaria bucherellato e reso, mediante arrotamento, a su- perfici sensibilmente piane. La superficie superiore venne disposta in piano orizzontale spostando opportunamente i piedi di sostegno del forno. In tal modo era sicuro, che gli oggetti, che vi collocava sopra, avevano il loro asse sensibilmente verticale, ma non ho mai mancato di assicurarmi di ciò me- diante una livelletta, che disponeva sulla loro base superiore. Quando per lo scopo delle mie ricerche era necessario disporre gli oggetti inclinati di un certo angolo, collocava al di sopra del portaoggetti un secondo disco, che era tenuto nell’inclinazione voluta per mezzo di pezzi di argilla già cotta. L'inclinazione veniva misurata mediante un regolo angolare ad apertura va- riabile, di cui un lato era disposto sopra il disco in direzione normale allo spigolo dell'angolo diedro da esso formato col portaoggetti orizzontale, e l’altro lato portava un livello. Stabilite così le cose, chiudeva il forno ed accendeva il gas: dapprima per alcune ore il riscaldamento era fatto molto lentamente con una fiamma poco calda e con tiraggio molto piccolo, poi successivamente veniva aumen- tato il tiraggio, e lasciava che al gas prima di accendersi si mescolasse del- l’aria. Solo dopo circa sei ore gli oggetti arrivavano alla temperatura cor- rispondente al color rosso ciliegio incipiente (circa 800°), ed a tale tempe- ratura a press a poco costante erano lasciati per circa 30 ore. Veniva in seguito diminuito un po per volta il tiraggio, e quando gli oggetti erano ben coperti dal nero fumo depositato dalla fiamma luminosa, questa si spe- gneva, e si lasciava che essi si raffreddassero lentamente entro il forno. In tal modo una cottura fino al completo raffreddamento durava circa 48 ore. Aperto il forno aveva cura di segnare sopra ciascun oggetto alla parte su- periore diretta verso nord la lettera 7, per conoscere in quale posizione era stato cotto. Distribuzione del magnetismo libero nei vari punti di un corpo. Ho scelto per tale ricerca il metodo delle deflessioni (est-ovest) che è molto spedito, nel caso mio il più sensibile, e che presenta su altri me- todi il vantaggio, che non esiste induzione reciproca tra l'ago ed il corpo da studiare. È bensì vero, che con esso non si misura l'azione del magne- tismo libero, che esiste in ogni singolo punto, ma l’effetto di tutti i punti del corpo magnetizzato, perchè questi in grado diverso secondo la loro di- stanza e posizione rispetto all'ago dell’intensimetro aggiungono la propria azione a quella del punto più avvicinato ('); ma è appunto perchè non è possibile determinare la vera distribuzione del magnetismo libero nei singoli punti, che hanno ragione di essere queste mie ricerche. (1) Si comprende bene, come sia impossibile isolare l’azione di un punto, perchè anche se esso fosse staccato dal resto della massa costituente la calamita, agirebbe sempre come una calamita perfetta, e la misura darebbe una quantità di magnetismo eguale a zero. — 1381 — Le misure furono condotte sempre col seguente processo: era a mia di- sposizione un piccolo ago magnetico di forma anulare liberamente sospeso ad un filo di seta finissimo e senza torsione, e che portava nel suo mezzo uno specchietto a disco. Esso era racchiuso in una custodia metallica a forma cilindrica, sormontata da un tubo di vetro entro il quale stava il filo di so- spensione, e terminata alle due basi con due vetri a superfici piane e pa- rallele. Tale custodia era orientata in modo da potere leggere coll’ aiuto di cannocchiale e scala, la posizione dell'ago (i cui poli si trovavano all’ estremo del diametro orizzontale). i Sopra uno dei dischetti di vetro (su quello che non mi serviva per la lettura delle deviazioni dell'ago) fissai con gomma un cartoncino, sul quale era tracciato un cerchio diviso in 12 parti eguali, e disposto in modo, che uno dei punti della divisione coincidesse col centro dell'ago, e il diametro corrispondente fosse verticale. Di fronte alla divisione venne collocata una cassetta di legno a sezione quadrata, riempita di segatura e solidamente fis- sata sopra un montante: una delle pareti era disposta parallelamente al piano del meridiano magnetico, e sul suo margine era stata praticata una scannel- latura a forma di segmento circolare in esatta corrispondenza colla parte in- feriore del cerchio tracciato sul cartoncino. La scannellatura era limitata dalla parte esterna da una lastrina di ottone sottile e piana, colla quale si faceva combaciare l'estremità degli oggetti allo scopo di rendere fissa e co- stante la loro distanza dall’ago nelle varie orientazioni, in cui erano collo- cati per le misure. Per studiare la distribuzione del magnetismo in un oggetto, si appiccica- vano a questo, mediante gomma, dei sottilissimi indici di carta nei quattro punti della sezione normale; poi, dopo avere al cannocchiale osservato la posizione di riposo dell'ago, si disponeva l’ oggetto coll’asse perpendicolare al piano del meridiano magnetico ed in modo, che una delle sue basi riposasse entro la scannellatura, e venisse a toccare la lastrina di ottone. Si girava in se- guito, fino a che la sezione normale era verticale, e quindi i due indici si trovavano sul diametro verticale del cerchio diviso. Dopo avere letto la deviazione subìta dall’ago per la presenza dell'og- getto, veniva questo girato di 30° da sinistra verso destra: avevo cura che esso rimanesse in contatto colla lastrina di ottone, e che la direzione del suo asse sì conservasse normale al piano del meridiano magnetico. Notava nuovamente la deviazione dell'ago, e così di seguito fino a che era compiuta la rotazione. Presentava quindi all’ago l’altra base, e ripeteva lo stesso pro- cedimento: solo l'oggetto veniva questa volta girato da destra verso sinistra. È bene che io avverta pure, che le misure venivano per lo più fatte nelle prime ore dopo il mezzogiorno, nel periodo di tempo quindi in cui le variazioni della declinazione sono assai piccole; ma ad onta di ciò non ho mai trascurato di correggere le deviazioni ottenute per la quantità, di cui — 132 — aveva nel breve periodo variato la posizione di riposo dell’ ago, posizione che veniva continuamente controllata. Modo di calcolare. Le misure ora descritte non danno, come si sa, la vera distribuzione del magnetismo negli oggetti, nè è possibile da esse lo stabilire l’orientazione del magnetismo indotto; ma anche se si vuole risolvere questo problema approssimativamente, bisogna ricorrere a delle ipotesi per semplificare l'argomento. A me sembra, che l'ipotesi più attendibile e nel medesimo tempo molto semplice sia quella di ammettere negli oggetti due calamitazioni sovrapposte, una prodotta dalla componente orizzontale del ma- gnetismo terrestre, l’altra dalla componente verticale. A questa semplificazione è necessario aggiungere ancora, che le azioni dei singoli punti dell'oggetto siano ridotte ad un numero piccolo nel modo analogo a quanto si suppone nella teoria elementare del magnetismo, in cui tutte le forze s' imaginano riunite nei due poli. Questa ipotesi corrisponde in certo modo alla distribuzione del magne- tismo, che si trova negli oggetti, sottoposti ad esame. Sia ad esempio dato un cilindro d'argilla e supponiamo, che sia stato cotto tenuto in posi- zione verticale; la figura rappresenti la sezione normale e sia il lato «ae rivolto verso nord. È naturale allora, che se la forza ma- gnetica terrestre ha agito nella direzione ae, l'oggetto avrà e acquistato alla superficie inferiore una polarità nord ed / alla superficie superiore una polarità sud. Ma nei diversi Li punti delle due basi l’ intensità magnetica non è eguale: sperimentalmente si trova, che nel punto 4 si ha un mas- simo nord, in 2 un minimo nord, e così analogamente in € un minimo sud ed in 4 un massimo sud. Si può quindi sopporre, che tutta l’azione magnetica proceda dai quattro punti della sezione normale, come se fossero quattro poli, e che i due massimi rappresentino la sovrapposizione di due magnetismi omonimi ed i due minimi la sovrapposizione di magne- tismi opposti. Se chiamiamo allora % la componente orizzontale del magne- tismo indotto e v la componente verticale, e supponiamo per un momento, che la deviazione prodotta sull’ago calamitato, sia dovuta unicamente al magne- tismo libero proprio del punto più avvicinato, e che perciò non abbiano sull'ago influenza alcuna gli altri tre punti, avremo che l'intensità magnetica è data CRESE IRE 0) / e in a da +k+%v DIMMI, —h+v » co. +LAT—_-v » d » —hT—-v e quindi £ è uguale alla semidifferenza algebrica delle intensità ottenute in a e db oppure di quelle in c e d; il valore della componente verticale v è Rraderanion o rn. sere" — 133 — eguale alla semidifferenza algebrica delle intensità magnetiche avute in 4 c e oppure in d e d. Ma la nostra supposizione non è esatta, perchè la deviazione dell’ ago e dovuta realmente all’azione complessiva del magnetismo libero di tutti i punti, che agiranno con intensità diversa secondo la loro distanza e posizione rispetto all’ago durante le misure. ll calcolo quindi delle due componenti come è stato ora esposto, non ne dà i veri valori. In prima e larga approsimazione in base all'ipotesi, che il magnetismo del cilindro sia riunito dove si hanno i valori massimi e minimi, si può sottrarre all’azione totale del cilindro, quando è avvicinato all’ ago uno dei quattro punti, quella degli altri tre. Allora se si chiama g la forza misurata, quando all’ago è avvicinato un punto di massima intensità (per es. a), e g' la forza quando invece è avvicinato un punto di minima intensità (per es. ) avremo p=K(h+ 0) — Ki(f— 0) + K(h— 0) — KM +0) g=—KAhT—-v+K(hA+0—K(h+0)+K;(h£— 0) dove K,, Ki, K:, K3 sono delle costanti numeriche ('), che dipendono dalle dimensioni dell'ago e dalla sua distanza e posizione rispetto ai quattro punti COMOSNCI di AMARI fi : O, Se dalle due equazioni si ricava il valore di — n 0 5e per brevità si mette: si ottiene x v (1) o an L' inclinazione del magnetismo indotto tanto negli oggetti da me fab- bricati come nei vasi etruschi, fu calcolata sempre in due modi diversi: una volta in base ai lavori di 4 e ' supponendo cioè, che le varie parti del- (1) Se si tiene conto, che dallo stesso metodo di misura risulta, che i 4 punti «, 8, c, d, rimangono in un piano verticale che passa per la linea neutra dell’ago, e che due di essi si trovano sulla normale che cade nel centro dell’ago, e due su di una retta ad essa parallela e distante la lunghezza del diametro del cilindro, e se si chiamano: R la distanza del centro dell'ago dal piano corrispondente alla semialtezza del cilindro, / la semilunghezza dell’ago (nel caso mio il raggio dell’ anello), L la semilunghezza del ci- lindro e D il suo diametro, si ha netto RT n i REDS: MM ESILE ADAM R+L i, R+L K fore "7 IBR+LP + 24% TIR4LA ++ D#/ — ibi l'oggetto non abbiano influenza alcuna sulle misure, e che quindi il rap- A porto - = 1; la seconda volta supponendo tutto il magnetismo riunito nei 1 quattro punti della sezione normale e sottraendo all’azione del punto più avvicinato quella degli altri tre punti: a tal uopo naturalmente ho calcolato caso per caso il valore di È Per semplificare chiamerò l'inclinazione del ma- l gnetismo indotto ottenuta nel primo modo inclinazione calcolata, il valore ottenuto nel secondo modo inclinazione ridotta. Nel calcolo di > dei due massimi e dei due minimi. Cause d’errore. Sul valore che si ottiene per l'inclinazione del magnetismo indotto influiscono molte cause di errore, che ora andrò esami- nando e discutendo. Gli errori di lettura sulla scala e quelli dovuti al modo di disporre l'oggetto rispetto all’ago sono in generale piccoli. Per disposizione dell’ ap- parecchio un millimetro della scala mi rappresentava uno spostamento ango- lare di 1’; ora raramente la deviazione prodotta era minore di 10', e siccome poteva leggere il 0,1 di divisione, così la precisione era quasi sempre superiore al 0,01 del valore totale. Ho potuto verificare ciò anche ripetendo una serie di misure parecchie volte, avendo cura di allontanare ogni volta l'oggetto dall'ago e di riporlo nella stessa posizione. Dall insieme di molte misure fatte per conoscere quale errore si poteva commettere nel determinare l’ inclinazione dell'asse geometrico dei vari 0g- getti collocati sul portaoggetti entro il forno, sono arrivato alla conclusione, che non si può assicurare un’ esattezza superiore a + 30'. A prima vista tale errore sembra assai grande, ma devo richiamare l'attenzione, che all’ errore che si commette nel determinare la posizione del portaoggetti, si aggiunge quello dovuto al fatto, che le basi dei vari oggetti difficilmente possono essere rese tra loro parallele e normali all’ asse di simmetria. Un’ altra causa d' in- certezza sull’orientazione degli oggetti sta nella variazione di volume del- l'argilla colla temperatura, e quindi nella variazione nell'inclinazione del portaoggetti, nel caso in cui per mezzo di piccoli cunei d'argilla è tenuto in posizione diversa dall’ orizzontale. La grandezza dell'errore, che ne risulta, non l'ho potuto determinare. L'errore che dipende dallo spostamento angolare della sezione normale dal meridiano magnetico è piccolo; nelle mie misure tale spostamento non ha certamente superato + 30’, e la differenza d’ intensità che si ottiene in due punti della base, che distano di 1° è trascurabile nella maggior parte dei casi. Una delle cause di errore più gravi è certamente la imperfetta simmetria degli oggetti attorno al loro asse di rotazione e il loro diverso spessore nei p ho preso per valore di g e g' rispettivamente la media — 135 — varî punti, quando si tratti di oggetti vuoti. La dissimetria nuoce in doppio modo: 1° non viene compensata l' induzione reciproca fra ago calamitato e le diverse parti dell'oggetto; 2° nei varî punti lo spessore diverso produce l'effetto, come se vi esistessero calamite di maggiore o minore massa magne- tica. Ora per quanta cura si ponga nel fare degli oggetti simmetrici, riman- gono sempre delle irregolarità. È vero, che avrei potuto anche tornirli, ma dal fare ciò non solo mi dissuase la grande difficoltà di operare senza rom- perli, ma anche il pericolo, che durante la cottura per il diverso restringimento nei varî punti l'argilla non subisca deformazioni, che rendano inutili la fatica e la cura adoperate per la lavorazione al tornio. E poi essendo mio precipuo scopo il mettere i miei oggetti nelle condizioni più che era possibile simili a quelle dei vasi antichi, avrei esagerato in precauzione, se li avessi lavorati al tornio. È abbastanza grande il contrasto tra la regolarità apparente dei vasi, quando li osserviamo a distanza, e le irregolarità che essi mostrano, quando si esaminino da vicino attentamente. Un idea della grandezza dell’ errore complessivo prodotto da tutte le cause enumerate e da altre cause a noi ignote può farsi, quando si studia la distribuzione del magnetismo in oggetti disposti durante la cottura col loro asse geometrico nella direzione del campo magnetico terrestre. In tale posizione, come vedremo, non ha più influenza alcuna sulla distribuzione del magnetismo la forma e dimensioni degli oggetti, ma solo le cause accennate. In quanto riguarda il magnetismo temporaneo indotto dalla Terra è facile constatare, che la sua azione viene eliminata, quando per il calcolo delle componenti verticale ed orizzontale del magnetismo degli oggetti si prenda la media tanto dei due massimi che dei due minimi: e ciò per la disposizione stessa degli oggetti per la misura. E di fatto quando all’ ago si presenta per esempio il massimo nord, esso viene aumentato dall'azione del magnetismo temporaneo: invece il massimo sud viene diminuito in eguale misura: la stessa cosa vale naturalmente anche per i due minimi. Così pure non c è da temere induzione reciproca tra ago ed oggetto, almeno nei quattro punti della sezione normale, quando l'oggetto è realmente simmetrico attorno al proprio asse. Negli altri punti un po’ d'azione può aver luogo, ma questa non ha alcun effetto sui risultati perchè le corrispon- denti misure servono più che ‘altro ad assicurarci, che non esistono anomalie nella distribuzione del magnetismo libero. In una prossima Nota verranno dati i risultati delle misure. — 136 — Fisica. — Sulla conducibilità elettrica dei gas caldi. (1) Nota del dott. P. PeTTINELLI e di G. B. MAROLLI, presentata dal Socio BLASERNA. Numerosissime ricerche sulla conducibilità dei gas caldi sono state fatte dopo quelle note del Becquerel. È La maggior parte di queste riguardano fatti isolati più che uno studio sistematico della questione; notevoli sono gli studi sull’argomento dell’ Elster e Geitel e specialmente del Blondlot, avendo quest’ultimo dimostrato che i gas scaldati ad alta temperatura, nel condurre la corrente non presentano indizi di polarizzazione e non seguono la legge d’Ohm (?). In una Nota precedente abbiamo esposti alcuni fatti singolari osservati circa la dipendenza della conducibilità delle fiamme dalla natura degli elettrodi. In questa Nota ci proponiamo di esporre altri fatti osservati studiando la conducibilità elettrica dei gas caldi e delle fiamme. I gas erano chiusi entro tubi di porcellana, di 2 cm. di diametro, lun- ghi 50 cm., la parte di mezzo dei quali veniva portata ad alte temperature entro uno speciale fornello a gas. Gli elettrodi eran fissati a due asticelle d’ottone che s'adattavano alle estremità del tubo mediante tappi di gomma a tenuta d'aria; i gas cimentati potevano esser rarefatti mediante un ap- posito tubicino in comunicazione con la macchina pneumatica. La temperatura del gas scaldato si misurava, mantenendo costante per un certo tempo il regime del fornello, poi togliendo via i tappi di gomma, e dentro il tubo nel posto degli elettrodi mettendo una spiralina di platino, della quale si misurava la resistenza elettrica. Conosciuta la resistenza della spirale a 10° e alla temperatura d’ebullizione dello zolfo (448°), si ammise che il coef- ficente d'aumento della resistenza elettrica con la temperatura rimanesse co- stante fino a 1200°. Per misurare l'intensità delle correnti che attraversavano i gas caldi, abbiamo adoperato un galvanometro Thomson di discreta sensibilità, ed un galvanometro col sistema magnetico sospeso immerso nell’acqua, assai sensi- bile e molto comodo perchè non sentiva gli urti trasmessi dal sostegno (?). La pila adoperata era costituita da cento coppie zinco-rame grandi e accuratamente isolate con paraffina. Più di duecento determinazioni ci hanno condotto ai seguenti risultati. (3) Lavoro eseguito nel Gabinetto di Fisica del R.° Istituto Tecnico Bordoni di Pavia. (*) R. Blondlot, Comptes Rendus; 1° semestre, 1887. (3) P. Pettinelli, Sull'uso dei galvanometri col sistema sospeso immerso in un liquido. Nuovo Cimento, 96. — 137 — I. La conducibilità dei gas scaldati in tubo chiuso e delle fiamme è in- timamente legata con la porosità dell' elettrodo negativo ; rimanendo costanti le dimensioni e la distanza degli elettrodi, la natura e la temperatura del gas, e la f. e. della pila adoperata, la resistenza offerta alla corrente dal gas è minore quanto più è poroso l'elettrodo negativo, deducendo tale proprietà dall’ attitudine di questo ad assorbire le sostanze gassose. Così, come abbiamo annunciato nella Nota precedente, il carbone di legna adoperato come elet- trodo negativo, rende una fiamma centinaia di volte più conduttrice; e tanto più, quanto più è poroso il carbone adoperato. Alcuni ossidi metallici ed il pal- ladio presentano un comportamento analogo; anzi, il modo di comportarsi di diverse sostanze che funzionassero da elettrodo negativo in una fiamma po- trebbe servire di criterio per giudicare della loro porosità: così per esempio la fiamma di un bruciatore Bunsen è dieci volte meno conduttrice con 1’ elet- trodo negativo costituito da porcellana smaltata scaldata al rosso, che ado- perando per elettrodo negativo un filo di platino. Con elettrodi della stessa sostanza la conducibilità è maggiore se 1’ elet- trodo negativo è quello più esteso. La conducibilità dei gas caldi è dunque unipolare; dipende dall’ esten- sione e dalla porosità dell’ elettrodo negativo soltanto; ma la differenza nella conducibilità dovuta alla diversa porosità dell’ elettrodo negativo diminuisce rapidamente col diminuire della temperatura. Per esempio; se all'elettrodo negativo di ferro in una fiamma di un bruciatore Bunsen sostituiamo un elet- trodo di carbone, la conducibilità della fiamma aumenta centinaia di volte, ma la stessa sostituzione operata in un tubo scaldato a 800 porta un aumento nella resistenza del gas caldo di tre o quattro volte appena. Anzi un aumento simile di tre o quattro volte appena, si osserva sostituendo l’ elettrodo nega- tivo di ferro con uno di carbone quando gli elettrodi invece che in mezzo alla fiamma sono immersi nei gas caldi sovrastanti, dove un filino di platino si scalda al rosso vivo. II. Mantenendo costante tutto il resto e variando soltanto la f. e. della pila non si verifica la legge d'Ohm; in generale l'intensità della corrente cresce più rapidamente della f. e.; nel solo caso delle fiamme, adoperando elettrodi di carbone di legna, la legge d’Ohm per f. e. da !/,, a 50 Volta è grossolanamente verificata. In tutti i casi non si ha indizio di polarizzazione anche per f. e. di due o tre centesimi di Volta. III. Coeteris paribus l’ intensità della corrente aumenta in ragione inversa della distanza degli elettrodi fino alla distanza di 2 millimetri; per distanze minori aumenta molto meno rapidamente. IV. A 600 gradi i gas cominciano a lasciarsi attraversare da correnti misurabili dai nostri galvanometri: a 800 gradi, tutto il resto rimanendo co- stante, l' intensità è aumentata qualche diecina di volte; cresce meno rapi- damente con aumenti ulteriori di temperatura. RenpIcoNTI. 1896, Vor. V, 2° Sem. 18 — 138 — V. I vari gas cimentati in uno stesso tubo con gli stessi elettrodi, pre- sentano quasi la stessa conducibilità î se alcuni di essi reagiscono con gli elettrodi, allora abbiamo forti cambiamenti rispetto ad altri gas (come p. e. adoperando acido cloridrico con elettrodi rame) e questo si spiega facilmente con la modificazione che subisce l'elettrodo negativo. VI. Col diminuire della pressione aumenta la conducibilità dei gas scal- dati ad alta temperatura. Non abbiamo potuto fare determinazione per pressioni inferiore ai cinque millimetri, che potrebbero riuscire interessanti. - Da tali resultati si potrebbe concludere che la conducibilità delle fiamme analoga a quella dei gas scaldati ad alte temperature in tubo chiuso, è dovuta a trasporto d' elettricità per convezione. Le particelle gassose per caricarsi d’elettricità negativa richiederebbero di essere almeno parzialmente disso- ciate, e quindi tale conducibilità è possibile soltanto a partire da temperature elevate; aumentando con la temperatura la frequenza di tali particelle dis- sociate e l'elettrodo negativo poroso offrendo più facile contatto con queste, aumenterebbe la conducibilità del gas caldo con la temperatura di questo e la porosità dell’ elettrodo negativo. Chimica. — Nuove osservazioni sul comportamento criosco- pico di sostanze aventi costituzione simile a quella del solvente ('). Nota di FeLICE GARELLI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Nel mio primo lavoro (*) su questo argomento io ho comunicato che l'indene sciolto in naftalina fornisce abbassamenti del punto di congelamento anormali: e, per molte ragioni già espresse a suo tempo, la causa dell’ ano- malia va cercata, con ogni probabilità, nella separazione di parte dell’ indene con il solvente solido. Già allora era mio intendimento di completare, non appena mi fosse possibile, lo studio crioscopico di tutti i corpi della serie indenica : l'occasione di porlo in effetto mi venne fornita in quest'anno dai signori Kraemer e Spilker (3), dacchè essi hanno isolato in discreta quantità dal catrame di carbon fossile, il rappresentante più semplice di questa classe di corpi e cioè il ezelopentadiene. Di questo interessante idrocarburo, già intraveduto da altri chimici nei prodotti di distillazione del catrame di carbon fossile, i detti autori hanno fatto uno studio accurato e sono riusciti a metterne in chiaro la costituzione. Questa è confermata, come si vedrà, dalle esperienze crioscopiche descritte nella presente Nota. (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica generale della Università di Bologna. (2) Gazz. Chimica, t. XXII, parte 2°, pag. 245, 1892. (3) Berichte, 1896, vol. XXIX, pag. 552. Ciclopentadiene (1). Ammesso che il composto della formola C; Hy corrisponda effettivamente al furano ed al pirrolo, esso dovrebbe presentare un comportamento criosco- pico anormale in soluzione di benzolo, dacchè è questo l’ idrocarburo aromatico col quale esso sta nella medesima relazione che passa fra l' indene e la naftalina. Ed era inoltre molto probabile che, verificandosi tale anomalia essa sarebbe poco spiccata o per lo meno alquanto minore di quella propria del pirrolo in benzolo: ciò perchè ho già trovato che in naftalina l'indene è meno anormale dell’ indolo, ed in generale ho constatato che passando dai nuclei complessi a quelli più semplici, diminuisce, nella sua entità, la ca- ratteristica anomalia. Ambedue queste previsioni si sono verificate. Dalla Memoria di Kraemer e Spilker si rileva che il ciclopentadiene si trasforma spontaneamente in un polimero avente doppio peso molecolare. Era della massima importanza per me l’assicurarmi ch'io eseguivo le de- terminazioni crioscopiche sopra ciclopentadiene puro, esente da ogni traccia di polimero. Per questa ragione io ho purificato il composto distillandolo ripetutamente a bagno maria con deflemmatore, e sopratutto poi ho avuto cura di introdurlo nell’ apparecchio crioscopico non appena distillato, lascian- dolo a sè solo pochi minuti. Per pesarlo ed introdurlo nell’apparecchio di Beckmann mi servii della pipetta picnometrica di Sprengel. Ciclopentadiene in benzolo, C; Hy = 66 Peso molecolare trovato concentrazione abbassamento colla costante==49, colla costante = 53 I 0,5401 00,34 78 84,1 Il 1,4820 0, 96 76 81,8 JIII 2,3051 1, 49 CONI 81,4 IV 3,4830 2, 24 76,2 82,9 IV 5,8098 3, 64 78,2 84,5 La deviazione dei pesi molecolari trovati dal valore teorico non è, come si vede, molto rilevante: però il loro andamento alle varie concentrazioni stabilisce con sicurezza, che si tratta di soluzione anormale perchè nel con- gelamento si separa una soluzione solida. Di fatti si osserva anche questa volta un lieve decrescere del peso molecolare con l’ aumentare delle concen- trazioni: e solo quando queste sono elevate, il peso molecolare trovato risale nuovamente. (1) Il ciclopentadiene nonchè il polimero nel quale esso si trasforma, che servirono a queste esperienze, vennero messi gentilmente a mia disposizione dal sig. dott. G. Kraemer di Berlino. Sono lieto di porgergli qui i miei sentiti ringraziamenti per la sua cortesia già altra volta sperimentata. G. Ciamician. — 140 — A fine di far risaltare meglio tale anomalia ed anche per essere più sicuro che il ciclopentadiene trattato come dissi sopra non contiene traccie di polimero, ho eseguito alcune determinazioni in soluzione di paraxilene. In questo solvente l'anomalia doveva cessare, perchè i due idrocarburi che fanno da solvente e da corpo sciolto più non si corrispondono. Ciclopentadiene in paraxilene, C; Hg == 66 concentrazione abbassamento peso molecolare (costante = 43) I 0,8729 09,57 65,8” II 1,5010 0, 96 67,2 III 2,9784 1, 44 71,0 La soluzione congela dunque secondo la teoria, ed i pesi molecolari che si ottengono crescono regolarmente con l'aumentare delle concentrazioni. Il fenomeno opposto, ch'io ho veduto verificarsi molte volte, mi pare quindi diventi sempre più una caratteristica di quelle soluzioni che congelano anormalmente in seguito a separazione di soluzione solida. Nel mio ultimo lavoro (!) ho cercato di dare, di questo fatto, una spiegazione che mi sembra in buona armonia con la teoria di van't Hoff. Diciclopentadiene. Per studiare il comportamento crioscopico di questo corpo in vari sol- venti, l'ho purificato accuratamente distillandolo più d'una volta a pressione ridotta, secondo le norme consigliate da Kraemer e Spilker. Stavolta ho cercato di assicurarmi che il composto non conteneva traccie della combinazione monomolecolare: esso di fatti fondeva a 32°,5 e bolliva a 84° alla pressione di 30 mm. Diciclopentadiene in benzolo, C, Hi» = 182 concentrazione abbassamento peso molecolare (costante = 49) I 0,7302 09,275 130 II 1,7410 0, 68 129,2 III 2,9010 TR09 131 Passando dal monociclopentadiene al composto bimolecolare, sparisce adunque del tutto l’ anomalia in soluzione benzolica. Si tratta però di un corpo che ha evidentemente la stessa funzione chimica del primo e molta analogia con esso in tutte le sue proprietà. Anche ciò prova, dunque, che la funzione chimica non esercita alcuna influenza sulla formazione di soluzioni solide; perchè il fenomeno si verifichi è d'uopo anzitutto che i corpi ciclici funzio- nanti da solvente e da corpo sciolto, siano dello stesso ordine. (1) Questi Rendiconti, vol. V, 1° semestre, pag. 204. — 14l — Secondo Kraemer e Spilker il diciclopentadiene avrebbe la formola: CHESCH-CH—CH I | soi CH CH—CHT—CH, NZ IA CH, CH, epperò sarebbe un composto a tre nuclei. È presumibile perciò ch’ esso ri- prenderà il comportamento anormale solo quando verrà sciolto in un idro- carburo a tre nuclei analogamente costituito. Nella speranza di portare qualche contributo allo studio della costitu- zione di questo interessante polimero, io l'ho successivamente sperimentato in soluzione di naftalina, di difenile e di fenantrene: ed in tutti e tre i solventi ho constatato un comportamento normale. Diciclopentadiene in naftalina, Cio Hi: = 132 concentrazione abbassamento peso molecolare (costante = 70) Il 0,5032 0°,27 130,4 II 1,0269 0, 54 133,1 III 2,2811 Tl6 157,6 IV ©,1770 2, 50 142,1 Diclclopentadiene in difenile (costante = 80) I 0,6660 0, 40 153,2 II 1,8350 al 133,4 III 3,0663 IURCATA 158 IV 5,9410 3, 39 140 Diciclopentadiene in fenantrene (costante = 120) I 1,0721 02:99 130 II 2,6457 2, 44 130,1 III 3,0020 d, 18 152. Rispetto al comportamento della soluzione fenantrenica, nulla si poteva prevedere dacchè quantunque ambedue i composti siano dello stesso ordine, pure dall’ esame delle formole rispettive CH°- CH pesca Meroni icH CH e deg MM) | Q Di 0 CH cul ea—ca fon CH—CHX _CH-CH DS Xok \CH=CH ? ? — 1422 — si vede che siamo ben lungi dall'avere una corrispondenza perfetta. Sopratutto si può osservare che il nucleo mediano del diciclopentadiene è fatto con soli 4 atomi di carbonio, quello del fenantrene con 6: e siccome soluzioni formate da corpi tra i quali intercedono simili relazioni non furono finora sperimentate, così a priori non si poteva con fondamento fare alcuna supposizione. Il comportamento normale della soluzione fenantrenica adunque non infirma per nulla la formola di costituzione proposta da Kraemer e Spilker pel diciclopentadiene. Fluorene. % Per completare la serie degli indeni era necessario ch’ io sperimentassi pure il fluorene. Questo composto che, come è noto, è l’ indene corrispondente al fenan- trene, è normale in soluzione di benzolo e di naftalina, laddove sciolto nel fenantrene ne innalza addirittura il punto di fusione e sembra costituire con esso una miscela isomorfa. Fluorene in benzolo, C;3 Hio= 166 concentrazione abbassamento peso molecolare (costante = 50) I 0,9362 00,30 156 JI 1,35010 0, 57 158 II 3,1004 0, 955 162 Fluorene in naftalina, (costante = 70) I 0,8116 00,34 166 Il 1,7410 0, 725 168 Fluorene in fenantrene concentrazione innalzamento del punto di congelazione I 0,6610 09,035 II 1,2620 0, 135 La nuova serie di anomalie ch'io ho realizzata è perfettamente compa- CH HT CH CHRCH I208 H/\C Cei De le Td EL dor CATA ch) \YCH CHRON 5 GEL CH, CH CH, NA CH, ciclopentadiene indene fluorene rabile a quella costituita dal pirrolo, dall’ indolo e dal carbazolo. — 143 — Anche in questa serie si vede, che l’anomalia va crescendo se si passa dal termine più semplice, cioè dal ciclopentadiene, ai più complessi, e si nota inoltre che tutti i termini della serie indenica sono un po’ meno anor- mali dei corrispondenti composti azotati. Di fatto il ciclopentadiene è un po' meno anormale di quanto lo sia il pirrolo in benzolo, l’indene in naftalina lo è meno dell’ indolo; ed infine tanto il carbazolo come il fluorene innalzano il punto di fusione del fenan- trene, ma il primo produce un innalzamento molto superiore a quello cagio- nato dal secondo. Chimica. — Sugl: alogeno-platinati misti ('). Nota di A. Mro- LATI presentata dal Socio S. CANNIZZARO. Una recente pubblicazione di Ch. H. Herty (*) su questo argomento, mi induce a render noto qualche osservazione che ebbi occasione di fare nel corso di alcune ricerche su certi composti complessi del platino. Come è noto L. Pitkin (3) fu il primo che tentò diottenere degli alo- geno-platinati contenenti due alogeri diversi. Mescolando soluzioni acquose di acido cloroplatinico e bromuro potassico nel rapporto di una molecola del primo a dus del secondo, ottenne un precipitato cristallino, che per il contenuto in platino corrispondeva abbastanza bene alla formola K. Pt Cl, Br.. Ad un sale della medesima composizione giungeva anche disciogliendo due molecole di cloroplatinato ed una di bromoplatinato potassico nell'acqua e facendo cristallizzare le soluzioni mescolate; mentre che, se variava opportunamente il rapporto dei due sali, egli arrivava agli altri clorobromoplatinati aventi una composizione molecolare intermedia tra il K. Pt Ck; e il K, Pt Bry. Sembra quindi esistere, secondo lui, la serie completa dei platinati misti che uniscono il cloroplatinato al bromoplatinato. La natura unitaria di questi sali fu per la prima volta messa in dubbio da Endemann, il quale accennò alla possibilità che essi non fossero composti definiti, ma solamente mescolanze isomorfe di cloroplatinato e bromoplatinato potassico. Per eliminare questo dubbio il Pitkin sottopose alla cristallizza- zione frazionata il sale K, Pt Cl, Br., e avendo trovato che le diverse fra- zioni contenevano la medesima percentuale di platino, corrispondente alla formola suddetta, concluse che i sali da lui preparati si dovevano conside- rare composti definiti e non miscele isomorfe di cloroplatinato e bromopla- tinato potassico. (1) Lavoro eseguito nel laboratorio chimico dell’ Università di Roma. (2) Journ. of the americ. chem. Society, XVIII, 180 (1896). (3) Ibidem, I, 472 (1878); II, 296, 408 (1879). — 144 — Questa conclusione del Pitkin venne ultimamente di nuovo posta in dub- bio da Ch. H. Herty (!). Avendo questi trovato che i sali doppi di piombo e potassio, come pure quelli di antimonio e potassio contenenti due diversi alogeni, non erano da considerarsi altro che come mescolanze isomorfe dei sali doppî a un sol alogeno (?), fu indotto a studiare nuovamente sotto questo punto di vista i sali di Pitkin. Herty partì da questo concetto: se le sostanze ottenute da Pitkin sono veramente composti chimici definiti, esse dovrebbero ottenersi egualmente mo- dificando lievemente o i rapporti dei corpi da cui s' ottengono, o le condizioni dell'esperienza. Ora, se ad una soluzione di acido cloroplatinico invece di aggiungere soltanto bromuro potassico, si aggiunge oltre a questo anche piccola quantità di cloruro potassico, in modo però che in totale vi siano sempre due molecole di sale potassico per una di acido cloroplatinico, si ot- tengono cristalli di composizione diversa, avvicinantesi sempre più alla for- mula K; Pt Cl; quanto maggiore era la quantità di cloruro potassico adoperata. Per di più, sottoponendo queste sostanze ad una cristallizzazione frazionata si hanno frazioni di composizione diversa dalla sostanza primitiva, di modo che l’ Herty non crede che il sale Ks Pt CL, Br: da lui specialmente stu- diato e in generale gli altri composti analogamente ottenuti da Pitkin, siano composti definiti, ma soltanto miscele isomorfe dei due platinati a un sol alogeno. Il lavoro molto accurato dell’ Herty, i cui risultati esperimentali non si possono mettere in dubbio, non ha risolto però a parer mio la questione dell’esistenza o meno degli alogeno platinati contenenti due alogeni diversi; esso ha dimostrato soltanto che per azione del bromuro potassico sull’ acido cloroplatinico, o mescolando cloroplatinato o bromoplatinato potassico, non si formano radicali acidi complessi stabili contenenti il platino unito a cloro e bromo, ma che vi è tendenza invece a formarsi i complessi atomici (Pt Cl;) e (Pt Br) i quali rappresenterebbero l’assettamento atomico più stabile (8). Un'altra via però potevasi seguire per arrivare almeno ad alcuni di questi composti, via prettamente chimica, semplice e che si presentava anche con molta probabilità di riuscita. Ognuno sa che i sali del platino bivalente (1) Loc. cit. (2) American Chem. Journ. XV, 81, 357, XVI. 490. (8) Potrebbesi quindi supporre, che i complessi atomici acidi, formati da un metallo e da una sola specie d’alogeno o gruppo alogenico, fossero più stabili di quelli contenenti più sorta d’alogeno e che questi avessero la tendenza a trasformarsi in quelli. E da no- tarsi che M. Vèzes (Annales de Chimie et de Physique (6) XXIX, 180 (1893), ottenne il com- posto [ Pt Cl» (NO»)]Ks sciogliendo quantità equimolecolari di cloroplatinito e di plato- nitrito potassico. Secondo esperienze mie non si può però, con questo metodo, ottenere il composto [Pt Cl; (NO:)]K:. Sciogliondo 3 molecole di cloroplatinito ed una di platonitrito si forma il sale di Vèzes sopracitato, ed una parte di cloroplatinito rimane inalterata. Così pure non fu possibile d’ottenere l'analogo composto di Palladio [Pt Cl. (NO): JK. — 145 — addizionano gli alogeni trasformandosi in sali di platino tetravalente. Così il cloroplatinito potassico Pt Cl, K: con cloro dà il cloroplatinato Pt Cl; K., il platonitrito o il platocianuro Pt (NO), K, e Pt (CN); K; con cloro 0 con : ou na Cl, Br, Ol bromo danno i platinati RE ddr Hi Co ii e(ri E» (Pi n ES Analogamente addizionando bromo al cloroplatinito potassico 4 ocloro al bromoplatinito, si avrebbe dovuto ottenere (ri ni K;e (P Ù o) Ko. 2) 2 Io mì sono limitato a studiare la prima di queste reazioni, perchè nella seconda poteva avvenire oltre che l’addizione anche lo spostamento del bromo col cloro. I risultati dell'esperienza si possono brevemente riassumere così. Se si tratta il cloroplatinito potassico, sia allo stato solido finamente polverizzato, secco o umettato con poca acqua, sia allo stato di soluzione satura, con un eccesso di bromo, si forma a poco a poco un composto cristallino giallo aran- ciato, il quale filtrato, lavato con alcool per esportare tutto il bromo, e sec- cato, ha una composizione corrispondente alla formola K, Pt C1, Br; 0 molto vicina. Le analisi qui riportate, fatte su campioni di preparazione diversa dimostrano quanto s'è detto. I. 0,3756 gr. di sostanza diedero 0,1274 gr. di platino e 0,1124 gr. di sol- fato potassico corrispondenti a 0,05047 gr. di potassio. II. 0,3162 gr. di sostanza diedero 0,1067 gr. di platino e 0,0973 gr. di sol- fato potassico corrispondenti a 0,04369 gr. di potassio. III. 0,4023 gr. di sostanza diedero 0,1375 gr. di platino. AO 9695 a» e i0s09 In 100 parti: I II III IV calcolato per K, Pt Cl Br» bb 33,92 33,75 34,18 384,11 33,89 o = 13,44 13,82 — = 15,62 Le soluzioni della sostanza primitiva fatte a caldo sciogliendo comple- tamente la sostanza, o fatte estraendo con una quantità insufficiente di acqua bollente il composto primitivo, lasciano depositare per raffreddamento bellis- simi cristalli cubici, rosso-aranciati, dicroici, a riflessi bleuastri. Dalle acque madri s' ottengono poi altre cristallizzazioni. La ricerca analitica di queste diverse frazioni ha dimostrato che le prime cristallizzazioni (che sono in quantità maggiore) hanno sempre una composi- zione costante che corrisponde bene a quella del composto primitivo ed alla formola K, Pt Cl, Br». Non così le susseguenti frazioni la di cui percentuale di platino è superiore alla calcolata, tende cioè verso quella del cloropla- tinato potassico. Si ha indizio di questo cambiamento della composizione RenpICONTI. 1896, Vol. V, 2° Sem. 19 — 146 — anche nel colore del sale, il quale si fa sempre più chiaro e tendente al giallo. i Ecco i risultati analitici : Ia. 0,2998 gr. di sostanza diedero 0,1013 gr. di platino e 0,0985 gr. di sol- fato potassico corrispondenti a 0,04108 gr. di potassio. Ila. (*) 0,3039 gr. di sostanza diedero 0,1027 gr. di platino e 0,5020 gr. di cloruro e bromuro d'argento contenenti 0,3424 gr. di argento. IID. 0,4495 gr. di sostanza diedero 0,1512 gr. di platino e 0,7418 gr. di cloruro e bromuro d'argento contenenti 0,5064 gr. di argento. Ilc. 0,3517 gr. di sostanza diedero 0,1212 gr. di platino. Illa. 0,4520 > >» ” ’ 0,1546 gr IVa. 0,8062 gr. di sostanza diedero 0,2737 gr. di platino e 0.2463 gr. di solfato potassico corrispondenti a 0,1106 gr. di potassio. IVd. 0,6718 gr. di sostanza diedero 0,2327 gr. di platino. O ”» e Finalmente sciolti tutti i residui delle diverse preparazioni e cristal- lizzazioni e fatti cristallizzare, sì ottenne una prima frazione in cui fu deter- minato il platino. V. 0,3050 gr. di sostanza diedero 0,1027 gr. di platino. Riassumendo nel seguente specchietto le percentuali, che si calcolano dai risultati analitici riferiti, sì ha: cale. per Ia. IIa. IIb. IIc. IIIa. IVa. IVO. V. K.PtBr.Cl, Pt= 33,79 33,80 33,72 34,41 34,20 33,95 34,56 33,67 33,89 CI= — 24,66 24,77 — _ — —_ — 24,67 Br= — 27,84 27,59 — —_ _ _ _ 27,82 KR 706 — _ = TAV —_ 13,62 Il sale da me ottenuto per addizione del bromo al cloroplatinito potassico, ha da principio una composizione corrispondente alla formola K, Pt Cl, Br, ma per ripetute cristallizzazioni va modificando lentamente la sua composizione comportandosi così in modo simile al sale di Pitkin studiato recentemente da Herty. La modificazione nella composizione è lenta, mentre sembrerebbe dalle analisi riferite nel lavoro di Herty, che il sale da lui studiato modificasse la (1) La determinazione del platino e dei due alogeni venne fatta nel medesimo cam- pione. Il platino veniva separato allo stato metallico, facendo digerire a caldo la soluzione del sale con formiato di calcio. Il liquido filtrato veniva portato ad un determinato volume; in una parte aliquota di esso si determinava col metodo di Volhard la quantità d’argento necessaria per precipitare il cloro e il bromo, mentre in una seconda parte si determinava il peso del cloruro e bromuro d’argento che si otteneva precipitando con nitrato d’argento. Si avevano così i dati sufficienti per calcolare la percentuale del cloro e del bromo. — 147 — sua composizione più rapidamente. È naturalmente difficile di poter dare un giudizio assoluto senza aver fatto esperienze comparative; intanto però i risultati analitici non permettono di dire con sicurezza se il composto da me ottenuto sia definito o no. Volli ricorrere perciò ai metodi fisici sperando che questi mi dessero un risultato più netto. La conducibilità elettrica del sale K; Pt Cl, Bri, sia del prodotto otte- nuto direttamente sia del cristallizzato, ha dimostrato che in soluzione acquosa diluita e fredda il sale si scioglie decomponendosi. Questa scomposizione viene indicata da un aumento della conducibilità elettrica col tempo fino a rag- giungere un massimo. Una soluzione di !/» K, Pt Br, Cl, in 128 litri, preparata a freddo ha dato il risultato seguente: v= 128 Primadeterminazione . . . u= 116.4 DOP Re a INA ” Dying ian ni, Sa 111559 a) IONE. 120.3 ” Toe eo 128.8 Renon enne. le 137.4 oe e 147.1 I I Ae A e SRI _ 149.5 La stessa soluzione misurata dopo 22 ore, aveva raggiunto il suo massimo, il quale combinava con quello raggiunto da altre soluzioni fatte con sostanze di preparazione diversa e a freddo o a caldo. Ecco i risultati: v Wi Ua DE ad u (media) 64 _ 146.5 _ 143.7 145.1 128 157.6 157.8 158.6 155.8 157.4 256 164.9 167.6 168.2 167.4 167.0 512 174.4 175.6 178.9 173.7 175.6 1024 186.0 189.7 192.1 185.3 188.8 Le soluzioni 2* e 4* furono fatte a caldo e misurate dopo circa 12 ore; la soluzione 3* fu fatta a freddo e misurata dopo 28 ore. La prima determinazione di conducibilità elettrica, fatta appena disciolta la sostanza, pare indichi che essa da principio si disciolga normalmente. Il valore ottenuto (u=116.4) è di poco inferiore a quello che P. Walden (') ottenne per il cloroplatinato potassico (119.1 per v = 128). A che deve attribuirsi la scomposizione? È il sale che si dissocia idro- liticamente o l'aumento della conducibilità è prodotto dalla formazione dei nuovi joni (Pt Cl) e Pt(Brs)? (1) Zeitsch. f. phys. Chemie, II, 76 (1888). — 148 — L'aumento della conducibilità osservato essendo molto forte, non può pro- venire solamente dal secondo fatto, ma deve essere prodotto principalmente da una decomposizione idrolitica. Era interessante perciò di vedere se i due sali Pt Cl K, e PtBr K: si comportassero nelle loro soluzioni acquose nor- malmente, come sali complessi, o se mostrassero il comportamento dei sali doppì. Riguardo al primo sale, le misure citate di Walden dimostrano che esso si comporta perfettamente come il sale potassico di un acido H; Pt Ck; vale a dire che il jone (Pt Ck) è stabile anche in diluizioni molto forti. Non è così per il bromoplatinato. Misure da me fatte hanno dimostrato anche per questo sale un aumento di conducibilità e il raggiungimento di un massimo. vi-= 128 Prima determinazione sb... Lui 00547 Dopo: il'imin. i. Ce CRAL ROERO MI E 1 ao Ri: CO olo malfsii e IO » 30 » SI I ci » 45 n» Sn: AE Lo) » 60 » e SI a 00.0 n e ZO Misurata dopo il raggiungimento del massimo, si ebbe: v ui TE u (media) 64 —_ 118.1 113.1 128 120.5 120.4 120.4 256 126.6 126.5 126.5 512 134.2 134.6 134.4 1024 143.9 142.8 143.8 Sotto us» sono date le medie di cinque serie di determinazioni fatte con soluzioni diverse e misurate dopo qualche tempo. La scomposizione idrolitica che mostra il bromoplatinato potassico, com- plica e rende più difficile la spiegazione della decomposizione del sale K, Pt Cl, Br; per mezzo dell’acqua. Anche la determinazione della conduci- bilità di mescolanze di cloroplatinato e bromoplatinato potassico, fatte in modo che la loro composizione corrispondesse a quella del sale in parola, non ha punto contribuito a chiarire la questione. Ecco i numeri ottenuti misurando queste mescolanze, fatte sciogliendo °/3 d’equivalente di K, Pt Cl, è !/3 K. Pt Bre. v ua Uso u (media) 64 139.1 139.0 139.0 128 145.0 144.8 144.9 256 153.1 153.0 153.0 012 162.2 162.1 162.1 1024 171.8 171.8 173.9 — 149 — Le differenze col massimo delle conducibilità osservate per le soluzioni del sale K, Pt C], Br, sono certamente notevoli, sebbene forse non sufficienti a deci- dere, se nei due casì si tratti o no della stessa cosa. Bisogna tener presente che le soluzioni del sale K, Pt Cl, Br, misurate, furono fatte bensì con cam- pioni i quali avevano dato all'analisi risultati concordanti colla formola, ma d'altra parte i nostri metodi analitici sono molto meno sensibili dei metodi elettrici i quali permettono di sentire quelle piccole differenze di composizione che quelli non saprebbero nemmeno rilevare. E perciò credo che anche dalla serie di esperienze da me istituite, non si possa concludere con certezza as- soluta se esistano o no platinati misti. È certamente importante per la que- stione il fatto che per azione puramente chimica, come l’ addizione del bromo al cloroplatinito, s' ottenga un corpo di composizione costante e corrispondente alla formula K, Pt Cl, Br»; precisamente come avviene in altre reazioni simili, per il platonitrito e per il platocianuro. Solamente, però, quando si tratta di dimostrare che il composto così ottenuto non è identico alla miscela isomorfa 2K, Pt Cl. K. Pt Br, i metodi finora seguiti non danno risultati netti, non li dà la via della cristallizzazione frazionata nè quella della con- ducibilità elettrica, e precisamente in causa della scomposizione che il sale subisce dall’ acqua. i Forse una via si potrebbe ancora tentare d’applicare, cioè l'elegante e sensibile metodo elettrometrico, di cui negli ultimi anni, specialmente per opera di W. Ostwald, si è arricchita la raccolta dei nostri mezzi di ricerca chimica. Disgraziatamente però non ero in condizioni da poterlo fare, ma potendolo in seguito, ritornerò volontieri sull'argomento colla speranza di ri- solvere sicuramente e definitivamente la questione. Chimica. — Sopra un prodotto di addizione della santonina coll’acido nitrico. — Azione dell’acido nitrico nella desmotropo- santonina. Nota di A. AnpREOCCI, presentata dal Socio S. CAN- NIZZARO (1% Comunicazione). Chimica. — Sw solfuro d'azoto. Nota preliminare di A. An- DREOCCI, presentata dal Socio S. CANNIZZARO. Chimica. — Sul! idrogenazione dei pirrodiazoli (2 . 4). Nota preliminare di A. AnpREOCccI e di N. CAsTORO, presentata dal Socio S. CANNIZZARO. Queste Note saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. — 150 — Chimica. — Sulla composizione chimica delle Comenditi (1). Nota di S. BeRTOLIO, presentata dal Socio A. Cossa. Ho avuto occasione di segnalare nell'isola di S. Pietro l’esistenza di rioliti con aegirina e con un anfibolo sodico del tipo arfvedsonite (*). Di questi due minerali, affatto nuovi per la Sardegna, ho già dato i caratteri ottici e le rioliti che li contengono, formando una nuova serie petrografica, furono da me chiamate comenditi dal nome della località dove si presentano. Rendo conto nella presente Nota di alcune nuove osservazioni fatte su questo gruppo di roccie e del risultato di parecchie analisi chimiche che ho eseguito. Le comenditi formano nell'isola di s. Pietro un massiccio che ne occupa tutta la parte N-N W, ricoprendo una regione di oltre 700 ettare, la quale sì distingue da ogni altra dell’ isola pel suo squallore e pel profilo delle sue colline, che richiamano alla mente i paesaggi delle formazioni granitiche. Le comenditi, infatti, pur essendo roccie vulcaniche, sono in generale dure e compatte ed offrono agli agenti atmosferici una resistenza comparabile a quella delle roccie olocristalline. Nella parte meridionale del massiccio le comenditi contengono dell’ ae- girina associata a piccole quantità di anfibolo sodico, mentre nella. parte settentrionale è quest’ultimo minerale che abbonda in modo notevole. Verso oriente le comenditi assumono una struttura assai fina, ricca di sferuliti a croce nera e negativi. L'orneblenda bruna, l’ augite verde, la micropegmatite non sono elementi diffusi in tutto il massiccio, ma si riscontrano solo qua e là, specialmente nella sua parte meridionale. Queste differenze mineralogiche di com- posizione delle comenditi non sono rilevabili che coll’ osservazione microscopica. Alcuni campioni, raccolti lungo la strada che da Carloforte conduce alla miniera di Manganese del Becco, mostrano dei cristalli di quarzo affumicato, con abito bipiramidato, di tre o quattro millimetri di lunghezza. Per rapporto alla giacitura delle altre roccie vulcaniche dell’isola, le co- menditi sembrano formare il nocciolo centrale di tutta la formazione. Nell'isola di s. Pietro si riscontrano parecchie varietà di comenditi che sono ben distinguibili fra di loro anche ad occhio nudo: il microscopio ne accentua però le differenze, dovute al diverso grado di quarzificazione che le roccie hanno subìto ed alla natura e abbondanza degli elementi colorati che contengono. Fra i numerosi esemplari di comenditi che ho esaminato al microscopio, ne ho trovato uno che, essendo poverissimo di quarzo secondario, ben sì presta (1) Laboratorio della Scuola Mineraria di Iglesias. (*) Bollettino R. Comitato Geologico d’Italia, 1894, n. 4; Rendiconti R. Accad. dei Lincei, 1895, vol. IV, serie 5°. — 151 — all'analisi chimica. Questa roccia è di color cenere chiaro, senza alterazioni, a grana minuta, cristallina, compatta, quasi priva di grandi elementi feldi- spatici, di quarzo bipiramidato, di spugne quarzose e relativamente ricca di anfibolo sodico. La sua densità è 2,57 e la composizione chimica è la seguente: Silice 68,5 Allumina 14,5 Ferro sesq.' 1,0 Ferro prot. 3,0 Calce traccie Magnesia 0,1 Potassa 3,0 Soda 9,2 Questa roccia è, in confronto alle altre comenditi del gruppo, notevol- mente meno acida e più ricca d'’alcali. La composizione normale delle comenditi si può rilevare dalle seguenti due analisi, eseguite su campioni di roccie scelte al microscopio in modo da presentare, presso a poco, la media ricchezza di quarzo secondario della mag- gior parte delle rioliti della regione: Sio? A1°0° + Fe?°0° Cao Mg0 K°0 Na?0 I 74,6 14,8 traccie 0,2 2,5 TA II 75,1 16,4 ’ 0,1 2,0 6,8 Feldispato. In tutte le comenditi sono ben visibili ed anche abbondanti, dei cristallini di feldispato opalescente, i quali talvolta raggiungono sette od otto millimetri di lunghezza. I riflessi madreperlacei sono sopratutto presentati da quegli individui che rimasero lungo tempo esposti all'atmosfera. Si os- serva, infatti, che sulle rotture recenti delle comenditi, le faccette iridescenti sono molto meno abbondanti che non alla superficie dei massi. Questo feldispato è limpido e trasparente: riscaldato ad alta tempera- tura assume una tinta giallastra, dovuta all’ ossidazione di minute inclusioni : esso presenta talvolta le faccie 72 (110) ed 43 (201), ma generalmente si mostra sotto forma di lamine di clivaggio secondo (001) e (010). La sua densità è compresa fra 2,58 e 2,59. L’ analisi chimica ha svelato la composizione seguente: ossigeno Silice 66,1 85,2 Allumina 18,2 8,4 Ferro traccie Calce 0,1 Potassa 3,5 Soda ez cu 99,3 Rapporto d'ossigeno: 12,5 : 3: 1,2 — 152 — Questo feldispato offre un rimarchevole esempio di anortose assai facile a scambiarsi con sanidina, e come tale, per le sue proprietà ottiche, era stato da me altravolta ritenuto, poichè le geminazioni ondulose dell’ anortose si presentavano solo in alcune rare sezioni e permettevano di concludere per la predominanza del feldispato potassico sul sodico. E però possibile che la materia sottoposta all'analisi sia stata una mescolanza di cristalli dei due feldispati, aventi presso a poco la stessa densità. Anfibolo del tipo arfvedsonite. L'anfibolo sodico è diffuso in tutte le comenditi, dove si trova costantemente associato coll’ aegirina. Essendo la densità di questi due minerali pressochè la stessa, non mi riuscì di sepa- rarli ricorrendo ai liquidi densi, nè ebbi miglior successo adoprando un' elet- trocalamita. Ho avuto però la buona ventura di riscontrare che la roccia che si trova a qualche centinaio di passi al nord del gomito descritto dalla strada di Comende davanti alle case omonime, contiene solamente dell’anfibolo sodico senza nè orneblenda ferrifera, nè aegirina. Mi fu quindi facile col ioduro di metilene di separare un certo numero di questi cristallini, aventi approssi- mativamente la stessa densità. Tuttavia, benchè abbia in seguito sottoposto il materiale così estratto ad un'accurata cernita colla lente, non mi riuscì di ottenerlo omogeneo, essendo, per la maggior parte, composto di fram- menti di cristalli di pochi decimillimetri di lunghezza, intimamente inca- strati in particelle di roccia madre, che non mi fu possibile di separare. Il peso specifico di questo materiale è superiore a 3,33, densità di un cristallino di augite che galleggiava nel ioduro di metilene, mentre 1’ anfibolo sodico vi affondava. La composizione chimica è la seguente: Si? 49,10 AI?°03 9,90 Fe?03 4,20 FeO 27,70 Mn0 0,50 Cao 0,13 Mg0 0,17 K?0 1,60 Na?0 10,50 99,40 La composizione della comendite, da cui furono estratti i cristallini che servirono all’ analisi, fu data precedentemente al n. II. Non lungi dalla località sopra segnata si trova una varietà di comen- dite di color rossigno che offre qualche perfetto cristallino, di due o tre mil- limetri di lunghezza, dell’anfibolo sodico in parola. Questi individui hanno abito prismatico e mostrano le faccie (110), (110), (I11), (001); talvolta sono appiattiti secondo (010). PWB: RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia prima del 6 settembre 1896. Fisica. — Un altra esperienza di criptocrosi. Nota del pro- fessor A. ROITI (*). Il prof. E. Salvioni (?), il quale fino dal febbraio scorso ricercò invano se i corpi trasparenti pei raggi di Rontgen presentino fenomeni corrispon- denti ad una colorazione, mi ha gentilmente scritto che si è molto interes- sato alle mie due pubblicazioni (*) su questo soggetto; ma gli è rimasto il dubbio che uno stesso tubo possa dare simultaneamente dei raggi X di poteri penetranti diversi o, in altre parole, che la emanazione di un tubo sia vera- mente composita. Convengo di non aver dato la prova esplicita di ciò, e quindi stimo op- portuno di riferire senz’ indugio un'esperienza che dovrebbe convincere anche i più acuti ingegni. Ad essa farebbe riscontro l’ esperienza ottica di ricercare, per esempio, due vetri rossi fra loro uguali che lasciassero passare tanta energia raggiante quanta ne lascian passare due vetri verdi pure uguali fra (!) Presentata il 30 agosto 1896. (2) E. Salvioni, Stud? sui raggi di Ròntgen: « Esperienze fatte fin qui per con- « statare se i corpi trasparenti ai raggi di Roòntgen, presentino fenomeni corrispondenti « a una colorazione come per la luce comune, mi hanno dato risultati negativi; non ebbi « però fin ora a mia disposizione un numero sufficiente di metalli in foglie abbastanza « sottili, per poter affermare come fatto generale l’assenza di colorazione. Questa assenza « di colorazione, quando fosse più compiutamente stabilita, certo parlerebbe in favore « della ipotesi che ho espresso sopra, trattarsi cioè di materia attenuata proiettata dai « tubi ». — Accademia Medico-Chirurgica di Perugia, vol. VIII, fasc. 1-2. (3) Criptocrosi ed altre ricerche intorno ai raggi X. Memoria della R. Accademia dei Lincei, serie 5°, vol. I. — Un attinometro pei raggi X. L' Elettricista, anno V, n. 9. RENDICONTI. 1896, Vol. V, 2° Sem. 20 — 154 — loro, e poi di verificare che il sistema composto da uno di quei vetri rossi e da uno di questi verdi è più opaco di ciascuna delle coppie isocromatiche. Dopo le osservazioni già fatte sui poteri assorbenti relativi delle varie sostanze pei raggi X, non dovetti brancicar molto per metter la mano sulle lamine acconcie a tale dimostrazione: e scelsi quelle di rame, d'alluminio e di stagno poichè avevo notato che le grossezze dei due primi metalli, le quali indebolivano in ugual misura i raggi emanati da un tubo col fondo antica- todico d'alluminio, erano pure presso che equivalenti nell' indebolire i raggi d'un tubo di vetro coll’ anticatode di platino; mentre il terzo metallo doveva avere grossezza notevolmente diversa per produrre il medesimo effetto sui raggi delle due provenienze: minore col tubo d'alluminio che con quello di vetro. Per la presente esperienza ho avuto ricorso al tubo n. 6 (') di vetro al borace con 6 cm. di distanza fra l’anticatode di platino e la callotta cato- dica di 3 cm. di raggio. Esso era reso inservibile dal lungo uso ed appariva offuscato per la sublimazione del platino; ma, dopo averlo aperto, riapplicato alla tromba, scaldato fortemente nel vuotarlo e lasciato raffreddare prima di richiuderlo, si mostrò molto efficace trovandosi nel secondo stadio di lumi- nosità col pennacchio uscente dal centro del catode. Mi convenne quindi ri- scaldarlo a più riprese nel corso delle osservazioni per ricondurlo in queste condizioni quando se ne scostava per l'assorbimento dell’ aeriforme residuo, che avveniva ora con relativa prontezza essendo forse determinato dal velo di platino depositato sulla parete. Per questo motivo le osservazioni riuscirono piuttosto penose ; ma alter- nandole e ripetendole convenientemente, potei eliminare l’ influenza perturba- trice della variabilità nel potere fosfogenico, ed ottenere risultati non dubbî. Il tubo era attivato dal grande rocchetto di Ruhmkorff che avevo provvisto dell’ interruttore rapido di Deprez modificato dal meccanico Klingelfuss di Basilea, e che dava scintille di 6 cm. fra le punte d’ottone dell’ eccitatore. Il prisma dell’'attinometro era coperto di platinocianuro potassico ed era protetto, dalla parte rivolta al tubo, con un cartone, e coi soliti vetri di cobalto dalla parte rivolta alla lampadina. Lo tenevo fisso alla distanza di 10 cm. dall’anticatode di platino, e spostava la lampadina per ottenere l'uniformità del campo. A questo modo trovai che due lastre di rame (mm. 0,10 ciascuna), otto lastre d'alluminio (mm. 0,75) e sedici foglie di stagno (mm. 0,021) si equi- valevano. Non mi fu possibile rilevare differenze se ad uno di questi tre gruppi sostituiva il sistema costituito da una lastra di rame e da quattro d'alluminio. Mi accertai invece che il sistema costituito da quattro lastre d'alluminio e da otto foglie di stagno rendeva più oscura la metà del campo rivolta (*) Criptocrosi ecc. Memorie dell’ Accademia, vol. II, pag. 137. — 155 — al tubo, come pure la rendeva più oscura il sistema composto d'una lastra di rame ed otto foglie di stagno. Riscontrai in appresso che una lastra di rame equivaleva a quattro d'alluminio, ma che otto foglie di stagno erano alquanto più trasparenti: e non mi fu possibile notare una differenza fra l’effetto d'una sola lastra di rame e quello di due d'alluminio unite a quattro foglie di stagno. Questi risultati sono in armonia coi precedenti. Mi sono assicurato altresì che l’effetto esercitato dai suddetti sistemi di due metalli non muta al mutare dell’ ordine col quale essi metalli sono successivamente attraversati dai raggi X: e questa prova non si giudicherà superflua, se si pensa che taluno propende a ritenere che non si tratti di semplice trasmissione più o meno indebolita; ma di assorbimento susseguito da nuova emissione di raggi X, divergi dai raggi incidenti che loro darebbero origine. Chimica. — Azione dei joduri aleoolici sugli indoli e com- portamento delle basi risultanti. Nota del Socio Gracomo CrAMI- CIAN e di GIOVANNI BOERIS. Le ricerche che descriviamo nella presente Nota furono eseguite già nello scorso anno, ma non le abbiamo pubblicate fin’ ora per le grandi diffi- coltà che presenta lo studio delle basi che derivano dagli indoli per azione dei joduri alcoolici. Queste difficoltà, di cui tratta una Nota pubblicata re- centemente da uno di noi assieme al dott. Piccinini ('!), non possono dirsi del tutto eliminate, ma avendo ora almeno un’ esatta conoscenza della loro indole, sarà più facile evitare nuovi errori. Le esperienze di cui faremo parola sono la continuazione di quelle che abbiamo pubblicato due anni fa sullo stesso argomento (?). Noi abbiamo di- mostrato allora che il jodidrato della trimetildiidrochinolina dà per distilla- zione secca Joduro di metile e trimetilindolo. Questa scomposizione però non è netta, perchè assieme al trimetilindolo si ottiene un prodotto alcalino, da cui noi non avevamo potuto separare che la base primitiva; tuttavia, siccome il detto prodotto all'aria non arrossava, abbiamo già allora espresso il dubbio che oltre alla diidrotrimetilchinolina inalterata vi potesse essere qualche altro composto, che, per la piccola quantità in cui si forma, non avevamo potuto riconoscere. Avendo ripreso, in seguito, lo studio di questa reazione con una maggiore quantità di materiale. siamo ora in grado di dare notizie più com- plete intorno ai prodotti che in essa si formano. (1) Questi Rendiconti, Serie V, vol. 5°, II, pag. 51. (2) Gazzetta chimica, 24, vol. II, pag. 301. — 156 — Noi abbiamo distillatto il jodidrato di diidrotrimetilchinolina nel vuoto in porzioni di 25 gr. per volta. L'olio denso giallo, disseminato di cristalli del jodidrato inalterato, che si ottiene anche conducendo lentamente l’ opera- zione, venne lavato con acqua per eliminare il jodidrato, indi con acido cloridrico al 5 peto. per togliere la parte alcalina e quindi ripreso con etere. L'estratto etereo, seccato con potassa venne, dopo l'eliminazione del solvente, distillato nel vuoto. Da 150 gr. di jodidrato si ottennero complessivamente 40 gr. di trimetilindolo, di cui abbiamo confermato nuovamente l’ identità con quello preparato da Degen (!), mediante il caratteristito picrato. Questo forma bellissimi aghi di un rosso granato, che fondono a 150°. L'analisi dette numeri concordanti colla formula C,1 His N. Cs Hg (NO3);0. I 0,1870 gr. di sostanza dettero 0,3590 gr. di CO; e 0,0780 gr. di H,0. II 0,1680 gr. di sostanza svolsero 21,3 ce. d'azoto, misurati a 19,9° e 759 mm. In 100 parti: trovato calcolato per C17 His Ny O, I II C 52,35 = 92,98 H 4,63 —_ 4,13 N = 14,49 14,44 Il liquido acido, con cui venne estratto il trimetilindolo, dà per svapo- ramento un cloridrato cristallino. Con acido nitroso la sua soluzione si colora intensamente in giallo rossastro, mentre si separa un prodotto estraibile con etere, che dà la reazione delle nitrosammine. Il cloridrato in parola contiene quindi una base terziaria idrogenata completamente (colorazione giallo ran- ciata) ed una base secondaria. Distillando il cloridrato con potassa si ottiene un olio d' odore chinolinico, più leggiero dell’acqua, che all'aria non arrossa. Per liberarlo completamente da tracce di trimetilindolo, venne sciolto nuovamente in acido cloridrico al 10 peto. e la soluzione estratta con etere. Dal cloridrato purificato venne poi rimessa la base in libertà. Seccata con potassa, distilla, alla pressione di 15 mm., a 120°-125°. Da 150 gr. di jodidrato di trimetildiidrochinolina si ebbero così circa 5 gr. di prodotto basico. Per separare le due sostanze in esso contenute, dopo varî tentativi, tutto il prodotto venne trattato con joduro di metile in tubo chiuso. La reazione incomincia già a freddo e si compie a 100°. Si ottenne così una massa cri- stallina (circa 8 gr.) che venne fatta cristallizzare dall'alcool e dall’ acqua. (') Liebig*s Annalen der Chemie, vol. 236, pag. 160. — 157 — Si vide tosto trattarsi di un miscuglio di due sostanze, l'una cristallizzata in aghi che fondevano a 253°, l’altra in cristalli cubiformi che fondevano verso i 237°. Facendo soluzioni acquose od alcooliche non troppo concentrate, i due composti si depositano per lento svaporamento separatamente, tanto che si riesce a separarli meccanicamente colla pinzetta. In questo modo, ricristallizzando poi i due prodotti, si riesce ad ottenere allo stato di per- fetta purezza quello che fonde a 253°. Quest'ultimo non è altro che il jodi- drato di diidrotrimetilchinolina, come lo dimostrarono la sua composizione, il punto di fusione e la comparazione microcristallografica, eseguita gentilmente dal prof. G. B. Negri della R. Università di Genova. All’analisi si ebbe il seguente resultato: 0,2616 gr. di sostanza dettero 0,4584 gr. di CO, e 0,1342 gr. di H,0. In 100 parti: trovato calcolato per C,, Hi; N.HI C 47,79 47,84 H 5,70 6,91 Il jodidrato in parola s'è formato evidentemente dalla dimetildiidrochi- nolina secondaria per azione del joduro metilico. L'altro composto, che fondeva verso i 237°, non trovavasi ancora allo stato di sufficiente purezza. Dall' ulteriore esame si vide ben tosto trattarsi di un vero joduro ammonico quaternario, non decomponibile dagli alcali cau- stici. Per purificarlo si trattò la sua soluzione acquosa con potassa e si di- stillò in corrente di vapore acqueo. Passò una base, che arrossava tosto all’ aria, la diidrotrimetilchinolina terziaria, proveniente dal suo jodidrato, che trovavasi ancora mescolato in piccola quantità al joduro quaternario, e rimase indietro quest'ultimo, che, per raffreddamento, si separò cristallino in seno alla solu- zione potassica. Cristallizzato dall'alcool, si ottenne in forma di laminette quadrangolari bianchissime, che si volatilizzarono senza fondere a 251°. A questo carattere il detto composto venne tosto riconosciuto. Esso non era altro che il jodometilato di quella base, che fin’ ora venne chiamata trimetil- tetraidrochinolina terziaria. Allo scopo di avere un nuovo termine di confronto, invece di analizzarlo, il joduro in parola venne trasformato nel corrispondente cloruro, mediante il cloruro argentico, ed indi convertito in cloroplatinato. La soluzione acquosa del cloruro dà con acido cloroplatinico un precipitato di aghi minuti, colorati in giallo, che si decompongono verso i 208°. L’ analisi dette numeri corrispondenti alla formula (Co Hm NCH:): Pt Cl; 0,3474 gr. di sostanza dettero 0,5030 gr. di CO, e 0,1682 gr. di H30. — 158 — In 100 parti: trovato calcolato C 39,49 39,64 H 5,98 5,08 Siccome questo cloroplatinato non era ancora stato descritto, così un campione del jodometilato di trimetiltetraidrochinolina, preparato dal dottor Ferratini, venne trasformato nel corrispondente cloroplatinato e si ottenne l’identico prodotto, che fondeva, pure con decomposizione, a 208°. Nella scomposizione del jodidrato di trimetildiidrochinolina si formano perciò, oltre al trimetilindolo, che costituisce il prodotto principale, piccole quantità della corrispondente base secondaria, per eliminazione del metile imminico, e poi, per un processo di riduzione, del pari piccole quantità della base idrogenata terziaria, considerata fin qui come la corrispondente trimetil- tetraidrochinolina. In seguito a queste esperienze noi abbiamo tentato di stabilire se nella scissione del suddetto jodidrato il joduro metilico provenisse dal metile im- minico oppure dalla trasformazione dell'anello chinolinico in quello indolico, ma i nostri tentativi non ci dettero resultati sicuri. Come sì vedrà più avanti, la reazione può essere però interpretata in vario modo. Azione del joduro etilico sul trimetilindolo. Per ragioni che diremo più tardi era interessante conoscere il prodotto di trasformazione del trimetilindolo per azione del joduro etilico. Essendo noto dal lavoro di E. Fischer e Steche (') che il joduro d'etile agisce sugli indoli in modo analogo al joduro metilico, era d' aspettarsi una base omologa alla diidrotrimetilchinolina. Questa parte della previsione s'è realmente ve- rificata ed il composto, che si ottiene in quantità quasi uguale a quella voluta dalla teoria, corrisponde alla formula C3 Hi N.HI. Per preparare questo corpo noi abbiamo fatto agire il joduro di metile tanto sul trimetilindolo proveniente dalla trimetildiidrochinolina, quanto su quello sintetico preparato col metodo di Degen (?). A tale scopo l’ indolo venne riscaldato con un ugual peso di alcool etilico e con due volte e mezzo il suo peso di joduro d'etile in un'autoclave a 110° per 10 ore di seguito. Il prodotto resultante è una massa compatta cristallina, che, dopo avere eli- minato a b. m. l'eccesso di joduro alcoolico di cui era imbevuta, venne fatta (1) Liebig*s Annalen der Chemie, vol. 242, pag. 359. (2) Ibid. 236, pag. 160. — 159 — cristallizzare direttamente dall'alcool. Si ottengono così facendo aghi minuti, quasi perfettamente bianchi, che fondono con decomposizione a 229°. Le analisi dettero numeri corrispondenti alla suindicata formula. Lar] I 0,2018 gr. di sostanza dettero 0,3664 gr. di CO, e 0,1154 gr. di H.0 II 0,1972 gr. di sostanza dettero 0,3583 gr. di CO, e 0,1114 gr. di H,0 III 0,1510 gr. di sostanza dettero 0,2752 gr. di CO, e 0,0876 gr. di H,0. In 100 parti: trovato calcolato per C,3 His NI I II III C ASIA 49,70 49,52 H 6,35 6,28 6,44 Dara L'ultima analisi venne eseguita col prodotto proveniente dal trimetilindolo sintetico. Abbiamo determinato anche la quantità percentuale di joduro alcoolico, che la base perde per azione dell'acido jodidrico col metodo di Herzig e Meyer ('), ed abbiamo ottenuto resultati analoghi a quelli avuti da questi autori pel jodidrato di diidrotrimetilchinolina. La quantità di joduro alcoolico supera, cioè, quella richiesta per la eliminazione d'uno di questi gruppi e si avvicina a quella corrispondente a due. I 0,4245 gr. di sostanza dettero, in presenza di joduro ammonico, 0,4732 gr. di Agl. II 0,4538 gr. di sostanza, senza joduro ammonico, dettero 0,4634 gr. di Ag I. III 0,3400 gr. di sostanza, nuovamente con joduro ammonico, dettero 0,4308 gr. di AglI. In 100 parti: trovato calcolato per JI I III 1 gruppo alcoolico 2 gruppi alcoolici TAR 6,53 8,05 4,76 9,52 Il composto ora descritto avrebbe dovuto prestarsi a decidere la questione, se il joduro alcoolico, che si elimina per riscaldamento, provenisse dal radi- cale imminico o da un gruppo alcoolico staccatosi nella trasformazione del prodotto idrochinolinico in composto indolico. Nel caso attuale all’ immico doveva trovarsi il metile, mentre il radicale etilico era entrato nell’ anello indolico per trasformare il trimetilindolo in una base omologa alla diidrotri- metilchinolina. Queste, come altre analoghe esperienze, che noi abbiamo fatto in seguito ad un gentile invito del chiarissimo dott. I. Herzig, non ci dettero però risultati decisivi. (1) Monatshefte fiir Chemie, vol. 15, pag. 613. — Leo — Distillando in bagno di lega da saldare il jodidrato ora descritto abbiamo ottenuto una quantità di joduro alcoolico troppo piccola per poter risolvere la questione in modo sicuro ed anche il prodotto indolico (1 gr. da 15 gr. di jodidrato) era troppo scarso per riconoscerne la composizione. La reazione sembra essere assai complessa e lo è certamente assai più che nel caso del Jodidrato di trimetildiidrochinolina. Secondo il modo come venne fin ora interpretata la formazione delle basi idrochinoliniche provenienti dagli indoli, all’ alcaloide ottenuto dal tri- metilindolo per azione del joduro di etile avrebbe dovuto spettare una delle seguenti formule: CICHE (OMOIIE CHCH, ; 7 XCHCg, : di NC CH, A \CcH, o Ha ossia: Vs Ha ovvero Ue Ha Il C CH H CH H NIUE Rio \ A N N CH, CH; CH, oppure secondo le vedute ultimamente esposte ('): CH; C—CH CH3 AN CHI CICH; SIA N CHs e ciò perchè, seguendo la supposizione di E. Fischer e Steche (*), era da pre- sumersi che in questo caso fosse il gruppo etilico quello che direttamente determinava la metamorfosi chinolinica dell’ anello indolico. La costituzione della nuova base non può essere invece interpretata in questo modo per le seguenti ragioni. Prima di tutto vogliamo ricordare che la diidrotrimetilchinolina dà ori- gine per azione del joduro di metile ad una base pentametilata, descritta qualche anno fa da Zatti e Ferratini (*). In questo processo però, oltre al jodidrato della pentametildiidrochinolina, si forma anche il jodidrato dell'alca- loide primitivo, per cui si ha l'uguaglianza: Ce H, . Cs Hs(CH3)» N CH; + 2 CH.I = CHE . C3(CH3)4 NCH; . HI + C;H,. Cs H:(CH;), N CH; . HI. (1) Questi Rendiconti, serie 5°, vol. V, II, pag. 50. (2) Liebig*s Annalen der Chemie, 242, pag. 359. (3) Gazzetta chimica, 20, 711 e 21, 325. oli — Alla pentametildiidrochinolina sarebbe poi da attribuirsi, secondo le ve- dute fin qui in uso, una delle seguenti formule: CH; (CH): CH; C Co C—C(CH;); / Necg c CH GEE, (i ca ovvero C; H, Î ci oppure Cs H, C CH; NZ N04 a Sa Ù ai CH CH; CH, 3 Ora è chiaro che così stando le cose, la base proveniente dal trimetil- indolo, che si sarebbe detta una tetrametildiidrochinolina, avrebbe dovuto dare direttamente per azione del joduro di metile, e senza la formazione d'altri prodotti, la pentametildiidrochinolina di Zatti e Ferratini : Cs H, . C3 H(CH3)3 N CH + CH3I=G; H, . C;(CH3), N CH; . HI. Inoltre poi, ammettendo che il joduro d' isopropile avesse un’ azione ana- loga a quella dei joduri metilico ed etilico, era da supporsi, che il primo trasformasse il trimetilindolo direttamente nel jodidrato di pentametildiidro- chinolina, se a questa base poteva essere attribuita l' ultima delle tre sopra- stanti formule. Noi abbiamo trovato che nè l'una, nè l’altra delle due reazioni ha cor- risposto a queste supposizioni. La così detta tetrametildiidrochinolina si comporta nella metilizzazione come la trimetildiidrochinolina, dando cioè il jodidrato della base impie- gata, più quello del prodotto di ulteriore metilazione. Evidentemente dunque anche nella base proveniente dal trimetilindolo per azione del joduro etilico vi sono due atomi di idrogeno, che possono essere sostituiti dal metile. L' e- sperienza relativa venne eseguita nel seguente modo. Dal jodidrato soprade- scritto venne posto l’alcaloide in libertà; esso è un olio privo di colore, che all'aria arrossa prontamente; a 21 mm. di pressione bolle a 128-130°. Scal- dato con joduro di metile in eccesso in tubo chiuso per 3 ore a 100°, sì converte in un ammasso di cristalli, i quali, dopo avere eliminato il joduro alcoolico, vennero sciolti nell’alcool bollente. La parte meno solubile del prodotto, si separa tosto per raffreddamento e può essere ottenuta facilmente allo stato di perfetta purezza con ulteriori cristallizzazioni. Essa fonde a 229° ed è in tutto identica al jodidrato de- scritto più sopra. 0,2154 gr. di sostanza dettero 0,3910 gr. di CO: e 0,1220 gr. di H,0. In 100 parti: trovato calcolato per C,3 His NI C 49,52 49,52 H 6,29 5,71 RenpICONTI. 1896, Vor. V, 2° Sem. 21 — 162 — Nei liquidi che restano indietro, dopo avere separato questo jodidrato, è contenuta un'altra sostanza assai alterabile, che si ottiene per trattamento con etere. Questo nuovo sale è però di così difficile purificazione, anche per la sua grande solubilità nell'alcool, che stante la poca quantità di materiale di cui disponevamo, non lo abbiamo potuto studiare ulteriormente. L'azione del joduro d'isopropile sul trimetilindolo dà un prodotto molto alterabile, che, per la stessa ragione, non venne fin ora studiato. Queste reazioni dimostrano che nella metamorfosi prodotta dal joduro d'etile sul trimetilmetilindolo, non è il radicale etilico che determina diret- tamente la trasformazione dell'anello pirrolico in piridico. Accettando le for- mole proposte ultimamente da me e dal dott. Piccinini si potrebbe perciò dare alla nuova base la seguente costituzione: CH; CHE C20H: GEE LOINA] ANI (07 H, C CH; oppure (07 H,j C C.H; S NEA INA N CH; CH3 ed in queste formule sono contenuti i due atomi d'idrogeno sostituibili dal metile, come lo richiedono le esperienze ora menzionate. lo vorrei però in questa occasione esporre brevemente un altro concetto diretto a spiegare i fatti descritti in questa Nota e massime quelli conte- nuti nel lavoro eseguito assieme al dott. Piccinini. La ragione principale per cui le formule di E. Fischer e di Ferratini dovettero abbandonarsi, sta nelle relazioni che si sono scoperte fra la base indolica idrogenata e la trimetilindolina. Accettando per questa la costituzione : C (CH3): s 0; H CH, RI N CH, si dovette ammettere anche nella base idrogenata proveniente dagli indoli la presenza del gruppo: \ZA C EX — 163 — Io credo però che quest'ultima possa presentemente essere rappresen- tata ugualmente bene tanto con una che con l’altra delle due seguenti formule: C(CHs)» C(CH3): CH COMORE, oppure CH CHCH:. Uio 7 NA N CH CH; 3 In entrambi i casi la base proveniente dal trimetilindolo sarebbe l’omo- logo diretto della 78-trimetilindolina, soltanto che nel secondo si tratte- rebbe di una omologia ordinaria, nel primo invece d’un’omologia nucleare, Si sa però che sui caratteri chimici di un composto tale differenza di costi- tuzione non esercita quasi nessuna influenza. La formula chinolinica spiegherebbe, è vero, meno facilmente la formazione — del r8-trimetilindolinone, ma del resto un passaggio come il seguente: C(CH3)s C(CH3); C(CH3)» CH CO Cs Hy | È Co H. I Cs Hi (0,0) CH» CO N A Na ; N CH3 N CH CH; 3 non è del tutto improbabile, massime se si ammette che nell’ossidazione l'anello si apra, per la formazione di carbossili, per poi richiudersi nuo- vamente. Accettando per la base indolica idrogenata la formula della myy-trime- tiltetraidrochinolina, ne viene per l’alcaloide primitivo, la trimetildiidrochino- lina, la seguente: CH, 0(CH): CH, COH HC CH HC CH, invece di HC CEE HO CICHSE n° N cn° N CH, CH, che è la formula ultimamente proposta. Presentemente non è possibile decidere quale di queste due formule sia da preferirsi e su ciò porteranno nuova luce le ulteriori ricerche. — 164 — Secondo la prima delle due formule, la base ottenuta dal trimetilindolo per azione del joduro d' etile e la pentametildiidrochinolina sarebbero da seri- versi nel seguente modo: CH. 0, Hi CH, CH, DI c c ANCH ; ATNAGH SRI Lio e lur RIA N s N N CH; CH3 In fine, alla scissione del jodidrato di diidrotrimetilchinolina potrebbe darsi la seguente interpretazione: CH; CH; CH, CH; A SSA CH; C C C A GENS. DANN RAS: AIN C; H, e Co "9 / CH3 (07 a A CHs C g Sc N N CH, . HI CHai CHE tenendo conto che l’idrato di trimetilindolina dà, secondo le esperienze di Brunner, il trimetilindolo per ebollizione con acido cloridrico : CH; CH; CH; CH; 7A N C C CH; Da N AN CH CH OH Ca CH CHE C CHz / y N N N CH; CH; CI CH, Naturalmente anche colla formola trimetilenica si spiega facilmente la trasformazione in trimetilindolo del jodidrato di diidrotrimetilchinolina. G. CIAMICIAN. Meccanica. — Su moto dei sistemi con tre gradi di libertà. Nota di T. Levi-Crvita, presentata dal Socio BELTRAMI. Oggetto di questa Nota si è lo studio dei sistemi materiali $ a legami indipendenti dal tempo e con tre gradi di libertà, per cui, quando non agi- scono forze, sussistono i tre integrali delle aree. Io mostrerò che tali ipotesi permettono di caratterizzare la natura della forza viva T e conducono a sta- — 165 — bilire che, mediante una opportuna scelta di coordinate lagrangiane, T è cer- tamente riducibile: o alla forma propria di un corpo rigido con un punto fisso; o alla forma 5 (+24) +e +31 Se ne deduce che, anche quando agiscono forze, la dinamica dei sistemi S sopra indicati equivale: nel primo caso, identicamente, come è manifesto, alla dinamica di un corpo rigido intorno ad un suo punto, supposto fisso; nel secondo caso (e nell'ipotesi che l’ energia totale del sistema sia co- stante), a meno di quadrature, alla dinamica di un punto materiale. Quest'ultima asserzione sarà giustificata a suo tempo in modo diretto; non lascio però di rilevare che essa si collega alla teoria generale delle tras- formazioni delle equazioni dinamiche. 1. Sia un sistema S, di punti materiali (, y, ), soggetto a legami in- dipendenti dal tempo, i quali limitino a tre gradi la sua libertà, di guisa che se ne possa individuare una posizione mediante tre coordinate lagrangiane. Si supponga di più che la natura dei vincoli sia tale da lasciare sussistere, quando non agiscono forze, i tre integrali delle aree: (1) Dm(y2 — ey')= cost, Dm(c40— 24) = cost, Dm (ay — ya ) = così. La forza viva del sistema S sarà espressa in coordinate lagrangiane da una forma differenziale = (4 3 , T, Dir das dir UR DI sulla cui natura dobbiamo ora intrattenerci. 3 Ce IO î Introducendo al solito le variabili p; = % (é==1,2,8), coniugate delle g';, si avranno per gli integrali (1) certe espressioni lineari ed omo- genee nelle p: 3 3 3 (2) Zf= Y_Axrpr= cost, Zsf== IDPA pr —C0S4SNZ:— DIA: po— cost, 1 1 1 dei cui coefficienti A nulla si può ancora affermare. Tuttavia, provenendo per ipotesi Zif, Z».f, Zsf dagli integrali delle aree, si ha per le funzioni alternate ('): 9° Ve VIA], ASI (1) Si cfr., per taluna notizia in proposito, le Note: Sul moto di un corpo rigido intorno ad un punto fisso, pubblicate testè in questi Rendiconti ($ 2). — 166 — Inoltre, risguardando le forme Zf, Zs/, Z3f come simboli di trasformazioni infintesime, ciascuna di esse sarà ammessa dalla forza viva T del sistema materiale S (!), e complessivamente, in causa delle (3), costituiranno un gruppo 13, a tre parametri, (perchè, come vedremo, le Zf non possono essere legate da relazioni lineari a coefficienti costanti), il quale trasforma T in sè stessa. Ciò posto, notiamo in primo luogo che le forme Z,f, Z»f, Zsf possono non essere tutte e tre indipendenti; per altro due almeno sono tali. Qualora infatti si avesse per es: Zof=AMhf, %f=nLf, si dedurrebbe dalle (3): ZAi.Lhf=— Lf, (Zan -n24)l&f=—f, Lr. Lf = Auf , e quindi: Zik==m, Marg a 4=-=-1Rira DE ossia anche: X+a=—- 1, il che è assurdo, poichè 4 e 77 dovrebbero in ogni caso, come Zi/, Zef, Z3f, essere funzioni essenzialmente reali. Ci restano pertanto due soli casi da esaminare : I. Le forme Z/ sono tutte e tre indipendenti. II. Due Z/ sono indipendenti, la terza essendone una combinazione lineare. 2. Nella prima ipotesi, cui ora vogliamo riferirci, il gruppo 73, gene- rato dalle Z/, riesce transitivo ed è quindi, come si sa (?), simile ad ogni altro gruppo isomorfo pure transitivo e nello stesso numero di variabili. In particolare possiede questa proprietà il gruppo Gz spettante alla forza viva di un corpo rigido (3), le cui trasformazioni infinitesime (assumendo come coor- dinate lagrangiane i parametri di Rodrigues) possono essere scritte: rf=:il4n +++ +0) | (utov)p +(1+%9p + n+v4)p (gt yy) ++ vg) ++ vo Y.f= Dl= NIE I gruppi 73 e G3 sono dunque simil: ; esiste cioè un cambiamento di variabili : (4) Yi = fi(Y 172) Y3) ’ qe= fa(Y 3 Y23Y3) , 3 = fs(Y 1Y2 3Y3)» (1) Ibidem, $ 1. (2) Lie, Zheorie der Transformationsgruppen, B.I, Theor. 64, pag. 340. (3) Sul moto di un corpo rigido intorno ad un punto fisso, $ 2. — 107 — (la cui ricerca esige al più l'integrazione del sistema completo Z;7-+ Y;f = 0 (£=1,2,83)), che fa passare dalle trasformazioni infinitesime Z1/ , Z°/, Z3/ alle Y,f, Y:f, Y3/; anzi, per essere le Y/ legate da relazioni identiche alle (3), si può asserire che le (4) trasformano ordinatamente Z,/ in Y,f, Zf in Ysf,Zsf in Y3f. La forza viva T, espressa per le nove variabili 7, 3 diverrà : T=5), Drsy'rYs, le d essendo certe funzioni delle y, che ci 1 verrà fatto ben presto di caratterizzare, valendoci della circostanza che la 3 forma quadratica 3) b;sYzYs deve ammettere tutte le trasformazioni del i rs gruppo G3. Questa proprietà fondamentale di T si può esprimere, dicendo 3 che T= 3 brsYrYs è un invariante del gruppo G3z, esteso alle velo- 4T cità i ossia, come è ben noto, integrale di un certo sistema completo: (5) Wif==/0 Yif=0-, Mi=0 (con tre equazioni distinte e sei variabili indipendenti), che ommetto, per brevità, di scrivere distesamente, osservando invece addirittura che le tre fun- zioni : 2 , rv Lf 2 r r L} as Y +ysy'a— y29'54, l= 3 }Y2+ yy — Ya 2 I , Y L= j/s+ yy yy) ) dove è @ 14 yi +y+%, costituiscono una terna di integrali indipen- denti del sistema (!), talehè T dev'essere una funzione dei soli argomenti I,,I»,13. Siccome le I sono lineari e omogenee nelle 4", si avrà identi- camente : le C,, essendo costanti il cui determinante : Di dii doo Das TÉ 8 1 y—Ye| 8 76 00/3 1 Yi guy 1 x == Cn (0795 C33 == DI ta DIA bos ORE è positivo. (1) Si può accertarsene tanto mediante diretta verifica, quanto, e più comodamente, notando che la forza viva di un corpo rigido: 2 I , , 14 y 4 J? ' , ! \2 FAVA Wola — Yyl'A BY + yy VÀ yy yy} ammette il gruppo Gs, per modo che, qualunque sieno i valori delle costanti A, B, C, il trinomio precedente è integrale delle (5). Ciò implica appunto che separatamente I, I, I sieno integrali. — 168 — E facile ora passare alla forma definitiva di T, eseguendo sulle varia- bili y una sostituzione ortogonale 4 coefficienti costanti. Poniamo per ciò: 3 (6) y= Doo >, (r=1,2,8) 41 = 1yi dae — 1] &i ezio 2 14 fi 1à 2 , , , degl + asa 4323), Jo= (0a +03 — dad), 2 Ji = 0? (3 + Voti Ai Sa dida) s Si verifica immediatamente che fra le I e le J passano le stesse relazioni che fra le y e le «, ossia: 3 L=} ,%p dp 5 (aaa 2i8)) e da queste segue senz’ altro (col noto procedimento, che equivale geometri- 3 camente a riferire l’ ellissoide > ..C,:I,1 = 1 ai suoi assi) che T può essere 1 ricondotta alla forma propria del corpo rigido: T=3jAJ?4-BIE+ 0%) 2 r r I \o PSNOI r , NI U r , = ca VA(® 1d-037 N94 3)" +B( 2d1T 3-34 1) +C(x 3404 1 01% 2) o 3. Se delle forme Z/ due soltanto sono indipendenti, potremo sempre, per la simmetria delle (3), risguardare tali Z,/ e Z;7, e porre: Z3f = ® Zf 4 »Zof. Avremo le identità: (Z43)f = — Zif={Z2u+4 u°{Zf4+}Zw + uv} Zof , VIVA PE A AA le quali, per l'indipendenza di Z,f, Z»f, danno: (7) Zmut+u=—1,Zow+uv=0, Zu—uv=0, Zv—v=1. Di qua si deduce che le quantità 7ea/7 w e v sono funzioni indipen- denti delle variabili 71, %:, 93 0 quindi in particolare che nessuna di esse è costante. Difatti, qualora passasse fra u e v una relazione W(u,v)=0, indipendente dalle 9, si potrebbe risolvere l'equazione w(w, v) = 0 rispetto ad uno almeno dei due argomenti w o v e porre per es.: v= @(w); le (7) diverrebbero allora: ZQutu=—1, o0'(u)Zu+ uo(u =0, Zu— po =0, (o =1, li donde : 1+u + w)=0, il che è assurdo. Dopo ciò si conclude che le trasformazioni infinitesime Z,f,Zsf,Z3f, sono anche in questo caso indipendenti e generano quindi un gruppo 1; & tre parametri (intransitivo), che dico essere simile al gruppo G'3, le cui tras- formazioni infinitesime sono: VERE _ Y3P2 > Yaf = Yspi—y1P3 , Yaf = YPe — YPa , legate, come le Z/,da relazioni del tipo (3). Per la dimostrazione, basterà notare che le condizioni generali di simili- tudine fra due gruppi di trasformazioni (!) sono soddisfatte nel caso nostro, poichè G'3 ha la medesima struttura di 7°; e, delle sue trasformazioni infi- nitesime Y/, Y,f e Y»/ sono indipendenti, mentre Y;/ risulta tale combi- nazione lineare — i Yif— - Ys/ delle prime due, che, avuto riguardo alle 3 8) A I00L Ya Ya Soria ò cose dette, le equazioni: u = my ,v=— 7 sono compatibili e sì possono 3 43 risolvere tanto rispetto a due delle variabili 9, quanto rispetto a due delle variabili y. Esiste adunque un cambiamento di variabili: (?) (8) Q=P1(Y1,Y25Y23), do = Y2(Y13Y23Y3) da = P3(Y/11Y2,Ys) è atto a far passare dalle trasformazioni infinitesime Z,f, Z2f,Z3/ alle Y,f, Yof, Y3f rispettivamente. 3 Indicando con 3. BrsYYs V espressione della forza viva T, dopo ese- 1 guita la trasformazione (8), si osserverà, come nel caso precedente, che 3 a: Brsyys deve essere un invariante del gruppo G'3 (esteso alle velocità) 41 e quindi, come si verifica senza difficoltà, una funzione dei soli argo- menti yi 1-y 4% Yi+- 34-93, vY +42» + yaa: Se ne conclude che la più generale espressione di T è: 1 r , , 2 I / Ù T=5 |IGHI+A) VITA HRIAAR+ | vtr +9 x | (1) Lie, Z'heorie ecc. B. I, Theor. 65, pag. 353-354. (2) In questo caso se ne hanno infiniti, che si possono ottenere (Lie, loco citato, $ 91) ponendo u= — D o 2 a ey +y3+y3 eguale all’ integrale generale del sistema . 3 DI 3 completo Z;f=0, Z:f=0: Tale ricerca esige in fondo, come si vede subito, al più l’in- tegrazione di una equazione differenziale ordinaria. RenpICONTI. 1896, Vor. V, 29 Sem. 22 — 170 — K e K, designando funzioni non ulteriormente determinabili dell'argomento indicato yi +% + %8- Col porre: | y.