Cern ale SLI dae test: ue pa Td, detta Faria PRA nenti citati Auses. TREIA Pri ho dreamer Pri Miao dota CERTA SASA Patristica et EAr era Lari voro vidi nisi di felt, Sv dati dala ira tenta TE Tarenipi ATepinina METRI AE iatoai ATTI nt PA DtinDeta Er macina RA Selena citi, immette notti cimici Rae rat indizio ate partie hai ata os FA iaia inanda rain tn ila a I È HARVARD UNIVERSITY LIBRARY OF THE Museum of Comparative Zoology ETA Pty CI LE, il FI, DA becci (MY 3 101 4 ANNO TI. lo GENNAIO-FEBBRAIO 1901 N13. BU RIVISTA SI | é DI tie: Ù LEG h/agN iologia generale, Collaboratori : A. FOREL E. HAECKEL E. HERING J. LUBBOCK C. RICHET R. WIEDERSHEIM TA. BORZIÌ - G. CATTANEO - F. DELPINO - C. EMERY - G. FANO (B. GRASSI - C. LOMBROSO - L. LUCIANI - E. MORSELLI - A. MOSSO R. PIROTTA - G. ROMITI - G. SERGI - F. TODARO - T. VIGNOLI : Redattore: Dott. PAOLO CELESIA È : i i ‘ SOMMARIO . AI lettore. - : È ì ; È 3 ..... — LA RepazIONE. Pag. 1 Critinue des expériences faites dès 1887 avec quelques i nouvelles expériences - ì 3 ; 3 . — A. FoREL » 7 Sociologia zoologica : 4 i È i x . —— ASTURARO » 69 . La psicopatologia nel complesso delle altre indagini psicologiche —. ; i : : ; : . — F. peL GRECO vt 80 s NOTE E COMUNICAZIONI + Cure parentali nei pesci . 3 — R. WIEeDbERSHEIM. » 102 Di un solco trasverso del lobo parietale, costantemente rappresentato nell’ uomo - Comunicazione preven- tiva - (con 3 figure interealate) È ; F . — LEGGIARDI-LAURA 104 _ A proposito di assimilazione e riproduzione 3 — E. GiGLIO-Tos » 105 RASSEGNA BIOLOGICA I. FISIOLOGIA COMPARATA E GENERALE. — Ergelmann: Dell azione del nervo vago sul ata cuore. - Charpentier : Fisiologia della retina. - Dupuy: Effetto della lesione del corpo restiforme sui movimenti del globo oculare. - Calmette: Meccanismo dell’ immunità contro gli alcaloidi. - < Burian et Sehur: Le purine nello scambio materiale. - IT. ANTROPOLOGIA GENERALE. — Ohamberlain: L'infanzia al lume della teoria evolutiva. - Antonini: Studio su Donizetti. - Ferriani: Delinquenza precoce e senile. - Charrin: Influenza delle diatesi materne sulla prole. - Sperino: Descrizione morfologica dell'encefalo del prof. Carlo Giacomini. - Proal: Le crime et le suicide passionels. - Wilder: Di una pretesa duplicità della scissurà di Rolando. ; HI. PSICOLOGIA. — Mach: Analisi delle sensazioni. - Tanzi: Il tempo latente e Il energia delle 7 reazioni volontarie. - Trombetta e -Ostino : I sensi ed illoro compenso nei sordomuti e nei ciechi, - Begey: Del lavoro manuale educativo. - Peckan: Istinto o ragione? - Oyon: Il senso dello Spazio nei « topi danzanti » giapponesi. - Jourdain : L’ audizione negli invertebrati. - £0wrnoy : Dalle Indie al pianeta Marte. Un caso di sonnambulismo e vlossolalia. IV. QUESTIONI VARIE DI BIOLOGIA. — Schockaert: Maturazione degli ovociti. - Herbst: Azione : dell’acqua priva di ealcio sulle uova di Echini. - Driesch: Sviluppo di blastomeri isolati di Echini. - Driesch: Studii sopra ìl potere regolativo degli organismi.- Batwillon: La partenogenesi sperimentale. - Féré : Teratogenia sperimentale. - Zoisel : Incubazione di uova private dal loro guscio. - Gaskell: Origine dei vertebrati. - Osborn: Di un ceppo comune dinosauro-aviano ‘nel permiano. - Delpino: Comparazione biologica di due flore estreme artica ed antartica, - Zssel : Sag to sila fauna termale italiana. - Morton Wheeler: Nuovo insetto mirmecofilo. - Cannon + i Gallo dei pini. - Richet : Carattere distintivo del regno vegetale e del regno animale. ; ‘VW. FAPTORI DELLA bVOLUZIONE. — Pozzi Escot : Della specificità cellulare. - Viguier: Teoria di Loeb sopra la fertilizzazione chimica delle uova. - Nieloua: Permeabilità delle ghiandole va genitali per l'alcool. - Davenpori Variabilità negli statoblasti dei briozoi. - Higemmann : Casi di Pr Variazioni saltuarie. - De Vries: Origine sperimentale di una nuova specie vegetale. - Penmi è Repetto: Rapporti fra regime alimentare e svilagpo del tubo gastrico-enterico. A FRATELLI BOCCA BEDTTERI e ‘Torino-Milano-Firenze-Roma x Direzione della Rivista : Amministrgzione della Rivista : Dott. PAOLO CELESIA FRANELLI BOCCA Como, Villa Celesia. Torino, Via Carlo Alberto, 3. pen } x Condivioni d'Abbonamento; La Rivista di Biologia generale uscirà in fascicoli mensili di al- meno 80 pagine, costituendo nell’ annata un volume di complessive 1000 pa- ‘gine circa, e, ove occorrano, con illustrazioni e tavole. Abbonamento annuo per l Italia TER È Ran L. 20 — » » per gli Stati dell’Unione Postale . —» 22— e > © per gli alini Stati ;;-\/ . © >» 25—- VELATO Il prezzo di ciascun fascicolo semplioe è di L. 2.-— NEI "O f) Apéi AL pid renti dirigersi all’ Amministrazione : FRATELLI BOCCA, (| |ominog Tix fdrlo Alberto, 3. 7 # Condizioni di collaborazione : La Redazione, accettando un lavoro per la pubblicazione nella Rivista : 1) Non ne assume la responsabilità scientifica. - 2) Se si tratti di articoli originali, ne retribuisce l'A. in ragione di L. 60 per foglio di stampa di 16 pagine, concedendo inoltre 100 estratti con copertina semplice. Chi rinuncia agli estratti viene invece retribuito in ragione di L. 70 per foglio di stampa. 3) Non restituisce i manoscritti. Recentissime pubblicazioni : Cesare Lombroso LE CRIME Causes et remèdes. Un vol. di VII-583 con numerose fig. e 10 tav. L. 10. — Edit. SCHLEICHER Frères - Paris, Rue Saint Pères, 15. WILLIAVWI PAWMES Trattato di Psicologia Traduzione con aggiunte relative alla Psicopatologia e alla Psichiatria forense ‘del Dr. G. C. FERRARI Diretta e riveduta dal Prof. A. TAMBURINI L’ opera consterà di un volume in-8 di 1000, e sarà pubblicata a fascicoli di pag. 48. Sì pubblicheranno puntate di vari fascicoli. - Edit. Società Editrice Libraria, Milano (Via Disciplini). i Prezzo di ciascun fascicolo L. 1. — PESO na Le LUIGI LUCHANI Fisiologia dell’ Uom L’ opera completa formerà due volumi riccamente illustrati, di circa 800 pa- gine cadauno e sì pubblicherà a fascicoli di pagine 40 nella misura media di uno al mese. — Milano, Società Edit. Libraria, Via Disciplini, 15. Prezzo di ogni fascicolo Js Ù (sono pubblicati è primi 14). soir di “ è i MAY 3 1901 RIVISTA DI BIOLOGIA GENERALE redatta da P. CELESIA — (Anno III GENNAIO-FEBBRATO 1901 Vot. III) Al lettore. Se volgiamo uno sguardo addietro al breve passato della Rivista di Scienze Biologiche, ci convinceremo subito della possibilità e con- venienza di alimentare il nostro periodico, come fin da principio avremmo desiderato *), coi soli contributi di biologia generale, esten- dendo largamente la collaborazione anche tra gli scienziati stra- nieri, ed escludendo i lavori di interesse troppo speciale e tecnico. Ed appunto coll’ intento di realizzare questa modificazione e annunciar fin d’ora il carattere più generale che andrà assumendo la Kvista, abbiamo adottato per essa il nuovo titolo « Rivista di biologia generale ». i La necessità di un tale cambiamento si fece sentire sopratutto nelle analisi bibliografiche, rese fin qui malagevoli ed incomplete dalla soverchia comprensione e suddivisione del programma, e limi- tazione dello spazio concesso ad ogni rubrica, così da fornire insuf- ficiente aiuto agli studiosi e materia non sempre assimilabile nella sintesi filosofica. Noi confidiamo di accrescere la utilità della Rivista, col renderne il carattere più generale, trasportandoci in quelle regioni del sapere ove tutte le discipline biologiche si incontrano in qualche problema comune e mostrano più manifesti vincoli di metodo e di intenti. La indeterminatezza ‘dei confini tra la biologia così in parte unificata e le singole scienze biologiche, ben lungi dal costituire per noi un ostacolo, ci concederà ancora una certa lar- ghezza nella scelta dei lavori e permetterà di compiere la modifi- cazione del periodico in modo graduale e progressivo. Si comprende che la materia della Rivista non dovrà essere deter- minata dal solo criterio della generalità degli argomenti, ma anche dal vario grado di loro attinenza colle questioni più palpitanti dell’ odierna biologia. E fu per questo. che lasciammo ancora un posto a indagini comparative sulla morfologia e fisiologia del sistema nervoso, sulle cause determinanti dello sviluppo ontogenetico, sulla irritabilità dei protoplasmi vegetali, e simili. )) V. Vol. I, fasc. I, Il programma della Rivista. Riv. DI BIOLOGIA GENERALE, III. 1 2 LA REDAZIONE E qui, a prevenire malintesi, giova ricordare una distinzione, praticamente giustificata, dei lavori di osservazione e sperimentali in due gruppi. Vi sono anzitutto quelli che mirano senza esplicito intento filo- sofico ad ingrandire la somma delle nostre conoscenze di una par- ticolare disciplina. Questi hanno la loro ragione di essere nella fede di ogni studioso ch’essi vadano a colmare i posti vacanti di una classificazione, a completare uno schema o a promuovere la più ampia applicazione di un dato mezzo di tecnica. Anche siffatte indagini potranno un giorno utilizzarsi nel lavorio di sintesi: vanno però distinte pel fatto che non se ne intravvede ancora la portata filosofica, nè qualche arduo quesito teorico fu stimolo di ricerca ai loro autori, spesso anche ignari dei rapporti che coordinano 1’ opera propria individuale al concerto generale della scienza. Ma oltrechè tra queste ricerche sonvene talvolta alcune da cui balza fuori inaspettata una conclusione di grande importanza (e per le quali la Aivista aprirà le sue pagine), vè ancora un altro ordine di indagini sperimentali, e sono quelle intenzionalmente rivolte a penetrare con nuovi artifici nel cuore di un problema gene- rale ancora insoluto (ad es. la ereditarietà dei caratteri acquisiti, l’azione degli stimoli sullo sviluppo ontogenetico, ecc.). Ora queste, che potrebbero sfuggire ai cultori della filosofia naturale, o trovarsi a disagio sepolte negli archivi speciali, avrebbero in un periodico come il nostro la loro redenzione immediata. Insomma, mentre la Rivista di scienze biologiche per necessità imposta dalla produzione seientifica italiana, ed organica del pri- mitivo programma, funzionava ancora in parte quale archivio per le memorie accademiche da noi sopra designate come pertinenti al primo gruppo, desideriamo questo suo compito venga d’ ora innanzi con più rigore soppresso. Come Rivista di biologia generale essa dovrà invece prender parte attiva nella elaborazione del materiale biologico vecchio e nuovo, e svolgere argomenti capaci di destare l’ interesse di una più ampia cerchia di lettori, accogliendo .tra le indagini sperimentali quelle soltanto che direttamente concernono i problemi generali. Una conseguenza naturale e legittima dei cangiamenti annunciati sarà l’ammissione nel nostro programma di una classe residuale di fenomeni, che pur non avendo relazione alcuna diretta evidente con ciascuna scienza biologica, interessano però in alto grado da un lato il massimo problema dei rapporti tra funzioni cerebrali e fenomeni psichici, e dall’ altro offrono addentellato alla biologia p. detta, ed alla psicopatologia in quanto si collegano allo studio delle anomalie della personalità umana. Per la loro occorrenza eccezionale ed appa- AL LETTORE 3 renza meravigliosa esse sarebbero particolarmente atte a cimentare le teorie costruite sopra | ordine dei fatti comuni : poichè è evidente che quanto più i fenomeni sembrano allontanarsi dall’ ordine delle leggi acquisite, e più significativa diviene pei problemi ultimi della vita la discordanza o concordanza loro colle conclusioni generali ricavate dalle altre scienze. Evidentemente alludo ai fenomeni « psichici » o medianici, for- manti una serie di complessità crescente, dalla telepatia — questo primo tra i candidati al favore dei biologi — alla sostituzione delle ‘personalità nella trance ipnotica, ai casi di levitazione, apporto, « materializzazioni », ecc. Il dibattito seguito al recente Congresso di Psicologia in Parigi ha posto in luce meglio che mai l atteggiamento ostile assunto di fronte alla fenomenologia medianica dalla così detta «scienza uffi- ciale » : ostilità che nasconde in certi suoi campioni, nemici dichiarati della metafisica, una metafisica non meno gretta e superba che quella degli antichi. Dopo aver tanto biasimata, e con ragione, la intol- leranza delle idee, si vorrà dare al mondo un saggio egualmente odioso, ma più assurdo, di intolleranza dei fatti ? Per buona sorte, in questo traviamento di taluni scienziati, le gloriose tradizioni della scienza positiva sono continuate da una schiera poco numerosa, ma elettissima di scopritori (Wallace, Urookes, Mendelejeff, Lombroso, Myers, KRichet, Sidgwick ed altri) la cui iniziativa individuale è assecondata dal lavorio collettivo metodico e rigorosamente critico della Society for Psychical Research di Londra o dal nuovo Institut psychologique International di Parigi. Agevolare tal movimento fra noi, incoraggiando ricerche e discus- sioni, portare i fenomeni medianici a contatto coi cultori della bio- logia e della filosofia naturale, non potrebbe essere scopo più con- facente ad una ivista come questa, che non è asservita ad alcun dogma e non conosce altra insegna che «libertà di pensiero e di ricerca ». Il contatto cui alludevo potrà, come reazione chimica, sortire effetti inaspettati ;.... fors’ anche la separazione dei timidi e degli intolleranti. Ma ciò non saprebbe smuoverci dalla méta. Possano invece svolgersi feconde energie e l’ opera nostra concorde dimostri che l’ affinità degli elementi era più reale di quanto si supponesse. 0 Si guadagnerà un’idea concreta del nostro programma esami- nando gli argomenti principali di esso, raccolti nell’ ordine cui ci atterremo nel redigere ie rassegne bibliografiche, £ ; LA REDAZIONE 1) Anatomia e fisiologia comparate del sistema nervoso e muscolare. — Ricerca comparativa delle differenze di funzione negli organi omologhi. — Fatti e teorie dell’ inibizione. l — Grado crescente di complessità delle coordinazioni nervose nella serie animale. Differenziamento concomitante delle funzioni inibitorie. Analogia fondamentale del dinamismo nervoso e muscolare. 2) Antropologia generale. — L’antropologia nella teoria della evoluzione. — Discussione dei metodi e criterii differenziali per la classificazione. — Antropologia zoologica, paleoetnologia, mesologia umana. — Filogenesi dell’ uomo : sua evoluzione mentale. — Convergenza delle razze. — Antropologia criminale. Biologia del delinquente secondo Cesare Lombroso. — Significato atavico e patologico delle stigmate degenerative. — Importanza pratica della scuola criminale. Profilassi. — Psicosi degenerativa del genio. 3) Psicologia e sociologia comparate. A) — La sensibilità negli organismi primordiali. — Psiche animale e psiche vegetale. Eccitabilità, impressionabilità, sen- sibilità. — Automatismo, riflessi, istinti. — Azioni inibitorie psichiche. — Volizioni, impulsi, istinti — Percetti, recetti, concetti — Sentimento, affettività, emotività — Memoria, abitudine. — Senso di orientamento. — Estetica. Il senso dei colori e delle forme in rapporto alla selezione sessuale. — Il sentimento del meraviglioso nella serie animale. — Espressione delle emozioni. Mimica. Legge di Darwin. -— Eredità psicologica (Filogenia della psiche). Atavismi psichici. — Coscienza, attenzione, sogni. — Subcosciente. Teoria di Myers sopra le attività psichiche subliminali. — Suggestione ed ipnotismo. i — Percezioni anormali. Telepatia e telestesia. Valore dimostrativo del calcolo di probabilità sopra le statistiche dei casi di telepatia. Fenomeni medianici fisici: levitazioni, apporti, materializzazioni (?). B) — Aggregazioni di origine psichica e aggregati sociali. — Origine della simpatia tra i simili. —.La divisione del lavoro sociale. “= Mezzi di comunicazione tra gli associati. Linguaggio. — Socialismo effettivo e collettivismo nella serie animale, Altruismo imposto da speciali condizioni di esistenza, AL LETTORE 5 — Importanza delle relazioni sessuali per l’originarsi degli aggregati. — Importanza e bisogno della difesa per l’origine delle associazioni. — Relazioni parentali della mandria, nell’orda, nella colonia. 4) Fattori della evoluzione organica. — Ereditarietà dei caratteri acquisiti (eredità progressiva di Haeckel). Altre forme di eredità. — Discussione della corrispondenza fra ontogenesi e filogenesi (legge di Fritz Muller ed Haeckel). — Adattamento. Variazione. Selezione. Divergenza delle specie. — Le convergenze nella evoluzione delle forme organiche. — Varietà improvvise e saltuarie. Neogenesî di Kòlliker e di Man- tegazza — Neomorfismo di Delpino. — Ontogenesi di Cope, Eimer ed Haacke. — Se la partenogenesi, 1’ ermafroditismo completo e la frizione ases- suale per ispore siano più favorevoli alla divergenza delle specie che la generazione per sessi separati. — Fecondità e sue condizioni, studiata negli ibridi o nei prodotti delle nozze consangninee. —— Ibridismo e meticismo — Xenia e Telegonia (?). — Isolamento secondo W. Wagner. — Selezione fisiologica di Romanes. — Dipendenza mutua degli organi. Loro sinergia: loro lotta nell’ orga- nismo. — Omologia ed analogia, come implicate dall’eredità conservativa e dal- l’adattamento. .— Correlazione morfologica : suoi limiti. Correlazioni speciali e correla- zione generale. — Accentramento funzionale nelle colonie. Divisione del lavoro. — Parallelismo tra la evoluzione delle società somatiche e delle società psichiche. — Trasformazione funzionale degli organi (Dohrn). 5) Questioni varie di biologia. A) — Struttura del protoplasma e della cellula. B)-— Spermatogenesi ed ovulazione. Polispermia fisiologica e teratologica. — Differenziamento degli organi nella ontogenesi. — Meccanica dello sviluppo. Merotomia. Teratogenia sperimentale. C) — Genealogia delle specie. — Modificazioni adattative cenogenetiche. D) — Ecologia e distribuzione geografica delle specie. Faune e flore acqua- tiche e terrestri, continentali ed insulari, pianigiane ed alpine, pelagiche e littorali. Fauna abissale. — Aree delle stirpi, centri di creazione ; diffusione delle specie. — Adattamenti attivi e passivi degli organismi. Mezzi di offesa e difesa. — Strategia della lotta per 1’ esistenza. Simbiosi. Mutualismo e commen- salismo. Parassitismo e sue condizioni fisiologiche — Mimetismo. Colori pre- 6 LÀ REDAZIONE monitorii : caratteri minatorii. Specie innocue imitanti specie velenose — Autotomia evasiva e riproduttiva. — Durata della vita nelle varie specie. Usura e senilità dell’ organismo. E) — Colonie animali. — Grado di individualità degli organismi. — Origine varia della metameria. — Polimorfismo ergatogenetico da divisione del lavoro (Es. fra gli insetti sociali. Qui anche la simbiosi scoperta da Lombroso nelle società umane fondate sopra la possibile cooperazione del criminale coll’ uomo nor- male. Utilità che nell’organismò sociale sopravvivano o rinascano caratteri in parte atavici); polimorfismo metagenetico o da alternanza di generazione (es. idrozoi), ed ecogenetico o di adattamento diretto all’am- biente (es. Artemia Millhausenii e forme affini). — Biologia degli organi rudimentali. Loro diminuita resistenza agli agenti patogeni (Senescenza filogenetica di Wiedersheim). — Comparazioni tra la biologia vegetale e la biologia animale. Sensibilità delle piante (Contribuzioni sperimentali e critiche). Piante insettivore. Loro mezzi di prensione ed assimilazione. F) Bioplastica. Addomesticamento. I metodi di selezione artificiale. Alle- vamento, colture. Innesti nelle piante e negli animali — I limiti della plasti- cità organica. i bd — Mutilazioni e rigenerazioni nell’individuo e nella specie. 6) Filosofia biologica e Storia della biologia. Teorie generali della vita. Origine e natura della vita. Vita cosmica. — Rapporti della vita con le altre forze ed attività naturali. — Evoluzione regolata o per tipi fissi: fondata sopra un’analogia tra le forme organiche naturali e le forme geometriche pure (dottrina di Schia- parelli sull’origine delle specie), o sopra i rapporti della materia vivente con definite forme geometriche di struttura (ipotesi di Vignoli intorno a un certo numero di tipi fondamentali irreducibili). — Vecchi e nuovi sistemi filosofici. Spiritualismo, naturalismo e monismo. — Monadologia e fenomenismo. — I precursori di C. Darwin. — Il neo-teleologismo evoluzionistico. Ì Restano dunque soppresse come parti autonome del nostro pri- mitivo programma (v. vol. I, pag. 1) la citologia (I), la morfo- logia (II e III), la fisiologia (IV), la ontogenia (IV), ecologia e mesologia (VII), i cui risultati ci interessano e riferiremo solo in quanto hanno relazione coi problemi ed argomenti sopra partita- mente enumerati. Ed ora ringraziamenti e saluti al lettore. LA REDAZIONE. Febbraio 1901. A. FOREL ES Critique des expériences faites dès 1887 avec quelques nouvelles expériences TROISIÈME PARTIE (1901) I. — Sigmund Exmer )). Nous devons avant tout è Exner une étude physiologique approfondie des yeux des insectes et des crustacés. Cette étude magistrale, continuant ses travaux précédents, modifie certains points importants, sans rien changer au fond. Avant d’en don- ner un apercu, je tiens è insister sur une loi fondamentale qu’ il ne faut pas perdre de vue, car elle est à la base de tous les sens : L’acuité d’ un sens est toujours — toutes choses égales d’ ailleurs (nous le verrons à propos des Copilia) — proportionnelle au nombre des éléments nerveua terminaua qui le composent. Les exceptions apparentes à cette loi (augmentation du nombre des éléments chez les animaux plus grands, vue possible des Copilia) ne font guère que la confirmer. Il me semble qu’on Va trop souvent négligée, dans les idées qu’ on S’est faites sur les sensations des insectes. Exner est arrivé à découvrir et à fixer VVimage unique et x droite formée par lil à facettes du Lampyris splendidula (ver 1) SicMuNnD ExNER: 1. Durch Licht bedingte Verschiebungen des Pigments im Insecten Auge und deren physiologische Bedeutung. Litzber K. Akad. Wiss. Wien. malh. natu. Classe Bd XCVIII Abth III. Miirz 1889. 2. Das Netzhautbild des Insectenauges. Ebenda Februar 1889. 3. Die Physiologie der facettirten Augen. Leipzig und Wien, bei Pranz Deulike 1891. 8 A. FOREL luisant) et sans aucun doute plus on moins nettement distinguée par le cerveau de 1’ insecte. Cette image est sensiblement plus nette que celle qu’il avait théoriquement supposée et que celle que j’ ai théoriquement figurée dans la 1" partie de ce travail. (Vol. II, Tav. III, Fig. 3, pag. 16). Cependant elle n’ est pas très nette, et l’on ne doit pas oublier que ma figure repose sur une image sup- posée formée par trois .facettes seulement et provoquée par un objet extrémement petit. Disons d’emblée qu’ Exner se pose lui-méme la question de savoir si l’insecte est. capable de percevoir cette image aussi nettement qu’ elle a été vue et photographiée par lui, par le savant physiologiste. Tout en admettant que c'est probable, il faut accorder que I’ expérience biologique peut seule en donner une preuve approximative, telle que. celles-.que nous avons données plus haut, et comme Exner le reconnaît du reste. L’image obtenue par Exner dans l’ eil du Lampyris splendidula est celle d’ une fenétre située à 225 em. de 1’ eil; sur cette*fenétre est collé un gros R en papier à jambage de 4, 9 em. d’épaisseur, et l’on y apergoit vaguement à travers la fenétre une tour d’église ‘ située à, 155 pas derrière la fenéètre. En termes di OD lie cette image représente une acuité visuelle de TU à FX 3 Snellen. Done un Lampyris reconnaîtrait une grille à barreaux de 5 centimètres comme, grille à 2 mètres 25 em. de distance. A la distance d’un centimètre, il reconnaîtrait encore des barreaux de 0,22 millimètres. La netteté de cette-image correspond bien au nombre des éléments nerveux (ce qui reviens à dire au nombre des facettes, puisque chaque facette a un rhabdome à nombre fixe de 7 cellules dans le cas par- ticulier), et Exner, ajoute avec raison que d’autres insectes et crustacés aux yeux plus grands et plus riches en éléments donnent sans aucun doute des images bien plus nettes. En réponse à une ‘question précise posée à ce sujet, M. le Prof. Exner m’a répondu textuellement: « Je puis affirmer main- tenant avec certitude que” “la netteté de, ) image augmente avec le nombre des facettes tombant'sous le méme angle de la convexité de l'oeil (mit der Anzahl der auf Jeden Winkelgrad der Augenwoòlbung entfallenden Facetten) ». Malgré ces faits, la théorie de 3 Miiller sur la vue en mosaique subit, ensuite des travaux d’ Exnéèr, des modifications assez impor- tantes. Une fois de plus, une étude approfondie montre 1’ erreur des généralisations prématurées, tout en dévoilant la complexité et la diversité des cas particuliers. — Il m’est impossible d’ entrer ici dans les détails de la dioptrique des yeux à facettes; je me borne aux résultats principaux en renvoyant le lecteur à 1’ étude de l’ original. 3 SENSATIONS DES INSECTRS 5) Exner étudie è fond l’indice de réfraction des divers milieux réfringents de 1’ eil de nombreux arthropodes. Il compare 1’ effet produit selon que l’insecte voit sous l’ eau ou dans l’air, effet peu différent, gràce à la structure des dits milieux de l’ ceil. Il constate que la substance des cristallins est stratifiée de couches à indices de réfraction variables et en progression négative. Par ce fait les particularités de la forme cylindrique que revét chaque facette se combinent avec celles d’ une lentille qui ferait converger les rayons, et Exner donne è cet appareil le nom de cylindre lenti- culoide (Linsencylinder). Ceci 1’ oblige à modifier son ancienne idée, d’après laquelle les rayons auraient été simplement réfléchis par les parois du eylindre. Je ne puis entrer dans les calculs mathéma- tiques, ni dans les observations et vérifications correspondantes faites par S. Exner à l’aide de son frère le Prof. Karl Exner. Leur résultat général est qu’il se présente deux cas principaux : A4) Le foyer des rayons réfractés se trouve à la base postérieure du cylindre (des cònes cristallins), qui a par conséquent la longueur de sa distance focale. Alors les rayons centraux des facettes devien- nent parallèles dès leur sortie du cylindre (vers la rétinule), après avoir formé l’ image. B) Le cylindre est deux fois plus long que sa distance focale. Alors image renversée d’un objet très éloigné se forme au milieu de la longueur du cylindre, et les rayons repartent d’abord en arrière du cylindre comme ils sont entrés c. a. d. sous le méme angle qu’ils formaient à leur entrée avec ceux d’un autre point de l objet. C’ est 1’ effet d’ une lunette astronomique ne gros- sissant pas, et réglée pour l’infini. Mais en réalité, les facettes des arthropodes présentent des com- binaisons très variées de ces modes de réfraction, combinaisons concourant à concentrer un faisceau de rayons ainsi réfractés sous forme d’image renversée nébuleuse d’ une portion très limitée d’ un objet situé dans le champ visuel. L’ ensemble des faisceaux d’un grand nombre de facettes sert è former la grande image droite percue. . Exner montre qu’il y a, correspondant à ce qui vient d’ étre dit, selon les espèces d’insectes et de crustacés, deux formes prin- cipales de vision dioptrique (par réfraction). 1°) Dans la première les cornées et les cones se bornent plus ou moins è l’ effet d’ un cylindre lenticuloîde (A) de la longueur de la distance focale. Les cònes sont entourés de pigment jusqu’à leur extrémité postérieure qui ne laisse souvent passer la lumière que par un point central très petit. Les éléments nerveux sensibles sont courts et viennent immédiatement derrière les cònes. Les faisceaux x lumineux de chaque facette viennent donc séparément à chaque 10 A. FOREL rétinule et forment par leur ensemble une image droite par juxta- position sur un méme plan situé immédiatement à 1’ extremité des cones et tangent ou identique à celui de 1’ ensemble des rétinules. C'est le cas de l’eeil d’un crustacé (Limulus) étudié par Exner qui a réussi à voir son image droite. Mais, chez beaucoup d’insectes, les bàtonnets visuels sont très longs (rhabdome), et sont séparés des cònes ou cristallins par un tissus transparent (corps vitré) d'une assez grande épaisseur. Dans ce cas, la théorie de Miiller subit une grande modification due à ce qu’ Exner a appelé l'image droite par superposition. Ici le pigment est concentré plus en avant, entre les cristallins, tandis que 1’ extré- mité postérieure de ces derniers en est dépourvue. Alors les rayons lumineux sont réfractés dans chaque facette dont le cylindre a une longueur double de sa distance focale (B), ce qui le fait agir comme une lunette d’approche astronomique réglée pour 1’ éloignement infini. Les rayons partant, p. ex., d’une lumière assez éloignée pour pouvoir étre considérée comme envoyant des rayons parallèles, sont réfractés par piusieurs facettes de facon à venir se superposer sur une certaine longueur d’un méme élément (rhabdome) de la rétine; un rayon venant de la partie droite de l’ objet ira du còté droit de l’image (image droite). Les rayons partant d’ une seconde lumière iront se concentrer (se superposer) sur un autre rhabdome du méme còoté que la dite seconde lumière et ainsi de suite. En un mot, il se formera une image droite par superposition des faisceaux lumi- neux réfractés de différentes facettes. Les mémes facettes voisines participeront en partie à des portions différentes de l’ image. Cela n’ est possible que gràce à 1’ absence de pigment dans la portion postérieure fort épaisse de 1 appareil dioptrique. Cette vue. se rap- proche un peu de celle des vertébrés. — Je renvoie naturellement aux preuves mathématiques données par Exner, ainsi qu’à ses figures. Il va sans dire que cet eeil utilise bien plus de rayons que celui qui donne l’image par JU tADOSL ion en absorbant la plupart des rayons obliques. Or Exner a constaté que l’ image par superposition ne se forme que chez les arthropodes nocturnes. Chez les diurnes qui sont inca- pables de voler et de se diriger la nuit, le pigment est disposé en arrière de facon à isoler les appareils dioptriques de chaque facette les uns des autres jusquà la Tobin et forme ainsi une image par Juxtaposition. Mais il a découvert en outre qu’ un grand nombre d’insectes et de crustacés possèdent la faculté de déplacer le pigment de leurs yeux (pigment de l’iris), de telle fagon que par une lumière intense il se retire en arrière et absorbe tous les rayons fortement réfractés, SENSATIONS DES INSECTES Il ne laissant passer que les rayons centraux, tandis que dans 1’ obscu- rité il se concentra en avant, entre les cònes cristallins, laissant leur extrémité postérieure et les corps-vitrés libres, de fagon à uti- liser presque tous les rayons tombant dans chaque facette. Exner a méme coupé lun des yeux d’une Lasiocampa quercifolia tenue dans l’obscurité, puis exposé l’insecte à la lumière solaire. Le pigment de lceil éclairé au moment de la mort et mis dans l’ alcool est situé entre la portion antérieure des rhabdomes et empèche absolument toute formation d’image commune à plusieurs facettes. Celui de l'oeil placé à 1’ obscurité au moment de la mort est au contraire situé entièrement devant, entre les cristallins (PI. IV, fig. 28 et 29 d’ Exner). Or les animaux doués de cette faculté sont ceux qui voient le jour et la nuit. Presque tous les insectes dits nocturnes appartiennent à cette catégorie, car ils voient aussi de jour. Par contre les vrais diurnes ont seulement la vision par juxtaposition et sont absolument aveugles de nuit. Il résulte clairement de ces belles observations que I image par superposition a pour but de concentrer autant de lumière que pos- sible sur chaque élément de la rétine. L’image de I eil da Lampyris splendidula si nettement photo- graphiée et si magistralement étudiée par Exner est une image par superposition. Il va sans dire qu'il y a des formes intermédiaires ainsi que des animaux qui ne sont que partiellement adaptés à la nuit ou au jour. Exner a clairement montré comment a lieu le passage d’une de ses formes d’ yeux à l autre, la superposition dérivant de la Jjuxtaposition. Tant chez les insectes qui voient une image droite par juxtapo- sition, que chez ceux qui la voient par superposition, la perception de la lumière venant d’un méme point n’ est jamais limitée à une seule facette. Les « images » partielles de chaque facette se mélent done plus ou moins avec celles de ses voisines, formant ainsi un «cercle de dispersion plus ou moins grand, qui rend la vue moins distinete tout en augmentant la faculté de perception des déplace- ments de l’ image, car le plus petit déplacement de chaque point irrite ainsi un nombre considérable d’ éléments nerveux. Ceci est donc en rapport avec la faculté si remarquable de 1’ eil à facettes de distinguer les mouvements, e’ est à dire les déplacements. Il les distingue bien mieux que l’ ceil des vertébrés. Ce dernier les voit surtout dans la partie périférique du champ visuel qui distingue fort mal les formes. A cet égard Exner confirme ses anciennes données. En outre l’ eil à facettes a fort souvent un appareil catoptrique 2: A. FOREL ou tapetum, servant à faire sortir par réflexion les rayons trop obliques ou ceux qui arrivent aux intervalles des facettes. Ce tapetum offre parfois de beaux reflets. Un autre point fort important mis en lumière par Exner est le suivant: L’ eil du Limulus et en général les yeux à facettes d’un caractère plus primitif sont, comme l’a montré Grenacher, plus rapprochés des ocelles ou yeux simples. Ils ont un plus grand nombre d’éléments nerveux à chaque facette (14, 16 et plus, au lieu de 4 à 8) et ces éléments ne sont pas soudés en rhabdome. L’image par juxtaposition fournie par I’eil du Limulus est cepen- dant une image droite et unique. Mais Exner reconnaît qu’ici chaque facette, commence, peut-étre, à pouvoir distinguer pour son compte une image partielle renversée confuse, selon les idées de Gottsche, étant donné le plus grand nombre d’éléments nerveux. Ceci devait étre, pour des raisons phylogénétiques. Pour tirer la question au clair, Exner a étudié l’ eil de Trilo- bites fossiles. Or -cet eil (celui du Phakops fecundus) fait un passage de I eil du Limulus à Vl ocelle. Il est grand et composé de facettes qui rappellent à première vue l’eil du Limulus. Mais au lieu de eristallin, chaque facette a une belle lentille chitineuse unique, sans còne, comme un ocelle. Cet ceil doit donc former une image renversée dans chaque facette, tout en percevant 1’ ensemble comme grande image droite par juxtaposition. Mais les araignées ont, en lieu et place d’yeux à facettes, des agglomérations d’ ocelles bien développés qu’ Exner qualifie de « hochentwickelt ». Et il pense que la somme des faisceaux lumineux représentée par toutes. les images renversées de chaque ocelle d’araignée doit former ‘une grande. image droite plus ou moins diffuse, percue comme ensemble par I’ animal. Ici nous sortons peu à peu de l’ceil è facettes, et 1’ idée de Gottsche entre de plus en plus en ligne de compte, comme on le voit, car une « facette » qui consiste en une simple lentille forme nécessairement une image renversée des objets sur une rétine située à son foyer. Ces faits expliquent la phylogénie des deux espèces d’ yeux. Un ceil primitif ou première tache transparente de 1’ épiderme, au dessus d’ une terminaison nerveuse entourée de pigment, a permis d’abord à l’animal une différenciation entre la sensation de lumière et celle du tact. La multiplication des éléments nerveux sous une cornée simple et lenticulaire a produit d’abord 1’ ocelle, puis 1’ eil du vertébré. Une agglomération de petits yeux primitifs transformés peu à peu en facettes, avec cornées, cristallins cylindriques et rhabdomes nerveux a fini par former l’ ceil.à facette avec son modé spécial de vision. dioptrique. SENSATIONS DES INSECTES 16) Passons encore a quelques détails. Exnera- étudié les yeux d’un grand nombre d’arthropodes. Certains yeux ont une structure irrégulière ou dimorphe. La cour- bure de 1’ oil varie beaucoup. Chez certains Libellulides (pagexe Cordulegaster) 1 ceil est divisé en deux portions de structure diffé- rente. Chaque structure spéciale a sa raison d’étre et constitue sans aucun doute une adaptation à un but spécial, adaptation dont notre auteur croit pouvoir trouver la clé optique dans certains cas. Les yeux paraissent presque toujours aussi écartés lun de V autre que les dimensions de la téète le permettent. Parfois ils confluent, ayant besoin de toute la place. Chez la Libellula depressa, les facettes de la portion supérieure de l’eeil sont presque deux fois plus larges et plus longues que celles de la portion inférieure (les cristallins mème plus de deux fois plus larges). Les deux portions constituent cependant des yeux diurnes (image par juxtaposition). Exner fait remarquer que cette disposition rend la portion supérieure de l’’eeil plus apte à la vue des mouvements à une plus grande distance, et sa portion inférieure plus apte à la distinction des formes d’objets rapprochés. Or les libellules, dit-il avec raison, volent et se posent presque toujours horizontalement et bas, voyant ainsi surtout leur proie et leurs ennemis devant ou au dessus d’ elles, tandis qu’ elles voient de près leur proie, une fois saisie, en dessous d’elles et à un état plus ou moins immobile. 1? eil de certains erustacés (Copilia, Sapphirina, ete.) est tout- à-fait singulier. Il se compose d’ une énorme et .splendide len- tille chitineuse. Très loin d’elle, mais attaché à elle par un musele et des ligaments, se trouve un cristallin, et derrière celui-ci, un petit nerf optique, avec un seul rhabdome à 3 cellules. Entre la lentille et le cristallin sont des portions du corps absolument trans- parent du erustacé. A quoi bon un appareil si remarquable pour un seul rhabdome? Cela paraît incompréhensible à Grenacher. Or Exner a observé que le cristallin qui forme un tout avec le rhabdome est très mobile, et se meut chez l’animal vivant symmé- triquement avec celui de V’autre ceil, tout en demeurant à la méme distance de la lentille. En d’autre termes l’élément nerveux unique examine l’une après l’autre les différents portions de l image ren- versée, unique produite par la lentille ; elle les « tàte » pour ainsi dire d’une facons analogue à celle dont la tache jaune de notre ceil humain tàte ou examine lune après l’autre les différentes parties de image que nous voyons, mais dont nous ne distinguons nettement que le point fixé par la tache jaune, Ji A. FOREL L’hypothèse d’ Exner, jointe à son observation, explique seule ce singulier ceil, qui forme, on doit l’avouner, une « exception con- firmant la règle », en méme temps qu’il présente un fait magnifique d’adaptation spéciale en utilisant la transparence du corps entier des Copépodes pour leur vision. Dans le genre Phronima, avec ses immenses cònes cristallins courbés et effilés, dont lextrémité est absolument contigué aux rétinules, la formation d’une image par superposition devient im- possible. Une image par juxtaposition, telle qu’ Exner l admet actuellement, est de méme rendue impossible par la courbure et l’étroitesse des cristallins qui ne permettent pas la dioptrique du cylindre lenticuloide. Cependant Exner a pu se convainere, tant par la théorie que par l’observation direete, que les rayons sont réfractés dans chaque facette de facon à arriver renforcés à l’extre- mité des cònes. Ici encore il se forme une image unique et droite, rapprochée de celle par juxtaposition, mais plus semblable à la théorie primitive de la vue en mosaîique de J. Miiller. Pour lceeil des Phronima, Exner doit maintenir le point de vue de ses pre- miers travaux. Sans aucun doute, les images fournies par l’oeil è facette sont déformées. Mais n’oublions pas que nous mémes nous ne nous doutons pas des imperfections de notre vue et de nos sens en gé- néral (témoin les daltonistes et les astygmatiques). L’insecte auquel son eil donne une image imparfaite, déformée ou nébuleuse, n’ a jamais vu autrement, distingue les uns des autres les objets et les ètres ainsi que leurs mouvements, au moyen de cette vue-là seule, et par ce qu’ elle peut lui fournir de différences. Ne se doutant pas qu’il puisse y avoit mieux, il se tire ainsi d’ affaire, ses instincts étant adaptés à ses sens et méme basés sur eux, tels qu’ils sont. Exner considère la possibilité d’une sorte d’accomodation dans l’eil à facette comme très improbable. Cependant les insectes jugent des distances, lors méme qu’ils n’ont pas la convergence des deux yeux (qui sont immobiles). Exner croit pourtant que la distance des deux yeux et la partie commune de leur champ visuel (lorsqu’elle existe; chez les Cryptocerus, p. ex., elle n’existe pas ; voir Forel dans cette Revue N. 8, Vol. II, p. 16, PI. III, fig. 6a et 6b) permet par l’angle qui existe entre l’axe des deux images un certain degré des vue stéréoscopique à courte distance. Il fait en outre remarquer que lorsque nous fermons un eil et remuons la téte, le mouvement nous permet de distinguer la profondeur, p. ex., du branchage d’un arbre, ce que nous ne pouvions pas en demeurant immobile. Cela vient de ce que le mouvement est plus fort (excur- SENSATIONS DES INSECTES 5 sions plus grandes) pour les objets plus rapprochés que pour les éloignés, ce qui fait noter une différence. Ainsi les insectes en mouvement et les écrevisse aux yeux mobiles pourront mieux juger de la profondeur. Ici je erois devoir rappeler ce que j’ai dit plus haut, loc. cit. p. 41, N. 9: La rapidité avec laquelle l’augmentation de la distance rend l’image de l’eil à facettè plus indistinete doit faire juger les distances à l’insecte. En effet, pour ne pas nous fourvoyer dans les problèmes com- plexes qui nous occupent, il est une loi psycho-physiologique que nous ne devons jamais perdre de vue: le cerveau est réglé dans la qualité de ses perceptions par le pouvoir de différenciation que lui Ffournissent les sens. Ce n'est pas une pure hypothèse que de con- clure d’une différenciation découlant nécessairement de la structure d’un sens à une faculté correspondante de différenciation dans les perceptions eérébrales. Et de mème que l’absence d’une structure sensorielle doit faire conclure à 1’ absence de la perception corre- spondante (à moins qu'elle ne soit remplacée par une autre ana- logue, comme l’eil à facette avec son image droite unique remplace avec certaines modifications l image renversée de notre eil), de méme une structure surnuméraire, bien caractérisée dans son fone- tionnement, doit fournir une perception cérébrale surnuméraire correspondante. Nous reviendrons là dessus à propos de 1 odorat au contact posté sur un organe mobile, mais je voulais d’emblée énoncer la loi générale à propos: de la vision. Avant de quitter Exner qui nous a fourni la base optique de la vue des Arthropodes, notons qu’il a discuté certaines hypothèses contradictoires émises par d’autres auteurs (Notthaft, Thompson Lowne, ‘') Patten ?) et en a fait justice. Nous avons déjà discuté Notthaft plus haut. Lowne prétend que le rhabdome n’est pas nerveux et constitue une partie de 1’ appareil dioptrique ; il eroit trouver une rétine plus en arrière. Mais le rhabdome, vu sa struc- ture, est incapable de fournir V’image deux fois renversée que Lowne lui attribue. Puis il n’ est pas douteux au point de vue histologique que le rhabdome ne représente les bàtonnets de la rétine, organes que nous retrouvons dans tous les yeux. 1) Transact. Linnean Society 1884. 2) Journal of Morphology I, N. 1. 1887 16 A. FOREL II. — Sir John Lubbock |). Dans son nouveau livre qui résume surtout ses anciennes expé- riences et celles d’autres auteurs, Lubboek confirme ses anciennes observations et les miennes: sur la vue, s’ oppose comme moi à Plateau, mais sans entrer dans les détails, et se rattache aux idées d Exner et de Grenacher. Lubbock emet des doutes sur les conelusions que j’ ai tirées de mes expériences sur des fourmis à antennes coupées, parce que « des fourmis isolées ou blessées (souffrantes) sont beaucoup moins guerrières que dans des conditions normales ». Mon honorable contradicteur, si judicieux du reste, fait ici erreur, et voici pourquoi. Des fourmis aux yeux vernis, des fourmis coupées en deux par le milieu du corps, des fourmis auxquelles on coupe une seule antenne ou plusieurs pattes, continuent à se battre et à se tuer les unes les autres comme si on ne leur avait rien fait, lorsquelles sont d’espèces ou de fourmilières différentes. Pourquoi tout combat cesse-t-il, dès qu’ on coupe les deux antennes ou seulement les deux funicules? Pourquoi, cette méme double amputation produit- elle au contraire entre sceurs, de la ‘mème. fourmiliére, de méme que 1’ action du sublimé, une guerre subite et générale chez les Myrmica? Ces faits ne s’ expliquent que par la perte de la faculté de se reconnaître entre amies et ennemies au moyen de 1’ odorat au contact dont sont pourvus les funicules. Seulement — et e? est là ce dont Lubboek semble ne pas tenir assez compte — cet odorat est un sens bien autrement complexe et relationnel que le notre, un sens dont nous sommes encore loin d’ avoir 1’ énigme. A propos de la faculté qu’ ont ou n’ ont pas les fourmis de reconnaître d’ autres fourmis écloses dans une autre fourmilière, mais de nymphes qui furent les leurs avant 1’ éclosion, Lubboek renouvelle ses expériences sur le Lasius niger et. maintient 1’ affir- mative. J avais trouvé le contraire chez des Formica, et cela à plusieurs reprises. Nous avons opéré sur des genres différents. Est-ce là la raison? C'est un point qui reste à élucider. Pour des raisons analogues, je ne veux pas m’ étendre ici sur les organes présumés, ni sur la faculté de 1’ onie. Lubboceck a changé d’ opinion. Malgré le manque de preuves directes, il se eroit maintenant autorisé à admettre 1’ ouie chez les insectes dans le sens de Graber, en se basant sur les nombreux organes de stri- ) On the Senses, Instinets and Intelligence of animals. London 1888, Kegan, Paul, Trench and C,° SENSATIONS DES INSECTES Ar dulation qu’ on trouve chez eux et sur la présence d’organes tym- panifornes dans différentes parties du corps. L’expérience de Will sur le Cerambyx Scopoli lui paraît aussi concluente. A mon avis ces preuves sont insuffisantes. Les faits sont trop contradictoires pour vider la question. Les preuves nettes que nous avons de I existence des 4 autres sens chez les insectes font ici défaut, sauf pour quelques orthoptères. Lubbocek se rattache par contre entièrement à mon opinion sur le sens et les organes du goùt, et croît aussi que Vorgane de Wolff, sur le palais, appartient à ce sens. Nous savons en effet à quel point le sens du goùt et cet organe sont développés chez le apiaires, tandis que chez les Chalcidites et les Braconides, chez lesquels 1’ organe de Wolff est presque. nul, le genre de vie exige un fort bon odorat, mais pas d’ organe du goùt. Pour l odorat, Lubbock se rallie en somme à notre opinion et confirme sa présence dans les antennes. Mais il croit trouver un certain odorav dans les palpes. Persuadé, comme moi, que l’odorat des abeilles, à distance, est peu développé, il ne comprend pas pourquoi leurs antennes ont un si grand nombre de terminaisons nerveuses (environ 20,000, d’après Hicks!), et en conclut è la présence d’ un autre sens. Or le calcul de Hicks est absolument faux ou dù à une faute d’impression. Les poils-pores sensoriels des abeilles sont disposés (Hicks la constaté lui méme) d’ un seul coté de I’ antenne, qui est fort courte. CU’ est la surface médiane dorsale des 8 derniers articles du funicule de l’ antenne qui est la surface sensorielle de cet organe chez 1’ abeille. D’ après mon esti- mation approximative, chaque article de 1’ antenne peut avoir de 200 à 250 organes sensoriels terminaux (300 au maximum). Il s’en suit que Lubbock et Hicks ont mis un 0 de trop et qu’on doit estimer leur nombre total à 2000 environ, au plus. Mais Lubboek ne tient pas compte de ce que j'ai appelé odorat au contact, et ce sens paraît fort développé chez 1 abeille. Il est facile d’ observer qu’elles palpent les étamines et les pistils des fleurs qu’elles sucent, avec leurs antennes dirigées 1’ une contre l’ autre, e’ est-à-dire contre I organe floral ainsi serré entre les deux funicules et palpé par la surface sensorielle. Il ne s’agit pas là de toucher, mais d’odorat au contact, dénongant à V abeille la nature chimique des fleurs. Quant aux organes en bouchons de champagne, j'ai montré (Etudes myrmécol. en 1884, Bull. soc. vaud. sc. nat. vol., XX, N. 91) qu’ils font défaut aux Vespides (de méme que ceux en bouteille) et abondent au contraire chez 1’ abeille domestique. Ce simple fait écarte d’emblée l’idée d’en faire un organe de l’ouie comme le voudrait Lubboek, ou méme de l odorat. RIv, pI BroLOGIA GENERALE, III, 2 18 A. FOREL A propos de l’ouîe, je suis obligé de rappeler le fait que 1’ oreille interne de 1’ homme et des mammifères, ainsi que le nerf acoustique, préside à deux fonctions absolument différentes. Le nerf du limagon et l organe de Corti sont les seuls organes de l’ouie. Le nerf du vestibule et les canaux semicirenlaires sont des organes d’ équilibre qui n’ ont probablement rien à voir avec | audition. Les centres bulbaires des deux nerfs sont, comme je lai montré par des expé- riences faites sur des lapins (Forel: Vorl. Mittheilung iiber den Urspr. des nervus acusticus, Neurolog. Centralblatt 1885; Onufrowiez Br.: Hxp. Beitr 2. Kennin. des Centr. Urspr. des nerv. Acusticus ; Archiv fiir Psychiatrie 1885) absolument différents 1’ un de l’ autre. Or rien ne preuve que les otholithes des vertébrés inférieurs, des mollusques etc., correspondent à l’organe de Corti. 1’ homologie avec l’appareil vestibulaire et spécialement avec la base des canaux semicirculalres parait au contraire plus que probable. Ces simples faits nous obligent à réfléchir et à donner d’ excel- lentes preuves, avant d’attribuer des organes complexes de l’audition aux insectes. Les organes tympaniformes constituent peut étre un sens inconnu, fort différent de 1’ ouie. En ce qui concerne le prétendu sens de la direction, Lubb o ck se rallie absolument à l’opinion qui a été motivée par Romanes et par moi méme, savoir qu’ il s’ agit simplement d’ une connais- sance des lieux par la vue. Il avoue cependant avoir été d’ abord séduit par les arguments de Fabre (voir plus loin). A propos de la vue, et en particulier des expériences de Plateau que nous allons voir, notons les résultats suivants de Lubbock: 1.) Il place du miel sur une fenétre et attend 60 heures, sans qu une abeille le trouve. 2.) Il place une abeille (non habituée, - c. a. d. non entrainée sur du miel, sur une fenétre, à 250 mètres environ du rucher. Elle n’°y revient pas (expérience répétée plus de 20 fois avec le méme résultat). 3.) Placée. sur du miel à 25 mètres du rucher, de la méme facon, elle revient régulièrement au miel, mais sans amener de compagnes avec elle. Jamais, sur un grand nombre d’ expériences, il ne voit d’ abeilles amener des com- pagnes sur sa fenétre. 4.) Il place du miel à 2 ou 3 pieds de l’endroit où les abeilles vont butiner; jamais elles ne le trouvent. 5.) A la suite de longues et patientes expériences, il croit pouvoir conclure que les abeilles préfèrent le bleu aux autres couleurs. Mais le résultat de ces expériences ne me paraît pas fort net. En somme, à 1 exception de 1° ouîe, sur laquelle les preuves expérimentales sont absolument insuffisantes, je constate un accord à peu près complet entre les résultats de Lubboeck et les miens, sauf sur des détails de peu d’ importance. Cette constatation a SENSATIONS DES INSECTES 19 d’ autant plus de valeur que 1’ esprit critique de Lubbock s'est surtout appliqué è pointer les divergences d’ opinion, et que cet auteur est I’ un des seuls qui aient embrassé et seruté l’ ensemble de la question sous toutes ses faces. III. — Felix Plateau, ‘!) Mes nouvelles expériences. »- C'est avec peine que je me décide à entreprendre la critique de cet auteur, non certes qu’ elle soit difficile, mais à cause de la place qu’ elle exige, et parce qu’ il m’est pénible de devoir mettre à jour les faux jugements d’ un collègue dont j’ estime la patience, le travail, l honorabilité et la bonne foi. Mais la confusion consi- dérable que Plateau a jetée sur la question qui nous occupe, malgré et en partie par ses recherches longues et patientes, puis le fait que ses résultats et ses conclusions ont été acceptés à la légère par certains auteurs qui se piquent d’ étre très supérieurs à tout ce qui les a précédé, exige que nous examinions la chose de près. Avant de m’y mettre, je dois, pour simplifier, poser par anti- cipation certaines thèses générales auxquelles je suis arrivé depuis longtemps, et qui concordent en somme avec les résultats de Darwin, de Romanes, de Lubbock et de toutes les personnes qui ont approfondi la psychologie des insectes. Mais ces thèses ont besoin d’ étre nettement formulées : 1) FELIX PLATEAU: 1. Comment les fleurs attirent les insectes. Bulletin de 1’ Académie royale de Belgique, 3"° série, Tome XXX, n. 11, 1895; Tome XXXII, n. 11, 1896; Tome XXXIII, n. 1, 1897; Tome XXXIV, n. 9, n. 10, 1897; Tome XXXIV. n. 11, 1897 (5 parties). 2. Le méme. Un filet empéche-t-il le passage des insectes? Ibidem. Tome RexXin:97-n.:10, 1895. 3. Le méme. Nouvelles recherches sur les rapports entre les insectes et les fleurs. Mémoires de la soc. zool. de France, Tome XI, p. 339, 1898. 4. Le méme. Exp. sur le role des palpes chez le arthropodes maxilles. Bul. soc. zool. Fr. 1887. ZA 5. Le méme. Recherches expérimentales sur la vision chez les arthropodes. 3a,me 4me et 5° Parties. Bulletin de 1° Acad. royale de Belgique 1888. 6. Le méme. Nouv. Rech. sur les rapp. entre les insectes et les fleurs. Mem. soc. zool. Fr. XI n. 3, 1898, et XII p. 336; 1899. 7. Le méme. La vision chez VAnthidimum manicatum. Annal. soc. ent. belg. XLIII, 1899. 20) A. FOREL a) S'il est vrai qu’il y ait souvent un sens directeur principal, la règle est cependant que les insectes combinent les impressions de plusieurs sens pour se diriger. b) L’ attention joue un ròle considérable dans la fagon dont les insectes se dirigent. Lorsqu’ elle est fortement portée vers un but on un objet, ils sont souvent profondément distraits de tout le reste, un peu comme un savant absorbé (abeille mangeant du miel ; fourmis qui se battent). c) La mémoire des insectes varie beaucoup suivant les espèces. Elle se rattache aux diverses impressions sensorielles. Elle est beaucoup meilleure qu’on ne se le figurerait « priori chez les insectes à instinets compligués et surtout chez les hyménoptères sociaux, mais elle est extrèémement faible chez les formes à petit cerveau. d) Comme Lubbock et H. Miiller l’ont montré, Ventrainement joue un grand ròle. Attiré par des sensations de vue ou d’odorat, ou des deux sens combinés. 1’ insecte finit par porter son attention sur un objet ou sur un acte instinetif coordonné, en rapport avec un but. Dès que ce fait s’est produit, on le voit répéter ses voyages ou ses autres actes instinctifs avec une sùreté rapidement croissante. Cela ne veut pas dire qu’il ait besoin d’apprendre ce que 1’ instinet héréditaire lui a légué tout fait, mais que, pour perpétrer avec sùreté la série de ses actes instinctifs, il lui faut souvent une série correspondante de souvenirs, c. a. d. d’image sensorielles associées et associables bien nettes, bien clairement fixées par la mémoire. Cela n’ est naturellement pas nécessaire pour les actes qui n’exigent pas de souvenirs, ainsi pour la manducation ou la copulation. Mais les actes complexes des hyménoptères sociaux exigent la mémoire et par conséquent une fixation progressive de ses images par la répétition, ce qui constitue l’habitude ou l’entraînement, tant dans le domaine centripète (psycho-sensible) que dans le domaine centri- fuge (psycho-moteur). Chez nous-mémes, le méme fait se reproduit en infiniment plus grand et plus complexe. et les lois de la fixation des habitudes ou automatismes secondaires sont les mémes dans le domaine psycho-sensible et intellectuel (souvenirs visuels, acousti ques ete., lecture, compréhension du langage oral) que dans le domaine psycho-moteur (habiletés techniques). Seulement chez l’in- secte presque toute 1’ habitude, presque tout 1’ automatisme, est prédéterminé et fixé dès la naissance par 1’ hérédité, du moins dans les détails de ses parties principales. Mais, pour adapter ces mécanismes à chaque cas particulier, il faut pourtant des combinai- sons plastiques d’images mémoriales. Il en faut en somme peu, nous en convenons, car les portions toutes prétes à jouer des instinets (automatismes héréditaires) se mettent en mouvement avec précision, SENSATIONS DES INSECTES 21 dès que quelques sensations viennent les évoquer, mais encore faut-il au moins ces sensations chez les animaux très-inférieurs. Chez les insectes plus développés, il faut, outre les sensations qui sont rela tivement simples, des perceptions complexes, qui supposent néces- sairement des combinaisons de souvenirs entre eux et avec de nou- velles sensations,. ainsi que la faculté de reconnaître un objet (voir Héboffding, Psychologie in Umrissen; la perception implique la reconnaissance). En effet, on sait en "i cholopi que la perception est fort com- plexe et iuie de 1’ association de sensations antécédentes. Elle suppose nécessairement la mémoire. Or les faits nous obligent à reconnaître 1’ existence des perceptions et de la mémoire chez les insectes, au moins chez les insectes supérieurs. C’est par elles que les portions toutes faites des instinets sont adaptées à chaque but et combinées d’une facon plastique. Et c’ est en les étudiant que nous reconnaissons l’entraînement dans chaque cas particulier. e) Les insectes ont des sentiments ou émotions plus ou moins déve- loppés selon les espèces, genres et familles. La colère, la frayeur, le découragement, la jalousie sont très marqués chez les hyménop- tères sociaux; de méme l’affection et la témérité basée sur le succès. Il est nécessaire d’en tenir compte pour juger juste de leurs actes. Les états émotionnels des centres nerveux sont très généraux dans la série animale et y sont en rapport avec le danger, le succès, la défaite, les efforts infructueux, la douleur, l’attaque, la défense, tant chez l’ individua que chez la société. 4’ en ai donné des exemples tirés de la vie sociale des Fourmis, dans mes Fourmis de la Suisse, et dans ce travail-ci. — Il va sans dire que nous ne pouvons nous faire aucune idée de la facon subjective, dont les insectes ressentent leurs émotions; mais I’ analogie de ces états et de leurs motits est telle, dans toute la série animale, qu’il faut étre ineroyablement prévenu pour la nier. On peut méme dire que les états émotionnels primordiaux sont si profondément liés à l’instincet, que chez nous mémes ils trahissent une origine phylogénétique très ancienne, et que par conséquent il n’y a a priori rien d’éton- nant à les retrouver chez les insectes. i f) Rien n’ est dangereux comme les g Sn na satana prematurées,. ni comme: g) de faire dire aux expériences ce qu’ elles ne disent pas. Ceci posé, disons que les erreurs si fréquentes dans lesquelles tombe Plateau reposent en majeure partie sur ce qu'il ne tient presque nul compte de la psychologie de 1’ insecte et néglige très souvent les facteurs ci-dessus. Pour simplifier nous renverrons, dans le détail de nos critiques, aux lettres « à e, ainsi qu’ aux chiffres 1 à 7 des travaux de Plateau. ® LS) laS) A. FOREL 1. Palpes. — Plateau (4) continue à déclarer les palpes chez les insectes, les cerustacés, les myriapodes, les arachnides « des organes devenus inutiles ou à peu près et dont ces animaux peuvent se passer sans inconvénient ». Je m’étais borné, en confir- mant la seconde partie de cette conclusion, et à l’aide de quelques expériences citées plus haut, à les considérer comme de simples organes tactiles. Mais les expériences de Plateau ne lui donnent aucun droit de les déclarer « organes devenus inutiles ». | Comme le font fort bien remarquer W. Nagel et Wasmann (voir plus loin) le fait que beaucoup d’insectes privés de palpes conservent le goùt et 1’ odorat ne prouve absolument pas ce que Plateau croit prouver. Le simple bon sens du reste prouve le contraire. En effet, chez certains insectes les palpes et leurs organes sensoriaux sont très développés, tandis que chez des formes souvent parentes, ils sont rudimentaires. Si leur fonetion était rudimentaire chez tous les insectes, 1 organe le serait aussi; e’ est clair, mais Plateau paraît ne pas le comprendre. Or, dans ses remarquables expériences, W. Nagel a démontré que chez divers insectes les palpes servent à un odorat rapproché ou à un odorat au contact passant au goùt — outre leur faculté tactile qui est la principale et qu’ils ont chez tous les insectes. Les expériences de Nagel me prouvent que je n’ avais pas tout vu (ce qui était à prévoir), et que Plateau se trompe. — 2) Vision chez les Arthropodes. (5) a) Vision des chenilles. Ici Plateau a eu une fort bonne idée. Utilisant l’instinet de la plupart des chenilles de chercher à grimper sur une tige, lorsqu’elles sont à terre, il les placa sur un bàton horizontal, et, lorsqu’ elles furent arrivées à son extrémité, leur présenta une baguette verticale sèche, de 30 cm. de long et de 5 millim. de large. Il approche cette dernière jusqu’au point oi la chenille fait des efforts mamnifestes et indubitables pour l’atteindre (ne pas confondre avec les recherches d’aveugle qu'elle fait de droite et de gauche). Faites chez 15 espèces de chenilles, ces expériences amènent à montrer qu’elles apergcoivent la baguette, selon les espèces, de !