=05Send cos gp, Yy,=QSendseng , ys=0 008%, (9) Î SYEMTeLH, e Te eK(0) MIR), il precedente valore di T si semplifica notevolmente e diviene: di (-HE(222) ii + r°92 + 7° sen? dg'° 3 1 2 dopo di che, facendo: (10) a,="Sendcosp, x,=7rsendsengp, za =7C08%, otteniamo la forma definitiva: T=IH ++ + 28+ 28), la quale differisce solo per il fattore H° da quella spettante alla forza viva di un punto materiale nello spazio ordinario. È facile però riconoscere che la dinamica di un sistema S di forza viva T, quando esiste un potenziale e l'energia è una costante data (ciò, che fiszea- mente non costituisce restrizione), equivale, a meno di quadrature, alla dina- mica del punto materiale. Infatti le equazioni del moto pel sistema in que- stione, se si dica V la funzion delle forze (dipendente soltanto dalle coordinate), saranno : (11) i cli Sali I di DIS PIE DI; (=1,2,3) e sussisterà l'integrale delle forze vive: (12) T_V=E. Sostituendo alla variabile indipendente 4 una nuova variabile 4, defi- nita da: di e avendo riguardo alla (12), le equazioni (11) si possono scrivere: diri E LIDIVI dè} H(V+E)! di di 5 ((i=M10268) a _ ond'è manifesto che il moto del sistema S, sollecitato da forze provenienti dal potenziale V e dotato di una energia totale E, ammette, nello spazio rappresentativo (1,3, 3) le stesse traiettorie, spettanti al moto di un punto materiale, soggetto al potenziale H°*(V-+-E) e di energia nulla. Note le traiettorie, la determinazione completa delle leggi del moto si raggiunge mediante una quadratura. Per avere un esempio (oltre quello del punto materiale) di un sistema, con tre gradi di libertà, per cui, quando non agiscono forze, sussistono i tre integrali delle aree, (funzionalmente) non indipendenti, si può pensare al si- stema di due punti materiali, collegati tra loro rigidamente, e costretti a rimanere allineati coll’ origine delle coordinate. Fisica. — Risultati delle misure fatte per la determinazione sperimentale della direzione di un campo magnetico uniforme dal- l’orientazione del magnetismo da esso indotto. Nota del dott. G. FoL- GHERAITER, presentata dal Socio BLASERNA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Fisica. — Sulla durata delle scariche elettriche rallentate nel campo magnetico. Nota del dott. FeLice MAsTRICCHI (!), presentata dal Socio BLASERNA. L'influenza esercitata dal magnetismo sulle scariche elettriche ha for- nito argomento di studio a varî sperimentatori, molti dei quali si sono in special modo occupati delle deviazioni che esse subiscono sotto l in- fluenza del campo magnetico. Spottiswood (*) inoltre trovò che per l'azione di un forte magnete sulla scintilla che si produce nell'interruzione di un circuito metallico, percorso da una corrente d’induzione, l'intensità di questa corrente, misurata con un galvanometro, diminuisce tanto più quanto maggiore è l' allontanamento del- l'arco dagli elettrodi, ossia che in tal caso il fenomeno si manifesta come un aumento di resistenza del circuito. Anche pel caso di gas rarefatti, re- centemente, alla stessa conclusione sono venuti il prof. Righi (8) nella Me- (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Fisica della R. Università di Palermo, ot- tobre 1895. (®) Nature, T. 25, p. 539 (1882); Beibl.,, T. 6, p. 814. (3) Acc. delle scienze di Bologna, 27 aprile 1890; Rend. della R. Acc. dei Lincei, vol. VI, p. 81; v. Cimento, V. 30, p. 202, — 172 — moria Sulla convezione fotoelettrica e i sigg. Elster e Geitel(!) nella Me- moria Sullazione del magnetismo sulle scariche nei gas rarefatti. Il prof. Righi dice: « sembra che le particelle gassose che trasportano » l'elettricità incontrino una speciale resistenza a muoversi nel campo ma- « gnetico, come se sì trattasse di masse conduttrici in moto, nelle quali si « sviluppano le correnti di Foucault ». I sigg. Elster e Geitel ammettono che nel campo magnetico il gas soffra una deviazione elettrodinamica delle sue linee di corrente, ciò che corri- sponde, come essi dicono, ad un aumento della resistenza alla scarica. La deviazione accennata ed il suddetto aumento di resistenza, mi sembrò dovessero influire sulla durata della scarica elettrica, e volli verificare se tale durata venisse infatti a mutare col variare dell'intensità del campo magne- tico nel quale la scarica si produce. Le mie esperienze consistevano nel misurare la durata della scarica di un condensatore fra due elettrodi ad una data distanza fra loro, prima in un campo magnetico molto debole (campo terrestre), e poi in un campo molto più intenso cioè fra i poli assai vicini di una potente elettrocalamita. Queste esperienze si limitarono al solo caso che la scarica avveniva nel piano equatoriale dell’ elettrocalamita ed era più o meno rallentata. Per misurare la durata della scarica elettrica, adoperai il metodo im- piegato dai sigg. Donders e Nyland (*), che consisteva nel far passare la cor- rente di scarica fra una punta attaccata all'estremo di un rebbo di un elet- trodiapason vibrante ed un cilindro metallico che girava avanzando continua- mente lungo l’asse, e ricoperto da un sottile foglio di carta affumicata, sulla quale, non solo la punta segnava le sue oscillazioni, ma la scintilla lasciava anche una traccia nettamente visibile. Se il circuito di scarica era tutto metallico, tale traccia era costituita da un forellino circolare, circondato da una aureola biancastra; ma se si introduceva nel circuito una forte resi- stenza, p. es. un tubo con acqua, la traccia in parola risultava da una serie non interrotta di scariche parziali, vicinissime fra loro, e che si allontana- vano l'una dalla successiva tanto più, quanto più grande era la resistenza del circuito e più piccola la capacità del condensatore e la distanza esplosiva. Nel circuito di scarica si avevano due interruzioni e quindi due scin- tille; l'una, la maggiore, fra gli elettrodi di un micrometro a scintille, in- trodotto nel campo magnetico variabile; e l’altra, molto piccola, fra il ci- lindro girante e la punta scrivente. Dal numero di oscillazioni segnate sulla carta affumicata, alle quali era sovrapposta la traccia della scarica, si ricavava la durata di que- st ultima. (1) Wied Ann., T. 41, p. 175 (1890). (2) V. Wiedemann, Die Lehre v. d. Elektricitàt, BA. IV B, p. 686. — 173 — L'elettromotore era una macchina di Holtz a 4 dischi, colla quale si caricava una batteria di 18 o 36 grandi bottiglie (50 cm. di altezza e 18 di diametro), riunite in due gruppi in cascata, colle armature di mezzo alla terra. Una delle armature estreme della batteria era rilegata da un filo con- duttore ad una serie di tubi con acqua (mm. 4 di diam. int.) lunghi cm 10, 20, 50, 100 e che poteva tutta o in parte, a volontà, facilmente includersi o escludersi dal circuito. Questa era poi alla sua volta in comunicazione con una delle palline del micrometro a scintille, posto in modo che la scarica avvenisse nel piano equatoriale di una grande elettrocalamita di Faraday. L'altra armatura estrema della batteria era rilegata all’ elettrodiapason sopracceunato, mentre il cilindro girante era in comunicazione metallica col- l’altra pallina del micrometro a scintille. Il cilindro girante di ottone, della lunghezza di 25 cm. e del diametro di 8 cm., era portato da una vite assiale del passo di 3 mm. che girava entro ma- dreviti sostenute da colonne isolate sopra una grossa lastra di ebanite. Alla stessa lastra di ebanite era fissato l’ elettrodiapason mercè un pezzo a slitta che poteva muoversi con una vite micrometrica, la quale permetteva così di avvi- cinare convenientemente la punta di platino del diapason alla carta affumicata. Un motore elettromagnetico Siemens imprimeva al cilindro un movi- mento sensibilmente uniforme: mercè una resistenza variabile introdotta nel circuito dell’induttore, poteva farsi avanzare il cilindro, con la velocità ne- cessaria per aversi sullo stesso foglio di carta affumicata le traccie di pa- recchie scariche, delle quali alcune senza ed altre col campo della elettroca- lamita. Nelle prime esperienze fu tenuto conto della polarità magnetica di questa, e invertendo la direzione della corrente magnetizzante si ottenevano sullo stesso foglio tracce delle scariche nei due campi inversi; ma in seguito, avendo constatato che nei due casi non si aveva alcuna differenza nella du- rata della scarica, non si tenne più conto della polarità della elettrocala- mita relativamente alla direzione della scarica. Per ottenere che le scariche si producessero sempre fra i medesimi punti delle palline di ottone, queste erano forate diametralmente e nei fori passa- vano delle asticciuole a vite dello stesso metallo, infisse nei sostegni isolanti e le quali terminavano con delle superficie di platino di 2 mm. di diametro, ben pulite, che venivano a far parte della superficie sferica delle palline quando queste erano avvitate alle asticciuole. Le palline venivano fortemente paraffinate prima di essere avvitate alle asticciuole, tra i cui estremi solamente perciò potevano avvenire le scariche. Per ottenere ciò anche meglio, sulla paraffina di ciascuna pallina era attac- cato un dischetto di mica con foro del diametro uguale a quello delle su- perficie di platino da cui si lasciava partire la scarica. Dalle esperienze fatte con questa disposizione, è risultato che crescendo molto l'intensità del campo magnetico, l'apparenza della traccia lasciata — 174 — dalla scarica sulla carta del cilindro girante non muta; solamente occupa un numero minore di oscillazioni tracciate dalla punta vibrante, il che si- gnifica che la durata della scarica diminuisce col crescere della intensità del campo magnetico in cui la si fa avvenire. Nel quadro seguente, in cui sono riassunti i risultati di varie esperienze, indicano: R_la lunghezza in cm. del tubo di resistenza con acqua; D la di- stanza in mm. fra le palline del micrometro; B il numero delle bottiglie; Ne N' i numeri delle V.D. dell’ elettrodiapason (250 V.D. per secondo) alla cui traccia, sulla carta del cilindro girante, si sovrapponevano le tracce delle scariche prodotte rispettivamente nel campo terrestre o nel campo dell’ elet- trocalamita. Per tutte le esperienze, la distanza fra i poli a facce piane di quest’ ul- tima era di 25 mm. e la corrente magnetizzante di 15 ampères. TABELLA I. R D B N N' 50.) 108836. 19.61 ‘102 ” » | 18 9.7] 5.4 ” 5 | 18 7200099 100. 10#|196. -|130.7/7 17.8 ” » | 18 |14.0| 8.2 ” 5 | 180) 19.6] 14.6 Dai numeri sopra riportati si vede nettamente che la scarica elettrica ha in un forte campo magnetico, una durata molto minore che nel campo terrestre. Per studiare più in particolare questo fenomeno, esaminai se col cre- scere dell'intensità del campo, àvvi variazione del potenziale di scarica e della quantità di elettricità che passa per ciascuna scintilla. Per il primo esame mi servii di due metodi: 4) Aggiunsi in derivazione al primo, e lon- tano dall’ elettrocalamita, un secondo spinterometro, le cui palline erano a tale distanza fra loro che nel campo terrestre la scintilla scoccava or nell’ uno, or nell'altro dei due apparecchi indifferentemente; chiudendo il circuito ma- gnetizzante dell’ elettrocalamita, le scintille continuavano a passare come prima indifferentemente or tra l'una e or tra l'altra coppia di palline. 6) Mi- surai direttamente il potenziale di scarica servendomi dell’ elettrometro Righi; le deviazioni osservate, delle quali alcune trascrivo nella tabella seguente, (!) Scariche intermittenti. — 175 — mostrano chiaramente che il potenziale rimane costante sia che le scariche avvengano nel campo terrestre o in un forte campo magnetico. TABELLA II. B_S65D —M0 RS R=10 R= 50 C. C. 0. o. terrestre elettrocal. |> tOMrOSÌTE | clettrocal. |S- terreStrO | elettrocal. 60 57 60 58 59 SY] 98 60 60 98 59 58 61 65 60 58 58 56 67 63 59 5) 56 dò 64 63 dò 58 52 53 63 65 dò 5Y1 54 DÒ Medie Medie Medie 62.1 61.8 58.1 57.9 55.6 56.9 Per esaminare se le quantità di elettricità che si neutralizzano per cia- scuna scarica variino col campo magnetico nel quale la scarica avviene, ba- stava misurare la quantità di elettricità che dopo ciascuna scintilla bisognava rifornirre alla batteria per avere una nuova scarica, ovvero il tempo T che intercedeva fra due scariche successive, quando la macchina funzionava in modo da fornire quantità di elettricità costante in tempi eguali ed invariate restavano le condizioni di isolamento degli apparecchi. A tal fine feci muovere la macchina dal motore elettromagnetico, il quale imprimeva ai dischi giranti dell’ elettromotore, dopo qualche secondo di rotazione, un movimento uniforme; contaro in seguito il numero x delle scariche che avvenivano in un dato tempo 7, per lo più un minuto, col campo dell’ elettrocalamita o senza: il rapporto È dava il tempo T cercato nei due casi. Bisogna avvertire che i risultati delle due misure sono paragonabili, purchè fatte l'una quasi immediatamente dopo l'altra, in modo da evitare l'influenza delle variazioni dello stato atmosferico sui sostegni isolanti e sulle bottiglie ('); inoltre (e se ne vedrà appresso la ragione), bisogna co- (1) È sensibilissima l'influenza dello stato atmosferico su misure di tal genere. In uno stesso giorno il tempo necessario, in media, a ricaricare la batteria con B = 36, D= 10, R=10, variò notevolmente; da misure fatte al mattino ebbi un valore medio di T eguale a 5,04, dopo mezzogiorno ebbi invece 3,50. Il rapporto però del tempo necessario — 176 — minciare a contare sempre dalla seconda scintilla dopo la chiusura o l’ aper- tura della corrente magnetizzante. Nella prima e seconda colonna delle tabelle III e IV in seguito tra- scritte, sono riportati i risultati di due serie di esperienze eseguite rispetti- vamente con le resistenze R=50 ed R= 10. Con T' e T sono indicati i tempi in secondi che intercedevano tra due scariche successive col campo della elettrocalamita o senza. Come facilmente si rileva il tempo necessario a ricaricare la batteria per avere una nuova scintilla, è minore quando il campo magnetico è molto intenso, ossia col crescere dell'intensità di questo cresce il residuo del con- densatore dopo la scarica, ovvero diminuisce la quantità di elettricità che si neutralizza per ciascuna scarica. Inoltre, se all'istante in cui avveniva una scarica nel campo terrestre, si chiudeva il circuito della corrente magnetizzante, il tempo necessario per avere la successiva scarica era uguale al tempo a ciò necessario senza il campo dell'elettrocalamita, mentre viceversa sopprimendo l’azione magnetica all'istante in cui avveniva una scintilla, la successiva si produceva dopo il tempo a ciò necessario col campo dell’ elettrocalamita. Ciò si spiega facil- mente ammettendo che l'influenza delle forze magnetiche si limita a far crescere il residuo del condensatore, cioè a far diminuire la quantità di elet- tricità che passa per ogni scarica. Infatti è evidente che col crescere del residuo del condensatore deve di- minuire il tempo necessario per ricaricare la batteria. Ora, poichè dopo avve- nuta una scintilla senza influenza magnetica è necessario l'istesso tempo di carica per la successiva, tanto se agisca il campo che se questo non ci sia, ciò vuol dire che nei due casi la scarica avviene quando la quantità di elet- tricità accumulata nel condensatore è la stessa. Si ha così una conferma delle esperienze già descritte, eseguite tanto coll’ elettrometro che con un secondo spinterometro in derivazione, dalle quali risultava che aggiungendo al campo terrestre quello dell’ elettrocalamita, il potenziale di scarica rimaneva costante. In conclusione quindi si ha che al crescere dell'intensità del campo magnetico nel quale avviene la scarica, passa una minore quantità di elet- tricità pur restando costante il potenziale corrispondente all'inizio della sca- rica, per cui non può ritenersi che il mezzo, modificato dalle forze magne- tiche diventi specificamente più resistente, perchè in tal caso dovrebbe variare il potenziale di scarica. a ricaricare la batteria senza campo e col campo se le misure erano fatte nelle due con- dizioni atmosferiche diverse l'una immediatamente dopo l’altra, si mantenne costante: così ai tempi 57,04 e 3,50 nell’ aria ordinaria, corrisposero col campo della elettrocalamita rispettivamente i tempi 4,24 e 2,90. I rapporti relativi sono 1,19 e 1,21. — 177 — È da ritenere invece che il fatto osservato dipenda dall’ allungamento del cammino della scarica per la deviazione che dal cammino primitivo questa subisce per l’azione delle forze elettromagnetiche (1). Per esaminare l'influenza che ha il mutamento di forma della scarica prodotta dal forte campo magnetico sulla quantità di elettricita che passa, anzichè ridurre le superficie fra le quali potevano scoccare le scintille ai soli dischetti di platino, lasciai scoperte le intere palle di ottone del micro- metro e poi tolsi anche queste, lasciando le sole asticciuole di esso scoperte completamente. Così la scarica non era più obbligata a partire dalle sole superficie di platino affacciate, ma poteva avvenire fra altri punti posti a più grande distanza fra loro, e nel forte campo magnetico poteva quindi ancor più crescere la lunghezza dell’arco di scarica. Nelle due tabelle III e IV seguenti sono indicati i tempi T' e T in secondi che intercedevano tra due scariche successive col campo dell’ elettro- calamita o senza, con le tre qualità di elettrodi sopradetti e nel caso che nel circuito era introdotto la resistenza di 10 cm. Nel caso che tale resi- stenza era di 50 cm. non poterono farsi misure cogli elettrodi ridotti alle sole asticciuole, perchè in tal caso si avevano scariche poco nudrite e che sì succedevano così rapidamente da non potersi contare. TABELLA III. TABELLA IV. R=50,B==36, D=10 R=10,B=36,D=10 Palle Palle Palle Palle Punte paraffinate | scoperte paraffinate scoperte scoperte TSI DEDE: VI e T DT tpo TT TAIST {È Te 4 3 6.40) 3.22 5 4,36] 9.33! 6.20) 3.10| 1.25 4 3.05] 6 2.90 5.16) 4.29| 9.66) 6.40] 2.73] 1.25 4 3.10) 6 2.90 5.16] 4.21/10 7 2.90] 1.25 4 3 6.20) 2.80 5 4.36| 9.66] 6.80| 2.73) 1.25 3.87| 3 6 2.90 5.16] 4.12/10 |6.40|3 1.25 3.82| 2.90] 5.80] 2.90 5 4.29] 9.66) 6.60| 3 1.25 3.87] 3.10] 6 2.80 4.92) 4.21/10 6.20| 2.73] 1.25 3.82) 3.10| — | — 5 4.18| — | — |— | Medie Medie 3.92| 3.03! 00] 2.92 5.05] 4.25) 9.76| 6.51 2.88] 25 T T T T T Tir 1.29 q= 2.07 ui 1.19 = 1.48 p= 2.30 (1) In confermità di questo concetto volli esaminare se nel caso che la scarica fosse costretta a percorrere presso a poco l’istesso cammino rettilineo tanto col campo del- RenpicoNTI. 1896, Vor. V, 2° Sem. 23 — 178 — Come si vede il rapporto 7 è maggiore nel caso delle asticciuole che nel caso delle palline scoperte, ed in questo maggiore che nel caso delle palle paraffinate, vale a dire che quanto più, sotto l' azione delle forze ma- gnetiche, la forma degli elettrodi permette l’allungarsi del cammino della scarica, tanto minore è la quantità di elettricità che passa per ogni scintilla. Inoltre paragonando i valori ottenuti nelle stesse condizioni relativi alle resistenze R = 10 e R= 50 si ricava che l'influenza del magnetismo è maggiore nel caso della maggiore resistenza del circuito, cioè nel caso che la scarica è più rallentata. E d'accordo con questo risultato si aveva che nel caso in cui il cir- cuito riducevasi tutto metallico, cioè di resistenza molto minore che nei casi precedenti, il rapporto n diventava quasi esattamente eguale ad uno, sia che le scintille scoccassero fra le palle coperte di paraffina o fra le palle scoperte o fra le punte. I risultati di alcune esperienze relative sono ripor- tati nella seguente tabella. TABELLA V. R— 0588 3604 0 Palle Palle Punte paraffinate scoperte scoperte TT Te9 So Ra 6.20] 6.20) 10.66) 10 4.57|9.75 6.20] 5.90) 10.383| 9.33] 4 3.87 6.30| 6.20) 10 9.66|14 |5.75 6.20] 6 10.33| 9.33] 3.87] 3.75 6.10) 6 10.33] 9.66) 4 3.75 6.30| 6.15] 10.33) 9.66| — | — Medie 6.22| 6,07] 10.33] 9.60| 4.09| 3.77 T T Al = 1.02 q= 1.07 Tu — 1,08 l’elettrocalamita che senza, venisse a modificarsi la diminuzione sopra notata. Tentai l’esperienza mettendo fra le due piccole superficie di platino fra le quali scoccano la scintilla, dei tubetti fatti con lamina di mica accartocciata o di vetro o di ebanite; ma i risultati furono discordanti probabilmente per l'influenza della superficie interna dei tubi sulla scarica, la quale a sua volta altera rapidamente questa stessa superficie. Questa al- terazione è notevolissima nel caso della mica, nella quale si produceva una specie di pol- vere che restringeva successivamente il passaggio finendo per ostruirlo. — 179 — Dalle esperienze sopradescritte può concludersi che il potenziale iniziale di scarica dell’ elettricità nell'aria, è lo stesso tanto in un campo magnetico molto intenso, che in un campo di intensità trascurabile (campo terrestre) quando la scarica avviene nel piano equatoriale dell’elettrocalamita. L'aumento d'intensità del campo in taluni casi fa diminuire notevol- mente la quantità d'elettricità che passa in ciascuna scarica, essendo tale diminuzione tanto maggiore quanto maggiore è la resistenza del circuito to- tale di scarica. Questo indicherebbe che con l'intensità del campo magnetico cresca la resistenza della scintilla. Ora, poichè il potenziale iniziale di scarica non è in- fluenzato dalle forze magnetiche, non pare possa ciò attribuirsi ad un aumento della resistenza specifica dell'aria, prodotta dal campo, ma sibbene al cam- biamento che dalle forze elettromagnetiche è prodotto nella forma della scarica. Infatti le scariche rallentate in esame, come si sa, sono costituite da una serie di scariche elementari, delle quali la prima comincia, per così dire, nella direzione di minima resistenza, che è la stessa con o senza azione delle forze magnetiche. Appena però s' inizia questa scarica, cioè appena si produce nell’ aria la corrente elementare corrispondente, questa subisce nel campo, a causa delle reazioni elettromagnetiche, una inflessione in un senso dipendente dalla po- larità della elettrocalamita e dalla direzione della scarica. E poichè per ciascuna scarica elementare successiva il cammino di mi- nima resistenza è quello occupato dall’ aria modificata dal passaggio della scarica precedente, così l’inflessione dovuta alle forze magnetiche deve au- mentare, come è facile concepire, da una scarica elementare alla successiva: finchè per una data scarica elementare il filetto d’aria modificata occuperà una posizione, per la quale la corrispondente resistenza, per l'allungamento avvenuto, sarà tale, da non potersi avere alcuna scarica ulteriore al poten- ziale residuo della batteria. Col quale potenziale, però, se la deviazione del- l’aria modificata non fosse avvenuta, si avrebbero potuto avere delle altre scariche elementari successive, e quindi il passaggio di una maggiore quantità di elettricità, al quale corrisponderebbe un tempo totale della scarica più lungo. Fisica. — Apparato completo per la Microfotografia. Nota del prof. L. DALL’OPPIO, presentata dal Socio BLASERNA. L'Accademia mi conferì un premio di incoraggiamento (') perchè mi fossi occupato di perfezionamenti alla microfotografia; ed io, ritenendo d' aver contratto come un debito d'onore, mi proposi di dar forma ad un apparato di un tipo tale che per la comodità dell'uso e l'esattezza dei risultamenti soddisfacesse meglio di quelli che si sogliono comunemente costruire. (1) Lire 1000: nell'occasione dei concorsi ministeriali indetti pel 1892. — 180 — Anche occupandomi del solo apparato, io credeva di corrispondere al voto di chi mi confortò con quel premio; d'altra parte poi mi lusingava che la pratica non breve di lavori microfotografici m' avesse conferito una qualche attitudine a risolvere il problema, e costituisse per me un vantaggio su noti costruttori di apparati ottici, che se sono abilissimi, non possono aver trovato il tempo di occuparsi a lungo di microfotografia. Assieme dell’ apparato. — Le due vignette qui intercalate sono state ricavate dalla fotografia dell'apparato che io ho a parte trasmessa all Acca- demia: la figura si è dovuto dividere in due per ragione dello spazio, ma malgrado ciò parmi che ne risulti abbastanza chiaramente l'assieme dell’ ap- parato: la scala è di 1 a 12,6. La trave 405, da cui sorge tutta la parte ottica, va appoggiata col- l'estremo 5 contro quella parete della camera in cui è praticata l’ apertura pel portaluce, camera tenuta all'oscuro, e nella quale è bene compiere tutte — 81 — le operazioni della fotografia. Il sostegno di cui 408 fa parte può essere opportunamente fissato a quella parete, ottenendo così la stabilità che è con- dizione importante della bontà dei risultati. È insomma un apparato che deve rimaner fisso, non essendo questo il caso di un apparato riducibile a poco volume per la comodità del trasporto. Com'è naturale, l'altezza dell'asse ottico è quella dell'occhio del- l'operatore. Una delle ragioni che ha consigliato la notevole elevazione dell’ asse ottico sul sostegno 408, è stata quella d'avere al disotto dello stesso asse uno spazio sufficiente per potere, quando non si hanno a disposizione i raggi solari, applicare una lampada qualsivoglia senza rimuovere per nulla l’ apparato : così, levando una tavoletta che è incorniciata nella metà a destra del tavo- lino 40, può facilmente trovar luogo anche una lampada elettrica il cui por- tacarbone inferiore si estenda notevolmente. Si avverta che anche quando il fondo dell'apparato, quello in cui viene a trovarsi il vetro smerigliato o la lastra sensibile, sia tanto avvicinato all’obbiettivo che una buona porzione dell'estremo sinistro della trave 408 rimanga sporgente, ciò non imbarazza l'operatore che sta eseguendo la messa al punto; anzi, se esso si colloca in maniera che la parte sporgente della trave gli riesca sotto l'ascella, opera con agio maggiore. Altri fissa lo stafzvo del microscopio sopra un'apposita base a viti di livello, allo scopo di disporre l’asse dell’ istrumento perpendicolarmente al piano del vetro smerigliato o della lastra sensibile, che è fisso; io invece ho fatto in modo che lo stativo sia sempre fissato nella stessa direzione, ed ho montato la parte che racchiude la lastra sopra un tre piedi a viti di livello. Tale parte è costituita da una cassetta C di mogano a sezione quadrata e con guarniture metalliche, la quale è anche girevole attorno un asse nor- male al piano del treppiede. Così, è il piano della lastra quello che è mosso per essere reso normale all'asse dell’ istrumento ed incontrato da questo nel centro: l'operatore giudica dell’ essere o no centrato l'apparecchio stando a guardare contro il vetro smerigliato, e se la centralità può essere ottenuta agendo su qualche cosa che è a portata di mano, la comodità riesce certo molto maggiore che nel- l’altro modo, adottato dai costruttori forse perchè tutto l’apparato riesca meno costoso. Aggiungasi poi che lo stativo del microscopio si può togliere e mettere a posto con minore preoccupazione che la centralità si perda: lo stativo viene rimosso spessissimo per servirsene a parte e nel modo ordinario, allo scopo di disporre convenientemente sotto l'obbiettivo la preparazione mi- croscopica che si ha a riprodurre. Particolarità importante. — Ciò che mi sembra dover mettere sopra tutto in evidenza, è la parte anteriore della camera fotografica, costituita — 182 — dalla cassetta D che è pure di mogano con guarniture metalliche, ed ha su ciascuna faccia laterale un'apertura circolare provveduta di sportello: per tale apertura passa comodamente la mano. La parete posteriore, interna, della D ha pure un'apertura circolare col centro sull'asse ottico, la quale viene chiusa ed aperta da una piastra che si solleva a guisa di ribalta, agendo dall’ esterno per mezzo di un filo che nella figura è discernibile anche pel contro-peso che gli è attaccato: tale è l’'otturatore che si tiene aperto durante la messa al punto e durante l'esposizione della lastra all'azione dei raggi luminosi. L'adozione di questa parte speciale dell'apparato distinta con D è uti- lissima, anzitutto per poter applicare prestamente al tubo del microscopio gli oculari di protezione e regolarli, introducendo la mano per lo sportello e senza rimuovere altro; ed è utilissima anche per quest'altra ragione. Quando si lavora colla luce solare, e specialmente per piccoli ingran- dimenti, l'uniformità dell’illuminazione del campo si perde presto, in un tempo più breve di quello che corre tra la messa al punto e l'adattamento del telaio che racchiude la lastra sensibile, anche affannandosi a far solleci- tamente; ed allora la prova fotografica riesce male. Ma siccome nel nostro caso, dopo eseguita la messa al punto ed abbassata la piastra che sta entro la cassetta 2, l’immagine si proietta con sufficente chiarezza anche sulla superfice anteriore di quella, così operando con tutta calma, si adatta al fondo dell'apparato il telaio della lastra sensibile e se ne alza la saracinesca; poi, guardando attraverso l'apertura di 2 contro la nota piastra, si gira lo specchio del porta-luce sino a ristabilire l'uniformità dell’ illuminazione del campo, si chiude lo sportello di D e si solleva l’otturatore pel tempo necessario alla posa. Una cura speciale si è avuta anche nella costruzione del pezzo cilin- drico c che serve di raccordo tra il tubo del microscopio e la D: esso è fatto in modo che anche i grandi spostamenti del tubo che si operano sul principio della messa al punto avvengano senza resistenza, e che malgrado ciò nessuna luce estranea possa insinuarsi e colpire la lastra sensibile. Detto pezzo è anche divisibile in tre parti, in guisa che si può disimpegnare pron- tamente lo stativo per servirsene a parte. Altre particolarità. — Nella prima vignetta sono indicate due fenditure, una nel piano di congiunzione dei due soffietti troncopiramidale e prismatico, l’altra nel piano di congiunzione dell'ultimo colla cassetta C. Tali fenditure sono destinate all’ introduzione di diaframmi di varia apertura a seconda degli ingrandimenti, precauzione questa importante per opporsi all'effetto nocivo della luce diffusa sulle pareti interne della camera fotografica malgrado l’annerimento di queste; precauzione tanto importante, che i costruttori di stativi speciali per la microfotografia fanno ora i tubi assai larghi, sempre per opporsi alla luce che le pareti interne possono diffondere, e così sì è tornati verso i microscopî antichi. — 183 — Nella seconda vignetta io ho omesso l'indicazione di varî accessori, come il sostegno delle vaschette contenenti i liquidi assorbenti, e quello dei diaframmi di vetro smerigliato; figura solo un sostegno per un sistema di lenti da servire come collettore. Ma sopratutto è indicato all'estremo destro un pezzo particolare, che io ho sperimentato utilissimo nei lavori di molta precisione, come ad es. la riproduzione a forti ingrandimenti delle diatomee, caso in cui è necessario che il fascio luminoso cadente sulla preparazione, attraverso quel qualunque collettore che si adopera, possa sempre essere esattamente ricondotto alla direzione che nel mettere al punto si era trovata più conveniente. Si tratta di un piccolo specchio piano di circa un decimetro q., al quale si possono dare, anche con viti a scrupolo, due movimenti attorno due assi orizzontale e verticale. Il sostegno dello specchio è poi scorrevole sopra una slitta normale all'asse di tutto l'apparato, tanto da poter riportare lo spec- chio ogni volta esattamente nella stessa posizione, ed intercettare così il fascio del raggi solari introdotti col porta-luce. Lo specchio viene orientato in modo che il fascio dei raggi sia press' a poco piegato ad angolo retto, e vada a proiettarsi a qualche metro di distanza sopra un punto opportunamente segnato in una parete della stanza ove si lavora. Quando nel mettere al punto si è trovata la direzione più conveniente dei raggi, si porta lo specchio in questione ad intercettarli, e colle viti a scrupolo si fanno proiettare i raggi riflessi sul punto segnato; quando poi, senz’ essersi curati del tempo trascorso per le successive operazioni, si è in procinto di far cadere l’immagine sulla lastra sensibile, si muove il portaluce sino ad ottenere che i raggi riflesssi dal detto specchio si proiettino esat- mente nel punto di prima, si allontana lo specchio, e si apre l’ otturatore pel tempo necessario alla posa. N. B. Tolto lo stativo, che è uno splendido lavoro del Koristka, tutto l'ap. parato è stato eseguito nel laboratorio di Fisica dell’ Istituto tecnico di Ancona: se lo si esaminasse da vicino, forse si troverebbe che le varie parti non mancano nè di esattezza, nè di eleganza. Chimica. — Su /uoruri, fluosali e fluoossisali dei composti- cobaltammoniacali. — I. La serie lutea (). Nota di A. MioLATI e G. Rossi, presentata dal Socio CANNIZZARO. I composti ammoniacali del cobalto sono siati diligentemente studiati da molti chimici, ed in questi ultimi anni specialmente da Jorgensen (?), il (1) Lavoro eseguito nell’ Istituto chimico della R. Università di Roma. (2) Vedi specialmente le sue Memorie nel Journal fiir prakt. Chemie N. F. e nel Zeitschr. f. anorg. Chem. — 184 — quale espose a più riprese le sue idee sulla costituzione di questi composti, cercando di rimanere il più possibilmente in accordo con l’idea comune della valenza. A questo modo di vedere, che considera gli atomi d'azoto dell’ ammo- niaca diventati pentavalenti e uniti a mo' di catena, se ne oppose recente- mente un altro dovuto a Werner ('), il quale abbandonando come non neces- saria, nè sufficiente a spiegare i fatti, l' ipotesi del collegamento in catena delle molecole d’ ammoniaca, e senza entrare nell’ intima natura del legame fra i componenti di queste molecole complesse, stabilisce quali atomi o mo- lecole stiano coll’atomo metallico direttamente uniti in un complesso unico, e quali vi siano collegati indirettamente. Esso stabilisce la funzione chimica delle diverse parti della molecola, e trova particolarmente appoggio nello studio accurato della dissociazione elettrolitica dei diversi composti metallammonia- cali in soluzione acquosa, come venne dimostrato per un gran numero di casì da Werner e da uno di noi (*). La teoria di Werner, se non ci dice quale sia l’ intima costituzione dei composti metallammoniacali, ha il grande vantaggio di bandire idee preconcette e prive di fondamento, e basandosi solamente sui fatti, di coordinare fra di loro nel modo più semplice le di- verse serie di composti. Però la discussione delle teorie non deve far dimenticare che la maggior luce può e deve venir portata dallo studio accurato di nuovi composti, come quello che accresce il materiale sperimentale su cui ogni teoria deve essere fondata; e specialmente devonsi considerare quei composti, pei quali si può prevedere un comportamento speciale o anomalo. Tali sono fra gli altri i fluoruri, che per le loro proprietà sogliono sco- starsi alquanto dai cloruri e analoghi, in relazione al posto occupato dal fluoro nella prima serie del sistema periodico, la quale comprende elementi, come il carbonio, l'azoto, l'ossigeno, che si allontanano più o meno marcatamente dagli altri dei rispettivi gruppi. Abbiamo dunque intrapreso lo studio dei fluoruri delle cobaltamine, e ci limitiamo per ora a dare i risultati ottenuti nella serie lutea, il cui radi- cale }Co(NH3);{ ci presenta il caso specialissimo di un ammonio trivalente. Il risultato delle nostre ricerche ci portò infatti a confermare la più completa analogia fra i sali luteocobaltici e i sali alcalini, analogia che si manifesta specialmente coll’ esistenza di un fluoridrato }Co (NH;); { Fl; Hz, più stabile del fluoruro neutro. Le proprietà di questo fluoridrato sono cor- rispondenti a quelle dei fiuoridrati alcalini e notevole è anzi il parallelismo nell’andamento della dissociazione elettrolitica con quella del fluoridrato potassico. (1) Zeitsch. f. anorg. Chem. III, 267; VIII, 153. (2) Werner e Miolati, Gazz. chim. it. XXIII, (3), 140; XXIV, (2), 408. — 185 — Lo studio dei composti fluorurati era anche interessante per la proprietà dei fluoruri alcalini di dare con i fluoruri e ossifluoruri di altri elementi una estesa serie di cosidetti composti doppî, o meglio fluosali e fluoossisali, delle composizioni più svariate. Lo stesso avviene anche per il fluoridrato di luteo cobalto e noi potemmo ottenere ed analizzare molti di tali composti. Vogliamo infine aggiungere che abbiamo già ottenuto qualche composto delle altre serie, particolarmente della purpurea e della violea, ma su di essi ci riserbiamo di riferire più tardi quando il loro studio particolareggiato sarà completo. Riguardo ai metodi analitici seguiti nella determinazione dei componenti costanti dei corpi da noi studiati, diremo solo che il cobalto fu nel maggior numero di casi precipitato con idrato potassico e trasformato per calcinazione prolungata in Co; 0,: il metodo dà risultati soddisfacentissimi. L’ammoniaca fu dedotta dall’azoto determinato col metodo di Dumas. Il fluoro venne ge- neralmente determinato col metodo di Penfield (!), salvo nel caso del fluori- drato e del fluoborato in cui fu seguito il metodo di H. Rose. In quanto agli altri elementi indicheremo volta per volta i metodi se- guiti. Solo notiamo che la loro determinazione presentò spesso difficoltà spe- ciali sia per la presenza del fluoro che per quella del cobalto. Le analisi furono calcolate coi pesi atomici riferiti all’ Ossigeno = 16. Per materiale primitivo ci servì il cloruro di luteocobalto, preparato col metodo dato da Jòrgensen (2). Dal cloruro potevasi poi facilmente preparare il carbonato di luteocobalto scomponendo la sua soluzione acquosa con carbo- nato d'argento. 1°. Fluoridrato di luteocobalto {Co (NH); { Fl; H3. I tentativi fatti per ottenere direttamente il fluoruro della serie lutea non diedero risultati soddisfacenti, cosicchè ci siamo limitati ad ottenerlo trattando il cloruro con fluoruro d'argento in soluzione acida, o meglio trat- tando il carbonato con acido fluoridrico. Si ottiene però sempre un fluoruro acido di luteocobalto. Per la prima preparazione sì tratta la soluzione concentrata di cloruro di luteocobalto con una soluzione della quantità calcolata di ossido o di car- bonato d'argento in acido fluoridrico diluito; si filtra, si concentra il liquido a bagno maria, e dopo raffreddamento si precipita con alcool. Il fluoridrato si raccoglie sul filtro, si lava con alcool e si secca fra carta. Per seguire il secondo metodo si tratta la soluzione di carbonato di luteocobalto con acido fluoridrico fino a reazione completa; si concentra la (1) Chemical News, XXXIX, 179. (2) Journ. f. prakt. Chem. XXIII, 227. RenpICONTI. 1896, Vol. V, 2° Sem. 24 — 186 — soluzione ottenuta e si precipita come prima. In ambedue i casi, da 20 gr. di cloruro si ebbero 16-18 gr. di fluoridrato. L'analisi del fluoridrato luteo di diverse preparazioni dette risultati con- cordanti colla formola; infatti: I gr. 0,4617 di sostanza dettero gr. 0,2574 di Co SO,, corispondenti a gr. 0,09768 di Uo. II gr. 0,4206 di sostanza dettero gr. 0,2345 di Co SO,, corrispondenti a gr. 0,08899 di Co. III gr. 0,6276 di sostanza dettero gr. 0,3522 di Co SO,, corrispondenti a gr. 0,13415 di Co. IV gr. 0,2852 di sostanza dettero gr. 0,1608 di Co SO,, corrispondenti a gr. 0,06125 di Co. V gr. 0,2280 di sostanza dettero gr. 0,0663 di Co 0,4, corrispondenti a gr. 0,04871 di Co. VI gr. 0,1921 di sostanza dettero gr. 0,0559 di Cos O,, corrispondenti a gr. 0,04108 di Co, e gr. 0,1615 di Ca Fl, corrispondenti a gr. 0,07768 di FI. VII gr. 0,3487 dettero gr. 0,1011 di Cos 04, corrispondenti a gr. 0,07431 di Co, e gr. 0,2959 di Ca FI. corrispondenti a gr. 0,1423 di FI. VIII gr. 0,1456 dettero c. c. 36,7 di azoto a 10° e 759 mm. corrispondenti a gr. 0,0438 di N o gr. 0,05323 di NH; IX gr. 0,1725 dopo 30 ore a 105° perdettero in peso gr. 0,0373. Quindi riassumendo: Trovato per cento I II | III IV v|u | VII | vu | IX Media Corona Pa e ra 21152114 21,3 ERI. i ea. Ma NB ee eee ae 8656 35555 PIC Ren Re | — | — l' —|4044|40/81/ 228 e 10/63 HFI (perdita) . +. . . . — | — | — | — |21,62/21,62 calcolato per Co(NH3); Fl; Hz calcolato per Co(NH3); Fl Co 21,22 Co 27,05 6 NH; 36,77 6 NH; 46,87 Fl 40,92 FL 26,08 3 HFl 21,54 —_ — Il fluoridrato di luteocobalto si presenta come un sale di colore giallo aranciato, molto solubile nell'acqua; può cristallizzare dalla soluzione acquosa o debolmente acida concentrata, lasciandola svaporare lentamente all'aria; però i cristalli, di aspetto prismatico, schiacciati, non sono abbastanza netti per essere misurati. — 187 — Il fluoridrato è stabile a 100°; a 105° perde tre molecole di acido fluo- ridrico. Il residuo non è più facilmente solubile nell'acqua fredda; scaldando leggermente si separa ossido di cobalto, il liquido diviene acido, e una parte del sale luteo rimane inalterata in soluzione allo stato di fluoridrato. La determinazione della conducibilità elettrica molecolare della solu- zione acquosa di fluoridrato di luteocobalto venne fatta col metodo di Kohl- rausch come viene indicato da W. Ostwald. La temperatura delle esperienze era di 25°. Nella seguente tabella sono riportati, a fianco dei valori trovati pel fluoridrato luteo, quelli di P. Walden (!) pel fluoridrato potassico: Floridrato di luteocobalto:1{Co(\H,),{FIH | KHF, e AAA — © — ‘Sa | (Walden) 256 | 163,4| 167,8 | 165,6| 167,3, 172,2 1024 | 259,6] 267,8) 263,4| 263,6 | 254,5 I numeri ottenuti sono assai vicini a quelli pel fluoridrato potassico, e l'andamento della conducibilità col variare della diluizione è press’ a poco pa- rallelo nei due sali tenuto il debito conto della differenza nella valenza del radi- cale positivo. Per il sale luteo pare che nelle diluizioni più forti vi sia un accenno a una leggera scomposizione idrolitica, come avviene generalmente per gli altri sali di luteocohalto. Il fluoridrato di luteocobalto dà fluosali e fluoossisali, per lo più difficil- mente solubili, coi fluoruri di boro, di silicio, di titanio, e cogli ossifluoruri di molibdeno, di volframio, di uranio, di vanadio. Molti di questi composti, che cristallizzano da soluzioni acide, conservano una o più molecole di acido fluoridrico che tendono a perdere; pochi sono normali, e ciò non deve far meraviglia quando si considerino i fluosali e fluoossisali alcalini finora co- nosciuti. I fiuosali e fiuoossisali di luteocobalto si ottennero generalmente pre- cipitando le soluzioni fluoridriche dei rispettivi ossidi superiori con soluzione di fluoridrato di luteocobalto, o con carbonato di luteocobalto, e si poterono spesso ricristallizzare dall’ acqua contenente acido fluoridrico. Non si otten- nero mai cristalli misurabili, ma soltanto polveri gialle, cristalline. (1) Zeitsch. f. physik. Chemie, IT, 59. — 188 — 2°. Fluoborato di luteocobalto Co (NH3); Fl; . 3Bo Fl; . H FI. Si preparò trattando la soluzione fluoridrica di acido borico in eccesso con la soluzione di carbonato luteo; si ricristallizzò dall’ acqua acidulata con HFI. Nella stufa a 110°-120° non subisce una perdita apprezzabile. Il cobalto venne determinato o per calcinazione scacciando così il Bo FL, o per precipitazione con idrato potassico. Per determinare il fluoro non potè esser seguito il metodo di Penfield, perchè insieme al Si FI* sì sarebbe svolto del Bo Fl; che avrebbe alterato i risultati della titolazione. Perciò si dovette ricorrere al metodo di Rose, e per separare il fluoro dal boro si procedette nel modo seguente. Il filtrato alcalino ottenuto precipitando il cobalto venne portato a secco nella capsula d’argento con eccesso di idrato ‘ potassico fondendo poi il residuo. Si riprese con acqua, si neutralizzò la mag- gior parte della potassa prima con acido acetico, e poi completamente con un po’ di carbonato ammonico, scacciandone l'eccesso per riscaldamento. Si precipitò all’ ebollizione con acetato di calcio, si aggiunse acetato ammonico neutro o leggermente ammoniacale, e si lasciò a sè 12 ore prima di filtrare. Il precipitato contenente il Ca Fl, e un po' di Ca CO;, venne trattato nel modo ordinario. I risultati delle analisi sono i seguenti: I gr. 0,4032 di sostanza dettero per calcinazione gr. 0,0725 di Coz 04, corrispondenti a gr. 0,05327 di Co. Il gr. 0,4417 di sostanza dettero per calcinazione gr. 0,0804 di Cos 0, corrispondenti a gr. 0,05908 di Co. III gr. 0,2881 di sostanza dettero per calcinazione gr. 0,0515 di Cos 04, corrispondenti a gr. 0,03784 di Co. IV gr. 0,4744 di sostanza dettero per calcinazione gr. 0,0863 di Coz 04, corrispondenti a gr. 0,06341 di Co. V. gr. 0,5490 di sostanza dettero per precipitazione gr. 0,1006 di Cos 0, corrispondenti a gr. 0,07392 di Co. VI gr. 0,3268 di sostanza dettero per precipitazione gr. 0,0603 di Coz 0, corrispondenti a gr. 0,04431 di Co. VII gr. 0,2550 di sostanza dettero per precipitazione gr. 0,0452 di Cos 0,, corrispondenti a gr. 0,03323 di Co, e gr. 0,2975 di Ca Fl, corri- spondenti a gr. 0,14306 di FI Riassumendo abbiamo : Trovato per cento Calcolato _—_———. ======- per I | II | II | IV | V VI | VII | atedia Co(NHs)Fla.3BoFls.HFI Co 13,21 FI —_ 13,37 13,13 13,37 13,46 13,59 13,03 56,10 13,30 13,37 56,10 09,84 i — 189 — 3°. Fluosilicato di luteocobalto Co (NH3); Fl; . 2Sì FI. Fu ottenuto trattando la soluzione di fluoridrato o anche di carbonato di luteocobalto con acido idrofluosilicico. E quasi insolubile nell’ acqua fredda, alquanto solubile nell'acqua bollente, dalla quale fu cristallizzato. La determinazione del cobalto si può fare riscaldando gradualmente per scacciare il fluoruro di silicio, e per maggior sicurezza evaporando poi con acido fluoridrico; il residuo si trasforma in Coz 0. Per determinare anche la silice si precipitò il cobalto con idrato potas- sico, e il filtrato venne trattato col metodo descritto dal Fresenius (!). I risultati delle analisi sono assai netti: I gr. 0,2042 di sostanza dettero gr. 0,0384 di Coz O,, corrispondenti a gr. 0,02822 di Co. II gr. 0,3813 di sostanza dettero gr. 0,0712 di Cos Oy, corrispondenti a gr. 0,05232 di Co. III gr. 0,2495 di sostanza dettero gr. 0,0468 di Coz O,, corrispondenti a gr. 0,03439 di Co; e gr. 0,0567 di Si O, corrispondenti a gr. 0,02666 di Si. 3 Abbiamo quindi: Trovato per cento Calcolato per I | II | III | Media Co(NH3)6F13.2SiFla Co 13,82|13,72|13,78|13,77 13,88 Si — I — |13,45|13,45 13,30 4°. Fluotitanato di luteocobalto 2Co (NH); Fl; . STi FI, . 2H FI. Si ottenne trattando la soluzione fluoridrica di acido titanico colla solu- zione di carbonato o fluoridrato luteo, e si potè cristallizzare dall’ acqua con- tenente acido fluoridrico. Nella stufa a 110° perde l’acido fluoridrico, e tende anche a perderlo dopo lungo soggiorno nell’ essiccatore specialmente colla tem- peratura estiva. L'analisi presentò notevoli difficoltà. Calcinando il sale 0 evaporandolo con acido solforico concentrato, una parte del fluoruro di titanio sfugge perchè alquanto volatile; perciò abbiamo dovuto scomporlo con acido solforico diluito (1:3), svaporando il più possibile su bagno maria, e scacciando poi su fiamma libera la maggior parte dell'acido eccedente. (1) Quant. Annal. I, 644. — 190 — Dopo raffreddamento si scioglie in acqua, si neutralizza quasi con car- bonato sodico, si diluisce a metà o tre quarti di litro, e si fa bollire per un'ora sostituendo l’acqua che evapora. Il titanio precipita completamente purchè la soluzione non sia troppo acida; non deve però essere neutra, altrimenti precipita insieme anche un po di cobalto. Questo viene poi precipitato con idrato potassico nel filtrato. I risultati delle analisi del sale preparato di fresco sono i seguenti: I gr. 0,3097 di sostanza, dopo alcuni giorni a 110°, perdettero in peso gr. 0,0135. Il residuo dette gr. 0,0581 di Coz 0,, corrispondenti a gr. 0,04269 di Co. II gr. 0,2082 dettero gr. 0,0378 di Coz 04, corrispondenti a gr. 0,02777 di Co. IIl gr. 0,2232 dettero gr. 0,0423 di Coz O,, corrispondenti a gr. 0,03108 di Co. IV gr. 0,8195 dettero gr. 0,0612 di Coz O,, corrispondenti a gr. 0,04497 di Co, e gr. 0,0896 di Ti O, corrispondenti a gr. 0,05382 di Ti. V gr. 0,2639 di sostanza dettero c.c. 43,7 di azoto a 14° e 758 mm., corrispondenti a gr. 0,05117 di No gr. 0,0622 di NH.. VI. gr. 0,2559 di sostanza dettero c. c. 44,3 di azoto a 23° e 754 mm., corrispondenti a gr. 0,04944 di No gr. 0,06009 di NH. VII gr. 0,3460 col metodo di Penfield adoperarono c. c. 54,56 di ammo- niaca ventesimonormale. corrispondenti a gr. 0,15542 di FI. VIII gr. 0,3637 col metodo di Penfield adoperarono e. c. 56,9 di ammo- niaca ventesimonormale, corrispondenti a gr. 0,16208 di FI Riassumendo abbiamo: Trovato per cento Calcolato per Media 2Co(NH3)6F13.3TiFl4-2HF 1 [|a | vi | w|w Cose NEO 1867/1393 Atari A i 19/87 13,92 NE Fei i(AENI 2957/0348 Moira 24,11 {IS TRORPRN E PORPARI ono PCS (AZIO ro On PGE RIT E Las 17,00 19) VORAGINE OITAGOI RIGZENSA NIREZiN [Ieri i | MESSA NES O VV Vr 44,72 HI (perdita) co 4,96. | — E — | RM N96 4,71 Una determinazione fatta su sostanza stata per lungo tempo nell' essic- catore su acido solforico nei mesi estivi dette risultati concordanti colla for- mola senza acido fluoridrico; infatti: gr. 0,2464 dettero gr. 0,0497 di Cos 0, corrispondenti a gr. 0,03652 di Co, e gr. 0,0738 di Ti O; corrispondenti a gr. 0,044833 di Ti. trovato °/o calcolato per 2Co (NH); Fls .8Ti Fly Co 14,82 14,61 Ti 17,99 17,84 — 191 — Chimica. — Su un nuovo metodo di preparazione di alcune anidridi. Memoria di G. Oppo e 0. MANUELLI, presentata dal Socio S. CANNIZZARO. Chimica agraria. — Sulla Denitrificazione. Nota di G. Am- POLA ed E. GaRINO, presentata dal Socio S. CANNIZZARO. Le due Note precedenti saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. Fisiologia. — Modificazioni che subisce il sangue nelle re- gioni elevate per effetto della diminuita pressione barometrica. Nota del dott. Desimerio KuTHY di Budapest, presentata dal Socio A. Mosso. Nel 1863 il dott. Jourdanet pubblicava una Memoria col titolo: De l’anémie des altitudes, et de Vanémie en général dans ses rapports avec la pression de l’atmosphère. In questo lavoro e nell'opera successiva: /n- torno alla influenza della pressione dell’aria sulla vita, Jourdanet (!) affer- mava che sono generalmente anemici gli uomini che abitano in regioni più alte di 2150 metri. Altre osservazioni fatte pure in America sulle Cordigliere e presentate da Viault (2) nel 1890 all'Accademia delle scienze di Parigi, tendevano in- vece a dimostrare che all’ altezza di 4392 metri, il numero dei corpuscoli rossi è molto maggiore del normale. L'aumento si produce secondo Viault anche per altezze poco considerevoli di 1300 metri, come ad Arosa. Questa contraddizione tra le osservazioni di Jourdanet e di Viault, si è mantenuta fino ad oggi, benchè siano divenuti molto numerosi i lavori pub- blicati intorno a tale argomento. I primi e i più importanti di questi la- vori, furono quelli di Miintz, di Egger e di Miescher, i quali confermarono le osservazioni del Viault. Non citerò per brevità la serie numerosa dei la- vori pubblicati anche da Wolff e Koppe, Mercier, Sellier ed altri i quali affermarono che nell'uomo si produce un aumento dei corpuscoli rossi per altezze poco considerevoli; e che tale aumento deve considerarsi come una reazione del l'organismo per rimediare alla mancanza dell'ossigeno in causa (') Jourdanet, In/luence de la pression de l’air sur la vie. Tome premier, p. 176. Paris, 1875. (2) Viault, Sur l’augmentation considérable du nombre des globules rouges dans le sang chez les habitants des hauts plateaur de lAmérique du sud. Comptes rendus, tome 111, p. 917. MINI alla rarefazione dell’aria. Il dott. E. Grawitz pubblicò recentemente una critica di questi lavori ('). Mi limiterò ad accennare gli ultimi scritti che trattarono questo argomento. Egli-Sinclair (*) trovò una diminuzione dell’ emoglobina fermandosi pa- recchi giorni sulla vetta del Monte Bianco. Le osservazioni vennero fatte sopra di lui, sul dott. Guglielminetti e sul sig. Imfeld. Schumburg e Zuntz trovarono una diminuzione nella densità del sangue recandosi da Berlino a Zermatt e alla Bétempshiitte (2800 m. altezza) (8). L'ultimo lavoro che venne stampato su questo arsomento torna in ap- poggio della dottrina di Viault e di Miescher. Il prof. Oliver (4) avrebbe osservato un aumento dei corpuscoli rossi a Davoz che trovasi solo a 1580 metri. L'ipotesi che il rapido aumento dei corpuscoli rossi, osservato a 1500 metri di altezza, dipenda da una reazione dell'organismo per la deficienza dell’ os- sigeno. accolta prima con entusiasmo, venne presto ritenuta insostenibile per varie ragioni. Infatti è noto che fino a 3000 metri ed anche più in alto, l'ossigeno non fa difetto al sangue, e la respirazione di lusso sì mantiene oltre questo limite senza che si modifichi la frequenza e la profondità del respiro. Grawitz suppose che si trattasse di un ispessimento del sangue dovuto alla perdita di acqua che avviene per l’ evaporazione più rapida quando uno sì trasporta in regioni dove l’aria è rarefatta. Contro tale ipotesi fecero osservare giustamente Schumburg e Zuntz che sarebbe troppo grande la per- dita di acqua che deve subire il corpo perchè succeda un ispessimento del sangue. Sono parecchi litri di acqua che dovrebbero perdersi perchè il nu- mero dei corpuscoli rossi passi da 5 a 6 milioni per mm.c. Se ciò fosse, sa- rebbe stato facile accorgersi della diminuzione di peso del corpo, il che non si è verificato. L'ipotesi più verosimile è che si tratti di una differente distribuzione dei corpuscoli rossi e del plasma nell’ organismo. Un fenomeno simile l'aveva già osservato S. Lesser (7) dopo il taglio del midollo nel sangue degli ani- mali, e più recentemente Cohnstein e Zuntz (9) hanno prodotto dei mutamenti nella composizione del sangue anche maggiori di quelli che si osservarono (') E. Grawitz, Veber die Einwirkung des Hòhenklimas auf die Zusammensetzung des Blutes. Berl. Klin. Wochesch., 1895, n. 33 mid folg. (2) Dott. Egli-Sinclair, Sur Ze mal de montagne. Annales de l’Observatoire du Mont- Blanc, publiés par M. Vallot, p. 109. (3) Schumburg und N. Zuntz, Zur Xenntniss der Einwirkungen des Hochgebirges auf den menschlichen Organismus. Arch. f. d. gesam. Physiologie, 1896, 63 Bd., p. 491. (4) Gi. Oliver, A contribution to the study of the Blood and the Circulation. Croo- nian lectures. British Medical Journal. June, 1896. (5) Archiv. fir Anatomie und Physiol. 1873, p. 41. (6) Schumburg und Zuntz, opera citata, p. 491. — 193 — nell'uomo sulle montagne, per mezzo della contrazione e del rilasciamento dei vasi sanguigni. Con questo metodo Cohstein e Zuntz ottennero artificial- mente delle variazioni da 24 fino a 44 milioni. Mi sono occupato di questo problema solo dal punto di vista critico, per esaminare l'esattezza dei metodi adoperati fino ad ora in questo studio dagli autori e vedere quanto fossero attendibili i risultati con essi conseguiti. Le mie esperienze si dividono in due parti: nella prima ho studiato la com- posizione del sangue dei conigli, tenendoli in un'atmosfera che mantenevo artificialmente più bassa della normale; nella seconda ho studiato il mio sangue, quello di un'altra persona per nome Giacinto, e di parecchi ani- mali, recandomi dal 9 al 14 maggio 1896 a Gressoney la Trinité che trovasi a 1627 m. di altezza. Ricerche sui conigli fatte nella campana pneumatica con corrente continua ed abbondante di aria. Queste indagini sono simili a quella che Regnard e Jaruntowski ave- vano già fatto con metodo analogo. L'apparecchio del quale mi servii è quello stesso esistente nell'Istituto fisiologico di Torino che ho descritto nella mia precedente Memoria (‘'). Adoperai esclusivamente dei conigli, i quali pesavano da 1500 gr. a 2000 gr. Questi animali venivano messi uno per volta sotto una grande campana di vetro della capacità di 18 litri. Entro questa campana i conigli vivevano bene per settimane intere ad una pressione barometrica di poco inferiore a quella che vi è sulla vetta del Monte Rosa, cioè a m. 4560 di altezza. Ogni giorno gli animali venivano ricondotti per circa mezz'ora alla pressione normale per dare loro nuovo nutrimento e fare la pulizia della campana. La pressione dell’acqua potabile nella pompa che produceva l'aspirazione dell’aria era di circa 4 atmosfere. Una valvola a mercurio, che venne già descritta insieme a tutto l’ apparecchio nella Me- moria precedente, serviva a mantenere giorno e notte costante la pressione a 30 centim. di mercurio in meno della pressione atmosferica. Un contatore messo sul tubo di entrata dell’aria, segnava i litri di aria che passavano sotto la campana. I corpuscoli rossi del sangue li contai col metodo di Malassez. La de- terminazione dell'emoglobina la feci coll’ apparecchio del Fleischl. La den- sità del sangue la determinai col metodo del Hammerschlag. Nella seguente tabella sono contenuti i risultati di tre serie di osservazioni fatte sopra tre conigli differenti. (1) D. Kuthy, Azione dell’aria rarefatta sulla virulenza del diplococco della pol- monite. Rendic. Acc. dei Lincei, 1896, vol. V, 2° sem., fasc. 1. RenpIconTI. 1896, Vor. V, 2° Sem. 25 — 194 — Osservazioni fatte sopra tre conigli tenuti nell’aria alla pressione normale e in quella rarefatta alla pressione di 440 mm. n È +|Dopo 24 ore che il Dogo 48 ore che il 9 ‘ | A Media dei valori coniglio è stato| coniglio è stato Dopo 72 ore che il Dopo 96 ore che il trovati nelle 08- sotto la campa-| sotto la campa- coniglio trovasi] coniglio trovasi zioni : otto 1 res- to la pres- SIE on tg DA a presa ina al oinosrioa sione di Dea De di Cico di seguito. sione di circa| ne di circa 440 DAI AA 0a 440 mm. mm. 1° Coniglio. Numerodei cor- puscoli san- guigni rossi. 6,560,000 6,800,000 7,360,000 Emoglobina. . 80-85 °/5 80-85 °/o 90-95 9/5 Peso specifico | del sangue . 1,056 | 1,057 1,058 2° Coniglio. Numero dei cor- puscoli san- guigni rossi. 5,520,000 6,400,000 6,720,000 6,480,000 Emoglobina. . 70-75 °/o 80-85 °/o 85-90 °/0 85-90 °/o Peso specifico del sangue . 1,055 1,056 1,057 1,058 3° Coniglio. Numero dei cor- puscoli san- guigni rossi. | 6,240,000 6,000,000 6,720,000 6,400,000 6,960,000 Emoglobina . 70-75 °/o 70-75 °/o 70-75 °/o 70-75 °/o 70-75 °/o Peso specifico del sangue . 1,053 1,053 1,056 1,056 1,056 Due fatti risultarono da queste osservazioni: la prima e la più grave è l'inesattezza dei metodi adoperati in tali ricerche, la quale appare dalla mancanza di corrispondenza nei risultati ottenuti con questi tre metodi: la seconda è il mutamento probabile che subisce la composizione del sangue nei vasi della pelle dei conigli sottoposti all'azione dell’aria rarefatta. Nella terza esperienza vediamo ad es. che il numero dei corpuscoli san- guigni varia da 6,000,000 a 6,960,000, mentre rimane costante il potere co- lorimetrico del sangue fra 70 e 75 °/o. Si potrebbe supporre che i corpuscoli abbiano perduto una parte della loro emoglobina, ma è assai più probabile che si tratti qui di errori nei metodi di ricerca, perchè tanto l'apparecchio del Fleischl quanto quello del Malassez non permettono, malgrado ogni diligenza, di ottenere dei risultati che vadano esattamente d'accordo. Basta ripetere una serie di osservazioni — 195 — sul medesimo animale a persuadersi che questi metodi non possono dare una corrispondenza perfetta, benchè siano essi tra i mezzi migliori che ora ab- biamo per l'esame del sangue. L'errore che si commette nella determinazione dell'emoglobina coll’emo- metro del Fleischl può giungere fino all'8 °/,. Più esatta è la determinazione del peso specifico del sangue col metodo Hammerschlag, ma non completa- mente sicura. Osservazioni fatte a Gressoney la Trinité (m. 1627) sulla composizione del sangue nell'uomo e negli animali. Ho scelto Gressoney la Trinité per i miei studî, perchè è uno dei vil- laggi più elevati che vi siano sui fianchi delle Alpi, e perchè ero sicuro di trovare nell'albergo Thedy tutti i comodi indispensabili per non cambiare regime di vita. Una settimana prima che io partissi, cominciai ad esaminare ogni giorno il mio sangue e quello di una persona che doveva accompagnarmi a Gres- soney. Una serie di ricerche preliminari la feci sopra un cane del peso di 10,300 gr. e su due conigli dei quali uno pesava 1,630 gr. e l’altro 1,550 gr. Ho procurato che il regime mio e del mio compagno si mante- nesse possibilmente eguale e le determinazioni del sangue ho sempre cercato di farle nella medesima ora per ciascuno degli individui soggetti alle osser- vazioni. Per l’uomo le osservazioni vennero fatte prima della colazione, cioè fra le 10 e le 13, e dopo l'esame del sangue si mangiava, alle ore 13,30. Nella seguente tabella sono indicati i valori delle osservazioni. Devo avvertire che, per eliminare completamente la fatica, siamo andati in ferrovia da Torino a Pont S. Martin e di là in vettura fino a Gressoney la Trinitè. Esame del sangue dell’uomo e degli animali fatto in Torino e in Gressoney la Trinité. (Altezza m. 1627). | Media delle osser- Gressoney la Trinité. vazioni fatte in Torino, altezza m. 276. 1° giorno 20 giorno 30 giorno 4o giorno Coniglio del peso di 1630 gr. Numero dei corpuscoli san- CUIONIBFOSSIs ne 000000 6,240,000| 6,880,000| 6,720,000| 6,080,000 Emoglobina . . . . . .| 75-80°/% | 75-80°/ | 80-85°/| 75-80°/ | 75-80°/ Peso specifico del sangue . 1,052 1,056 1,058 1,058 1,052 — 196 — I foaia delle osser- Grossoney la Trinité. | vazioni fatte in n NA Torino, altezza Î m. 276. 1° giorno 2° giorno do giorno 40 giorno Coniglio di 1550 gr. Numero dei corpuscoli san- QUIEDI rossi sie e e 0,000000 7,040,000| 7,200,000| 6,580,000| 6,620,000 EMorlobina eee e 75-80 °/ 75-80 °/o | 80-85 °/0 | 75-80 °/0 | 75-80 °/ Peso specifico del sangue . 1,056 1,058 1,061 1,057 1,058 Cane 10,300 gr. Numero dei corpuscoli san- guigni rossì, (oi e ei 0100000 5,960,000| 5,040,000| 5,240,000| 5,120,000 Emoplobina ee 80-85 °/o 80-85 °/o | 80-85 °/0| 80-55 9/0] 80-85 °/o Peso specifico del sangue . 1,057 1,058 1,057 1,056 1,057 Giacinto 58 Kg. Numero dei corpuscoli san- guigni rossì, e... | 7418205000 4,600,000| 4,720,000| 5,560,000| 4,800,000 Emoglobina . . . . . .| 95-100°/ | 95-100°/| 95-100°/| 100°/ | 85-90°/ Peso specifico del sangue . 1,058 1,060 1,060 1,061 1,056 Dott. Kuthy 65,5 Kg. Numero dei corpuscoli san- guigni rossi. . . . . .| 4,800,000 4,040,000| 4,880,000| 5,600,000| 4,960,000 Emoglobinass Ra 85-90 0/0 | 80-85 9/0 | 90-95 0/0 | 90-95 °/0| 80-90 °/ Peso specifico del sangue . 1,058 1,060 1,061 1,060 1,058 Stando ai risultati contenuti in questa tabella, parrebbe dunque che nei conigli si produsse, durante i due primi giorni che furono portati a Gressoney, un aumento nella densità del sangue, mentre rimane costante l’ emoglobina. Nel terzo e quarto giorno il sangue dei conigli tende a riprendere la com- posizione che aveva prima in Torino. Oltre all’avvertenza già fatta riguardo alla inesattezza dei metodi, devo avvertire che qui successe un'altra complicazione che rende anche meno at- tendibili i risultati. Il giorno che arrivammo a Gressoney, che fu il 9 maggio, nevicò: non essendo possibile trovare erba fresca sotto la neve, i conigli furono alimen- tati con un cibo che conteneva certo meno acqua. Nel 3° e 4° giorno invece furono nuovamente alimentati con erba. Questo incidente, al quale non ho potuto rimediare, potrebbe essere assai più che la rarefazione dell’aria, la causa dell’ aumento di densità osservato nel sangue dei conigli. — 197 — Nel cane vi fu solo nel primo giorno un aumento nel numero dei cor- puscoli sanguigni, il quale crebbe da 5,160,000 a 5,960,000. Anche la densità del sangue sarebbe cresciuta, ma l'aver trovata nessuna variazione nella emo- globina rende incerta questa serie di osservazioni. Le modificazioni osservate nel sangue di Giacinto si accordano con quanto avevano osservato Viault, Mintz, Eeger e Miescher. In esso l’au- mento dei corpuscoli rossi nel sangue fu progressivo e costante nei primi tre giorni in Gressoney, e anche le determinazioni dell'emoglobina e della den- sità del sangue coincidono meglio che non nelle altre osservazioni che ho esposto precedentemente per mostrare un inspessimento del sangue nei vasi della pelle. Nelle osservazioni fatte sopra me stesso, cercai di ovviare ad una per- dita maggiore di acqua dovuta alla evaporazione più rapida nell'aria rare- fatta di Gressoney. Cominciai a tale intento, mentre ero a Torino, col bere una quantità minima di acqua. Regolai il mio regime in modo che il li- quido ingerito nelle 24 ore era solo di circa 1400 cc. e la quantità di orina emessa nella giornata variava tra i 900 e i 1000 ce. Il numero dei corpuscoli sanguigni in queste condizioni di regime era in media 4,300,000. L'emoglobina 85 a 90°/, il peso specifico del san- gue 1,058. Il giorno che mi posi in viaggio per Gressoney cominciai a bere 2000 ce. di liquido. Questa differenza nel regime dell'acqua forse impedì che nel primo giorno si producesse l'aumento dèi corpuscoli rossi, che vedemmo in Gia- cinto, nel cane e nei conigli. Dopo benchè continuassi a bere 2000 cc. di li- quido al giorno comparve egualmente un inspessimento del sangue. In tutte le osservazioni che feci a Gressoney vi sarebbe dunque un ac- cenno ad un aumento nel numero dei corpuscoli rossi e nella densità del sangue. Queste osservazioni però non le credo sufficienti per stabilire che vi fu un mutamento generale nella composizione del sangue per effetto della de- pressione barometrica. Questi studî si devono rifare con metodi più esatti per l'esame del sangue. Sopra tutto è necessario tenere calcolo delle perdite di acqua che subisce il nostro organismo a traverso i polmoni, la pelle ed i reni. È probabile che nelle regioni elevate l’azione più intensa della luce sui vasi sanguigni, e la rarefazione dell’aria, producano una modificazione del circolo per la quale diventi più abbondante il numero dei corpuscoli rossi nei vasi della pelle. In tal caso il plasma del sangue si accumulerebbe nelle parti profonde del corpo. La meno probabile di tutte le ipotesi è quella che ebbe maggior favore fino a questi ultimi giorni, che si tratti cioè di un aumento reale di nuovi corpuscoli rossi, — 198 — CORRISPONDENZA Ringraziano per le pubblicazioni ricevute : La Società geologica di Manchester e l'Istituto meteorologico di Au- carest. Annunciano l'invio delle proprie pubblicazioni: Il R. Istituto di studi superiori di Firenze; la Società geologica di Calcutta; la Società zoologica di Londra; la Facoltà delle scienze di Mar- siglia. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA dal 10 agosto al 6 settembre 1896. Cattaneo G. — Le gobbe e le callosità dei cammelli in rapporto alla que- stione dell’ ereditarietà dei caratteri acquisiti. Milano, 1896. 8°. Del Lungo C. — Sul meccanismo delle forze a distanza. Venezia, 1896. 8°. Fermat. — Oeuvres T. II. Paris, 1896. 4°. Gallardo A. — La Carioquinensis. Buenos Aires, 1896. 8°. Heinrichs A. è Biese E. — Travaux géographiques executés en Finlande. Mé- téorologie et magnétisme terrestre. Helsingfors, 1896. 8°. Jatta G. — Fauna u. Flora des Golfes von Neapel. XXIII. — I Cefalopodi (sistematica). Berlin, 1896. 4° (4cg.). Marson L. — Sui ghiacciai del Massiccio del M. Disgrazia o Pizzo Bello. Roma, 1896. 8°. Mueller F. v. — Phenerogams and vascular Cryptogams. Melbourne, s. d. 8°. Riccò A. — Righe spettrali atmosferiche osservate sull’ Etna, a Nicolosi, in Catania. Roma, 1896. 4°. Riem J. — Ueber eine frihere Erscheinung des Kometen 1881 III, Tebbut. Gottingen, 1896. 8°. Saint-Lager. — La Vigne du Mont Ida et le Vaccinium. Paris, 1896. 8°. Id. — Les Gentianella du Groupe Grandiflora. Paris, s. d. 8°. Id. — Les nouvelles flores de France. Paris, 1894. 8°. Saya G. — Nuova proiezione polare per planisferi celesti, e sue applicazioni. Roma, 1896. 8°. Steiner J. è Schlàfli L. — Der Briefwechsel. Bern, 1896. 8.° Trabucco G. — Sulla posizione ed età delle argille galestrine e scagliose di Flysch e delle serpentine terziarie dell’ Appennino settentrionale. Fi- renze, 1896. 4°. Valenti G. e Pesenti G. — Sopra un mostro gastro-acefalo umano. Perugia, T396280: PB? . RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all'Accademia prima del 20 settembre 1896. IIS Fisica. — /sultati delle misure fatte per la determinazione sperimentale della direzione di un campo magnetico uniforme dal- l’orientazione del magnetismo da esso indotto. Nota del dott. G. FoL- GHERAITER, presentata dal Socio BLASERNA. In una Nota precedente (!) ho stabilito il metodo di misura della distri- buzione del magnetismo libero in determinati oggetti, ed il modo di dedurre dalle misure l'orientazione del loro asse magnetico: espongo ora i risul- tati avuti. 1. Mi sono costruito una serie di cilindri cavi di diametro esterno e spessore eguali; le altezze rispettive variano tra mm. 22,7 e mm. 117, ciò che corrisponde da poco più di un terzo del diametro a circa il doppio, essendo esso eguale in media a mm. 58,8. Tutti i cilindri furono disposti entro il forno in modo, che il loro asse durante la cottura rimanesse verticale; naturalmente le loro dimensioni fu- rono prese dopo la cottura. L'ago dell'intensimetro di forma anulare aveva il diametro di mm. 22, e la distanza del suo centro dal punto più avvicinato dell’ oggetto, che si faceva poggiare contro la lastrina di ottone, come è stato esposto nella Nota citata, era costantemente eguale a mm. 25,5. I risultati ottenuti sono riassunti nella tabella I, dove la 1 colonna dà il numero progressivo dei cilindri in ordine della loro altezza; la 2 co- lonna ne dà l'altezza relativa; la 3 l'inclinazione del loro asse magnetico (1) Vedi questi Rendiconti, serie 5°, vol. V, 2° sem., 1896, pag. 127. RenpicoNTI. 1896, Vol. V, 2° Sem. 26 — 200 — calcolata in base alla quantità di magnetismo libero trovato nei quattro punti della sezione normale; la 4% colonna dà l'inclinazione r7dotta, coll’ imagi- nare cioè riunito il magnetismo nei quattro punti della sezione normale e col togliere all'azione complessiva di ciascun cilindro, quando è avvicinato uno dei quattro punti, quella dovuta agli altri tre secondo la formola (1) della Nota già citata; la 5* colonna dà la differenza tra i valori della 4* e l' in- clinazione del campo magnetico terrestre, che ha prodotto la magnetizzazione. TABELLA I. i DO ampli, | Pine Oggetti Altezza Lino nazione e quella calcolata ridotta del campo 1 mm. 22,7) 62°32’ 73057’ |+ 16017 2 24,0] 63 0 73 38 15 58 3 27,51 64 20 72 55 15 15 4 28,0) 66 25 ©» 74 25 16 45 5 41,0| 67 55 72 15 14 35 6 51,8| 67 50 703 12 50 7 59,0) 67 40 69 45 12 5 8 92,5| 69 39 68 59 TREO) 9 104,5] 69 50 68 51 TIA 10 117,0) 69 50 68 30 10 50 2. Mi sono costruito un'altra serie di cilindri cavi, tutti a press’ a poco della stessa altezza e spessore ma di diametro esterno diverso. La cottura degli oggetti e le misure sulla distribuzione del magnetismo libero furono fatte nelle identiche condizioni di prima. I risultati avuti sono raccolti nella seguente tabella: TABELLA Il. | Tata Differenza nclinazione pe dell’ asse magnetico saolnena Oggetti Altezza Diametro : InoRa zio e quella calcolata ridotta del campo A mm. 104,5| mm. 57,4| 69050’ 68°51’ |+ 11°11’ B 100,0 71,5| 65 10 65 10 730 (0, 107,5 73,51 63 50 64 14 6 34 D 105,2 86,1] 62 55 64 6 6 26 E 98,5 91,7] 62 40 63 51 6 11 F 106,0 92,9) 62 30 63 41 6 1 G 104,9) 111,0| 62 17 63 53 6 13 ; f O Dall'esame di queste due tabelle si deduce: Che tanto l'inclinazione calcolata quanto quella ridotta risultano sempre più grandi dell'inclinazione del campo. In cilindri poco alti la differenza tra l'inclinazione calcolata e quella del campo sono relativamente piccole: invece le differenze tra l'inclinazione ridotta e quella del campo sono assai grandi. A seconda che cresce la lunghezza dei cilindri, rimanendo costante il loro diametro, i valori dell’inclinazione calcolata e ridotta si avvicinano e per una determinata lunghezza diventano eguali. Per lunghezze maggiori l’ incli- nazione ridotta risulta un po’ minore di quella calcolata, e le sue differenze dall'inclinazione del campo variano pochissimo. In cilindri sufficientemente lunghi rispetto alla distanza, a cui si col- loca l'oggetto dall’ago ed alle dimensioni di questo, le differenze tra l’in- clinazione ridotta e quella del campo vanno successivamente diminuendo al crescere del diametro, dapprima rapidamente ma poi molto lentamente (!); sicchè sembra probabile, che in cilindri di dimensioni diverse, purchè suffi- cientemente lunghi e di diametro abbastanza grande, le differenze tra le due inclinazioni si conservino pressochè eguali, almeno entro i limiti degli errori possibili. Questa conclusione è importante, perchè mostra, che con opportune cor- rezioni si può con sufficiente approssimazione dedurre in base alla distribu- zione apparente del magnetismo libero la direzione, in cui ha agito la forza magnetizzante; ma nel medesimo tempo le differenze assai marcate tra l'in- clinazione del campo e quella del magnetismo indotto fanno vedere, che l’ipo- tesi stabilita per dedurre dalle misure la direzione dell'asse magnetico è sempre difettosa, si contemplino o no le azioni delle varie parti dei cilindri. Secondo quell’ipotesi si considerano i quattro punti della sezione normale come quattro poli, di cui i due massimi dovrebbero dare la somma di due magnetismi vmonimi, ed i due minimi la somma di magnetismi opposti. Ora, mentre nelle calamite comuni le azioni del magnetismo libero dei varî punti influiscono per ragione di simmetria egualmente sui due estremi, che vengono considerati come poli, qui quando si avvicina all’intensimetro un mas- simo oltre la sua azione si misura quella dei punti prossimi, la cui intensità è minore, e va diminuendo colla loro distanza; invece quando all’ intensi- metro si avvicina un minimo alla propria azione si aggiunge quella dei punti prossimi, che è maggiore, e che va aumentando colla loro distanza. Per conseguenza il valore g dei massimi non viene modificato, nello stesso rapporto che il valore g' dei minimi, ma in rapporto minore, e quindi per (1) Nelle mie ricerche non ho esaminato cilindri. di diametro maggiore di 11 cm. per la ragione che i vasi antichi, nei quali dovrò studiare la distribuzione del magnetismo, non hanno basi di diametro di molto maggiore; e del resto oggetti più grandi non avrei potuto cuocerli nel mio forno che in posizione verticale, mentre che per compiere il mio studio era necessario disporli in diverse orientazioni, come verrà in seguito esposto, — 202 — la componente orizzontale si ha un valore p—g' diminuito, e per la com- ponente verticale un valore p+g' aumentato, e l'inclinazione dell’ asse ma- gnetico dedotta dal rapporto —, secondo l'ipotesi fatta, riescirà tanto più grande dell’inclinazione del campo, quanto più sarà diverso il rapporto, nel quale il magnetismo libero dei varî punti influirà sul valore dei massimi e dei minimi, ossia quanto più rapidamente cresce o diminuisce l’ intensità ma- gnetica da punto a punto, o in altre parole quanto più piccolo è il diametro dei cilindri e quanto più grande è la differenza tra i valori dei massimi e dei minimi. 8. Ho studiato quale sia la precisione, colla quale si arriva a determi- nare la direzione del campo magnetico inducente dalla direzione del magne- tismo indotto, quando i cilindri d'argilla vengano cotti in diverse orienta- zioni; a tale scopo li ho disposti entro il forno sopra un piano, che poteva essere tenuto a volontà più o meno inclinato per mezzo di piccoli cunei di argilla cotta. Per poter mettere in relazione l'inclinazione del magnetismo indotto negli oggetti coll'inclinazione del loro asse geometrico rispetto alla direzione del campo magnetico terrestre, ho stabilito di esprimere l'inclinazione dei me- desimi dall'angolo formato dal loro asse geometrico con un piano inclinato di 32°20' sull’orizzonte e disposto in modo, che la normale ad esso sia pa- rallela alla direzione del campo magnetico terrestre: di più ho calcolato l' in- clinazione dell'asse magnetico degli oggetti mediante i valori della compo- nente verticale del magnetismo indotto presa nel senso dell'asse geometrico e della componente orizzontale presa in senso ad esso normale ('). In tal modo l’ orien- tazione degli oggetti e l'inclinazione della forza magnetizzante rispetto ai me- desimi sono espresse dallo stesso angolo & (*), ed eguale a questo stesso angolo dovrebbe pure risultare l'inclinazione del magnetismo indotto, se questa po- tesse venir calcolata in base alla vera distribuzione del magnetismo. Nelle seguenti due tabelle sono riuniti i risultati avuti dalle misure fatte su cilindri cavi di egual diametro ma di altezze diverse. I numeri della prima colonna corrispondono ad oggetti di già studiati nella tabella I: nelle altre colonne della tabella III è notata l'inclinazione calcolata del magnetismo indotto, quando l’asse geometrico dei cilindri aveva durante la cottura le (1) Questa modificazione, a quanto fu esposto nella Nota antecedente per il calcolo dell’inclinazione dell’ asse magnetico, non ne altera punto le conclusioni. (*) Si ha un’inclinazione dell’oggetto =0°, quando esso poggia con una generatrice sul piano inclinato di 32°20’, ed il suo asse geometrico si trova nel piano del meridiano magnetico; l'inclinazione @ dell'oggetto è 57°40' se il suo asse è verticale, « =90° se l’asse geometrico è normale al piano inclinato di 32° 20’ sull’ orizzonte, e quindi sta nella direzione del campo magnetico terrestre. L’inclinazione della forza induttrice rispetto agli oggetti viene espressa dagli stessi angoli. — 203 — diverse inclinazioni @; nella tabella III dis si hanno le corrispondenti incli- nazioni dell’ asse geometrico ridotte. TapenLa III Oggetti Altezza «= 00 a= 93° | a= 400 |a—=57°40"| a = 76° | a —= 90° 5) mm. 41,0 1012’ 67° 55" 91° 88” 6 51,8 118 51° 34” 67 50 91 20 7 55,0 1 48 30° 45’ bl 25 67 40 78° 40" 90 0 8 92,5| — 0 21 810 52 15 69 39 790 88 56 10 117,0) — 1 26 32 0 59820 69 50 79 45 89 2 TABELLA III dis Oggetti Altezza a= 000 a = 23° «= 40° | — 57940" | « — 76° a = 90° 5 mm. 41,0 10x127 72°15' 91° 88’ 6 51,8 112 5509” 70 30 91 20 7 55,0 1 48 33° 33’ 54 24 69 45 79047’ 90 0 8 92,5| — 0 21 30 7 51 16 68 59 78 37 88 56 10 117,0| — 1 26 90 14 51 24 68 30 792 89 2 Nelle seguenti due tabelle sono riuniti i risultati avuti operando su cilindri a press’ a poco della stessa altezza ma di diametro diverso: le let- tere della colonna 1* corrispondono ad oggetti già studiati nella tabella II. Nelle altre colonne della tabella IV è notata l'inclinazione calcolata del- l'asse magnetico dei vari cilindri, quando questi erano stati posti col loro asse geometrico durante la cottura nelle diverse inclinazioni @; nella tabella IV dis poi sono date le corrispondenti inclinazioni dell’ asse magnetico ridotte. TABELLA IV. Oggetti Altezza Diametro a—= 0° |a = 24°) a — 890 a=57°40"|a—=76°30"| a = 90° A |mm. 104,5| mm. 57,4| — 0°27| 33°0' 51920’ 69° 50” 79° 457 8902” (0) 107,5] 73,5] + 0 41 OSTO01 (47.9 63 50 78 57 88 44 F 106,0 92,9) — 1 12 | 28 80| 45 25 62 30 77 51 91 16 G 104,0 111,0) + 0 55 | 26 10] 42 40 62 17 7707 91 18 TABELLA IV dis. Oggetti| Altezza Diametro a—= 00° |a —=24°| a — 39°|a—57°%40"|a = 76°30"| a = 90° 4. |mm. 104,5] mm. 57,4, — 0°27/| 31°127| 49°22"| 68051’ TORO 8902” Cc 107,5 73,5 + 0 41 | 30 6 48 5 64 14 79 8 88 44 F 106,0 92,9) — 112 | 29 46| 46 54 63 41 78 26 91 16 G 111,0, + 0 55 | 27 46| 44 40 63 589 INTROTT, 91 18 104,0 — 204 — Dall'esame delle tabelle III e IV, risulta che le differenze tra il valore dell’inclinazione della forza induttrice e quello dell'asse magnetico degli oggetti, è molto piccola nei casi in cui l'inclinazione del campo è 0° o 90°: esse sono ora positive ora negative. Non posso qui riportare tutte le misure, che hanno servito per fare î calcoli; mi basta solo accennare, che nel caso in cui l'inclinazione del campo è 0° si hanno nei quattro punti della sezione normale quattro massimi, due massimi nord agli estremi della generatrice rivolta verso il basso, che poggiava cioè sul portaoggetti, e due massimi sud agli estremi dell'altra generatrice determinante la sezione normale. Tanto sulla base superiore che sull’inferiore perciò vi è un polo nord ed un polo sud, e la linea neutra non si discosta generalmente che di poco dal diametro per- pendicolare alla sezione normale. Per dare un esempio del modo come varia l'intensità magnetica sopra ciascuna delle due basi porto sopra un diagramma i valori ottenuti dall’ esame dell'oggetto n. 10, dopochè era stato collocato entro il forno coll’inclinazione dell'asse geometrico eguale a zero. La prima curva si riferisce alla base in- feriore, la seconda alla base superiore. Le ordinate danno l'intensità ma- gnetica dei varî punti; le positive in- dicano magnetismo nord, le negative magnetismo sud; le ascisse danno lo spostamento angolare dei varî punti partendo dalla linea neutra. Nelle due curve le ordinate cor- rispondenti alla medesima ascissa ici danno i due valori dell’ intensità ma- gnetica agli estremi di una stessa generatrice. Si vede che nei punti corrispondenti delle due basi si ha la stessa specie e, press’ a poco, la stessa quantità di magnetismo, e che i punti massimi e minimi delle curve si corrispondono perfettamente. In ambedue i casì si ha un'area maggiore per il magnetismo nord che per quello sud, ed anche i quattro massimi non hanno intensità assolute eguali, ma, come nel- l'esempio riportato, quasi sempre i massimi nord sono più intensi dei mas- simi sud; ciò è con molta probabilità dovuto al magnetismo temporaneo indotto dalla Terra, che per la disposizione dell'oggetto rispetto all’ ago du- rante la misura rinforza il magnetismo nord, ed agisce in senso contrario a quello sud. Ma nel calcolo delle componenti esso non porta alcuna intluenza: di fatto la componente verticale è data dalla differenza dei due massimi nord o dei due massimi sud, e quella orizzontale dalla differenza tra un mas- simo nord ed uno sud; per cui sempre l’azione del magnetismo temporaneo viene eliminata. — 205 — È evidente anche, che i 4 punti della sezione normale per ragione di simmetria dovrebbero essere influenzati a press’ a poco nello stesso rapporto dall'azione del magnetismo libero dei punti a loro vicini; per cui non esi- stono in questo caso, o sono assai piccoli gli errori dipendenti dalle azioni di questi, ed il valore delle componenti del magnetismo indotto è indipen- dente dall’inesattezza del metodo che dà i valori di g e g'. Esclusa tale causa d'errore, le differenze dal valore 0° dipendono dalle irregolarità nella forma degli oggetti, dall'incertezza nel collocacli nella dovuta posizione per la cottura e avanti all'intensimetro, e dagli errori di lettura. Ci possiamo così pure formare un criterio dell’ errore, che nelle diverse orientazioni dei varî oggetti è dovuto esclusivamente al metodo adoperato per la determinazione del magnetismo libero, errore che, come risulta dalle tabelle, è considerevol- mente più grande di quello dovuto alle altre cause sommate assieme, spe- cialmente quando l'inclinazione è molto diversa da 0° o 90°. Anche quando l’asse dei cilindri è parallelo alla direzione del campo, e l'inclinazione perciò è 90°, i quattro punti della sezione normale vengono influenzati dai punti vicini a press a poco nello stesso modo: di fatto stu- diando gli oggetti all’intensimetro si trova in questo caso un polo unico per base, e la quantità di magnetismo libero nei varî punti della periferia è a press a poco quasi sempre eguale, sicchè si può imaginare, che il ci- lindro sia costituito da una serie di calamite disposte una vicina all’ altra coi loro assi paralleli e coi poli d' intensità eguale. Se in questo caso quindi si riportano sopra un diagramma i valori dell’ intensità ottenuti nei diversi punti delle due basi, si hanno due linee parallele, o quasi, all'asse delle ascisse, (fig. 2) una colle ordinate positive, corrispondente alla polarità nord della base inferiore, l’altra colle ordinate negative corrispondente alla polarità sud della base superiore. Il diagramma qui unito dà la distribuzione del ma- gnetismo libero sopra le due basi del i cilindro n. 7, quando esso è stato col- A locato durante la cottura col proprio asse nella direzione del campo magne- i tico terrestre. Il valore della componente orizzon- i tale del magnetismo indotto dato da p—gy' è naturalmente zero o assai vi- i cino a zero. Talvolta però si verificano i dei casi, in cui la quantità di magne- crGos2: tismo libero non è costante nei diversi punti della periferia delle due basi, e apparentemente sembra, che la com- ponente orizzontale abbia un valore abbastanza grande: ma in questi casì i massimi sono disposti agli estremi di una generatrice ed i minimi agli estremi dell'altra generatrice, che determinano la sezione normale, ed i cilindri si — 206 — comportano, come se fossero costituiti da calamite perfette, una vicina all'altra, tutte coi loro assi paralleli, ma coi poli d' intensità, che varia rego- larmente, seguendo il cammino della periferia, da un massimo ad un mi- nimo e viceversa: sicchè se la componente orizzontale si deduce dalla media dei due valori di g—gy' ottenuti sulle due basi, il valore suo diventa assai piccolo, e l'inclinazione dell'asse magnetico risulta circa 90°. Riporto come esempio le misure sulla distribuzione del magnetismo li- bero avute esaminando il cilindro G della tabella IV, dopochè fu cotto coll’ asse geometrico nella direzione del campo magnetico terrestre. I numeri della 1° riga danno le intensità alla base superiore partendo da un punto della sezione normale: quelli della 2* riga danno le intensità alla base inferiore partendo dallo stesso punto, sicchè i numeri corrispondenti delle due righe danno l' in- tensità agli estremi di una stessa generatrice. TABELLA V. Sud — 17,0 16,6 16,6 16,1 14,2 12,2 10,8 10,5 11,9 14,0 15,7 16,6 Nord + 15,5 15,4 15,0 14,0 12,0 11,0 10,0 10,5 11,0 11,2 12,0 14,0 Si vede bene come la differenza d'intensità nei varî punti di ciascuna periferia è molto marcata, ma che agli estremi di ogni generatrice l’ inten- sità varia a press’ a poco nel medesimo modo, e se si calcola l'inclinazione dell'asse magnetico determinando il valore delle componenti dalla media dei valori di g e g' ottenuti sulle due basi si ha 91°18’, giacchè la 15,5 — 10,0+(—17,0) — (10,3) _ e — aa __155— (17,0) + 10,0—(— 10,3) ES; 2 Componente orizzontale = — 0,6 Componente verticale = + 26,4 Ma se per la forma speciale di un oggetto non si potessero avere le misure sulla distribuzione del magnetismo libero su ambedue le basi, e si dovesse calcolare l'inclinazione magnetica colle misure fatte sopra una sola di esse, evidentemente si correrebbe il rischio di ottenere per l’ inclina- zione dell'asse magnetico un risultato assai diverso dal vero. Di fatto supponendo date della tabella V, solamente o le misure sul polo nord o quelle sul polo sud, si ricaverebbero rispettivamente come valori dell’ incli- nazione dell’ asse magnetico are tane 15,5 + 10,0 = 77° 50! 5 arc tang 17,0 + 10,8 5 15,5 — 10,0 TAN Torso Di Questo esempio mostra, quanto poco si possa fidarsi delle misure fatte su di una sola base dei cilindri per calcolare l'inclinazione del loro asse magnetico. Il seguito verrà esposto in un'altra Nota. — 207 — Fisica. — Dell'influenza del solvente sulla velocità degli goni (*). Nota del dott. prof. CARLO CATTANEO, presentata dal Socio BLASERNA. Ben limitate sino ad ora sono le ricerche che riguardano la misura di- retta del numero di trasporto degli joni relativi ai varî sali; ad esse sono legati i nomi di Hittorf, Wiedemann, Weische, Bourgoin, Kuschel, Kirmis, Lenz, Lòb und Nernst, Kistiakowski, Bein (*) i quali si occuparono di sole soluzioni acquose; e per quanto concerne soluzioni di sali in altri solventi, la teoria della dissociazione elettrolitica non è in possesso che dei dati del Campetti, il quale determinò nel 1894 il numero di trasporto degli anioni del cloruro di litio e del nitrato di argento in soluzione di alcool etilico e di alcool metilico (3). Tal genere di ricerche non può a meno di essere piut- tosto limitato in causa delle grandi difficoltà sperimentali che si presentano nelle determinazioni; le soluzioni di certi sali in certi solventi offrono in primo luogo al passaggio della corrente una resistenza estremamente grande tanto più che per evitare od attenuare il rimescolamento della soluzione, si è obbligati a far uso di apparecchi tali che l’anodo ed il catodo restino se- parati da una colonna liquida di lunghezza non indifferente ; in secondo luogo durante l’ elettrolisi avvengono spesso delle reazioni secondarie che mal si riesce a definire e delle quali non si può valutare l’ effetto che in modo alquanto incerto; in terzo luogo si verificano altra volta reazioni secondarie fra il metallo che funziona da anodo ed il sale od il solvente; infine, se non si riesce ad evitare completamente il rimescolamento della soluzione fra anodo e catodo, non sempre è dato di concretare, in base alle analisi chimiche, una correzione sicura al calcolo della esperienza. La scelta poi del metallo che deve funzionare da anodo non è indifferente dovendo esso esser tale da formare col metalloide che si separa per elettrolisi un sale solubile, e sic- come d'altronde non deve questo sale prender parte sensibile all’ elettrolisi, così occorre immaginare forme tali di apparecchi che il sale che gradual- mente si va formando scenda al basso e non resti in mescolanza negli strati attraversati dalla corrente. Fu leggendo il lavoro del dott. Campetti che mi venne la idea di ten- tare le misure anche per qualche altro solvente, in vista specialmente della importanza che l’ argomento ha per la teoria della dissociazione in varî sol- venti, argomento a cui d' altra parte sta portando un largo contributo il dott. (1) Lavoro eseguito nel Gabinetto di Fisica del R. Istituto Tecnico di Torino. (2) Vedi per la bibliografia dell’argomento il lavoro del Campetti. R. Accad. Scienze, Torino, gennaio 1894. (8) Nuovo Cimento. Maggio 1894. ReNDICONTI. 