/, à 2 centimètres de distance seulement, tandis qu’elles se dirigeaient constamment vers le corps de l’expérimentateur et d’autres très gros objets déjà è 40 centim. de distance et plus (comparer avec mon obs. sur le Lasius fuligi- nosus). En outre Plateau assure que les chenilles ne remarquent pas les objets en mouvement à une distance plus grande que les objets fixes de mème grandeur. Etant donné le fait qu’elles n’ont que 5 à 6 yeux simples primitifs, très petits, de chaque còté de la téte, cette observation ne fait que confirmer Exner. En outre Plateau constate le sens du tact surtout pas les poils et d’ un léger degré SENSATIONS DES INSECTES 23 d’odorat (en présentant aux chenilles la tige fraîche de la plante qu’elles recherchent). Si Plateau se bornait à ce que disent ces faits, nous serions d’accord. Mais parce que certains myriapodes placés dans les mémes con- ditions ne distinguent pas la baguette tendue, Plateau conclut: 1) qu'il se forme chez la chenille une image rétinienne et une vision véritable ; 2) que la perception de grandes masses (son corps) à 40 centim. est autre chose et n’ est pas une vision de la forme des corps dans le sens propre. Et il va plus loin. Il eroit avoir démontré par iù que les déductions de Grenacher sont fausses et que les chenilles doivent avoir une structure des yeux plus développée qu’on ne la cru. Il n'est pas difficile de voir | erreur (8) du raisonnement de Plateau. Admettons que ses exp. sur les Myriapodes soient irréfutables: et que ces animanx ne distinguent que le clair de l’obscur. Grenacher a montré que leurs bàtonnets sont hori- zontaux, et il est fort possible que leur vision soit en effet extré- mement primitive et inférieure à celle des chenilles. Mais de là ne ressort nullement que le fait d’apercevoir une baguette de 5 mill. de large à 1 centim. de distance constitue une vision véritable, tandis que celui de distinguer un homme (large d’environ 40 cm.; c'est du moins mon cas) à 40 cm. de distance ou plus n’en constitue pas une. Les deux cas constituent une vision indistinete des formes. Plateau a simplement prouvé que la chenille apercevait la pré- sence d’ un objet de 5 mill. de large à 1 centim., mais non pas qu’elle voyait distinetement ses contours. Après tout, je crois sans doute, que les chenilles voient un peu moins mal de près que de loin, comme tous les arthropodes, et surtout ceux à yeux simples. Mais de là à la conclusion de. Plateau il y a un grand pas. Il parle plus bas de la « distance de vision distinete » des chenilles à poils et sans poils! Je n’ai pas mal interprété Plateau, car il dit textuellement: « A des distances plus considérables, .les chenilles peuvent perce- voir l’existence de grandes masses; cependant elles nen distinguent pas la nature ». — Cela prouve bien qu’il s'imagine avoir démontré qu’elles distinguent la « nature » d’une baguette large de 5 mill. à 1 em. de distance. — Ajoutons qu’ en parlant de distinguer la « nature » d’un objet, Plateau accorde implicitement aux che- nilles un pouvoir de raisonnement que ces insectes peu développés n’ont pas (c. d.). b) Ocelles frontaua et yeux composés ; Vernissage des yeux et section des nerfs optiques. Plateau (5) emploie deux méthodes. Vernissage et section des nerfs optiques avec une aiguille à cata- Od A. FOREL racte. Mais au lieu de comprendre pourquoi j'ai employé un vieux vernis de Francfort sec pour le vernissage des yeux, en le dissol- vant rapidement dans une goutte de chloroforme, en 1 appliquant au moment o il devient visqueux, et en le laissant sècher séance tenante en quelques secondes, il en revient à la couleur à l’huile de lin de Swammerdam. Ce mode d’expérimentation est absolument défectueux, parce qu’on ne peut recouvrir l'oeil d’une couche égale et épuisse, et que, la dessication étant lente, 1’ insecte enlève la couleur, soit avec ses pattes, soit par les choes contre murs et parois. Je n’ ai jamais observé que mes insectes aient été le moins du monde incommodés par les derniers restes du chloroforme renfermés dans le vernis encore visqueux. Puis il est « profondément surpris » de voir que les insectes auxquels on a enlevé ou vernis les yeux à facettes s°élèvent verti- calement ou en spirale en l’air lorsqu’on a vernis les ocelles aussi bien que lorsque ces derniers organes existent encore. Il n’ a pas remarqué que j’avais déjà verni les yeux d’insectes qui n’ont pas d’ocelles avec le méme résultat, ce qui revient au mèéme! Du reste j' ai aussi verni les ocelles et les yeux à facettes simultanément, et l’effet n’a pas varié. A ce propos, Plateau motive son obser- ‘vation que les insectes aux yeux vernis s’élèvent en l’ air à une hauteur réellement extraordinaire par le fait qu’il est devenu très presbyte. Je me permets de lui faire observer que le presbytisme n’augmente nuùllement l’acuité visuelle, ni la distance à laquelle on voit; il ne fait qu’ empécher la vue de près en diminuant la faculté d’accomodation, de sorte qu’un presbyte ne peut pas suivre des yeux un insecte à une hauteur extraordinaire; 1’ insecte est trop petit pour cela. Au cours des expériences de Plateau faites dans une cham- bre, les insectes aux yeux vernis se sont en grande partie dirigés vers la fenétre, ce qui ne fut pas le cas des diptères aux nerfs sec- tionnés d’après ce que nous venons de voir. Cela vient d’un vernis- sage insuffisant, par une méthode à laquelle j’ avais renoncé dès l’abord. Cependant il est à noter que 5 Eristalis tenax et quelques Calliphora aux nerfs optiques sectionnés, après avoir tournoyé au plafond se posèrent sur les parois, tandis que les autres tombèrent à terre, comme dans mes expériences. Cela prouve que, sans y voir, et malgré leurs nombreux chocs, certains diptères aveuglés arrivent à se poser, c'est à dire à s’ accrocher sans tomber. Plateau a opéré sur des lépidoptères diurnes, des diptères et des Hyménop- tères. En somme ses résultats concordent avec les miens. Mais il croit avoir trouvé une différence importante entre mes résultats et les siens, parce que, dit-il, je langais mes insectes au ‘ SENSATIONS DES INSECTES 25 l’air, et que cenx-ci se heurtaient contre les murs, cé qui n’était pas le cas dans ses expériences. Ici Plateau généralise inexac- tement. D’abord je n’ai pas toujours «laneé » mes insectes aveuglés, puisque mes hannetons volaient du bout de mes doigts tandis que ma Plusia gamma et mon bourdon volaient tout seuls. Ils ne se sont pas non plus toujours heurtés avant de voler en haut. Puis les expériences de Plateau avec des yeux mal vernis ne sup- portent pas la comparaison. Et si on étudie les tableaux de notre auteur, l’on voit plusieurs de ses mouches aux yeux incisés retomber sur le sol ou se heurter au plafond ou è la muraille; d’autres voler horizontalement en zig zag (en plein air). En somme il s’agit de différences individuelles sans importance et les résultats sont les mémes dans leurs lignes fondamentales. Du reste Plateau en relisant ses propres expériences, surtout sur les Lombus et les Edipoda, ne pourra nier que les insectes ainsi aveuglés n’aient moins de tendance à s’envoler spontanément que ceux qui y voient, et au contraire plus de tendance qu’@eux è se heurter contre les objets qu’ils ne voiént plus. Les faits sont trop clairs à cet égard pour permettre un doute. Se basant sur ses expériences, Plateau construit l’hypothèse suivante : Les insectes aveuglés conservent des sensations photo- dermatiques (il croit que la transparence de la chitine de beaucoup d’insectes est cause de ces. sensations) et leur photophilie les pousse voler en haut, vers la lumière solaire. Le fait que ses mouches nerf optique coupé volent au plafond de la chambre et non pas la fenétre ne le gène pas, parce-que, dit-il, beaucoup d’insectes (ce sont d’autres insectes, les libellules et les Rhopalocères, mais cela ne l’arréte pas non plus) volent au plafond méme lorsqu’ils ont leurs yeux. Le fait que beaucoup de mouches aveuglées volent à terre ou horizontalement à Vair libre ne dissuade pas non plus Plateau, car il ecroit prouver qu'il s' agit là d’un dérangement de l’équilibre provoqué par un surcroît de poids qui serait occasionné par le vernis sur les yeux. Il s’appuie sur les expériences de Jousset de Bellesme qui prouve que l’impossibilité du vol des diptères privés de leurs balanciers repose sur un dérangement de I’ équilibre qu’ on peut rétablir en ajoutant un petit poids à Vl ab- domen. Cette hypothèse est fort hasardée, ce qui ressort des tableaux mémes de Plateau. En effet, p. ex., sur six Calliphora vomitoria au nerf optique coupé, quatre retombent toujours sur le sol. Ici ce n’est pas le poids du vernis qui leur fait perdre l’équilibre! Et mes hannetons aux yeux vernis, bien trop gros pour qu’on puisse invoquer chez eux la question d’équilibre, ne volèrent pas au ciel oe so (nur, 26 A. FOREL I mais souvent aux murs, aux arbres, ou redescendirent après avoir volé vers le haut. Du reste il est a priori inadmissible que les sensations photodermatiques soient adaptées au vol. Elles sont le propre d’animaux terrestres ou aquatiques, le plus souvent aveugles, et qui ne volent pas. Elles sont lentes, et ne doivent pas étre con- sidérées comme vision, mais comme sensations indifférenciées. Tiebe critique aussi Plateau, lui faisant observer qu’à air libre la lumière ne vient guère du Zénith, mais par un temps couvert de partout, et par un temps clair du point où est le soleil. En ce dernier cas, les sensations photodermatiques devraient done faire voler l’insecte dans la direction du soleil, ce qui n’est pas le cas. Javais suggéré à Plateau d’expérimenter de nuit, sur des in- sectes nocturnes. Il l’a fait, et prétend avoir constaté que, sur . environ 22 expériences, presque tous les papillons de nuit aux yeux noircis volèrent obliquement vers le sol ou horizontalement. Je ne suis pas très convaincu, parce que, la nuit, on ne peut guère suivre le vol de ces insectes et que fort souvent les insectes aveuglés partent d’abord vers le sol, avant de partir en V’air. Mes résultats, obtenus différemment c’est vrai, ne concordent guère avec ceux de Plateau. Mais 1’ expérience est difficile et je ne puis conclure d’une fagon positive. Le 21 octobre 1900 j’ai répété les expériences de Plateau en coupant en travers avec une aiguille à cataracte les yeux d’ Wristalis et de Vespa germanica 3, soit au jardin, soit. dans ma chambre. J'obtins les mémes resultats que lui, et la confirmation de mes. anciennes expériences. Seuls Eristalis se posent sur les parois après avoir tournoyé au plafond; e’ est que leur vol est lourd et insistant. Ils continuent à voler en fròlant sans interruption le plafond ou la. paroi contre laquelle ils se pressent. De cette fagon il ny a pas besoin d’y voir pour se poser, surtout avec les pattes très adhérentes de ces insectes. C’est tout autre chose que d’aller se heurter contre un mur ou un arbre qu'on ne voit pas lors d’un vol rapide en plein air. Les dimensions d’une chambre sont trop faibles pour donner à V’insecte la temps de prendre un essor rapide. Ajoutons que l’époque des Eristalis (l’automne) est fraîche et que le vol des insectes y est plus lent qu’en été, saison où mes pre- mières expériences avaient été faites. Les Zristalis aveuglés s’ en- volent facilement seuls. Les guépes, par contre, tombaient régulièrement à terre, surtout dans les premiers essais. Pourtant elles n’avaient pas de vernis sur les yeux pour déranger leur équilibre. Du reste ces insectes ne perdent pas l’équilibre pour si peu, car ils se servent au vol de leur ab- domen comme balancier et volent méme avec le tiers d’une aile SENSATIONS DES INSECTES DT coupé d’un còté en courbant leur abdomen en sens inverse. pour rétablir l’équilibre. Je refis les expériences de nuit, en plagant ma lumière sous la table pour éviter l’éclairage du plafond. Les Eristalis aveuglés vo- lèrent en partie au plafond, comme de jour, sans se diriger vers la parois éclairée, comme ils eussent dù le faire si les sensations photodermatique eussent été en jeu. Il faut ajouter encore qu’en plein air et de jour, les insectes aveuglés ne s’élèvent pas toujours verticalement comme le prétend Plateau, mais fort souvent obliquement. J'avais écrit que «ne voyant rien, les insectes aux yeux vernis volent jusqu’à ce qu’ils viennent è se heurter à un objet, ce qui ‘n’arrive pas lorsqu’ ils volent en haut ». Plateau appelle cela « mon hypothèse », à laquelle il oppose la sienne. Je n’avais pas la prétention de faire une hypothèse. J'accorde facilement que cette explication laisse è désirer, mais elle a l’avantage d’étre simple et de rendre compte de tous les cas bien démontrés où les insectes se hewrtent et tombent (le cas des hannetons est extrémement celair). Pour les cas où le vernissage est incomplet, on doit admettre que l’inseete vole du còté où il voit le plus de jour à travers le vernis. Mais dans les autres cas, cette explication ne suffit pas. Du reste une autre possibilité est la suivante: à V’état. de nature, l’insecte se trouve dans l’obscurité ou la demi-obscurité lorsqu’ il est sous terre, dans un trone d’arbre ou dans une caverne ou broussaille.Son petit cerveau ne lui permettant pas de réfléchir è la cause pour laquelle il ne -voit pas, l’instinet le pousse à voler en haut pour sortir du lieu obseur où il croit se trouver. On.objectera qu’il ne le fait pas la nuit, mais la chaleur solaire et d’ autres circon- stances lui fournissent des distinetions entre le jour et la nuit, et de plus la nuit est rarement entièrement noire. Puis on objectera le vol en spirale, ou en zig zag, mais celui-ci vient probablement de ce que l’insecte est désorienté. Du reste ce ne sont que des conjectures et je crois plus sage de ne pas faire d’échafaudages hypothétiques et d’attendre de nouveaux faits. Pour prouver que je me trompe en supposant que les ocelles des Hyménoptères ete. servent à la vision de près dans les lieux obscurs, Plateau fait voler dans des chambres obscures ou. obscurcies, munies d’une ouverture au volet, des Eristalis auxquels il a ‘verni les yeux composés seulement. Comme ces Eristalis volent en tour- noyant au plafond au lieu de se diriger vers l’ouverture il conclut contre ma supposition et déclare : « que chez les insectes diurnes munis d’yeux composé, les yeux simples sont d’une utilité à peu près nulle et, dans tous les cas, ne permettent à ces animaux que 28 A. FOREL des perceptions (il veut dire des sensations) très faibles, dont ils ne savent pas se servir », et il suppose « que les ocelles ont perdu tout usage chez la grande majorité des insectes munis d’ yeux composés ». Il n’est pas difficile de montrer que cette conclusion est néces- sairement fausse. En effet, si les ocelles avaient perdu tout usage et si les insectes ne savaient pas s’en servir, ces organes n’auraient pas pris l’énorme développement qu’on connaît chez certains hymé- noptères, en particulier chez les maàles des Formicides (voir cette Revue Vol. II, n. 8, Tav. III, Fig. 4, vers 0, les ocelles frontaux de l’Eciton cecum 3 ailé, dont V’ouvrière et la femelle sont aptères et aveugles et qui doit par conséquent aller chercher cette dernière probablement sous terre). Un simple coup d’eil sur cette figure ou: sur un dorylus 3 quelconque réduit la conclusion de Plateau à l’ absurde. Pour me réfuter il fallait observer ces insectes non pas au vol dans une chambre, mais à terre, dans leurs nids .ou dans les fentes du terrain où une vision de tout près peut seule avoir une raison d’étre. Jaccorde que ce n’est pas aisé, mais les expé- riences de Plateau ne prouvent rien de ce qu’il veut prouver. Elles semblent montrer par contre la fausseté de son hypothèse sur les sensations photodermatiques comme cause du vol en l’air, car les dites sensations ne peuvent avoir eu lieu dans la chambre ob- scure où les Eristalis ont volé en l’air, au plafond. Donc les ocelles doivent avoir une raison d’étre, et leurs pos- sesseurs doivent savoir s’en servir. Seulement la clé de leur usage nous échappe encore. Cependant les données d’ Exner jointes aux résultats. de Peckham, de Plateau et de moi-méme chez les araignées, les chenilles ete. semblent confirmer ma supposition, faite du reste aussi par d’autres auteurs. Comment enfin Plateau peut-il sérieusement attribuer une « vision distinete » aux ocelles rudimentaires des chenilles et re- fuser tout usage aux splendides ocelles des màles des hyménoptères sociaux ! J’ avais conelu de mes premières expériences que les ocelles ne jomnaient qu’un ròle, tout à fait accessoire dans la vue des insectes pourvus d’yeux à facettes. J'aurais dù dire dans la vue au vol. Et c'est pour cela que je me suis corrigé plus tard, ce dont Plateau ne paraît pas avoir compris la raison. c) Vision des yeux composés (4% partie) (5). Ici Plateau se laisse séduire par le travail de W. Patten (Eyes 0; Molluses and Arthro- pods, Mitth. d. zool. Stat. Neapel. Bd. VI, Heft 4, 1886) et se lance ainsi dans une hypothèse dénuée de tout fondement. Patten est en contradiction non seulement avec les travaux des meilleurs histologistes, mais avec les recherches physiologiques et optiques SENSATIONS DES INSECTES 29 si clairement exposéges plus tard par Exner et sur lesquelles je ne reviendrai plus. Il nie que les cristallins soient des milieux réfrin- gents (!), croit voir ,un réseau de fibrilles nerveuses entre leurs cellules, déerète d’un còté l’eeil à facette unique et en revient d’un autre aux mille images pergues de Gottsche (12,000 à 17,000 chez les libellules) qui doivent éètre ensuite unifiées par le cerveau de l’insecte comme celle de nos deux yeux l’est par notre cerveau (pas méme toujours, quand nous voyons double!). Il ne suffit pas que quelque chose soit imprimé pour que ce soit admissible. Surtout après le travail d’ Exner résumé plus haut, il serait oiseux de discuter les fantaisies de Patten et ce quen déduit Plateau. Cependant notons une confusion importante de Plateau. Pla- teau oppose l’opinion de 1’ eil composé dérivé d’une agglomération d’ocelles à celle de Patten qui fait de l’oeil composé un eil d’ori- gine simple, se décomposant secondairement en facettes. Or si l’on a compris les faits de phylogenie (p. ex. 1 eil des trilobites), si bien exposés par Exner, on congoit que ces deux hypothèses sont également fausses et que l’ocelle et 1’ceil composé dérivent tous deux de l’eeil primitif, le premier par augmentation du nombre des éléments d’un de ces yeux, le 2" par agglomération et trans- formation de leur grouppement. Les faits sont là pour le prouver. Il suffit d’étudier les fourmis hypogées et la série de leurs yeux composés de une, deux, trois, quatre, cinq facettes etc. à peine agglutinées pour se rendre compte du fait. Du reste l’aberration de l’ouvrière du genre Eciton qui produit un ocelle plus ou moins gros et développé en lieu et place de 1’ ceil composé (Tav. III, Fig. 5, d, de cette Revue) nous amène au méme résultat phylogé- nétique. On ne voit jamais l’eeil d’un Eciton se diviser en facettes, pas plus qu’un ocelle frontal. Et on ne voit dans aucun genre l’oeil à facette devenir ocelle par fusion des facettes. On voit par contre l’eil rudimentaire des Ecitons aveugles ou presque aveugles grossir de plus en plus chez les espèces plus photophiles, et celui des autres fourmis hypogées se multiplier par agglomération pour fourmer des yeux à facettes de plus en plus développés chez les espèces plus épigées, ou vice versa. Si Patten avait raison, on verrait des passages directs du grand ocelle à l’oeil à facettes, sans que l’intermédiaire de l’eeil primitif (rudimentaire) ou de la cécité soit nécessaire. Or, jusqu’ici, personne à ma connaissance n’a vu ces passages directs, et cela veut dire quelque chose, si l’on songe à la minutie avec laquelle les yeux des insectes et le nombre de leurs facettes ont été étudiés par les entomologistes, ainsi que par Grenacher, Exner et tant d’autres. [l ne s’agirait de rien moins que de découvrir un gros ocelle commencant à se décomposer en 30 A. FOREL facettes ou un ceil composé dont les facettes tendraient à se fusionner (à l’intérieur, s’entend). Mais Plateau n’ admet de Patten que ce qui lui convient pour son idée précongue, par la généralisation de laquelle il sème la confusion sur toute la question. Cette idée est: « les insectes. ne votent pas les formes ou les voient très mal ». Au lieu d’ admettre les « mille images pergues », il conelut de ce qu’ il appelle les dé- couvertes histologiques de Patten à la destruction des images dans les cònes, et, sans comprendre Exner, il en déduit une image « absolument confuse ». Alors, et si e’ était vrai, pourquoi la nature se donnerait-elle tant de peine pour construire le merveilleux appareil qu'on appelle ceil à facettes ? CU’ est ce que remarque fort judicieusement Exner. — Et jajoute : pourquoi Plateau se donne-t-il tant de peine pour tàcher de prouver que les ocelles ne servent à rien, tandis que la suppression des yeux à facettes aveugle et désoriente l’insecte, comme il le confirme lui-méme! Si Plateau était logique, il devrait dire que V’ceil à facette, lui aussi, ne sert plus è grand chose. Comment un insecte peut-il se diriger si bien au vol à I aide d’ une image « absolument confuse »? Et si e’ est 1’ odorat qui le dirige, comme Plateau le prétend ailleurs, comment se fait-il que la suppression de cette image « absolument confuse » le désoriente complètement dans son vol? Enfin comment peut-on se diriger au vol par la vue sans voir les formes ou en les voyant très mal? Quand Plateau nous aura expliqué le tissus de contradictions dans lequel il s’ est embourbé, nous accepterons ses conclusions, mais pas avant. Ces contradictions n’ existent pas dans la nature, si l’on tient compte de toutes les circonstances et de tous les faits, et surtout si l’on constate qu'il y a des insectes qui ont une vue confuse, d’ autres qui ont une vue meilleure, d’ autres qui en ont une relativement bonne, tout cela selon le développement et la nature de leurs yeux (voir Exner); qu’il y en a qui utilisent plus on moins l’odorat au vol; enfin que les différences de leurs instinets et de leur développement cérébral se retrouvent dans la facon dont ils utilisent leurs sens, indépendamment de l’acuité de ces derniers. Plateau se défend de l’accusation portée contre lui d’enforcer des portes ouvertes. Nous allons voir s’il y réussit. J'avais reproché à Plateau d’ avoir demandé aux insectes un jugement humain en exigeant qu’ ils distinguassent d’emblée dans les volets d’une chambre obscure une ouverture unique leur four- nissant un large passage d’une ouverture grillée à trous trop petits pour laisser place à leur corps, la somme de lumière étant la mème dans les deux cas. Les insectes volant indistinetement aux deux SENSATIONS DES INSECTES 31 ouvertures, Plateau en avait déduit qu’ ils ne voyaient pas les formes. Je lui avais prédit qu’ un vertébré commettrait la méme erreur. Plateau a refait 1’ expérience avec des oiseaux et les oiseaux ont commis la méme erreur que les insectes, sauf Îes pigeons habitués è vivre en cage et ayant done fait 1’ expérience qu’on ne peut passer à travers les barreaux. Ce résultat, très significatif pour la psychologie animale, n’ a rien à faire, comme on voit, avec la vue des insectes,. et confirme mon opinion. Rappelons d’ emblée que nous avons toujours soutenu que les insectes, méme ceux qui ont les meilleurs yeux, voient bien moins distinetement les objets au repos que nous (voir plus haut). L’image du Lampyris d’ Exner le confirme. Exner a de plus montré déjà en 1875 que Voeeil à facettes fait voir surtout et admirablement les mouvements. Nos observations l’ont confirmé, et Plateau s’attache à chaque instant à le confirmer de nouveau. Ici tout le monde est d’accord.. Mais Plateau oublie que la « vue du mouvement » consiste non pas dans le mouvement de 1’ objet vu, mais dans le déplacement de l’image sur la rétine. Si un insecte A. vole droit en dessus d’une calèche déceuverte dont tous le contenu est immo- bile à coté d’un insecte B, parallèlement à lui, et exactement de la méme vitesse que lui et que la calèche, aucun mouvement de la calèche ni de 1 insecte B ne pourra étre percu par lui au moyen de son eil à facettes. | Par‘ contre si. un insecte se meut au vol ou à terre vers un objet immobile, l’image de cet objet se déplacera dans sa rétine, et il verra « un mouvement de l’objet immobile », comme le paysage se meut à nos yeux quand nous sommes en chemin de fer. Je demande pardon au lecteur de cette vérité de Lapalisse. Mais Plateau n’en a pas tenu compte. Nous mémes, nous faisons bien plus attention aux objets dont l’image se déplace dans notre rétine quà ceux qui sont immobiles. Mieux méme! Si nous .et les objets demeurant sans changement, nous n’avions ni paupières, ni mouve- ments de nos yeux, nous ne distinguerions plus rien au bout d’un certain temps! Je dis sans changement. et pas immobile, car le changement, subit de la couleur d’ un objet, sans aucun déplacement, produit un changement d’irritation dans l’image de notre rétine, aussi bien qu’ un déplacement du dit objet. La physiologie et la psychologie ont prouvé que si les impressions d’ un sens (subjectivement les sensations) demeurent un certain temps sans aucune modification, elles s’affaiblissent, puis disparaîssent en cessant de nous affecter, c. a. d. d’étre différenciées. En un mot la sensation fondamentale 32 A. FOREL de différence ne se maintient que par ses changements dans le temps ou l'espace. Or un insecte demeurant longtemps immobile devant des objets immobiles et ne changeant pas, se trouve dans le cas indiqué. Ne lui demandons pas plus qu’à nous mémes! Il faudrait donc, pour étre exact, observer la vue d’un insecte qui, après s’étre mu, de- meure un instant immobile et voit ou ne voit pas des objets ou autres insectes immobiles aussi. Or nous avons vu que l’accouplement de la mouche domestique nous fournit un bon exemple positif, le d sautant partois à quelques centimètres de distance au vol sur une autre mouche immobile (les erreurs de sexe sont fréquentes), après avoir été lui-méme immobile un moment. Peckham a fait des démonstrations analogues sur les araignées sauteuses, corrigeant sur ce point mes anciennes expériences. Il faut accorder cependant que le déplacement dans le champ visuel des objets vus, relativement les uns aux autres, est bien plus fort et attire done bien plus l’attention lorsqu’ils se meuvent que lorsque l’observateur seul se meut. Mais ce qui vient d’étre dit nous fera clairement comprendre les erreurs d’interprétation des expériences suivantes de Plateau. Ne se tenant pas pour battu, Plateau a inventé un aa qu'il appelle Dgr et qui consiste en diverses séries de lamelles verticales de 1 à 3 cm. de haut, en bois ou en carton, disposées sur un fond unicolore en enceintes concentriques, elliptiques ou polygonales, et laissant entre elles de larges solutions de continuité, permettant en un mot à un insecte de passer sans peine à travers le labyrinthe, pourvu qu’il évite les dites lamelles en. décrivant des courbes. Disposant son appareil de telle facon que, pour fuir ou pour arriver en droite ligne à la Iumière (de la fenétre en général), les insectes devaient traverser le labyrinthe et se heurter aux lamelles (obstacles), à moins de reconnaître leur disposition et de décerire une courbe sinueuse, Plateau obtient en somme trois _groupes de résultats : 1.) La plupart des insectes (méme les espèces à bons yeux, comme les locustes et les cicindèles à ailes coupées) vont droit à la lumière, se heurtent aux obstacles, puis les longent jusqu’ aux solutions de continuité ou grimpent par dessus. 2.) Les hyménoptères sociaux, surtout les guépes, n’arrivent que jusquà 1’ ombre formée par les lamelles, la contournent, et arrivent ainsi aux solutions de continuité dont ils profitent. 3.) Les vertébrés (lézard, tortues, serpents, canards, rongeurs, etce.), sans se heurter, ni s’inquiéter de ombre, suivent en ligne sinueuse et à coup sùr les passages libres, en contournant les obstacles, SENSATIONS DES INSECTES 99 Plateau en conclut à la vue distinete des vertébrés et à la non-perception des formes chez les insectes. J'accorde que 1’ expé- rience est ingénieuse et, en tout cas, plus sérieuse que celle des volets. Cependant réfléchissons. Comment se fait-il que la méme guèpe qui fond à un mètre de distance en droite ligne sur un clou noir et immobile qu’ elle prend pour une mouche, que le méme Eristalis qui va en droite ligne se poser sur une fleur, que le bourdon qui fit de méme, privé de sa bouche et de ses antennes, ne voient pas une paroi verticale à un ou deux centimètres de leurs yeux ? M. Plateau s’est-il posé cette question avant de tirer ses conclu- sions (9/)? Si nous tenons compe du défaut de raisonnement plastique chez l’insecte, les choses prennent un tout autre aspect. Dans la nature, ces insectes, lorsqu’ils sont à terre, ne rencontrent presque jamais de parois verticales et lisses. Il sont habitués à grimper sur les pierres et les ronces, ne craignent nullement de heurter leur chitine dure contre ces objets qu’ils tàtent en général de leurs antennes pour reconnaître leur nature chimique par Podorat au contact. Et surtout leur cerveau est trop petit et trop bourré d’automatismes pour leur permettre de se poser la question: «passerai-je par là cui ou non? ». Nous savons fort bien que l’insecte s’obstine à bour- donner contre une vitre, à chercher à passer par une fente trop étroite, à gravir un mur lisse pour retomber 20 fois de suite sans en conclure à l’impossibilité de son entreprise et sans chercher, en contournant la difficulté, une autre solution du problème. C’est là la « stupidité », la « borne », « ’ornière » de « l’instinet aveugle »; mais cela ne prouve pas que l'oeil à facette n’ait pas distingué la forme de ’ objet. Pourquoi les hyménoptères sociaux sont-ils déjà plus avisés et contournent-ils ’ombre? Parce qu’ils sont un peu moins bornés, surtout les guépes. Et ce sont justement les guépes, que nous savons par d’autres observations étre les plus intelligentes, qui, trou- vent le mieux leur chemin dans le labyrinthe de Plateau. L’ombre n’empéche pas plus une guépe de voir son chemin qu’un ciel sombre, mais l’engage à se détourner de l’objet qui la produit. Plateau demande aux insectes de savoir qu’ils ne pourront pas gravir ses lamelles et de se laisser corriger par V’expérience. C’est trop. Il cite l’histoire du Bembex de Fabre qui revient à l’orifice dérangé de son nid et qui ne reconnaît plus ses larves sorties de terre. Et au lieu d’en conclure, comme Fabre, à la bétise énorme (c. a. d. à l’incapacité cérébrale énorme) d’un insecte chez lequel on a dérouté la filibre de l’instinet, il en conclut à une mauvaise vue! Il donne la méme fausse interprétation à propos des Chalicodoma de Fabre. Tout au plus serait-on tenté, après les expériences de Plateau, de 23 Kn) Riv, DI BIOLOGIA GENERALE, III. 54 A. FOREL conclure à une mauvaise vue stéréoscopique, à une incapacité de juger des distances. Mais pareille généralisation serait fausse. En effet, la méme mouche, la méme libellule qui, trompée par la transparence d’une vitre, va se butter violemment contre elle, ira se poser avec une sùreté et une exactitude admirables à l’extrémité d’un petit rameau sec et immobile, objet cependant inodore. Sans vue de la distance ce serait impossible. Plateau s’étonne de ce qu’un Pompile puisse passer à 5 ou 6 centimètres de son gibier (une araignée) sans le voir. C’est pour lui une preuve qu’il ne voit pas les formes. Mais cela nous arrive à nous mémes, aux hommes! Que de chasseurs ne passent-ils pas à coté d’ un lièvre sans le voir! Et plus loin notre auteur raconte lui- méme que les Bombus viennent tourner en bourdonnant autour de son veston bleu clair, que le Bombus terrestris, « manifestement attiré par la couleur vive jaune-rougeàtre des bourgeons de Rhubarbe », y vole, qu’un autre Bombus est trompé par les fleurs blanches de la rhubarbe et y vole avant d’aller à la glycine qu'il recherche, que des Piéris volent aux fleurs blanches des Calla dont ils ne veulent pas (trompés par la couleur) ete. Il nous dit tout ceci après avoir nié la distinetion des couleurs chez les insectes et démontré que les fleurs artificielles ne les attirent jamais! Plateau fait remarquer avec raison qu’ avec une immobilité parfaite on peut arriver à capturer les libellules qu’on avait eftra- yées, que parfois méme elles viennent se poser au bord du filet de l’ entomologiste. C’ est une preuve de leur étourderie et de leur bétise, mais pas de leur mauvaise vue. Si elles ne voyaient pas le filet, elles ne pourraient pas se poser dessus. Mais elles sont insou- ciantes. Leur instinct les a adaptées a une témérité justifiée à Vor- dinaire par la rapidité de leur vol. Elles ne savent pas qu’un filet est un instrument dangereux pour. elles. Peut-étre méme ne le recon- naissent elles pas, faute d’y avoir fait attention. Cependant, lorsqu’on les a pourchassées un certain temps, elles deviennent plus prudentes et font plus attention. Ici je dois accorder que je me suis exprimé moi-méme étourdiment en parlant des libellules (cette Revue vol. II, n. 8, p. 14 de mes exp.) et en disant «on dirait méme qu’elles mesurent la longueur du manche du filet ». Plateau me rétorque, non sans une certaine raison, que j'ai l’air de mon còté de leur attribuer un raisonnement qu’elles n’ont pas. Telle n’était point du tout mon intention, mais javoue que mon langage était trop figuré. d) Vue des mouvements: Je renvoie à ce qui a été dit plus haut. Plateau consacre une étude entière à la vue des mouvements: 5° Partie (5). Ici encore il se laisse aller è attribuer à la vue ee qui SENSATIONS DES INSECTES 19) est le fait de l’instinet et du manque de raisonnement. Il étudie patiemment le phénomène suivant, bien connu de tout le monde: En se tenant immobile ou en se mouvant avec la plus grande len- teur, on arrive à ne plus effrayer les insectes qui méme en viennent à se poser sur vous comme sur un trone d’arbre. On peut arriver à toucher du doigt des Papillons ete., méme parfois des mouches, en s’approchant d’ elles par devant. Sans doute. A cela je répon- drai: Une souris (dont les yeux ne sont pas à facettes) vint aussi se promener jusque sur mes ]jambes, tant que je demeurai immobile. Les oiseaux font souvent de méme. Cependant une observation plus attentive montre que tous les insectes n’ agissent pas ainsi. Cer- tains d’entre eux, plus habitués à craindre Phomme, sont plus cir- conspects. D’autres au contraire reviennent malgré tous les mou- vements qu’on fait et méme tous les coups qu’on leur donne, sans que ce soit dans un but gastronomique comme chez les taons ou les culicides, et sans qu'on demeure immobile. La libellule qui se pose sur le bord d’un filet tendu et immobile, n’avait aucune raison d’ex- périence pour étre sur ses gardes, mèéme lorsqu’on a fait un ou deux essais manqués pour la prendre. Il s’ agit d’ un phénomène si peu répandu dans la nature que son instinet ne Va pas adaptée à se méfier d’un retour. Mais dès qu’on se meut, mèéme lentement avec un filet, elle s’éloigne instinetivement d’un gros étre en mouvement, et mesure très bien ses dimensions à la vue. Il va sans dire qu’une libellule, n’étant pas naturellement adaptée à étre chassée par de gros mammifères ne s’effraie d’eux que lorsqu’ils se meuvent tout près d’elle. Pour prouver que chez les insectes tout n’est qu’instinet abso- lument machinal (c’est là son « priori anti-transformiste) le célèbre biologiste Fabre s’appesantit sur 'épouvantable bétise du Bembea, ineapable de reconnaître le. perfide parasite qui se glisse au vol après lui, dans son propre nid. Il n’a pas 1’ idée de détruire la larve de cet intru qui mange sous son nez les provisions amassées à grand peine par le laborieux constructeur pour ses propes larves. Il devrait, pense Fabre, voir ses propres larves qui dépérissent à còté de celles du larron. Un coup de dent suffirait pourtant au Bembex pour tuer le ver ennemi qui est mou et sans défense. Je réponds: M. Fabre a-t-il songé à V’Indien Chimila de Colombie qui regarde les vers des mouches ronger ses plaies sans les òter et se laisse ainsi mourir par incurie. A-t-il songé à VEuropéen qui, voyant ses semblables journellement s’abrutir et mourir d’alcoolisme, continue à s’alcoo- liser lui-méme? En regard de pareils faits avons nous le droit de tant nous extasier sur la bétise du Bembex comparée à la sagesse de la raison humaine. L’ouvrier continue à travailler et à écono- 36 A. FOREL miser ses sous au mauvais endroit, tout en se ruinant au cabaret presque comme le Bembex, sans s’apercevoir nettements du filou qui détruit sa famille. Plateau croit prouver que les papillons diurnes et les libellules, ne voient le mouvement d’un gros objet qu’ à 2 mètres au plus. Jaccorde que tous ces insectes ne prétent pas d’attention aux mou- vements éloignés. C'est tout naturel. Exner fait remarquer qu’ il en est de méme pour les petits mammifères. Mais d’après mes obser- vations Plateau conclut trop vite. Je suis certain d’ avoir bien souvent éveillé I’ attention et la crainte de papillons, de libellules, de cigales, de criquets etc. à plusieurs mètres de distance par mes mouvements. J'ai régulièrement éveillé attention d’ abeilles posées devant leur rucher par un temps froid en agitant un mouchoir è 3 mètres. S’il est vrai que certains papillons lestes et téméraires viennent se poser de nouveau à la place où on les avait manqués, il est tout aussi fréquent de les voir devenir prudents et de ne plus pouvoir les approcher lorsqu’ on les a effrayés quelques fois. Plateau n’insiste que sur les cas où Von arrive, par une grande immobilité, à les toucher sans les effrayer. Son erreur consiste à en déduire une vue très indistincte. Je me résume: Plateau dispute trop sur les mots, dans la question de la vue des formes. Au fond et en dernier lieu, à force de tàtonner, il est obligé d’en arriver implicitement, si non formel- lement, è une opinion qui touche à la notre. Pour lui, une guépe qui prend un clou noir pour une mouche ne voit pas les formes. Pour moi elle les voit. J'accorde que les insectes ne distinguent pas les très petits objets par la vue, et que leur vue est loin d’étre aussi nette et aussi longue que la nòtre. Mais ceux d’entre eux qui ont des yeux à nombreuses facettes voient les objets à peu près comme l’image du Lampyris d’ E x n e r, mieux que celle que j’ai donnée, vol. II, tav. III, Fig. 3. Or cela s’ appelle voir les formes. Plateau na done rien changé à nos résultats. Seulement il exige qu’ une libellule reconnaisse au vol 1’ espèce de 1 insecte qu’ elle poursuit, s’ étonne qu’ un insecte prenne une fleur pour une autre ou un autre insecte pour sa femelle. Il demande à 1 ceil de 1’ in- secte plus qu’ à celui du commun des humains. | e) Expérience du filet: Plateau (2). Dans une curieuse notice, W. Spence (1834) raconte qu’en Italie on empéche les mouches do- mestiques d’entrer dans les maisons:en plaeant dans le cadre des fenétres un filet a mailles de 25 à 26 mill. de diamètre. Cette expé- rience fut confirmée en Angleterre, puis par Plateau. Ce der- nier voit des guépes incapables de pénétrer dans un treillis à mail- les de 2, 5 cent. malgré Vl odeur qui les attire. Elles bourdonnent SENSATIONS DES INSECTES 37 en vain devant le dit treillis, tandis que des moineaux passent sans hésitation dans leur fuite à travers des mailles de 10 em. sur 7. Plateau explique la chose en disant que 1’ insecte, ne voyant pas les formes, eroit se trouver devant un obstacle en partie trans- lucide, mais où il ne distingue pas d’orifices. Pissot (Le Naturaliste 1 Aoîùt 1889, n.° 58, p. 170 et 1° Sept 1889, n. 60, p. 202.) répète l’expérience avec un garde manger à mailles de 28 millim. Pendant 36 h. aucun insecte ne pénètre. Alors la confiture renfermée dans le garde manger fermente et quelques calliphores y pénètrent. Les insectes introduits dans le garde man- ger en sortent, les uns après avoir exécuté plusieurs tours, les autres directement en traversant les mailles è pied ou au vol. Alors Pissot place un filet de 60 cm. de haut, à mailles de 22 mill. de còté, devant un nid de guépes, ne recouvrant d’abord qu’ une moitié de Vl’ espace situé devant le nid. Les guépes arrivantes sont surprises et explorent le filet. Quelques unes se posent à terre et traversent à pied les mailles inférieures. D’autres volent au delà du filet et entrent au nid par l'espace libre. D’autres enfin, après maintes hésitations, traversent le filet au vol. Au bout d’un certain temps toutes traversent le filet, sauf:celles qui sortent du nid et qui utilisent l'espace libre. Le lendemain Pissot recouvrit entièrement 1’ entrée du nid d’un filet. Les guépes hésitèrent et tournèrent d’ abord, surtout celles qui sortaient du nid. Mais bientòt elles traversèrent le filet au vol et, au bout d’ un quart d’ heure, presque toutes le firent sans hésiter. Pissot ajoute que les guépes sont méfiantes et que leur examen préalable du filet n’ a rien d’ étonnant, mais que, lorsqu’ elles se sont rendu compte que ce n’ est pas un obstacle sérieux, elles le traversent. Plateau répéta ces expériences en entourant d’ un treillis à mailles de 26 à 27 mill. des secabieuses en fleur très visitées par des insectes. Ni Hristalis, ni aucun diptère, ni Lépidoptère ne traversa le treillis. Par contre quelques bombus et abeilles y réussirent. Seulement Plateau constata que ces insectes ne passaient pas directement, mais en hésitant d’abord, puis en se heurtant ou s’accrochant légèrement un instant aux fils des mailles. Cependant Plateau accorde que pour la sortie les bourdons (les plus gros) étaient seuls embarrassés et s’accrochaient un instant aux mailles après avoir tournoyé. Il ne put bien distinguer 1 accrochage des abeilles. Les guépes et papillons introduits par lui volèrent directe- ment au travers des mailles (ce qu’il explique par « la frayeur de Vinsecte se précipitant vers Véclat du ciel »). Il intercepte. ensuite des ombelles d’ Heracleum à des Calliphora 38 A. FOREL vomitoria au moyen d’un filet à mailles d’un centimétre et constate que les Calliphora se posent sur le filet avant d’ entrer dans les mailles. Mème observation sur des abeilles, des ZEristalis ete. avec une cage à mailles de 7 à 1 4/o centimètres, puis sur des Calliphora avec des mailles de 2 centim. Enfin il répète l’expérience de Pissot avec un nid de guépes, mais il ne donne aux mailles de son filet que 15 millim. de dia- mètre. Les guépes hésitent, volent en tournant et finissent par traverser le filet, non pas en volant directement, mais en s’ acero- chant d’abord des pattes pour passer les mailles. Le passage direct au vol fut rare (deux fois seulement sur 12 sorties). Quelques guépes ayant trouvé moyen de passer à pied sous le filet, les autres les imitèrent, et bientòt toutes passèrent ainsi. Plateau conclut que ses observations ne confirment pas celles de M. Pissot, que les guépes ne voient pas les formes, et que pour elles un filet a à peu près l’aspect d’une surface continue. A la fin Plateau convient bien que les mailles de 15 mill. au liea de 22, permettent d’ expliquer jusqu’à un certain point la différence entre le résultat de son filet et de celui de Pissot. Mais il conclut tout de méme que 1’ insecte ne pergoit pas les ouvertures, que sa vision est confuse éte. Nous tirons de ces données diverses et fort intéressantes de tout autres conclusions. Constatons d’ abord les faits suivants: Une Vespa germanica ouvrière a de 12 à 13 mill. de longueur et de 22 à 23 millim. d’en- vergure pour le moins. Un Bombus terrestris ouvrière varie plus, mais a rarement moins de 16 à 17 mill. de long et de 32 à 35 mill. d’envergure. L’Eristalis tenax tient à peu près le milieu entre ces deux hyménoptères. Plateau exige done que de pareils insectes volent à coup sùr à travers des mailles incapables de laisser passer leurs ailes étendues pour le vol et conclut à une mauvaise vue du fait qu’ils se buttent on s’acerochent au bord des mailles pour les traverser, lors mèéme que cet arrét est très court pour les guépes, parfois méme à peine perceptible! Ferions nous mieux, en cas pareil, si nous pouvions- voler? Plateau trouve très démon- stratif de voir ces insectes « faisant des efforts inutiles pour distin- guer une ouverture alors que les orifices existaient par centai- nes ». Qui lui a dit que les guépes n’ hésitaient pas pour une toute autre raison, savoir celle de ne pas se heurter contre tous ces fils tendus subitement devant leur nid ? Les résultats de Pissot prouvent que les guépes passent tout droit, dès qu’ on leur en fournit la place et qu’elles ont eu le temps de se reconnaître. Mais l’expérience est instruetive è d’autres égards dont Plateau SENSATIONS DES INSECTES 39 ne dit mot. Elle montre une fois de plus l’intelligence relative des guépes qui, devant le fait nouveau, hésitent d’abord, examinent, puis trouvent bientòt le meilleur biais, soit en passant au vol, lorsque la maille est assez large, soit en s’ accrochant un peu, lorsqu’ elle effleure leurs ailes, soit en trouvant un autre moyen (passage è pied, par terre). Les Eristalis ne passent pas, faute de chercher et d’ examiner. Les bourdons sont déjà parfois un peu moins bétes. Les Callphora, elles, attirées comme toujours par la viande pourrie, se posent d’abord sur tont obstacle. Elles se posent done sur les mailles et les traversent alors à pied. Quiconque a vu des Calliphora se ruer sur un cache-mouche à mailles de un ou deux millimètres, se presser contre ses parois en bourdonnant, attirées par la viande qui est dedans, ne sera pas dans le doute. La Calliphore, violemment attirée par 1 odorat, mais trop stupide en général pour chercher à tourner une difficulté, comme le fait la guépe, s’ obstine et s’ épuise en vain contre un obstacle qu’ elle cherche à renverser. Dans la nature, où les excréments et les cada- vres putréfiés sont° souvent cachés dans 1 herbe et les buissons, pareille obstination a souvent raison des feuilles et autres obstacles flexibles ou irréguliers. Ou bien, en se posant, la Calliphora réussit dès l’abord à se faufiler dans les interstices. N’ ayant pas compris la théorie ni l’application du cache-mouche, elle s°y butte violem- ment après avoir inutilement cherché à y entrer en se posant. — Cependant, à force de perséverance, elle arrive parfois à passer dessous. Enfin le moineau replie ses ailes pendant le vol, tandis que l’insecte ne peut voler que les ailes étendues, ce qui exige rela- tivement plus de place pour passer. Ce qui est bien plus concluant que les expériences de Plateau, c'est le filet italien à mailles de 26 à 27 mill., empéchant de passer la musca domestica qui n’a guère plus d’ un centim. d’ envergure. Ici la vue peu distinete de 1 insecte paraît se combiner avec sa bétise pour amener ce résultat, si tant est qu’il soit exact. Je crois que — d’après ce que nous avons vu — guépes et mouches doivent voir les mailles du filet. Mais elles doivent distinguer mal les fils, c'est à dire les étaler, les voir plus larges et plus nuageux qu’ils ne sont. Je prie du reste le lecteur de se rappeler les calculs d’ Exner sur l’ image du Lampyris. La concordance ne lui échap- pera pas. Ainsi percu, 1’ ensemble peu naturel et nouveau pour l’insecte, suffit pour le rebuter de prime abord.. Ceux seuls qui sont attirés avec grande violence par un sens (Calliphora), ceux qui sont persévérants, et surtout ceux qui savent tourner les difficultés (hyménoptères sociaux) reviennent à la charge et finissent par passer. La guépe surtout, qui profite un peu de ses expériences, 40) A. FOREL apprend à voler au travers de mailles assez larges pour lui préter passage, dès qu’elle a vu que e’ était faisable , (Exp. Pissot), preuve qu’ elle distingue au moins leur centre de leur pourtour, sans quoi elle se heurterait aux fils et tomberait fort souvent. Les insectes plus stupides ou à plus faible mémoire (diptères) se laissent toujours rebuter, ne font pas d/essais, et n’arrivent à rien, à moins qu’un attrait trop violent ne les pousse à se poser sur le filet et à y chercher une entrée ; alors ils font comme Plateau l’indique; mais ce sont encore le manque de réflexion et 1’ oubli, bien plus que la mauvaise vue, qui les empéchent de faire attention aux centres des nombreux passages. Il ne suffit pas d’ avoir un sens; il faut savoir s’ en servir. On le voit chez l homme méme. — Il n’y a qu’à examiner sans parti pris les résultats de Plateau lui- méme pour se convainere de la chose. Il y a du reste certains diptères qui, quoique fortement attirés au vol, n’ ont pas l’instinet de chercher à traverser à pied un obstacle. Tels sont les Culicides qui se posent sur le moustiquaire, sans chercher à passer dans les mailles. Je ne crois pas faire erreur en interprétant ta chose par le fait que dans la nature leurs victimes (mammifères) sont presque toujours à découvert. Le Culex (moustique) se posera sur votre pantalon et cherchera à traverser l’étoffe de sa trompe, mais non pas à passer sous son bord inférieur, comme le font, à force de chercher, les puces ainsi que les guèpes et fourmis vengeresses de leur nid attaqué. Attiré par l’ odeur du dormeur caché dans un moustiquaire, les Culex volent droit à lui et bourdonnent autour de la mousseline, puis se posent paisiblement dessus, sans jamais chercher à tourner la difficulté. Aussi, dans la forèt vierge des tropiques, suffit-il de laisser pendre les pans du moustiquaire tout autour du hamae dans lequel on dort entre deux arbres, comme je lai fait souvent. Les Culex n’ont pas l’idée de passer par dessous. Je n'ai. pas expérimenté sur la largeur exacte qu'il faut donner aux mailles d’un filet ou treillis pour que les Culex le traversent au vol sans s’y heurter. Cette expérience vaudrait la peine d’ étre faite, car, étant donnés l’instinet et la bétise de ces insectes, elle permettrait une certaine conclusion sur le degré de netteté de leur vue. En outre elle aurait une valeur pratique sérieuse, surtout depuis les magnifiques découvertes du Prof. Grassi de Rome sur la propagation de la malaria par les Amnopheles (genre de Culicides). Mais,-ici encore, il faut tenir compte de 1) envergure de 1’ insecte et pas de la largeur de son corps. Il faut donc opérer d’ emblée avec des mailles de 8 à 10 millim. au moins. Cependant, au point de vue purement pratique, il faudra penser au cas où par hasard 1’ insecte, en se posant sur un fil, se SENSATIONS DES INSECTES 41 placera un peu vers le còté intérieur et risquera ainsi (comme la fait remarquer Plateau pour les Calliphora), en reprenant son vol, d’arriver sans le vouloir à Vintérieur du filet. Ce sera toujours le danger des trop grandes mailles. Pour juger de la vue il faudra par contre observer le passage direct et sans heurt, au vol. tf) Attraction des ‘insectes par les fleurs. Préférences de couleur : (Plateau 1.) On sait qu’ Hermann Miiller a insisté sur le ròle des couleurs des fleurs comme cause d’ attraction des insectes et a sontenu l’opinion que certaines couleurs vives des fleurs attirent par elles mémes les insectes, ce’ est-à-dire que 1’ attrait pour telle ou telle couleur vive les engagerait à se diriger vers elles plutòt que vers des couleurs moins apparentes. Ces préférences de couleur serviraient ainsi indirectement à la fécondation des fleurs par les insectes, de sorte que la sélection porterait les fleurs, pour cette raison, à devenir de plus en plus colorées. Lubbock a fait des expériences d? où résulterait que les abeilles et les bourdons ont p. ex. une préférence marquée pour le bleu. Disons d’ emblée que cette question est eatrémement complexe et que les résultats d’obser- vations faites sans parti pris ne sont pas de nature à confirmer d’ une facon satisfaisante les idées de Miiller. Les résultats de Lubbock ne sont pas non plus fort concluants sur ce point. Il m’a paru souvent aussi que le bleu était spécialement propre à attirer et à diriger des bourdons et des abeilles sur un point, lorsque du miel se trouvait sur ce bleu, plus facilement p. ex. que Sil se trouvait sur le rouge. Mais comme les insectes distinguent mieux les couleurs du còté de l’ultra violet que du còté de l’infra- rouge, cela pourrait tenir à cette cause. Le blanc les attire à mon avis autant que le bleu, toutes choses égales d’ailleurs. Dans cette question, il ne faut pas confondre la distinction des couleurs avec la préféerence pour telle ou telle couleur. Autant la distinetion des couleurs est utile aux insectes qui vont sur les fleurs, pour les distinguer et les retrouver rapidement, autant l’attrait d’une couleur spéciale leur serait nuisible, en les empéchant d’ aller à des fleurs tout aussi riches en nectar ou en pollen, mais autrement colorées, ou en les attirant vers des fleurs ou d’ autres objets colorés de la couleur de prédilection, mais n’ offrant ni nectar, ni pollen, ou méme ayant des propriétés vénéneuse. Pour ces simples raisons, évidentes à la saine logique d’ un entomologiste chasseur, je n’ ai jamais pu partager les idées de Miiller et de Lubbock à ce sujet. Je suis heureux de me trouver sur ce point en parfait accord avec Plateau, dont les nombreuses expériences (1) tendent toutes à prouver nettement ce qu’on devait ‘attendre, c’est-à-dire que les 42 A. FOREL insectes se dirigent vers les fleurs qui leur procurent la nourriture dont ils ont besoin, et qu’ils les trouvent aussi bien lorsqu’ elles sont aussi vertes que des feuilles, que lorsqu’ elles sont bleues, rouges ou jaunes. Inversément, ils ignorent les plus belles fleurs aux couleurs éclatantes, lorsqu’elles ne leur fournissent rien. Plateau se donne une peine fort inutile pour démontrer qu’ il existe des fleurs vertes et que les insectes les visitent autant que d’ autres. Chacun savait le premier de ces faits, et le second n’ a échappé è aucun entomologiste, mais ses longs tableaux comparatifs réfutent Miiller à ce qu'il me semble. Existe-t-il cependant quelques pré- férences de couleur à còoté du fait fondamental que nous venons d’énoncer ? Ceci est si difficile et si délicat à décider que je n’ose me prononcer. i Mais Plateau a complété sur un autre point fort intéressant ses anciennes expériences. Je venx parler des fleurs artificielles. Il s'est donné une peine énorme pour obtenir les imitations les meilleures et les plus artistiques des fleurs naturelles. Or pour qui connaît l’art moderne sous ce rapport cela veut beaucoup dire, car l homme méme a besoin de toute son attention pour arriver è distinguer ces produits artificiels des vraies fleurs. Ici encore j’ ai le plaisir de confirmer Plateau par les quelques expériences que j'ai pu faire: Ce qui nous trompe ne trompe pas les insectes ou ne les trompe presque jamais et seulement pour un instant. L’insecte passe à coté des fleurs artificielles sans y faire attention, sans s’y arréter, sans hésiter, et va droit aux fleurs natureiles situées à coté et que nous ne distinguons pas d’elles! Devons nous en con- clure que les couleurs que nous employons, et qui ne sont pas chlorophylliennes sont distinguées par les inseetes des couleurs chlorophylliennes ? Cela paraît fort probable d’après les expériences de Plateau, et je le croirai jusqu’à preuve du contraire. Ce qui pour nos yeux est une bonne imitation de couleur paraît n’ en pas étre une pour l'oeil de l’insecte. Si 1’ on songe non seulement aux Daltoniens, mais encore aux différentes nuances avec lesquelles les artistes rendent et apprécient les couleurs, eux qui sont tous des hommes, on n’aura pas lieu de s’étonner de la chose. Puis l’imi- tation artificielle des fleurs .est faite à l’aide de la vue humaine et pour elle, ne l’oublions pas. Mais là s’arréte mon accord avec Plateau. Ici encore il a tiré de ses, expériences des conclusions erronées qui m’ont engagé è refaire de mon còté quelques expériences. Voici le résultat succint auquel jarrive en critiquant notre auteur : D’abord Plateau croit que ce’ est Vodeur et non la couleur qui attire les insectes. Il ne tient aucun compte de 1’ expérience déci- SENSATIONS DES INSECTES 3 sive que j’avais faite (v. plus haut), et dans laquelle des bourdons à antennes, palpes, bouche et pharynx coupés revinrent droit à leurs fleurs sans aucune hésitation. Toutes ses déductions tombent devant cette expérience. Mais voyons les siennes: Plateau opère sur de petits dahlias à coeur jaune et couleurs variées, visités par de nombreux insectes. 1) Il cache les fleurs périfériques des dahlias avec des papiers de diverses couleurs.. Les insectes vont malgré cela droit au coeur jaune des Dahlias. 2) Il cache les fleur. Les insectes y reviennent encore, mais moins souvent, et soulèvent parfois le papier pour chercher la fleur dessous. Plateau conclut que la forme et la couleur ne les ont pas attirés. IZ oublie que Vinsecte se rappelle la place où était la fleur! 3) Plateau cache les Dahlias colorés à 1 aide de feuilles vertes de vigne vierge, laissant sortir le coeur jaune seul. Les insectes y reviennent comme avant. 4) Puis il cache toute la fleur avec deux feuilles vertes. Les insectes y reviennent encore, dit-il, comme dans le cas 2. 5) Enfin il masque tous les cone du massif avec des ui vertes. Les insectes y reviennent, cherchent, soulèvent et trouvent la plupart du temps la fleur, surtout les Bombus. ] Plateau conclut: Ni la forme, ni les couleurs vives ne semblent avoir d’influence attractive. L’odorat est probablement le sens qui les guide. Plateau traite de plaisanterie 1’ objection qu’ on lui a faite en disant que l’insecte retourne par habitude à la place où était la fleur. Persuadé de la fausseté des conelusions de Plateau et ayant sur ma terrasse un massif de Dahlias comme ceux de notre auteur, colorés en rouge, violet, blanc, rose, brun etc. et visités surtout par de nombreuses abeilles, je répetai ses expériences avec les modifica- tions qui me parurent nécessaires le 10 septembre à 2‘/, heure. a) Je masque d’abord 17, puis 28 capitules de dahlias avec une feuille de vigne fixée par une épingle et assez roulée pour tout cacher. b) Je recouvre les coeurs jaunes seuls de 4 dahlias. c) Je couvre les fleurons colorés d’ un dahlia en laissant sortir le coeur jaune par une ouverture médiane. Il reste d’abord 21 dahlias libres, puis seulement 10 à coté de ceux que j' ai ainsi masqués. Notons que le nombre des abeilles visitant les dahlias était très grand. Parfois 2 on 3 abeilles buti- naient ensemble sur la méme fleur. En moyenne il y avait une abeille par fleur. En outre quelques Bombus et Megachile. Résultat. Tout d’abord les dahlias entièrement masqués (a) cessent è 44 A. FOREL entièrement d’ étre visités par les abeilles. Celles ci se jettent toutes sur les capitules demeurés découverts: Les abeilles volent souvent vers les dahlia «b », mais en général les abandonnent aussitòt. Seulement quelquefois elles se glissent sous la feuille, ce que font surtout les Bombus. Le Dahlia « c » est visité comme les dahlias découverts. Après avoir observé ce résultat qui ne concorde, comme on voit, nullement avec ceux de Plateau et qui était si frappant et si général que des dames et méme des enfants présents le constatèrent en sen amusant, j’ enlevai la feuille de vigne qui recouvrait un dahlia couleur rouge ponceau. Aussitòt les abeilles y revinrent comme auparavant. L’un des dahlia «a » cependant était un peu mal couvert, lais- sant sortir un foliole rose. Quelques abeilles, voyant évidemment le rose, y allèrent. Enfin une abeille, en furetant au vol, Aemna l’entrée d’ une des fleurs masquées, et, sentant évidemment, une fois tout près, l’odeur très forte, mèéme pour nous, du dahlia, s’y glisse et découvre le capitule. Dès lors elle y revient plusieurs fois, mais ce’ est toujours la seule et méme abeille. En somme, presque aucune abeille ne cherche autour des capitules couverts de feuilles de vigne. La différence est éclatante, car les autres sont perpétuellement visités par une foule d’abeilles. Il ne faut pas s’ étonner que quelques abeilles cherchent la majorité subitement disparue des dahlias. C'est un phénomène de mémoire. Mais plus tard la scène commenca a changer. A 5!, h., plu- sieurs abeilles avaient fini, en cherchant, par découvrir les dablias masqués et à pénétrer sous la feuille de vigne pour s’y rendre. Dès ce moment, les autre les imitèrent, et en peu de temps les fleurs masquées étaient de nouveau visitées en grande partie. ; Ici il faut observer encore une fois que dès qu’ une abeille a découvert le truc de la fleur masquée, elle n’hésite presque plus à ses voyages suivants, mais va droit à l’ouverture laissée par la feuille de vigne. Puis un second fait très caractéristique, c'est la rapidité avec laquelle une abeille, se met à imiter ce qui elle voit faire par un certain nombre d’ autres. Il est impossible de se méprendre sur ces deux faits. Tant qu’une abeille a été seule à découvrir quelque chose, les autres y font encore très rarement attention; dès qu’ il yen a4ou ò, les imitatrices suivent rapidement. Le lendemain je fus empéché de m’occuper de la chose. Mais les abeilles visitèrent dès lors et jusqu’au 13 septembre les dahlias que j’Pavais laissés masqués è dessein autant que les autres. Mon true était entièrement déjoué. SENSATIONS DES INSECTES 45 Donc Plateau avait mal observé et mal conclu. D’abord ses dahlias étaient insuffisament masqués, ne l’étant que sur leur face supérieure, tandis que les abeilles en volant dans un massif voient, aussi de còté et on dù apercevoir ainsi des fleurs colorées par leurs eotés. Cela me semble ressortir clairement des figures mèmes de Plateau qui montrent la feuille de vigne toute étalée sur la fleur. En second lieu, ses abeilles. ayant, de ce fait, découvert son truce plus tòt que le mien, il na probablement pas tenu compte de leur manière d’ agir, au commencement de | expérience, ou ne la pas observée. Or c’ est celle là seule qui permet de conclure sur la vue seule, indépendamment de la mémoire. En outre mes résultats confirment le mauvais odorat des abeilles à distance. Le 13 septembre. A. 10 et 20 mètres des Dahlias se trouvent sur un pré des Hieracium jaunes nombreux et un massif de pétunias. Les abeilles ne vont ni aux uns, ni aux autres. Je prend 3 fleurs de pétunias de couleur analogue à celle des Dahlias; je pique au milieu un Hieracium jaune, simulant grossièrement un coeur de Dahlia, et je pique mes fleurs ainsi artificiellement composées de fleurs naturelles au milieu du massif des Dahlias. Pendant !/, heure d’observation, je vois un grand nombre d’ a- beilles, ainsi que quelques mouches et bourdons, trompés par l’ap- parence, se diriger sur les fleurs de ma composition, méme plusieurs fois se poser dessus, mais repartir presque aussitot après avoir reconnu leur erreur, sans aucun doute par 1’ odorat, quelquefois peut-étre par le goùt. Ici encore le résultat montre clairement que les abeilles font leurs expériences et en profitent. Au commence- ment, presque autant d’abeilles volent vers mes artifices que vers les dahlias. Au bout d’‘/, heure peu d’abeilles y volent encore, la plupart ayant vu où étaient les faux dahlias et s’en souvenant pour n’y plus retourner. Un dahlia vrai, dont j’òtai le coeur jaune que je remplagai par un Hieracium, eut absolument le méme sort que les artifices Hieraciam-Pétunia, ni plus, ni moins. Mais qu’on fasse attention au fait suivant: Au bord du massif de dahlias, à un seul de ses còtés, se trouve un amas de Chrysan- themum jaunes et blanes (près de lewcanthemum) à coeur brunàtre. Les abeilles, bourdons etc., qui n’en veulent pas, ont pris l’habitude de passer au vol par dessus, sans les examiner, et vont droit aux dahlias. En passant, ces insectes frisent cependant les Chrysanthemum à 40 ou 20 centimètres à peine, au vol. Je prends alors un pétunia blane; je pique au milieu de cette fleur le coeur bien odorant d’un beau dahlia, et je place mon artifice bien visiblement et bien en haut an milien des Chrysanthemum. Eh bien! pendant ‘/, heure anenn 46 A. FOREL des très nombreux insectes qui volent par dessus n’y va; tous pas- sent sans le sentir et vont tout droit aux dahlias du massif. Enfin, au bout d’‘/, heure, une abeille, étant venu par hasard bourdonner tout près de ma fleur composte, en sent l’odeur et s’y pose. Alors une 2° abeille, voyant la 1"° sur la fleur, l’imite, et ainsi de suite, de sorte qu’au bout d’ un moment ce coeur de dahlia déplacé fut visité comme les autres. Des fleurs artificielles, placées au milieu des dahlias du massif, sont ignorées avec une conséquence qui aurait fait plaisir à M. Plateau. A peine une ou deux abeilles font elles au vol un ou deux crochets, peut étre fortuits, dans leur direction, mais sans bourdonner vers elles ni s’y poser. Comme il est prouvé pour moi que les insectes, méme ceux qui voient le mieux, distinguent les contours des objets d’une facon bien plus grossière et plus sommaire que nous, au lieu de m?’ efforcer d’imiter les fleurs naturelles avec tous les soins de l'art, je fabri- que le 19 septembre, moi-méme, très grossièrement, quelques fleurs en papier coloré, savoir: ax une fleur rouge ò une fleur bleue è coeur jaune, fait avec une feuille morte de laurier cerise. un papier rose avec un coeur sec de dablia. X » » bleue £ une feuille verte de dahlia telle : quelle. Je place une goutte de miel ou milieu de chacun de ces artifices. L’observation commence à 9 heures du matin. Pendant ‘/, d’heure d’observation, de très nombreuses abeilles passent et repassent au vol à còté de mes artifices, les frisant en tout sens et de très près, sans y faire la moindre attention, malgré le miel qui aurait da frapper leur odorat, si Plateau avait raison. Je m’en vais pendant une heure entière. Amon retour je trouve l’artifice $ vidé, e est-à-dire qu'il a été découvert par une abeille qui en a mangé le miel. Tous les autres sont encore intacts. Alors, avec beaucoup de peine, je place l’artifice x tout près d’une abeille qui butine au coeur d’un dahlia. Je répète 4 à 5 fois l’expérience, sans que les abeilles s’ apercoivent du miel, tant leur attention est absorbée par les dahlias. Enfin je réussis à faire toucher le miel à la trompe d’une abeille. Aussitòt elle s°y attache, aban- donne le dahlia, et se met à butiner dans la fleur de papier. Alors je pique cette dernière, pendant que Vabeille y butine, à une tige coupée du massif, parmi les fleurs normales de dahlia, et je peins en bleu le dos de 1 abeille. 89 » » blanche (0) N SENSATIONS DES INSECTES 7 Je répète cette expérience pour 1’ artifice f avec une abeille que Je peins en jaune, et pour l’artifice e, avec une abeille que je peins en blanc. Bientòt l’abeille bleue revient de son rucher peu éloigné tout droit è l’ artifice x, vole autour avec persistance, sans d’abord se poser, puis s’ éloigne un peu, voît 1’ artifice è, se pose dessus et y butine. Puis elle revient à l’artifice «. Après cela l’abeille jaune revient à V’artifice f. et y butine, puis va butiner aux artifices x et è, mais pas plus aux dahlias que sa compagne bleue. Arrive alors l’ abeille blanche qui cherche son artifice e, ne le trouve pas tout de suite, et va butiner dans quelques dahlias. Mais elle s’arréte un instant seulement è chaque dahlia, comme si le souvenir du miel l’obsédait; elle revient aux fleurs artificielles, sans bien les distinguer (je voudrais dire sans encore avoir bien associé le souvenir de leur vue avec celui du got et de Vodorat du miel), puis elle va voler vers les chrysanthemum à coeurs bruns et y découvre enfin quelques fleurons du coeur de dahlia sec de l'artifice :, tom- bés droit en dessous de l’artifice. Elle s’y pose et y butine le miel. Je repose ces fleurons sur l’ artifice e. | Dès lors les trois abeilles peintes, mais ces trois seules, reviennent à chaque instant aux artifices et y butinent, sans plus s’ inquiéter des dahlias. Il faut remarquer ici qu’elles découvrent toutes seules les autres artifices, colorés différemment de celui sur lequel je les avais placées d’abord. Ainsi l’abeille bleue va aux artifices d £ et X, l’ abeille jaune aux artifices è « et v, labeille blanche aux artifices e, x, f et è. Cela continue ainsi une demi heure durant. Je puis peindre mes abeilles sur le thorax, les ailes et 1’ abdomen, sans qu’elles se laissent déranger, tant le miel les absorbe. Aucune d’ elles ne trouve 1’ artifice € qui est plus bas, un peu plus caché et de toute autre forme, se confondant en outre avec les’ autres feuilles vertes de dahlias par sa couleur comme par sa forme. Les abeilles bleue et jaune ne trouvent pas non plus 1’ artifice e, plus caché et situé plus bas, sur le bord du massif. Arrétons nous un instant ici. M. Plateau déduirait sans doute de nos expériences que « les abeilles ne voient pas les formes et ne distinguent pas les couleurs ». Et pourtant il me semble que la legon est claire : Nos abeilles entraînées par les dahlias multicolores et habituées à eux, ne font d’abord aucune attention à tout ce qui n’imite pas suffisamment ces fleurs pour elles. Nos expériences montrent que les Petunias è cour d’ Hieracium ont seuls réussi à les tromper en partie. Quant les fleurs entières des dahlias sont cachées à leurs yeux, 48 A. FOREL elles ne les trouvent d’ abord plus, mais un coeur ou le pétale .coloré d’ un tleuron latéral suffisent pour les mettre immédiatement sur la voie. L’odeur du miel qu’ elles chérissent par dessus tout, n’arrive pas méme è attirer leur attention à quelques centimètres de distance, 1 odeur d’un ceeur de dahlia non plus. Mais dès qu’on a réussi à attirer attention de l’une d’elles sur du miel placé n’ importe où, dans notre cas sur des imitations infor- mes de fleur en papiers multicolores, elle change immédiatement d’orientation, le miei étant préféré au nectar du dahlia. Dès lors elle abandonne les dahlias pour voler aux artifices. Cependant, chose bien caractéristique, elle hésite à son premier retour, le souvenir visuel de ce grossier artifice tout-à-fait inusité pour une abeille, n’ étant pas encore assez fixé, pas encore assez associé à celui de l’odeur et du g0ut chéris du miel. Ces hésitations, je les ai observées cent fois aux premiers retours des abeilles, bourdons et guéèpes en un lieu et vers un objet inusité. On l’observe lorsqu’on a placé du miel ou le nid de ces insectes sur une fenétre. Ils volent et revolent en bourdonnant au haut et au bas de trois, quatre et cinq fenétres de la méme fagade pendant bien longtemps avant de retrouver l’ objet cherché. Je n’ oublierai jamais I’ expérience que je fis dans mon enfance en plagant tout un nid de Bombus sur ma fenétre, ni la peine infinie qu’ eurent les pauvres insectes à retrouver leur nid dans cette position tout-à-fait inaccoutumée; plusieurs se perdirent entièerement ou retournèrent à l’emplacement de leur ancien nid. On ferait grande erreur en attribuant cela à une mauvaise vue, car nous avons vu ces mémes Bombus retrouver sans antennes, ni bouche, d’ un seul coup et sans une seule hésitation, telle fleur où ils avaient l’habitude de butiner. Non! il s'agit ici de tout autre chose, d’ un phénomène psychique, d’ un instinet dévoyé. On demande trop au pauvre petit Qerveau d’ un insecte, en lui jouant de pareils tours. On demande trop à sa memoire et à Vassociation de ses souvenirs. Mes bourdons (Bombus) voyaient fort bien les fenétres. Ils voyaient sur l’une d’ elles la boite à cigare, recouverte d’ une plaque de verre, et renfermant leur nid. Mais était-ce bien là leur nid? Sans doute, avant de le quitter, s’apercevant d’ un grand changement, ils ne s’ étaient pas éloignés d’ un seul coup, mais avaient voleté 5 ou 6 fois à droite et à gauche devant la fenétre pour bien fixer sa posi- tion dans leur souvenir. C’est l’instinet de tous ces insectes, chaque fois qu’ ils quittent un lien nouvellement découvert, auquel ils veu- lent revenir. Mais une fois parti, notre bourdon, après avoir butiné dans diverses fleurs, ne sait plus s’il doit retourner à Il ancien nid détruit ou au nouveau. Nous ne pouvons nous représenter ce qui peut bien se passer là dans le cerveau d’ un bourdon, mais pour SENSATIONS DES INSECTES 49 mon compte je &Fois qu’ il retourne d’ abord è Vancien nid détruit, qui lui a laissé de plus fotts souvenirs, pour peu qu’il ne soit pas trop loin. Il n’ y trouve plus que des débris, les examine en vain, s° envole de nouveau (je le crois du moins), et alors ses quelques associations de souvenirs le ramènent à la fagade et aux fenétres. Mais pendant ce temps son souvenir encore mal associé de la boîte à cigare au coin de la fenétre s’ est presque effacé, et ce’ est pour cela qu’ il lui faut tant de peine pour retrouver son nid en un lieu sì singulier, si différent de tous les objets auxquels l’instinet d’un bourdon est adapté, et auxquels il était habitué jusque là. Et toutes ces fenétres qui se ressemblent V’induisent en outre en erreur. Il en examine trois, quatre avant de trouver la bonne. Mais mieux! Nos abeilles, après avoir hésité, reviennent non pas comme des machines chacune à l’artifice sur lequel on Pavait placée, mais tantòt à lun, tantòt à l’ autre de ceux qui sont dans la méme ‘fégion et qui simulent des fleurs de couleurs diverses. Plateau nous dira: c'est qu’ elles ne distinguent pas les couleurs. En tout cas alors elles distinguent les formes, puisque I’ odeur ne les avait pas attirées auparavant et continue è ne pas attirer leurs compa- gnes. Je réponds ceci: Elles étaient habituées auparavant è vi- siter des dahlias multicolores, à passer du rouge au rose, au violet, au blane ete., y trouvant toujours leur nectar. Maintenant, après avoir trouvé du miel sur un artifice, pourquoi n’ en chercheraient- elles pas sur un autre objet tout analogue, situé à coté, quoique autrement coloré? Elles se souviennent avoir trouvé du nectar dans des dahlias de diverses couleurs. Ce fait les engage à peu tenir compte des couleurs. Lubbock, qui a montré la distinetion des cou- leurs chez les abeilles, a fait remarquer très judicieusement que pour prouver la chose il faut entraîner longuement une abeille sur une seule et méme couleur. Alors seulement elle recherchera cette couleur seule et ne cherchera le miel sur aucune autre. Mais si Von na pas égard è ce fait, habituées è butiner sur des fleurs de diverses cou- leurs, elles sautent sans peine d’ une couleur à l’autre. Cela exige une légère association de souvenirs, mais pas de celles dont un insecte est incapable, car nous en observons une foule d’analogues chez les hyménoptères sociaux. L’abeille distingue Vartifice du dahlia naturel; cela va sans dire et se voit clairement. Tant qu’ elle n’ a trouvé que le nectar des dahlias, elle y accorde toute son attention et ne cherche que des dahlias, aussi longtemps qu’elle peut les dé- couvrir. Mais, dès qu’elle s’ est apercue que 1’ artifice renferme quelque chose de meilleur, elle abandonne le dahlia pour les artifices. Revenons maintenant à nos trois abeilles peintes que nous avons laissées à leurs artifices. Arrive maintenant par hasard, ou peut Riv. DI BIOLOGIA GENERALE, III i 50 A. FOREL ètre parce qu'elle a vu une des abeilles peintes y voler, une abeille nouvelle de son propre mouvement à l’artifice è, $°y pose et mange. C'est justement l’artifice qui avait été découvert spontanément en mon absence par une abeille (par elle méme ?). Je la peins alors en carmin. Après cela elle découvre 1’ artifice x où butinait l’abeille Meue ; elle Ven chasse et y mange à son tour. Et ainsi de suite. Un petit Syrphus (diptère) découvre de lui méme l’artifice e; c’est le seul. Puis mon fils cadet attire une abeille sur 1’ artifice e. Je la peins en vermillon. Une autre abeille arrive alors spontanément à l’artifice f. Je la peins en vert. L’abeille verte revient, mais sur I’ artifice è. Cinq abeilles butinent en méme temps: la jaune et la verte sur d; la bleue et la blanche sur £, la rouge carmin sur «. Mais elles changent réciproquement d’artifices ensuite. Chaque abeille peinte fait et refait 5 à 10 visites et plus de cette facon. Il est midi et 20 minutes (1’ expérience dure depuis 9 heures du matin). L’abeille blanche est la seule qui connaisse tous les artifices, y compris e, mais à 1 exclusion toujours de €. Une nouvelle abeille suit au vol l’abeille blanche, se pose sur e et butine; je la peins en brun. Dès lors deux, puis trois nouvelles abeilles, voyant les abeilles peintes voler en pareil nombre aux artifices, se mettent à les y suivre, et je n’ ai plus assez de couleurs pour les marquer diffé- remment. Deux et trois abeilles butinent ensemble sur le méme artifice. Je dois rajouter du miel à tout moment. Je vais alors dîner et je reviens à 1 h. 25 min. A ce moment 7 abeilles butinent dans le seul artifice }, deux dans l’artifice «, une dans l’artifice x, trois dans l’artifice d, l’abeille blanehe seule dans 1’ artifice e. Plus de la moitié sont des abeilles nouvelles, non peintes, qui ont suivi les peintes. Dès ce moment un véritable essaim d’abeilles se ruent de plus en plus sur les fleurs artificielles et les dépouillent de tout ce qui pouvait rester de miel. A ce moment aussi une abeille découvre enfin, après plus de 4 heures, et au milieu de Il encombrement, 1’ artifice £É qui, vu son aspect tout autre, qui le confondait avec le feuillage, était demeuré intact Jusque là. Alors l essaim, attiré du rucher et détourné des dahlias, se trouve comme une meute de chiens sur un squelette dépouillé de tout. Les abeilles cherchent en vain dans tous les recoins du papier. Plus rien. Il est 1 h. 55; elles commencent à s’éparpiller et à se lasser des artifices devenus stériles, pour retourner aux dahlias. A ce moment, je remplace « par un morceau de papier rouge analogue et f par un papier blane informe, analogue aussi. Ces deux nouveaux artifices n’ont pas eu trace de miel et n’ en ont donc pas 1’ odeur. SENSATIONS DES INSECTES DI Malgré cela quelques abeilles, obsédées encore par le souvenir du miel sur les artifices, reviennent visiter ces nouveaux simulacres. L’abeille blanche entre autres, examine le nouvel artifice B pendant 3 ou 4 minutes au moins, après s’ étre posée dessus. Ici 1’ odorat est absolument éliminé. Il ne s’ agit que des souvenirs de forme, de couleur et de localité. A ce moment j’ enlève tous les artifices et les prends dans ma main gauche pour les emporter. Alors 2 ou 3 abeilles se mettent è voler autour de ma main et cherchent à se poser sur les artifices que j' emporte. Ici la localité a changé: seules la couleur et la forme de l’ objet peuvent encore éveiller 1’ attention des abeilles. Est-ce assez clair, et M. Plateau se rendra-t-il enfin à l’evidence? — Que fera-t-il, dans cette expérience de la leucophilie, à laquelle Graber et lui accordent tant d’ importance? Comment Plateau et Graber expliqueront-ils que les abeilles, qui, d’ après eux, ne distinguent ni formes ni couleurs, mais seulement le clair et le foncé, distinguent sur,ma main un papier rouge foncé aussi bien qu’un papier blane et qu’ un papier bleu? A mon avis il découle encore de ces expériences, comme du reste de celles de Lubbock, que e’ est bien plutòt le goùt que 1 odorat qui, aidé de la vue, ramène les abeilles au miel et aux fleurs. L’ odorat ne leur sert quà se guider et à reconnaître le bon endroit è deux ou trois centimètres de distance. Done: 1.) Dès qu’une abeille a été rendue attentive au miel mis dans des fleurs artificielles grossières ou où que ce soit, elle y retourne. Sa mémoire la rappelle. 2.) A son premier retour, elle hésite encore un peu à associer les souvenirs de la vue à ceux du goùt, ensuite plus. 8.) L’odorat seul ne lui fait trouver le miel que de très près, et lorsque son attention n’est pas trop occupée ailleurs; il joue chez elle un ròle bien inférieur à celui qu’ il joue chez les guépes, les mouche ete. 4.) Le goùt est le sens qui attire le plus son attention, et, partant, sa volonté du còoté de l’endroit où elle a trouvé le miel. 5.) La vue de la forme, des couleurs, des dimensions et des distances (vue steréoscopique modifiée de 1’ eil à facette) la dirige seule dans son ol’ et la guide au moyen des souvenirs visuels associés à ceux du goùt et de 1’ odorat qui servent de but ou de point de mire. 6.) Lorsque plusieurs abeilles butinent à un endroit, elles attirent fortement par ce fait 1’ attention d’ autres abeilles qui se mettent alors à les suivre. Une seule abeille, surtout si elle a été attirée vers du miel à une grande distance du rucher, peut bien y revenir 92 A. FOREL seule, mais elle est incapable d’y amener ou d’y attirer des compagnes (Lubbock). — Je tire cette dernière conclusion des expériences de Lubbock, comme Ii, et ce que j’ ai pu voir n’ a fait que le confirmer. . A 2 h. 20 mes abeilles peintes retournent aux dahlias avec les autres. Nous avons montré plus haut (à propos de Lubboek) comment les abeilles palpent de la face sensorielle de leurs antennes, avec leur odorat au contact, les organes floraux. Les lépidoptères diurnes, les Megachile, méme un bombus 3 tiennent au contraire leurs antennes relevées et immobiles pendant la succion des fleurs. Le 27 septembre j’essayai une expérience dont le fiasco complet est assez instructif. Je fis peindre par une dame qui s’y entendait une large bande de carton blanc en zones successives passant insensiblement du noir au blane par tous les gris. Mon idée était de faire retrouver à une abeille un papier bleu ou rouge pourvu de miel, à quelque place que ce soit de cette bande, de facon à prouver encore par un autre moyen que ce n’est pas seulement le clair et I obscur, mais que ce sont les couleurs que les abeilles distinguent. Deux sources d’erreurs sont cependant difficiles à éviter: ombre projetée par le bord du papier, ombre difficile à éviter entièrement. Puis 1’ éelat du miel Imi méme. Cependant les expériences de Lubbock et les miennes pouvaient faire espérer que ces petites différences ne seraient pas discernées par les abeilles. Je voulais entraîner une abeille sur du bleu, à l’aide de miel, puis remplacer le carré bleu par un carré rouge à miel, et faire alors revenir I abeille à un carré bleu sans miel, placé tour à tour sur les divers gris de la bande allant du noir au blane. Si 1 abeille retrouve le bleu partout, il va sans dire qu’ elle n’ est pas dalto- nienne et le distingue du clair et du foncé. Mais j' essayai mon expérience 8 jours après celles qui précèdent et j’avais compté sans les souvenirs de mes abeilles! A peine eus-je placé une ou deux abeilles sur les carrés bleus, et les eus-je peintes, qu’ elles revinrent à tous les carrés possibles, rouges, noirs, blanes, avec ou sans miel, et que les abeilles du massif des Dahlias se mirent à voler vers ma bande et mes carrés, les prenant sans aucun doute pour la répétition des artifices que je leur avais fournis quel- ques jours auparavant. Et elles ne se trompaient pas! Je ne veux pas prétendre qu’elles m’aient reconnu, car elles eussent sans doute fait de méme pour tout autre homme, et agirent de méme envers la dame qui avait peint la bande de carton. Mais elles avaient reconnu | ensemble de la situation et surtout les papiers , eolorés. Au bout d’um moment ce fut un essaim formidable qui SENSATIONS: DES INSECTES 59. vint s'abattre de tous les còtés sur la bande, les carrés, mes mains et la planche qui supportait le tout. Les abeilles se jetaient sur des carrés de papier n’ ayant aucun miel. Dès que 2 ou 3 étaient dessus, une foule d’autres les suivaient. Mais, lorsque le papier n’avait pas de miel, toutes repartaient bientòt après, tandis qu’ elles formaient de vrais tas sur les papiers pourvus de miel. Elles finissaient ainsi par découvrir le miel placé sous la face inférieure des carrés de papier, que je m’amusai à retourner, car en cherchant, une fois dessus, l’odeur les faisait rester, palper et finalement soulever le bord du papier. Leur vue, leur fit reconnaître, gràce à 1 ombre des bords ou aux reflets (le soleil brillait), méme un carré blanc sans miel sur du papier blanc et un carré noir sur du papier noir, quoique avec plus de peine. Les carrés de papier avaient de 4 à 4//, centi- mètres de còté. Je coupai alors les antennes de deux abeilles peintes en vert et en rouge. Ces abeilles, après avoir butiné, revinrent aux papiers bleus, la verte méme sur le morceau de couleur bleue de la boîte à couleurs sur lequel elle n’avait pu aller précedémment (j’avais posé la boîte ouverte, dans l’herbe, à quelques centimètres des papiers). L’ expérience a donc complètement manqué son but, mais elle prouve que la mémoire des abeilles dure plusieurs jours et que, si on ne sait pas en tenir compte, on s' embourbe dans de fausses conclusion. Il sera cependant possible de répéter la chose avec chance de succès, en entraînant une abeille sur le bleu ou une autre couleur loin de son rucher, sans avoir fait d’expérience aupara- vant avec elle et ses compagnes, et en évitant tout jeu d’ombre par l’emploi d’ une lumière diffuse et application exacte des carrés de papier coloré sur leur base. Je prie le lecteur de comparer les résul- tats de 1’ expérience manquée dont je viens de parler avec ceux de mes expériences précédentes faites sur les mémes abeilles au moyen de fleurs artificielles ordinaires ou d’ artifices de papier peint, et sur- tout avec ceux de Plateau obtenus à l’aide de branches artificielles de fleurs de pommier (voir plus bas). Je ne saurais comment faire mieux ressortir que par cette comparaison la preuve que les insecte à cerveau relativement développé ne sont pas seulement attirés ou repoussés directement pas les irritations de leurs sens, mais qu’ils ont des souvenirs de leurs sensations et les associent, e’ est à dire qu’ils ont, outre les sensations, des facultés correspondant dans leurs grand traits à notre attention, notre mémoire et nos perceptions des objets. Revenonsà Plateau (1, Deuxième partie, 1896). Darwin ayant cru prouver que les pétales bleus du Lobelia erinus attirent les abeilles et que celles-ci ne reviennent plus à ces fleurs lorsqu’on a 54 A. FOREL coupé les pétales, Plateau répète l’expérience avec des Eristalis (diptères) et trouve en résumé au total : Lobelias intacts Lobelias à pétales coupés visites avec succion 33 25 visites sans succion 29 16 Mais les chiffres prennent un autre aspect, si l’on tient compte des détails de I’ expérience en y réfléchissant et en comparant. 1.°° expérience 14 sept. de 9 à 10 h.: Lob. intacts 21 visites; Lob. mutilés 9 visites. 2.me expérience 14 sept. de 2 à 3 h.: Lob. intacts 7 visites; Lob. mutilés 7 visites. S.re expérience 16 sept. de 11 à 12'/, h.: Lob. intacts 34 visites; Lob. mutilés 25 visites. i Les Lobelias intacts étaient placés dans un pot, les mutilés dans un autre. Ajoutons que les ZEristalis, Vespa, Syrphus ete. qui visi- tèrent les Lobelia sans pétales ont un bon odorat, bien meilleur que celui des abeilles observées par Darwin, que la mutilation de Lobelias facilitait la succion aux Eristalis et qu’une Vanessa et une Pieris qui y ont été n’auront fait que suivre à la vue les autres insectes. Mais ce que nous voyons, c'est que, pour commencer, et malgré l’analogie visuelle générale des deux pots, à Vexception des pétales bleus, les insectes vont plus de deux fois plus aux Lobelia intacts qu’ aux mutilés! Une fois qu’ils ont reconnu le truc, ils font comme mes abeilles avec les Dahlias masqués, et les visites s’égalisent. Darwin aura probablement expérimenté avec des pré- cautions plus judicieuses, et c’est ce qui explique la différence entre ses résultats et ceux de Plateau. Alors Plateau opère avec des abeilles qui allaient sur des Oenothera biennis à beaux pétales jaunes. Le 3 septembre il coupe les corolles, ne-laissant que les étamines. Je lui laisse la parole : « Les abeilles visitant la plante volent dans tous les sens, vers les fleurs fanées, vers les boutons, mème sur les pétales tombés è terre qu’ elles examinent assez attentivement en se promenant des- sus; cependant elles ne se posent pour butiner que sur les fleurs mu- tilées privées de corole» (c'est Plateau qui souligne!). Et Plateau de conclure que ce’ est l’odorat qui les dirige et pas la vue! Est-il possible de mieux prouver soi-mème le contraire de ce qu’ on fait dire à son expérience! Que les abeilles ne butinent pas là ou il n’y a rien; cela M. de Lapalisse le savait. Mais quel- les cherchent leurs fleurs coupées, partout où elles en apercoivent, à leur couleur jaune éclatante, les débris que Plateau a pris soin de laisser tomber par terre devant la plante pour mieux se donner SENSATIONS DES INSECTES 55 tort, ou voient des rudiments secs ou des boutons sur la plante, cela concorde si admirablement avec nos expériences que je me passe de tout commentaire. Les abeilles cherchent, et, ne trouvant rien sur ce qui est le plus voyant, vont aux étamines qui restent sur le calice et trouvent. Plateau croit que la visite des pétales tom- bés tient à ce qu’ ils sont imprégnés d’odeur. S’il avait suivi plus longtemps son expérience il aurait va qu’ au bout d’ un certain temps, après avoir reconnu qu'il n’y avait rien dans les dits pétales, les abeilles auront cessé de les visiter. D’autres expériences de Plateau lui-méme contredisent du reste sa fausse opinion sur l’ odorat des abeilles. Plateau répète ses expériences avec des liserons coloriés, des Delphinium des Centaurea cyanus avée des résultats analogues. Cependant, les Bombus cessent de se rendre aux Antirrhinum (gueules de loup) dont il a enlevé les coroles. Il y'explique cela, dit-il, parce que les Digitales ont leur orifice vers le bas et les Antirrhinum vers le haut, mais fermés, et que les hyménoptères attaquent toujours ces deux espèces de fleurs de bas en haut. Or I’ Antirrhinum coupé a la corole dirigée en haut, et c’est, d’après Plateau, la raison pour laquelle les Bombus n’ y vont plus! Il faut étre sur une bien fausse route pour chercher une expli- cation aussi incroyable d’un fait aussi simple. D’abord les Bombdus ne vinrent pas voler vers les. Antirrhinum, à notre avis simplement parce qu’ ils ne les virent plus et furent attirés ailleurs. Donc, d’après Plateau, qui ne croit pas à la vue des formes, ni au raisonnement des insectes, il faudrait que les dits Bombus aient jugé à distance, au vol, evactement de la forme et de la position de Vorifice de la fleur mutilée et en aient tiré la conclusion qu’ils n°Y entreraient pas à cause de sa position supérieure et non inférieure! J avoue ne plus rien comprendre à notre auteur, d’autant moins que les Bombus butinent par en haut dans une foule de fleurs. Il fait tout-à-coup de ces insectes des géomètres émérites, distinguant des subtilités de forme à grande distance. «Pour réfuter d’ avance toute explication dans laquelle on ferait Jouer un ròle à des habitudes prises par le insectes», Plateau opère alors le 5 juin sur l’ ombelle d’ un Heracleum (ombellifère) rare, pied unique dans son jardin, et provenant de graines d’ un jardin botanique fort éloigné. Il couvre l’ unique ombelle épanouie d’ une grande et de plusieurs petites feuilles de rhubarbe. En trente mi- nutes il constate sept visites d’ abeilles (3) et d’ autres insectes. Les abeilles se posent d’abord sur les feuilles de rhubarbe, s’y promènent, explorent, et arrivent parfois à atteindre 1’ ombelle par dessous. Pfateau croit que l’ odorat a attiré ces insectes à 56 A. FOREL I ombelle. Il n’ a pas un instant lidée de penser que ce soit le souvenir des voyages qu’ ils y ont faits le jour précédent. De là la série de ses fausses conclusions. Le 11 juin il répète son expérience sur 5 ombelles épanouies dès lors, y constate en une heure et demie 45 visites d’insectes (odynères et diptères) qui sans aucun doute avaient appris à connaître ces ombelles du 5 au 11 juin. Il en tire la méme conclusion erronée. Perez (Notes Zoologiques, Act. soc. Linn., Bordeaux 1894) avait mis du miel dans des coroles écarlates de Pelargonium que les abeil- les ne visitent pas à l état normal. Une fois le miel découvert les abeilles visitèrent les Pelargonium tant et si bien que la couleur rouge des Pelargonium s’associa a leur souvenir et qu’ensuite elles visitèrent de nombreux Pelargonium sans miel, ne les quittant qu’ après s’ étre assurées qu’ elles n’ y trouvaient rien. Pour réfuter Perez, qui, comme on le voit, est d’ accord avec nous, Plateau (1, troisième Partie 1897) répète son expérience sur une bordure de Pelargonium rouges (c’est moi qui souligne). Il place le miel sur les Pelargonium d’un point de la bordure et constate simplement que ceux là seuls sont visités, tandis que, sauf quelques vols d’exploration (tout de méme!) les 25 plantes en fleur du reste de la bordure sont négligées par les abeilles. Pourquoi Plateau choisit-il une bordure au lieu de mettre du miel dans certaines fleurs de la méme plante et pas dans d’ autres? La bordure formant ligne, il était à prévoir que les abeilles n’iraient pas chercher sur les parties de la ligne où elles n’ avaient jamais rien trouvé, mais seulement au point où on leur donnait du miel à foison. Il n’ a done pas réfuté Perez. Plateau fait cesser la visite des insectes en supprimant la por- tion nectarifère des fleurs et la rétablit en y mettant du miel. Cela allait sans dire, et c’est l’histoire de mes artifices en papier peint. Mais il serait oiseux de le suivre dans les détails d’autres expé- riences qui ne prouvent rien pour les raisons que je cerois avoir suffisamment établies. Il se donne une peine bien inutile comme nous l’ avons dit, pour prouver que les insectes visitent les ‘fleurs vertes comme les autres et qu’ ils visitent les fleurs non nectarifères (dites anémophiles ou fécondées par le vent, en opposition aux fleurs entomophiles ou fécondées par les insests) dès qu’on y met du miel. Fleurs artificielies. Plateau y revient en 1897 et fait une expérience qui, à mon avis, résume toute la question et met le doigt sur l’ erreur fondamentale de notre auteur, mieux que tout le reste: C. E. Bedford (the Entomologist XXX, n. 410, p. 197 juillet 1897) avait vu un papillon blane (Pieris brassicae) se poser sur le bou- \ SENSATIONS DES INSECTES 57 quet de muguets artificiels du chapeau d’une dame. Plateau dit que le Pieris Va fait par mimétisme, pour se poser sur une surface blanche. Il accorde done que le Pieris a vu le bouquet blane. Il ajoute que si les fleurs artificielles attiraient les insectes, un essaim de ces animaux s’ abattrait sur les chapeaux de nos belles dans tous les jardins publics, et il a raison. Si l’essaim d’insectes ne le fait pas, c'est sans doute parce qu’ il distingue ces artifices mou- vants des vraies fleurs et que, lorsque par hasard il vient à voler sur eux, il n’ y trouve rien à manger. Alors Plateau place du miel dans des myosotis artificiels et ob- serve que les abeilles n’y vont pas plus qu’à ceux qui n’ont pas de miel. Puis, 1@&30 avril, il suspend aux branches les mieux exposées d’ un pommier en fleur quatre rameaux portant chacun un bouquet de fleurs de pommier artificielles, imitant remarquablement bien les fleurs naturelles de l’arbre, après avoir .mis du miel dans cha- cune des coroles artificielles. Il observe pendant 1 h. 30 min. Le pommier est visité par de nombreuses abeilles, des diptères et quelques Vespa et Bombus, mais en petit nombre. « Pendant tout ce temps les abeilles n’ont fait aucune attention aux fleurs artificielles miellées ; celles-ci n’ont recu quune très courte visite d'une Vespa, et n’ont été un peu longuement wvisitées que par deux mouches ». Pour s’assurer que son miel était bon, Plateau en mit sur des fleurs naturelles du pommier où il fut avidement mangé par les abeilles. L’expérience fut répétée le 1 mai avec le méme résultat. Cependant Plateau constata plusieurs fois de courts vols d’inspection vers les fleurs artificielles, tant miellées que non miellées, de la part d’abeilles, Lépidoptères etc. Mais les insectes ne se posèrent pas. Il conelut avec raison que | insecte distingue la fleur artificielle de la fleur naturelle, mais à tort que la fleur artificielle le «repousse ». J' ai prouvé ci-dessus le contraire par mes expériences. Ce que Plateau ne conclut pas, c'est que les abeilles n’ont pas senti par Vodorat le miel des fleurs artificielles, tout en passant au vol à coté, tandis que deux mouches et une guépe Vont senti. Ces faits sont la confirmation exacte de mes expériences. Si Plateau avait placé lui méme une ou deux abeilles sur les fleurs artificielles miellées, comme je l’ ai fait, il serait arrivé au méme résultat que moi, au lieu de s’ enfoncer de plus en plus dans ses erreurs. En outre Plateau passe à ce propos sous silence mes expériences et celles de Lubbock sur la vue des couleurs. Il répète ses expériences sur des Digitalis purpurea artificielles miellées. Aucun hyménoptère ne s’en occupe, mais les diptères les visitent activement et y butinent. Des bourdons font cependant des crochets au vol vers ces artifices, les examinent, mais ne 8’ y 58 A. FOREL posent pas. Plateau ne sait pas y voir la différence entre le bon odorat des diptères et le mauvais odorat des apiaires. D’après lui des fleurs artificielles faites avec des feuilles vertes et miellées attireraient au contraire des hyménoptères. Mes expériences citées plus haut donnent 1 explication toute simple de ces divers faits, et j'espère que le lecteur sera suffisamment édifié pour me permettre de passer sous silence le reste des interminables expériences de Plateau. Nous n’y apprendrions rien de nouveau. Pour la méme raison je ne m’ étendrai pas sur les recherches de Herm. Miiller, Bennet, Bonnier, Gratacap, Christy, Bulman, Scott Elliot, Delpino, Kuntze, Knuth et Pla- teau (6) sur le sujet vraiment fastidieux, de savoir si les insectes ont ou n’ont pas de préférences pour certaines couleurs. Ici je suis d’accord, comme je lai dit, avec Plateau (et Bulman). Ce qu'il y a d’ étonnant, e’ est que tant d’ auteurs puissent dépenser tant d’ enere pour enfoncer une porte ouverte, résumée clairement par Bulman lorsqwil dit « qu’ il n° importe pas d’ un iota à 1’ abeille (disons à l’insecte) que la fleur soit bleue, rouge, rose, jaune, blanche ou verte; tant qu’il y a du nectar (disons ce qui convient à chaque espèce) cela lui suffit ». (Nat. Science, XIV, n.° 84, febr. 1899). Seulement: Le fait que telle ou telle couleur n’ attire pas par elle méme spécialement tel insecte ne prouve nullement qu'il ne la distingue pas d’autres couleurs. Les dernières conclusions de Plateau (6, 1899) sont assez curieuses. Il commence par déclarer « n’ avoir jamais dit que les insectes ne voient pas les couleurs des fleurs; que ce serait absurde » (cependant, dans 1, première partie, p. 472 il met en titre: de la soi disante distinction des couleurs par les insectes). Puis il ajoute que les différences dans les quantités de lumière réfléchie ou dans la réfrangibilité des rayons lumineux transmis par les milieux transparents ou réfléchis peuvent expliquer les résul- tats obtenus jusqu?’ ici. Et enfin il pretend que la question à résoudre est: Les insectes qui visitent les fleurs se laissent ils guider dans leur choix par les couleurs que ces fleurs présentent pour 7 oeil humain? A ceci je reponds: Des travaux précédents de Plateau, et de ce qu’il s’ était rattaché à l’idée de Graber sur la photophilie et la photophobie on devait conclure qu’ il considerait les insectes comme absolument daltoniens, pour toutes les couleurs, (c. a. d.) distinguant 1)’ intensité de la lumière, mais ne faisant pas de diffé- rence specifique entre la longueur de ses ondes ou la refrangibilité de ses rayons. En effet, ce sont précisément ces dernières différences qui nous font distinguer les couleurs, sauf ultra violet, pour lequel I homme normal est daltonien. Soret en a donné la raison. SENSATIONS DES INSECTES 59 Je proteste contre la facon dont Plateau pose maintenant la question. Pas plus que lui je ne cerois que les insectes voient subjectivement les couleurs comme nous, et je crois de plus, avec lui, qu’ il y a des différences objectives dans la facon dont leur eil et le nòtre sont impressionnés par les diverses formes de la lumière, c. a. d. par les couleurs et leurs nuances. Mais les expériences de Lubbock, de Peckham, d’ autres auteurs et les miennes indiquent que certains insectes distinguent non seulement des fleurs, mais des objets colorés, à leur coloration, c’est à dire à l’espèce de réfrangibilité des rayons lumineux, qu’ ils réfléchissent ou laissent passer, et les reconnaissent à cette particu- larité, lorsqu’on élimine les autres sens, et méme lorsque les dits objets se trouvent entourés de lumière de méme intensité. Or c'est ce qu’ un daltonien ne peut pas faire. J’ ai vu deux daltoniens ne | pas apercevoir à un pas de distance les fleurs rouge écarlate d’ un | Cydonia japonica dont le feuillage vert de l’arbuste était émaillé, et que les autres gens voyaient à 59 méètres. Ceci pour répondre è Plateau qui pretend qu’ il est si difficile d’arriver è une somme èà peu près égale d’intensité lumineuse pour des couleurs différentes. En disant que les abeilles distinguent les couleurs, nous n’avons jamais voulu prétendre qu'elles les voient eractement comme les hommes, cela d’autant moins que, comme je l’ai déjà souligné, les hommes ne les voient pas tous absolument de méème. Done je puis me rallier à la dernière version de Plateau à cet égard, ayant confirmé moi méme le fait que les insectes que j’ai observés distinguent les imi- tations artificielles des fleurs là où nous ne les distinguons pas. Enfin Plateau (6) arrive à la conclusion de Bulman qui est aussi la mienne, mais il attribue à Exner une opinion qui n’ est pas la sienne en lui faisant dire que méme à quelques mètres de distance les fleurs ne peuvent étre vues par les insectes, que comme des taches absolument vagues (faute f.). Disons: d’une fagon plus ou moins vague ou nette selon la grandeur de la fleur, la distance, le nombre des facettes de 1’ ceil etc.; alors nous dirons ce que dit Exner et ce que je dis avec lui. Vue à distance. Cécité fonctionnelle par le repos absolu de la vue. Plateau répétant à chaque instant que les insectes ne voient que des nébulosités, des brouillards, des taches (qu’il appelle quelque- fois colorées, après avoir douté de la distinetion des couleurs) ete., 60 A. FOREL il est nécessaire de considérer d’ un peu plus près la question de leur vue à distance. Partons subjectivement de notre vue humaine, et constatons de ‘ prime abord que le fait que 1’ oeil humain normal émétrope ne distingue pas les feuilles d’un arbre à 4 kilomètres, ni les fenétres d’un corps de bàtiment à 25 kilomètres ne signifie pas encore qu'il voie le dit arbre ou le dit bàtiment comme une tache informe ou un nuage, lorsque le temps est clair. Objectivement, l’ image du Lampyris photographiée par Exner nous montre à 2 m. 25 cm. assez distinetement les jambages épais de 4,9 cm. d’un k, et, à 135-pas humains, une église, avec sa tour. Exner ajoute avec grande raison que la photographie et sa reproduction ont encore fait perdre à l’image de sa netteté. Or 1’ église est nua- geuse, il est vrai, mais on distingue fort bien la forme générale de sa tour et du toît du corps de son bàtiment. Les fenétres sont à peine perceptibles, mais le mur se distingue un peu mieux du toît. Pour le petit Lampyris à une distance de 135 pas, ce n’ est pas mal du tout, et ce degré de netteté suffit parfaitement à nous expliquer la facon dont les insectes se dirigent au vol dans les airs, surtout lorsqu’ ils ont de meilleurs yeux que le Lampyris et distinguent les couleurs. Pour voir plus distinetement, il n’ ont qu’à se rapprocher au vol et à s’aider encore de l’odorat. De pareilles formes des objets, surtout colorées, suffisent pour fixer des images de mémoire aptes leur faire reconnaître leur route atrienne, car dans un espace de 135 pas, de nombreuses images d’objets se succèdent, deviennent plus nettes à une plus grande proximité !), et suffisent par V association de leur séquence dans Vespace pour orienter l’insecte. Il est hors de donte que les hyménoptères sociaux ailés s’orien- tent de cette facon. Les Chalicodoma de M. Fabre qui, emportés à 3 kilomètres de leur nid, marqués avec de la couleur, puis làchés, s’envolent d’abord à une certaine hauteur, se balancent de ci et de là, puis partent dans la direction de leur nid où ils arrivent en 20 minutes, donnent une preuve claire et nette de ce que nous avancons. Mes abeilles et bourdons à antennes coupées et méme à bouche et pharynx extirpés en plus, qui reviennent butiner aux fleurs ou au miel, les abeilles à antennes seules coupées, qui reviennent méme plusieurs fois de suite, après étre rentrées dégorger leur miel à leur rucher, prouvent péremptoirement l’orientation par la vue des yeux ) Nous avons vu que cette augmentation rapide de la netteté des contours devait nécessairement leur aider è juger des distances, remplagant ainsi en partie notre accomodation. SENSATIONS DES INSECTES 61 composés seuls à l’aide des souvenirs visuels. En effet, nous avons démontré que la présence ou l’absence des ocelles ne change rien à l’ orientation au vol. Done, si de gros objets mus à distance n’ attirent pas ostensi- blement les insectes par la vue et ne les effraient pas non plus, il ne s’ensuit nullement qu’ils ne sont pas vus. Rappelons encore qu’ une vue de mouvement permettant de poursuivre au vol un petit insecte et de l’atteindre implique néces- sairement une vue sommaire de sa dimension, c’est-à-dire done de sa forme. Enfin nous avons vu qu’une absence relative, mais complète de changements et de déplacements entre l’objet vu et l’eeil qui voit, fait cesser au bout d’un certain temps toute possibilité de sensation. Le cas se présente sans doute pendant des moments plus ou moins longs chez des insectes immobiles et explique leur apathie appa- rente, dont le mouvement des objets les réveille. Je crois ètre ici sur la trace d’ un facteur fort important de la psychologie comparée, spécialement de celle des insectes. Leur petit cerveau n’étant pas capable d’ un grand travail intérieur de pensées s? éveillant les unes les autres par association, son activité doit etre perpétuellement tenue en éveil par celle des sens ou des mouve- ments de 1’ insecte, pour ne pas s’endormir complètement. Lors- qu’un insecte est immobile, avec les antennes repliées, il doit donc étre dans une sorte de sommeil, tant que ni un ébranlement, ni un souffle, ni une forte odeur, ni surtout le mouvement des objets envi- ronnants, et spécialement d’étres vivants, frappant sa rétine, ne vient : secouer sa torpeur. L’observation des insectes, de leur vie et de leurs actes me semble confirmer absolument cette donnée a priori de la psycho-physiologie. Chez les fourmis au repos, dans leur nid, le fait est patent. Il leur faut méme un temps fort notable pour bien se réveiller. L’absence de paupières, d’accommodation et de mobilité des yeux tend à produire une apathie visuelle qu’ on pourrait appeler cécité fonetionnelle. Chez l’homme, par contre, les mouvements des yeux, des pau- pières et de 1’ accomodation rendent pareil phénomène de cécité fonetionnelle impossible tant que les yeux sont ouverts. Mais nous devons en tenir compte dans la vue des insectes, ce qui me paraît avoir été trop négligé. Résumé et remarques. Je dois m’excuser de ma longue critique et de mes longues expé- riences de contròle, tant auprès de M. Plateau qu’ auprès du lecteur, Mais c’était nécessaire, En utilisant les expériences de 62 A. FOREL Plateau lui-méme pour montrer les erreurs des jugements qu'il en tire, je rends pleinement hommage à son honnéteté scientifique. Et c’ est précisément cette honnéteté qui nous a permis de suivre l’ auteur pas à pas, et de retrouver à I’ aide du récit fidèle des faits, le fil le leurs connexions réelles et leur concordance. Gràce à cela notre étude n’aura pas été une polémique stérile, car elle nous a amené à voir de plus en plus clair dans la question si intéressante qui nous occupe. È En résumé, nous voyons que les faits sont très complexes, et c'est pourquoi je m’abstiens de conelusions générales sur « les insec- tes » voyant ou ne voyant pas « les formes et les couleurs etc. », car pareille généralisation serait nécessairement fausse. Si on veut comprendre, il faut se donner la peine de suivre les détails. Je tiens cependant à répéter qu’avec les restrictions que Plateau y a peu à peu apportées, sa manière d’ interpréter sa soi disant non distinction des formes chez les insectes finit par en revenir du plus au moins à 1’ opinion d’ Exner qui a toujours été conforme à la mienne. L’erreur de fait la plus grande dans laquelle tombe Plateau est celle par laquelle il attribue chez certains insectes, en particulier chez les abeilles, à I’ odorat, ce qui revient à la vue. Du reste dans son travail n.° 5 (5®e Partie p. 62), Plateau arrive à résumer la fagon dont les insectes se dirigent, d’ une fagon qui dans ses traits généraux se rapproche assez de la vérité. Comme nous l’ avons vu, ce sont des erreurs d’ interprétation, des généralisations inadmissibles et continuelles, puis 1’ omission presque totale des facultés psychiques de 1’ insecte, surtout de la mémoire et des associations qui sont cause des jugements erronés par lesquels Plateau a embrouillé la question. Je tiens enfin à noter déjà ici que je suis parfaitement conscient de la défectuosité de la nomenclature psychologique anthropomor- phique que ;j? emploie. Mais je préfère traiter ce sujet et donner mes motifs tout à la fin de ces études. AUGUSTE FOREL. ASTURARO 69 Sociologia zoologica (generale). I fenomeni di qualsiasi società, animale od umana, ed a fortiori quelli di una semplice agglomerazione, sono evidentemente la risul- tante degli atti compiuti dagl’ individui che la compongono ; pur essendo ben inteso che le attività di ciascuno subiscono continua mente l influsso causale dell’ insieme delle attività dei rimanenti individui, e i nuovi nati trovano già in questo insieme una causa "del loro operare a cui non possono sottrarsi. Non dissimilmente, ma meno evidentemente, i fenomeni di un organismo, sesso risulta da vere unità (cellule o molecole viventi), sono dalla scienza conside- rati come la risultante delle attività di queste, pur essendo ben inteso che ciascuna unità subisce continuamente gli effetti dell’azione delle altre e del posto ch’ essa occupa nell’ organismo, e le nuove ripro- ducono i movimenti e gli atti delle loro madri, finchè cause esterne di variazione non sopraggiungano. Ma se in ciascun istante l’attività di ciascun individuo contiene già gli effetti dell’ insieme dei rimanenti individui, e non solo dei presenti, ma anche di quelli che lo precedettero, come si farà a spie- gare i fenomeni del tutto mediante le attività degl’ individui Sembra un problema insolubile; eppure la scienza sociale non è possibile altrimenti. È indiscutibile che vi sono attività più semplici e più elemen- tari che le attività dell’individuo associato, e sono quelle dell’indi- viduo non associato. In queste dunque dovremo cercare gli elementi di quelle. Ebbene una volta conosciuti questi elementi e le loro leggi, potremo introdurre il fatto della convivenza e vedere che cosa avvenga delle attività individuali in questa nuova situazione, quando cioè tra le cause esterne di determinazione vi sono anche gli individui con cui sì convive; cioè potremo scorgere e a un tempo spiegare, come effetti delle attività individuali e della nuova situazione, le attività degl’individui associati, e infine i fenomeni sociali che da queste risultano. 64 ASTURARO È il solo modo in cui una scienza sociale è possibile. Chè se in una società composta di A, B, C..., le attività volontarie spiegate da A fossero in tutto e per tutto l’effetto delle attività di B + ©, quelle di B un effetto di A -| ©, e quelle di C un effetto di A | B mon vi sarebbe più un bandolo della matassa, ed ogni spiegazione riuscirebbe impossibile. Noi premetteremo dunque al nostro studio rapido e generico «delle società animali quello delle attività volontarie e dei bisogni «degli esseri animati che non vivono in società, ma allo stato d’isolamento. Però non intendiamo descrivere i bisogni e le attività indivi- duali, poichè questa descrizione sì trova in tutti i trattati di Zoologia e Psicologia, e neppure seguirne le variazioni nei varî ordini e nelle varie classi e famiglie e specie di animali, giacchè il nostro studio è generale, non speciale. Che cosa intendiamo fare dunque? Cercarne i rapporti causali. Trovare questi rapporti è lo stesso che spiegare la condotta animale in ciò ch’ essa presenta di comune in tutti i tipi animali; allo stesso modo che trovare i rapporti causali dei fenomeni sociali sarà lo stesso che spiegare questi fenomeni in ciò che han di comune e generale. Ma i bisogni e le attività individuali possono aver rapporti. causali, prima di tutto, con l’ambiente esterno e con le funzioni biologiche e con gli organi. Questi rapporti sono stati oggetto degli studì del biologo e del psicologo, e noi non ne usurperemo il campo, ma solo trarremo profitto dai risultati da loro ottenuti. Essi possono inoltre aver rapporti ciascuno con un gruppo di emozioni e di rappresentazioni; ma anche questi sono oggetto della Psicologia, le cui verità saranno da noi presupposte. Infine essi hanno rapporti causali tra di loro ; e a questo studio, che sebbene psicologico 0 bio-psicologico, non era stato ancor fatto, era giocoforza che ci sobbarcassimo. Il risultato già esponemmo in un brevissimo schema. Si tratta ora di dimostrarlo, ed è ben inteso che qui noi limiteremo il nostro esame a quei gruppi di bisogni e di attività, che concer- nono il nostro scopo sociologico. i Essi formano una serie, in cui ciascuno è legato ai precedenti da tutti i rapporti di causalità da noi già definiti o da qualcuno di essi quando. gli altri manchino così per un verso come per l’altro, Ma non è la serie il nostro vero obbiettivo, perchè si può costruire una serie che non spieghi nulla, bensì, ripetiamolo, i rapporti causali, di cui quella dev'essere il risultato, non la premessa. Or questi rapporti sono molteplici, e non tutte le attività sono legate dagl’identici rapporti, perchè non tutte hanno lo stesso valore e la Stessa essenza e reagiscono nello stesso modo. Per chi, oltrepassato SOCIOLOGIA ZOOLOGICA i 65 il mondo fisico-chimico voglia servirsi del metodo dei semplicisti, ogni classificazione seriale, persino quella delle sole attività indivi- duali, sarà come l’inferno di Dante, sulla cui porta sta scritto : Lasciate ogni speranza, 0 voi ch’entrate. Una volta risoluto questo problema, che veramente non spettava ai sociologi di trattare, passeremo, come abbiam detto, al problema capitale della sociologia animale, non tentato nè da psicologi nè da sociologi, vale a dire ai rapporti causali delle varie attività degli animali associati e dei fenomeni sociali che ne derivano. CaAPo I. La serie dei bisogni e delle attività volontarie negli animali non sociali. Il bisogno di ricercare il piacere e di sfuggire il dolore è eviden- temente il più generale; l’elemento di tutti i bisogni, presupposto da tutti. Ma esso è anche indeterminato; e noi intendiamo trattare dei bisogni e delle attività determinate, che sono le seguenti : I. — Nutrizione. — Forse vi fu un momento in cui la vita non si manifestò altrimenti che come assimilazione, cioè non esisteva se non nell’ informe protoplasma : certo è che in tutti gli esseri viventi la nutrizione, dovendo fornire la quantità di energia neces- saria all’esercizio di qualsiasi altra funzione, è la condizione preesi- stente e indispensabile di tutte. Or bene in un essere animato a questa funzione elementare corrisponde il più fondamentale dei bisogni determinati; e un gruppo estesissimo di fatti psichici, cioè di emozioni, appetiti, desideri, rappresentazioni vi si collega pro- gressivamente. Forse vi fu un momento sulla terra in cui la psiche . non si manifestò altrimenti che nella ricerca di materia assimilabile: certo è che l’attività volontaria che si riferisce a questo bisogno fondamentale, deve considerarsi a priori come fondamentale relati- vamente a tutte le altre attività determinate. L’ esame di queste confermerà subito la nostra presunzione. Ma prima di passar oltre è bene avvertire che co’ progressi dell’organizzazione animale altre attività tendenti a cercare il piacere e sfuggire il dolore si aggiun- gono a quella nutritiva, come la ricerca del ricovero e poi la costru- zione di esso e infine, nell’uomo, quella del vestimento, che già si annuncia nelle grandi foglie di cui si copre lUrang. Queste altre attività posteriori, sebbene costituiscano insieme con quella nutri- tiva il gruppo della produzione animale, si può dire che presuppongano Riv. DI BIOLOGIA GENERALE, III. 5 66 ASTURARO la reazione di attività più elevate, onde noi per maggior semplicità e chiarezza ne taceremo, avvertendo che anche l’ attività puramente nutritiva può assumere forine assal complesse, che sarebbero impossi- bili senza la reazione di attività più alte; onde la stessa sua fondamen- talità non esiste in modo assoluto, se non fino ad un certo grado di complessità dell’attività stessa. Il che nulla toglie alla serialità; infatti perchè serialità ci sia, tra due attività A e B, basta che un minimum di A sia fondamentale per rispetto ad un minimum di B. E quest’ avvertenza deve tenersi presente per ciascun’ attività. II. — Riproduzione. — Psicologicamente il rapporto che inter- cede tra il riprodursi ed il nutrirsi non è di mezzo a fine; non è teleologico. Nessun animale si riproduce per il desiderio di meglio nutrirsi. Ma neppure in senso inverso il legame teleologico esiste : l’animale non si nutre per ottenere il piacere della riproduzione o per meglio riprodursi. Se dunque il legame teleologico manca così per un verso come per l’altro, noi lo porremo da banda e passe- remo a quello condizionale. Mal si appongono però quelli che non iscorgendo alcun rapporto di mezzo a fine tra l’attività volontaria del nutrirsi e quella del ripro- dursi, le pongono l’una accanto all’altra e dicono : la fame e amore, ecco le due molle del mondo animale. No: esse non sono accanto : sono, anche nella serie zoologica e nel tempo, luna prima e l’altra dopo e l’una è la condizione sine qua non dell’altra. Un animale che non si nutre non può crescere nè riprodursi. La quantità di energia fornita dalla nutrizione è la condizione preesistente della funzione riproduttiva, e quindi l’attività volontaria, che si riferisce alla prima, è la condizione preesistente o, almeno, è legata alla condizione preesistente dell’ attività volontaria che si riferisce alla seconda. L’inverso non è sostenibile: la nutrizione dell’individuo non dipende menomamente dalla riproduzione dell’individuo stesso, come da sua condizione. Il rapporto genetico psicologicamente e per le rispettive atti- vità volontarie, non esiste nè per un verso nè per l’altro. Adunque le due grandi attività volontarie dell’essere animato formano, come le due grandi funzioni a eui corrispondono, una serie; ma il rapporto causale che le collega e che fa dipendere I’ una dall’altra è soltanto condizionale, mentre gli altri rapporti mancano così per l’uno come per l’altro verso. Basta però il rapporto condizionale, perchè si verifichino tutti i rapporti secondarî (non causali). E, pria di tutto, se la riprodu- zione presuppone la nutrizione, è un effetto fenomenico più complesso. Ed è anche meno generale : infatti non tutti gli animali che cercano volontariamente la materia assimilabile, compiono volontariamente SOCIOLOGIA ZOOLOGICA 67 l'atto della riproduzione. Possiamo aggiungere altresì ch’esso è meno urgente e meno frequente nell’individuo, giacchè, mentre la ricerca del cibo è quasi continua, quello è molto raro ed in alcune specie avviene una volta sola per tutta la vita. III. — Lotta. Non intendiamo menomamente parlare della lotta nel suo significato generico e metaforico di concorrenza per lu vita, giacchè questa non è un’attività volontaria e si estende anche alle piante, e neppure della lotta come contrasto od urto materiale, ch’è ancora più generica e analogica e si verifica anche nei corpi inorganici; bensì della lotta animale che assume la duplice forma di aggressione e di reazione o difesa. Anche questa si può studiare in un senso più generale ed in un altro più ristretto. In generale, gli esseri animati appartenenti alle più diverse specie e classi, lottano tra loro per divorare o per non essere divo- rato, per togliere o difendere il ricovero, per carpire o salvare dalla voracità altrui le femmine, le uova, il nido: insomma per la nutri- zione e la riproduzione. Importantissimo per il zoologo ed il psico- logo è lo studio di queste lotte, tra le cui conseguenze è la inibizione volontaria degli atti che possono provocare l’aggressione o la difesa d’individui appartenenti a specie più forti, ed anco di quelli che portano un inutile dispendio di forza. Ma al nostro scopo forse baste- rebbe studiare l’attività battagliera in un campo assai più ristretto, cioè tra individui della stessa specie, abbiano essi o no coscienza di questa loro intima somiglianza. Anch’ essi possono lottare, pria di -tutto, per divorarsi; ma una semplice esperienza, diretta o indiretta, e forse i risultati dell’esperienze fatte da tutti gli antenati, esclude ben presto tali lotte tra individui della medesima specie; inutili o addirittura dannose. Ma, superato o divenuto secondario il desiderio di mangiare l’ avversario, resta sempre il bisogno di acquistare 0 difendere il cibo, l’acqua, la residenza più produttiva, la femmina e in seguito anche il ricovero, le costruzioni, i nidi, le larve. Teleologicamente dunque la lotta tra individui, sieno della stessa o di diversa specie, dipende dai due bisogni più fondamentali. Guardiamo ora il rapporto condizionale. Non v' ha dubbio che l’attività battagliera dipende da quella alimentare come da sua condizione preesistente e necessaria, non essendo possibile che l’animale lotti senz’ avere, grazie alla nutrizione, la quantità di energia disponibile e quel grado di sviluppo organico, che son necessarî per lottare. L’ inverso non esiste : perchè si abbia il bisogno ed un minimo grado di complessità dell’ atto nutritivo non è punto nè poco necessario che l’animale lotti con altri individui animati. Lo stesso non possiamo dire relativamente alla riproduzione. 68 ASTURARO Questa non è nell’ individuo la condizione preesistente sine qua non della lotta (come non è di alcun’ altra attività volontaria) ; ma siccome l’inverso non esiste neppure, e .l’aggressione o la difesa non è condizione preesistente e indispensabile per riprodursi, il rapporto condizionale non verificandosi nell’individuo nè per V’uno nè per l’altro verso, si può tralasciare. Vero è che se guardiamo alla specie, cioè alla successione degl’ individui, la riproduzione si può considerare come una condizione indiretta del nascimento degli organi e della funzione della lotta, non solo per aumento numerico degl’ individui, ma anche per la fissazione delle qualità acquisite ed il progresso organico. Ma su ciò non insisteremo. Certo è che nell’individuo manca una dipendenza condizionale diretta della lotta dalla riproduzione. Consideriamo il rapporto Hemanao: Come gli organi di offesa e di difesa nascono da quelli della nutrizione ed a principio sono identici ad essi, così le attività psichiche che si riferiscono alla lotta nascono da quelle che tendono alla nutrizione : il desiderio e il bisogno di lottare non è altro a principio che desiderio e bisogno di rimuovere un ostacolo (sebbene animato) che si oppone alla ricerca ed all’ acquisto del cibo : e i mezzi e l’esperienze o associa- zioni psichiche che servono all’ animale per rimuovere 1’ ostacolo sono quelle medesime che già gli servirono per la prensione del cibo od una specificazione di essi. L'attività nutritiva e gli organi corrispondenti costituiscono dunque una causa genetica sufficiente della lotta. Il che vuol dire che la riproduzione non è necessaria alla genesi di questa nuova attività. Concludendo: La nutrizione è, sotto tutti gli aspetti (condizio- nale, genetico e teleologico), causa di lotte; ma la riproduzione, come si poteva presentire, ha un posto affatto speciale nella serie : nell’ individuo essa non lega a sè le attività che la seguono, se non per un solo rapporto causale, il teleologico !). Ne vengono conseguenze Roio per quanto ovvie, che or ora vedremo. Tutti i rapporti secondarî (di complessità, generalità, urgenza) si verificano tra la lotta e i due fenomeni che la precedono nella serie. Infatti essa è un risultato più complesso, in quanto presup- pone non maggior numero di antecedenti e di condizioni dirette e indirette. È anche meno generale, cioè si trova in un minor numero di specie. E infine, quando dà luogo ad un motivo o bisogno indi- 1) Si ricordi ch’ essa non è legata alla precedente (nutrizione) se non per un solo rapporto, il condizionale, SOCIOLOGIA ZOOLOGICA 69 pendente, come tosto vedremo, questo motivo è meno forte ed urgente che quelli del nutrirsi e del riprodursi. Non così il rapporto terziario (e d’altronde trascurabile) della maggiore o minore frequenza nell’ individuo. Il quale si verifica relativamente alla nutrizione, ma non alla riproduzione; non essendo questa nell’individuo una causa necessaria della lotta. Un’altra conse- guenza, molto più grave del fatto che la lotta non è legata alla riproduzione se non teleologicamente, è questa, che, almeno nell’individuo, là riproduzione può prorogarsi (e si proroga infatti tanto più, quanto più elevata è 1’ organizzazione), onde le lotte (per la nutrizione) precedono nel tempo il bisogno e 1’ atto del riprodursi. (Si avverta che lo stesso avviene per qualsiasi altra attività superiore, non essendo la riproduzione una condizione diretta nè una causa genetica necessaria di nessuna di esse). Questo rapporto di prima e di poi non è però un rapporto causale. Il rapporto teleologico intanto sussiste sempre : in qualunque tempo si manifesti il bisogno di riprodursi, esso determinerà al suo servigio atti di lotta, e non viceversa. In altri termini vi è sempre un certo numero di combattimenti che si debbono attribuire al bisogno della riproduzione come a loro causa; e non mai un certo numero di atti riproduttivi, che si debbano al bisogno di combattere. oltre, anche nel caso testè considerato, si può conservare la serialità, distinguendo le lotte per la nutrizione da quelle per la riproduzione. Avremo allora la seguente serie : nutrizione ; lotte per la nutri- zione; riproduzione; lotte per la riproduzione. Una tal distinzione è veramente necessaria in concreto; e noi abbiamo parlato della lotta in genere solo per ragione di brevità. È anche da avvertire la grave differenza tra la nuova attività e le due precedenti. Queste corrispondono a due funzioni fondamen- tali ed universali della vita, a due fini per sè. La lotta consiste invece sin da principio in un mezzo per meglio conseguire quei fini e riceve da essi la sua quantità di piacere procurato o di dolore risparmiato. È un bisogno relativo e non assoluto, derivato e non primitivo. E serve non già universalmente, ma in circostanze determi- nate. Pure in siffatte circostanze il valore di questo mezzo spesso è tale ch’esso formi un sol tutto con 1’ attività nutritiva o riproduttiva nel momento in cui questa opera. Allora sembra a chi non ha conoscenza esatta dei rapporti, ch’essa sia una condizione e venga prima di ciascuna; ma anche in tal caso prima è il desiderio o bi- sogno (di nutrirsi e di riprodursi) poi l'attuazione del mezzo (lotta) infine la soddisfazione del bisogno (nutritivo o riproduttivo). L’ordine seriale, non ostante la formazione del plesso, non è alterata, perchè il bisogno (nutritivo o riproduttivo) precede la lotta. Queste ed 70 ASTURARO altre considerazioni troppo ovvie ed elementari non farei qui, se la loro importanza non aumentasse rapidamente a mano a mano che si passa a campi più complessi : così per es. in sociologia le dispute interminabili circa la fondamentalità del fatto economico son prevenute anche dall’incompleta visione del rapporto tra mezzo e fine, e questa confusione Vl’ han fatta anche dei filosofi a cui dovrebbe esser noto il processo della volontà. Però la trasformazione dei mezzi in fini, che non è altro che un caso particolare della gran legge di associazione psichica, si verifica anche qui, L’odio. è il sentimento correlativo allo stato di lotta. Per la ripetizione delle lotte contro individui aventi certi deter- minati caratteri, l’odio resta associato all’ idea di quei caratteri, e si crea un bisogno di lottare contro chi li presenti, tanto più forte quanto più frequenti sono stati i contrasti. Così si spiega Il’ apparente eccezione di animali che dimostrano la loro ostilità senza talun bisogno immediato relativo alla nutri- zione od alla riproduzione od al bisogno generico della vita. Essi si comportano così perchè già hanno lottato per quei fini ripetuta- mente. Quest’ attività è evidentemente la conseguenza di quella affatto interessata che ha uno scopo immediato e fondamentale. E al pari di questa non è universale nè necessaria, onde se le circo- stanze fossero contrarie a quelle che generano la lotta, se cioè gli altri invece di ostacolare, aiutassero 1’ individuo nella soddisfazione de’ suoi desiderî fondamentali, si avrebbe un sentimento opposto, l’amore, ed un opposto bisogno, l’ altruismo. E se vi sono, com’ è il caso reale nella vita sociale, individui con cui si lotta, e individui con cui si coopera, si avranno simultaneamente l’odio per gli uni e l’amore per gli altri. Ma la cooperazione e l’amore vengono più tardi nella general concorrenza per la vita, e sono fenomeni più complessi; onde l antagonismo che esiste tra essi e la lotta, è soltanto parziale e non esclude la serialità. i L’ odio tra specic e specie, tra varietà e varietà, tra maschi e maschi (dove vi ha lotta per la femmina) può anche divenire istin- tivo? In tal caso è l’odio di esistenze anteriori ereditato col sangue. Un’ intelligenza più elevata, che permette di riconoscere 1’ indi- viduo singolo, da cui si è ricevuta offesa, e frequenti contatti che rendano possibile d’ incontrarlo e che non possono darsi ordinaria- mente se non nella vita in comune, producono poi il sentimento e I’ atto della vendetta nella sua più semplice forma. Ma questo non gi osserva se non negli animali più intelligenti o meglio forniti di memoria: è uno dei fatti estremi e più complessi di questo gruppo. Ordinariamente l’ animale estende subito il suo odio a tutti gl’indi- vidui aventi caratteri simili a coloro che I’ hanno offeso; e la sua SOCIOLOGIA ZOOLOGICA T1 reazione si può chiamare una vendetta contro la specie. Non molto dissimilmente certi selvaggi esercitano il loro odio e le loro vendette contro tutta la collettività, a cui l’ offensore appartiene. Ma l’ atto stesso del lottare è suscettibile di trasformazione. L’ aver ripetutamente lottato e con vantaggio può rendere piacevole questo atto e creare un bisogno di aggredire 0, come si dice tra gli uomini, di menar le mani. Quantunque la combattività si eserciti facendo del male e con un principio, per quanto ingiustificato, di odio, se non per sete di sangue, essa comincia già a rassomigliare ad un giuoco, per quanto feroce; e viceversa vi sono tra gli uomini dei giuochi, come quello dei gladiatori, che si confondono con gli effetti di quella. Se ora paragoniamo il bisogno della lotta per odio o vendetta o carattere battagliero con i due precedenti bisogni della nutrizione e della riproduzione, ci accorgiamo subito ch’ esso fornisce un motivo molto meno forte ed urgente di questi, e possiamo prevedere con certezza che se un animale affamato o in amore, vede il suo nemico andar lontano per i fatti suoi, non lascerà la sua preda o la sua femmina per attaccar briga con lui. È bene avvertire intanto, una volta per tutte, che quando una attività sorta come mezzo, dà luogo ad un fine o ad un novello bisogno assoluto, non cessa di servire come mezzo tutte le volte che sia richiesta dai bisogni fondamentali. Così 1 animale con- tinua a lottare anche con quelli che non sono suoi nemici (e poi con gli stessi compagni entro i branchi) se gli contrastano il cibo, la femmina, la sede, il ricovero. IV.— Mmibizione volontaria inter-individuale. — Non si tratta qui dell’ inibizione fisiologica che è presupposta, e neppure di quella psichica in significato generico, per cui Vanimale frena quegli atti che gli han prodotto un dolore più forte di quello che voleva scansare. Questo si verifica anche nella semplice locomozione e nella ricerca del cibo. Al nostro scopo, ch’ è la cognizione scien- tifica dei fenomeni sociali, occorre esaminare solo quella forma d’ inibizione che consiste nel frenare gli atti che possono provocare I aggressione o la difesa di altri individui in circostanze tali che se ne riceve un dolore maggiore di quello a cui si tende sfuggire; cioè l’ inibizione inter-individuale. Anch’ essa, come la lotta, può riferirsi ad individui di specie diversa e ad individui della medesima specie. E bisogna sempre distinguere due casi; animale s’inibisce quando gli altri sono più forti di lui, come fa quello appartenente ad una specie più debole verso gl’ individui di specie più vigorosa o meglio armata, il giovine verso 1’ adulto, la femmina verso il x . maschio, in quelle specie dove questi è più forte, 1’ essere ordinario 72 ASTURARO verso i rappresentanti giganteschi della specie, ammalato verso i sani e robusti. Ma individui pari di forza. possono anche inibirsi lun verso 1 altro, quando la lotta costerebbe un inutile sforzo e quindi una perdita od anche un dolore più grande di quello che ciascuno desidera evitare. Nel primo caso l’ inibizione è unilaterale; nel secondo è reciproca. Questa distinzione ha un’ importanza gran- dissima, perchè s’ incontra anche nel campo umano e serve poi 4 chiarire 1’ origine e la base di alcuni fenomeni del diritto positivo e reale. Che tutte e due si verifichino nel regno animale, ce lo mostra l’osservazione più ovvia. Se facendo altri due passi l’ individuo sa di poter trovare il cibo o la femmina, non c’è caso che aggredisca il suo pari; e così pure, quando un vantaggio considerevole ci sarebbe, ma l’essere, con cui si dovrebbe lottare, è o vien presunto più forte. « Gli stessi felini, dice il Brehm, anche delle specie più vigorose e terribili, come i leoni e le tigri, scansano gli animali che sono in grado di opporre viva resistenza e li aggrediscono solo quando l’esperienza li ha convinti di riuscire vittoriosi nella lotta ». E così si scansano tra loro, salvo quando un urgente motivo di di- sputa, il cibo, l’acqua, la femmina non li spinga l’un contro l’altro. L’inibizione, di cui abbiamo parlato, sia unilaterale o reciproca, è passiva; l’ individuo s’inibisce, cioè frena i suoi atti per il timore delle conseguenze di una lotta con un altro. Si può dire però, modificando lievemente 1’ uso della parola, che questo altro lo ini- bisca ; ma per lo più questo raggiunge involontariamente l’effetto. Vi sono però dei casi e dei modi, in cui 1 inibizione attiva non è un’espressione verbale, ma corrisponde a un atto volontario; quando cioè ] animale, acquistata coscienza del timore che incute o può incutere, minaccia ossia accenna ad un principio di aggres- sione o di difesa. Così, quando una fiera o il cane stesso, trovandosi a divorare la preda, vede un altro individuo appressarsi e gli mostra i denti o ringhia senza muoversi ancora e senza alcuna voglia d’ aggredire, se l’ altro prende altra via, evidentemente tende a impedire volontariamente la competizione dell’ altro. Lo stesso fanno i ruminanti mostrando le corna, ecc. L’ inibizione dunque può essere pure attiva e passiva. Direi ancora dippiù e, tra l’altro, questo, che l’inibizione attiva e unilaterale, divenendo permanente, può creare un senso di supe- riorità da una parte e d’ inferiorità dall’ altra, e con una lieve complicazione, dar luogo al dominio ed alla subordinazione, se non temessi o oltrepassare i limiti, in cui l’ inibizione inter-individuale può svilupparsi fuori della convivenza. Quel che premeva per ora, era d’inscriverla nella serie delle SOCIOLOGIA ZOOLOGICA 73 attività degli animali non sociali. Essa viene immediatamente dopo la lotta, ed è una conseguenza e un effetto immediato dell’ espe- rienza diretta od indiretta dei risultati delle lotte. E ciò è così evidente, che ci potrebbe domandare perchè di questa appendice dell’ attività battagliera abbiamo trattato a parte in un’ apposita categoria, chi non intuisse 1’ importanza che la capacità d’ inibire o d’ essere inibito assume poi nella vita sociale, anche nel mondo umano e nella genesi dei fenomeni giuridici. Teleologicamente l’inibizione attiva non è che un completamento della difesa, di cui cerca raggiungere lo scopo con minore sforzo. E dove le lotte inter-individuali e la necessità di difendersi sono più frequenti, più frequente è anche il bisogno di esercitarla. V.— Giuoco. — La lotta e la conseguente inibizione volontaria sono a principio semplici mezzi per la più completa soddisfazione dei due bisogni più fondamentali della vita, la fame e 1’ amore. Non così il gioco. Esso si presenta sin da principio come un fine; come un bisogno che non è relativo ad altro. Fisiologicamente è una quantità di energia eccedente il consumo necessario ai bisogni della vita, che si dissipa per le vie consuete cioè di minor resistenza !). Psicologicamente quella dissipazione è piacevole e perciò l’animale desidera giocare; e quei movimenti, avendo lungamente servito alla soddisfazione di bisogni primarî, son divenuti per sè stessi piacevoli, e l’ animale li esegue per questo piacere, nell’ assenza dei bisogni medesimi. Basta questa descrizione del fenomeno, a tutti noto, per accor- gersi che nessuno dei bisogni e delle attività di cui abbiamo sinora parlato, potrebbe trovare nel gioco la sua condizione preesistente 0 il suo fine o la sua causa genetica, insomma considerarsi come un effetto del gioco. Al contrario questo ci si mostra evidentemente come un effetto di tutte le attività precedenti. Al certo è assurdo cercare il rapporto teleologico diretto, perchè ciò sarebbe contrario al suo carattere essenziale: desso è un bisogno assoluto ; esso nasce come un fine non come un mezzo. Ma siccome nessuna delle attività precedenti può servire di mezzo al gioco, la partita sarebbe pari, se non vi fosse in suo favore un rapporto teleologico indiretto. Consistendo in ‘un esercizio di attività che sono state, sono e saranno utili, per la legge degli effetti dell’eser- cizio, il gioco rende sempre più abile 1’ individuo al conseguimento dei fini primarî. Talvolta egli può scoprire anche nuovi modi di lanciarsi, di aggredire, di difendersi; certo è che il roditore gio- !) H. Spencer — opere. 74 x ASTURARO | cando aguzza i suoi denti e l’ animale da preda si rende sempre più abile alla caccia, siccome par che sappia la madre del felino quando porta ai suoi figliuoli piccoli animaletti con cui trastullarsi. Nè si può trascurare che in una forma più complessa e non appena l'individuo entra in rapporti pacifici con altri individui, il gioco che non è mai immediatamente un mezzo diretto, diviene tale mediatamente, cioè mercè l’effetto ch’esso può produrre su altri. Di questa forma più elevata, non è qui veramente il luogo di discor- rere, salvo un caso solo: quello dei giochi fatti a scopo di attrarre o sedurre la femmina, i quali rappresentano però 1’ estremo limite a cui quest’attività può giungere negli animali non sociali. Ma si ricordi che per stabilire la serialità, solo il minimum di ciascuna attività è da considerarsi. Guardiamo ora gli altri rapporti. È evidente : 1.° che ciascuna delle attività che lo precedono nella nostra serie, fornisce al gioco una condizione diretta o indiretta. Condi- zione diretta, essenziale, indispensabile, universale, è qui, come dovunque, la nutrizione, in quanto fornisce la quantità di energia esuberante che poi si dissipa giocando. Indiretta e relativa alla specie è la riproduzione, senza di cui il progresso delle strutture non sarebbe possibile. Altra condizione indiretta, ma avverantesi nell’ individuo stesso, è la capacità di difendere la propria esistenza ed integrità, ogni qualvolta sia minacciata, perchè senza di questa non si gioca più. Vero è che questa condizione vide soltanto per i casi d’altronde frequentissimi in cui V’individuo sia esposto alle lotte. Ma non v'è un caso solo in cui il gioco sia una condizione della difesa. 2.° Ciascuna delle attività precedenti fornisce il contenuto a quella del gioco, che per sè stessa non ne ha alcuno. Questo consiste nel ripetere, senza immediato bisogno, movimenti muscolari che già sono stati utili per i bisogni della vita, che sono appunto la nutrizione, la riproduzione e la difesa: è implicito dunque che le attività corrispondenti a quei bisogni nulla ricevano, almeno nello stato minimo, dal gioco, mentre questo riceve tutto da esse. Perciò la somma dei giochi che una data specie di animali esegue è perfet- tamente spiegabile, quando si conoscano gli atti ond’essa persegue i beni della vita. I roditori giocano esercitando i denti e saltando. I felini invece ripetono i movimenti della caccia: e ciò si vede non solo allora che addentata la preda, fingono di abbandonarla, per poi addentarla di nuovo — gioco feroce, che si confonde quasi con la caccia stessa — ma quando essi fan lo stesso con oggetti inani- mati. Le lotte con individui della stessa specie non si possono ripetere per gioco se non dagli animali sociali: ebbene i nostri SOCIOLOGIA ZOOLOGICA 75 cani ripetono persino la vittoria e la sconfitta, il dominio e Vinibi- zione passiva. 3.° Che il piacere che si annette ai movimenti divenuti abituali, quando si ripetono senza bisogno immediato, è un piacere derivato o di contiguità e quindi assai più debole di quello che viene dalla soddisfazione del bisogno reale, immediato, primitivo. Ciò è confer- mato pienamente, dai fatti; non vi ha animale che per il gusto di giocare lasci la preda, quando è affamato, o la femmina, quando è in amore, o tralasci la lotta, la difesa, l’inibizione in casa di osta- colo o di pericolo. Il gioco è meno wrgente di tutti questi bisogni. Entriamo così nei rapporti secondarî, che, trattandosi di un bisogno assoluto importano moltissimo. E si comprende come e perchè esso debba essere molto meno generale delle attività e dei bisogni sum- mentovati. Quanto al grado di frequenza noi possiamo determinarlo a priori, se conosciamo le condizioni di esistenza di ciascuna specie e il tempo ch’essa deve impiegare nel soddisfare i tre bisogni fondamentali; e possiamo dire quale specie giochi dippiù e quale di meno e quale non giochi affatto. Il gioco dipende da quella soddisfazione più che dalla complessità dell’organismo ; onde gli uccelli giocano molto dippiù che i mammiferi, occupati quasi tutto il giorno a cercare il cibo, il ricovero, la sicurezza. AI certo si può sostenere che se la sicurezza esiste anche senza lotte e senza inibizioni, come nei piccoli animali allevati dalla madre, 1’ individuo può giocare, purchè abbia soddisfatto il bisogno della nutrizione, anche senza aver mai lottato. Or noi lo concediamo, non senza ricordare che piccole lotte e inibizioni, avvengono anche per l’allattamento, e più ancora tra i piccoli che convivono. Ma questa concessione conferma la legge; perchè suppone già soddisfatto, comunque sia, il bisogno della difesa, e perchè va ben inteso che se la minima occasione di lotta o di difesa o d’ini- bizione si offre all’ individuo, qualsiasi tendenza al gioco viene in quel momento vinta e repressa dal motivo più forte. Chi integri la 1.8 e la 2.* considerazione, si accorgerà che date le anzidette attività volontarie, son date anche le cause sufficienti perchè nasca un minimum di gioco. Ma quest’attività, sui generis che si distingue da tutte le atti- vità-mezzi, in quanto non serve direttamente ad alcun bisogno vitale, e si differenzia persino dalle attività che corrispondono a bisogni assoluti (nutrizione e riproduzione) in quanto non ha contenuto proprio, crea un vero imbarazzo a chi si proponga di stabilire non solo i rapporti causali, ma una serie, tenendo conto anche del grado di urgenza. Infatti, se per soddisfare i bisogni fondamentali della nutrizione, della riproduzione e della difesa 76 ASTURARO sorgeranno nuovi mezzi, il bisogno di attuare questi mezzi, sarà più urgente del gioco. Inoltre queste nuove attività-mezzi potranno offrire anche esse nuovo contenuto al gioco. — Per maggior chia- rezza della nostra esposizione risolveremo, a mano a mano che se ne oftrirà l’occasione, questa difficoltà la quale racchiude nuovi e più complessi rapporti. VI. — Osservazione volontaria (e curiosità). — L’asso- ciazione psichica delle sensazioni e rappresentazioni, involontaria- mente ricevute dal mondo esteriore, con )’ emozioni di piacere e di dolore e con le rappresentazioni muscolari, bastano alla produzione di un minimum di volizioni relative alla nutrizione, alla riprodu- zione, alla lotta, e inibizione. La facoltà di dirigere gli organi di senso e l’attenzione verso l’esterno, mediante un moto cosciente dei muscoli o di tutto il corpo, sottraendosi momentaneamente all’impulso delle sensazioni involontariamente ricevute, e aspettando di perce- pire se vi siano o no gli agenti e le varie modalità che l’animale tende a cercare o sfuggire ; oltre al presupporre gli organi di senso e la possibilità di dirigerli, implica la sperienza dei vantaggi o piaceri che all’ animale ha arrecato una tal tensione dei muscoli direttori, dapprima fatta involontariamente, e spontaneamente. Gli è perciò che questa facoltà apparisce ad uno stadio molto avanzato in ciascuna serie zoologica, e presuppone un certo sviluppo dell’organizzazione animale; onde le attività precedenti si possono considerare come sue condizioni indirette. Certo è che l'osservazione volontaria non si serve di alcuna di esse; nessun animale si nutre o si riproduce o lotta o s’ inibisce o gioca per meglio osservare. Al contrario tutte si servono di lei per meglio conseguire i loro fini. L’ animale osserva per discernere il cibo, la femmina, il nemico, l’oggetto con cui giocare. A differenza del gioco, il quale sorge come un fine e come un’attività di lusso, l'osservazione volon- taria è il gran mezzo, costante ed efficace, di tutte le attività volontarie. Come tale, dovunque essa esista, forma con le attività fondamentali altrettanti plessi, che divengono inscindibili. L'animale ha bisogno di nutrirsi ? Osserva. Ha bisogno di lottare ? Osserva. Ha bisogno di riprodursi ? Osserva. Intenderebbe perciò in modo puerile od assurdo la serialità chi pretendesse che ogni atto di osservazione volontaria nell’individuo debba essere nel tempo prece- duto dalla riproduzione, dalla lotta e dal gioco. Ogni bisogno, nel momento in cui greta, può irascinare al suo servigio l’ osservazione volontaria, senz’ aspettare la soddisfazione di altri bisogni. Se essa resta collocata dopo di tutte nella serie, gli è per la triplice ragione ch’essa è determinata dai fini di tutte, e nella serie zoologica apparisce dopo di tutte, e non costituisce la condizione necessaria di nessuna. SOCIOLOGIA ZOOLOGICA TT Per la trasformazione dei mezzi in fini l’osservazione volontaria può, dopo un lungo esercizio, divenire piacevole per sè stessa ed allora appunto si ha la curiosità. Ma esiste questo bisogno negli animali ? I naturalisti non ne dubitano. Eccone alcuni esempi. Gli oggetti insoliti attraggono alcuni pesci e moltissimi uccelli, che accorrono ad osservarli. Le scimmie, i kanguri ed altri animali, anco inse- guiti, si volgono ad osservare l’ uomo. Lo chimpanzè del Vrail si comportava con lo specchio pressappoco come certi selvaggi, quasi volesse scoprire il segreto del sorprendente fenomeno e mostrava interesse per oggetti che non avevano alcun rapporto coi bisogni della vita e con varî animali con cui non avrebbe potuto mai aver relazione. Molte scimmie esercitano la loro curiosità in gabbia, quando non può riuscire di utilità alcuna. « Il cercopiteco del Loescher (Cercopithecus fuliginosus) quando vedeva maneggiare gli strumenti di astronomia, sedeva con espressione pensierosa, tenen- dosi il mento in una mano e premendo l’ indice contro le labbra, senza cessare di seguire con gli occhi i movimenti e gli atti. Talora poi finiva col mettersi ad abbaiare furiosamente ». Esprimeva forse così il suo giusto sdegno per non aver capito niente ? Ma questi fatti, appartenenti a categorie ben diverse di osser- vazione, sono suscettibili di esame rigoroso per indagare se un motivo determinato non siavi. Im altri termini si può discutere se la curiosità vera, cioè determinata dal piacere di percepire e asso- ciare percezioni, esista all’infuori dell’uomo !). Certo è che gli animali, . di cui si tratta, sono tutti gregari o sociali. Sembra dunque che condizione, sebbene indiretta, di questa facoltà sia la vita gregaria o sociale, in quanto sottrae 1’ animale all’ assiduo pungolo della fame e del timore. Laonde si potrebbe chiudere la serie concreta «delle attività volontarie negli animali solitarî. con la semplice osservazione volontaria interessata. Pure non v’ha dubbio che la curiosità (o ciò che così chiamano i naturalisti) anche negli animali sociali, resta sempre un bisogno individuale che non si riferisce ad altri nè dà mai luogo a fenomeni collettivi o sociali. Se ne possono dunque determinare sin da ora i rapporti con gli altri bisogni e fenomeni volontari dell’ individuo, facendo astrazione dalla condizione indiretta della vita sociale e senza specificare in quali specie la curiosità vera esista; giacchè questi rapporti in ogni caso non possono mutare. Se la serialità fosse il nostro principale obbiettivo, noi non 1) A risolvere il problema si devono tener presenti i gradi intermedì tra l'osservazione interessata e la curiosità, Eccone alcuni. 78 ASTURARO avremmo bisogno di altre parole per dimostrare che la curiosità occupa l’ estremo superiore della serie individuale. Infatti esso si genera, per trasformazione, dall’ osservazione volontaria, ch’ era I ultimo dei termini da noi descritti. Ed in essa pure trova la sua immediata condizione preesistente e indispensabile. Quanto al rapporto teleologico è assurdo cercarlo per una attività che corrisponde a un bisogno assoluto, ma, come per il gioco, esso può esistere indirettamente, giacchè curiosando l’ animale non solo esercita le sue facoltà di osservazione, ma può riuscire a percezioni ed associazioni psichiche che a tempo opportuno gli saranno utili ai fini che 1 osservazione interessata persegue (nutrizione, riproduzione, lotta). E questa utilità è ancor più visibile allorquando il curiosare si associa all’ attività che è immediatamente prossima, e ch’ è anch’ essa un’ attività di lusso ; quando cioè si gioca e si osserva il prodotto del proprio gioco. Confrontiamo ora la curiosità con gli altri bisogni assoluti. Tutti i rapporti che tra bisogni assoluti sono possibili, si verificano. Il curiosare è evidentemente il più complesso dei fenomeni che abbiamo sinora incontrato, in quanto presuppone un maggior numero di antecedenti, ed il meno intenso ossia soggettivamente meno urgente dei bisogni dell’ individuo; il meno generale nel regno animale ed il meno frequentemente avvertito. Infatti, come già abbiamo veduto, esso è così raro, da far sorgere persino dei dubbî circa la sua esistenza ; ed è poi così complesso e così difficile ad esser soddisfatto, presupponendo una dissipazione di energia nella forma elevatissima di percezione volontaria, che persino i fanciulli umani ed i selvaggi si stancano presto di ogni osservazione disinteressata e preferiscono ad essa il gioco. In special modo istruttivo è poi il confrontare questa suprema tendenza della psiche individuale a quella che le è immediatamente prossima. E qui possiamo, più di tutto, risolvere una delle difficoltà che solleva il gioco. Tra questo e la semplice osservazione volontaria, come vedemmo, non si ha che un solo rapporto causale o primario, il teleologico; ma intanto il bisogno di giocare è molto meno intenso di quello di osservare per nutrirsi o riprodursi o difendersi. Sembra che la serialità sia contradetta, ma non è così; perchè 1’ urgenza o l'intensità di un bisogno assoluto va paragonata non a quella di un’ attività-mezzo, ma a quella di un altro bisogno assoluto. Ora se poniamo in riscontro il gioco col bisogno assoluto che corrisponde all’ osservazione volontaria, cioè con la euriosità, ci accorgeremo subito che esso è più urgente di questa, giusta la serie dei bisogni assoluti, SOCIOLOGIA ZOOLOGICA 79 È tanto vero che la curiosità viene serialmente dopo del gioco, ch’ essa si potrebbe considerare come una specie di gioco ; non viceversa. Infatti la curiosità è 1’ esercizio disinteressato d’ una facoltà psichica superiore, ch'è la percezione, mentre il gioco è l’esercizio disinteressato di facoltà inferiori e fisiologiche. Ma rigo- rosamente parlando essi provengono da una madre comune che è la dissipazione volontaria dell’energia esuberante, fatta senza immediato bisogno , salvo che il gioco la compie per vie più facili, più semplici, anteriormente esercitate, e quindi è il fratello primogenito, quan- tunque meno evoluto. Analogo rapporto terranno, come vedremo, l’Arte e la Scienza. Ma ancor più decisivo è il vedere come l’osserva- zione volontaria non appena serve di mezzo al gioco, già acquista un carattere disinteressato. Se questo gioco è poi quello dell’imitazione, che viene molto in alto, 1’ osservazione non solamente ha carat- tere disinteressato, ma par che si confonda con la curiosità. Guardate infatti una scimmia superiore od anche un fanciullo, mentre osserva attentamente quel che si fa per poi imitarlo nei suoi giochi. Molti dei casi di curiosità addotti dai naturalisti sono ap- punto casi di osservazione fatta a scopo di imitare per gioco, cioè di un’osservazione, che sebbene sia disinteressata al pari di quelle che si fanno per procurarsi un’ emozione estetica, pur non è ancora la curiosità vera e propria. E si può discutere, come dicemmo, se questa esista fuori dell’ uomo. Il che, conferma da capo, il posto estremo ch’ essa occupa nella serie dei bisogni individuali. (Continua). » 80 F. DEL GRECO La psicopatologia nel complesso delle altre indagini psicologiche. Sommario. — I. Indagini psicologiche e psicologia morbosa, lo sperimenta- lismo anarchico ed il somatismo puro in psichiatria. — II. La legge di continuità e molteplicità gerarchica «delle condizioni. — III. La legge, ora enunciata, in rapporto agl’inizî e sviluppi dei fenomeni psichici, i due campi di formazione della individualità psichica umana. — IV. Me- todo storico-genetico e concetto fondamentale della psicologia, psicologia antropologica e psicopatologia, la psicopatologia sintetica, i quattro - aspetti della individualità somato-psichica umana. I Indagini psicologiche e psicologia morbosa, lo sperimentalismo anarchico ed il somatismo puro in psichiatria. 