1896, Vor. V, 2° Sem. 27, — 208 — Carrara colle sue pubblicazioni sulla Gazzetta Chimica Italiana (*). Spen- dendovi attorno qualche mese di tentativi e di esperienze infruttuose, mi sono prima occupato dello studio dei cloruri di ferro, di oro e di platino nei solventi acqua, alcool ed etere; sino ad ora però le difficoltà sperimen- tali non sono state superate felicemente ed occorre ancora modificare la forma, la disposizione degli apparecchi e le condizioni delle esperienze; presento intanto i risultati ottenuti lavorando, con esito felice, col cloruro di sodio e col cloruro di ammonio nei due solventi acqua e glicerina; quest’ ultima per le sue proprietà fisiche sì distacca fortemente dagli altri liquidi e quindi se una influenza esiste da parte del solvente sulla velocità degli joni è molto più probabile che essa si renda palese con questo solvente piuttosto che con altri. La glicerina ed i due sali adoperati, venuti espressamente dal Merke, corrispondevano pei loro coefficienti fisici principali allo stato di purezza; così erano chimicamente puri il cadmio e lo zinco che alternatamente ado- peravo per anodo ed il nitrato di argento che serviva per le analisi. L'in- sieme degli apparecchi per le esperienze era semplicissimo; disponevo come elettromotore di una serie di accumulatori Garassino fino ad una forza elettro- motrice massima di 58 Volts, di un milliamperometro per giudicare approssi- mativamente della intensità della corrente e della sua costanza durante l’elet- trolisi, di un voltametro a nitrato di argento con soluzione al 15 per 100 a cui aggiungevo qualche goccia di soluzione di acetato di argento per me- glio rendere aderente il deposito e poterlo lavare senza perdite; ed infine dell’ apparecchio per l’ elettrolisi del sale. Tale apparecchio era costituito da due cilindretti di vetro con piede del diametro di circa 2 centimetri e del- l'altezza di circa 12 cent.; a due terzi della loro altezza erano saldati due tubetti laterali di 0,8 cent. di diametro terminati a porta gomma le cui aperture potevano venir chiuse da membrane di carta pergamena con un forellino nel centro; i due cilindretti venivano così posti in comunicazione mediante un tubo di gomma ben pulito internamente e la cui lunghezza variava a seconda della viscosità e della resistenza della soluzione (da 8 cent. a 16 cent.); in tal modo la soluzione era ben separata dall’ anodo al catodo. In uno dei cilindretti pescava, sostenuto da un tappo a buona chiusura, la verghetta metallica che doveva servire da anodo ben amalgamata e la cui parte scoperta inferiormente a contatto della soluzione era di circa 6 cent., mentre il tratto superiore era racchiuso in un tubetto di gomma; nell'altro cilindretto pescava come catodo una laminetta di platino di circa 8 cent. quadr. di superficie sostenuta da un tappo a due fori per uno dei quali po- tevano liberarsi le bolle gazose che si svolgevano durante l’ elettrolisi. In- nanzi tutto ho dovuto ripetere molte prove preliminari per mettermi nelle (2) Gazz. Chim. Ital. fase. 3, anno 1896. — 209 — migliori condizioni modificando così grado grado la forma, le dimensioni dell’ apparecchio e le condizioni della esperienza sino a raggiungere quelle ora accennate; ripetei anche qualci na delle prove riportate sul lavoro del Campetti fino a trovare numeri ché abbastanza bene coincidevano coi suoi. Potrebbe sembrare superfluo che ic abbia studiato il cloruro di sodio ed il cloruro di ammonio anehe in soluzione acquosa, ripetendo così determina- zioni (per quanto riguarda NaCl) già eseguite da altri sperimentatori; ma trattandosi di voler rilevare delle differenze fra il numero di trasporto in solventi diversi, che se esistono sono certo piccolissime, non potevo fidarmi a paragonare i valori da me trovati col solvente glicerina con quelli trovati da altri coll’ acqua mediante apparecchi diversi dal mio ed in condizioni diverse; il rigore del confronto esigeva assolutamente ch'io ripetessi col- l’acqua le stesse prove nelle medesime condizioni e col medesimo apparec- chio adoperato colla glicerina. Riassumo ora succintamente le norme seguite durante le esperienze esponendo insieme alcune notizie che hanno importanza per giudicare dell’ an- damento delle prove. L'apparecchio per l’ elettrolisi fu quasi sempre adope- rato a due membrane; le bacchette d'argento chimicamente puro che ser- vivano nel voltametro a nitrato d’argento, venivano pesate amendue prima e dopo l’esperienza alfine di controllare il suo buon funzionamento; la tem- peratura durante tutte le prove oscillò fra 20° e 25° e non si ottenevano differenze sensibili nei risultati finali, tanto tenendo l'apparecchio libera- mente nella camera ben riguardata dalle repentine variazioni di temperatura, quanto tenendolo immerso in un bagno a temperatura costante; la soluzione al catodo si mantenne sempre limpida e così quella all’ anodo, tranne nel caso della soluzione acquosa di cloruro di sodio con anodo di cadmio in cui si formava dell’ idrato di cadmio e pel quale si richiedeva una correzione abbastanza complessa nel calcolo dell’ esperienza; la soluzione nel tubo di comunicazione fra i due cilindretti si presentò qualche volta alterata e di queste prove non tenni conto alcuno, cosicchè i dati sperimentali che più sotto espongo si riferiscono soltanto a determinazioni in cui la soluzione in- termedia presentò dopo l’' elettrolisi pressochè la medesima composizione di prima; aperto il circuito alla fine dell’ esperienza, i due cilindretti venivano separati chiudendo con un morsetto a pressione il tubo di gomma in vici- nanza del cilindretto all’ anodo; si tenne sempre conto delle goccie di so- luzione rimaste aderenti alla verghetta rappresentante l’ anodo ed alle pareti del cilindretto, sia per computarne il peso, sia per analizzare questi residui colle acque di lavamento; le analisi di cloro vennero eseguite con una so- luzione titolata di nitrato di argento (1000°° di detta soluzione corrispon- devano a gr. 3,546 di cloro) e in base alla reazione col cromato neutro di potassio (!) rendendo, allorquando occorreva, sempre neutra la soluzione, 0 (1) Fresenius, Analisi, 1885, pag. 393. — 210 — con acido nitrico o con carbonato di soda; nelle determinazioni con cloruro di ammonio in soluzione acquosa dopo l'elettrolisi essa si presentava acida all’ anodo e fortemente basica per sviluppo di ammoniaca al catodo; lo zinco puro amalgamato non dava luogo per sè nè a cloruro di zinco, nè a cloruro mercurico in soluzione acquosa di cloruro di ammonio; al passaggio della corrente si otteneva tosto il cloruro di zinco. Per equivalenti elettrochimici dell’ argento e del cloro si adottarono rispettivamente i valori 0,0 01118 e 0,00036728. Nelle tavole seguenti che riassumono i risultati delle esperienze rap- presentano : t. la durata dell'esperienza espressa in secondi; E. la forza elettromotrice espressa in Volts; C. il numero dei Coulomb che attraversarono il voltametro nel tempo t: I. l'intensità media della corrente espressa in Ampère; Ag. il peso in grammi dell’ argento depostosi all’ elettrodo negativo del voltametro a nitrato di argento; CI. il peso in grammi del cloro separato per elettrolisi equivalente all’argento Ag.; p. la percentuale di cloro nella soluzione da studiarsi, prima della esperienza; p'. la percentuale di cloro nella soluzione intorno all’ anodo dopo l’ elettrolisi; Q. il peso in grammi della soluzione intorno all’ anodo; P. il peso in grammi del cloro contenuto nella soluzione intorno al- l’anodo dopo l' elettrolisi ; P,. il peso in grammi del cloro contenuto nella quantità S di sol- vente prima dell’ elettrolisi ; S. il peso in grammi del solvente intorno all’ anodo dopo l'elettrolisi ; Cl, il peso in grammi del cloro trasportato ; Na. il numero di trasporto del cloro risultante dal calcolo della formula: Cl, Ne=<- cl (031 ove Cl; —_ ip Tan IS Tavora 1° Cloruro di sodio. Soluzione in acqua. Q S P Ps Cla | Nez P Ù i |s_c I BAGNI (cl \ 18 [27000] 12| 239,6] 0,0088| 0,2650| 0,0870| 1,498| 1,681| 30,100] 29,566] 0,5060| 0,4541| 0,0519| 0,596 Anodo di cadmio/ 2% |23400|12| 196,8| 0,0084| 0,2200| 0,0728| 1,498] 1,654| 29,580| 28,707| 0,4893| 0,4409 0,0484| 0,669 82 |17100| 12] 168,8] 0,0098| 0,1900| 0,0620| 1,069] 1,225] 24,770) 24,216! 0,3034] 0,2610| 0,0424) 0,680 42 |36220|12| 27,0 0,0000| 0,2650| 0,0870| 1,498! 1,696| 28,360| 27,545] 0.4819] 0,4230| 0,0582! 0,668 52 [31500|12| 285,9 0,0091| 0,3190| 0,1050| 1,498| 1,754| 28,320| 27,473| 0,4968| 0,4219| 0,0749| 0,713 Anodo di zinco .) ga [283001 12| 371,1| 0,0128| 0,4150| 0,1363| 1,498! 1,782] 28,305) 27,438| 0,5046| 0,4214| 0,032| 0,610 72 |31500| 12} 281,5] 0,0049| 0,3150| 0,1034| 1,498| 1,735| 28,420] 27,581] 0,4932| 0,4236| 0,0696| 0,673 Media . . .]|0,658 — 211 — TavoLa 2° Cloruro di sodio. Soluzione in acqua e glicerina. Anodo di cadmio 1/3 glicerina 2/3 acqua. . 12|22380|12| 160,6| 0,0071|] 0,180] 0,059] 1,032) 1,145] 29,530| 28,919| 0,3382| 0,3036| 0,0346| 0,586 Anodo di zinco È Parti uguali 2% |23400|12| 154,6] 0,0066/ 0,173) 0,0568| 1,205] 1,315] 32,618] 31,896 0,4291| 0,3920| 0,0370| 0,651 ina ed) 3a |49020|12| 165,3] 0,0034| 0,185| 0,0607| 1,205| 1,307| 35,458] 34,678| 0,4635| 0,4262| 0,0373] 0,614 Media . . .| 0,617 TavoLa 8° Cloruro di sodio. Soluzione in glicerina. Ja 0,0019| 0,062/ 0,0203; 3,427| 3,462) 31,962| 30,110; 1,1067| 1,0937| 0,0130| 0,640 22 0,0019| 0,190] 0,0624| 1,619| 1,731] 30,550| 29,617] 0,5288| 0,4912| 0,0376| 0,602 3 | 113220! 54) 240,4! 0,0021| 0,269! 0,0883|] 1,866) 2,051| 30,690] 29,571| 0,6294| 0,5695| 0,0599! 0,678 Anodo di cadmio 42 | 102840] 54| 227,1] 0,0022| 0,254| 0,0834| 1,866| 2,021| 30,460] 29,368] 0,6156| 0,5655| 0,0501| 0,600 54 |194880|50| 205,5] 0,0010| 0,230] 0,0755| 0,989] 1,160| 30,130] 29,485] 0,3496| 0,2969| 0,0527| 0,698 62 {165180|54] 212,1] 0,0012) 0,237| 0,0779| 1,059 1,206| 30,935] 30,248] 0,3732/ 0,3261| 0,0471| 0,604 72 | 141300] 54{ 335,3] 0,0025] 0,399| 0,1312| 0,989] 1,276| 30,750| 30,008] 0,3925] 0,3017| 0,0908| 0,692 82 | 83580|54| 210,2] 0,0025| 0,235] 0,0772| 1,482| 1,618| 36,918] 35,913] 0,5975/ 0,5456| 0,0519| 0,672 98400|54| 256,5] 0,0025| 0,287] 0,0942| 1,482| 1,644| 35,128| 34,152] 0,5776| 0,5189] 0,0587| 0,623 Anodo di zinco. Media . . .| 0,645 TavoLa 4 Cloruro di ammonio. Soluzione acquosa. “1a [25980] 12! 413,3] 0,0160| 0,462) 0,1518| 2,498] 2,748| 29,298) 28,023] 0,8053| 0,7275| 0,0778| 0,512 22 | 27120] 12] 346,0) 0,0130| 0,387] 0,1271| 2,498] 2,718] 28,400] 27,210] 0,7720| 0,7058| 0,0662| 0,520 3a [48480] 12] 460,7] 0,0095] 0,515) 0,1692| 2,467 2,744| 29,300] 28,019] 0,8042| 0,7179| 0,0863| 0,510 4a | 32100] 12] 572,3/10,0180| 0,640] 0,2102| 2,498] 2,834) 29,300| 27,964| 0,8305| 0,7259| 0,1046| 0,500 Media . . .|0,510 Anodo di zinco TavoLa 5% Cloruro di ammonio. Soluzione in glicerina. / Ja |35440/50| 192,2 0,0054| 0,215) 0,0706| 1,907] 2,007| 36,940] 35,794] 0,7415) 0,7028| 0,0387| 0,548 2° 57900150, 630,6) 0,0110! 0,705! 0,2316} 3,729 4,062 37,038| 34,671| 1,5077| 1,3702] 0,1375) 0,594 Anodo di zinco < 3° |56520|50| 402,4) 0,0071| 0,450) 0,1478| 3,756] 3,959 39,298| 36,893! 1,5559| 1,4689 0,0870| 0,588 42 |69000/50| 509,7| 0,0074| 0,570) 0,1872] 3,729| 3,989] 38,208] 35,835) 1,5244| 1,4162| 0,1082| 0,577 5° | 55140|50| 379,0| 0,0069| 0,424! 0,1392| 3,729| 3,919] 35,888| 33,712| 1,4067| 1,3322| 0,0745] 0,535 Media . . .| 0,568 — 212 — Come si vede dalle medie finali riportate nelle tavole precedenti ab- biamo per il numero di trasporto del cloro relativo ai due sali studiati i valori seguenti: NaCl 0,66 in acqua 0,64 in glicerina. NH,CIl. 0,51 » » 05706» ” Nell’ esaminare i dati numerici delle tavole sopracitate, non deve poi far meraviglia che i valori di N,, non corrispondano a quella concordanza che ordinariamente si esige nelle misure di rigore e che autorizza a pren- dere la media come il valore più rispondente al vero; ma in determinazioni di simil genere in cui qualche errore è inevitabile e spesso non valutabile con esattezza, non si può pretendere concordanza tanto maggiore; varî spe- rimentatori che si occuparono in antecedenza dell’ argomento presentarono differenze anche più sensibili. Il valore (0,66) trovato per il cloruro di sodio in soluzione acquosa corrisponde abbastanza bene alla media dei valori dati da Hittorf, Weische e Bein (0,64) ed a quello assegnatogli da Kohlrausch (0,63); quello (0,51) trovato per il cloruro di ammonio pure in soluzione acquosa è coincidente con quello assegnatogli dal fisico ora citato, cosicchè si può presumere che i due valori da me trovati per le due soluzioni in glicerina abbiano un buon dato di attendibilità. Da questi numeri è forza concludere che, o il solvente non ha sensibile influenza sul numero di trasporto degli joni e quindi sulla loro velocità, 0 l'influenza è così tenue che resta quasi mascherata dagli inevitabili errori di osservazione; è ragionevole che debbasi propendere per la seconda ipotesi, cioè che l’ influenza vi sia, innanzi tutto perchè è presumibile che la velo- cità degli joni una certa relazione la debba pur avere coll’ attrito col sol- vente, e in secondo luogo pel fatto già constatato (!) che il rapporto delle conducibilità molecolari non è indipendente dal solvente. Le difficoltà che intervengono nella misura diretta del numero di tra- sporto lasciano adunque ancora incerti sull’ entità della detta influenza; per esempio, dal lavoro così ben condotto dal dott. Campetti, mentre risulta che il numero di trasporto (relativo all’anione) per il cloruro di litio ed il ni- trato di argento nell’ acqua e nell’ alcool metilico è un poco differente, ri- sulterebbe invece che è uguale nell'acqua e nell’ alcool etilico, e sta così (e sta bene) che il solvente non eserciti in tutti i casi la medesima in- fluenza sui due joni di cui l’' elettrolito risulta; ma la conclusione per la uguaglianza nell’'alcool etilico e nell'acqua non la possiamo certamente ri- tenere per sicura, quando si pensi che in lavori di questo genere ci accon- tentiamo di medie approssimative fatte con valori che da una determinazione all’ altra diversificano, per esempio, da 0,709 a 0,743; cosicchè è ragionevole (1) Cattaneo, R. Accad. Lincei, agosto, 1895, pag. 77, $ 9. — 213 — l’ammettere che come l’ ha l’ alcool metilico un’ influenza, ce l’ abbia pure (e di grado diverso) l’ alcool etilico, ma forse così poco sensibile da rimanere anche qui (come per la glicerina) mascherata dagli inevitabili errori di os- servazione. In base ai dati da me ottenuti, ho calcolato poi approssimativamente il rapporto della velocità degli joni e le velocità stesse servendomi, per la gli- cerina, dei valori delle conducibilità molecolari antecedentemente determi- nate (!). È noto che se v, v, n, 4 sono rispettivamente la velocità dell’ anione, la velocità del catione, il numero di trasporto relativo all’ anione e la con- ducibilità molecolare di un sale sciolto in un dato solvente, si possono ritenere come ben approssimate (per dissociazione supposta completa) le formule di Kohlrausch. v= n u=lh(1— n) dalle quali si ricavano le I dati approssimati per le conducibilità molecolari sarebbero: Clorurofdifsodiont n in. UO 1020: in'acqua Cloruro di sodio . . . . . . . 1084= 4,08 in glicerina Cloruro di ammonio. . . . . . 1084=1200 in acqua Cloruro di ammonio. . . . . . 10%4= 5,20 in glicerina Così risulterebbero i valori seguenti: v 5 10% 107% Cloruro di sodio in acqua. . . . 1,941 67,4 34,6 Cloruro di ammonio in acqua. . . 1,041 61,2 58,8 Cloruro di sodio in glicerina. . . 1,777 0,26 0,14 Cloruro di ammonio in glicerina. . 1,325 0,29 0,22 La diversità dei valori di v e di « per il cloruro di sodio e di am- monio in acqua da quelli solitamente attribuiti loro in base agli studi del Kohlrausch, dipende da quello assunto per la conducibilità molecolare calco- lato come il limite verso cui essa tende col crescere della diluizione (?); del resto basta dare uno sguardo ad una tavola riportata dal Carrara a pag. 182 del suo lavoro già citato, per vedere quanto siano oscillanti i detti valori. Ma ora nel caso nostro, per ciò che debbo dire qui sotto, non è tanto (1) Cattaneo, R. Accad. Lincei, agosto 1895. (2) Cattaneo, Rend. Accad. Lincei, agosto 1895, pag. 75. — 214 — questione di valori assoluti, ma di relativi, i quali provano abbastanza bene che specialmente in solventi diversi dall’ acqua (ed un tal poco anche nel- l'acqua) esiste realmente una differenza nella velocità dello stesso jone a seconda del sale di cui fa parte nel medesimo solvente, indicando così che la velocità degli joni, oltrechè dipendere dall’ attrito col solvente, può anche dipendere dal reciproco attrito degli joni stessi, chè anche per dissociazione completa il valore limite della conducibilità molecolare non implica che essi siano estremamente distanti. Per cui a me non sembra punto giustificato il modo di calcolo che solitamente si tiene in ricerche di questo genere quando, determinate direttamente le velocità degli joni per un dato sale nell’ acqua od in altro solvente, per esempio per un cloruro, per avere poi il valore della velocità dei singoli cationi di altri cloruri nello stesso solvente, si sottrae la velocità del cloro direttamente trovata dalle conducibilità limiti dei cloruri sopradetti. Se questo modo di calcolo fosse giustificato, si potrebbe colla scorta delle mie presenti determinazioni eseguirlo per i cloruri di bario, di zinco e di ferro da me studiati per la conducibilità elettrica in glicerina (!), e così si avrebbero le velocità dei tre cationi in soluzione glicerica; ma mi dispenso dal calcolo, appunto perchè i risultati che si otterrebbero, per quanto ora si è detto, si avrebbe ragione di non ritenerli conformi al vero. Fisica. — Sopra un punto della teoria dei raggi catodici. Nota di A. GarBASSO, presentata dal Corrisp. NACCARI. Fisica. — Indice di rifazione dell’acqua per onde elettriche da 2 metri a 25 cm. di lunghezza. Nota del prof. D. MAzzoTTO, pre- sentata dal Corrisp. NACCARI. Le due Note precedenti saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. Chimica. — Su/la costituzione dei derivati per ossidazione dell’ acido santonico (*). Nota di L. FRANCESCONI, presentata dal Socio CANNIZZARO. Acidi tetrabasici C!* H!8 08. Per ossidazione dell’ acido santonico C*° H?° 04 con permanganato potas- sico a freddo (*) si ottiene un acido C'* H!* 05 secondo la reazione seguente : (15 H?° 0*+9.0=H?0+, CO? + 015 H 08, (1) Cattaneo, Rend. Accad. Lincei, 1° sem., fasc. 79, 1893. (2) Lavoro eseguito nell’ Istituto chimico della R. Università di Roma. (3) Gazz. chim., t. XXIII, pag. 457. — Berichte 27, Ref. p. 125. — 215 — Questo acido fe/rabasico (a) al punto di fusione 176° dà una mono- anidride C'* H*S 0° (f. 193°), e con anidride acetica a caldo una dianidride C!3 H24 05 (" f. 151°) le quali riassorbendo gli elementi dell’ acqua dànno un acido pure tetrabasico diverso dal primitivo, ma suo isomero (8). L'acido (@) con anidride acetica a freddo dà invece una bianidride (a, f. 134°) la quale con gli elementi dell’acqua ripristina l’ acido (@) e riscaldata al punto di fusione si converte nell’ altra bianidride (£°). L'acido («) cristallizza inalterato dall’ acido cloridrico conc. e bollente, ma si trasforma nel suo isomero con a. cloridrico a 180°. Comparando i due acidi a # ed i relativi derivati si ha: Acido « | Acido f 1° Cristallizza facilmente dall’ acqua, fonde | Cristallizza a stento dall'acqua, e verso 130° a 176° trasformandosi nella monoani- elimina acqua senza fondere, e si con- dride dell'acido R. verte nella sua monoanidride. 2° Potere rotatorio specifico @n = + 289,56. | Potere rotatorio specifico «n = + 299,16. 3° Etere tetrametilico vischioso «o=-+-56°,02 | Etere tetrametilico cristallino f. 101° inattivo. 4° Deriva dalla bianidride (e’f. 134°). . .| Deriva dalla monoanidride e dalla biani- dride (g' f. 151°). ° Con acido cloridrico a 180° si converte | Con acido cloridrico a 180° rimane inal- nell’acido f. terato. Ut Il comportamento comune ad entrambi è il seguente: 1°. Non si com- binano con idrossilammina e fenilidrazina. 2° Non decolorano il permanga- nato potassico a freddo. 3° Non addizionano bromo. Essendo questi due acidi fetracarbossilici e non avendo legami etile- nici, debbono essere acidi Crielometilenici. Acidi tribasici C!° H!* 09. — Riscaldando l’ acido @ con quattro volte il suo peso di idrato sodico alla temperatura di 250°-260°, si svolge una mo- lecola di idrogeno, e dal residuo ripreso con acqua ed acidificato con acido fosforico, distilla in corrente di vapore dell’ 4cido acetico, e si estrae con etere un acido tribasico C*° H!° 0° il quale si forma secondo l’ equazione: 0! H!* 0% + 25° 0 = H® + C0° + CH*. COOH + (0° H 10 05, Dalle ultime ricerche risulta che il prodotto di questa reazione è un miscuglio di due acidi isomeri, uno 2na//#v0 (f. 125°) già descritto, e l’ altro attivo destrogiro, più fusibile e che si separa successivamente dalle acque madri in proporzione sempre maggiore insieme col primo, abbassandone il punto di fusione ed innalzando il potere rotatorio. Anche questi due acidi si comportano ugualmente : 1.° Non si combi- nano con idrossilammina e fenilidrazina. 2.° Non decolorano il permanganato pstassico a freddo. 3.° Non addizionano bromo. Chetone C* H!40. — Se la massa alcalina contenente allo stato di sali sodici i due acidi tribasici suddetti si riscalda a 380°-400°, distilla un olio dall’ odore penetrante di menta piperita, dal sapore fresco, bollente a RenpICONTI. 1896, Vor. V, 2° Sem. 28 — 216 — 169°-171° dalla formula C* H!40 il quale si forma secondo l'equazione se- guente : C1° H!6 065= H?0 +, CO? + C3 H14 0. Si ottiene in quantità che non supera il 15°/ dell’ acido @. È inte- ressante per la sua costituzione l'aver ottenuto una 0ss7ma fus. 1174-84 ed un Semicarbazone fus. 175°76° perchè insieme col fatto che non addiziona bromo dimostrano che esso è un chetone ezclico. Questo chetone è inaztivo, e se per la sua preparazione si parte dal mi- scuglio degli acidi tribasici già isolati, si ha una resa tanto maggiore quanto minore è l’ attività ottica del miscuglio. Idrocarburo C* H!°, — Si ottenne dal chetone per riscaldamento con acido jodidrico e fosforo rosso. Ha odore gradevole tra l’ aromatico ed il pe- trolico e bolle a 134°. Assorbe bromo svolgendo contemporaneamente acido bromidrico, proprietà che presentano gli idrocarburi ciclometilenici a diffe- renza degli idrocarburi non saturi della serie grassa ('). Acido chetonico bibasico C'* H!5 05. — Riscaldando l’ acido @ a 190°-200° si ottiene la monoanidride dell’ acido 8, la quale riscaldata ulte- riormente a 260°-280° elimina contemporaneamente acqua ed anidride carbo- nica e dà l anidride di un acido bibasico chetonico C** H*° 05 secondo l’ equazione : (13 H}8 08 o 2H? (9) + CO? + (12 H14 04 (12 H14 04 + H? (0) = (12 H16 05 Questo acido cristallizzato dall’ acqua fonde a 213° e dall’ acido clori- drico a 216° convertendosi nell’ anidride. Dà un sale di bar70 solubile, ed uno di argento quasi insolubile nell'acqua. Disciolto nell’ alcool metilico, dà con acido cloridrico gassoso un etere dimetilico C'° H'*0 : (COOCH?)? fu- sibile 92°-93° ed un etere monometilico C!° H** 0. COOCH?. COOH che cri- stallizza con mezza molecola di acqua. Questo etere acido fonde a 90° perdendo l’acqua di cristallizzazione, e riscaldato ulteriormente si converte nell’ ani- dride fus. 135°. Dal sale argentico con joduro di metile si ha l'etere dimetilico. Dal- l’ acido con anidride acetica e cloruro di acetile si ha l’ anidride C*°? H!4 0* f. 196° e con cloridrato di idrossilammina una ossima f. 188°. Dall’ etere dimetilico si ha una ossia f. 121° ed un semicarbazone È. 168°. I loro poteri rotatori specifici sono i seguenti : Acido cristallizzato dall'acqua. .. . /- .0. 000 e, = ” ” dall''acido cloridrico! | 0, 0 sia Etere dimetilico (dall’ acido cloridrico ed alcool). . » = —106°, 6 ’ ” (dal sale di Ag e Joduro di metile) » = —111°, 4 Etere monometilico . e Le — AOL, Ossima dell'etere dimetilicoleit. 0. 0 tie RS (*) Wreden, Annalen, vol. 187, pag. 153. — 217 — Dai fatti sin qui conosciuti risulterebbe per l’ acido santonico una for- mula che essendo in armonia col suo comportamento chimico, spiega in modo assai semplice la genesi e le proprietà dei composti precedentemente accen- nati, la sua relazione ed origine dalla santonina e dall’ acido santoninico, come pure il suo modo di comportarsi diverso da queste due sostanze. Attri- buendo ad esse le note formule (*) 1* e 2, ne verrebbe all’ acido santonico la 3* OH? CH? H°0 19 du CHOH i Di CH- DI CH-CH-C0O0H Hb: CH: CH? Santonina A. santoninico CH° c H cH° 00: CH-COOH 0: CH: i Acido santonico L'azione della barite si ridurrebbe a spostare il doppio legame verso la catena laterale carbossilica, a seconda della regola generale del V. Baeyer riguardante l’ azione degli alcali caustici sui derivati aliciclici degli acidi Benzoico Tereftalico Ftalico @ e 8 Naftoici (*) COOH COOH COOH COOH COOH COOH As tetraidro benzoico 4, tetraidro benzoico 4:.; diidro tereftalico 4, diidro tereftalico edi Td ) COOH gu 43 diidro f naftoico 4, diidro R naftoico (?) Vedi Cannizzaro, Gucci, Grassi, Andreocci. (2) Aschan, Annalen 271, p. 268; V. Baeyer, Annalen 258, p. 148; 269, p.14 5-170; 266, p. 169. [I — 218 — Si formerebbe nell’ acido santonico un nucleo /etrametilenico che nella santonina non esiste. Ciò spiega : 1° Perchè l’ acido santonico non dà il composto desmotropico a nucleo aromatico, come fa la santonina (!). 2° La stabilità della ammina dell’ etere santonico in confronto della Santoninammina che si converte nella /posantonina, composto a nucleo aro- matico (*). 5° Perchè la santonina dà per ossidazione prodotti di combustione pressochè completa (3), mentre l’ acido santonico dà l'acido ciclometilenico C!3 H!8 08, il nucleo del quale deve in esso necessariamente preesistere. Benchè l’ esistenza dell’ ossidrile nell’acido santonico non sia ancora pro- vata, pur tuttavia è probabile per i risultati di alcune esperienze delle quali parlerò in altra circostanza; per ora lascio impregiudicata detta quistione che se è interessante per l’ acido santonico, lo è assai meno per i seguenti com- posti che da esso derivano. Acidi tetrabasici 0? H!* 08. — L’ acido @ deriverebbe in modo assai semplice per l’azione simultanea idrolitica dell’alcali caustico ed ossidante del permanganato potassico. CH: CH: | c E cu Hooc-C H ch? 0 c H?C DY0A COOH i | COOH OC od 0008 CACHE HOOC—C g CH? ] | CH? CH3 Acido santonico Acido tetracarbossilico « Si avrebbe la combustione della catena laterale e la rottura del nucleo per ossidazione nel punto in cui trovasi il carbonile, e per idrolisi nel doppio legame (‘). La combustione si fermerebbe all'incontro del nucleo tetrametilenico da una parte e dei metileni dall’ altra, in armonia con l’ azione del perman- (*) Andreocci, Gazz. Chim., vol. XIII, p. 468. (2) Gucci e Grassi C., Gazz. chim.. vol. XXI, p. 1. (3) Wagner, Berichte, XX, pag. 1662. (4) Einhorn und Willstàtter, Chem. Ztg. 1895, 19, 409. — Einhorn und J. S. Lumsden, Annalen 286 p. 257. aio J of ganato a freddo, il quale non attacca le catene ciclometileniche e non brucia i metileni (!). CH? CH? H?0 C—C00H H°C 7 X C00H H°C Cene n Ho C00H CH? CH? 4, tedraidroftalico A. adipico CH _ CH? CHOSSMCH? Ure C HC - CH? nai LL H CHE SIE: HC C È e = 6 COOH ca Ù CH C00H COOH 4, diidro @ naftoico Acido 0. carbo-idrocinnamico COOH COOH COOH hi C CH? HC (Or ri O OBM REC (C00H HO ui re GS CH? CH CH? CH? A. salicilico A. pimelico Il comportamento dell’ acido @ va d'accordo con la sua formula. Pur essendo un derivato del tetrametilene, si può riguardare come risultante della unione di due acidi bibasici: Dimetilsuecinico e Pimelico. La mono anidride che si ottiene per riscaldamente dei due isomeri « e #, si formerebbe dal dimetilsuecinico; e i due acidi sarebbero gli stereo- isomeri cis . trans CH? CH? I ] HOOC—C tà CH? HOOC—C È CH? »S COOH 7 COOH CH?®. COOH CH? . COOH C È CO HOOC—C g_ CH? CH CE CH? COOH cis (@?) trans (8?) (1) V. Baeyer, Annalen, 258, p. 207; 266, p. 180. — 220 — All'acido @ apparterrebbe la prima per la sua origine, e per la trasfor- mazione nel # con acido cloridrico a 180°, e la seconda per la minore solu- bilità in acqua e per non avere una mono anidride propria. Analogamente rappresentano casi di steroisomeria le due bianidridi @', 8°, l’esistenza delle quali farebbe prevedere per gli acidi pimelici bisostituiti la possibilità di ottenere le anidridi che sinora mancano. Quanto alla attività ottica alquanto diversa di questi acidi e dei rispet- tivi eteri, si osservi che vi sono i quattro atomi di carbonio del tetrameti- lene asimmetrici e che l' asimmetria oltrechè della differenza dei gruppi sosti- tuenti è in relazione con la diversa orientazione dei medesimi nello spazio. Acidi tribasici C!° H!° 09, — Sono due acidi tricarbossili saturi ap- partenenti alla serie grassa, e derivano dall’ acido @, per una contemporanea ossidazione, idrolisi ed eliminazione di acido acetico e carbonico, determinate dall’ alcali caustico. È evidente che in questo caso si spezza il nucleo tetra- metilenico, e che per la formazione dell’ acido acetico, l’ ossidazione si deve portare sui carbonî contenenti i metili, ed a seconda che si porta sull’ uno o sull’ altro si debbano formare due acidi tricarbossilici isomeri e diversi: CH HOOC—C son: CH? . CH?. COOH e COOH MIROOO SBARI H no i SE CONI H000-!0 CA GR: 00 HOOC-C g CH° CH3 CH? CHE CH HOoc-C È cH° HOOC—C—CH . CH*. COOH Ti H A DL IT° PEC CH?.CH?. CH? . COOH HO0C—0 La CH? éH? La differenza tra i due isomeri sta in ciò : Il 1° avendo un solo atomo di carbonio asimmetrico il quale però si forma nella reazione con la probabilità dei due isomeri geometrici è un acido race- mico inattivo; nel caso presente è l'acido fus. 125°. Il 2° avendo due atomi di carbonio asimmetrici uno dei quali, il pree- sistente nell’ acido @, darebbe l’ attività ottica; e l’ altro che si forma nella reazione e darebbe origine ai due isomeri geometrici, è un acido solo par- zialmente racemico e perciò 4/t7v0; nel caso presente è l’ acido più fusibile. — 221 — Chetone C!8H!40. — Il chetone non può derivare che da uno degli acidi tribasici precedenti, ed ammettendo per esso solo i nuclei penta ed esa- metilenico che sono più facili a formarsi e più stabili, gli verrebbero quattro formule di costituzione possibili CH? H DE 3 >C co CH?.0H?.C00H i i CET | | H Datt | | HESGI CH? ] Sr 3) 2 ; oc H cHcH°000H 0 del E di ©-He, CH CH? CH? Acido tribasico racemico inattivo inattivo inattivo per racemia CH° 0C CO H0oc-d_cH—cH=.0008 ET ( P Oi H mt HO PICH* Hel CHi CH°.CH?.CH°.C00H Chi Su Acido tribasico racemico attivo attivo attivo Ora il suddetto chetone è /raft2vo e nella sua formazione la resa è in ragione inversa della attività ottica dell’ acido tribasico di partenza; ha odore penetrante di menta piperita caratteristico per gli esametilen chetoni, e di- verso da quello dei penta metilenchetoni che somiglia alle essenze di cumino e di finocchio, perciò la sua formula più probabile è la prima di £sametilen- etil-p-chetone (!). Si conosce un isomero che è l’esametzlen-dimetil-chetone di Kipping (?) e Zelinsky (3), che però differisce dal precedente perchè bolle a 173°174° e la sua ossima fonde a 114°-115°. Idrocarburo C* H!. — Per questo idrocarburo saturo bollente a 134° sarebbero possibili le quattro formule del chetone con due atomi di idrogeno sostituiti all’ ossigeno chetonico. La più probabile è quella di £saidro-etil- benzol non ancora conosciuto, ed al quale tento di arrivare riducendo l' etil benzol. È conosciuto un Zsa/dr0-m-dimetil-benzol (4) (b.119°,5) ed un Zsaidro p. dimetibbenzol (b. 137,6) (5) che differiscono per il punto di ebollizione da quello da me descritto. (*) Ossidando gr. 1,5 di chetone ottenni acido ossalico e due altri acidi che dalle analisi dei sali di argento sembrano avere la costituzione di acido adipico ed etil-ossi-a- dipico. Riprenderò questa ossidazione che per mancanza di materiale non potei continuare. (2) J. Chem. Soc. T. 67, p. 349. (8) Berichte 1895, p. 780. (4 Zelinsky, loc. cit. () R. Schiff, Berichte 13, p. 1407. — 222 — Acido chetonico bibasico C!* H!° 05 — A questo acido che si ot- tiene dalla mono anidride dell’acido #8 per eliminazione simultanea di acqua ed anidride carbonica, conviene la formula di costituzione seguente: CH? CH co—0 TE de O Ga HA GH: xv N-0008 0 DE x C i & e C00H pe: CH? fine: Ta cd etione cà CH? CH° | HOO0—0 H CH SC ri Chi HOOC-C H CH° CH° La catena pimelica nell'atto della formazione dell'anidride eliminerebbe » acido carbonico per chiudersi a cielo esametilenchetone. Debbo notare l'in- teresse di questa reazione, che mentre dimostra in questo acido pimelico bi- sostituito l'influenza dei gruppi sostituenti nel determinare la formazione dell'anidride per semplice riscaldamento, fa prevedere la possibilità di otte- nere direttamente dai medesimi i corrispondenti chetoni. Per quest’ acido bibasico, che sarebbe un derivato di un nucleo conden- sato fetra-esametilenico (non ancora noto) è dimostrata la sua formula di costituzione oltrechè dai suoi sali ed eteri, dalla ossima e semicarbazone che ne rivelano il cardonzle, anche dal fatto che l’ eliminazione dell’acqua e del- l'anidride carbonica è simultanea, i due carbossili residui dànno l’ anidride per semplice riscaldamento e debbono essere perciò i medesimi che negli acidi tetrabasici dànno la mono anidride. Quanto ad alcune esperienze incominciate su questo acido, riguardanti i casì possibili di stereo isomeria e l'eliminazione dell'ossigeno chetonico per ottenere l'acido idrogenato ed in seguito l’idrocarburo fondamentale, non credo opportuno di parlare in questa Nota, lo scopo della quale è stato solo di rias- sumere e coordinare una parte di ciò che si è fatto sull'acido santonico al fine di dare un po’ di luce alla costituzione di questi interessanti composti, i quali sono i primi derivati della santonina, ciclometilenici e grassi. — 223 — Chimica. — Nuove ricerche sui fluoruri, fluosali e fluoossisali dei composti-cobaltammoniacali. — I. La serie lutea. Nota di A. MioLATI e G. Rossi, presentata dal Socio CANNIZZARO. 5°. Fluoossimolibdato di luteocobalto Co (NH); Fl3.2Mo 0; Fl.. Si ottenne trattando la soluzione fluoridrica di acido molibdico con fluoridrato di luteocobalto; si raccolse sul filtro e si lavò con acqua fredda. Si potè cristallizzarlo dall'acqua contenente acido fluoridrico. A 110° comin- cia a perdere di peso scomponendosi. Si fecero delle determinazioni complessive di molibdeno e cobalto per calcinazione, ma esse richiedono molte precauzioni e non danno risultati sicuri a causa della volatilità del fluoruro di molibdeno e della stessa anidride mo- libdica. Anzi, calcinando il sale prima con precauzione e poi fortemente, metà del molibdeno va via, e rimane nettamente il molibdato normale di cobalto Co Mo 0,, talchè alcune determinazioni di cobalto fatte pesandolo allo stato di molibdato, concordarono perfettamente colle altre. Per la determinazione del molibdeno fu trovato preferibile agli altri il metodo di Zenker (!) che consiste nel pesarlo allo stato di bisolfuro; biso- gna però aver cura di operare la riduzione del trisolfuro in corrente @’ idro- geno scaldando il crogiuolo con una fiamma molto piccola. Ecco i risultati delle analisi: I gr. 0,2360 di sostanza diedero gr. 0,0340 di Coz O,, corrispondenti a gr. 0,02498 di Co. II gr. 0,2398 di sostanza dettero gr. 0,0343 di Coz 0,, corrispondenti a gr. 0,02520 di Co. Ill gr. 0,2805 di sostanza dettero gr. 0,0336 di Coz O,, corrispondenti a gr. 0,02469 di Co. IV gr. 0,4694 di sostanza dettero gr. 0,0682 di Co; O,, corrispondenti a gr. 0,05011 di Co. V. gr. 0,3571 di sostanza dettero gr. 0,0511 di Coz O,, corrispondenti a gr. 0,03755 di Co. VI gr. 0,3611 di sostanza dettero gr. 0,0512 di Coz O,, corrispondenti a gr. 0,03762 di Co. VII gr. 0,3495 di sostanza dettero gr. 0,1366 di Co Mo O,, corrispondenti a gr. 0,03682 di Co. VIII gr. 0,2485 di sostanza dettero gr. 0,0972 di Co Mo O,, corrispondenti a gr. 0,02620 di Co. (1) Journ. f. prakt. Chem. LVIII, 259. RenpIcoNTI. 1896, Vor. V, 2° Sem. 29 ERE TReeeentroro@-|n e ---natizininin tte —_;__.__._. — 224 — IX gr. 0,2129 dettero per debole calcinazione gr. 0,1394 di residuo (Co0-+ Mo 0;), che per forte calcinazione dette gr. 0,0838 di Co Mo 0, corrispondenti a gr. 0,02259 di Co. Da ciò per differenza si deduce il Mo. X gr. 0,3056 dettero gr. 0,0432 di Coz O, corrispondenti a gr. 0,03174 di Co; e gr. 0,17452 di Mo S., corrispondenti a gr. 0,10467 di Mo. XI gr. 0,3456 dettero gr. 0,0495 di Cos O,, corrispondenti a gr. 0,03637 di Co; e gr. 0,2004 di Mo Sx, corrispondenti a gr. 0,1202 di Mo. XII gr. 0,4266 col metodo di Penfield adoperarono c. c. 17,80 di Na OH decinormale, corrispondenti a gr. 0,1014 di FI. XIII gr. 0,3581 col metodo di Penfield adoperarono c. c. 15,1 di Na OH decinormale, corrispondenti a gr. 0,08602 di FI. XIV gr. 0,4657 col metodo di Penfield adoperarono c. c. 38,5 di NH; ven- tesimonormale, corrispondenti a gr. 0,11025 di FI. XV gr. 0,4098 col metodo di Penfield adoperarono c. c. 35,1 di NH; ven- tesimonormale, corrispondenti a gr. 0,09998 di FI. Riassumendo, abbiamo: Media . Co .[10,59/10,51|10,71[|10,67|10,51|10,42/10,54|10,54|10,61[10,39/10,52| — | —| — | — |10,55 Mo. | || | — | = [3468/3405/ 34/78 RSI Se e e Co0+M00; | — | —| — | | —-|—-]|—| — {65,48 —| —|—| | —| — |65,48 PI I Le LA 2377 2498|53)67 200392308 Trovato per cento I | u|m|mw|v vi VII | VIII rx | X | x | su|xm| xv] ay calcolato calcolato per Co (NH3); Fl; . 2Mo 0. Fl: per Co (NH3)s Fl: . 2Mo 0: Fl, . HF1 Co 10,73 10,36 Mo 34,90 33,68 Co04 Mo0; 65,98 63,67 FI 24,15 26,62 Risulta dalle analisi una leggiera tendenza a formare il composto con una molecola di acido fluoridrico. 6°. Fluoossivolframato di luleocobalto Co (NH); Fl . 2WO0,; Fl.. Si ottenne e si purificò analogamente al precedente. Nella stufa a 110° non perde sensibilmente di peso. La determinazione complessiva del volframio e cobalto per calcinazione riuscì solo usando molte cautele e scomponendo prima con acido nitrico, — 2295 — perchè il fluoruro di volframio è volatile o almeno viene facilmente traspor- tato dai vapori di fluoruro ammonico. Si determinò facilmente il volframio precipitandolo allo stato di WO3 mediante svaporamento con acido solforico o cloridrico (!); nel filtrato si precipitò il cobalto con idrato potassico. I risultati delle analisi fatte su sostanze di diverse preparazioni furono ì seguenti: I gr. 0,3605 di sostanza dettero per calcinazione gr. 0,2664 di residuo (Co 0 + W03). II gr. 0,3247 dettero gr. 0,2063 di WO; corrispondenti a gr. 0,16362 di W, e gr. 0,0364 di Coz 0, corrispondenti a gr. 0,02675 di Co. III gr. 0,2672 dettero gr. 0,1699 di WO; corrispondenti a gr. 0,13475 di W, e gr. 0,0310 di Co3 0, corrispondenti a gr. 0,02278 di Co. IV gr. 0,4254 dettero gr. 0,2702 di WO; corrispondenti a gr. 0,2148 di W, e gr. 0,0481 di Co30, corrispondenti a gr. 0,03534 di Co. Riassumendo si ha: Trovato per cento Calcolato —r ni per Ch SI | 8,24) 8,52] 831] 8,35 814 W.: . .| — [50,89 50,48|50,88|50,40 50,65 Co0+WO0; |73,90| -- — li — |73,90 74,21 7°. Fluoossiuranato di luteocobalto. Il fluosale d' uranio non fu per ora studiato completamente, ma fu fatta soltanto una determinazione che ci servisse ad orientarci sulla sua com- posizione. Si ottenne precipitando la soluzione del fluoossiuranato ammonico Ur 0; Fl; (NH); col fluoridrato di luteocobalto; il precipitato pulverulento giallo pal- lido che si forma, venne lavato ripetutamente con acqua fredda. La determinazione che facemmo consistette nel calcinare una quantità pesata di sostanza in corrente d' idrogeno. Il prodotto della riduzione poteva essere una mescolanza di Ur 0, e Co metallico o un composto dell’ ossido di cobalto coll’ ossido d’ uranio. Il residuo ottenuto si presenta come una pol- vere nera omogenea, anche se osservata al microscopio. È difficilmente solu- bile completamente nell’ acido nitrico concentrato e caldo. (1) H. Rose, Quantitative Analyse, 345. — 226 — gr. 0,5582 di sostanza dettero gr. 0,3625 di residuo, corrispondenti a 64,93 per cento. calcolato calcolato per Co(NH:); Fl; . Ur 0; Fl» per Co(NHs)s Fl; . 2Ur 0; Fl. Ur 0; + Co 62,61 Ur 0, + Co 71,89 Ur 0. .Co00 65,02 2Ur 0; . Co 0 73,08 La determinazione fatta, rende quindi molto probabile per il sale d'u- ranio da noi ottenuto la prima delle due formole citate. 8°. Fluoossivanadato di luteocobalto 2Co0 (NH3); Fl; . 5VO, F1. 7H FI. È uno dei meno stabili fra i sali ottenuti perchè tende molto a ridursi, il che si riconosce dal colore verdognolo che prende col tempo. Si ottenne nel modo migliore aggiungendo a un eccesso di soluzione fluoridrica diluita di metavanadato ammonico il fluoridrato o il carbonato luteo. Si raccolse sul filtro il precipitato, si larò con acqua acidulata con H FI, si asciugò bene fra carta, e si conservò nell’essiccatore, tenendolo in una capsula di platino. Fu analizzato subito perchè ben presto si alterava. Per l’analisi, si precipitò il cobalto con idrato potassico dopo avere scacciato il fluoro mediante acido solforico, e nel filtrato alcalino si deter- minò il vanadio acidificandolo con acido solforico, riducendo con S 0, allo stato di V.0,, e titolando poi con permanganato, secondo le indicazioni date da Gibbs ('). I risultati furono i seguenti: I gr. 0,1968 dettero gr. 0,0287 di Co; O, corrispondenti a gr. 0,02109 di Co. Richiesero poi c. c. 8,9 di K MnO0, decinormale, corrispondenti a gr. 0,04558 di V. II gr. 0,3684 dettero gr. 0,0544 di Coz 04 corrispondenti a gr. 0,03997 di Co; e richiesero c. c. 16,5 di K Mn O,, corrispondenti a gr. 0,08449 di V. III gr. 0,2340 dettero gr. 0,0356 di Cos 04 corrispondenti a gr. 0,02616 di Co; e richiesero c. c. 10,86 di K MnO,, corrispondenti a gr. 0,05561 di V. IV gr. 0,2028 di sostanza col metodo di Penfield adoperarono c.c. 22,34 di NH; ventesimonormale, corrispondenti a gr. 0,06363 di FI. Da questi dati si ha: Trovato per cento Calcolato per I | II Il | IV | Media| 2C0(NH3)6Fls.5V02F1.7HF1 Co |10,72|10,85|11,18| — [10,91 10,86 V. |23,16|22,94/23,76] — |23,29 23,53 FI — | — | — [31 22|31,22 31,42 (1) Proc. of the am. Acad. of arts and sciences; 1885, 52. 299, — Se consideriamo brevemente la composizione dei composti da noi otte- nuti in confronto con quella dei fluosali e fluoossisali dei metalli alcalini, vediamo che solamente pochi corrispondono a questi. Il fluoborato e il fluo- titanato sono normali fino ad un certo punto, hanno però la proprietà di fis- sare acido fluoridrico. Ciò non è del resto molto strano, perchè tale proprietà è posseduta da altri fluosali, a mo’ d'esempio dal sale di Marignac (*) NbO Fl; .3K FI. H FI. Questo sale poi si conosce anche senza acido fluoridrico precisamente come il sale di titanio da noi ottenuto. Ma più di questa, è degna di nota l'anomalia presentata dai sali di silicio, molibdeno, volframio. Il silicio come è noto dà coi fluoruri alcalini sali normali K; Si Fl; e solamente coll’ ammonio un sale (NH); Si F1,, mentre il molibdeno e il volframio forniscono fluoossisali in diversi rapporti, come K Fl. Mo 0, Fl.; 2K Fl. Mo 0; Fl.; 8NH, FI. Mo O, FI, e similmente KFl.WO,;Fl,; 2K FI.W O; Fl. Nessun sale però di questi tre elementi presenterebbe il rapporto del nostro, il quale corrisponderebbe a un sale alca- lino ipotetico 3K F1.2Mo 0; Fl», analogo per composizione al sale di uranio 3K F1.2Ur 0, Fl. e al sale di vanadio 3K Fl1.2 VO. FI. I nostri sali po- trebbero anche considerarsi come del tipo KFl.Mo O, Fl, ammettendo però che solamente due delle tre valenze del radicale luteo abbiano preso parte alla formazione del sale doppio. Un indizio si avrebbe forse nella tendenza del sale di molibdeno a trattenere acido fluoridrico. Interessante è il sale di uranio; esso per la sua composizione sembrerebbe corrispondere ai sali degli alcali 3K Fl. Ur O; Fl;, che come è noto si for- mano a preferenza degli altri. Il sale, finalmente, di vanadio è molto strano, ma sono forse meno strani i rapporti coi quali i fluoruri e gli ossifluoruri di vanadio si uniscono ai fluo- ruri alcalini? Noi siamo i primi a credere che i fluosali e fluoossisali da noi descritti, non siano gli unici che il fluoruro di luteocobalto darà coi fluoruri degli elementi da noi studiati. Basta scorrere la serie dei loro fluosali complessi, per rimanere colpiti dalla varietà dei rapporti con cui si uniscono ai fluo- ruri alcalini. Ognuno sa quanta influenza abbiano sulla composizione dei com- posti che si ottengono, le condizioni dell’ esperienza, specialmente la concen- trazione dei corpi reagenti e l’acidità della loro soluzione. Noi non abbiamo cercato di modificare molto queste condizioni, come sarebbe certamente inte- ressante di fare; noi volevamo avere solamente dei dati che ci avessero in seguito servito come punti di confronto tra la serie lutea e le serie analo- ghe pentammin- e tetramminrosee, per vedere cioè come la sostituzione di una 0 due molecole d’ammoniaca del radicale basico con molecole d’acqua, modifichi la capacità di dare fluosali e la loro composizione. (1) Annales de chimie et phys. [4] VIII, 34. Chimica. — Sul! anidride dell'acido a-metiladipico e sul 2-me- til-pentametilenchetone (*). Nota del dott. C. MONTEMARTINI, presen- tata dal Corrispondente L. BALBIANO. È noto che nelle serie degli acidi succinici e glutarici la formazione delle anidridi viene facilitata quando si sostituiscono gli atomi di idrogeno del resi- duo alchilico con radicali alcoolici. Anche nella serie adipica si ha un accenno ad un fatto simile; così mentre Reformatzky, come riferiscono K. Auwers e V. Meyer (?), non riesce in modo alcuno ad avere l’ anidride dall’ acido adi- pico, Manasse e Rupe (*) dall’ acido #-metiladipico, che essi ricavano per ossi- dazione del mentone, ottengono per azione del cloruro d’ acetile un’ anidride che è liquida ed instabilissima in presenza di acqua. L'introduzione di un metile in questo caso rende quindi possibile la formazione dell’ anidride. In seguito ad un lavoro da me fatto sulla condensazione di eteri alchil- malonici con etere y-clorobutirrico (4) avendo a mia disposizione dell’ acido a-metiladipico cercai di vedere se anche per quest’ acido mi riusciva la for- mazione dell’ anidride. Scaldando a ricadere l’ acido «-metiladipico con un eccesso di cloruro d'acetile si ha un abbondante sviluppo di vapori di acido cloridrico; scac- ciando in seguito per distillazione l’ eccesso di cloruro di acetile e ripren- dendo a freddo con acqua il residuo, esso vi si scioglie abbastanza rapida- mente. Da una tale esperienza se si può dedure che l'anidride si è formata, sì deve pure dedurre che essa è molto instabile e che facilmente si idrata. Nell’ intento di separare l'anidride, la cui formazione mi era segnalata dall’ abbondante sviluppo di acido cloridrico pel trattamento con cloruro di acetile, pensai di ricorrere alla distillazione frazionata nel vuoto. Dopo aver fatto bollire a ricadere un campione dell’ acido con cloruro di acetile, distillai nel vuoto separando le prime porzioni che passavano sotto 100°; alla tem- peratura poi di circa 200° notai un ragguardevole svolgimento di gas, mentre contemporaneamente distillavano un liquido molto volatile con un altro vi- schioso che subito si condensava. Il prodotto della seconda fase della distil- lazione non è più interamente solubile nell’ acqua a freddo; solo pel. riscal- damento scompare la parte insolubile ; questa parte insolubile può soggiornare inalterata in contatto dell’acqua fredda. Il distillato, massime dopo il trat- (!) Lavoro eseguito nell’ Istituto chimico-farmaceutico della R. Università di Roma. (2) Berichte, XXIII, pag. 101. (3) Berichte, XXVII, pag. 1819. (4) Rendiconti R. Acc. dei Lincei 1895, semestre 2°, pag. 110, e Gazzetta Chimica 1896, fascicolo di agosto. — 229 — tamento con acqua a freddo, acquista un odore fresco, ricordante quello della menta, odore che perde se si riscalda a bagno maria sino a scomparizione della parte insolubile. Pesando una porzione del liquido distillato, trattandola con acqua a bagno maria fino a completa soluzione, evaporando l’acqua prima a bagno maria, poi nel vuoto su acido solforico, ottenni un peso minore a quello del distil- lato impiegato, invece di uno maggiore al quale si sarebbe dovuto giungere se si avesse avuta un’ anidride che si convertiva in acido. Da questi fatti è lecito dedurre che nel liquido distillato esistesse una sostanza insolubile nell’ acqua, volatile col vapor d’ acqua, ed avente l’ odore caratteristico sopra detto; sostanza che prendeva origine per la decomposi- zione dell’ anidride dell’ acido @-metiladipico nell’ atto dell’ ebollizione. L' ori- gine della sostanza odorosa non si può attribuire ad altro che alla anidride perchè nel liquido che si distillava altro non vi poteva essere che dell’ acido a-metiladipico inalterato (che bolle nelle dette condizioni senza decomporsi) ed una porzione di anidride formatasi par l’azione del cloruro d' acetile. Determinai la natura del gas che si svolgeva nell’ atto della distilla- zione, raccogliendolo in una provetta ripiena di mercurio e capovolta sul tubo adduttore di una pompa a mercurio. Esso si scioglieva completamente nella soluzione di idrato sodico, il che mi dimostra essere questo gas anidride carbonica. La formazione della sostanza odorosa nella descritta esperienza si può spiegare ammettendo che sul principio, per l azione del cloruro d’ acetile sul- l'acido «-metiladipico, si sia formata l’ anidride dell’ acido CH; — CH — CO CHE N | CH A CH, — C0 e che questa, costituita da un nucleo eterogeneo a sette atomi, si sia decom- posta in anidride carbonica ed in CH} CH — C0 I I CH, CHi NI4 CH. 2-metil-pentametilenchetone che si rivela per l'odore e per la volatilità col vapore d’acqua del prodotto ottenuto. Per provare l’ esistenza di questo chetone a nucleo, dopo varî tentativi, operai nel modo seguente: od — Un grammo dell'acido @-metiladipico veniva riscaldato per due ore a 160° in tubo chiuso con 2 c.c. di anidride acetica. Si apriva il tubo e si distil- lava l'anidride acetica nel vuoto non oltrepassando la temperatura di 100° (temperatura alla quale non si decomponeva l' anidride formatasi), poscia si rinchiudeva e si riscaldava per mezz’ ora a 220°-230°. Aprendo il tubo dopo questa operazione, sì riscontrava in esso una notevole pressione dovuta all’ ani- dride carbonica formatasi. Il tubo veniva di nuovo chiuso e riscaldato a 220°- 230°, dopo di che il suo contenuto era versato in acqua e distillato in cor- rente di vapore. Operando in tal guisa arrivai ad avere poche gocce di un olio che galleggiava sull’ acqua nella quale era un po’ solubile, partendo da 4 grammi di acido. Per caratterizzare l’ olio, non essendo riuscito ad avere cristallizzati nè l'ossima, nè il bromoidrazone forse in causa di resine che accompagnano il chetone e che sono trasportate dal vapore, feci il semicarbazone sciogliendo l'olio nell’ alcool, aggiungendovi cloridrato di semicarbazide, e la quantità necessaria di acetato sodico. Evaporato l'alcool mi rimase un sciroppo che trattato con etere lasciò pochissimi cristalli di una sostanza bianca, che mi riuscì difficilissimo separare da resine che l’' accompagnavano e della quale solo potei determinare il punto di fusione. La sostanza fondeva a 169°. Siccome la scarsezza del materiale non mi permise un' analisi, così per accertare che il corpo fondente a 169° era il semicarbazone del 2-metil-pen- tametilenchetone, feci la sintesi di questo chetone seguendo una diversa via, e ne preparai il semicarbazone. 2-metil-pentametilenchetone CH; — CH — CO CH. CH, az CH; Fu preparato distillando l’ acido @-metiladipico in presenza di ossido di calcio. Ad una miscela di gr. 2 di acido con gr. 4 di ossido di calcio si ag- giungevano gr. 5 di limatura di ferro e si riscaldava il tutto a bagno di lega in una storticina a 400°. Raccogliendo i prodotti di varie distillazioni fatte impiegando 23 gr. di acido, ottenni gr. 7,5 di un olio che purificai distil- landolo in corrente di vapore. L' olio che si separa, e che distilla colle prime porzioni di vapore, è più leggero dell’ acqua, è un po’ solubile, ha un odore fresco ricordante quello della menta (odore identico a quello della sostanza ricavata dalla decomposizione dell’ anidride dell’ acido @-metiladipico), bolle tra 142°-144°. La combustione rivela che ha la composizione del metil- pentametilenchetone : gr. 0,1857 del chetone diedero gr. 0,4976 di anidride carbonica e gr. 0,1735 di acqua, dunque: trovato calcolato per Cs Hio O C 73,10 73,47 H 10,39 10,20 — 231 — Ottenni il semicarbazone sciogliendo il chetone nell’ alcool, aggiungen- dovi una soluzione concentrata di cloridrato di semicarbazide e poscia la quantità equivalente di acetato sodico. Per evaporazione dell’ alecol preci- pita il semicarbazone che, raccolto alla pompa e lavato, si presenta in minuti cristalli fondenti a 171°. Una determinazione di azoto ne conferma la com- posizione: gr. 0,0996 di semicarbazone diedero gr. 0,0211 di azoto, dunque: trovato calcotato per C, Hz ON; N 27,22 27,09 In un'altra Nota riferirò gli studî fatti su altre proprietà di questo che- tone e sulle anidridi di altri acidi adipici sostituiti. Chimica. — Sulla stabilità di alcuni diazoniocomposti. Nota di G. Oppo e G. AmpoLaA, presentata del Socio CANNIZZARO. Questa Nota sarà pubblicata in uno dei prossimi fascicoli. Zoologia. — Sul! autotomia delle Cucumaria planci (Br.) v. Marenz. Nota di Fr. Sav. MONTICELLI, presentata dal Socio TRINCHESE. Nei fondi arenosi misti di fango, al largo della banchina Caracciolo, a Napoli, si trovano delle Cucumaria planci Br. alquanto differenti, per abito e per dimensioni, dalla forma tipica che vive, invece, nei fondi detritici, nelle praterie di Posidonia. Queste Cucumaria offrono un caso, molto carat- teristico, di divisione spontanea, di autotomia; che, per contro, non si 0s- serva nella forma tipica. Ho seguito per molto tempo il processo di divisione; e dalle mie osservazioni ho ricavato che l'autotomia può compiersi in tre modi: per semplice strozzatura, per torsione, per stiramento. Autotomia per strozzatura. — È questa la meno frequente e, dirò, anche rara appetto delle altre due. Ad un certo punto della lunghezza to- tale dell'animale si comincia dapprima a notare una leggera strozzatura; questa gradatamente si fa più apparente e profonda tanto, che le due metà, determinate dalla strozzatura, rimangono tra loro unite appena da un esile e sottile pedicello. Finalmente questo si spezza, e le due metà si separano del tutto. Alla rottura del funicello unitivo concorrono efficacemente i movi- menti di estensione e contrazione dell’ animale. Questa prima maniera di auto- RenpICONTI. 1896, Vol. V, 2° Sem. 30 — 232 — tomia è molto lenta nel suo svolgimento. Essa può essere facilitata da una torsione del corpo che sopraggiunge nel momento che la strozzatura è accen- tuatissima. Autotomia per torsione. — È la maniera di autotomia più frequente; ma più lenta di tutte nel compiersi. Le Cucumaria in esame sì torcono assai fa- cilmente su loro stesse: ciò fanno, spesso, incessantemente e con la medesima facilità si svolgono. Questa torsione può assumere un carattere più deciso e di- venta mezzo di divisione. Infatti, alla semplice torsione, senza scopo deter- minato, subentra una torsione molto più definita, direi intenzionale, e l’ ani- male si torce fortemente verso i due estremi; e, nella stessa maniera che torcendo fra le mani un panno per gli estremi, quanto più si accentua la torsione, l’animale si rigonfia nel mezzo. Ai due estremi di questo rigonfia- mento mediano, continuando la torsione, la spirale di questa si restringe maggior- mente e tanto, da determinare due strozzamenti agli estremi del rigonfiamento mediano (fig. 1). Ad un dato momento la torsione di uno degli estremi del rigonfiamento mediano, si accentua ancora maggiormente e si determina, così, un pedicello unitivo, che, con il procedere ancor oltre della torsione, finisce per spezzarsi (fig. 2). Si determinano perciò due parti: una formata dal rigonfiamento BIG Fra. 2: mediano e dal pezzo posteriore, od anteriore — secondo che è l'anteriore od il posteriore quello che si è staccato — l'altra quella staccatasi. Mentre questa parte sta da sè, l’ estremo opposto del rigonfiamento mediano resta per un certo tempo in quiete; ma ad un dato momento, accentuandosi di nuovo la torsione, con lo stesso processo col quale si compie la divisione del primo pezzo staccatosi, si stacca anche questo. Si hanno così, da un unico indi- — 233 — viduo, per divisione per torsione, successivamente, tre individui: 1, 2 e 3. E raro il caso di osservare che si stacchino quasi contemporaneamente i due pezzi estremi dal rigonfiamento mediano (fig. 1, 2). Autotomia per stiramento. — Anche questa maniera di divisione si osserva frequentemente: essa è sullo stesso tipo della prima; in quanto allo strozza- mento si sostituisce lo stiramento, complicato spesso da una lieve torsione. Infatti, l’animale si allunga di molto e, torcendosi, volte sì, volte no, leg- germente nel mezzo, si slarga ai due estremi, coi quali aderisce fortemente sul fondo, o sulle pareti dell’ Aquario, — nel quale è in osservazione — per mezzo dei pedicelli ambulacrali che si allungano moltissimo per aderire nel maggior numero possibile. L'animale contemporaneamente si appiattisce del tutto e sì restringe nel mezzo per un buon tratto; tutta la massa del corpo essen- dosi portata verso i due estremi slargati di esso, che si dilatano sempre più, stirando il tratto mediano. Cosicchè, a questo modo, si ha l’immagine di due clave spinose larghe, appiattite, irregolari, riunite da un sottile e lungo filamento. Quanto maggiormente aumenta lo stiramento verso le clave, il fila- mento unitivo si fa esile, sottile, e finisce poi per spezzarsi. Questo fila- mento è costituito dalla pelle che, per lo stiramento, si è ridotta ad un sot- tile straterello che involge il tubo intestinale; questo si è anch'esso stirato e piglia l'aspetto di un cordoncino. Poichè la pelle si è fatta molto sottile, si lacera facilmente verso uno degli estremi del tratto unitivo delle clave, e resta così allo scoperto il cordone intestinale; intorno al quale si avvolge rattrappito e contorto il lembo di pelle che prima lo rivestiva e costituiva con esso il funicello unitivo. Co- sicchè, spesso, per un certo tempo, il funicello unitivo è rappresentato solamente dal cordoncino del tubo in- testinale, che poi si spezza e le due metà diventano l'una dall'altra indipendente. Può darsi anche il caso che, mentre i due pezzi sono ancora riuniti dal fu- nicello unitivo, in uno di essi si determini nuova- mente il processo di divisione per stiramento; e si hanno, in tal modo, tre pezzi uniti fra loro da due funi- celli che successivamente si spezzano e rendono liberi i tre segmenti; si può, quindi, avere, anche nell’auto- tomia per stiramento, il caso, come nell’autotomia per torsione, di una divisione, direi, contemporanea e con- secutiva, mi si passi la frase, in tre individui del- l’unico individuo primitivo (fig. 3). In tutte e tre le maniere di autotomia, possono distinguersi due tempi: uno di preparamento ed ini- Fe. 3. ziazione, l'altro della divisione: il primo è d’or- dinario più lungo del secondo. Esso, pertanto, non è sempre ugualmente di- i) |} — 234 — stinto in tutte le tre maniere di autotomia, come in quella per stiramento. In questa dura all'incirca dodici ore — ed è il periodo di tempo nel quale l'animale si allunga ed aderisce agli aquarî — mentre, per contro, è brevis- simo il periodo della divisione, chè, non appena si determina lo stiramento mediano, il processo si accelera e si svolge in due ore al massimo. Se la torsione è parte integrante e determinante l’autotomia per torsione, essa, come si è visto, interviene ancora nelle altre maniere di autotomia. Dal che si ricava che la torsione è una condizione comune del processo di divisione delle tre maniere di autotomia della Cuc. plancîi e le collega l'una all’ altra; dimostrando che esse non sono così assolutamente l’ una dall’altra differenti, come sembra a prima giunta. M'importa di far notare che il processo di torsione che interviene nella autotomia delle Cucumarza è lo stesso che si determina nelle Synapta: e, nell’autotomia per torsione, esso si svolge nello stesso modo e maniera che nelle Syrapta; cioè col girare in senso inverso delle due metà del corpo intorno al punto di torsione. Vi ha la differenza pertanto che, nelle Cu- cumaria, il processo è lento, mentre è rapidissimo nelle Synapta; nelle quali il punto di torsione diventa subito un esile pedicello che i movimenti inces- santi e convulsivi del corpo fanno facilmente spezzare. Ma, mentre nelle Syrapta i due pezzi, prodotto della divisione, non sono equivalenti, perchè uno solo, l'anteriore, si ricompleta in un nuovo individuo, rifacendo l'estremo posteriore (il pezzo posteriore presto muore e si disfa), nelle Cucumaria planci i due, o tre pezzi — prodotto della divisione dell’ unico individuo primitivo — sono, invece, equivalenti. Perchè essi si integrano in altrettanti nuovi individui, rifacendo ciascuno le parti delle quali mancano, rispettivamente l’ anteriore, o la posteriore, od anche le due insieme. Il tempo che impiegano i singoli pezzi per integrarsi in muovi individui varia dai 40-60 giorni; durante il qual periodo di tempo allo esterno nulla scorgesi del processo rigenerativo; chè le estremità da rifarsi restano invaginate. È solo quando si sono ricompletati che i nuovi individui cacciano ed aprono la corona tentacolare e mostrano rifatta l'estremità posteriore: questa, per altro, precede nel processo di rifacimento la parte anteriore. Tanto nel caso della Syrapta, quanto in quello delle Cucumaria planci si dà una autotomia totale che chiamo diacottica (draxorio) (*), ed una paratomia. Ed in entrambi i casi il processo rigeneratore ha carat- tere integrativo, in quanto il suo scopo finale è di integrare un nuovo indi- viduo. La non equivalenza delle parti determinatesi dalla divisione nelle Synapta e Cucumaria planci è in rapporto, o per meglio dire, è la risul- (1) In contrapposizione a quella parziale che chiamo diacritica (0Lexpirexdoe), alla quale corrisponde un rifacimento di carattere redintegrativo, in quanto vale a comple- tare il corpo dell’animale della parte perduta. — 235 — tante dello scopo biologico del processo autotomico. Perche nelle Synapta essa ha una funzione difensiva, in quanto la Synapta si divide per abban- donare al nemico che l’aggredisce, la parte da questo agguantata. Basta difatti stringere, o toccare, anche lievemente, con una pinza, una Syrapta, in un punto qualunque della lunghezza del corpo per vederla immediata- mente, nel punto tocco, torcersi rapidissimamente ed infine abbandonare il pezzo posteriore del corpo; cosicchè chiara appare la fretta dell'animale di reagire allo stimolo, liberandosi della parte lesa, per salvarsi. Mentre nelle Cucumaria, invece, ha tutt'altra funzione, perchè essa costituisce un processo di moltiplicazione per divisione, o, come altri dice, di riprodu- zione per divisione, od altrimenti di dissociazione del corpo. In quanto sì pro- ducono, a spese di un solo che si divide, altrettanti nuovi individui. Il processo di autotomia delle Cucumarze, comunque esso si estrinsechi, può ripetersi più e più volte in ciascuno dei nuovi individui derivanti dal primo individuo divisosi; nè è necessario come si è visto che ciascuno dei pezzetti così nati dal primo individuo autotomico raggiunga il suo comple- tamento in un nuovo individuo, perchè si ripeta su di esso il processo di autotomia: ho osservati numerosi e frequenti simili casi. Ma l' autotomia non può ripetersi indefinitamente; ed è necessario che alla moltiplicazione s’ in- terpoli una generazione: chè altrimenti, a lungo andare, gl individui prodotti dalla divisione si riducono sempre maggiormente in grandezza. Vi ha, infine, una sorta di degenerazione, dirò senile [che fa pensare e ricorda quella degli Infusorii, quando non interviene ad interromperla il processo coniugativo, 0 di ringiovanimento ] e finalmente muoiono. Questa degenerazione si manifesta nelle esterne fattezze [aspetto della cute, disposizione anormale dei pedicelli ambulacrali] e nella interna organizzazione (assenza di genitali e di albero respiratorio). Ciò ho seguito sopra individui che ho tenuti isolati in un bacino per un anno e più, e che si sono continuamente divisi e suddivisi e final- mente mano mano si estinguevano. Ho cominciato l' esperienza nel gennaio '93 e nel luglio del 94 rimanevano pochi e deformi individui di piccole dimen- sioni dei tanti che si erano prodotti dalla divisione dei primi individui. Questa osservazione del ripetersi dell’ autotomia sui prodotti della prima di- visione, e del conseguente divenire più piccoli degli individui così determi- natisi, da me constatato nei bacini degli acquarî, trova riscontro nel fatto che nell’ habitat indicato, si trovano, accanto a grandi individui di Cucu- maria planci, numerosi piccoli pezzi, ora ricompletatisi, ora no’; ora con le parti in via di rifacimento [anteriore o posteriore, od entrambe]. E trova riscontro ancora nella autotomia osservata dal Dalyell — il primo a consta- tare un tal fenomeno negli Zol/othurioidea — nella Cucumaria lactea : chè egli ha visto dividersi in due l’animale, e ciascuna metà, a sua volta, dividersi in nuovi pezzi che tutti si ricompletavano in altrettanti individui. Ma tanto ret I nr A tn i] III — 236 — il Dalyell quanto il Semper [che ha anch'esso osservato un caso di auto- tomia, e relativa integrazione in due individui dei pezzi nei quali si era di- visa, nella Cucumaria versicolor], si limitano a constatare il fatto; ma non ne hanno seguito il processo. Solo il Chadwick lo ha sommariamente descritto nel caso di autotomia da lui osservato in alcune Cucumaria planci di pic- cole dimensioni, e che io perciò ritengo sieno la stessa forma della quale ora mi occupo: il processo seguito dal Chadwick è quello di autotomia per sti- ramento. Il Chadwick ha notato che prima che uno degli individui da lui esaminati (tre) si dividesse, emise delle uova. Questo fatto io finora non ho constatato nelle Cucumaria da me studiate; anzi, devo osservare al propo- sito, come la maggior parte, se non tutti, i grandi individui, adulti, da me esaminati, che si dividevano (in un modo o nell'altro), erano maschi. La presenza di organi genitali, come il fatto della deposizione di uova, esclude il sospetto che una tale autotomia moltiplicativa potesse essere limi- tata a forme ancora giovani od asessuate di Cucumaria planci. Ma fa na- scere invece il dubbio, almeno nel caso mio, che le condizioni di habitat di queste C. planci [viventi nei fondi arenosi con fango] come hanno potuto determinare quelle modificazioni di abito e di dimensioni delle quali ho fatto cenno innanzi — che le fanno subito distinguere dalla forma tipica [che vive nei fondi detritici], quantunque da questa organicamente nulla abbiano di dissimile (') — abbiano ancora reso difficile il processo di generazione. Per sur- rogare il quale è intervenuto, per assicurare la specie, il processo moltipli- cativo per autotomia; che si è potuto esplicare, grazie all'alto grado che raggiunge negli Echinodermi ed Zolothuricidea in ispecie, la proprietà del rifaci- mento delle parti. Il processo generativo, per le cose dette innanzi e massima- mente tenuto presente il fatto dal modo come, secondo gli osservatori {v. Ludwig, Sceewalzen, p. 261] si effettua la deposizione delle uova nelle C. planci — cioè di essere queste già fecondate — non può eslcudersi. Ma il moltiplicativo ha la preponderanza sull’ altro che interverrebbe solo in sussidio del secondo, date le considerazioni innanzi fatte, per arrestare le conseguenze della pro- lungata divisione. Ed è anche probabile che le modificazioni di abito di queste Cucumiria planci della sabbia, più che all'azione diretta delle con- dizioni ambienti, non sieno da ascriversi alla azione indiretta di queste; cioè siano una conseguenza del processo moltiplicativo che quelle avrebbero deter- minato. Sono queste delle induzioni per cercare di rendermi conto del perchè solo nelle Cue. planci della sabbia e del fango si verifichi questa autotomia e perchè mostrano abito diverso dalle forme tipiche dei fondi detritici. Nelle quali, per quanto le avessi a lungo osservate e seguite, come ho già detto, mai finora mi è riuscito di constatare una simile autotomia: queste si riproducono e depongono le uova che si sviluppano anche negli acquarî. (1) Secondo Ludwig e Marenzeller aì quali l’ho comunicata. — 237 — Constatata, così, l autotomia nella Cucumaria planci in esame, ho vo- luto riprodurla artificialmente, sperimentando una divisione artificiale, una autotomia sperimentale, mi si permetta la frase, che, perchè paradosso, sosti- tuisco con quella di mecotomia(umyos, unyavr) sulle medesime Cucumarie. Ed ho voluto tentare ancora la me cotomia sulle Cucumarza planci tipiche dei fondi detritici, sulle Cue. siracusana Grube, sui Phyllophorus gra- nulatus Grube, P. urna Grube, e sulle Holothuria tubulosa Gm., H. poli D. Ch. ed X. stellati. Ma, meno che nelle C. planci (forma tipica) e C. siracu- sana, in tutte le altre forme sulle quali ho sperimentato ho avuto risulta- menti negativi. La mecotomia, per contro, mi è riuscita sempre facilmente sulla C. planci normalmente autotomica. Ho praticata la mecotomia in due modi: sia col taglio, sia per stroz- zamento, con legatura. Mecotomia per strozzamento. — Legando fortemente, strozzandole, delle Cucumaria planci della sabbia, sia una sola volta, a metà lunghezza dell'animale (4), sia facendo più di una legatura lungo il corpo (2), dopo un certo numero di giorni molto variabile nel punto della legatura, o stroz- zatura (4), o nei punti delle legature o strozzature, se queste sono più (2), le Cucumaria sì dividono, si scindono. Si formano così due, o più pezzi, se- condo il numero delle legature, che si completano nello stesso periodo di tempo, che si integrano in nuovi individui i pezzi prodotti dalla autotomia, in altrettanti individui indipendenti. Questa esperienza riesce assai raramente nelle C. planci (della forma tipica) e non riesce affatto sulle C. siracusana, nelle quali non è possibile, stante lo spessore delle pareti del corpo, anche legando e forte stringendo, poter determinare la strozzatura. La strozzatura, per contro, riesce bene nelle Zolothruria poli e tubulosa, ed, infatti, i due pezzi, supponendo fatta una legatura mediana, si determinano e sì staccano; ma non si completano in nuovi individui; vivono qualche giorno e poi muoiono. Con questa mecotomia ho cercato di riprodurre artificialmeate l’autoto- mia per strozzamento ed in parte anche per torsione. Mecotomia per taglio. — Ho tagliato per metà, in due pezzi uguali, delle C. planci della sabbia, ed ho tagliato ancora degli individui in molti pezzi, ora più, ora meno grandi. Così i due pezzi del taglio unico, come i molti pezzi o pezzettini ottenuti tagliando ripetutamente per traverso questa Cu- cumaria, si sono, nel termine di tempo indicato per la precedente esperienza, integrati in altrettanti nuovi individui, rifacendo le estremità; rispettiva- mente anteriori o posteriori, od entrambe. Questa esperienza non riesce affatto delle Zolothuria e Phyllophorus; mi è riuscita poche volte nella €. planci della forma tipica ed una sola volta nella C. stracusana. Il rifacimento delle parti in questi ultimi due casi è assai più lento che nelle C. planci normal- mente autotomiche. — 238 — Oltre le succennate esperienze, ne ho tentate anche altre sulla detta C. planci e sulla forma tipica; le quali tutte provano quale alto grado rag- giunga nelle dette Cucumarza la proprietà di rifacimento e rigenerazione delle parti asportate. Accennerò a quelle fatte sulla forma tipica di C. plances, ricordando il facile rifacimento della corona tentacolare (asportata in tutto od in parte) e dei singoli tentacoli; notando come questi sembrano, se ta- gliati più volte, ripetutamente, rigenerandosi, crescere in lunghezza. Accen- nerò ancora al rifacimento del tubo digerente parzialmente, od interamente asportato, ed in varî modi; e, infine, al rifacimento di intere zone di cute con o senza pedicelli ambulacrali. E farò menzione sommaria di quelle altre esperienze tentate sulla forma di C. planci normalmente autotomica; quali, p. e.: 4) l'amputazione dei pe- dicelli ambulacrali, che si riformano, per quanto lentamente, e se tagliati più volte sembrano seguire la stessa legge dei tentacoli (chè pare crescano in lunghezza come quelli); 2) la sezione longitudinale degli individai da un capo all’altro ed in diverso modo praticata (sia fra due raggi, o due inter- radii, o fra un radio ed un interradio), in due parti, le quali si integrano in nuovi individui, se non del tutto in gran parte completi. Questa esperienza non ha sempre esito felice, anzi è raro riesca completamente; chè, di fre- quenti, una sola delle metà sopravvive. E dirò ancora come finora non mi è riuscita, quantunque più volte ed in vario modo tentata, quella di dividere in due, longitudinalmente, la parte anteriore del corpo per vedere di deter- minare la formazione di due estremità anteriori. E ciò allo scopo di ripro- durre possibilmente, sperimentalmente, quella anomalia di doppia formazione osservata a Napoli dal Ludwig in una C. planci di forma tipica; nella quale egli ha constatato innanzi la metà anteriore del corpo sviluppata una se- conda corona tentacolare: cosicchè, nell'insieme, si ha una Cucumaria bicipite, mi sì passi la frase. Invece, mi è riuscita una curiosa esperienza dapprima per caso occorsami e poi ritentata di proposito. Staccando ed asportando dei pezzi di pelle, di una grandezza relativa, da individui (completi o no), ho visto che questi pezzetti si sono ravvoltolati su loro stessi, i loro margini sì sono saldati ed hanno vissuto per dei mesi (due, tre) in ottime condizioni, movendosi sul fondo del vaso, nel quale li osservavo, coi loro pedicelli ambulacrali, attivissimi nei loro movimenti di estensione e di contrazione. Esaminati dopo morti, essi non presentavano organi interni rifatti; non ve ne era accenno di sorta: non si erano perciò completati in nuovi individui e pur vivevano e vissero per lungo tempo. Non mi sono potuto ancora rendere esatto conto di questo fatto; ma esso mi ricorda un certo che di analogo osservato dal Eisig in alcuni Anellidi (Eunice), e riconosciuto quale caso di simbiosi. Ho ragioni pertanto di credere che anche questo possa ritenersi un caso di simbiosi che trova riscontro in quello del Brandt, perchè nello spessore — 239 — della pelle dei suddetti pezzetti ho osservata la presenza di certi corpicciuoli che mi sembrano possano essere delle zooclorelle o zooxantelle. Ho riassunto sommariamente le mie osservazioni ed esperienze, che proseguo dal 1892, non potendo esporle ora particolarmente. Cio farò in un lavoro di maggior mole accompagnato da tavole, nel quale esporrò ancora il risultamento delle indagini fatte sul processo di rigenerazione delle parti. Fisiologia. — Azione tossica dell’acetilene. Nota del prof. UgoLINoO Mosso e del dott. FELICE OTTOLENGHI, presentata dal Socio A. Mosso. Questa Nota sarà pubblicata in un prossimo fascicolo. PERSONALE ACCADEMICO Giunse all'Accademia la dolorosa notizia della morte del Corrispondente Luici PALMIERI, avvenuta il 9 settembre 1896, e del Socio straniero EnRIco ResaAL, mancato ai vivi il 22 agosto 1896. Apparteneva il primo all'Accademia dal 5 febbraio 1871, e ne faceva parte il secondo dal 20 set- tembre 1887. | RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia prima del 4 ottobre 1896. mnao_____- nn Zoologia. — Ulteriori studi sullo sviluppo dell’ Anguilla e sul (rrongo. Nota preliminare del Corrisp. B. GRASSI e del dott. S. CALAN- DRUCCIO. 1° Negli acquari abbiamo potuto seguire la trasformazione del £. bre- virostris nell Anguilla vulgaris. Questa metamorfosi dura circa un mese. Anche il prof. Ficalbi, che dopo l allontanamento di uno di noi dalla Sicilia volle gentilmente aiutarci a completare il nostro lavoro, ha ripetuto la nostra osservazione. 2° Nelle cloache abbandonate di Roma vive un’ Anguilla vuigaris che presenta gli occhi enormi, mentre gli organi genitali sono molto arre- trati nello sviluppo. I sistematici la classificherebbero come Anguilla Kieneri. Noi abbiamo riconosciuto che in questa Anguilla, in rapporto coll’ insolita abitazione (locali oscuri), ha anticipato il completamento di un carattere che di regola si sviluppa soltanto nelle anguille provenienti dagli abissi del mare, cioè cogli organi genitali vicini alla maturanza. Abbiamo trovato molte forme intermedie tra quella in discorso e le anguille ordinarie. Esse sono le anguille delle chiaviche accennate dal Bonaparte. 3° Abbiamo sott' occhi un Leptocefalo del Conger vulgaris lungo circa mm. 9. Esso è stato preso alla superficie il 1 ottobre 1896 dai pescatori della Stazione zoologica di Napoli. ReNDICONTI. 1896, Vor. V, 2° Sem. S1 E 0249 — Fisica. — Ancora sui risultati delle misure fatte per la de- terminazione sperimentale della direzione di un campo magnetico uniforme dall’ orientazione del magnetismo da esso indotto ()). Nota del dott. G. FOLGHERAITER, presentata dal Socio BLASERNA. Quando l’asse dei cilindri viene disposto durante la cottura in un in- clinazione diversa da 0° o 90°, varia colla sua posizione anche la distribu- zione del magnetismo libero sulla periferia delle due basi. Al crescere del- l'inclinazione, partendo da 0°, alla base inferiore cresce la polarità nord e diminuisce corrispondentemente la polarità sud; viceversa alla base supe- riore cresce la polarità sud e diminuisce quella nord: la linea neutra sulle due basi non è più un diametro, ma una corda, la quale conservandosi sempre perpendicolare alla sezione normale, va successivamente spostandosi verso nord alla base superiore e verso sud alla base inferiore, finchè diventa tangente alle due periferie. Si ha in quest'ultimo caso su ciascuna delle due basi unicamente una polarità magnetica, che parte dal valore minimo eguale a 0 fino ad un massimo, e il calcolo dà l'inclinazione dell'asse ma- gnetico eguale a 45°. Aumentando ancora l'inclinazione dell'oggetto, il mi- nimo va successivamente crescendo colla stessa polarità del massimo fino a che a 90°, come è stato già notato, si ha un'intensità uniforme, ma di segno contrario sulle due basi. oe SE Fic. 3. Porto sopra i qui uniti diagrammi i valori dell'intensità nei varî punti della periferia delle due basi, trovati per l'oggetto A. Essi corrispondono alle (1) Vedi questi Rendiconti, serie 5°, voL V, 2° sem., 1896, pag. 199. — 243 — inclinazioni dell’ asse magnetico di 38° (fig. 3), 51° 20' (fig. 4) e 69° 50' (fig. 5). (L’inclinazione dell'asse geometrico durante la cottura era nei tre diversi casi di 24°, 39° e 57°40': vedi tabella IV). Le curve sono tracciate colle norme date per i diagrammi antecedenti. Si vede, che nella fig. 3 esistono ancora su ciascuna base le due polarità sud e nord, ma d'’intensità molto diversa: al massimo nord della base inferiore corrisponde il minimo nord della base su- periore, ed al minimo sud della base se inferiore corrisponde il massimo sud della base superiore; ma le linee neutre non si corrispondono più. Nella fig. 4 alla base inferiore è spa- rita completamente la polarità sud, È A E Co) AL ed alla base superiore è sparita la È polarità nord; nella fig. 5 le curve RENZO sono molto meno pronunciate, per- BSP4r boe deri 0935 chè la distribuzione del magnetismo è già più uniforme; ma anche nelle fig.4 e 5 si vede ancora chiaramente, come al massimo e minimo di una base corrispondano il minimo e mas- simo dell’altra. Per completare l'esame delle tabelle III e IV, faccio osservare, che al crescere dell’inclinazione degli oggetti va pure successivamente cre- scendo la differenza tra l'inclina- zione del campo e quella dell'asse magnetico; si ha un massimo a 45°, e poi la differenza diminuisce fino a 90°, ed ho di già fatto notare, come queste differenze siano dovute in grandissima parte all’azione dei punti prossimi ai massimi ed ai minimi, che ne alterano in rapporto diverso la misura dell'intensità. Qualunque sia del resto l’ orientazione, nella quale sono stati calamitati durante la cottura tanto gli oggetti di eguale diametro ma di altezze diverse, quanto gli oggetti di eguale altezza, ma di diametro diverso, valgono le stesse considerazioni, che sono state dedotte dal- l'esame delle tabelle I e II. Le tabelle III is e IV is danno l'inclinazione ridotta corrispondente all’inelinazione calcolata delle rispettive tabelle III e IV: si scorge che il calcolo dell’inclinazione ridotta porta a dei risultati poco diversi, quando si \ Lili EN EEN 54 || — 244 — tratta di oggetti di dimensioni abbastanza grandi rispetto alla distanza a cui vengono posti dall’ago e alla grandezza di questo. E ciò è anche naturale per la legge secondo la quale il magnetismo agisce colla distanza. I valori poi corrispondenti ad a=0° e @ = 90° non sono stati neppure ridotti per le considerazioni più sopra esposte. 4. Ho fatto con dell'argilla dei doppi coni cavi riuniti per i loro vertici. li ho cotti colle dovute precauzioni entro il mio forno, ed ho esaminato la distribuzione del magnetismo indotto per potere stabilire, se anche in oggetti di tale forma sia possibile dedurre la direzione del campo, che li ha magne- tizzati, e per potere studiare l' influenza, che sui risultati esercitano l’ altezza e l'apertura angolare dei coni, Nella seguente tabella sono raccolti i risultati avuti dall’ esame di doppi coni di quasi eguale altezza, ma di apertura angolare diversa, che furono collocati nel forno col loro asse geometrico verticale: nelle prime colonne sono date le dimensioni degli oggetti, nella 5* colonna è data l' inclinazione dell'asse magnetico calcolata, nella 6* l'inclinazione ridotta; nell'ultima colonna le differenze tra l'inclinazione ridotta e quella del campo magnetico inducente (57° 40°). TABELLA VI. Differenza Diametro fi Inclinazione tra A n pertura l’inclinazione Oggetti medio Altezza STRA SRI delle basi e quella calcolata ridotta del campo mm. 71,5|mm. 143,0) 28938’ 60° 55/ Mugi ce Q097 104,0 154,0] 45 46 59 57 54 25 |— 3 15 È 119,0 153,0| 50 10 51 30 52 27 |— 513 d 107,6 128,5] 55 20 52 8 58 5 |— 495 e 114,0 188,0| 61 5 49 50 50 48 |— 6 52 fi 131,0 130,0 70 0 43 11 44 39 | 13 1 L'esame di questa tabella mostra un fatto abbastanza interessante, che si sarebbe potuto forse prevedere: 4 seconda che cresce l'apertura dei coni, il valore dell’inclinazione dell'asse magnetico risulta successivamente minore, pur essendo identica in tutti gli oggetti la loro disposizione rispetto alla direzione della forza magnetizzante. Nelle condizioni in cui furono esa- minati i miei oggetti per il doppio cono a, che ha un'apertura relativamente piccola, si è trovata un’ inclinazione dell’ asse magnetico di 2° 37° maggiore di quella del campo, mentre che nell'oggetto /, che ha un'apertura di 70°, quella è circa 13° minore di questa. — 245 — L'apertura angolare, come si vede, ha una grande influenza sulla distri- buzione del magnetismo libero alla periferia delle due basi (‘), ma l'effetto che essa produce, appare ancora più rimarchevole, se si considera che anche nel caso dei doppi coni i valori dei massimi e dei minimi verranno influenzati dai punti a loro vicini probabilmente in modo simile a quello, che avviene nei cilindri, e che la loro azione, facendo comparire l’ inclinazione dell’ asse magnetico più grande della vera, maschera in tutto od in parte l’ effetto del- l'apertura angolare. Noi constatiamo perciò solo la differenza delle due azioni, e a seconda che prevale o l'una o l'altra, le misure daranno un valore per l'inclinazione dell'asse magnetico, o più piccolo o più grande di quello del campo inducente. Che realmente le due azioni esistano assieme, e che agiscano in senso opposto, è messo in evidenza dalla seguente tabella, nella quale sono raccolti ì risultati avuti dall’ esame di doppi coni (cotti tutti col loro asse verticale) di quasi eguale apertura, ma di diversa altezza e quindi di diametro alle basi diverso. (!) Si potrebbe spiegare tale influenza ammettendo, che i doppi coni agiscano come un sistema di due calamite separate e disposte secondo le generatrici della sezione normale del doppio cono, in modo da incrociarsi nelle loro linee neutre. Supponiamo di avere due cilindri d’argilla: se durante la cottura vengono disposti col loro asse verticale, la distri- buzione del magnetismo sarà eguale sulle basi di ambidue; ma se si mettono a croce, rima- nendo coi loro assi nel piano del meridiano magnetico, quello che s° inclina verso la direzione del campo magnetico terrestre acquisterà nei vari punti delle basi una polarità più uniforme, mentre nell’ altro la differenza tra i massimi ed i minimi si accentuerà tanto, che questi ultimi possono diventare zero e cambiare anche polarità. Ora se si calcola 1’ inclinazione dell’asse magnetico del sistema per mezzo dei massimi del 1° cilindro e dei minimi del 2°, il suo valore evidentemente deve diminuire al crescere dello spostamento dei cilindri dalla posizione verticale; nel caso in cui il minimo del 2° cilindro sia zero, l’ inclinazione dell’ asse magnetico risulta = 45°, e questa sarà ancora minore, se il minimo cambia polarità. Nel calcolo dell’ inclinazione dell'asse magnetico nei doppi coni ha luogo qualche cosa di analogo: i valori agli estremi della generatrice, che s’ inclina verso la direzione del + 0,9 747 campo, corrispondono in certo modo ai massimi del 1° ci- lindro, edi valori agli estremi dell’ altra generatrice, che de- termina la sezione normale, corrispondono ai minimi del 2° cilindro; e di fatto anche qui al crescere dell'apertura si hanno agli estremi di questa ultima generatrice valori pic- coli, nulli o anche di polarità rovesciata, come è il caso del doppio cono f della tabella VI che ha un’apertura di 70°: si vede dall’ unita figura, che rappresenta la sua sezione nor- male, che agli estremi della generatrice ad posta quasi nella direzione del campo magnetico terrestre (segnata dalla +20,1 — 08 freccia) si hanno due massimi; in 4 il massimo nord, in d il massimo sud; l’altra generatrice Ze ha i poli rovesciati rispetto alla prima, quantunque l'oggetto sia stato collo- cato nel forno coll’asse verticale, ed i punti 4 e c hanno la minima intensità magnetica. Ba. 6. IL | — 246 — TABELLA VII. | Î Differenza Diametro | Inclinazione È tra Oggetti medio Altezza Apertura ! inolinazione delle basi e quella calcolata ridotta del campo g mm. 78,5] mm. 98,5] 57°55’ 56° 5’ 57° 0 | — 0°40' h 97,5 104,4| 57 42 550 54 58 — 2 47 O 99,0 109,0] 60 4 50 50 52 57 — 4 43 l 114,0 13850). 61.5 49 50 50 48 — 6 52 Da questa si scorge chiaramente, come al crescere del diametro delle basi, pur rimanendo pressochè costante l'apertura dei coni, diminuisce netta- mente il valore dell’ inclinazione dell'asse magnetico. È vero che qui varia anche l'altezza degli oggetti, ma è già stato notato, che quando questa è sufficientemente grande, le sue variazioni poco influiscono sul valore dell’ in- clinazione dell'asse magnetico nei cilindri, e non credo che vi sia una ragione, perchè nei doppi coni debba aver luogo un'azione diversa. Se i due coni di un oggetto non hanno altezza od angolo di apertura eguali, si modifica un po’ il valore dell’ inclinazione dell'asse magnetico; nel 1° caso esso cambia probabilmente solo in quantochè avendo le due basi dia- metro diverso, i rispettivi massimi e minimi vengono influenzati in modo di- verso dal magnetismo dei punti vicini: nel 2° caso il suo valore risulta in- termedio fra quelli corrispondenti ai due angoli d'apertura. Non ha influenza alcuna invece, almeno entro i limiti degli errori, se gli oggetti vengono col- locati entro il forno colla base più larga al di sotto od al rovescio, purchè non sia diversa la direzione del loro asse geometrico. A queste conclusioni arrivai facendo delle misure sopra due oggetti di- versi: uno era costituito per metà da un cono semplice di dimensioni eguali a quelle dell'oggetto « della tabella VI, e per metà da un altro cono sem- plice eguale a quelli dell'oggetto 9 della tabella VII; l’ inclinazione del suo asse magnetico risultò 58°, intermedia, come si vede, tra quelle di 4 e 9. L'altro oggetto era un doppio cono di apertura eguale sopra e sotto, ma da una parte era stato accorciato. Il diametro della base maggiore era mm. 104, della base minore mm. 95, nel mezzo mm. 30; l'altezza totale era mm. 108 e l’ apertura 65°30'; determinai l’ inclinazione del suo asse magnetico dopo di averlo collocato durante la cottura coll'asse verticale, ma ora colla base miì- nore in basso, ora rovesciato, ora colla sezione normale girata di 180°. Ebbi i tre seguenti risultati 49°:17/ 48029’, 480501". Come si vede gli scartamenti dal medio = 48°50' non escono dai limiti degli errori. Quest'ultimo oggetto mi servì pure per istudiare, in che modo varia — 247 — l’ inclinazione dell'asse magnetico variando ’' inclinazione @ del suo asse geometrico durante la cottura. I risultati ottenuti sono i seguenti: TaseLLA VIII. Differenza Inclinazione tra l'inclinazione « $ ridotta | e quella calcolata | ridotta del campo 00 0° 40” 0°40" | + 0°40’ 19 13 30 14 11 — 4 49 38 29 15 80 32 — 7 28 57 40° | 48 50 50 18 | — 7 22 718305 12 12 TR) ID) — 427 90 91 49 91 49 + 1 49 Si scorge anche qui l’ identico andamento dei valori dell’ inclinazione dell'asse magnetico quando varia l’orientazione dell'oggetto, come è stato trovato per i cilindri; soltanto le differenze sono in meno. Di più sì vede, che quando l'oggetto è collocato durante la cottura o coll’ asse geometrico nella direzione del campo o in direzione ad essa perpendicolare, l' influenza della forma sparisce, e rimangono unicamente gli errori dovuti alle dissimetrie ed alle cause accidentali. 5. Ho preso quattro vasi da fiori di forma conica, il più che era pos- sibile regolari ed eguali tra loro, e mediante la raspa e carta vetrata ho cercato di rendere la base e la bocca parallele tra loro, perpendicolari all’ asse di simmetria e liscie. Le dimensioni medie erano : diametro della base mm. 100; diametro della bocca mm. 160, altezza mm. 145, apertura angolare 23°20'. Li ho cotti facendoli poggiare sul portaoggetti una volta colla base, un’ altra volta colla bocca, ma in ambidue i casi coll’ asse geometrico verticale. L'inclinazione dell'asse magnetico calcolata ha variato negli otto casi ‘da 61°24' a 64°55', ma non è risultato, che porti influenza sul suo valore l'essere cotti i vasi diritti o rovesciati. La media degli otto valori risultò 63°3', e la corrispondente inclinazione ridotta è 63°38". Da ciò si deve concludere, che coni semplici abbastanza grandi si comportano come cilindri sia per quanto riguarda il senso, che la grandezza della correzione da applicarsi per dedurre dall’ inclinazione del loro asse magnetico la direzione della forza, che li ha magnetizzati. 6. Per completare questo studio ho determinato la direzione dell’ asse magnetico in recipienti a forma sferoidale, come boccali a becco e manico, boccali a doppio manico e bocca rotonda, boccali senza manico e bocca rotonda ecc., dopo di averli cotti in posizione verticale. Riassumo brevemente i risultati : Oggetti a forma sferoidale privi di appendici, provveduti di base e bocca abbastanza grandi si comportano in generale come cilindri. L' inclinazione — 248 — dell'asse magnetico dedotto da misure fatte su tre vasi a press’ a poco eguali, che avevano in media mm. 89 di diametro alla base, mm. 105 alla bocca, mm. 162 nel ventre e mm. 166 di altezza, ha variato tra 61°45' e 65°80/. La presenza di appendici alla periferia della bocca come manichi, orec- chie ecc., od anche la sola deformazione di essa prodotta per esempio dal becco ecc., hanno tale influenza sulla distribuzione del magnetismo su quella periferia, che dalle misure è impossibile farsi un concetto del modo in cui ha agito la forza magnetizzante: con tutto ciò la distribuzione del magnetismo alla base, se questa è circolare e priva di appendici ha luogo in generale regolarmente da un massimo ad un minimo e questi due valori si trovano al solito sul diametro diretto nel meridiano magnetico. Quantunque abbia di già fatto notare in un'altra Nota (vedi questo volume pag. 206) che non si può fidarsi del valore dell’ inclinazione dell'asse magnetico dedotto dalle misure fatte sopra una sola base, pure riporto qui alcuni risultati ottenuti esaminando recipienti a press'a poco delle dimensioni degli antecedenti: in un boccale da vino, di quelli che ancor si usano in qualche osteria di Trastevere, trovai 64°15'; l'ho ricotto ed ebbi 61°52'. In un salvadanaio l’ inclinazione dell’ asse magnetico risultò 59°32" ed in un vaso a due manichi 68°40'. Tutte le altre misure fatte su oggetti simili mi diedero risultati compresi fra questi due ultimi valori. Da ciò si vede con quanta minore precisione si può stabilire la direzione della forza magnetizzante da misure fatte solo alla base di questi oggetti, ma contemporaneamente dall’ assieme dei valori ottenuti si è indotti a credere, che la media di molte misure darebbe risultati poco diversi da quelli avuti per cilindri di dimensioni abbastanza grandi. 7. Mi resta ancora da richiamare l’attenzione sopra un fatto molto importante per il mio problema. Talvolta si riscontrano nella distribuzione del magnetismo delle anomalie affatto inesplicabili: ora le due curve, che danno l' intensità magnetica nei varî punti delle due basi, hanno forma diversa; per esempio mentre una ha il massimo ed il minimo molto marcati, l' altra si avvicina ad una linea retta; ora i massimi ed i minimi delle due curve non si corrispondono, in modo che non rimangono tutti nel piano della se- zione normale; ora l'andamento di una curva è irregolare, tanto che si pos- sono avere da punto a punto delle polarità diverse. In tutti questi casì il calcolo dà per inclinazione dell'asse magnetico dei valori i più strani ed affatto conciliabili colla direzione della forza magnetizzante. È chiaro, che quando si tratta di oggetti da noi collocati per la cottura in una voluta posizione, riesce facile constatare la presenza di tali anomalie, perchè o si manifestano per mezzo delle irregolarità sopra esposte, se la forma degli oggetti permette di determinare la distribuzione del magnetismo su ambidue le basi, oppure se ne deduce la presenza dal valore, che si ot- tiene per l' inclinazione dell'asse magnetico, se le misure sono eseguibili solo ad una base. Quando invece ci venga proposto di esaminare un oggetto di — 249 — già cotto, come sarà il caso dei vasi etruschi, si possono constatare le ano- malie unicamente se le misure sono effettuabili su ambedue le basi, ed allora ci troviamo ancora in condizioni di sapere se si debba o no prestare fede ai risultati ottenuti; ma non si può avere alcun controllo sull’attendibilità di questi, qualora per la forma degli oggetti si facciano le misure solo ad una periferia, a meno che non si abbia a propria disposizione un numero grande di oggetti cotti tutti nella stessa orientazione. Nello studio da me fatto, e che verrà in seguito esposto, per stabilire il valore dell’ inclinazione magnetica all’epoca etrusca, mi sono quasi sempre trovato nelle peggiori condizioni, perchè i vasi etruschi per lo più a forma sferoidale non si possono studiare che alla base. Mi venne allora l'idea di provare se in casi simili sia di aiuto l'esame della distribuzione del magne- tismo attorno alla zona di massimo diametro dell’oggetto (ben inteso quando questa fosse affatto priva di appendici): collocai a tal uopo alcuni boccali da me cotti col loro asse verticale all'altezza conveniente affinchè il loro ventre corrispondesse all’ago dell’ intensimetro, e feci le misure girandoli attorno al loro asse successivamente di 30°, fino a che aveva compiuta la rotazione. La prova diede risultati sodisfacenti. Per maggior chiarezza sup- pongo che la fig. 7 rappresenti la sezione normale di uno dei miei oggetti, e sia 7s la direzione del campo magnetico terrestre. Si sa di già allora, sche in @ si ha un massimo nord ed in c un mi- È nimo sud: sicchè partendo da 4 la quantità di ma- gnetismo libero deve successivamente diminuire, fin- chè in un punto o essa è zero e poi cambia pola- rità. Analogamente in d si forma un minimo nord ed in d un massimo sud, per cui partendo da 2 verso d il magnetismo nord diminuisce per cambiare presto di segno in 0': 00' è quindi la linea neutra, o meglio la proiezione del piano, che divide nell'oggetto il magnetismo libero nord da quello sud. Ora nei casi in cui non si verificano anomalie ho sempre tro- vato in a’, punto che appartiene alla sezione normale un massimo nord, ma d'intensità molto minore di quella in 4, ed in 2’, pure punto della sezione normale, un massimo sud: nei punti intermedi della zona ad’ l'in tensità magnetica andava variando regolarmente da un limite all altro. Nei casi invece in cui l'inclinazione dell'asse magnetico mi risultava eccezionalmente diversa da quella che doveva essere, ho trovato il massimo o il minimo od anche ambidue non in a' e 2' ma spostati pertino di 60°. Da ciò si comprende, che anche in oggetti di già cotti, e per i quali non sì conosce la direzione in cui ha agito su essi il campo magnetizzante, si può giudicare se esistano o no delle anomalie nella distribuzione del magnetismo usando di quest’ artificio ora esposto, ed io l'ho utilizzato, come vedremo, quasi sempre nello studio dei vasi etruschi. RenpIconTI. 1896, Vor. V, 2° Sem. 32 d en a 7) DIG î (2) — 250 — Fisica. — Sopra un punto della teoria dei raggi catodici. Nota di A. GARBASSO, presentata dal Corrispondente NACCARI. Presentemente le ipotesi più in voga su la natura della radiazione ca- todica sono due: quella della materia radiante e quella delle vibrazioni tra- sversali. Dal primo punto di vista si considerano i raggi catodici come getti di particelle elettrizzate, dal secondo come raggi di oscillazioni, affatto simili a quelle della luce ordinaria 0, meglio, della luce ultravioletta. Oggetto di questa Nota è di confrontare fra loro i resultati delle due teorie per il caso in cui si suppone che la propagazione dei raggi catodici abbia luogo in un campo elettrostatico o in un campo magnetico. Secondo esperienze istituite appositamente dall’ Hertz (!), i raggi catodici ordinarii non subiscono alcuna deviazione o deformazione quando attraversano un campo elettrostatico; la cosa del resto, almeno entro certi limiti, si po- teva prevedere. Nel tubo di scarica, infatti, esiste un campo elettrico e, ciò nonostante, i raggi catodici si propagano in linea retta, in direzioni, che non sono influenzate per nulla da quelle delle forze (*). Recentemente però il Jaumann è riuscito (3) a produrre dei raggi cato- dici, debolissimi, che non vanno più in linea retta, e risentono le azioni elet- trostatiche. Nell'ipotesi della materia radiante si intende come avvenga questo, e come l’esistenza dei nuovi raggi trovati dal Jaumann si concilii con quella dei raggi del Crookes. Il problema è analiticamente quello del moto di un corpo, che attraversa la sfera d'azione di un centro attraente. Se la velocità di traslazione è molto grande, la traiettoria è sensibilmente rettilinea; se no si incurva. In questo caso il moto può essere facilmente perturbato. Resta a vedersi se si possa ottenere qualche cosa di simile nell'ipotesi delle vibrazioni trasversali. Date le leggi secondo le quali la luce si propaga, non mi sembra vi sia altro modo per intendere come un raggio luminoso possa avere una forma diversa dalla rettilinea, che di supporre l'indice di rifrazione variabile da punto a punto nel mezzo. È quello che succede nel caso del miraggio e in quei curiosi fenomeni di diffusione di liquidi in liquidi, che furono recente- mente studiati dal Wiener e dal Macé de 1’ Épinay. (1) H. Hertz. Wied. Ann. XIX, 1883. (2) H. Hertz. ll. c. (3) G. Jaumann. C. R. CXXII, 1896. — 251 — Nel caso che ci occupa bisognerebbe dunque ammettere che, sotto l’ a- zione di un campo elettrico, le costanti che definiscono la velocità di propa- gazione della luce, in un gas molto rarefatto, si alterano. Dalla Nota del Jaumann non si ricava nulla di preciso su le traiettorie percorse dai raggi catodici « deboli ». A noi però può interessare di vedere se sia possibile immaginare una tale distribuzione dell'indice di rifrazione, da produrre gli stessi effetti, che sono previsti dall'ipotesi della materia ra- diante. Per precisare meglio le cose consideriamo, p. e., il campo dovuto ad un unico punto elettrizzato; il problema si riduce a questo: trovare una di- stribuzione tale dell'indice, che la traiettoria di un raggio di luce sia una conica. La quistione è risolubile e fu già risolta dal Mathiessen (!) in altra occasione. L'indice riesce una funzione della distanza da uno dei fochi della traiettoria. È inutile insistere su questo argomento. Basti aver accennato che, al- meno analiticamente, la teoria delle oscillazioni può rendere in questo caso gli stessi servizii che la teoria corpuscolare. Naturalmente per comprendere, nell'ipotesi delle vibrazioni, come i raggi « deboli» siano deviati, mentre i raggi ordinarii non lo sono, bisognerà am- mettere l’esistenza di raggi catodici di varie specie, per esempio di varie lunghezze d'onda. Le forze magnetiche esercitano sopra i raggi catodici delle azioni più sensibili e meglio conosciute di quelle esercitate dalle forze elettriche. Si sa infatti da gran tempo che i raggi catodici si deformano in un campo magnetico. Se il campo è uniforme essi prendono in generale una figura elicoidale, rimangono curve piane e sono, all'ingrosso, cerchi se si pro- duce il campo in direzione normale a quella iniziale di essi. Il Riecke ha mostrato, fin dal 1881 (2), che l'ipotesi corpuscolare rende conto assai bene di questi fatti. Le traiettorie riescono tanto più deformate, a parità dell’ altre condizioni, quanto più cariche e meno veloci sono le par: ticelle, di che risultano i raggi. Nella teoria delle vibrazioni bisognerà fare anche quì un'ipotesi analoga a quella, che si fece per il caso studiato avanti. Bisognerà supporre cioè che, per effetto delle forze magnetiche, l'indice di rifrazione venga a dipendere dalle coordinate. E si dovrà vedere se, date le condizioni del problema, sia possibile ima- ginare una tale funzione, per l'indice, che il raggio diventi elicoidale. Ora si può mostrare che questo n0x è. (1) L. Mathiessen. Exner's Repertorium. XXV, 1889. (*) E. Riecke. Wied. Ann. XIII, 1881. | — 252 — Per fare la dimostrazione bisogna anzitutto ricavare le equazioni della traiettoria del raggio luminoso. A tale scopo basta scrivere le condizioni perchè sia: (1) 9 Ji nds — f 9 (nds) = f (Onds + ndds) = 0. Faremo il calcolo in coordinate cilindriche (9 . g . 2), perchè sono quelle, che si adattano meglio alla nostra quistione. Sarà: da= 3 de +59 +05; 2 dds = 0 (2) dsde +3 ne dio + 0 ed dig +5 sai dda, avendosi : ds? = do? + o*dyp* + de? . Sicchè la condizione (1) prende la forma: (S dn dn GNA 2 do dg < — d —_—_ = led —L ZL Ji do o0+ % dp nix 10: ds + n 7 dsdo ng sido + 0 x ddg e ossia, integrando per parti i termini, che contengono i differenziali delle va- razioni, e ordinando: Ste) ala) +e ae dm d "È Quindi le equazioni del raggio saranno: ww dp\°__d(_de SL ae(0) dd 9, 2) deli (neo. (*) Queste tre equazioni, come è naturale, non sono tutte indipendenti. Basta infatti e sommare membro a membro per ottenere de dp da ds’ ds’ ds moltiplicarle rispettivamente per un’identità. — 253 — Se si vuole che la traiettoria seguita dalla luce sia un’ elica, bisognerà porre: oj—Ri, dp gr > dz RE intendendo che R, a e d siano tre costanti, che soddisfano alla relazione: R?a? + (DES | Con queste posizioni la prima delle (2) diventa D noa? + È =0 e le altre due assumono entrambe la forma: Ora, in un campo magnetico uniforme tutto dipende da una sola varia- bile; per una scelta conveniente del sistema di riferimento dalla sola &. Se dunque 7 deve dipendere dal campo, e non da altro che dal campo, deve essere una funzione solamente di z. Ciò è compatibile con le equa- zioni se: noa° = 0, ag —=0. Non v'è altro modo di soddisfare a queste relazioni (senza escludere la propagazione) che di porre: =) oppure a=0. Nel primo caso si ha l’asse delle 2, nel secondo una retta parallela ad esso (1). Sicchè se le superficie di ugual indice sono piani paralleli, non è possi- bile che la luce percorra una traiettoria in forma d’ elica, salvo che l’ elica non degeneri in una retta normale a quella famiglia di piani. Se ne conclude che l'ipotesi delle vibrazioni trasversali (come s' era an- nunciato) non può spiegare la deformazione dei raggi catodici in un campo magnetico uniforme. (*) La ricerca si poteva condurre anche in un altro modo, facendo vedere che, se le superficie equiindiciali sono piani normali all’ asse 2, le traiettorie sono contenute in piani paralleli a quest’ asse. Ora le eliche, che hanno l’asse nella direzione 2 e sono contenute in piani paral- leli a 4, sono appunto le rette parallele a 2. — 254 — Chimica. — S/ so/furo d'azoto. Nota preliminare di A. An- DREOCCI, presentata dal Socio S. CANNIZZARO. R. Schenck (*) alcuni mesi fa, col metodo crioscopico in naftalina, deter- minò la grandezza molecolare del solfuro d' azoto sin' allora rappresentato colla formola N° S° e trovò che invece gli compete la formola doppia N* S*. Spiegò la formazione del solfuro d'azoto, per azione dell’ ammoniaca sul bicloruro di zolfo, e ne interpetrò la struttura nel modo seguente: HNNH NCÎ>N 4SCIP+4NH° —8HCl= | 3 [|»>+2SC2—4H0—S=| $ || HN<3>HN N<>N Comp. intermedio Solfuro d’azoto Egli trova questa possibile struttura del solfuro d'azoto d' accordo colle già note reazioni di questa sostanza e con quelle da lui osservate; dimostra che gli atomi di zolfo sono attaccati per mezzo dell'azoto, e non direttamente fra loro, perchè quando fa agire le ammine grasse secondarie sul solfuro di azoto ottiene le tiodiammine Ska È, e mai le ditiodiammine SR Do Inoltre la rassomiglianza del solfuro d'azoto coi diazocomposti per il colore e per l’esplosività ed anche il fatto che non si combina coi joduri alchilici, gli parlano in favore d'un legame complesso fra azoto ed azoto e così viene a considerare il solfuro d'azoto qual derivato dell’ ipotetica idra- zina H*°N=NH?, che quando tenta di metterla in libertà, coll’ azione delle ammine secondarie, essa immediatamente si scinde in questo modo: 3H°?N:NH°=4NH? + N° Contemporaneamente A. Clever e W. Muthmann (*) studiarono l' azione del bromo sul solfuro d'azoto e dell’ipoazotite sul solfuro d'azoto e sui prodotti bromurati da loro ottenuti. Io ho ripreso lo studio dei due prodotti di addizione del solfuro d' azoto col cloro studiati da Demarcay (3), uno giallo ed uno rosso, ai quali furono assegnate le formole NSCI e (NS)?C1, oppure N°S°C1? e (N?S°)*C1* perchè dopo le ricerche di Schenck, sopra rammentate, queste formole semplici non potevano essere più accettate senza un nuovo controllo. Per ora comunico i (') L. Ann. CCXC, pag. 171. (2) Berl. Ber., XXIX, pag. 340. (3) Comp. Rend. 1880, XCI, pag. 854. — 259 — risultati ottenuti col cloruro giallo e rimando lo studio dell'altro già ini- ziato ad una successiva comunicazione. Solfuro d'azoto. — Anch'io, modificando le condizioni date da Fordos Gelis (!), ho preparato con buon rendimento il solfuro d'azoto ed ho trovato, come Schenck, che quando il solfuro d'azoto è puro fonde a 178°-179° e non a 160°. Ho rideterminato la sua grandezza molecolare col metodo ebullioscopico in benzolo e tetracloruro di carbonio, come risulta dai seguenti dati che come quelli ottenuti da Clever e Muthmann col solfuro di carbonio, confer- mano la formola N4S* data dallo Schenck: Peso ; Inalzamento TORRI Solvente Concentrazione ME Vesslo olato: |per N*84,184) | |, #0 1al42 | 0,170 184 Rea 1,703 0,240 189 enz a Ò Dio Ù 3,727 0,515 193 I 4,649 0,635 195 Tetracloruro di 0,861 0,242 187 carbonio (2). 1,007 0,273 194 ( 0,513 0,140 193 Ten 1 0,607 0,175 182 0,939 0,245 201 Clorosolfuro d'azoto giallo. — Demargay (*) preparò il clorosolfuro d'azoto giallo facendo passare una corrente di cloro sul solfuro d'azoto sospeso nel cloroformio; lo descrisse come un composto cristallizzato in grossi prismi giallo-pallido, brillantissimi, che si decompone rapidamente coll’umidità, e che si scinde col calore parzialmente in azoto e proto cloruro di zolfo: quest'ultimo poi si combina al clorosolfuro d'azoto restato per dare composti più stabili e notò che questa trasformazione avviene anche alla temperatura ordinaria, quando si lascia per qualche mese a sè la soluzione cloroformica. Io ho ripreparato il detto clorosolfuro d'azoto sostituendo il cloroformio col tetracloruro di carbonio e per evitare le perdite dovute alla solubilità, volatilità, facile decomposizione col calore, e specialmente coll’ umidità, che altera questo cloruro rapidissimamente come se fosse pentacloruro di fosforo, (1) L. Ann. LXXVIII, pag. 71; LXXX, pag. 260. (*) La costante ebullioscopica del cloruro di carbonio è 52,6. Ho voluto determinare sperimentalmente questa costante, come si potrà rilevare nello specchio posto infine della presente Nota. (3) Loco citato. Ù f lì I roviiao ina -_ «re — 256 — mi servii di un apparecchio a due palloncini comunicanti, il quale mi per- metteva di operare in atmosfera di cloro secco, di far passare la soluzione a 45° del clorosolfuro dal recipiente ove si era formato nell'altro ove si cri- stallizzava, e quindi di far ritornare il liquido nel primo per trasformare nuovo solfuro d'azoto, senza aggiungere solvente e fare entrare aria. La prima volta feci reagire due grammi di solfuro d'azoto in sottili cristalli (') sospeso in 25 cc. di tetracloruro di carbonio e successivamente quantità di solfuro proporzionali al solvente. Il clorosolfuro d'azoto si conserva benissimo nel cloruro di carbonio; in- fatti i cristalli (preparati due mesi fa) posseggono ancora la primitiva lim- pidezza ed asciugati rapidamente fra carta, all'analisi dànno i seguenti va- lori, che corrispondono per la forma NSCI, o per un multiplo di questa: Gr. 1,0165 di cloro solfuro d'azoto richiesero cc. 238,8 di acido solforico Le 20 per saturare l’ammoniaca e dànno gr. 2,8174 di SO* Ba e gr. 1,7612 di AgCI. calcolato per NSCI trovato N 17,18 16,44 S 39,26 38,07 CI 43,56 42,86 Cristallizza anche per raffreddamento e senza alterazione da una solu- zione satura e tiepida di benzol anidro; in questo solvente ho potuto deter- minare la sua grandezza molecolare col metodo crioscopico (?) usando le dovute cautele per evitare ogni traccia d'umidità. I risultati sono riuniti in questo specchietto : Concentrazione 1,959 abbassamento termometrico 09,28 peso mol. 346 ” 1,230 7 ” 0, 20 7 307 ’ 0,955 ) 7 0, 16 ’ 311 per N*4S* Cl* il peso molecolare è 326. Da questi dati risulta, che al clorosolfuro d'azoto in luogo delle for- mole NSCI, oppure N°S°C1* appartiene la quadrupla N*S*C14, la quale è d’ac- cordo con quella del solfuro d'azoto N*S* e nello stesso tempo presenta un certo interesse, poichè viene ad avvalorare l’ ipotesi di Schench, che il solfuro d'azoto abbia una struttura ciclica (8). (1) Per evitare la pericolosa operazione del polveramento del solfuro d’ azoto ho di- sturbato la sua cristallizzazione onde avere una polvere cristallina sufficientemente tenue. (2) Ho tentato di determinare il peso molecolare del clorosolfuro d’ azoto ebulliosco- picamente col tetracloruro di carbonio, ma i risultati non sono soddisfacenti, perchè in- comincia a decomporsi anche alla temperatura d’ebollizione di questo solvente. (3) Anche A. Clever e W. Muthmann (loco citato), quantunque non abbiano determi- nato i pesi molecolari dei bromo solfuri d’ azoto da loro ottenuti, pure hanno assegnato a questi composti formole, che sono in armonia con quella del solfuro d'azoto N*$S*. — Qui — Dalla struttura del solfuro d'azoto potrebbe derivare per il clorosolfuro d'azoto giallo la costituzione CIN <> NO I Il CIN<3>NC1 Però sembra che in questa sostanza gli atomi di zolfo non si trovino, per lo meno tutti, allo stato bivalente, ma invece tetra, poichè in soluzione benzolica l’acqua moderatamente la decompone in anidride solforosa e cloruro d'ammonio come se avvenisse la seguente reazione : N4S*'C1* + 8H?0 = 450° + 4NH®. H C1. Se invece l'acqua agisce direttamente, ma però in certa quantità da impedire un notevole aumento di temperatura, il clorosolfuro d'azoto si decompone con annerimento e lascia insoluta una polvere bruna, la quale è costituita in parte da solfuro d'azoto, che ho potuto identificare per le sue proprietà sì caratteristiche compresa quella del punto di fusione. Da ciò si deduce che una parte del clorosolfuro subisce la reazione sopra indicata, e che un'altra porzione viene ridotta dall’ anidride solforosa a sol- furo d'azoto. Invero il clorosolfuro d'azoto ha tutti i caratteri d'un prodotto d’' addi- zione facilmente dissociabile; esso si scinde infatti parzialmente per azione del calore per generare il cloruro rosso ed altri composti, e per azione del- l'ammoniaca a freddo l’ ho potuto facilmente ritrasformare nel solfuro d' azoto. L'alcool etilico e metilico assoluti ed il fenol lo decompongono pure; ed ora ho iniziato le ricerche per stabilire se essi si comportino come l’acqua. Facendo passare una corrente di acido cloridrico secchissimo nel solfuro d'azoto sciolto in benzolo anidro ho ottenuto è un precipitato giallo chiaro, meno alterabile all’ umidità del clorosolfuro (SNC1)4, che però l’acqua fredda lo decompone dopo qualche minuto e se tiepida immediatamente. Mi riservo lo studio di questa sostanza, dell’azione degli idracidi sul solfuro d'azoto e quello delle reazioni suaccennate colla speranza di aver qualche luce sulla struttura di tali singolari composti dell’ azoto. Determinazione della costante ebullioscopica del tetracloruro di car- bonio.— Il tetracloruro di carbonio di Kalbaum, reso anidro, bolliva a 758" fra 76°,1 e 76°,2 ederano purissime anche le sostanze impiegate come corpo sciolto. La costante d'inalzamento molecolare calcolata mediante la formola di van't Hoff e colle calorie di evaporazione 46,35 (trovate nelle Phys. Chem. Tabellen di H. Landolt e R. Bòrnstein, 1894, pag. 347) è 52,6. Colla naf- talina e l’acenaftene ho ottenuto valori molto vicini al calcolato ‘anche raggiungendo la forte concentrazione del 5 per °/0; così per una concentra- zione non superiore all'uno per °/, col solfuro d'azoto e col fenol; invece coll’ uretano e coll’ acido benzoico valori anormali anche per concentrazioni inferiori all'uno per cento come si rileva dal seguente specchio : RenDpICONTI. 1896, Vor. V, 2° Sem. 38 og 513 | og | 189° | 218 | OIS°T | #98°9 | 909 94% | esso | #83 | 0998 | 008T | 6088 | == = = 9‘0p | cO0T | Sese | 087 z'og | como | sort | rev | svL'o | FEIT | 0° ‘ 6 € ‘ 6 ‘ € dee GEO RO LE doao OLL'O | 66 | etpon OS 8‘82| 0720 | 888 | 18 | osso | 7890 !___ ss L°63l como | 7991 | 614 | Sotto | 08840 | 67 | 0840 | 660 | 667 L'08 £$:0 48640 | 2°‘44 | sorto | 9610 | 618 SI80 0290 | 2° IGO 19840 | #°8c | ozI°0 | 9780 | 8‘IS | SLI°0 | 3670 (0) 0 0 ti Re e ES ds aQ = Q È (©) a a a ln) Hi to) 2) Hi Ò E Hi 6 ln) DU S Hi tu Hi pa FR SB SE Ed 8 È 35 5 2È 33 È SÈ E 5 È 8 | SB È E | BE E sd fa S SE 36 RI DE SÒ T SE RIE Ri SE SS T sE GE T RE | &8 SÌ RE TS S, REI TE S. EI ES S, RE SE S. 58 TS S ® © SE 8 CHE aa 8 © Ss Si 8 do SF 3 es SES 8 es DE È SI 91E[098[0w1 0S0qg 68 Q1E[000]OUI 0SOq #6 Q1e[090[0w1 0s0g 8] 91g[000]0w 0S04d $S] 01e]090[0W1 0S04 8ZI QI1e[09e[our seg 30 sH,0 000zuq OpIioy N30 ,H gd 0UEZNA OSH 99 I0U0H yS sN 090ZE.p 0INJIOS orH z19 9U9HeuSIy sH ox CUICIEN Chimica. — Sulla preparazione della metaxilidina vicinale (1). Nota di A. MioLATI e A. LOTTI, presentata dal Socio CANNIZZARO. Facendo agire a temperatura inferiore ad 8° sul metaxilolo puro, un determinato miscuglio di acido nitrico e solforico si ottiene, secondo Nòlting e Forel (), oltre a quantità rilevanti di binitroxilolo, una miscela dei due nitroxiloli CH; CH; il primo dei quali fu separato dal secondo per distillazione frazionata. Questo metodo di preparazione però, non sì raccomanda nè per il rendimento, nè per la purezza del prodotto. Lo stesso può dirsi dei metodi seguiti prima dal Grewingk (3) e dallo Schmitz(‘) sebbene però si arrivi a prodotti i quali offrono una maggiore garanzia di purezza. Grewingk partiva dal nitrometaxilolo ordinario NO, DD CH; oh CH; e da esso otteneva e separava poi, per cristallizzazione frazionata, i due bi- nitrometazxiloli CH; CH; NO» NO; CH; CH; NO, NO, (1) Lavoro eseguito nell'Istituto chimico della R. Università di Roma. (è) Ber. XVIII, 2674 (1885). (3) Ber. XVII, 2422 (1884). (4) Liebig's Ann. 193, 179. A IMI = I Pu, EST vi ed WEI > 1 _ pi c4 sug Si © Rat ge i o Ae Jes pari SEASON e": TR SLI mag dune fece i oi nia lar ie aan sr LSR Ea pi udire Pi na Tn RT Ls a I - ci 11] — 260 — Riducendo convenientemente il secondo, che in confronto al primo si forma in quantità esigue, otteneva dapprima la nitroxilidina CH; CH; H,N NO, APYNO da questa il nitroxilolo si CH; 7 CH; » e per riduzione ulteriore la corrispondente base. Lo Schmitz cercò invece di arrivare alla metaxilidina vicinale per una via indiretta. Nitrando l'acido mesitilenico si hanno i due acidi nitrome- sitilenici CH, CH; NO, 7 NO, e mC COOH CH; COOH SS il primo dei quali però quasi esclusivamente. Si separano per cristallizza- zione frazionata, si riducono a acidi amidomesitilenici e si elimina il gruppo carbossilico distillando sulla calce. Lo Schmitz però ottenne con questo me- todo una così minima quantità di metaxilidina vicinale, da non averne nep- pure a sufficienza per fare l’acetilderivato e caratterizzarlo col punto di fusione. Siccome a noi, per i nostri studî Su/la velocità di composizione delle sei xililsuccinimmidi isomere (!), occorreva avere una certa quantità di me- taxilidina vicinale, cercammo di arrivare a questa base per un'altra via, la quale, senza render necessario partire da forti quantità di sostanza, non ci conducesse, come i metodi sopracitati, a grandi quantità di prodotti secon- darî, e ci fornisse una base perfettamente pura dagli altri isomeri. Da quanto sì è sopra riferito risulta chiaramente una cosa, che la difficoltà maggiore è quella di introdurre un gruppo nitro tra i due metili, senza che le altre po- sizioni vengano sostituite. Questa difficoltà non solo non deve sembrar strana, ma è da considerarsi perfettamente concordante coi numerosi fatti ricordati negli ultimi tempi, i quali dimostrano la difficoltà di reagire degli atomi o gruppi atomici uniti ad un carbonio del nucleo benzenico le cui due posi- zioni orto sono sostituite. La via però che potevasi tentare per raggiungere lo scopo, ci era da questo fatto stesso indicata. Introdotto il gruppo nitro una volta tanto tra i due metili, pur anche sostituendo altri idrogeni del nucleo benzenico, esso si sarebbe dovuto eliminare più difficilmente degli altri gruppi e rimanere infine solo. (') Rend. d. R. Acc. dei Lincei, vol. V (1), serie V®, 88 (1896). — 261 — L'esperienza ha infatti corrisposto perfettamente alle previsioni. Il me- todo che più sotto indichiamo ci ha permesso d'arrivare alla metaxilidina pura dagli altri suoi isomeri, con un soddisfacente rendimento pur partendo da quantità modeste di prodotto primitivo. I lavori di Luhmann (!), di Bussenius e Eisenstuck (2) hanno fatto cono- scere l’esistenza di un trinitrometaxilolo, al quale in base a tutte le ana- logie deve attribuirsi come probabile la costituzione CH, NOZIO N05 CH3 NO. Esso si ottiene facilmente dal metaxilolo per un trattamento energico e pro- lungato con acido nitrico fumante. Facendo agire l'idrogeno solforato sulla soluzione alcoolica ammoniacale di questo composto, esso viene ridotto più o meno completamente, e i citati autori hanno ottenuto una mescolanza in proporzioni variabili di una mono- ammina e di una diammina. Queste due basi possono venire completamente separate trattandole con acido cloridrico diluito, il quale scioglie completamente la diammina e solo parzialmente la monoammina. Noi abbiamo proceduto poi così. La soluzione cloridrica separata dalla monoammina e dallo zolfo, veniva precipitata fra- zionatamente con lisciva alcalina. La prima parte che precipita è costituita da monoammina, e colorata in giallo citrino, in seguito poi precipita la di- ammina di color giallo aranciato e che si depura lavandola con acqua e cri- stallizzandola dall’ alcool. La monoammina rimasta indisciolta nell’ acido clo- ridrico si secca, si libera dallo zolfo per ripetute estrazioni con solfuro di car- bonio e viene unita poi alla prima parte precipitata dall’acido cloridrico. Essa può venire trasformata completamente e con molta facilità in diammina se si riscalda a 100° in tubi chiusi assieme a solfuro ammonico alcoolico. Il riscaldamento si protrae ur paio d'ore, e il rendimento in diammina è quasi il teoretico. Abbiamo tentato di ridurre in questo modo direttamente il trinitrome- taxilolo, ma la riduzione non ha dato risultati molto soddisfacenti ; il rendi- mento in diammina è del 50-60 °/,, e questa trovasi mescolata con una so- stanza bruna di aspetto carbonioso. (1) Liebig?s Ann. 144, 274. (*) Ibidem, 113, 156. III — 262 — La costituzione delle due ammine si può prevedere molto facilmente; essa è probabilmente rappresentata dalle formule di struttura seguenti: CH; CHs HiN- NO; NH; NO, ( L CH; CHy NO» NH, in armonia anche con quanto ha osservato il Grewingk ('), il quale dal bi- nitrometaxilolo CH; CH3 NO, NO; ottenne la nitroxilidina 3 CH, CH; NO, NH, L'eliminazione dei due gruppi ammidici non si poteva ottenere col me- todo ordinario di diazotizzazione in soluzione acquosa, perchè, come è noto, la diazotizzazione delle metadiammine conduce a speciali sostanze coloranti brune. Si cercò nullameno di fare avvenire direttamente la sostituzione dei due gruppi ammidici coll’idrogeno, operando in condizioni nelle quali il dia- zoderivato si decomponesse subito e non avesse così il tempo di combinarsi colla parte di diammina non ancora trasformata. È noto che Sandmeyer (2), operando in condizioni tali, ha potuto sostituire nella metafenilendiammina i due gruppi ammidici con due atomi di cloro e arrivare così alla metabi- clorobenzina. Noi abbiamo perciò fatto passare una corrente di vapori nitrosi (dall’ ani- dride arseniosa e acido nitrico) in una soluzione alcoolica della diammina man- tenuta all'ebullizione. Si è osservato che il rendimento migliore si ottiene quando si faccia passare nella soluzione la corrente di vapori nitrosi per breve tempo, e precisamente soltanto finchè si nota lo sviluppo d'azoto in piccole bollicine. Così ad esempio trattando 5 gr. di diammina rispettiva- mente per */, d'ora, per 1!/, e per 2 ore sì sono ottenuti 2 gr., 1 gr. e 0,70 gr. di nitroxilolo. Dopo aver distillato la maggior parte dell’ alcool, il residuo viene trattato con acqua e distillato in corrente di vapore. Passa al- lora il nitroxilolo come un olio giallo più pesante dell’acqua, il quale ri- preso con etere viene lavato con idrato sodico, per esportare gli xilenoli che possonsi essere formati, e poi distillato. (1) Loe. cit. (2) Ber. XVII, 2652 (1884). — 263 — Si può anche far gocciolare la soluzione idroalcoolica concentratissima del solfato di diammina, nel nitrito d’etile raffreddato con ghiaccio, portare poi la miscela all’ ebullizione, e mantenervela fino allo sviluppo completo del- l'azoto, procedendo poi come sopra. Il nitroxilolo, ridotto con ferro ed acido acetico, dette una base, il cui punto d’ebullizione 210°-212°, come pure il punto di fusione del derivato acetilico concordavano rispettivamente col punto d'ebullizione della base di Nolting e col punto di fusione del suo acetilderivato. Il fatto poi che la succinimmide da noi preparata con questa base, risultò più stabile dei suoi altri cinque isomeri, concorda perfettamente colla costituzione della base stessa. Infine vogliamo accennare ad un'altra via che potrebbe condurre forse alla preparazione della stessa base, sebbene non ci sia stato possibile, per il passaggio di uno di noi nell'industria, completare le ricerche a tale scopo iniziate. Nitrando la paratoluilsuccinimmide CH. \a i a INA cole: con acido nitrico fumante, si ottenne una sostanza, la quale cristallizza be- nissimo dall'alcool in laminette tendenti leggermente al giallo aranciato e che fondono a 137°. Come è noto, nitrando l’acetoparatoluidina (‘) o la ben- zoilparatoluidina (*) si ottengono derivati della base CH; NH, NO, quindi noi prevedevamo che il composto fondente a 137° fosse pure un derivato di questa stessa base. La scomposizione con idrato potassico però, ci ha di- mostrato che il composto da noi ottenuto era NO, CH; N < e CO—CH, (1) Beilstein et Kuhlberg, Liebig*s, Ann, 155, 23. (2) Hibner, ibidem, 208, 313. —rrqim:a_os vi neRenat» 2 2° o ex Co aan _--3-- erette it nere re cr“ ento frena I tnt sani SV ire — 264 — La differenza di comportamento nella nitrazione tra il derivato acetilico e benzoilico da una parte e quello succinilico dall’ altra non può dipendere da una diversità di funzione chimica tra i gruppi, ma bensì deve esservi una ragione sterica. Noi sappiamo che nitrando un derivato parabisostituito, quando ambedue i sostituenti sono della medesima classe, il gruppo nitro va vicino (in posizione orto) al gruppo più piccolo ('). In seguito a questo risultato noi abbiamo tentato di nitrare la succi- nimmide nella speranza che il gruppo nitro entrasse a preferenza tra i due metili. L'esperienza ha dimostrato la formazione di due nitroderivati, di cui uno dava una nitroxilidina non conosciuta. Nitrando la metaxilidina simmetrica, si forma secondo Nòlting e Forel(°) soltanto il composto CH; H,N ) | NO, CH, Se l’esperienza non ha completamente corrisposto allo scopo, pure essa rende probabile che nella nitrazione di un derivato acido della metaxilidina simmetrica, opportunamente scelto, si possa giungere ad introdurre il gruppo nitro tra i due metili e arrivare così facilmente alla metaxilidina vicinale il cui studio dettagliato sarebbe sotto molti riguardi veramente interessante. Chimica. — Su un nuovo metodo di preparazione di alcune anidridi (*). Memoria di G. Oppo e 0. MANUELLI, presentata dal Socio S. CANNIZZARO. ( Sono descritti nella letteratura diversi processi per preparare le ani- dridi degli acidi mono e bibasici. Alcuni consistono nella eliminazione di- retta di una molecola di acqua relativamente da due o da una molecola di (1) Lellmann, Principien der organischen Synthese, Introduzione; Kehrmann, Ber. XXIII, 130 (1890). (2) Loc. cit., pag. 2679. (3) Lavoro eseguito nel R. Istituto Chimico dell’ Università di Roma. — 265 — acido per l'azione dei disidratanti, come l'anidride fosforica, il cloruro di ace- tile, l'anidride acetica ecc. Questo processo di disidratazione o non si compie, o con molta difficoltà e scarso rendimento negli acidi monobasici; per i bibasici dipende essenzial- mente dalla distanza dei due carbossili tra di loro e dalla presenza di ca- tene laterali unite agli atomi di carbonio intermedî. Così alcuni di quelli in cui i due carbossili sono in posizione 1,4 per semplice riscaldamento eli- minano una molecola di acqua. Si conosce poi una serie di processi indiretti che vengono adoperati spe- cialmente per gli acidi monobasici, come quello dell'azione sui sali dei clo- ruri degli acidi organici, sieno essi preparati o si formino nella prima fase della reazione facendo agire sui sali il tricloruro o l'ossicloruro di fosforo; l’azione dei cloruri acidi sui nitrati dei metalli pesanti, sui nitriti e così via. In tutti questi processi però è degno di nota che si è avuto il mag- giore scrupolo nel fare compire la reazione al riparo di qualunque traccia di umidità, impiegando quindi i sali fusi, ed ove occorressero, solventi anidri. Si conoscono tuttavia alcune anidridi di acidi bibasici abbastanza sta- bili rispetto all'acqua; basterà citare la ftalica e la canforica, e finalmente di alcuni acidi bibasici si conoscono gli eteri ed i sali, quando però si vo- gliono mettere in libertà gli acidi precipitano le anidridi. Ciò avviene in generale per gli acidi maleici bialchilati, come il dimetilmaleico o pirocin- conico, il metiletilmaleico, il dietiImaleico o xeronico. Avendo uno di noi (') ottenuto dal mononitrile dell’ acido canforico l’' ani- dride corrispondente agitando a temperatura ordinaria per qualche minuto la soluzione acquosa e leggermente alcalina del sale potassico con la quantità calcolata di anidride acetica, abbiamo ricercato se questa reazione singolare poteva estendersi ad altri acidi. I risultati ai quali siamo arrivati coi tentativi che finora abbiamo po- tuto eseguire, ci conducono ad ammettere che l'anidride acetica agisce sulle soluzioni acquose e leggermente alcaline degli acidi in condizioni speciali, delle quali la fondamentale è la distanza o tra i due carbossili, o tra un carbossile e l'atomo di carbonio che porta un altro radicale come — OH, — NH®, = N. Gli acidi bibasici nei quali la distanza tra i due carbossili è 1, 4 danno l'anidride e così dalla soluzione del sale sodico dell'acido o-ftalico neutra o leggermente alcalina, per l'aggiunta della quantità calcolata di anidride acetica precipita dopo qualche istante di agitazione la quantità teorica di anidride ftalica; lo stesso avviene per l'acido succinico, mentre gli acidi ossalico, malonico, glutarico, m.ftalico, p.ftalico precipitano inalterati od allo stato di sale. (1) Gazz. chim. ital., 1896, I, pag. 405. RenpIcoNTI. 1896, Vor. V, 2° Sem. 34 SS PIE ="--7% CROCE: ur 5 %Hu<00—0-00>% H+ H0 Anche questo comportamento unito alla formazione dell'anidride canfo- rica tenderebbe a dimostrare la posizione 1-4 dei due carbossili dell’ acido canforico, e che quindi l'ossigeno chetonico della canfora si trova in un tetra- metilene; così si spiegherebbe anche perchè questo nucleo appunto ha una grande tendenza ad aprirsi, come ha dimostrato recentemente uno di noi (!) che agitando la soluzione acquosa alcalina dell’isonitrosocanfora con anidride acetica ottenne il mononitrile dell'acido canforico : Concludendo, dalle esperienze che abbiamo sino ad ora eseguite si po- trebbe ricavare che l’azione della anidride acetica sulle soluzioni neutre o leggermente alcaline dei sali si svolge in funzione della distanza 1,4 degli atomi di carbonio, distanza, che, come è noto, è quella che stereometricamente avvicina di più i radicali legati a tali atomi di carbonio. Occorrono però molte altre esperienze per dare a queste poche osserva- zioni il valore di una legge. L'interpretazione dell’ andamento del processo è molto semplice. L’ani- dride acetica agendo sui sali forma le anidridi miste: 0 0 ac 0 (CO. CH;), CH,—C< ONa | O—0C—CH 1°. Do oNa UE =| Q_0CAt 2Na0;C.CH; CH,—CSG 0/(CONCH)MNCH,—C@ “o Do 0 OH sE H. (COCO, inc + Na0,C.0H; COONa 0.0. CO CH, (1) Gazz. chim. ital, 1896, vol. I, pag. 406. — 268 — Le anidridi miste però sono instabili, come ha recentemente dimostrato Rousset (*), e si decompongono nelle due anidridi semplici: CH C0—00c CH CH;—C0 00—CE; | =] TO Le CH. C0 020 C=CHA CH,—C0 0C—CH,; se queste hanno, come nel caso in cui i carbossili sono in posizione 1-4, la tendenza a formarsi; ovvero si trasformano nelle forme tautomere stabili che sono gli acetilderivati : OH ; 0.C0.CH GC Hi SH <0d0H se l’altro radicale per la vicinanza si presta a tale desmotropia. In tutti gli altri casi le anidridi miste che molto probabilmente si formeranno sempre nella prima fase sì disassociano semplicemente idrolizzandosi. La reazione l'abbiamo eseguita sempre su piccole quantità di acido (da 2 a 10 grammi) disciolti nella quantità calcolata o leggermente in eccesso di soluzione di idrato sodico concentrata; abbiamo aggiunta la quantità cal- colata di anidride acetica e quindi agitato sino a farne quasi scomparire l'odore, quando l'anidride che si formava era abbastanza stabile e si poteva separare per filtrazione. Nei casi nei quali l'anidride formata si idratava facil- mente l'abbiamo asportata subito con cloroformio. Il solvente e l'eccesso di anidride acetica venivano scacciati nel vuoto, alla temperatura ordinaria lasciando a lungo il residuo su potassa e paraffina. 1. Anidride succinica. Operando come sì è detto sopra, dopo aver agitato pochi minuti in im- buto a rubinetto l’ anidride acetica col sale sodico dell’ acido (5 gr. di acido) e mantenendo il tutto freddo sotto un getto di acqua, si separano dei fioc- chetti bianchi, che però continuando ad agitare si ridisciolgono, ma che si asportano facilmente con cloroformio. La soluzione nel cloroformio filtrata diverse volte rapidamente su carta asciutta, e ridotta nel vuoto a piccolo volume, per l’ aggiunta di etere anidro da precipitato alquanto abbondante di anidride succinica in polvere cristal- lina bianca p. f. 119°-120°. Disciolta in acqua cristallizza da questa l'acido primitivo fondente a 180°. (1) Bull. Soc. ch., serie 3%, XIII, 330. — 269 — 2. Anidride dell’ acido monometilsuccimico. Operando come per l'acido succinico si separano delle goccioline legger- mente giallognole che sono asportate dal cloroformio. Scacciato questo e l’ ec- cesso di anidride acetica che ancora non ha preso parte alla reazione nel vuoto, rimane un liquido denso che cristallizza solamente in miscuglio frigorifero, e cristallizzato fonde verso 30°; trattato con acqua ridà l'acido primitivo fon- dente a 110°-112°. 3. Anidride dell’ acido ortoftalico. Aggiungendo alla soluzione del sale sodico neutra o leggermente alca- lina la quantità calcolata di anidride acetica, basta agitare pochi istanti perchè si formi un abbondante precipitato bianco fioccoso che diventa tosto cristal- lino. Raccolto su filtro e lavato fonde a 128°. Il rendimento è pressochè teorico. 4. Anidride dell’ acido naftalico a, a,. La reazione avviene con la medesima facilità che per l’ acido ortoftalico. Il precipitato bianco abbondante, che subito si forma, raccolto e lavato con acqua fonde a 226°. Da questo abbiamo riottenuto l'acido che verso 150° si decompone nuovamente in acqua e nell’anidride. Qui pure il rendimento è pressochè teorico. o. Anidride dell'acido canforico. La reazione si compie come per gli acidi ftalico e naftalico. Così in poco tempo si possono trasformare grandi quantità di acido in anidride can- forica: punto di fusione 222°. Questo metodo di preparazione di anidridi si potrà forse impiegare per separare questi 3 acidi da miscugli complessi. 6. Acetilderivato dell’ acido m.ossibenzoico. Trattato il sale sodico con l'anidride acetica nel solito modo, agitando lungamente, il liquido diviene lattiginoso e l'etere ne estrae la parte oleosa formatasi. Scacciato il solvente e lasciando il residuo nel vuoto su potassa sino a che l'odore dell'anidride acetica è scomparso, si ha un prodotto oleoso che solidifica lentamente. Col cloroformio siamo riesciti a separarla in due porzioni, di cui l'una solubilissima e l’altra meno. La porzione più solubile, cristallizzata dalla benzina con l'aggiunta di ligroina, fonde verso 125°, punto di fusione dell’ acetilderivato dell’ acido m.0s- sibenzoico. All’analisi gr. 0,3500 di sostanza hanno dato gr. 0,7750 di CO, e gr. 0,1449 di H;0. In 100 parti. trovato calcolato per Cs HIS C 60,40 60,00 H 4,60 4,44 Il Îl — 270 — La porzione meno solubile è costituita da acido inalterato, che cristal- lizzato dall'acqua fonde a 200°. 7. Acetilderivato dell’ acido m.amidobenzotco. Dopo pochi minuti di agitazione del miscuglio della soluzione del sale sodico e di anidride acetica si ha un precipitato abbondante bianco che raccolto su filtro, lavato bene e seccato fonde verso 250°. Se non si agita sino a che più non si senta l'odore dell'anidride acetica, il liquido filtrato continua lentamente a separare dei cristalli fondenti pure verso 250°. Il prodotto sciolto in alcool assoluto e precipitato con ligroina, oppure cristallizzato dall'alcool assoluto, o dall'acqua fonde a 250°, punto di fu- sione dell’ acetilderivato dell’ acido m.amidobenzoico : all'analisi gr. 0,1569 di sostanza diedero cc. 11,5 di azoto misurati a 20° e 758mm, In 100 parti. trovato calcolato per Cs BI<0008 N 8,13 7,82 8. Imide dell’acido ortoftalico dall acido o.cianobenzoico. L’acido fu preparato col metodo di Sandmeyer e l’ olio ottenuto disciolto negli alcali a freddo fu agitato con anidride acetica ed estratto con etere. La soluzione eterea evaporata lascia un residuo cristallino che fuse a 225° e cristallizzato dall’ acqua fuse a 227°. Il prodotto era quindi l’imide dell’ acido o.ftalico. Fisiologia. — Alcune ricerche calorimetriche su una mar- motta. Nota del dott. U. DurTo, presentata dal Socio LUCIANI. Sullo strano fenomeno dell’ ibernazione alla quale vanno soggetti anche parecchi animali che occupano un alto gradino nella scala zoologica, sono state fatte, specialmento in questo secolo, numerose e svariate ricerche, sia per studiarlo nei particolari, sia per trovarne le cause. Mangili (') e Saissy (2), per non ricordare le più antiche osservazioni di Buffon (3), Spallanzani (4) ed Hunter (°), dopo avere descritto la vita ed i costumi (1) G. Mangili, Saggio di osservazioni per servire alla storia dei mammiferi s0g- getti a periodico letargo. Milano, 1805. Veber den Winterschlaf der Thiere, Reil’s Archiv fir Physiologie, B. VIII, S. 427. (?) A. Saissy, Recherches sur la physique des animaua hibernans ; Untersuchungen îiber die Natur der Winterschlafenden Siugethiere. Reil's Archiv fùr Physiologie, B. XII, S. 293. (3) Buffon, Histoire naturelle, 1749. (4) L. Spallanzani, Opuscoli di fisica animale e vegetale. (Modena 1780). (5) J. Hunter. Works. IV. — 271 — tanto di estate, che di inverno, degli animali ibernanti, ed in ispecial modo della marmotta, fecero delle importanti osservazioni sulla respirazione, sullo scambio respiratorio, sul sangue, sulla circolazione, sull’ eccitabilità muscolare, sulle secrezioni, ecc. ecc. Valentin (*), che da se solo ha prodotto, si può dire, un'intera lettera- tura sulla ibernazione delle marmotte, ha passato in rassegna tutte le modi- ficazioni che gli organi, le secrezioni e le funzioni subiscono durante il pe- riodo del letargo. Anche recentemente Quincke (2) ha pubblicato un lavoro sulla regolazione del calore nella marmotta, ammettendo un centro calorifico nel cervello che influenzi il ricambio della materia e la produzione calorifica. Ma nessuno, ad eccezione di Walther, di cui parlerò in seguito, ha trattato l'argomento di maggiore interesse, che avrebbe potuto gettare un po di luce sul fenomeno dell’ ibernazione, cioè lo studio della termogenesi mediante il calorimetro. Mangili, Saissy e Valentin hanno fatto delle misure termometriche sulla marmotta, ma solo per vedere quale era la sua tempe- ratura nelle diverse regioni del corpo, sia allo stato di letargo, sia allo stato di risveglio. Ma le misure termometriche, come già ho avuto occasione di dire altra volta, e come si vedrà anche più esplicitamente in questo lavoro, non chiariscono nulla sui complicati processi della termogenesi animale. Egli è per ciò che avendo potuto usufruire di una marmotta che era nel nostro Istituto Fisiologico, ho intrapreso su di essa una serie di ricerche calorimetriche, col calorimetro compensatore di D' Arsonval. Quando rivolsi la mia attenzione, verso la metà del mese di Maggio, sulla marmotta che da parecchio tempo era nel nostro Laboratorio, natural- mente essa non era nel letargo profondo come si avvera sulle Alpi o nei paesi freddi, come Mangili, Saissy e Valentin poterono osservare nei loro laboratori, di inverno, con basse temperature. Sebbene non si richieda una bassissima temperatura per farle cadere in letargo, perchè le marmotte dor- mono già quando la temperatura dell'ambiente è di alcuni gradi sopra lo zero (4° o 5°), tuttavia credo che in Roma, dove basse temperature si hanno solo eccezionalmente, difficilmente si possa osservare un profondo letargo. Pure, se non era quello della mia marmotta, il letargo profondo in cui la vita dell'animale pare del tutto cessata, in cui l’animale giace arrotolato come una palla, in cui non si vedono movimenti respiratori, e nel quale stato una marmotta può anche cadere da un metro di altezza, come ha visto Valentin, senza svegliarsi, era uno stato di semi letargo. La marmotta giace nella sua gabbia raggomitolata, nascondendo la testa contro il petto e l’ addome, compie dieci atti respiratorìî al minuto, anche (3) G. Valentin, Beitrige zur Kenntniss des Winterschlafes der Murmelthiere. Mo- leschott's Untersuchungen zur Naturlehre des Menschen und der Thiere 1856 Bd. 1 u. ff. (2) H. Quincke, Veber die Wirmeregulation beim Murmelthier. Archiv fir experi- ment. Pathologie u. Pharmakologie XV, 1. i Mt a li 5 PERSE DAS — 272 — toccandola non abbandona la sua posizione, non prende cibo, ed è ancora fornita di abbondante pannicolo adiposo. Tutto ciò è ben differente dallo stato in cui si trovano le marmotte di estate sulle Alpi od anche in istato di cattività. La loro vita estiva o vita di risveglio, è quanto mai vivace; esse fischiano all'appressarsi di qualche persona, cercano di fuggire dalla gabbia, mordono e graffiano. Siccome la marmotta era tranquilla, così credo di non andar errato, ammettendo che essa si trovasse in quello stato di sonno tranquillo che Valentin distingue come terza o quarta categoria, fra le cinque in cui egli divide il letargo, riserbando la quinta per il profondissimo grado di letargo. In queste condizioni feci le misure calorimetriche. Il giorno 20 maggio la marmotta pesava 1034 gr.: La sua temperatura nella piega dell’ inguine era 350,2 (1). Dal tracciato che segue ottenuto usando le grandi campane gassometriche del calorimetro, si ricava che essa emetteva circa 8,08 Ca all'ora. Da una media ricavata da molte misure fatte sempre nelle stesse condizioni e con temperature della cute che variavano da 350,2' a 850,4 si rileva ‘che la marmotta in quello stato sopraricordato di semiletargo, essendo la tempera- tura dell'atmosfera 15°, emette 7,95 Ca all'ora. 20 Maggio. — Marmotta del peso di fgr. 1034. Temperatura nella piega dell’inguine 35,2. — Ca all'ora 8,08. Riservandomi di fare delle misure calorimetriche nello stato di profondo letargo e con temperature esterne basse, e di confrontare poi con queste, le cifre ottenute nello stato di risveglio, ho voluto intanto vedere se c’era qualche differenza nella produzione di calore fra quest' animale ibernante ed un altro animale non ibernante per es. il coniglio. Risulta ora dalle mie esperienze che 7 conigli di peso uguale a quello della marmotta e col pelo dello stesso colore (*) emettono una quantità (1) Essendo fuori della gabbia ed in una posizione alquanto incomoda e coatta, per misurare la temperatura, essa si agitava ed aumentava gli atti respiratori. Non so se per questi sforzi si aumentasse un poco la sua temperatura, come già notò Valentin. Lo stesso dubbio mi nasce a proposito dei conigli, dei quali misuravo la temperatura in identiche circostanze e nei quali trovavo una temperatura superiore a quella che generalmente si attribuisce al coniglio. (®) In tutte queste esperienze ho sempre scelto conigli dal pelo bigio-fulvo, che è il colore più comune del mantello dei conigli, ed è uguale a quello delle marmotte; e ciò — 273 — minore di calore sebbene la loro temperatura sia di 4 0 5 gradi superiore a quella della marmotta. Presento una grafica fra le molte ottenute: 3 Giugno. — Coniglio del peso di gr. 1070. Temperatura nella piega dell’inguine 39,3. — Ca all'ora 5,77. Per assicurarmi meglio di questo fatto, e per mettere in maggiore evi- denza questo fenomeno inaspettato ed interessante, perchè forse getta un po di luce sul meccanismo dell’ ibernazione, ho rifatto l’ esperimento nel modo seguente: Siccome il calorimetro di D'Arsonval consta di due recipienti uguali, così ho pensato di valermi di tutti due contemporaneamente, facendolo servire come differenziale, mettendo in uno il coniglio e nell'altro la marmotta. Se la produzione di calore fosse stata uguale per entrambi gli animali, sì sa- rebbe ottenuto una linea O, cioè la continuazione del tratto iniziale compiuto a calorimetri vuoti, e parallela all’ascissa. In caso contrario si sarebbe ot- tenuto una linea o sopra o sotto il tratto iniziale. Operando in siffatto modo, e usando l'avvertenza di mettere nelle suc- cessive esperienze la marmotta ora nel calorimetro A ora nel calorimetro B, per essere sicuro che la differenza fosse indipendente da lievi dissimetrie dei due recipienti, ho ottenuto molti tracciati dai quali risulta che la marmotta (al calorimetro in cui essa veniva posta corrispondeva sempre il gazometro Coniglio del peso di gr. 950. Temperatura nella Marmotta del peso di gr. 950. Temperatura nella piega dell’inguine 39°. piega dell’inguine 85°. per evitare l’ influenza che il colore del tegumento esercita sulla irradiazione calorifica, studiata da Charles Richet. Questo chiaro fisiologo ha trovato, conformemente alle leggi fisiche sul calore raggiante, che un coniglio bianco irradia meno che uno grigio od uno nero. Per es. se è 100 il calore emesso da un coniglio bianco, 122 è quello emesso da un coniglio grigio, e 130 quello emesso da un coniglio nero. — Ch. Richet, Récherches de Calorimétrie, Archives de Physiologie, 1885, pag. 456. RenpIcONTI. 1896, Vol. V, 2° Sem. 35 I Il — 274 — scrivente) con temperatura cutanea inferiore a quella del coniglio, emetteva una quantità maggiore di calore nell'unità di tempo (!). Ora è nota l'influenza che la grandezza del corpo degli animali esercita sulla termogenesi, come ha dimostrato sperimentalmente Charles Richet per animali di diversa grandezza e di diversa specie (?). (1) Le temperature si misuravano tanto prima di mettere gli animali nei calorimetri, quanto ad esperimento compiuto; esse restavano invariate. (2) Ch. Richet, loc. cit. Nota. — Le leggi della dipendenza della produzione del calore dalla grandezza del- l’animale non si trovano nei trattati di fisiologia sempre chiaramente e precisamente esposte; p. e. si legge nell’ Hermann’s Handbuch der Physiologie B. IV, S. 409: «Danun die Wirmeproduction der Masse des Thiers nahezu proportional sein muss: die gesammten Wirmeverluste aber ungefihr proportional der Kòrperoberfiiche, so folgt daraus, dass von zwei sonst gleichen Thieren das gròssere relativ viel weniger Wirme verliert ». Credo quindi utile stabilire esplicitamente le formole che regolano quella dipendenza partendo dalle leggi fisiche della radiazione calorifica. Sieno due animali simili e che abbiano la medesima temperatura alla superficie della pelle. È chiaro che le quantità di calore che emettono, supposta costante la tem- peratura dell'ambiente, sono proporzionali alle loro superficie, e quindi avremo se Q e Q' sono il numero di calorie emesse nell’unità di tempo dai due animali ed S S' le super- fici del corpo a) La Q Ora in due corpi simili le superficie sono proporzionali ai quadrati di una dimensione omologa lineare e quindi sarà (2) D'altra parte i pesi dei due animali sono proporzionali alle terze potenze di una dimensione lineare e quindi sarà, se P e P' sono i loro pesi, RT - pi Eliminando il rapporto 2 fra (2) e (8) noi troviamo Sa SOI pie e quindi avremo che a QESDE (4) Que Ip IDE Ossia le quantità di calore emesse da due animali simili, della stessa temperatura ) 5 2 , 2 ma di diverso peso, sono proporzionali alle potenze 5 dei loro pest. Consideriamo ora la quantità di calore emessa relativa al loro peso a=3 Allora sarà per la (1) Q > CAM CAQ) Bi Pia na ques. P' 1°) Ossia le quantità di calore relative emesse da due animali simili della stessa tem- peratura sono inversamente proporzionali alle radici cubiche dei loro pesi. Questo risultato è molto interessante perchè mostra come in un animale più piccolo lo sviluppo di calore debba essere molto più attivo che non in un animale più grosso, relativa - mente al loro peso. È noto infatti, specialmente per le ricerche di Voit e Pettenkofer, che la quantità di Ossigeno assorbito e di CO? eliminato è relativamente più grande nell’ ani- male più piccolo. Ma per animali dello stesso peso, e presumibilmente della stessa su- perficie, o forse con superficie minore da parte della marmotta, (la quale ha gli arti meno sviluppati dei conigli, e tende sempre a foggiarsi a palla, anche nell’ interno del calorimetro) era da aspettarsi o un uguale sviluppo di calore o minore per parte della marmotta. Il fatto contrario da me osservato dimostra, prima di tutto, che si può avere un animale che emetta e quindi produca più calore di un altro che abbia temperatura superiore; in secondo luogo ci avvia forse alla spiegazione, perchè gli animali come la marmotta siano incapaci di resistere alle basse temperature e diventino ibernanti. E per chiarire meglio questo fatto degno del massimo interesse, non stimo inutile ricordare brevemente in quali condizioni avvenga il letargo delle marmotte. Non appena la temperatura dell'atmosfera si abbassa a 5° o 8°, la qual cosa sulle Alpi avviene generalmente alla fine di Settembre o al principio di Ottobre, le marmotte diventano stanche, perdono l'appetito e si ritirano nelle loro tane, portando seco del fieno col quale hanno cura di otturarne l’ ingresso. Dopo la caduta della prima neve, la quale dura, sulle Alpi, dove vivono le marmotte, sino alla successiva primavera, le loro tane restano validamente protette dal freddo esterno mercè l’alto strato di neve, sostanza coibente quanto mai; tanto che, mentre al di fuori la temperatura può essere di pa- recchi gradi sotto 0°, la temperatura delle tane delle marmotte è sempre di 3° o 5° Reaumur, secondo Prunelle ('), ed anche di 8° o 9° secondo Mangili. In queste condizioni in cui la respirazione e la circolazione sono forte- mente rallentate (un respiro ogni 4 o 5 minuti e 8 o 10 battiti cardiaci al minuto) e in cui perciò le combustioni organiche sono ridotte ai minimi termini tanto che è possibile la vita dell’ ibernante in un ambiente poveris- simo di Ossigeno, la temperatura della marmotta è abnormemente abbassata. (1) Prunelle, Annales du Musgum d’ Histoire naturelle, XVIII, 1811. til — 276 — Anzi egli è certo che comportandosi nello stato di ibernazione come animali poichilotermi, le marmotte assumono la temperatura dell'ambiente nel quale sono immerse, quasi come corpi inanimati (!). In questo stato l’animale non emette quasi più calore perchè la sua temperatura è in equilibrio con quella dell’ ambiente, e le perdite che subisce sono ridotte al minimo; infatti l’ ibernazione non si deve confondere coll’ ina- nizione, nel quale stato non si ha abbassamento delle attività fisiologiche come nell’ ibernazione (?). Quali siano le cause determinanti di questo ultimo fenomeno, si ignora, ed alle antiche ipotesi di Buffon, di Spallanzani, di Hunter, di Mangili e di Saissy, nulla si è potuto finora contrapporre. Solo si è messo meglio in rilievo, specialmente dal Luciani, che tanto l’ inanizione che la ibernazione sono processi strettamente legati all' influenza regolatrice del sistema nervoso sul ricambio materiale e sulla termogenesi (8). Ma oltre l'influenza regolatrice del sistema nervoso, segue dalle mie esperienze in modo indubbio che il potere emissivo del calore della marmotta è, caeteris paribus, molto maggiore che non quello del coniglio; e quindi si può forse pensare che il fenomeno dell’ ibernazione sia legato a questa dif- ferenza del potere emissivo dei tegumenti, fra animali ibernanti e non ibernanti. Dato questo grande potere emissivo, quando la temperatura esterna si abbassa, cresce talmente l’' emissione del calore dell’ animale ibernante, che in questo, la produzione di calore non può più mantenere la temperatura normale dell'animale, la quale così si abbassa rapidamente sino a diventare uguale a quella dell’ ambiente. Quando invece la temperatura esterna si innalza, si riaccendono nella marmotta i processi calorifici, a tale grado da portare la sua temperatura ad un punto molto superiore a quella dell'ambiente. Ha qui luogo un meraviglioso processo di economia animale, evidente- mente molto complesso, che sarebbe molto interessante di seguire in tutte le sue fasi. Quando la marmotta è rintanata ed è in letargo, non si trova in cattive condizioni, rispetto al suo bilancio termico, perchè allora, essendo la sua temperatura pressochè uguale alla temperatura dell'ambiente, essa emette (*) Barkow e Valentin hanno visto che qualche volta le marmotte hanno una tem- peratura un po’ inferiore a quella dell'ambiente, e ciò sarebbe dovuto, secondo Valentin, alla temperatura del pavimento dove esse giacciono, più bassa che non quella dell’ atmo- sfera. — H. Barkow, Der Winterschlaf, Berlin 1846. (2) Che l’inanizione ed il letargo siano cose ben diverse risulta confrontando le cifre che Valentin dà come perdite giornaliere medie per 1 Kg. di marmotta che dormì 163 giorni, colle cifre che Chossat dà come perdite giornaliere medie per 1 Kg. di colomba che digiunò 9 giorni. Le perdite giornaliere medie della marmotta erano di gr. 2,19 quelle della colomba gr. 41,8. — Chossat, Recherches eepérimentales sur l’ inanition, Paris, 1843. (3) L. Luciani, Fisiologia del digiuno, Firenze 1889. — 277 — pochissimo calore, cioè quel tanto che basti a riparare alla dispersione che subisce il proprio ambiente, e a mantenere questo alla stessa temperatura. Ma la scena cambia radicalmente quando !’ animale si desta dal letargo, e la sua temperatura sì innalza e diventa cospicua la differenza fra questa e quella dell'ambiente. In questo caso la marmotta disperde molto più ca- lore di un animale non capace di ibernare, e supplisce a questa maggiore dispersione con una produzione altrettanto accresciuta di calore. Si intende dunque, poichè il raffreddamento dei corpi avviene secondo la legge di Newton, che il disperdimento di calore della marmotta deve essere massimo in primavera ed in autunno, quando cioè diventa massima la differenza tra la temperatura dell'ambiente e la temperatura propria del- l'animale; minimo nell'estate e nell’ inverno, quando diventa minima la detta differenza. Le mie ricerche, come ho già detto, furono fatte in primavera, quando la temperatura dell'ambiente era di 15° e la marmotta si trovava in istato di semiletargo con temperatura inguinale di 350,2 C. In queste condizioni il disperdimento di calore non fu piccolo, perchè la differenza fra la temperatura della marmotta e quella dell'ambiente era di 20°. E che il disperdimento di energia calorifica sia stato notevole, viene provato, oltre che direttamente colle misure calorimetriche, anche indiretta- mente colla perdita di peso che fu rilevante, perchè l’ animale, non nutrendosi ancora, consumava sè stesso. Infatti, mentre una marmotta, in profondo le- targo consuma pochissimo, come abbiamo visto 2,19 gr. al giorno, la mia marmotta consumava invece circa 8 gr. al giorno. La rilevante differenza del potere emissivo tra i conigli e la marmotta probabilmente dipende da condizioni diverse della superficie dei due animali. Avviene come nel cubo di Melloni in cui le faccie ricoperte di nero fumo e di biacca emettono maggior calore che non la faccia spulita. Questa differenza nel mio caso risulta anche più spiccata per il fatto che l’animale che emette di più, ha una temperatura minore. La diversità delle condizioni della superficie dipende da un insieme di circostanze molto più complesse che non nel cubo di Melloni. Certamente deve molto contribuirvi la diversa eccitabilità del sistema nervoso, che me- diante i nervi vasomotori, regola l’ irrigazione sanguigna periferica nei due animali. Forse nella marmotta non avviene ciò che si osserva negli omeo- termi perfetti, nei quali il freddo, agendo sui tegumenti, restringe in via riflessa ì vasi cutanei, raffreddando la pelle, diminuendo la differenza termica tra essa e l’ambiente e rendendo minore la perdita di calore. Non potendo la marmotta opporre all’azione del freddo questo mezzo protettivo perchè o non possiede, o possiede solo imperfettamente questo meccanismo termoregolatore, essa si comporta nè più nè meno come un animale Boi ENI AR E — 278 — omeotermo al quale si sia verniciata la pelle o si sia tagliato il midollo spinale; nel quale cioè è abolita la termoregolazione per mezzo della pelle. E come questi animali, così trattati, esposti in un ambiente che abbia una temperatura inferiore al minimum compatibile colla loro esistenza, si raffredderebbero sino alla morte, se non si avesse cura di avvilupparli con sostanze coibenti, così avverrebbe della marmotta, se rintanandosi, non ridu- cesse, con questo mezzo, al minimo l'emissione di calore. Il forte potere emissivo e la poca resistenza degli animali ibernanti ad un abbassamento della temperatura sono in relazione colle esperienze di Walther ('), il quale, sottoponendo un coniglio ed un piccolo animale iber- nante, il Suslik (Spermophilus citillus, piccolo roditore delle steppe della Russia) all’ influenza di uno stesso miscuglio frigorifero che raffreddava a — 17° vide, dopo averli fatti stare mezz’ ora nella cassa frigorifera, che il coniglio misurava nel retto 34°,4 ed il Suslik 10°,4. Walther pensando dap- prima che ciò fosse dovuto all'essere il calore specifico del Suslik minore di quello del coniglio, li ammazzò rapidamente con un colpo sull’ occipite, e li mise dentro i calorimetri a ghiaccio di Lavoisier e Laplace. Tenendoli per 36-48 ore nei calorimetri osservò che il coniglio del peso di 1231 gr. aveva fuso tanto ghiaccio da averne 13 decilitri di acqua; il Suslik del peso di 220 gr. aveva fuso tanto ghiaccio da averne 11,7 decilitri di acqua. Ri- sultava quindi che il Suslik aveva un calore specifico maggiore (?), ma pure malgrado ciò il Suslik perde tanto più facilmente la sua temperatura, posto nella cassetta frigorifera; per la qual cosa Walther sospettò che entrassero in gioco altri fattori, e forse un diverso potere emissivo dei due animali. Le mie esperienze sul coniglio e sulla marmotta, dimostrano in modo evidente e durante la vita dei due animali, questa diversità del potere emissivo. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA dal ? settembre al 4 ottobre 1896. Albert I” de Monaco. — Résultats des campagnes scientifiques accomplies sur son yacht. Fasc. X. Monaco, 1896. 4.° Bertolio S.-— Sulla composizione chimica delle comenditi. Roma, 1896. 8°. Boccardo E. C. e Baggi V. — Trattato elementare completo di geometria pratica. Torino, 1896. 8°. (1) A. Walther, Studien im Gebiete der Thermophysiologie. Du Bois-Reymond' s Archiv fiir Physiologie, 1865, S. 25. (?) Questo metodo e la deduzione di Walther che il Suslik abbia un calore specifico maggiore del coniglio, non sono scevri di obbiezioni; per es. se si pensa ai fenomeni post- mortali, accompagnati da sviluppo di calore, naturalmente in quantità diversa da animale ad animale. — 279 — Boussinesg J. — Théorie de 1’ écoulement tourbillonant et tumultueux des liquides dans les lits rectilignes è grande section. Paris, 1896. 4°. Carta idrografica d' Italia. — Relazioni — Lombardia. Roma, 1896. 8°. Congreso cientifico general chileno de 1894. Santiago, 1895. 8°. Cope E. D. — Criticism of Dr. Baur's rejoinder on the homologies of the paroccipital bones. S. 1. 1896. 8°. Id. — New and little known mammalia from the Port Kennedy bone de- posits. S. 1. 1896. 8°. Id. — Obituary Notice of Prof. J. A. Ryder. Philadelphia, 1896. 8°. Id. — Prof. Mark Baldwin on Preformation and Epigenesis. S.1. 1896. 8°. Id. — Second contribution to the history of the Cotylosauria. — Sixth con- tribution to the knowledge of the marine Miocene Fauna of North Ame- rice. Philadelphia, 1896. 8°. Id. — The formulation of the natural sciences. S. 1. 1896. 8°. Id. — The oldest civilized men. S. l. 1896. 8°. Diena G. — 12 proposizioni. S. 1. 1896. 8°. Index bibliographique de la Faculté des Sciences de l'Université de Lausanne. Lausanne, 1896. 8°. Jatta G. — I Cefalopodi (sistematica). Berlin, 1896. 4°. Onoranze centenarie a Galileo Galilei. Dicembre 1892. Padova, 1896. 8°. Report of the Geodetic Survey of South Africa (Cape of Good Hope) 1883- 1892. Cape Town, 1896. 4°. Salmoiraghi F. — Di un giacimento di calcare eocenico a Oneda in Prov. di Milano. Milano, 1896. 8°. Verson E. e Bisson E. — Sviluppo postembrionale degli organi genitali accessori nella femmina del B. Mori. Padova, 1896. 8°. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia prima del 18 ottobre 1896. nn yy _T_---<-- nn Fisica. — Della proprietà scaricatrice svolta nei gas dai raggi X e dalle scintille, e della sua persistenza nei medesimi. Nota del Socio EmiLio VILLARI (*). SI. — Azione dei raggi X. E ormai accertato, che i raggi X inducono nei gas, che attraversano, una modificazione speciale per la quale essi diventano atti a scaricare più o meno rapidamente i corpi elettrizzati (?). Ame parve quindi utile stabilire se una Z RIGsols tale modificazione prodotta nei gas durasse un certo tempo 0 no, dopo l’azione dei raggi; ed operai nel modo che segue. Disposi un Crookes a pera C in una cassa di piombo pp a grosse pareti, che, insieme all’induttore R, chiusi in un’am- pia cassa di zinco ZZ unita al suolo. Le due casse in o, in corrispondenza del fondo anti- catodico di C, avevano un foro ciascuna di circa 12 cm. Avanti al fori era situato un vaso ci- lindrico di zinco V, 12X20 cm. Questo aveva la base « in lastra di allu- (!) Presentata ai primi di ottobre. (*) V. fra le altre le mie diverse pubblicazioni fatte dal febbraio in poi nei Rendi- conti dell'’Acc. dei Lincei e di Napoli. | RENDICONTI. 1896, Vol. V, 2° Sem. 36 ibi = # Sd Tn Sr — 282 — minio dello spessore di 0,3 mm., e perciò trasparantissimo ai raggi X provenienti da C. Due tubolature di 2 cm. di diametro servivano, l'una, 4, a spingere il gas da cimentare nel vaso V; e l’altra 4, prolungata da canna di vetro o di metallo de, di differenti lunghezze, serviva a portare il gas contro l’ elettro- scopio E. Le cose erano aggiustate in maniera, come del resto continuamente provavo e riprovavo, che l’elettroscopio non veniva punto influenzato, nè dal- l’azione diretta del Crookes, nè da quella del rocchetto, nè dalla corrente gassosa, che, non attivata dagl’ X, veniva spinta sull’elettroscopio medesimo. Assicuratomi così contro ogni azione perturbatrice, si attivava il Crookes con l’induttore R, si caricava l’' elettroscopio con una pila a secco, e con una grande soffieria si spingeva, pel vaso V e la canna de di varie lunghezze, l’aria contro l’ elettroscopio E. Questo si scaricava più o meno rapidamente, e con un cannocchiale a reticolo ed un orologio puntatore sì misurava il tempo della scarica per alcune divisioni del reticolo. I risultati di tali espe- rienze sono qui sotto riportati: Medie Lunghezza delle canne di vetro E perde 10° in 255,0; 245,0 245,5 90 cm. 10° 3850; 38350 385,0 190 cm. 10° 7950; 7750 785,0 390 cm. 5° 975,0 975,0 570 cm. 1 0) 1875,0 ” 5° 3006,0 3005,0 980 cm. Questi valori mostrano la concordanza dei risultati delle esperienze fatte nelle stesse condizioni; e mostrano ancora, che la proprietà scaricatrice, de- stata dagl' X nell’ aria, vi si conserva, anche dopo che questa abbia percorso canne da 90 cm. a 10 m. di lunghezza. Però si scorge, che detta proprietà va scemando col crescere della lunghezza della canna; e ciò se dipende dal tempo maggiore speso dall'aria a percorrere canne più lunghe, può anche. in parte almeno, dipendere dal diminuito flusso nelle canne lunghe, per l’at- trito maggiore che vi si produce. A mostrare che realmente la velocità o la portata del flusso influisce sulla rapidità della scarica, spinsi per V e per la canna de (2 X 400 cm.). sotto diverse pressioni, l’aria attivata ed ottenni che: E perdè 5° in 1205. Pressione di circa 8 cm. d'acqua. DOsgr0 27 ’ 10 cm. >» 3° 785. ” 16 cm. ” La scarica s' accelera col crescere della pressione e dello efflusso; risul- tato naturalissimo, giacchè col crescere della velocità del flusso non solo l'aria attivata arriva in minor tempo sull’elettroscopio, ma v' arriva bensì in maggior copia. Le misure fatte col gas luce non disseccato mostrarono che la sua cor- rente, sebbene non attivata dagli X, pure scaricava un po’ l'elettroscopio; non pertanto l'influenza delle radiazioni appare manifesta : — 283 — Corrente gas luce non attivato dagli X: E perde 5° in 16° con canna de di 390 cm. IZ ’ Corrente gas luce attivata dagli X: E perde 5° in 1058 con canna de di 390 cm. SUN3S50 ’ In seguito disseccai il gas con una lunga e grossa colonna di cloruro di calcio; ed usando, come sopra, la medesima canna di vetro di circa 4 m. mi assicurai, che il rocchetto ed il Crookes da soli, o la corrente di gas inat- tiva non agivano sull’ elettroscopio, in modo sensibile (E perdeva ?/ di di- visione in circa 200°). Indi operando Con corrente gassosa attivata dagli X ebbi che: E perdè 5“ in 60°; 62°; 59 Media 60° 10° 9 05123012 125° 15° 1975 1875 1845 1895 L'etettroscopio perdeva per semplice dispersione nell'aria */3 di divisione in 180° (1). Così che anche pel gas luce può dirsi che esso conserva, per un certo tempo, la proprietà scaricatrice indottavi dagli X. I medesimi risultati s’ ottennero con l'idrogeno (lavato in acqua e dis- seccato nell’acido solforico e nel cloruro di calcio), come mostrano i numeri seguenti ottenuti adoperando la solita canna di circa 4 m. Con corrente d'idrogeno attivata dagli X: E perde 3° !/, in 107° I gassometro, 491/, in 95° II ’ L'anidride carbonica fu sperimentata servendosi del nuovo elettroscopio e si ebbe, evitate tutte le possibili perturbazioni, che: E perde 5° in 142° I gassometro, Ogg ’ Così che anche per l'anidride i risultati sono simili a quelli ottenuti con gli altri gas. In seguito volli provare la persistenza della proprietà scaricatrice, in- dotta dagli X, in una miscela d'aria e di vapori di etere o di solfuro di carbonio, in vista della grandissima forza scaricatrice che, secondo alcune mie esperienze, detta miscela acquista pei raggi X. Facevo gorgogliare una cor- rente di aria in una boccia con etere o solfuro di carbonio, e quindi la spingevo pel vaso V, e per una canna di vetro (2 X 780 cm.) contro all'elettroscopio. A corrente d'aria pura ed inattiva vidi che: (1) Queste ricerche furono eseguite con un nuovo elettroscopio, nel quale una delle foglie di oro era stata sostituita da una striscia rigida di ottone, onde le deviazioni della foglia rimasta venivano raddoppiate. La striscia indicava lo zero o l’origine delle de- viazioni. rota ‘Tg 3 IZ RSI i — 284 — E perdeva 0,8° in 300° e poi era immobile. A corrente d’aria e vapore d'’ etere inattiva: E perdeva 0,8° in 270° e poi era fermo. Attivato il Crookes si ebbe che Con corrente d'aria pura: E perde 5° in 1585; 1705; 160°; Media 1686 Con corrente d'aria e vapori di etere : E perde 3° in 2305; 3005 Media 265° La differenza fra questi due ultimi valori tiene forse a che nella prima avendo adoperato poco etere, questo svaporò tutto in circa 120°, e l'espe- rienza venne seguitata con aria pressochè pura. Nella seconda esperienza l'etere durò tutto il tempo della misura, e la scarica fu più lenta. Pel solfuro di carbonio si ebbe: Con la corrente d'aria pura ed attivata dagli X: E perde 5° in 160°. Con corrente d’aria e vapori di solfuro attivata dagli X: E perde 5° in 2456; 2435. Dai numeri riportati risulta chiaro, che la corrente d’aria e vapori d'etere o di solfuro perde lungo la canna di 780 cm. assai più della sua virtù sca- ricatrice, che non vi perde l'aria pura. Questo fenomeno, assai singolare in apparenza, ha forse la sua spiegazione, in parte almeno, in una diminuzione della corrente di aria che si verifica quando è mescolata ai vapori. Difatti accade, pel fortissimo raffreddamento prodotto dall’ evaporazione dell'etere 0 del solfuro, che l'umidità della colonna di aria gorgogliante si rapprende, e finisce col chiudere parzialmente l'apertura del tubo d’efflusso, onde in ul- timo, la corrente di molto si assottiglia. Devo però aggiungere, per esattezza, che l’ultima delle due misure precedenti fu fatta tenendo la boccia a solfuro in acqua alla temperatura di 20° C, senza che la durata della scarica si fosse mo- strata diversa dall'altra misura accanto, fatta con boccia non riscaldata. Se adunque il rallentarsi della scarica non è dovuta alla diminuzione della corrente gassosa, bisognerà ritenere che i vapori perdono più rapidamente dell’aria la loro virtù scaricatrice; lo che non può ammettersi senza nuove esperienze. Da ultimo volli provare l influenza della natura delle canne, e speri- mentai prima con una di vetro, poi con una eguale di piombo unita al suolo e di 2 X 475 cm.: ed operando con una corrente di aria pura, attivata al solito modo, ottenni Con canna di vetro che: E perde 5° in 65%. Con canna di piombo: K perde 5° in 63°. Onde pare che la natura della canna d'’efflusso non abbia influenza sulla durata del fenomeno. — 285 — S I. — Proprietà scaricatrice svolta dalle scintille. È ormai stabilito da esperienze mie e di altri ancora, che le scintille elettriche non contengono raggi X, così che esse, a distanza, non agiscono su lastre fotografiche coperte da corpi opachi, nè scaricano ì corpi elettriz- zati. Non pertanto le scintille attraversando i gas vi comunicano, come gl’ X, la proprietà scaricatrice. Per mostrare questa proprietà apparecchiai un tubo di vetro a scintille, C, chiuso con tappi di gomma e provvisto di due elet- trodi, e ed e, a punte di platino pel salto delle scintille. Il gas da speri- mentare veniva spinto pel cannello 4 in C, e quindi pel lungo tubo v, circa 80 cm., contro l’elettroscopio E, chiuso nella sua gabbia unita al suolo. As- sicuratomi contro tutte le influenze perturbatrici, sottoposi alle esperienze i di- versi gas che seguono. o He? ni) / Fis. 2. ARIA. — Feci passare in C una serie di rapide scintille di 12 mm., di un grosso rocchetto, rinforzate da due ampie giare unite in cascata, e spingendo per a © v una corrente di aria contro di E, ottenni i seguenti tempi medi di scarica : Bi=iperdesitoo4mmes: 081) 0g simel7z:o E— perde 5° in 1250 TOCAAMNZSZO: Invertita la corrente del rocchetto s'ebbe : E+- perde 5° in 115,0. IL 0SRAR202:0) E— perde 5° in 950 LOSNRr9=:0! Si vede che le scintille rinforzate comunicano all’ aria un’ energica virtù scaricatrice, alla maniera stessa che fanno i raggi X. Sembra inoltre, che sulla rapidità della scarica di E v'abbia una lieve influenza la natura della sua carica e la polarità del rocchetto; ma di ciò dirò fra poco: infrattanto nelle esperienze che seguono, per evitare errori, caricai l’ elettroscopio ed at- tivai il rocchetto sempre ad un modo. Spingendo l’aria per C con diverse velocità ottenni le seguenti medie, da misure concordi : E perde 5° in 125,7. Corrente debole. 10927318 (‘) I segni + e — corrispondono alle cariche date dall’ elettroscopio E. — 286 — E perde 5° in 105,2. Corrente forte. 109" 20684 E perde 5° in 155,8. Corrente fortissima. 10° 295,3 Sembra, come del resto è naturale, esservi una certa velocità di flusso alla quale corrisponde la massima sua efficacia scaricatrice. E difatti con una velocità troppo piccola nè molte, nè tutte le particelle gassose attivate ven- gono trasportate; e per una velocità troppo grande, insieme al gas attivato viene trasportato anche quello non attivo, e la scarica si rallenta. Però i valori riportati sono solo approssimati, non avendo avuto a disposizione opportuni apparecchi per misurar bene la velocità delle correnti gassose adoperate. Sperimentai anche con scintille di 10 a 12 mm. non rinforzate, e vidi che esse assai debolmente eccitavano la corrente di aria. Gas Luce. — Simili ricerche eseguite col gas luce dettero i valori se- guenti medî : Con corrente gassosa non attivata: E non perde sensibilmente la carica. Con corrente gassosa attivata da scintille di 12 mm.: E perde 5° in 245,0 senza giare 1025930 ” E perde 5° in 75,7 con 1 giara 10° 159,9 ” E perde 5° in 95,5 con 2 giare 10%28R2136 ” E perde 5° in 96,3 con 4 giare LOo e 2:15:2 ” Il gas luce viene attivato, adunque, dalle scintille rinforzate dai conden- satori, ed anche da quelle senza condensatori, sebbene in modo sensibilmente meno efficace. Sembra inoltre, che l'ampiezza dei condensatori adoperati non abbia una ben distinta influenza sui fenomeni studiati; pure occorrono più lunghe indagini in proposito. ANIDRIDE CARBONICA. — Questo gas dette con scintilla di 12 mm. e 2 giare i seguenti risultati : E. perde 5° in. 992; 90: 115,2 Media 95,8 10°. 199,4; 2980; 2690 Pi 2208 Il fenomeno che s'ha con l'anidride è il solito; il decrescere della ra- pidità della scarica, rilevato dai numeri precedenti, è dovuto al diminuire della pressione pel vuotarsi del gassometro di gomma adoperato. Accresciuta la pressione del gassometro, s’ accrebbe la velocità della scarica: E perdè 5° in 105,2, invece di 115,2 10° 285,4 invece di 268,0. IprocENo. — Questo gas, preparato con lo zinco e l'acido solforico, fu lavato nell'acqua, disseccato in due hoccie ad acido solforico, ed introdotto — 287 — in gassometro di gomma. Da questo, attraverso al cloruro di calcio, si spin- geva per C v contro l’ elettroscopio che non si scaricava. Indi, attivando il tubo C con scintille di 12 mm., rinforzato da due giare, e spingendo il gas si ebbe: E perde 5° in 10°. Corrente di gas debole L02650 59 85,0. Corrente di gas forte LOSeRIAlizO; 5° 45,5. Corrente di gas più forte 10° 95,0 5° 35,5. Corrente di gas fortissima 10° 85,0. La rapidità della scarica s' accrebbe con quella della corrente gassosa, senza però raggiungere un massimo, come si verificò con l'aria. L'idrogeno s' attiva ancora assai bene con le scintille non rinforzate dai condensatori, come si scorge dai numeri seguenti, ottenuti in condizioni iden- tiche alle ultime esperienze della precedente serie: E perde 5° in 86,5. Con corrente di gas fortissima. TOO: alzo La proprietà scaricatrice indotta, in questo caso, dalle scintille non rinforzate, sebbene energica, è pur sempre inferiore a quella indotta dalle scintille rinforzate. Ossigeno. — Con questo gas, e con scintilla di 12 mm., rinforzata da 2 giare, s'ebbero le medie seguenti : E perde 5° in 265,7. Corrente gas debole. 10° 565,0 E perde 5° 205,6. Corrente un po’ più forte. 10° 435,0 O .85,2. Corrente fortissima. 10° 185,2 L'ossigeno si comporta come l'idrogeno. Circa l'influenza della lunghezza delle scintille, occorre distinguere il caso delle scintille rinforzate da quelle semplici. Le esperienze furono fatte principalmente con l'idrogeno, perchè per la sua conducibilità permetteva di variare di più la lunghezza delle scintille. Con scintille rinforzate da 2 giare s'ebbe: E perde 5° in 145,7 con scintilla di 10 mm. DO los9 45 mm. La proprietà scaricatrice indotta dalle scintille rinforzate, non variò sensibil- mente con la loro lunghezza, sebbene questa siasi variata nel rapporto di 1 a 4,5. Facendo uso di scintille non rinforzate si ebbe: E perde 5° in 505,0 con scintilla di 11 mm. 5° 135,8 45 mm. (!) (1) Sebbene nel mio giornale non sia indicato il gas col quale furono eseguite queste ultime misure, pur credo quasi certamente che furono eseguite con l'idrogeno. | il NIN hl = 295 — Cioè, le scintille non rinforzate lunghe, inducono una virtù scaricatrice sensibilmente maggiore delle brevi; ed essendo variata la lunghezza all'in- circa, da 1a 4, la virtù scaricatrice variò quasi nello stesso rapporto. Risulta inoltre, che le scintille non rinforzate, se brevi, riescono sempre meno efficaci delle rinforzate; e se sufficientemente lunghe, da 45 a 50 mm., possono riescire anche più efficaci delle rinforzate. Questo fatto è ben naturale, quando si considera che mentre l'efficacia della scintilla non rinforzata cresce, dentro certi limiti, quella della scintilla rinforzata non cresce con la sua lunghezza. Con l'ossigeno e le scintille rinforzate si ebbe : E perde 5° in 175,8 con scintilla di 10 mm. Jos 885,1 ” DO 195,6 28 mm. 10° 425,5 ’ Anche qui, a parte una piccola differenza, può dirsi che l'efficacia delle scintille non varia sensibilmente con la loro lunghezza. Con le scintille semplici e senza condensatori si ebbe: E perde 1° in 606,0 scintilla di 4 mm. TSNZ00 10 mm. io 575,0 57 mm. E non perde per scintilla di 66 mm. Risulta che l’attività della scintilla semplice cresce con la sua lunghezza, sino ad un certo limite, oltre il quale decresce sino a zero. Questo effetto della lunghezza credo sia in relazione con l’ intensità del- l’indotta che dipende dalla sua lunghezza. Difatti in una mia Memoria di- mostrai, fra le altre cose: Che l'intensità della corrente d'un induttore, per scintille brevi è costante, ed indipendente dalla sua lunghezza: e per scintille lunghissime decresce rapidamente sino a zero col crescere della loro lun- ghezza ('). Per scintille brevi, adunque, l'intensità non variando con la lunghezza, la loro efficacia può crescere con la lunghezza. Per quelle molto lunghe, scemando l'intensità rapidamente pel crescere delle lunghezze, l'efficacia può decrescere con queste. SAIL Messa in chiaro questa nuova proprietà delle scintille, di attivare i gas, cercai per diverse vie di accrescerne l'efficacia; e nelle varie esperienze che feci mi servii del gas luce, sia per comodità sia per la costante sua pressione di 55 mm. in colonna d’acqua. Adoperai dapprima un apparecchio raffigurato schematicamente qui appresso. A e B indicano due tubi a scintilla coi loro elettrodi a, 2, c e d, ed E figura l’elettroscopio, chiuso nella sua gabbia unita (1) Villari E., Atti Acc. d. Scienze dell’ Istituto di Bologna, Serie IV, T. I. 299 al suolo. I due tubi, chiusi da tappi di gomma, portano i cannelli di vetro p. 0, n, m, adduttori del gas da provare. | NRE Î x Fis. 3. In una prima serie di esperienze riempii di gas luce B ed A, e chiusi i cannelli p ed 0; e mentre scoccavano scintille di 10 mm. in B ed in A, spingevo il gas per # m contro l’elettroscopio. Così la corrente gassosa era attivata dalle sole scintille in A e si ebbe in media che: E perde 5° in 115,0 In seguito, uniti i cannelli x ed o, feci passare la corrente gassosa per p,0,n,m, eccitandola con una doppia serie di scintille, nei due tubi A e B, alcune volte dirette nel medesimo verso, altre volte in verso contrario ed ottenni Con scintille nel medesimo verso: E perde 5° in 135,1 Con scintille in verso contrario: E perde 5° in 136,3 Da questi numeri apparisce che la direzione delle due scintille non ha alcuna influenza sul fenomeno. Vedesi inoltre che l’azione delle due serie di scintille non solo non aumenta la virtù scaricatrice del gas, ma un poco la diminuisce rispetto alla prima esperienza; lo che è certo da attribuirsi alla scemata velocità del gas per effetto del maggiore attrito incontrato, in quest’ ultima ricerca, nei sottili cannelli p, 0, n. ‘ Per operare in circostanze sempre identiche, feci passare il gas per tutto l'apparecchio, da p ad 72; ed attivai con le scintille, una volta solo il tubo A, un’altra solo quello B, ed una terza, insieme A e B. I risultati medî così ottenuti sono i seguenti : 1° Esp. Attivato A E perde 10° in 205,9 2a B 10%801:235,8 3% A e B 10%Mani207,1 Dunque attivando solo A, ovvero A e B insieme, la scarica di E avviene nello stesso tempo di 20 a 215: attivando solo B la scarica è un po’ più lenta, ed avviene in circa 24°; lo che è dovuto alla maggior distanza di B dall’elettroscopio. Dall'eguale durata della scarica, nella prima e nella terza esperienza, risulta meglio accertato che gli effetti delle due serie di scintille non si accumulano. RenpIcoNTI. 