1. Omai nel grandioso svolgimento, raggiunto dalle ricerche psicologiche in tanti rami della scienza, la psicopatologia si è bene affermata ; ed il contributo, che arreca, non è certo privo d’ impor- tanza, sia nel lavoro delle minute disamine, come nell’altro di sin- tesi, accennantesi, qua e là, per questa vasta regione di studî. Sarebbe utile vedere [ed una tale questione mi propongo in queste pagine] sotto quale concetto le molteplici indagini psicologiche si andranno con ogni probabilità raccogliendo, allo scopo di meglio precisare di questo grandioso organesimo le parti e le dipendenze, e quindi il posto che compete alla psicologia morbosa. Oltre un decennio è trascorso, ed il consiglio rivolto dal G ui e- ciardi agli alienisti, in un suo bellissimo saggio intorno ai rap- porti tra psicologia e psichiatria *), non è stato seguito. La psi- chiatria italiana era in quel tempo piena di speranze. Vi si notava un grande movimento d’idee, volte ad una felice integrazione delle conoscenze bio-antropologiche con quelle psichiche : integrazione che diè in parte materia e sviluppo all’ opera lombrosiana. Condi- zione indispensabile a tale scopo doveva essere lo studio clinico, 1) G. GuicciarDI. — Psicologia e psichiatria dalla « Rivista sper. di Freniatria » 1886, LA PSICOPATOLOGIA S1 la indagine compiuta dell’individuo infermo. Il Guicciardi insi- steva sulla necessità che l’alienista fosse ancora psicologo; ed il Morselli in opere antiche e recenti non smise dal dirlo, impe- gnando su tale affermazione tutta l’ autorità sua. Nel fatto gli alienisti italiani si sono ognora allontanati dallo studio clinico e psicologico dell’alienato di mente. E paurosi di ricadere negli errori della vecchia psichiatria, eccoli, intesi alle indagini più diverse e lontane, affatto tolleranti verso chiunque osasse, non dico operare, ma pronunziarsi altrimenti ! 2. Noto per verità, che l’ indirizzo in parola non si ebbe in Italia e nella psichiatria soltanto. Im medicina comune lamentasi tuttora da insigni maestri l’ inettitudine di molti giovani studiosi alla osser- vazione clinica degl’ infermi : fatto che ad ognuno appar chiaro di quale disastroso effetto sia per gli scopi dell’arte salutare. Senonechè non mancano buone ragioni, che spiegano questo pecu- liare movimento nelle mediche discipline, e nella psichiatria in ispecie, questo migrare dal letto dell’infermo per i sereni recessi dei laboratorî. Il progresso scientifico imponeva il dividersi e suddividersi in particolari ricerche, lo sforzo di avvicinare i risultati della indagine sperimentale ai problemi della clinica. Ma nella posa del rinnovare, questi ultimi non furon più visti; e si vagò senza idea direttiva, senza guida, tra una produzione anarchica e talvolta sciocca. La divisione del lavoro impone, che i problemi clinici sieno riso- luti a seconda della particolare educazione ed attitudine del ricer- catore: ma le singole ricerche urge che si compenetrino tutte sin- teticamente nello studio completo del malato: è questo il punto di partenza e di arrivo. Per la psichiatria del resto è stato un gran bene questo assiduo lavacro nel campo degli studii anatomo-fisiologici. Giova, che sappia l’ alienista, essere egli un biologo, epperò suo precipuo dovere inda- gare dello spirito umano il fondamento somatico. Indagine che si Sfiocca per necessità tecniche in altre chimiche, fisiologiche, isto- anatomiche, ed esige, in quanti vi si adoperano, lunga preparazione ed onestà di propositi. Bisogna che il ricercatore tenti di penetrare nel campo dell’ anima umana, agguerrito da tali ultimi studî; che da questa parte tenti di scalare la rupe tarpea dell’ anima umana. 3. Ma qui sta il problema. Un tale concetto mena a dire, che la psichiatria sia un capitolo della neuropatologia ? In altri termini volge a sopprimere del tutto lo studio diretto dell’ anima umana ? Già la neuropatologia non è più quella di venti anni addietro. Il metodo anatomo-clinico venne trovato insufficiente. S’ebbe a risentire in questo campo di studî il benefico influsso delle indagini Riv, DI BIOLOGIA GENERALE, III. 6 82 F. DEL GRECO biochimiche, che ne fanno considerare l’ organismo, come qualche cosa d’instabilissimo nel suo intimo lavorìo, e quindi risultante di fenomeni non sempre passibili di fissazione nella linea immota, defi- nitiva, residuale del fatto anatomico, del fenomeno organico estinto. Frattanto dire, che la psichiatria sia un capitolo della neuropa- tologia (come affermano moltissimi alienisti) suona, che la prima debba seguire il metodo fondamentale della seconda. E ciò tralasciando. di considerare, che il fatto psichico non si adegua compiutamente al fatto nervoso. Diversità di obietti, nel nostro caso importa più che mai, diversità di metodi. La neuropatologia indaga fenomeni, che non sono tutti pertinenti all’asse cerebro-spinale, nè sono tutte le alterazioni di quest’ultimo. Nel sistema nervoso centrale hanno base ancora i fenomeni psichici, e si conoscono in modo diverso da quelli somatici. Tanto vero, che la neuropatologia è illuminata non poco in alcune indagini sue dalla conoscenza dei fenomeni psichici [nevrosi, malattie del lin- guaggio, ecc.]. Per tal modo segna, nel suo grembo istesso, la condanna di quel somatismo puro, che si vorrebbe imporre in psi- chiatria; poichè accetta per progredire cognizioni psicologiche, vale a dire cognizioni che muovono da un campo di studî in qualche modo distinto dal suo per metodo ed obietto. In tale ambito non può conquistare direttamente i risultati e li prende di seconda mano. Ma l assurdo incluso nel dogma del somatismo puro è molto più grave. Dire, che in psichiatria si debba studiare soltanto il lato materiale del fenomeno psichico, e non prima ricostruire quest ul- timo nella sua storia, suona avere il convincimento, che si possano ricercare le condizioni genetiche di un fenomeno senza prima descriverlo o conoscerlo nel modo più esatto possibile, che si possa costruire il fenomeno psichico da fenomeni organici, deducendolo da questi per costruzioni progressive. Tutti gli errori della vecchia filosofia pesano sopra un’ opinione in apparenza tanto semplice, mostratasi omai d’una solenne infe- ‘ condità nel campo pratico della indagine, poichè non da ieri si va essa ripetendo. 4. La vecchia filosofia credeva di potere costruire il mondo, astraendo dagl’intiniti aspetti del reale un lato soltanto, creando il tutto da questo; come se avesse in pugno un incantato gomitolo, da cui potesse distrigarsi ogni cosa. La filosofia moderna è giunta ad un saldo ed opposto convinci- mento. Il mondo si conosce faticosamente, a grado, a grado, per continue approssimazioni, con la osservazione e 1’ esperimento. La legge [come dice il Masci] non è un potere fuori del fenomeno ; è la sua maniera costante di verificazione. Obietto del ricercatore PO — POI LA PSICOPATOLOGIA ‘89 è quello di colmare le profonde lacune, che insistono tra i diversi ordini od aspetti della realtà, di cui le leggi cosmo-telluriche, bio- logiche, psichiche, e via, sono le espressioni razionali. Le prime non includono le ultime; e giova affaticarsi a pensarle tutte in connes- sione sistematica, rispecchiante la unità del reale. L'effetto è il processo, la coalescenza, la sintesi dei suoi fattori 1). Ma dato pure che riuscissimo a stabilire: moltissimi fattori del fenomeno biologico, ad esempio; non riusciremmo mai a trovarli tutti in modo che si adeguino al risultato; in una parola non avremmo costruito il fenomeno vivente ?). _ Le serie dei fenomeni naturali sono infinite, sia nella successione che nello spazio. Di esse riusciamo soltanto a stabilire alcune ed in limiti ristretti; vediamo alcuni fattori di una formazione cosmica, non tutti. E la possibilità di combinazione di questi termini gene- ratori è ancora infinita. La natura è inesauribile nelle sue combi- nazioni, nei suoi portenti; e con differenze, che talora sfuggono alla indagine nostra, può generare fatti diversissimi *). Prima di apparire la vita nessun genio [dato che fosse stato possibile] avrebbe potuto antivederla. La potenza nostra nel dedurre dal noto l’ignoto 1) A. ANGIULLI. — La filosofia e la scuola. Napoli, 1888. ?) Diciamo causali gli antecedenti invariabili ed incondizionati di un fenomeno. Questi sono determinabili, ove si astragga da qualsiasi ricerca assoluta. Così noi possiamo determinare la causa di una malattia, ad esempio, con la presenza nel sangue di alcuni microrganismi. Ma tale presenza non è causa assoluta di malattia. Infatti nel sangue può esserci chinino, ad esempio, nel caso dei plasmodii della malaria, ed il morbo non si ha; può aversi sangue di animale vaccinato, per esempio, nel caso di alcuni agenti infettivi; può aversi nell’ organismo una notevole potenza fagocitica, ecc. : tutte condizioni avverse allo sviluppo della malattia, nonostante la presenza dell’ elemento figurato. Viceversa possono sorgere altre condizioni, di viru- lenza del microrganismo, di stanchezza dell’ animale, che, contro ai prece- denti fattori, determinano la riproduzione del mierorganismo ed ii morbo. La cognizione di ognuna di queste indispensabili condizioni ne fà supporre altre, ed ognuna di queste ultime altre ancora, e via, per cammino infinito. La ricerca causale è per noi una ricerca, che si dispiega fra limitazioni empiriche. Noi prendiamo i fatti, le cose, così come sono in un dato aspetto o momento storico di esse, e su questa base concreta, rebus sic stantibus, ‘ diciamo causa la presenza di antecedenti invariabili ed incondizionati di un fenomeno, di una variazione delle cose in esame: ma questi antecedenti sono cause, rispetto a quel dato assieme ed’ equilibrio di cose od eventi, non in maniera assoluta. 3) R. ARDIGÒ. — La formazione naturale nel fatto del sistema solare. — Appendice sul Caso, ece. Vol. II delle Opere filosofiche, Padova, SÉ F. DEL GRECO vibra fra termini ristretti molto. La potenza nostra divinatrice [nelle scienze concrete, dei fenomeni, intendo] anticipa il possibile, non il certo; ed il possibile fra tante restrizioni. Essa è mezzo alla ricerca, è mezzo a ripiegarsi sul reale con novelle osservazioni ed esperimenti; non può menarne ad una cognizione adeguata, compiuta del tutto. 5. La storia della scienza sta lì a provarcelo. Tutti gli sforzi della iatro-meccanica, le maraviglie d’ ingegno dei fisiologi fisico- chimici sono riusciti minori davanti alla spiegazione per via costrut- tiva del fatto della vita; come il metodo analogico in sociologia si è dimostrato insufficiente. La chimica sintetica, delle scienze natu- rali la più maravigliosa, è ancora prova evidentissima del concetto espresso in queste righe. i A bella prima potrebbe credersi che la chimica sintetica, co- struendo dai corpi inorganici gli organici, dovesse mostrare il contrario. ° Tutto il mondo chimieo viene pensato, come una meccanica di minimi materiali, di atomi. Qual mezzo più agevole per salire, attraverso costruzioni ognora più complesse, dal minerale alla scoria dell’ organismo umano? Non è dessa una questione meccanica, direi quasi matematica, posto che sieno note o deducibili l una dall’ altra le valenze degli atomi, gli aggruppamenti atomici e molecolari, il modo, l'ordine di raccogliersi ed operare vicendevole ? E non per tal modo il chimico sagace è giunto alle mirabili sue produzioni ? Il cammino è stato ben altro. La teoria atomica ha i principii suoi in continua trasformazione. Benchè le dobbiamo mirabili sco- perte, non ci è possibile dirla la chiave sicura della ricerca nelle sintesi chimiche. Le costruzioni della teoria atomica giovano a sistemare fatti acquisiti, sono mezzo per audaci conquiste, ma dimostransi pari ad un’ oscillante impalcatura, a qualche cosa di spezzato, effimero, che si forma e disforma sulla base della via regale della osservazione e dello sperimento, del classico « provando e riprovando » della scuola del Galilei. Le costruzioni più meditate sarebbero ben povera cosa, senza l’intuito felice del ricercatore che le plasma e muta davanti a verificazioni continue. Chi legge il libro dell’ illustre Berthelot sulla sintesi chimica, vede che tutto lo splendido movimento di questa scienza venne raggiunto, seguendo in gran parte il metodo storico delle altre scienze naturali ‘). 6. Il problema capitale della sintesi chimica è stato quello di - lA )) M. BerrHELOT. — La Synthèse chimique. Alcan, editore, ; l LA PSICOPATOLOGIA 85 formare con sostanze più semplici [carburi d’ idrogeno, alcool] i primi termini della serie novella [acetilene, gas oleofacente, acido formico ]. E ciò lo si è ottenuto per mezzo delle «azioni lente, delle affinità deboli e delicate » ‘). In una parola il chimico ha ricostruito 1’ ambiente, in cui i novelli corpi si generano; e poscia è andato innanzi, seguendo «la precisa figliazione delle sostanze « che si trasformano, e 1’ influenza del mezzo e delle circostanze, «nelle quali si effettuano le metamorfosi » *). Quindi continuità di forme e continuità di ambienti, senza che molto si sapesse delle intime, profonde azioni intramolecolari. E siccome per tal via si ottenevano, con alcuni corpi naturali, molti altri artificiali, non riscontrati in natura, vale a dire serie di corpi divergenti e molte- plici; bisognò impadronirsi di alcuni punti di connessione di queste serie per salire a prodotti sempre più elevati. Il chimico adunque, ricostruendo nel suo laboratorio 1’ ambiente generatore delle sostanze organiche, cercando di queste i modi, le leggi della loro precisa figliazione e gl’intrecci; a grado, a grado ne intuiva, o meglio, ne argomentava i rapporti e le condizioni gene- ratrici, salendo a formazioni ognora più complesse. Il suo labora- torio, quel contesto di azioni luminose, elettro - magnetiche, chi- miche, quasi simboleggiava un organismo, una materia viva, da cui scaturivano quelle scorie organiche. Egli ottenne tutto col rifare la storia delle formazioni chimico-organiche e precisandone le condi- zioni ambienti. E ciò, ripeto, senza cognizioni profonde intorno agli intimi processi molecolari. Lo ricorda bene 1’ A., quando dice, che la nostra potenza va al di là della nostra cognizione, che basta riprodurre alcuni fenomeni in determinate condizioni, perchè oltrepassino il preveduto. « Ecco come (egli aggiunge) noi abbiamo potuto formare le sostanze organiche, senza conoscere a fondo le leggi delle azioni intramolecolari!». E più appresso : «....Se le « forze una volta messe in azione non continuassero da sè medesime «l’opera incominciata, noi non potremmo imitare e riprodurre « artificialmente nessun fenomeno naturale, perchè non ne conosciamo « alcuno completamente, in quanto la perfetta cognizione di ognuno « di essi includerebbe quella di tutte le leggi, di tutte le forze, « che concorrono a produrlo, cioè la perfetta cognizione dell’ uni- « verso » 3) — in una parola richiederebbe un sapere infinito, vale a dire un assurdo. 1) M. BERTHELOT. — Op. cit. ?) M. BeRrTHELOT. — Op. cit. 3) M. BerTHELOT. — Op. cit. 86 P. DEL GRECO TU La legge di continuità e molteplicità gerarchica delle condizioni. 1. Il chimico, provando e riprovando, ha cercato di mettersi lungo la storia degli ambienti e delle formazioni organico-chimiche. Così procede la natura. In questa abbiamo un succedersi di for- mazioni ognora più complesse, ed attorno ad ogni nuova formazione urgono le precedenti, la sostengono, ne sono in una con le forme più lontane l’ambiente generatore. La natura è una generazione continua, un progressivo specificarsi di formazioni più complesse e risolversi in altre minori. V’ha in essa, continuità attiva, un collegamento di attività infinite. Queste sono pensabili come una sola grandiosa attività, se considerate nel loro collegamento, nella unità del tutto; molteplici e diverse, se considerate nella specifi- cazione delle singole forme ed attività. Una stessa quantità di energia circola nel mondo, e si distribuisce, inquieta e varia, pari a flutto di commosso mare, qua, in alto, sublime, là, avvallato, profondo, là, sul ghiaioso greto, frangentesi in spume, in righe di frementi ondate. 2. Ogni novella formazione cosmica opera sulle precedenti, s’in- tegra per esse, sì conserva per esse. Opera sulle precedenti. Infatti la presenza delle piante modifica l’equilibrio gazoso dell’ atmosfera in una determinata regione, altera i componenti di un terreno. La cellula è laboratorio di sostanze nuove, che non trovansi altrimenti in natura. Minimi esseri viventi alterano rapidamente corpi e sostanze. Anche i residui calcarei di ammoniti e d’ altri piccoli organismi formano nella storia della terra lunghi ed imponenti strati di suolo. Il Darwin ha dimostrato la importanza che ha il verme di terra per l humus, e gl’ insetti per tanti fiori. In proposito sarebbe utile ricordare l’altro fatto, rife- rito nella «Origine delle Specie», dei rapporti tra la presenza dei pecchioni che fecondano i fiori del trifoglio pratense, dei topi che distruggono i nidi dei pecchioni, dei ‘gatti che distruggono i topi, e del trifoglio che alimenta il grosso bestiame, per vedere quante sieno le reciproche dipendenze ed azioni fra individui appartenenti a gradi diversi di organizzazione in natura. La psiche influisce sul- l’ organismo; sia, in modo indiretto, cimentando 1’ individuo ed adattandolo fra sempre nuovi ambienti; sia per i mutati rapporti fisiologici, che importa lo sviluppo ‘dei superiori centri encefalici, fondamento d’ ogni attività mentale. Tali centri hanno incremento dall’ esercizio, dalla loro attività ancora, e quindi dalle operazioni psichiche. LA PSICOPATOLOGIA 87 Ogni formazione s’ integra sulle precedenti. Le piante assimilano le sostanze minerali del suolo e sospese nell’ aria, gli animali quelle delle piante. Gli animali s’ integrano, si costruiscono sulle ruine del ciclo vegetale, su alcuni suoi prodotti ed azioni, allorchè si presen- tano tuttavia in forme specifiche (sostanze ed attività organiche); prima che tali prodotti ed azioni si sieno dissolute fino al punto da raggiungere novellamente 1’ espressione di minerali e di semplici forze fisiche. La psiche istessa pare abbia fondamento nell’ attività anerobia delle cellule cerebrali: processo simile a quello di putre- fazione, in cui è rapido il trasporto altrove della energia. Le espli- cazioni psicologiche più alte, il culmine della invenzione è raggiunto nella età giovane o matura, quando la capacità ad esplicare energia nell’ organismo è massima. Vero è, che i prodotti intellettuali dipen- dono da condizioni d’altro e molteplice ordine, ed abbisognano di un’ assidua, interna elaborazione nella mente del pensatore o del- l’artista, prima di raggiungere la loro forma eletta e compiuta. Nella vecchiezza, vedonsi attuati talora gli arditi concepimenti della gio- ventù !). Tra psiche adunque ed organismo pare vi sia trasporto di energia. Un accesso d’ asma mancato provoca talora gravi disor- dini mentali; un vivo stato interno si risolve talvolta in convulsioni e moti diversi. Elaborazioni psicologiche intense affievoliscono le altre tutte. i Infine ogni novella formazione si conserva per le precedenti. Non regge la pianta senza la presenza dei minerali che ne formano la tessitura, della luce, del calore, e via; come non l animale, senza le sostanze che da quella assimila. I fenomeni psicologici, lasciando residui nei moti istintivi ed inconsapevoli della nostra fisionomia e di tutto il nostro organismo, lasciando traccie nella realtà esterna (monumenti, oggetti), e nei moti espressivi, generatisi col vivere sociale (linguaggio, scrittura), si conservano per integrazioni ognora ardite e nuove. 3. Progredendo nella scala delle formazioni cosmiche, in ognuna di queste si accentua la disposizione all’ autonomia ed all’ autogenesi. Le condizioni precedenti, o meglio le azioni delle precedenti entità cosmiche, in quanto convergono alla genesi od ineremento d’ una nuova formazione, in quanto s’ integrano formando questa, e si river- berano conteste in unità su sè stesse, sulla serie di azioni genera- trici; giungono per tal modo a conservarsi nella forma raggiunta. 1) DeL GRECO. — La psicologia del genio in Carlo Darwin. — Atti della Società Romana d’ Antropologia, Roma 1900. Ipem. — Sulla psicologia della invenzione, dalla Rivista di Filosofia, ecc., Bologna, 1900. 85 F. DEL GRECO La psiche è una tremola, fulgida meteora, emergente dalle con- dizioni antecedenti, sostenuta, fatta da queste; ma operosa tanto, che nelle precedenti lascia della sua apparizione traccie singolari, inizio di novelle resurrezioni. Per tale processo, per questo accentramento di energie in fochi sempre mai eooperanti e sintetici, le nuove formazioni volgono ad emanciparsi dall’ urto rude ed immediato delle lontane e possenti azioni prime. Le piante sono in certo modo mancipie delle alterazioni cosmo- telluriche, meno gli animali, ed assai meno quelli a sangue caldo, che in una con la costante temperatura dimostrano una qualche stabilità di reazioni al mondo esterno. L'uomo, debole ed infermiccio, per un nonnulla ha la febbre, non così l’uomo sano. Davanti ad ogni nuova modificazione atmosferica si agitano i pazzi ed i delinquenti. Schiavo della propria terra è il selvaggio; assai meno l uomo civile. I fanciulli, le isteriche, i deboli di spirito mutano col mutare degli stimoli esterni, non così la mente, il carat- tere, saldo e formato. Dice lo Shakespeare: Oh benedetti Quelli il cui senno si marita al sangue, Sì che pari non sono alla zampogna Cui di fortuna la scherzosa mano Desta all’ accordo che meglio le grada! 4. In una con la tendenza all’ autonomia v’ ha tendenza all’ auto- genesi. La pianta è generata dalla pianta, I) uomo dall'uomo. E come la prima si genera non soltanto per la presenza di condizioni spe- cifiche (altra pianta), ma ancora di tutte le altre che la precedettero e delle circumambienti; così l uomo è ancora generato per la presenza delle condizioni tutte e di quelle sue particolari. I gruppi di condizioni si ripetono, o s’ includono, a grado, a grado, rifacendo la serie. È noto come luomo nell’utero riproduca, in maniera contratta, rapida, tutta la evoluzione animale. i Per questo condizionamento sempre mai complesso e molteplice, in cui a gradi successivi si delinea e stacca (direi) ogni nuova for- mazione cosmica, deriva tutta una serie, una gerarchia di causalità. Causa del fenomeno psicologico è quello psicologico, ma desso include nel medesimo tempo la presenza della causalità biologica, e la biologica della cosmo-tellurica. Queste serie, queste classi di condizioni sono ognora presenti e cooperanti; gerarchicamente poste, ma confluenti tutte ad un tempo nel sostenere l’ ultima e più elevata. formazione. Pensatene una sola, come soppressa appieno, ed il tutto si mostrerà insussistente. LA PSICOPATOLOGIA 89 5. Divergono i pensatori nel considerare la genesi d’ ogni singola formazione cosmica. Mentre alcuni considerano la vita e poscia la psiche, come risultanti del complesso ambiente e delle formazioni precedenti, molti altri respingono il primo nocciolo della vita, e specialmente della psiche, in fondo, in fondo. Questi secondi consi- derano il processo evolutivo, come uno sviluppo parallelo di ter- mini distinti ed originarii (psichici e materiali), come un processo d’ incremento vicendevole, sieno essi riducibili, oppur no, ad una sostanza ignota fondamentale. Per mia parte volgo a considerare il processo evolutivo cosmico, come processo di formazione, di generazioni successive e più ele- vate, non involute nelle precedenti, ma che si costituiscono nello stadio della loro apparizione. Le singole formazioni cosmiche non sî rivelano, quando appaiono, ma si costituiscono allora dal complesso delle condizioni precedenti, ne sono il processo, un più elevato svi- luppo, e si mostrano talvolta labili ed efimere. Frattanto se volessimo astenerci da ogni decisiva sentenza intorno a questioni, tanto profonde, e che méttono capo a così varî e dispu- tabili problemi, potremmo nondimeno affermare, che, sia nell’uno o nell’ altro caso, resta il fatto, essere impossibile la presenza di una qualsiasi entità cosmica, nel complesso modo in cui da noi si sperimenta, senza la contemporanea presenza delle altre ed infinite condizioni circumambienti. — È un dato di fatto intorno. a cui sarebbe vanità dubitare. III. La legge, ora enunciata, in rapporto agl’inizî ed agli sviluppi dei fenomeni psichici, i due campi di formazione della individua- lità psichicha umana. La complessa fenomenologia psichica si delinea nel mezzo di questo architettato di condizioni, brilla e ripetesi, pari a lampi nel vasto di agglomerate e disperse nubi su commosso oceano. — Com- pito del naturalista è ricostruirne la storia: e qui sorgono le più gravi difficoltà. Chè, siccomé ora ho espresso, pensatori d’ alto in- telletto veggono già nella materia inorganica involuta la psiche, altri la suppongono nel fenomeno della vita. Questi ultimi inter- pretano i movimenti spontanei dei protisti, come se ineludessero un certo barlume di coscienza. In lavori precedenti volgevo ad una simile interpretazione. Ma dopo accurata disamina mi parve assai dubbia. Supponendo d’indole psichica i movimenti spontanei dei protisti, dovremmo non reputare diversi ancora i movimenti dei corpuscoli 90 F. DEL GRECO bianchi del sangue, ad esempio nei mammiferi e nell’ uomo. Anche i corpuscoli bianchi mononucleati accorrono dov’ è una ferita, incor- porano batterî e detriti di sostanze diverse. Eppure il fisiologo interpreta ogni cosa, studiando l’ambiente in cui i fagociti vivono ; ricercandone la temperatura, la composizione del sangue, la mec- canica cardiovascolare, la reattività nervosa, ecc. Il Verworn con molto acume ha esplicate, per le note leggi bio-meccaniche, non poche azioni spontanee dei protisti; ha studiato le condizioni am- bienti fisico-chimiche in rapporto al contegno di quei minimi es- seri 1). 3 Dopo tutto, la elettività, che tanto c’impressiona nei protisti, è fatto inerente alla vita, è fenomeno biologico, assimilabile per molti rispetti ad altri fenomeni d’ indole chimica. Supporvi involuto un elemento psichico è saltare di un anello la catena delle formazioni cosmiche, andare dalla materia bruta alla psiche, negando la vita. Notisi, che perfino la cellula immobile di un tessuto assimila alcune sostanze e non altre, reagisce alla luce, al calore, in alcune deter- minate condizioni. E queste particolari azioni incidenti diconsi sti- moli, interni od esterni. Adunque carattere della vita è.il fatto della nutrizione e ripro- duzione ; fatto che si riassume nell’altro della « elettività », in certo modo assimilabile con la grande serie dei fenomeni chimici. Non è in poter nostro il dire, allo stato presente della indagine, se il feno- meno vitale si adegui del tutto a quello chimico. Certamente v’ ha tra il secondo ed il primo una certa continuità, che giova assumere a postulato, cagione di ricerche ognora più nuove e profonde. 2. Ho paragonato le cellule libere nel mondo esterno con quelle di un organismo complesso, per la ragione, che, dopo tutto, 1’ ani- male evoluto altra cosa non è, che una colonia di cellule. I moti spontanei dei protisti si differenziano, col salire per la scala zoolo- gica, in moti interni, vitali propriamente detti, ed in esterni. Ed i secondi finiscono con l'aver più d’ogni altro radice nei ganglî nervosi. Come i ganglî si sviluppano e connettono, vedonsi quei movimenti ognora più ripetuti, complessi e nuovi. A questo punto da noi chiaramente si sospetta nell’ animale la presenza del feno- meno psichico. Il fenomeno psichico adunque va [come dice il Sergi] con la formazione del sistema nervoso ?); e questo (aggiungo) con 7 inte- grarsi della individualità biologica. Il fenomeno psichico compendia 1) M. VERWORN. — Fisiologia generale. Trad. ital. - Bocca ed. 2) G. SERGI. — Dei movimenti primordiali negli organismi elementari - dalla « Rivista di Scienze Biologiche » fase. 5-6, 1899. LA PSICOPATOLOGIA 91 quel processo d’integrazione, che osservasi nell’ organismo, allorchè si considera d’una in altra forma ascendente lungo la scala zoolo- gica. L’ organismo (che in sè concentra man mano tanta energia cosmica) è attivo, si fa, operando e reagendo sul mondo esterno. Le minime attività delle parti sue non tutte si coordinano al com- plesso delle azioni totali, sintesi e specificazione dei processi di nu- trizione e riproduzione d’ ogni singola cellula o gruppo di cellule. Ma una tale convergenza di attività cellulari notasi col definirsi ed organizzarsi del sistema nervoso, base della individualità biologica. Il temperamento è espressione di questa individualità : esso risulta delle azioni dei centri deputati alla vita organica, nutritiva, dn quanto si coordinano a quelle dei centri di relazione, e fanno un tutto dinamico. Il temperamento informa le esplicazioni istintive e nell’ animale adulto si rivela appunto con il tono di atti ed emo- zioni di simil genere !). 3. Il temperamento non è un fenomeno puramente fisiologico, ma psicofisico. La psiche si differenzia sul tronco del temperamento: si ritrova dapprima nella genesi e sviluppo delle azioni individuali per l’acquisto del cibo, per la difesa od offesa, per l’amore. Essa ha ineremento da quei primi atti fisiologici di nutrizione e riprodu- zione, è lo sviluppo del lato di essi rispetto al mondo ambiente. O meglio si sviluppa per le difficoltà, che la funzione d’ogni cellula, in quanto associata, trova nell’ ambiente; riassume le necessità delle singole cellule in quanto bisogno dell’ individuo tutto ; sì che appare al naturalista come azione e reazione dell’ individuo nel mondo degli altri esseri viventi, e delle sostanze ed attività cosmotelluriche. Tutta la sua storia è un ripetersi di questo individuo, di questo «io rudimentario », un allargarsi ed integrarsi di esso attraverso « infinite esperienze », di cui l’opera è ancora riassunta in traccie 0 residui materiali, costituenti la forma degli organi nervosi centrali, il magistero strutturale dei singoli sensi. La psiche dilaga, ingran- disce sul tronco psicofisico del temperamento, s’integra per esso e per i termini circumambienti, da esso distinguesi. Risulta di un complesso di presentazioni o rappresentazioni, in quanto sono pro- gressive ed accumulate realizzazioni di questo io, accennantesi dalla attività biologica e prima del temperamento. 4. Della psiche noi riusciamo ad avere sicura esperienza nel mondo umano, negli animali più vicini a noi. In quelli lontani essa viene supposta, intuita dal significato di alcuni movimenti. Non !) Per ulteriori schiarimenti vedi dell’istesso A.: « Il fondamento biolo- logico del carattere nelle indagini psichiatriche » dalla « Itivista di Scienze Biologiche » Como, 1900. 99 F. DEL GRECO maravigliano quindi le oscitanze ed il divergere delle opinioni, allor- chè di essa tentiamo stabilire i primi e fuggitivi apparimenti 4). D'altra parte la psiche non è consapevolezza compiuta, ma un processo di consapevolezza. Se un fenomeno dicesi psichico in quanto è conscio; queste isolate coscienze, corrispondenti ad i singoli e ripetuti apparimenti del fenomeno psichico, non tutte si consta- tano alla fine in un atto che le include. Riusciamo a percorrere la storia nostra interna dopo che si è formata 1’ « autocoscienza », non prima. Vi è tutta una vita psicologica, ignota per noi. Anche negli individui dalla coscienza piena ed adulta, un fatto psichico viene indagato dopo la sua estrinsecazione, lo si ritrova nella memoria. Noi cerchiamo di fissarlo con uno sforzo, mentre guizza e si dilegua. 5. Ora ho detto, che la storia dell’ anima lascia residui nell’ or- ganismo, ed ancora nel mondo esterno. La psiche all’inizio non è qualche cosa di profondamente scissa dai fenomeni biologici. In tal caso sarebbero poco intelligibili moltissimi fatti. La psiche si differenzia dall’attività biologica dell’ individuo ; alla radice perdesi in questa. E l’opera sua residua negli organi tutti degli animali, nella forma ed entità dei centri nervosi, nel becco, nell’ ala, nel- I unghia dell’ uccello, nella mimica inconscia dei nostri volti. Il nostro organismo è plasmato non soltanto da azioni esterne e di- verse, ma dall’ uso e non uso degli organi, dall’ opera nostra, e quindi ancora dall’ azione psichica. Come gli animali tendono ad associarsi, tendono alla vita gre- garia e man mano a quella sociale, il fatto psichico aumenta e svol- gesi, i centri superiori encefalici si accrescono e complicano. E le attitudini psicologiche non si rivelano, come all’ inizio, nell’ aspetto esterno dell’ individuo, nelle modalità dei singoli organi; bensì nel- l’opera sociale, negli effetti che residuano al di fuori, negli oggetti, nei monumenti, nel linguaggio e nella scrittura. I novelli aspetti organici dell’ individuo pensante e sociale si fanno meno estesi, limi- tati ai supremi centri nervosi, importano capacità a movimenti indefiniti e molteplici, non a movimenti semplici e ripetuti. 1) Fissare i termini della prima apparizione della psiche è opera quasi disperata : se ne intravvede il progressivo nascimento con lo integrarsi della individualità biologica. La psiche differenziasi dal fenomeno biologico e da quello cosmo-tellurico. Il fenomeno cosmo-tellurico, non bisogna intenderlo nella maniera secca, astratta del meccanicismo, ma come un lavorìo infinito di formazione, di cui riusciamo a tradurre alcuni termini e modi generali di essere e divenire nelle formole del movimento e del calcolo. Ma la realtà non è pensata adeguatamente soltanto con le idee di spazio e di tempo, di movimento, di numero e misura. A questo punto la ricerca ontologica si complica con quella gnoseologica. LA PSICOPATOLOGIA 93 Tutti questi residui strutturali, fisiologici, psicofisici, simbolici, conservano la psiche, sono base ad ulteriori integrazioni di essa. Sarebbe impossibile ragionare e volere senza il linguaggio, senza tutto l’ automatico complesso psicofisico, senza le modalità organi-. che, raggiunte dall’ individuo umano nella sua operosa istoria. Esse, in ogni atto psichico, entrano fra le condizioni determinanti o gene- ratrici del tutto, e l’ orientano in continuità degli stati precedenti. . 6. La individualità psicologica adunque, vista nella sua storia, sdoppiasi in una fase primitiva fino ad un certo punto animale, in un’ altra socievole ed ultima. E poichè ognora si accresce ed evolve fra le novelle e molteplici condizioni ambienti, importa col- lateralmente alla doppia fase un duplice campo di formazione, quello biofisico e Valtro biosociale. Non che Vl’ uno e l’altro sieno nettamente distinti, ma appaiono successivi e prevalenti. Il convivere sociale, sottoponendo i nostri organismi ad un dato genere di vita, influisce sulla individualità nostra animale, la muta in quanto è strettamente legato all’ ambiente biofisico. Così alla genesi dei caratteri sessuali secondarii nella donna dei popoli civili pare non sieno state estra- nee le innumeri circostanze sociali e la loro successione nelle epoche diverse 1). Mentre nella prima fase della storia psicologica, nella psiche istintiva, animale, dominano più che mai il temperamento e la costi- tuzione [la quale ultima è V’aspetto statico della individualità psico- fisica]; nella seconda, in quella sociale svolgonsi mente e carattere. Queste produzioni hanno a fattore precipuo 1’ attività psicologica e rampollano sulle prime. 7. Il materialismo storico insegna, ché la società nelle sue varie caste o classi si è distinta per necessità inerenti alla produzione. La società pare siasi integrata e svolta all’inizio per condizioni cosmotelluriche e biofisiche diverse in rapporto ai bisogni nostri più elementari, nutritivi, in rapporto più che altro alla individualità nostra istintiva. La vita di casta, forzando gruppi d’individui ad operare coordinatamente ed in modo distinto rispetto agli altri, giovò ad intimi svolgimenti psicologici. . L’ individuo non è qualche cosa di vuoto e macchinale. Le nostre azioni suppongono il lavorìo di stati d’ animo. Ed appunto i com- plessi di stati d’ animo, lato interno delle azioni imposte da neces- sità di casta, per intimo svolgimento, per l’ attività autogenetica più che mai operosa nei fenomeni di coscienza, si moltiplicano, e deter- minano sempre nuove e diverse azioni. Queste influiscono sulla prima !) Vedi dell’istesso A. « L’ istinto sessuale nei delinquenti pazzi » dal « Manicomio moderno » 1899, 94 F. DEL GRECO serie di condizioni psicologiche automatiche ed istintive, plasmando la individualità tutta. ‘ In modo somigliante forse [come ho detto altrove !)] 1 uomo andò elevandosi dalla psiche istintiva a quella sociale e compiuta, in cui dominano mente e carattere. È sempre il processo, esposto nelle prime righe di questo scritto. La psiche, come si andò differenziando, reagì sulle forze generatrici, sugli antecedenti suoi causali, e per tal modo volse a sempre nuovi sviluppi. Quella tendenza all’ autonomia ed all’ autogenesi, quel processo d’ integrazione e complicazione, notato nelle successive formazioni cosmiche, apparve in essa più che mai operoso e distinto. JV Metodo storico-genetico e concetto fondamentale della psicologia, psicologia antropologica e psicopatologia, la psicopatologia sintetica, i quattro aspetti della individualità somato-psichicea umana. i 1. Da quanto ho detto spontaneo deriva il concetto, sotto cui possono omai raggrupparsi le svariate discipline psicologiche. La scienza moderna, volta com’è a ricostruire d’ una serie di fenomeni la minuta istoria, il progressivo svolgimento in rapporto al mezzo ambiente, rendesi più che mai sintetica. È impossibile volgersi alla istoria genetica di un fenomeno senza averne presente i molteplici aspetti e le molteplici derivazioni nelle loro reciproche dipendenze. Trovare di un fenomeno via via le forme più originarie, vuol dire fissare i punti centrali, i fochi, 1’ omogeneo primo, onde gli etero- genei consecutivi si distinguono. Inoltre vuol dire di tale omogeneo, che si svolge verso gli eterogenei, ricercare le condizioni generatrici in fenomeni d’ altra natura, posti attorno ed all’inizio, continuantisi, urgenti, come aureola, intorno alla serie da esplicare. Le minute analisi sono indispensabili a tal uopo: illuminano, ad uno, ad uno, i singoli stadii, distinguono separati rapporti di cause ed effetti, preparano i materiali alle future dottrine; ma le ripetute sintesi, dapprima presentite, poscia rinnovantisi e meditate, conce- dono soltanto di abbracciare la uniformità, il modo di essere e dive- nire, la legge del tutto. La sintesi, fino ad un certo punto, è come il canevaccio, su cui vengono intrecciate le maglie dall’ analisi; anticipa sempre, rifà distintamente il percorso, lascia intravvedere I’ avvenire. Sintesi ed analisi, 1’ una è funzione dell’ altra; son’ esse 1) L’ istinto sessuale, ecc, LA PSICOPATOLOGIA 95 le pulsazioni vitali del pensiero, che, senza escludersi, con alterna vicenda si affermano. 2. Le scienze naturali, in una con le storiche e filologiche, per opera di quegl’insigni scienziati-filosofi che aprirono e lavorarono nell’omai caduto secolo, diedero concretezza al metodo in questione, nomato storico-genetico. E le indagini psicologiche ne subiscono l’in- fluenza, quando adoperano nel vivo complesso dell’ umana ricerca; allorchè volgono allo studio genetico dell’ anima, ad indagare i molteplici rapporti che la collegano alle realtà tutte; allorchè vol- gono a necessità pratiche diverse. Una folla di altre e complesse discipline mettono capo alla psicologia, non quale ricerca isolata di questo o quell’ordine di fenomeni psichici, ma quale scienza che tutti li riassume nella unità della natura umana. Per tal modo il concetto fondamentale di essa, credo sia quello, che considera tutti gli stati psicologici, quali espressioni della indi- vidualità psichica umana nella sua interezza, posta nell’ ambiente biofisico e biosociale, portato naturale di questi due ordini d’ am- bienti, con genesi, sviluppo e decadimento. Il ciclo della vita psi- cologica individuale da una parte si connette al ciclo di tante vite animali e sostanze e condizioni cosmotelluriche; dall’ altra si ripete e varia nei cicli delle molteplici individualità psichiche umane, termini del grande corpo sociale, avente per sua parte un altro e più vasto e duraturo svolgimento. 3. Se giusto è un simile concetto, tutta la psicologia dividesi in due grandi capitoli : uno guarda il condizionamento biofisico del- Vanima umana, insegue le originarie manifestazioni di questa attra- verso ambienti cosmotellurici e biologici più semplici e lontani, guarda di un fenomeno psichico le condizioni etniche, di clima, di regio- «ne; l’altro ne indaga il condizionamento biosociale, anela a conoscere le influenze ed origini reciproche delle intelligenze ed affetti umani; sottopone a disamina quei portati psicologici col- lettivi, che sono il mito, il linguaggio, il costume, ece., e li vede generati dai singoli individui in reciproca dipendenza, ope- ranti nell’ ambiente materiale e psichico, ripetentisi nello spazio e nel tempo ‘). Al primo capitolo si converrebbe il titolo di 1) Non tutti gl’individui ugualmente concorrono alla genesi del linguaggio, dei miti, delle idee religiose, ecc. Vi sono alcuni, che trovano, inventano [uomini di genio, profeti, eroi, ecc.], nei quali il lavorìo psicologico gene- rativo è più efficace; altri che imitano, modificano, respingono od accol- gono, ecc. Vedi il bellissimo libro di I. M. Baldwin - Interprétation sociale et morale des principes du développement mental - (trad. francese), Paris, 1899, 96 FP. DEL GRECO psicologia antropologica, all’ altro di psicologia della mente e del ca- rattere *). La psicologia morbosa, poichè studia le alterazioni ed anomalie dell’ anima umana in rapporto a modalità organiche diverse, rientra nel primo capitolo, è un ulteriore sviluppo della psicologia antro- pologica. 4. Ho detto altrove, che le psicosi, più di molte altre malattie, sono inerenti al nucleo di fatti, i quali costituiscono la individualità somatopsichica normale; sono esse precipue derivazioni di questa. I sintomi, o fenomeni psicopatici, si sdoppiano in prettamente mor- bosi ed in variazioni di fenomeni normali : fra gli uni e gli altri in molti casi si può stabilire una serie continua. Per tal modo i feno- meni psicopatici, in quanto sono a. duplice aspetto, psichico ed organico, e perchè graduate alterazioni e variazioni di fenomeni costituenti la individualità normale somatopsichica, potrebbero gio- vare a veder di questa l’ intima struttura ?). In tal caso è utile muovere da quei gruppi di fenomeni morbosi, che più distintamente rivelansi siccome variazioni di stati normali; giova vederli in con- tinuità di altri fenomeni, perdentisi nel fitto della sindrome morbosa da una parte, con i gruppi normali dall’ altra, emergenti da condi- zioni biofisiche e biosociali. 5. L’opera assidua degli alienisti ha cercato di ricostruire le sindromi psicopatiche in tutto il loro decorso, di serutarne le col- laterali, precedenti, o consecutive alterazioni isto-anatomiche ed organico-chimiche diverse. Inoltre ha tentato di rintracciare le prime espressioni di queste sindromi in tenui alterazioni individuali, in modalità di contegno od intelligenza, di costituzione e funzionalità nervosa. È vasto il campo, su cui la indagine adopera, ma pieno di lacune. Nel lato psicologico si è molto insistito sulle alterazioni 1) Un tale metodo, io credo, si possa accettare con qualche leggera modifica anche dal psicologo, che considera i fenomeni mentali, non risultanti della loro istoria e delle condizioni ambienti, bensì come uno sviluppo parallelo e profondamente diverso dal complesso materiale, che l’ accompagna. Sotto l’uno o l’altro disputabile pensiero [essendo le vedute filosofiche ognora disputabili], il metodo storico e la ricerca di ogni espressione psicologica nella sua aureola di condizioni esterne rendonsi più che mai efficaci. Anche lo spiritualista più intransigente non troverà inutile la ricerca di ambienti ognora più semplici e diversi, in cui apparve il fenomeno psichico, chè speciali condizioni esterne, speciali moti od espressioni mimiche, ecc., si dimostrano indici di peculiari stati interni. ) Per ulteriori schiarimenti vedi dell’ istesso A. : « Sulla psicologia della individualità » - Atti della Società Romana di Antropologia, 1898, I LI n E I n E Ie, + 032 ni ee 8% se De i a LA PSICOPATOLOGIA 97 della intelligenza, trascurando quelle della emotività e del volere. Negli aspetti materiali si sono raccolti tanti fatti: manca però il concetto che ne porga il modo di vederli, connessi, in funzione con quelli della serie psichica. Le esagerazioni del somatismo puro, opposte al semplice e mistico psicologismo di una volta, non fanno che accrescere le difficoltà della ricerca. A me sembra, che tutte queste varie e preziose conoscenze debbano coordinarsi ad una veduta fondamentale, al concetto della individualità somato-psichica in complesso. 6. Bisogna che ogni fatto materiale o psichico morboso venga considerato, quale alterazione della individualità psicofisica e psico- sociale, venga ridotto a queste sintetiche espressioni, venga posto nella costellazione dei fatti, di cui la individualità risulta. Poichè la istoria nostra è quella della nostra individualità, psicofisica e psicosociale, in quanto emerge da un duplice campo di formazione; solo vedendo ogni singolo fatto abnorme nel complesso di essa individualità, potremo afferrarne il significato. Il nostro tutto risulta di tante forme, di stadii, storicamente seguitisi attra- verso ambienti biofisici diversi, riepilogantisi nel temperamento e nella costituzione. Il temperamento e la costituzione hanno infinite radici nel mondo biofisico, e quindi sono in rapporto con la razza, con la stirpe, con la regione, col clima. D'altra parte la mente ed il carattere importano il lavoro storico psicosociale, e mostransi in dipendenza intima, sono una ulteriore espansione delle prime, della costituzione e del temperamento. I mutamenti psicopatici non possono non ridursi, che a varia- zioni e dissoluzioni d’ ognuna di queste quattro formazioni, o di tutte, o di alcune. In tal modo verremmo ad elevare la psicopatologia a scienza sintetica, in continuazione con la psicologia in genere e con la psicologia antropologica in ispecie. E potremmo dedurre in essa i tesori di conoscenze accumulate in queste ultime discipline, o vice- versa, per suo mezzo potremmo meglio indagare [come ho detto più sopra] la complessa struttura della individualità umana, volgere le conoscenze psicopatologiche alla costruzione della storia naturale e genetica di tutta la psiche. 7. Studiando le psicopatie in tal modo, si fa chiaro all’ osser- vatore il fatto, che ogni alterazione morbosa mentale altra cosa non è, se non un processo o stato di decadenza dell’ attività psi- cologica in complesso, dell’attività sintetica ed eliminatrice della co- scienza. Nelle psicopatie deprimonsi ragione e volontà, e 1’auto-coscienza viene messa a nudo, sia fiaccata, in arresto, o profondamente scossa 7 RIv. DI BIOLOGIA GENERALE, III. 98 F. DEL GRECO nella sua intima struttura ; sia fatta irritabile, spastica, ma inade- guata all’ opera sua. In rapporto a questo duplice modo di presentarsi dell’ auto- coscienza abbiamo due serie di forme psicopatiche : le psiconeurosi e le psicosi degenerative. 8. Nelle prime, o è fiaccata ogni spontaneità interna, tolta ogni energia di conazione e di sintesi mentale (confusione); oppure sono più che mai attivi i poteri di estrinsecazione psicologica, il corso delle rappresentazioni, il lavorìo percettivo, le azioni diverse (manie). Ma questa esagerata attività delle operazioni psicologiche naufraga nella incoerenza e nel disordine, non senza rivelare, a cagione di essa, il dissolversi della coscienza personale, della energia centrale dell’individuo, con atti disordinati, aggressivi, erotici. I ricordi si frammentano, confondono : impossibili sono ogni adeguata perce- zione e valutazione: il fondo appetitivo esplode e serpeggia in preda a mobili disposizioni, e si esaurisce, e risorge. Infine v’ ha la forma opposta delle lipemanie. Qui domina l’ ar- resto, il ritardo in ogni estrinsecazione mentale : «io » è per tal modo compresso, inibito, soffocato. Un dolore intenso, un’ angoscia vivissima stringono l’animo, eccitano una tensione interna, che si consuma in sè stessa, esplodendo talora in atti subiti e violenti. L’individuo, raggruppato, immiserito, si chiude tutto e geme. 9. Nelle pazzie degenerative 1’ autocoscienza è irritata, spastica, ma ristretta. L'individuo è orgoglioso, vigile, attento, ma non riesce ad abbracciare nel suo tutto il complesso delle esperienze passate e presenti; non riesce a dare impronta, sanzione personale ad ogni atto suo pratico, ad ogni pensiero : il sistema della psiche dissol- vesi, venendo meno l’energia unitiva centrale: esso si agita e sconquassa. L’idea fissa è il primo segno” di follia, è il primo segno del- l’isolarsi di un complesso di ricordi ed esperienze, mal domi dalla energia unitiva ed assimilatrice della coscienza. Dalla idea fissa per ingrandimenti e sviluppi patologici giungesi alle forme più gravi e drammatiche di risoluzione della personalità mentale evoluta. 10. Abbiamo adombrato altrove [ITI, 5], come sia possibile 1’ ac- cumulazione di ricordi, ed in generale di residui di esperienze, per il digradare di fenomeni psichici in fisiologici o psicofisici, formanti una zona intermedia attorno all’attività cosciente, al focolaio centrale. - Nell’accesso psicopatico questo focolaio, questo punto di fusione e formazione attenuasi, ripetendosi in esso antichi gruppi di feno- meni psichici, sparsi, diversi, sorgenti da stimolazioni fisiologiche circostanti. Il folle vive del passato, dei suoi ricordi, come il decrepito : nulla più forma, nulla più inventa, | È LA PSICOPATOLOGIA 99 Adunque l’autocoscienza, quell’attività psicologica centrale, in- dicata dal sentimento della propria individualità, in quanto sente, opera, cerca; indicata da un atto d’intellezione, di riflessione su sè stessa, e da un senso d’intima energia, di causalità, di attiva fusione e generazione interna di stati psicologici più diversi [feno- meno riscontrabile, benchè vario, in ogni uomo ad un certo periodo e livello di sviluppo mentale]; trovasi nelle psicopatie, o fiaccata del tutto, torpida (confusione), eccessivamente espansiva (mania), od eccessivamente retratta (lipemania); oppure mantiene la sua atti- vità, ma impari al compito suo ; non regge, non coordina gli accu- mulati sistemi di rappresentazioni e sentimenti, che dissolvonsi qua e là [pazzie degenerative]. Nel primo caso è lesa nel fondamento di sensazioni organiche, riferentesi al proprio corpo ed alla propria attività ; nel, secondo, nel processo di assimilazione ed identifica- zione di atti, idee, sentimenti, passati, o contemporanei e molteplici. Questo duplice ordine di fenomeni psicologici non va del tutto distinto, ma è fuso, imperando il primo nelle psiconeurosi, come il secondo nelle forme degenerative. Collateralmente osservansi evidenti alterazioni della individualità biologica [dinamica e statica]. 11. Alle prime forme si accompagnano evidenti alterazioni funzio- nali, di estrinsecazione nervosa, di attività nutritiva, in una parola alterazioni di temperamento ; alle seconde si accompagnano stabili anomalie antropologico-somatiche, di costituzione. Temperamento abnorme e costituzione abnorme sono i due aspetti biologici in intimo legame con i due ordini di processi psicopatici, ora descritti, e si continuano per indefinibili gradi col temperamento e con la costituzione normale. Non osservasi psicopatia [al di fuori di transitorii disturbi mentali tossico-infettivi o tossici soltanto] senza un certo grado di alterazione costituzionale, che va da quella del degenerato superiore, da quella tenuissima del semplice predisposto, alle gravi anomalie dell’imbecille o dell’idiota; e più, non osservasi psicopatia, o meglio accesso psicopatico, senza un disordine di temperamento, dalle levi espressioni nenrasteniche agli stupori, dalle fluttuazioni dell’umore, dalle oscillazioni della energia muscolare, dell’ attività psicofisica, agli stati di arresto, o di violenta agitazione, con grave o tenue mutamento nelle altre manifestazioni organiche !). !) Per ulteriori schiarimenti vedi dell’istesso A.: « Temperamento e Carat- tere nelle indagini psichiatriche e d’antropologia criminale », dal Manicomio Moderno, 1898, 100 F. DEL GRECO Come ho detto più sopra, le due serie di alterazioni psicologiche non si separano del tutto, ma si accentuano, or l’una, or l’altra, a seconda dei due gruppi di forme psicopatiche : così le alterazioni di temperamento dominano nelle psiconeurosi, nelle forme degene- rative quelle costituzionali, ma non in modo che le une e le altre trovinsi appieno isolate. 12. I gruppi di fenomeni psicopatici, sopra ricordati, hanno un altro aspetto non meno importante ad esaminare, sono non pure alterazioni di temperamento e costituzione, bensì di mente e carattere. Nelle forme psiconeurotiche la mente è fiaccata in toto. Nelle manie si osservano mobili, pronte, benchè inadeguate, percezioni e ricordi: nelle lipemanie notasi il contrario, ed imperioso, acuto è il sentimento degli stati interni. Nelle une e nelle altre il senso morale è spento, acuito per brev’ora quello sociale e presto disciolto in una col venir meno d’ ogni affetto famigliare : dominano le emozioni istintive. Nella confusione mente e carattere sono in arresto ognora più grave. Nelle pazzie degenerative la mente è viziata in grado profondo, benchè sembri, talvolta, operosa e vivace. Il carattere è pervertito. L'individuo è in lotta con l’ ambiente sociale, diffida di tutti, si sente disciolto da ogni legame di famiglia ed amicizia; teme, si guarda, si adira. È operoso in lui l’istinto di conservazione. Adunque le psicopatie tutte, definibili quali alterazioni dell’atti- vità psicologica nella sua espressione più centrale e riassuntiva di autocoscienza o coscienza personale, si adeguano per le forme psico- neurotiche a turbamenti od arresti della mente e del carattere, per quelle degenerative a stabili perversioni dell’una e dell’altro 1). 13. Dietro questa rapida e sommaria scorsa nel campo delle forme psicopatiche, dal punto di vista espresso nelle pagine di sopra, ne viene concesso di vedere confermata la divisione, da noi non ha guari ricordata, di tutta la individualità umana in quattro distinte formazioni. Inoltre queste ultime ne porgono il modo di ricercare le alterazioni psicologiche nei loro nessi generativi psicor- ganici ed organico-fisici diversi; segnano i fochi, i punti centrali, a cui convergono da una parte le azioni ambienti, dall’ altra le reazioni personali; punti, in cui le contingenze ambienti si tradu- cono in espressioni individuali, di per sè stesse ancora operose e distinte. E tali formazioni non sono astratti, risultati di analisi soltanto, ma dati concreti, prodotti naturali, perchè vengono trovati dalla psico-antropologia normale e da quella morbosa. 1) Vedi: « Il fondamento biologico del carattere, ecc. » e « Genesi del carattere e psicopatie », nel Manicomio moderno, 1900, LA PSICOPATOLOGIA 101 Se le nostre conoscenze dimostransi tuttavia in difetto, allorchè cerchiamo di bene definire le formazioni in parola, ciò altro vuol dire, se non che urgono ancora ricerche molte per fissarne il conte- nuto positivo ed i reciproci e svariati rapporti. Del resto io non credo vi sia biologo o psicologo, che possa negare l’esistenza della costituzione e del temperamento, della mente e del carattere. La psicologia contemporanea mira ad illustrare le due ultime con gli studii. del Ribot, Paulhan, Fouillée, Binet, Baldwin, e tanti altri; come la biologia con le indagini della scuola del Bouchard, col De Giovanni, col Ferri, mira alle prime. Ignorare un fatto nel suo pieno contenuto non vuol dire affermarne la inesistenza. Anzi lo si prende a centro, a punto sintetico di molteplici indagini, perchè rappresenta la intuizione di una vasta area di conoscenze non bene apprese, intraviste soltanto, ma sicure, che possono conquistarsi, insegna di sforzi e di arditi proseguimenti. Nocera, Dicembre del 1900. Fr. DEL GRECO Libero docente nella R. Università di Napoli Medico primario del Manicomio di Nocera. NOTE CRITICHE E COMUNICAZIONI Cure parentali nei pesci |) Debbo alla cortesia del signor C. H. Eigenmann di Bloomington (Indiana) di esser venuto a conoscenza di alcuni scritti che svolgono consi- derazioni interessanti sopra la fauna sotterranea del Nord America. Fra le altre cose vi si tratta del pesce americano cieco Amblyopsis. Il Sig. Eigen- mann nelle sue numerose spedizioni, intraprese in questi ultimi anni allo scopo di investigare la fauna sotterranea, è riuscito a catturare numerosi esemplari del pesce sopra menzionato ed a mantenerli in acquario vivi @ scopo di studio. Potè allora constatare che il pesce non è viviparo, come prima si credeva, ma bensì oviparo. Però le uova non vengono abbandonate liberamente nel- l’acqua, ma invece raccolte nella cavità branchiale della madre. Quivi esse giungono a maturazione e gli avannotti, divenuti che siano capaci di muo- versi liberamente, abbandonano la cavità branchiale. Il che succede dopo trascorsi circa due mesi, e appunto il fatto che acchiappando un animale così a lungo incubante i piccoli, qualcuno di questi guizzava fuori, fu quello che portò a supporre la viviparità. Le uova, le quali sono trasparenti e gialle hanno un diametro di mm. 2-8 (compreso il guscio). Ordinariamente vengono deposte in numero di 60-70 ; e siccome tutta la regione branchiale ne viene ad essere straordinariamente distesa, e gli opercoli e la membrana branchiostegale divengono trasparenti, la femmina già dall’aspetto esterno può distinguersi molto facilmente dal maschio. Negli esemplari giovani l’ano è situato come in altri pesci, posterior- mente alle pinne ventrali : nell’ animale adulto si spinge innanzi venendo a collocarsi esattamente fra le pinne toraciche, vicinissimo alla membrana branchiostegale. Quest’ ultima si estende siffattamente all’indietro, addossata strettamente al corpo, che le aperture anale e sessuali ne vengono ad essere raggiunte e perfino coperte. Da ciò deriva naturalmente il grande vantaggio che le uova emesse vengono portate direttamente al sicuro nella camera branchiale. L'impiego delle cavità branchiali ad uso di camera incubatrice rammenta la condizione di certi siluroidi menzionati nel mio articolo precedente, 1) Appendice all’ articolo : « Cure parentali nei vertebrati inferiori ». CURE PARENTALI NEI PESCI 108 Arius, Galeichthys, Tropheus e Tilapsia. Ma tutti questi, com'è noto, por- tano le uova non soltanto nelle branchie, ma anche nella cavità boccale; e com’ esse vi giungano riesce tanto più enigmatico, quando si pensi che il processo di trasporto delle uova testè segnalato, si deve escludere per Arius Galeichtys e probabilmente anche Tilapsia, per la semplice ragione che in questi casi è il maschio che si assume le cure parentali. Nel Solenostoma, come già ebbi occasione di indicare, i margini laterali delle lunghe ed ampie pinne si saldano col tegumento del corpo, mentre nei Signatidi ai due lati del tronco e della coda si forma una piega cutanea, che può incontrare la piega del lato opposto e fondersi con essa. In ambo i casi risulta formata una tasca, in cui le uova vengono a raccogliersi. Si raggiunge dunque lo stesso risultato che nell’ Amblyopsis colla membrana branchiostegale; ma nel caso dei Solenostomi e dei Signatidi il modo di pene- trazione delle uova nella cavità incubatrice è ancora sconosciuto. Oltrechè alle cure parentali Eigenmann ha rivolto la sua attenzione ad altri argomenti. Così, ad es., ha assoggettato l’ organo visivo della Sala- mandra cavernicola americana ad un’accurata investigazione ; inoltre speri- mentò l’azione di luci di diverso colore sopra 1’ Amblyopsis. Investigò ancora il colore della pelle nelle varie specie di questo genere ; talchè ben può dirsi avere queste indagini di Eigenmann arricchito in modo considerevole le nostre conoscenze sopra la fauna cavernicola del Nord America. Friburgo di Baviera, 4 Novembre 1900. R. WIEDERSHEIM. 104 C. LEGGIARDI-LAURA Di un solco trasverso del lobo parietale, costantemente rappresentato nell’ uomo. (Comunicazione preventiva) Il solco in questione si trova sulla faccia esterna dell’ emisfero subito al di dietro della scissura postrolandica, a cui è parallelo quando è bene indi- vidualizzato. In alto raggiunge per lo più la faccia interna dell’ emisfero in corrispon- denza della 1/, del lobulo quadrilatero (praecuneus); in basso la sua estremità Ri 1 J È DAI - 2 FÀ - - . - Dal 4 ’ p nd 26 P) è situata, nel maggior nu- mero dei casi, dietro il tratto ascendente della branca po- steriore della scissura di Silvio; talora è biforcato in basso e comprende questo tratto ascendente fra i due rami di biforcazione. Delle varietà di questo solco dirò in seguito. Le più comuni sono tre, rappresentate nelle unite figure schematiche : 1.° Il solco risulta di due segmenti distribuiti, uno al disopra e l’ altro al disotto della scissura interparietale (Fig. 1). 2.° Il solco risulta del solo segmento superiore (Fig. 2). 3.° I due segmenti conflui- scono, ed allora la porzione corrispondente del lobo pa- rietale presenta una solcatura ad H di cui le due branche verticali sono costituite dalla sc. postrolandica in avanti e dal solco trasverso in dietro e la branca orizzoutale è co- stituita dal tratto della scis- DI UN SOLCO TRASVERSO DEL LOBO PARIETALE 105 sura interparietale interposto R fra i primi (Fig. 3). — (In i tutte le figure, & rappresenta la scissura di Rolando, p. r. la postrolandica, a. il solco descritto.) Da quanto mi ri- sulta finora, su osservazioni estese a circa 500 esemplari, questo solco nell'uomo adulto è sempre rappresentato : la sua posizione è costantemente la stessa ed esso è sempre o quasi sempre facilmente rico- noscibile dagli altri solchi trasversi incostanti del lobo parietale. Esso appare negli antropoidi, ma non costantemente : manca nelle scim- mie inferiori. Quanto all’ epoca della sua comparsa nello sviluppo embriologico del cer- vello umano, 1)’ ho riscontrato in un feto di 6 mesi (raccolta Giacomini: Feto F di mesi 6). C. LEGGIARDI-LAURA. Firenze, 3 Marzo 1901. A proposito di assimilazione e di riproduzione. Egregio Signor Carlo Foà, Leggo nel fascicolo 9-10 (Anno II) di questa ivista, la recensione che Ella ha fatto della mia breve nota: « Un’interpretazione dell’ assimilazione e della riproduzione ». Mentre ne La ringrazio mi permetto di rispondere alle obbiezioni ch’ Ella vi fa seguire. E credo utile questa risposta non solamente perchè Le dimo- strerà che le sue obbiezioni non hanno in realtà quel valore che a Lei parrà, ma anche perchè spero che essa varrà a correggere certe idee erronee che, non Ella solamente, ma moltissimi, biologi hanno ancora oggidì sulla natura intima dei fenomeni vitali. Ella dice dunque: « Ma bisogna considerare che ben diverse sono le varie reazioni chimiche che VA. ha combinato, da quelle che si suppone avven- gano nell’organismo animale che assimila, poichè in quelle ogni reazione dà luogo ad un corpo nuovo di diversa costituzione di quello dal quale si è partiti, nell’ assimilazione invece (lo dice la parola stessa) il risultato della reazione non è che un aumento dell’ organismo, non è che una trasforma- zione del materiale nutritizio in sostanza identica a quella dell’ organismo 106 E. GIGLIO-TOS stesso. Cosicchè gli stadi susseguenti ad a per aggiunta di nuovo materiale saranno a + 1/, di a, a + !/, di a, a + >|, di ae infine 2 ae non già corpi di diversa natura quali sono l’ acido acetico, il cloruro di acetile, 1° etilme- tichetone che l'A. vuol far corrispondere ai primi » (pag. 795). Da queste parole risulta chiaramente, che Ella, sig. C. Foà, crede che il micrococco, dal momento in cui nasce, fino al momento in cui si scinde in due altri mierococchi, non cambi menomamente la sua costituzione chi- mica! Che rimanga sempre micrococco nel significato esclusivamente mor- Ffologico che noi diamo a questa parola io non lo nego, ma che la sua costi- tuzione chimica sia sempre l’identica in tutti i momenti della sua vita, questo chi può dirlo? Dove si hanno le prove di questa immutabilità chimica che Ella vuole attribuire al mierococco, 0 ad un mieroorganismo o ad un organismo qualsiasi durante le sue funzioni vitali ? Ella saprà benissimo che finora la chimica non ci porge mezzo alcuno per conoscere la composizione chimica nè di'un micrococco, nè di una par- ticella qualsiasi yivente. Tutt’al più essa sa dirci molto vagamente che queste particelle appartengono ad una categoria molto vasta e ancora poco definita di corpi detti albuminoidi, i quali presentano certi caratteri, del resto molto incerti e di poco valore dal punto di vista chimico. Io non voglio credere neppure che Ella sostenga la immutabilità chimica del mierococco per il fatto che esso si colora in tutti i momenti della sua esi- stenza con la stessa sostanza colorante. Ella saprà benissimo che le colora- zioni usate nella microscopia non sono certo reazioni chimiche atte a sve- larci, neppur lontanamente, la vera composizione chimica di una particella organica! Se così fosse, noi dovremmo venire a questa conclusione che la cromatina, a mo’ d’esempio, delle cellule di animali e vegetali, i più diffe- renti fra loro, avesse la stessa composizione chimica. Conclusione, come vede, certamente assurda, per quanto si possa ammettere che i composti costi- tuenti la cromatina dei vari organismi appartengano tuttavia ad una stessa vastissima categoria. Come vede chiaramente, Ella non ha alcuna ragione per negare che nel micrococco avvengano cambiamenti chimici paragonabili a quelli che io cito nella mia interpretazione e quindi il mio paragone dell’ assimilazione può essere ritenuto finora perfettamente esatto. Ma v’ha di più. Quand’ Ella dice che « gli stadi susseguenti ad a per aggiunta di nuovo materiale saranno a + 1/, di a, a + 1/, di a, a + 3/, di a e infine 2 a», Ella dice in verità un’inesattezza, e dirò anzi un’ assurdità se la cosa si considera dal punto di vista chimico. Un’inesattezza, perchè nè l’ osservazione diretta, nè alcun fatto finora ci ha dimostrato che un micrococco, durante la sua esistenza, formi per assi- milazione !/, di mierococco, !/, micrococco, 3/, di micrococco e poi un’ altro micrococco ! L'osservazione — Ella lo saprà benissimo — ci dimostra che il mierococco semplicemente ingrandisce e poi si divide in due micrococchi, senza passare per nessuna fase in cui sia possibile dire, che, oltre il primo micrococco, esista 1/,, 15 o 3/, di un altro micrococco. È poi un’assurdità la sua asserzione dal punto di vista chimico, perchè, se Ella ammette che il micrococco è formato di molecole — cosa che, credo, A PROPOSITO DI ASSIMILAZIONE E DI RIPRODUZIONE 107 non vorrà negare — e se riporta il suo ragionamento a queste — come si è di necessità costretti — bisognerà ammettere che ogni molecola del micro- cocco formi prima !/,, poi !/,, poi 3/, di un’altra molecola uguale a sè stessa. E questa molecola dovrebbe essere, nel suo concetto, in tutte queste fasi già uguale a quella preesistente che la va formando per assimilazione. Io credo che Ella, riflettendo su questa considerazione, non avrà alcuna dif- ficoltà per convincersi che la sua asserzione, dal punto di vista chimico, conduce inevitabilmente a conseguenze assurde. La natura della sua obbiezione mi rivela, egregio sig. C. Foà, il difetto che la produsse : difetto del resto imputabile non a Lei solamente, ma anche < a moltissimi biologi moderni. Questo difetto sta in ciò che nel considerare ancora oggidì la materia vivente, si dimentica affatto dai più un concetto che la scienza chimica ha introdotto e che non può e non deve essere dimen- ticato. Intendo dire il concetto della molecola. Bisogna assolutamente ricordare sempre che i corpi viventi, come tutti gli altri, sono costituiti di molecole. Di conseguenza, se le nostre conside- razioni si portano sui fenomeni chimici che la sostanza vivente può presen- tare, queste nostre considerazioni devono necessariamente giungere fino alla molecola per trovarvi, se possibile, una spiegazione : è d’ uopo insomma, in tali considerazioni, fare astrazione completa dal concetto morfologico che non può avere in tal caso alcuna importanza. Ma se non vi hanno ragioni per negare la mutabilità della sostanza vivente durante le sue funzioni, ve ne hanno invece ben molte per farci credere che questa mutabilità esista in larghissima misura. Non si ritiene forse che i prodotti di secrezione derivino da un parziale disfacimento della sostanza vivente? E, se è così, come si potrà ammettere che la sua costi- tuzione chimica non cambi ? Non parlo poi dei fenomeni ontogenetici. Ella non ha che a rivolgere la mente ad essi per convincersi in modo assoluto che tale mutabilità chimica della sostanza vivente esiste senza dubbio di sorta, per quanto essa sfugga ancora alle nostre indagini dirette. Ella aggiunge ancora in seguito : « Del resto abbiamo già notato che l’individuo 24 non è che il doppio di ciascun individuo derivato da a, ma ne ha la stessa costituzione, quindi perchè il paragone fra i due stadi pre- cedenti alla scissione fosse completamente esatto bisognerebbe che etilme- tilehetone + 80 fosse uguale al doppio di una molecola di acido acetico, ma fosse acido acetico esso stesso. Solo in questo caso i due stadi sarebbero esattamente corrispondenti. Dunque il corpo che si deve scindere per dar luogo alle 2 molecole di acido acetico, deve essere acido acetico esso stesso, cioè deve rappresentare le 2 molecole figlie ancora riunite; altrimenti il pro- genitore non sarebbe uguale ai figli ». La risposta a questa obbiezione è già implicitamente inclusa nelle mie parole che precedono, ma quest’ultima frase : « altrimenti il progenitore non sarebbe uguale ai figli» merita un commento, perchè mi fa dubitare che Ella, egregio sig. C. Foà, non abbia un’idea esatta di ciò che costituisce l'uguaglianza dei figli con il loro progenitore. È forse necessario perchè quest’ uguaglianza esista che il figlio sia uguale al progenitore nel momento in cui lo procrea ? È un bambino quando nasce 108 E. GIGLIO-TOS uguale al padre ed alla madre nel momento in cui lo procrearono ? Eppure si dice che esso è simile o uguale ai suoi progenitori, perchè alla sua nascita presenta i caratteri che il padre e la madre presentavano alla loro nascita e perchè, crescendo, presenterà nelle varie fasi successive caratteri simili o uguali a quelli che i suoi genitori avevano presentato nelle fasi corrispon- denti della loro esistenza. In altre parole: l’ uguaglianza dei figli ai proge- nitori non è che relativa al momento, alla fase della vita in cui si consi- derano. Le cito questo esempio comune e volgare per esprimere chiaramente il ‘concetto dell’ uguaglianza ereditaria; ma mi sarebbe facilissimo citarle una infinità di altri esempi consimili, non solamente fra gli organismi pluricel- lulari, ma anche fra quelli unicellulari, se lo spazio me lo permettesse e se non credessi sufficiente 1’ esempio citato per darle un’idea esatta del fenomeno. Dopo di ciò posso dunque asserire che, non ostante che la molecola che si scinde in due di acido acetico sia quella di metiletilehetone ossidata, ossia diversa da quella di acido acetico, tuttavia l'uguaglianza tra il pro- genitore (molecola di metiletilechetone) e i figli (molecole di acido acetico) è perfetta, perchè queste, alla loro origine, messe in condizioni uguali a quelle in cui si trovava il loro progenitore alla sua origine, presenteranno successivamente i suoi stessi caratteri, in momenti uguali della loro esi- stenza. Il paragone da me istituito per ispiegare la riproduzione è dunque perfettamente esatto. Io sono del resto convinto, che, se Ella, egregio sig. C. Foà, vorrà approfondire meglio le sue considerazioni e arrivare, punto per punto, fino alle conseguenze ultime, strettamente logiche, non dimenticando mai che i fenomeni di cui si tratta sono fenomeni chimici e che la sostanza vivente è formata di molecole, non potrà far a meno di convenire che le sue obbie- zioni non hanno in realtà alcun valore e che la mia interpretazione dell’assi- milazione e della riproduzione non pecca sotto questi vari punti di vista. Certamente nella mia piccola nota, cui si riferisce la sua recensione, non ho potuto aggiungere quelle molte osservazioni e considerazioni che 1’ argo- mento avrebbe richiesto, e ciò non faccio neppure in questa risposta per non rubare a questa Rivista uno spazio prezioso, ma Ella egr. sig. C. Foà, potrà trovare quelle più ampie spiegazioni che potrà desiderare leggendo la prima parte del mio lavoro « Les Problèmes de la Vie » che recentemente ho pubblicato. 