1896, Vor. V, 2° Sem. 97 JN — 290 — Ma potrebbe forse credersi che col prodursi delle scintille in B scemasse l'energia di quelle in A, e perciò la forza scaricatrice acquistata dal gas per una sola serie o per entrambi le serie di scintille rimanesse invariata. Per risolvere questo dubbio riempii i due tubi A e B di gas luce, e facevo passare la corrente gassosa soltanto per A, attraversato da scintille di 10 mm. rinforzate; contemporaneamente facevo variare la scintilla in B, data dallo stesso rocchetto, fra 0° a 20 mm. In tal maniera il rocchetto alcune volte produceva la sola scintilla in A, eccitatrice del gas; ed altre volte queste e quelle in B di 20 cm. Dalle indagini, molte e molte volte ripe- tute, risultò che la forza scaricatrice del gas attivato in A non variò punto, al variare da 0 a 20 mm. della scintilla in B. Per cui si può ammettere, nel limite delle mie esperienze, che l'efficacia eccitatrice delle scintille nel tubo A, non scema per la produzione d'un altro fuori di esso. Onde vien confermato, che la efficacia delle scintille in A e B, della esperienza più sopra ricordata, non si sommano. Ma se nel circuito indotto, che produce le scintille, s intercala una resi- stenza, l'efficacia della scintilla in A decresce sensibilmente. Così avendo sostituito al tubo B, un tubo ripieno di soluzione satura di solfato di rame (53 X 3 cm.) ottenni ìi dati seguenti: Circuito senza la soluzione E perde 5° in 10,5; 115,0; 115,5; 1155 Media 116,0 Circuito con la soluzione interposta E perde 5° in 245,0; 215,0; 225,0; 2250» 225,2 Questa diminuzione d' efficacia della scintilla per l'aggiunta della resi- stenza del circuito, può forse attribuirsi alla diminuita velocità della scarica. E non sarà fuori di proposito il ricordare qui alcune ricerche pubblicate in una mia antica Memoria. In essa dimostrai, fra le altre cose, che la grossezza della scintilla d'un condensatore (che è il caso delle scintilla rin- forzata) non varia punto quando nel circuito se ne produca una seconda, di lunghezza fra zero e la massima possibile. Per contro, la detta grossezza scema rapidamente accrescendo la resistenza del circuito con un filo metal- lico, con un elettrolito e con un gas rarefatto (tubo di Geissler). La solu- zione di rame, che scema il diametro della scintilla, scema la sua efficacia di attivare il gas; la scintilla secondaria, che non modifica il diametro della primaria, non ne diminuisce la efficacia. L'attività scaricatrice di un gas può accrescersi facendolo attraversare da più serie di scintille insieme. Ho costruito una specie di quadro scintil- lante, formato da una striscia di ebanite 4 2 nella quale erano confitti 5 fili di platino di 1 mm. ripiegati come nella fig. 4. Questo apparecchino era rinchiuso nel solito tubo a scintilla, ed unito agli elettrodi dell’ induttore per via degli estremi x ed o ripiegati ad anello. Così ad ogni scarica dell’ in- duttore saltavano negli spazi 1 a 4, quattro scintille di 5 mm. ciascuno, ed — 291 — eccitavano la corrente gassosa, che spinta pel tubo d, scaricava l'elettro- scopio. Per sperimentare con una sola scintilla, si toglieva dal tubo l'ap- 1 2 3 È 2 eee e Fic. 4. parecchio descritto e vi s'introducevano gli elettrodi, fino a 5 mm. di di- stanza fra loro. Le misure eseguite con la solita diligenza dettero le medie seguenti, relative al gas luce, ed a scintille rinforzate da 2 giare. Con 4 scintille di 5 mm. ciascuna E perde 5° in 6,0 TOSARNRIISO Con 1 scintilla di 5 mm. E perde 5° in 106,1 LO CNE2NI Con 1 scintilla di 20 mm. E perde 5° in 95,5 LO 216 Con 4 scintille di 5 mm. ciascuna. E perde 5° in 69,6 TORA T1388 Così con 4 scintille la virtù scaricatrice acquistata dal gas è circa doppia che con una sola. La lunghezza di questa, come si disse, non ha spiccata in- fluenza sul fenomeno. Cotesta virtù scaricatrice destata nei gas dalle scintille che li attra- versano, come quella destatavi dagli X non è fugace, ma vi si conserva per un certo tempo. A dimostrare questo fatto operai come pel caso dei raggi X. Prolungai il tubo A, ad una sola scintilla con dei cannelli di vetro di 8 a 10 mm. di luce, e di varia lunghezza. Per essi spingevo sull'elettroscopio il gas attivato; e dopo essermi garantito da ogni errore ottenni i risultati medi seguenti, relativi al gas luce ed alle scintille con 2 condensatori: E perde 5° in 75,1. Con cannello di 120 cm. T0SNTonS E perde 5° 125,5 285 cm. IO 0238 E perde 5° 345,2 610 cm. 10° 795,2 Si osserva che la proprietà scaricatrice nel gas luce si conserva per un certo tempo, sebbene vada scemando col crescere della lunghezza dei tubi, — 292 — sia pel crescere del tempo impiegato a percorrerli, sia pel lento decrescere della velocità del flusso. Prima di terminare questo scritto devo aggiungere poche parole intorno al fatto indicato al principio del $ II, relativo alle piccole differenze di ra- pidità delle scariche per la diversa natura dell’ elettricità, e della polarità dell’induttore. Questo fenomeno fu a lungo studiato da me, con l’impartire cariche di diversa natura all'elettroscopio, con l’invertire la polarità del rocchetto operante e con lo sperimentare su differenti gas attivati nel tubo a scintilla. Da tutti questi studî mi risultò, che con l'ossigeno ed il gas luce: La carica dell’ elettroscopio si disperde più presto se è omologa a quella dell’ elettrodo del tubo che è più vicino all’ ettroscopio; se è con- trario si disperde un po’ più lentamente. Sperimentando invece con una corrente di idrogeno i risultati non furono costanti. La scarica dell’elettroscopio, omologa a quella dell’ elettrodo vicino, alcune volte si disperse più, altre volte meno rapidamente di quella contraria. Per questa variabilità del fenomeno non ho potuto stabilirne la vera cagione. Non pertanto sospetto che esso sia un fatto di pura e semplice influenza, che si trasmette forse attraverso il foro della gabbia pel quale passa il cannello di vetro. Ed infatti ho potuto osservare in alcuni casi, che adope- rando tubi di vetro o di gomma, specie se grossi, per condurre attraverso la gabbia il gas all’ elettroscopio, questo mostrava delle lievi oscillazioni al battere dello interruttore. Oscillazioni che sparivano del tutto quando invece del tubo coibente se ne usava uno metallico, unito alla gabbia ed al suolo. Di questa osservazione terrò conto in una prossima serie di indagini per ben chiarire il fenomeno in discorso. In ogni caso faccio notare che tutte le espe- rienze riportate sono eseguite in condizioni del tutto identiche, e quindi i risultati relativi delle misure sono perfettamente comparabili e sicuri. Riassunto. — Iraggi X attraversando i gas vi destano la proprietà sca- ricatrice, ossia la virtù di scaricare i conduttori elettrizzati. Tale proprietà non è del tutto fugace, e persiste un certo tempo nei gas nei quali è stata indotta. Così, eccitato un gas in un vaso metallico, e spinto poscia per una canna di vetro o di piombo di 10 o più metri di lunghezza, esso manifesta sempre, sebbene diminuita, la sua proprietà scaricatrice. Tale virtù cresce, dentro certi limiti, con la velocità della corrente di gas. Le scintille elettriche indotte rinforzate da un condensatore, risvegliano nei gas la virtù scaricatrice. L'efficacia delle scintille indotte rinforzate cresce poco o punto con la loro lunghezza, e sembra indipendente dalla ampiezza del condensatore, nel limite delle mie esperienze. Le scintille indotte non rinforzate dai condensatori risvegliano, del pari, nei gas la virtù scaricatrice. — 293 — La loro efficacia cresce, dentro certi limiti, quasi come la loro lunghezza, indi decresce fino a zero. Le scintille brevi non rinforzate hanno una efficacia molto minore delle rinforzate; ma se lunghe abbastanza possono avere una efficacia eguale, od anche superiore alle rinforzate (esperienze fatte sull’idrogeno solo). La proprietà scaricatrice eccitata in un gas da due serie di scintille, in due tubi distinti, non si sommano; ed il gas opera come se fosse stato attivato da una sola serie di scintille. L'attività d'una scintilla rinforzata non varia, quando nel circuito del- l’induttore che la genera se ne produce una seconda, lunga o breve. Detta attività, però, scema rapidamente aumentando la resistenza del circuito in- dotto aggiungendovi una colonna di soluzione di solfato di rame. Il diametro della scintilla di un condensatore, non si modifica se nel circuito sì produce o no una seconda scintilla; ma il diametro scema rapi- damente se nel circuito s interpone una resistenza, p. e. una soluzione di sol- fato di rame. Finalmente la proprietà scaricatrice indotta dalle scintille nei gas, vi si riscontra anche quando questi abbiano percorso delle canne di varî metri di lunghezza, ma scema con questa. Fisica. — Aicerche sull’inclinazione magnetica all’ epoca etrusca. Nota del dott. G. FOLGHERAITER, presentata dal Socio BLASERNA. Lo studio sulla distribuzione del magnetismo indotto in oggetti d' argilla di varie forme e dimensioni, e cotti in diverse orientazioni rispetto alla di- rezione del campo magnetico terrestre (!), ci ha dato degli utili ammaestra- menti, sia per potere discernere quando durante il processo di magnetizzazione non sono intervenute delle cause, che hanno prodotto delle irregolarità nella distribuzione del magnetismo, sia per stabilire entro quali limiti si possa conoscere la direzione della forza magnetizzante dall’ orientazione del magne- tismo indotto. Come applicazione di questo studio espongo ora i risultati delle ricerche sull’ inclinazione magnetica all’ epoca, in cui furono fabbricati i vasi fittili etruschi pervenuti fino a noi. ; La condizione sine qua non necessaria perchè le mie ricerche abbiano significato, è che sia nota con sicurezza la disposizione degli oggetti antichi durante la loro cottura: ora per quanto sembri difficile in generale di dare (1) Vedi questi Rendiconti vol. V, 2° sem., 1896, pag. 127, 199 e 242. Il | — 294 — su questo proposito un giudizio, pure esistono alcune determinate forme, pet le quali concorrono tante condizioni favorevoli, perchè siano state collocate entro la fornace in una determinata orientazione, che non è nè ragionevole nè possibile ammetterne una diversa. Per le mie ricerche ho scelto oggetti simmetrici attorno ad un asse, che certamente furono collocati nella fornace in posizione verticale: gli 07r0- choai, la cui forma tipica è di vaso sferoidale a collo lungo terminante a becco molto rialzato, con manico attaccato dal sommo del collo al ventre e diametralmente opposto alla parte estrema del becco (fig. 1), oppure che hanno il manico molto elevato al disopra della bocca, o che portano dei fregi alla periferia della medesima, non possono essere stati cotti che tenuti col loro asse geometrico verticale. E così dicasi pure delle situle fittili cisfe, costituite da grandi tazze cilin- driche o coniche con manico ad arco (fig. 2), che congiunge gli estremi di un diametro della bocca. Che oggetti provveduti di larga base sì facciano poggiare con essa o sul fondo della fornace o sopra altri oggetti simili, è la cosa più semplice e più naturale; ma se si vuole discutere se sia stato possibile di dare loro altra posizione, apparisce chiaro, che non sono stati certamente tenuti in posizione rovesciata, cioè colla bocca in basso e la base in alto, per la loro forma stessa: i vasai antichi avrebbero dovuto appositamente inventare un mecca- nismo speciale per tenerli in posizione così strana. Così non è neppure lontanamente probabile, che i vasi siano stati col- locati nella fornace poggiati sopra un fianco in modo, che il loro asse fosse a press’ a poco orizzontale: in primo luogo in tale posizione l'equilibrio sarebbe stato assai instabile, e si sa che è assolutamente necessario, che durante la cottura gli oggetti rimangano fermi, specialmente se forniti di ornamenti e fregi, perchè nel caso contrario questi verrebbero facilmente rovinati per gli spostamenti ed at- triti dovuti alla diminuzione di volume dell’ argilla all’ elevarsi della tempera- tura; ed in secondo luogo gli oggetti avrebbero potuto subire una qualche de- formazione. Ma tale posizione poi non sarebbe stata neppure conveniente sia sotto il punto di vista dell’ economia dello spazio, sia perchè colla massima facilità i vasi si sarebbero spezzati per la irregolare distribuzione del ca- lore attorno di essi; ed io che ho cotto di già parecchie decine di oggetti, ho per esperienza provato quanto facilmente questi si rompano, se non è uniforme e regolare il loro riscaldamento. Non vi può quindi essere alcun dubbio, che gli oinochoai e le ciste non siano state cotte col loro asse a press’ a poco verticale e colla loro base in basso. Fia. 2. — 295 — Per le stesse considerazioni e ragioni, che ora ho esposte, anche oggetti di altre forme devono essere stati posti nella fornace col loro asse verticale : così le urne cinerarie cilindriche, coniche o sferoidali, ed i sostegni dei crateri, 6Auoi, (fig. 3) costituiti da doppi coni tronchi riuniti per le loro basi minori talvolta direttamente, talvolta per mezzo di una o più sfere, cave di argilla; ma gli oggetti di queste forme possono essere stati collo- cati indifferentemente o colla bocca o colla base in basso. Solo come eccezione alla regola si potrebbe ammettere, che qualcuno degli oggetti d’ una delle forme sopra descritte sia stato collocato coll’ asse più o meno inclinato negli in- terstizî tra altri oggetti per completare superiormente il riem- pimento della fornace; come pure è possibile, che nell’ in- terno di vasi grandi siano stati collocati oggetti di piccola mole. Ma perchè non possa sorgere alcun dubbio, se i vasi da me esaminati siano stati posti in queste eccezionali posi- zioni, ho sempre lasciato da parte gli oggetti piccoli e quelli, HieN3: che per la loro forma non sì fossero prestati per la sovrap- posizione degli uni agli altri. Gli oggetti esaminati finora da me appartengono ai Musei di Villa Giulia in Roma e del Conte Senatore E. Faina in Orvieto (!). Nel primo sono raccolti gli oggetti trovati nelle necropoli di Falerii e di Narce: ma quando ottenni, nel marzo 1895, il permesso di fare sopra di essi degli studî, non era punto mia intenzione di stabilire, quale fosse stata l'inclinazione ma- gnetica all’epoca della loro fabbricazione, ma solo di vedere se la forza coer- citiva dell'argilla cotta avesse resistito da allora fino al presente all’azione continua del magnetismo terrestre. Non feci allora questione sulla posizione data a tali oggetti entro la fornace, ma sulla posizione da essi conservata senza esserne mai smossi per 25 o più secoli entro le tombe, e quindi esaminai oggetti di qualsiasi forma purchè di tombe vergini. Mi meravigliai nel tro- vare che molti vasi, i quali per la loro forma dovevano essere stati cotti in posizione verticale, non avevano una polarità nord alla periferia della loro base, ma il magnetismo libero variava attorno di essa da un massimo nord ad un massimo sud prevalendo, ma di poco, ora l'una ora l’altra polarità, come se la direzione del campo magnetico terrestre fosse stata a press’ a poco orizzontale. Fu allora, che mi venne l’idea di determinare, se era pos- sibile coll’ aiuto di quei vasi, l’ inclinazione magnetica all’ epoca etrusca, e solo dopo avere constatato che l’orientazione, che ora noi riscontriamo negli oggetti antichi, è quella in essi indotta dal magnetismo terrestre durante la (1) Devo ringraziare vivamente il Conte Senatore Faina della grande cortesia ed il- limitata fiducia dimostratami, nel mettere a mia disposizione tutto il suo ricchissimo Museo etrusco, e dei consigli ed aiuti datimi in varie questioni archeologiche. — 296 — loro cottura, mi occupai unicamente di quei vasi, per-1 quali sì poteva essere certi, che erano stati posti nel forno col loro asse verticale. Così pure quando incominciai le mie ricerche non m' immaginavo, che talvolta potessero esistere delle anomalie nella distribuzione del magnetismo libero e che fossero insufficienti le misure fatte sopra la sola base per de- durre l'inclinazione dell’ asse magnetico; in sulle prime non pensai quindi di determinare la distribuzione del magnetismo attorno al ventre di quei vasi, che avevano la bocca provveduta di ornamenti, appendici ecc., e per questo motivo parte del prezioso materiale raccolto in quel museo mi può servire unicamente per dare un'idea della polarità prevalente alla base, e devo sospendere la pubblicazione dei risultati di misure fatte su una bella collezione di vasi attribuiti al III secolo a. C., scavati a Todi ed a Falerii, fino a che non potrò riavere il permesso di ripetere le misure. Allorchè invece nel dicembre 95 mi recai in Orvieto, e potei esaminare a mio bell’agio gli oggetti fittili del Museo etrusco del Conte Faina, aveva di già qualche idea più chiara del pericolo, a cui si andava incontro nel fidarsi di misure fatte su di una base sola, e misurai quindi la distribuzione del magnetismo libero attorno al ventre in tutti quelli oggetti, nei quali non era possibile fare tale misura attorno alla bocca. Ma qui l’ età dei varî oggetti non è determinata entro limiti sufficientemente ristretti, perchè essi non furono classificati tomba per tomba, ma raggruppati secondo la forma, e non è più possibile ora controllare l’ età diun vaso di epoca incerta per mezzo di quella di altri vasi rinvenuti nella stessa tomba e di epoca più certa. Vengo ora ad esporre i risultati delle mie misure: ho creduto opportuno riunire assieme gli oggetti di eguale forma, della stessa provenienza, e quando mi fu possibile, della stessa epoca; si vedono così subito le divergenze, che esistono tra i varî valori dell’ inclinazione dell’ asse magnetico, e si può giu- dicare della fiducia, che meritano le conclusioni sul valore dell’ inclinazione del campo magnetico terrestre in quell’ epoca. Nella tabella I sono esposti i risultati avuti dall'esame di sette, 04wuor, che si trovano nel Museo di Villa Giulia (!); nelle diverse colonne sono notati: la necropoli di provenienza, il numero col quale è segnata la tomba, dove i varî oggetti sono stati trovati, l’ epoca alla quale questi sono attri- buiti, le loro dimensioni, e l' inclinazione del loro asse magnetico dedotto dalle misure. Tutti questi oggetti sono di fabbrica locale. (1) Ve n'era ancora un altro appartenente alla tomba 18 di Narce; ma questo non venne esaminato perchè spezzato a metà e rimesso assieme con gomma. — 297 — TABELLA I. Diametro Apertura Inclinazione Provenienza | Tomba Epoca Altezza medio angolare dell'asse delle basi | media magnetico Falerii 25 8° sec. a. C. | mm. 272 | mm. 153,5 | 43° 14 1920 54” » 26 1(0-S oeemn n 196 » 132,5 | 45 24 722 Narce 18 80 no » » 157 ”» 143,0 | 52 50 19 2 ” 24 8 osi e »n 182 D) 114,5 | 33 3 24, 8 ” 82 Ce nn 202 » 180,0 | 54 13 25 37 ” 28 eo » 255 D) 149,5 | 44 11 | 2 29 ” 33 {AEREE n 1961! n» 140,5 | 51 15 18 26 Si scorge, che tutti i-valori dell’ inclinazione dell'asse magnetico sono compresi tra un massimo di 25° 37’ ed un minimo di 2° 29". Non può ca- dere alcun dubbio sul fatto, che l’ inclinazione del campo magnetico terrestre all’ epoca e nel luogo della fabbricazione di questi vasi era molto piccola, ma rimane il dubbio, se anche allora come al presente nelle nostre regioni l'ago d'inclinazione era rivolto col polo nord in basso od al contrario. Siccome non è possibile stabilire, quale delle due basi degli oggetti esa- minati sia stata collocata in basso, così dai risultati ora esposti non si può sapere nulla; per decidere la questione ho studiato la distribuzione del ma- gnetismo in altri oggetti o trovati nelle stesse tombe o attribuiti alla stessa epoca, ma sempre di fabbrica locale, i quali per la loro forma non lasciano alcun dubbio circa la loro disposizione entro la fornace: nelle quattro ciste esistenti nel Museo di Villa Giulia ho trovato, che alla periferia della base prevale la polarità sud, e che alla sommità del manico vi è la polarità nord. Anche negli oinochoai della stessa epoca (') da me esaminati ho trovato (fatta una sola eccezione), che alla base prevale la polarità sud, e che all’ estremo superiore vi è la polarità nord: perciò dalle mie misure risulterebbe, che nel luogo ed all’ epoca della cottura di quei vasi un ago d’ inclinazione avrebbe rivolto verso il basso non il polo nord, come al presente, ma il polo sud (*). (1) Gli ocinochoai esistenti nel Museo di Villa Giulia, di fabbrica locale ed attri- buiti all’8° od al 7° secolo a. C., appartengono alle tombe 26, 31, 38 e 40 di Falerii ed alle tombe 61 e 62 di Narce. Fra questi unicamente l’ oinochoe della tomba 31 di Falerii ha alla base una polarità nord un po’ prevalente su quella sud, tutti gli altri trovansi nella condizione inversa. Le quattro ciste attribuite all’ 8° secolo a. C. e forse anteriori appartengono alle tombe 35, 37 e 39 di Falerii ed alla tomba 47 di Narce; la prima è un po’ storta ed alla base ha unicamente la polarità sud. (2) Si potrebbe interpretare la prevalenza del magnetismo sud alla base dei vasi etruschi, o supponendo, che l’ equatore magnetico sia stato tanto spostato da passare al nord dell’ Etruria, o ammettendo che in quell’ epoca i due emisferi boreale ed australe avessero avuto polarità magnetica, opposta all’ attuale, ed a questa poi si sarebbe giunti RenDICONTI. 1896, Vol. V, 2° Sem. 38 — 298 — Se si vuole ammettere cogli archeologi, che gli olmoi di Villa Giulia siano stati fabbricati a press’ a poco alla stessa epoca, e che quindi sia rimasta pressochè costante la direzione del campo magnetico terrestre, che li ha magnetizzati, le differenze tra i varî valori dell’ inclinazione dell’ asse ma- gnetico, che ammontano perfino a 23°, sarebbero dovute al modo di dedurre questi valori dalle misure, agli errori inerenti alle misure stesse ed alla posizione degli oggetti ('), durante la loro cottura. Si potrebbe trovare la media dei valori per eliminare almeno in parte gli errori dovuti alle cause accennate, e da essa dedurre il corrispondente valore dell’ inclinazione ma- gnetica in quell’ epoca (*). Non ho creduto opportuno il farlo, perchè si ver- rebbe ad ammettere come cosa accertata, che durante la cottura si trovava in tutti i casi rivolta verso il basso quella base, che ora mostra la polarità sud più intensa di quella nord, mentre che per qualcuno degli oggetti po- trebbe essere avvenuto proprio il contrario, e per questi si dovrebbe perciò considerare l’ inclinazione del loro asse magnetico di segno contrario a quello degli altri. Innanzi a questa incertezza il calcolare una media sarebbe cosa fuori di luogo, e credo miglior partito concludere dalle mie misure unica- mente, che l'inclinazione magnetica all’ epoca e nel luogo di fabbricazione di quegli olmoi era assai piccola e coi poli rovesciati rispetto all’ attuale. Nel Museo etrusco del Conte Faina in Orvieto non ho trovato olmoi, ma una bellissima collezione di oinochoai di varie provenienze, olle cinerarie ecc. Nella sala 5° detta dei duccheri trovansi in gran copia degli oinochoai con patina nera (*): scelsi i più perfetti, provenienti dalla necropoli di Or- ora per successiva variazione nella declinazione magnetica. Le nostre cognizioni non ci permettono di dare maggior peso all’ una piuttosto che all’ altra delle due ipotesi; però ho già l’idea di tentare, se sia possibile portare un po’ di luce su questa questione con appropriate ricerche. (1) Questa secondo me è la causa d’errore più grave: certo non si può aspettare che i vasi siano stati collocati sopra un piano perfettamente orizzontale. (2) Per dedurre dall’ inclinazione dell’ asse magnetico negli oggetti l'inclinazione del campo magnetizzante si dovrebbero fare ai valori riportati nella tabella I delle cor- rezioni in conformità a quanto è stato esposto nelle mie note già citate: bisognerebbe cioè calcolare l'inclinazione ridotta, poi sottrarre a questa la correzione per l’ azione dei punti prossimi ai massimi e minimi, ed aggiungervi la correzione dipendente dall’ aper- tura dei coni. Il modo migliore per avere l’ inclinazione magnetica indipendentemente da ipotesi sulla distribuzione del magnetismo libero sarebbe quello di fabbricarsi un oggetto geometricamente identico a un vaso antico, e con successive cotture cercare l’ angolo di inclinazione, che gli si deve dare per ottenere in esso una distribuzione del magnetismo indotto eguale a quella del vaso antico. (8) È ora da tutti accertato, che la parola bucchero indica specialmente un vasel- lame a copertura nera proprio delle tombe etrusche. Non è qui il luogo di discutere la maniera per ottenere l’annerimento, ma ho intenzione di studiare questo argomento per vedere se le varie teorie ora combattute tra gli archeologi trovino o no un appoggio nei risultati dell’ esperienza. — 299 — vieto e di fabbrica locale. Essi hanno la bocca a tre pizzi, ed a destra e sinistra del manico si innalzano due orecchie. Non ho esaminato quindi la distribuzione del magnetismo alla bocca, ma alla base ed attorno al ventre. Nella tabella II sono raccolti i risultati avuti. TABELLA II. N. del Catalogo i Picco | [Diet | ita | gp pertnrone 239 mm. 125 | mm. 172 | mm. 325 | 18° 59’ sud 216 » 73 » 130 22220 MOMO 20 240 » 103 » 175 n 8320861008 28» 226 » 101 » 165 » 281 9° 0 » 232 | » 95 » 149| » 300] 6° 15° » 283 Qi UE » 199 » 8360 Ia 231 »n 96 » 164 » 850 2° 35’ nord 214 e Al pldo » 210 O Cei 2 5 290 MELO, » 175 n MB40010 360» 225 DAMS5 palio DE NOS OOSORZ ARE 230 10107; »n 163 PMO SIA 229 » 96 DIGO ni 92005 NA4E valore medio 0° 11’ nord. Nella tabella gli oggetti sono stati ordinati secondo il valore dell’ in- clinazione dell’ asse magnetico incominciando da quelli, in cui alla base era più forte la polarità sud che quella nord (le parole sud e nord accanto al- l'angolo d’inclinazione indicano, che stando alla distribuzione del magne- tismo in quell'oggetto, un ago d'inclinazione avrebbe dovuto rivolgere verso il basso rispettivamente o il polo sud od il nord) ('): tra il primo oinochoe e l’ultimo si ha una differenza nell’ orientazione del magnetismo in essi in- dotto di circa 30°. Alle cause più sopra enumerate, a cui si devono attribuire tali differenze, si deve qui aggiungere anche la variazione dell’ inclinazione del campo magnetico terrestre, perchè si crede, che i buccheri etruschi, collo- cati nelle tombe come suppellettile funeraria, siano stati fabbricati sullo stesso tipo e cogli stessi fregi per un lungo periodo di tempo, percui po- trebbe darsi, che vasi perfettamente eguali appartengano ad epoche molto diverse. Se si vuole supporre, che la media delle inclinazioni dell’ asse ma- gnetico trovate corrisponda all’ inclinazione magnetica all’ età media della civiltà etrusca (forse al secolo VI a. C.) risulterebbe, che in quell’ epoca la direzione del campo magnetico terrestre era a press’ a poco orizzontale. (1) Ho esaminato altri quattro oinochoai: i numeri 285 e 292 sono magnetizzati assai debolmente e le misure sono incerte; i numeri 284 e 291 hanno una distribuzione del magnetismo irregolare. — 300 — Nella sala 4* del Museo Faina trovasi una serie di vasi policromi di stile orientale, fra i quali nove grandi boccali della stessa forma e di di- mensioni poco diverse. Questi somigliano agli oinochoai; solo la bocca è cir- colare e porta elevate su di essa due orecchie, una a destra e l’ altra a sini- stra dell’ ansa; due ne scartai perchè frantumati, e presi in esame gli altri sette. I risultati avuti sono riportati nella seguente tabella. TABELLA III. Inclinazione N. del Catalogo dell’ asse Particolarità magnetico 125 8° 55 nord | Colorato, graffiti a disegni geometrici, linee curve fatte a mano. 127 7° 23’ sud idem. 123 10° 12’ nord | Come i precedenti, ma con graffiti ad archi di cerchio fatti col compasso. 129 50964 n idem. 131 12° 33’ » Come il precedente, di più, figure di quadrupedìi alati. 135 9:99 idem. 137 1005.0005 idem, con figure di testa umana. Sull' età e sulla provenienza degli oggetti segnati in questa tabella pare che si sappia poco. Il dott. D. Cardella nella descrizione del Museo Faina (!) dice che « sono del VI secolo a. C. di stile orientale 0, come lo chiama il Gerhard, tirreno-egizio ». Io non entro menomamente in questioni archeolo- giche, ma faccio osservare che anche da questa tabella appare, che l’ incli- nazione magnetica è stata molto piccola all’ epoca e nel luogo di fabbri- cazione di questi vasi, vasi che sono stati trovati nelle stesse tombe dalle quali furono presi i buccheri. La media dei valori dell’ inclinazione dell’ asse magnetico indurrebbe a credere, che la direzione del campo che ha prodotto la magnetizzazione era poco diversa da 5° nord. Dal complesso delle mie ricerche risulterebbe, che all’ VIII secolo a. C. l'inclinazione magnetica nell’ Italia media era assai piccola e coi poli rove- sciati rispetto all’ attuale, e che forse un paio di secoli più tardi si aggirava attorno al valore 0°. Naturalmente non voglio dare a questi risultati peso maggiore di quanto meritano: il compito propostomi era assai arduo per le grandi difficoltà che presentava sia per la scelta dei vasi, sia per il peri- colo di possibili anomalie nella distribuzione del loro magnetismo, sia per l'incertezza circa all’ epoca a cui appartengono ecc. sicchè devo considerare questo lavoro piuttosto come un primo tentativo che una vera misura, e mi riservo di continuare gli studî con maggiore cura e precauzione. Ma fin da ora mi pare di potere affermare con una certa sicurezza, che la strada da me indicata e seguìta per scoprire il valore dell’ inclinazione magnetica nei tempi antichi sia buona e debba condurre al fine proposto. (1) Museo etrusco Faina ecc. Orvieto, tip. M. Marsili, 1888, p. 39. — 301 — Fisica. — Indice di rifrazione dell’acqua per onde elettriche da 2 metri a 25 cm. di lunghezza. Nota del prof. D. Mazzorto ('), presentata dal Corrisp. NACCARI. 1.° Preliminari e conclusioni. — In una precedente Memoria (?) descrissi un mio metodo per determinare l indice di rifrazione elettrico dei dielettrici, e lo applicai alla determinazione di esso per alcuni dielettrici solidi e liquidi dotati però di indice di rifrazione piuttosto basso, il massimo essendo stato quello di 2,015 presentato dallo solfo liquido. Ora mi parve opportuno dimostrare l’ applicabilità del metodo stesso a corpi presentanti un indice di rifrazione molto elevato, e mi accinsi per ciò alla determinazione dell'indice di rifrazione dell’acqua distillata, determina- zione per la quale erano falliti i metodi del Waitz (3) e di Arons e Rubens (‘) e che poi riuscì al Cohn(°) e ad altri autori (5) (7) (8) (*) (1°) (!!), con me- todi che, oltre all’esigere apparecchi più delicati e procedimenti sperimentali più complicati del mio, non si prestano che pei liquidi, mentre il mio me- todo è applicabile indifferentemente ai liquidi ed ai solidi. Il metodo si mostrò applicabile anche al detto caso, ma avendo voluto applicarlo ad onde nell'acqua assai corte, per le quali l'esploratore da me usato non era abbastanza sensibile, giunsi a perfezionarlo sopprimendo l’ uso dell’esploratore in seno al dielettrico. Riconobbi così che, per onde nell'acqua da 2 m. a 25 cm. di lunghezza, l’indice si mantiene costante ed uguale a 9,00 a 19°, il qual valore concorda col teorico (8,95) rappresentante la radice quadrata della corrispondente co- stante dielettrica. 2.° Descrizione del metodo. — Col metodo modificato si procede così: collocato il dielettrico nella cassetta metallica attraversata dai fili dell'apparato di Lecher, applicati i due ponti fissi, il I° all’ entrata, il II° (*) Lavoro eseguito nel Gabinetto di Fisica della KR. Università di Sassari. (?) Mazzotto, Nuovo Cimento, ser, 4%, vol. II, pag. 296. 1895. (3) Waitz, Wied. Annalen, vol. XLI, pag. 435. 1890. (4) Arons e Rubens, Wied. Ann., vol. XLIV, pag. 206. 1891. (5) Cohn, Wied. Ann., vol. XLV, pag. 370. 1892. (6) Ellinger, Wied. Ann., vol. XLVI, pag 513. 1892. (7) Yule, Wied. Ann., vol. L, pag. 742. 1893. (8) Drude, Wied. Ann., vol. LV, pag. 633. 1895. (*) Cohn und Zeemann, Wied. Ann., vol. LVII, pag. 15. 1896. ('9) Cole, Wied. Ann., LVII, pag. 290. 1896. (11) Drude, Wied. Ann.. vol. LVIII, pag. 1. 1896. — 302 — all'uscita dei fili dalla cassetta ed eccitato l’ apparecchio, si sposta, col mezzo d'una fune continua, il III° ponte lungo i fili uscenti dal dielettrico per vedere se l'esploratore, collocato fra il II° ed il III° ponte dia indizio di risonanza; non avendone, si applicano ai fili paralleli al di qua del I° ponte delle piccole appendici verticali, con che si viene ad allungare l’ onda eccita- trice ('), e si ritenta la prova; si procede così allungando successivamente le appendici finchè, con una certa lunghezza di esse, si scorgono all’ esploratore delle deboli scintille le quali, con ulteriori allungamenti delle appendici, si fanno più intense, raggiungono un massimo, scemano e scompajono. Le condizioni che danno questo massimo sono quelle che corrispondono alla ri- sonanza più perfetta della semionda eccitatrice, con quella nel dielettrico e la successiva nell'aria, e se ne deducono, fatte le debite correzioni, le lun- ghezze corrispondenti delle onde nell'aria e nel dielettrico ed il loro rap- porto, 7. Il metodo così modificato, mentre conserva i vantaggi del metodo pri- mitivo, di aver cioè il dielettrico limitato da due punti nodali, ciò che evita le complicazioni derivanti dalle riflessioni dell'onda all'entrata ed all’ uscita dal dielettrico, e di non aver ponti scorrevoli nell'interno di questo, ciò che lo rende adatto indifferentemente ai liquidi ed ai solidi e toglie il pericolo di contatti imperfetti, presenta come nuovi vantaggi: quello della mancanza di esploratore nel tratto di fili attraversanti il dielettrico, il che semplifica, spe- cialmente coi solidi, la disposizione esperimentale ed evita le correzioni neces- sarie per la presenza dell’ esploratore stesso, e quello di una più precisa de- terminazione delle condizioni di risonanza. Infatti nel metodo precedente si metteva prima in accordo la I* semi- onda (quella dell’eccitatore) colla II* (quella nel dielettrico) e poi la, III* (nell'aria) con quest'ultima. Nel nuovo metodo, usandosi solo l’ esploratore col- locato nella III* semionda, esso non dà indizî di risonanza finchè la I® e la II° semionda non sono in risonanza quasi perfetta, e quando ne dà, essendo la III* semionda forzata a vibrare all'unisono piuttosto colla II° che colla I°, le modificazioni alla I° semionda, hanno bensì molta influenza sulla intensità della risonanza osservata lungo la III*, poca invece sulla sua lunghezza d' onda, la quale rimane così determinata assai nettamente. 8.° Dettagli nell’applicazione del metodo. — Prima di appli- care il metodo è utile determinare esperimentalmente quali sono le lun- ghezze d'onda, primaria e secondaria (*) che si possono ottenere dall’ apparato usato, per le singole posizioni del I° ponte e le modificazioni che esse possono subire per l'applicazione delle appendici. Così, se si avrà conoscenza appros- simativa dell'indice di rifrazione cercato, si potrà determinare approssimati- (1) Mazzotto, Sull'effetto di appendici verticali applicate ai fili secondarî dell’ ap- parato di Lecher. Nuovo Cimento, s. 4%, vol. III, pag. 74. 1896. (2) Cfr. a pag. 5 la mia Memoria sopra citata. — 303 — vamente la posizione da darsi al I° ponte ed alla cassetta per aver la riso- nanza. Se in tal posizione non se ne avesse ancora indizio, si toglierà il II° ponte e si cercherà la risonanza spostando il IMI° ponte; se il III° ponte cadrà allora ad una distanza dalla cassetta minore della lunghezza d'una semionda nell’ aria, l'onda eccitatrice dovrà essere allungata, nel caso contrario accorciata; si è così presto guidati alle condizioni che danno risonanza percet- tibile anche col II° ponte al suo posto, la quale si rende poi I coll’ ap- plicazione delle appendici. 4.° Apparato. — L'apparato è quello stesso descritto a pag. 301 della mia precedente nota (Nuovo Cimento, 1895) e nelle tabelle III, V e VI dell'altra mia nota (Nuovo Cimento, 1896) sono registrate le lunghezze d'onda, primarie e secondarie date dall’ apparato stesso nelle varie posizioni del I° nodo e le modificazioni in esse prodotte dall’ applicazione delle appen- dici. Solo ho da aggiungere che, stante la maggior precisione consentita dal metodo modificato, le variazioni dell’ onda eccitatrice si effettuarono variando le lunghezze delle appendici di 5 in 5 centimetri anzichè di 10 in 10. 5.° Correzioni alle osservazioni. — La correzione da applicarsi alla III* semionda (nell'aria) in causa dell’esploratore in essa contenuto e dei ponti che la limitano, si può determinare facilmente, poichè l'onda cor- retta è data dallo spostamento che bisogna dare al III° ponte, dopo ottenuta la risonanza, per aggiungere una IV? semionda risonante colle prime tre. La correzione così determinata era in media di 14,8 cm.; per ogni osservazione si poteva così avere due valori della semionda nell'aria, dei quali si prendeva la media: l'uno ottenuto direttamente dalla IV* semionda, l’altro dalla III* corretta per mezzo del valore suddetto. Molto più importante nel nostro caso e difficile a determinare è la cor- rezione pei ponti che limitano il dielettrico in esame; credetti perciò indi- spensabile non risparmiar cure perchè essa riuscisse quanto più possibile si- cura ed esatta. Considerato che tale correzione assume un'importanza tanto maggiore, quanto più è corta la semionda limitata dal dielettrico, e quanto più lunghi sono i ponti (uguali alla distanza dei fili secondarî) determinai quella corre- zione usando l'onda più corta colla quale intendeva esperimentare (25 cm. circa nell'acqua) e dando ai fili secondarî, oltrechè la consueta distanza di 6 cm., anche una distanza doppia. Presa a tale scopo una cassetta di zinco di circa 12,5 cm. di lunghezza, e riempitala d'acqua distillata, determinai colla massima cura, usando il metodo descritto al $ 2, la lunghezza della semionda nell'aria che era in risonanza con quella contenuta nell’ acqua. Ripetei una seconda volta la determinazione stessa con altra cassetta di lunghezza circa doppia della precedente, ma operando in modo che nell'acqua fossero contenute non più una ma due semionde, ed una terza volta con cassetta di lunghezza circa tripla in modo che contenesse tre Ji — 304 — semionde. Colla cassetta di 12,5 cm., che era più larga delle altre, eseguii poi una quarta determinazione tenendo i fili secondarî alla distanza di 12 cm. Le lunghezze 4,, 4», 43, 44 delle semionde che producevano rispettivamente la risonanza nelle suddette quattro esperienze, stante le dimensioni scelte per le cassette, poco differivano l'una dall'altra, e col mezzo di esse determinai la correzione coi seguenti due metodi: I° metodo. — Si fonda sul principio che, trattandosi di onde aventi pressochè uguali lunghezze, l’ indice di rifrazione, x, cioè il rapporto fra l’ onda nell'aria e l'onda nel dielettrico, corrette, deve essere costante. Indicando quindi rispettivamente con /,, /», 23, 24 le lunghezze delle cas- sette nelle quattro esperienze, con 4 la correzione pei ponti di lunghezza di 6 cm. delle tre prime esperienze e quindi con 2x quella pei ponti di 12 cm. della quarta e rammentando che nelle cassette /, ed /, è contenuta una sola semionda, nella cassetta /, ne sono contenute due e nella /3 tre, si hanno le equazioni: o i O Tiba (eg)R7 e)eeee le quali accoppiate danno tre valori di x. II° metodo. — Si fonda sul principio generalmeute adottato per otte- nere la correzione pei ponti che cioè, ottenuta che si abbia la risonanza in un tratto di dielettrico limitato da due ponti, la semionda corretta è data dallo spostamento che si deve dare all’ ultimo ponte per aggiungere al sistema una nuova semionda in risonanza colle precedenti. Questo principio che si suole applicare agli esperimenti fatti con ponti scorrevoli nell’ interno dei dielettrici, può applicarsi anche alle mie esperienze fatte con ponti fissi, ed ecco come: Ammessa intanto, per piccole differenze, la proporzionalità fra le lun- ghezze delle cassette e le rispettive lunghezze d'onda, è facile calcolare le lunghezze ridotte 2", ls, ‘3, l'a che dovrebbero avere le singole cassette, perchè le rispettiva lunghezze delle semionde 4,, 43, 43, 44, già fra loro poco differenti, assumessero un valore comune 4, uguale alla loro media. Ora, l'esperienza fatta colla cassetta /, si può considerare equivalente a quella fatta colla cassetta /,, ma col II° ponte tanto spostato da compren- dere nella cassetta una semionda di più, ed altrettanto può dirsi delle espe- rienze fatte colla cassetta / rispetto a quella fatta colla cassetta /'», quindi le differenze Cali edi o meglio la loro media ((e—-)|2=% rappresenteranno le semionde nell'acqua, corrette, corrispondenti alla semi- onda À, nell’ aria. — 305 — Le correzioni x, «2, 3, 44 pei ponti applicati alle rispettive cassette si avranno quindi, l' una indipendentemente dall’ altra, sottraendo la lunghezza di ogni singola cassetta dal prodotto della semionda corretta pel numero indi- cante quante di esse sono contenute nella cassetta stessa, cioè delle espressioni: l-l',=% 2l-l'a=% sl—-l3=%3 t_-l=% Nella seguente tabella sono registrati i risultati delle osservazioni dirette, eseguite per determinare la correzione x. Le esperienze furono eseguite una volta coi ponti aderenti alla superficie esterna delle cassette, ed un’altra coi ponti aderenti alla superficie interna, per poter riconoscere se l’ interposizione della parete delle cassette eserciti influenza sensibile sulla correzione. Nelle singole caselle il valore superiore si riferisce alle esperienze eseguite coi ponti all’ esterno, l' inferiore a quelle eseguite coi ponti all’ interno. CGISSCLE E I li la ls Gi Lunghezza delle cassette . . . . . 12,75 25,0 40,0 ONTO Tunshezzaiider ponti i. ito. (0.0: 6 6 6 12 Numero delle semionde nella cassetta 1 2 9 JI Distanza dei ponti limitanti esterni . 12,9 25,3 40,5 12,9 il dielettrico interni . N97 24,8 40,0 — Lunghezza delle semionde, corrette, nel- 134,5 122,5 127,4 158,7 l’aria. Lunghezza delle semionde, non corrette, | nell'acqua. (12,7 12,4 13,3 12,7 | Seguono ora i valori della correzione 4 calcolata col 1° metodo dalle esperienze suddette prendendo a confronto le esperienze della colonna /; Cassette... a lE ls la 2,09 È _ Valori di x. . ? n° sl 2,19 1,64 - — da cui risulta per x il valore medio «x = 2,04 cm. Applicando il II° metodo, essendo 4, = 132,04 il valore medio dei valori RenpIconTI. 1896, Vor. V, 2° Sem. 39 rt n An — 306 — delle semionde 4,, 4», 43, 44, nell'aria, si calcolarono le seguenti lunghezze ri- dotte dalle cassette v, l, | l, L, it NEAnEIEE E I AR += da cui Lunghezze ridotte | 12,6 27,3 41,9 | 10,7 du 14,6 | delle cassette | 125 | 278 | 418 | 2A Ri 14 | \ e finalmente le correzioni | Li da Lg La 7 ANI (8250 2,0 2,0 3,9 Correzioni 0 1,9 1,5 1,9 = Da qui si vede che le correzioni #1, #2, #3, pei ponti di 6 cm., riuscirono sensibilmente uguali fra loro e quella #, pel ponte di 12 cm. sensibilmente doppia di esse, come fu ammesso a base del calcolo col I° metodo. Dagli ultimi valori sì ha in media, pel ponte di 6 cm., la correzione 4 = 1,90 e come media generale fra questa e quella ottenuta col primo metodo 4 = 2,0 che è il valore definitivamente adottato. 6.° Indice di rifrazione dell’acqua. — Le esperienze definitive per determinare l’ indice di rifrazione dell’acqua distillata le eseguii, oltre che colle tre cassette di zinco finora adoperate, con altre tre che avevano le langhezze di 60, 80, 100 cm. circa, e la larghezza di 8 cm. I fili paralleli scorrevano a 2 em., dal fondo delle cassette penetrandovi attraverso a turac- cioli di gomma tagliati rasente alla loro superficie esterna, ridosso alla quale erano applicati i ponti, isolati dalla superficie stessa da un sottile strato di paraffina ad essa applicato. L'acqua ricopriva i fili per uno strato di 3 cm.; con esperienze prelimi- nari, fatte con cassette di sezione maggiore delle precedenti e riempite a diffe- renti livelli, constatai che la massa d'acqua all’ infuori dei limiti adottati non avea sensibile influenza sul risultato. Constatai pure essere indifferente usare la cassetta aperta o con coperchio metallico. Nella seguente tabella, che si esplica da sè, sono indicate le condizioni in cui si dovette usare nei singoli casi l'apparato vibrante per ottenere la risonanza, le lunghezze d'onda corrispondenti nell'aria e nell'acqua, il loro rapporto n, nonchè la temperatura dell’acqua. Le esperienze 1, 2, 3 sono quelle stesse che servirono a determinare le correzioni dei ponti. Le posizioni del ponte e delle appendici sono riferite alla scala, divisa — 307 — in centimetri, parallela ai fili secondari ed avente lo zero a 15 cm. dal centro delle lamine secondarie. N. d'ordine delle esperienze . 1 | 2 3 | 4 5 6 7 8 Lunghezza delle cassette . . 129] 258 40,5] 25,2] 40,2| 59,5 78,2|100,0 N. delle semionde contenute sn A nelle cassette . . . . . 1 2 3 i 1 1 1 1 alii izione Usatabe li deco Seco. Second eso RR Den Prim. | Prim. | Prim. Posizione del 1° ponte da 69,9 | 70,0 | 69,6 |219,6 |241,4| 20,0 | 47,9 [102,5 ( lunghezza . 20 | lo |. 15. (Mad doo. 0° 00] 40 Appendici usate Î posizione . | 0 | gelo ABIGORIRIOON| ONT OL O Lunghezza, corretta, della co- lonna d'acqua . . . . . | 14,9] 27,8] 42,5] 27,2) 42,2] 61,5| 80,2 /102,0 Semionda, corretta, nell'acqua | 14,9 |13,65 [14,17 | 27,2| 42,2) 61,5| 80,2|102,0 Semionda, corretta, nell’aria . |134,5 [122,5 |127,4 246,4 [378,4 [553,1 |715,8 [924,9 n=rapporto delle semionde. | 9,03 | 8,99 | 8,99| 9,05 | 8,97 | 8,99| 8,93| 9,06 Memperaturate i ee te 808] 199,0) 170,9) RI90:0) T19952 1190311900) 1990 I valori di 7 così ottenuti sono fra loro concordanti quanto può atten- dersi da esperienze di tal natura, e non accennano a variazioni sistematiche entro i limiti di variazione di circa 1 :8 cui andò soggetta la lunghezza d’ onda. Si può quindi, facendo la media dei valori sopra trovati per 7, ritenere che: per onde elettriche nell’ acqua comprese fra 26 cm.e 204 cm. l'indice di rifrazione si mantiene costante ed uguale a 9,00 alla temperatura di 19°; questo valore concorda col teorico VK=8,95 dedotto, per la stessa tem- peratura, dalla costante dielettrica K (?). Riassumo nel seguente specchio, in ordine cronologico, i valori fin qui trovati per l'indice di rifrazione elettrico dell’acqua, con indicazione: delle lunghezze d'onda con le quali furono determinati, del metodo seguito e della temperatura delle esperienze. Nei casi in cui questa era nota ridussi i valori di 2 alla temperatura di 19° secondo la formula di Heerwagen (1. c.) na = (0,02) (£ a 17) (1) Heerwagen, Wied. Ann., vol. XLIX, pag. 279. 1893. = ceri — "mes agio > ‘ceo SEL fera rese n ‘bey ———p——r = = i ih IL, Li Tg ? il | NATI — 308 — Lunghezza Fre- n Indice di rifrazione Autori Anno Metodo Se È da di ratura: i in centimetri milioni T per sec. a T° a 199 Cohn (1. c. 4). . | 1892 : Apparato Lecher . 68,2 51 10:01 1835770 28:53 Ellinger (1. c. 5). | 1892 | Deviazione prisma . 108 _ ? 9 - Yule (1. c. 6) . | 1893 | Interferenze . . . = 33 (2) 8,33 = Drude (1. c. 7) . | 1895 | Apparato Blondlot. 60 57 (9) 8,7 = Cohn e Zeemann | . (I. e. 8). . . | 1896 | Apparato Lecher . {34,8-127,8| 97-26 | 179,0 | 8,91 | 8,87 Cole (1. c. 9). . | 1896 ” i 34,8 97. | 1990 | 8,95 | 8,95 ” PA ” Leggi Fresnel sulla riflessione . . . 0,55 6200 (?) 8,8 - Drude (1. c. 10). | 1896 | Apparato Blondlot. 8,2 410 | 179,0 | 8,92 | 8,88 PIATTO ” D) 7 20,0 167 ! 179,0 | 8,96 | 8,92 Mazzotto . . . | 1896 | Apparato Lecher . 26-204 |128-16| 199,0 | 9,00 | 9,00 Si vede che il valore da me ottenuto concorda con quelli ottenuti dagli altri autori coi metodi più attendibili. Le lunghezze d'onda da me usate hanno un limite superiore più alto di quelle usate dagli altri autori e sarebbe stato facile innalzarlo ancora facendo uso di cassette più lunghe, ma ciò non avrebbe presentato interesse. Infatti, secondo la teoria della dispersione, la costanza del valore di 7 per le lunghezze d'onda comprese entro i limiti delle esperienze sopra riferite, indicherebbe che la frequenza di dette vibrazioni ha un valore non comparabile con quello delle vibrazioni molecolari proprie dell’acqua, le quali devono esser assai rapide in causa del suo piccolo peso molecolare; perciò le variazioni nel valore di x si devono ricercare piuttosto aumentando che abbassando la frequenza. Il campo in cui le variazioni di si faranno palesi, giace però proba- bilmente al di sotto dei limiti raggiungibili con onde misurabili propagantesi lungo i fili; poichè, anche adottando gli apparati in miniatura coi quali il Drude (1. c.), ottenne lungo i fili immersi nell'aria onde di soli 12 cm., non si raggiungerebbero onde tanto corte quanto quelle (di soli 5 cm. nell'aria) usate dal Cole (1. c.). Ma anche per tali onde questi trovò che l’acqua conservava il valore n = 8,8, il qual valore, benchè trovato con metodo assai indiretto, merita pur fiducia avendo quel metodo dato per l'alcool delle variazioni di 7 nello stesso senso di quelle poi trovate dal Drude col metodo diretto della misura di onde lungo i fili; quindi la ricerca delle variazioni di z per l'acqua dovrebbe esser tentata nel campo delle onde cortissime usate dal Righi e da Lebedew (1). (1) Aggiunta durante la correzione. — Da un breve referto della « Nature » vol. LIV, pag. 298 risulterebbe che il dott. Lampa eseguì ultimamente la determinazione di # anche con tali onde (di lunghezza 0,8 cm. nell’aria, e frequenza 37 500 X 105), e trovò ancora il valore 2 = 8,972; invece il Drude, in un nuovo lavoro comparso nell’ultimo numero dei Wied. Ann. Vol. LIX, pag. 17, avrebbe trovato, con onde nell’acqua di 22, 8, 4 cm., rispet- tivamente gli indici di rifrazione 8,97, 9,03, 9,14 a 17°, e tali valori, ammettendo coll’au- tore che sieno esatti entro 1 su 1000, accennerebbero ad un debolissimo aumento di (dispersione normale) accorciando l’onda oltre i limiti delle mie esperienze. — 309 — Chimica. — Sopra un prodotto di addizione della santonina coll’ acido nitrico. — Azione dell’ acido nitrico sulla desmotropo- santonina. Nota di A. AnpREOCCI, presentata dal Socio S. CAn- NIZZARO (1 Comunicazione). Spiegai la trasformazione desmotropica della santonina, prodotta dagli acidi cloridrico e bromidrico concentrati, ammettendo che questi si addizio- nino al CO cetonico formando i composti alogenati corrispondenti e S pi X ]1CH-CH- Hol Da A ti COM; C CH? CH* | CH dai quali, quando l’alogeno si elimina coll’idrogeno del metilene vicino, si genera la desmotroposantonina ('). CH? È CH? HC i HO .C L _ciron.do AO Cio CH? Quantunque non avessi potuto isolare i composti alogenati, pure portai valide ragioni per dimostrare la loro esistenza nelle soluzioni di santonina nei suddetti idracidi concentrati e specialmente mi basai sul fatto, da me os- servato (?), che la santonina raddoppia il potere rotatorio e l’acido santo- nico, che contiene pure il CO cetonico, lo triplica, quando sono in soluzione cloridrica o bromidrica. Anzi comparando l'influenza di alcuni solventi sul potere rotatorio delle due dette sostanze, feci l'ipotesi che il loro carbonile cetonico fosse atto parzialmente ad addizionarsi anche agli elementi del- l’acqua. (1) Sopra due nuovi isomeri della santonina ecc., Gazz. chim. ital. 1893, vol. 2°, p. 468. (2) Sui quattro acidi santonosi, Gazz. chim. ital. 1895, vol. 1°, p. 452. — Su quattro acidi santonosi e sopra due nuove santonine, Atti della R. Acc. dei Lincei, 1895. — 310 — L'isolamento di uno di questi prodotti di addizione mi aveva sin d' al- lora sorriso, perchè avrei potuto così avvalorare le mie idee sulla genesi della desmotroposantonina. Ho fatto a tal fine i seguenti tentativi coll’ acido cloridrico: 1° Disciolsi in 10 cc. di ac. cloridrico conc. 10 gr. di santonina, fa- cendo contemporaneamente attraversare il liquide da una corrente di gas clo- ridrico e raffreddando con neve e sale; ma per evaporazione della soluzione il composto si dissocia e cristallizza la santonina. 2° Sulla santonina, ridotta in polvere finissima, feci passare una lenta corrente di gas cloridrico secchissimo; essa aumenta di peso, si trasforma in una massa gommosa, giallognola, che riveste la santonina e così impedisce il proseguire della reazione. Più fortunato sono stato impiegando invece l'acido nitrico, che, come più energico ed anche perchè si può avere in soluzione più concentrata del cloridrico, mi permise di ottenere facilmente un prodotto puro, ben cristal- lizzato ed abbastanza stabile nelle condizioni che ora descrivo (!): In 100 ce. di acido nitrico purissimo, densità 1,40 ho disciolto gr. 25 di santonina in polv.; per svaporamento spontaneo della soluzione, o per di- luizione con un ventesimo, del volume, di acqua, si depone il composto ni- trico cristallizzato in belle tavole, dotate di lucentezza adamantina, che con- servano assai bene in recipiente chiuso e per qualche giorno se si lasciano esposti all'umidità dell’aria, senza ingiallire alla luce solare come invece fa la santonina libera. Questo composto nitrico raccolto su filtro d’amianto, lavato con acido nitrico (d. 1,30), asciugato con carta bibula, fra 120° e 140° rammollisce, fonde, si dissocia rigenerando la santonina, ma una parte di questa per azione del- l'acido nitrico liberatosi, si ossida profondamente svolgendo vapori nitrosi. A contatto dell'acqua diviene opaco e si trasforma in una polvere bianca che fonde a 170° e possiede tutti i caratteri della santonina pura, compreso quello del potere rotatorio che ho trovato — 172,1 invece di — 173. Anche l'alcool a caldo lo dissocia e così a freddo lo stesso acido nitrico diluito, quando la sua concentrazione è inferiore al 15 °/. La dissociazione col- l’acqua è teoretica, e mostra che la combinazione di santonina ed acido nitrico avviene con quantità equimolecolari, come risulta dai seguenti dati: Gr. 2,1110 del prodotto di addizione, seccato all’ aria, dànno gr. 1,596 di santonina e richiesero cc. 69,5 d'idrato potassico decimo normale; mentre teoreticamente avrebbe dovuto dare gr. 1,6806 di santonina e richiedere ce. 68, 3 della soluzione suddetta. Queste piccole differenze rientrano nei (") H. Trommdorff (L. Ann. XI, p. 195-96), W. Heldt (L. Ann. LXIII, p. 38-45) e H. Wagner (Ber. XX, p. 1662) studiarono l’azione dell’acido nitrico sulla santonina, ma non si avvidero della combinazione che essa fa con quest’acido; solo l’ Heldt notò che la santonina, prima di disciogliervisi, si trasforma in una massa dura di sapore amarissimo. — 311 — limiti dell'errore dovuto alla solubilità della santonina nell'acqua, che è uguale ad uno in 5000 e che è certamente aumentata dalla presenza del- l'acido nitrico. Per questi risultati e per quello che ho rammentato sulla trasformazione desmotropica della santonina, assegno al prodotto d’ addizione che essa fa col- l'acido nitrico la seguente struttura : CH° O 0H° H?0 - cH-0 POCO } crt.en-0o Ù CH* CH? CH° che ritengo più probabile di quella per la quale l'anello biidrogenato della santonina sarebbe addivenuto tetraidro per tale addizione. La desmotroposantonina, che contiene un anello aromatico, si comporta coll’ acido nitrico in un modo del tutto differente a quello che abbiamo ve- duto per la santonina; genera diversi prodotti e già per tre di questi conosco le condizioni di formazione e la maniera di purificarli. Fra le sostanze che si formano quando si sospende la desmotroposan- tonina nell’acido nitrico, d. 1,25, raffreddando con neve, ho potuto isolare un composto la cui formula corrisponde a quella della mononitro-desmotropo santonina C!5 H!" NO? (1). Essa è gialla, cistallizza in bei prismi, fonde a 191° con decomposizione, è solubile più a caldo che a freddo nell’alcool e nell’ acido acetico; ha i ca- ratteri dei nitro fenoli, infatti si discioglie a freddo nel carbonato sodico dando una soluzione rosso sangue dalla quale, se non fu usato un grande eccesso di acqua e di carbonato, si separa il composto sodico cristallizzato in aghetti rossi poco solubili; altrimenti si forma un altro sale sodico, pure rosso, molto più solubile, che probabilmente è il sale bisodico dell'acido nitro-de- smotropo-santoninico. (1) Gr. 0,2016 dànno 0, 4602 di CO? e 0,1076 di H?0. Gr. 0,2396 dànno ce. 10,5 di azoto misurato a 25° e 756mm corr. Calcolato per C15 H1? NOS trovato Cc 61,86 62,25 H 5,84 9,93 N 4,81 4,76 — 312 — Siccome nell'anello aromatico della desmotroposantonina esiste soltanto un atomo d'idrogeno sostituibile, con grande probabilità, al nitro composto spetta la struttura: CH? Ì C CH? NO?-C C_—CH-0 CO HO.C CH-(CH C cH: CH? CH: Un secondo prodotto sì forma in piccola quantità quando sulla desmo- troposantonina si fa agire l’acido nitrico d. 1,40 alla temperatura ordinaria, oppure l'acido nitrico diluito a caldo. La sua composizione corrisponde a quella di una nitro-ossi-desmotropo- santonina C!5 H!° NOS (’). Cristallizza in bei prismi incolori, lucenti, fusibili verso 240° con de- composizione, è poco solubile nell’ alcool bollente e nell’ etere acetico, inso- lubile nell’etere e nell'acqua; il suo miglior solvente è l'acido acetico glaciale e bollente. Questa sostanza non ha più i caratteri fenici della desmotroposantonina; è infatti insolubile a freddo negli idrati alcalini, però lentamente vi sì di- scioglie all’ ebollizione colorandosi in giallo bruno ed acidificando poi con acido solforico l'etere estrae una materia gialla solubilissima in questo solvente. Sembra che la desmotroposantonina nel trasformarsi nell’ ossi-nitro-deri- vato abbia subito, per addizione di un atomo d'ossigeno, una trasformazione analoga a quella del dimetilnaftol CH? ] C CH (G HC CH , HO CH C CH I CH° (') 0,1699 danno 0,3677 di CO? e 0,0887 di H°0. 0,2029 » 0,4361. » 0,1018 » 0,2641 » cc. 11,5 di azoto misurato a 26° e 7552 corr. Calcolato per C!5 H!° NOS trovato C 58,63 58,97 58,62 H 5,54 5,80 5,57 N 4,56 4,80 — 313 — quando si converte nell’ossidimetilnaftol di Cannizzaro e Carnelutti (!) la di cui costituzione venne in seguito dimostrata da Cannizzaro e da me (?). Per ora non posso dare con certezza alla nitro-ossi-desmotroposantonina la seguente struttura, che risulterebbe dalle considerazioni sopra esposte CHE C CH? 00 i CH-0 cOu NO?,0-HC TE CH—CH C CH° CH* CH° Infine la terza sostanza si forma in quantità predominante per azione di una quantità limitata di acido nitrico a caldo; essa cristallizza dall'acido acetico diluito in aghetti gialli, setacei, che sono solubilissimi nell'alcool e nell’etere acetico, solubili alquanto nell’ acqua; fonde con decomposione verso 145°. Colla fenilidrazina dà immediatamente un idrazone di color arancio. Intendo proseguire lo studio comparativo dell’azione dell’ acido nitrico sulla santonina e sulle due desmotroposantonine, non solo per mostrare il diverso comportamento dell'anello biidrogenato della prima con quello aro- matico delle seconde; ma anche colla speranza di poter ritrasformare l'anello aromatico delle desmotroposantonine nell’aliciclico, come avviene per il dimetil naftol sopra rammentato; d’investigare da che dipende l’'isomeria delle due desmotroposantonine e degli acidi santonosi corrispondenti; e di ottenere qualche chinone, od altro prodotto di ossidazione, che possa dar luce sulla po- sizione del gruppo lattonico nell'altro anello tetraidrogenato comune alle tre santonine. (1) Gazz. chim. ital., vol. XII, p. 408. (2) Idem, vol. XXVI, parte 1%, p. 13. — Atti della R. Acc. dei Lincei, serie 5°, vol. II, 1896. zENDICONTI. 1896, Vor. V, 2° Sem. 40 — 314 — Chimica. — Sulla stabilità di alcuni diazoniocomposti. Nota di G. Oppo e G. AMPOLA, presentata del Socio CANNIZZARO. Dopo la scoperta degl'isodiazocomposti fatta da Schraube e Schmidt (!), in seguito alle previsioni di Pechmann (?) e Bamberger (3), è stata ripresa la discussione sul modo come sono aggruppati fra di loro i due atomi di azoto nella molecola dei diazocomposti. Il concetto di Kekulè (') che i due atomi di azoto siano trivalenti e legati fra loro per due valenze PENN è stato dimostrato insufficiente a spiegare le nuove conoscenze che si sono acquistate. I diazocomposti infatti hanno natura metallica: i loro sali si com- portano nei doppi scambi come quelli dei metalli (*); in soluzione acquosa, sia per il comportamento crioscopico (9) che per la conducibilità elettrica (7), si mostrano elettroliticamente dissociati e danno sali doppi e composti pe- ralogenati (5) paragonabili a quelli dei metalli alcalini. E poichè non si co- nosce nessun composto dell'azoto capace di dar sali in cui questo elemento si mostri trivalente, è necessario ammettere che uno o tutti e due gli atomi di azoto abbiano funzione di ammonio. Fu perciò che V. Meyer e P. Ja- cobsen nel loro importante trattato, Bamberger (*) e Hantzsch (1°) nella vi- vace e tuttavia feconda polemica sono stati condotti a rievocare una for- mola che Blomstrand (!!), Strecker (!°) e Erlenmeyer (') avevano proposta parecchi anni addietro per i diazo normali: Ph—N—R A) N (*) Chemie der Jetztzeit 272 e Ber. 1875, 51. (2) Ber. 1871, 786. (3) Ber. 1874, 1110. (4) Indichiamo con Ph un radicale fenico qualunque e con R un radicale acido. () Ber. 27, 514. (6) Ber. 24, 3255. (7) Ber. 24, 3260. (8) Lehrbuch d. org. Ch. II, p. 717 (9) Gazz. chim. it. 1890, 642. (1°) Ber. 1890, 3220. (11) Ber. 1895, 1737. (12) Ber. 1895, 1742 e 2754. (13) Ber. 1895, 444. (14) Ber. 1895, 1734. — 315 — nella quale un solo atomo di azoto è pentavalente e perciò funziona da am- monio; e su proposta di Hantzsch a questi composti fu dato il nome di dia- zonio, che noi adotteremo. Agl isodiazocomposti fu attribuita l'altra formola: Ph—_N=N-R,. Ora non tutti i sali dei diversi diazoniocomposti sono dotati di uguale stabilità; però intorno alle cause che influiscono su questa proprietà nella letteratura non esistono che notizie vaghe, fra le quali la più importante è quella che ci fornisce Hantzsch su esperienze di Semple (*) che cioè i sali di fenildiazonio, bromobenzendiazonio e triclorobenzendiazonio rispetto alla con- ducibilità elettrica si mostrano ugualmente stabili, e in questo fatto impor- tante l’autore trova una conferma che il diazonio come ionio è un vero am- monio quaternario. Avendo uno di noi (?) dimostrato in un lavoro precedente che alcuni diazoniocomposti si possono formare ed essere stabili anche ad elevate tem- perature, mentre altri non si formano che a temperature relativamente molto basse, ci è sembrato non privo d'interesse per la discussione del modo come sono aggruppati fra di loro i due atomi di azoto nei diazonio, ricercare quale influenza esercitino sulla stabilità la natura e la posizione diversa dei radi- cali che si trovano nel nucleo aromatico. Le ricerche furono eseguite in tutti i casi nel seguente modo: Una molecola di base veniva disciolta in acqua e acido cloridrico, e sia che di questo si adoperasse un grande eccesso (o anche addirittura acido cloridrico fumante), sia che se ne adoperassero soltanto due molecole (quantità teorica) i risultati ai quali si arrivava erano sempre gli stessi. Dopo avere riscaldato a fiamma diretta e dentro una capsula sino alla temperatura voluta si ag- giungeva a poco a poco una molecola di una soluzione titolata e concentrata di nitrito sodico e frattanto si agitava, facendo uso del termometro che si teneva immerso nel liquido per poter conservare costante la temperatura. Compita la reazione il liquido dopo raffreddamento veniva filtrato e ana- lizzato con la soluzione acquosa di #-naftol e soda a molecole uguali, o leg- germente alcalina, e con quella di cloridrato di p-nitroanilina. Quando si erano formati i diazoniocomposti si ottenevano col primo reat- tivo gli ossiazo, come bei precipitati rossi, cristallini, solubili negli alcali con colorazione rossa, ovvero semplice colorazione rossa se la soluzione con- teneva soltanto tracce del diazonio composto; col secondo reattivo dei preci- pitati ordinariamente gialli o giallo rossastri, fioccosi, di diazoamidocomposti, ('*) Ber. 1895, 1737 e 1896, 1069. (2) Rend. Acc. Lincei, vol. IV, 1° sem., pag. 395 e Gazz. chim. ital. 1895, 327, vol. I. — 316 — che si formavano subito o dopo avere aggiunto la soluzione di acetato sodico o talvolta anche di soda. Questi due reattivi sono molto sensibili e quando sì ottenevano risultati negativi non ci restava alcun dubbio che nella soluzione analizzata non esi- steva il diazoniocomposto cercato. Noi abbiamo tentato di preparare i diazoniocomposti alla temperatura di 100 — 105° 80 — 85° 60 — 65° 40 — 45° incominciando da 100-105° per tutte le basi delle quali disponevamo. Quando di una di esse si otteneva ad una data temperatura una copiosa formazione di diazonio, non sì cimentava alle temperature inferiori. Se invece sì otte- neva scarso precipitato di ossiazo e amidoazo o soltanto colorazione rossa del liquido col #-naftolato sodico, si ripeteva l’esperienza a temperature inferiori di 20°, e in tutti i casi allora con i due reattivi si sono formati precipitati abbondanti più o meno. Ecco i risultati ottenuti : a 100-105° si trasformarono nei diazoniocomposti e diedero precipitato abbondante con i due reattivi le basi : p-nitroanilina m-nitroanilina p-cloroanilina dinitroanilina (1 NH, , 2,4) nitrotoluidina (1 NH», 4,5) nitrotoluidina (1 NH», 4, 6). Diedero scarso precipitato con i due reattivi o soltanto colorazione rossa col 8-naftolato sodico m-cloroanilina m-bromoanilina o-nitroanilina acido p-amidobenzoico nitrotoluidina NO, .CH,.NH,1.5.2 a 30°-85° Fornirono precipitato abbondante con i due reattivi la: m-cloroanilina m-bromoanilina o-nitroanilina l'acido p-amidobenzoico nitrotoluidina (NO, .CH3.NH,1.5.2) — 317 — e precipitato scarso o soltanto colorazione rossa con -naftolato sodico la: anilina p-toluidina a-naftilammina B-naftilammina. a 60°-65° Precipitato abbondante si ottenne con anilina p-toluidina a-naftilammina B-naftilammina e precipitato scarso o soltanto colorazione rossa con #-naftolato sodico da o-toluidina p-xilidina a 40°45° Anche la p-xilidina fornì precipitato abbondante con i due reattivi. Noi abbiamo tentato inoltre di misurare la velocità di decomposizione dei sali di diazonio puri, in soluzione acquosa, sia a 100° che a 25°. Però la grande difficoltà che s'incontra per ottenere anche a 0° sali ugualmente puri, che si possano disseccare completamente per pesarne i diversi equivalenti che disciolti poi in acqua distillata diano soluzioni neutre o ugualmente acide, ci ha fatto smettere subito queste ricerche. I risultati ai quali siamo arrivati ci sembra che abbiano un certo inte- resse per discutere sul modo come sono aggruppati fra di loro i due atomi di azoto. Dalle nostre esperienze si può ricavare che sulla temperatura alla quale i diazoniocomposti si possono formare e perciò essere stabili influiscono : 1° La natura delle catene che si trovano nel nucleo della benzina. 2° La loro posizione rispetto al gruppo diazonio. Partendo infatti dall’anilina, dalla quale s' incomincia ad ottenere abbon- dante formazione di diazonio a 60°, si osserva che quando al nucleo benze- nico si attaccano radicali negativi, come — Cl, — Br, — NO;, — CO.H, mentre le ammine danno sali più instabili, invece i diazoniocomposti si possono formare ed essere stabili a temperature superiori ai 60°, e per tutte basta citare la dinitroanilina che si unisce difficilmente con gli acidi, mentre poi si trasforma in grande quantità nel diazoniocomposto corrispondente anche a 100-105°. Se viceversa sono legati al nucleo benzenico degli alchili i diazoniocom- posti si possono ottenere a temperature tanto più basse quanto maggiore è il numero degli alchili, e così della xilidina abbiamo potuto ottenere il dia- ij | — 318 — zonio non al di sopra dei 40° che è la temperatura più bassa raggiunta per tutte le basi che abbiamo preso in esame. Il secondo fatto che merita attenzione è che sulla temperatura di for- mazione influiscono anche la posizione delle catene laterali: si formano a temperatura un po' più elevata i paraderivati, poi i meta e successivamente gli orto che sono i più instabili. Ciò abbiamo constatato con le tre nitroani- line, con i tre acidi amidobenzoici, con le p-cloro e m-cloroaniline, le p- e o-toluidine. E conformemente l'o-diazoniofenol è meno stabile del p-diazo- niofenol, come hanno dimostrato recentemente Hautzsch e Davidson (1). È evidente dunque che l’asserzione di Hautzsch che tutti i diazonio- composti come ammonii quaternarî sono ugualmente stabili non corrisponde al fatti; e tra il diazonio della dinitroanilina che si può formare a 100-105° e quella della xilidina ch si può formare a non più di 40° esiste notevole differenza. Quella asserzione inoltre lascerebbe presupporre la possibilità del- l’esistenza dei diazoniocomposti della serie grassa che nel fatto non esistono. E se alla formola proposta da Blomstrand Ph—N—R | N togliamo questa unica argomentazione a favore, troviamo che essa è del tutto insufficiente a spiegare questa grande anomalia che si riscontra nei diazonio- composti. Può infatti una base, specialmente con un azoto quaternario, risen- tire pochissimo l'influenza di nuovi radicali, specialmente se questa si esercita indirettamente, come nel caso dei composti ciclici; ma non avviene mai che uno o più radicali fortemente negativi ne aumentino la basicità, mentre uno o più radicali positivi la facciano diminuire. Occorrono concetti nuovi ed è perciò che noi siamo indotti a proporre per i diazoniocomposti la formola Ph_—N=N—R in cui i due atomi di azoto sono pentavalenti e tutti e due con funzione ili ammonio. Le ragioni che ci conducono ad ammetteria sono le seguenti: 1° Nel comportamento crioscopico e nella conducibilità elettrica il numero dei ioni che si possono mettere allo stato libero con questa formola è perfettamente eguale a quello che si ha con la formola di Blomstrand, per- (1) Ber. 1896, 1522. — 319 — chè considerando come radicale negativo anche il radicale benzenico, esso non è ionizzabile: PhT—N (03 Ph—N=N CI | Da N uu + = Blomstrand Oddo e Ampola 2° Essa ci dà completamente spiegazione del fatto da noi constatato e che finora abbiamo chiamato anomalia. È noto infatti che il nucleo benzenico si comporta come un radicale negativo, e basterà perciò rammentare che mentre la metil-, dimetil-, trime- tilammina sono basi successivamente più energiche, viceversa la fenilammina è una base abbastanza energica, la difenilammina dà sali che si dissociano facilmente con l’acqua e la trifenilammina è un corpo indifferente. Questo potere negativo cresce con l'introduzione di radicali negativi nel nucleo, e ciò dimostrano i seguenti esempi: la tricloroanilina e la tribromo- anilina danno sali molto instabili; mentre la clorobenzina non reagisce con l’NH;, nei composti aromatici polisostituiti con radicali negativi questa rea- zione si compie quasi con la medesima facilità che coi cloruri acidi sia con NH;, sia con le ammine, come l’anilina, l’idrazina ecc.; e finalmente il tri- nitrobenzolo è un vero acido, capace di dare un sale, sostituendo uno degli atomi d'idrogeno del nucleo con potassio: C;H; K(NO»); + CH:0H + 4 H,0 composto ottenuto da Lobry de Bruyn(')e studiato recentemente da V. Meyer(2). Appare quindi evidente che nel gruppo del diammonio — N=N— col crescere del potere negativo del radicale aromatico deve crescere la sta- bilità della molecola, perchè questo radicale negativo, che non è un ione, tende tuttavia a dare anche dalla sua parte alla molecola la natura di un vero sale. Si potrebbe obbiettare che secondo questo concetto anche le amidi degli acidi dovrebbero fornire dei diazoniocomposti; però questa obiezione viene distrutta dall'altro fatto da noi osservato, dell'influenza cioè della posizione sulla stabilità del nucleo diazoico, influenza che si svolge nello stesso senso del processo di eterificazione degli acidi aromatici polisostituiti, studiati da V. Meyer e i suoi allievi. (1) Rec. d. Tr. Ch. XIV, 89. (2) Ber. 1896, 848. — 320 — Infatti l'ossigeno per due valenze e l’altro radicale che sono legati allo stesso atomo di carbonio che dovrebbe portare anche il diazonio R | —C—-NE=N 0 | possono esercitare su quest’ultimo quella stessa influenza che esercitano fra di loro i quattro ossidrili e i quattro — NH. nei composti OH WH,; | | HO—C—0H e H,W—C—NH, | | OH NH; che non si sono potuti ottenere. Conchiuderemo accennando che anche Bamberger (!) e Hantzsch (?) nei loro numerosi lavori su questo argomento ben tre volte il primo e una volta l’altro accennano alla possibilità di questo aggruppamento —_N=W— per i diazoniocomposti, che noi proponiamo; però mai si sono fermati a di- scuterlo. Patologia vegetale. — Su! disseccamento dei germogli del gelso (*). Nota del dott. U6o BRIZI, presentata dal Corrisp. R. Pr- ROTTA. Nella decorsa primavera, specialmente nel mese di maggio, in molte parti d'Italia, ma in modo particolare lungo la costa adriatica da Pesaro fino a Castellamare-A driatico, si è manifestata con notevole intensità la malattia del gelso denominata disseccamento dei germogli, malattia già mostratasi con effetti assai dannosi nel 1884, nel 1892 e nel 1894, specialmente nell’Alta Italia e nella Toscana. I caratteri della malattia che potei osservare sul posto nel mese di maggio nella provincia di Ascoli dove la malattia infierì notevolmente, e nel mese di giugno nella provincia di Reggio Emilia, sono assai netti. Nei gelsi (1) Ber. 27, 3417; 28, 242 e 444. (2) Ber. 28, p. 667 nota. (8) Lavoro eseguito nel Laboratorio della R. Stazione di Patologia Vegetale di Roma, ottobre 1896. — 321 — adulti, raramente nei giovanissimi, alcuni rami qua e là si presentano asso- lutamente privi di foglie, oppure forniti di piccoli ciuffetti di foglie piccole contorte, nerastre e disseccate. Esaminando attentamente si scorge che in tutti i rametti colpiti dalla malattia le foglioline che nascono dalle gemme, non appena sviluppate, vengono rapidamente disseccate come se fossero state sottoposte improvvisamente all’azione del gelo, oppure di un'alta temperatura. Questi caratteri sono costanti, ed è anzi raro il caso che dalle gemme riescano a svilupparsi più di cinque o sei foglioline; più di rado ancora il rametto si dissecca soltanto quando ha raggiunto la lunghezza di 25 o 30 cen- timetri. I rami colpiti perciò non solo non danno il raccolto di foglia annuale, ma non producono neppure i rami che portino poi le gemme per l'anno suc- cessivo; e siccome in molti grossi gelsi un notevole numero di questi rami viene colpito, e d'altra parte quasi contemporaneamente il fenomeno si ma- nifesta in un grandissimo numero di piante, ne deriva un danno rilevantissimo per la perdita di foglia necessaria all’alimentazione dei bachi da seta non solo nell'annata in corso, ma anche nella primavera dell’anno successivo. Le cause di questa malattia che ha gettato anche quest'anno grande al- larme nei gelsicultori sono rimaste finora ignote, nonostante che varie ipotesi siano state emesse per spiegarne le origini, ma nessun fatto chiaro e preciso fu trovato che potesse togliere i dubbi che si avevano in proposito. È ben vero che su alcuni rametti morti sono state segnalate varie specie di micromiceti, ma nessuna di queste si trova costantemente in tutti i casi; quindi non si può la causa del male attribuire a questi funghetti, i quali sono probabil- mente soltanto saprofiti post mortem. La maggior parte degli autori che hanno parlato finora di questa ma- lattia hanno ritenuto che non fosse di natura parassitaria, ma che dovesse attribuirsi alla azione del freddo; ed infatti i caratteri che presentano le fo- glioline disseccate sono molto simili a quelli prodotti dal gelo. Ma osserva- zioni ulteriori hanno dimostrato che la malattia si è manifestata talvolta anche in luoghi dove non si ebbero nè gelate, nè forti squilibri di tempera- tura, come appunto in quest'anno nella valle del fiume Tronto e presso Pesaro, dove nella primavera non vi furono nè gelate, nè forti sbalzi di tem- peratura, e dove tuttavia la malattia si sviluppò intensamente; mentre invece non si è sviluppata quasi affatto nella Italia settentrionale; dove pure si ebbero a lamentare gelate primaverili e forti squilibri di temperatura. Inoltre il trovarsi frequentemente i rami colpiti dal disseccamento insieme arami perfettamente sani, l'essere anzi talvolta uno o due rami soli colpiti in grossi gelsi nel resto senza traccia di male, rende anche meno probabile l’ ipo- tesi che si tratti di un effetto prodotto dal freddo, giacchè mal si spiegherebbe come mai rami prossimi, sulla stessa pianta, risentano in modo così diverso l’azione della bassa temperatura. Per le stesse ragioni probabilmente la causa della malattia non è neanche da attribuire, come fecero i proff. Penzig e RenpIconti. 1896, Vor. V, 2° Sem. 41 —. 32% — Poggi, aila cosidetta scottatura o colpo di sole. Il prof. Cuboni (Boll. Mottz. agrarie, n. 8, maggio 1894) nello esporre la storia della malattia fu dap- prima del parere del prof. Briosi, che cioè la malattia fosse da attribuirsi al freddo, ma poi (Boll. Notiz. agrarie, maggio 1895) riferà molte osser- vazioni, ed espose varie considerazioni colle quali inclina a credere piuttosto alla natura parassitaria della malattia. Le osservazioni che ho potuto fare quest'anno nella R. Stazione di Pato- logia Vegetale hanno con molta probabilità quasi risolta la questione della causa della malattia del disseccamento dei germogli, mercè lo studio accurato e paziente del materiale inviato dal prof. Dupré del Laboratorio di Chimica Agraria di Pesaro, e dal Direttore della Scuola Pratica di Agricoltura di Fabriano, e con quello studiato e da me raccolto sul posto nel comune di Monteprandone presso Ascoli Piceno a S. Benedetto del Tronto, e nei gelseti presso il fiume Po, di proprietà del sig. Soliani nel comune di Brescello (Reggio Emilia). Infatti la ricerca microscopica eseguita non già nelle foglio- line morte o sui giovani germogli già disseccati, ma sul ramo vivo che porta i rametti morti, ha svelata la presenza costante di un endoparassita nel legno sano e nei tessuti vivi prossimi al cono gemmario da cui ha origine il rametto il quale, appena sviluppato, e appena emesse le sue prime foglio- line, cessa di crescere ulteriormente e dissecca quasi improvvisamente. Questo endoparassita, a differenza di tutti gli altri microrganismi riscon- trati fin qui sui germogli disseccati, è costantemente presente, e tale si può ritenere giacchè l'esame eseguito sopra più centinaia di rami colpiti, e di molti rametti disseccati per ogni ramo, provenienti da varie parti d' Italia, in tutti, nessuno escluso, notai la presenza di tale endoparassita che ora descri- verò, e che probabilmente era sfuggito per lo addietro, prima perchè non fa- cilmente visibile, e poi perchè, probabilmente, le ricerche degli studiosi della malattia, ed anche le mie dapprincipio, si limitarono sempre ai tessuti morti dei rametti disseccati e non già a quelli del ramo che li porta. L'endoparassita si presenta sotto forma di un grosso micelio septato, jalino, a diametro variabile, talvolta varicoso, che invade i tessuti del legno, le cellule cambiformi, spesso i grossi vasi punteggiati e anulati che ottura talvolta completamente, e i raggi midollari; e particolarmente abbondante è poi nel parenchima legnoso, nelle cellule del quale si avvolge sopra sè stesso fino a riempirne alcune volte */3 della cavità: mai lo rinvenni nelle cellule cambiali, nè nella zona corticale. Tale micelio occupa ordinariamente una larga porzione del legno in vi- cinanza del cono gemmario, e per vederlo occorre fare una sezione mediana che interessi contemporaneamente l'inserzione del rametto disseccato, o della gemma appena sviluppata, e il ramo che li porta, ma non è facile vedere senza speciali reattivi l’endoparassita perchè è incoloro e jalino ed es- sendo spesso applicato fortemente alla parete delle cellule, non è evidente, — 323 — e poi perchè è talmente nascosto nell'interno delle cellule del parenchima legnoso ripiene di amido, per cui è difficile scorgerlo. Occorre perciò anzitutto che il materiale sia convenientemente rissato con alcool assoluto o con acido picrico, poscia si pongono le sezioni, dopo una rapida immersione in acido acetico e successiva lavatura, dapprima in una soluzione di verde luce (V. Behrens, Tabellen su Mikroskop. Arb. p. 36, n. 37) e si lasciano ivi alcune ore. Tanto le cellule dei tessuti invasi quanto il parassita assumono con tale trattamento una colorazione verde; ma ponendo in seguito la sezione in alcool assoluto, il micelio si decolora di nuovo; immergendola allora in una solu- zione alcoolica di rosso congo, il solo micelio si colora in un bel rosso e spicca in tal modo vivissimamente sul verde delle pareti delle cellule del legno o dei vasi: lavata di nuovo la preparazione con l'alcool assoluto la si può, dopo averla impregnata nell'olio di origano, montare al balsamo, nel quale però la colorazione verde si affievolisce col tempo, per cui, per i pre- parati da conservarsi, è preferibile la glicerina. Quando si voglia rintracciare il parassita nelle cellule del parenchima legnoso, ricche di amido, è necessario trattare la preparazione con uno dei soliti chiarificanti per liberarla dall’amido, e a ciò riesce benissimo l’ im- mersione della sezione per pochi minuti in una soluzione allungata di potassa caustica (*/3: 100), dopo di che, lavata la preparazione, e immersa nell’ acido acetico, si tratta come ho detto più sopra. Per la doppia colorazione del micelio e dei tessuti del legno del gelso è ottimo anche il blew di picro-anilina, il quale colora in azzurro chiaro il micelio del parassita, mentre le membrane delle cellule dell'ospite si colo- rano in giallo iutenso: ugualmente sì comporta la picro-nigrosina, la quale colorisce in bruno il micelio e in giallo il legno. Entrambe però queste rea- zioni sono poco stabili, e in preparati da conservarsi il micelio perde a poco a poco la sua colorazione. Migliore reazione si ha trattando la sezione colla soluzione acquosa di solfato di anilina che colora in giallo gli elementi del legno, senza colorare il micelio, e trasportando poi la preparazione in una soluzione di carminio al borace, il quale colora in rosso soltanto il micelio; ma anche questa è una reazione poco stabile, perchè la soluzione acquosa di solfato di anilina fa deformare il micelio che si svuota dei contenuti, sì ap- piattisce e si rende poco nettamente visibile nonostante la colorazione. Il micelio dell’ endoparassita, del quale ancora non è possibile precisare la specie, non ha, a quanto ho potuto osservare, affatto relazione con alcuno dei fungilli, che si trovano talvolta sui rametti, già noti; a stagione avanzata rin- venni in molti rami a Pesaro e a Brescello, uno sclerozio sviluppatissimo ed avvolgente a guisa di manicotto la base del rametto morto e una porzione notevole del rametto ancora vivo, il quale sclerozio, costituito da un pseudo tessuto miceliare rivestito di una corteccia color nocciola, è con tutta proba- NERI] E LORpI ea bilità in rapporto col micelio che vive nell'interno del legno, il quale micelio è probabilmente, essendo. così ben riparato, anche ibernante. La stagione avanzata non mi ha permessa la cultura del parassita per tentare di ottenerne forme riprodattive, tali almeno da far determinare il genere e la specie fungina; come pure non mi ha permesso esperienze per tentare la riproduzione artificiale della malattia, esperienze che sono neces- sarie a togliere ogni dubbio sulla etiologia della malattia. Non ostante però questa lacuna nelle mie ricerche, che mi propongo il venturo anno di render complete, la presenza costante di questo endoparas- sita in tutti i campioni esaminati, mi sembra fin da ora un forte argomento per ritenere che esso sia veramente la causa della malattia che produce il disseccamento dei germogli del gelso. Fisiologia. — Azzone tossica dell’ acetilene (*). Nota del prof. UcoLino Mosso e del dott. FELICE OTTOLENGHI, presentata dal Socio A. Mosso. Il grado di tossicità dell’ acetilene è tale che dobbiamo temere siano per avverarsi delle disgrazie, sebbene fino ad ora nessuno abbia riferito dei casi di morte. Non sarà difficile che l’ uomo possa trovarsi in mezzo a grandi quantità di questo gas se esso, negli usi domestici, verrà adoperato sotto forma di acetilene liquido, di cui un litro può svilupparne quasi quattro- cento di gas. I lavori che esistono sulla velenosità dell’ acetilene non ci parvero suf- ficienti per illustrare questo argomento importante di attualità. Non potendo fare delle osservazioni sull’ uomo atteso il suo grado elevato di tossicità abbiamo limitato le nostre ricerche ai cani e ad altri animali. Il metodo che abbiamo seguito è il seguente. 1. Ci siamo serviti di una cassa a pareti di vetro della capacità di ot- tanta litri. L’ acetilene proveniente da un gazometro oppure da un gazogeno attraversa un regolatore e penetra nella cassa da un’ apertura praticata sul fondo. Come il gas è più leggero dell’aria si diffonde presto nell’ ambiente. Allo scopo di allontanare i prodotti della respirazione, abbiamo stabilito nell’ interno della cassa una corrente d’aria servendoci di una pompa aspi- rante messa in comunicazione, per mezzo di un tubo, col coperchio della cassa. Altre volte abbiamo fatto arrivare contemporaneamente da due diversi gazometri aria e gas in volumi determinati. Un contatore misura in centi- metri cubici la mescolanza di gas ed aria che attraversa la cassa. (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Farmacologia della R. Università di Genova. — 5925 — Riferiamo un’ esperienza la quale dimostra che un cane tenuto in un ambiente dove penetra gas acetilene, muore molto più presto che non tenen- dolo chiuso nel medesimo ambiente con aria semplice per provocare l’ asfissia. Esp. 1°. Si introduce nella cassa un cane del peso di 7000 g. e dopo due minuti incomincia ad arrivare l’acetilene: passa un litro di gas al minuto. Una quantità corri- spondente di gas ed aria esce dall’ apertura superiore che resta aperta. A 35 minuti il cane dà segni di soffrire, si lecca e si mostra irrequieto. Il numero delle respirazioni, che erano prima 18 al minuto, sono ora 30 ed irregolari. Poco dopo l’animale non si regge bene, barcolla e si sdraia. Dopo 42’ fa 44 respirazioni al minuto profonde e difficili. Dopo 45" R= 106, il massimo di frequenza respiratoria osservata durante l'esperimento. Dopo 50" R= 102, dopo 55’ R= 44, dopo 59" R= 22. Dopo un’ora cessa il respiro: passati due minuti dacchè non respira più, si toglie il cane dalla cassa, il cuore batte debolmente: subito dopo ha un profondo movimento respiratorio, ma il cuore cessa di battere poco dopo. In questa esperienza entrarono 25 litri di gas nella cassa. Da questa esperienza risulta dunque che, quando va lentamente accumu- landosi nell'atmosfera il gas acetilene, un cane muore in un'ora: ed al mo- mento della morte l’ aria in cui è rinchiuso contiene poco più di un quarto di questo gas. Dobbiamo però avvertire che non tutti i cani morirono nello stesso tempo. Se si ha cura di estrarli dall'ambiente inquinato dal gas e metterli nell'aria pura appena è cessato il respiro, possono restare ancora molte ore in vita. Esp. 2.* Introdotto nell’apparecchio un cane del peso di 5600 g. si fa passare del gas acetilene nella stessa quantità dell'esperienza antecedente. Dcpo 15’ l’animale si lamenta, è alquanto eccitato, ha la pupilla contratta e 20 respirazioni al minuto. Dopo 26’ ha co- nati di vomito, dopo 35’ le respirazioni sono 60 e vomita a più riprese fino a 42°. Poscia il respiro si fa difficile, di quando in quando l’animale allarga la bocca ed è abbattuto. Dopo 49’ cessa il respiro. Si toglie il cane dalla cassa: il polso è impercettibile e l'animale insensibile. Due minuti dopo si sente distintamente il battito cardiaco. Dopo 54’ sono ritornati i riflessi palpebrali e la sensibilità. Dopo 56’ i respiri sono 48 ed i battiti car- diaci 152. Si tiene in osservazione un’ora, durante la quale la temperatura da 39.° 1 scende a 38.° 3 ed il polso si mantiene a 150, mentre la respirazione è distintamente a periodi. Dopo due ore il cane fu trovato morto. Questo cane è morto due ore dopo che fu sottratto all’ azione del gas acetilene. L'essere stato 11 minuti di meno del cane precedente nella cassa dove si faceva lentamente la mescolanza del gas coll’ aria e l’' aver respirato un'aria meno ricca di questo gas ha giovato all’ animale, il quale, estratto dalla cassa appena era cessato il respiro già divenuto superficiale, riprese a respirare, ma è morto dopo due ore. Questo dimostra che si tratta di un gas, il quale non viene eliminato facilmente dall’ organismo. L'acetilene in piccole quantità produce delle alterazioni così profonde dell'organismo che ne segue in breve tempo la morte, anche quando si metta l’animale a respirare nuovamente nell’ aria comune. Vedremo nella seguente esperienza che l’ aggiunta di un quinto di acetilene all’ aria atmosferica è sufficiente ad uccidere un cane. iii] Esp. 3°. Un cane del peso di 6700 g., con una temperatura di 39.°1, pulsazioni 38 e respiri 20 al minuto è messo nella cassa. Vi facciamo giungere contemporanamente gas ed aria da due gazometri in modo che passano 700 c.c. di acetilene al minuto. Dopo 5' le respirazioni sono 17 ampie e profonde. Dopo 15’ dà segni di irrequietezza, non si regge più bene, R—=42. Dopo 20’ pare addormentato, dopo 41’ cessa il passaggio del gas ma si lascia l’animale nella cassa: dopo 55’ i respiri sono 70, profondi. Dopo 1 ora 19 il respiro è lentissimo e superficiale, appena 7 al minuto e ad intervalli: dopo 1 ora 20’ cessa il respiro. Manca ogni traccia di movimenti convulsivi. Portato il cane fuori dell’ appa- recchio il cuore non batte più. 2. La morte dei cani per acetilene avviene molto più presto se facciamo giungere il gas direttamente dal gazometro nei polmoni. Il metodo che abbiamo tenuto consiste: nell'introdurre nella trachea del cane (vedi figura) una cannula a T la quale per le due aperture opposte comunica con la trachea e con due valvole di Miller e la branca di mezzo serve a lasciar passare l'acetilene proveniente da un gazometro o da un gazogeno. Un contatore messo sul prolungamento della valvola espiratoria, misura l’aria espirata, conoscendo per mezzo di un regolatore la quantità di acetilene che passa nell'unità di tempo, la differenza fra queste due quantità note, rappresenta l’aria inspi- rata: così è facile stabilire il rapporto fra l’aria e l’acetilene che arrivano ai polmoni. Contemporaneamente alla lettura del contatore, che si fa ogni minuto, sì scrive sulla carta continua, messa in movimento da un apparecchio di oro- logeria: la pressione sanguigna, la respirazione toracica ed il tempo in mi- nuti secondi. Questo apparecchio ha il vantaggio: di regolare a volontà il titolo delle mescolanze, di sospendere o riattivare il passaggio del gas, di prendere la pressione ed il respiro senza obbligare gli sperimentatori a rima- nere nella stessa atmosfera dell'animale in esperienza. Quando si trattava di studiare sui cani l’azione dell’ aceti/ene puro non misto ad aria, bisognava evitare che dell’aria atmosferica entrasse nei pol- moni. Per ottenere ciò, nell’ apparecchio precedentemente descritto, abbiamo aggiunto alla valvola inspiratoria un tubo a due vie, una comunicante col- l’aria atmosferica e l’altra con un grande gazometro pieno di acetilene, come si vede a destra della figura. Ad un momento dato si chiude l'accesso del- l'aria e si apre quello dell’acetilene. Così le valvole di Miiller continuano a funzionare, perchè il grande gazometro funziona da serbatoio, ed al pol- mone arriva acetilene puro da due vie: dalla cannula tracheale e dalla val- vola inspiratoria. Con questo metodo abbiamo fatte le seguenti esperienze: Esp. 4°. Un cane del peso di 6300 g. è legato sull’apparecchio di contenzione, ha la carotide in comunicazione col manometro a mercurio, e la trachea in comunicazione colle valvole e col contatore, un esploratore a tamburo di Marey applicato attorno al torace serve per scrivere la respirazione. Il cane respira dapprima aria pura. Quando si fa respi- rare del gas acetilene puro si osserva subito dopo 8 secondi che la respirazione diviene — 827 — più lenta ma più profonda, che la pressione del sangue aumenta, che il tracciato del polso fa ampie oscillazioni. Dopo 30 secondi, il respiro si fa frequentissimo e superficiale, si manifesta un tetano inspiratorio ed il torace si dilata, poi cessa il respiro dopo il primo minuto: in questo frattempo il cuore acquista energia. Dopo la pressione diminuisce ed il polso diventa regolare. Alla fine del secondo minuto la pressione del sangue è sotto il normale e si riduce a zero alla fine del terzo minuto: il respiro non ha più ripreso. QUi__1 «ui >» "N | APPARECCHIO PER LA RESPIRAZIONE DEL GAS ACETILENE. Questa esperienza dimostra che l’acetilene non è inferiore a nessun altro gas velenoso per la sua azione rapidamente mortale. Le mescolanze di acetilene con metà aria o con due terzi di aria sono pure mortali in brevissimo tempo. Si riesce talvolta colla respirazione artificiale, quando da molto tempo sono cessati i movimenti respiratori, a ritornare in vita gli animali anche se il battito cardiaco è impercettibile. Esp. 5°. Un cane del peso di 17000 g. che respira in media tre litri e mezzo a quattro litri d’aria al minuto, riceve in una volta sola, durante 1 minuto, due litri di gas con un’ eguale quantità d’aria. Il respiro cessa subito ed il caore non si sente più battere. Si fa per cinque minuti una energica respirazione artificiale comprimendo il torace ed un forte massaggio sull’area cardiaca: dopo quattro minuti si sente distintamente il battito cardiaco e dopo cinque minuti compaiono le prime respirazioni volontarie. Ristabilitosi il cane ha servito allo studio delle alterazioni del sangue per acetilene. Le mescolanze di gas con una quantità di aria superiore ai tre quarti sono ancora mortali per il cane. Esp. 6°. Un cane del peso di 8500 g. respira per 21 minuti gas ed aria nella pro- porzione di 500 c.c. di acetilene e 1500 c.c. di aria (un quarto di gas e tre quarti di aria). Durante questi 25 minuti la pressione va gradatamente diminuendo e il respiro si fa lento — 928 — e superficiale. Dopo 15 minuti succede il vomito, mentre il respiro e la pressione acqui stano di forza. Cessato il vomito la respirazione diviene lenta, irregolare e poi cessa: il polso si fa frequente, la pressione discende a zero. Per uccidere questo cane in 81 minuti si consumarono solo 13 litri di acetilene. Ma per avere un idea della velenosità del gas, anche quando entra nei polmoni misto a molta aria, è d’uopo notare che dei 13 litri di gas im- piegati è solo utilizzata quella parte di gas che entra nei polmoni durante l'atto respiratorio. Quella che giunge nella cannula durante l’espirazione va perduta, perchè è cacciata attraverso le valvole coll’aria espirata. Perciò la quantità di acetilene che giunge nei polmoni deve essere all’ incirca la metà, ed è anche minore quella che, venuta a contatto del sangue, penetra nella corrente sanguigna. Gréhant (!) ha fatto alcune ricerche coll’acetilene sul sangue. Egli ha trovato che l'acetilene passa facilmente nel sangue, e conchiuse che esso è tossico quando se ne adopera una dose elevata, compresa fra 40 p. 100 e 79 p. 100. Queste nostre ricerche dimostrano che l’'acetilene è assai più velenoso di quello che sia ora comunemente ammesso. 3. Sui mammiferi di minor mole si può studiare con maggior precisione l’azione tossica dell’ acetilene, perchè si riesce a titolare meglio le mescolanze di gas ed aria in cui si introducono gli animali. Esperienze sulle Cavze. Una cavia del peso di 270 g. messa per controllo in un vaso contenente aria pura, chiuso ermeticamente, e della capacità di dieci litri può restare cinque o sei ore senza presentare fenomeni gravi di asfissia. Se si toglie quando il respiro è accelerato e sta per soccombere, si ristabilisce immedia- tamente. Abbiamo fatto le esperienze coll’ acetilene in una bottiglia della stessa capacità. a. Introdotte le cavie nel gas puro, manifestano subito un respiro acce- lerato e cascano prive di movimento. Poscia il respiro diviene irregolare, superficiale, lento: poco dopo compaiono delle scosse muscolari prima al capo poi al tronco ed alle estremità; alcune volte queste scosse assumono la forma di movimenti convulsivi, tanto sono forti: il respiro reso difficile, cessa. Tolte le cavie alla fine di questo periodo che ha la durata di 20 a 40 minuti il cuore batte, mancano i riflessi e la sensibilità. Portate all’ aperto, non muoiono subito: ritornano 1 moti respiratori, qualche volta la sensibilità, ma poi peggiorano e cessano di vivere. b. In un'atmosfera, metà gas e metà aria, le cavie presentano ancora gli stessi fenomeni colla differenza che il respiro cessa più tardi, e la vita non sempre si spegne quando sono portate nell’ aria pura. In questa miscela (1) N. Gréhant, Sur la toxicité de l’acétylèone. Comptes rendus de 1’ Académie des sciences, 1895, p. 564. — 329 — alcune cavie hanno resistito 45 minuti, altre meno. Quelle che hanno avuto un contatto più breve coll'acetilene si salvarono. c. In una mescolanza di due parti d’ aria ed una parte d’ acetilene le cavie vivono un'ora circa. Tosto manifestano un respiro frequente, barcollano, cadono. Poi riacquistano i movimenti volontari, camminano trascinando gli arti posteriori, respirano frequentemente. Sopravviene un lento avvelenamento ed il respiro si fa superficiale, irregolare. Tolte dal vaso in questo stato di estrema debolezza, si osserva che il cuore batte ancora e che il respiro si ravviva. Se l’avvelenamento non è grave alcune si rimettono, ma per la massima parte muoiono dopo due 0 tre ore. d. Le cavie delle precedenti esperienze si trovavano in recipienti chiusi, ed i prodotti gazzosi delle combustioni organiche rendevano l’ambiente più tossico; ad evitare questa causa di errore abbiamo rinnovato continuamente il miscuglio di gas ed aria nel vaso col fare un' aspirazione per mezzo di una pompa. Sono mortali le mescolanze con metà gas e metà aria, se il passaggio dura tre quarti d'ora; se il gas si trova in quantità maggiore le cavie resi- stono meno. I fenomeni di avvelenamento sono eguali a quelli riferiti ante- cedentemente. 4. Esperienze sui Topi. a. Introdotti i topi nell’acetilene puro cadono tosto, respirano a scatti, ed in tre minuti cessa ogni movimento. Estratti dal recipiente, non danno più segno di vita. b. Nella mescolanza metà acetilene e metà aria, il topo tosto barcolla, non si regge bene, poi cade e le estremità paiono paralizzate. Aumenta di fre- quenza il respiro, la sensibilità al dolore si mantiene. Poi il topo entra in uno stato d’abbattimento ed il respiro si fa superficiale, lento, irregolare. A questo punto l’animale è insensibile, ma se viene tolto dall’ acetilene si salva; il ritardo a levarlo fino alla cessazione del respiro è fatale. c. Gli stessi fatti, ma più leggeri, sì manifestano colle mescolanze di un terzo di acetilene e due terzi di aria. L'animale dopo tre quarti d'ora conserva la facoltà di fare dei movimenti passivi. Passata un'ora il respiro da frequente va rallentandosi continuamente, e malgrado continui a pulsare il cuore, difficilmente il topo si salva se ha respirato per un’ ora in questo miscuglio di gas ed aria. d. Messi i topi in un miscuglio di gas ed aria che continuamente si rinnova mediante un aspiratore, sopravvissero quelli delle mescolanze inferiori al 50 p. 100 di acetilene, e solo quando il contatto col gas non superò la mezz'ora. In tale atmosfera la dispnea compare dopo cinque minuti ed il topo si mostra eccitato: poco dopo piega il capo, barcolla e cade. Poscia la re- spirazione si fa più superficiale e cessa. Tolto l'animale è insensibile: ma si ristabilisce, in pochi istanti ritorna la motilità e poi la sensibilità. Ma ReNDICONTI. 1896, Vor. V, 2° Sem. 42 — 330 — se, cessato il respiro, si tarda un minuto o due a metterlo nell'aria pura, muore. Se si mette a più riprese un topo nei miscugli di gas ed aria, esso acquista una certa assuefazione. Gli animali che non cedettero alle prime intossicazioni resistono di più ad ulteriori quantità del gas ; muoiono però tutti e solo ritardano ì fenomeni di avvelenamento. 5. Esperienze sui Pussert. Gli uccelli sono assai sensibili all’ acetilene muoiono tosto che sono in- trodotti nel gas puro. Nelle mescolanze metà acetilene e metà aria i passeri resistono poco, e fin dai primi istanti presentano fenomeni di una grande intossicazione; il re- spiro' fattosi lento cessa dopo quindici minuti. In un'atmosfera di un terzo di acetilene è due terzi d' aria, gli uccelli mostrano bene i due periodi di eccitamento e di depressione. Per dieci mi- nuti circa l'uccello vola o spicca dei salti, ed è vispo malgrado in ultimo non si regga bene ed il respiro sia affannoso: nel secondo tempo resta im- mobile ed il respiro si rallenta assai, ma diviene profondo. Quando è cessato il respiro non vale l’aria pura a ridonargli la vita. Claude Bernard e Berthelot (') sperimentarono trenta anni or sono l’ ace- tilene sui passeri; essi però non lo trovarono tossico, forse per la piccola quantità che avevano a loro disposizione. Anche Brociner (*) nel 1887 confermò che l'acetilene ha un'azione eccessivamente debole, non superiore a quella degli altri carburi d'idrogeno. 6. Esperienze sulle Rane, sui Tritoni e sulle Zucertole. a. Basta introdurre le rane in una bottiglia chiusa riempita di acqua satura di acetilene (3), che subito fanno dei movimenti vivissimi di nuoto per un minuto, poi si fermano ed aprono con frequenza la bocca: tosto cessa ogni movimento dell'apparato ioideo e diminuisce gradatamente il battito cardiaco. Seguono tremiti muscolari che alcuna volta rassomigliano a convul- sioni stricniche. Messe fuori dell'acqua in questo stato il battito cardiaco cessa dopo poco tempo. Se alla rana immersa in una bottiglia satura di acetilene si lascia respirare aria, essa vive più lungamente. b. Le rane che si trovano in un'atmosfera di acetilene puro hanno un primo periodo di eccitamento con forti movimenti della respirazione e dopo uno di paralisi nel quale cessano i movimenti ed il battito cardiaco DI si rallenta . Tolta la rana dopo cinque minuti, essa è insensibile: il cuore (1) C1. Bernard et Berthelot, Comptes rendus 1865 pag. 566. Vol. IV. (2) Brociner, Annales d'Hygiène et de Médecine légale, 1887, pag. 454. (3) Agitata ripetutamente dell’acqua comune alla temperatura ambiente di 18° a 20° con dell’ acetilene puro, abbiamo trovato che essa scioglie all'incirca metà il suo volume di gas. — 3531 — qualche volta batte ancora, ma cessa poco dopo. Abbiamo veduto morire delle rane che stettero un solo minuto nell’ acetilene puro. c. Le rane introdotte in un atmosfera metà acetilene e metà aria muo- iono in tre ore circa. Fin dai primi istanti esse sono eccitate, hanno movi- menti respiratori più forti, poi meno e restano immobili in uno stato paralitico, in fine scompare ogni traccia di battito cardiaco. d. In un'atmosfera di due parti d’ aria ed una di acetilene le rane muoiono in sei ore; conservano però per molto tempo la facoltà di respirare, di muoversi e di spiccare salti. Tutte le rane che abbiamo tenuto nelle mescolanze di gas ed aria morirono. Più resistenti delle rane sono i tritoni ed anche le lucertole. Questi animali non mostrano un periodo netto di eccitamento; subito si nota che aprono la bocca, che si contorcono e poi sopravviene l’ immobilità e dopo mezz ora paiono morti. Se vengono tolti dalle diverse mescolanze di acetilene qualcheduno sopravvive. Morirono quelli che furono lasciati per un'ora in contatto del gas. Dalle esperienze che abbiamo fatto risulta dunque che l’acetilene è un gas dotato di un potere tossico considerevole. Bastano piccole quantità per mettere in pericolo la vita degli animali. Mezzo litro di gas respirato solo, e di seguito, dà in pochi secondi gravi fenomeni di avvelenamento nei cani. Solo con una respirazione artificiale energica si possono salvare gli animali. Le me- scolanze di gas ed aria al 20 p. 100 sono sempre mortali, quando agiscono per un’ ora. Nell’ avvelenamento lento le alterazioni sono così gravi che gli animali soccombono anche quando trasportati all’ aria libera paiono ristabiliti. Si nota una certa assuefazione alle piccole quantità di gas, ma è sempre piccola la quantità che riesce mortale. Le grandi dosi agiscono prevalente- mente sulla funzione respiratoria. Le piccole dosi mostrano distinto un primo periodo di eccitamento ed un secondo di paralisi, durante il quale la fun- zione cardiaca e quella respiratoria si affievoliscono. Prevalgono i fenomeni di paralisi e gli animali muoiono senza convulsioni. Il meccanismo d'azione dell’acetilene sarà oggetto di una prossima Nota. PERSONALE ACCADEMICO Pervenne all’ Accademia la dolorosa notizia della morte del suo Socio straniero MAURIZIO ScHIFF, mancato ai vivi il 6 ottobre 1896; apparteneva il defunto Socio all’ Accademia sino dal 4 agosto 1892. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI na ©——«—«—©£-<—<<>£- Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 1° novembre 1896. F. BrIoscHI Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sulle equazioni modulari. Nota del Socio F. BRIOSCHI. 1°. In una Comunicazione, collo stesso titolo, da me presentata all’ Ac- cademia nel settembre dell’anno 1893, io osservava che dalle funzioni di p(%) indicate da Halphen nel suo 7razté des fonctions elliptiques (vol. I, pag. 96) con ys(v), Ws(w), wi) ottenevasi la relazione: 1 5 \2 2 p(0) = Fap LV + 44 As 4 ] e quindi ponendo (!): [oo Ys = h3 wa} Wi == kw, risultava : Il (1) p(2)=3ze[(@+1° +4) ] essendo: = _ (9 “3° h (1) Le lettere h, % sostituiscono le 2,y di Halphen. RenpICONTI. 1896, Vol. V, 2° Sem. 43 — 334 — Che inoltre nella formola di moltiplicazione (pag. 100): i Mt Ym- (2) p(mu) e essendo: Vas va) VAIO e le y5, 75. funzioni di y3,y4, ossia di #, £; le p(u),p(24),p(3)... si ponno esprimere in funzione di 0, Rn, /. In quella stessa Comunicazione osservava ancora come gli invarianti 92, 93, ed il discriminante : d= 933 — 279° potevano esprimersi in funzione di 0, l,/%; essendo per esempio: S 8) d=—g0h|kk+1"+84k+1°+ 160° — 3644 —9% ] e che infine nella ipotesi di risultando : Va=10) cioè una ulteriore relazione fra #2, 7; conseguiva che fra una funzione qual- sivoglia delle p(0), p(22)...; 1669: 3:93, .0, 1esy=690k oppure lenga rione la y,=0, potevansi eliminare le quantità 0, Mn, £. Così ad esempio per 7 =5, siccome la equazione y35=0 dà: h=k quindi: p(o) = (#+6£+1) p(20) = 33 (4° —6k+1) e: p(0) — p(20) = of inoltre : DcA ba: gi= | #44 124° + 144° 124 +1] d=— 0° k°(k*+11%—1); ponendo : el COM [p(0) — p(20)]" — 335 — sarà: g=-L(#+1k—1) quindi: 84 108+5=%;[w0+ 124° + 146° —12+1] e: 1 _ pe(È\F Ol_10MUC0rE ’ e) da cui: 2fe id los- 12% 53 Leo d3 nota equazione modulare per la trasformazione del quinto ordine. 2°. Se non che la equazione y, = 0 la quale anche pel caso di n = 6 darebbe: h=k(1T—-k) pei casi successivi condurrebbe ad equazioni dei gradi 2°,3°... in f, e quindi la eliminazione presenta difficoltà non lievi. Il sig. Greenhill, nel suo interessante lavoro, Pseudo-Elliptice Integrais ‘and their Dynamical Applications (!) le ha d’assai diminuite sostituendo ad h e X funzioni di due nuove quantità per le quali la equazione ya = 0 si abbassa di grado. Ora, supposto che per questa via dai valori di p(v),p(2v) ... e da quello di d si elimini o ed una di quelle quantità, si otterranno per p(v),p(2v)... espressioni formate con una sola indeterminata. D' altra parte le p(è), p(2v) ..., come è noto, sono radici di una equazione, di cui il polinomio primo membro figura nella formola di trasformazione. È evidente che la ricerca del valore della indeterminata in funzione degli invarianti di quel polinomio equivale alla risoluzione della menzionata equazione, equazione risolubile per radicali, qualunque ne sia il grado, perchè Abeliana. Considereremo nei paragrafi seguenti i tre casì din=7,n=9,n= 13; nel primo la equazione risultando del 3° grado l’unico invariante è il di- scriminante 4; nel secondo la equazione è del 4° grado e si hanno i due invarianti A,B quadratico e cubico; infine nel terzo la equazione è del grado 6° e si hanno gli invarianti A, L, M,R dei gradi 2°, 4°, 6°, 15° ed il discriminante 4. i 52 hb get Sis Ya= h° — hk + k3 (1) Proceedings of the London Mathematical Society, Vol. XXV, 1893, 1894. Vedi anche dello stesso autore, Z’he Transformation and Division of Elliptic Functions. Pro- ceedings, Vol. XXVII, 1896. — 336 — la quale, ponendo col sig. Greenbill: h=k(1T—-9) dà per © e X i valori: k=g(1 29) h=g(1-g) Sostituiti questi valori nella espressione (3) di d, sì ottiene: di= 09" (l9)0° + 50° — 899905] ma dalla formola (2) si ha: 4=[p(0)—p(20)] [p(20) —2(80)] [6 — 20) ] =e e &_M quindi: 4=e (1-9 ORI E i far 4 3%) Indico con È il secondo membro e: de+L1=y—3 inoltre : EF48+36=0? E+8+3e@=#h si otterranno le: ns (edi pi (041)? gi 0) dd =%) da cui: a-P Ii a — ef Per questo valore di g i valori di p(v),p(22), p(3v) diventano: L po) =—-@+34° (a+) pi p(20)=— +14" (e°@+ ef) dì p(30)=—@+34° (sa + e°8) essendo : 2 3 a — 24° E@+195+ 40) od anche: FETO piaga LT O — 337 — Nella trasformazione delle funzioni ellittiche del 7° ordine, se indicando con & il valore di d trasformato, si pone : (28 (5) (3A si ha: quindi i valori di p(v),p(2v),p(3v) possono esprimersi per d e . Si possono porre a confronto questi valori con quelli dati da Halphen al Capitolo 2° (pag. 60) vol. 3°. 4°. Consideriamo in secondo luogo il caso di #="9. La equazione Ya=0Ndà: K(k-h_-k)-(k_-h=0 la quale ponendo come sopra: 2 k—-h=kq inoltre O riducesi alla: %= pq quindi: EP RITI Eee) Dalla equazione (8) per questi valori si ottiene: di eape (a) (1 — pesos posto (!): p—6p°+3p+1 pod SIR Do P(1—-p) ed in conseguenza: (Peri P°(1 aa) Si indichino con a, 8? le espressioni: E+643e=a , E+64+82=p pg PIE AE) ponendo nelle medesime il valore superiore di £ si deducono le: MD: p(1—p) p(1-p) (1) Nella corrispondente formola del sig. Greenhill (pag. 233) vi è un lieve errore di calcolo. — 338 — | da cui: i | LES io f . i HET ea — e°P i od anche: p= 308 (ea + a°8) +8 +- 6] I valori degli invarianti quadratico e cubico, e del discriminante della equazione le radici della quale sono le p(v),p(2v)... si possono così rap- presentare : notando essere: a°ge=E + 98427 a+p°=2E49 I valori delle radici p(v) ,p(20) ... in funzione di #, d, sono po) =—@+5[4e8(+9)+5+6] p(20) =— a +S[ 4a? (ea + 8) +5+6] Bo =—a— (+6) | p(do)=— 1 +5[4eB(a +8) +8+6] nelle quali ed: Il valore di 20 p(80)=2(*) per quello di &, diventa: ero 2 ed essendo, come è noto: l p'(30) — 7 9» p°(30) — gs p(30) — 3 9° =0 — 9399 — la equazione è soddisfatta dai valori: 3.4 2=(+3)[E+3)—8.8] 9 3 Se (9 4. Ca i=83° come appunto dà la trasformazione del sesto ordine (1). Notiamo infine che le radici p(v),p(2v)... possono anche esprimersi in funzione di A,B,4; in quanto che: I su Se (gie dÙ EST = SA i ar) gl Med 33 R) 2A? 24? roi e pelo) 924? 8? A? e così anche i valori di 9>,93- 5°. Passiamo da ultimo al caso di # — 13. Ponendo come nei casi precedenti q° k—-h=kgq , q-k=<— q q F ed introducendo una nuova quantità 7 legata alle altre dalla relazione: g=r(p_1) la condizione y;3=0, come ha dimostrato il sig. Greenhill, si riduce alla P°_(P_1=0 nella quale: pi ptr POI n i — i r(r +1) SE r(r +1) Il valore di d calcolato colla formola (3) ha questa semplice forma: 0) = 1813 nella quale: Ke 4 0 = o - i = (EE8 Anche in questo caso, posto: a=Ep4+3e , 8=5+4+3e° ottiensi : I Frati dl Tea a g=E+55+13, a°+g=25+5 (1) Kiepert, Math. Annalen, XXXII, pag. 66. — 340 — ed i valori delle radici p(v),p(2v)... in funzione di £, d raggruppati con- venientemente sono: 0) = +3 (E) e+0-91=8.7] PB) = + pe (£) [+ 0-81] (4) = +75 (F)[00+@—038.1] p(50)=— +37: (7) [-0e+0—0)V/=37] p20)=— +55 a (F)°[- +0 9V=37] 1_(d E p(60)=-a +3 ($)[-e2+@-bI=37] nelle quali: a=éeca— sf , b=sa—ef , c=a—f T=yFF4=(8+6F+18)? Lia w==75(+) ap Quanto agli invarianti A, L, M,R dei gradi 2°, 4°, 6°, 15° ed al discri- minante 4, si ottengono i seguenti valori: infine: — 8.5.8. 2 = 884 167-436 IE FaN 4 4.88. —=45 +4.8%.8° | 13.,8*.£È 12.04 45 R ——=« a 83 (a* + 83) £T 4% da ultimo: + ò 4° =— È La eliminazione di & fra i valori dei primi tre invarianti conduce a due relazioni di condizione fra gli invarianti di questa speciale equazione Abeliana. — 341 — Astronomia. — Sulle osservazioni solari fatte al R. Osser- vatorio del Collegio Romano durante il 2° trimestre del 1896. Nota del Socio P. TACCHINI. Ho l'onore di presentare all’ Accademia i risultati delle osservazioni so- lari fatte sulle macchie, facole e protuberanze solari nel 2° trimestre del- l’anno corrente. La stagione fu favorevole e si ebbe un buon numero di giorni di osservazioni in ciascun mese come nel trimestre precedente. Per le macchie e per le facole i risultati sono riuniti nel seguente specchietto : 1896 DE 2 A a fa ae Fa Ea SA 0° 02 gES | 38 SE St | S54 | SE0| 88 | a53|a353 Mest [35 | GE | 37 | 32 | 382] 08] 38 315355 SE |ESRiRon Seth | SEC ee | Si =] Fa Aa sa G 3 w | ] Aprile ...|| 23 | 465 | 6,22] 10,87] 0,17 | 0,00 | 2,74 | 34,30) 77,39 Maggio ..|| 24 | 2,21| 2,96] 5,17] 0,17 | 0,00 | 1,50 | 16,42| 59,35 Giugno. .. || 28 | 5,82 | 7,21] 13,08] 0,00 | 0,00 | 2,57 | 52,86| 51,96 Trimestre. . || 75 81 | 555) 986|0,11 | 0,00 | 2,28 | 35,51| 62,16 Continuò la diminuzione nel fenomeno delle macchie, che risultano mi- nori in numero ed in estensione in confronto al trimestre precedente, oltre- chè si ebbero diversi giorni senza macchie. È notevole il minimo secondario del mese di Maggio, seguito da un massimo in Giugno paragonabile al mas- simo secondario del Febbraio. Fu poca la differenza nella estensione delle facole colla precedente serie. Le osservazioni furono fatte da me per giorni 67 e per 8 dall’assistente sig. Palazzo. Per le protuberanze abbiamo ottenuto i dati seguenti: 1896 Ti Medio numero È o | LNFEMERD delle Media altezza | Estensione MELE Mps MESI | dei giorni È î delle massime altezza di osservazione protuberanze ES E) media altezze osservata | per giorno 0 dl Aprile . .. 23 3,26 33,0 1,5 36,2 60 Maggio . . 24 4,08 36,7 1,8 48,8 86 Giugno .. 24 4,67 87,3 1,6 46,3 68 Î Trimestre . 71 4,01 | 35,7 1,6 43,8 86 | | REnDpICONTI. 1896, Vor. V, 2° Sem. 44 — 342 — Nelle protuberanze solari, come per le macchie, ebbe luogo una dimi- nuzione, così che le medie risultano tutte inferiori a quelle del trimestre pre- cedente. Nell’ Aprile si ebbe un minimo secondario e in questo mese figura anche un giorno senza protuberanze. Le osservazioni furono eseguite da me in 63 giorni e in 8 dall'assistente sig. prof. Palazzo. Astronomia. — Sulla distribuzioni in latitudine dei feno- meni solari osservati al R. Osservatorio del Collegio Romano nel 2° trimestre del 1896. Nota del Socio P. TACCHINI. Dalle latitudini calcolate per ciascuna delle protuberanze osservate in 71 giorni e per i gruppi delle macchie e delle facole in giorni 75, ricavai i seguenti dati per la frequenza relativa ai diversi fenomeni in ciascuna zona dei due emisferi solari: 2° trimestre 1896. Latitudine | Protuberanze Facole O Macchie o o ì 90+ 80 | 0,007 | 80+ 70 | 0,000 0,003 0,004 60+50 | 0,036 0,004 | 50-+-40 | 0,085/ 0,501 | 0,000] 40+30 | 0,134 0,009 ( 0,328 30 +20 | 0,105 0,079 0,000 20+10 | 0,085 0,123 0,245 0,388 10. 0 | 0,046 0109 0,143 0— 10 | 0,086 0,157 0,163 10-20 | 0,101 0,267 | 0,347 | 0,612 20 — 30 | 0,092 0,205 0,102 380— 40 | 0,098 0,035 > 0,672 40:50, | 0,105) 0,499 | 0,004 50— 60 | 0,043 0,004 60— 70 | 0,007 0,000 70— 80 | 0,010 80— 90 | 0,007 Come nel precedente trimestre, le macchie furono più frequenti nelle zone australi e continuarono a presentare i due massimi di frequenza nelle zone (=- 10° # 20°), cioè nelle stesse zone dei massimi delle facole. Le macchie non oltrepassarono, come nella precedente serie, la latitudine di 20 gradi nell’ emisfero nord e di 30 in quello sud. Le facole, come le macchie, furono assai più numerose nelle zone au- strali, ma si estesero a latitudini più elevate anche in confronto del trimestre — 343 — precedente; però la zona equatoriale di grande frequenza si conservò la stessa per mese e trimestre, cioè da 0° a = 30°, e le facole presentano egualmente due massimi di frequenza nelle zone (+ 10° + 20°). La frequenza delle pro- tuberanze per zone risulta eguale nei due emisferi, come nel trimestre pre- cedente. Le protuberanze continuarono a presentarsi sempre numerose dall’'e- quatore fino a = 50°, mentre furono assai scarse o mancarono alle latitudini più elevate. Nessuna eruzione metallica fu osservata in questo trimestre, nè protu- beranza alcuna degna di menzione speciale. Matematica. — Sulla successiva proiezione di una varietà quadratica su sè stessa. Nota di A. DeL RE, presentata dal Socio F. SIACCI. Fisica. — Descrizione di alcuni semplici apparecchi per la determinazione del peso molecolare dei corpi in soluzione diluita. Nota di G. GuGLIELMO, presentata dal Socio BLASERNA. Queste due Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Chimica. — Sull idrogenazione dei pirrodiazoli(2 . 4). Nota preliminare di A. AnpREOCccI e di N. CAstoRO, presentata dal Socio S. CANNIZZARO. L'addizione di due o di quattro atomi d’idrogeno all'anello del pirrodia- zolo(2 . 4) in teoria, conduce a tre pirrodiazoline oppure ad una pirrodiazolidina HN-_CH HC--—-CH? NiFCERVZEN:CH H?C Ji gi H?C Je sol ha NH NH NH NH tutte ipotetiche, delle quali non si conoscono neppure i derivati, soltanto sì possono considerare come biidro-pirrodiazoli i pirrodiazoloni, e come te- ict det uo fifa aac ee cc I e ST) | — ec è LL [kV appoa-aeore GE AS — 344 — traidro gli urazoli, quando si attribuisce loro la tautomera forma carbonilica in luogo di quella ossidrilica. Uno di noi fece alcune ricerche sulla riduzione dei pirrodiazoloni: così distillando con polvere di zinco il fenil(1)metil(3) pirrodiazolone(5) ot- tenne anche una sostanza (') che dava la reazione di Knorr delle pirrazo- line (2) come se fosse la corrispondente pirrodiazolina, però essendo in pic- cola quantità non riuscì ad isolarla; idrogenando il fenil(1)metil(2) pir- rodiazolone(5) con sodio ed alcool ottenne i prodotti di spezzamento della molecola, cioò anilina e metilammina (3); e con il pentasolfuro di fosforo passò dai pirrodiazoloni ai pirrodiazoli (‘). Ora noi abbiamo ripreso lo studio dell'idrogenazione dei pirrodiazoli, e comunichiamo i risultati ottenuti dal- l’azione del sodio ed alcool etilico sul fenil(1)pirrodiazolo(2 . 4) N=CH dpi N—C° H° Gr. 20 del detto pirrodiazolo sciolto in un litro di alcool assoluto fu fatto reagire con 50 gr. di sodio, in apparecchio a ricadere communicante con un tubo raffreddato con acqua e neve, e con due apparecchi ad assorbimento contenenti ac. cloridrico diluito. La reazione, incominciata a temperatura or- dinaria, proseguì con quella di ebollizione dell'alcool pel calore sviluppatosi. Per evaporazione a b. m. delle acque acide contenute negli apparecchi di assor- bimento si ottenne un cloridrato, cristallino, incoloro, volatile completamente senza annerire, che dava con potassa e cloroformio intensissima la reazione di W. Hofmann delle ammine primarie; ed analizzato, allo stato di cloro- platinato, risultò un miscuglio di cloridrati di metilammina e di ammoniaca (°) (1) A. Andreocci, Istituto chimico della R. Università di Roma. Aicerche eseguite nell’ anno scolastico 1890-91, p. 418. (2) Liebig*s Annalen CCXXXVIII, p. 148; Berl. Berich. XXVI, p. 100. (8) Loco citato, pag, 488. (4) L’Andreocci generalizzò l’azione riducente del pentasolfuro di fosforo estenden- dola ai pirrazoloni(5) di Knorr (Rend. R. Ace. dei Lincei. Seduta 5 aprile 1891, vol. VII. p. 269); più tardi fu applicata da L. Knorr e P. Dunden (Berl. Berich. XXV, 766; XXVI, 103) per trasformare un pirrazolidone nel corrispondente pirrazolo; da 0. Widman (Berl. Berich. XXVI, 2615), da By George Yonng (Journ. Chem. Society, LXVII-LXVIII, p. 1063) per trasformare i pirrodiazoloni(3) in pirrodiazoli; e da G. Pellizzari per con- vertire l’urazolo in pirrodiazolo (Gazz. chim. ital. 1894, vol. I, pag. 508). (5) Gr. 0,4112 di cloroplatinato dànno gr. 0,1743 di platino. Calcolato per trovato T1r_‘-/ZzZ>zZ>Z>ZZe6eE,)©e@€ gp.o.e=e.=——eee=v®v!|EEE” .. + H? Pt Cls (NH?-CH*)? H? Pt Cls (NH)? et 41,29 43,91 42,39 — 945 — Nel tubo raffreddato con neve, si trovò un po di alcool che teneva sciolte le suddette basi, ma non si potè riscontrare nemmeno una traccia di benzolo. La soluzione alcoolica fu concentrata per distillazione, e ridistillata, dopo aver aggiunto 400 c. m. c. di acqua, per iscacciare le basi volatili e la più gran parte dell’ alcool. I distillati riuniti, saturati con acido cloridrico e portati a secco a b. m. lasciano un residuo leggermente colorato, il quale sottoposto alla cristalliz- zazione frazionata, in un miscuglio di alcool ed acqua, fornì due prime fra- zioni che davano debolissima la reazione di Hofmann, ed all'analisi valori molto vicini a quelli calcolati per il cloruro di ammonio (!). Le altre fra- zioni erano un miscuglio di cloridrati di ammoniaca, di metilammina e di anilina. Ricercammo, con risultati negativi, pure la dimetilammina. Il liquido bruno, rimasto nel pallone ove si fece l’idrogenazione, sva- porato a b. m. si divise in due strati; uno acquoso, giallognolo, che acidi- ficato restò limpido svolgendo un leggero odore di acido cianidrico; l’altro oleoso, bruno, che estratto con etere si separò immediatamente da un com- posto sodico nero e catramoso, e poi distillato frazionatamente, risultò costi- tuito da un miscuglio di anilina, di fenil (1) pirrodiazolo inalterato e di una sostanza, che dà intensissima la reazione colorata delle pirrazoline. Separammo l’anilina coll’acido acetico glaciale, trasformandola così in acetalinide ed ap- profittando poi della sua solubilità nell'acqua bollente. Cercammo di puri- ficare la creduta pirrodiazolina, rinvenuta nelle ultime frazioni e nel residuo della distillazione, ma ancora non siamo riusciti ad averla sufficientemente pura per essere analizzata. Da queste ricerche preliminari sulla idrogenazione del fenil(1)pirro- diazolo(2 . 4) con alcool e sodio, possiamo concludere che l'anello si spezza nel modo indicato dal seguente schema: probabilmente per due reazioni diverse. (1) I Frazione. . . gr. 0,0781 dànno di AgCl gr. 0,2082 II ” nie O » >» 0,3456 calcolato per NH* C1 trovato Sale i e I II Cl 66,27 65,94 65,64 i Dn > a A cure E I CFA TIR x sN gg a neo presa e } le » ; b ; ki È CS_LA — 346 — 1 Per idrogenazione completa, ed allora si scinde in due molecole di metilammina ed una d'’anilina. 2° Per idrogenazione parziale ed azione dell'alcoolato sodico, in due mo- lecole di cianuro sodico od i suoi prodotti di successiva trasformazione, ed in una molecola d'anilina. Siccome la quantità di ammoniaca, molto supe- riore a quella della metilammina. non si può attribuire che in piccola parte alla produzione delle materie catramose, si deve ritenere che la seconda rea- zione sia la predominante, anche per il fatto, che mentre negli apparecchi di assorbimento si arrestano quasi parti uguali di ammoniaca e metilammina, nelle basi trascinate dal vapor d'alcool e poi d’acqua sono invece costituite essenzialmente di ammoniaca con piccole quantità di metilammina, come se l'ammoniaca si fosse generata per una reazione secondaria succeduta a quella idrogenante del sodio. La sostanza, che abbiamo qualche ragione per ritenerla una fenilpirro- diazolina, bolle ad una temperatura più alta del fenilpirrodiazolo, il che sa- rebbe in armonia con le pirrazoline, che generalmente hanno un punto d'ebol- lizione superiore ai corrispondenti pirrazoli. Uno di noi (Andreocci) intende riservarsi lo studio dell’ idrogenazione nella classe del pirrodiazolo(2 . 4) con varî riducenti, nell'intento d'isolare e studiare qualche rappresentante delle serie azoliniche, e di avere un certo numero di fatti onde confrontare il comportamento dell’ anello pirrodiazolico con quello del pirrazolo, che fu pregevolmente illustrato dal prof. Balbiano nella sua Memoria: Sulle relazioni fra pirrazolo, pirrolo e piridina, pubblicata negli Atti della R. Accademia dei Lincei. Chimica agraria. — Sw/la denitrificazione (‘). Nota di G. Am- POLA ed E. GaRINO, presentata dal Socio S. CANNIZZARO. La profonda ossidazione dei composti organici e minerali azotati che si trovano nel suolo, è stata da parecchi anni argomento di studio indefesso di chimici e hatteriologi. Si era tentato di spiegare questo fenomeno, detto nitri- ficazione, per mezzo di processi chimici semplici, ma per ottenere in tale modo la trasformazione dei composti azotati in acido nitrico, occorrono o tempera- ture elevate, o reazioni energiche, che certamente non intervengono nei feno- meni di ossidazione che si compiono nel terreno. Dopochè Pasteur ebbe dimostrato quanta parte prendono i microrganismi nella trasformazione della materia, parecchi autori riuscirono a dare le prove sperimentali che la nitrificazione si compie pure per l’azione di germi micro- (1) Lavoro eseguito nell’ Istituto Chimico della R Università. Laboratorio Batterio- logico della Divisione di Sanità. — 347 — scopici che si trovano in tutte le terre vegetali e che lavorano per distrug- gere le diverse sostanze organiche complesse, formando a spese di quelle azo- tate dei nitrati, quando siano date condizioni favorevoli di umidità, temperatura, e sia presente l'ossigeno atmosferico. Winogradski con le sue classiche esperienze riuscì ad isolare gli agenti della nitrificazione, ed a dimostrare che l'azoto ammoniacale viene trasfor- mato in un primo periodo in azoto nitroso e più tardi in azoto nitrico. Ma se nel terreno esistono microrganismi atti a rendere l'azoto in una forma assimilabile dalle piante, se ne trovano pure altri che lo fanno pas- sare dallo stato combinato allo stato libero. Nel terreno, nei cumuli di materiali organici azotati (concimi, ecc.) si compie un processo non più di ossidazione dell'azoto, ma di riduzione, tan- tochè questo è liberato dalle sue combinazioni. Dobbiamo a Wagner impor- tantissime ricerche su questo argomento della denitrificazione. Mettendo questo sperimentatore determinate quantità di feci di cavallo in una data soluzione in acqua comune di nitrato sodico, egli vide che dopo pochi giorni questo andava diminuendo, fino a scomparire del tutto. A quali specie di germi appartenessero gli agenti di questo importantissimo fenomeno di riduzione, Wagner non l’ha stabilito. Continuando le ricerche di Wagner, Burri e Stutzer isolarono dalle feci di cavallo due specie di bacteri le quali in simbiosi godono della proprietà di ridurre l'acido nitrico fino ad azoto libero. Una di tali specie era il bacte- rium coli, molto sparso in natura, l’altra specie era rappresentata da un germe nuovo a cui diedero il nome di B. Denitrificans I. Gli stessi autori hanno isolato poi dalla vecchia paglia di un fiasco un altro bacterio, il quale, a differenza dei primi, è capace da solo di ridurre i nitrati fino ad azoto libero, ed a questo diedero il nome di B. Denitrificans II. Come dunque si vede, la riduzione dell’ acido nitrico in azoto libero, non è una proprietà riservata ad una sola specie bacterica. Scopo del nostro lavoro fu vedere se il fenomeno della denitrificazione si compiesse oltrechè con le feci di cavallo anche con quelle dei bovini, e se fosse possibile isolare altri germi che non fossero quelli descritti da Burri e Stutzer. Ripetendo, come fecero Burri e Stutzer, le prove di Wagner, abbiamo messo in bevute di Erlemmeyer, acqua di condottura (acqua Felice), feci di bovino e nitrato sodico nelle proporzioni seguenti : Acqua gr. 100 Feci ” 5 NaNO; » 0,32 Questo miscuglio tenuto in termostato a 30° mostrò dopo 24 ore delle bollicine, le quali, sollevandosi dal fondo, si raccoglievano alla superficie in | — 348 — una schiuma a grandi e piccole bolle, alta più di 2 cm. Questa schiuma, come risulta dalle esperienze di Burri e Stuttzer, è l'indice sicuro dell’ av- venuta fermentazione nel liquido. Nelle numerosissime prove da noi fatte, abbiamo potuto riconoscere sempre che quando non si sollevavano più dal fondo bolle di gas, era completa la distruzione dei nitrati. Queste esperienze abbiamo ripetuto, ottenendo gli stessi risultati, cioè la riduzione del nitrato, sostituendo all'acqua di condottura (acqua Felice) acqua sterilizzata. Le prove di Wagner, colle quali noi abbiamo incominciate le nostre esperienze prima di procedere alle operazioni di isolamento, ci fornirono il mezzo di riconoscere la costante presenza di germi denitrificanti nelle feci dei bovini, giacchè con più di 30 campioni raccolti da animali diversi, ab- biamo avuta la distruzione del nitrato, tutte le volte che ci siamo messi nelle dovute condizioni di esperienza. Veramente, nelle prime prove, fatte al solo scopo di vedere se aveva luogo o no la riduzione dei nitrati, ave- vamo creduto di poterci dispensare dall’attenerci scrupolosamente alle pro- porzioni stabilite in: Acqua gr. 100 Feci ” 5) NaNO; » 0,32 limitandoci a fare grossolanamente un miscuglio che portavamo in termostato. Or bene, in tutti questi casi o non abbiamo avuta fermentazione, o il fenomeno è avvenuto in modo molto irregolare ed incompleto. Quando invece abbiamo fatto rigorosamente i miscugli nelle proporzioni indicate per le prove di Wagner, abbiamo ottenuta la distruzione del nitrato anche colle feci di quei bovini che prima non avevano provocato nessuna fermentazione. Il gas che sviluppò in queste prove e che raccogliemmo in campanella su acqua bollita, non fu soltanto azoto. Infatti 38 ce. di gas raccolto alla temperatura di 28° ed alla pressione di 754,60 si ridussero a 25,8 per eli- minazione di anidride carbonica con idrato potassico e rimasero inalterati con pirogallato potassico. La presenza di anidride carbonica fu constatata anche con l'acqua di barite. Nei recipienti avevamo cura di saggiare qualitativamente alcuni dei pro- dotti della fermentazione, nel tempo in cui il fenomeno si compieva e dopo che questo era compiuto. Abbiamo ricercata la presenza dei nitrati con la reazione di E. Kopp, cioè colla solfodifenilamina, quella dei nitriti con la reazione di Griess, con acido solfoanilico e solfato di naftilamina, l'ammoniaca col reattivo di Nessler ('). (1) Quando le prove con reattivo di Nessler si facevano con tubi contenenti brodo, avevamo cura di non riscaldare in presenza di idrato potassico, poichè questo avrebbe messa in libertà ammoniaca dai composti albuminoidi. — 5349 — In tutte le prove fatte abbiamo sempre trovato i prodotti intermedî della riduzione da acido nitrico in azoto, cioè acido nitroso ed ammoniaca. In capo ad un mese circa non si trovava più traccia di nitrato nel liquido di Wagner. Riconosciuto il fenomeno e la sua costanza coll’impiego delle feci dei bovini, abbiamo proceduto all’isolamento dei germi denitrificatori colla scorta dei lavori di Burri e Stutzer. A brodo di cultura di Lòffler, abbiamo aggiunto 0,32 °/, di nitrato sodico. Una goccia del materiale contenuto nei recipienti che avevano servito per le prove di Wagner, trasportata in brodo, dava luogo dopo 24 ore ad intorbidamento e dopo 2, 3, 4 giorni e più determinava lo sviluppo di gas con fini bolle, che fermandosi alla superficie si ammassavano in una bianca schiuma; quando il fenomeno era nella massima intensità, facevamo un trasporto in altri tubi, i quali a loro volta mostravano gli stessi fenomeni. Dobbiamo fare osservare che nei primi trasporti, cioò quando nel liquido di cultura avevamo certamente un numero notevole di specie batteriche, il fenomeno della schiuma, non sì verificava con molta regolarità, giacchè abbiamo avuto spesso la sua comparsa dopo 4, 6, 8 ed anche dieci giorni. Di mano in mano che le culture si purificavano coi successivi trasporti, il tempo della comparsa della schiuma si faceva sempre più breve, e siamo giunti ad averla costantemente in 24-30 ore all'8° o 9° trasporto. Arrivati a questo punto, coll’ esame microscopico ci siamo convinti di avere a fare con un germe in cultura pura. Infatti, avendo coltivato un po’ di brodo nelle piatte di gelatina nitrata al 0,30 °/, allestite secondo il metodo di Koch, abbiamo ottenuto lo sviluppo di colonie tutte del medesimo aspetto. I trasporti fatti da queste colonie in brodo nitrato sono stati seguiti dallo sviluppo caratteristico delle bolle di gas alla superficie del liquido. Colle culture in serie siamo riusciti dunque ad avere per sopravvento lo sviluppo in cultura pura di un germe diverso da quelli descritti da Burri e Stutzer, pel quale proponiamo il nome di B. Denitrificans agilis edi cui caratteri descriveremo quanto prima. Avuto il bacterio in cultura pura, abbiamo voluto constatare chimica- mente se il gas che si svolgeva era solamente azoto o se non era mescolato ad anidride carbonica che, come abbiamo accennato, si ottiene quando si studia il processo di denitrificazione con l'intervento delle numerose specie bacte- riche che trovansi nelle feci dei bovini. A questo scopo ci siamo serviti di un apparecchio (v. figura) il quale XENDICONTI. 1896, Vor. V, 2° Sem. 45 rn — ha ESHA i — 350 — ci permise di raccogliere il gas sviluppantesi, mettendoci nello stesso tempo al sicuro da ogni possibile inquinamento del contenuto. In un tubo ad u mettevamo brodo nitrato fino a riem- pire per $ le due bolle laterali. Sterilizzato l'apparecchio, chiuso alle due estremità da tappi di ovatta, in autoclave a 115° per $ ora, applicavamo ad una delle bocche un tappo di gomma C attraversato da un tubo che si continuava sopra in un altro di gomma e poi con altro tubetto di vetro. Su quest'ultimo si applicava e si teneva in sito con un po’ di cotone, una piccola campanella di vetro. Il tappo con le parti annesse veniva sterilizzato in autoclave dentro una grossa provetta. Infettato il brodo ed applicato il tappo di gomma al posto di quello di cotone all'estremità della branca A, soffiando aria attraverso il tappo di ovatta della branca B, il liquido veniva spinto nella branca A fino a comparire nel tubo protetto dalla campanella. Mediante una morsetta Mohr sì chiudeva allora il tubo di gomma e si portava l’ apparecchio in termostato a 35°-86°. Dopo 18-24 ore si aveva abbondante sviluppo di gas il quale si raccoglieva in A respingendo il livello del liquido. Liberato l’ apparecchio dalla campa- nella, lo mettevamo in comunicazione con un azotometro, nel quale saggia- vamo il gas. In una prova si ottennero ce. 15 di gas che all'analisi risultarono : cc. 13 di N LI 2 ” CO, alla temperatura di 25 ed alla pressione di mm. 758,60. Venivamo dunque a constatare anche col bacterio in cultura pura svi- luppo di anidride carbonica nella proporzione del 15 °/, circa del gas svi- luppato. In questa Nota preliminare ci limitiamo ad accennare ai principali fatti osservati. È nostro intendimento continuare questo studio, avvalorandolo con analisi quantitative e tentando di spiegare come l’ azoto venga liberato dalle sue combinazioni, e specialmente come avvenga l'ultimo stadio della riduzione dell'ammoniaca in azoto libero. AI dott. Sclavo, per gli aiuti di cui ci fu largo, porgiamo i nostri migliori ringraziamenti. BIBLIOGRAFIA Hoppe Seyler, Arch. f. òffentl Gesundheitspflege in Elsass Lothringen, Bd. 8, S. 15. Schloesing, Comptes Rendus, 1573 e 1889. Schloesing e Miintz, Comptes Rendus, 1877-1879. — 351 — Mintz, Comptes Rendus, 1891. Mintz et Marcano, Annales de Chimie et de Physique, 1887. Warington, Reports of experiments made in the Rotham sted laboratory. Londres. Winogradsky, Annales de l’Institut Pasteur, 1890, 1891; e Comptes Rendus, 1891. Dehérain et Maquenne, Reduction des nitrates. Comptes Rendus., 1882. Gayon et Dupetit, Reduction des nitrates. Comptes Rendus, 1882. Wollny, Huffelmann Arch. f. Hygiene, 4 Bd., 1 Heft, Miinchen und Leipzig, 1886. Burri e Stutzer, Journal Landwirtschaft, 1894. ” ” Central Blatt, 1885. Breal Contrand Tecnick, 1892. Heraeus Greithsit fur Hygiene B. 1. Frenchlender Centralblatt V. 12. Giltay e Aberson Archivii Olandesi, T. XXV. Celli e Marino Zuco, Gazzetta Chimica. T. Leone, Gazzetta Chimica. Ellen H. Richards. e George William Rolfe, Technology Quarterly, V. IX, 1896. Chimica. — Contribuzione allo studio micrografico di alcuni cementi italiani. Nota di L. Bucca e G. Oppo, presentata dal Socio S. CANNIZZARO. Il tentativo fatto da Le Chatelier (*) di applicare il microscopio allo studio dei cementi idraulici, benchè sia ben lungi dal chiarirci in modo ben netto la ragione chimica e fisica della loro presa e darci dei criterì di classifica- zione per la loro bontà, ha però aperto un nuovo campo di ricerche, dal molteplice contributo delle quali, accompagnato dagli esperimenti sintetici, si potrà col tempo far molta luce in questa parte ancora molto oscura della chimica industriale. Siccome ogni nuovo contributo, per quanto piccolo, può giovare ad affret- tare la risoluzione dell’arduo problema, così abbiamo creduto utile pubblicare i risultati delle ricerche microscopiche su alcuni cementi italiani delle fabbriche più importanti, sui quali sono state anche eseguite delle ricerche chimiche da uno di noi e Manzella (?). Chiameremo questi cementi naturali, perchè ottenuti direttamente dalla cottura di marne più o meno ricche d'argilla. C1 limiteremo per ora a intrattenerci dei cementi a lenta presa. Il materiale di partenza, ossia le marne, al microscopio ci presentano la struttura delle roccie detritiche, con frammenti di calcare, raramente quarzo e con una pasta molto oscura, formata (1) Le Chatelier, Recherches eapérimentales sur la constitution des mortiers hydrau- liques. Ann. d. Mines. 1887. p. 345. (2) Oddo e Manzella, Ricerche su alcuni cementi italiani ed esteri. Rend. d. Acca- demia Lincei, vol. IV, 2° sem., p. 19. — Ricerche sui fenomeni che avvengono durante la presa dei cementi. Ibidem, vol. IV, 2° sem, p. 88. Pe e n re — teli Gli «è = fe net — 392 — principalmente da elementi argillosi. Frequenti sono i resti fossili, principal- mente foraminiferi. Incominciammo a studiare il materiale cotto ancora massiccio, come viene estratto dal forno. Esso presenta l'aspetto di una roccia basaltica, raramente con apprezzabili elementi, più frequentemente vitreo, scoriaceo, color verde oscuro. Cemento dello Stabilimento Filippo Savelli. Un preparato di questo cemento osservato alla lente rassomiglia ad una arenaria, ossia ci presenta dei granuli incolori rilegati da una pasta grigiastra o giallastra. Nella massa del preparato sono poi distribuiti irregolarmente dei granuli oscuri, o completamente opachi, residui della roccia non cotta. Al microscopio vediamo risolversi la pasta della suddetta arenaria in un aggregato granulare, i cui singoli granelli. per lo più arrotondati, presentano un rilievo molto marcato e però una refrazione più forte dei granuli della nostra arenaria; qualche volta lasciano distinguere un contorno regolare in forma di quadrati o di rettangoli, con un accenno di sfaldatura secondo il lato più piccolo: alla luce polarizzata presentano doppia refrazione abbastanza forte, ed una estinzione parallela ai lati. Bisogna riferirli, con molta pro- babilità al sistema trimetrico. L'insieme di questi cristallini a contorno mar- cato, non che una minutissima granulazione microfelsitica che s' interpone tra di essi, con debole ingrandimento nel loro insieme si presenta come una massa grigiastra omogenea. I granuli della nostra arenaria ci sì presentano a contorno irregolare, e attraversati da linee di frattura irregolari e disordinate. Alla luce polarizzata ci si presentano o perfettamente isotropi, o con una leggera interferenza, che per la sua irregolarità si farebbe attribuire a fenomeni meccanici di pressione; ma che a fortissimo ingrandimento si svela come dovuta a inclusioni sotti- lissime, o ad una interna devetrificazione della sostanza dei granuli della nostra arenaria. La parte giallastra della massa, di cui fu fatto parola sopra, a luce polarizzata interferisce, ma irregolarmente. Un maggiore ingrandimento ci spiega come essa sia costituita da una sostanza scoriacea, giallastra, omogenea, che non influisce sensibilmente sulla luce polarizzata; ma che racchiude alcuni di quei cristallini ortorombici di cui or ora abbiamo parlato. Volendo fare un confronto col cemento studiato da Le Chetalier, (!), i granuli della nostra arenaria corrisponderebbero ai suoi cristalli incolori pseudo- cubici e da lui riferiti ad un silicato tricalcico. I cristallini ortorombici della massa costituirebbero il riempimento a forte doppia refrazione, da lui ritenuto come il fondente dei cristalli pseudo-cubici; e in parte anche ai cristalli pic- colissimi (indicati con d). (1) Op. cit. pag. 413. — 353 — Facendo agire l’acqua per 24 ore su questa preparazione, vediamo formarsi attorno al margine di essa una grande quantità di cristallini incolori, trasparen- tissimi, ora lamellari e in forma rombica; o più spessi, e allora facentisi riconoscere per cristallini prismatici monoclini: interferiscono vivacemente a luce polarizzata. Questi cristallini vengono accompagnati anche da una sostanza gelatinosa, che potrebbe essere silice gelatinosa, ma più probabilmente un sili- cato complesso. Seguitando a fare agire l’acqua sulla preparazione per parecchi giorni, l'attacco avviene su tutta la parte chiara del preparato, dando origine a quei cristallini e a nuova formazione di gelatina. Se sottoponiamo poi all’ esame microscopico un preparato fatto con un cemento dopo la presa e l'esposizione sott'acqua per parecchi giorni, notiamo una massa più o meno grigiastra, che a piccolo spessore diventa già opaca; e molti granuli interclusi. Questi granuli difficilmente sono limpidi, per lo più si fanno riferire a quelle parti giallastre del cemento non attaccate dall’ acqua. Sorprende però come la grandezza di questi granuli sia maggiore di quelli del cemento soltanto cotto, non solo, ma superiore a quanto lo comporte- rebbe l'operazione della crivellazione, che non permette la presenza di granuli tanto grandi. Ora studiando attentamente questi granuli grossetti, si vede che non sono omogenei, ma fatti dall'accumulo di un gran numero di granuli più piccoli. Allora il fenomeno non sorprende più, perchè abbiamo da fare con formazioni posteriori all'impasto: dei granuli intatti di cemento, liberi di muoversi in mezzo all’ impasto ancora liquido, hanno avuto l'agio di avvicinarsi e di accollarsi gli uni agli altri per formare delle vere colonie. Il resto della massa che rilega questi granelli è di una sostanza ricca di granulazioni microfelsitiche, che a luce polarizzata si risolve in parte non attiva e in parte attiva. Quest'ultima è formata da un aggregato più o meno scaglioso, o granulare più difficilmente cristallino. In certi punti si scor- gono delle laminette perfettamente esagonali di idrato calcico. Società anonima Casal Monferrato. Al microscopio un preparato di questo cemento si presenta completamente granulare. I granuli sono a contorno irregolare, e a dimensioni variabili. Ge- neralmente non agiscono sulla luce polarizzata, o presentano quella debolissima interferenza, che come fu sopradescritto, deve attribuirsi a inclusioni o a devetrificazioni. Si nota altresì che i granuli più grossi tendono a fratturarsi per fornirci granuli più piccoli; e i più piccoli sono disposti tra di loro in tale modo da lasciare intravedere che debbono essere provenuti dalla rottura di più grossi pezzi. L' impressione generale è che tutti i granuli si siano formati dalla disgregazione per ritirata di una sola massa omogenea e possiamo anche dire di una specie di vetro. a a n | | }} — 354 — In questo fondo noi troviamo i soliti granuli oscuri, le macchie giallastre di cui avemmo precedentemente occasione di parlare e finalmente delle parti cristalline, che solo a luce polarizzata vengono notate. Sono a sezione quadrata o rettangolare, e con le proprietà dei cennati cristallini ortorombici, isolati o più spesso raggruppati in parecchi e allora regolarmente orientati a costituire degli elementi di maggiore mole: altre volte invece in aggregati polisintetici a musaico. Volendo fare un confronto colla descrizione del cemento di Le Chatelier, dovremmo riferire la massima parte del nostro cemento ai cristalli pseudo-cubici, mentre la sostanza intermedia è in quantità così scarsa da non poterci spiegare l’ ipotesi di quel chimico, il quale considera questa sostanza intermedia come il solvente che determina la precipitazione dei cristalli pseudo-cubici. Coll’ acqua questo preparato ci dà le stesse formazioni cristalline e la stessa gelatina come il preparato del cemento precedente. Passiamo a studiare il cemento già impastato e che è stato sommerso nell'acqua per una settimana. In esso scorgiamo una pasta quasi incolora rac- chiudente dei granuli incolori per lo più piccolissimi, e altri più grossi, ver- dastri o giallastri, formati per lo più dall'agglomerazione di altri piccoli. Il paragone con il cemento precedente ci fa comprendere di essere avvenuto qualche cosa di simile. Infatti i granuli più grossi possono considerarsi come le parti non attaccate del cemento cotto: invece la pasta è di formazione secondaria, tanto per la parte omogenea, che per i granelli ch’ essa racchiude. A luce polarizzata questa massa ci mostra pochi punti inattivi comple- tamente; generalmente le parti polarizzanti sono a contorno irregolare. G. Cerrano e C°. Monferrato. Il preparato di questo cemento al mieroscopio ci si presenta come un fitto aggregato granulare, senza che si noti un qualsiasi cemento che rileghi i varî granuli. Da ciò anche la facoltà di disgregarsi per ridursi in polvere durante la preparazione. I granuli sono per lo più incolori e trasparentissimi; altravolta invece ci si presentano brunicci, come intorbidati da una minutis- sima polvere, una vera fuligine. Questi ultimi granelli sono associati a co- stituire delle chiazze più o meno estese corrispondenti alle macchie scoriacee giallastre, che abbiamo osservato negli altri cementi. A luce polarizzata si scorge che molti di questi granuli interferiscono e molto forte, e laddove è possibile rintracciare un qualche contorno regolare, là notiamo l’ estinzione parallela e le proprietà di quei cristallini che altrove abbiamo riferito al trimetrico. I granuli inerti sulla luce polarizzata sono molto scarsi e ci offrono anche quei fenomeni di debole interferenza, attri- buiti da noi a inclusioni, o a devetrificazioni. L'azione dell'acqua su questo preparato ci dà le stesse forme cristalline e la stessa gelatina di cui sopra. — 395 — Il preparato del cemento dopo una settimana di prosa presenta al solito dei granuli giallastri o verdastri formati dall’accumulo di granuli più piccoli : inoltre della pasta molto simile nel comportamento e nell'aspetto a quella dei cementi precedenti. Lo studio di questi soli tre cementi non ci permette di ricavare delle leggi d'indole generale riguardo alla struttura dei cementi e alla natura dei singoli elementi. Esso ci mostra infatti che i così detti cristalli pseudo-cubici, ai quali Le Chatelier attacca somma importanza, considerandoli come gli elementi essenziali per la presa dei cementi, non sono invece sempre i do- minanti. Ancora meno sostenibile è, per questi cementi studiati, l'ipotesi di Le Chatelier, secondo la quale le parti di cemento attive sulla luce polariz- zata abbiano funzionato come solvente per la formazione dei cristalli pseudo- cubici di silicato tricalcico e siano inattivi per la presa. Infatti secondo tale ipotesi il terzo cemento (C. Cerrano e C°.), costituito principalmente da parti attive alla luce polarizzata, non dovrebbe far presa: mentre al contrario è uno dei migliori cementi italiani. Pur ammettendo che i cementi sintetici, quali sono quelli studiati da Le Chatelier, presentino una struttura più costante, abbiamo visto che nei cementi naturali la struttura è variabilissima; e per essi sarebbe impossi- bile spiegare la presa con le reazioni immaginate da Le Chatelier, e da lui date in modo troppo assoluto come dimostrate. Quali sono però le spiegazioni che darebbero queste nostre ricerche ? Quali le interpretazioni con questo studio dei cementi italiani? Di ciò ci occuperemo in un prossimo lavoro intrapreso in più larga scala, e con ma- teriale più abbondante. Per ora abbiamo voluto costatare il fatto che lo studio di Le Chatelier riguarda un tipo di cementi troppo isolato, e che non si può prendere affatto come tipo generale. Chimica. — Sopra alcuni prodotti d’ addizione del platoni- trito potassico ('). Nota preliminare di A. MIoLATI, presentata dal Socio CANNIZZARO. I composti del platino bivalente del tipo PtX, hanno, come tutti sanno, una tendenza marcata ad addizionare elementi o molecole intere, e dare, a seconda della natura del corpo addizionato composti neutri, o acidi o basici. Così per esempio PtCl, addiziona in diverse proporzioni, ossido di carbonio, (1) Lavoro eseguito nell’ Istituto chimico della R. Università di Roma. PORTAEREI ui Lee rai AE E — 356 — tricloruro di fosforo e molte sostanze organiche come il solfuro d' etile (!), dando composti neutri. Altri composti invece sono acidi o derivati di questi, come H, PtC1,, H, Pt(CN), e la serie numerosa dei platiniti Me, PtX,. Final- mente se il corpo sommato è ammoniaca o un’ ammina, i composti risultanti hanno proprietà basiche. Tutti questi derivati del platino bivalente sono appunto caratterizzati come tali, dal fatto che addizionano facilmente una molecola d' alogeno tra- sformandosi in derivati del platino tetravalente. Così da PtCL, K. si ottiene PtCL K,, da K;Pt(NO.), e K;Pt(CN), i composti K;PiCL(NO.), e K, Pt(CN); Cl. Non era finora noto però che i platiniti potessero sommarsi ad altre mo- lecole (tranne che coll’ acqua negli idrati) senza che il platino passasse alla forma superiore. Questa proprietà invece è molto marcata, e pare strano che non sia stata ancora constatata. i Il platonitrito potassico somma, come mostrerò in questa Nota d' indole preliminare, l’ ipoazotide e l’ acido cloridrico con molta facilità, per dare com- posti definiti ed abbastanza stabili. 1.° Platonitrito potassico e ipoazotide K; Pt(N0:), . N 04. Se il platonitrito potassico puro, secco e finamente polverizzato si tratta con tetrossido d'azoto liquido, si colora a poco a poco in verde fino ad assu- mere in capo a qualche tempo un colore verde intenso e perfettamente omo- geneo per tutta la massa. L' addizione può avvenire in capo a pochi minuti se l’'ipoazotide contiene tracce di acido nitroso. L' azione catalitica dell'acido nitroso si può dimostrare facilmente con una semplice ed elegante esperienza. Il platonitrito bianco, coperto di ipoazotide liquida gialla, si trasforma rapi- damente nel composto verde, quando si agiti la massa con una bacchetta ha- gnata di acqua. Il composto verde così ottenuto è perfettamente omogeneo, e si separa dall’ eccesso di tetrossido facendo evaporare quest’ ultimo nel vuoto o mettendolo su mattonella porosa. La sostanza solida così separata, si pone nel vuoto su cloruro di calcio dove rimane per lungo tempo inalterata, mentre che se si mette sull’ acido sol- forico, sfiorisce dopo qualche tempo e diventa superficialmente bianca. L'analisi del prodotto diede risultati corrispondenti alla formola K, Pi(NO:),. N: 0,. 1) 0,4614 gr. di sostanza diedero 0,1629 gr. di platino. 2) 0,5809 gr. di >» ” 0,2058 » » e0,1813gr. di sol- fato potassico. (1) Vedi specialmente i lavori di Schitzenberger e Blomstrand, Journ. f. prakt. Chemie [2] 27, 189. — 3900 — 3) 0,2301 gr. di sostanza diedero evaporati con acido cloridrico 0,2028 gr. di cloroplatinato potassico. 4) 0,2652 gr. di sostanza diedero evaporati con acido cloridrico 0,2331 gr. di cloroplatinato potassico. calcolato per K. Pt(NO%), . N20, trovato Pi = 35,47 35,91 35,43. 95,35 35,25 Re = 425 —_ 14,01 14,20 14,16 Se si scalda questo composto verde verso 150° si trasforma in un com- posto rosso che si scioglie quasi incoloro nell’ acqua, ma che si riottiene rosso scacciando questa per evaporazione. Esso potrebbe essere il sale ottenuto da Vèzes per azione dell’ acido solforico sul platonitrito potassico o un com- posto analogo (!). Non fu ancora particolarmente studiato, ma mi riserbo di farlo. Il composto verde è instabilissimo in contatto dell’ acqua e dei liquidi acquosi, che gli levano l’ ipoazotide e rigenerano il platonitrito. Non m' è stato possibile d’ ottenere così prodotti diretti della sua decomposizione; ma sol- tanto prodotti che possonsi ottenere anche dal platonitrito stesso. La scomposizione coll’ acqua è violentissima, ma se il sale viene decom- posto soltanto coi vapori si trasforma in un composto bianco, il quale seccato tra carta e analizzato, ha dato numeri corrispondenti all’ idrato del platoni- trito potassico preparato da L. F. Nilson. 0,2792 gr. di sostanza diedero 0,1110 gr. di platino. calcolato per K. Pt(NO,\, + 2Hs 0 trovato Roe —R39550 39,75 La scomposizione coll’ ammoniaca concentrata è pure molto violenta, e da essa s' ottiene un composto bianco cristallino quasi insolubile nell’ acqua fredda, abbastanza nella bollente, da cui cristallizza in aghetti bianco-giallastri, i quali scaldati detonano, lasciando come residuo spugna di platino molto vo- luminosa. Il suo comportamento coll’ acido cloridrico e col solforico come i suoi caratteri fisici indicano che il composto così ottenuto non è altro che il nitrito di platosemidiammina NO, 70 NO” \NH; ottenuto per la prima volta da Cleve{?). (1) Annales de chimie et de physique [6]. XXIX, 160 (1893); vedi anche i lavori di L. F. Nilson in cui sono descritti dei platonitriti complessi rossi. () Lang (Journ. f. prakt. Chemie LXXXIII, 418) descrive un nitrito di platosammina DES LATO: sa / SSA che dovrebbe formarsi per azione dell'ammoniaca sul platonitrito potassico. RenpIcoNTI. 1896, Vor. V, 2° Sem. 46 ° OA Crm — 358 — 0,3263 gr. di sostanza diedero 0,1971 gr. di platino. 05172700» ” ’” 0,1050 > ” calcolato per Pinot trovato Pi = 60,69 60,41 60,79 Per caratterizzare meglio questo composto ho preparato ed analizzato il suo prodotto di addizione col bromo. Esso si presenta in aghi giallo-aranciati difficilmente solubili nell’ acqua fredda. 0,3065 gr. di sostanza diedero 0,1244 gr. di platino. Br: calcolato per Pt(N0:): trovato (NHg): lean —>i CIO 40,58 Come l’ ammoniaca si comporta pure la piridina, per mezzo della quale si ottiene il nitrito di platosemipiridina NO E NA NO,” \Py che come mostrò S. G. Hedin(*) si forma pure dal platonitrito potassico. Cristallizza dall’ acqua bollente in laminette bianche. 0,1831 gr. di sostanza diedero 0,0791 gr. di platino. 0,3383 > ” a 0,1467 » ” 0,2163 » ” ” 0,0943 » ” calcolato per Pipa trovato Pi — 49477 43,20 43,37 43,60. Come risulta da quanto si venne esponendo, i prodotti di decomposizione non danno nessuna luce sulla costituzione del sale verde, salvo a dimostrare essere egli un derivato del platino bivalente, poichè dà i medesimi prodotti che cogli stessi reagenti si ottengono dal platonitrito potassico. Non è forse che un composto del medesimo ordine dell'idrato di questo sale. 2.° Platonitrito potassico e acido cloridrico K; Pt(N0»), . HCl Anche questo composto s’ottiene facilmente ; per prepararlo non occorre che trattare il platonitrito potassico polverizzato finamente, con acido cloridrico concentratissimo avendo la precauzione di raffreddare. Il sale si colora a poco a poco in verde intenso e quando il tutto è diventato omogeneo (dopo (1) Om pyridinens Platinabaser, pag. 11. Lund, 1886. — 359 — circa !/, d'ora) si separa il composto solido dall’ eccesso dell’ acido, assor- bendo questo per mezzo di una mattonella porosa. Il composto che si ottiene è stabile; rimane per lungo tempo inalterato nel vuoto sulla calce. Trattato con molta acqua si discioglie e la soluzione contiene acido cloridrico. L'analisi fatta con campioni di diverse preparazioni ha dato risultati con- cordanti colla formula K, Pt(NO»);. HC1. 1) 0,2640 gr. di sostanza diedero 0,2585 gr. di cloroplatinato potassico. 2) 0,2022 » ” > 0,0799 gr. di platino e 0,0706 di solfato potassico. 3) 0,2540 gr. di sostanza diedero 0,1000 gr. di platino e 0,0895 di solfato potassico. 4) 0,3112 gr. di sostanza trattati secondo Vèzes (') diedero 0,0887 gr. di clo- ruro d'argento. 5) 0,1792 gr. di sostanza diedero 0,1762 di cloroplatinato potassico. 6) 0,2615 gr. di sostanza scomposti con eccesso di carbonato sodico titolato e determinata la parte indecomposta con acido cloridrico, consumarono 5,4 e. c. di soda !/,, norm. corrispondenti a 0,01969 d’acido cloridrico. Riassumendo si ha: Riassumendo si ha: calcolato per Ks Pt(NO»), . HCI I II III IV V VI (media) Pt = 39,46 39,27 39,49 39,37 — 39,43 — 39.39 o = 435 15,75 15,68 15,82 — 15,84 — 15,77 EROI 737 _ — — 7,29 — 7,53 7,38 Il composto cloridrico scaldato verso i 150° perde acido cloridrico e di- venta pure rosso, dando il medesimo composto che il prodotto d’ addi- zione dell’ ipoazotide. Trattato a freddo con poca acqua si scioglie colorando la soluzione in verdognolo; concentrando però si sviluppano vapori nitrosi e si ottiene uno dei sali di Vèzes, il monocloroplatonitrito potassico (Gli Aa (Pros), )F= ©) I composti brevemente descritti in questa Nota non sono i soli che il platonitrito potassico possa dare; esso somma altresì anidride nitrosa, cloruro di nitrosile, e forse anche acido nitroso, sui prodotti d’ addizione dei quali riferirò poi ampiamente quando il loro studio sarà ultimato. La capacità che i composti platinosi hanno di dare prodotti d’ addizione, non è limitata agli esempi noti finora e a quelli citati in questa Nota; essa è molto più estesa di quanto si creda. In alcuni di questi composti d’ addi- (1) L. c., pag. 154. (2) L. c., pag. 178. a Sr neo gi Ca LISA. I N a e) — 360 — zione, il composto rimane ancora bivalente o almeno si comporta come tale. poichè perde facilmente il corpo addizionato rigenerando il composto plati- noso ; in altri invece passa alla forma superiore d' ossidazione, come nel caso dell’ addizione del cloro e del bromo. Analogamente a questi due elementi pare sì comportano, secondo espe- rienze in corso, l’ acido ipocloroso il cloruro e il bromuro di cianogeno. Ho potuto ottenere dal cloroplatinito Cl, PtK, e acido ipocloroso un sale giallo simile nell’ aspetto al cloroplatinato potassico, ma che con acido cloridrico dà cloro. Dal platocianuro potassico Pt(CN), K. invece col clo- ruro e bromuro di cianogeno sono arrivato a quegli splendidi composti di color rame chiamati un tempo platinicianuri e la cui costituzione, malgrado i molti lavori in proposito, non è ancora completamente chiarita. Su questi composti spero tra breve di potere riferire estesamente, sol- tanto vorrei fin da ora accennare un fatto che m'ha vivamente colpito du- tanto il corso di queste diverse ricerche sui composti platinosi, cioè la gran- dissima analogia nel comportamento dei composti del platino bivalente con quello dei composti organici non saturi, come i derivati etilenici, le aldeidi ecc., composti nei quali, secondo la teoria della valenza, si ammettono doppî legami. Fisiologia. — /Inmnervazione dell’ esofago. Nota del prof. Ugo KRONECKER e del dott. F. LuscHER, presentata dal Socio A. Mosso. Le ricerche fatte dal prof. A. Mosso nel 1873, sui Movimenti dell’ eso- fago ('*) diedero nuovo impulso alla dottrina della deglutizione. Uno di noi fece in seguito una serie di lavori sul medesimo argomento coi suoi colleghi Falk, Meltzer, Wassilieff Marckwald; e Meltzer scoprì molti fatti importanti. Rimanevano tuttavia parecchie lacune nelle conoscenze intorno all’ atto della deglutizione. Mosso scrisse nella sua Memoria « che si può legare l' eso- fago, tagliarlo, ed anche esportarne un quarto della sua intera lunghezza, senza che si riesca ad impedire la propagazione del movimento di deglutizione dalla parte superiore alla inferiore. « Questa trasformazione del movimento, dice Mosso, dipende dai centri nervosi che regolano i moti dell’ esofago; poichè, se sì tagliano i nervi che vanno all'esofago, restano impediti i movimenti di deglutizione, anche se rimangono intatti i plessi nervosi che stanno nelle pa- reti dell’ esofago ». « Il movimento di deglutizione è dunque un movimento riflesso, che trae la sua origine da una eccitazione meccanica del faringe, la quale eccitazione viene trasmessa per mezzo di nervi sensibili ad un centro il quale trovasi nel midollo allungato. Da questo centro parte una serie di stimoli, i quali pro- (1) Moleschott’s, Untersuchungen zur Naturlehre, vol. XI, fasc. 4. — 361 — ducono una serie di movimenti coordinati che si estendono fino all’ ultima parte dell’ esofago, sebbene siasi distrutta una grande parte del medesimo ». Mosso descrive dopo ie seguenti osservazioni fatte su di un cane: « Tagliammo il vago dal lato sinistro, nella metà circa del collo, tagliammo lo sterno ed una parte delle cartilagini costali per aprire la cavità del torace. Fatta la legatura dei vasi, scoprimmo l’ esofago nella sua intera lunghezza. Isolato il vago sinistro, tagliammo le ramificazioni nervose che stanno sotto il ganglio mediano, eccettuato il nervo ricorrente; poi recidemmo il vago poco sopra il ganglio. Una debole corrente indotta applicata sul nervo ricorrente produsse sempre una forte contrazione dell’ esofago, la quale estendevasi dalla prima e seconda costa fino al bordo inferiore del laringe ». Noi abbiamo confermato e svolto più ampiamente questa ricerca. Quando erano tagliati tutti i rami dei due nervi laringei inferiori che vanno all’ esofago, ad ogni eccitamento del palato molle sollevavasi nel coniglio la laringe (Wassilieff) e succedeva la medesima cosa, se producevasi la deglu- tizione coll’ eccitamento dei nervi laringei superiori. Questo è, secondo Meltzer, il primo atto della deglutizione: ma la parte dell'esofago che corrisponde al collo non si contraeva. Si ottengono invece delle deglutizioni normali, quando l’esofago rimane in comunicazione solo coi nervi laringei inferiori. Il nervo ricorrente è dunque il nervo motore per la parte dell’ esofago corrispondente al collo. Meltzer dimostrò che l'esofago si contrae successivamente in tre porzioni l'una dopo l'altra. Nell'uomo l'atto della deglutizione succede in modo che la prima parte si muove 0,9” dopo la contrazione della faringe: la seconda parte 1,8” dopo la prima: e la terza parte dell'esofago si muove 3,0" dopo la seconda. Nel coniglio e nel cane abbiamo trovato che ciascun nervo laringeo infe- riore manda tre rami alla parte cervicale dell'esofago. Il ramo più basso manda ancora un ramo alla parte superiore dell’ esofago toracale Il ramo su- periore spesso mostrasi diviso in due filamenti paralleli. Quando si eccita con delle correnti indotte intermittenti uno di questi nervi, vediamo entrare in tetano solo la parte dell'esofago che vi corrisponde. nella quale cioè si ramifica questo ramo. Ma i distretti della innervazione si sovrap- pongono alquanto ai confini dell'una parte coll’ altra. Così che, per esempio, il limite della prima e seconda sezione si contrae tanto quando eccitasi il primo ramo, come quando si eccita il secondo. Debolissime correnti bastano a tale scopo. Toccando il ricorrente con due metalli differenti (il platino ed il ferro ad esempio) si ottiene una scossa dell'esofago, quando si forma un arco coi due fili metallici. L'irritazione portata sul tronco del nervo ricorrente fa contrarre nello stesso tempo tutte le tre porzioni dell’ esofago cervicale. La progressione del movimento nell'atto del deglutire deve perciò compiersi per mezzo di un ral- TEA III IT AEREE IIIEA IESPA RI GOLE fora Qi gr È i 3 È x Hi S h; È ì “ é È î É i Î f [È — 362 — lenta nento della eccitazione nel centro nervoso (che fu già supposto dagli au- tori) ed i singoli rami del nervo ricorrente devono condurre degli eccitamenti isolati che provengono dal centro nervoso. In tali ricerche uno di noi (Liischer) osservò che il tronco centrale di un nervo laringeo inferiore eccitato produce anche una deglutizione, come è co- nosciuto dal nervo laringeo superiore. Questa esperienza venne fatta vedere nel III congresso internazionale dei fisiologi tenutosi a Berna nell’ anno 1895. Quando si eccitavano i monconi centrali di tutti e due i nervi laringei infe- riori di un coniglio, si vedeva tirata la laringe verso la lingua (vale a dire eseguito il primo atto della deglutizione, il quale è promosso dal nervo tri- gemino). Naturalmente mancava il movimento di deglutizione nell’ esofago del collo, perchè eransi tagliati i nervi centripeti. I conigli morfinizzati deglutiscono meno facilmente dei normali, quando si eccita il nervo laringeo superiore od il nervo ricorrente. Talora il centro di deglutizione del vago si affatica rapidamente; allora trovammo ancora attivo il centro di deglutizione del trigemino (Wassilieff). Spesso, quando il laringeo superiore mostrasi inattivo, si ottengono delle deglutizioni eccitando il nervo ricorrente. Tagliato il vago sotto il punto dal quale staccasi il nervo ricorrente, ed eccitato il moncone centrale del vago (privo del ricorrente) non potevasi de- stare alcun movimento di deglutizione, mentre che eccitando le parti del vago _ che contengono il ricorrente producevasi la deglutizione. Un coniglio al quale eransi tagliati entrambi i tronchi dei nervi laringei inferiori, morì dopo tre giorni per una polmonite causata dalla mancanza di deglutizione e riempimento consecutivo dell'esofago. Un altro coniglio al quale eransi tagliati solo i rami laringei dei nervi ricorrenti, non morì che dopo dieci giorni in seguito a polmonite per chiusura insufficiente della glottide. MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Z. Treves. Sulla funzione respiratoria del nervo vago. Presentata dal Socio Mosso. PERSONALE ACCADEMICO 1l Presidente Brioschi commemora brevemente il Corrispondente PAL- MIERI ed i Soci stranieri: PRESTWICH, BeyRicH, KANITZ, KEKULE, RESAL, Scurr, di cui l'Accademia ebbe a lamentare la perdita durante le ferie. Il Segretario BLAsERNA dà comunicazione delle lettere di ringraziamento, per la loro recente nomina, inviate dal Corrispondente MoRrERA e dai Soci stranieri: BoLTzMANN, Cornu, GyrLDEN e NEUMANN. — 363 — PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario BLASERNA presenta le pubblicazioni giunte in dono, segna- lando quelle inviate dai Soci LoRENZONI, ScHIAPARELLI, ABETTI, Riccò, AuwERS, BoussiNEso, GEGENBAUR, KOLLIKER. Il Socio CREMONA fa omaggio, a nome del Socio straniero SopHus LIE, di una recente pubblicazione di quest’ ultimo intitolata: Geometrie der Bertih- rungstransformationen, e ne discorre. CORRISPONDENZA Il Socio TaccHINI informa come la mattina del 1° novembre dalle 6% alle 7° tutta Italia sia stata leggermente scossa per un seguito di piccole onde sismiche, registrate a Padova, a Pavia, Roma ed Ischia. Il prof. Tacchini avverte, che le piccole oscillazioni di questa mattina sono precisamente del carat- tere di quelle altre volte registrate in occasione di terremoti lontani, così che egli ritiene, che una forte commozione terrestre abbia avuto luogo in regioni lontane, ciò che si vedrà da telegrammi di stasera o domani. Benchè tali notizie pos- sano ritardare parecchi giorni se il terremoto è avvenuto in qualche isola. Il Segretario BLASERNA dà comunicazione di una lettera del Socio stra- niero lord KeLviIN, il quale ringrazia l'Accademia per le felicitazioni in- viategli. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute : La R. Accademia delle scienze di Lisbona; le Società reali di Londra e di Edinburgo; la Società geologica di Manchester; la Società di scienze naturali di Emden; il Museo di zoologia comparata di Cambridge Mass.; il R. Osservatorio di Edinburgo. Annunciano l’ invio delle proprie pubblicazioni: La Società italiana delle scienze, di Roma; la R. Accademia delle scienze dell’ Istituto di Bologna; la R. Accademia delle scienze di Stockholm; le So- cietà di scienze naturali di Francoforte s. M., e di Wetervreden ; la Società scientifica di Santiago; le Scuole tecniche superiori di Darmstadt e di Karls- ruhe; la Società geodetica di Cape Town; l' Università di Lione; gli Osser- vatorii di Parigi, di Strassburgo e di Tiflis. AA W == rta —— = atri perni — 364 — OPERE PERVENUTE IN DONO ALL'ACCADEMIA presentate nella seduta del 1° novembre 1896. Arnaudeau A. — Table de triangulaires de 1 à 100000 ete. Paris, 1896. 8°. Baker Y. C. — Preliminary outline of a New Classification of the Family Muricidae. Chicago, 1895. 8°. Beorchia Nigris A. — Sulla sede e sulla natura del morbo di Erb. Udine, 1896. 8°. Carazzi D. — Contributo all istologia e alla fisiologia dei Lamellibranchi. Lipsia, 1896. 8°. Moschen L. — Una centuria di crani umbri moderni. Roma, 1896. 8°. Omboni G. — Di un criterio facile proposto dal prof. I. Agostini per i pro- nostici del tempo. Padova, 1896. 8°. Preda A.— Contributo allo studio delle narcissee italiane. Firenze, 1896. 8°. Rizzardi U. — Gli entomostraci del Mezzola. Roma, 1896. 8°. Salvioni E. — Un metodo per confrontare gli schermi fluorescenti ai raggi X. Perugia, 1896. 8°. Schiaparelli G. — Rubra Canicula. Considerazioni sulla mutazione di colore che si dice avvenuta in Sirio. Rovereto, 1896. 8°. Id. — Sulle anomalie della gravità. Milano, 1896. 8°. Venturi A. — Orbita definitiva della Cometa 1890 IV (Zona). Palermo, 1896. 4°. Wolfer A. — Astronomische Mittheilungen. Zurich, 1896. 8°. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI —< —t;-r,r;,;,;-- —®- Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 15 novembre 1896. A. MEssEDAGLIA Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sulla successiva protezione di una varietà quadratica su sè stessa. Nota di A. DeL RE, presentata dal Socio F. SIACCI. Alcune ricerche dirette allo scopo di trattare dei punti e delle linee brillanti di una superficie in una metrica generale, e che appariranno nella mia Memoria: Ricerche geometriche diverse ece., in corso di stampa negli Atti della R. Accademia di Modena, mi hanno condotto, in una maniera elegante e semplicissima, a dare le formule per rappresentare la trasforma- zione risultante da m date proiezioni successive di una varietà quadratica (comunque estesa) in sè stessa (cioè, a parte un caso, la trasformazione ge- nerale di una siffatta varietà in sè), trasformazione che si collega a parecchie altre quistioni importanti, p. es. a quella della iscrizione nella varietà di poligoni circoscritti a poligoni dati, alla teoria dei moti rigidi in uno spazio a curvatura costante, alla teoria delle trasformazioni isogonali nel piano e nello spazio, ecc. Lo scopo di questa breve Nota è appunto quello di far conoscere siffatte formule, e di trattare insieme di qualche altra quistione che si rannoda al medesimo ordine di considerazioni. 1. Sia g=Y axtux= 0 l'equazione di una varietà quadratica g ad n—1 dimensioni di uno spazio lineare ad 7 dimensioni S,, scritta in coordinate iperplanari %,,%2,..,n+1. Per brevità, indichiamo con , il risultato della sostituzione in delle u®,u®,...,u®.,, dove le wu RenpICONTI. 1896, Vor. V, 2° Sem. 47 Porro — MU / — 366 — (i=1,2,..,#-+1) sono le coordinate di un determinato iperpiano 77, (non tangente a g); indi estendiamo ad n +1 variabili il processo di ra- gionamento fatto nel n. 1 della cit. Memoria; avremo le formule IAA. c. Ch) dp E ud (1) OT (Ce 1) le quali dicono che, nell’ S, di assoluto g, i raggi di luce che escono dal punto È; (i=1,2,..,%-+1), quando in S, sì ammette l' ordinaria legge per la riflessione della luce, passano, dopo la riflessione sull'iperpiano 77, pel punto & (i=1,2,..,%-+41). Ora, io dico che /e formule (1), per le 4 (i=1,2,..,2-+1) tenute fisse, e le &;,&; variabili, rappresen tano la proiezione di su sè stessa eseguita dal polo P,, dell’ iperpiano ty. In fatti, dicendo ®,, la forma quadratica aggiunta della 4g, cioè po- nendo P,, = DE An Qi tx, Ove Aix è il sub-determinante complementare del- l'elemento 4; nel determinante 4=|ax| di g, si ha, dalle (1) dg dI _— Ue De ——6 > biz QU) DE o*Derr = gp, De: + 44ujg9n; v : TREE 1 3g Mt ty , re àgj; == —, si cava = — È ma, siccome dal porre 4; 25€ Si 24 di e quindi poi, anche dg dI dp dY SY - 2) wu P=44% w&=44ut — du di gi IU USA; 44 2 Matia così si avrà 2 mor = gra — 44 uu + 44 piu =D; epperò, se è D::= 0, è pure Perer: =0, cioè Ze (1) conservano g. Inoltre, dalle (1) abbiamo pure (13 0) dh) y dP_ () . QUr, = Pn _ U dui dA = Pn 9 dunque, al posto delle (1) possiamo pure scrivere, per 7=1,2,...,2-+1 le seguenti: O) quer _dP oÈ'; = Ph di + Pn du® ’ OVVero : Ma n _dP Ph = Pn È; AC QU ST770% o finalmente 2 Sh er dh) dI Int = puetimw 3 Di Pn L Al QUA ») dunque la relazione fra le &,,È{, data dalle (1) è involutoria. — 367 — Infine, dalle (1) si ha pure che, se è u=0, sarà odi=pnf =; epperò, le (1) conservano, punto per punto, l’iperpiano 7,. Tutte queste proprietà dimostrano la verità dell’asserzione testè fatta (1). 2. Prendiamo un gruppo di 72 relazioni come le (1), ottenute con 2 iper- PO e Ou o WI .. VCO ima, per semplicità di scrittura, scriviamo (7) al posto di u”, e sopprimiamo (perchè ciò non darà luogo a confusione) gli indici 7; indi, componiamo successivamente la 1% con la 2*, il risultato ottenuto con la 3, e così via, le 7 sostituzioni E=pE— (1 —£ (1) dp = yni— (n: 7 avremo, indicando con R,,R.,..., Rm Siffatte Tn (proiezioni di g su se stessa) e scrivendo 9y = ,y al posto di Dati , quanto segue: (!) Si può dare alle formule (1) un’altra forma, non meno elegante, nella quale ap- pariscono le coordinate del centro di proiezione. Infatti, dette %; le coordinate del polo P, 196 dell’iperpiano wu; (t=1,2,...,n+ 1), possiamo scrivere wu; = 29h (i=1,2,...,n+1), dalle quali seguono le altre R;= 5 ” vo ((=1,2,...,n+1).Maè pn = SY mt e dunque sarà: 1x19® 4 db PrroZiosga Ahi=5z Y_h5 media; e le formule (1) diventano, perciò, le seguenti: 1 dP i=A4®bnnti— — eni o 21105 oi =APnnîi —5 > 3 ha 24h (i=1,2,..,%n+1) ovvero, poichè è 4 <= 0, (1°) ot';=Brnti — hi PE (i=1,2,...,n+1). Formule analoghe a queste, per n = 8, furono date dal Cayley nella sua Nota: Or the Homographic Transformation of a surface of the second order into itself (Philosophical Magazine, vol. VI, 1853, o anche Mathematical Papers, vol. II); ma l’eminente geometra non accenna al modo come vi pervenne, mentre che la via da noi seguita ha il vantaggio di mostrare come sotto le medesime formule, diversamente interpetrate, si hanno le trasfor- mazioni doppie in un 7-spazio, cui son congiunte delle involuzioni di Hirst, come si vedrà dalla lettura della nostra cit. Memoria. np VEIL: — 363 — 1° La sostituzione R, R, è data dalle formule SEI Mia A = gn |gaf- 3(2)) è(1)° (2) ovvero, come si scorge dopo facile osservazione dY d(1) VESSRE ARE P dp CLONE dp — (3) SE Pr YS2 È (1): Pa 31) (2)e È 2d(2) YP12 9° La sostituzione R; R, R, è data dalle formule dp Li = 1 AA — (3) i gi > (1)) gof— (3) — d(3 a SOA SIA pri "0 LV) ovvero, dopo gli sviluppi e delle osservazioni analoghe alle precedenti (4) E = 19293 — (1 9293 sr € (2): gal (2) vw : pi A Da) Pd dP__ g — BE 91936) POST P23 [nel "o 3° La sostituzione R, R; R. R, è data da un gruppo di formule che si stabiliscono in una maniera analoga, e che noi, per brevità, sopprimiamo. Però, dall’ esame di queste formule e delle precedenti (3), (4) ci è facile di risalire ad una legge generale per la formazione delle formule corrispondenti alla sostituzione R, Rm... Ra Ri, quale che sia il numero m. Infatti, è dap- prima evidente che queste ultime formule hanno la forma che segue (5) =, Pa. Pmi — (De Ai — (2) A, — Mus — (m) Ar e si tratta perciò di esaminare il modo di formazione dei coefficienti A; Ag, Am. Io dico che, se, in una maniera generale, noi indichiamo con |h,/| il coefficiente di (2): nella sostituzione di tipo (5) relativa alla R, Ri». Re Ri (cioè nella #2 delle formule corrispondenti a questa sosti- tuzione), abbiamo le relazioni \h,1|=gax|h—1,1|.|h; ar e 2|,...|h,h_-1|=g}h —1,h-1| (6), HA (> s h|= 9192 Piu 7}; TO — Paalh-1,1|- a] h-1,2|---—91-2,1n]}-Lh1] perchè, scritte le formule corrispondenti alla R,_, Ris... Rs Ri col sistema di coefficienti ora convenuto, cioè le i lei h_-1,0), E = P1 Pz Phu Sa wo — 869 — avremo, per formule corrispondenti alla R, R,_,... Ra Ri le RL: È dg ) u=h=1 ( P | S'=@ Ze To) né (he SI > (2) Ò (ll 919 Fr EM SIATE: il secondo sommatorio dovendo essere esteso ai valori da 1 ad 2-1 del- l'indice ; soppresso. Ora, queste ultime formule si riducono evidentemente alle altre: b) t(=h—1 t=h—1 EZPP2PEAANEP1P2- Pr 773 i 5 —D IL |p(DeAt(M)e xD li LiDoti (ih) = OVVEero: =h=1 ( BIO) z =h71 E = pg... né —d (eg —1, | (he Piga Pip) T 2 Pull — TRA 1} e dal confronto di queste con le supposte (7) E=1 92. g@ri—(1e]h, 1[— (e]h,2|/— — (Me]a, hl sì ricava la verità dell’asserto. 3. Le relazioni (6) sono ricorrenti. Dalle prime #— 1 di esse, reite- ratamente applicate, si ricavano, evidentemente, le altre lO 1|=g,|h-1, = pr |h — 2,1|=- = n ae 5 1| |h,2|=g,|h—-1 do Pr1 + P3|2 , 2] (8) < la, pet PST ad gi pre! n] hh_-1=qg,|h-1,h- 1] per cui l’ultima, dopo un conveniente scambio di % in RA — 1, diventa dP (== Rn eng; [il |h, | Pr P2 e Phi 0) _ Pun Ph Y> | ’ 1 + —_ P2h Pn se P3|2,2|—- — Gna gal — 2 sh-2|— nah —1,h_-1|; ed in una maniera più concisa: I=h—1 d (9) |l ) h| = Pz Phi "o Par Di Pih Ph2 Por css Pa [2 ’ L| Questa e le precedenti relazioni (8) mostrano che la costruzione dei di- versi coefficienti dei termini in (1):,(2),..., (4): delle formule (7) dipende dalla costruzione delle espressioni OE e 1, 2a ed una qualunque di queste dipende dalle precedenti nel modo indicato dalla (9). In una maniera generale noi possiamo dunque scrivere un coefti- TA a. dari dia » —_ ra CIS et A za | i | — 370 — ciente |m, | di posto qualunque nella è" delle formule corrispondenti alla sostituzione Rm Rm-1 .-. Ro Ri , nella forma seguente . DO Pr P2 0 Pri SOIL To Wi Pro Pr2... Ps+1 |8 s| Li (10)|m, 7|= 4m Pm , mM. dove 7 può prendere i valori 1,2 Ne segue, ristabilendo gli indici 7, e rimettendo u al posto di (7) R. R, possono essere scritte così che le formole della sostituzione R,, Rm 5 = P1 Pa Pm Si + r=h—-1 Pr+r |", n; ’ Prh Ph_1 Ph-2 ©» MECNZE «Phi 776 dUi Tapi r=1 I ,n+1) Pr Pa» ovvero, spezzando in 2 il 1° sommatorio (il che ci permetterà di fare un' os- h=am ch) Ur Pm Pm_r ce Ph+i (i=1 È e) servazione importante) in quest'altra maniera h=m 4 DOW Pre Phr Pri + Pm 3g È =@1Y2- Pmfi — h= r=h—-1 «Pra 7, 7] h=m E ul CA Pmor ce Ph+1 i Prh Ph-r Phe2 231); (11) 94, (CM o ancora, visto che è pg *+0(9=1,2 Mm), (n) g° \ Dot h=m ue (12) È; = È — 2 UN “e +S Cw I, 1 DI Prh Phu ee Prt1 |r , r| i, o, finalmente h=m Si r=h=1 È Asa o O E rl i= Ares Z Ji LD Ph Pr Pr @ ui) R, la sostituzione (13) #/=È i pod x D, h=1 = Da queste segue poi senz'altro che, essendo R, Rs R, R,, le formule corrispondenti a siffatta sostitu- inversa della R, Rm- zione, cioè le formule inverse delle (13), sono ue dP (4 o Fani asa rl 14, = Edie ) Sì DT e 10 ( ) i ; zi Ph PI = - zi Ym-n+1 Pa Pr ( i ); Tm una permutazione dei numeri 12 ... 72, 2,...,8+41) e più generalmente, detta 7, 7, Vu apS° Pri Th |Tr, Ty l Fia sn Seri Ph Pr, Ptr | saranno (15) E, = Vel h=1 Duo 3g — 371 — le formule della sostituzio R:,, Rr,_, Ri, Ra, nell'intesa che i simboli mor \tr, ty| si comportino precisamente come i simboli analoghi fatti coi soli in- “Di (71) 4. Dalle (15) si scorge che, mentre il 1° sommatorio al 2° membro è un'espressione simmetrica rispetto alle g, tale non è il 2°; ciò vuol dire che, condizione necessaria e sufficiente affinchè le R,,Rs,..,Rm diano luogo ad una sola trasformazione risultante, in qualunque modo vengano composte, è che si abbia, visto che possiamo riferirci ai soli indici dei nu- meri z, e DETTA AA: 16 VU) —— A ( ) 2 5 r=1 Pr Pi seo Pr dici, sicchè sia p. es. |t,, 71] = per :=1,2,...,%-+1. Ma ciò deve aver luogo indipendentemente dalle u® perciò le condizioni precedenti valgono le seguenti Piz |l ’ 1 È 0) P2P3- Pr Par] DL itP3. Pro Par 22|+ + mom] h_1,h-1 L= e queste a loro volta, come si può facilmente mostrare, valgono le altre 0 (4=3,4,..,1); (his, 2g I (rt+s=m Non ci fermeremo a mostrare la verità di quest’ultima affermazione, perchè ne discorriamo anche nella cit. Mem.; però rileviamo subito che le condizioni (17) esprimono essere è centri Pi, .. Pm delle m proiezioni, co- niugati 2 a 2 rispetto a p=0, cioè essere è punti P,,..., Pm vertici di una piramide auto-polare rispetto a g=0. Ora, una siffatta piramide non esiste che per mn=n+ 1. Rileviamo inoltre che le formule (17) Prr+s 0 (e gi (18) Lazio _ Pr QU ((=1,2,..,#-+1) abbracciano tutte le omografie involontarie i cui spazi fondamentali sono polari rispetto alla varietà quadratica 4, quando si faccia che m abbia i n valori da 1 ad 9 2 se n è dispari, e da 1 ad 5+1 se n è pari. E pre- cisamente, Ze (18) rappresentano un’omografia involutoria i cui spazi fon- damentali sono lSmn-, dei punti P,,..., Pm @ l'Snm determinato dagli iperpiani Tri, ... Tm (|). (1) Non verificandosi tutte o qualcuna, delle condizioni (17) si può osservare che per mNH 0 | 70 CH} C— C07 CH: CT— C0 Fu preparata da un campione di anidride pirocinconica fornitomi gen- tilmente dall’ egregio prof. G. Kòrner, a cui porgo anche qui i miei più vivi ringraziamenti. t a A-x LC:A- Ae 4 6,34 5,31 1,194 0,2985 5 7,00 4,65 1,540 0,3080 6 7,95 4,30 1,709 0,2848 Ti 7,65 4,00 1,913 0.2732 8 8,40 3,25 2,584 0,3230 9 8,67 2,98 2,909 0,3232 10 8,95 2,70 3,914 0,3314 11 9,26 2,39 8,875 0,3523 18 9,52 2,13 4,367 0,3359 15 9,65 2,00 4,825 0,3216 17 9,388 TISCATA 5,582 0,3283 19 10,09 1,56 6,466 0,3403 Ai—JdE65 Ac= 0,3184 — 377 — Sebbene l' immide pirocinconica sia circa 4 volte più stabile dell’ im- mide citraconica, essa pure in confronto alle immidi della serie succinica si scompone molto rapidamente. Le immidi degii acidi alchilsuccinici si scom- pongono a 25° con idrato sodico così lentamente (per l’ immide dell’ acido trimetilsuccinico fu trovato Ac = 0,0007 circa) che è più comodo calcolare la costante di scomposizione per questa temperatura da misure fatte a tem- perature più elevate. La differenza netta nell’ ordine di grandezza delle co- stanti di scomposizione tra le immidi della serie succinica da una parte e le immidi succiniche sostituite nell’ azoto, quelle della serie maleica e infine quelle anche degli acidi aromatici bibasici, dall’ altra, m' ha fatto nascere l’idea, che non si tratti di composti aventi un analogo concatenamento degli atomi, ma che agli uni corrisponda la formola simmetrica delle immidi, agli altri quella asimmetrica. Ognun sa che per le immidi degli acidi bibasici, due possono essere le formule di struttura da prendersi in considerazione: nn gn NH 0 c— co pero, per ognuna delle quali vi sono molte ragioni in favore e in contrario (!). Ora non è punto strano che alcune classi d’immidi siano costituite secondo la prima formola, e alcune secondo l’ altra. Siccome dall’ anidride ftalica si for- mano a preferenza derivati asimmetrici, e siccome la ftalimmide ha una ve- locità di scomposizione dello stesso ordine di grandezza delle immidi citra- conica, pirocinconica e delle immidi succiniche sostituite nell’ azoto, così io sarei indotto ad ammettere per queste immidi la formula asimmetrica, e per quelle della serie succinica la simmetrica. Così si avrebbero questi tipi : R.=C—C0 R_C—- \NH Rs = C 2 co” Rt—_ I CH; — CO (o A N 0 LO) < CH —CN che spiegherebbero la grande differenza nella stabilità da una classe all'altra, differenza dipendente dall’ aversi in un caso una catena azotata, nell’ altro una ossigenata. Le misure fatte sulla ftalimmide e su due composti analoghi, le immidi (') Vedi Bischoff, Stereochemie, pag. 686, dove è indicata la letteratura sull’ argomento. a "serena "_—=— == - EG rr tt esscane.£ pro degli acidi chinolinico e cincomeronico, hanno dimostrato che questi composti sono meno stabili della succinimmide stessa. o TAR VONAGZMN Ftalimmide | | (0) NASA t Ba A-x Q:ÀA-x Ac 3 2,50 9,15 0,2732 0,09107 4 2,99 8,66 0,3453 0,08632 5) 3,90 8,10 0,4382 0,08764 6 3,96 7,69 0,5150 0,08683 fi 4,38 AZ 0,6026 0,08608 8 4,78 6,87 :0,6959 0,08699 9 5,03 6,62 0,7598 0,08448 10 5,42 6,23 0,3700 0,08700 (I: 5,60 6,05 0,9255 0,08413 12 5,92 6,73 1,033 0,08600 13 6,20 5,45 1,138 0,08754 14 6,31 5,34 1el8i 0,08435 15 6,57 5,08 1,293 0,08620 16 6,76 4,89 1,382 0,08637 17 7,00 4,65 1,505 0,08853 18 7,22 4,43 1,629 0,09050 19 7,35 4,30 1,709 0,08994 A° == IM65 Ac=0,08705 Ho cercato anche di studiare l’immide dell’ acido solfobenzoico, cono- sciuto in commercio col nome di saccarina, TATA | | NH VU per vedere se s1 comportava in modo analogo alla ftalimmide. Le misure non poterono però eseguirsi perchè la soluzione acquosa aveva reazione acida e diventava subito neutra per l’ aggiunta di una molecola d' idrato sodico. DAL bea A LAI Immide chinolinica | 2, OronA | O NNH Venne preparata dall’ acido chinolinico, ottenuto per ossidazione del bleu d’indaco d' alizarina (!) secondo il metodo dato recentemente da Phi- lipps (°). t x 5 6,31 6 7,99 9 7,90 10 8,37 12 8,74 13 8,94 14 9,12 16 9,40 18 9,65 20 9,80 E=IDK9 L'immide chinolinica è circa tre volte meno stabile dell’ immide ftalica. Immide cincomeronica L'acido cincomeronico necessario alla preparazione dell’ immide fu otte- nuto per ossidazione della chinoidina con acido nitrico, come hanno indicato H. Weidel e M. v. Schmidt (?). t x 4 7,535 6 8,18 8 8,76 9 9,05 10 9,24 12 9,62 13 9,70 14 9,85 16 10,11 17 10,16 18 10,25 19 10,29 21 10,42 22 10,48 AT_HN05 (*) Il bleu d’indaco d’ alizarina mi venne gentilmente fornito dalla Direzione della « Badische Anilin- und Soda-Fabrik », a cui esprimo anche in questo luogo i miei vivi rin- graziamenti. — 379 — A-a Q:A-x Ac 5,94 1,181 0,2362 4,32 1,696 0,2826 3,75 2,107 0,2341 3,28 2,552 0,2552 2,91 3,003 0,2502 2,01 3,208 0,2512 2,59 3,604 0,2574 2,25 4,178 0,2611 2,00 4,825 0,2680 1,85 5,297 0,2648 Ac= 0,2561 ST DE N04 VAN A-x 4,30 3,47 2,89 2,60 2,41 2,05 1,95 1,80 1,95 1,49 1,40 1,36 1,23 ISLIT (2) Liebig*s Annalen 288, 257, (1895). (@) Ber. XII, 1146. c:A-% 1,709 2,358 3,031 3,480 3,894 4,740 4,974 5,599 6,516 6,817 7,323 7,565 8,470 8,956 Ac = 0,3977 Ac 0,4272 0,3930 0,3789 0,3366 0,3834 0,3950 0,3326 0,3999 0,4072 0,4010 0,4067 0,3981 0,4053 0,4071 e-—_—— oe ore pae". rene -finesiriia iv «| _+ fonia Sonia e st Se nmmmiortiià pe — fly rene rin e a e n 11T——l11—__ — 380 — Alle misure comunicate spero poterne aggiungere fra breve altre le quali confermino le vedute esposte nella presente Nota. Specialmente ora risalta la necessità di coordinare le costanti di velocità di scomposizione con altri dati fisici e soprattutto con misure ottiche e calorimetriche; soltanto con una tale coordinazione si potrà forse arrivare a chiarire la questione e a risolverla. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Socio CERRUTI fa omaggio, a-nome dell’ autore, della recente pubbli- cazione del Corrispondente E. CesÀRro, intitolata: Lezioni di Geometria intrinseca, e ne parla. RENDICONTI DELLE SEDUTE tdi CES "è ECT DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI | e _M Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 6 dicembre 1896. ATE F. BrIoscHI Presidente. asi | MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI e nas # cui setiicitend Matematica. — Sulle equazioni a derivate parziali del 2° ordine. Nota del Socio U. DInI. ESCI 1. Si abbia un campo C a due variabili 4 e y, col contorno fisso, 0 in parte fisso e in parte variabile, e siano X, Y funzioni regolari in ©, secondo le denominazioni del prof. L. Bianchi; cioè funzioni finite e conti- nue o almeno atte alla integrazione e a un sol valore esse e le loro de- rivate in tutto C almeno fino a quell’ordine che avremo bisogno di conside- rare. Come è noto, e come si trova subito, avremo la formola: 1) JI (+ +) ded =— (Tri), dp dP l'integrale del 1° membro essendo esteso a C, e quello del 2° al suo con- torno s, e 7 indicando la normale interna al contorno. Mutando X in U V, e Y in U,V, avremo: JI (© DI av Des na )tedy= —f(ovîz+o, vd di i dp | e mutando ancora in questa: i i : QU U : d d a U in E U, ina, 15 tata, ì da dyY da i con @,f,y... funzioni qualsiasi regolari delle variabili 7,7, e anche, se rim (ig ReENDICONTI. 1896, Vor. V, 2° Sem. 49 > obi — 382 — CADE ; EL 5 lo) 0 20 vuolsi, di una o più funzioni 9; , 9,... e delle loro derivate Di È Don a Ò 3 REA RI dI dotate esse pure delle solite proprietà di essere regolari in campi relativi i 0 : alle quantità 2,7,09,,0,... Si ..- considerate come se fossero altrettante variabili indipendenti, avremo la formola: | M 1dVa M 13Va n © S| eTì dU, dV dU dV A Tai dI dI dY dY dY dI dI È d(U Vi) d(IV) i Vi) i +e + VA HAT d°U, ye dU A 3Ù, 2: dU vd dU, I TIA SA RI da a e 0) ocra dY Y eoy Veg dI tes da ° 23U SU =-S[(e+a ++ (ta t Fr dove le derivate di @, #,... s intende che siano calcolate colle regole delle È 30 CAINE funzioni composte, considerandovi 0), ,0;... Da ; S ... come funzioni di 4 e y; e quando si cangino fra loro U e V, e così pure fra loro U, e V, si ha un altra formola simile che sottratta da questa dà la seguente: (8) J ICE 3V__3U nt" Li 19Va _2U )- GI(U-W{ _ dY dI da De PEG Ro dY dI PEA no da 01 i 28% pe ui i - 0, Ma Satta pl (n Lv ]ary See 0T)E safe rn notre (ato) 2U, Vi da dyY È d.(V\_-U)—= |ds. +e ut) Lam_ na 2. Queste formole (2) e (3) (che potrebbero estendersi anche al caso di più di due variabili) quando si particolarizzino le «,f... e si stabiliscano relazioni speciali fra le U, V,U,, Vi, danno luogo ad altre, che applicate — 383 — allo studio delle equazioni a derivate parziali del 2° ordine conducono a ri- sultati, alcuni dei quali naturalmente sono noti, ma dal cui insieme appa- risce che certe particolarità date finora soltanto per equazioni speciali si ap- plicano in casi differenti e ben più estesi. Alcuni di questi risultati, che non sono forse i più importanti, ma dai quali giova incominciare per l’ ordine da dare a queste ricerche, vengono esposti in questa Nota. Si supponga dapprima che nella (2) le quattro funzioni U,V,U,,Vi siano tutte eguali fra loro e ad U. Avremo la formola: ) [etto tia (polpa 4 dI dY ++ @+ATT+A DA MAI + dda SU dY eve alar) aa CEPE LIE) IRA dA dY ++ ue che varrà per qualunque funzione U regolare entro C, e con a, @,,f... funzioni esse pure regolari che noi particolarizzeremo in varî modi. d°0 È d°0 ded 045 con V e @ funzioni regolari nel solito campo, e supponendo y_=y;}=d=0,=0 avremo la formola: TRO IL d 20 3U DER A O 20 29 (3U IV Di dI Ye dY dd dyY° ae de dda "| dy. de9dWY 20 3V 2% EA fe QU 2% Ira uz) dy da I ca PIENE IYY Fui ?