3 D’. ErMmANNO GIGLIO-TOS. Torino, 15 Dicembre 1900. RASSEGNA BIOLOGICA 109 RASSEGNA BIOLOGICA I; Fisiologia. ENGELMANN. — Ueber primiir-chronotrope Wirkung des Nervus Vagus auf das Herz. — Volume jubilaire du Cinquantenaire de la Société de Biologie (pag. 86). Paris, Masson. L’arresto del cuore che tien dietro alla stimolazione del nervo vago non è quel semplice fenomeno che dapprima si credette che fosse. L° opinione generale si era che si trattasse in ogni caso di un’ azione inibitrice sulla formazione degli eccitamenti automatici, motori del cuore. Si doveva trattar sempre, cioè, di una azione, come la chiamò l’A., primitiva, negativa-crono- tropa. 1 Più tardi si vide che, talvolta i ventricoli del cuore si arrestavano in causa di una difficoltata, e perfino impedita, trasmissione dell’ influenza motoria dagli atrii ai ventricoli, 0, secondo la terminologia dell’ A., per un’ azione negativa-dromotropa. Infine, si scoprì che l’ arresto poteva avvenire per una paralisi della contrattilità, per un’ azione « negativa - inotropa ». (In questi due ultimi casi sì poteva osservare l’ attività ritmica dell’ apparato motorio auto- matico nelle orecchiette del cuore svolgersi normalmente, e talvolta, anche, mostrarsi affrettata). Ora 1)’ A. si chiede: Si tratta di tante forme, fondamentalmente diverse, di un’ azione inibitrice primitiva, o possono esse ridursi ad un principio comune ed unico? Il Muskens, allievo dell’A., cercò di dimostrare sperimentalmente 1’ ori- gine unica di queste diverse azioni, sostenendo che quelle azioni che Engelmann aveva chiamate negativo-cronotropa e negativo-inotropa, erano secondarie, derivanti da impedita trasmissione di influenze negativo- dromotrope primitive. Ma, per quanto "fossero argute e profonde le considerazioni del Muskens, l'A. ritiene che siano insostenibili, se non come ipotesi di ciò che « potrebbe eventualmente anche essere »; e lo dimostra in questo modo: Se 1° arresto del cuore fosse dovuto sempre soltanto ad impedita condu- zione, anche gli stimoli artificiali non dovrebbero agire quando cadessero in un campo in cui la conduzione fosse paralizzata. Invece, applicando uno stimolo artificiale ad un punto ben localizzato del seno venoso o delle cave di un cuore di rana piuttosto grossa reso immobile in via reflessa per la via del vago, lA. ha potuto osservare non sempre, ma quasi in tutti i casì una 110 RASSEGNA BIOLOGICA contrazione, che prendeva tutto il campo della radice del cuore per diffon- dersi poi come pulsazione agli atri ed ai ventricoli. Con ricerche eronome- triche ha, inoltre, potuto stabilire che la velocità dell’ onda di contrazione in tutto il cuore non era abbassata, ma quasi era superiore alla velocità osservata e misurata prima dell’ irritazione del vago. In questo caso potrebbe quindi darsi, a fortiori, che 1’ immobilità del cuore dipendesse dal fatto che gli stimoli spontanei non erano abbastanza forti da provocare una contra- zione. E vien così dimostrata 1’ esistenza di un’ azione primitiva cronotropa, o meglio negativa cronotropa dell’irritazione del nervo vago. SO ©. . . CHARPENTIER. — Recherches sur la physiologie de la rétine. — Cin- quantenaire de la Société de Biologie. Volume jubilaire (pag. 316). Paris, Masson. Le teorie sulla fisiologia della retina hanno subito variazioni profonde in questi ultimi anni; quella dei tre colori fondamentali di Helmholtz, quella di Hering delle tre coppie di sensazioni antagoniste, sono state lasciate addietro da quella dei due modi distinti di sensibilifgà retinica, a stabilire ed a consolidare la quale hanno certamente contribuito assai i lavori dell’ A. Per interpretare fisiologicamente il fatto della sensibilità cromatica, che l'A. vorrebbe interporre fra sensibilità luminosa e sensibilità visiva, egli ha avuto l’ idea di ricorrere all’ elemento tempo. Esistono delle ragioni in base a cui si può credere che le percezioni visive siano dovute a vibrazioni del nervo ottico, vibrazioni che dovrebbero avere una genesi differentissima da quelle dell’acustico; e che dovrebbero potere render conto dell’ interferenza evidente che subiscono nel caso dei colori complementari e, in generale, di tutti i colori complessi (che sembrano tutti misti di bianco). Ora, si può supporre che i due elementi retinici abbiano vibrazioni di una frequenza costantemente differente, e che la nozione di colore dipenda dalla formazione di una risultante, varia a seconda che le due variazioni elementari si producono l’una rapporto all’altra con fasi variabili, secondo i diversi raggi dello spettro. Questa ipotesi si può basare su diverse serie di fatti numerosi, che 1’ A. ha saputo raccogliere e classificare in modo assai opportuno. Egli ha saputo ancora, poi, determinare due modi di’ propagazione (di cui ha pure calcolato la velocità) di tali vibrazioni : in direzione lineare, cioè, nel senso del raggio fisiologico che va dal punto fissato alla fovea centralis; e per ondulazione, in cui si può vedere che gli elementi della retina oscillano trasversalmente. Ma siccome questo fatto della vibrazione nervosa è stato studiato a pro- posito di altri dominî sensoriali (Toulouse per l’olfatto), e corrisponde del resto a ciò che presumibilmente deve avvenire per le sensazioni le quali, dapprima diffuse e semplici, vanno acquistando una complessità ed una loca- atei RASSEGNA BIOLOGICA TSE lizzazione sempre maggiori, si UCTICGnO cercarne l’ origine al di là di duel centro nervoso che è la retina, nello stesso cervello. Certo desterà per molto tempo ancora 1’ interesse il fatto della distanza «enorme che separa la frequenza vibratoria dell’ agente eccitatore (luce), da quella dell’ apparecchio ricevitore. Ma tutto dimostra che la luce non eccita direttamente il nervo ottico, ma provoca, arrivando nella retina, delle rea- zioni secondarie, d’ ordine diverso (chimico, meccanico, ecc.), che sono i veri agenti eccitatori. I fosfeni ottenuti colla pressione o colla corrente elettrica dimostrano che le vibrazioni dell’ etere luminoso non sono necessarie alla produzione della sensazione visiva; mentre i fatti relativi alla necessità di una riparazione nutritiva dopo l'eccitazione luminosa, la scoperta della por- pora retinica, dei movimenti dei coni, ecc., dimostrano la molteplicità degli intermediarî esistenti fra la luce e la fibra nervosa. GRACE DuPpuy. — Effets contraires des lésions du corps restiforme et du ganglion sympathique cervical sur 1° eil. Cinquantenaire de la Société de Biologie. Volume jubilaire (pag. 246). Paris, Masson. È noto da molto tempo che la puntura del corpo restiforme nelle cavie e nei conigli dà effetti opposti a quelli che tengono dietro alla distruzione del cordone o del ganglio simpatico. Ora lA. ha osservato il fatto notevolissimo che l’ abbassamento della pal- pebra, la retrazione del globo oculare, 1’ avanzamento della membrana nicti- tante, il riscaldarsi dell’orecchio e la dilatazione dei suoi vasi (e, il più spesso, la contrazione pupillare) determinate dalla sezione del cordone del simpatico cervicale o dall’ ablazione del ganglio cervicale superiore di un lato, scom- paiono per l’influenza di una puntura del corpo restiforme del lato stesso della lesione del simpatico. Queste due serie di effetti, nella cavia, non soltanto sono permanenti, ma se ne può seguire lungo molte generazioni la trasmissione ereditaria ; e nelle cavie che presentano per trasmissione ereditaria, gli effetti dell’ abla- zione del sanglio cervicale del simpatico, la puntura del corpo restiforme dello stesso lato determina l’ esoftalmo ed i comuni fenomeni che si osservano nel margine libero dell’ orecchio. (GACEE CALMETTE. — Sur le mécanisme de l’immunité contre les alcaloîdes. — Cinquantenaire de la Société de Biologie. Volume jubilaire (pag. 202). Paris, Masson. Iiettando piccole dosi di veleni ad animali si può gradualmente arrivare a farne loro sopportare dosi più e più volte mortali. Quando si iniettano tossine animali o vegetali il siero di questi animali acquista un potere anti- tossico. Questa azione antitossica non si riseontra invece mai quando si ado- 112 RASSEGNA BIOLOGICA perano gli alcaloidi; mentre con certi veleni chimici, come p. es. 1° acido arsenioso solubile, ciò non avviene. — Ora, come avviene che un animale vaccinato contro un alcaloide o contro un dato veleno chimico, che non dà luogo alla formazione nel sangue di antitossine, sì difenda contro 1’ intos- sicazione? L’ A. ha pensato di risolvere questa difficoltà studiando gli animali natu- ralmente refrattari a certi veleni. E per questo ha scelto il coniglio e l’atropina. Si possono iniettare in una vena di un coniglio anche 20 gr. di atropina, senza che l’animale se ne risenta; ma ciò avviene perchè il veleno non arriva fino al cervello, nè agli elementi nervosi periferici: Infatti, se si iniet- tano anche soltanto 2 gr. di atropina nel cervello di un altro coniglio, si ha dilatazione pupillare, eccitazione generale e infine anestesia completa, seguita da morte. Ora, se si iniettano nelle vene di un altro coniglio 20 gr. di atropina, e dopo poco si salassa l’animale e si centrifuga il sangue così raccolto e se ne concentra il siero limpido, e di questo si inietta !/, cme. (corrispon- dente ad 1 eme. di siero fresco) nella sostanza cerebrale di un coniglio nuovo, non si osservano fenomeni gravi, ma soltanto si ha un po’ di eccita- mento e di midriasi, fenomeni che scompaiono dopo 2 ore. Se ad un altro coniglio, invece, si inietta nella sostanza cerebrale 1 cme. di quella sostanza che contiene i globuli bianchi del sangue stesso di cui sopra, sì osservano gli stessi effetti che si ottengono iniettando nella sostanza cerebrale 1 mgr. di atropina: e la morte avviene in 7-12 ore. Si deve quivi ammettere che i leucociti degli animali naturalmente refrattari, e probabilmente anche quelli degli animali vaccinati per assuefa- zione, posseggano la proprietà di arrestare e di fissare nel loro protoplasma i veleni chimici del genere degli alcaloidi, allo stesso modo come conglobano e digeriscono i microbi e le tossine microbiche, animali o vegetali. GC. E. BURIAN e SEHUR. — Die Stellung der Purinkòrper in menschlichen Stoff'wechsel. —- Pfliiger’s Archiv. f. Physiologie. BA. 80, Heft 6 e 7, 1900. Per una serie di successivi sdoppiamenti si passa dai nucleoalbuminoidi alle nucleine, agli acidi nucleinici, alle basi xantiche, corpi tutti che Fischer propose di considerare come derivati da un radicale comune, la purina. L’acido urico sarebbe una triossipurina ; la xantina una diossipurina, l’ipo- xantina un’ ossipurina, ecc. Ora gli AA. dimostrarono che le purine nel- l’uomo (acido urico e basi xantiche) hanno una doppia origine: esogena ed endogena; cioè derivano da un lato dalle purine alimentari, e per un altro lato dalle purine dei tessuti. Il fatto che durante il digiuno la quantità d’ acido urico diminuisce rapidamente nelle orine, fino a raggiungere un minimo che si mantiene poi costante per tutti i successivi giorni del digiuno, se è da un lato la prova che vi ha un’ origine endogena di purine, non permette però di concludere che questa origine endogena di purine sia un RASSEGNA BIOLOGICA lo fatto normale, perchè nel digiuno vi è una abnorme distruzione dei tessuti. Ma gli AA. somministrarono ad un uomo un’ alimentazione la quale non contiene normalmente traccie di purine (latte, patate, pane bianco, riso, uova); e ricercarono poi le purine nelle orine. Così dando tanto alimento di quel genere, che contenesse in tutto 16 gr., 2 d’ azoto, trovarono nelle urine una quantità d’ azoto sotto forma di purine uguale a gr. 0,20 circa. Somministrando allo stesso soggetto un’alimentazione che contenesse gr. 9,3 di azoto, trovarono ancora nell’ urina gr. 0,20 d’azoto deile purine. Vi è dunque una quantità costante di purine eliminate, data una alimentazione che ne sia priva. Per contro un’alimentazione carnea contenente gr. 16,8 d’ azoto, la quantità d’ azoto delle purine raggiunse gr. 0,34. Così si potè constatare la doppia origine endogena ed esogena delle purine. Una certa quantità poi delle purine ingerite non si elimina, ma’ viene trasformata nell’ organismo e gli AA. poterono constatare che questa quantità è sensi- bilmente costante per una determinata alimentazione, e variabile coll’ ali- mentazione. Fu detto che la maggiore eliminazione di purine dopo un’ ali- mentazione che ne fosse ricca, era dipendente da una iperleucocitosi provocata da quest’ alimentazione, e da una successiva distruzione di leucociti. Ma gli AA. fanno notare che questa iperleucocitosi è spesso assai debole, e che non c’è parallellismo fra la gravità dell’ iperleucocitosi e 1’ eliminazione dell’ acido urico. C. F. Il. Antropologia generale. CHAMBERLAIN ALEX. FRANCIS. — The Child. A Study in the Evolution of Man: — Un vol. illustrato di pag. VII-498 della Contemporary Science Series, Londra, ed. Walter Scott, 1900. È uno studio veramente completo nella biologia dell’infanzia al lume della teoria evolutiva. — La materia vi è così divisa: Cap. 1) Significato biologico della debolezza infantile; 2) Significato biologico del giuoco ; 3) Somiglianze pitecoidi del bambino ; 4) Periodi dell’ infanzia ; 5) Linguaggio dell’ infanzia ; 6) Le arti dell’ infanzia; 7) Il bambino quale rivelatore del passato ; 8) Il bambino ed il criminale; 9) Il bambino e la donna ; 10) Som- mario e conclusioni. La copia degli autori consultati è grandissima, tale da far quasi desi- derare che si alleggerisse il testo di qualche citazione soverchia, limitando la scelta agli scritti migliori della vastissima letteratura. Rende i dovuti onori alla scuola criminale positiva, analizzando le opere ‘ di Lombroso e della figlia Paola, di Ferri, Ferriani, Marro, Penta, Sergi, Tanzi ed altri; ma è un po’ oscillante ed incerto quando deve prendere partito tra le teorie del maestro italiano e le critiche non RIv. DI BIOLOGIA GENERALE, III. 8 114 RASSEGNA BIOLOGICA sempre serie ; il che del resto non costituisce un difetto grave del libro, il quale, più che a fornire un contributo originale allo studio dell’infanzia, mira a compendiare i progressi di questa disciplina biologica, per fornire in ‘ultima analisi una base scientifica alla pedagogia. Il libro si chiude con un indice bibliografico dei lavori consultati, che sommano a 696. In conclusione un compendio utilissimo a consultare per chi desideri in breve tempo mettersi al corrente delle nostre attuali cono- scenze sull’ argomento. ANTONINI. — Donizetti. — Studio neuro-patologico. Archivio di Psichiatria, Scienze penali di Antropologia criminale, vol. XXI, p. 595. L’egregio psichiatra riscontra le seguenti note degenerative nel grande “musicista : precocità, iperestesia, incoscienza dell’estro (stupendamente illu- strata) periodi di esaltamento e sfrenata allegrezza alternati con altri di depressione e cupa malinconia ed arresto psichico con impotenza creatrice. Cefalee intense ed ostinate, automatismo ambulatorio, tendenza spiccata al vagabondaggio : contraddizioni continue, carattere chiuso, spesso apatico. Come si vede, un complesso di caratteri che pur bastando a diagnosticare la psicosi degenerativa del geniale compositore, meriterebbe di essere assog- gettato ad ulteriori e più estese ricerche, quando nell’ occasione del prossimo centenario, si raccogliessero in Bergamo gli sparsi documenti che concernono la vita privata e sociale di Donizetti. FERRIANI LINO. — Delinquenza precoce e senile. Studio di Psicologia cri- minale con lettera di Cesare Lombroso. — Un vol. di pag. XXIV-460. Vittorio Omarini, Como, 1901, L. 5. Questo nuovo libro dell’infaticabile Ferriani si divide in tre parti oltre alla prefazione: 1) criminalità e sue fonti principali; 2) i maestri di delinquenza ; reati contro il buon costume ; reati contro la proprietà; 3) violenti. i Nella prima parte l’A. segnala sopra un’ampia statistica il progressivo aumento della criminalità, ovunque fuorchè in Isvizzera. Dimostra pure come la criminalità giovanile segua nelle sue variazioni le fasi della crimi- nalità negli adulti. Non si tratta già di un’ accozzaglia di cifre accolte senza critica, ma invece di statistiche rigorosamente vagliate. Il Ferriani anzi rileva molto bene come per certi reati che facilmente restano impuniti, i dati statistici siano molto lontani dal riprodurre il vero. Così per quanto riguarda il confronto da lui istituito (tabella a pag. 78) tra la percentuale dei minorenni condannati nei vari circondari e la percentuale dei genitori privati della RASSEGNA BIOLOGICA 115 patria potestà (per averne abusato), se stessimo unicamente alla percentuale delle condanne, come risultano dalle statistiche fornite dalle altre Procure del Regno, risulterebbe che proprio nei grandi centri a un maximum di minorenni condannati si contrappongono cifre piccole e perfino degli zeri (!) per la privazione della patria potestà nei parenti. È questo un errore che lA. rileva già a priori e viene poi a correggere con osservazioni proprie, imputandolo alla mancanza di una polizia giudiziaria specialmente adibita a scovare tali misfatti, e insieme alla protezione dei minorenni contro parenti snaturati. Le variazioni parallele rivelate dalla statistica tra delinquenza precoce e delinquenza senile non sono accidentali, ma dipendono dai medesimi fattori (eredità, alcoolismo, ambiente corrotto), oltrechè da quelle che |’ A. chiama «armonie delittuose », per cui nel mondo criminale si stabiliscono rapporti interni di mutua difesa, e quasi un segreto di casta, si perpetua una triste tradizione, costituendosi vere accademie del delitto. Tutto questo è descritto molto bene nella parte seconda, ove 1’A. viene a investigare la etiologia di siffatti rapporti tra le due delinquenze. Siccome la etiologia, giusta i criteri di Lombroso, deve fornire la base scientifica alla profilassi, il Ferriani che mira appunto ad uno scopo edu- cativo, parlando di criminalità precoce intende restringersi più specialmente a quella che non è tale per eredità fatalmente predeterminata (trattandosi di delinquenza « congenita » sarebbe poco chiamarla « precoce ») contro cui la profilassi individuale sarebbe impotente; ma piuttosto a quelle forme provocate o aggravate da un ambiente corrotto, le quali in migliori condizioni di educazione si sarebbero attenuate od anche guarite. L’A. adduce parecchi esempi dell’azione nefasta esercitata dai vecchi criminali nelle carceri e fuori, per cui giovani si armano della esperienza . di chi li precedette nella via del delitto. Nella parte terza del libro il Ferriani prende a oggetto di studio i criminali violenti. Questi scarseggiano nella prima giovinezza : non certo perchè ai bambini manchi la impulsività, ma piuttosto manca il coraggio e la forza fisica per cui spesso sfogano i loro istinti crudeli sugli animali. Tra i violenti minorenni, nota colle statistiche alla mano, primeggiare « quelli che ebbero un’infanzia tiranneggiata, che soffrirono angherie e persecuzioni, furono insomma vittime dell’ altrui prepotenza ». A delineare in modo più concreto la psicologia dei criminali, VA. allega numerosi documenti sul gergo, sui sopranomi loro attribuiti, le risposte agli interrogatorii : raccoglie poi in una tabella le caratteristiche somatiche e psichiche più salienti di 802 minorenni condannati, in altra i mestieri pre- dominanti (su 100 criminali minorenni, su 100 adulti e 100 vecchi), poi le caratteristiche criminose di 100 vecchi (Tab. XX), di 50 giovani donne cri- minali (Tab. XXII), di 27 vecchie criminali e di 200 vecchi criminali (Rab XIV). Un altro aspetto in cui si rivela la terribile efficacia dell’ insegnamento dei vecchi criminali, oltrechè nel perfezionare la tecnica del delitto, sta nell’addestrarei giovani alla difesa negli interrogatorii: e anche qui il Ferriani ci rivela un cumulo prezioso di osservazioni raccolte nella sua carriera di magistrato. 116 RASSEGNA BIOLOGICA Istruttiva fra le altre in sommo grado la descrizione di un vecchio delin- quente che nelle carceri di Sarzana a due minorenni imputati di omicidio impartiva, per prepararli al dibattimento, un corso pratico di lezioni sulla strategia da seguire nella prossima difesa, costituendo una vera e propria Corte d’Assise, ove le parti erano distribuite a ciascuno, accusati, difen- sore, P. M., giudici, e si rappresentava vividamente lo svolgimento del processo ; e dove il vecchio criminale si rivelava abile istruttore dram- matico quanto esperto direttore dei dibattimenti. Il Ferriani che aveva assistito, non visto, a quelle « prove » in carcere, potè constatarne poi alle Assise il pieno successo. Molte e molte altre osservazioni interessanti sono raccolte in questo volume, sulle quali dobbiamo sorvolare, non essendoci proposti di sunteg- giare l’ opera, ma solo di richiamare su di essa l’ attenzione del pubblico. È insomma uno studio ricchissimo di statistiche eloquenti e bene ordi- nate, chiaro e brillante nella forma — perciò di lettura piacevole — ed utilissimo non solo alla pratica penale, ma anche al nobile intento cui mira il benemerito magistrato, la rigenerazione dell’ infanzia secondo le ' esigenze della « Scienza della prevenzione ». CHARRIN. — Tares maternelles et tares des rejetons: leur méca- nisme. — Cinquantenaire de la Société de Biologie. Volume jubilaire. (pag. 63). Paris, Masson. Esaminando l’ aumento giornaliero del peso di bambini nati da madri ammalate di malattie diatesiche 1’ A. aveva osservato una ‘differenza straor- dinaria in confronto all’aumento dei bambini nati da madri sane. In occasione di un’ epidemia di febbre tifica, ha avuto occasione di ripetere, estendendola assai, la stessa osservazione sui bambini nati da madri affette da forme non gravi di tifo, ed ha osservato che in tali casi non solo si ha un mancato acere- scimento del peso del corpo, ma la termogenesi è disordinata, più rapida e più instabile; come pure è sconvolto l’ equilibrio del ricambio materiale. Ora l’ A. si chiede quale sia la causa e l° origine di queste diverse modi- ficazioni mercè le quali i bambini dovevano presentare una serie di anomalie funzionali, ottimo terreno di sviluppo di tutte le malattie. Ed esclude anzi- tutto, per molte ragioni, l’infezione microbica; e 1’ esistenza di qualche lesione organica, la quale naturalmente non sarebbe che secondaria. Certo è invece che una grande influenza hanno i principi tossici, deri- vanti dai germi o dalle cellule attive nei tessuti materni, e che la placenta. non saprebbe arrestare. È certo ancora che i tessuti dei soggetti deboli for- mano dei veleni, per cui la loro urina è spesso, se non decisamente tossica, per lo meno non indifferente per gli animali a cui viene iniettata. Ma il punto di partenza delle modificazioni osservate si trova soltanto, procedendo per esclusione, nell’inferiorità della cellula, nella sua mancanza di resistenza, nella sua insufficenza statica e dinamica, RASSEGNA BIOLOGICA lf È questa debolezza iniziale delle cellule, che proviene direttamente dalla debolezza degli elementi degli organi materni, ciò che guida al sopraffatica- mento, all’ ipotermia, alla diminuzione dell’ alcalinità, offrendo ai batteri favorevoli condizioni di sviluppo, preparando l’avvento dei processi discrasici, diatesici, delle affezioni viscerali, delle reazioni nervose anomale, ecc. L’ osservazione, la dimostrazione diretta e il procedimento per esclusione coincidono nell’ affermare che il fondo delle anomalie di cui sopra sono dovute a un deperimento cellulare. GC \ SPERINO. — Descrizione morfologica dell’encefalo del Prof. Carlo Gia- comini (Giorn. della R. Acc. di Med. di Torino. — Agosto, 1900). L’ encefalo dell’ illustre anatomico pesava gr. 1495, con una differenza in più dell’ emisfero destro di gr. 81: La capacità cranica era di cm. 1466 e l’indice cefalico era di 80,76; diametro bizigomatico 144, diametro frontale minimo 92, diametro frontale massimo (stefanico) 106. E lasciamo da parte tutte le altre misure molto accuratamente riferite dallo Sperino. La forma del cranio, che io ebbi occasione di vedere, è quella di uno sphenoides latus frequente a riscontrarsi fra i Piemontesi e Lombardi. Il cervello di Giacomini è eurigyrencefalo, ricco di circonvoluzioni robuste e alcune assai larghe. Ben spiccata si presenta la fissura rhinica, la quale del resto in un singolo caso non ha significato speciale. Più interessante apparirebbe invece la duplicità della scissura di R o- lando che nell’emisfero destro del Giacomini si presenta coi caratteri tipici di tale varietà. Lo Sperino a questo proposito fa un accurato esame della questione e dà un elenco completo dei casi della varietà in discorso descritti nella letteratura ; in tutto 23, quasi tutti appartenenti ad individui degenerati. Tutte le altre varietà riscontrate nel cervello dell’ illustre anatomico dallo Sperino sono comuni ad osservarsi e non hanno nulla di particolare. E quanto alla duplicità della Rolandica che, riscontrata nel cervello di Gi a- comini dopo essere stato trovata quasi sempre in individui degenerati, ha dato luogo ad una breve discussione sulle applicazioni psichiatriche e cliniche di questa varietà, volendosi da qualche autore interpretare come segno francamente anomalo e da altri come espressione di un notevole sviluppo motorio, io credo che tale varietà non abbia alcun significato parti- colare, come ho appunto cercato di dimostrare. Sicchè — dal pregevolissimo studio dello Sperino — si ricava che in sostanza il cervello dell’ illustre anatomico non presenta nulla di particolare nella disposizione dei solchi e delle circonvoluzioni. C. LEGGIARDI-LAURA. 118 RASSEGNA BIOLOGICA ProAL L. — Le crime et le suicide passionels. Alcan éd., Paris, 1900. Un libro che si può trovare ben scritto, brillante, ma che in sostanza non contiene se non induzioni logiche da criterî aprioristici e una sovrab- bondanza di cose più convenzionali e verosimili che vere. Un libro fatto — dirò, parafrasando un modo di dire Manzoniano — per amore di simmetria. E mentre pretende di fare la psicologia (che cosa non passa oramai sotto questo nome, nei giornali, nelle riviste ed anche nei libri ?) dell’ innamorato criminale, della donna abbandonata, dell’omicida per onore ecc., nel fatto poi ci descrive le astrazioni corrispondenti. E sì che di queste figure psico- logiche di passionali la letteratura ed il teatro ci hanno dato e ci danno continuamente — pur troppo! — esempi numerosi e spesso molto efficaci. Ma - chi non conosce oramai questa psicologia? Di questa contraddizione si ri- sente tutto il libro. Il Proal, naturalmente, mostra di non conoscere la scuola positiva: ma quel che è peggio, mostra di ignorare completamente il fattore individuale della criminalità passionale, e nessuna nuova indagine egli può adunque portare alla vera psicologia di questo o di quel passionale, e che sarebbe certo più utile, sebbene meno brillante, di quel che non siano i bei discorsi e gli schemi simmetrici. C. LEGGIARDI-LAURA. WiLper G. — Revised interpretation of the Central fissures of the Educadet suicide’s brain ecc. In « Jour. of. Nerv. and Ment. Disease ». Ottobre, 1900. Nuova Jork. L’A. aveva descritto nel 1894 un caso di duplicità della scissura di R o- lando bilaterale nel cervello di un suicida: di queste due scissure Rolan- diche la anteriore di sinistra era interrotta. Ora l'A. ritorna sulla detta interpretazione e riconosce che non si trattava di duplicità della Rolandica; ma che la apparente Rolandica posteriore è in realtà una scissura postrolandica ben pronunciata ed individualizzata. Resta invece l’ interruzione completa della Rolandica di sinistra, il quale fatto ra- rissimo è ben più importante dell’ altro. Nella discussione a cui diede luogo la rettifica del Prof. Wilder, il Mills aggiunge che anch’egli ha avuto occasione di osservare dei casì di apparente duplicità della se. Rolandica; ma che non si dovrebbe conchiudere all’ esistenza di tale varietà se non si sono escluse tutte le altre spiegazioni dell’ apparente duplicazione. C. LEGGIARDI-LAURA. RASSEGNA BIOLOGICA 119 JU, Psicologia. MacH E. — Analyse der Empfindungen und das Verhiiltniss des Physischen zum Psychischen. — Iena, Gustav Fischer, 1900. L’A. dedica questa seconda edizione della sua opera sull’ analisi delle sensazioni a Carlo Pearson, il noto autore delle Grammar of science e professore di matematica applicata e meccanica all’ University College di Londra. Con ciò egli sembra aver voluto indicare, fin dalla prima pagina, la natura delle aggiunte per le quali essa differisce dalla prima edizione pub- blicata nel 1885. Tali aggiunte sono infatti sostituite primariamente da alcuni nuovi capi- toli di contenuto quasi esclusivamente metodologico, riferentesi in ispecial modo alla determinazione dei rapporti che intercedono tra la psicologia e le scienze fisiche propriamente dette. Le vedute originali e le conclusioni, lentamente maturate, del Mach su questo soggetto, da lui già frammentariamente e ripetutamente esposte, sotto diverse forme, nei suoi numerosi scritti (e particolarmente nell’ultimo capitolo della sua Storia della meccanica) ! vengono ora qui presentate in modo più sistematico e più atto a richiamare su esse 1’ attenzione dei cultori della psicologia. Tali vedute si possono brevemente riassumere sotto i seguenti punti prin- cipali : 1) La linea di separazione tra i fenomeni sui quali vertono le indagini delle scienze fisiche e quelli che formano invece oggetto di studio per lo psicologo ha la sua ragione d’ essere nell’ incapacità della mente umana dirigere, nello stesso tempo, la sua attenzione su tuttii caratteri d’ un dato fatto e su tutti i rapporti che esso può avere con altri fatti, e nella ne- cessità, in cui la mente stessa si trova, di « far astrazione » da una parte della realtà, per poter meglio afferrare le uniformità e le regolarità che dominano le parti rimanenti. Così, per esempio, un colore, in quanto si faccia astrazione da ogni sua dipendenza da altri fenomeni eccetto che da quelli che esprimiamo colle frasi: « presenza d’un corpo che lo pos- sieda », « azione su esso, d’ una sorgente luminosa » ecc., sarà un fenomeno fisico ; se invece si prenda a considerarlo in quanto il suo realizzarsi dipende inoltre anche dalla presenza di un uomo o d’un animale che lo veda, sarà un fenomeno psicologico. La convenienza, per il fisico, di isolare, in certo modo, le considerazioni riguardanti la prima specie di relazioni tra fenomeni da quelle riguardanti la seconda, è da attribuirsi puramente al fatto che le prime, presentando maggiori caratteri di stabilità e di comparabilità, per- 1) Di quest’ opera, che è senza dubbio da porre tra le più notevoli contribuzioni alla filosofia delle scienze che abbiano visto la luce nella seconda parte del Secolo... passato, è ora in corso una pubblicazione francese; una traduzione inglese fu pubblicata quattro anni or sono a Chicago. Ne esisterebbe, pure da parecchi anni, anche una traduzione ita- liana se un solerte editore milanese cui ne fu proposta la pubblicazione non fosse stato consigliato da persone competenti a non intraprenderla pel motivo che l’ opera non era di sufficiente attualità. 120 RASSEGNA BIOLOGICA mettono più facilmente a chi le studia di rappresentarle e descriverle per mezzo di formole o leggi generali esprimenti rapporti definiti tra le quantità che si possono scegliere per misurarle. Il pretendere che, per ciò solo, da tali leggi si possa cavare una spiegazione esauriente di tutto ciò che av- viene nell’ universo (del quale appunto esse non considerano che una sola parte per quanto importante) dovrebbe quindi sembrare un’ illusione poco dissimile da quella di chi, avendo spezzato un oggetto in molti pezzi, pre- tendesse di ripristinarlo combinando tra loro una parte soltanto dei pezzi di cui esso era composto. 2) Per contro, tra le conseguenze che si possono trarre da una tale dissociabilità e relativa indipendenza dei vari ordini di ricerca riguardanti diverse specie di fenomeni o di relazioni tra essi, l'A. crede importante far rilevare questa : che, cioè, le nozioni, distinzioni, ipotesi ecc., manifestatesi feconde ed adeguate in ciascuna determinata scienza speciale possono anche non esserlo più affatto in qualche altro campo d’investigazione scientifica. In particolare egli ritiene che la distinzione tra quelle proprietà dei corpi che si riferiscono al loro modo di muoversi gli uni rispetto agli altri o alle variazioni della loro forma o del loro volume, e quelle che invece riguar- dano le rimanenti loro qualità sensibili, distinzione di primaria importanza per il fisico a cui interessa sopratutto d’ indagare le relazioni di dipendenza o di coesistenza tra queste ultime e le prime (poichè è in tal modo, come già si disse, che queste ultime possono divenire suscettibili di essere ana- lizzate col sussidio del calcolo e delle rappresentazioni matematiche) costi- tuisca invece per lo psicologo assai più un impaccio che un aiuto per la caratterizzazione ed interpretazione genuina dei fenomeni che egli studia. Se, per certi determinati scopi di ricerca scientifica, per esempio per quelli che la meccanica o la fisica si propongono, può essere conveniente, e anche necessario, prendere, come punti di partenza, delle ipotesi del tipo di . quella, fecondissima, immaginata dagli antichi atomisti, di rappresentarsi, cioè, l’ universo come un semplice sistema di particelle materiali moventisi secondo date leggi e spogliate della maggior parte delle proprietà possedute dai corpi di dimensioni percettibili, da ciò non segue che allo psicologo non possa invece convenire, per altri scopi non meno scientifici, schematizzare in tutt’ altro modo l’insieme dei fatti che è suo ufficio di studiare, descri- vere o spiegare. E infatti, premendo a lui sopratutto di determinare i legami di dipendenza o di coesistenza che connettono qualsiasi specie di sensazioni colla presenza di determinate condizioni o stati di sviluppo delle « coscienze » in cui esse si producono, è naturale che egli badi a non perdere di vista che, per tale riguardo, alle sensazioni di colore, di suono, di sapore ecec., non spetta alcun minor grado di « oggettività » di quanto compete a quelle di resistenza, di estensione, di movimento. Per lui il dire con Galileo e Cartesio (e con Democrito che li precedette nella stessa opinione) che «i colori e i sapori non sono nelle cose ma in noi e che l’unica cosa che esista fuori di noi sono gli atomi e i loro movimenti », il ritenere, cioè, che alle sensazioni relative allo spazio e al tempo spetti, di fronte a tutte le altre, il privilegio di istruirci sulla « natura delle cose », mentre le altre non ci informano che delle apparenze e del modo in cui i nostri sensi permet- tono alle cose di « manifestarsi » a noi, equivarrebbe, a ignorare che i con- RASSEGNA BIOLOGICA 121 cetti stessi di spazio, di materia di movimento non sono poi alla lor volta che astrazioni lentamente elaborate ed estratte, in certo modo, da quegli stessi dati dell’ esperienza dei quali, per una strana inversione, si pretende invece trovare in esse l’ origine. Del resto se il fisico può dimenticare, senza incon- venienti, che la validità e 1’ applicabilità di tali concetti astratti all’ infuori del loro campo (che è poi il suo) dipende dalle risposte che si possono dare alle questioni relative alla loro origine e al loro svolgimento, anche a lui non può che essere utile il tener presente che, per quanto riguarda la suscettibilità di quei concetti astratti a fornirci spiegazioni dei fenomeni naturali, si può ripetere anche di essi ciò che si dice dei simboli dell’ algebra, che cioè è vano sperare per quanto si rivoltino o si analizzino, di cavarne . fuori qualche cosa di diverso da ciò che si è avuto l’ avvertenza di mettervi, o di lasciarvi dentro, in principio dell’ operazione. Lo stupirsi di ciò, o il servirsene come di tema per ricamarvi delle variazioni filosofiche sull’ inca- pacità della mente umana, è così poco ragionevole come se uno attribuisse all’ imperfezione della matematica il fatto che con essa non si possono indo- vinare i numeri del lotto e neppure risolvere il classico problema: data l’altezza degli alberi d’ una nave trovare 1’ età del capitano. 3) Da quanto è detto sopra si può già presumere dove lA. creda si debba cercare il più efficace rimedio ai danni, da lui lamentati, di un’im- perfetta coscienza da parte dei filosofi o dagli scienziati della validità pura- mente relativa e, per dir così, solo locale, delle ipotesi e delle concezioni usufruite in ciascuna scienza speciale. Tale rimedio starebbe, a suo parere, in un maggior interessamento degli studiosi di qualunque ramo di scienza, ai risultati della ricerca psicologica sul meccanismo dalle facoltà intellettuali e inun’analisi più accuratadei processi logici che entrano in giuoco ogni qualvolta l’ attività scientifica si esplica sotto qualsiasi forma. A questo proposito egli osserva come i dati che la storia delle scienze mette a disposizione per la determinazione dell’ origine e delle leggi di svolgimento dei concetti scien- tifici più complessi ed elaborati, presentino, come materiale di ricerca psi- cologica, un notevolissimo vantaggio su qualsiasi altra specie di dati (per esempio su quelli forniti dall’ osservazione del modo di svolgersi della mente del bambino, o degli abiti intellettuali dei popoli primitivi, o dei perverti- menti dell’intelligenza negli alienati ecc.) pel fatto che, essendo essi accom- pagnati, per la loro stessa natura, da un maggior grado e chiarezza di coscienza e di riflessione, offrono un più vasto campo all’ osservazione diretta e al controllo immediato, e permettono più facilmente di cogliere, in certo modo, in fagranti la mente umana e di vedere più addentro nel segreto delle sue operazioni. La scarsità di ricerche di questa specie, di fronte alla relativa abbondanza di quelle che si riferiscono alla psicologia dell’infanzia, alla psichiatria, al folklore ecc., non è certo l’ultima tra le ragioni del fatto, notato anche recentemente dal Ribot nel suo bel discorso d’ inaugurazione del Congresso internazionale di psicologia dello scorso Agosto, dello stato cioè comparativamente arretrato di quel ramo della psicologia che ha per oggetto lo studio e l’analisi delle attività intellettuali di ordine più elevato (la formazione dei concetti e dei giudizi, la struttura delle varie specie di raziocinio, l’ intuizione e l’immaginazione creatrice ecc.) ramo tanto impor- tante anche per le applicazioni, di cui è suscettibile, alla logica e alla peda- gogia. 122 RASSEGNA BIOLOGICA 4) Anche su quest’ ultimo soggetto, quello cioè dell’ applicazione delle teorie psicologiche alla determinazione di migliori metodi d’ insegnamento, il volume di cui parliamo contiene numerose osservazioni che meriterebbero di essere rilevate. Mi limiterò ad accennare alla portata che, a questo riguardo, si può attribuire alle conclusioni a cui VA. giunge, nella compa- razione accurata, che egli istituisce, tra i processi comuni e grossolani d’ac- quisto di nuove cognizioni o di nuovi concetti e quelli più raffinati e siste- matici, ma tuttavia di natura essenzialmente identica, di cui le scienze si servono. Tale comparazione lo conduce ad ammettere come, tanto in un caso come nell’altro, il possesso d’un concetto, o la cognizione d’ una legge generale, non consiste solamente in una disposizione a raffigurarsi o ad anti- cipare coll’immaginazione il verificarsi d’una data relazione tra fenomeni, ma esige anche come condizione indispensabile, un correlativo sviluppo delle attitudini a riprodurre, sia pure solo mentalmente, le operazioni concrete alle quali i dati dell’ esperienza devono essere assoggettati affinchè le rela- zioni in questione possano venire effettivamente constatate. Dal che l'A. deduce che, senza un tale sviluppo, ottenibile solo per mezzo di adeguati esercizi materiali sui dati di fatto ai quali ciascuna scienza si riferisce, la presentazione, per quanto ordinata, della parte teorica di questa sarà così poco proficua al discente come il metter davanti una partitura musicale a chi, pur conoscendo i segni delle note e il loro valore acustico, non abbia già acquistato, con un sufficiente esercizio, l’ attitudine ad eseguire colla voce o con qualche strumento, operazioni atte a produrre i suoni indicati in essa. L’essermi trattenuto a lungo sulle parti del libro che danno luogo a eon- siderazioni d’indole generale e filosofica non deve far credere al lettore che i capitoli di esso dedicati alla trattazione di questioni psicologiche speciali, per esempio quello sulle sensazioni spaziali visive (Die Raumempfindungen des Auges), quello sulla Memoria e sull’ Associazione, quello sulle sensazioni acustiche e musicali, siano meno interessanti o meno ricchi di osservazioni originali e suggestive. Anche in questi non sono scarse le aggiunte a quanto era già contenuto nella precedente edizione, ma di esse, non ostante il loro carattere frequentemente frammentario, non sarebbe possibile render conto in modo adeguato senza entrare in particolari d’indole tecnica. Lo scopo che mi sono proposto nelle precedenti osservazioni non è cer- tamente di dare un’idea completa del contenuto dell’ opera, o anche solo delle sue parti più interessanti, ma piuttosto quello di invogliare il lettore a procurarsela direttamente nel solo modo in cui può essere ottenuta ogni- qualvolta si tratti di opere del valore e dell’importanza della presente. G. VAILATI. Bari, 27 Gennaio 1901. TANZI Pror. E. -- Il tempo latente e 1° energia delle reazioni volon- tarie. — Volume dedicato al Prof. Luigi Luciani nel 25° anno del suo insegnamento. La determinazione del tempo latente che precede qualunque reazione (re- flessa o volontaria) ad uno stimolo esterno, non soddisfa interamente l’in- resse scientifico perchè rimangono in ombra l’intensità e la durata, anche RASSEGNA BIOLOGICA 123 esse variabili, della contrazione muscolare, cosicchè se valutando il tempo perduto si presume di argomentare anche per sola approssimazione l’energia dell’ attenzione e della volontà, è evidente che si commette un eccesso di induzione logica. i Per giudicare in maniera più fondata lo stato psichico delle persone esa- minate bisognerebbe determinare direttamente anche l’energia dell’atto reat- tivo (intensità e durata della contrazione muscolare), o per lo meno posse- dere la nozione generica d’un rapporto costante (se esiste) fra quest’ultimo e il tempo perduto. Senza di ciò le indagini psicometriche raggiungeranno lo scopo immediato di fornire il così detto tempo fisiologico, ma riesciranno insufficienti al lorò scopo psicologico e più lontano, che dovrebbe essere ap- punto quello di darci un esponente dell’attenzione e dell’ energia volitiva. Non è possibile stabilire a priori se, anzitutto, la durata e l’intensità delle varie contrazioni muscolari, con cui i soggetti reagiscono a loro volontà, siano legate da un qualsiasi rapporto reciproco. È parimenti incerto se questi due elementi, separatamente od insieme, subiscano un mutamento in funzione del tempo latente che prelude alla reazione. Da un lato sotto la suggestione ‘di un’ analogia coi fenomeni chimici e meccanici, si sarebbe inclinati a pensare che le singole reazioni sperimentali possano variare d’ energia in ragione diretta del tempo latente, ossia che il maggior tempo latente sia come destinato a preparare una risposta più intensa e più lunga appunto perchè più elaborata. D’ altro lato si potrebbe supporre che 1’ inten- sità e la durata della reazione fossero tanto maggiori quanto minore è il tempo latente : 1’ agevolezza e 1’ attenzione si manifesterebbero con reazioni pronte, energiche e fors’ anche più lunghe ; 1° ostacolo e la svogliatezza con reazioni tarde, deboli e fors’ anche più brevi. Perciò solo 1’ esperimento poteva risolvere il problema, e per ovviare all’ inconveniente che la reazione in luogo di circoscriversi alla contrazione muscolare strettamente necessaria per annun- ziare l’ avvenuta percezione, si disperda in altri gruppi muscolari dando luogo a contrazioni simultanee ed inutili che non si vedono e non vengono raccolte, l’A. pensò di usare l’ergografo di Mosso, che immobilizza il braccio e le dita, salvo il medio, ed è un eccellente limitatore delle reazioni speri- mentali. Dando allo strumento una speciale disposizione, l'A. ottenne dei tracciati (dei quali uno assai dimostrativo è riportato nel testo) nei quali la contrazione reattiva si rivela per riguardo al suo momento d’origine, alla sua intensità ed alla sua durata. I risultati ottenuti singolarmente su ciascun soggetto e in ciascuna seduta furono tradotti in numeri e comparati graficamente col metodo seriale. Questi quadri grafici dimostrarono come fra i tre elementi studiati mancasse, caso per caso, qualsiasi rapporto sistematico. D'altra parte, il calcolo delle varia- zioni medie rivelò un’assai diversa variabilità nei tre elementi della reazione completa : tempo latente, intensità, durata. L'intensità della contrazione muscolare presenta il minimo di variazione ; il massimo di variazione si trova nel tempo latente, la durata della contrazione varia assai più della intensità e sempre meno del tempo latente. Questo fu dunque 1’ elemento più volubile e delicato della reazione sperimentale perchè il più strettamente legato con le vicissitudini dell’ attività psichica. Esso è perciò 1’ elemento della reazione volontaria che meglio si presta alle induzioni d’ ordine psico- 124 RASSEGNA RIOLOGICA logico. Ciò giustifica la trascuranza in cui furono sempre tenuti gli altri due; ma questa trascuranza, non ammissibile a priori, avrebbe lasciato dei dubbi non indifferenti sul valore psicologico della psicometria qualora la maggior variabilità del tempo latente non fosse stata dimostrata con l’ esperimento. . Co. Dott. TROMBETTA e G. OsTINO. — I sensi ed il loro compenso nei sordomuti e nei ciechi. — Arch. It. di Otologia. Vol X., Fasc. III, 1900. La letteratura sull’ argomento è molto scarsa, e si limita quasi esclusi- vamente ad alcune ricerche del Cella, dell’ Ottolenghi, del Lombroso e del Ferrai. Gli AA. si proposero il seguente problema: « A spese di quali sensi specifici sì compensa il senso di orientazione oggettiva quando manchi la vista o l'udito, che sono tanto essenziali per 1’ orientazione stessa e per la localizzazione ? ». Per risolvere la questione gli AA. esaminarono : Nei sordomuti : 1.° Pacutezza visiva per mezzo delle scale murali del De Wecker; 2.° il campo visivo col perimetro del Bada]; 3.° il campo di sguardo collo stesso perimetro ; 4.° la sensibilità luminosa col fotometro del Foerster; 5.° il senso cromatico colle lane dell’ Holmgren e col cromoptometro del Barthélemy; 6.° la sensibilità cutanea coll’ estesiometro del Frey e con quello del Weber; 7.° la sensibilità sismestesica ; 8.° l’acutezza olfattiva. Nei ciechi : 1.° l’acutezza uditiva coll’ orologio ; 2.° il limite superiore di percezione uditiva ; 3.° il campo uditivo coll’ orologio ; 4.° la mobilità del padiglione ; 5.° la sensibilità cutanea con l’estesiometro del Frey e con gelo di Weber; 6.° la Senna sismestesica ; 7.° V’acutezza visiva. I Grande importanza venne data nello studio dei sordomuti all’ esame del campo visivo e del campo di sguardo, potendosi a priori pensare che man- cando ai sordomuti il senso di orientazione uditiva dovesse aver acquistato maggior estensione e finezza la visione periferica, mediante la quale 1’ atten- zione viene attratta dagli ostacoli laterali, anche se situati ad una certa distanza, per cui rivolgendo poi ad essi lo sguardo si riesce a riconoscerli distintamente (visione foveale) e ad evitarli. Oltre al far un esame quantitativo dell’ udito, occorreva studiare l’esten- sione del campo uditivo, attribuendo a questa parola un significato analogo a ; 4 | | RASSEGNA BIOLOGICA 125 quello che in oftalmologia si dice campo di sguardo. La differenza tra l’uno e l’altro. organo di senso, occhio ed orecchio sotto il punto di vista della mobilità è enorme. L'occhio mobile nella sua cavità, ha a disposizione sei muscoli incaricati di dirigerlo in tutte le possibili direzioni, mentre 1’ orec- chio fisso ed immobile nell’interno del cranio, non riesce che nelle razze inferiori ed in alcuni rari individui della specie umana ad estendere il suo campo d’azione e ad affinare così le sensazioni acustiche variando, a seconda del bisogno, le incidenze delle onde sonore sulla faccia esterna del padi- glione : il che s’ ottiene movendo il padiglione stesso. Era a vedersi se i ciechi nati, o divenuti tali fin dalla prima infanzia, potessero coll’ esercizio acquistare la mobilità del padiglione, e per mezzo di essa variare, migliorandola, l’ acuità uditiva nei settori in cui ordinariamente l'udito è meno fine. La sensibilità sismestesica (da cecpòs - fremito), che per la prima volta figura come oggetto di ricerche scientifiche nell’ uomo, è secondo il Bonnier una forma speciale di tatto a distanza, con la quale si percepiscono le variazioni di pressione del mezzo ambiente quando esse presentino un carattere periodico ; in tali casi non ha luogo la sensazione di contatto come nel toccare propriamente detto, ma una speciale sensazione di trepidazione che gli AA. indicano coll’ espressione fremito vibratorio. La fisiologia comparata è ricca di fatti molto interessanti relativi a queste par- ticolari funzioni, ed è nota l'osservazione del Boys, il quale toccando leg- germente con un diapason un punto della tela d’un ragno, notò che questo si volgeva subito da quella parte e con‘una delle zampe anteriori tastava i raggi della sua tela per scoprire quello che vibrava, poi di raggio in raggio giungeva al diapason e cercava di avvolgerlo come se si fosse trattato di una mosca. Ora il ragno che manca dell’ apparecchio cocleare, che non ha vista acuta nè olfatto fino, non avverte, in tal caso che un senso di fremito vibratorio, il quale lo compensa delle altre deficienze sensoriali e lo guida con sicurezza fino al punto della tela dove è caduta la preda. Come nei ragni, così negli altri artropodi, e, in generale, in tutti gli invertebrati, 1’ udito è rap- presentato dalla percezione di scosse e di fremiti leggerissimi, che sono modificazioni più o meno ritmiche dell’ equilibrio di tensione dell’ ambiente e per mezzo delle quali essi avvertono a distanza, il pericolo o la preda. Secondo il Bonnier le percezioni sismestesiche nell’ uomo sono cancel- late dall’ audizione cocleare ed in un orecchio normale, confuse colle perce- zioni seisestesiche (variazioni di pressione dell’ ambiente fluido con carattere periodico) ed uditive. Nei sordi mancando la funzionalità del labirinto acu- stico si poteva presupporre un compenso per mezzo del tatto a distanza, ossia mediante la percezione delle vibrazioni trasmesse dal mezzo che è in contatto colle superticie tattile senziente. Per saggiare la sensibilità sisme- stesica gli AA. si servirono del diapason Do-64 v. d., posto in vibrazione ed applicato, col suo piede, sul pavimento della stanza, a distanza sempre maggiore, finchè le vibrazioni non fossero più avvertite dai soggetti i quali poggiavano un piede nudo sul pavimento stesso, tenendo l’altro sollevato, poichè la contemporanea pressione di entrambi i piedi sul suolo dava luogo ad errori di localizzazione dipendenti dal fatto che le vibrazioni erano più intensamente avvertite dall’ altro piede munito di scarpa, la quale agiva rinforzando il fremito vibratorio, 126 RASSEGNA BIOLOGICA Per quanto riguarda l’ olfatto invece di servirsi (secondo le indicazioni di Zwaardemaker) di soluzioni di vanillina, le quali anche all’ !/,0000 SONO tali che il loro odore si sovrappone ad ogni altra sensazione successiva, gli AA. usarono all'odore metallico di un pezzo d’ottone, ed all'odore vegetale di corteccia di piante non resinose e di foglia quasi inodora non stropicciata fra le dita. I risultati ai quali arrivarono, gli AA. sono i seguenti : Nei Sordomuti. 1.° La soglia dell’eccitabilità retinica si mostrò inferiore alla normale in tutti i soggetti esaminati. E qui è evidente il compenso che l’organo della vista fornisce ai sordomuti quando scarseggi o manchi quasi del tutto la luce in un ambiente dove gli individui normali possono valersi di quella sentinella vigile che è l’organo dell’udito che li avverte di corpi in movimento i quali costituiscono non soltanto un ostacolo, ma un pericolo. 2.° L’acutezza visiva centrale è superiore alla normale e questo è dovuto a maggior esercizio in senso compensativo. 3.° Il campo visivo è più esteso e questo non lascia alcun dubbio circa 1’ enorme compenso fornito dalle zone periferiche della retina in questi soggetti in cui manca il senso auricolare dello spazio per quanto riguarda l’orientazione. 4.° Il visus è superiore al normale, le escursioni del bulbo sono nofevolmente più estese che quelle degli individui normali, il che va tutto a vantaggio dell’ orientazione. 5.° La sensibilità tattile normale in quanto è considerata come sensazione di con- tatto (estesiometria del Frey), acquista una maggior perfezione quale sensi- bilità di differenziamento (estesiometria di Weber) e ciò in ispecial modo per la pianta dei piedi. Il che è assolutamente necessario per 1’ equilibrio statico e dinamico del sordomuto nel quale, essendo per lo più paralizzati od atrofici i centri statici e dinamici del labirinto, e quindi mancando il tono labirintico di Ewald, le impressioni tattili affinate riescono a correg- gere in parte gli errori derivanti dalla paralisi degli organi vestibolari. 6.° La sensibilità sismestesica, misurata alla stregua della distanza massima, alla quale è percepito il fremito vibratorio del diapason, è molto più fine che nei normali. 7.° Il senso dell’ olfatto è notevolmente sviluppato, e, in parecchi casì, più che nei normali. Nei ciechi. 1.° Notevole aumento dell’ acutezza uditiva non solo lungo l’asse del condotto uditivo esterno, ma altresì a 0°, 45°, 180°, 135°, e sul vertice del cranio. A spiegare questa maggior finezza di udito: dei raggi obliqui e perpendicolari all’ asse del condotto uditivo esterno, gli AA. tro- varono un’ aumentata mobilità del padiglione dell’ orecchio. 2.° Esageratis- sima la sensibilità di contatto, e la sensibilità di differenziamento; quest? ul- tima in ispecie nella mano per l’ esercizio della lettura dello scritto in rilievo e nel piede per l’ orientazione. 3.° La sensibilità sismestesica è aumentata di molto. 4.° Il senso dell’ olfatto è finissimo, ed è importantissimo per l’orientazione del cieco come senso a distanza. Mediante queste funzioni vicarianti dei sensi, sordomuti e ciechi conser- vano l’ orientazione oggettiva quasi normale. C. F. RASSEGNA BIOLOGICA 127 a BeGEY MARIA. — Dellavoro manuale educativo. — Torino, Paravia 1900. È un libro che porta, in ogni sua parte, le traccie del lungo studio e del grande amore apportato dall'A. alla trattazione dell’interessante soggetto a cui è dedicato. Nei primi due capitoli sono riassunte, a rapidi tratti, le varie fasi attra- verso le quali passò l’idea dell’ importanza pedagogica del lavoro manuale, da quando Lutero (nella famosa lettera scritta nel 1524 ai borgomastri e magistrati della Germania) preconizzava i vantaggi morali e fisici che avrebbe potuto arrecare ai giovani, anche destinati a professioni puramente intellet- tuali, l' apprendimento d’ un mestiere o d’ un’ arte meccanica, fino al chiaro riconoscimento, da parte di Amos Comenius (nella sua Didactica Magna), dell’ efficacia didattica inerente al collegare l’impartimento delle cognizioni astratte coll’ esercizio e l’ esplicazione graduale delle attività sensorie e muscolari alle quali esse si riferiscono. Dopo qualche accenno all'influenza esercitata, in questa direzione, dalle teorie psicologiche del Locke e dagli scritti del Rousseau, VA. si trat- - tiene in ispecial modo ad esaminare il contributo apportato dall’ Heusinger alla realizzazione effettiva d’ un sistema d’ educazione nel quale le tendenze congenite del fanciullo all’azione ed i suoi impulsi naturali ad attingere direttamente dai contatti col mondo esteriore gli elementi e i germi delle ‘| proprie cognizioni e delle proprie idee, invece di venir soffocati o deformati dall’ influenza depressiva dell’ addottrinamento verbale, fossero utilizzati al massimo grado per tener vivi l'interesse e l’attenzione del fanciullo, per addestrarlo all’ uso dei suoi sensi e dei suoi muscoli, e per assecondare o accelerare lo svolgimento delle sue facoltà mentali. Seguendo le traceie del classico lavoro del Rissmann, passa in seguito lA. a considerare l’opera del Pestalozzi non trascurando di far risaltare come il potente impulso, che da essa provenne all’ applicazione pratica del lavoro manuale a scopi educativi, trovi il suo punto d’ appoggio teorico sull’ analisi più intima e profonda, che il Pestalozzi effettuò, del mecca- nismo psicologico della mente infantile, analisi che senza portarlo alle con- clusioni esagerate degli Herbartiani, pei quali «l’uomo non può arrivare a conoscere perfettamente se non ciò che riesce a poter fare colle proprie mani » lo condusse a riconoscere l’indispensabile funzione dell’ azione nel- l'insegnamento, in quanto essa costituisce 1’ unico mezzo efficace pèr impe- dire al discente di illudersi sulla reale portata dei propri successivi progressi, segnalandogli in ogni istante, quasi automaticamente, il grado della sua ignoranza e della sua abilità, per mezzo di successi o insuccessi concreti che appariscono manifesti ai suoi occhi. In tal modo gli è reso impossibile di immaginarsi di sapere ciò che non sa, o più che non sa, al contrario di quanto avviene nell’insegnamento ordinario nel quale la cognizione delle parole è spesso e inevitabilmente scambiata per la conoscenza delle cose che esse significano o delle idee che esse rappresentano. Dopo aver passato brevemente in rassegna le varie forme sotto le quali il principio dell’ efficacia educativa del lavoro ha trovato applicazione presso le varie nazioni civili fino a questi ultimi anni, IVA. procede, nella parte eritica del suo lavoro, a un’ accurata comparazione dei meriti e degli incon- venienti inerenti a ciascuna di esse, mirando sopratutto a porre in vista le 128 RASSEGNA BIOLOGICA conclusioni pratiche che tali confronti sembrano giustificare. Notiamo, tra queste, quelle riferentesi all’ inferiorità dei risultati ottenuti dai sistemi didattici nei quali il lavoro manuale è applicato con la predominante preoc- cupazione di far acquistare all’ alunno l’ abilità ad esercitare un determinato mestiere, di fronte ai sistemi nei quali invece l’ unico scopo, al quale diret- tamente si mira, è quello di stimolare ed esercitare, con tutti i mezzi a ciò più adatti, le varie facoltà di osservazione, di discriminazione, di attenzione, di giudizio, suscettibili di entrare in giuoco nell’ esecuzione di qualsiasi lavoro. Dei danni risultanti, a questo riguardo, delle teorie pedagogiche troppo grettamente utilitarie, che pretendono dalla scuola ciò che essa non è in grado di dare, l’ A. arreca curiose testimonianze di operai e di educatori, secondo le quali i ragazzi che più difficilmente apprendono un mestiere sarebbero appunto quelli che hanno fatto del lavoro manuale a scuola allo scopo di impararlo. Così, ad esempio, a Gòorlitz i legatori di libri, avendo udito che si aveva il progetto d’ introdurre 1’ insegnamento manuale nelle scuole, fecero un patto per cui si obbligavano a non accettare nelle loro botteghe, ragazzi che: le avessero frequentate. E questo, soggiunge l’A., trova la sua naturale spiegazione nella facilità colla quale chi apprende un determinato mestiere nella scuola, tende a contrarre cattive abitudini, sia nell’ uso degli strumenti che nel modo di trattare la materia prima, abitu- | dini che, non corrette e sradicate a tempo, lo rendono in seguito meno atto ad eseguire il suo lavoro convenientemente e a condurlo alla perfezione richiesta in pratica. Succede insomma, anche pel lavoro manuale, ciò che ha luogo per tutti gli altri rami d’istruzione, per es. in quello delle lingue moderne, il cui insegnamento nelle scuole, quando sia spinto al di là d’un certo limite, non difficilmente determinabile, oltre ad implicare uno spreco di tempo e di fatica, finisce coll’ essere assai più di ostacolo che di aiuto per chi miri ad acquistare in seguito, coll’ uso, la perfetta cognizione e padro- nanza del linguaggio imparato. Interessanti sono pure le osservazioni, che 1° A. riporta, del Luys e del Rudin, sull’ importante funzione che, in un sistema didattico basato sul lavoro manuale, è da attribuirsi all’ insegnamento del disegno, il quale costituisce in certo modo il più naturale anello di congiunzione tra le con- . cezioni teoriche e le esecuzioni materiali dei lavori in cui esse trovano appli- cazione !). Il riconoscimento dell’utilità del disegno a questo riguardo è con-. siderato dall'A. come uno dei più notevoli vantaggi che presentano i metodi didattici preconizzati e applicati in Italia, specialmente dal Consorti a Ripatransone, dal Latino a Palermo, dal Pasquali, da Pitagora Conti, da Pietro Nigra, di fronte al sistema svedese e agli altri basati sullo stesso modello. G. VAILATI. Bari, 9 Gennaio 1901. 1) Per quanto riguarda 1 insegnamento della matematica, si trovano esposte ottime considerazioni, a questo riguardo, in una recente pubblicazione del prof. R. Bettazzi (Sull'insegnamento pratico della matematica, Lueca, 1900). Alla corrente, in senso opposto, che pur troppo ancora prevale nelle nostre scuole, tenta pure efficacemente di reagire il prof. S. Ortu-Carboni in un suo articolo sull’ importanza degli esercizi sull’ insegna- mento della Geometria elementare, (Bollettino di Matematiche, Bologna, Gennaio, 1901). RASSEGNA BIOLOGICA > 129 PECKAN E. G. — Instinct of Reason? — American Naturalist, Ottobre ?900. - La vespa solitaria Sphex Ichneumone usa deporre il suo bottino all’ in- gresso del nido ; poi vi entra, lo ispeziona, torna indietro e spinge entro la preda. L'A. cercò più volte, mentre la vespa stava facendo la entrata prelimi- nare di ispezione, di.rimuovere il bottino dall’ apertura, portandolo a qualche distanza dall’ingresso. In sulle prime la vespa rimise la preda al solito punto vicino all’imboccatura del nido, ripetendo poi la solita manovra di ispe- zione; ma disturbata una quarta volta nelle sue operazioni, presa addirit- tura la preda e invece di spingerla entro, la tirò retrocedendo nel nido senza fare la consueta sosta e visita di precauzione. Qui è un vero atto ragionevole della vespa, «< abbastanza eonservatrice da preferire il modo antico, ma non però così schiava dell’ abitudine da essere incapace di mutare costume ». Cron. V. — Le sens de l’espace chez les souris dansantes japo- maises. — Volume jubilaire du cinquantenaire de la Société de Biologie. (p. 544). Paris, Masson. Sono sorci bianchi, ma non albini come i soliti topi bianchi; ed hanno come caratteristica una mobilità estrema, continua. Procedono a zig zag, e fanno un movimento rotatorio che ricorda il waltzer. Sembrano sordi e il Rowitz che ne ha studiato anatomicamente 1’ orec- chio (Arch. de physiol. 1899), ha trovato che mancano loro i canali semicir- colari verticali; mentre gli altri canali e le rimanenti parti del vestibolo presentano notevoli deficenze di sviluppo. Considerando poi. che possono conservarsi in equilibrio ed eseguiscono movimenti perfettamente coordinati, Rowitz ha concluso che i loro movimenti provengono da un difetto di orientamento, al quale soltanto servirebbero i canali semicircolari. L’ A. ha perciò studiato questi animali molto a lungo ed ha concluso : 1°) che essi non sanno muoversi che in una direzione, a destra o a sinistra; e che se persistono in uno di questi movimenti girano attorno (movimento di maneggio): essi non possono camminare diritti (in avanti 0 all'indietro), nè nel senso verticale. Essi non conoscono che uno spazio ad una sola dimensione. 2°) La danza che eseguiscono continuamente, fuorchè quando mangiano e quando dormono, non è un movimento forzato; perchè essi possono inter- romperlo e riprenderlo a volontà. 3°) L’acciecamento improvviso di questi topi giapponesi provoca imme- diatamente e violentemente in loro tutti i fenomeni ‘che conseguono alla distruzione simultanea dei sei canali semicircolari negli animali che ne sono provvisti. 4°) Nell’ oscurità essi possono, per caso, arrampicarsi su di un piano inclinato; ma ne precipitano immediatamente se la luce li colpisce negli occhi. 5°) Non sono completamente sordi, Riv. DI BIOLOGIA GENERALE, III, 130 RASSEGNA BIOLOGICA 6°) La rapidità estrema con cui questi animali girano attorno al loro proprio asse senza avere alcun segno di vertigine si accorda perfettamente colla teoria dell’ A. che la vertigine visiva sia dovuta ad un disaccordo fra lo spazio ideale (soggettivo) proveniente dal labirinto, e lo spazio visivo (oggettivo). L’A. pubblicherà altrove le conclusioni generali sue sul « senso dello spazio ». (GOA JOURDAIN. — IL’ audition chez les invertébrés. — Centenaire de la Société de Biologie. Volume jubilaire. (pag. 57). Paris, Masson. Si crede generalmente che gli Invertebrati (eccettuati gli artropodi ed i Molluschi) siano sordi, e che percepiscano, con una delicatezza di sensibilità assai varia, le scosse vibratorie del loro ambiente o dei corpi solidi di cui vengono a trovarsi in contatto. L’A. perciò ha tentato diversi esperimenti in proposito, e, servendosi degli Acalefi (Rizostomi, ecc.), ha trovato che i corpi marginali non possono affatto servire come organi dell’udito; quanto agli artropodi (Crostacei, Miriapodi, Aracnidi, Insetti), invece, ha trovato che anche quelli che hanno la particola- rità di produrre dei suoni ed hanno organi che possano far l’effetto di organi uditivi, non rispondono che alle scosse forti impresse all’ aria o all’ acqua, a seconda dell’ambiente in cui vivono, mentre non avvertono menomamente altri rumori anche più intensi. I Molluschi posseggono 1’ otocisti, che vien considerata generalmente come un organo uditivo primordiale; ma 1’ A. ha sperimentato sui Cefalopodi, gli Acefali ei Gasteropodi polmonati pervenendo ai resultati soliti. Del resto anche la posizione che nei polmonati hanno le otocisti, non parlava in favore del modo di considerarle come organi dell’ udito, perchè mancherebbe ad esse il mezzo di comunicazione coll’ esterno. Esse servono però a dare al Mollusco la nozione delle vibrazioni dell’ ambiente in cui vive. Un organo dell’ udito vero e proprio compare quindi soltanto nei verte- brati, ed è probabilmente contemporaneo all’ apparizione dei canali semi-cir- colari. i Ad ogni modo, poi, l’anatomia e la fisiologia si accordano nel farci con- siderare l’udito come una forma perfezionata e superiore del senso del tatto. (Croatia FLouRNOY TH. — Des Indes à la planète Mars. — Étude sur un cas de somnambulisme avec glossolalie. — I vol..di p. XII-422 — Paris, Alcan, 1900. Riassumendo con un certa diffusione questo interessante studio, mi rife- risco alla rassegna che feci, nel N. 5-6 del 1° volume di questa Rivista, sul- l’ argomento dell’ automatismo psicologico. Quanto dissi allora RASSEGNA BIOLOGICA 151 sull’importanza del soggetto, spiega perchè apprezzi tanto lo studio presente, in cui il Flournoy espone minutamente un caso di medianità spuria. Elena Smith, di 30 anni, nubile, commessa di negozio, è sana e forte, e non presenta disturbi nervosi o mentali di sorta. Costumi corretti; non è spiritista, nè appartiene ad alcun circolo di spiritisti; è medium, ma non ne fa una professione ; crede fermamente alla verità oggettiva delle sue rive- lazioni. Il padre di Elena è professore di lingue; la figlia non sa parlare che il francese. È dalla madre che le deriva la disposizione all’ automatismo. Da giovinetta Elena si mostrò nervosa e di carattere isteroide ; aveva paure irragionevoli, disprezzava il suo ambiente domestico trovandolo troppo umile, ecc., ed aveva uno speciale talento inventivo, manifestantesi special- mente nei ricami, che sembrava compiere alquanto automaticamente. L’ automatismo si presentò, però, nettamente a 22 anni, quando alcuni amici la iniziarono ai misteri delle tables tournantes. Ben presto Elena si manifestò un ottimo medium, la sua medianità presentandosi in forma di allucinazioni visive e uditive, e di manifestazioni tiptologiche. A 25 anni incontrò l’A. il quale cominciò su di lei lo studio che egli pubblica in questo volume. ì Dopo i 25 anni i fenomeni isterici sì aggravarono nell’ Elena, avendosi fenomeni a carico della sensibilità e della motilità, attacchi di sonno e di catalessi, allucinazioni, illusioni, automatismo, ecc. È Le comunicazioni medianiche fatte dalla Smith, si dividono in quattro cicli, il cielo Indiano, il ciclo Reale, il cielo Martiano e quello Leopoldino. Allo stesso modo come si fondono fra loro i due primi, così il Leopoldo è un po’ sempre in comunicazione con la Smith. I due primi cicli si basano sulla pretesa reincarnazione di una principessa indiana prima come Maria Antonietta, poi come Elena Smith. Questa racconta molti fatti della famiglia di questa principessa vissuta circa nel 1400 e cerca di dimostrarne la verità, scrivendo e parlando in arabo ed in sanscrito. — Il cielo Martiano è più completo. Nello stato di trance, Elena vola negli spazi interplanetari e finalmente si posa su Marte. Descrive 1° ambiente, gli abi- tanti, i loro costumi, e disegna ciò che vi accade; scrive e parla in lingua Martiana, e queste parole finisce per tradurre in francese. Si tratta di una vera lingua, capace, a quanto pare, di esprimere qualche pensiero e che il medium legge, scrive, parla e intende. [L®A. riferisce molti di questi esem- plari colla traduzione letterale fattane dal medium, con disegni, ecc. La scrittura rassomiglia a quella dei geroglifici, ed è forse questa la parte più completa, più nuova e più importante del libro]. L’A. rileva come abbiano un certo sapore di cose note, tutte queste fantasie Martiane della signorina Smith, le quali infatti ricordano le fan- tasie del Flammarion e i disegni spititistici del Sardou. Quanto alla lingua Martiana essa è una modificazione puerile del francese. Anzi, quando 1° A. fece quest’ osservazione al medium, questi cercò tosto di modi- ficarla, creando una nuova lingua ultramartiana che non assomigliava ad alcun’altra lingua. | Non altrettanto bene spiegabile è il fenomeno della personalità Indiana. sembrando difficile all’A. che Elena potesse aver letta o veduta una certa 132 RASSEGNA BIOLOGICA storia di cui dà un breve cenno. Quanto alla lingua araba, si tratta di poche parole; e di sanscrito non vi sono che alcune parole e poche frasi, ma nessun pensiero continuato. L’A. espone il suo caso serenamente e coll’ obbiettività più perfetta, contentandosi, in un capitolo finale, di lanciare alcune frecciate ai bigotti della « scienza » che ammettono a priori l’ impossibilità del sopranormale e negano l'interesse delle «ricerche psichiche », come agli spiritisti che « sentono lo spirito della loro nonna in ogni seriechiolio di una tavola ». Afferma finalmente la sua fede nella telepatia e nel movimento degli oggetti senza contatto (« telechinesia »), per quanto creda di poter spiegare tutti gli altri fenomeni presentati dal suo soggetto come fenomeni ipnoidi. Gi CE IV. Questioni varie di biologia. SCHOCKAERT R. — Nouvelles recherches sur la maturation de l’ovo- cyte de premier ordre du « 7]ysanozoon Brocchi ». Anat. Anzeiger, XVIII Bd. pag. 30-33. 6 figure. Le ricerche, delle quali questa nota dà un annunzio preliminare, tendono a rafforzare 1° idea che il centrosomo derivi dal nucleo. Nell’ovocite di primo ordine l’A. ha scoperto un nuovo organite; un filamento liscio, acuminato alle estremità, che si colora intensamente, ma sempre ben distinto dalla parte cromatica. Esso ha la forma di un arco ; s’allunga e si ispessisce con l’età, e piega le due estremità in senso contrario, giungendo spesso ad una lunghezza uguale al dîametro del nucleo. Finalmente si accolla alla super- ficie del nucleolo, e 8° ispessisce nel mezzo. A questo stadio comparisce nel citoplasma il centrosomo, col rigonfiamento nel mezzo, e con estremità affilate, applicate su di un’ampolla chiara, simile al nucleolo. Se si tien presente poi che contemporaneamente sparisce il filamento liscio nel nucleo sembrerà assai probabile, anzi 1’ A. ne & sicuro, che i centrosomi della prima figura son forniti dal o dai filamenti lisci del nucleo (potendo esistere nel nucleo anche in numero di due). PAGG HerBst CuRrT. — Uber das Auseinandergehen von Furchungs- und Gewebezellen in Kalkfreiem Medium. — « Arch. f. Entwickelungs- mechanik der Organismen », IX, Bd., 1900. Ponendo in acqua di mare priva di calcio delle uova di Echini, in via di segmentazione, e spoglie della loro membrana, 1’ Herbst constatò che le cellule di segmentazione invece di rimanere legate insieme, si allontanano le une dalle altre, isolandosi completamente. Malgrado questo completo isolamento la segmentazione procede sino alla fine, e si verifica anche il RASSEGNA BIOLOGICA 138 differenziamento in cellule ciliate, le quali, quantunque isolate, possono rima- nere in vita qualche tempo, nuotando vivacemente. Anche negli stadii ulteriori di sviluppo degli Echini, come pure di altri animali, l’unione delle cellule non è mai così forte da resistere alla mancanza del calcio : essa vien sempre distrutta senza per questo produrre la morte degli elementi isolati. I blastomeri isolati in seguito alla mancanza di calcio, se riportati in acqua di mare ordinaria, si sviluppano dando origine a piccole larve com- plete ; perciò per il soggiorno nella miscela priva di calcio le cellule non acquistano per sempre la proprietà di allontanarsi; ma solo per quel tempo che rimangono sottoposte a quell’azione. L’Herbst tenta di ricondurre a cause fisiche questi fenomeni, sul cui significato egli promette di ritornare; ma fin d’adesso si intravede l’impor- tanza di questa scoperta dal punto di vista delle componenti causali dalle quali dipende l’unione delle cellule di segmentazione e de’ tessuti. Essa ha inoltre una grande importanza metodologica, poichè permette di ottenere delle piccolissime larve della grandezza desiderata, con un mezzo così sicuro, preciso ed elegante che gli altri usati finora appaiono di fronte ad esso del tutto grossolani. A. GIARDINA. DRIESscH HANS. — Die isolirten Blastomeren des Echinideneies. — Eine Nachpriifung und Erweiterung friher Untersuchungen. — « Arch. f. Entwickelungsmech. 25 Settembre ?’900. L’A. controlla e spinge più oltre le sue indagini precedenti sullo sviluppo dei blastomeri isolati, valendosi della scoperta. (v. recensione prec.) di Herbst che in acqua povera di sali calcari, i vincoli fra le sfere di segmen- tazione si allentano fino a completa separazione di esse. Tolta la membrana alle uova, queste si collocano nell’ acqua di mare spoglia di sali calcari pel tempo necessario. Ad es., quando si trattava di studiare i blastomeri dello stadio a 8 cellule (/s), si lasciava agire l’ acqua di coltura per un determinato tempo sopra lo stesso stadio a $, e magari fino a che si annunciasse lo stadio a 16. In tal caso, aspirando colla pipetta, si raccoglievano otto gruppi di due cellule ciascheduno. Si poteva allora distinguere dal carattere dei costituenti se ogni gruppo rappresentasse un ottavo animale o un ottavo vegetativo. Se invece si toglievano gli embrioni dal liquido appena raggiunto lo stadio a 8, l’embrione si divideva in quattro gruppi di due cellule ognuno. I. Qualità dei prodotti ottenuti da blastomeri isolati. — Un primo vantaggio del nuovo metodo, sostituito a quello dello scuotimento sta in ciò che se prima si riusciva in un giorno & raccogliere due o tre blastomeri isolati allo stadio dicitulare, ora con grande facilità nello stesso tempo se ne raccolgono migliaia. Blastomeri di questo stadio sviluppano dapprima mezzi embrioni, avuto riguardo ai caratteri delle cellule componenti ; indi l'embrione si chiude e 154 RASSEGNA BIOLOGICA forma una larva che si distingue solo per la minor mole dalle larve normali. Nello Sphaerechinus non si può a rigor di termini parlare di una vera chiusura della blastula, perchè la blastula è fin da principio completa nella sua forma e compatta: ma essa può considerarsi costituente un semi-embrione solo pel carattere delle cellule, inquantochè presenta due micromeri soltanto nello stadio 1/,-16. Quando si osserva una vera chiusura della blastula (così in Echinus, in un’epoca di inoltrata maturità sessuale), essa ha luogo non per neoforma- zione dalla superficie di sezione, ma per trasposizione delle cellule già esistenti. Lo stesso accade dei blastomeri isolati 1/, (ossia dello stadio a 4 cellule). Anche da questi si formano plutei completi, affatto proporzionali pei loro caratteri anatomici ai plutei normali. Blastomeri 1/s — È noto che la terza segmentazione dell'uovo, che mette capo allo stadio a 8 cellule, è a differenza delle due prime, una segmenta- zione equatoriale, e divide 1’ embrione in due parti dette « animale » e « vegetativa ». Si denomina metà animale quella comprendente le quattro cellule che colla successiva divisione produrranno i micromeri, e come metà vegetativa quella da cui più tardi si svilupperà l’intestino. Era dunque del massimo interesse verificare se i blastomeri separati dello stadio 16 possedessero l’attitudine alla gastrulazione, e la presentassero allo stesso grado quelli derivati dalla metà animale e quelli dalla metà vegetativa. Isolati nel modo indicato i blastomeri, le metà animali diedero una percentuale di gastrule molto superiore che la metà vegetativa, ma insieme anche una percentuale più elevata di morti. Le larve derivate dalla metà vegetativa hanno protoplasma più chiaro che le animali, sviluppano blastule a ciglia lunghe e che vivono a lungo, e qualche volta, accanto a gastrule normali, talune prive di mesenchina ; mentre i blastomeri provenienti dalla metà animale dell’ embrione offrono gastrulazione normale ed accelerata rispetto agli altri. Driesch ne inferisce che il plasma dell’uovo presenta un differenziamento nella direzione dell’asse animale-vegetativo. Contraria- mente all’opinione di Selenka, pare che il polo ove si formano i micero- meri sia il vero polo vegetativo, ossia generatore dell’ intestino, e che il polo dei mesomeri sia il polo animale. Numero delle cellule di segmentazione nell’Echinus. — Il me- todo fondato sopra il reperto di Herbst permette di contare agevolmente il numero delle cellule nel momento della blastulazione. Si chiami stadio ideale 32 quello in cui si avrebbero 32 cellule se tutte quelle dello stadio 16 si fossero divise. Ad esso seguirebbero giusta la progressione costante gli stadii ideali 64, 128, 256, 512, 1024. Ma è da notare che in realtà solo 12 cellule, i maero- e i mesomeri, si segmentano così uniformemente ; mentre i 4 micromeri formano ciascheduno 10 cellule, ossia 40 fra tutto. Ne consegue che nello stadio ideale di 1024 si avranno i prodotti della divisione dei mesomeri che sono 64 per ognuno, più i micromeri in numero di 4,8,32, e i micromeri minori in numero di 4, 2, 8, a un dipresso della stessa grandezza, mentre le cellule derivanti dalla divisione dei macromeri sono più grandi di circa la metà. RASSEGNA BIOLOGICA 135 _ Seguendo sotto il microscopio lo sviluppo di un macromero o d’un meso- mero dello stadio a 16, si nota che va dividendosi in 2, 4, 8, 16, 32, 64, (corrispondenti agli stadii ideali sopra enumerati : 32, 64, ..... 1024), ma più oltre non si segmenta, e sviluppa lateralmente ciglia. Adunque il termine della segmentazione è dato per questi blastomeri dal principio della blastulazione, e questa compare ad uno stadio in cui si hanno 12 X 64-40 — 808 cellule (lo stadio ideale di 1024). Driesch pensa che il non potersi ottenere da blastomeri di questo stadio gastrule ben costituite col principio di scheletro, dipenda da ciò che il numero delle cellule componenti gli embrioni piccoli, sopratutto il numero delle cellule mesenchimatiche, sia troppo scarso. Le larve 1/3, 1/4, 1/51 1/10 come anche le ?/, (o doppie) sono nella mole degli organi singoli geometricamente proporzionali alle larve normali. Però tale proporzione è invece aritmetica, non più geometrica, se ci riferiamo all’unità di cui è fatto l’edificio; inquantochè la larve !/, constano di un numero quattro volte più piccolo di cellule, e queste poi sono di grandezza normale. Nello sviluppo dei blastomeri isolati non si osserva dunque un impiccolimento o ingrandimento regolativo (« regulatorische Zellverkleinerung oder Vergròssorung ») delle cellule. Lo stesso vale, oltrechè per gli Echini, per le Ascidie, gli anfibii ed altri organismi sperimentati. Sembra dunque potersi enunciare questa legge di « fisica morfologica » come l’ A. la chiama: che la grandezza delle singole cellule specifiche è determinata e fissa « così come le direzioni ottiche dei cristalli ». | Questa legge però non vale in modo assoluto per le diverse categorie di cellule di segmentazione, essendo questo della segmentazione una fase pre- paratoria dello sviluppo: concerne invece le cellule degli organi che si sviluppano in seguito. Secondo Morgan frammenti di uova di Echinus fecondati sarebbero ancora capaci di segmentarsi quando essi fossero asso- lutamente più piccoli che le cellule blastulari normali. La questione è di sapere se le blastule così ottenute con cellule più piccole delle normali possano formare un mesenchima e intestino tipici. Ora Driesch notò che quando il mesenchima si forma consta appunto di cellule di grandezza normale. L’A. lascia insoluto il quesito di sapere qual sia la frazione minima di embrione ancora capace di formare la gastrula. Embrioni di 1/3, non diedero gastrule, ma questa non può riguardarsi come una conclusione definitiva. La blastula di ZEchinus è di 808 cellule. Ora ciascheduna di queste cellule isolate sviluppa egualmente le ciglia caratteristiche dello stadio bla- stulare. Sembra piuttosto che la gastrulazione costituisca un limite insormonta- bile per lo sviluppo di blastomeri inferiori ad una certa frazione. La impos- sibilità per piccoli embrioni di formare plutei deriva probabilmente dalla scarsità del numero delle cellule mesenchimatiche, insufficiente a formare uno scheletro normale. Però è da notare che nell’ Amphioxus, che pure è privo di scheletro, embrioni !/$ non possono varcare lo stadio» di gastrula. Lo sviluppo è tanto più rallentato, quanto più piccolo è il blastomero. In relazione a ciò si ricordi che piccoli pezzi di Tubularia rigenerano più lentamente che pezzi grandi. i 136 RASSEGNA BIOLOGICA Grandezza relativa degli embrioni sviluppati da blastomeri isolati. — Il volume complessivo di un embrione sviluppato da blastomeri isolati è sempre inferiore al suo valore come frazione dell’embrione primi- tivo (Keimwerth). Prendiamo un esempio. L’ osservazione insegna che il diametro di una blastula !/, (ossia sviluppata da un blastomero isolato dello stadio a 4 cellule) è la metà del diametro di una blastula normale ; che inoltre il rapporto del volume della blastula normale a quello della blastula 1/, non è di 4: 1, ma invece di 8: 1; per blastule 1/, tale rapporto è di 23: 1. Ora la proporzionalità che vediamo mancare tra il valore frazionario del blastomero sviluppantesi ed il volume effettivo dell’ embrione che da esso si sviluppa, sussiste invece tra quello e la superficie dell’ embrione stesso. Abbiamo già detto che il volume delle cellule è fisso, anche per le cellule di embrioni sviluppati da blastomeri isolati. Ora per gli epitelii costituenti l’embrione si può considerare come fissa anche la forma delle cellule: e pertanto noi possiamo limitarci a considerare, invece del volume, la super- ficie geometrica dell’ embrione, trascurando la terza dimensione, ossia lo spessore dell’epitelio supposto costante. Allora il sospetto che la proporzionalità cercata sussista tra il valore frazionario del blastomero e la superficie dell’ embrione viene confermato dall’osservazione. Vale a dire assumendo ad esprimere la grandezza degli embrioni la loro superficie, questa risulta esattamente proporzionale alla frazione che i blastomeri isolati rappresentano dell'embrione primitivo. Queste conclusioni empiriche riescono di molta importanza nel valutare i risultati degli esperimenti dove si tratta di stabilire la frazione minima di embrioni capaci di sviluppare plutei. Boveri, ad es., crede di avere ottenuto un pluteo fecondando un frammento di uovo 1) di 1/,,. Ma egli qui si fondava sulla misurazione del pluteo; il quale poi dalla figura pubblicata risulta essere in realtà di volume pari a !/g dei plutei normali, e doveva pertanto essersi sviluppato secondo i calcoli del Driesch non da un ottavo, ma da un quarto della massa dell’uovo. Similmente il preteso quarantesimo di Morgan sviluppatosi ancora in una gastrula si riduce in realtà a !/,6, SComparendo. ogni apparente contraddi- zione fra i dati dei varii autori. Pa: DrIiescH Hans. — Studien ilber Regulationsvermòogen der Orga- mismen. 4. — Die Verschmelzung der Individualittit bei Echinidenkeim. — « Arch. f. Enwickelungsmech » Bd. X, Heft II e III, September 1900. Già alcuni anni addietro l'A. era pervenuto a far aderire più wova di Sphaerechinus granularis a formare uno strato epiteliare unico, dal quale però si svilupparono tante larve distinte quante erano le uova congiunte. Ancor prima di Driesch, Metehnikoff avea ottenuto la fusione di più bla- 1) Da ricerche di Loeb sugli Echini pare qui sia indifferente che si tratti di un bla- stomero isplato o di un frammento fecondato dell'uovo (merogonia). RASSEGNA BIOLOGICA IST stule della medusa Microtoma Annae in una sola, che poi si sviluppò in un’unica grande larva. Però questo esperimento non si può ritenere decisivo per la que- stione che ci occupa, poichè lo sviluppo della larva detta planula, non è diretto, ma comprende una serie di metamorfosi collo stadio intermedio di Hydrorhiza. Morgan osservò la fusione di più blastule di Sphacrechinus in una sfera sola. Però nell’ ectoderma si produssero poi tante invaginazioni inte- stinali ed altrettanti scheletri quanto erano le uova fuse assieme. Driesch, ricordando gli esperimenti di Loeb, secondo cui le pareti cellu- lari di segmentazione nei primi stadii embrionali possono distruggersi, aspor- tando l’ossigeno con una forte corrente di acqua, pensò di valersi di questo metodo per completare i suoi primi tentativi sopra Sphaerechinus ; vale a dire si studiò di ottenere l’ adesione di più uova \fecondate in una massa epiteliale, per poi fonderle assieme facendo scomparire le pareti col metodo di Loeb. In tal caso le uova al comparire del 1° solco di segmentazione dovrebbero comportarsi come due sfere di segmentazione del 2° stadio, ma di dimensioni maggiori. Ora, ciò non accadde, e si ebbero invece alcune fusioni parziali allo stadio di blastula ; intestino e scheletro si formarono sempre in numero corrispondente a quello delle uova fuse. - Nel 1898 Strassen, studiando lo sviluppo di Ascaris megalocephala, potè notare alcune uova grandi circa il doppio del solito, con numero di cromo- somi doppio del normale. Per questi ed altri caratteri ciascuna di esse sem- brava risultare dalla fusione di due uova in una massa unica. Di esse forma- rono degli embrioni doppi o « geminati » quelle soltanto che possedevano il doppio di cromosomi (ossia erano state fecondate due volte); mentre con quelle una volta e mezzo di cromosomi in confronto al numero normale, ossia pure doppie, ma fecondate una volta sola, diedero embrioni unici, diversi dai normali solo per le dimensioni molto più grandi. Questi risultati, se lasciavano intravedere la possibilità di ottenere un individuo solo da due uova, non costituivano però dimostrazioni inobbiet- tabili di essa : per il che sarebbe stato necessario che uova con numero doppio di cromosomi si fossero sviluppate in individui semplici. Driesch istituì le sue nuove ricerche sopra Sphaerechinus granularis. Già col semplice scuotimento avviene talvolta che più uova, perduta la membrana e venute a contatto, aderiscano e si fondano. Il numero di tali fusioni risulta maggiore quando le uova si scuotono in acqua di mare priva di sali calcari e resa leggermente alcalina. Per altro la relativa rarità delle fusioni (circa 1 °/) prova che il fenomeno di cui ci occupiamo non dipende esclusi- vamente dall’azione del liquido di coltura sulla membrana dell’ uovo, ma anche e sopratutto dalla struttura del protoplasma più o meno adatto a queste fusioni, secondo le femmine da cui son tratte le uova. Anche le blastule natanti possono fondersi a più di una e continuare il loro sviluppo. L'A. conseguì ben 125 di tali blastule composte di Sphaere- chinus e 30 di Echinus. Le blastule, subito dopo la fusione, presentano una sezione a biscotto, la quale grazie alle condizioni osmotiche delle blastocele non tarda a divenire ellittica o anche circolare. Esamineremo anzitutto il caso in cui lo sviluppo dei prodotti di fusione si compie senza intervento di processi regolatori. — In una trentina di casi si formarono plutei doppi. 188 | RASSEGNA BIOLOGICA Nell’ellissoide dapprima risultante dalla fusione delle uova si formano in tal caso due abbozzi distinti di intestino e di scheletro, la cui posizione rispet- tiva è indeterminata. Ciò che è caratteristico qui è la mancanza di processi regolatori provocati dalla fusione. Ma qualche volta invece si manifesta una regolazione secondaria nello sviluppo dei prodotti di fusione: a) Predominanza di un individuo. Accade non di rado che tra i prodotti di fusione se ne incontri qualcuno i cui componenti siano di grandezza diversa. Uno dei componenti può superare l’altro nello sviluppo dell’ inte- stino e dello scheletro (mentre l’altro subisce un arresto di sviluppo) così da assorbire in sè la maggior parte della massa, dando l’ apparenza di un embrione unico cui siano annessi uno scheletro e un intestino rudi- mentale. Quando i due intestini si sviluppavano da punti lontani per congiungersi in un punto solo, non di rado nel punto d’incontro si formava pei due una bocca unica. Se al contrario gli intestini erano del tutto divisi, anche le bocche erano distinte e lo sviluppo era regolato (Regulationstypus). Se una delle bocche si chiude, subito si manifesta la preponderanza nell’altro inte- stino e dell’individuo corrispondente. Adunque la chiusura della bocca sarebbe la causa dell’arresto di sviluppo di uno degli intestini. È molto importante il notare che mai si ebbe vera regressione di un individuo, ma solo arresto di sviluppo. Fusione di intestini fu osservata cinque volte in Sphaerechinus. Si tratta della fusione secondaria di due intestini, prima affatto indipendenti, in un’unico a sezione strasversa doppia. Fenomeni simili aveva già osservato lo stesso A. nell’ Asterias. Sviluppo regolatorio primario di prodotti di fusione. —- In qualche caso raro la fusione di due blastule abutì alla formazione di un embrione unico più grande. Si forma allora fin da principio un solo abbozzo del mesen- chima, un solo intestino. Per quel che riguarda il numero delle cellule, è probabile che sia il doppio del normale; ma la numerazione diretta delle cellule è molto diffi- cile. Pel mesenchima Driesch potè constatare che il numero delle cellule è doppio del normale. Lo sviluppo ulteriore diede plutei che si distinguevano dai normali solo per la mole maggiore. Le cause che determinano lo sviluppo piuttosto di un embrione unico che di una geminazione sono da ricercare nel periodo in cui ha luogo la fusione delle due blastule. Se questa viene troppo ritardata, si ha immanca- bilmente una geminazione. Questo spiega anche perchè col genere Echinus, il cui sviluppo è relativamente celere, si ottenga un numero così scarso di fusioni in un individuo unico. Considerazioni generali. — Se dagli esperimenti di merotomia è dimo- strato che una parte di embrione (blastomero) può svilupparsi in un tutto e produrre un individuo completo, da queste nuove indagini è dimostrata la possibilità del fenomeno inverso : che da un tutto può derivare una parte, e meglio nel caso nostro la metà di un organismo. Driesch ravvisa qui una vera « rigenerazione inversa », la quale non RASSEGNA BIOLOGICA 139 gli sembra conciliabile colla ipotesi weismanniana degli idioplasmi di riserva. Egli crede qui entri in giuoco una « forza vitale », che dirige lo sviluppo, forza diversa degli agenti inorganici finora conosciuti. DAC BarAILLON. M. E. — La segmentation parthénogénétique expéri- mentale chez les Amphibiens et les Poissons. — (Compt. Rend. de Vl Acad. des Sciences, T. CKXXI, N. 2, 9 Juillet, 1900). . La segmentazione partenogenetica sperimentale fu condotta a degli stadi più o meno avvanzati da Morgan, Lorle, Giard, sulle uova di echinodermi; da Tichomiroff per i Lepidotteri, da Dewitz e Kulagin per gli anfibi ed i pesci. Sulle uova di echinodermi si fecero agire dei cloruri, e Loeb tende ad attribuire al metallo un’importanza pre- ponderante. Délage ricorda a questo riguardo i risultati ottenuti tanto con mezzi energici quali H, SO, e il sublimato, quanto con mezzi mal definiti come il siero antidifterico. L'A. sperimentò sugli anfibi, e su pesci d’acqua dolce, e si propose di cercare se fosse necessario che il siero di mammifero fosse antidifterico per provocare la segmentazione partenogenetica. L’espe- rienza rispose negativamente. Inoltre ponendo le uova di rana ‘in soluzioni di sali a concentrazione uguale a quella del siero di cavallo o di bue, lascian- dovele per un tempo variabile da una a due ore e mezza, e riponendole poi nell'acqua pura esse si dividono come dopo esser passate per il siero nor-. male. I due primi solchi sono sovente regolarissimi, ma la segmentaziene progredisce poi rapidamente e irregolarmente. Furono impiegate indifferen- temente soluzioni di sale all’ 1°/, o di zucchero all’1°/. In tutti i casi il processo fu lento, e certe uova di rana non entrarono in segmentazione regolare che 24 ore dopo l’ immersione in acqua pura. C'è qualcosa di comune fra la modificazione fisica introdotta così speri- mentalmente, e quella che vien determinata dalla penetrazione di uno sper- matozoo nell'uovo maturo ? Si potrà ottenere un’ evoluzione completa del- l’ novo, con un mezzo di una concentrazione favorevole? Esperienze future risponderanno forse a queste domande. Forse serve da eccitante alla scis- sione dell’uovo, una relativa disidratazione, la quale favorisce la divisione nucleare, e permette all’uovo di preparare dei centri alla prima segmentazione che apparirà al contatto del mezzo ordinario a pressione osmotica più debole. Un mezzo fisiologico come il siero, quando possiede una sufficiente pressione osmotica, realizza a perfezione le condizioni di una segmentazione parteno- genetica, perchè le pareti dell’ uovo non godono che parzialmente delle pro- prietà delle membrane semipermeabili. Più il mezzo è inerte, dal punto di vista chimico, meglio l’azione fisica è isolata. Dalle esperienze, per quanto incomplete, 1° A. ricava questa conclusione : La composizione chimica del mezzo non interviene che come fattore secondario ed aggiunto. Il siero di mammifero, antidifterico 0 no, si comporta come una soluzione isotonica salina o zuccherina : agisce per la sua pressione osmotica. Coe 140 RASSEGNA BIOLOGICA FÉRÉ. — Tératogénie expérimentale et pathologie générale. — Vo- lume jubilaire du Cinquantenaire de la Société de Biologie ; (p. 360). Paris, Masson. L'A. riferisce sommariamente i risultati di molti anni di studio conti- nuato circa il problema della produzione di mostri nell’uovo di gallina. Le esperienze si dividono in 3 gruppi: 1°) di quelle in cui l’ uovo era sottoposto ad influenze esteriori; 2°) di quelle in cui venivano introdotte nell’albume dell’ uovo sostanze capaci di modificare la nutrizione dell’ em- brione; 3°) di quelle in cui venivano introdotti degli embrioni normali all’ inizio del loro sviluppo entro i tessuti di uccelli adulti, dove essi mostra- vano uno sviluppo ulteriore. 1° gruppo. La sorgente più frequente di tali mostruosità sono gli sbalzi di temperatura della stufa incubatrice. La-migliore temperatura oscilla attorno ai 38.° Le uova devono essere fatte riposare dopo il viaggio fatto per arri- vare al Laboratorio, pulite o poste tutta nella stufa nella stessa posizione, assieme sempre alle uova di controllo. L° A. ha osservato 1’ effetto nefasto dei vapori di trementina, di diverse sostanze odorose, del muschio, del mercurio, del fosforo, dell’ ammoniaca. — I vapori di etere e di cloroformio possono avere una semplice azione stupefacente, transitoria se si sottraggono le uova all’ azione dei vapori stessi. — Certe sostanze che si diffondono nell’ atmosfera dànno gli effetti che sono provocati pure dall’ inverniciatura delle uova. 2° gruppo. Le iniezioni d’acqua distillata nell’ albume sono sempre innocue per gli embrioni: esse permettono quindi di ottenere le uova di controllo. — È dubbio che alcune sostanze siano favorevoli allo sviluppo dell’ embrione; mentre alcune sono indifferenti. In tesi. generale 1’ azione teratogena è correlativa all’ azione tossica; così la nicotina, la stricnina, l’acido cianidrico producono delle mostruosità anche iniettate in dosi tenui. Lo stesso si vede bene studiando gli alcool, che sono tanto più tossici e tanto più teratogeni, quanto più elevato è il loro peso molecolare. — Le essenze sono anche più teratogene dell’ alcool. — Le tossine microbiche agiscono nello stesso modo; e sono meno teratogene, quelle provenienti da microbi a cui le galline stesse sono meno sensibili. Lo stesso vale per gli alcaloidi d’origine vegetale. i In questi esperimenti si vede nettamente l’influenza dell’ adattamento. Tutti questi agenti possono o pervertire o arrestare lo sviluppo. Il nani- smo è frequente; ma più notevole è il fatto che quando vi sono molte mostruo- sità in una serie d’uova, quelle rimaste sane presentano dei prodotti poco sviluppati o con anomalie parziali, locali. — Talvolta un embrione solo, fra una quantità di mostri, presenta uno sviluppo esagerato, eccessivo per la sua età. — Più che una tendenza alle malformazioni si ha quindi una ten- denza alla variazione, la quale, a seconda della dose dell’ agente e secondo l’ equazione trofica individuale si esplica nel senso dell’ esaltamento o della depressione. — Un altro fatto notevole è la varietà delle deformazioni anche per un unico agente. Ogni agente nocivo ha poi un’ influenza diversa secondo l’epoca in cui è fatto agire; e questi fatti specialmente potrebbero illuminare alquanto la questione dell’ eredità morbosa, almeno alcuni punti di essa. RASSEGNA BIOLOGICA 141 3° gruppo. Gli innesti erano fatti prima della differenziazione dei tes- suti, ma sebbene il più delle volte siano stati immediatamente assorbiti, qualche volta è stato tuttavia possibile riconoscere negli innesti stessi una certa evoluzione spontanea, colla comparsa di tessuti che generalmente non sono comparsi all’ età in cui era stato fatto il trapianto. Gli innesti di blastodermi di una data specie in uccelli di specie differenti dànno esiti negativi. Le esperienze relative a questo 3° gruppo continuano. GC Lorseu GusTAVvE. — Imeubation d° ceufs de poule retirés de leur coquille. — Comp. Iend. Soc. de Biologie, Tome LII, N. 22, Giugno 1900. L’esperienza sulla quale l'A. riferisce consiste nel romper l’ uovo, ver- sarne con precauzione il contenuto in un piccolo cristallizzatore della capacità di cinquanta o sessanta centimetri cubi; poi mettere tutto in una incubatrice riscaldata a 40.° Sopra sei uova così trattate, 4 che non erano fecondate naturalmente non si svilupparono ; le altre due messe in incubazione in una camera umida si svilupparono assai bene, e diedero origine a due embrioni che erano normali e viventi ancora al mattino del quarto giorno ; ma dopo delle muffe invasero l’ albume, e la sera gli embrioni morirono. Durante quei quattro giorni l’albume era rimasto liquido e non aveva presentato alcuna modificazione fisica. Il tuorlo veniva a galla e aveva perciò tendenza a dis- secarsi sulla superficie libera. L'A. ebbe quindi cura di rivolgere il germe verso il fondo del vaso e di versare ogni tanto nel cristallizzatore contenente l’ uovo, un po’ d’ albumina proveniente da un altro uovo. L'A. ottenne degli embrioni vivi e normali ancora al dodicesimo giorno, e spera di poter, con questo metodo, studiare il modo d’assorbimento dell’ albumina da parte dell’ embrione, e l’ influenza delle riserve nutritive dell’ uovo sull’ embrione. Poichè non sarà difficile di fare incubare un ovulo di pollo d’una data razza, nell’albume dell'uovo di una razza diversa, e anche di sostituire l’albumina di una specie d’ uccelli, con albumina di un’altra specie. A proposito di queste ricerche, il Féré aggiunge una breve nota (seduta del 23 Giugno 1900), dove ricorda come la possibilità dello sviluppo di embrioni normali da uova di pollo private del guscio, era già stata enun- ciata dal Preyer, e riferisce pure alcune esperienze proprie nelle quali riuscì a protrarre la vita di un embrione così sviluppato, anche più a lungo di 12 giorni. Usando poi vetri di forma speciale, e di colori varî il F éré cercò di studiare quale fosse l’ influenza delle luci variamente colorate sullo sviluppo, e malgrado affermi di essere giunto a qualche conclusione in pro- posito, non riferisce nulla. (CEeBE 142 RASSEGNA BIOLOGICA GASKELL WALTER. — On the origin of Vertebrates deduced from the Study of Ammocoetes. Journal of Anatomy and Phycology, 1900, vol. XXXIV, pag. 405-587, con 32 figure nel testo e 2 tavole colorate. V. — Origine della segmentazione prootica: significato del nervo del gruppo trigemino e dei nervi motori dei muscoli oculari. — Secondo la ipotesi filogenetica dell’ A., già da noi altrove esposta, i nervi segmen- tali del gruppo trigemino di Ammocoetes (forma lanale della lampreda) corri- sponderebbero al gruppo dei nervi prosomatici dell’ ipotetico antenato artro- podo. Se ciò è vero, dobbiamo supporre che i muscoli che nell’ Ammocoetes sono innervati dal trigemino, muovessero originariamente le appendici dei segmenti prosomatici, e pertanto ci aspetteremmo di trovare qualche vestigio di queste appendici nell’ infimo vertebrato. Per la stessa ragione anche i muscoli oculari devono aver fatto parte di segmenti mesosomatici ed essere stati disposti in serie segmentale corrispondente alla seriazione delle appen- dici prosomatiche. L’ A. viene a stabilire i caratteri della segmentazione nei crostacei del gruppo dei merostomi, di cui esiste attualmente 1° unico genere Limulus; e discute la evidenza della segmentazione nei muscoli e nelle cavità celo- matiche cefaliche. Questa indagine lo porta quindi a fissare le condizioni anatomiche cui dovrebbero soddisfare i nervi del gruppo trigemino dei ver- tebrati, se realmente derivassero dai nervi prosomatici di antichi crostacei : 1) dovrebbero presentare duplice segmentazione, vale a dire una serie di segmenti dorsali o somatici, ed una serie di segmenti ventrali o splanenici; 2) Inoltre offrire qualche indizio morfologico che il nervo trigemino non è primitivamente semplice e spettante a un solo segmento, ma deriva dalla unione di almeno sei o sette nervi segmentali; 3) qualche prova anatomica che i nervi oculomotori e trocleari siano le radici dorsali motorie degli stessi segmenti cui il trigemino fornisce le ventrali o splaneniche; 4) un indizio che il ganglio di origine del quinto nervo motore non è per la sua origine un ganglio unico, ma risulta dalla coalescenza di più gangli, probabilmente sette; 5) qualche carattere per cui gli organi originariamente innervati dalla parte motoria del nervo trigemino fossero confrontabili direttamente colle appendici prosomatiche della forma atavica invertebrata. Gaskell dimostra come effettivamente tutti questi requisiti siano sod- disfatti nell’ Ammocoetes. i VI. —f L’ antica bocca e l’ organo olfattorio. Significato del I° nervo. — Gaskell prende in esame l’ apparato boccale dei merostomi, un gruppo di crostacei da cui suppone derivato il progenitore dei vertebrati simile all’ Ammocoetes. Uno dei caratteri più controversi qui è la natura del così detto labbro superiore o camerostoma, chiamato anche in molti casì il rostro. Le indagini più recenti tendono a stabilire la sua omologia col primo paio di antenne degli altri crostacei. Ciò risulta sopratutto dagli studi di Croneberg, i quali perciò hanno grande importanza. Non è semplicemente un labbro o lingua mobile, ma un vero organo di senso, tattile insieme ed olfattorio. Gaskell potè esaminare dei giovani individui di Telyphonus raccolti sopra il dorso della madre, ed ottenne delle magnifiche sezioni trasverse dell’ organo mede- RASSEGNA BIOLOGICA 143 simo. La somiglianza di struttura tra quest’organo dei crostacei superiori e il corrispondente dei vertebrati è tale che già fu notata da autori (Bellonci) pure lontani da ogni idea di un rapporto filogenetico, interpretando essi la somiglianza come un fenomeno di convergenza. Si noti che l’esser quest’ organo di Ammocoetes impari e mediano in oppo- sizione al suo carattere appaiato negli altri vertebrati, è stato sempre un ostacolo grave per coloro che consideravano i ciclostomi come selaci regrediti. Infatti nell’ embriologia di questo vertebrato il naso si forma da un’ unica prominenza olfattoria; mentre d’altra parte i nervi olfattorii sono appaiati, e certo confrontabili a quelli di altri vertebrati. Ora la ipotesi di una derivazione dal camerostoma dei crostacei spieghe- rebbe la duplicità dei nervi olfattorii; poichè il camerostoma trae origine dal primo paio. di antenne. Già vedemmo (questa ivista, vol. I, pag. 139) che secondo la ipotesi di Gaskell la bocca dell’antenato crostaceo dev? essersi occlusa in seguito alla graduale obliterazione del lume esofageo per lo sviluppo crescente della massa nervosa avvolgente l’esofago. Ora è da notare che la sostituzione del- l’ antica bocca con una nuova potè compiersi agevolmente senza turbare la funzione olfattoria, poichè la cavità olfattoria era indipendente dalla cavità boccale. Tra l’ una e l’altra potè svilupparsi, a mo’ di parete resistente, una continuazione del plastron o entosternite, formando un organo protettivo dei centri nervosi, un cranio interno. Gaskell investiga dipoi quale fondamento possa avere un’omologia fra i grandi tentacoli ventrali di Ammocoetes e il paio di appendici dette ectognathi dell’ ipotetico progenitore crostaceo, e similmente fra gli altri ten- tacoli e le appendici dette ectognathi. Prove paleontologiche. Ammocoetes sarebbe un cefalaspide. — L’esame delle piastre cefaliche muco-cartilaginee di Ammocoetes induce VA. ad un confronto con forme di pesci estinti dei mari Siluriano e Devoniano, gli Ostra- codermi. A questi appartengono i Cephalaspidae, la cui regione cefalica era protetta da uno scudo dorsale e ventrale. L° A. rileva le somiglianze di struttura che fanno ritenere tale scudo cefalico omologo a quello di Am- mocoetes. Se dunque la forma adulta di quei pesci estinti somiglia alla forma larvale della lampreda, è da aspettarsi che Ammocoetes a sua volta riassuma nella sua ontogenesi i primi stadii di sviluppo dei cefalaspidi. Ora Kupffer ha segnalato che Ammocoetes stesso possiede una vera e propria forma larvale, poichè gli embrioni, raggiunta la lunghezza di mm. 5, con repentino salto si trasformano in Ammocoetes. In quello stadio larvale la camera orale era ancora chiuso, il tubo olfattorio dorsale. Nello stadio tra 5 0 6 mm. l’intero sistema dei gangli epibranchiale in connessione col trige- mino scompare con gran prontezza, la camera boccale viene a comunicare colla branchiale e le aperture nasali divengono dorsali grazie allo sviluppo del labbro superiore all’ innanzi. I cefalaspidi presentavano dunque uno stadio larvale molto vicino alla forma d’un crostaceo euripteride (something between a Trilobite and a Eurip- terid) « In quell’epoca geologica la razza dominante nei mari siluriani era dei giganteschi Euripteridi; e tutte le condizioni erano favorevoli allo svi- luppo da essi di forme più alte », 144 RASSEGNA BIOLOGICA Gaskell conchiude: «È evidentissimo che Ammocoetes è un cefalaspide; e a giudicare dallo sviluppo dello stesso Ammocoetes, dovette esistere una forma di cefalaspide simile ad un euripteride. Inoltre la ontogenesi di Limulus fa ritenere che la forma larvale degli euripteridi fosse simile ai trilobiti, e Beecher dal canto suo ha rilevato che il trilobito è un fillopodo quasi certo derivato da un chetopodo. D'altra parte la ontogenesi di Petromyzon dimostra che la forma larvale di Petromyzon, era un cefalaspide, mentre lo stesso Petromyzon, giusta le indagini di Parker ed altri, somiglia alla forma larvale degli anfibii: dagli anfibii passiamo ai mammiferi, e da questi all’uomo. Così lo studio delle forme larvali ci ha messo in grado di ricomporre la catena filogenetica dall’ anel- lide all’uomo ». Pi Gi Li - - °- OsBoRN HENRY. — Reconsideration of the evidence for a common Dinosaur-avian stem in the Permian. — American Naturalist, October 7900. Fin dal 1864 il Gegenbaur segnalò nel rettile dinosauro Compsognathus una forma di tarso che costituiva una transizione dal tarso dei rettili a quello degli uccelli, e Cope notò pure nel dinosauro cretaceo Laelaps un altro carattere aviforme nello allungamento delle vertebre del collo. Altre somiglianze cogli uccelli furono più tardi segnalate da Huxley nei dinosauri, come la forma distintamente tubulare delle ossa degli arti, l’anchilosi fra gli clementi scapolo-coracoidi, la verticalità del femore, la presenza di una cresta procnemiale sul tibia: il sacro dei dinosauri presenta misti i caratteri di rettile e di uccello. Huxley considerava perciò questi rettili estinti come i più affini geneticamente agli uccelli. Entrambi sarebbero derivati da qualche forma estinta della quale i dinosauri conosciuti rappre- senterebbero una modificazione. Marsh suppose invece una derivazione deglì uccelli da qualche forma più antica di Sauropside. Alcuni autori per altro, e tra questi Selley, Vogt, Dollo, Parker e Mehnert respinsero la ipotesi di una diretta relazione genetica tra dino- sauri ed uccelli. Vogt fa osservare che i dinosauri doveano essere animali rampicanti come gli uccelli, e che la somiglianza dei loro arti posteriori potrebbe essere solo adattativa, e non filogenetica. Intanto Owen, Cope, Mivart, Wiedersheim sostenevano dal canto loro la derivazione degli uccelli carenati dai pterosauri. Firbringer nella sua grande monografia escluse ogni connessione filoge- netica diretta fra dinosauri ed uccelli, ascrivendo la somiglianza loro ad ana- logie di convergenza ed a variazioni parallele : più strettamente alleati cogli uccelli fra i rettili sarebbero i gruppi dei Dinosauria, Crocodilia e Lacertilia, e per essi sarebbe da cercare un antenato sauropside comune nel permiano, dove primamente si osserva il differenziamento delle scaglie .dei sauropsidi nelle piume degli uccelli. Ora V Osborn porta un contributo al problema della filogenesi degli uccelli, discutendo se siano derivati direttamente dai dinosauri, o se piut- RASSEGNA BIOLOGICA 145 tosto per entrambi questi gruppi sia da ricercare un antenato comune, o se infine le somiglianze fra essi non siano per avventura adattative. L’A. assoggetta quindi ad una attenta disamina gli : altri caratteri aviformi nei dinosauri bipedi. — Il pube degli uccelli nei primi stadii della ontogenesi è diretto anteriormente come quello dei dinosauri o degli altri rettili, ma si rivolge più tardi all’ indietro, dispo- nendosi parallelo all’ischio. Il che, se parla contro una diretta derivazione degli uccelli da un dinosauro specializzato, non dice nulla contro la ipotesi di una forma ancestrale comune a dinosauri ed uccelli. Muscolatura della gamba. — Dollo, giudicando dalla ispezione degli attacchi muscolari trova nel femore di /[guanodon maggiori somiglianze cogli uccelli che coi rettili. Il terzo trocantere infatti dovea servire, come negli uccelli, di punto di inserzione pel muscolo ischio-femorale, e di origine pel caudo- femorale, al quale ultimo si devono i movimenti di lateralizzazione della coda, così energici in certi palmipedi attuali. Altre somiglianze cogli uccelli rileva Osborn descrivendo il piede. L’alluce di Megalosaurus, dinosauro bipede carnivoro, constava di una falange completa, ed era munito di artigli che dovevano funzionare come negli uccelli carnivori. Somiglianze coi dinosauri quadrupedi. — Nelle gambe dei dino- sauri quadrupedì (Beliosauri e Sauropodi) prevalgono invece i caratteri dei rettili. Ma in altre parti del corpo non mancano caratteri aviformi : tali la estrema brevità del dorso, lunghezza e flessibilità del collo, rigidità dell’ at- tacco ileo-sacrale connessa alla possibilità di erigere 1’ intera porzione ileo- sacrale del corpo. Cotali somiglianze sembrano piuttosto adattative che filogenetiche. presen- tandosi miste ai caratteri di rettile. La medesima incongruenza di caratteri si nota nei dinosauri bipedi che mantengono costantemente eretta la parte presacrale del corpo. L’unico vero carattere aviforme comune a tutti i dinosauri rimane quello rilevato da Gegenbaur, ossia la intima giunzione dell’ astragalo colla tibia. Forme ancestrali quadrupedi artigliate degli uccelli. — Pycraft da un accurato studio sopra il fossile Archeopterye conchiude che nella mano di questo doveano essere rappresentate solo tre dita e non cinque e che il ‘terzo dovea essere armato di artiglio. Altri caratteri di rettile sarebbero nella dentatura, nel numero delle vertebre caudali ecc. D'altra parte le osservazioni di Dean sopra la locomozione di giovani uccelli tenderebbe a provare la primitiva loro stazione quadrupede, ossia appoggierebbe la ipotesi di un prototipo di progonosaurio quadrupede. I più antichi rettili terrestri erano quadrupedi. Osborn ritiene dunque probabile la derivazione degli uccelli dei progonosauri. Resta a vedere se si debba supporre una discendenza diretta e indipen- dente degli uccelli dai progonosauria, o invece di entrambi da un comune ceppo dinosauro-aviano. Sviluppo correlativo del tridattilismo e progressione bipede. — Nella filogenesi degli uccelli dovette compiersi un graduale passaggio dalla progressione quadrupede alla bipede, in uno stadio di vita terrestre, ed a questo seguì più tardi uno stadio di vita arborea, con modificazioni contemporanee degli arti anteriori e della coda ed acquisto delle piume. Riv. DI BIOLOGIA GENERALE, III. 10 146 RASSEGNA BIOLOGICA Per fortuna la trasformazione per cui i primitivi dinosauri quadrupedi acquistarono progressione bipede è mirabilmente illustrata da talune lucertole viventi, specie dall’ australiano Ollamydosaurus. Questa lucertola, correndo si sorregge sugli arti posteriori, mentre la coda controbilancia la parte anteriore del corpo. Si noti ora che nella corsa essa poggia esclusivamente sopra le tre dita interne del piede, le ultime due dita essendo brevissime : e per conseguenza la impronta loro sopra una sostanza molle o fangosa sarebbe tridattile, simile affatto a quelle riferite a vari dinosauri del meso- zoico. Pare del resto che tutti i dinosauri fossero più o meno capaci di incesso bipede: in una certa misura dovevano esserlo anche alcuni dei cetiosauri quadrupedi ; e tipicamente bipedi doveano essere gli iguanodonti. Se il carattere bipede risultasse comune fra i dinosauri, esso appoggierebbe la ipotesi di un ceppo dinosauro-aviano. Il passaggio dal tipo quadrupede al bipede corrisponderebbe alla evoluzione da Progonosauri a Dinosauri; ed Osborn opina che in questa transizione verso il tipo bipede, colla ten- denza a formare il tibio-tarso possa esser derivato il tipo degli uccelli dai dinosauri. Come si vede, è una modificazione dell’ipotesi di Huxley, la all sembra all’A. più plausibile che il supporre una derivazione indipendente degli uccelli da un antenato progonosauro quadrupede ; perchè le somiglianze tra dinosauri ed uccelli, per quanto sviluppate per vie indipendenti, potreb- bero sempre ricondursi a tendenze potenziali ereditarie comuni. IMC DeLPINO FEDERICO. — Comparazione biologica di due flore estreme artica ed antartica. — Memorie della R. Accademia dell’ Istituto di Bologna, 22 Aprile ?900. Il confronto tra le due flore estreme artica ed antartica, osserva l’A., presenta un grande interesse dal punto di vista « biologico », cioè dei rap- porti coll’ ambiente, e geografico, offrendo esse « il massimo termine di disgiunzione tra due definiti campi di vegetazione ». Interessante è investi- gare nelle due flore il numero dei componenti, il prevalere di questo o di quel modo di impollinazione, e la struttura dei relativi apparecchi floreali nei vari tipi specifici. Considerata la somma difficoltà di comunicazione tra le due flore, ie congruenze ed analogie di adattamento riscontrate in esse, dovranno ritenersi come acquisite per vie indipendenti e parallele ; mentre le notevoli differenze nella composizione e distribuzione delle due flore si faranno dipendere dalle diversità di condizioni climatologiche delle due regioni. E queste differenze sono tutt’ altro che trascurabili. Intanto la vegetazione artica estrema non ha nessun limite boreale, il che spiega l'A. colla uni- formità di temperatura della zona polare artica: « Dal 75° di lat. fino al 90° e bensì vero che l’altezza solare va sempre diminuendo, ma va proporzio- nalmente aumentando la lunghezza dei giorni, o il numero delle ore vivi- ficate dalla luce ; cosicchè la maggior durata fa equilibrio colla diminuita RASSEGNA BIOLOGICA 147 intensità della luce ; senza parlare che la radiazione notturna diventa com- pletamente eliminata per un numero maggiore di giorni ». Le piante che hanno sviluppata la massima resistenza al freddo non si trovano dunque nella regione artica estrema, ma nella regione alpina, ove allo sviluppo delle fanerogame è posto un limite fra 3 e 4000 metri. Ben diversamente distribuita è la flora estrema artica, cui 1’ enorme raf- freddamento causato dai ghiacci natanti, pone un violento e repentino ter- mine prima di raggiungere il 60.° Là dove alcuni vulcani attivi, come il monte Erebus, producono un riscaldamento del terreno, la vegetazione ricompare. i Riuscendo malagevole depurare le due flore dagli elementi estranei even- tualmente penetrati, nella zona artica estrema della Siberia, dalle montagne dell'America e dell’ Europa, e nella zona antartica delle Ande, dalle mon- tagne Neozelandesi e Tasmaniche, l'A. stima prudente, pel rigore dell’ inda- gine, restringere la comparazione tra le due flore molto bene conosciute entrambe insulari dello Spitzherg da una parte, delle isole Aukland, Camp- bell e Macquarrie dall’ altra. Il nostro grande botanico passa in rassegna le varie famiglie, enumerando di ciascuna i generi e le specie rappresentati e rilevandone i caratteri bio- logici. Per quanto concerne i rapporti quantitativi delle forme specifiche componenti le due flore, risultano 111 specie antartiche e 97 artiche ; ma queste ultime spettano a un numero maggiore (diff. 6) di generi, ed offrono la notevolissima eccedenza di ben 12 famiglie. La causa ne è la relativa mitezza degli inverni nelle regioni antartiche : inoltre ben 5 famiglie sono di origine antartica. Dodici sono i generi comuni alle due flore, 11 le famiglie. Notevole sopratutto è il grande sviluppo preso dall’ anemofilia nelle regioni antartiche per un numero di specie quasi triplo. La spiegazione di questa diffe- renza non è facile. Forse ne è causa il clima marittimo ed insulare predomi- nante nelle terre antartiche. Si potrebbe anche pensare, soggiunge Delpino, che un clima così aspro e flagellato da forti venti, poco favorevole allo svi- luppo di insetti antofili, abbia reso utile alle piante trasformare i loro apparecchi fioreali da entomofili in anemofili. Ma questa ipotesi è contrad- detta dal trovarsi meravigliosi apparecchi floreali polianti nelle isole Auckland e Campbell, i quali stanno ad attestarci la presenza di insetti antofili, come mosche, apidi, coleotteri. Un’ altra differenza importante si rileva confrontando il numero delle specie che hanno apparecchi floreali del tipo ranuncolaceo e del tipo micranto. Questi apparecchi sono omostaurogami, supplendo colla omogamia là dove manchino gli insetti pronubi necessari ad effettuare le nozzeincro- ciate. Tali specie sommano a 50 per lo Spitzberg, a 21 per le Aulzland, ecc.; differenze queste che sono in perfetta armonia col diverso sviluppo della fauna antofila nelle due regioni. i Ben 4 specie son ‘comuni alle due flore: Cardamine hirsyta, Callitriche verna, Montia fontana e Trisetum subspicatum, e dalla ispezic/ne dei caratteri biologici di queste risalta che «i principali fattori di una fatissima disper- sione geografica sono : 1) stazione acquatica ; 2) micranziaf ed estrema ten- denza alla omogamia esclusiva, 0, in difetto. condizione /anemofila ; 3) sta- tura pigmea e adattabilità ad ogni clima e ad ogni suofo ». na Pi 148 RASSEGNA BIOLOGICA È da notare per altro nelle due flore estreme l’ assenza completa delle leguminose, una famiglia che pure, pel complesso dei suoi caratteri, deve considerarsi cosmopolita per eccellenza, e che inoltre comprende due generi spiccatamente termofobi. Erto IsseL RAFFAELE. — Saggio sulla fauna termale italiana. — « Acca- demia Reale delle Scienze di Torino », Vol. XXXVI, Novembre, 1900, Carlo Clausen, Torino, 1901. Tra gli intenti della biologia moderna, uno dei più alti è quello di rico- struire le leggi dell'adattamento, finora per la maggior parte sconosciute. Non sono più semplici elenchi faunistici raccolti senza discernimento ch’essa vuole, ma sono monografie di consorzi animali o vegetali delimitati da qualche fattore fisico comune ad es. fauna cavernicola, sotterranea, alpina, pelagica, abissale ecc. ; in modo che ne vengano illustrati gli adattamenti degli organismi e se ne possa inferire le variazioni dei loro caratteri in funzione di quel dato fattore. Epperciò è stata una felice idea questa del dott. Issel, figlio del nostro eminente geologo, di intraprendere uno studio comparativo sopra la fauna termale di varie sorgenti italiane. Esplorando un campo quasi vergine, egli è giunto a conclusioni di molto valore per la biologia generale. Le ricerche furono fatte nelle seguenti terme italiane, varie così per temperatura come per composizione chimica delle acque, e condizioni topo- grafiche e climatiche delle rispettive località : 1) Maremma toscana ; 2) Acque termali di Acqui e delle Alpi Marittime ; 3) Acque Albule. Gli abitanti di queste sorgenti si raccolgono in circa 110 specie (di cui 82 sono le forme specificamente determinate) e nel loro complesso formano una fauna termale bene distinta. Secondo l'A. ciò è attestato da varie con- siderazioni : 1) in primo luogo l’ analogia riscontrata tra le faune di acque termo-minerali diverse, ma di eguale temperatura, indipendentemente anche dalla composizione chimica delle acque. La comunanza di specie non si ha solo nei rappresentanti delle infime classi zoologiche, ma anche in forme elevate come i coleotteri; 2) inoltre la presenza di specie ritenute tinora esclusivamente termali ; 3) la maggior resistenza agli agenti termici acqui- stata dagli abitatori di quelle acque. Infatti le massime temperature ambienti osservate per ciascun gruppo « talvolta raggiungono e superano il grado mortale, sperimentalmente determinato, di animali affini, viventi in acque comuni » ; 4) la ricchezza di specie e generi riscontrati nelle acque termali. « Fra i 40° e i 45° scompaiono molte specie e ne restano alcune che sem- brano compensare la scarsezza delle specie col numero grandissimo degli individui ». Da tutto ciò emerge essere la temperatura il precipuo fattore da cui dipende la distribuzione dei membri componenti la fauna termale. Il limite massimo per ogni singola specie sembrerebbe a priori dover variare colle località, innalzandosi ed abbassandosi in correlazione al clima, ossia alla temperatura delle acque fredde circonvicine, dalla cui fauna . è RASSEGNA BIOLOGICA 149 necessario ammettere sia derivata in gran parte la fauna termale. Poichè,. ben nota l’A., colla medesima « ampiezza di adattamento » (misurata dalla differenza di temperatura tra l’ ambiente primitivo el’ optimum attuale) una medesima specie può abituarsi a temperature diverse. Siffatti rapporti ’'Issel potè verificare per la Philodina roseola (rotifero) che a Vinadio (m. 1325 sul mare) tocca il suo optimum di frequenza a 400-429, mentre ad Aequi intorno a 44° 1/2. Ora a Vinadio le acque comuni sono di 6° o 7° più fredde che ad Acqui, dimodochè il punto di partenza per le variazioni nel senso di una maggiore termofilia dovette esser diverso nelle due località. Da ultimo Issel.espone un saggio di classificazione delle faune termali in cinque categorie: 1) specie provenienti dalle acque dolci ordinarie ; 2) animali provenienti dal mare per emigrazione periodica (Anguilla vul- garis) ; 3) animali che mancano nelle acque comuni della regione, ma si trovano in quella di altre regioni più calde; 4) animali che non solo si rinvengono in territori più caldi, ma sono simili a congeneri fossili assai più diffusi (es. Melanopsis); 5) animali specificamente distinti da tutti i congeneri delle acque comuni (es. Laceobius Sellae). L'A. chiude questa interessantissima memoria discutendo quali siano stati per gli animali delle varie categorie sopra enumerate i mezzi di disper- sione più probabili. TRO, Morton WHEELER WILLIAM. — A new mirmecophile from the Mush- room gardens of the Texa leaf-cutting Ant. — American Natu- ralist, Novembre ’900, con 2 fig. nel testo. Sono note le belle osservazioni di Mòller sopra l’agricoltura di certe specie di formiche del Sud America, del gen. Atta. Esse tagliano via le foglie degli alberi, le portano nel formicaio ove le triturano e ne formano come una specie di poltiglia di color bruno verdastro. Questa poltiglia serve come terreno di coltura pei funghi delle specie /rozites gongylophora, che esse allevano, e costituiscono il loro esclusivo nutrimento. Forel descrisse come è diviso il lavoro nella operazione del cogliere le foglie, in altre due specie di Atta (A. cephalotes e sexdens) della Colombia, trovando che le operaie di grandezza media tagliano le foglie dagli alberi, quelle più grandi (soldati) oltre a difendere il nido, triturano le foglie, e le più piccole stimolano meccanicamente i filamenti del micelio del fungo facendoli crescere in modo anormale e sviluppare peculiari rigonfiamenti di cui le formiche si nutrono. Nelle camere o giardini vivono. pure in buona società colle formiche alcune specie di insetti mirmecofili. L’A. trova appunto e descrive una specie rinvenuta in un grande nido di Atta fervens nel Texas : Attaphyla fun- gycola (genere nuovo). Questi insetti, appartenenti alle Blattidae, vivono in mezzo alle gallerie tubulari del fungo: se ne vedono di tempo in tempo posate sulla testa dei soldati, ch'esse non sembrano menomamente distur- bare. Negli intestini si trova una materia vischiosa che VA. inclina a inter 150 RASSEGNA BIOLOGICA pretare come residui del micelio masticato. Sarebbe, soggiunge, un caso di furto 0 « mirmecoclepsia » [È un esempio tipico di commensalismo ; ma non è lontano il sospetto che gli Attaphyla possano anche essere mutualisti, perchè la singolare tolleranza delle formiche lascia supporre ch’ esse a lor volta ritraggono qualche vantaggio dalla convivenza con quegli insetti]. L’A. descrive diligentemente gli Attaphyla. Qui ci limitiamo a rilevare, come adattamento alla vita cavernicola ed al commensalismo, la condizione rudimentale degli occhi (con numero assai esiguo di faccette) e delle ali degli adulti nei due sessi. Le antenne offrono questo di interessante, che furono trovate incomplete in quasi tutti gli esemplari raccolti, il numero degli articoli antennari variando da 3 a 11: in 17 esemplari si ha egual numero di articoli a destra e sinistra, in 21 la differenza tra l antenna destra e la sinistra è di un articolo, in 7 la differenza è maggiore perfino di 6. Ad ogni modo predomina una relativa simmetria. Morton Wheeler crede le antenne siano state mozzate dalle formiche nell’atto di triturare le foglie e di mordere i funghi. Gli Attaphyla le manten- gono in un continuo tremolio, col quale forse, pensa 1° A., esse simulano il « linguaggio antennare » dei loro ospiti, venendo a contatto colle antenne delle formiche. L’A. scorge una prova contro la ereditarietà delle mutilazioni nel fatto che le antenne degli Attaphyla, sebbene da tempo remotissimo debbano esser state recise dalle formiche, sempre rinascono. [Il caso è interessante, ma non prova nulla: in primo luogo le antenne non sono quasi mai tagliate per intiero, e poi il titillamento incessante cui vengono assoggettate da parte delle formiche, potrebbe avere (dovrebbe anzi nell’ ipotesi di Lamarck- Spencer), un’ azione contraria di ben altra importanza fisiologica che la semplice mutilazione. È curioso infatti che I’ A. ricorre poi a questi stimoli per ispiegare il maggiore sviluppo delle giunture delle antenne negli Atta- phyla in confronto alle altre Blattidae. Contro la ereditarietà in toto delle mutilazioni si hanno altri argomenti ben più validi]. SEG: CANNON. — The gall ofthe Monterey pine. — « The American Naturalist », October, 1900. Investiga il modo di invasione delle larve galligene nelle foglie di Pinus radiata, descrive le alterazioni dei tessuti aggiungendo considerazioni sopra le cause della loro ipertrofia. Le uova appartenenti ad un insetto della famiglia delle Cecedomytidae vengono deposte o tra le squame che proteggono la gemma, o all’ in- terno di queste presso ala punta delle foglie, oppure all’ interno vicino alla base delle foglie. Solo in quest’ultimo caso le larve giungono a maturazione, perchè esse sono prive di bocca, e nutrendosi per assorbimento attraverso alla superficie del corpo hanno bisogno di essere in intimo contatto coi tessuti dell’ ospite. RASSEGNA BIOLOGICA 151 Quanto all’ ipertrofia dei tessuti della pianta, VA. erede essa non debba ascriversi all’azione specifica di qualche sostanza chimica deposta dall’insetto insieme alle uova; ma piuttosto la causa principale ne sarebbe « una reazione della pianta alla domanda di cibo da parte del parassita ». Lo dimostrerebbe il graduale accrescimento delle cellule che circondano il parassita e l’insolito accumulo in esse di materiali nutritizii. È inoltre probabile che la presenza del parassita come corpo estraneo contribuisca a provocare la*‘ipertrofia stimo- lando meccanicamente i tessuti. Perchè, si chiede l’A., di 12 specie di pini esaminate la sola P. radiata va soggetta al parassita o tutt’ al più ne è affetta qualche volta leggermente anche un’ altra specie P. attenuata? Ciò si spiega in primo luogo nel fatto che le altre specie sviluppano le gemme in epoche non utilizzabili dal paras- sita, o hanno le scaglie protette da resina, o dimensioni delle foglie che non sì prestano. Le larve ad esempio non possono svilupparsi in grande quantità sopra Pinus attenuata, perchè le foglie di questa specie sono più lunghe che quelle di Pinus radiata e più lunghe che l’ ovopositore dell’insetto galligeno ; e noi sappiamo che le uova trovano il necessario contatto coi tessuti della pianta nel solo caso che vengano deposte proprio alla base delle giovani foglioline. È anche probabile che pel nutrimento e la prosperità delle larve si richieda un complesso di condizioni così delicato e definito da essere realizzato solo in poche specie di pini e da mancare in tutte le altre che vanno immuni dal parassita. Pa RIicHET CHARLES. — Un caractère distinetif du règne végétal et du règne animal. — Volume jubilaire du Cinquantenaire de la Societé de Biologie (p. 91). Paris, Masson. Dato che il regno vegetale sia nettamente separato dal regno animale, come si è tratti generalmente ad immaginare, si potrebbe trovare un carat- tere differenziale più serio di quello della locomozione, proposto da Linneo, nel loro modo di comportarsi di fronte ai veleni, specialmente di fronte ai sali di potassio e di sodio. I sali di potassio sono eminentemente nocivi pei vertebrati; e, secondo le numerose esperienze dell’ A., gr. 0,445 di potassio (in peso di metallo, per chilogramma di animale) è la dose tossica minima, mentre i sali di sodio sono’ sopportati benissimo dai vertebrati, a far morire i quali sono necessari gr. 4,00, per chilogramma di animale, di sali di sodio. Mettendo 1 gr. di cloruro di potassio per litro d’ acqua di mare, i pesci muoiono in 3-4 ore ; mettendone 3 gr. la morte avviene in mezz’ ora; mentre questi animali vivono nell’ acqua che contiene 43 gr. di cloruro sodico. La stessa dose è egualmente tossica per gli invertebrati su cui l'A. ha sperimentato. Al contrario, i sali di potassa favoriscono magnificamente lo sviluppo delle piante, che i sali di sodio, invece, fanno intisichire. 152 I RASSEGNA BIOLOGICA Gli schizomiceti e i microbi, che un tempo furono considerati come appar- tenenti al regno animale, si comportano, invece, di fronte ai sali di soda e di potassio come vegetali, tanto che, p. es., dosi anche moderate di sali di soda arrestano o rallentano le fermentazioni mierobiche. I sali di potassio servirebbero quindi quasi a svelare la presenza di un sistema nervoso. Gli istologi si servono di reattivi coloranti per scoprire le cellule nervose; ma osservando la reazione ad un veleno si raggiunge una precisione maggiore e in modo più facile. Dove esiste un sistema nervoso, il potassio è più tossico del sodio, mentre per le cellule non nervose è più grande la tossicità del sodio. Resta indeciso, però, se basti la presenza di un sistema nervoso per concludere che si tratta di un animale; ma è certo che si possono oppor- tunamente dividere gli esseri viventi il queste due classi : 1) Esseri a sistema nervoso, o animali, pei quali il potassio (coll’ am- moniaca e gli alcaloidi) è più tossico del sodio ; 2) Esseri senza sistema nervoso o senza cellule nervose, o vegetali, pei quali il potassio è meno tossico del sodio. G. C. F. V. Fattori della evoluzione. Pozzi Escor. — Sur la spécificité cellulaire. « Revue Scientifique », 16 Febbraio, 1901. È una esposizione molto chiara delle idee sostenute dal Bard nel suo Trattato di anatomia patologica e in lavori successivi, circa le cause del differenziamento cellulare ontogenico. Le cellule embrionali dei metazoi, com’ è noto, presentano nei primi stadii un tipo morfologico comune, il quale non permette di intravedere nei loro caratteri il tipo che esse realiz- zeranno nel corso del loro sviluppo. Ciò indusse parecchi biologi ad ammet- tere la equivalenza di tutte le cellule capaci di proliferazione, attribuendo gli svariati loro differenziamenti successivi, alle varie condizioni di ambiente in cui esse vengono a trovarsi. È questa la ipotesi della indifferenza cellulare. A questa si contrappone la ipotesi della specificità cellulare, secondo cui la evoluzione delle cellule nella ontogenesi sarebbe predeterminata nella eredità da un patrimonio di caratteri potenziali o latenti che esse cellule ricevono al loro nascere. L'A. attribuisce a Bard il merito di aver formulata per la prima volta la ipotesi della specificità cellulare. Tra quei due estremi Delage !) si mantiene eccletico : per lui non si ha nè specificità, nè indifferenza assoluta. La grande « elasticità delle atti- tudini evolutive delle cellule » è innegabile, come lo è d’altra parte il fatto che a tale adattabilità sono imposti dei limiti, per cui, ad es., una cellula muscolare non può trasformarsi in nervosa. 