°0 UT 2°0 3dU\ dy I dd IY dI +ES 7 [vvas, +2) T+(d+3 ne + +0 | dedy— d°0 Così cambiando @ in gi 3 ,unu,efin-V che vale qualunque siano le funzioni U,V,0 purchè regolari in C; e da questa prendendo una volta V=:1, e un altra V= U, avremo le formole: 270 (IU\? de UO DUE d°0 2°U OE db 5) Ti a) +3 Di 2 2 di di 6 20 È i PR) er (| i) dd 9IYIEIYO dd dyY dy° Ida ILIYY 0 De ) e DoS DEMI da dY AES SE TTT Pa I Sr! 3g coat. Mer SERATA EA cos nes cossa vtocrseneà MESI ALe ZSPADIPETTETEAE dec sscer — sedere TFuenm=< CE rsa ao rracacceioe:-ss — 384 — 2(2°9 DEUA D'0EDIUN DIO si) (f Ss a) fo ( dI? "a dY dI VR dyY° dZ04 2/00 POLO I Di i QU 3° 5 3 dE dY dILdY nur dL° a al (da Mr ya da dY Y ap 20 2 +(— P) 2U Pin de dy da dada delle quali ci varremo anche più oltre. 8. Valendosi della formola (4) anche col cambiarvi din 4+ 7 * 0A enpfin p-nS >” e f, in pati 7 4 b,c,h funzioni regolari in C, e supponendo d = d, =0 Lia l’altra: o [+3 alari (NO) 2°U (DEURZUAA NAVI (ae 3 +20 i o aa . de: dh EU dU + (Ripi n Lay) lik dI dY° dY dI Y dI 3 de dh dU IN YU ii «.E. ny ta) 90 ]icar= (pra (aa era Ha Se Der se ipe Oui dp e se, indicando con 7 e altre funzioni indeterminate ma regolari esse pure entro C, poniamo : 5 da SU RIU (ar ATM on, (9) dI dY dI dY dY dI dY ” | abi ah DU. a 9 = — eg > 2A de ay e supponiamo inoltre che U sia un integrale regolare entro C della equazione a derivate parziali del 2° ordine: 2°U iù Ù >»2U YU \ tar (10) a Di +2 o gove —()jt eo ove anche / lo supporremo ora, come 4,0,c,%,m,n,funzione regolare di dU 2U tolto , la precedente darà luogo all'altra: = Sr 3220 YU \3U 23U 2U\{FU 0» ff [(eH (ie a) +04 a da dy i e i de | RIU PRU i DEE —4(5+? vat der MIETEZARO _—2—_-2 dl U? dI dY QU ani 20, (at) +05 + 242, du IV ]ey= FO AZO) A (tra ove nel secondo membro y e y, si intendono determinate dalle (9); e da questa, valendosi della formola che si ha dalla (7) col farvi 6 = #, otter- remo subito la formola seguente: 19) | (e (ef SI 7) +21 pena dr unt. dI dY dI dY] IL dY DOAEATRIO d°6 DIO dm __ +( 3 FU sla] MAT pi da dy | dy° ; da 3 dU | J — DELE SII) OSE ) i U ds 23) U? +2 mU È Da Mor n U > ZU | dae dY LU ds dove: DE Pa erica ni na 1 2 uil ++ 6 ra 2 2 aaa, "de de dY dY dI e quando la funzione / che figura nella (10) sia tale che valendosi delle formole precedenti o con altre trasformazioni opportune si possa scrivere: 14 [) LU de dy = = {| (1 U? + 4 0) ae dy— f (1. + nd) vds la formola precedente diverrà: 05) [)[ (+4 5 U Liu Re iù (e gt U ()- ia Tua >: > o NE dr jr urli 1035 qa LUds, DO È ( ZU. dh È 2U De = ata Pre Rene usa )t2 ‘arag a ui FE \ hl Chi DEA OR er si RAI ITA i pi Sriini | fici da) Ml PF- ti RSA Be IA — 386 — "a dI dY DEE È . dove L=L+L > + Lech e così in particolare quando la equazione data (10) abbia la forma PERS 2°U 2°U (UU / 2U\ ali pas pet pan (og) +2 4+ QU Mu dove le 4, 0,6,h,d,e,9,g0 sono al solito funzioni regolari di, 7, ui a siccome allora si ha {= 2 di De: Digi a: gU— 9, e quindi: / IA Ò J Uda y--f(dÈ+ dp pa “AT pi == "_o)v+gt ptc dy potremo porre nelle (15) l,, = — de? o —Yo, 11 = @U, La=e0, 7 E così se nel campo C© (il contorno CA sì U che le altre fun- zioni 4,d,c,... sono regolari e sul contorno si ha U= 0, allora nel caso della equazione (10) avremo dalla (15): 7 DEU dh 2°U 22h \QUIU 17 Da QU .J [ (+4 +03 FJ orlo: are, E Von d2U DENTI dd d?°d dc dm __ AR] uu di +È dd dae dy dg dn _g28 gag) fo20 Do e nel caso della equazione (16) avremo questa stessa equazione (17) nella quale sia fatto: dd _ de +9, lie=— Yo; dr dY talchè si può evidentemente asserire che « se in un campo C le funzioni «U,a,b,c... sono regolari, e U è un integrale delle equazioni (10) o (16) « che sul contorno di C è sempre zero, la quantità: QU\? Q2U d?h \dU3U (18) H= (I RT] Za) n) +2(0—277 al + dU IDEA DEDICO +(e+137 dal ae) (3) — > dYy° QU aailizoa: =" = DU gl i di pan)u® +2mUS 142 l'iva. «nel caso della equazione don o l’altra che si ha da questa col farvi: l=— (19) ee io — 387 — « nel caso della equazione (16), non potranno dove sono diverse da zero entro C « avere sempre lo stesso segno »; e quindi « se le particolarità delle equazioni « stesse (10) e (16) portassero che dove le quantità U, a fossero di- « verse da zero le quantità stesse H avessero un medesimo segno si dovrà « concludere che dall'essere U=0 sul contorno di C ne verrà che U sia « zero in tutto C ». Ciò sempre bene inteso quando U e le altre funzioni a, db, c, ... debbano essere regolari in tutti i punti di C (incl. il contorno). 4. E così evidentemente si può senz’ altro affermare che se una equazione a derivate parziali del 2° ordine: (20) (IA) =0 dove p, 9,7, s,t, secondo le notazioni di Monge, indicano appunto le derivate della funzione 2 di 4 e y, è tale che indicando con 2, e z> due suoi integrali, la loro differenza U= 4, — <> è un integrale di una equazione (10) o (16) per la quale le quantità H vengano a soddisfare alle condizioni precedenti entro C, allora « gli integrali 2 della equazione stessa (20) saranno perfetta- « mente determinati in tutto il campo C quando siano dati i loro valori al « contorno, e in tutto C (il contorno incluso) tanto gli integrali quanto le varie « funzioni che compariscono nella equazione data debbano essere regolari ». « E se queste particolarità non si verificheranno che in porzioni speciali del « piano (4, y), il teorema varrà soltanto pei campi C che cadono in queste « porzioni di piano ». 5. Questi risultati, che appariscono ora sotto una forma molto compli- cata a causa della complicazione che si ha nelle espressioni di H, danno luogo a conseguenze semplici e notevolissime. Si osservi per questo dapprima che quando le quantità H dove fossero diverse da zero presentassero la particolarità di avere sempre lo stesso segno, si può senza limitare la generalità supporre che siano positive, perchè ove non lo fossero basterebbe cambiare il segno di tutta la equazione data (10) o (16); e si osservi inoltre che quando questa equazione abbia il termine e _ (I da? dyY° dEIY di questo termine non è mai zero, si potrà sempre, quando si voglia, sup- porre di averlo ridotto al caso di h == 1, bastando per questo dividere la equazione per 4, o per — » secondochè 4 in C sarà positiva o nega- tiva; ma noi qui, non volendo possibilmente introdurre pel campo C la li- mitazione ora indicata, cioè quella di dovere richiedere che in C non sia mai h = 0, non ci varremo di questa osservazione altrochè quando ciò sia necessario per certe semplificazioni che occorresse fare nelle formole, o quando il campo C sia già dato e si sappia che in esso % è diverso da zero. 2 ) , limitandosi a quei campi C nei quali il coefficiente 7 iu ire ili ANT IRR © A Re MNT ZA sv e — 13988 — Ciò posto, incominciamo dall'osservare che nei valori di H figura una forma di 2° grado in Lu) e [oa quella cioè formata dai primi tre termini; PEA 0 ma nei casi particolari altri termini simili potranno aversi anche dalle altre parti di H e questi potranno riunirsi ai primi. Così facendo, ove ne sia il caso, si vede che i valori di H potranno essere inclusi nella espressione unica: U\? dU 3U 5 È) 2 DO i +(a+32+® U: + RERS 9 ) CO) (F or dy y +2m US +20 +40, dove le 4, u,v,4,,4, sono quantità che dipendono dalla equazione data, e m e n sono ancora quantità indeterminate delle quali potremo disporre nel modo che più ci tornerà comodo, ma sempre però procurando che si manten- gano regolari in tutto C. Fermandoci ora in modo speciale sulla forma: 3U\? 3U 3U 3T\? (22) (3) +e +» (37) I consideriamo il caso in cui il determinante Zv — u? di questa forma non è mai negativo in tutto C, senza però che si abbia mai A=w = 0 che porte- rebbe anche u= 0. In questo caso la (22) potrà porsi sotto la forma: 5 SU ZIUN? QU QU? (23) (ATT+BT) +(4137 +33) dove alcune delle A, B, A,, B,, possono anche essere zero, e propriamente dovendosi prendere \A={/2seng, B =Vvsen6 24 _ Ga) (A\=1/2 coop, B,=vcos@ con g e 9 legate dalla relazione {/ 2 cos (gp —0)= w, per modo che una di queste quantità g e 0 resta arbitraria; e ciò supposto, come può sempre intendersi nel caso attuale, che Z e v non siano negativi; e nel caso che una delle due quantità Z e v p. es. v sia sempre zero in C, con che anche u=0, allora, intendendo che B e B, siano zero senz'altro, non figurerà più nelle nostre formole il 0, e il @ resterà arbitrario. Ma la (23) può scriversi così: du Eno st, dun ti U 3U —2(AC-+A, C.)U = —2(B0+B: 0)U — 389 — quindi evidentemente se determiniamo m colle formole: (25) m=AC+A,C,, n= BC + 5B,Ci. i valori (21) di H prenderanno la forma seguente: 24-00) + (412 +0, Uu)+ +(2 + — da° dy° LY 2d°U +2 dA dY 2 ) cioè sia: XU (31) 4 +o3g + 243 Di i 24 2 igU=% A « allora le condizioni del caso 4) si riducono all’ essere uno almeno dei coeffi- « cienti 4 e c, e le due quantità ac — 5° e y,U sempre positive o nulle nel «campo C ». e) Invece se la equazione data ha il termine in VU »U >»U QI MIDI YO d°U d°U d°U ) da? dy° dry d cioè se essa ha la forma: ma manca di quelli in d°U 3°U dLY 13 (9) —_——Tr _— Sa da? dY° (7 d°y al apt che corrisponde ad a ==> b=e=0,h==4, allora « le condizioni del caso 8) si ; ; 3 DEU HZU « riducono all'essere una almeno delle derivate da? O) np e le due quan- st Ud DEU st « tità — /, — 22U, o le due dr ay? cs ( Si Di , — l2U sempre positive o nulle nel campo C ». 7. Per ognuno di questi casì poi è da osservare che quando non è cono- sciuto anticipatamente l’ integrale U della equazione data al quale questi risul- tati vogliono applicarsi, l'esame dei segni delle quantità da considerarsi pre- senterà difficoltà gravissime per la presenza dello stesso integrale U e delle sue derivate; però si comprende che per speciali composizioni dei coefficienti delle equazione data (10) o (16) potrà anche talvolta questo esame farsi sem- plicemente; e potrà anche darsi che venga semplicizzato dalla natura stessa del problema al quale la equazione data si riferisce. Così ad es. se questa equazione sì riferisce a superficie speciali, la cir- TAURO 23°U 2a > n samente a quella della curvatura della superficie, potrà giovare per l'esame del segno delle quantità che dovremo considerare. Nel prossimo fascicolo sarà dato il seguito di questo studio. È 2 costanza che il segno del binomio ) corrisponde preci- — 393 — Astronomia. — Sulle macchie e facole solari osservate al R. Osservatorio del Collegio Romano durante il 3° trimestre del 1896. Nota del Socio P. TACCHINI. Ho l'onore di presentare all'Accademia i risultati delle osservazioni di macchie e facole eseguite durante il 3° trimestre del 1896. La stagione fu al solito molto favorevole per queste osservazioni, che furono fatte da me in 61 giornate e in 25 dall’assistente sig. dott. Palazzo. 1896 Mesi Bos | sé | 33 | So | fg | ®f|oBi 285/337 #36 | &5 | f° | È | &s8 |&3S|&33| 33) 38 Ù i mu | iS I Luglio ...|| 30 | 5,57] 5,67] 11,24| 0,00 | 6,00 | 3,00 | 42,07| 86,83 Agosto . . . 27 3,04 3,30] 6,84| 0,11 | 0,00 | 1,78 | 20,82] 72,41 Settembre . 29 7,81 | 17,28| 24,59f 0,00 | 0,00 | 3,42 | 63,58| 63,97 Trimestre. . 86 5,96 8,84} 14,20) 0,04 | 0,00 | 2,76 | 43,74] 74,59 In questo trimestre è notevole il minimo secondario delle macchie avve- nuto nel mese di Agosto, paragonabile con quello del Maggio ultimo. Il Settembre invece figura molto ricco di macchie, in causa specialmente del bellissimo gruppo visibile dal 10 al 22 e che nel giorno 16 di detto mese si componeva di 27 fori e 16 macchie, sottendendo un’angolo di oltre 6 mi- nuti, cioè due quinti circa del raggio del disco solare: perciò le medie risultano un poco superiori a quelle trovate per il trimestre precedente. Fa- remo inoltre rimarcare che verso la metà di ciascun mese ebbe luogo una maggiore frequenza nelle macchie, mentre si trovarono scarse in principio e fine di mese, ciò che dimostra come in questo periodo la formazione delle macchie sia avvenuta di preferenza in una regione speciale del sole. Astronomia. — Sulle osservazioni spettroscopiche del bordo solare, fatte al R. Osservatorio del Collegio Romano nel 3° tri- mestre del 1896. Nota del Socio P. TACCHINI. Per le protuberanze solari il numero delle giornate di osservazione fu di 80 ed è curioso che il numero minore di osservazioni si trova in Agosto, che per solito è uno dei mesi più favorevoli per l'esame della cromosfera solare. A a, {> a Aera( e pt fi e hi ISSISESEGSIE «ae | EE DEESFSESH4 E WMU|EE E w= reds n se ae pit er ar carota rà re pa tere PT — 394 — In Agosto infatti il cielo di giorno fu quasi sempre caliginoso, per modo che spesso le protuberanze del sole vedevansi poco bene. Ecco i risultati ottenuti: 1896 Medio numero È È IENE delle Media altezza | Estensione Media SES MESI dei giorni RAI K ; delle massime altezza | di osservazione Lala, Genre DELSEIOmnO media altezze osservata per giorno | 9 | | ‘I o IZ | | |PLuglioeks 30 4,26 | 36,2 1,8 45,2 | 75 Agosto. . . 24 4,00 34,6 1,5 42,7 75 Settembre . 26 3,77 34,9 12 43,6 84 | Trimestre . 80 4,03 | 35,3 | 1,5 43,9 84 Nel fenomeno delle protuberanze non risultarono variazioni sensibili in confronto del precedente trimestre, esso cioè si mantenne quasi stazio- nario. Le osservazioni furono fatte da me in 58 giornate e in 22 dall’ assi- stente sig. Palazzo. In occasione poi dell’eclisse totale di sole, che ebbe luogo nel mattino del 9 Agosto, procurai di fare ripetute osservazioni del bordo, che in seguito a richieste abbiamo comunicato a Londra e Pietro- burgo, ed ora aggiungo in questa Nota i risultati ottenuti dalle mie osser- vazioni circa la frequenza in latitudine delle protuberanze ai bordi orientale ed occidentale nei primi 17 giorni di detto mese, dati che possono interes- sare a coloro, che hanno ottenuto buone fotografie della corona solare. 1896 Dal 1° al 17 Agosto. Frequenza Frequenza delle protuberanze Latitudine delle protuberanze all’ E al 0 90 + 80” 80+ 70 70 + 60 60 + 50 5ORZiAO 40 + 30 380 + 20 20 + 10 TORNIO 0 —- 10 10 — 20 20 — 30 30 — 40 40 — 50 50 — 60 60 — 70 70 — 80 80 — 90 Le protuberanze osservate furono 54, delle quali 29 boreali e 25 australi. La maggiore frequenza si trova dal polo boreale all'equatore per Est, e la minima dall'equatore al polo Sud egualmente al bordo orientale, benchè possa dirsi che la frequenza è pressochè la stessa negli altri due quadranti. Moon Too SODI UTD HINJZQ00MSDDDI DD SDOrN WU UU — 395 — Chimica. — Zntorno ad alcune reazioni dei fluoruri metal- lici. Nota del Socio PATERNÒ e del dott. U. ALviIsI. Matematica. — Di alcuni invarianti relativi alle equazioni lineari alle derivate parziali del 2° ordine e del loro uso. Nota del dott. Pietro BURGATTI, presentata dal Socio V. CERRUTI. Queste due Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Fisica. — Descrizione di alcuni semplici apparecchi per la determinazione del peso molecolare dei corpi in soluzione diluita (1). Nota di G. GuGLIELMO, presentata dal Socio BLASERNA. 1. Questi apparecchi sono fondati sulla misura col metodo statico della differenza di tensione di vapore fra solvente e soluzione, e sull’ applicazione della nota legge di Ostwald e Raoult relativa a tale differenza. Sebbene il metodo statico per la misura delle tensioni di vapore delle soluzioni sia stato usato da insigni sperimentatori (Raoult, Tammann ece.) e sebbene sia stato dimostrato da Regnault, Ramsay, ecc., che i risultati for- niti da esso e dal metodo dinamico sono concordanti, tuttavia esso è poco usato, sia per la complicazione degli apparecchi e della manipolazione che essi richiedono, sia per le cause d'errore. In quanto alla complicazione degli apparecchi e della manipolazione essa sì evita completamente qualora si operi alla temperatura d'ebollizione del solvente e si prenda come liquido manometrico la soluzione stessa (*). In quanto alle cause d'errore ben note esse sono: 1° l’aria disciolta nella soluzione e difficile ad eliminare completamente, la quale sviluppandosi in parte, fa apparire maggiore la tensione di vapore; 2° la possibilità che alla superficie del liquido, ed anche in quella parte di esso che sta aderente alle pareti, si formino strati più o meno concentrati del rimanente, ciò che avviene di certo allorchè aumenta o diminuisce il volume della bolla di va- pore e quindi alla superficie del liquido vi ha evaporazione o condensazione del vapore (3); 3° l’ incostanza della temperatura. ('*) Lavoro eseguito nel Gabinetto fisico dell’ Università di Cagliari. (2) Moser, (Zeitschr. fir phys. Chemie), ha già usato come liquido manometrico la soluzione. (3) Tammann, Wied. Annalen, 32, 1887. canta SE TARE Sa rn ge ie aa tnt VSESo9À an “FAZI SO Mint a è È \ ho . Ra — 396 — Le esperienze, che riferirò in seguito, dimostrano che la 1* causa d' errore è corretta facilmente e esattamente, e la 2% è eliminata facendo uso del tubo ad U rappresentato nella figura, il quale è facile a costruire, facile ad usare, richiede poco tempo e si presta altresì ad esperienze di dimostrazione. La costanza di temperatura poi è pienamente assicurata mediante una stufa a vapore simile a quella che serve per la determinazione del punto 100 dei termometri; è necessario però che i tubi siano trasparenti, e quindi di vetro o mica, ciò che è utilissimo in moltissimi casi. 2. Il tubo ad U è di vetro; un ramo A è aperto. cilindrico, lungo 20 o 50 cm., largo 10 0 15 mm.; l'altro ramo è composto d'un tubo B, lungo 10 o 15 em., largo 10 0 15 mm, di una bolla C, cilindrica o sferica di 2 o 3 em. di diametro, e di un tubo capillare D a pareti spesse, lungo 10 o 15 cm., largo circa 0,4 mm., il quale termina in alto con un imbutino E. Il tubo A è chiuso da un buon tappo forato, munito di un tubetto di vetro, per il quale si può produrre nel tubo ad U una leggera rarefazione o compressione, me- diante una piccola pompa, o colla bocca. Il tubo capillare E può esser chiuso, alla sommità, da un filo metallico F_ che vi penetri un po' a forza, oppure da un filo metallico più grosso ma reso leggermente conico ad una estremità mediante carta smerigliata fina. Un ago sottile, saldato ad un ma- nico, e reso inossidabile coll’ immersione nell’acido nitrico può servire ottima- mente. Tale chiusura sarebbe molto imperfetta se tubo e filo fossero asciutti; se però nell'imbutino si trova un po' di liquido essa è più che sufficiente, sia perchè il liquido non filtra che molto lentamente nello stretto inter- vallo fra filo e tubo, sia per capillarità quando il livello fosse disceso fino ad esso intervallo. La chiusura potrebbe essere resa anche migliore o versando nell’imbutino un po' di mercurio, o scegliendo un filo che s' adatti bene nel tubo capillare, o adattando il filo al tubo con un po' di smeriglio fino. Mediante questo tubo capillare e il suo tappo, si può misurare il vo- lume dell’aria contenuta nel vapore ed escluderla per ricominciare una nuova determinazione (1). La stufa per la determinazione del punto 100 dei termometri è ben nota; in quella occorrente per lo scopo attuale la caldaia è d'ottone, e così pure sono d'ottone, ma solo per 2 o 3 centimetri, i larghi tubi sovrastanti per cui passa il vapore e nei quali sono fissati con gesso due tubi di vetro di diametro poco minore (p. es. un tubo da lampada a gaz di 5 cm. di diametro, (1) Lehmann, (Wied. Annalen), espelleva l’aria senza misurarne il volume; Tam- mann, id. id., ne misurava il volume senza espellerla. — 397 — ed una campana di vetro sottile, priva della parte emisferica, di 10 cm. di diametro); nella parte inferiore, d'ottone, sono saldati il tubo piuttosto largo per l’efflusso del vapore ed il tubo per il manometro. Sul tubo di vetro esterno poi è fissato il coperchio di lamina d' ottone, con foro e tubulatura di 5 cm. di diametro per il quale s' introduce il tubo ad U fissato entro appo- sito tappo; è bene che il tubo U non sporga che poco o niente dal tappo (poi- chè sulla parte sporgente si condenserebbe il vapore del solvente in quantità non del tutto trascurabile) e che il tubo capillare sporga invece di 5 o 10 cm. Coperchio e tappo hanno anteriormente e presso l’orlo rispettivo un foro di 2 0 3 mm. pel quale passa un grosso filo metallico che porta alla parte inferiore un grosso fiocco di cotone o un largo pennello; mediante questi si possono togliere le goccioline e si può rendere uniforme la superficie del liquido aderente alla parete interna dei due tubi, in modo che sia possibile vedere nettamente i due livelli del liquido nel tubo ad U. Questa disposi- zione nel caso di una soluzione acquosa scaldata nel vapor acqueo è utilis- sima, talora indispensabile, ma probabilmente essa sarebbe superflua nel caso di altri liquidi aventi una minor tensione superficiale. Finalmente una larga scala in millimetri collo zero in basso è collocata fra i due rami del tubo ad U, oppure sul tubo esterno della stufa; nel primo caso gli errori di parallasse e di rifrazione sono piccoli, ma i tratti dovranno essere grossi e fortemente colorati per essere visibili. 8. Per determinare la tensione di vapore d'una soluzione, occorre anzi- tutto conoscere le sezioni interne del tubo A e del tubo capillare, a pareti bagnate; esse si determinano misurando le lunghezze che in essi tubi assu- mono pesi noti d'acqua o mercurio. Si versa quindi nel tubo U asciutto la soluzione che suppongo abbastanza diluita e contenente poca aria disciolta; si colloca il tubo nella stufa scal- data coi vapori del solvente, ed esercitando una leggera compressione in A si scaccia l’aria dal tubo B, si fa salire un po di soluzione nell’imbutino E, e si chiude il tubo capillare col filo F. Allorchè si crede che tubo e soluzione abbiano press’ a poco la tempe- ratura del vapore (cioè dopo 10’ o 15’) se nel tubo B non si è prodotta la bolla di vapore, la si produce aspirando più o meno fortemente pel tubo 4; secondo che l'aspirazione è stata troppo o troppo poco prolungata, il livello del liquido nel tubo B si trova al disotto o al disopra della posizione finale d'equilibrio alla quale esso s' avvicina lentamente; è utile che in questa posizione il livello si trovi verso la metà della bolla C. Allora dando piccole scosse, o facendo oscillare leggermente ma bruscamente la stufa, il liquido della bolla C riceve tale impulso che scorrendo sulle pareti giunge fino alla som- mità della bolla; siccome in questo movimento il livello medio della solu- zione rimane pressochè invariato, la produzione o liquefazione di vapore è trascurabile, la concentrazione del liquido non ne viene alterata, mentre esso è RenpIcONTI. 1896, Vor. V, 2° Sem. 51 MO —— — ——— oO er: a Sn gare rane, AY ner verro nt 7 a rirrtrverrio Tee SIZE Po cp Burnet — 398 — vivamente rimescolato in modo da rendere completa l'omogeneità della so- luzione, e facilitare l’ equilibrio di temperatura col vapore della stufa. Si legge quindi la posizione dei due livelli sulla scala millimetrica, e si ripete l'agitazione e la lettura a intervalli di uno o due minuti. Se la diffe- renza di livello rimane immutata, o decresce molto lentamente, per effetto del- l’aria che si va svolgendo, si esercita pel tubo « una leggera compressione in modo da liquefare la massima parte della bolla di vapore, e poscia sì sol- leva un poco il filo F in modo che la bolla residua venga spinta lentamente nella parte del tubo capillare che è fuori della stufa; ivi la temperatura è poco diversa da quella dell’ ambiente, ed il vapore si liquefà quasi totalmente. Si osserva la lunghezza della bolla d'aria, si legge la nuova posizione del livello nel tubo A, si scaccia in tutto o in parte la bolla d'aria, si pro- duce una nuova bolla di vapore aspirando in 4, e dopo due o tre minuti si può ripetere la misura della differenza di livello, quella del volume della bolla d'aria residua ecc. Si può così in breve tempo eseguire su bolle di vapore sempre nuove, parecchie misure della tensione, rendere così evidenti gli errori accidentali ed ottenere un valor medio che ha molta probabilità d’ esattezza. Questa potrà essere ancora aumentata con poca fatica sostituendo successiva- mente tubi con soluzioni di diversa concentrazione. 4. Siano: s ed S le sezioni interne del tubo capillare e del tubo A. H la pressione atmosferica in millimetri d’acqua. H+ hedH— le tensioni di vapore del solvente e della soluzione alla tem- peratura della stufa. h la differenza di livello nel manometro della stufa, o in una determinazione con solvente puro. NosoNg le posizioni dei livelli in A e B sulla scala, prima della lique- fazione del vapore. Ni la posizione del livello in A quando la bolla residua è nel tubo capillare. n la lunghezza di questa bolla. d la densità della soluzione alla temperatura dell’ esperienza. La tensione della bolla di vapore con aria è H — (N, — No); il volume della bolla di vapore e aria è: (N, — N") S; il volume finale della bolla d'aria residua è 25. Quindi la tensione di quest’ aria nella bolla iniziale per la legge di Boyle sarà s Sh — e LA (HT @) SN Ni) o approssimativamente 10.000 SIN quindi la tensione del vapore nella bolla, ossia quella della soluzione sarà VPEGDEO. SNaTN, HT—x=H—{(Nn—-N,))d — 10000 — 399 — e la differenza di tensione di vapore fra solvente e soluzione sarà x + hd ossia (Ny— Na) d — 10000-< Ts + hd. Calcolato una volta per sempre il valore di s:S e noti d ed A, il cal- colo di 2 + 44 si fa facilmente nell’ intervallo fra due determinazioni. La densità della soluzione dipende dalla concentrazione e dalla tempe- ratura; basterà però dedurre dalle tavole o determinare la densità alla tem- peratura ordinaria, e supporre che l'aumento di temperatura produca la stessa variazione numerica nella densità della soluzione e in quella del solvente e fare la relativa correzione. D'altronde, avendo pronta la stufa e la soluzione, si determina rapidamente la densità di questa alla tempera- tura delle stufa facendo uso della boccetta di cui proposi l'aggiunta alla bilancia di Mohr(!); questa boccetta è equilibrata da un apposito contrap- peso, ed il peso d’acqua che essa contiene a 15° è uguale ad 1 (l’unità di peso della bilancia, cioè di solito 5 gr.); quindi riempita la boccetta di solu- zione, e collocata nella stufa e dopo pochi minuti tolto l’ eccesso di liquido, e pesando, si può con una sola pesata leggere direttamente sulla bilancia la densità. La correzione per l’ aumento di capacità della boccetta sarebbe circa del 2,5 per 10000 per ogni 10°, quindi nel nostro caso affatto trascurabile. o. Nella pratica della suddetta determinazione è utile avere le seguenti avvertenze: Sebbene l'apparecchio permetta di correggere l’ errore dovuto alla presenza dell’aria, pure è utile che questa non sia in troppo grande quantità. Per ciò è bene far bollire per alcuni minuti la soluzione in un recipiente a parte, pesato prima dell’ ebullizione, ristabilire il peso iniziale aggiungendo solvente caldo, e introdurre la soluzione nel tubo caldo mediante una pipetta per diminuire l’ evaporazione. Se la quantità d’aria che si sviluppa nel tubo fosse ancora troppo grande, converrà produrre in questo una viva ebullizione, mediante una leggera aspirazione in 4. Però il modo seguente d' operare offre maggiori guarentigie d’ esattezza. Si pesa il tubo ad U asciutto, vi si versa un po’ di solvente per bagnare le pa- reti, e lo si colloca e riscalda nella stufa; inoltre si fa bollire a parte per alcuni minuti un po’ di solvente, lo si versa bollente nel tubo e si determina nel modo suddetto la differenza fra la sua tensione di vapore e la pressione atmosferica. Questa determinazione sarebbe specialmente utile qualora la stufa fosse priva di manometro, o qualora s’ avesse ragione di credere che il valore di % da essa fornito fosse diverso di quello dato dal manometro suddetto. Poscia essendo il ramo chiuso ripieno di liquido, si toglie con una pipetta quello che rimane nel tubo A, e si versa o getta in questo un peso noto e conveniente del corpo da sciogliere, ed aspirando e comprimendo per mezzo (1) Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, ser. 5%, vol. 89, 2° semestre 1894. GS AR OE nt == nomen DI anse SCETTE355 n A spge spera e AE spesa S BEZZZNTOI: ZI PE ="= agro > 00 del tubo @, si fa passare il liquido ripetutamente da un ramo nell’altro, in modo da sciogliere il corpo e rendere omogenea la soluzione. Dopo pochi minuti si potrà determinare ripetutamente la tensione di va- pore nel modo già indicato; quindi si toglie il tubo dalla stufa e lo si pesa; essendo noto il peso del tubo vuoto e quello del corpo disciolto si ha per differenza quello del solvente. Se però il livello nel tubo B fosse troppo basso, cioè al disotto della bolla C, bisognerà aggiungere una nuova quantità nota di corpo da sciogliere per aumentare il livello, oppure aggiungere una certa quantità, non pesata, di solvente per sollevare entrambi i livelli, ed in ogni caso mescolare bene il tutto. Se invece il livello nella bolla C è troppo alto, la soluzione è troppo concentrata e bisognerà togliere una certa quantità di soluzione, pesarla e so- stituirvi un peso noto di solvente; questo caso dovrà essere evitato coll’ in- trodurre nel tubo una quantità di corpo da sciogliere piuttosto piccola. Se la quantità d’aria disciolta è piccola, riesce molto difficile di produrre una nuova bolla, e quando questa si produce, la soluzione viene spesso pro- iettata fuori del ramo aperto e con essa si perde un peso ignoto di corpo di- sciolto. Per evitar ciò, quando incomincia a prodursi questo inconveniente, è utile non scacciare la bolla d’aria residua, o scacciarla solo in parte; se tutta- via essa sfuggisse interamente, si potrà produrre facilmente una nuova bolla sia lasciando scendere dall’ imbuto un po’ di soluzione che facilmente contiene aria disciolta, sia lasciando rientrare una bolla d’aria, scuotendo il tubo per far andare il liquido nel tubo capillare, e scacciando nel modo solito la bolla d'aria, ad eccezione di una bollicina. Se la scala è esterna, ciò che è meno esatto ma più comodo per le letture, bisogna aver cura di evitare o correggere l’ errore di parallasse che potrebbe esser notevole. Questo si evita certamente se si fanno le letture della posi- zione dei due livelli con un cannocchiale scorrevole su asta verticale; esso è molto piccolo e facilmente corretto se si fanno entrambe le letture tenendo l'occhio fermo a due o tre metri dalla scala ed aiutandosi con un piccolo cannocchiale, p. es., da teatro; se la distanza della scala dall'asse dei tubi è di 5 cm., e la sua distanza dall’ occhio è di 2,50 m., le differenze di livello osservate andranno aumentate del 2 per 100 per correggere l'errore suddetto; se invece l'occhio fosse a 50 cm. della scala, l'aumento dovrebbe essere di un decimo del valore osservato, ma in questo caso l’obliquità delle visuali può esser causa di errori non trascurabili. Si può anche evitare l'errore di parallasse collocando l'occhio in modo che il livello che si osserva si proietti su un punto lontano, lo stesso per entrambi i livelli, e collocato presso a poco sulla stessa orizzontale, coi medesimi. Allorchè si produce la bolla di vapore, regolando la durata e l’ inten- sità dell’aspirazione, si può ottenere che la bolla abbia inizialmente un vo- lume molto maggiore o minore di quello finale che corrisponde alla con- — 401 — dizione d'equilibrio, e che quindi essa s' avvicini a tale condizione mediante condensazione dell’eccesso di vapore formatosi, o evaporazione del liquido; in entrambi i casi s'ottiene lo stesso valore del dislivello finale, che si raggiunge molto prontamente mediante l’ agitazione, tuttavia si risparmia un po’ di tempo se il dislivello iniziale è un solo di poco minore di quello presunto finale. La correzione per l’aria mescolata al vapore si può eseguire in due altri modi (che però non presentano grande vantaggio), per l’uso dei quali il tubo capillare può essere più corto e totalmente immerso nella stufa. Si può, cioè, liquefare la bolla di vapore mediante una pressione misurata da un mano- metro; nota questa ed osservato il volume della bolla residua, si deduce fa- cilmente la pressione iniziale dell’aria; nel caso di soluzioni acquose talvolta ho fatto liquefare il vapore togliendo il tubo dalla stufa. Un modo di operare che offre il vantaggio di eliminare l'influenza della densità della soluzione nelle misure, e quello di poter sperimentare sopra solu- zioni di qualsiasi concentrazione è il seguente: Si faccia comunicare il tubo A con un manometro ed acqua di cui la parte curva sia, per un lungo tratto, di gomma. Sollevando o abbassando il ramo libero si potrà ottenere che i due livelli nel tubo dell’ esperienze siano alla stessa altezza; la differenza di ten- sione cercata si leggerà allora nel manometro. In questo si potrà mettere acqua o anche un liquido meno denso per aumentare la sensibilità, oppure mercurio se la differenza di tensione fosse molto grande. Si potrà altresì usare un ma- nometro a braccia fisse e produrre l'uguaglianza di livello nel tubo dell’ espe- rienze, aspirando con una piccola pompa (o colla bocca) mediante un tubo late- rale inserito fra il manometro ed il tubo delle esperienze. Qualora la soluzione fosse molto concentrata e non si volesse ricorrere al manometro esterno ora descritto, si potrà usare nel tubo delle esperienze come liquido manometrico il mercurio, al disopra del quale nel ramo chiuso s introdurrà la soluzione; il volume di questa dovrà essere un po’ maggiore della semicapacità della bolla C, e la quantità di mercurio dovrà essere rego- lata in modo che allorquando si effettuano le misure il livello di questo, si trovi nella parte cilindrica del tubo B (dove la sua posizione può essere de- terminata più esattamente), ed il livello della soluzione si trovi verso la metà della bolla C, dove l'agitazione si effettua più facilmente e comple- tamente. Qualora però si volesse usare il mercurio (o un altro liquido diverso dalla soluzione) come liquido manometrico, sarebbe preferibile un apparecchio differenziale, cioè un tubo a tre rami, di cui uno A aperto, comunicante col- l'esterno e due B, B' muniti di tubo capillare e tappo filiforme, e contenenti al disopra del mercurio l'uno la soluzione, l'altro il solvente puro. È da no- tare che il tubo B' che contiene il solvente puro può essere cilindrico, senza la bolla C, poichè non è necessaria un’ agitazione violenta del liquido che non può presentare differenze sensibili di concentrazione. Pe + — NO? 7a È rerse rta = -DI RETE enne E Er di, i dI VI III DE Pala — 402 — Finalmente rammenterò che nella misura delle tensioni di vapore e pres- sioni osmotiche delle miscele di liquidi volatili e delle soluzioni di solfo e fosforo (!), per agitare il liquido ho fatto uso di un tubo di vetro galleggiante coll’asse orizzontale e contenente delle sbarrette magnetizzate; mediante una calamita esterna questo galleggiante veniva mosso vivamente alla superficie del liquido e vi produceva una viva agitazione. La stessa dispo- sizione può adattarsi facilmente nel tubo dell'esperienZe sopra descritte e rappresentato nella figura; basterà che la bolla © sia cilindrica, coll’asse orizzontale e che contenga il galleggiante suddetto, che potrà essere spinto da un estremo al)’ altro della bolla C mediante una piccola elettro-calamita in cui s'inverta la corrente. Il campo magnetico di questa elettro-calamita potrebbe essere aumentato collocando dei pezzi di ferro dolce dentro la stufa fra i due tubi di vetro, fra i poli e le estremità della bolla C. Ho costruito senza difficoltà un simile tubo, ma non ho ancora avuto occasione di adope- rarlo, perchè l'agitazione del liquido mediante i piccoli urti fu sempre sufficiente. Nelle seguenti tabelle sono riferiti i risultati di alcune esperienze sopra soluzioni acquose di zucchero, mannite, glicerina, eseguite sopra sostanze non pure, con un apparecchio provvisorio, e senza molta cura della precisione col solo scopo di vedere in generale il modo di comportarsi dell’ apparecchio. Le prime esperienze riuscirono meno precise delle ultime. Nella prima linea oriz- zontale si trova indicato il dislivello osservato (N, — N,= x) in millimetri; nella seconda (v) il volume in mm? della bolla d’aria residua alla pressione e temperatura esterna; nella 3% (V) il volume del vapore in cm?; nella 4% (2) il valore corretto del dislivello. Il peso molecolare fu dedotto colla nota formola di Raoult: essendo 77 e ZZ i pesi molecolari del corpo sciolto e del solvente, p e P i pesi che si trovano sulla soluzione. 1. Soluzione di 5 gr. di zucchero 8. Soluzione di 6 gr. di zucchero in 50 d’acqua. in 50 d'acqua. n | 38,5) 40,5] 48 | 45 |49,5 | 40,5 n |478|56 | 57 v 8 8 6 4,5) 2,20] 8 v 6 3 4,5 V (307 6,5) 6,5) 6 7,9 VI 4,0) 4 7 n | 49,5) 51,5) 52 | 53,5|53, | 50 n' 62,38] 63,5! 63,7 Media 51,4. Valore corrispondente di 7, 350. Valor medio di x’ 63,7; 7 = 346. 2. Soluzione di 2,5 gr. di zucchero 4. Soluzione di 0,59 di glicerina in 50 d’ acqua in 33,2 d'acqua. n 18 | 20 | 13 | 23,5| 22 | 23 2703151290290 1932 v 18 DEL 3 2,8] 2,9 5,7) 3 4,5| 3,2| 1,5 V 9,381 8 910 | 76 e e7Z6 7,6 7 7 7 7 7 n 27,0] 26 | 25 | 27,5) 25,6] 26,5 35 | 85,5] 34,5] 33,5] 84 Valor medio di n/ 26,2, corretto per la densità Valor medio di 2’ 34,5; 7 = 96,4. della soluzione, 25,7; 7 = 350. ce qe 8 (1) Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, ser. 5°, vol. I, 1° sem. 1892. — 403 — 5. Soluzione di 1,04 di glicerina 7. Soluzione di 2 gr. di mannite in 31,46 d’acqua. in 25,8 di acqua. n |55 | 575| 59 | 54 n | 70 |78 |67 |69 |715|735|76 v Oxa AMO MZ UT;S v SITI Z 60,5: 9581 2,5) 152 V TIT A VAT) V 41 MESSA NS 8 8 8 3 n' 64 | 66,5] 66 | 64 n' | 76,6] 76,2] 75,41 76. | 75,5] 76,5] 77 Valor medio di 2’ 65,1; 7 = 94,4. Valor medio di 2’ 76,2; = 189,6. 6. Soluzione di 1 gr. di mannite 8. Soluzione di 2 gr. di zucchero in 28,92 d’acqua. mn 29,3 di acqua. n |29,5 | 33 | 30,5] 32,5 n 203018290290 1291 129 v 8,15] 1,2) 2,4| 1,2 v 2,4| 20 155) E 2322) MIT?) V 6,4 6 6,3] 6 V 6 6 6 6 6 6 n (34,5 | 35 | 84 | 34,5 n 383 | 32,8] 32,5] 32,5] 82,8] 32,8 Valor medio di n’ 34,5; 7 = 187,6. Valor medio di n’ 32,65; 7 = 851. Tenuto conto delle condizioni in cui furono eseguite le esperienze sud- dette, credo che la precisione fornita dall’ apparecchio non sia inferiore a quella che si ottiene colla misura pelle temperature d'ebullizione, o di solidificazione. Fisica. — Sul potere penetrante dei raggi X nei metalli alcalini. Nota del prof. ©. MARANGONI, presentata dal Socio BLASERNA. Avendo esposto ai raggi di Roentgen due strati di uguale grossezza, di 4 mm., per es.: di potassio e di sodio, osservai che l’ ombra prodotta sulla lastra fotografica (!), era molto più intensa pel potassio, benchè questo sia meno denso del sodio, nel rapporto di 0,86 : 0,97. Siccome il potassio ha un peso atomico molto maggiore del sodio, nel rapporto di 39:23, pensai che la trasparenza pei saggi X potesse essere in ragione inversa dei pesi atomici, piuttosto che delle densità. Allora provai il litio, che è l’ elemento solido dotato del più piccolo peso atomico, cioè 7, e che perciò doveva essere il corpo più trasparente ai raggi X. Infatti, a parità di grossezza, mostrò una trasparenza quasi perfetta. Non avendo un attinometro pei raggi X, ho cercato di ridurre questi corpi a delle grossezze che dessero contemporaneamente sulla stessa lastra ombre uguali. I metalli alcalini venivano tagliati a lastre con un discotomo che dava i centesimi di millimetro, e queste venivano protette da foglie di mica sottilissime bagnate di petrolio, il cui effetto era insensibile. Provai a tagliare grossezze in ragione inversa dei pesi atomici; e, pren- dendo per unità una lastra di alluminio grossa un millimetro, le grossezze dei metalli alcalini erano: K'0X050Na 119; Dil3:93. Ma anche con queste dimensioni il sodio era sempre più trasparente del potassio, e per rendere la ombre sensibilmente uguali bisognava raddoppiare la grossezza del sodio. Del litio poi, anche quadruplicando la grossezza, cioè (') Per le ombre mi riferisco sempre alle prove positive stampate poi sulla carta Lumière; perchè così il tono delle ombre va d’accordo col potere penetrante. È roc) — smo ad ZERO MIO SIZE — 404 — adoprandone uno strato di 15 millimetri, non si osservava aumento sensibile nell'ombra, ma era sempre trasparentissimo ; e non ho potuto andare più oltre per mancanza di quel raro metallo. Queste anomalie, che avevo più volte confermate nel giugno passato, non sapevo come spiegarle. Quando il prof. Roiti, scoprendo la crittocrosi (!), veniva a portare la luce sui fatti riferiti. Il potere penetrante dei raggi X nel litio è paragonabile al potere dia- termano del salgemma, che è indipendente dalla grossezza, e dalla sorgente. Si capisce anche che i poteri penetranti non sono assoluti, ma devono variare colla grossezza delle lastre. Forse riducendo i metalli a strati infinitesimi, i poteri penetranti potrebbero avere una relazione netta coi pesi atomici. Provai anche delle foglie sottilissime di metalli pesanti (Fe, Cu, Zn, Cd, Sn, Pt, Pb), le cui grossezze erano in ragione inversa dei pesi atomici; e le loro ombre sembravano tutte uguali, però sempre più scure di quelle dei metalli leggieri. Ma pensando che i metalli pesanti hanno trasparenze piccolissime, questo risultato favorevole potrebbe essere illusorio. Conclusioni: 1°.Il metallo più trasparente ai raggi X è il litio, e la sua trasparenza non cresce colla grossezza dello strato, come si verifica pel potere diatermano del salgemma. 2°. L’anomalìa della maggior trasparenza del sodio rispetto al potassio farebbe credere che la trasparenza pei raggi X sia una funzione del peso atomico, anzichè della densità. Chimica. — L’ossalato di metile in crioscopia. Nota di G. AmpoLa e C. RIMATORI, presentata dal Socio E. PATERNÒ. Fra i numerosi solventi esaminati dal punto di vista crioscopico e che mostrano un comportamento diverso secondo la differente funzione chimica, non è stato finora preso in considerazione alcun etere della serie alifatica; per questo motivo abbiamo creduto non esser privo di interesse lo studio dell’ossalato di metile, tanto più che dall'esame fatto da Paternò sul veratrol (Rend. Acc. Line. 1895, vol. IV, 2° sem.), risulta il fatto che questa so- stanza quantunque neutra, dimostra nondimeno un comportamento eguale per le diverse sostanze. In altri termini sembra che la sostituzione dei metili ai due idrogeni degli ossidrili fenici, non tolga al composto la facoltà di pre- sentarsi in crioscopia come una sostanza di natura fenolica. L'ossalato di metile si presta assai bene ad esser studiato come solvente, non solo per la costanza del punto di fusione (40 e 80), ma anche perchè presenta così poco marcato il fenomeno della surfusione da permettere di la- vorare con più celerità e sicurezza. I risultati ottenuti con diverse sostanze sono i seguenti : (1) A Roiti, Criptocrosi ecc. R. Lincei, Mem. luglio, 1896, e: Un’ altra esperienza di criptocrosi, Rendiconti, 6 sett. 1896. — 405 — I. Sostanze varie. Nitrobenzina C6H° NO,. PM. =: 123 G n I Toluene C'H*. PM. = 92 he CA ! 48.0.4485. 0.22 0.490 60.270 107.8 4 N. Concen- Abbass. Coeffic. Abbass. Peso 49.0.9252 0.44 0.475. 58.425 il d’ord. trazione termom. d’abbass. molecolare molecol. 50 141388 0.64 0.452 55.596 1 04302 026 0604 55.568 875 51 2.4115 108 0.447 54.981 i 9 12314 079 0.643 59.156 591 3:2805IMS 14:00 (0142611 1521598 i 3 924104 1.38 0572 52.624 53. 4.25088080184 0432 53.196 îi 4 3.9050 2.06. 0.527 48.484 54 5.2716 2.25 0.426 52.398 { 5 57677 278 0481 44.252 55 6458488002730 10.422: 51:906 i 6 74244 334. 0449 41.308 B6r 8490991108884 471292 Ù 7 110409 457 0413 37.996 57 10.8879 4.14 0.881 46.863 H 8 175794. 634. 0.360 388.120 58 13.8148. 5.01 0.376 46.248 9 29.8805 9.04 0.302 27.784 175.0 59 15.8487 5.84 0.368 45.264 60 19.1672 6.90 0.859 44.157 20: 61 24.2659 8.10 0.383 40.959 158.7 Ossalato d’ etile C*H'°0*, PM. = 146 10 02730 0.18 0.659 96214 802 Veratrol C°H*(0CH3)?. PM. = 138 raso masso Me E DR Sar 0:26 10.407 591422 62 04964 0.22 0.443 61.134 119.3 Î 12 10055 0.38 0.377 55.042 FERME L 638 0.9918 0.386 0.363 50.094 13 17529 0.68 0.887 56.502 3 - DE 64 16802 0.60 0357 49.266 14 22110 079 0357 52.122 1480 ka: A È 65 24982 0.87 0.348 48.024 15.3.0665 092 0300 43.800 o ; 13 66 3,8201130 0340 46920 16 49857 156 0.812 45552 3 i TRA ol 7 67 5.6927 194 0.340 46,920 17 74481 234 0314 45844 ! 68 86771 284 0,327 45.126 18 98268 3.06 0.311 45.406 oc 5 i 69 138572 424 0.805 42,090 100.305 44530 70 247927. 6.78 0.274 37.812 1929 20 33.5254 7.60 0.226 32.996 2339 : i SE Bromoformio CHBr3. PM. = 253 Il. Fenoli. 21 0.2522 0.14 0.555 140415 952 Fenol C°H° OH. PM. = 94 È DI [= po (o) di SZ O ANO 53 10:386 197.658 71 0.797 0.17 0447 42.018 1182 23.1.6063 0.46 0.286 72.358 94 23045 058 0251 68503 72 0.7557 0.34 0.449 42.206 78 1.5055 0.71 0.548 51.042 973 SIE VELE i A I = È GY Ù A 0 OLIO 74 2.1058 109 0.517 48.598 L sr oo 75 29758 158 0,530 49.820 | 3 C%E 5 ISS ONT 76 46728 235 0.502 47.188 . EZIO DIM 6 2001222) 15.6:1/66 77 60558 301 0497 46.718 È 29 10.7801 2.34 0.217 54.901 78 76881 381 0495 46530 ci A 0 a zo uso de666 î 0 00.200, 51.106 8011.6972 5.63 0.481 45.214 di 33 36.7482 6.67 0.181 45.793 292.1 82 17.6066 829 0470 44180 1123 | ui ParaxileneC5H* (C H3)®. PM. = 106 Timol C‘H40. PM. = 150 | O . il 34 0.3117 0.20 0.641 67.946 824 83 0.3992 0.11 0.275 41250 1922 ù 35 0.7185 0.42 0.583 61.798 84 0.8565 0.30 0.350 52.500 i 36 1.0341 0.62 0.599 63.494 85 1.3481 0.50 0.372 55.800 il 37 14104 077 0.545 57.770 86 2.5295 0.88 0.347 52.050 152.3 i 38 2.0289 1.08 0.532 56.392 87 4.0008 1.88 0.344 51.600 | 39 2.7538 139 0.504 53.424 88 5.5342 1.80 0.327 49.050 i 40 3.3608 1.68 0.499 52.894 89 8.191 2.59 0.318 47.700 DI 41 4.1605 2.08 0.499 52.894 90 9.3075 294 0.815 47.250 Î 42 49424 246 0.497 52.682 106.3 9111.5922 8.64 0.314 47.100 dl 43 6.1781 2.98 0.473 50.138 92 134566 4.13 0.306 45.900 ì 44 7.8325 3.50 0.446 47.276 93 16.0507 488 0.308 45.450 Ì 45 9.7384 4.00 0.410 43.460 94 18.5149 5.52 0.298 44.700 i 46 121077 452 0.873 39.538 95 22.5904 6.51 0.288 44.200 È 47 13.7818 6.13 0.444 47.064 119.0 96 28.7187 7.92 0.275 41.250 1922 X RenpICONTI. 1896, Vol. V, 2° Sem. 52 I cera Ax III. Alcooli. C‘H:°0. PM = 74 Irimetilearbinol N. Concen- Abbass. d'ord. trazione termom. 97 04215 0.14 9800.7925 0.28 05 CONO 100 1.8211 0.60 101 2.5479 0.85 102 3.6356 1.24 1034.9846 1.68 1046.3067 2.06 1057.8800 2.47 106 9.7180 2.96 107 11.6859 3.48 108 17.1950 4.70 109 27.0547 6.42 110 46.6965 7.86 Alcool caprilico IT RR0333 0012 102 T0:6755 020. 113 1.2689 0.40 114 1.8655 0.56 15252900 ion 590 117 4.9672. 1.32 1186.1572. 1.60 119 7.5740 1.89 TR 0901552122, 121 10.6280 2.54 122 13.0360 2.91 123 17.9490 3.60 124 24.7834 4.34 Coeffic. d’abbass. molecolare molecol. 0.332 0.353 0.372 0.329 0.333 0.341 0.337 0.326 0.313 0.304 0.297 0.273 0.237 0.168 Abbass. — 406 — Etere dietilico della glicerina C“H!°03*PM9_9l48 Peso 24.568 159.2 26.022 27.528 24.546 24.642 25.234 24.938 24.124 23.162 22.496 21.978 20.202 17.598 12.432 314.7 C.H150#PM==280 0.359 0.296 0.315 0.501 0.291 0.276 0.265 0259 0.249 0.246 0.238 0.223 0.200 0.175 Acido valerianico C°H'°0*.PM.= 102 N. d'ord 147 148 149 150 151 152 158 154 155 156 157 158 159 160 Nel considerare i di metile dimostra un 47.670 38.480 40.950 39.130 37.830 35.880 34 450 33.670 32.370 31.980 30.940 28.990 26.000 147.2 22.750 302.1 Concen- Abbass. trazione termom. 0.2354 008 0.5624 0.20 1.0366 0.36 1.7248. 0.63 24079 0.84 3.2246. - 1.15 44418 1.48 5.7250 1.83 6.9363 2.16 8.7305 . 2.72 11.0143 3.33 139299 3.98 19.9186 5.16 32:2230MM6:011 N. d’ord. 125 . 126 127 128 129 130 131 132 133 134 Acido isobutirrico C4H80*. PM. 135 156 137 38 139 140 141 1492 143 144 145 146 Coeffie. 0.339 0.336 0.347 0.365 0.348 0.356 0.333 0.319 0.311 0311 0.302 0.285 0.259 0.186 Concen- trazione 0.2489 0.7197 Jesi: 2.0073 2.7218 4.1755 6.4126 9.2355 15.8583 24.8006 14.8365 20.1022 34.2881 Abbass. 34.272 35.394 37 230 35.496 36.312 33.966 32 538 31.722 31.722 30.804 29.070 26.418 18.972 Abbass. termom. 0.07 0.20 0.30 0.46 0.60 0.86 1.27 1.77 2.86 4.20 TIVE COUS ND al mowouiuniiottiaibnioatwi CÒ DI I dI DI CO JI MU Peso d'abbass. molecolare molecol 94.578 15590 284.2 Coeffic. Abbass. Peso d’abbass. molecolare molecol. 0.287 0.277 0.227 0.229 0.220 0.205 0.198 0.191 0.180 0.169 Acidi. 0.419 0.429 0.381 0.395 0.373 0.376 0.350 0.342 0.384 0.308 0.290 0.244 42.476 40.996 33.596 33.892 32.560 30.340 29.304 28.264 26.640 25.012? 36.872 37.752 33.528 34.760 32.824 33.088 30.800 30.096 29.392 27.104 25.520 21.472 184.2 216.6 risultati esposti, colpisce subito il fatto che l' ossalato andamento diverso da quello presentato dal veratrol, e che si può dire in gran parte identico a quello che dimostrano gli idro- carburi ed i loro prodotti di sostituzione alogenati e nitrati. Difatti, mentre nel veratrol tutte le sostanze di varia funzione chimica conducono allo stesso valore per la depressione molecolare, nell’ ossalato di metile invece vediamo — 407 — che gli alcool e gli acidi danno un valore inferiore al normale e che diventa metà quasi alla stessa concentrazione in cui le stesse sostanze da noi esa- minate dimostrano, sciolte in idrocarburi, un peso molecolare doppio di quello teorico. Riguardo però alle sostanze di natura fenolica, si nota che ii solvente ora considerato si allontana dagli altri solventi neutri, poichè tanto il fenol quanto il timol non si discostano dal valore normale. Mentre adunque gli acidi esplicano per le diverse sostanze un’ egual forza di dissociazione, sembra che l'eterificazione, almeno per il caso consi- derato, tolga ad essi questa proprietà (a differenza dei fenoli) rendendoli so- stanze neutre anche nel modo di comportarsi in crioscopia. Riguardo poi alla costante che si deve adottare, noi l'abbiamo ricavata dalle seguenti medie: Ù Bromoformio Roi MOMBI SO9 58.88 Paraxilene EA N ORTA 9 ET ON Nitrobenzina . . IR 3 CAI OT 53.70 Nalnene: 3 Rei SS a 53.95 Veratrol . Di zi 49.12 Fenol. 3 e 49.16 Timol. Di 6) ebbe © 52.40 Media generale . . . 52.87 Si può provvisoriamente considerare questa cifra come abbassamento molecolare normale, non essendo conosciuto il calore latente di fusione del- l'ossalato di metile. Ghimica. — Su! metalluminato di trietilsolfina (*). Nota di Ugo ALvISI, presentata dal Socio E. PATERNO. Nelle soluzioni acquose anche diluite e fredde d’idrato di trietilsolfina l' Alluminio metallico si discioglie con formazione d'alluminato e sviluppo d' idrogeno, che determina contemporaneamente una reazione secondaria sul legame solfinico. Mi è sembrato di qualche interesse descrivere questa reazione, che pone maggiormente in evidenza le analogie di comportamento tra gl' idrati solfinici e quello di potassio, principalmente per stabilire quale alluminato sì venisse a formare. Ottenni l'idrato di trietilsofina in soluzione acquosa trattando con ossido di argento umido lo ioduro di trietilsolfina, preparato col metodo di Oefele (*) e purificato con ripetute cristallizzazioni dall’alcole assoluto, come consi- gliano il Nasini ed il Costa (3). Per stabilire il titolo delle soluzioni acquose (!) Lavoro eseguito nell’ Istituto chimico della R. Scuola d’ Applicazione degli Inge- gneri di Roma. (®) Liebig*s Ann. vol. 132, pag. 82. (3) Ricerche Istituto Chimico della R. Università di Roma, 1890-91, pag. 308. x RATIO” eee Tea Er ERGE” TR: GS: VARIE STILE ESRI MG ESE RA .. _—VORZISZIEO 0? EZZISIT L- — 408 — della base adoperai sempre l'acido N o N/,0, secondo che erano più o meno concentrate, usando come indicatore il metilorange. L’ Alluminio, adoperato in tornitura, che mi servì nelle prime esperienze era, in confronto a’ campioni che comunemente si trovano in commercio, ab- bastanza puro. Conteneva principalmente piccole quantità di ferro e di silicio e traccie di sodio, della cui ricerca mi occupai particolarmente. Eseguendo l’analisi su circa 8 gr. di Alluminio, ottenni dopo 24 ore pochi cristallini iso- lati di piroantimoniato sodico, di cui due grandi come una capocchia di spillo, gli altri minutissimi; operando poi sulla sulla stessa quantità di metallo per la ricerca del sodio, ma con la reazione di Streng, notai dopo qualche ora la formazione di pochi tetraedri di acetato doppio di uranio e sodio. Non ho potuto decidere se queste piccole quantità di sodio fossero in lega con l’ Al- luminio o non appartenessero più tosto ad un po’ di scoria finamente com- mista: in ogni modo non credo che le impurezze su descritte potessero mo- dificare l'andamento generale della reazione, se non forse rendendo il me- tallo più facilmente attaccabile dalla soluzione alcalina; tuttavia per ottenere migliori risultati nelle pesate dell’ allumina, separantesi nella reazione, dovetti poi servirmi di un campione di alluminio molto più puro. Riferisco ora i risultati delle diverse esperienze eseguite. In un matraccio a distillare, della capacità di un litro, connesso con un refrigerante, munito di collettore, di boccie di lavaggio e finalmente di un tubo a sviluppo, feci reagire a caldo con 836 gr. d'idrato di trietilsolfina, disciolti in 400 d'acqua, circa gr. 9 di Alluminio (cale. gr. 2,38 di alluminio per il tipo 07/0 « cioè un atomo di metallo per tre molecole di base, e gr. 7,14 di alluminio per il tipo meta » cioè un atomo di metallo per una molecola di base). La reazione incominciò subito con formazione di schiuma e sviluppo di gas, mentre col vapor d'acqua distillava un olio volatile dell’ odore del solfuro di etile. Per qualche tempo l'alluminio si disciolse, restando limpida la soluzione, ma protraendo il riscaldamento, essa cominciò ad intorbidare e si venne deponendo una sostanza bianca polverulenta. Arrestai la reazione quando il metallo in eccesso non era evidentemente più attaccato: in questo momento la soluzione acquosa era ancora di più di 300 c. c., cioè abbastanza diluita, poichè io non aveva spinto il riscaldamento se non quanto fosse ba- stato perchè l'attacco del metallo procedesse non tumultuoso e distillasse quasi tutto l'olio volatile. Il gas svoltosi era un miscuglio d' idrogeno (prevalentemente) e d'un idrocarburo saturo. Infatti non era assorbito dal bromo e dopo combustione nell’ eudiometro presentava una notevole contrazione di volume, benchè sì fosse formato dell’ acido carbonico. L'olio volatile, distillato col vapor d’acqua, era solfuro d' etile. Bolliva infatti a 92°,6-93°, il suo composto cristallino bianco col cloruro mercurico fondeva ad 81°,3-83° (non corretto), quello col cloruro platinico in aghi gialli, — 409 — ottenuto agitando la soluzione acquosa di acido cloroplatinico col solfuro di etile, fondeva in parte a 104°-109° e il resto a 170°; purificato per cristal lizzazione dall'alcole cominciava a restringersi c ad annerire a 175°-178° per fondere con decomposizione a 185° (non corretto). Ora quello preparato da Blomstrand (*) fonde a 175° con decomposizione e quello di Loir a 108° (?) gr. 0,2450 di questo composto diedero dopo calcinazione gr. 0,0924 di pla- tino, quindi in 100 p. trovato calcolato per [(C*H°)?S PPtC1]* Platino ‘37,71 37,59 Ciò che rimase nel matraccio a reazione finita risultava di un po’ di Alluminio inalterato, di un deposito di sostanza bianca e della soluzione acquosa a reazione sempre fortemente alcalina. Il deposito bianco era idrato d'allumirio; infatti da gr. 1,0077 di so- stanza sì ottennero dopo calcinazione gr. 0,6610 di Al°O?, quindi in 100 p. trovato calcolato per Al(0H)? Alluminio 34,72 34,61 La soluzione acquosa non conteneva altro che allumina e la base sol- finica: lasciata all'aria intorbidava per separazione di allumina per azione dell'acido carbonico. L'idrato di trietilsolfina, dopo separata l’' allumina con corrente di anidride carbonica, venne constatato trattando la soluzione con- centrata con acido cloroplatinico, con che si ottenne il cloro platinato in begli aghi aranci, che, purificati per cristallizzazione dall’ acqua, fondevano decom- ponendosi a 213°-214° (non corretto) e diedero all’ analisi i seguenti risultati. I. Da gr. 0,5529 di sostanza si ottennero dopo calcinazione gr. 0,1658 di platino e II. da gr. 0,6195 di sostanza = gr. 0,1857 di platino quindi in 100 p. trovato calcolato per [(C*H*)*S]®PtC1s Platino 29,98 29,98 29,97 — Tentai dalla soluzione, contenente la base solfinica e l’allumina, lasciata nel vuoto sul cloruro di calcio, di ottenere l’alluminato cristallizzato. In tutti i casi si ebbe in definitiva una sostanza siropposa, decomponentesi ben presto con crepitìo speciale, con separazione di allumina e sviluppo di gas e di solfuro d’etile. Nè ottenni migliori risultati tentando di separare l’' allu- minato con alcole. Non mi rimaneva quindi che determinare i rapporti in peso in cui si trovavano tra loro nella soluzione l'alluminio e la base solfi- nica. A tale scopo l’allumina fu dosata evaporando a secchezza, poi cal- cinando il residuo di una determinata quantità di soluzione; e la base solfinica, trattando pure una parte aliquota della stessa soluzione con corrente (2) I. pr. (2)-38-357. () A. ch. (3)-89-441. gear — 410 — di anidride carbonica, separando il precipitato formatosi e titolando il liquido filtrato con acido cloridrico N/,10. Questo metodo non è rigorosamente esatto, poichè un poco di allumina resta in soluzione, ma si tratta di quantità così piccole da non influire sull'apprezzamento del rapporto tra l'allumina e la base stessa, almeno in modo molto sensibile. Infatti in due esperienze di con- fronto appositamente eseguite, ebbi i seguenti risultati: 1.° Allumina ottenuta per calcinazione dopo evaporazione di un determinato volume di soluzione. . . . . . . . . gr. 0,1062 2.° Allumina ottenuta per calcinazione dopo evaporazione di un determinato volume di soluzione. i. 0 01059 3.° Allumina ottenuta per calcinazione del precipitato pro- dotto dal CO? sullo stesso volume di soluzione. . . . . . » 0,0980 4.° Allumina ottenuta per calcinazione del precipitato pro- dotto dal CO? sullo stesso volume di soluzione. . . . . . » 0,0982 Ora dal dosamento dell’ allumina e della base solfinica nella soluzione su detta rilevasi come l'alluminio fosse con la base stessa combinato nel rapporto meta. Infatti: 25 ce. e. di soluzione diedero dopo evaporazione e calcinazione gr. 0,1026 di A1°0*. 25 ce. c. di soluzione consumarono, tolta l' allumina, c.c. 21 di acido clori- drico N/,,, quindi 1 p. alluminio era combinata con 5,25 p. di hase (cale. per il rapporto meta: 1 p. di alluminio per 5,03 p. di base). Per completare le mie ricerche era ancora necessario dosare le rispettive quantità delle diverse sostanze formantisi nella reazione, confermare con ulteriori esperienze quantitative la formazione del metalluminato e precisare il termine della reazione che ha due fasi distinte 1 fino a che l'alluminio non sì discio- glie più; 2* quando, diventata la soluzione assai concentrata, l’ alluminato viene per azione del calore a decomporsi, Cominciai dal far reagire l'alluminio sulla base nel rapporto di un atomo di metallo per tre molecole d' idrato solfinico (rapporto = 070) cioè c. e. 200 di soluzione al 2,04 °/, di base si riscaldarono in un matraccio a distillare con gr. 0,296 di alluminio (cale. gr. 0,270). La necessità di adoperare so- luzioni diluite di base solfinica appare chiaramente anche da quanto dirò più innanzi. La soluzione avvenne senza intorbidamento: il gas ed il sol- furo d'etile svolgentisi si lavavano ripetutamente in una soluzione di clo- ruro mercurico, che riteneva il solfuro d'etile allo stato di (C°H?)? S. HgO1?, ciò che permetteva pure di pesarlo comodamente. A reazione finita sì ri- portò con acqua la soluzione al volume primitivo: su una parte aliquota si dosò l’allumina e su un'altra la base rimasta dopo la reazione. Da 25 c.c. si ebbero dopo evaporazione gr. 0,0703 di AI°O* e 25 c.c. consumarono, separata l’allumina, c.c. 32,3 di acido cloridrico N/10, quindi: trovati adoperati Alluminio gr. 0,2974 gr. 0,296 Base » 3,50 » 4.08. — 4ll — Si consumarono quindi durante la reazione gr. 0,58 d'idrato di trietil- solfina. Supponendo che la sua decomposizione per azione dell'idrogeno na- scente fosse accaduta secondo l'equazione: (C*H°)*S. OH+H*?=H?0-+C®H°+-(C°H5)?S, avremmo dovuto ottenere gr. 1,54 di (C*H°)°S. HgCl? e gr. 0,12 di etano per gr. 0,58 di base decomposta. Si ebbero infatti circa gr. 1,46 di sale mercurico e gr. 0,1350 di etano, poichè il gas svoltosi (circa 200 c.c. ri- dotti a 0° e 760") all'analisi endiometrica diede i seguenti risultati (corretti): Gas in esame CIC Ossigeno ’ 5,20 Gas totale ” 9,20 Dopo la combustione » 3,20 Dopo l’azione dell’idrato sodico " 2,84 Quindi dell'idrogeno totale svoltosi nella reazione circa !/3 avrebbe agito decomponendo l'idrato solfinico. Ai 150° c.c. della soluzione rimasta dalla reazione precedente, conte- nenti quindi complessivamente gr. 0,2230 di alluminio e gr. 2,625 di base, sì aggiunse un eccesso di alluminio e si operò come sopra riscaldando finchè l'alluminio non venisse più disciolto. Questo momento si apprezza bene, poichè, se la soluzione non è diventata troppo concentrata, non si vedono più svolgere bolle di gas. Noto come a questo punto si era formato nella soluzione del deposito bianco di allumina idrata. Il gas svoltosi durante questa reazione (circa 100 c.c.) diede all’ ana- lisi endiometrica il seguente risultato (corretto): Gas in esame CICoe2 Ossigeno ” TA Gas totale ” 12,6 Dopo la combustione ’ 4,80 Dopo l’azione dell’idrato sodico ” 3,96 Seguitai dopo ciò a concentrare la soluzione, la quale giunta ad un certo grado di concentrazione relativamente grande, incominciò a schiumeg- giare fortemente e a svolgere solfuro di etile ed un gas, che era esclusiva- mente formato di etilene. Infatti era assorbito dal bromo, dando il bromuro con tutti i caratteri del bromuro di etilene (come potei constatare in altra esperienza eseguita con maggiori quantità di prodotto), e, dopo combustione all’ endiometro, da un volume di gas se ne ottenevano due di acido carbonico. Finalmente mi sembrò necessario ripetere una serie di esperienze per confermare la formazione del metalluminato di trietilsolfina. A tale scopo in un matraccio, munito di tubo a sviluppo, mettevo a reagire la soluzione 4 Ires ao dia Aritreznro Ir GAS DI Pie pz DE IT SOTTRATTI >? MRS SIT RCS SEAT UTIITTO. SOLI AV > tota renna I —_E__î | peer — 412 — della base solfinica con una quantità di alluminio di poco maggiore a quella calcolata per il rapporto meta e riscaldavo fino a che non si aveva più (in soluzione non troppo concentrata) sviluppo di gas: dosavo quindi la base e l’allumina disciolte nel liquido, separato e dal deposito di allumina forma- tosi nella reazione e dall’alluminio rimasto inalterato, sia perchè messo in eccesso, sia perchè veniva ad esserlo ancor più, consumando l' idrogeno nascente parte della base solfinica. Riporto qui alcuni dati tra i migliori ottenuti: trovati calc. per il rapporto meta (1) Base gr. 4,50 gr. 4,527 Allumio » 0,90 » 0,90 Base pit OF] » 9,95 Alluminio a e) » 1,98 Base » 4,08 n CRAS Alluminio n Ge (0I91 at0i91 Base ai A97 » 1,20 Alluminio » 0,24 » 0,24 Base ni: 9493 » 3,62 Alluminio n 1072 > NS0I2 Base » 12,81 » 12,07 Alluminio » 24 ni 0234 Le ultime tre esperienze vennero eseguite col campione di alluminio più puro. Da quanto ho riferito riassumendo: L'azione della soluzione dell'idrato di trietilsolfina sull'alluminio cessa quando il metallo è disciolto nel rapporto di un atomo ad una molecola di base solfinica, quindi, almeno in definitiva, è il metalluminato di trietilsolfina che viene a formarsi. Nella reazione, come quando l'alluminio si discioglie nell'idrato potassico o sodico, si svolge dell'idrogeno, parte del quale agisce sul legame solfinico, sia della base libera, secondo l’ equazione: (C°H°)*S. OH+H?°=—(C*H*)?S4+C*°H5+-H°0, sia del metalluminato di trietilsolfina, probabilmente secondo l'equazione: (C°H°)8S. 0 0 AI+H°+H®0—(C°H®)*?S+C°H5+A1(0H)?; infatti, mentre ancora dura l’azione della base sul metallo, già si vien de- ponendo dell’allumina. Quando poi la soluzione del metalluminato sia molto concentrata e sottoposta all’azione del calore, può decomporsi anche total- mente e certamente secondo l’ equazione: i (C*H")"S. O 0 Al+-H*0=(C°H5)?S+C°H*+A1(0H)f, (1) Calcolato tenendo ferma la cifra dell'alluminio, come risultante da determina- zione più sicura. — 413 — infatti nel vuoto sul cloruro di calcio o sull'acido solforico non si riesce ad essiccare il prodotto senza che esso venga a mano a mano e profondamente e completamente ad alterarsi, svolgendo solfuro di etile, gas etilene (come io provai con esperienza diretta) e separando dell’allumina. Questo comportamento, sia della base solfinica di fronte all’ idrogeno nascente, sia del suo metalluminato di fronte all'idrogeno nascente o da solo, trova riscontro nel modo di decomposizione della base solfinica da sola per azione del calore. In un matraccio a distillare, mantenuto in un bagno di lega, e connesso con refrigerante mnnito di collettore, boccia a lavaggio e tubo a sviluppo, riscaldai su de’ pezzi di pomice una soluzione di gr. 9 d'idrato di trietil- solfina in 100 c.c. d'acqua. Appena tutta l’acqua fu distillata, cominciò la decomposizione della base. Si ottennero gr. 5,6 (cale. 5,9) di solfuro di etile, il cui sale mercurico fondeva ad 81°-82°,7 e un gas completamente assorbi- bile dal bromo e che all'analisi endiometrica da un volume, dopo combu- stione ne dava due di anidride carbonica. In una 2* esperienza, operando con la doppia quantità di base e facendo assorbire questo gas dal bromo, ottenni gr. 23,4 (calce. 24,8) di bromuro di etilene grezzo, che rettificato bolliva a 128°-130°,6 (131°,6 secondo Regnault e 130°,3 secondo R. Schiff). In altri termini la decomposizione dell’idrato di trietilsolfina per azione del calore era accaduta secondo l'equazione: (C°H5)*S. OH=(C*H*)°S4+C*H4--H°0. Questo modo di decomposizione spiega poi perchè non si riesca dall'al- cole etilico e solfuro d'etile ad ottenere per sintesi l'idrato di trietilsolfina, mentre si arriva ad ottenere il cloruro o il bromuro ecc., partendo dal sol- furo di etile e dal cloruro o bromuro d'etile o dal bromuro d' etilene: 3(0°H°)°S+-C°H* Br *=2(0°H5)°S Br +C°H*S (1) Mi sembra di qualche interesse ancora notare: Tuttevolte che la solu- zione di una base complessa possa attaccare dell’ alluminio metallico, questo metodo d' idrogenazione ha analiticamente un certo valore, poichè può for- nire dei dati per giudicare della costituzione della base istessa. PERSONALE ACCADEMICO Il Presidente BrioscHI dà il doloroso annuncio della morte del Socio straniero UGco GyLDÈEN, mancato ai vivi il 9 novembre 1896; era stato nomi- nato Socio nelle elezioni accademiche del corrente anno. (1) I. B. f., 1875-256. RenpIcontTI. 1896, Vor. V, 2° Sem. 53 — 4l4a — Il Socio CapELLINI legge il seguente cenno necrologico del Socio stra- niero Sir J. PRESTWICH. « Dolente di non aver potuto assistere alla prima adunanza della nostra Classe, mi sia permesso di dire oggi brevemente della grave perdita subita dalla geologia nel dì 23 dello scorso giugno per la morte di Sir JosePH PREST- wicH, che nell'agosto del 1894 l'Accademia si onorava di inscrivere tra i suoi Socî stranieri. « Giuseppe Prestwich nato a Pensbury, Clapham, il 12 marzo 1812, da un'antica famiglia del Lancashire, compito il corso degli studî elementari a Parigi e a Londra, entrò nell'University College ove Edoardo Turner e Dio- nisio Lardner professavano la chimica e le scienze naturali. « In un breve corso di quaranta lezioni per la chimica, il dott. Turner ne comprendeva appena tre per la geologia e la mineralogia, ed esse valsero ad innamorare di questi studî il giovane alunno che, fin da principio fu tra i più diligenti, e in seguito approfittò di ogni ritaglio di tempo per visitare il vicino museo britannico e studiare anche in quelle allora già ricche collezioni geologiche e mineralogiche. « In quel tempo, con alcuni condiscepoli di 18 a 20 anni, fondò una Società di chimici e naturalisti intitolata: Zetetical Society; la Società com- prendeva appena una quindicina di membri, i quali si esercitavano con confe- renze e con esperienze in un piccolo laboratorio di chimica. « Ma come spesso accade delle associazioni tra giovani studiosi, presto la Zetetical Society si sciolse, dovendo ciascuno dei soci curarsi seriamente della professione e degli affari. « Il padre di Prestwich era mercante di vino e il giovane naturalista, contro sua vocazione, fu costretto a darsi agli affari e per quasi quarant'anni, fino al 1872, restò impegnato nel commercio; ma appassionato com'era per le scienze e sovratutte per la geologia, a questa dedicò ogni ritaglio di tempo di cui potè disporre. Non ancora ventenne, approfittando delle vacanze concessegli dalla professione, raccolse fossili nel Carbonifero di Coalbrook-Dale e preparò il suo primo lavoro di paleontologia stratigrafica pubblicato quattro anni dopo nelle « Transazioni » della Società geologica di Londra, nella quale a soli 21 anno aveva meritato di essere inscritto come socio ordinario. « Dal 1836 al 1850, con frequenti viaggi in Francia e nel Belgio si mise in rapporto coi principali geologi e paleontologi; frattanto preparò notevoli Memorie sopra i bacini terziarî di Londra e dell’ Hampshire, e molta luce diffuse sulla vera posizione stratigrafica e sugli equivalenti cronologici delle sabbie di Thanet e dell'argilla di Londra. « Dopo essersi occupato a fondo del Terziario, mentre la sua attenzione era rivolta ai più recenti depositi quaternari, ebbe notizia delle scoperte di Boucher de Perthes relative alle selci paleolitiche. Ben note erano ai geologi — 415 — tali scoperte e facilmente ne riconoscevano i rapporti con tutto quanto già da tempo era stato scoperto in talune caverne; però, mostrandosi non del tutto persuasi, in Francia ed in Inghilterra regnava tuttavia la maggiore incredulità sulla remota antichità dell'uomo. « Dell'ardua quistione il Prestwich si interessò tra i primi personalmente, e volle vedere e rivedere coi propri occhi; però soltanto nel 1859, spronato dall'amico U. Falconer, intraprese ricerche dirette nella valle della Somma. « Per prevenire ogni possibile contestazione, intraprese le sue esplorazioni in compagnia di J. Evans, Godwin Austen ed altri, e riconobbe che, in realtà, Boucher de Perthes e il dott. Rigollot avevano ragione, perchè in quei depositi diluviali trovavansi associati, contemporaneamente, resti di mammiferi di specie estinte e i primi avanzi della industria umana; ne distinse diversi orizzonti, e la sua Memoria letta alla Società Reale di Londra fu subito accolta con favore dai geologi. « In quel tempo fui a Londra per la prima volta e dal grande maestro C. Lyell, col quale un anno prima avevo fatto escursioni nei dintorni del Golfo di Spezia e in diverse parti della Toscana, fui indirizzato e raccomandato anche al Prestwich per avere suggerimenti intorno a quanto avrei potuto studiare nel bacino di Londra. lo non saprei ridire quanto restai meravigliato trovando il già valentissimo geologo al suo banco in MarX lane nella Czty ove attendendo alacremente al commercio in vino, trovava altresì il tempo necessario per occuparsi seriamente di geologia e di paleontologia. Non potrò mai dimenticare quella mia prima intervista con chi aveva già un posto eminente tra i geologi della Gran Brettagna; la sua somma affabilità, la schietta compiacenza con la quale mi fornì le desiderate indicazioni, mi confermarono nel concetto che me ne era fatto per quanto ne aveva udito dall'ottimo Lyell. Fino agli ultimi giorni della sua vita, Prestwich si mantenne quale mi sì rivelò allora, buono, affettuoso, sempre lieto di poter mettere in evidenza quanto fosse affezionato all'Italia e imparziale estimatore delle cose nostre. « Per avere contribuito al progresso della Geologia, sopratutto con le ricerche e le considerazioni sui rapporti tra i depositi quaternari e i primi resti della industria umana, la Società Reale di Londra nel 1865 gli conferiva la medaglia Reale e se, nel settembre di quell'anno, il cholera in Europa non avesse molto disturbato la 2* riunione della Società italiana di scienze naturali, egli si sarebbe trovato in Spezia con Carlo Vogt, Gabriele De Mortillet, I. Delanone e Maria Somervitte, per prender parte alla fondazione del Congresso internazionale di Antropologia e di Archeologia preistoriche. « Dal 1866 al 1869 Prestwich si occupò di geologia applicata, trattando quistioni relative al carbon fossile e al modo di fornire acqua alla città di Londra; però non sì distolse mai dalle ricerche sue predilette intorno alla remota antichità dell’ uomo, in rapporto coi depositi quaternarî e con le caverne ossifere. aste a A x I — 416 — « Vice-presidente della Società reale nel 1870-71, un anno dopo fu eletto Presidente della Società geologica di Londra alla quale apparteneva fino dal 1833; nel 1874 fu scelto come successore di Phillips per la cattedra di geologia nella Università di Oxford. « Quando W. Buckland nel 1818 saliva la cattedra di mineralogia e geo- logia nella stessa Università e cercava, per quanto gli era possibile, di met- tere le nuove e curiose scienze di accordo con la teologia, Prestwich era fanciullo e si cominciava a sospettare appena appena la importanza dei resti organici fossili nelle caverne, nelle brecce ossifere, nei terreni diluviali, e non sarebbe stato facile di pronosticare che il figlio di un mercante di vino avrebbe un giorno messo in evidenza la associazione di resti di mammiferi fossili con avanzi della industria umana nella Valle della Somma e che in seguito avrebbe occupato la stessa cattedra, dopo che Phillips sarebbe suc- ceduto al canonico Buckland. « Qualcuno sì meravigliò che Prestwich, in età nella quale altri pensano a riposarsi, si sobbarcasse alla fatica non lieve delle lezioni, ma nessuno pensò che altri più degnamente di lui potesse occupare il posto rimasto vacante per la morte di Phillips; fino dalla sua prima lezione sì dichiarò antiuni- formista e raddoppiò le sue forze per combattere la vecchia scuola, dimo- strando che quantunque non si debbano inventare cause diverse dalle attuali per spiegare quanto è avvenuto in passato, però bisogna ammettere che la intensità delle stesse forze modificatrici che prepararono la attualità fu tal- volta grandemente diversa, e che non tutto quello che era stato sostenuto dai catastrofisti si doveva rigettare. « Informata a questi principî è l’ opera monumentale che ci ha lasciata il Prestwich col titolo: Geology Chemical, Physical, and Stratigraphical, frutto principalissimo del suo lavoro in Oxford e nel quale rivela tanta dot- trina e tanta erudizione da poterci agevolmente persuadere che quei due vo- lumi basterebbero per giustificare quanto egli fosse degno della stima acquisita per tutto il mondo e delle grandi onorificenze che gli furono tributate in questi ultimi anni. « Nel 1888 presiedette il IV Congresso geologico internazionale a Londra e lasciata la cattedra per ritirarsi nella sua deliziosa villa di Darent-Hulme, con la sua rinnovellata attività sorprese amici ed ammiratori. « Con numerose pubblicazioni, tra le quali notevolissima quella letta alla Società Reale di Londra il 9 marzo 1893, trattò una ardua ed importantis- sima questione intovno ai depositi costituitisi alla superficie alla fine del periodo glaciale o del così detto periodo post-glaciale, in rapporto con i resti dell'industria umana dell’ epoca paleolitica (On the evidences of a submergence of Western Europe and of the Mediterranean coasts at the close of the glacial or so-called post-glacial period, and immediately pre- ceding the neolithic or recent period. Phil. Trans. of the R. Society of London, vol. 184, 1893). — 417 — « Con queste importantissime ricerche il Prestwich segnalò un campo nuovo per interessanti investigazioni, dalle quali dobbiamo riprometterci nuova luce sulla più remota antichità dell’ uomo ; nel 1894 il suo scritto intorno alla causa possibile per la origine della tradizione del Diluvio, letta dal prof. T. Rupert Jones in una riunione al Victorie Institut attirò seriamente la attenzione dei geologi, i quali vieppiù si persuasero dei rapporti cronologici, dirò anzi della coincidenza, del così detto Rubble-drift con la catastrofe della quale ha trattato maestrevolmente anche il Suess con la indicazione di Di- luvio universale (« A possible cause for the origin of the tradition of the Flood ». London 1894). « Il 1° gennaio di questo anno, essendosi riconosciuti i grandi benefizi da esso recati alla scienza, gli fu conferito l’ ordine del Bagno col titolo di Sir: titolo del quale erano stati pure insigniti i suoi avi nel secolo passato. « Giuseppe Prestwich fu l’ ultimo della seconda generazione dei grandi geologi inglesi, egli fu uno dei più grandi del nostro secolo, come ebbe ad affermare anche il Gaudry; amato da tutti, da tutti rimpianto, perchè non meno che dottissimo egli fu infinitamente buono ». PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario BLASERNA presenta le pubblicazioni giunte in dono, segna- lando quelle inviate dai Socî CAPELLINI, NasIni, RIGHI e dal prof. Favaro. Presenta inoltre il vol. VI della edizione nazionale delle Opere di Galileo Galilei, pubblicata sotto gli auspici di S. M. il Re, e gli ultimi fascicoli del Trattato di ottica fisiologica del defunto prof. HELMHOLTZz. Il Socio BELTRAMI presenta una pubblicazione del prof. G. LoRIa, ed accompagna la presentazione colle seguenti parole: « Ho l'onore di offrire all’ Accademia, per incarico dell’ egregio Autore, un ragguardevole lavoro storico-critico del prof. G. Loria, dell’ Università di Genova, intitolato: Il passato ed il presente delle principali teorie geome- triche. Già fin dal 1887 l'Autore aveva inserito una Monografia collo stesso tltolo nelle Memorie dell’ Accademia di Torino; ma il presente volume, di quasi 400 pagine, che figura come seconda edizione di quella Monografia, ha un'estensione pressochè quadrupla e svolge l'argomento con ampiezza di gran lunga maggiore, tanto nell'esposizione dei concetti e dai metodi, quanto nella citazione e nell'analisi degli scritti relativi alle diverse dottrine geometriche cui sono dedicati i singoli capitoli. « Sotto quest'ultimo aspetto si può dire che il libro dà una quasi com- pleta bibliografia degli scritti pubblicati in ogni lingua nella seconda metà del nostro secolo, bibliografia che si estende anche ad alcuni rami di scienza (come la geometria differenziale e la enumerativa) che non erano stati distinta- — 418 — mente contemplati nella Monografia, e che è corredata, almeno per le più im- portanti pubblicazioni, da cenni illustrativi scritti con precisione e sobrietà. « Il prof. Loria ha reso con questo lavoro un vero servigio ai numerosi cultori della geometria ed ha dato un esempio che meriterebbe grandemente d'essere imitato rispetto a molte altre discipline della matematica pura ed applicata ». Il Socio StRiveR offre, a nome dell'autore prof. PortIS, la continua- zione degli Studi sulla storia fisica del bacino di Roma. Il Socio CANNIZZARO presenta alcune pubblicazioni del prof. Caruso. CORRISPONDENZA Il Segretario BLAsERNA dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: La R. Accademia delle scienze di Lisbona; la R. Accademia delle scienze di Amsterdam; la Società di scienze naturali di Emden; la Società Reale di Londra; la Società geologica di Manchester. Annunciano l’ invio delle proprie pubblicazioni: Il Ministero della Pubblica Istruzione; il Corpo Reale delle Miniere, di Roma; la R. Accademia delle scienze di Stockholm; l'Accademia delle scienze di Cracovia; il R. Istituto Geodetico di Potsdam; l’ Osservatorio di Greenwich. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 6 dicembre 1896. Bombicci L. — Il tirocinio sperimentale di compimento ai corsi universi- tarî di scienze fisiche e naturali. Bologna, 1896. 8°. Capellini G. — Caverne e brecce ossifere dei dintorni del Golfo di Spezia. Bologna, 1896. 4°. Dei A. — La vescica idrostatica dei pesci, e l'apparato areostatico e polmo- nare degli uccelli. Siena, 1895. 8°. Id. — Organi di locomozione degli uccelli e dei pesci ecc. Siena, 1896. 8°. Esperienze e ricerche fatte nel quinquennio 1888-1892 e nel triennio 1893- 1895, nell'Istituto agrario della R. Università di Pisa. Pisa, 1896. 8°. Favaro A. — Per la edizione nazionale delle opere di G. Galilei, Firenze, 1896. 4°. — 419 — Galilei G. — Le opere. Ediz. Nazionale. Vol. VI. Firenze, 1896. 4°. Gallardo A. — Semillas y frutos. Buenos Ayres, 1896. 8°. Hahn A.— Demeter und Baubo. Versuch einer Theorie der Entstehung un- seres Ackerbaus. Libeck, 1896. 8°. Eelmholtz H.v. — Handbuch der Physiologischen Optik. Lief. 13-17 (Schluss). Leipzig, 1896. 8°. List of the vertebrate animals now or lately living in the Gardens of the Zoological Society of London. 9** ed, 1896. London, 8°. Meli R. — Ancora due parole sull'età geologica delle sabbie classiche del Monte Mario. Roma, 1895. 8°. Id. — Ancora sugli esemplari di Neptunea sinistrorsa Desh. (Fusus) pescati sulla costa d' Algeri. Roma, 1895. 8°. Id. — Notizie sui resti di mammiferi fossili rinvenuti recentemente in loca- lità italiane. Roma, 1896. 8°. Nasini R. — Ricerche sperimentali eseguite nell’anno 1894-95 nell'Istituto di Chimica generale della R. Università di Padova. Padova, 1896. 8°. Portis A. — Contribuzioni alla storia fisica del Bacino di Roma e studî sopra l'estensione da darsi al pliocene superiore. Vol. II, p. 4* e 5°. Torino, 1896. 4°. Righi A. — Sulla propagazione della elettricità nei gas attraversati dai raggi di Rontgen. Bologna, 1896. 4°. Reina V. — Triangolazione della città di Roma. Roma, 1896. 8°. P.B. | RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI n_nnnn nn TT k«X«l«lX«K4x- “ Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 20 dicembre 1896. A. MEssEDAGLIA Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sulle equazioni a derivate parziali del 2° ordine. Nota del Socio U. DinI. Riprendendo le formole e i risultati della mia Nota su questo stesso sog- getto pubblicata nel fascicolo precedente, e le numerazioni tutte relative, ag- giungo ora alcune considerazioni a complemento di quelli studî, e altre ap- plicazioni delle formole (2) e (3) del $ 1. 8. Osserviamo che data una equazione della forma (10) o (16), si può mol- tiplicarla tutta per un fattore G che, quando si voglia che non avvengano cambiamenti nei segni dei suoi termini, potremo supporre sempre positivo, e prenderlo ad es. sotto la forma e* con wu funzione regolare entro C; e al- lora nei valori (18) 0 (21) di H alcuni termini subiscono cambiamenti che non corrispondono alla semplice moltiplicazione di essi per G; e si può quindi profittare della indeterminazione di questa funzione G, e sceglierla in modo da fare acquistare certe particolarità alle quantità stesse H, o ad alcune parti di esse. Così ad esempio per ciò che si riferisce al coefficiente di U? in H del quale ci occupammo già in modo speciale al $ 5, si può osservare che, senza fare uso del processo che già seguimmo, basato sulla indeterminazione delle quantità 7 ed 7, e pel quale fu necessario supporre che il determinante delle forme (22) o (27) fosse positivo o nullo e non fossero A=u=+v=0, profit- tando della indeterminazione di G potremo scegliere le quantità 72 ed 2 come RenpICONTI. 1896, Vol. V 2° Sem. 54 SUO meglio ci tornerà comodo, e prenderle ad esempio uguali a zero o ad altre quantità date, e poi determinare G colla integrazione di una equazione a de- rivate parziali in modo che il detto coefficiente di U? risulti diverso da zero e positivo in tutto C; e ciò evidentemente anche nel caso in cui i coefficienti della forma (22) o (27) fissero tutti nulli, o fossero nulli a, d, c e #; dal che apparisce anche che i risultati precedenti si estendono, sotto certe con- dizioni, anche alle equazioni a derivate parziali del primo ordine. E di questa possibilità di determinare il fattore G in modo da rendere soddisfatte certe condizioni speciali, ci si può anche valere per sostituire alla forma (27), quando ad es. i suoi coefficienti siano tutti zero, o il loro deter- minante prenda anche valori negativi, un'altra forma i cui coefficienti o il cui determinante presentino date particolarità ; però non bisognerà trascurare di osservare che le nuove condizioni da soddisfare potranno far sì che il va- lore di G venga a presentare qualche singolarità entro C, al che però potrà talvolta rimediarsi sostituendo al campo C una porzione determinata di esso. Supponendo ad es. di partire da una equazione della forma (10) o (16) nella quale % sia data o sia ridotta ad essere una costante, se avverrà che i coefficienti della forma corrispondente (27), cioè di: dU DIREI (i STD ( e dI cei (i 4 vengano ad essere zero o avere un determinante negativo 4 in qualche punto, linea, o porzione superficiale di C, colla introduzione del fattore G alla forma stessa verrà sostituita l'altra : QU pit) (Ga+ 00 LAU Il 3U\? 220 a) +2 (2 053 — 40 DEVI (Go4 GA TT +40 sl dC dY) dI dY dY il cui determinante 4, sarà: 3°U Ò QU èd°G SO CE ((—1 aa E dG de DEG: DEGNI ). ale dY? (Sa (o) IE e se sì vorrà che questo determinante 4, abbia un certo valore speciale dato D,, bisognerà colla integrazione di una equazione a derivate parziali di 2° ordine determinare G in modo che si abbia 4, = D;; ma ciò eviden- temente potrà portare che G debba avere qualche singolarità entro C. Ammettendo ad es. che sul contorno s di C la U sia zero, e tale non sia D,, e anzi sia D, >Q0, bisognerà evidentemente che sul contorno stesso G o ie sue derivate siano infinite; ma se sul contorno sarà Dj=0, allora non è da escludere che si possa soddisfare entro C alla equazione 41=D, con 4,= 64 +10 }( ui — 423 — una funzione G che sia integrale di essa e sul contorno sia sempre uguale a zero; e evidentemente questa funzione potrà darsi che esista, se per la equa- zione 4,=D, in G non verranno soddisfatte le condizioni che si avevano nei paragrafi precedenti per la funzione U definita dalle equazioni (10) o (16). Ulteriori sviluppi però sarebbero necessarî su questo punto, e di essi mi occuperò in altra occasione, mostrando allora in particolare come malgrado la presenza della funzione U e delle sue derivate in 4, possano queste osser- vazioni essere utili anche in casi nei quali U non è conosciuta. 9. Un'altra trasformazione, che comprende come casi particolari alcune comunemente usate, è quella per la quale alla funzione U che comparisce nella equazione data se ne sostituisce un’ altra < legata ad U dalla formola (83) U=f(2,9.5). Indicando infatti per abbreviare con p,9,7,s,% le solite derivate par- ziali di 2 e calcolando i ? do colla regola di derivazione delle funzioni composte, basta sostituire nella equazione data (10) o (16), p. es. nella (10), i valori che così si trovano, per ridurre la equazione stessa all'altra: (34) Ar + 2Bs+ C#+ 2H(r£t— s°9)-+L=0, dove: LAMBRO 50) IL A =]a+2(3 +2 TRAME AOL SI o d°f IO, n= SE rasa ara i ei ZI pq){ Del di E DL mi io (Gs o de NEO H=M CE fai (Creata (85) de° dy? de dYy de O SA ue: Ss de dyde dedy de a i gg T 0 dla 55 o ai Je pu di et ani sno uu Si dif Vf O dp Li ) Di +20 (56 dd 08 ano Ù Sad ‘dy de e tata ta t de dyda dLIYdE I da dY ua iS = (5) ) pi indicando con 41, di, cr, da; li ciò che divengono «a, d, ce, h, quando invece di U, di Se vi si pongono i loro valori ottenuti dalla (33); — 424 — e può darsi evidentemente che la nuova equazione presenti nei suoi coeffi- cienti certe particolarità che giovino per l'applicazione delle formole dei Il paragrati precedenti. 10. Supponendo in particolare che la (33) abbia la forma U= f(2), è evidente che la equazione trasformata della (10) diviene: 1 (a+ 2h f g)r + 20, — 2a f pa) 5+- (+2 f" p)tH- + 2h f(rt—-s)f +L=0. L=f"(@p° + 20b pa + 049°) 4h; e quindi la forma (22) che viene a figurare nel valore (21) di H corrispon- dente a questa equazione in < sarà: si (PST MA (ve P—Mfs— MALI n, ci(f— fa) + perke POLI dI dY con: ed è notevole che in questa i coefficienti 41, 21, €, spariscono quando sia f'=f"z, cioè quando si prenda U=@<° + f con « e £ costanti. 11. Supponendo invece U=4-+-, con 4 funzione determinata (ma da prendersi a piacere) di 4. y, si vede subito dalle (35) che la equazione trasformata della O diviene: (86) (1 +203, da 2h i = + (c+2h3 Di she Fano) pati +2 i 4a ati) ur}, o dI dY dI dY, += e la forma ui; corrispondente a questa equazione sarà: dh 9° (042632 dy 2 + vt + & ; I p° + 2(b_ 2h È — hs 8 ‘ae g)ort è° h N = SI | irtat e) 2 e potrà anche scriversi: m d° ha 2 (87) (2 ri mi ni a, a di: “a PESCA i dh RENEE di aL, (c++ tea): e se anche senza conoscere l'integrale U della (10) sapremo che nel campo C esso si mantiene finito e continuo insieme alle sue derivate prime e seconde, e queste non superano in valore assoluto un certo numero, allora supponendo calca senz'altro kh, = La e indicando con 4, è, c numeri maggiori dei valori as- POI DEU I soluti di 4 SE ape Cola è evidente che se prenderemo — 425 — A=X+Y con X e Y funzioni di < e y soltanto respettivamente, basterà che sia ad es.: Ùi x=745, V=a45, 0 x=lt a, ya per essere certi che i coefficienti di p° e 9° nella (37) saranno positivi e maggiori di è, e quindi il determinante della forma stessa (37) sarà positivo; talchè col fare la trasformazione: — (048) +4(a+3)y"+s, con a,b, determinati nel modo indicato, la forma (27) corrispondente alla equazione trasformata in e verrà ridotta a determinante positivo, il che mi pare abbastanza notevole. 12. Pel solito però questa trasformazione U = 4 ST] È ot alle 426 e quando in essa i coefficienti 4, d, c.... coi made x e y e quindi non mutano colla trasformazione. In questo caso la quantità /, trasformata CONADE equazioni di di dA si 9 it ce ge e prendendo Z in modc che si abbia: d°4 De dI CRI i Î ioni DI Pn, = dog 2; dae dY È dYy° Ga dY° pi ) ) e 24 È == DI det D+ oi cioè supponendo che 4. sia un Di. particolare dell'equazione data stessa (16), l'equazione trasformata in < diverrà : d°4 d°4 3°4 SSN, 29(5_-2 PS (c+ 2h 3) r+ (e h = a s+ (e + 2% Di tt + 2h(rt — s°) 4+- 2dp + 2eg4-9ge=0, cioè sarà della stessa forma della (16) ma mancherà del termine noto 90; talchè nel fare le applicazioni dei teoremi del $ 6 non avremo da conside- rare il termine goU, e quindi tutte le condizioni si ridurranno più semplici. E così nel caso e di h=0, cioè delle equazioni della forma: (38) Do 42 e ti +e +90 ì OR delle quali e e IROBUSI SI io il teorema dei signori Bianchi e Picard sulla unicità degli integrali (regolari) che prendono valori dati al contorno di C quando 4e — 5°=0; e le limitazioni che si hanno pel campo C sono quelle che vengono dalle considerazioni del $ 5 0 del $ 8. Più generalmente poi, qualunque siano i coefficienti della equazione data (10) o (16), se si vorrà che un suo integrale sia regolare in C e abbia — 426 — sul contorno valori dati, allora si può dire che quando con un processo qual- siasi si riesca a trovare una funzione 4 pure regolare in C che sul contorno abbia appunto quei valori, se avverrà che col porre U=4+- 4 la equazione trasformata in z (36) soddisfi alle condizioni del $ 6, la stessa funzione 4 sarà l'integrale richiesto, il quale perciò sarà unico. 