1) DeLAGE Yves — La structure du protoplasme et les théories sur lhérédité. — Paris, 1894. RASSEGNA BIOLOGICA 158 Bard, combattendo la teoria eccletica, ritiene che se si attribuisce alle condizioni esterne la potenza di modificare o sopprimere la fissità ereditaria, sì viene con ciò a negare la specificità, cadendo nella teoria dell’indifferenza. La verità in questo caso non sarebbe intermedia alle due ipotesi, ma dalla parte della indifferenza cellulare. Per lui 1’ eccletismo, se è una posizione facile a difendere, non è però abbastanza fecondo nella discussione e nella ricerca sperimentale. Le \cellule dei tumori, aggiunge Bard, sono sottratte all’ azione di quegli agenti che si invocano dai partigiani della « indifferenza », per ispie- gare i caratteri individuali; «le celiule dei tumori non solo sfuggono al tropismo e tattismo che dirigevano la evoluzione della loro specie, ma sono esposte a tropismi e tattismi diversi ». Ebbene, tali cellule conservano costantemente i medesimi caratteri ereditarî del tessuto d’origine. i Come la generazione alternante delle specie animali e vegetali, non distrugge la <« specificità » delle specie, così nella figliazione delle cellule le trasformazioni spesso osservate, ad es. di cartilagini in. ossa, secondo Hillemann, non sono affatto contrarie all’ ipotesi della specificità cellu- lare : basta supporre che tali trasformazioni siano predeterminate e diverse nelle varie specie. Quando nei casi di gravidanza extra-uterina si forma una placenta avventizia, questa non proviene già, come si potrebbe credere, da cellule deviate nel loro sviluppo e impegnate in una evoluzione nuova alla’ quale non erano destinate, poichè Bard trova tra elementi delle placente uterine ed elementi delle placente tubarie le medesime differenze che tra gli elementi decidui ordinarii dei corrispondenti tessuti di origine. Anche i fatti di rigenerazione si accorderebbero, secondo lui, colla più rigorosa specificità cellulare, senza bisogno di immaginare elementi indiffe- renziati di riserva. E quanto al regno vegetale, la specificità cellulare vi domina pure in modo assoluto. A codeste idee del Bard, Pozzi Escot oppone alcune obbiezioni. In primo luogo per quanto concerne la pretesa specificità degli elementi nel regno vegetale, l'A. pensa proprio il contrario : chè qui sia invece il dominio della indifferenza cellulare assoluta. Lo proverebbe il fatto che « tutte le cellule di un metafito possono riprodurre ia pianta intiera ». Che dire poi della ipotesi generale sulla natura fisica della vita che il Bard edifica sopra la sua dottrina della specificità? Per lui la vita intima della cellula è una forza fisica di cui gli atti fisico-chimici rivelati dall’osser- vazione sarebbero gli effetti : egli viene quindi a supporre la equivalenza tra le forme di energia vitale ed energia elettrica, termica, ecc. Ritornando al differenziamento cellulare, questo sì ridurrebbe in realtà ad una decomposizione (secondo i principii della meccanica elementare !) della forza 0 moto vitale vorticoso, o altrimenti più complesso, contenuto nelle cellule riproduttive. Siffatta decomposizione avrebbe qualche analogia con quella della luce bianca effettuantesi nel prisma. Le cellule primordiali avrebbero una vita bianca, mentre le cellule derivate e differenziate vita colorata. : Ml Bard è quindi portato a negare la « concezione polizoica » degli organismi pluricellulari : «I protozoi sono cellule poco complesse, ma dotate 154 RASSEGNA BIOLOGICA però di carattere totale, ossia di una vita bianca inferiore a quella degli ovuli degli esseri superiori ». Le cellule somatiche dei metazoi possiedono una vita parziale, o vita colorata, che soltanto nella sua somma equivale alla vita totale, ecc. [Se con queste affermazioni il Bard credesse confutare la concezione aggrega- tiva dei metazoi cadrebbe in errore, poichè nè lo Spencer, nè Haeckel. nè Perrier hanno mai pensato che le aggregazioni cellulari siano ammassi di cellule indipendenti. È il solito equivoco degli avversari della teoria coloniare. A parte il fatto che la inferiorità della vita di un protozoo a quella di un ovulo non è dimostrabile, gli argomenti del Bard prove- rebbero solo che i metazoi superiori non sono colonie di protozoi ; il che nessuno. eredo, aveva mai supposto]. Pr VietieR M. — La théorie de la fertilisation chimique des @eufs de M. Loeb. let 1900). (Compt. Rend. Acad. Sciences. T. C. XXXI. N. 2, 9 Juil- Secondo una recente nota di Loeb, qualunque uovo è suscettibile di svilupparsi partenogeneticamente, ma ne è normalmente impedito dalla pre- senza di sostanze inibitrici, o dalla mancanza di sostanze eccitanti nel mezzo in cui si trova. Fra le sostanze inibitrici per le uova d’ echinodermi vi sono il calcio ed .il sodio ; fra le sostanze eccitanti : il magnesio, il potassio, e l’ossidrile (?). Loeb pensa che lo spermatozoo apporti all’ uovo gli ioni che gli mancano per evolversi, o gli ioni capaci di controbilanciare 1’ azione degli ioni inibitori contenuti nell'acqua di mare; ed arriva a credere che non sarà impossibile di determinare la partenogenesi anche nelle uova di mam- miferi, iniettando nel sangue della madre delle soluzioni appropriate! Il Viguier volle controllare le esperienze di Loeb, e si servì di soluzione di cloruro di magnesio in acqua distillata, o in acqua di mare, col titolo indicato dal Loeb. Esperimentò sui generi Arbacia, Toropneustes, e Sphae- rechinus. Pel genere Arbacia in una fra le numerose esperienze vide che ponendo in un dato giorno le uova nelle soluzioni Loeb. non si avevano che la sera del giorno dopo aleune rare larve partenogenetiche. Ed anche _fecondando uova state nelle soluzioni Loeb. non si hanno che molte ore dopo delle larve assai scarse. Pel genere Toropneustes sì potè constatare che le uova danno luogo a larve partenogenetiche tanto nell’acqua di mare quanto nelle soluzioni Loeb. Ma mentre le larve partenogenetiche normali completano il loro tubo digestivo, vi ha un ritardo notevole nello sviluppo di quelle che son passate per le soluzioni Loeb. Riesce a ottenere da uova tenute nella soluzione un piccolo Plufeus. ma tosto lo sviluppo si arresta. Pel genere Sphaerechinus non si ottiene che una sola larva a pareti spessis- sime in soluz. Loeb (in acqua distillata), e le uova fecondate dopo 2 ore di soggiorno nella soluzione, non si sviluppano che un giorno dopo, cioè - con forte ritardo. Con soluz. Loeb in acqua di mare non si sviluppò alcuna larva partenogenetica. Alcune uova lasciate. in soluz. Loeb cominciano a RASSEGNA BIOLOGICA 1559 putrefare, mentre alcune uova di confronto tenute in acqua di mare, pur non avendo dato luogo a larve, si mostravano almeno in perfetto stato. L’A. conclude da queste esperienze che le soluz. Loeb arrestano o ritar- dano lo sviluppo delle uova anzichè favorirlo, poichè non si vide alcuna delle larve passate per quelle soluzioni, raggiungere lo stadio di Pluteus. La soluzione salina ritarda dunque lo sviluppo delle uova e l’ arresta se la concentrazione è troppo forte. Loeb deve aver dunque trattato col suo liquido delle uova suscettibili di sviluppo partenogenetico, mentre le uova di confronto non lo erano. E questo prova, ancora una volta, come sia peri- coloso di fondare vaste teorie su pochi fatti sommariamente osservati. Co. E. NICLOUX MAURICE. — Passage de l’alcool ingéré dans quelques glandes et sécretions génitales. — (ompt. rend. hebd. Soc. de Biol.. Tome LII, IV, 23, 29 Juin 1900. L’A. intraprese una serie d’esperienze sul passaggio dell’ alcool ingerito sotto forma d’ alcool al 10°/, nelle ghiandole e secrezioni genitali. Dalle tabelle che egli riferisce appare che l’ alcool passa dopo 1-4 ore dall’inge- stione, nelle ghiandole e nelle secrezioni genitali, e che il tessuto testicolare è quello che trattiene proporzionalmente la maggior quantità di alcool. Ho voluto riportare qui questi risultati sperimentali, perchè essi potreb- bero contribuire a render maggiormente chiara una questione assai impor- tante, che su questa stessa Rivista fu agitata e discussa da due valenti natu- ralisti: V) Emery ed il Cattaneo. A proposito del problema dell’eredità dei caratteri acquisiti ll Emery scriveva: «Il figlio dell’ alcoolista, non eredita le lesioni periferiche prodotte dall’ alcool, ma è modificato diretta- mente nel suo germe, e consecutivamente nei suoi organi, dall’azione del veleno circolante nell’ organismo del suo genitore, che produce in lui alte- razioni differenti da quelle sofferte dal genitore stesso >. Il Cattaneo citando questa frase dell’ Emery ne spiegava ancora meglio il concetto aggiungendo : « Non è il padre che trasmette al figlio gli effetti dell’ alcoo- lismo, ma padre e figlio s'innebriano alla stessa coppa, si avvelenano diret- tamente per l’alcool diffuso nel sangue, e quindi non si tratta dell’ eredità di un carattere acquisito, ma dell’azione simultanea d’un fattore estrinseco . comune ». Tuttavia il Cattaneo esprimeva poi l’opinione che le cose stessero realmente così in un caso soltanto ; cioè quando il genitore solita- mente alieno dall'alcool, ne subisse un avvelenamento acuto, e in tale stato, o poco dopo, si riproducesse. Ma se l’avvelenamento è cronico allora le alte- razioni del fegato, dei reni, del sistema nervoso centrale producono nell’orga- nismo delle sostanze tossiche, cosicchè il germe subisce, indipendentemente dall’azione diretta dell’ alcool, un intossicamento dovuto al plasma viziato che lo nutre. « L’alterazione patologica del ricambio fu bensì provocata nel genitore dall’ uso continuato degli alcoolici, ma, permanendo anche dopo che quell’ uso fu sospeso. è divenuta un carattere proprio dell’ organismo, un 156 RASSEGNA BIOLOGICA carattere acquisito nel vero senso della parola. E se questa alterazione si ripercuote nel germe, come i fatti provano, si tratta realmente di un’ alte- razione somatica sul plasma germinale ». E più avanti: « Sarebbe assurdo dover dire che genitore e germe hanno attinto alla stessa alimentazione; perchè qui il figlio non ha mangiato il pane col genitore, ma si è nutrito di lui stesso. Una volta che è avvenuta l'assimilazione, e che 1’ agente estraneo si è trasformato nell’ organismo, diven- tando sua parte costituente, normale o patologica, cessa di essere agente esterno e diventa carattere organico ». Ho voluto sottolineare alcune frasi di quest’ultimo periodo perchè su di esse sopratutto mi pare si possa portare la discussione. Il Nicloux nelle sue ricerche trovò che l’alcool ingerito passa presto tal quale nel torrente circolatorio e viene trattenuto dalle ghiandole genitali punto modificato. Non si può quindi dire per l’ alcool che esso si sia trasformato nell’ orga- nismo diventando sua parte costituente, ed è improprio I’ aver usato, sia pure come frase rettorica, il paragone col pane, che invece realmente assimilan- dosi si trasforma e si scinde in tutti i suoi elementi costitutivi. Esso diventa realmente parte costituente dell’ organismo, e non entra nel torrente circo- latorio se non dopo aver subito tutte le dovute trasformazioni, mutando così la sua natura di pane ; e benchè concorra alla nutrizione del germe non si potrebbe certo dire in questo caso che genitore e germe abbiano attinto alla stessa alimentazione. Ma il caso dell’ alcool è assai diverso. Esso non si trasforma, e lo si ritrova dopo poche ore inalterato circolante col sangue, e fissato nei tessuti. Esso porta quindi la sua azione venefica non solo sul fegato, sui reni, sul sistema nervoso centrale, ma bensì anche in tutti gli altri organi dove passa il sangue che lo contiene, ed altera quindi per azione diretta tutti questi altri organi. Non vedo pertanto, che si possa distinguere fra avvelenamento acuto ed avvelenamento cronico da alcool, per ciò che riguarda la sua azione sul plasma germinale. Nell’un caso e nell’ altro l’alcool circola nel sangue, ed altera la ghiandola sessuale attraverso la quale circola questo sangue, e non vha differenza se non per l’intensità del- l’azione, che è naturalmente maggiore per l’avvelenamento cronico in causa del passaggio più frequente di sangue contenente alcool, nella ghian- dola stessa. Non si può quindi dire che da agente esterno 1’ alcool diventi parte costituente dell’ organismo, e carattere organico acquisito. Esso con- tinua ad essere agente esterno finchè viene eliminato, e come tale agisce contemporaneamente sulla totalità dell’ organismo e sul plasma germinale, portato ovunque dal circolo sanguigno. Non mi pare, per ciò, che 1’ ereditarietà morbosa da genitori alcoolisti, sia buon argomento per i sostenitori dell’ ereditarietà dei caratteri acquisiti, come non lo sono in generale tutti i fenomeni di ereditarietà morbosa da agenti patogeni chimici o morfologici, pei quali rimane sempre il dubbio e talvolta (come nel caso dell’ alcool) la certezza, ch’ essi abbiano agito diret- tamente sul plasma germinativo, modificandone la potenzialità di svolgi- mento. CarLOo Foà. RASSEGNA BIOLOGICA 157 DaveNnPORT C. B. — On the variation of the statoblasts of Pecti- nella magnifica from lake Michigan, at Chicago. « The American Naturalist », Gennaio, 1901. Pecetinella magnifica è un briozoo d’acqua dolce che vive in colonie asso- ciate sopra un fondo gelatinoso comune da esse segregato. Le gemme che si formano nell’ interno di ciascuna colonia, conosciute sotto il nome di statoblasti, sono munite di una specie di capsula ed hanno forma di un disco circolare circondato da un galleggiante sottile ed annulare. Il presente studio è rivolto a determinare la variabilità nel numero delle appendici uncinate disposte radialmente sul lembo della galleggiante. Tale numero risulta in media pari a 13 con oscillazioni tra 11 e 21. Eliminando quest’ultimo caso estremo ed aberrante le variazioni cadono fra 11 e 19 per statoblasto. Come si vede, la distribuzione delle variazioni segna una curva asimme- trica attorno al valore medio, accusando probabilmente una selezione in corso degli statoblasti forniti di uncini più numerosi ; il che non parrà strano, quando si pensi ch’ essi hanno maggiore probabilità di aderire al fondo. Si potrebbe anche pensare che l’asimmetria della curva esprima una tendenza della specie a costituire varietà con un numero medio di uncini > 13 per ciascun statoblasto. La variabilità delle appendici nei statoblasti derivati da una medesima colonia è di poco inferiore a quella complessivamente manifestata dagli statoblasti di molte colonie. Quanto alla formazione embriologica degli uncini, è da notare ch’essa si annuncia colla comparsa di un numero corrispondente di pieghe sul lembo del galleggiante. Da accurate misure pare risulti esservi una correlazione inversa tra la circonferenza del galleggiante e il numero delle appendici che si sono inse- rite, ossia statoblasti piccoli sono in generale forniti di un numero maggiore di appendici. Pertanto la causa dell’aumento numerico di queste ultime non può essere il maggiore spazio ad esse concesso nel loro sviluppo. La lunghezza delle appendici sembra poi inversamente correlata al loro numero. Varie anomalie di forma possono comparire nelle appendici, per cui invece di terminare con due uncini simmetricamente disposti, esse possano presentarne uno solo a estremità bifida, o invece un uncino di soprappiù, o una doppia escrescenza laterale ad un capo solo, con tendenza a formare alla estremità distale perfino due doppi uncini completi. i Bia: EIGEMMANN C. e Cox U. — Some cases of saltatory variation. « American Naturalist >», Gennaio, 1901. i La prima anomalia qui descritta in Rana pipiens consiste nella duplicità dell’arto anteriore interessante l’avambraccio e la mano ; la seconda osservata sopra nn solo specimen del pesce Ameiurus natalis sta nell’ assenza completa 158 RASSEGNA BIOLOGICA di ogni traccia di pinne ventrali. Una terza anomalia infine concerne la variabilità così per numero come per dimensioni dei palpi boccali in 7 indi- vidui di Ameiurus melas probabilmente fratelli, nel qual caso si tratterebbe di variazioni saltuarie con tendenza a conservare la simmetria bilaterale, le quali si sarebbero manifestate dapprima in qualche individuo progenitore comune, ed ora persisterebbero con notevole tenacia. De VrIes Hu6o. — Sur 1° origine expérimentale d° une nouvelle espèce végétale. — (Compt. Kend. Acad. Sciences. T. C. XXXI, N. 2, 9 Juillet 1900). Nel giardino sperimentale di Amsterdam, 1’ A. è riuscito a produrre una nuova specie vegetale in circostanze tali che gli permisero di seguire esat- tamente tutto il corso del fenomeno. La specie nuova è una specie elemen- tare, non una specie Linneana o collettiva. Queste ultime non possono esser prodotte che per l'accumulo successivo di caratteri specifici elementari. La nuova specie sorse da una coltivazione dell’ Onagre descritto sotto il nome di Oenothera Lamarkiana ; essa se ne distingue nettamente non per un solo carattere, ma per tutti gli organi. L'A. le propone il nome di Oenothera gigas, perchè essa è molto più forte e robusta che la specie madre. L’A. procede ad una particolareggiata descrizione della pianta, e ne con- clude che essa è assai facile da riconoscere. Il procedimento tenuto dall’ A. per la formazione della nuova specie fu il seguente. Al momento della fioritura nell’ Agosto del 1895 scelse una trentina di individui della specie madre, fra i più belli e i più forti. La piantagione era allora troppo folta e perciò le foglie troppo allungate in modo che non sarebbe stato possibile di giudicare con esattezza queste piante. Esse vennero piantate a parte e produssero l’anno seguente parecchi fusti. Al] momento della fioritura una sola pianta si distingueva dalle altre per il suo porta- mento più robusto, le sue foglie più fitte, i fiori molto più grandi, ed i frutti meno lunghi. Era questa la pianta madre della nuova specie, Oenothera gigas. Indicando quei caratteri la possibilità di una nuova forma, VA. tagliò i fiori ed i giovani frutti; e avviluppò tutti i bottoni fiorali in un sacco di pergamena trasparente, per fecondarli poi col loro proprio polline. In questo modo, ebbe un raccolto di semi puri. Questi diedero nel 1897 una semina di circa 450 piedi, in cui tutte le piante, senza eccezione, nacquero coi carat- teri descritti per l’ Venothera gigas. Una seconda generazione di queste piante fu identica alla prima. La nuova specie era dunque costante dopo la prima generazione, senza traccie d’ atavismo. Quanto agli individui della specie madre essi fiorirono per parecchie volte su un pezzo di terreno ben isolato, ma furono fecondati e incrociati fra loro dagli insetti. Queste piante mostrarono tutte il tipo puro dell’ Oenothera Lamarkiana. È in mezzo ad una coltivazione di numerosi individui nati da questi progenitori che apparve il nuovo tipo specifico. La produzione del- l 0e. gigas fa dunque subitanea, senza intermediario e preparazione visibile, RASSEGNA BIOLOGICA 159 come pure fu definitiva, colla pienezza de’ suoi caratteri, e senza alcun ritorno al tipo primitivo. L’osservazione descritta è, secondo 1’ A., una prima prova sperimentale delle sue idee emesse nel libro sulla Pangenesi intracellulare nella formazione delle specie. CHE: FERMI C. E REPETTO R. — Relazione tra il regime alimentare e lo sviluppo del tubo gastrico-enterico. — (Volume pubblicato in onore del Prof. L. Luciani). Quanto più un organo lavora, tanto maggiore si fa il suo peso, tanto più piccolo diviene il rapporto tra il suo peso con quello del corpo. Da questo rapporto si può all’ incirca dedurre il valore funzionale di questo organo, tenuto però conto di alcune cause d’ errore che l'A. prende in con- siderazione. Le conclusioni alle quali l'A. pervenne, dopo una lunga serie di accurate misurazioni, sono le seguenti : È Nei carnivori cioè negli animali che si nutrono prevalmente di cibi albu- minoidi facilmente digeribili dal sacco gastrico, e pei quali non è necessaria una energica potenza meccanica e una grande capacità del tubo gastro-ente- rico, il rapporto del peso e della capacità dello stomaco e dell’intestino è circa metà di quello degli erbivori. Il rapporto della capacità dello stomaco col peso del corpo oscilla nei carnivori tra !/; (gatto) e ‘/; (cane), negli erbivori, invece, oscilla fra !/, e 1/.. Negli erbivori ruminanti, il peso e la capacità dello stomaco rispetto al peso del corpo è quasi tripla di quella degli erbivori non ruminanti. Però in questi l’ intestino ha una capacità ed un peso quasi triplo, in rapporto al peso del corpo, di quello degli erbivori ruminanti, supplendo così alla poca importanza dello stomaco, nel quale, essendo pervio, i cibi si soffer- mano pochissimo. L’ intestino dei carnivori è molto più muscoloso e ha pareti più spesse di quello degli erbivori, infatti, mentre un pezzo di inte- stino tenue di gatto lungo 20 em. resiste ad una trazione di 3,000 gr., una egual parte di intestino tenue di coniglio resiste solo alla trazione di 80 gr.; cioè quello del gatto offre una resistenza quasi 40 volte maggiore. Negli onnivori, contrariamente a quanto si aspetterebbe, il rapporto fra il peso del corpo e dello stomaco è di circa !/, di quella degli erbivori e dei carnivori ; però gli onnivori presentano un maggiore sviluppo dell’ intestino. I feti, dove lo stomaco e 1’ intestino non funzionano ancora, hanno un peso ed una capacità dello stomaco, in rapporto al peso del corpo, inferiore di circa ?/, a quello dell’individuo adulto. Il rapporto poi tra capacità e peso dell’intestino col peso del corpo è circa della metà soltanto. Anche nei feti gli erbivori presentano un peso ed una capacità gastrica in rapporto al peso del corpo, quasi tripla di quella dei feti degli onnivori, ed una capacità intestinale minore. Negli uccelli per supplire alla mancanza di denti si ha prevalenza dei- l’attività meccanica e motoria gastrica sul chimismo. Negli uecelli carnivori 160 RASSEGNA BIOLOGICA e vermivori, come nei mammiferi, il rapporto del peso dello stomaco col peso del corpo è quasi uguale a metà di quello degli erbivori e dei granivori, ed il rapporto del peso dell’intestino e del peso del corpo alquanto maggiore di quello dei granivori e quasi metà di quello degli erbivori. Negli uccelli granivori il rapporto fra il peso dello stomaco ed il peso del corpo è uguale a metà di quello degli erbivori e alquanto maggiore di quello dei carnivori, il rapporto fra il peso dell’intestino e quello del corpo è quasi !/, di quello degli erbivori e alquanto minore di quello dei carnivori. Gli uccelli erbivori nutrendosi di cibi difficilmente digeribili hanno uno stomaco molto muscoloso ed un intestino molto sviluppato. Infatti il rapporto del peso dello stomaco col peso del corpo è quasi triplo di quello dei carnivori e doppio di quello dei granivori. Il rapporto poi tra il peso dell’ intestino ed il peso del corpo è ARI doppio di quello dei carnivori e triplo di quello dei granivori. i Ca Dott. P. CELESIA, Redattore responsabile. Stabilimento Tipo-litografico Romeo Longatti — Como, i RIVISTA ITALIANA DI SOCIOLOGIA i Consiglio Direttivo : n A. BOSCO - S. COGNETTI DE MARTIIS - V. TANGORRA _G. CAVAGLIERI - G. SERGI - E. E. TEDESCHI La Rivista italiana di sociologia esce in Roma ogni due mesi, in | grossi fascicoli di almeno 140 pagine, in-8 grande, di fitta composizione. i Ogni numero contiene: 1) articoli originali; 2) note e comunicazioni; 3) rassegna delle pubblicazioni italiane è straniere; 4) cronaca di notizie at- timenti agli studi sociali. ABBONAMENTO ANNUO Per sa L. 10.— Per gli Stati dell’Unione postale Fr. 15.— Un fascicolo separato Lire 2. Direzione e Amministrazione della Rivista Italiana di Sociologia VIA NAZIONALE, 200 — ROMA Recentissime pubblicazioni : PAOLA LOMBROSO Il Problema della Felicità Un volume in-16 L. 3. - Legato elegantemente L. 4. CS, SANTE DE-SANCTIS I SOGN I Studi psicologici e clinici di un Alienista (con 3 figure ed una tavola) Un volume in-16 L. 5. - Elegantemente legato in tela con fregi L. 6. LINO FERRIANI DELINQUENZA PRECOCE E SENILE con lettera di C. Lombroso Elegante volume di 500 pagine. Editore V. OMARINI - Como. oni | del tempo da Virgilio a ai di nostri Collaboratori : E: HAECKEL- E. HERING. - i ORICHRD, R. WIEDERSHERIM - CATTANEO - ‘F. DELPINO - ©. EMERY - G. FANO . LOMBROSO - Li LUCLANI - E. MORSELLI - A. MOSSO 5 ROMITI - G. SEI F. TODARO - T. VIGN OLI | Redattore: Dott. PAOLO CELESIA so mn A r I CO (en 3 37 di nel ne) E << i lun Pag. 161 Ti Pea rG C. FERRARI » 199 S: RT È .-P. Soxsino PERI | RASSEGN A ‘BIOLOGICA È RE SIE Sopra: i nodi delle graminacee. - Foster: Necessità di studiare il IDO. di vista evoluzionistico. - Vertheimer: Regolazione del ritmo del cuore. - Caselli : + ( i dola. Dinuitaria» - Bichel: Fisiologia del midollo spinale della rana. - Bicke! : E: Ritmo e. lavoro. - = Vaschide : A vitali in un pegno anencefalo. DELLA EVOLUZIONE. — Fuld: Miificanoni adattative nello scheletro degli pe I FICA degli Ar Copiate Ri TELLI BOCCA EDITORI i Torino- AanO= Firenze, Roma Amministrazione della Rivist | °‘’(VP@RATELLI BOCCA Seat sli Torino, Via Carlo Alber di LI Biotogia pensanti (SOR fascicoli durati di al costituendo nell'annata un volume di complessive 1000 pa- | occorrano, con i illustrazioni e dei a 0 per V. RNA ie si 3 pi Stati dell Unione Postale w Si E per elia BI e Lao e RR pazo di ciascun fasooolo semplice è di L=" — Ra j opt ( a FRATELLI BOCCA, - LI, AE RA. V7 RIN ii o Hai 100 ani ‘con a asta Chi tinungia e nvece retribuito in ragione di L. 70 e DEE. di soia i varie zconnineiceonea comes azione cor encapenanzo ner aniinioiareos svetezaeneenie | Cesare Lombroso no CRI M EB | Causes et remèdes. | ca i Lai numerose fig. e 10 tav. Li 10. - — dit. Somneron 2inada 15.0 e Saint P. ablicata a Sabcioli | coli. - Edit." “Società — MAY 3 1901 RIVISTA DI BIOLOGIA GENERALE redatta da P. CELESEA (ANNO III MARZO 1901 Von. III) Dell'organo uditivo Comunicazione letta alla Società Accademica di Friburgo il 27 Novembre e 11 Dicembre 1899 ?). Gli apparecchi dei sensi sono ordigni che ricevono una speciale maniera di stimoli esterni, li trasmettono all’ organo centrale, ossia al cervello, e qui svegliando una sensazione, li portano alla coscienza. Gli organi dei sensi sono dunque i mediatori che mettono lo spirito in relazione col mondo esterno. Da essi derivano i primi impulsi allo sviluppo intellettuale : essi stimolano lo spirito, lo arricchiscono di sensazioni e concetti: in breve essi formano la via all’ anima: poichè « nihil est in intellectu, quod non prius fuerit in sensu ». Da lungo tempo si è soliti dividere gli organi sensorî in due ordini : inferiore e superiore. Ai primi si ascrivono quelli del senso tattile nel suo più ampio significato ; inquantochè questo senso ci fornisce sensazioni di pressione e temperatura, vale a dire ci rag- guaglia sopra oggetti che vengono in contatto più o meno intimo col nostro corpo. Gli organi sensorì superiori, che nei vertebrati sono costante- mente situati nella regione cefalica, comprendono i gustativi, gli olfattori, uditivi e visivi; e sebbene sembrino distinguersi nettamente dagli apparecchi sensorì di ordine inferiore, pure anch’ essi dànno a conoscere di essersi primitivamente evoluti nella storia filogenetica da apparecchi sensorî tegumentali, per raggiungere solo più tardi quell’ elevatezza di struttura che riscontriamo nell’ occhio. Questo ultimo, come bene osservava Helmholtz, costituisce sempre il dono più prezioso e il più mirabile prodotto delle forze naturali formatrici. Lo hanno decantato i poeti, gli oratori lo hanno esaltato ; i filosofi lo hanno vantato come la misura della capacità produttiva delle forze organiche, ed i fisici han cercato di imitarlo, come il 1) Per la esecuzione della massima parte dei disegni sono legato alla cor- tesia della mia diligente collaboratrice, signora dottoressa Tilde Gruber, come pure alla signorina Elisabetta Schonleber. Ritengo doveroso esprimere a queste signore la mia viva riconoscenza. RIv. DI BIOLOGIA GENERALE, III. I 162 R. WIEDERSHEIM modello insuperabile di uno strumento ottico. Certo un’ammirazione entusiastica di quest’ organo è nel fatto pienamente giustificata, quando si considerino i servigi ch’esso rende, la sua potenza di penetrare lo spazio, e la prontezza con cui permette la successione di immagini mirabili per colore e per la varietà di vedute che ci apporta. L'universo incommensurabile stellato ci è rivelato soltanto dagli occhi: gli occhi soltanto ci rendono accessibili le lontananze dei paesaggi terrestri, e in essi le sfumature della luce solare, la ricchezza delle forme e dei colori delle. piante, i movimenti aggra- ziati od energici della vita animale. La perdita degli occhi ci sembra perciò la più terribile dopo quella della vita. In confronto a questa straordinaria attitudine dell’ occhio a rive- larci gli spazî dell’universo come i più minuti caratteri microscopici, gli altri apparecchi nervosi devono sembrare vassalli del cervello incomparabilmente più modesti. Pei sensi tattile, gustativo ed olfat- torio ciò è evidente; ma anche le attività dell’ organo uditivo sono comprese tra limiti piuttosto ristretti. Ciò nonostante esso merita un posto accanto all’ occhio, essendo l'apparecchio uditivo il più elevato per dignità funzionale dopo il visivo. Mediante il senso uditivo noi percepiamo le vibrazioni dei corpi solidi, liquidi ed aeriformi, le quali colpiscono 1’ orecchio. Col suo mezzo noi avvertiamo non solo ciò che avviene nella nostra vici- nanza immediata, ma ancora ciò che succede da lontano. E quale nuovo e vasto mondo ci si rivela dalle deboli stridulazioni degli insetti, dal mormorare, gemere e sibilare del vento, dal mormorio dell’ acqua, dallo strepito dei carri, dall’ acuto fischio della locomo- tiva e dalle cannonate delle battaglie sterminatrici alle delicatissime note di un’Adelina Patti e di un Joachim, fino alle « Freude schòner Gotterfunken », che nella nona sinfonia di Beethoven fanno vibrare le corde più profonde dell’ animo umano ! Ed ora da questo mondo di incanti torniamo sul terreno della investigazione positiva. | Come sopra ho accennato, si hanno prove che gli organi dei sensi più alti sono derivati dagli inferiori; ma prima che io ve ne adduca la dimostrazione, debbo esporvene a gran tratti la storia evolutiva. Anzitutto si deve notare che in un certo stadio di svi- luppo, si distinguono nel corpo animale tre strati composti di cel- lule, i cosidetti « foglietti germinativi », uno esterno, uno medio ed uno interno (ecto-, meso- ed endoderma). Ognuno di questi partecipa in modo definito, tipico, alla composizione dei singoli organi © sistemi organici. Così, ad es., dal foglietto interno derivano il rive- stimento cellulare del canale intestinale e gli organi annessi del- DELL'ORGANO UDITIVO 165 l’ intestino, come le ghiandole epatiche, le ghiandole salivari addo- minali e l’intero rivestimento dei polmoni; dal foglietto mediano la impalcatura di sostegno del corpo, come ossa, cartilagini, tessuti connettivi, l’intiero sistema vascolare sanguigno, i reni e molti altri organi che qui non si possono tutti enumerare. Il foglietto esterno costituisce la matrice per tutto lo strato esterno della pelle, pel cervello, midollo spinale, sistema nervoso periferico, e per gli elementi recettivi specifici degli organi dei sensi. Per queste ragioni il foglietto germinativo esterno fu anche denominato « foglietto cutaneo-sensorio » (Hautsinnesblatt). Da esso trae origine anche l’ organo uditivo, e qui vi prego di non pensare a ciò che si è soliti denominare « orecchio » nella vita giornaliera, sotto il qual nome volgarmente si comprende la conca auricolare e fors’anco il condotto uditivo esterno. Più tardi vi dimostrerò che quest’ultimo è un organo la cui formazione filogenetica è piuttosto tardiva, e che inoltre nell’ uomo esso compie un ufficio fisiologico molto secondario. Si tratta invece di una formazione ben diversa e più importante, della quale vi intratterrò dopo aver descritto la struttura dell’organo uditivo negli invertebrati. Naturalmente anche queste parti dell’organo uditivo si originano dal foglietto germinativo esterno; e noi potremmo. aspettarci di trovare qui una struttura ben più semplice che quella degli animali superiori e dell’uomo. Ma qui pure ci s’affaccia la meravigliosa unità di piano fondamentale, inquantochè troviamo delle disposizioni che permettono sotto certi aspetti un confronto con forme più alte e colle altissime. Parrebbe quasi che la natura abbia una sola volta prodotto un capolavoro come l’ organo uditivo e l'organo visivo, per non far altro in seguito che variarlo, mantenendo rigidamente salda la forma fondamentale, così come ad un compositore riesce una sola volta un primo e grande abbozzo, un leitmotiv, il quale poi ricom- pare nelle forme più svariate. Con ciò non si vuol dire che le condizioni riscontrate negli inver- tebrati abbiano a perpetuarsi nel ceppo dei vertebrati. Poichè la natura può risolvere il medesimo problema cogli stessi mezzi in modi diversissimi. Ed invero essa ha sciolto in guise diverse il grande problema del volo in ben quattro classi zoologiche: nei pesci, rettili, uccelli e mammiferi. Rimane però sempre degno di nota il fatto che tanto negli invertebrati che nei vertebrati il primo abbozzo dell’ apparecchio uditivo si forma da una invaginazione del tegumento esterno (Fig. 1), la quale in seguito si separa dalla super- ficie, come una piccola cavità vescicolare ; che inoltre in ambo i casì nell’interno della vescichetta contenente un liquido speciale si incon- trano piccole concrezioni o formazioni cristalline di sostanza inor- 164 R. WIEDERSHEIM ganica, i cosidetti otoliti. Le cellule periferiche sono munite di pro- lungamenti, come peli o setole, i quali stanno in contatto colle masse cristalline centrali, vale dire le tengono sospese. Siccome poi la vescicola è connessa per mezzo di un nervo all’ organo cen- trale, 1 animale viene ad essere continuamente avvertito dei cam- biamenti di posi- zione dei cristal- lini. (Fig 2). Organi di que- sto tipo si incon- trano già in ani- mali molto bassi, SR Fig. to — In vasinazione quod Mace da cui sì forma a Soeezta come ad es. in uditiva. Schema. Le lettere A-D indicano i quattro stadii evolu- faeyr tivi della fossetta ancora aperta fino alla completa separazione certe meduse, € della vescicola uditiva primordiale. Nel fondo di quest’ ultima vi sono distribuiti (D) scorgesi l’ epitelio sensorio ($) ispessito munito di peli. Fig. 2. — Rappresentazione schematica dell’ or- gano uditivo degli invertebrati. Z, cellule sensorie portanti dei peli alla loro superficie libera. Nell’ interno sì trovano le masse oto- litiche. N, nervo acustico; Ms, masse avvol- genti mesodermatiche. sul margine della cosidetta ombrella. Si trovano anche nella regione cefalica dei vermi, e negli artropodi, ad es. nei crostacei, ora sono racchiusi nell’ articolo basale dei palpi interni, ora entro le lamelle in- terne della paletta caudale, od anche aperti esternamente verso I acqua. Nei ragni si trovano delle for- mazioni che furono interpretate come organi uditivi, nei piedi e palpi, ove si trovano setole sottili composte di esilissimi peli, cui si distribuiscono fibrille ner- vose. Vi si osservano pure, al margine posteriore dell’ ultimo articolo del primo paio di arti, vescicole uditive con otoliti. Per gli insetti la funzione uditiva DELL’ ORGANO UDITIVO 165 fu ascritta ad organi disparatissimi, i relativi organi trovandosi ora sopra le ali, ora sulle gambe o ai lati del corpo. Tra gli invertebrati sono i molluschi quelli in cui furono scoperti per la prima volta gli organi uditivi, fra i lamellibranchi essi si trovano nella regione pediale, nelle lumache parte nel piede e parte nelle regioni frontali laterali. Nei molluschi più alti, nei cefalopodi, le vescicole uditive vengono a giacere nell’interno della cartilagine cefalica. Ci chiediamo ora se gli organi sopradescritti nella serie degli invertebrati siano veri organi uditivi. Numerosi esperimenti hanno dimostrato che il più delle volte non sono tali, ma nella grandissima maggioranza trattasi invece di apparecchi che servono a mantenere 1’ equilibrio, a regolare i movi- menti e la posizione. L'organo dell’equilibrio adunque precede nella filoge- nesi organo uditivo, ed evidentemente possiede in tale stadio una impor- tanza ben maggiore per Vanimale: una conclusione questa di impor- tanza fondamentale, che è valida come vedremo, anche per lo svi- luppo ontogenetico e filogenetico dei vertebrati: poichè anche in questi noi potremo constatare i più intimi rapporti di posizione tra organi di equilibrio ed organi uditivi. Se nella filogenesi degli invertebrati si formano primamente soltanto organi di orientazione, le indagini dimostrano che più tardi vi si formano anche degli organi uditivi. Ciò ‘è assodato pei crostacei più elevati. Basta far risuonare una campana vicino ad un acquario in cui si muovono agilmente dei granchi per vederli tutto ad un tratto arrestarsi. Ancora più squisitamente reagiscono certi decapodi, ad es. il Palaemon (Crevette), al minimo rumore, al punto da saltare qualche volta fuori dell’acquario, mentre non si agitano affatto per uno scuotimento non sonoro impresso al recipiente. Non si dimentichi però che un Palaemon, a cui siansi sottratti gli otoliti, perde ogni costanza di direzione e si mostra completamente disorientato. Questo proverebbe che l’ organo in questione non è un semplice apparecchio uditivo, ma anche di orientazione. Più tardi tornerò a parlare della facoltà uditiva del gambero. n Riguardo ai ragni i pareri son divisi: gli uni negano ad essi qualsiasi facoltà uditiva, mentre altri attribuiscono loro una stra- ordinaria finezza di udito. La facoltà che hanno molti insetti di produrre suoni ha indotto a sospettare ch’essi per la maggior parte siano anche dotati di qualità uditive. Però le osservazioni e gli esperimenti non sono favorevoli a questa congettura. Ad eccezione degli ortotteri, gli insetti sembrano sordi per la maggior parte dei suoni. Ciò per altro non esclude che gli insetti possano percepire 166 R. WIEDERSHEIM certi suoni che il nostro apparecchio uditivo non può raccogliere. Tale questione richiede indagini ulteriori. Ora che ci siamo fatta un’ idea delle condizioni offerte dagli inver- tebrati, ci rivolgeremo ad investigare la origine e la struttura del- l’organo uditivo nei vertebrati e specialmente nell’uomo. Il primo fatto che incontriamo qui è una invaginazione bilaterale simmetrica della pelle ai limiti fra cervello medio e posteriore. Questa « fossetta uditiva primordiale » si origina per 1 uomo nella terza settimana della vita embrio- nale, per il pulcino già al secondo giorno, e pel coniglio al quindicesimo giorno. La fossetta, mentre va sempre più approfondandosi, sì circonda di tessuto mesodermatico, e da ultimo si separa . dalla sua matrice, il foglietto germinativo esterno, per entrare nel secondo stadio : della « vescicola uditiva primordiale ». Quest’ ultima ha uno spessore di circa mezzo millimetro e giace tra il quinto e il decimo nervo (Nervus trigeminus Fig. 3. — Embrione umano di tre è vagus). A questo punto il rivesti- RR e mento epiteliale derivato dall’ectoder- SE Te ima si ispessisce a formare un epitelio (| 2 Fig. 4 e 5. — Sezione trasversa del capo di unembrione umano lungo 2,15 mm. A sini- stra di chi guarda la fossetoa uditiva HG non è ancora collegata coll’ organo cen- trale, ossia col cervello KH, Allato destro la connessione si è già stabilita mediante il nervo GN. Ch, Ohorda dorsalis; Ph. farinee; BI. vasi sanzuigni: GB, Vescicola uditiva: RL. Pecessus labyrinthi ; BA, Bulbus arteriosus. - DELL’ ORGANO UDITIVO 167 di senso e viene bagnato da un liquido che riempie la cavità della vescichetta, la cosidetta endolinfa. La vescichetta da principio sferica, viene più tardi ad assumere una forma a pera o cla- vata, e si divide in una parte superiore più piccola ed una inferiore più grande. La prima si denomina Recessus laby- rinthi !) ovvero DuctusTendolymphaticus, mentre la parte inferiore ammette una ulteriore divisione in due regioni: su- periore (utriculus) ed inferiore (sac- culus). Queste due regioni dapprima comu- nicano per un’ampia via che dicesi Canalis utriculo- saccularis. Più tardi tale comu- nicazione scom- pare e nei mam- miferi viene so- stituita da una comunicazione indiretta, in guisa tale che I’ Utricu- lus ed il Sacculus non sono più col- legati tra loro che per mezzo del Ductus endolym- phaticus, il quale alla sua imboc- catura si divide in due rami (Cfr. Fig. 6.— Differenziamento della ve- scicola uditiva in vtriculus (U) e sacculus (S), dal quale ultimo più tardi si formala chiocciola (Co); + Canalis utriculo-saccularis aper- to; RL, recessus labyrinthi. Fig. 7. — Embrione umano di 5 settimane, secondo W. His. fig. 12, Se 14). GB, vescicola uditiva già approfondatasi; OF, zona delle pie- , : ghe auricolari; OH, zona dei rilievi auricolari; A, occhio; OK, L apparecchio processo della mascella superiore; OE ed UE, estremità supe- DE È 5 : Ttiore ed inferiore. uditivo in via di continuo progressivo differenziamento e complicazione di sviluppo, 1) Secondo ogni verosimiglianza il /tecessus labyrinthi corrisponde all’avanzo del primitivo peduncolo per cui la vescicola uditiva collegavasi all’ ectoderma. Il che per altro non è sempre direttamente riconoscibile a causa di una trasposizione avvenuta nei processi ontogeneteci rispetto ai filogeneteci. 168 R. WIEDERSHEIM va approffondandosi sempre più nella parete cefalica, entra in con- nessione col Nervus acusticus e finalmente, come indicano le fig. T e 10, viene a giacere in prossimità delle prime tasche branchiali, ossia in quella regione ove più tardi si origina 1’ orecchio mediano si = = Ta = == = TITO] ne. - ___ —— - z = SEE un 3 === = - . pene cente fis ioni Te _ i Cr asa — n —_ —_ — pt — osti = Geog = Dco Fig. 8. — Sezione trasversa del capo di un tel embrione di pecora. U, utriculus; S, sacculus; RL, recessus labyrinthi; Deco, ductus cochle- aris; VB, canale semicircolare anteriore; Geo, ganglio cocleare; GH, cervello; Ph. faringe. RL Fig. 9. — Labirinto cutaneo del lato sinistro (che fa la sua prima comparsa nella serie degli anfibii) coi suoi annessi: la Tuba Eustacchi e le Cellulae mastoideae. Nella fig. 7 sì può osservare sotto alla ve- scicola uditiva una doppia serie di rilievi annulari in prossimità della prima tasca branchiale, ed un rigonfiamento che dorsal- mente tutti li circonda, rilievi dei quali per ora dirò soltanto che da essi più tardi deriva la conca auricolare che poi ver- remo a descrivere. AI vero e proprio apparato di senso primamente formato si aggiunge secondariamente tutta una série di organi ausiliarii per cui le tre parti dell’ or- gano uditivo divengono straor- dinariamente diverse dal punto di vista genetico e funzio- nale. Tornando ai destini ulte- riori della vescicola uditiva osserverò che nella parte de- nominata utriculus non tar- dano a comparire éscrescenze a mo’ di piega, o di tasca, semicircolari, da cui deri- vano i canali semicircolari, uno anteriore, uno poste- riore ed uno interno. Ognuno ; di questi ha principio nel- a un modello in cera). VB, HB, AB, canale semi- circolare anteriore, posteriore ed esterno. Il ca- nale semicircolare anteriore colla sua ampolla Ap, si origina insieme al canale semicircolare posteriore (di più tardiva formazione) da una co- mune piega discoidale. Apt, ampolla del canale semicircolare posteriore, non per anco perforato. Neanche il canale semicircolare posteriore è an- cora perforato; BC, commessura arcuata in via di formazione; Dco, Ductus cochearis; RL, Re- cessus labyrinthi. l’utriculus con un allarga- mento a mo’ di ampolla, e due di essi, l'anteriore e il posteriore, concorrono nella cosidetta commessura ar- cuata, mentre il canale se- DELL’ micircolare esterno pos- siede una seconda imboc- catura indipendente nel- V utriculus. L’utriculus, per la parte che non viene adibita alla formazione dei canali se- micircolari, persiste come «resto dell’ utriculus» e Recessus utriculi. Per quanto poi concerne il sacculus, dalla sua massa principale si sviluppa la chiocciola (Cochlea) e la parte restante costituisce il residuo del sacculus. Così nelle ampolle come nei resti dell’ utriculus e del sacculus si trovano espansioni di epitelii sen- sorii, i quali nelle ampolle sono disposti a rilievi, e ORGANO UDITIVO 169 Fig. 10. — Sezione trasversa della testa di un embrione di pecora. Le zone cartilaginee già formate nel cera- nio non sono disegnate. nei resti dell’ utriculus e VB ed AB, canale semicircolare anteriore ed esterno; del sacculus in espansioni pianeggianti. Si chiamano perciò cristae 0 maculae acusticae. Ora mentre le cel- lule sensorie della crista si immergono colla estremità libera nella endolinfa, quelle della macula sono coperte di una sostanza bianca omo- genea (nubecula), nella quale sono sospesi innumerevoli cristallini di calce. Per que- sta ragione i resti dell’ utri- culus e del sacculus prendono anche il nome di « sacchetti degli otoliti ». Tutte le strutture ora de- scritte derivanti dalla vesci- cola uditiva primordiale si indicano complessivamente colla denominazione di labi- rinto membranaceo: però è da osservare che malgrado la unità organica, dal punto U, utriculus; S, sacculus; RL, recessus labyrinthi; Deo, ductus cochlearis; Gco, ganglion cochleare ; GH, cervello; Fa, nervus facialis; St, stapes; M, mal- ie; MA, meatus auditorius externus; T, tuba aul- ditus. Fig. 11. — Labirinto cutaneo dei vertebrati (Fig. semi schematica). VB, HB, AB, canale semicircolare anteriore, posteriore ed esterno; BC, commessura arcuata; Ap, Apt ed Ape le tre ampolle. U, utriculus ; S, sacculus;:X, canalis utriculo saccularis; 1, lagena; RL, recessus labyrinthi. 170 R. WIEDERSHEKIM di vista fisiologico si tratta di un apparecchio doppio, inquantochè tutte le formazioni derivate dall’ utriculus colle loro terminazioni nervose servono come organi di controllo per 1’ equilibrio, mentre la facoltà uditiva (analisi dei suoni) è collegata alla presenza della chiocciola, un fatto sul quale avremo occasione di ritornare in seguito. VB Fig. 12. — Organo uditivo cutaneo. Schema. MM, maculae ucusticae : A, cristae acusticae; RL, recessus labyrinthi, connesso all’ utriculus ed al sacculus per mezzo di due rami +; Dre, ductus reuniens; Co. organon Corti. Per le altre settere vedi Fig. 11. La fig. 12 rappresenta la distribuzione dei nervi acustici nel ter- ritorio del labirinto uditivo cutaneo: e siccome tutto risulta chiaro dalla figura stessa, io mi asterrò dal farne una descrizione. Per quanto concerne la forma della chiocciola nei pesci, essa è ancora molto semplice e non vi è rappresentata di solito che da una eminenza appena accennata del sacculus, la quale si denomina lagena. La terminazione nervosa corrispondente dicesi papilla acustica lage- nae ed è coperta di una membrana otolitica. Negli anfibii ad essa si aggiunge nella sua regione basale una seconda terminazione nervosa più piccola (papilla acustica basilaris), che è già sviluppata nella Rana. Nei coccodrilli e negli uccelli il Ductus cochlearis ha già una discreta lunghezza e la papilla busilaris, di cui avremo a parlare più DELL’ ORGANO UDITIVO gi tardi, cresce a formare la papilla spiralis. Condizioni simili eci sono offerte anche dai monotremi. Solo negli altri mammiferi la papilla lagenae è definitivamente scomparsa, e la papilla spiralis prende un notevole sviluppo nella chiocciola dalle spire elicoidali. Nell’ uomo la chiocciola presenta già nella ottava settimana di vita embrionale il primo giro di spira, e già nella 11-12 settimana è completamente sviluppata con 2‘/,-2/, giri di spira. Fig. 13. — Labirinto cutaneo dell’uomo coi relativi nervi (secondo G. Retziu s). U, tri culus:; S, sacculus:; RL, recessus labyrinthi coi due rami di origine «4 e +44; VB, HB, ed AB, canale semicircolare anteriore, posteriore ed esterno colle relative ampolle Ap, Apt ed Apà; BC, commessura arcuata; Dre, ductus reuniens; Deo, ductus cochlearis ; KS, il cosidetto sacco cieco Kup pel della chiocciola; Fa, nervus fucialis giacente sopra il nervus acusticus Ac: Rsa, ramus saccularis del nervo acustico; Rco, ramus cochlearis del medesimo. Prima di addentrarci ulteriormente nei rapporti di struttura e di funzione della chiocciola, dobbiamo accennare a certi processi evolu- tivi, i quali durante lo sviluppo si compiono in prossimità del labi- rinto cutaneo. Già dicemmo che il labirinto cutaneo durante il suo differenzia- mento va sempre più approfondandosi nel tessuto mesodermatico della base del cranio e quindi si porta vicino all’ orecchio mediano. Da principio tra il labirinto cutaneo e i tessuti mesodermatici che lo cireondano v’ ha soltanto una immediata contiguità, ma più tardi tra i due si vien formando una zona di riassorbimento. Ne trae ori- 172 R. WIEDERSHEIM gine una cavità la quale nella sua forma ripete esattamente il labirinto cutaneo, alla stesso modo che la ripete il tessuto mesoder- matico periferico che più tardi si fa cartilagineo e poi osseo. Si possono dunque ora distinguere un labirinto cu- taneo ed un labi- rinto osseo e tra i due una cavità riempita di un liquido linfatico se (cavum perilym- 2a N phaticum). Lo spa- zie interstiziale 40M i-del labirinto cu- taneo contenente un liquido si chia- ma cavum endo- lymphaticum. Le due cavità comu- nicano col sistema linfatico del ca- vum crani per Fig. 14. — Organo uditivo dell’uomo. (Fig. ole nr DU pa- Mezzo di canali diglione auricolare; MA, meatus auditorius externus ; ) mem- + c brana tympani; Ct, cavum tympani con gli ossicula auditus : tubulari ( ductus St, stapes ; I, incudine ed M, martello; T, tuba, Ph, faringe, S endolymphaticus ed U, sacculus ed utriculus; RL. recessus labyrinthi che viene s in contatto colla dura madre, VB ed AB, canale semicircolare et ductus perilym- anteriore ed esterno; Pl cavum perilymphaticum; + entrata al A ' ductus perilymphaticus (aquaeductus cochleae,; «> membrana phaticus Swe a- thympani secundaria : Dco, duetus cochlearis; GH, cervello; iva) ti Ac, nervus acusticus. quaeductus vesti- | buli et cochleae). Non è questo il caso di descrivere tutti i particolari della minuta struttura del labirinto cutaneo. Io perciò lascio da parte la descri- zione degli organi che si dipartono dall’ utriculus, come i canali semicircolari e le loro terminazioni nervose ampollari. Anche riguardo all’ orecchio mediano mi limiterò più tardi a riferire quanto basti per la intelligenza del suo modo di funzionare. Per contro mi soffer- merò a descrivere un po’ diffusamente il nocciolo di tutto l’apparato uditivo, ossia la fine struttura della chiocciola. Nella regione del sacculus da cui sopra dicemmo derivare come formazione principale la chiocciola, le masse ossee ricoprenti for- mano un’asse osseo. Attorno a questo si avvolge in giri elicoidali una lamella ossea (lamina spiralis ossea) la quale si origina nel lume della chiocciola, senza per altro raggiungere direttamente la parte DELL’ ORGANO UDITIVO 175 opposta. Essa invece si prolunga in due lamelle lateralmente diver- genti che vengono contraddistinte col nome di lamina basilaris e lamina vestibularis (membrana Reissneri). Questi due foglietti non sono altro che le pareti lateralmente comprese del canale della chioc- ciola originariamente rotondo e cutaneo, il quale viene lateralmente a completarsi con una sezione della chiocciola ossea (cfr. fig. 15). A rigor dei termini si tratta di una sezione connettivale ispessita del canale cutaneo della chiocciola il quale si è fuso intimamente col periostio del canale osseo della chiocciola (ligamentum spirale). La chiocciola cutanea che nella sezione apparisce approssimativamente triangolare si chiama anche duetus cochlearis o scala media. L’ ultimo nome si deve a ciò che siccome la chiocciola cutanea non riempie Rco Fig. 15. — Sezione verticale della chiocciola di un mammifero. Nella parte supe- riore è disegnato l’ asse della chiocciola Ax, Ax; nella parte mediana ed inferiore sì scorgono invece i nervi della chiocciola Reo che ne attraversano l’asse. LS.lamina spiralis ossea nel cni asse si scorge a sinistra la lamina basilaris Lb; Lv, lamina vestibularis s. Reissneri; Deo ductus cochlearis (chioc- ciola cutanea); Sv, scala vestibuli ; St, scala tympani. completamente il lume della chiocciola ossea, rimangono ancora liberi due spazii detti scala vestibuli e scala tympani. Entrambi appartengono al già menzionato sistema perilinfatico, e seguendo nel suo decorso la scala media, comunicano tra loro al disopra della estremità cieca della medesima, ossia sopra la cupula terminalis (helicotrema). Presso la cavità timpanica la scala vestibuli viene ad 174 R. WIEDERSHEIM essere imprigionata da quell’ articolo della catena di ossicini uditivi che attraversa la fenestra ovalis, ossia dalla staffa (stapes), mentre la scala tympani viene avvolta nella membrana tympani secundaria che occlude la fenestra rotunda. Tutto questo risulta evidente dalla figura 14. La lamina spiralis ossea consta di due foglietti, e nello spazio compreso tra i due foglietti le fibre nel nervo acustico decorrenti nell’asse della chiocciola si piegano lateralmente. Le fibre escono al margine libero della lamina spiralis ossea e sopra la faccia interna della lamina basilaris si sfrangiano, si dividono nelle loro fibrille terminali. Queste si connettono alle cellule sensorie munite di peli, e sono tese tra le cellule di sostegno e le cellule isolanti (Bacill), in modo tale che si possono distinguere cellule ciliate esterne e cellule interne. Esse mediante la loro appendice capillare attraver- sano una specie di membrana a maglia (membrana reticularis) risul- tante dal concorso delle estremità superiori libere dei bacilli e le cosidette cellule di sostegno di Deiters. Sopra le sottili estremità delle cellule sensorie si stende una particolare formazione molle e quasi gelatinosa, la cosidetta membrana tectoria, la quale sorge dal margine libero (labium vestibulare) della membrana spiralis ossea, ed il cui compito fisiologico non è per anco determinato. Sotto certi aspetti essa può paragonarsi allo strato molle sopra nominato in cui sono disposti gli otoliti delle maculae acusticae. La membrana basale consta in tutta la sua estensione di fibre chiare, filiformi, molto elastiche, di cui parleremo in seguito più a lungo trattando del- l'ufficio fisiologico dell’organo. Per ora basti osservare che si de- signa col nome di « organo del Corti » il complesso degli appa- recchi ora descritti caratteristici della chiocciola. (Fig. 16 e 17). Avendo così esaminati con sufficiente esattezza i caratteri ana- tomici dell’ orecchio interno, io mi volgo ora a trattare dell’ ufficio fisiologico dell'organo uditivo. Si distinguono anzitutto i rumori, i suoni musicali e le transi- zioni tra i due, le quali ne sono una mescolanza. Chiamiamo rumori il rapido succedersi di diverse sensazioni di suono ; vale a dire si tratta di un suono non prodotto da oscilla- zioni regolari. Invece il suono musicale è il prodotto di movimenti oscillatorî periodici del corpo risonante, che esso comunica all’aria o ad un altro corpo elastico qualsiasi. La fisica distingue inoltre la intensità e l altezza del suono, il timbro (Alangfarbe), il suono fondamentale e i suoni accessorî. Ma non vogliamo ora più oltre indugiarci sulla trattazione di questi punti, il che ci porterebbe troppo addentro nel campo dell’ acu- stica, e piuttosto ci occuperemo del meccanismo della trasmissione Ue) DELL’ ORGANO UDITIVO Questa si compie per mezzo dell’ orecchio esterno e Suoni. dei mediano. appresso, n hi, sul quale torneremo è ancora movibile, come un apparecch 1] Orecc degl ione gl i Il pad fimge negl 10 appunto la . in cui i l raccoglitore delle onde sonore non pr i anima li importanza : IVO € ò ‘apurds sna ‘ds A fapnurds unpuawnbi ‘dstq ‘ oquards ouOIZOIIP Ud 1Z.10) IP _OUCSIO [PU 0UO1ION9P 949 O80AT9U 2IqUY ofponb Ip esIoASCII QUOIZOS 8] 931008 IS_HS UIL 9090AU] ‘OSIOABVIZ OUOIZOIIP UO9 (HT) 001990 0AT9U [OP 91 O] oueSunpoad 18 jopuung è 01:2ds ot]oN ‘0guoweSUNTOTd 8 0[n][99 oT[B 08I0AVIZIO (ML) [PuumI è orzeds 0][09 oguetamaoo ‘Ton N Ip otzeds ‘N ‘Om[j9o o[[op QIe][idvo 088990Id Ep BIESIOAMIJIV ‘5242792704 VUDLQUIU “Ty {uo suo ip 0u599s0s8 Tp emu][o9 ++ ‘our9gso po owiogui ‘Tod tp ogrunui emI[?? 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Il condotto uditivo esterno che nel padiglione delle orecchie porta nell’interno, oltrechè pel suo ufficio di tubo sonoro ha im- portanza sopratutto come organo protettore del timpano. Lo fa sup- porre il suo decorso tortuoso, l’ esser fornito di peli e delle ghian- dole secernenti il cerume che invischia gli insetti e serve molto bene per la sua viscosità a trattenere qualsiasi corpo estraneo sulla via di penetrare. Un altro ufficio di quel condotto è quello di difen- dere l’ orecchio mediano ed interno contro gli sbalzi della tempe- ratura. Ma il canale uditorio esterno non è l’unica via per la conduzione dei suoni, perchè anche le ossa del cranio possono prendervi parte. Così, ad es., un diapason risuonante debolmenté non provoca più alcuna sensazione di suono posto dinnanzi all’ orecchio, mentre la produce ancora se tenuto contro i denti. E la sensazione così pro- dotta può ancora rin- forzarsi turando il ca- nale uditivo esterno, impedendo così il di- sperdersi del suono nell’aria. Per quanto riguarda poi l’orecchio mediano, questo è separato dal condotto uditivo ester- no mediante la mem- brana tympani. Essa è costituita di una pelli- cola spessa circa 4/0 PZ PZ i di mm., la°quale segue Fig. 17. — Membrana reticularis formata di cellule a esattamente le oscilla- olinenmento e celle di sostegno col forati 00€ zioni dell’aria senza IRON Eta favorire suoni di una determinata altezza. Le vibrazioni vengono trasmesse dalla mem- brana del timpano alla catena degli ossicini uditivi i quali oscillano come un tutto. I suoi movimenti vengono per così dire regolati o assicurati nella loro-giusta successione da due muscoli, fensor tym- pani e stapedius, dei quali il primo pei suoi rapporti coi*centri spetta al gruppo trigeminus ‘ed il secondo al ». facialis. Entrambi per la loro derivazione filogenetica sono da ascrivere ai muscoli viscerali | DELL’ ORGANO UDITIVO args (branchiali) (adductor mandibulae e constrictor profundus dei pesci). Questi muscoli si contraggono energicamente quando agiscono i suoni. Si tratta probabilmente di riflessi di cui gli stessi nervi acustici sarebbero i veicoli. La tromba auricolare è normalmente chiusa a tenuta di aria; però si apre quando si faccia una forte ispirazione e per ogni mo- vimento di deglutizione. Così vengono ad agguagliarsi le piccole differenze di pressione eventualmente esistenti nella cavità del timpano. Per mezzo della staffa le oscillazioni degli ossicini uditivi ven- gono trasmesse alla perilinfa e da qui all’ endolinfa. Fisiologia della chiocciola. L’ analisi dei suoni porta a supporre che nell’ orecchio interno si trovi un gran numero di risuonatori aggiustati a suoni diversi, i quali vengano stimolati quando alla endolinfa arrivino oscillazioni di una determinata frequenza. Ciascheduno di questi risuonatori stimola in qualche modo una fibrilla nervosa. La eccitazione così destata si propaga al cervello, ed ivi a seconda del nervo stimolato evoca questa o quella percezione di suono. Ci chiediamo fino a qual grado le strutture considerate come risuonatori dell’ orecchio interno bastino pel loro numero a spiegare il potere discriminativo dell’orecchio pei diversi suoni. Giusta un calcolo di Helmholtz 4200 risuonatori basterebbero per le sei ottave degli strumenti musicali, ossia 600 per ogni ottava; baste- rebbero ad ogni modo per rendere anche una differenza di piccole frazioni di mezzo tono. Si richiederebbero inoltre altri 300 risuo- natori pei suoni non impiegati in musica: dunque in tutto 4500 risuonatori. Dove mai sono da ricercare cotali risuonatori? Nei derivati del- l’utriculus, nei canali semicircolari, ecc., ovvero nella chiocciola ? Come già sopra notammo, solo in quest’ultima si debbono ricer- care, e specialmente in quella parte che abbiamo imparato a cono- scere come organo del Corti. Ora questo mostrasi costituito di cellule dalle forme svariatissime. Noi vi distinguiamo : Cellule isolanti (bacilli) } 5600 interne e 3850 esterne Cellule munite di peli. } 3500 interne e 12000 esterne inoltre 24000 fibrille nella membrana basilaris. Dapprima si credette i risuonatori fossero le cellule isolanti, ma quest'idea fu abbandonata dacchè si riconobbe che gli uccelli ed i rettili non possiedono alcuna di tali cellule nel loro organo uditivo. Riv. DI BIOLOGIA GENERALE, III. 12 178 R. WIEDERSHEIM Quando poi si scoprì che la membrana basilaris possiede una larghezza diversa nei diversi tratti della chiocciola, e quindi le sue fibre di lunghezza diversa erano paragonabili alle corde di lun- ghezza diversa di un’arpa, aggiustate a note diverse, si credette di trovare qui gli elementi risuonatori. Ma neanche questa ipotesi avendo trovato generale accoglienza, si pensò che elementi risuonatori potessero essere le cellule munite di peli. Questo rapporto ebbe una conferma dal fatto che i peli uditivi contenuti nella vescicola uditiva di certi crostacei (Mysîs) reagiscono vivamente ad ogni suono e che certi peli reagiscono più intensamente a suoni determinati. I peli uditivi sarebbero pertanto .da considerare come organi aggiustati. Tutto sommato, però, non sì può ancora stabilire con sicurezza quali siano gli organi da considerare come risuonatori; noi sappiamo soltanto che questi debbono ricercarsi nell’ organo del Corti. Tanto meno può determinarsi dove risiedano le singolari diffe- renze individuali per la distinzione e la giusta percezione dei sin- goli suoni, e su qual carattere strutturale sia fondata la differenza tra personè musicali e non musicali. Com’è noto esistono uomini che sono in grado di riconoscere con meravigliosa precisione 1’ al- tezza assoluta di un suono, senza adoperare un diapason di confronto. Questa facoltà si chiama udito assoluto. L’udito relativo che implica il confronto con altri suoni, può essere sviluppatissimo senza che l’individuo in questione possieda un udito assoluto, dal che parrebbe doversi conchiudere che l udito assoluto sia una facoltà congenita. Parla in favore di questa ipotesi il fatto che in taluni uomini, come Mozart, l’ udito assoluto si notò all’ età di 5 anni. i È anche da osservare che il timbro di un suono ha importanza per l’ udito assoluto; che molti uomini sanno distinguere l’ altezza assoluta di un suono soltanto per alcuni istrumenti musicali. In breve nella fisiologia dell’ udito restano ancora moltissimi problemi insoluti. Nozioni incomparabilmente più sicure noi possediamo sopra la funzione dei sacchetti otolitici connessi alla chiocciola e dai canali semicircolari. Anche ad essi fu attribuita da principio la funzione uditiva, e solo negli ultimi anni si è ammesso ch’ essi non devono avere relazione alcuna con un’ analisi dei suoni, ma ch’essi tutt? al più abbiano relazione colla percezione dei rumori. Dato anche che ciò fosse, questa loro funzione non sarebbe che una funzione ausi- liaria. Il compito principale di quest’ organo, secondo le concordi risul- tanze della esperimentazione fisiologica e clinica, consiste nel dare informazioni sopra la posizione e i cambiamenti di posizione della DELL’ ORGANO UDITIVO 179 testa e l’ orientamento del corpo nello spazio. Si tratta dunque di un mezzo ausiliario importante delle sensazioni visive e di moto. Sono per così dire organi del senso di equilibrio, i quali, per quanto concerne i canali semicircolari, hanno direzioni corrispondenti allo spazio a tre dimensioni. Le loro terminazioni nervose, come già fu notato, giaciono nelle cristae acusticae delle ampullae dove i peli uditivi sono liberamente immersi nell’ endolinfa che vi scorre per effetto dei movimenti della testa, e da quest’ endolinfa vengono direttamente stimolate. Per quanto riguarda le maculae acusticae gli otoliti vi oscillano in direzioni determinatissime le quali coincidono coi piani dei canali semicircolari. Si tratta dunque della produzione di sensazioni di pressione, le quali variano secondo il grado degli spostamenti di quei cristallini di calce. Per via riflessa si producono così anche rappresentazioni di mo- vimenti del capo rispetto alla verticale. In diverse specie di animali la distruzione del labirinto arreca diversi disturbi. I piccioni mo- strano una grande debolezza muscolare, perdono la possibilità di volare, torcono la testa e non sono più in grado di riconoscere la posizione del loro corpo. Nei conigli la estirpazione unilaterale del labirinto provoca una rotazione di tutto il corpo attorno all’ asse longitudinale verso il lato opposto. Cani che abbiano subita la estir- pazione bilaterale dei labirinti procedono con passo vacillante ecc. Anche le stimolazioni isolate dei singoli canali semicircolari han dimostrato : che i canali semicircolari subiscono la influenza dei movimenti del capo, e ciò secondo ogni verosimiglianza mediante le correnti che quei moti producono nella endolinfa; che inoltre dai canali semicircolari si originano dei riflessi che modificano in modo opportuno la posizione del capo e degli occhi. Ora che abbiamo appreso a distinguere nell’ organo uditivo un organo acustico e un organo di equilibrio, dovremo chiederci, con- siderando la complessità della struttura, come questa si sia svilup- pata nel corso della filogenesi ed a quali strutture più semplici essa possa ricondursi. In questi ultimi anni si è fatto un gran passo verso la soluzione di siffatto quesito, dacchè, muovendo dal fatto bene assodato che il primo abbozzo dell’ apparato uditivo e di tutte le cellule sensorie recettrici deriva dal tegumento esterno, si è fer- mato lo sguardo sopra gli organi sensorî cutanei. Si dà effettivamente un sistema di organi sensorî cutanei da considerarsi come specifici per gli animali acquatici, il quale, così per la sua genesi come pe’ suoi rapporti strutturali e per la identica origine centrale dei nervi, può con gran certezza considerarsi come la matrice comune da cui trassero origine 1’ organo di equilibrio e 180 R. \WIEDERSHEIM l’organo uditivo. Sono le cosidette eminenze nervose (« nerven- hiigel »). Non sappiamo esattamente qual sia la funzione di questi organi. Io li considero in primo luogo come un mezzo di orientazione nel- l’ambiente, come organi che ragguagliano l’animale sopra il minimo movimento suscitato nell'acqua. Non credo di errare considerandoli come organi aventi qualche funzione compensatoria rispetto agli altri. Quale sia il potere olfattorio dei pesci noi non sappiamo con certezza, ma in ogni caso non possiamo dal nostro organo olfattorio, la cui funzione è intimamente collegata alla respirazione, conchiu- NH GOL na ) O SS x : et: ©HNoo{@Ke]QlelsreroFareraIofeToIel®lo A SI V\ 3 ® fr i SR) | di, } Va È 4 TEA. Ò ERE. ros None hi ilo" rono10lva9150 14919 7 à — sica Pd ii " "A e I Hi . . COSI TPIE SCRPERRRTA a E, ; Fig. 18. — Schema della distribuzione dei monticulus nervosi sul capo dei beni vertebrati acquatici. L], prolungamento di esso sul tronco (« Linea lateralis »,; GO, posizione dell’organo uditivo. dere a quello di animali acquatici. Una cosa sola è certa, che il nostro organo olfattorio, ossia quello dei mammiferi, dovrebbe andar perduto in una vita acquatica. Ciò è provato dalle balene, dai cosidetti cetacei, i quali hanno perduto completamente l’ olfatto. Per quanto riguarda 1’ occhio dei pesci, la sua organizzazione è adattata sopratutto ad una vista a breve distanza, e ciò che finora si era soliti considerare come un organo uditivo, molto probabil- mente non merita questo nome, o solo in grado assai limitato, essendo sopratutto un organo di equilibrio. E perchè? Per la sem- plice ragione che nei pesci non esiste ancora una chiocciola, cui esclusivamente sappiamo esser collegate le sensazioni uditive; © quanto meno essa trovasi ancora in uno stadio completamente indif- ferenziato. Tutto sommato, ai pesci ed agli anfibi acquatici riman- DELL’ ORGANO UDITIVO 181 gono soltanto quegli organi sensorî cutanei quale mezzo di orienta- zione rispetto a processi che si compiono a maggiore distanza. La quasi certezza che l’ organo uditivo, ossia uno dei cosidetti organi di senso superiori, si può far derivare da organi di senso di ordine inferiore pertinenti alla regione tegumentale, riceve un con- siderevole appoggio anche dalla filogenia degli organi del gusto. Le cellule sensorie di questi somigliano formalmente molto alle cel- lule pelose dell’organo uditivo, e provano così direttamente che anche il suo sviluppo ha il suo punto di partenza nel tegumento, ed il suo abbozzo in un differenziamento secondario che tien dietro alla prima invaginazione del cavum oris; un processo che pel suo grande interesse meriterebbe uno svolgimento più ampio, se questo non ci allontanasse troppo dai limiti del nostro tema. JRE Avendo così assoggettato l’ orecchio interno e mediano ad. una esatta investigazione anatomica e fisiologica, dobbiamo ora occu- parci di quella parte dell’ orecchio esterno che si denomina padi- glione (concha). G. Schwalbe le ha dedicato da poco tempo una eccellente monografia, i cui risultati costituiranno il fondamento precipuo delle mie disquisizioni e disegni. . Se noi volgiamo uno sguardo ai pesci ed agli anfibi, ricono- sciamo che in essi non si dà nè un canale uditivo esterno, nè un padiglione auricolare. Che anzi nei pesci non esiste neppure ancora un timpano, e là dove questo compare nella serie degli anfibi, ad es. nella rana, esso rimane ancora proprio al livello della pelle esterna. Questo può dirsi ancora di molti rettili: però noi qui riscontriamo già forme presso le quali esso si approfondisce, e così formando gradualmente un condotto uditivo acquista una posizione meglio protetta. Questo può dirsi, ad es., degli ascaloboti, e più ancora dei coccodrilli, ove la piega cutanea circondante il timpano è già perfino sotto il controllo di muscoli, vale a dire ha già acquistata una certa mobilità. . Ben diverse sono le condizioni in certi uccelli, come, ad es., negli uccelli rapaci notturni: però con questa struttura dei sauropsidi il padiglione auricolare dei mammiferi non ha rapporto alcuno. La storia evolutiva dimostra ch’esso si forma da elementi fondamentali diversi, e raggiunge uno stadio ben più elevato, com- plicandosi con organi di sostegno cartilaginei comuni ad esso ed all’organo uditivo esterno. Siamo quindi forzati a supporre che il padiglione auricolare 182 1 R. WIEDERSHEIM rappresenta un acquisto relativamente tardivo, non anteriore alla serie dei mammiferi. Nell’Echidna il condotto udi- tivo cartilagineo e il padiglione Stanno in connessione continua con quella parte dell’ apparecchio degli archi branchiali che si de- nomina osso linguale ojoide; talchè vien naturale il pensare ad un’ origine branchiale, quale fu già riconosciuta per tutti e tre gli ossicini uditivi e per l’im- palcatura laringeo-tracheale. At- tendiamo dunque colla più viva aspettazione i risultati relativi a questo problema della storia evo- lutiva dei monotremi. Nei mammiferi superiori la storia evolutiva, a cagione della formazione tardiva degli organi di sostegno, non fornisce alcuna immagine fedele della filogenesi. Mentre nell’Echidna il padi- glione auricolare è ancora pia- Fig. 19. — Cranio di £ckidna veduto dal neggiante con superficie interna I IO M5 Sin piana, a partire dai marsupiali Ms, m. masseter; Ma, meatus auditorius ricompariscono delle eminenze, externus; Mt. membrana tympani:; Ps, pro- cessus styloideus; Tr, trachea; UK, ma- ” * i 1 scella inferiore. Il padiglione auricolare le quali nella Serle animale si è tagliato via. sviluppano man mano a formare quei rilievi tipici, che nella loro forma più spiccata, nell’ orecchio umano, furono confrontate a lavori d’incavo. Ma da quale causa dipendano cotali rilievi, e quale sia la loro reciproca omologia è ancora dubbia. Per rispetto alla loro storia evolutiva si è meglio orientati, inquantochè essi possono ricondursi ad un complesso di escrescenze che nell’ uomo si formano in vicinanza della prima tasca branchiale nel quinto mese di vita fetale; vale a dire nella vicinanza del pro- cesso della mascella inferiore, e della parte anteriore dell’ osso joideo 1). È perfettamente noto quali parti dei rilievi dei padiglioni 1) Tubercoli od escrescenze auricolari compariscono già nei rettili (tar- tarughe); ma siccome qui manca ogni traccia di padiglione auricolare, il significato loro rimane oscuro. Negli uccelli essi in parte concorrono alla DELL’ ORGANO UDITIVO 183 ‘derivino da quelle escrescenze e dalla regione del tegumento poste- riore e superiore ad essi; ma una descrizione minuta di questo vi riuscirebbe tediosa, avendo interesse solo pel biologo di professione. Mi limiterò solo a notare che già in questa prima epoca embrionale si possono distin- guere quelle due regioni che noi più tardi cono- sceremo come e- minenza aurico- lare e zona delle pieghe auricolari. Dalla fig. 21 e 22 si rileva con evidenza in qual modo le escre- secenze dapprima distinte vengano a costituire il si- stema caratteri- stico dei rilievi del padiglione au- ricolare umano. Si distingue dun- que una helix, anthelix, una helia ascendens, crus he- Fig. 20. — Teste di embrione umano, sul principio della 5° set- pina “timana. 1- 6, zona dei rilievi auricolari; F, zona delle pieghe licis, un tragus ed auricolari; OE, estremità superiore; GH, ‘cervello. un antitragus. Collo sviluppo ulteriore la piega auricolare si spinge all’ indietro ed ormai non vi si possono più distinguere che tre angoli nel suo margine acuto, e questi sono: 1) un angolo superiore od angolo al vertice, corrispondente alla cosidetta « punta di satiro » ; 2) uno posteriore, che si trova sull’ orlo posteriore e che corrisponde al « punticino di Darwin» da menzionare in seguito ; 3) un angolo inferiore e posteriore. e “je: © = uv mara 4 Ter <—-— — =Teze1 -— — «— => egorer — =. formazione del rigonfiamento auricolare. Anche ai cetacei manca il padiglione e così pure alla talpa. Soltanto qui i tubercoli auricolari che compariscono nel periodo embrionale risalgono senza dubbio al primitivo possesso di un padiglione auricolare, il quale nel corso dei tempi andò riducendosi per adattamento a speciali condizioni di vita. 184 R. WIEDERSHEIM Nel quarto mese di vita em- H as(3) brionale sulle faccie laterali della piega auricolare si sono formate 4-5 pieghe che sono interessanti, perchè corrispondono alle liste longitudinali dell’ orecchio di taluni mammiferi (porco, bue), e qui servono di sostegno al- l'orecchio sviluppato in modo singolare. Nell’ embrione umano di cin- que mesi esse'sono già cancellate (fig. 24). Nel 5° e 6° mese com- parisce una punta al margine superiore e posteriore dell’ orec- chio, la quale merita speciale considerazione. Ma prima di tutto dobbiamo esaminare an- cora l’ orecchio del neonato e dell’ adulto. Nell’ embrione poco prima della nascita i solchi e le fosse Fig. 21 e 22. — Formazione del Sedico che si trovano tra le sporgenze dell’ orecchio in un embrione umano di 6-8 sono ancora angusti e come sti- settimane. OF, zona delle pieghe auricolari, da cui più tardi derivano la Helix, il ramo i sei dell’ Anthelia (St) e lacrus anthelicis superior; pati. Invece LORO La nasca; ; Ah, anthelinx; Has, helix ascendens; Ch, crus cià nello stesso neonato esse si helicis; AT, antitragus ; T,.tragus.Inumeri © 1-6 si riferiscono alla serie di prominenze au- dispiegano. « Il bottone del- ricolari disegnata nella Fig. 20, ove si può E fo alac . distinguere una serie joidale (4, 5, 6)ed una 1’ orecchio insieme stipato va serie mandibolare (1, 2, 3). 6 ; i i sbocciando » (Schwalbe). SW Il nome di conca auricolare si deve ad una certa somiglianza con una conchiglia, e, come in questa, vi si distingue una faccia convessa più o meno collegantesi ai lati del capo ed una con- cava che guarda più o meno all’ innanzi. Si deve inoltre constatare un margine libero superiore, posteriore ed inferiore, e si denomina base del- Fig. 23. — Padi- orecchio quella parte per cui il padiglione col glione auricolare , È À umanonelquarto suo lato anteriore si collega alla regione malare e mese di vita em- brionale. SW, an temporale. golo te È : o î SIA, HW, angolo po Il lobulo, che si trova alla parte ‘inferiore steriore; UW, an- Pa x do È SUO 4 golo inferiore po- (Lobulus aruriculae) è costituito di una piega cu SUGZIONE: tanea contenente adipe, ma non cartilagine, e DELL’ ORGANO UDITIVO 185 mostra caratteri individuali variabilissimi !. Il lobulus comincia ad apparire nelle scimmie antro- poidi, ove mostra variazioni di forma e di gran- dezza pari a quelle riscontrate nell’ uomo. Un punto del padiglione merita una disamina speciale. È la spina Darwinii, che Darwin rig. 24. — Padiglione primo descrisse, essendovi stata rivolta la sua n attenzione dallo scultore Woolner, e che egli MO Lane interpretò come un carattere atavistico. Si tratta torti. di quel punto di confine tra 1’ orlo superiore e l’orlo ascendente dell’ elice (B. nella fig. 26), e questo punto corrisponde esattamente alla punta dell’ orecchio degli animali (cfr. fig. 27, 29, 31). Non si deve confondere il punticino di Darwin col cosidetto « orecchio di satiro » che non di rado osservasi nell’ uomo. Entrambe queste punte co- stituiscono nella storia evolutiva dell’uomo stadi di transizione : esse furono già da noi indicate nella fig. 23 con SW ed HW (Angulus superior ed angulus posterior). Questo corrisponde al pun- ticino di Darwin, quello A alla punta di satiro. En- trambi possono conservarsi per tutta la vita in un grado più o men buono di sviluppo, vale a dire nella forma pro- pria del Macacus KRhesus o in quella di Cercopithecus cy- D nosurus. Nella forma (la più « pitecoide ») di Macacus (fig. 27 e 28) l’orlo dell’elice è accartocciato soltanto nella sua parte ascendente e su- periore, e va appianandosi presso al punticino di Dar- win fino a divenire sempre AÎ Fig. 25. — Orecchio di un neonato. Ciuffo di peli convergenti. Spia Loro e de più acuto. Fig. 26. — Orecchio di donna adulta. AA’, massima lunghezza dell’orecchio; BB’, vera lunghezza dell’orecchio; DD’, massima lar- ghezza dell’orecchio; CC? separa la zona (con- servativa) delle prominenze auricolari dalla zona variabile delle pieghe auricolari. EE’, base dell’ orecchio; Ah, ramo dell’ Anthelix che superiormente si divide nei due rami } e +. Questi chiudono la fossa triangularis Ftr. Hd, helix descendens; Has, helix ascendens; Ch, crus helicisj MH, cavità del padiglione; KG. fossa Kahn; T, tragus; T, antitragus; In, incisura intertragica; Lb, lobulus; HL, solco posteriore del /obulus. ° Nella forma di Cercopithe- cus (fig. 29, 30) la spina Dar- wind non è più acuminata, ma è rappresentata da un ispessimento ad angolo. ot- tuso e diretto lateralmente, dell’ orlo auricolare. Essa è 1) Su 4172 orecchie di 2086 uomini del circondario di Moosbach in Baden il lobulo mancava su 1511 orecchie = 36°,. Sopra le restanti 2461 orecchie 186 R. Fig. 27. — Padiglione auricolare di Ma- - cacus rhesus. Fig. 28. — Padiglione auricolare di uno svedese (forma-Macacus) Da una fotografia del. profes- sore Fiirst di Lund. WIEDERSHEIM situata pure alquanto più pro- fondamente sull’ orlo posteriore dell’ orecchio. La parte superiore anteriore dell’ elice qui è acumi- nata formando una punta di sa- tiro: inoltre I’ orlo inferiore del- l’ elice non è ripiegato ma tutt’ al più diretto lateralmente nella parte inferiore e posteriore. Se ora ci immaginiamo 1)’ orlo dell’ elice di questa forma ripie- gato in tutta la sua estensione, anche nella regione della punta dell’ orecchio, si ottiene la consueta forma prima de- scritta da Darwin e Wool- ner del punticino di Dar- win (fig. 26). Ma la spina Darwiniù non dev’ essere per necessità acuminata, e può anche esser più o meno arrotondata. Si danno poi tutte le gradazioni possi- bili fino al completo can- cellamento, nel quale caso il punticino di Darwin non è più osservabile. Qui dunque non si tratta di un’ anomalia, ne’ di una malformazione, ma sempli- cemente di una varietà nor- male. Statistica sopra lau spina Darwinii. In 73,4°/ dei casi si può riconoscere chiaramente nei maschi umani *) la presenza di una spina. In 26,6 °/, essa manca. [ esso presentava uno sviluppo notevole soltanto in 1483 = 83, 4°/. Si vuole che a certe razze di Cabili nella provincia Costantina il lobulo manchi nor- malmente (Ammon). 