13. Risultati notevoli si hanno pure se sì considera la trasformazione U=4+ uz, con 4 e u funzioni delle sole 7 e y; poichè nel caso ad es. della equazione (38) se prenderemo per 4 un integrale particolare della equa- zione stessa (38) e per w un integrale dell'altra che si ottiene da questa col sopprimervi il 2° membro, la equazione trasformata in 2 mancherà del termine in < e di quello indipendente da . Più generalmente poi si potrebbe considerare la trasformazione U=/(x,7,4) dove /(2,y,) rispetto a z è una funzione razionale intera di grado qual- siasi n; e determinandone opportunamente i coefficienti come funzioni di < e y si potrebbe far sì che la equazione trasformata venisse ad avere proprietà speciali. Così ad es. prendendo per /(2,y,z) una funzione di 2° grado 4-4- uz + r2° con 4, u,v funzioni di 4 e y da determinarsi, allora sotto certe condizioni rispetto ai coefficienti 4,2, c..., nella equazione tra- sformata in < della (38) si faranno sparire anche ì termini in p e 9g, e questa si presenterà sotto la forma: (ar + 2bs 4- ct) (u + 2v2) + 2(ap° + 20u9 + cq)v = 0; e nel valore (21) di H applicato a questa equazione, la forma (22) diverrà la seguente: H= wu(ap® + 2bpg + cg°). Però è da notare che con queste trasformazioni, pure essendo regolare entro C la funzione U, potrà non esserlo la corrispondente funzione 2; e quindi il giungere a concludere che non esistono funzioni regolari < di « e y entro C che siano integrali delle equazioni trasformate non permetterà, senza altre considerazioni, di trarre la stessa conclusione per la funzione U. 14. In generale poi è da notare che quando in una equazione a deri- vate parziali di qualsiasi ordine in U si fa la trasformazione U = f(@, 7,8), si può come nei casi precedenti dare avanti la funzione / e proporsi la de- terminazione di z in funzione di 4 e yin modo da soddisfare alla equazione trasformata, come si può invece, dandosi anticipatamente questa funzione s(x,y), proporsi di determinare la funzione /, di tre variabili 2, y , 4 consì- derate come indipendenti, in modo da soddisfare la equazione trasformata stessa riguardata come una equazione a derivate parziali in /. Nel primo caso essendo allora data 7 come funzione dei punti dello spazio, il problema viene ad equivalere a quello di cercare su quale superficie < = (7, y) la funzione data dei punti dello spazio /(4#,%y,) diventa una funzione che ha le par- ticolarità stabilite dalla equazione che si considera; nel secondo caso invece — 427 — si cerca la funzione / dei punti dello spazio che su una superficie data z="<(#,y) ha le particolarità che vengono dalla equazione stessa. Invece poi ditrasformazioni che fanno di enderela funzione U da un’altra #, si potrebbero fare cambiamenti delle variabili indipendenti 4 e y in altre u ev; ma noi non ci fermeremo su questi. 15. Aggiungiamo che i risultati ottenuti finora vengono a riferirsi più specialmente a equazioni (10) o (16) per le quali ae — 02=>0; ma per la presenza di / e go nelle formole (18) o (19) che danno i valori di H, e per le considerazioni generali del $ 5, si comprende che potranno talvolta estendersi anche a casi nei quali questa condizione di «e — 6° > 0 in tutto C non sia soddisfatta. Così ad es. quando questo avvenga, ma / abbia la forma: ife + (Lit dY dI dY dI dY |] dd dY 2 d°U DAD +) è evidente che la forma di 2° grado (22) in i Di che si ha nella espres- sione (21) di H, si riderrà alla seguente: @-a() +20-NT ten) e il suo determinante (a — a)(cT— y) — (D— $)?, a seconda dei valori che avranno «,f,y potrà non essere mai negativo nel campo C, e i teoremi precedenti potranno essere applicabili. 16. Tutti questi risultati suppongono l’esistenza di integrali della equa- zione data (10) 0 (16) che siano regolari în tutto il campo C (il contorno incluso) o nella porzione di questo campo che si considera; e come è noto i problemi relativi all'esistenza degli integrali medesimi in generale presen- tano gravi difficoltà, e sono risoluti soltanto per casi speciali. È poi da notare (sempre sotto questa restrizione relativa alla esistenza della funzione integrale U regolare entro C) che i teoremi relativi alla uni- cità dell'integrale stesso sì estendono anche a numerosi altri casi nei quali sì hanno altre condizioni al contorno diverse da quella di essere dati i va- lori di U sul contorno stesso. Se si osserva infatti che nella formola (15) sotto l'integrale del se- condo membro figura il prodotto LU, si vede subito che per la validità dei teoremi che abbiamo dato sull'essere zero U in tutto C, non importa che sul contorno sia zero U, ma basta che lo sia il prodotto LU; e quindi, sempre « sotto le condizioni dei $ 6 e seg. essi varranno anche quando si sappia « che sul contorno stesso è zero L e non si sappia nulla di U, o quando « sì sappia che su una parte del contorno è zero U e sull'altra parte è — 428 — « zero L; e in corrispondenza si avranno altri teoremi sulla unicità della « funzione integrale delle equazioni (20) quando siano date altre condizioni « speciali al contorno ». E così supponendo ad es. che si tratti delle equazioni ne forma (16), nel qual caso secondo le formole del $ 3 si ha Î=1L+d% Dani eU > x 5 . PEA MI Di e dove L è dato dalla (13), basta osservare che eno > > per vedere subito che L può porsi sotto la forma: 2U de ma)L 2 Lunata stu ot giro +1[ (57 Dn Ùi +(- QUA sg i dy° da dILdYy dY dI dYy de d£° dY PAN pi ZI Die iS DU. E cca dY da 0 ay Snia = DO o E 0% In 20) ; dd È | ETA FR nella quale il fattore che moltiplica % può anche scriversi (3) >s |3U dA QU 3 o. s i £ quando — non sia zero; e di quì si scorge subito come si potrebbero in- ò dicare varî casi notevoli nei quali a seconda dei dati relativi al contorno si avrà L=0 su tutto o parte del contorno stesso. In particolare ponendoci nel caso delle equazioni di tipo ellittico a=e=1,db==h=0 considerate dai signori Bianchi e Picard, siccome sì avrà: CMS] Di Ln PI) o 937 e può sempre prendersi ($ 8) 207 n=— @, sì potrà senz'altro concludere che l'integrale delle equazioni della forma: PIVEAZU DOD dy° QU S7 +9U=% « è completamente determinato almeno in campi speciali quando su una « parte del contorno è data la funzione U, e sull'altra parte è data la de- ». « rivata rispetto alla normale Si 17. Passiamo ora a dare altre applicazioni delle formole (2) e (3). — 429 — Suppomamo percio nella\.(2), U.—U, V==Nbr=yx=0®=0;=0, avremo la formola: QUAV QU IV 2U dDV QU IV (EU or da Y dY dy da "3% dg (peo fn + (+9) TT 4 ai + (30 + (AI log ALe e facendovi, una volta #,=@, @,="f, e un’altra fB}= a, ag =— f, col- l'osservare che a = di si = si ottengono le altre: “ BE sglieSs;à piperita (C4 I] 2U 2U3y , 3U 2] = Sa Vds, Seta 4 ì coffe LTL, (ELIM pera RVAMEZA dY dY dYy dI dA dY ATA eenS ra talchè se si farà nella prima di queste a = 1, 8=0, U=0, e nella seconda ae=0, fB=1l,ea=1,8=0 avremo le formole note: I (3) +(3 al + oe vfdey— fue, 1a JRE fra IET+3 tre v)edy=- via, dI dI dY dY delle quali la prima è caso particolare dell'ultima, perchè si ha da questa facen- dovi V= U. E in tutte queste il 4° U rappresenta al solito la somma delle CEDE DEA AI Se nella (2), pure facendovi U, = U, V\=V, avessimo lasciate inde- terminate y, y,, d e d,, avremmo avuto altre formole più generali che qui non stiamo a scrivere, ma che possono esse pure giovare in casì particolari. RENDICONTI. 1896, Vol. V, 2° Sem. 55 derivate seconde — 430 — 18. Risultati più importanti si hanno dalle applicazioni della formola (3). Facendovi U=U, V\=V, a=f, d=d,=0, e aggiungendo ai due membri di essa quelli dell'altra: J [av((+nti )+ 2UV E +L)+ +20(1 + nt) |ieay=-2 fov (Fe Tr dd che sì ha dalla (1) cambiandovi X, Y in 2y UV e 2y, UV, basterà prendere y e y, determinati dalle formole: da dd db dB 0 I I e ai de yy di iena dy per ottenere subito la formola seguente: (48) I ca da 1 rg ti a+ tre + ui ap IV +9U—-9}— Ufo Ti +28 To +a +e (+ e i dY dyY dB dd de I] Ms +(v ie? Te po ai —2° 23)v) |aegy= LO) SH O ito de dB\dE dB __ dB: dY +a®- ie da 2) Mer ]a 23°U Cambiamo ora in questa «, f, #, respettivamente in O pai Vi eg = a ct ne li e osserviamo che allora fra i termini che moltipli- y° cano U sotto l'integrale doppio nel primo membro, come fra quelli sotto l' inte- grale semplice del secondo membro, vengono a figurarne alcuni che conten- gono 7 e le sue derivate; e indicando con P, l'insieme di quelli del primo membro e con Q, l'insieme di quelli del secondo, con facili calcoli si trova: 2°U 2*U 2°U, »( ay ) pi (i da I, » (1 da” ul 20 Care de dY Y DEV) RIU EIOE (EV) UTI (AV) 2°U veti RR EI + ul 3; Da i AV) 2U i RR RCA) si et (45) RE 10) FEST — hV Sa | Ss no Y hV I Is Si otterrà la formola seguente : ] d°U PURZUT 00zUA (40) J bi 101 sa > 5 ni gta dY? -() )+ ea a+ +e + ti stay Daten )art tn? An ff vanr=—S[(e2 e i SEVERA ++ ao, i ey EI, s ] Ye — — SE +(2e # 3) UVHQ |ds, che vale qualunque siano U e V purchè regolari entro C; e se in questa si fano a=b=c=d=e=g=9@,=0 si trova l’altra, che vale essa pure qualunque siano U e V: | LUI AU) © NB { (49 [f anv(Di * o) )acd— ff UP,drdy=— |Qdrdy, mediante la quale sottraendo si fanno sparire dalla precedente i termini che contengono P, e Q,, e si giunge allora a un'altra formola, che del resto si sarebbe potuta ottenere anche dalla precedente considerandola prima nel caso di 4=0, e poi aggiungendo e togliendo sotto l'integrale doppio >2U 9?U DEU 2 il termine 2hV (S5 3g? (3) ) 7 E così evidentemente applicando questa formola al caso degli integrali U delle equazioni della forma (16), cioè: 2°U 2d9°U dI°U d°U MOZUEA (5) a+% dILIY 15 y Ae dy° -) )+ + oa DI pogîl 7+I0=%, e ponendo per semplicità di scrittura: i DAL d°U 2°U QU 2U (49) PORRI aero e +90, dV DUE ADI) IV 60) G(W= a 425 nantrn tot at dd, de dV d°e de pa(24de JUL ( 4a I aeMiy)Y, — 432 — con che la equazione stessa (48) viene a scriversi: P(U)+24(33 Zi -( DL nei de? dY dI dY e la equazione G(V)=0 corrisponde precisamente a quella che dicesi equa- sione aggiunta della F(U) = 0, si può ora affermare che « se U è un inte- « grale della equazione (48) che sia regolare in tutto un campo © (il con- « torno incluso) nel quale sono pure regolari i coefficienti della equazione « stessa che ora supporremo funzioni di x e y soltanto, avremo la formola « seguente: (51) II) SUG(V) — go V| de dy +/) PAdaldyi— na dY viU_ IV dI Si DU —_ dI =J[(« «3 4529) (v dI TI) + (037 +07 7 vt | da SE (e T_T sn Sin de dyfap maia: de dy)>pi Mr Coo « nella quale P, e Q sono dati dalle (44) e (45), e avremo pure l'altra: re Mn: /) Dl _( d°U )) 10 (52) Jh DG(V) — gi VI dedy +2 fav og (seg) EU [at o arte +(24 a IMA dI dP « che si ottiene anche sommando la precedente (51) colla (47); e queste varranno qualunque sia la funzione V, purchè regolare anch’ essa entro C, quando U sia, come abbiamo detto, un integrale della equazione (48) rego- lare esso pure entro C (il contorno incluso), e G(V) sia definito dalla (50). a MPOZIARRO : 3 : : In queste formole poi a — e 2 nei secondi membri potremo sosti- Pd DE ds 3) /) ;UG(Y) — %o vi da dy + ui VA (i a ai clghje= QU —f[ 44444) (SS diyt 2 )+ddy+eda) (v cha 2) si 4 (1a 2-2) (8 ®)aotor]. tuire -È e , per modo che la (52) ad es. potrà scriversi: i differenziali d2 e dy nel secondo membro essendo presi lungo il contorno s di C. — 433 — Queste formole comprendono quelle mediante le quali coi processi di Riemann si trovano in un campo C gli integrali regolari delle equazioni DEU QU QU È x Ai — == =" 4 = e al dat Di U li eg rg du 0 0 pei quali sono date con dizioni speciali al contorno del campo; e col particolarizzare i coefficienti ci SÌ applicano ai varî casi delle equazioni di tipo ellittico, iper- bolico e parabolico, come a quelle nelle quali le derivate seconde delle mia 9) dA0) (i ) — (- , e anche bee dLdY funzioni vi figurano soltanto col termine alle equazioni del primo ordine. Esse, in sostanza, nel caso di 4=0, si trovano già, determinate con altri processi e specialmente in vista delle equazioni del tipo iperbolico, anche nel secondo volume della Théorie générale des surfaces di Darboux (pag. 74 e seg.); ma che io sappia non ne sono state fatte finora tutte quelle applicazioni che più meritano di essere segnalate. Farò queste applicazioni in un prossimo lavoro, ottenendo allora alcuni risultati, che a mio credere, hanno una particolare importanza. DI Fisica. — Dell'azione dell’ ozonatore sui gas attivati dai raggi X. Nota del Socio EmiLio VILLARI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Matematica. — Di alcuni invarianti relativi alle equazioni lineari alle derivate parziali del 2° ordine e del loro uso. Nota del dott. Pietro BuRGATTI ('), presentata dal Socio V. CERRUTI. Quando un'equazione lineare alle derivate parziali del 2° ordine è ri- dotta alla forma d°z (0) IL dY DIA d& anicr ew” I sì sa riconoscere, in una maniera molto semplice (Darboux, Théorie des surfaces, T. II, Cap. II), se la sua integrazione sia immediatamente ridu- (1) Mentre questo lavoro stava in corso di stampa, è comparsa nei Comptes rendus del 30 Novembre una Nota del sig. Cotton sopra lo stesso soggetto. Egli ha trovato due invarianti che differiscono da quelli considerati in questa Nota, ma uno di essi coincide con un invariante da me già ottenuto in una Memoria: Sulle equazioni lineari alle deri- vate parziali ecc., pubblicata negli Annali di Matematica del 1895 (Serie 2° — T. XXIII). Io però non dedussi le conseguenze che ha ora dedotte il sig. Cotton. — 434 — cibile alle He: Ma se l'equazione proposta è della forma più generale RO ALIA E A N (001) da? =; dY dyY° da dY i il criterio noto non vale più, ed è necessario allora di cimentarsi colle diffi- coltà che presenta la riduzione alla forma (0) di Laplace, senza sapere a priori se tale riduzione condurrà ad una equazione immediatamente integra- bile. Mi è sembrato perciò utile la ricerca d'un criterio facile e generale per riconoscere se un’ equazione del tipo (1) sia riducibile ad una forma inte- grabile con un cambiamento di variabili. 1. Sia proposta l'equazione (1), ove si suppone almeno uno de’ coeffi- cienti A e C diverso da zero. Seo il cambiamento di variabili s=5(2,9) VICE sì trova una nuova equazione ero S0Ean g (2) dia +? 13E N dn io nella quale i coefficienti hanno le espressioni: EA EDEL il ": c(È (al pena Ae ® a-a(a)santitizo(t). sn aTipap lic Z ppi. Una espressione formata coi coefficienti dell'equazione data e colle loro derivate si dice un ixvariante quando, operato un cambiamento qualunque di variabili, la medesima espressione formata coi coefficienti della trasformata è uguale alla precedente a meno di un fattore dipendente dalla sola trasfor- mazione. Si giunge alla determinazione di un invariante operando sulle (3) nella maniera qui appresso indicata. Se diciamo 4, e 4, le due radici, che supporremo distinte, dell’ equazione AX—2B4+C=0, (A+0) le espressioni di A,, B, e C, si possono scrivere così: + (+4). d27 dY o nrirfizra pe — 435 — od anche Ar=A.U(È)V(£), (4) 2B, = A}U(5) VM) + UM) VS) I, Ci=A.U(M) VM), quando si ponga in generale dativo, Lal ptazaun, tato. Ora, supponendo ad es. A,#+0, dividiamo la seconda e la terza delle (4) per la prima; si trova OUT), Zi) UM ANTUNO TEANO VOB)” quindi UG), V@) 7 È TO ND > sono le radici dell’ equazione A, 43 — 2B, 2 + (07 ==} Ciò posto, consideriamo le espressioni di D, ed E,. È facile vedere che si possono scrivere così: dÌÉ dE D,= AV(U(&)) +D con (E-AV(4,)) gy) è dn dn E — AV(U()) +D IL + (e —ava)) dI, dove in generale V (U(/)) indica l'operazione V applicata alla funzione U (/). Ma per le (5) (5) U(n) = U($), quindi l’espressione di E, diventa Bi = AX1. V(U(@)) + AV(#1).U(8) + DIL + (e — AV(,)) È Si Eliminando allora V(U(È)) fra questa e la prima delle (6), si da D,4' ;E=_AVA)UO+D(7, T_ì dI ) +e EA V(45) (2, SO) Trasportiamo il termine negativo nel primo membro, e notiamo che dalla (5') sviluppata si trae N SIRIION ATI (i): da dI dY = dyY in conseguenza di ciò l'equazione diventa (7) D2,—E-AV(A) vo=(7-% D) (DA, —E+-AV(A))). d7 Ora dalle relazioni di da da dY si deduce facilmente VADE= — 436 IE RIS DEA po da DE ES wy dd dI da PE PL) ELEVA VA FIORA): ossia, per la seconda delle (5), CA) 205 pat ua VE).Vi(X), . Si vede allora che il termine AV(4',) U(È) che comparisce d, (7) è da a AU(E) V(E) Vi (2')), cioè ad A, V,(4',); onde la (7) stessa si può scrivere Dida a van=(T- È) -E+AVG). indicando con V, l'operazione +13 In modo analogo, introducendo nelle espressione di D, ed E, l’opera- zione U(V(/)) invece della V(U(/)), si trova questa seconda equazione: , , 1 d Di 7: B + Ax Wi (#)=(37 2.3) (Da —E+AVG)). Notando poi che © _y EM Va _ 4 wy ay dy US)dy UE) di gi a e dY dy do VE) dy VE) ove 4 è il determinante funzionale di É ed » rispetto ad « ed y, le due equazioni precedenti si scrivono in modo sviluppato come segue: DI dÌ dn dlog A 3 log i 1 =qa(4 —E+An 1402 (8) DX, EA MARI LA, dlog 8, — 143 1 142 SE ICE Mm — des 3 log 4, _3d log SE DÀ, — E+ AA, C nl egg >», In conseguenza di queste formule, le espressioni =D Deli LE "= SIAT diogà 193 —» si diranno rispettivamente 1° e 2° invariante parziale. — 437 — Un vero e proprio invariante si ha invece nell’ espressione AI,I.: infatti, moltiplicando membro a membro le (8) e notando che U($) V(£) = ni sì trova (9) AGM I A2 ATE Intanto dalle (8) si deduce il teorema: Se una equazione differenziale del tipo (1) ha gl'invarianti parziali diversi da zero, anche tutte le trasformate che si possono ottenere con cambiamento di variabili hanno gli stessi invarianti diversi da zero; se invece ha uno 0 due degli invarianti parziali uguali a zero, anche tutte le trasformote hanno uno 0 due invarianti parziali uguali a zero. Notiamo che qui s'intende parlare di trasformate che conservano la forma generale (1). 2. Vediamo ora quale utilità presenta la considerazione di questi inva- rianti. Indichiamo con 27(2) il primo membro dell’ equazione (1), ove si sup- pone F=0, onde giungere a risultati più notevoli. È facile vedere che l'equa- zione proposta si può scrivere nelle due maniere seguenti: (10) I()=A.V(U()) + DU) — L > —î (10) II) = A.U(V()) + DV(4) — Ls 3 Zi Orbene, cominciamo a supporre che uno degli invarianti parziali sia nullo, ad es. I=0; l'equazione diventa A.V(U()) + DU()=0. Di qui risulta che, se @ è una soluzione di U(3) = 0, una funzione arbi- traria di « è soluzione della proposta; quindi si può dire: Zn' equazione del tipo (1) (F=0) che ha uno degli invarianti parziali nullo, ammette per soluzione una funzione arbitraria di una soluzione di U()=0 0 V(e) = 0. La sua completa integrazione poi si riduce all’ integrazione successiva delle due equazioni del 1° ordine AV(2)4+De'=0, U()=%. Ma una maniera migliore per eseguirne l'integrazione si vedrà nel numero seguente. Supponiamo adesso che ambedue gli invarianti parziali siano nulli, cioè == 0; allora l'equazione proposta si riduce alle due forme seguenti: AV(U()) + DU()=0 AU(V(e)) + DV(:)=0 . RenDICcONTI. 1896, Vor. V, 2° Sem. 56 — 438 — Di qui risulta, che se @ e #8 sono rispettivamente soluzioni dell’ equa- zioni U(:)=0 e V(2)=0, g(a) e W(8), ove pe w sono due funzioni arbi- trarie, sono soluzioni dell’ equazione proposta, e per conseguenza a=g(a)+w (8) è il suo integrale generale. Onde si conclude: Se una equazione del tipo (1)(E=0) ha ambedue gl'invarianti parziali nulli, essa ammette l’ inte- grale generale = g(a) + W(8), essendo « e rispettivamente soluzioni di U(:)= 0 e V(2)= 0; quindi la sua integrazione è ridotta a quella di equa- zione del 1° ordine. 8. Per veder bene quando e come l'integrazione della (1) sia riducibile all'integrazione di equazioni del primo ordine, si può anche ragionare nella maniera seguente. Operiamo sulla (1), supposto sempre F—= 0, un cambia- mento di variabili definito dalle relazioni E= (2,9), n=n(2,9); si ottiene la nuova equazione (2) (F,= 0), ove i coefficienti hanno le espres- sioni (3). Ma essendo DET EZA)E noi possiamo, per le cose già dette, porre questi coefficienti sotto la forma seguente: D;=A.V(U®) + DU —L > RSA UVM) +DVM—L:37 . Orbene prendiamo È e 7» in guisa che sia UE) =0, Va=0, @=9) allora Ai = 0 4 2B, — AV(£) U(7) - (Gi == 0 EG E d9 Dire ia e l'equazione trasformata diventa dz dÉ de dn de _ SO UO ee, oa Di qui risulta: I. Se l'equazione proposta ha uno de' suoi invarianti parziali nullo, essa sì riduce, col cambiamento di variabili sii ad una delle forme dmnd de AV(£) U(, Lal dn "> dm (1) dE de YO UM 5a TÉ mM ray ae © che sono immediatamente riducibili alle quadrature. — 439 — II. Se l’ equazione proposta ha gl’ invarianti parziali ambedue nulli, essa si riduce, col cambiamento di variabili adoperato, alla forma semplice d°g ds dg Di (12) ed ammette quindi l’ integrale generale g($) + w(7), come abbiam visto nel numero precedente. III. Le condizioni I=0 04 I=0eI=I.=0 sono rispettiva- mente necessarie e sufficienti affinchè l’ equazione proposta sia riducibile alle forme (11) e (12). 4. Poniamo nell’ equazione data (1) < = %'; essa diventa Tri Deli de Pica ace 7 r 2 = x aTs Lo EI dt ani 0 ove A, B e C sono gli stessi de precedenti, mentre D'=94 sl + 282 bin; E = 20 zig pan the dopo Calcolando ora per questa nuova equazione gl’ invarianti parziali, che diremo I), Iy, si trova facilmente Pet Lana, — cet Si = — Au) E log £ = 2(A7, — SIE Po (BA e Se 4% è tale che I)' ed I," risultino nulli, l'equazione trasformata ha gl'in- varianti parziali nulli ed il coefficiente di 2. diverso da zero, quindi col cambiamento di variabili adoperato nel numero precedente si potrà ridurre alla forma (13) * 3a Di qui risulta: W' equazione del tipo (1) ad invarianti parziali di- versi da zero è riducibile alla forma (13) mediante una sostituzione seguita da un cambiamento di variabili nel solo caso che Vl’ equazioni 1'=0 ed IL =0 abbiano una soluzione k comune. Aggiungiamo per ultimo l’ osservazione seguente. È sempre possibile mediante una sostituzione « = £z/,, rendere l’ equazione proposta ad inva- rianti parziali uguali. Basta infatti prendere per % una soluzione dell’equa- zione Ii — Ie 0? — 440 — Matematica. — Sull’area delle superficie curve. Nota di GIAN AntoNnIO MacGI, presentata dal Socio DINI. Sono ben note le obbiezioni mosse da Schwarz all'antica definizione di area d'una superficie curva (!), in seguito alle quali Z7ermite enunciò quella ch'è ora, dai migliori trattati, generalmente adottata (?). Con questa è ab- bandonata ogni considerazione di superficie poliedrica iscritta nella superficie; mentre ragioni d’ armonia colla definizione della lunghezza d’ un arco di linea, come anche di quella dell’area d'una figura piana, e del volume di un solido, possono lasciar desiderare che vi si ritorni: salvo l'aggiunta di quelle con- dizioni restrittive, concernenti l'iscrizione, di cui Schwarz rileva la neces- sità. Tanto più se si potrà far a meno d'invocare ogni elemento estraneo alla superficie: qual'è il piano di proiezione, che introduce la nuova defini- zione, e bisogna poi dimostrare come, mutandolo, l’area resta sempre la stessa. Una definizione che risponde a tale concetto è questa: « Area d'una superficie curva, dotata in ogni punto di normale, variabile, da -punto a punto, con continuità, è il limite dell’area d'una superficie poliedrica iscritta, collo svanire del raggio d'un cerchio capace di contenere le singole faccie, sotto la condizione che, insieme con questo raggio, svanisca uniformemente l’ an- golo formato dalla perpendicolare al piano d'ogni faccia colla normale alla superficie in un punto qualsivoglia del segmento sotteso ». Questa definizione richiede però la dimostrazione preliminare che in una superficie, quale l'abbiamo supposta, è sempre possibile iscrivere una succes- sione infinita di superficie poliedriche, corrispondenti a due successioni corre- lative di angoli e di cerchi, ambedue infinitamente decrescenti: in tal modo che, purchè le faccie di una superficie poliedrica capiscano in un cerchio, l'angolo formato dalla perpendicolare al piano delle singole faccie colla nor- male alla superficie in in punto qualsivoglia del segmento sotteso riesca minore dell'angolo relativo. Dimostrato questo, si vede subito che l’area delle superficie poliedriche iscritte in discorso, collo svanire del raggio di un cerchio capace di com- () Hermite, Cours d la Faculté des Sciences, 2* ediz., Paris, 1883. — Schwarz, Ge- sammelte Abhandlungen, Berlin, 1891. (Sur une définition erronée de Vaire d'une sur- face courbe, pag. 309 e 369). (2) Hermite, Cours a la Faculté des Sciences, 3% ediz., Paris, 1887. — E. Picard, Traité d’ Analyse, Paris, 1891. — F. d’Arcais, Corso di calcolo infinitesimale, Padova, 1891-94. — E. Pascal, Lezioni di calcolo infinitesimale. Milano, 1895. — Citerò anche, per chi abbia famigliare il Calcolo Geometrico, la definizione del prof. G. Peano, — Lezioni di Analisi infinitesimale, Torino, 1893 — che, partendo da un pripcipio diverso, ritrova nei concetti di tale calcolo l’analogia con quella di lunghezza d’un arco. — 441 — prendere le singole faccie, ha un limite, puramente dipendente dalla super- ficie curva considerata. Il quale, per ogni pezzo abbastanza ristretto perchè ogni punto di un certo piano, compreso dalla proiezione del contorno sul piano medesimo, o appartenente ad essa, sia proiezione d’un sol punto, e l'angolo formato dalla normale in un punto qualunque colla perpendicolare al piano non raggiunga un retto, risulta do . Sai dove 4 rappresenta la grandezza di quell’ angolo, pel punto generico, c quella dell’area della proiezione, e l'integrale s'intende esteso alla proiezione me- desima (*). Tale dimostrazione emerge dalla ricerca seguente, che conduce a stabi- lire un’assai semplice condizione generale, sufficiente perchè, collo svanire del raggio d'un cerchio capace di contenere le singole faccie d'una superficie poliedrica iscritta in una superficie curva, svanisca uniformemente l'angolo formato dalla perpendicolare al loro piano colla normale alla superficie in un punto qualunque del segmento sotteso; ch'è appunto quanto dire perchè una successione di superficie poliedriche iscritte riesca della specie suddetta. Per modo che, soddisfatta quella condizione, il limite dell’area della super- ficie iscritta esisterà, e sarà ciò che, per definizione, chiamiamo area della superficie curva; ed altrimenti potrà darsi che l’ area delle superficie iscritte non abbia limite determinato, o l’ abbia infinito, conformemente agli esempii addotti da Sehwarz. Sia la superficie analiticamente rappresentata dalle equazioni (1) R= Bo VZIKGO A_I(URIO) e i vertici della faccia generica d'una superficie poliedrica iscritta (che potremo sempre supporre a faccie triangolari) abbiano per coordinate (inten- diamo coordinate cartesiane ortogonali) Lo 1Yo 380, LoP4Ae,Yt41Y, 804-418, LotArt,Yod+42Y;8+ 428, rispettivamente corrispondenti ai valori dei parametri Uo Vo) utdbAu,vt+A4Ad, UtbAzu, vd 420. (1) Basta osservare che si ha identicamente : do do 1 1 DI cos — » così ta VA fa a 2; che sono le ricordate conclusioni di Schwarz. Chimica. — Esperienze dirette a determinare la costituzione della tropanina e della granatanina per via crioscopica (). Nota di FeLICE GARELLI, presentata a nome del Socio G. CIAMICIAN. In una serie di lavori pubblicati in questi due ultimi anni, Ciamician e Silber (?) hanno posto in rilievo la grande analogia che esiste fra gli alca- loidi del melagrano e quelli della serie tropinica: onde furono indotti ad ammettere vi sia fra essi anche somiglianza di struttura. I due schemi fon- damentali che, secondo Merling, Ciamician e Silber, dovrebbero esistere in tutti i numerosi composti delle due serie, sarebbero i seguenti : C C C C CSC C C C C C dC C CYyC N N Schema delle basi tropiniche Schema delle basi granataniche Il prof. Ciamician mi ha incaricato di esaminare se, col mezzo di ben dirette determinazioni crioscopiche, si poteva trovare qualche fatto nuovo che portasse un contributo alla soluzione del problema ch'egli si è proposto. Una simile ricerca non mi parve prematura, giacchè ormai con gran nu- mero di esempi ho provato che l'analogia di costituzione fra un solvente e un corpo sciolto è uno dei primi fattori nell'indurre fra essi formazione di (1) Lavoro eseguito nel laboratorio di chimica generale della R. Università di Bo- logna, dicembre, 1896. (2) Gazz. Chim. ital., vol. XXII, II, pag. 514; vol. XXIV, I, pag. 116, e II, pag. 350; vol. XXVI. II, pag. 141 e 160. RenpICcONTI. 1896, Vol. V, 2° Sem. 57 — 4460 — soluzione solida: dal che consegue quella caratteristica anomalia di compor- tamento crioscopico che trova la sua spiegazione nella teoria di van't Hoff. Anzi, come il prof. Paternò (!) fin dal 1889 aveva saputo trar profitto dello speciale comportamento crioscopico degli acidi per dimostrare che 1’ acido deidroacetico non contiene carbossile, così io da più di tre anni (?) ho pro- posto di contribuire alla ricerca della costituzione dei corpi organici mercè lo studio di quelle altre anomalie, indipendenti dalla funzione chimica, dovute alla cristallizzazione del corpo sciolto col solvente. E fin d'allora in fatti, nel comportamento crioscopico normale della nicotina e della metanicotina in dife- nile ho trovato un nuovo argomento per dimostrare che questi alcaloidi non possono essere dipiridili idrogenati. Ora volendosi assoggettare ad uno studio analogo le basi tropiniche e granataniche, si scorge subito che la tropanina e la granatanina, basi com- pletamente idrogenate e senza catene laterali, sono i due composti che deb- bono essere scelti come punto di partenza. Essi d'altra parte assomigliano moltissimo, per vari rispetti, alla de- caidrochinolina di Bamberger e Langfeld (3); e le relazioni che passano fra i tre composti si scorgono meglio scrivendone le formole nel modo proposto da Ciamician e Silber H H ‘«H H.,C_—C—CH, H,C—C-—TCH, H.C—TC—TCH, | | | H;C CH; CH, Î Î Hol CH, CCHÉ Î H3C CH; | CH» | | | HN-—C-—CH, HN—TC—CH HN—TC—CK; H H H Decaidrochinolina o chinolanina Granatanina Tropanina il quale è solo in apparenza diverso da quello comunemente usato. Dai fatti fin qui scoperti si è indotti a ritenere, con quasi certezza, che la soluzione naftalica della decaidrochinolina dovrà congelare anormalmente. Ed infatti io ho trovato che i composti ciclici, completamente o parzialmente idrogenati, crioscopicamente mantengono le anomalie osservate in quei com- posti, pure ciclici, dai quali derivano per idrogenazione. La pirrolina in soluzione benzolica è anormale quasi quanto il pirrolo, la piperidina lo è di più che non la piridina, il tetraidrocarbazolo sciolto in fenantrene ha comportamento analogo al carbazolo (4). Ora siccome la chi- (1) Gazz. chimica, vol. XIX, pag. 674. (2) ” 5) » XXIII; pag. 365. (8) Berichte, vol. XXIII pag. 1145. (4) Gazz. chimica ital., vol. XXIII II, pag. 354. — 447 — nolina, l'isochinolina, la tetraidrochinolina, presentano tutte, sciolte in nafta- lina, la tipica anomalia, così tutto fa credere che anche la decaidrochinolina seguirà una legge che, per quanto empirica, è ormai confortata da discreto numero di esperienze. Ciò ammesso, era senza dubbio interessante studiare il comportamento crioscopico in naftalina delle altre due basi così simili alla decaidrochinolina anche nella costituzione, giacchè risultano tutte (supponendo vere le formole proposte da Merling, Ciamician e Silber) dalla coniugazione di due anelli esa- tomici fatta rispettivamente in posizione orto, meta e para. È evidente, che dai risultati di tali esperienze, qualunque essi fossero, sì potevano trarre argomenti in pro ed in contro delle vedute testè enun- ciate. Perciò misi ogni cura per purificare la tropanina e la granatonina, ch' io ottenni seguendo esattamente il metodo di preparazione dato da Ciamician e Silber. Le due basi libere sono alterabilissime, assorbono con straordinaria avi- dità l'acido carbonico e l'acqua, onde l'esecuzione delle misure crioscopiche presentava non poche difficoltà. Dopo molti tentativi ho trovato conveniente di operare così : Dai carbamati delle due basi, ripetutamente purificati, mettevo in libertà gli alcaloidi e li estraevo con etere. Le soluzioni eteree, seccate su potassa fusa, concentrate a piccolo volume, erano introdotte in palloncino a distilla- zione frazionata e distillate in presenza di potassa ed in corrente di idro- geno puro e secco. Raccoglievo così, in apposito tubetto, la porzione di base che bolliva alla temperatura data dagli autori, e con tale porzione, mantenuta fusa nello stesso tubetto, scaldandola in bagno di glicerina e sempre in atmosfera di idrogeno, riempivo rapidamente un certo numero di bolle tarate identiche a quelle che servono per l’analisi elementare dei liquidi. Queste bolle, chiuse subito alla lampada e ripesate, venivano, a tempo opportuno, introdotte nel- l'apparecchio crioscopico ed ivi frantumate con l'agitatore. Noterò ancora che per evitare che nel tubo capillare delle bolle rimanesse sostanza, avevo scelto queste con tubo a diametro interno relativamente grande e di più, prima di introdurle nell’apparecchio, avevo cura di tagliare con lima la parte supe- riore di questo tubicino, là dove non vi era sostanza. L'apparecchio crioscopico era il solito da me adoperato per le esperienze in naftalina, costituito cioè da un tubo largo e robusto senza appendice la- terale. Le determinazioni furono eseguite con la massima rapidità ed in cor- rente di idrogeno. Poscia ho sperimentato il comportamento crioscopico della granatanina in benzolo e della tropanina in difenile, servendomi di bolle che erano state riempite insieme alle prime e nelle identiche condizioni. I risultati ottenuti sono ì seguenti : — 448 — Granatanina, CX H,;N=125 Solvente: Naftalina, depressione molecolare = 70. concentrazione abbassamento peso molecolare 0,4413 0°,20 154,4 1,0713 09,51 147,0 2,0047 00,985 143,0 3,9192 19,95 140,7 Solvente: Benzolo, depressione molecolare = 50 0,7939 09,315 124,4 1,38450 09,72 128,1 Tropanina, C:H,3N=111 Solvente: Naftalina, depressione molecolare = 70 concentrazione abbassamento peso molecolare 0,3854 0°,20 134,9 0,559 09,81 126,2 (1) 1,3355 09,75 124,6 2,4674 19,41 122,5 4,4674 29,95 122,6 Solvente: Difenile, depressione molecolare =380 0,7272 09,525 110,8 1,7088 TECA) 116,3 3,7388 29,505 119,4 L’anomalia della granatanina in naftalina è, come si vede, ben palese : si ha per questa soluzione l'ormai caratteristico diminuire dei pesi moleco- lari col crescere delle concentrazioni : fatto questo che costituisce una nuova prova dell'anomalia del congelamento e che dimostra che la causa di essa va ricercata solo nella cristallizzazione di sostanza sciolta col solvente. Invece, in soluzione benzolica, si ottengono numeri normali che erescono con l'aumentare della concentrazione. Ciò fa risaltare viemmeglio l’ anomalia della soluzione naftalica, e prova d'altra parte che operando nel modo da me seguito si ottiene realmente la granatanina pura ed esente di acido carbo- nico e di umidità. Parimenti anche la tropanina in soluzione naftalica è anormale, e l’ano- malia si esplica nel solito modo, benchè in grado minore. Ma pure essa ri- sulta provata all'evidenza, quando si confrontino i numeri trovati in nafta- lina con quelli ottenuti in difenile. (1) Questa determînazione, fu la prima che venne eseguita e con base forse non per- fettamente pura. — 449 — To, anzi, dò una speciale importanza alle determinazioni fatte in questo solvente che fu scelto ad arte, perchè ha punto di fusione poco diverso da quello della naftalina e perchè esso pure sublima. Le condizioni delle esperienze vengono così ad essere quasi identiche ed esse si possono confrontare con maggior sicurezza. Tale prova di confronto impedisce per esempio di attribuire l'anomalia della tropanina alla volatilità della base facilitata dal passaggio della cor- rente di idrogeno: se ciò fosse, il fenomeno si sarebbe ripetuto anche in so- luzione di difenile. Avrei voluto sperimentare in questo solvente anche la granatanina, ma il materiale mi fece difetto: per la stessa ragione non ho potuto sperimen- tare con altri solventi, nè eseguire lunghe serie di determinazioni, fino a concentrazioni elevate. Queste, del resto, non avrebbero avuto per me nessun interesse e d'altra parte sarebbero state poco attendibili, giacchè dopo quattro o cinque determinazioni le basi si alterano e le soluzioni si colorano len- tamente. Mi duole pure non aver potuto sperimentare con la decaidrochinolina. ch'io non ho potuto procurarmi. Questa base sarà molto probabilmente an- cora più anormale delle altre due; giacchè dalla decaidrochinolina alla tro- panina l'analogia di costituzione con la naftalina decresce gradatamente. Con le esperienze descritte in questa Nota credo di aver provato, in modo non dubbio, che la granatanina e la tropanina in naftalina congelano anor- malmente per effetto di separazione di soluzione solida. Questo interessante comportamento mi sembra costituire una nuova, si- gnificante prova dell’ esattezza delle formole genialmente proposte dal Merling per le basi tropiniche e felicemente estese da Ciamician e Silber a quelle granataniche : e mi sembra inoltre che il concetto ch'io ho espresso in un precedente lavoro, già citato, abbia avuto per la prima volta un’ applicazione positiva. MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI J. Morosow. Postulat d’ Euclide comme une propriété d’espace à trois di- mensions. Presentata dal Segretario BLASERNA. BB: INDICE DEL VOLUME V, SERIE 5°. — RENDICONTI 1896 — 2° SEMESTRE. INDICE PER AUTORI A ABELLI. « Una polmonite sviluppatasi e guarita sulla vetta del Monte Rosa (altezza 4560 metri)». 18. Arvisi. « Sul metalluminato di trietilsol- fina ». 407. V. Paternò. AmpocLa e GarIino. « Sulla denitrifica- zione ». 191; 346; 373. Ip. e RimatoRI. « L’ossalato di metile in crioscopia ». 404. AnpREOccI. « Sopra un prodotto di addi- zione della santonina coll’acido ni- trico. — Azione dell’ acido nitrico nella desmotroposantonina ». 149; 309. — « Sul solfuro d’azoto ». 149; 254. Ip. e Castoro. « Sull’ idrogenazione dei pirrodiazoli (2.4) ». 149; 343. B BELTRAMI. Presenta una pubblicazione del prof. Loria e ne parla. 417. BeRrtoLIO. « Sulla composizione chimica delle Comenditi ». 74; 150. BeyRIcH. Annuncio della sua morte. 79; 362. BLASERNA (Segretario). Dà conto della cor- rispondenza relativa al cambio degli atti. 363; 418. BLasERNA (Segretario). Presenta le pub- blicazioni inviate dai Socî: Lorenzoni, Schiaparelli, Abetti, Riccò, Auwers, Boussinesg, Gegenbaur, Kòlliker. 363; Capellini, Nasini, Righi. 417; dal prof. Favaro. 417. — Presenta il vol. VI delle Opere di Ga- lileo Galilei, e gli ultimi fascicoli del « Trattato di Ottica fisiologica » del defunto Socio straniero Helmholtz. 417. — Comunica una lettera di ringraziamento del Socio straniero lord Kelvin. 363. — Presenta una Memoria del sig. Moro- sow perchè sia sottoposta all’esame di una Commissione. 449. BorrIs. — V. Ciamician. BoLTzMAnN. È eletto Socio straniero. 79. — Ringrazia. 362. Bose e DE Lorenzo. « Per la geologia della Calabria settentrionale ». 79; 114. BrioscHI. « Sulle equazioni modulari ». 333. Briosi. È eletto Socio nazionale. 79. — Ringrazia. 362. Bucca e Oppo. « Contribuzione allo studio micrografico di alcuni cementi ita- liani ». 351. BuraTTI. « Di alcuni invarianti relativi alle equazioni lineari alle derivate par- ziali del 2° ordine e del loro uso ». 395; 433. — 452 — Cc Cancani. « Valori del potenziale elettrico dell'atmosfera a Roma ». 10. Cannizzaro. Presenta alcune pubblica- zioni del prof. Caruso. 418. CAPELLINI. « Cenno necrologico del Socio straniero J. Prestwich ». 414. Cattaneo. « Dell’ influenza del solvente sulla velocità degli ioni ». 207. CeRRUTI. Presenta una pubblicazione del Corrisp. Cesaro. 380. Cramician e Piccinini. « Intorno alla co- stituzione delle basi che si formano dagli indoli per azione dei joduri al- coolici ». 50. Ip. e BoeRrIs. « Azione dei joduri alcoolici sugli indoli, e comportamento delle basi risultanti ». 155. Cornu. È eletto Socio straniero. 79. — Ringrazia. 362. Cremona. Presenta una pubblicazione del Socio straniero Sophus Zie e ne parla. 363. DaLL’ Oppio. « Apparato completo per la Microfotografia ». 107; 179. De Lorenzo. — V. Bose. DeL Re. « Sulla successiva proiezione di una varietà quadratica su sè stessa ». 343; 365. Dinr. « Sulle equazioni a derivate parziali del 2° ordine ». 381; 422. Durto. « Alcune ricerche calorimetriche su una marmotta ». 117; 270. V. Zu- ciani. F Fantappie. « La Danburite ed altri mi- nerali: in alcuni pezzi notevoli di roc- cie antiche, tra i - blocchi erratici - della regione Cimina ». 74; 108. FoLGHERAITER. « Variazione secolare del- l'inclinazione magnetica ». 66. — « Determinazione sperimentale della di- rezione di un campo magnetico uni- forme dalla orientazione del magneti- smo da esso indotto ». 127. FOLGHERAITER « Risultati delle misure fatte perla determinazione sperimentale della direzione di un campo megnetico uni- forme dall’orientazione del magnetismo da esso indotto ». 171; 199; 242. — « Ricerche sull’inclinazione magnetica all’epoca etrusca ». 293. FRANCESCONI. « Sulla costituzione dei deri- vati per ossidazione dell’acido santo- nico ». 107; 214. G GarBasso. « Sopra un punto della teoria dei raggi catodici ». 214; 250. GaARELLI. « Nuove osservazioni sul compor- tamento crioscopico di sostanze aventi costituzione simile a quella del sol- vente ». 74; 138. -- « Esperienze dirette a determinare la costituzione della tropanina e della gra- natinina, per via crioscopica ». 445. GarIno. — V. Ampola. GraBLovITz. « Diagramma del terremoto giapponese del 15 giugno 1896 ». 82. Grassi e CaLanpRUCCIO. « Ulteriori studî sullo sviluppo dell’ Anguilla e sul Gron- go ». 241. GRIMALDI e PLATANIA. « Sulla polarizza- zione e depolarizzazione delle lamine metalliche sottilissime ». 74; 100. GuGLreLmo. « Descrizione di alcuni sem- plici apparecchi per la determinazione del peso molecolare dei corpi in solu- zione diluita ». 343; 395. GyLpEn. E eletto Socio straniero. 79. — Ringrazia. 362. — Annuncio della sua morte. 413. K KanITz. Annuncio della sua morte. 117; 362. KekuLE. Annuncio della sua morte. 117; 362. KRONECKER e LuscHER. « Innervazione del- l’esofago ». 360. — 453 — KurHy. « Azione dell’aria rarefatta sulla virulenza del diplococco della polmo- nite ». 26. — « Modificazioni che subisce il sangue nelle regioni elevate per effetto della diminuita pressione barometrica». 117; Teil Levi-Crvita. « Sul moto di un corpo rigido intorno ad un punto fisso ». 3; 66; 122. — « Sul moto dei sistemi con tre. gradi di libertà ». 66; 164. Lo Monaco. — V. Luciani. Lovisato. « Notizie sopra la ittiofauna sarda ». 75. LucianI, DurTo e Lo Monaco. « Alcune ri- cerche comparative sulle principali acque clorurate di Montecatini ». 81. Luscner. — V. Aronecker. M MageI. « Sull’area delle superficie curve ». 440. ManveLLI. — V. Oddo. MARANGONI. « Sul potere penetrante dei raggi X nei metalli alcalini ». 403. MaroLLI. — V. Pettinelli. MastRICcHI. « Sulla durata delle scariche elettriche rallentate nel campo magne- ticonn. 64; 171. Mazzotto. « Indice di rifrazione dell’ acqua per onde elettriche da 2 metri a 25 cm. di lunghezza ». 214; 801. MroLatI. « Sugli alogeno-platinati misti ». 143. — « Sopra alcuni prodotti d’ addizione del platonitrito potassico ». 355. — « Sulla stabilità delle immidi di acidi bibasici ». 375. Ip. e Rosst. « Sui fluoruri, fluosali e fluos- sisali dei composti cobaltammoniacali. I. La serie lutea ». 183; 223. Tp. e LortI. « Sulla preparazione della me- taxilidina vicinale ». 259. RenpIcONTI. 1896, Vor. V, 2° Sem. MontemMmarTINI. « Sull’anidride dell’ acido a-metiladipico e sul 2-metil-pentame- tilenchetone ». 228. MoxrticeLLI. «Sull’ autotomia delle Cucu- maria planci (Br.) v. Marens ». 117; 2305 Morera. È eletto Corrispondente. 79. — Ringrazia. 362 Morosow. Invia, per esame, la sua Memo- ria intitolata: « Postulat d’ Euclide, comme une propriété de l’ espace è trois dimensions ». 449. Mosso A. Presenta, per esame, una Me- moria del dott. Treves. 362. Mosso U. e OrroLENGHI. « Azione tossica dell’acetilene ». 239; 324. N Neumann. È eletto Socio straniero. 79. — Ringrazia. 362. NiccoLETTI. « Sulla trasformazione delle equazioni lineari omogenee alle deri- vate parziali del secondo ordine con due variabili indipendenti ». 66; 94. Oppo e MANUELLI. « Su un nuovo metodo di preparazione di alcune anidridi ». 191; 264. Ip. e Ampota. « Sulla stabilità dei diazo- niocomposti ». 231; 814. V. Bucca. OTtoLENGHI. — V. Mosso U. ParmierI. Annuncio della sua morte. 289; 362. PartERNÒ e Arvisi. « Intorno ad alcune reazioni dei fluoruri metallici ». 395. PETTINELLI e MaroLLI. « Sulla conducibi- lità elettrica dei gas caldi». 74; 136. Piccinini. — V. Ciamician. 58 — 454 — PresrtwicH. Annuncio della sua morte. 79; 362. — Cenno necrologico. 414. R ResaL. Annuncio della sua morte. 239; 362. Ricu. « Sui tubi produttori dei raggi X ». 47. RimatorI. — V. Ampola. Rorri. « Criptocrosi, ed altre ricerche in- torno ai raggi X ». 94. — « Un'altra esperienza di criptocrosi ». 158. Rossi. — V. Maiolati. S ScHirr. Annuncio della sua morte. 381. Sracci. « Sulla stabilità dell’ equilibrio, e sopra una proposizione di Lagrange ». 121. SimonELLI. « Intorno agli avanzi di Cocco- drilliano scoperti a S. Valentino (pro- vincia di Reggio Emilia) nel 1886 ».11. STRiver. Fa omaggio di una pubblicazione del prof. Portis. 418. T TaccHINI. « Sulle osservazioni solari fatte al R. Osservatorio del Collegio Romano durante il 2° trimestre del 1896 ». 841. — «Sulla distribuzione in latitudine dei fenomeni solari osservati al R. Osser- vatorio del Collegio Romano nel 2° tri- mestre del 1896 ». 342. TaccHInI. « Di alcune perturbazioni sismi- che del 1° novembre 1896 ». 363. — « Sulle macchie e facole solari osser- vate al R. Osservatorio del Collegio Romano durante il 3° trimestre del 1896 ». 393. — « Sulle osservazioni spettroscopiche del bordo solare, fatte al R. Osservatorio del Collegio Romano nel 8° trimestre del 1896 ». 393. Tepone. « Sulle vibrazioni dei corpi ela- stici ». 58. Treves. Invia per esame la sua Memoria : « Sulla funzione respiratoria del nervo vago n. 362. V ViLLarIi. « Dell’azione dei tubi opachi sui raggi X; del come questi scaricano i conduttori elettrizzati, e delle differenze che essi raggi manifestano quando ven- gono studiati con l’ elettroscopio e con la fotografia ». 35. — « Aggiunta alla Nota precedente ». 93. — « Della proprietà scaricatrice svolta nei gas dai raggi X e dalle scintille, e della sua persistenza nei medesimi ». 281. — « Dell’azione dell’ozonatore sui gas at- tivati dai raggi X ». 483, — 455 — INDICE DEL VOLUME V, SERIE 5°. — RENDICONTI 1896 — 2° SEMESTRE. INDICE DELLE MATERIE A AsTRonoMIA. Sulle osservazioni solari fatte al R. Osservatorio del Collegio Romano durante il 2° trimestre del 1896. P. Tacchini. 341. — Sulla distribuzione in latitudine dei fe- nomeni solari osservati al R. Osserva- torio del Collegio Romano nel 2° tri- mestre del 1896. /d. 342. — Sulle macchie e facole solari osservate al R. Osservatorio del Collegio Romano durante il 3° trimestre del 1896. /d. 393. — Sulle osservazioni spettroscopiche del bordo solare, fatte al R. Osservatorio del Collegio Romano nel 3° trimestre del 1896. /d. 393. B Biocraria. Cenno necrologico del Socio straniero J. Prestwich. G. Capellini. 414. C Cnimica. Sul metalluminato di trietilsol- fina. U. Alvisi. 407. — Sulla denitrificazione. G. Ampola ed £. Garino. 191; 346; 373. Caimica. L’ossalato di metile in criosco- pia. Zd. e Rimatori. 404. — Sopra un prodotto di addizione della santonina coll’ acido nitrico. — Azione dell’acido nitrico nella desmotropo- santonina. A. Andreocci. 149; 309. — Sul solfuro d’azoto. /d. 149; 254. — Sull’idrogenazione dei pirrodiazoli (2 .4). Id e N. Castoro. 149; 343. — Sulla composizione chimica delle Comen- diti. S. Bertolio. 74; 150. — Contribuzione allo studio micrografico di alcuni cementi italiani. Z. Bucca e G. Oddo. 351. Intorno alla costituzione delle basi che si formano dagli indoli per azione dei joduri alcoolici. G. Ciamician e A. Piccinini. 50. Azione dei joduri alcoolici sugli indoli, e comportamento delle basi risultanti. Id. e Boeris. 155. — Sulla costituzione dei derivati per ossi- dazione dell'acido santonico. L. Fran- cesconi. 107; 214. — Nuove osservazioni sul comportamento crioscopico di sostanze aventi costitu- zione simile a quello del solvente. /. Garelli. 74; 138. — Esperienze dirette a determinare la co- stituzione della tropanina e della gra- natanina, per via crioscopica. /d. 445. Sa A Cuimica. Sugli alogeno-platinati misti. A. Miolati. 143. — Sopra alcuni prodotti d’addizione del platonitrito potassico. /d. 355. — Sulla stabilità delle immidi di acidi bi- basici. /d. 375. — Sui fluoruri, fiuosali e fluossisali dei composti cobaltammoniacali. —- I. La serie lutea. Jd. e G. Rossi. 183/1229. — Sulla preparazione della metaxilidina vicinale. /d. e A. Lotti. 259. — Sull’anidride dell'acido «-metiladipico e sul 2-metil-pentametilenchetone. C'. Montemartini. 228. — Su un nuovo metodo di preparazione di alcune anidridi. G. Oddo e U. Ma- nuelli. 191; 264. — Sulla stabilità dei diazoniocomposti, /d. e G. Ampola. 231; 314. — Intorno ad alcune reazioni dei fluoruri metallici. £. Paternò e U. Alvisi. 395. Concorsi a premî. Elenco dei lavori presentati al concorso al premio San- toro pel 1896. 32. Corrispondenza relativa al cambio de- gli Atti. 32; 117; 198; 363; 418. E Elezioni di Soci. 79. F Fisica. Dell’ influenza del solvente sulla ve- locità degli joni. C. Cattaneo. 207. — Apparato completo per la Microfotogra- fia. L. Dall’ Oppio. 107; 179. — Variazione secolare dell’inclinazione ma- gnetica. G. Molgheraiter. 66. — Determinazione sperimentale della dire- zione di un campo magnetico unifor- me dalla orientazione del magnetismo da esso indotto. /d. 127. —- Risultati delle misure fatte per la de- terminazione sperimentale della dire- zione di un campo magnetico unifor- me dall’ orientazione del magnetismo da esso indotto. /d. 179; 199; 242. — Ricerche sull’inclinazione magnetica al- l’epoca etrusca. /d. 293. Fisica. Sopra un punto della teoria dei raggi catodici. A. Garbasso. 214 ; 250. — Sulla polarizzazione e depolarizzazione delle lamine metalliche sottilissime. G. P. Grimaldi e G. Platania. 74; 100. — Descrizione di alcuni semplici apparec- chi per la determinazione del peso mo- lecolare dei corpi in soluzione diluita. G. Guglielmo. 343; 395. — Sul potere penetrante dei raggi X nei metalli alcalini. C. Marangoni. 403. — Sulla durata delle scariche elettriche rallentate nel campo magnetico. F. I/a- stricchi. 74; 171. — Indice di refrazione dell’acqua per onde elettriche da 2 metri a 25 cm. di lun- ghezza. C. Mazzotto. 214; 301. — Sulla conducibilità elettrica dei gas caldi. P. Pettinelli e G. B. Marolli. 74; 136. — Sui tubi produttori dei raggi X. A. Righi. 47. — Criptocrosi, ed altre ricerche intorno ai raggi X. A. Roiti. 94. — Un'altra esperienza di criptocrosi. /d. 153. — Dell’azione dei tubi opachi sui raggi X; del come questi scaricano i con- duttori elettrizzati, e delle differenze che essi raggi manifestano quando ven- gono studiati con l’ elettroscopio o con la fotografia. £. Villari. 35. — Aggiunta alla Nota precedente. /d. 93. — Della proprietà scaricatrice svolta nei gas dai raggi X e dalle scintille, e della sua persistenza nei medesimi. /d. 281. — Dell’azione dell’ ozonatore sui gas atti- vati dai raggi X. /d. 433. FIsicA TERRESTRE. Di alcune perturbazioni sismiche del 1° novembre 1896. P. Tacchini. 363. — Diagramma del terremoto giapponese del 15 giugno 1896. G. Grablovitz. 32. FisroLogra. Alcune ricerche calorimetri- che su una marmotta. UV. Dutto. 117; 270. — Innervazione dell'esofago. YU. Arone- cker e F. Luscher. 360. — Alcune ricerche comparative sulle prin- — 457 cipali acque clorurate di Montecatini. L. Luciani, U. Dutto e D. Lo Mo- naco. 81. FistoLoGiA. Azione tossica dell’ acetilene. U. Mosso e F. Ottolenghi. 239; 324. G GeoLOoGIA. Per la geologia della Calabria settentrionale. £. Bose e G. De Lo- renzo. 79; 114. M MateEMATICA. Sulle equazioni modulari. F. Brioschi. 333. — Di alcuni invarianti relativi alle equa- zioni lineari, alle derivate parziali del 2° ordine e del loro uso. P. Burgatti. 395; 433. — Sulla successiva proiezione di una va- rietà quadratica su sè stessa. A. Del Re. 343; 365. — Sulle equazioni e derivate parziali del 2° ordine. U. Dini. 381; 422. — Sull’area delle superficie curve. G. A. Maggi. 440. — Sulla trasformazione delle equazioni lineari omogenee alle derivate par- ziali del 2° ordine con due variabili indipendenti. O. Niccoletti. 66; 94. Meccanica. Sul moto di un corpo rigido intorno ad un punto fisso. E. Levi- Civita. 3; 66; 122. — Sul moto dei sistemi con tre gradi di libertà. /d. 66; 164. — Sulla stabilità dell’equilibrio, e sopra una proposizione di Lagrange. F. Siacci. 121. — Sulle vibrazioni dei corpi elastici. 0. Tedone. 58. MetEoRoLOGIA. Valori del potenziale elet- trico dell'atmosfera a Roma. A. Can- cani. 10. MineraLogia. La Danburite ed altri mi- nerali: in alcuni pezzi notevoli di roccie antiche, tra i « blocchi erra- tici » della regione Cimina. L. Fan- tappiè. 74; 108. N Necrologie. Annuncio della morte dei Soci: Beyrich, Prestwich. 79; 362. Kanitz, Kekulè. 117; 362. Palmieri, RPesal. 239; 362. Schiff. 331; 362. P PaLeonTOLOGIA. Notizia sopra la ittiofauna sarda. D. Lovisato. 75. — Intorno agli avanzi di Coccodrilliano scoperti a S. Valentino (provincia di Reggio Emilia) nel 1886. V. Simo- nelli. 11. ParoLOGIA. Una polmonite sviluppatasi e guarita sulla vetta del Monte Rosa (altezza 4560 metri). V. Adelli. 18. — Azione dell’aria rarefatta sulla viru- lenza del diplococco della polmonite. D. Kuthy. 26. — Modificazioni che subisce il sangue nelle regioni elevate per effetto della di- minuita pressione barometrica. /d. 1Mbg75. SICH Z ZooLogia. Ulteriori studî sullo sviluppo dell’Anguilla e sul Grongo. B. Grassi e S. Calandruccio. 241. — Sull’autotomia delle Cucumaria plan: ci (Br.) v. Marens. F. S. Monticelli. J76231" AT REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCIII. 1896 SERIES È UREN Corrispondenza relativa al cambio degli Atti. | 0.0. A Te, BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. Poll REALE ACCADEMIA DEI LINCKI ANNO CCXGIII ISS SEE tO, OBINST A: RENDICONTI Classe di scienze fisiche. matematiche e naturali. Yolume V.0 — Fascicolo 2° 2° SEMESTRE Comunicazioni pervenute all’Accademia prima del 19 luglio 1896. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1896 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE sE Col 1892 si è iniziata la Serze quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matemetiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- ] Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei» qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. IL 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il avoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è mersa a carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia der Nuovi Lincei. Tomo 1-XXIIL Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. IL (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2% MEMORIE delva Classe di serenze fisiche, matematiche e naturali. 3% MEMORIE della Classe di scienze morale, storiche e filologiche Vol LVANvesva VELAVIII. Serie 3* — TransunTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — DII-XIX. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4° — RenpIcoNTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-V. (1892-96) 2° Sem. Fasc. 2°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-V. (1892-96) Fasc. 4°-5°. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume è per tutta l’Italia di L. f1@:; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni s! ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Lorscner & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico HoepLi. — Milano, Pisa e Napoh. RENDICONTI — Luglio 1896. INITHECE Glasse di scienze fisiche, matematiche e naturali. Comunicazioni pervenute all Accademia prima del 19 luglio 1896. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Villari. Dell’azione dei tubi opachi sui raggi X; del come questi scaricano i conduttori elet- trizzati, e delle differenze che essi raggi manifestano quando vengono studiati con l’elet- troscopio;-0. (con laifotografia (RS ARR a Righi. Sui tubi produttori dei raggi X . . . . - ile Sach ; Ea Ciamician e Piccinini. Intorno alla costituzione delle Ha che si EI. dagli indoli per azione dei joduri alcoolici. . . . ME PRIME co Tedone. Sulle vibrazioni dei corpi a (preti Svidal'Corrisp. Volterra) NAbECCNERESO Niccoletti. Sulla trasformazione delle equazioni lineari omogenee alle derivate parziali del secondo ordine con due variabili indipendenti (pres. dal Socio Bianchi) ©). . . .» Levi-Civita. Sul moto di un corpo rigido intorno ad un punto fisso (pres. dal Socio Beltran)» Id. Sul moto dei sistemi con tre gradi di libertà (pres. 24.) (8). 00.0. BIN TI) Folgheraiter. Variazione secolare dell’ inclinazione magnetica (pres. dal Socio Blast » Pettinelli e Marolli. Sulla conducibilità elettrica dei gas caldi (pres. 4) ©... Mastricchi. Sulla durata delle scariche elettriche rallentate nel campo magnetico (pres. /4.) ($) » Grimaldi e Platania. Sulla polarizzazione e depolarizzazione delle lamine metalliche sotti- lissime (pres: MAU) Si VR RE E I BABPr ER dt Sgt Garelli. Nuove osservazioni sul comportamento cerioscupico di sostanze aventi cosi n simile a quella del solvente (pres. dal Socio Ciamician) (È)... - RO, Fantappiè. La Danburite ed altri minerali: in alcuni pezzi notevoli di rocce anche) tra i « blocchi erratici » della regione Cimina (pres. dal Socio Struever) (8)... 0.03 Bertolio. Sulla composizione chimica delle Comenditi (pres. dal Socio Cossa) (8). 0/0» Lovisato. Notizia sopra la ittiofauna sarda (pres. dal Socio Capellini) . . . . ” Bòse e De Lorenzo. Per la geologia della Calabria settentrionale (pres. dal Corrisp. Pato) O) 5) PERSONALE ACCADEMICO Annuncio della morte dei Soci stranieri Giuseppe Prestwich ed Enrico Ernesto Beyrich. > ELEZIONE DI SOCI Risultato delle Elezioni nella Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. Nomine dei signori: Briosi Giovanni a Socio nazionale; JIorera Giacinto a Corrispondente; Meu mann Carlo Goffredo, Gyldén Giovanni Augusto Ugo, Boltamann Luigi, Cornu Maria Alfredo a'Soci stranieri. PAS ao e LEM IR (*) Queste Note saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. » AI I REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCIII. 1896 Stelio QUI IN: "L'A RENDICONTI Classe di. scienze fisiche. matematiche e naturali. Volume V.° — Fascicolo 3° 2° SEMESTRE Comunicazioni pervenute all'Accademia prima del 2 agosto 1896. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1396 rca ll rin crei i E Ri i c.c irritati “toe ra ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE JE Uol 1892 si è iniziata la Sere quirta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matemetiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- 1 Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 8. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suv carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. IL 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il avoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra: ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre: cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un rumero di copie in più che fosse richiesto, è messa a carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1 — Atti dell’Accademia pontificia der Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. 1. (1873-74). Vol. Il. (1874-75). Vol. ITl. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 22 MemMoRIE delia Classe di screnze fisiche, matematiche e naturali 3? MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol dv. V. VI VILO VIIL Serie #2 — TransuntiI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di setenze fisiche, matematiche © naturali. Vol. I (1,2). — IL (1, 2). — II-XIX. MemoRrIE della Classe di scienze morali, storiche e flologiche. Vol. I-XIII. Serie 42 — RenpIcoNTI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I-VII. MemORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. I-X. Serie 54 — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturale. Vol. I-V. (1892-96) 2° Sem. Fasc. 3°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologeche. Vol. I-V. (1892-96) Fasc. 4°-5°. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. lì prezzo di associazione per ogni volume e per tutta PItalia di L. f®; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Lorscner & C.° — ftoma, Torino e Firenze. ULrico Hoerri. — Milano, Pisa e Napoli. Para vet RENDICONTI — Agosto 1896. IND'ECE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Comunicazioni pervenute all'Accademia prima del 2 agosto 1896. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Luciani, Dutto e Lo Monaco. Alcune ricerche comparative sulle principali acque clorurate di Montecatini. . . REN A O. Villari. Aggiunta alla Ng Dion dei tubi opachi sui raggi X; del come questi sca- ricano i conduttori elettrizzati, e delle differenze che essi raggi manifestano quando yven- gono studiati ‘con lelettroscopio e con laffotoprafia. °F Roiti. Criptocrosi, ed altre ricerche intorno ai raggi X (*) . . . . . HARSSRGRE, Niccoletti. Sulla trasformazione delle equazioni lineari omogenee alle derivate ini del secondo ordine con due variabili indipendenti (pres. dal Socio Bianchi). . . . 0.» Grimaldi e Platania. Sulla polarizzazione e depolarizzazione delle lamine metalliche sotti- lissime (pres. dal Socio Blaserna) . . so 0 CORTI Dall'Oppio. Apparato completo per la Miri ursfia (n Id) (8). VSS Su, Francesconi. Sulla ri dei derivati per ossidazione dell’acido santonico rs dal Socio Cannizzaro) (IMI MN Re a OI RINO SE PEN Fantappiè. La Danburite n altri Duce in alcuni pezzi notevoli di rocce antiche, tra i « blocchi-erratici » della regione Cimina (pres. dal Socio Struever). . . o» Bose e De Lorenzo. Per la geologia della Calabria settentrionale (pres. dal Corrisp. Ban » Monticelli. Sull’autotomia delle Cucumaria planci (Br.)v. Marens (pres. dal Socio Zri- CHESE) ART) 0 E Rice CO » Kuthy. Modificazioni che Ea, il sangue di regioni SE: per | effetto della digita pressione barometrica (pres. dal Socio Mosso) (*) . ./.. SESTO) Dutto. Alcune ricerche calorimetriche su una marmotta (pres. dal Socio Tag) cs). SOI PERSONALE ACCADEMICO Annuncio della morte dei Soci stranieri Augusto Kanitz ed Augusto Kekulé . . . . . » CORRISPONDENZA Corrispondenza relativa al icambio de AR RR BULLETTINO: BIBLIOGRAFICO| {i PIT I VO OT N I EE (*) Questo lavoro sarà pubblicato nei volumi delle Memorie. (**) Queste Note saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. 81 AT DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI RENDICONTI Classe di scienze fisiche. matematiche e naturali. d Volune V.° — Fascicolo 4° 2° SEMESTRE Comunicazioni pervenute all Accademia prima del 16 agosto 1896. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1996 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE IE Uol 1892 si è iniziata la Serte quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. oltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i W'endiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matemetiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- I Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1 Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il avoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 2) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro: posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corri-pondenti, 50 se estranei. La spesa d: unrumero di copie in più che fosse richiesto, è mersa a carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Serie 12 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXTV-XXVI. Serle 2 — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76) Parte 1% TRANSUNTI 2 MEMORIE dela Classe di screnze fisiche, matematiche e naturali 33 MEMORIE della Classe dr scerenze morali, stor:che e filologiche WolSoEV. Vo VIE VIE SVIII. Serie 34 — TransUnTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche © naturali Vol Ik) — 05 052). — INTE. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e rilologiche Vol. I-XIIIL Serie 4° — RenpIconTI Vol. I-VII. (1884-91). MeMoRIE della Classe di sciense fisiche, mutemutiche e naturali Vol. I-VII. MemorIE della Classe di serenze morali, storiche e filologiche Vol. I-X. Serie 5* - RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I-V. (1892-96) 2° Sem. Fasc. 4°. RENDICONTI della Classe di screnze morali, storiche e filologrche Vol. I-V. (1892-96) Fasc. 6°-7°. MemoRIE della Elasse di sciense fisiche, matematiche e naturali. Vol. I MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-II. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. ll prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. 19: per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni s! ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Loescner & (.° — fioma, Torino e Firenze. ULrico HoepLi. — Aliluno, Pisa e Napoli. > STIRO IRA TE RETI N A I RT IL =__r_->r__ i 1.1iiic RE nem SBN, ? Srna. AS IIEITTS I: E EROE Pte VARI EPTORT IO e 4 RR a è RECRIE GC ai SERENA A } iÀ 14 ta] LI di if ii | Il RO | RENDICONTI — Agosto 1896. [INDIEGE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Comunicazioni pervenute all'Accademia prima del 16 agosto 1896. || MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Stacci. Sulla stabilità dell’equilibrio, e sopra una proposizione di Lagrange . . . . Pag. 121 Levi-Civita. Sul moto di un corpo rigido intorno ad un punto fisso (pres. dal Socio Beltrami)» 122 Folgheraiter. Determinazione sperimentale della direzione di un campo magnetico uniforme dall’orientazione del magnetismo da esso indotto (pres. dal Socio Blaserna) . . . . » 127 Pettinelli e Marolli. Sulla conducibilità elettrica dei gas caldi (pres. /d.). . . ..... » 136 Garelli. Nuove osservazioni sul comportamento crioscopico di sostanze aventi costituzione simile a quella del solvente (pres. dal Socio Ciamician) . . . . +... 0.0. + » 138 Miolati. Sugli alogeno-platinati misti (pres. dal Socio Cannizzaro). . . 0...» 1438 Andreocci. Sopra un prodotto di addizione della santonina coll’acido nitrico. — Azione del- l’acido nitrico nella desmotroposantonina (pres. Id.) ©). 0. 149 TINS UE sofarordiazotog (pres 2/0) 6) SS e < AR po Id. e Castoro. Sull’idrogenazione dei pirrodiazoli (2 . 4) (pres. HA) ( d Mt, Bertolio. Sulla composizione chimica delle Comenditi (pres. dal Socio Cossa). . . . . » 150 ì .(*) Queste Note saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINORE ANNO CCXCOIII. 1896 SERIE QUINTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume V.° — Fascicolo 5° 2° SEMESTRE Comunicazioni pervenute all’ Accademia prima del 6 settembre 1896. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI. 1896 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE IL Uoi 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- I Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione,. essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. IL 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il avoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. Laspesa di unrumero di copie in più che fosse richiesto, è messa a carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2% MEMORIE dela Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 8* MEMORIE della Classe di scienze morali, RE storiche e filologiche Vol. IV. V. VI. VII. VIII. Serie 3* — TransuntI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e natural. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpIcoNTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. on Peli Classe di scienze morali, storiche e filologiche. OL I-A. 4 Serie 58 - RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-V. (1892-96) 2° Sem. Fasc. 5°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-V. (1892-96) Fasc. 6°-7°. Eros Ma Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MeVoL. I i MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-III. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI —_ — 1 ————_m_m I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- «denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume è per tutta l'Italia di L. f1®; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti «editori-librai : Ermanno Loescner & C.° — Roma, Torino e Firenze. Utrico Hoepi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Settembre 1896. FRIDA GE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Comunicazioni pervenute all'Accademia prima del 6 settembre 1896. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI] Roiwti. Un'altra esperienza di .criptocrosi . «@f- .--. RARO Ciamician e Boeris. Azione dei joduri alcoolici sugli indoli e comportamento delle basi ri- sultanti 0. al ae ne e e e IONE RO Levi-Civita. Sul moto dei sistemi con tre gradi di libertà (pres. dal Socio Beltrami). . » Folgheraiter. Risultati delle misure fatte per la determinazione sperimentale della direzione di un campo magnetico uniforme dall’orientazione del magnetismo da esso indotto (pres. dal Socio Blaserna) ©) ile. REA Mastricchi. Sulla durata delle scariche elettriche rallentate nel campo magnetico (pres. /9.) . » Dall’Oppio. Apparato completo per la Microfotografia (pres. Id.) . LL...» Miolati e Rossi. Sui fluoruri, fluosali e fluoossisali dei composti cobaltammoniacali. — I. La Serie lutea (pres. dal''Socio(Carn:zzar)e 0 EE Oddo e Manuelli. Su un nuovo metodo di preparazione di alcune anidridi (pres. /d.) (®). » ‘Ampola e (Garino.Sullatdemtrificazione (pres t4/0.) (0) TRAE Kuthy. Modificazioni che subisce il sangue nelle regioni elevate per effetto della diminuita pressione, barometrica (pres: dal Socio qM0ss0)} (L.A eo CORRISPONDENZA Corrispondenza relativa alicambio (degli Ate RI nn BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. (*) Queste Note saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. 153 155 198- SP REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCOIII. 15396 SEE: O, UPEN TCA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume V.° — Fascicolo 6° 2° SEMESTRE Comunicazioni pervenute all'Accademia prima del 20 settembre 1896. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1896 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I. Col 1892 si è iniziata la Serze quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. Il 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il avoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 38. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un rumero di copie in più che fosse richiesto, è mersa a carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1® — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2° MEMORIE delta Classe di scienze fisiche, E matematiche e . 3% MEMORIE della Classe di scienze morale, storiche e flologiche Vol. IV. V. VI. VII. VIII. Serie 3* — Transunti. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e natural. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIIIL Serie 4* — RENDICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. pe ione e Classe di scienze morali, storiche e filologiche. ol. I-X. Serie 54 - ReNDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-V. (1892-96) 2° Sem. Fasc. 6°. ReNDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-V. (1892-96) Fasc. 60-70, e AE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. ol. IL one dalla Classe di scienze morali, storiche e filologiche. ol. I-l —_—_—_—_—______ — — «CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume è per tutta fItalia di L. 19; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LoescHer & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico Hoeri. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Settembre 1896. INIDINECE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Comunicazioni pervenute all'Accademia prima del 20 settembre 1896. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Folgheraiter. Risultati delle misure fatte per la determinazione sperimentale della direzione di un campo magnetico uniforme dall’orientazione del magnetismo da esso indotto (pres. dal Socio Blaserna) 0.00, 204 ee E o) Cattaneo. Dell’influenza del solvente sulla velocità degli joni (pres. Id.) . . 0...» Garbasso. Sopra un punto della teoria dei raggi catodici (pres. dal Corrisp. Naccari) 0). » Mazzotto. Indice di rifazione dell’acqua per onde elettriche da 2 metri a 25 cm. di lunghezza (pres. Z0.) (i e e RO CA Francesconi. Sulla costituzione dei derivati per ossidazione dell'acido santonico (pres. dal Socio Cannizzaro) . gra Miolati e Rossi. Nuove ricerche sui fluoruri, fluosali e fluoossisali dei composti-cobaltammo- niacali..— sala gscnie uteaf(Press/4)) RM VISA AO Montemartini. Sull’anidride dell’acido «-metiladipico e sul 2-metil-pentametilenchetone (pres. dal Corrisp. Balbiano) . TE ono Oddo e Ampola. Sulla stabilità di alcuni diazoniocomposti (pres. dal Socio Canzizzaro) (*) » Monticelli. Sull’autotomia delle Cucumaria planci (Br.) v. Marenz (pres. dal Socio Trin- chese) . U. Mosso e Ottolenghi. Azione tossica dell’acetilene (pres. dal Socio A. Mosso) ©). . . » PERSONALE ACCADEMICO Annuncio della morte del Corrisp. Luigi Palmieri e del Socio straniero Enrico Resal . » (*) Queste Note saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. ST e | DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINORI ANNO CCXCIII. 1896 STEREO, IUSoN: TA. RENDICONTI Classe di scienze ehe mallilitiche e naturali. Volume V. — Fascicolo 7° 2° SEMESTRE Comunicazioni pervenute all’ Accademia prima del 4 ottobre 1896. } ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1896 ii ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I. Col 1892 si è iniziata la Serte quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il avoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casì, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. o, L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è mersa a carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Aiti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI 2° MEMORIE delia Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morale. storiche e flologiche Mel IV. Vo VI VIE VII. Serie 3* — Transunti. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4° — RenpICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturale. Vol. I-VII. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. I-X. Serie 5* - RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturale. Vol. I-V.-x1892-96) 2° Sem. Fasc. 7°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-V. (1892-96) Fasc. 80-90. MemorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-IH. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume è per tutta l'Italia di L. 1@; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LoescHer & C.° — ftoma, Torino e Firenze. ULrico HoerLi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Ottobre 1846. ENADAREsI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Comunicazioni pervenute all’Accademia prima del 4 ottobre 1896. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Grassi e Calandruccio. Ulteriori studî sullo sviluppo dell'Anguilla e sul Crono Rap Folgheraiter. Ancora sui risultati delle misure fatte per la determinazione sperimentale della direzione di un campo magnetico uniforme dall’orientazione del magnetismo da esso in- dotto (pres. dal''Socio Blaserna). Vee Garbasso. Sopra un punto della teoria dei raggi catodici (pres. dal Corrisp. Maccari). . » Andreocci. Sul solfuro d'azoto (pres. dal Socio Cannizzaro) . . ..\ °° Miolati e Lotti. Sulla preparazione della metaxilidina vicinale (pres. Id.) . 0.0» Oddo e Manuelli. Su un nuovo metodo di preparazione di alcune anidridi (pres. Id). . » Dutto. Alcune ricerche calorimetriche su una marmotta (pres. dal Socio Zuciazi) . . . » BULLETTINO: BIBLIOGRAFICO! (i... I a 241 249 250 254 259 264 270 278 0 Je DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCIII. 1SS6 Str EQ UNI 5] A; RENDICONTI Classe di scienze fisiche. matematiche e naturali. Volume V.° — Fascicolo 8° 2° SEMESTRE Comunicazioni pervenute all’ Accademia prima del 18 ottobre 1896. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL C.V. V. SALVIUCCI 1896 E ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE TE Col 1892 sì è iniziata la Serze quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- ] Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. IL 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il avoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un rumero di copierin più che fosse richiesto, è mersa a carico degli autori. RIT SL O RO VITO, TOT ENA Pubblicazioni della R. Aecademia dei Lincei, Serie 1® — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 13 TRANSUNTI. 2% MEMORIE delia Classe di screnze fistche, matematiche e naturale. 3 MEMORIE della Classe di scienze morali. storiche e flologiche WaSLVvi: VeVWio VII aVILE Serie 3* — TransunTi. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. MeMoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4° — RenpICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* - RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-V. (1892-96) 2° Sem. Fasc. 8°. ReNDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-V. (1892-96) Fase. 80-9°. MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-III. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume è per tutta l'Italia di L. f9; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni sì ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LoescHer & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico HoepLi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Ottobre 1896. FNDIC.E Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Comunicazioni pervenute all'Accademia prima del 18 ottobre 1896. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Villari. Della proprietà scaricatrice svolta nei gas dai raggi X e dalle scintille, e della sua persistenza mei medesimi... 0... a Folgheraiter. Ricerche sull’inclinazione magnetica all’epoca etrusca (pres. dal Socio Blaserza) » Mazzotto. Indice di rifrazione dell'acqua per onde elettriche da 2 metri a 25 cm. di lunghezza (presi. dal‘Corrisp. Naccn)i i RR Andreocci. Sopra un prodotto di addizione della santonina coll’acido nitrico. — Azione del- l’acido nitrico sulla desmotroposantonina (pres. dal Socio Cannizzaro) . . . ... » Oddo e Ampola. Sulla stabilità di alcuni diazoniocomposti (pres. Id.) . . °°...» Brizi. Sul disseccamento dei germogli del gelso (pres. dal Corrisp. Pirotta) . . /./.. » Mosso U. e Ottolenghi. Azione tossica dell’acetilene (pres. dal Socio A. Mosso) . . . . » PERSONALE ACCADEMICO Annuncio della morte del Socio straniero Maurizio Schifi. <.<... 281 293 301 309 314 320 324 361 lia REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCIII 1896 SERIES E tes: UBESN ‘DA. RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 1° novembre 1896. Volume V.° — Fascicolo 9° 2° SEMESTRE ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1896 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE [ Col 1892 sì è iniziata la Serte quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1.1 Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matemetiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. Il 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il avoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un rumero di copie in più che fosse richiesto, è messa a carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2% MEMORIE dela Classe di screnze fisiche, matematiche e naturali 32 MEMORIE della Classe di scienze morala, storiche e flologiche WelSLV VecVWI eV. VIN: Serie 3* — TransUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. MeMmoRIE della Classe di scienze morali, storiche e flologiche. Vol. I-XIII. Serie 4° — RenpIcONTI Vol. I-VII. (1884-91). MemorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologrche. Vol. I-X. Serie 52 - RENDICONT!. della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-V. (1892-96) 2° Sem. Fase. 9°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. I-V. (1892-96) Fasc. 10°. MemorIE della Classe di sciense fisiche, matematiche e naturali. Vol. I MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-III. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. li prezzo di associazione per ogni volume è per tutta l'Italia di L. f0; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LoescHeErR & C.° — ftoma, Torino e Firenze. ULrico Hoepi. — Milano, Pisa e Napoh. RENDICONTI — Novembre 1896. ENDIECE Glasse di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 1° novembre 1896. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Brioschi. Sulle equazioni modulari. . . . . Pag. 333 Tacchini. Sulle osservazioni solari fatte al R. ostiono del (Colegio Roasio durante il 2° trimestre del 1896... . Sito een BAL Id. Sulla distribuzione in latitudine dei Tenor solari csrciati al R. Osa del Col- legio Romano nel 2° trimestre del 1896... . . . QUro SNTTOAZ Del Re. Sulla successiva proiezione di una varietà TRARNE su sè ni res. te Socio SU) , E Re enim 343 Guglielmo. Descrizione di Si cipldi ani per la denti Ge peso mole- colare dei corpi in soluzione diluita (pres. dal Socio Blaserna) (8). . Lo» Andreocci. e Castoro. Sull’idrogenazione dei pirrodiazoli (2.4) (pres. dal Socio Cannizzaro) » » Ampola e Garino. Sulla denitrificazione (pres. Id.) . . . . sar 1946 Bucca e Oddo. Contribuzione allo studio micrografico di SI come italiani desi Id.)» 351 Miolati. Sopra alcuni prodotti d’addizione del platonitrito potassico (pres. /d.) . . . . » 855 Kronecker e Luscher. Innervazione dell’esofago (pres. dal Socio A. Mosso). . . . .. » 360 MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Treves. Sulla funzione respiratoria del nervo vago (pres. dal Socio Mosso). . . . . . » 362 PERSONALE ACCADEMICO Brioschi (Presidente). Annuncia ]a perdita fatta dall'Accademia nelle persone del Corrisp. Palmieri e dei Soci stranieri; Prestwich, Beyrich, Kanite, Kekulè, Resal, Schifit. . » > Blaserna (Segretario). Comunica le lettere di ringraziamento di vari Socî di nomina recente » > PRESENTAZIONE DI LIBRI Blaserna (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono; segnalando quelle inviate dai Socî: Lorenzoni, Schiaparelli, Abetti, Riccò, Auwers, Boussinesg, Gegenbaur, Kolliker n 363 Cremona. Presenta una pubblicazione del Socio straniero Sophus Lie e ne parla . . . » » CORRISPONDENZA Tacchini. Dà notizia di alcune perturbazioni sismiche del 1° novembre 1896... ..» » Blaserna (Segretario). Dà comunicazione di una lettera di ringraziamento del Socio straniero Tordi Aelvin ii i e e Re RI Ia II RR OT SCCI TOO «OR IAU Corrispondenza\irelativa al/cambio de RAR Re RR Re BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. (*) Queste Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. | ‘CoaaP. DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCIII. 1896 Sto QUEEN TA. . RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche © naturali. Seduta del A5 novembre 1896. Volume V.° — Fascicolo 10° 2° SEMESTRE ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1896 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE L Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- | Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei- qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa, è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni*verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. Il 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il avoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 2) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- | mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è mersa a carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. ° Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2% MEMORIE delta Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 32 MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e flologiche Vol IV: Vv. VI:- VIN VILLE Serie 3* — Transunti. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. MemorIE della Classe di scienze. morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpicontTI Vol. I-VII. (1884-91). MemorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRIE «della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* - ReNDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-V. (1892-96) 2° Sem. Fase. 10°. RenDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-V. (1892-96) Fasc. 10°. MemorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiîche. Vol. I-III. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. ll prezzo di associazione per Dig volume è per tutta l’Italia di L. £®; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LoescHerR & C.° — Roma, Torino e Firenze. Urrico HoepLi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Novembre 1896. INDICE | È Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 15 novembre 1896. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Del Re. Sulla successiva proiezione di una varietà quadratica su sè stessa (pres. dal Socio Siacck) vili Dr OA RR RE a Ampola e Garino. Sulla denitrificazione (pres. dal Socio Cannizzaro) . ....... +.» 373 Miolati. Sulla stabilità delle immidi di acidi bibasici (pres. Id.) . . ... 0...» 879 PRESENTAZIONE DI LIBRI Cerruti. Fa omaggio di una pubblicazione del Corrispondente F. Cesàro . . . ... . n 380 Il REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCOIII. 1896 > Bi Eb. WENT LA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 6 dicembre 1896. Volume V.° — Fascicolo 11° 2° SEMESTRE ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1896 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I Col 1892 si è iniziata la Serte quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 8. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. I 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro= priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il avoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5.L’Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è mersa a carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1 — Atti dell’Accademia pontificia der Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2» MEMORIE delta Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3% MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche WelEREV- Vv. VIS:VIE VII Serie 3* — TransunTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4° — RenpICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MEMORIE della Classe- di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* - RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-V. (1892-96) 2° Sem. Fase. 11°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-V. (1892-96) Fasc. 10°. MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-II. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume è per tutta l'Italia di L. #0; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LorscHer & C.° — Roma, Torino e Firenze. Urrico HoepLi. — Milano, Pisa e Napoh. RENDICONTI — Dicembre 1896. ; INDUGE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 6 dicembre 1896. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Dim. Sulle equazioni e derivate parziali del'’2°%ordine. 001 AMM 3: Tacchini. Sulle macchie e facole solari osservate al R. Osservatorio del Collegio Romano durante il 3° trimestre del 1896. . . . . Sa Id. Sulle osservazioni spettroscopiche del bordo a fatte "I R. n dal Collegio Romano nel 3° trimestre del 1896. . . . ME I Paternò e Alvisi. Intorno ad alcune reazioni dei finivari maia (ie ie Burgatti. Di alcuni invarianti relativi alle equazioni lineari alle derivate parziali del 2° ordine e del loro uso (pres. dal Socio Cerruti) ®). . . . . panta, Guglielmo. Descrizione di alcuni semplici apparecchi per la dee ngn dadi peso moleco- lare dei corpi in soluzione diluita (pres. dal Socio Blaserna). Marangoni. Sul potere penetrante dei raggi X nei metalli alcalini ai Id). SL ESAMNENE 9 Ampola e Rimatori. L’ ossalato di metile in crioscopia (pres. dal Socio Patern0). . . . » Alvisi. Sul metalluminato di trietilsolfina; (pres. 10) << |<. Lr Mte®* PERSONALE ACCADEMICO Brioschi (Presidente). Annunzia la perdita fatta dall'Accademia nella persona del Socio stra- niero Gyldéne. +... +. Sante % I rt ST) Capellini. Legge un cenno cio del “Ho a Pei AR co PRESENTAZIONE DI LIBRI Blaserna (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle inviate dai Soci: Capellini, Nasini, Righi e dal prof. Favaro. Presenta inoltre il vol. VI delle Opere di Galileo Galilei e gli ultimi fascicoli del « Trattato di ottica fisiologica » del defunto Socio Helmholta . . . . Li RE Beltrami. Presenta una subbiitazione del prot Di e ne niclal CELL e A ETAGR een OnTNR Struver. Fa omaggio di una pubblicazione del prof: Portis i... Cannizzaro. Presenta alcune pubblicazioni del prof. Caruso... 0/0 CORRISPONDENZA Blaserna (Segretario). Dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti . . . » BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. (*) Queste Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. 413 414 wi Clo PS Ma Daa REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCIII. ISEE Seo e QIUREN TLA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 20 dicembre 1896. Volume V.° — Fascicolo 12° e Indice del volume. 2° SEMESTRE ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1896 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I Col 1892 si è iniziata la Serte quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matemetiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie prc» priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il avoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale sì avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un rumero di copie in più che fosse richiesto, è mersa a carico degli autori. RENDICONTI — Dicembre 1896. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 20 dicembre 1896. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Dini. Sulle equazioni e. derivate ‘parziali! dell29 ordine. 0. 0. La. + +0. + + Pag. Villari. Dell’azione dell’osonatore sui gas attivati dai raggi X (®). 0.0.0...» purgatti. Di alcuni invarianti relativi alle equazioni lineari alle derivate parziali del 2° ordine egdelaloroguson@)restadali Socio nt@enzuP)o: i via e e Maggi. Sull’area delle superficie curve (pres. dal Socio Dini) . 0.0.0... Garelli. Esperienze dirette a determinare la costituzione della tropanina e della granatanina perla crioscopica (pres. (a nome, del'’Socto G. Cramician) (i. MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI J. Morosow. « Postulat d’Euclide comme une propriété d’espace è trois dimensions » (pres. dal SESTRI OA] ASCENSORE BE N I OLII Lr [mire erdelsvoRRVen208semestre l69 6 e pi 449 451 —— == —————— =: Liu — =_= = - ITA PA el È È (*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. a de Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell’Accademia pontiticia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III (1875-76). Parte 12 mune 2* MEMORIE dela Classe di serenze fistche, matematiche e naturali. 3° MEMORIE della Classe di scienze moral. storiche e filologiche VolsIV ve AVA SSVI avete Serie 3» — TransUnTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII Serie 4* — RenpICcONTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze CIO matematiche e naturale. Vol. I-VII. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e flologiche Vol. I-X. Serie 5* - RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-V. (1892-96) 2° Sem. Fasc. 12°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-V. (1892-96) Fasc. 10°. i MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. i Vol. I | MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-III. \ CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume è per tutta l'Italia di L. f®; per gli altri paesi Te spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LorescHer & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico HoepLi. — dar: Lisa e _Napoli. ‘5agl ye Pla A J Ù x CI . Do Ù i % ì Ù Ei î è i . È \ \ DA | 0 n ) Re a i A 1: " cia Rari IR ETTE SL AGO NO PI] vin "ROTA Dai PRETI dir 7 5 ° i 3 seni ia à - Sica Sr d = nia : e A attico în cia Î, È ki tas > 3 A È > vi » POE FTA nu A, < . di # ill | INN 8613 | | | RR SESTA de TI) INSTITUTION 3 9088 01356 Il ro poten A Ria A Megna fut Ae = na pre Spr prora ad DI 2 x tà © deli t VIRATA ie Ta cao atti RIE i e, Le rendi i È 200% sAtose Sdi it 'aruptecnni na : 5 iii fe iovaza tata sentare toner AVERI IIIAS IILITRN E ASCII act, RETE o Sepe TEI SIUSI MAIO TTI IGO 7 è ritieni