1) Le statistiche furono raccolte in Strasburg. DELL’ ORGANO UDITIVO 187 .. Le donne in media mostrano una forma di orecchie che in genere si allontana maggiormente dal tipo pitecoide; ossia la spina in esse si osserva nel 31,8 °/ dei casi, manca in 67,2 °/, vale a dire la spina qui di regola manca !). La forma di Macacus si trova fra gli uomini in 2,7 °/, fra le donne in 1,4 °/.. La forma di Cercopithecus si ha nell’ uomo in 17,9 °/,, nella donna ines09R%,. Nei casi non tanto distinti di spina, la percentuale si mostra press’ a poco eguale nei due sessi. Però le forme indicate come orec- chie con punticino di Darwin, nel più stretto senso della parola, si notano negli uomini nella pro- porzione di 30,7 °/, e nelle donne solo di 12,7 °/,”). Anatomia comparata. Ed ora si presenterà il quesito : Come si può collegare 1’ orecchio dell’ uomo a quello di molti ani- mali dal padiglione incomparabil- mente più sviluppato (Kanguro, lepri, conigli, sdentati, cani ed ungulati) ? Per istituire una comparazione rigorosa è prima di tutto neces- sario cercare dei punti di riferi- mento, e questi sono: 1) la vera punta dell’ orecchio; 2) la base dell’ orecchio, ossia il margine saldato dell’ orecchio : vale a dire si devono trasportare sopra l’orec- Scheitelspitze Spina Darw. Fig. 29. — Padiglione auricolare di Cercopithecus cynosurus. Scheitelspitze Spina Darw. f Fig. 20. — Padiglione auricolare umano (forma Cercopithecus). 1) Negli inglesi il punticino di Darwin è molto frequente. nel 55 °/, dei casi, negli Ebrei nel 48 °/g- 2) È singolare che secondo Ottone Ammon nelle reclute militari del granducato di Baviera da lui esaminate, il punticino di Darwin era quattro volte più frequente a destra che a sinistra. Di una grandezza considerevole fu trovato dieci volte a destra, ed una sola volta a sinistra. 188 R. WIEDERSHEIM chio umano la vera lunghezza e la vera ampiezza dei padiglioni auricolari degli animali menzionati, nel modo indicato dalla fig. 81. Da questa si rileva la grande differenza in quella parte sopra denominata zona delle pieghe. Nell’ uomo essa è fortemente ridotta. H=) Top (<») Fo (HS) È OD vo # 18 2.8 SR los fl2o; 16: a I9IA: ca ce. VUE +5 » —L-A- ; od [sai Ù = I L 9 % «ri E > le) RL) p ì 25 VA gi urta # Sue 51 E: Aieetig : LS: 3 \ « I] Brett e li \ dz NE 5 3:57 Di ° e n pipa agg I 1 sato "Mn 5 i | SaSS 1 di È ! I est (} e.>2 SPA | sEzf (da MIO 2 Ù / RIZZI e SE Vena) I / oa lo \ { E I / Sue I I 4 3 ne JU D I ! "1253 VI I } Q ie i I / O | fo sù | / ICE / Dm È | / PECE } 1 ] TERS \ i / CR L { A os 2 \ i S / 229 \ f qsi==/ E S =" \ 37 ESE f 1 ® i pi E h l FA EIGialE «ES ren f — St È x I 54 £E95 \ l 7, Sei \ I 4 Pro e \ I P7 E a) \ I dg) oe°5so \ I / Cicini: \ / dre Q x 1 7 CE=-R \ I f 9 LGS \ ì dA Vo DI I VÀ Ai Î G_° x I 7 | » » » » » nella donna 62,3» » » » sinistro nell'uomo 65,5» » » » » nella donna 61,5 <>» DELL’ ORGANO UDITIVO 191 Dai 60 agli 80 anni la lunghezza delle orecchie» cresce. Vale a dire mentre in un’età dai 30 ai 50 anni solo il 3,5 - 5,5 per cento delle orecchie oltrepassa i 70 mm. di lunghezza, nell’età dai 60 ai 70 la percentuale degli orecchi la cui lunghezza supera 70 mm. si eleva a 36,5 e fra i 70 e gli 80 perfino a 62,5 °/;. La massima larghezza oscilla per l'uomo fra . . 32-53 mm. » dit » per la donna fra . 28-45 » La media per l’ uomo a destra è di . . . . .392 >» » per la donna » Der, ee i96,2 Py L’ orecchio femminile è dunque superato dal maschile anche sopra questa dimensione. Anche il diametro trasversale va crescendo col- l’ età. IL’ ingrossare del padiglione auricolare nella vecchiezza si Spiega in un appiattimento che il padiglione subisce per effetto del diminuire della tensione elastica della pella rigida al suo lato concavo. Fosizione del padiglione auricolare. Nel bambino di 5-6 mesi la lunghezza dell’ orecchio è maggiore che quella dei naso, mentre nell’ adulto a un dispresso queste si equivalgono, premesso che la lunghezza del naso si misura a par- tire dalla linea congiungente i margini superiori delle cavità oculari. Molto variabile è il collocamento del padiglione auricolare sul piano mediano del capo. Si distinguono orecchie aderenti ed orecchie diver- genti o «ad ansa ». In quest’ ultimo caso la faccia concava del- l'orecchio guarda più o meno in avanti, ciò che non accresce la bellezza del suo possessore, poichè soltanto oreechie piccole, ben mo- dellate e aderenti si considerano come orecchie aristocratiche: pure egli potrà rallegrarsi pensando che le sue orecchie, quand’ anche sporgessero dal capo come due fanali di carrozza, fisiologicamente sono collocate bene, inquantochè sono in grado di servire molto meglio come raccoglitori del suono. Chi le possiede, col soprag- giungere di quella età in cui I acutezza dei sensi comincia a decli- nare, forse non si vedrà costretto a formarsi del cavo della mano un collettore artificiale dei suoni, come si ha occasione di osservare ai concerti. ed alle conferenze. i Ma se una madre premurosa volesse scongiurare per tempo il minacciato pericolo di orecchie sgradevolmente divergenti nella sua figliuola, essa prenda una cuffia bene aderente o un archetto ela- stico, lo collochi sopra le tempie e lo assicuri alle due orecchie. Si abbia cura inoltre che i fanciulli non stiano a giacere sul cuscino colle orecchie ripiegate innanzi e che i lacci del cappello e della cuf- fia vengano a congiungersi avanti e non dietro alle orecchie, 192 R. WIEDERSHEIM Anche il difetto consistente nel margine esterno dell’ orecchio non ripiegato .può correggersi, mantenendolo invaginato mercè striscie di cerotto. Ma naturalmente tutti questi processi di abbel- limento devono continuarsi a lungo per mesi e mesi. Merita una speciale considerazione la variabilità del padiglione, poichè il frequente ricorrere di certe « anomalie di forma » è carat- teristico per la fisionomia degli alienati e delinquenti. Le variazioni di questo carattere sono divenute importanti anche per la identifi- cazione dei delinquenti, come pure per uno studio critico dei dati finora raccolti sopra la eredità di determinate forme di orecchio. Qui intanto osserverò che 1 orecchio destro non di rado presenta un altro tipo, una diversa conformazione dei rilievi, altri rapporti di lunghezza e larghezza che il sinistro; ed osservando attentamente si scopre talvolta che un orecchio è retaggio paterno e 1 altro ha il tipo materno. E accade perfino che un nonno possa rivedere nel nipote i caratteri del proprio orecchio, saltandosi il tipo dei genitori. Le asimmetrie sopra indicate sono casi frequentissimi. Affine di non cadere in errore trattando delle variazioni di forma nel padi- glione delle orecchie di individui soggetti a labe ereditaria, dob- biamo dapprima volgere uno sguardo all’ ampiezza delle variazioni nelle orecchie degli uomini intellettualmente e moralmente sani. Io qui naturalmente non posso addentrarmi in altri particolari e debbo limitarmi all’ essenziale. Dai fatti già riferiti si rivela chiaramente che 1’ orecchio fem- minile è in media più piccolo, che il punticino di Darwin vi è ben più raro, che inoltre 1’ accartocciamento dell’ elice vi è più spesso perfetto che nell’ uomo. Ciò significa che 1’ orecchio femmi- nile ha subita una riduzione più avanzata e che è più lontano dalla condizione dell’ orecchio animalesco che non 1’ orecchio ma- schile. Inoltre è più finamente modellato e varia meno che il maschile. Già parlammo delle differenze di forma o grandezza nelle va- rietà. Quelle variazioni nelle orecchie, che hanno importanza come base per |’ apprezzamento delle stigmate degenerative negli alienati e nei criminali furono recentemente assoggettate, soprat- tutto da Gradenigo, ad uno studio esteso: però i risultati da lui ottenuti vanno accettati con riserva; poichè prima di tutto bisogna stabilire Vl ampiezza di variazione normale per ogni singola parte del padiglione auricolare, e questo non è stato fatto comple- tamente. Manca perciò una base sicura per molte osservazioni. Però alcuni dati sono senza alcun dubbio esatti e sicuramente fondati. Fra questi, ad es., il fatto che fra gli uomini normali il mancato accartocciamento del margine dell’ elice fu osservato solo nel 0,8 °/ DELL’ ORGANO UDITIVO 195 dei casi, mentre negli alienati nel 3,8 °/ e fra i criminali ben nel 4°. -— Altre osservazioni si riferiscono all’ antelice che negli alienati e nei criminali sporge lateralmente in una percentuale di casi molto più alta che nei normali. Pel sesso maschile le orecchie ad ansa sono circa due volte più frequenti fra gli alienati e de- linquenti che fra i normali. Nelle donne la differenza è minima. Caratteri emmici. In tutte le razze gli uomini hanno orecchie più ampie che le donne. I seguenti popoli hanno una larghezza media di orecchi superiore a 65 mm.: Baschiri (Tatari nell’ Ural meridionale) Primi abitanti d’ America Macroti Alsaziani (uomini) La maggior parte delle razze ha una lunghezza di orecchie da 60 a 65 mm., ossia: 1. fra gli Europei l'hanno: a) Slavi del Nord, Bulgari, donne alsaziane, Ebrei, Lap- poni, Lorenesi. 2. tra i Mongolici : a) Giapponesi e Chinesi. 3. tra i Malesi: a) Giavanesi e Tagali. 4. tra i Melanesi : a) Gli indigeni delle nuove Ebridi e delle isole Salomone. Inoltre Polinesiani ed altri. ———ssgnn—T =" Mesoti Una lunghezza di orecchie inferiore a 60 mm. Vl hanno: le maggior parti delle popolazioni negre, i Cafri, i Negri australiani, le donne ottentotte, i Papuasiani della Nuova Guinea, i Siamesi ; e tra gli Europei i Magiari e Rumeni; tra i Mongoli i Samoiedi (Nord-Est dell’ Asia e Nord-Ovest dell’ Europa) Mieroti Una lunghezza inferiore a 55 mm. si trova nei Singalesi ed in alcune popolazioni > Ipermieroti negre | Il lobulo aderente si nota: in Rheingau e Westfalia solo nel 10 °/, dei casi, in Francia nel 20 °/o, nel Gran Ducato di Hessen nel 25 °/,, in Svevia nel 26 °/o. Il punticino di Darwin si trova: . in Rheingau nel 15 °/, dei casi, in Svevia e Baviera superiore nel 22 °/,, in Hessen e Westfalia nel 25 °/, in Giudea nel 48 °/, in Inghilterra nel 55 °/, (!). Riv. DI BIOLOGIA GENERALE, ITI. 13 194 R. WIEDERSHEIM Donde si rileva che la frequenza massima del punticino di Darwin non coincide affatto con quelle razze che si è soliti a considerare inferiori. Chè anzi un forte accartocciamento del mar- gine dell’ orecchio vi è frequentissimo, come ad esempio fra i Negri e Boschimani. In generale si deve riconoscere che le nostre conoscenze sopra le forme e dimensioni dei padiglioni auricolari nelle varie razze umane sono ancora molto scarse. Il materiale utilizzabile è ancora straordinariamente disseminato nella letteratura. Perciò è difficile cavarne una sintesi completa e soddisfacente. Negli strati più varii della società umana è diffusa la credenza che una determinata modellatura e soprattutto srandezza delle orecchie sia collegata ad alte facoltà musicali, e che queste anzi vi abbiano una loro condizione. Quando voi andate a Salzburg, forse nella casa di Mozart sul colle dei Capuccini, ove Mozart nel 1791 condusse a termine il suo « Flauto incantato », vi capiterà di vedervi additare le orecchie del maestro in modello, colla esplicita dichiarazione che Mozart aveva dovuto unicamente alla straordinaria grandezza delle sue orecchie l’ attitudine a comporre 1 opera menzionata. Sono ormai trascorsi 13 anni, dacchè io ho veduto quelle orec- chie, e la loro immagine mi è rimasta incancellabile, e se io non ne associo il ricordo a quella di qualche elefante africano, mi è rimasta però la impressione che mi si fosse mostrato un paio di pantofole di feltro deformate a mo’ di padiglioni auricolari, pretendendo che le avesse un dì attaccate al capo l indimenticabile Wolfgango Amedeo. Srruttura del padiglione auricolare e sua muscolatura. Il padiglione dell’ orecchio viene sostenuto per la sua massima estensione da una lamina di cartilagine elastica: la cosidetta carti- lagine auricolare. Questa è intimamente collegata alla cartilagine del condotto udi- tivo esterno e la sua forma corrisponde in generale a quella del padiglione. Non è qui il luogo di scendere ad una descrizione minuta, ma piuttosto di occuparci dei muscoli che in parte connettono il padiglione alle regioni circonvicine, in parte hanno origine ed in- serzione nello stesso padiglione. Quando voi fischiate ad un cane, o colla voce date un comando ad un cavallo, od anche sopra un altro animale qualsiasi a orecchie lunghe osservate com’ esso si comporti ad un rumore, voi notate DELL’ ORGANO UDITIVO 195 un movimento più o men vivace dell’ orecchio. Notate un « giuoco mimico »; ed occorre appena avvertire che i muscoli che esegui- scono tali movimenti appartengono alla categoria dei muscoli mimici. Ciò è anche dimostrato dalla innervazione centrale; poichè il mede- simo nervo che si distribuisce al muscolo che fa chiudere la bocca ed ai muscoli grande zigomatico e lagrimatori dell’ uomo, fornisce pure diramazioni ai muscoli del padiglione. Nell’ orecchio umano distinguiamo muscoli che tirano in avanti, in dietro ed all’ insù (M. attrahens, retrahens, attolens), e tutti questi muscoli s0g- giaciono a innumere- voli oscillazioni indi- A viduali. Nessuno di essi è molto svilup- pato. Tutti hanno ca- rattere spiccatamente rudimentale, e questo { può dirsi in grado o ni ancor più alto dei co- 299 sidetti muscoli inter- stiziali del padiglione. Ul Questi giaciono parte (I sopra la superficie AT esterna, concava, parte / sopra la superficie me- _ I diana convessa del | padiglione, e si di- stinguono in muscolo i della chiocciola, tra- gico ed antitragico, grande e piccolo, e muscoli del padiglione Fig. 87. — Muscolatura estrinseca dell'orecchio umano. obliquo e trasverso (M. helicis maior et minor, tragicus, antitragicus, obliquus et trans- Versus). Riguardo all’azione del primo gruppo, ossia attrahens, retrahens ed attollens non può sussistere alcun disparere. Più difficile è spie- gare i muscoli interstiziali. Le ricerche anatomiche sul modo del loro aggruppamento rendono assai probabile che qui abbiamo a fare con antichi costrittori (M. antitragicus ed M. tragicus) e dilatatori (M. helicis maior et minor) dell’entrata dell’ apparecchio uditivo. A questa supposizione hanno condotto pure indagini per mezzo dr stimolazioni elettrice isolate. 196 R. WIEDERSHEIM I M. tranversus e obliquus situati nella faccia convessa del padiglione possono appiattire alquanto il padiglione. Il modo di agire testè accennato dei muscoli interstiziali sopra il padiglione può esser stato altra volta ben più energico che oggidì, prima che fosse avvenuta la fusione dei pezzi cartilaginei compo- nenti il padiglione e del condotto uditivo esterno in un pezzo unico; vale a dire finchè i singoli pezzi erano ancora reciprocamente spostabili. Lo stesso può dirsi dei muscoli esterni del padiglione. Essi doveano essere non meno necessarii all’ uomo primitivo di quel che sono attualmente al maggior numero dei mammiferi. A somiglianza di molti altri organi essi poterono regredire solo da quando l’ intel- letto si fu talmente sviluppato, che la perdita ne potesse venir compensata senza compromettere la sicurezza della esistenza indi- viduale. Considerazioni di questo genere valgono pei mammiferi che hanno perduto quei mezzi ausiliarî del loro apparecchio uditivo, ossia la mobilità del loro apparecchio raccoglitore dei suoni. Mi basti per ora rammentare solo le scimmie antropoidi, nelle quali i muscoli in parola sono più ridotti che nell’ uomo. Che anzi l’ Orang non ne possiede più la minima traccia. Ma con quale tenacia persistano certe strutture nel corpo degli animali, come anzi presso certi individui esse siano ancora in grado di compiere un ufficio fisiologico, si riconosce da ciò che esse o sono ancora soggette alla volontà, ovvero ancora eccitabili per via riflessa. Certo a voi tutti è noto che taluni uomini sono ancora capaci di muovere le orecchie, o che con un certo grado di tirocinio pos- sono apprendere a muoverle, sebbene le indagini abbiano dimostrato che il padiglione è un ausiliario molto secondario dell’ apparecchio uditivo. Si dànno anzi individui che non solo hanno la facoltà di muovere volontariamente le orecchie, ma che nell’atto di ascoltare eseguiscono involontariamente quei movimenti, non solo alzando l’orecchio, ma piegando alquanto all’innanzi tutta la parte anteriore del padiglione. Perciò a rigor di termini si può parlare anche di un drizzare gli orecchi. Quanto ho detto circa la mobilità per via riflessa dei muscoli auricolari rudimentali io ho avuto occasione di confermare con lunga esperienza quale esaminatore degli studenti universitarì. Ho potuto più volte osservare che candidati disposti nervosamente, qualche volta al principio di un esame pel quale non si sentivano sicuri, non soltanto eseguivano vivaci movimenti mimici muovendo gli angoli della bocca ed alzando la pelle della fronte, ma contro la loro vo- lontà muovevano anche gli orecchi alzandoli o all’innanzi o all’ in- dietro. Noi dunque qui ci troviamo davanti ad un fenomeno atavico, DELL’ ORGANO UDITIVO 197 il quale ha tanta maggiore importanza, inquantochè si tratta non soltanto degli ultimi avanzi di organi in via di regresso, ma anche della persistenza di territorî nervosi centrali da cui vengano stimo- late, sia pure contro la volontà dell’individuo, le vie nervose corri- spondenti. Supponiamo ora il caso che quei muscoli fossero ancora svilup- pati: e quale straordinaria mimica acquisteremmo noi col mezzo degli orecchi! Non sarebbe più in tal caso una mera frase il ten- dere gli orecchi ad un elogio pronunciato nella nostra vicinanza, 0 lasciarle cascare ad una speranza delusa o all’ annuncio di una disgrazia inaspettata, o se infine noi le scuotessimo per odio e male- volenza. Ma sarebbe questo poi un vantaggio per gli uomini fin de siècle che spesso nascondono i loro sentimenti in fondo al cuore e presentano agli sguardi una faccia di marmo? È questione di gusti! Così nell’ organo uditivo dell’uomo troviamo disposizioni com- plicatissime, nelle quali hanno luogo processi progressivi e regres- sivi. Là la chiocciola composta di innumerevoli e finissime strutture, adibita all’analisi dei suoni, adattata a migliaia di oscillazioni ecci- tanti sensazioni piacenti o sgradevoli, e qui ai due lati del capo, quasi due sentinelle perdute, i padiglioni auricolari impegnati in una regressione. Ma se essi hanno perduto ogni significato come collettori del suono, però sono ancora elementi di alta importanza per la fisionomia e per la bellezza architettonica del capo e del volto. Non può negarsi che un orecchio piccolo, ben conformato e bene inserito nel capo di una bella donna, aggiunga vaghezza; e per questo gli artisti classici dell’antichità non lasciarono mai coperto 1’ orecchio nelle statue di donna. Essi certo sentivano quanto l’ orecchio contribuisse alla bellezza rompendo la linea ovale monotona della testa. Se l’orecchio esterno è di grande importanza per l’ architettura del capo e del collo, però la influenza che esercita 1’ orecchio in- terno sano, il vero e proprio organo uditivo sopra la espressione del viso, è quasi ancora più importante. Si osservi come 1’ ascoltare una bella musica o un buon canto illumini i tratti e come d’ altra parte la ottusità dell’udito imprima alla faccia un carattere di in- quietudine e sospetto. Il gesto involontario sopra ricordato di portare il cavo della mano dietro al padiglione degli orecchi, il fissare gli occhi atten- tamente sopra le labbra spiando i movimenti mimici di chi parla, il piegare in avanti il collo ed il tronco, la incertezza nel volto e nella parola, la fisionomia generale timida ed inquieta derivano dal sentimento di insociabilità, dalla dissimulazione della sordità per la vanità,.... 195 kR. WIEDERSHEIM Tutto ciò rende poco simpatici, uccide la espressione del volto umano più bello, e invece che benevolenza induce compassione. Saremmo così giunti al termine del nostro studio, e rivolgendo uno sguardo addietro, considerando quali innumerevoli gradi di sviluppo erano da percorrere nella evoluzione delle forme organiche dalla primitiva vescicola uditiva fino all’organo del Corti di un individuo dotato di udito assoluto, noi saremo compresi di mera- viglia per la potenza della natura creatrice, che si esplica in migliaia di forme e di variazioni. Non è necessario che io vi spieghi come sia delizioso di fronte a questa evoluzione non mantenersi semplici spettatori, ma industriarsi applicandola alla soluzione di svariati. problemi; e certo voi potete immaginare ciò che deve pro- vare luomo di scienza nell’ ardore di siffatte ricerche. A lui succede come a un viandante che ad ora tarda si trovi in una foresta a lui sconosciuta. Por orientarsi la mattina appresso egli sale sopra la collina più vicina, e quanto più si innalza, tanto più gli si van rischiarando le valli e i campi dapprima tenebrosi. Più in là sorge un’altra collina, e poi un’altra ancora, e dinnanzi a lui, rosseg- giante di luce mattutina, si aderge la vetta del colle, sua mèta. Non senza fatica gli è dato toccarla, ed egli si trova ricompensato, poichè ora il suo sguardo domina la vasta e deliziosa compagna ed egli acquista una veduta completa della catena di colline nella sua struttura, e del cammino dei corsi d’acqua. Proprio così nell’ inve- stigatore che lavora con fede e costanza si vien formando la con- vinzione di avere dominato completamente e. penetrato un campo particolare di indagine. Anch’egli allora si trova sopra un’ altitu- dine luminosa e i fulgidi raggi della conoscenza gli infondono nel- l’animo il senso della più sublime soddisfazione umana. RoBERTO WIEDERSHEIM. ’r—_—_r—_————— G. C. FERRARI 199 Il senso della morte. Il problema della morte è forse quello che più uniformemente commuove. tutti gli umani : eppure si tratta di un fatto comune a tutti, il quale, quindi, teoricamente almeno, non dovrebbe spaven- tare nessuno. Ma è il mistero impenetrabile quello che abbatte, e nessuno è mai ritornato a dirci che cosa si provi nel momento della morte, e noi non sappiamo in proposito molto più di quel che Plotino e Porfirio argomentavano, nel dialogo del Leopardi. Siccome ogni contributo di fatti obbiettivamente osservati può servire ad illuminarci in proposito, io lascierò da parte tutti quei fatti . Ghe possediamo !) circa la psicologia dei morenti (condannati, suicidi, ece.), e di quelli, che, come coloro che'soffrono di attacchi violenti di angina pectoris, credono ogni volta che sia suonata la loro ultima ora e di dover morire fra pochi istanti, e mi contenterò di esporre bre- vemente, ma con tutti quei particolari che mi sembrò potessero tor- nare utili allo studioso di tali appassionanti questioni, alcuni casi in cui un individuo apparentemente sano e forte affermava di « sen- tirsi morire >, che « sarebbe indubbiamente morto fra pochi istanti », e ciononostante non manifestava alcuna di quelle reazioni emotive che una lunga pratica ci ha abituato a ritenere come l’ accompagna- mento immancabile della morte, e... moriva. In due miei casi, nel primo e nel terzo che descrivo nelle pagine che seguono, si trattava di due malate di mente, ma le loro condizioni psichiche, quasi opposte, fanno l’effetto di due quantità uguali e contrarie il cui valore mutuo si elide, rimanendoci il fatto nudo, appassionante per la sua misteriosità. Forse questi casi potrebbero condurre ad una cognizione più esatta di ciò che siamo soliti chiamare ‘incosciente: ad ogni modo ed in ogni caso essi hanno tutto l’interesse dei fatti obbiettivamente osservati. !) Si veda la discussione svoltasi a questo proposito nella L'evue philoso- phique nel 1896-7, e il mio articolo intitolato « L’ Io dei morenti » nella Rivista sper. di Preniatria del 1898. Esiste pure una splendida conferenza del prof. Nothnagel <« Wie wir sterben » (Wien. 1900.), di carattere più letterario che scientifico, alla quale rimando il lettore che desideri cono- scere la letteratura dell’argomento. ; i 200 G. C. FERRARI Nel primo dei miei casi si tratta di una signora di 39 anni, nubile, da 7 anni ricoverata nel Frenocomio di Reggio Emilia, dove è venuta a morte da poco. Nella sua famiglia non mancavano le note degenerative; e il gentilizio, specie dal lato materno, era piuttosto aggravato. La signora, di costituzione fisica abbastanza forte, di carattere mite e di temperamento lievemente melanconico, fino a 22-23 anni era stata sana, ed aveva frequentato le Scuole Normali, mostrandosi appas- sionatissima per lo studio e pel lavoro. In quell’ epoca ebbe a sof- frire di gravi odontalgie insorte quasi improvvisamente, per cui le si cariarono tutti i denti. Contemporaneamente la signora presentò disordini della funzione menstruale, che non riprese più il suo regolare andamento. Divenne allora più riservata, taciturna, e volle entrare in un Con- vento, che presto abbandonò, però, perchè diceva essere quello un Istituto non adatto per lei : si diede ugualmente, però, ad una infi- nità di pratiche religiose. Fu ricoverata in un Frenocomio, dove rimase 4 anni, poi fu riam- messa in famiglia perchè stava tranquilla: ma, appena uscita, di- chiarò formalmente che « non avrebbe più mangiato ». Infatti non fu possibile nei giorni che stette a casa farle inghiottire nè una goccia d’acqua, nè un briciolo di pane, per cui fu rapidamente con- dotta qui nel 1893. Ecco come troviamo descritto il suo stato a quel tempo: « È una donna di complessione piuttosto debole e di scarsa nutrizione: presenta una gengivitè fungosa, scorbutica, assai grave, e rifiuta ogni cibo. Poco dopo l’ingresso ebbe un momento di agitazione in- tensa per cui gettatasi a terra ginocchioni si diede a pregare ad alta voce, poi d’improvviso levatasi ruppe col pugno quattro vetri della finestra. Messa in letto vi è rimasta quasi in permanenza e fin dai primi giorni le è stata praticata 1’ alimentazione artificiale. La signora ha una fisonomia spenta ed apatica e rimane immo- bile senzafissare le persone, nè rispondere menomamente alle domande anche semplici che le si rivolgono. Da sè borbotta spesso, ora chia- mando un Canonico di cui non si è mai riuscito ad afferrare il nome, ora invocando i Santi, ora pronunciando bestemmie ed ingiurie dirette non si sa a chi. Parla sempre il dialetto ed, in genere, il numero delle frasi che dice è sempre quello e poco variato. Non ha mostrato di ren- dersi conto del luogo dove si trova, nè di aver desiderio della fami- glia. All’alimentazione artificiale non reagisce che con movimenti di difesa automatici; e, lasciata a sè, cade facilmente nell’ apatia ». Nei sette anni di sua degenza nel nostro Frenocomio, la signora IL SENSO DELLA MORTE 201 si mantenne sempre in questo stato fino all’8 di Settembre ultimo scorso. In quel giorno, vedendo le altre ammalate mangiare (essa veniva alimentata in altra Sezione), ne domandò anche per sè e da quel giorno mangiò sempre sola e con buon appetito, nonostante che nei 6 anni e 10 mesi in cui non aveva mai mangiato nulla sponta- neamente le fossero caduti tutti i denti. Siccome 1’8 di. Settembre corrispondeva ad una grande festa cat- tolica, molte infermiere parlarono naturalmente di miracolo (e tale sarebbe realmente apparso non moltianni addietro), ma la signora non sembrò ascrivere alla cosa nessun valore particolare. Da quel giorno cominciò a lavorare (in modo però tutt’affatto meccanico, per cui, cominciato un punto, lo continuava finchè aveva filo), a guardare talvolta in viso alle persone che le rivolgevano la parola, e a dire qualche cosa di molto elementare. A nessuna domanda, però, rispon- deva. Era ingrassata; aveva assunto un buon colorito, e tutte le sue funzioni si compivano regolarmente. Cinque giorni prima di morire, un martedì, vedendo un’ infer- miera scrivere, l’ osservava, ed avendole 1’ inserviente offerto un mezzo foglio di carta, essa lo prese e vi scrisse sopra, in modo poco elegante, cominciando a scrivere fra le linee della parte superiore della seconda pagina, quando fu arrivata in fondo a questa, con una calligrafia grande, tremula, e con molte correzioni, la seguente lettera : « Carissimi Genitori, Vi auguro buone feste e un Santo Anno Nuovo accompagnato da mille benedizioni. Che il Signore vi dia grazie di fare abbon- danti elemosine. Io ho bisogno di vestire di bellissima Flanella tutte le buone e sante e gentilissime. La santa elemosina che lasciano vedere i gran Signori, quella Elemosina che si chiama Carità. In fondo della Carità, l’oratorio che si venera in P...') Io voglio essere seppellita al Cimitero. Noi vogliamo essere seppelliti a T...*), città bellissima, città di valore grande, oh che bellissima città, la più bella città che sia al mondo profano, e poi una bellissima notizia : è una città di primo rango si chiama M...3), si chiama M. Val Lucca. Noi siamo stati dai ladri dei gran Santi Signori; sono gran Santi che si trovano sulla rara torre del duomo di Milano, hanno impie- gato i loro giorni a farsi santi. Oh oh pagavano, si sono esercitati in diverse opere di Elemosina di Carità. Questo pio e santo luogo 1} Nome della città dove esisteva il suo Convento. 2) Nome del piccolo paese in cui è nata e dove abita la sua famiglia. 3) Nome di un paese vicino. 202 G. C. FERRARI, è il primo luogo che sia al mondo, il primo Collegio che sia al mondo. Per abitare in questo santo luogo si paga. Si paga tre mila e cinque cento lire al giorno. Si paga 40 milioni al momentino, e poi si paga, cinque cento milioni tutti i momentini. Si paga proprio da tutti, si paga tutti i fondi del Conte P. S. }), e poi si paga per aver questa notizia. Ven oter e poi sorella e quell’altr’anno e quel- l’altr’anno ». (Dalle parole « cinque cento milioni » in avanti le linee erano inframez- zate alle prime della seconda pagina. La lettera non è finita). La sera dopo, a chi accompagnava a dormire disse : « Io dovrei stare sempre a letto questi quattro o cinque giorni che mi restano da vivere ! » L’infermiera rise, come di uno scherzo : ma la mattina seguente la signora ripetè annuncio ; fu esaminata diligentemente, ma non si trovò in lei nulla di anormale. Quel giorno e il giorno seguente stette in letto perchè lo chiedeva, e perchè faceva un tempo orribile; ma la temperatura si manteneva sempre normale e la signora mangiava e mostrava di essere in ottima salute. La sera si mostrava invece depressa; aveva le occhiaie infossate, stava raggo- mitolata nel letto, ed aveva, in poche parole, l’aspetto caratteristico degli uccelli ammalati. Il medico le diede un eccitante, poi la lasciò tranquilla: alle due di notte, però, fu chiamato improvvisamente al letto della signora che era senza coscienza, aveva le pupille ristrette, un polso piccolo, irregolare, un respiro stertoroso, ed una profonda insensi- bilità diffusa a tutto il corpo. . Dopo quattro ore di agonia era morta. Questo avveniva la mattina del sabato. Riassumendo i fatti essenziali, noi troviamo che in una donna di 40 anni affetta di demenza consecutiva, da una malattia, quindi, in cui si considera come spento ogni bagliore di intelligenza, si ha ad un tratto (18 Settembre) una modificazione improvvisa, inaspet- tata del contegno fondamentale, inquantochè riprende volontaria mente un’abitudine soppressa da quasi 7 anni: non solo, ma un bel giorno del Marzo successivo 7 mesi dopo (e questa frequenza del cabalistiso numero 7, qualche secolo addietro avrebbe forse risve- gliato i più crudeli sospetti), pure inaspettatamente, essa manifesta il bisogno di scrivere una lettera (mentre non aveva scritto da anni 1) Nome di un signore che ha estesissimi possedimenti finitimi alle terre dell’ammalata. tentata tnt IL SENSO DELLA MORTE 203 sebbene non le fosse mancato lo stimolo di vedere qualcun’altro scrivere presso di lei) e dopo alcune frasi quasi automatiche, date le abitudini mentali della persona, esce fuori in una frase relativa alla propria sepoltura, nonostante che godesse perfetta salute (almeno per quanto se ne può giudicare con i comuni mezzi di indagine). La sera seguente essa, continuando pure nelle stesse buone condi- zioni, perchè non era mai stata così florida dal giorno del suo ingresso, annuncia chiaramente, ma quasi con una certa compassione di sè, che «non ha che quattro o cinque giorni da vivere », tanto che vorrebbe passarli a letto. Riesce a stare in letto, ma soltanto perchè il tempo era cattivo, non già perchè lo richiedessero le condizioni fisiche, e al cominciare del quarto gioruo dopo l’ annuncio, del quinto dopo la lettera, essa muore improvvisamente. Non fu possibile praticare l’autopsia, per cui la causa reale della morte resta ancora oscura; ma qualunque essa sia, resta sempre degno della massima atten- zione il fatto di questa previsione di un fatto oscurissimo, previ- sione che nulla, apparentemente almeno, giustificava, e che è più singolare per essersi avverata in una persona in cui tutte le forme di sensibilità erano ottuse, e che non comunicava quasi affatto col mondo esterno. L’unica volta che ha voluto esprimersi lo ha fatto per annunciare la propria morte. Io non so se questi fatti siano frequenti: certo sta il fatto che a me è capitato di osservarli tre volte in 10 anni, e di queste, due volte si trattava di malati di mente. I due primi casi feci oggetto di un articolo pubblicato nella Revue Scientifique !) nel 1896; e ne riporto qui i dati principali, sperando che la loro conoscenza serva a richiamare l’attenzione dei medici su questi curiosi ed interessanti fenomeni, e a persuaderli a render note osservazioni analoghe, forse preziose. Il moltiplicarsi delle osservazioni non può essere che utile al progredire delle nostre conoscenze ; sebbene, forse, sia nell’ordine delle cose che i due più grandi misteri della vita, quello della nascita e quello della morte, sfuggano sempre alle nostre indagini. Ed eccomi all’esposizione dei miei due casi : Una giovane di 20 anni, sana e forte, e che non aveva presen- tato mai nulla di anormale dal lato psichico, domestica presso una ) FERRARI G. C. — La peur de la mort. — Revue Scientifique. 11 Jan- vier 1896. 204 G. C. FERRARI famiglia di Reggio Emilia, stava facendo la calza in un pomeriggio di estate nella sua cucina, quando d’ un tratto si alzò in piedi, pallida, ansante, come in preda ad un grande terrore, dicendo che si sentiva morire e che voleva confessarsi. Immediatamente scese le scale, e di corsa entrò nella chiesa (per arrivare alla quale non aveva che da traversare la strada). Là s’inginocchiò presso il con- fessionale, raccomandandosi che chiamassero sollecitamente il prete perchè essa stava per morire. Il prete, vedendo la saldezza inerol- labile di questa idea (che nulla apparentemente giustificava), mentre per tutto il resto l’inferma si manteneva seria e del tutto coerente, pensò che meditasse il suicidio, e, datale l’assoluzione, la fece accom- pagnare a casa. La donna allora attraversò la strada correndo, salì le scale, poi, giunta in cucina e dopo aver detto qualche parola alla padrona, cadde a terra fulminata. L’autopsia fece rilevare un vasto sacco aneurismatico, formatosi nell’inizio dell’aorta e largamente spaccato. Si deve notare che, secondo quanto mi fu riferito, dal momento in cui la giovane cominciò a lamentarsi al momento della morte trascorse un’ora di tempo. Il secondo caso fu seguito da me in tutte le sue fasi. Verso la fine del 1894 entrò nel Frenocomio di Reggio una gio- vinetta B., di 18 anni, isterica e con ispessimento (tubercolare) dei due apici polmonali. Le condizioni fisiche dell’ inferma erano più che discrete, e solo ad intervalli di diverse settimane essa aveva degli accessi di febbre vespertina. Freddolosa all’ eccesso, passava quasi tutta la giornata nel suo letto nell’ infermeria dello Stabili- mento, ed il suo divertimento maggiore consisteva nel canzonare il curato quando veniva in Sezione per gli obblighi del suo ministero. Nell’aprilé del 1895, il giorno di Pasqua, verso sera fui chiamato in fretta in Sezione. « La B., mi dissero, dice che muore! » — Accorsi presso l’inferma, ma un esame minuto delle sue condizioni non mi parve giustificare affatto la grave apprensione della ragazza. Il polso era frequente ed alquanto irregolare, il respiro un po’ super- ficiale, il viso acceso, ma tutto ciò si può interpretare pensando all’ora vespertina, ed all’ eccitazione psichica dell’ inferma. L’espres- sione del suo viso era leggermente canzonatoria, e quando le chiesi che cosa provasse, mi rispose, che era ufficio mio di conoscere le malattie e che, come medico, dovevo ben comprendere che essa stava per morire. Non trovando nessun segno obbiettivo all’in fuori di quelli soliti, IL SENSO DELLA MORTE 205 pensavo che si trattasse di uno dei soliti scherzi da isterica, e stavo per lasciarla, quando essa chiese di vedere un sacerdote. Feci chiamare il Curato, ma per prudenza feci rimanere nella sala una inserviente, è da questa seppi che l’inferma aveva raccontato al prete una ridicola interminabile storia, che essa pretendeva fosse quella della sua vita, e nella quale, — circostanza stranissima! — essa si attribuiva sempre una parte meschina. Dopo un po’, però, stanca dello scherzo, licenziò il prete, poi divenne più inquieta, lamentandosi di continuo di qualche cosa che l’infastidiva, ma che essa non sapeva precisare. Tornai in quel momento, e trovai soltanto che il polso era depresso. Feci cercare della caffeina, ma prima che potessi fargliene un’inie- zione, la B. sorse in piedi in preda ad una vivace allucinazione: vedeva l’ inferno, i diavoli colle corna, le anime purganti, ecc. e un freddo sudore la bagnava. Rimessa dolcemente in letto, inerociò le mani sul seno, disse con un sospiro: « Vado a veder la gloria degli angioli del Paradiso! », quindi morì. La temperatura era in quel momento di 38.° — L’agonia, se si può chiamare così, aveva durato due ore circa. L’autopsia più accurata non permise di stabilire alcuna causa mortis diretta. La tubercolosi degli apici era lievemente attiva, ma nulla poteva spiegare una catastrofe così improvvisa. * x * Riferii questi casi al Congresso di Psicologia di Monaco nel- l’estate del 1896, a proposito di un caso analogo, riferito dal Prof. Forel di Zurigo, che riassumo brevemente !) per completare la bibliografia che conosco. Un antico ipocondriaco grave ricade, a 60 anni, dopo un lungo periodo di benessere, in seguito ad una malattia insignificante, in un accesso di lipemania, e crede di essere paralitico. Conoscendone il quadro clinico, lo riproduce perfettamente. Nonostante che due giorni prima camminasse a lungo, spedito e diritto, ora sta curvo, inciampa da per tutto, ha la parola inceppata, diventa sudicio, si nutre male. La coscienza è sempre lucidissima, egli « fa così perchè è un povero paralitico, ece., ecc. ». Dopo 14 giorni di questo stato, si presenta una forte dispnea, con polso piecolo. La coscienza si turba, e dopo 2 giorni l’ammalato muore. ì)) Dritter internationalen Congress fiir Psychologie — Miinchen, Lehmann ESd p- 312. 206 G. C. FERRARI L’autopsia mostra una trombosi dell’ arteria polmonare, con inci- piente cancrena polmonale. Esisteva inoltre un po’ di ateroma diffuso dei vasi cerebrali, e lieve enfisema polmonare. * * * Forel esprimeva in proposito l’idea che la trombosi fosse l’effetto dell’ essersi l'individuo creata a poco a poco 1 autosugge- stione (abbastanza facile in un soggetto predisposto) di una paralisi dei vasi e del cuore. La teoria dell’autosuggestione può forse valere per questo caso, ma non vale certo per gli altri, ben più netti, citati da me: la B. non mi pare credesse seriamente di dover morire, perchè in questo caso tutto porta a credere che, come isterica avrebbe sfruttato assai meglio la sua condizione di morente, anche dal punto di vista tea- trale. E nonostante, lo credesse fermamente o no, non è men vero che è morta, come diceva; ed è certo che quella sensazione qualun- que che dettava i suoi atti doveva essere affatto indeterminata e confusa, altrimenti essa l’avrebbe definita assai meglio: eppure doveva essere forte. per provocare quelle allucinazioni e quelle frasi, così appropriate, dell’ inferma. Più semplice è pensare, a proposito delle donné dei miei casi 2° e 3°, ad un’ interpretazione di un disturbo della cenestesi, disturbo che, in un caso almeno, ci sfugge, ma che il subcosciente delle due ragazze doveva avvertire come fatalmente irreparabile. Questo viene specialmente suggerito dal 2° dei miei casi, nel quale deve essersi prodotta nel sacco aneurismatico una piccolissima fessura, dalla quale ha cominciato a scorrere il sangue, dando il quadro sopradescritto, finchè, apertosi completamente il sacco, si ebbe la morte istantanea. Ma queste spiegazioni reggono male quando si pensa al mio 1° caso, in cui si trattava di una demente. Come mai il subeosciente, o l’ incosciente adirittura, poteva svegliare una mente da sette anni addormentata del sonno più profondo, e darle una nozione così esatta di un fatto che si svolgeva nei recessi più intimi e più oscuri di quella compagine organica? Che nel caso della signora si trattasse di uno. stato inibitorio (durato sette anni!) relativo a tutto l’àmbito cosciente, vinto soltanto, e parzialmente, dall’ emozione auto-pro- tettiva, provocata dal disordine intimo, preagonico (se si potesse chiamare con questo nome la condizione della signora V. negli ultimi sei giorni della sua vita), della cenestesi? Forse un giorno, quando i fatti che sono ora generalmente com- presi sotto il nome di fenomeni medianici saranno meglio conosciuti nelle loro svariate manifestazioni, anche questi fatti stranissimi IL SENSO DELLA MORTE 207 troveranno chi li spieghi. Per ora, piuttosto che arrischiare spie- gazioni e teorie a proposito di dati, purtroppo ancora insufficienti, val meglio andar raccogliendo colla maggiore serupolosità il maggior numero di osservazioni. Intanto, però, anche quelli ora pubblicati presentano un buon materiale per molte considerazioni, ed io mi limiterò a ricordarne una che presenta,un certo interesse a mio vedere, benchè molte inter- pretazioni ne siano possibili: accenno alla relativa indifferenza con cui due dei miei soggetti assistevano al terribile, spaventoso feno- meno di cui avevamo annunciato 1’ avvento. Forse che la morte è terribile soltanto per le associazioni che porta con sè, mentre per sè stessa non tocca la nostra sensibilità? Non sono questi fatti soltanto che persuaderebbero a ritenerlo. Reggio Emilia, Marzo 1901. G. C. FERRARI. NOTE CRITICHE E COMUNICAZIONI Chiariss. Sig. Direttore, Avrà forse visto che sul Policlinico di Roma (sezione pratica, fasc. 16), mi si fa l’onore di dar conto delle mie risposte ai due quesiti dell’ illustre Prof. Lombroso, che furono pubblicate nella ‘rivista di scienze biologiche da Lei meritamente redatta, del Marzo 1900. Senonchè il recensore Dottor O. Ricci al secondo quesito dice di avere caro di rispondere con più validità di argomenti di quello che non faccia il Sonsino. E prima di tutto si mera- viglia con punti interrogativo e ammirativo che io abbia detto che le zan- zare trovate sinora ospiti intermediari della Filaria appartengono tutte?! al genere Culex, mentre quelle che prendono parte alla trasmissione del parassita della malaria per le scoperte del Grassi, appartengono esclusivamente al genere Amopheles. Aggiunge poi che Grassi e Noè sono riusciti ad infet- tare di Filaria anche il genere Anopheles, ed ecco perchè egli si meraviglia di quanto ho detto nella mia risposta, e perchè si fa lecito di dire di avere da portare argomenti più validi di quelli da me dati nella mia risposta stessa. Con mio dispiacere mi trovo ora costretto a notare che la eritica del Dott. 0. Ricci è del tutto fuor di luogo. Prima di tutto il Dott. Ricci non si è accorto che il mio articolo fu pubblicato nel Marzo (senza dire che, come Ella sa, fu scritto nel Gennaio 1900) e che quindi non potevo allora valermi e citare un lavoro di Grassi e Noè che fu comunicato alla Accademia dei Lincei e pubblicato soltanto nei Rendiconti di questa dell’Agosto 1900. In secondo luogo il Dott. Ricci non si avvede che io parlava di Filaria nocturna trovata nei soli Culex, mentre gli esperimenti di cui parlano Grassi e Noè fatti su Filaria infettante gli Anopheles si riferiscono solo alla Filaria im- mitis del cane. Ora padroni i sig. Grassi e Noò, e il sig. Ricci di esten- dere, se vogliono, per analogia alle Amnopheles la prerogativa d’infettarsi anche di embrioni di Y. nocturna dell’uomo. Però gli Autori della Memoria comunicata all’ Accademia dei Lincei non parlano di avere fatto esperimento d’ infezione in Anopheles con embrioni di F. nocturna dell’uomo e eviden- temente non possono averli fatti, stando in Italia, dove la ilaria nocturna parassita dell’uomo, finora fortunatamente non è stata rinvenuta. Ora lo stesso Prof. Grassi m’insegna certamente che l’ analogia può mettere nella strada, ma non basta mai di per sè, per dare per sicuro che ciò che avviene per una specie di Filaria, debba avvenire anche per un’altra. Mettendo da parte che io non poteva fare tesoro di un lavoro che non era stato pubblicato, io sono stato ai fatti, perchè al momento che io scri- veva, l'infezione di embrioni di Filaria nocturna era stata osservata soltanto in zanzare del genere Culer. Infatti Manson in China e Lewis in India P. SONSINO 209 parlarono di Culex senza specificazione positiva. Io trovai che il ciclo vitale si verificava in Egitto nella Culex pipiens, o in una specie tanto affine di questa, da lasciare dubbio che non fosse che una varietà di essa stessa (per quanto mi era stato riferito dal Prof. Adolfo Targioni Tozzettia cui avevo rimesso esemplari delle zanzare per determinarle) !). Infine T. L. Ban- eroft nel 1899 trovò che la zanzara che serve di ospite intermediario nel territorio dove egli si trova presso Brisbane in Queensland, è la Culex ciliaris. Ed ora stando a quanto ne dice Grassi la ©. ciliaris sarebbe identica alla C. pipiens, per cui si può concludere che le osservazioni a tutto il Gennaio 1900 (quando io scriveva) non davano di sicuro che la sola C. pipiens come ospite intermediario della /. nocturna. Il Dott. Ricci, volendo aggiungere qualche cosa di nuovo a complemento della mia risposta, avrebbe potuto riferire le osservazioni recenti del James fatte a Travancoor in India e di cui è dato conto soltanto nel British Me- dical Journal del 1 Settembre scorso e secondo le quali 1’ Anopheles Rossti e un’altra specie di Amnopheles sono state trovate da lui infette da larve di F. nocturna e pertanto sono ritenute da lui capaci di servire di ospiti inter- mediari alla Filaria stessa. Con ciò è chiaro, che quanto fu detto nel Gen- naio dell’anno passato da me, ora non regge più; ma allora io- non poteva dire che quello che si sapeva allora. Se nuove osservazioni sul parassita della malaria facessero in seguito conoscere che questo può essere trasmesso anche da alcune specie del genere Culex sinora non esaminate in proposito, oltrechè dalle Anopheles, si potrebbe fare appunto al Grassi di avere asserito che sinora sono le sole Anopheles e non le Culex che si conoscono come trasmettitrici della malaria all'uomo? Certamente no, perchè Grassi quando fece quell’ asserzione, stava attaccato alle osservazioni di fatti positivi, senza preoccuparsi di quanto poteva essere constatato in futuro da nuove osservazioni. Ma nello stesso modo che ora fu trovato che non solo le Culex, ma anche le Amnopheles servono al ciclo vitale della Filaria nocturna, così è possibile che in futuro si trovi che al ciclo vitale del parassita della malaria concorrano anche delle specie di Culex, oltre che le Anopheles. Il modo precipitoso con cui si apprendono nuovi fatti per osservazioni nuove fa sì che quello che è detto convenientemente oggi, non corrisponde più 1’ indomane. E questo fia suggel che ogni uomo sganni. Le sarò grato se Ella vorrà dar posto nel suo giornale a queste mie parole che riusciranno anche di complemento alla mia risposta al quesito avanzato dall’illustre Prof. Lombroso. Esse compendiano una rettifica- zione che in data del 20 e 21 Febbraio scorso indirizzai al Policlinico stesso e che non dubito verrà pubblicato quanto prima nelle colonne di quell’ ot- timo periodico. P. SONSINO. Montepiano (Pr. di Firenze), 9 Marzo 1901. 1) Si contronti in proposito il mio articolo nel fasc. 8.° Agosto 1884 del Giornale della Regia Accademia di medicina di Torino. Riv. pi BIOLOGIA GENERALE, III. 14 210 RASSEGNA BIOLOGICA RASSEGNA BIOLOGICA ih Fisiologia. MONTEMARTINI LUIGI. — Sopra i nodi delle graminacee. — « Malpi- ghia », vol. XIV, 1900. L’A. ha voluto ripetere sopra i rigonfiamenti nodali delle graminacee ricerche analoghe a quelle istituite dal Borzì sopra 1’ apparato di moto delle sensitive. Nelle graminacee tali nodi non sono che il rigonfiamento della parte basale della guaina fogliare; « epperò rappresentano apparati motori omologhi ai cuscinetti delle foglie delle leguminose ». Sachs e Haberlandt ammisero che il movimento dei nodi dipenda da ineguale accrescimento del lato inferiore convesso e del superiore concavo. > Conducendo sezioni attraverso al parenchima dei rigonfiamenti nodali Montemartini potè riconoscere che le cellule costitutive, con contenuto piuttosto povero, in cui però abbondano cloroplasti amiliferi più numerosi e piccoli che nelle cellule corticali degli internodi, comunicano fra di loro per mezzo di filamenti protoplasmatici con una disposizione che ricorda quella descritta dal Borzì (questa Rivista, vol. I, pag. 260) nei cuscinetti motori delle sensitive. Una conferma alla ipotesi del Borzì che ritiene gli organi in questione come sensitivi, e spiega appunto la continuità dei plasmi come condizione della trasmissibilità degli stimoli, si ebbe nel comportamento loro di fronte agli anestetici ; poichè « piantine di graminacee inaffiate per due giorni consecutivi con soluzione allungata di cloralio non si raddrizzarono quando vennero collocate orizzontalmente ». Gli effetti meccanici delle stimolazioni sì spiegherebbero con Borzì nel fatto che gli stimoli modificano il potere di imbibizione del protoplasma, determinando quindi i ben noti movimenti di massa. P.a0; Foster HENRY HuBBARD. — The necessity for a new standpoint in sleep theories. «The Americ. Journ. of Psichology », Gennaio, 1901. x Scopo del presente scritto è una revisione critica dei fatti addotti in appoggio alle teorie istologica, chimica e vasomotoria del sonno, e insieme un tentativo di affrontare il problema dal punto di vista della dottrina evolutiva. RASSEGNA BIOLOGICA ZII I. — Teorie invocanti la circolazione del sangue. — Per Albrecht von Haller e Hartley, i primi autori che siano riusciti a portare la questione del sonno sopra un terreno positivo, il sonno sarebbe dovuto alla compressione meccanica esercitata sopra la massa cerebrale da una congestione venosa, la quale impedisse il flusso del « fluido nervoso » o lo obbligasse a interferire colle vibrazioni cerebrali. La teoria della congestione rimase la più accreditata fino al 1870. Fatti in apparenza favorevoli ad essa non mancavano : tra questi la somiglianza del sonno con fenomeni patologici (apoplessia, attacchi epilettici, ecc.) nei quali è evidente uno stato conge- stivo dei centri nervosi ; inoltre il potersi provocare il sonno, esercitando una pressione sul cervello nei casi di frattura della scatola cranica ; l’essere il sonno favorito dalla posizione orizzontale, ece. Questa teoria fu abbandonata in seguito ad esperienze assolutamente contrarie e cedette il posto all’ipotesi dell’anemia cerebrale. Blumenbach fu il primo, nel 1895, ad invocare la diminuita circolazione del sangue nel cervello come causa immediata del sonno; ed egli si fondava sulla osser- vazione delle variazioni di volume del cervello durante il sonno in un indi- viduo col cranio fratturato. La importante monografia di Durham consi- derava il sonno come « uno stato particolare di inattività cerebrale, diret- tamente accompagnato da nutrizione e riparazione della sostanza cerebrale ». Secondo Durham favorisce il sonno ogni causa capace di rallentare la ossidazione della sostanza cerebrale. Tra queste cause la più importante sarebbe 1° accumulazione nel cervello di prodotti di decomposizione che ostacolano catalitticamente la reazione di cui ci occupiamo. Ma perchè tali cause possano divenire attive si richiedono particolari, modificazioni nella circolazione del sangue. Nello stato di veglia la rapidità della corrente nei capillari assicura un’attiva ossidazione e la endosmosi dei prodotti di ossidazione nei vasi, ma non è favorevole alla esosmosi del materiale nutritizio dai vasi sanguigni ai tessuti. In generale predispone al sonno tutto ciò che tende a rallentare la cir- colazione cerebrale. La teoria del Durham, se è degna di considerazione pel vastissimo corredo di fatti sui quali si appoggia, non dà però del sonno una spiegazione soddisfacente. Essa stabilisce una concomitanza di particolari condizioni del cervello con date condizioni della circolazione; ma lascia indeterminato se Vl’ anemia cerebrale sia la causa o 1’ effetto della inattività cerebrale. Traccie dell’ opera di Durham si rinvengono negli autori più recenti nell’ ammettere come connessi al sonno gli effetti della intossicazione, la necessità dell’ ossigeno per l’attività cerebrale, e 1° azione del meccanismo vasomotorio. Un altro difensore della teoria vasomotoria è stato Hammond, il quale spiega 1’ anemia cerebrale durante il sonno coll’ azione del cuore che tende a spingere il sangue verso la pelle anemizzando gli organi cen- trali. Ciò spiegherebbe perchè dispongano al sonno tutte le cause che favoriscono 1’ anemia del cervello, come un freddo intensissimo, la digestione che richiama il sangue al canale alimentare; e lo prova anche la sonno- lenza abituale negli affetti da anemia costituzionale. Nel 1871 Moore emette l’idea che il sonno sia determinato da una sti- OT? RASSEGNA BIOLOGICA molazione che parte da certi gangli del simpatico per la via dei nervi vasomotori delle arterie cerebrali. Questa scarica a sua volta si produrrebbe quando il sistema cerebro-spinale esaurito non fosse più in grado di inibire l’ attività dei gangli simpatici esercitata sulle arterie cerebrali. Questa teoria è inaccettabile, perchè l’ antagonismo immaginato fra sistema cerebro-spinale e simpatico non esistere e perchè oggi l’ipotesi di un sistema vasomotorio speciale del cervello non è accreditata. La teoria vasomotoria del sonno fu presentata in forma più solida e completa dall’ Ho well (1897), il quale spiegò l’ anemia cerebrale con una perdita di tono dei centri vasomotori. Coll’ applicazione di pletismografi ad acqua Howell potè constatare che il volume degli arti aumenta durante il sonno per dilatazione dei vasi cutanei. Anche il Mosso potè constatare mediante accuratissime esperienze l’ aumento del volume degli arti inferiori nel sonno e la sua diminuzione durante il lavoro mentale. © Le modificazioni della circolazione caratteristiche del sonno — afflusso del sangue ai vasi della pelle e conseguente discesa della pressione nelle arterie della base del cervello — Ho well le attribuisce alla fatica di uno speciale centro vasomotore. Durante la veglia esso è tenuto in attività incessante dagli impulsi che vi giungono; ma per questo appunto è soggetto a intensa fatica. Le cellule corticali possono avere già ricuperata una discreta irrita- bilità, come lo dimostrano le curve sulla profondità del sonno ; ma il sonno continua ancora pel bisogno che ha il meccanismo vasomotorio di un riposo più prolungato. La periodicità del sonno riprodurrebbe il ritmo di esauri- mento delle cellule vasomotrici. Alla causa accennata possono cooperare queste altre : diminuzione della eccitabilità, per fatica di vasti territorii corticali, e indebolimento volontario di stimoli sensorii e mentali nella preparazione al sonno. A questa teoria si possono muovere sopratutto due obbiezioni: 1) La depressione delle curve pletismografiche, riscontrata non appena il soggetto assume la posizione orizzontale, non può ascriversi intieramente al dimi- nuito tono delle cellule vasomotrici bulbari, per la semplice ragione che la posizione orizzontale tende sempre a diminuire la pressione arteriosa, anche nello stato di veglia (Hi]l]). 2) Una depressione nel tono del centro vaso- motore non è che una manifestazione di un fenomeno generale in tutto il sistema nervoso, al quale partecipano altri centri bulbari e spinali. È dunque molto più probabile che la causa determinante del sonno sia la fatica dei centri superiori, e che la depressione iniziale del tono dei centri vasomotori dipenda non da fatica locale, ma da una diminuzione della eccitabilità corticale e degli stimoli sensorii e mentali. Sebbene la teoria dell’ anemia sia rimasta la più accreditata da Durham in poi, Sergouyef ha fatto un tentativo di far rivivere alcuni elementi della teoria congestiva : egli considerò il sonno come uno stato caratteriz- zato da attiva nutrizione, con anemia della corteccia, ma iperemia della porzione basale del cervello. Tutto sommato, i fatti principali su cui poggiano le teorie vasomotorie possono riassumersi così. Durante il sonno si osservano : 1) Diminuzione di volume del cervello ; 2) anemia delle arterie e dei vasi capillari; 3) dimi- nuzione della pressione arteriosa ; 4) i vasi retinici contratti; 5) i centri RASSEGNA BIOLOGICA 915 nervosi la cui irrigazione sanguigna è inversamente proporzionale a quella del cervello, in istato di congestione. Nessun dubbio può sussistere riguardo alla condizione anemica della corteccia nel sonno, sebbene non si possa escludere una congestione venosa parziale compensatoria. Ma il problema del sonno non si riduce alla mera constatazione di una concomitanza collo stato anemico : il punto critico è di sapere se l’ anemia sia 1’ effetto o la causa dello stato particolare del sistema nervoso nel sonno. II. Teorie chimiche. — Dopo che furono abbozzate le teorie dell’anemia non tardò molto in Germania e Francia ad aggredirsi la questione del sonno da un punto di vista chimico : e sorsero due ipotesi, combustiva e di un’ autointossicazione. i Ipotesi deli’ autointossicazione. — Questa fu elaborata nella sua forma più completa da Pflilger nel 1875. Egli ammette che 1’ ossigeno intramolecolare accumulatosi nei tessuti durante il sonno, e consumato durante la veglia venga rimpiazzato gradualmente da anidride carbonica. Quando tale sostituzione fosse completa, ogni attività cesserebbe. Il dispendio di ossigeno negli scambi molecolari supera quello che le molecole viventi sono capaci di ricuperare nello stesso tempo. Per conseguenza la quantità di anidride carbonica prodotta deve necessariamente diminuire, e succede una condizione di relativa inattività cerebrale, il sonno. Il sonno o la veglia ‘ non dipendono dalla quantità di energia potenziale accumulata nel cervello, ma dalla quantità di forza viva dei movimenti intramolecolari. Pfliiger ha esagerata la importanza dell’anidride carbonica quale causa positiva del sonno. Quanto alla funzione dell’ ossigeno, poco ne sappiamo. Sembra che la sua funzione sia di ossidare prodotti di decomposizione nocivi: onde sarebbe temerario ascrivere il sonno a mancanza di ossigeno nel cervello o a diminuito scambio gassoso. Ipotesi dell’ autointossicazione. — Obersteiner attribuì pel primo il sonno all’accumulazione di prodotti acidi, specialmente acido lattico, nel cervello. Cinque anni dopo Preyer, ritenendo che la quantità di sangue irrigante il cervello nel sonno e nella veglia sia eguale, conchiuse che la funzione dell’ossigeno dev’esser diversa in questi due stati del cervello. Il senso di fatica che preludia al sonno sarebbe dovuto all’accumularsi di certi prodotti di decomposizione i quali, avendo affinità spiccata per l'ossigeno, ne diminuiscono la razione utilizzabile dall’ attività delle cellule cerebrali ; durante il sonno avverrebbe la ossidazione dei prodotti della fatica, come acido lattico e creatina. Quando questi siano completamente ossidati, segui- rebbe il risveglio. Ma non è vero che la quantità di sangue apportata al cervello resti inalterata nel sonno, e non è dimostrato che la presenza di ossigeno sia indispensabile all’attività mentale. Questa ipotesi fu modificata da Rachel, considerando questo autore il sonno come un effetto della incapacità del sangue ad eliminare totalmente i prodotti della fatica. Errera ammette che il sonno sia dovuto all’ accumularsi nel cervello delle leucomaine le quali nello stato di veglia si van formando più presto che non si ossidino. Durante il sonno avverrebbe la ossidazione delle leuco- 214 RASSEGNA BIOLOGICA maine. Se la quantità di queste è anormalmente grande, si può avere l’effetto contrario, come nella insonnia da strapazzo cerebrale. 3 Più recentemente un tentativo di completare la spiegazione chimica con una istologica è stato fatto da Berger e Loewy. Foster pensa che nella ipotesi alla intossicazione vi sia molto di vero come in quella dell’anemia, ma che neppure essa basti a dare una spiega- zione soddisfacente del sonno, e sopratutto della sua grande durata. Egli crede che sul principio del sonno il fattore più attivo sia una intossicazione, e che una volta compiuto il processo di ossidazione delle sostanze prodotte nella fatica, la intensità del sonno diminuisca e si mantenga per un tempo sufficiente da permettere alle cellule di riparare gli effetti dell’esaurimento. III. — Teorie istologiche. — La prima teoria che tentasse interpretare i fenomeni del sonno colle diverse condizioni dei neurociti in istato di attività e riposo è quella di Rabl Rickardt (1890). Essa spiega il passaggio dalla veglia al sonno nella retrazione dei prolungamenti dei neurodendri, per cui ‘i neuroni corticali verrebbero ad essere isolati, ristabilendosi un contatto più intimo, e quindi la conduzione interneuronica, grazie alla espansione dei prolungamenti, caratteristica dello stato di veglia. Questa teoria fu ela- borata poi da Lepie e sopratutto Duval (95). Una conferma le venne dal Wiedersheim, il quale osservò movimenti ameboidi nei neurociti ‘del ganglio superiore di Lepidoptera hyalina. Ramon y Cajal modificò questa ipotesi attribuendo invece 1° impedita trasmissione degli stimoli alla mobilità delle cellule della neuroglia in cui sono adagiati i neurociti : esse potrebbero impedire il passaggio degli stimoli ‘nervosi protrudendo i loro pseudopodi fra i neurociti. Lugaro (1898), muovendo dalla plasticità dei processi dei ann n che nello stato di veglia solo una parte dei processi siano espansi, U e gli altri sarebbero retratti impedendo così 1’ accesso al neurocito di altri stimoli capaci di deviare od annullare gli affetti di quelli già elaboratisi nella cellula. Coll’esaurirsi per fatica la contrattilità dei processi, i contatti ven- gono a moltiplicarsi finchè gli impulsi nervosi si disperdono e confondono per tutta la corteccia, risultandone il sonno. _ Il decidere fra queste varie ipotesi è riservato all’.avvenire. IV. — Il punto di vista evoluzionistico. — Chi tentasse dare una teoria completa del sonno, ben lungi da escluderli, dovrebbe coordinare gli svariati fatti invocati dalle teorie vasomotoria, chimica ed istologica, le quali rappresentano vedute unilaterali più o meno incomplete. ‘E prima di tutto il problema del sonno va inquadrato nella teoria evo- lutiva. Un buon numero di fatti dimostra che il sonno è il prodotto di una ‘evoluzione, e a chi voglia seguirlo nella sua storia filogenética, si affacciano subito tre questioni : 1) Che cosa vha di fondamentale in questo fenomeno ? 2) Che influenza ha avuto sul sonno la selezione? Im che modo si sono insediati i fattori secondarii? 3) Come definiremo il sonno ? Da accurate osservazioni di Hodge ed Aikins (1895) sopra l’attività dei protozoi, aleune delle quali continuate per ben 27 ore senza interruzione sopra le vorticelle, hanno portato a conchiudere che i movimenti delle cilia RASSEGNA BIOLOGICA 215 e vescicole contrattili seguendo senza tregua, le vorticelle non riposano, nè dormono. Non v’ha del resto alcuna ragione teorica per ritenere a priori la fatica come un fenomeno inseparabile dalla vita. [Ma le osservazioni di Hodge ed Aikins giustificano la conclusione ? Non se ne potrebbe con- chiudere anche erroneamente che gli osservatori non sono soggetti a fatica ?] Secondo Foster la fatica sarebbe uno dei grandi fattori che resero il sonno una necessità vitale. Nei protozoi, come non si ha la fatica, così manca il fenomeno del sonno, e l’organismo è capace di rispondere incessantemente agli stimoli senza subire una diminuzione di irritabilità. In ogni organismo sviluppato notiamo un’alternanza di attività e riposo, la quale, probabilmente originata da modificazioni ritmiche dell’ ambiente, si è fissata come un’abitudine. La fatica non fa che assicurare e rinforzare la tendenza del sistema nervoso ad alternare periodi ritmici di aumentata e diminuita attività. È innegabile la influenza che esercita sopra questo avvicendarsi di fasi diverse di attività negli organismi la successione della luce del giorno alle tenebre della notte. La influenza della luce è dimostrata . dal fatto che animali pei quali l’olfatto e l’udito sono i sensi di gran lunga più sviluppati, presentano sonni assai meno regolari che quelli dalla vista bene sviluppata. Il ritmo néi primi non è ben determinato ; mentre nei secondi è rigorosamente coordinato al ritmo delle variazioni di luce diurna, e di queste secondo le stagioni. Coll’acquisto secondario di un sistema circolatorio bene differenziato, un nuovo fattore si introdusse nella interna economia dell’ organismo, il quale dovette cadere sotto il controllo del sistema nervoso, e si dovette organiz- zare un particolare sistema vasomotore, il cui ritmo fu determinato da quello del sistema nervoso primario. I centri nervosi superiori dipendono è vero dall’ attività del sistema circolatorio, ma a quel modo che il padrone dipende per la sua alimentazione dall’ opera di persone di servizio. Nelle forme attuali il sonno sarebbe una conseguenza del diminuito apporto di sangue al cervello. Infine nella specie umana intervengono ancora gli adattamenti psichici ossia una ricerca cosciente delle condizioni fisiche e psichiche più favorevoli al sonno. Pal. WERTHEIMER. — Sur la régulation du rythme du coeur par la respi- ration pendant l’excitation des nerfs accélérateurs. — Volume Jubilaire du Cinquantenaire de la Société de Biologie, p. 229. Paris. Masson. L’A. aveva già dimostrato, in collaborazione col Lepage (Journ. de Phy- siol. et de Pathol. génér., 1899 p. 286) che l’accelerazione del cuore provo- cata dell’eccitamento dell’anello di Vieussens, nel cane, subisce delle remissioni periodiche, legate al ritmo respiratorio. Durante l’espirazione, cioè, la fre- quenza delle pulsazioni è minore che nell’inspirazione ; perchè l’influenza dei nervi acceleratori del cuore è incapace di sopprimere completamente il ral- 216 RASSEGNA BIOLOGICA lentamento espiratorio delle pulsazioni, che è un fatto fisiologico nel cane ed in alcune altre specie animali. Ora lA. ha osservato un altro fatto degno di nota per la grande nettezza del suo significato. In certe specie animali talvolta non si manifestano le irregolarità normali del ritmo cardiaco. Allora, se vengono eccitati i nervi acceleratori, si notano le irregolarità per tutto il tempo che l’eccitazione dura o se ne mantengono gli effetti. In questo suo lavoro 1’ A. riferisce estesamente la minuziosa tecnica ope- ratoria seguìta, e riproduce diversi tracciati assai dimostrativi da cui risulta evidente che in certi animali in cui non si manifestano spontaneamente va- riazioni spontanee del ritmo cardiaco, queste appaiono momentaneamente quando vengono eccitati i nervi acceleratori : la qual cosa significa che tale eccitazione richiama in attività il meccanismo nervoso che associa la fun- zione del centro cardio-moderatore a quella del centro respiratorio bulbare, il quale allora interviene per frapporre periodicamente un ostacolo all’au- mento di frequenza del cuore ed all’elevazione della pressione arteriosa. Si tratterrebbe quindi di un curioso meccanismo di auto-regolazione, pel quale l’azione di certi nervi che hanno per funzione di accelerare e perfino di rinforzare le pulsazioni cardiache, si manifesterebbe facendole diminuire, di tempo in tempo, oltre il numero normale, abbassando nello stesso tempo la pressione arteriosa al disotto del livello primitivo. GICH ES CASELLI ARNOLDO. — Studi anatomici e sperimentali sulla fisiopa- tologia della glandola pituitaria (lRypophysis cerebri), 1 vol. di p. 228, con 33 fig., Reggio Emilia, 1901. Questo importante contributo alla fisiopatologia della glandola pituitaria è stato presentato dall’ A. come tesi per conseguire la libera docenza in. patologia speciale chirurgica, ma è stato pubblicato soltanto ora, dopo la morte dell’ autore, che in questo studio coscienzioso fatto nei laboratorî Spallanzani dell’Istituto psichiatrico di Reggio, aveva speso tutta 1’ attività febbrile degli ultimi due anni della sua giovane vita. Dopo un succinto ma completo riassunto dei dati anatomici e fisiologici, posseduti oggidì dalla Scienza a proposito dell’ipofisi, e che 1’ A. assoggetta quasi sempre ad un’esauriente critica, egli si indugia alquanto nell’ esposi- zione delle numerosissime (più di novanta) esperienze, da lui istituite per controllare i dati correnti sulla fisiopatologia dell’ipofisi, che egli estirpava con un metodo brillante da lui ideato (e che minutamente descrive ed illu- stra). Nel capitolo che segue (IV) l'A. tratta dei rapporti funzionali fra la glandola pituitaria ed altri organi, esponendo i dati noti e controllandoli sempre coi dati sperimentali da lui stabiliti; e nel V° fa una breve rassegna delle alterazioni morfologiche, congenite o acquisite dell’ ipofisi, che, come notava giustamente Wiedersheim !), per la sua antichità è, come altri 1) Nel suo articolo sulla « Senescenza filogenetica » in « Rivista di scienze biologiche », Anno I., 1899, RASSEGNA BIOLOGICA 217 organi rudimentarî, molto predisposta agli agenti nocivi, interni, di qual- siasi genere. Illustra, in proposito, 12 casi (trovati nel Museo craniologico dell’ Istituto psichiatrico, di permanenza del dotto cranio-faringeo ;) e più lungamente insiste a parlare dell’acromegalia, a proposito della quale affe- zione riporta un caso personale, assai ben studiato, che arricchisce la stati- ‘ stica di questa malattia, per la quale egli sostiene come fattore etiologico principale la lesa funzione della pituitaria. Gli ultimi due capitoli espongono brevemente i dati generali sull’organo- terapia ipofisaria (cap. VI) e sull’ipofisectomia nell'uomo (cap. VII) che egli giudica non praticabile, e per la quale, in caso, si dovrebbe seguire la via temporale. Abbiamo preferito raccogliere a questo punto le conclusioni generali più interessanti a cui l'A. è stato condotto dagli studi proprî e da quelli degli altri : L’ipofisi, tanto nell'uomo come nella donna, raggiunge il suo peso massimo negli individui in cui l’encefalo presenta un peso medio: ha un peso minore negli individui a cervello più sviluppato. Non è possibile sostenere 1’ esclu- siva origine ectodermica dell’ipofisi. L’ abolizione completa della funzione ipofisaria provoca in primo tempo rallentamento del respiro e acceleramento del cuore. In secondo tempo porta depressione delle facoltà psichiche, disturbi di movimento (caratterizzati da incurvamento del dorso ed andatura spastica) senza contrazioni tonico- cloniche degli arti e accessi convulsivi; cachessia, poi morte. — L’estirpa- zione dell’ipofisi è accompagnata da sintomi simili a quelli che caratteriz- zano il diabete, ma essi sono dati dalla lesione di parti del cervello prossime all’ipofisi. | . La lesione parziale della funzione dell’ ipofisi produce in primo tempo, nei cani adulti, gli stessi effetti dell’abolizione totale, mà questi, che corri- spondono ad uno stato di insufficienza dell’ organo, per lo più scompaiono lasciando però dopo di sè fenomeni di depressione psichica : nei cani in via di sviluppo, invece, si ha un ritardo nell’ accrescimento normale dell’ orga- nismo. L’estirpazione dell’ipofisi modifica il decorso della tetania paratireopriva, sostituendo abbastanza rapidamente ai fenomeni motori, fenomeni di para- lisi, ai quali dopo 48 ore segue la morte : la stessa operazione nei cani semplicemente stiroidati, accelera il decorso della cachessia, senza modifi- carne. i caratteri. Per questa ragione, per l’ identità dei sintomi presentati dall’abolizione della funzione ipofisaria e da quella tiroidea, e per la grande analogia della struttura anatomica (i processi rigenerativi che si notano nell’ ipofisi parzialmente lesa ricordano assai quelli del corpo tiroide) è da ritenere che ipofisi e tiroide abbiano qualche proprietà funzionale analoga, restando fermo però che la funzione dell’ una non può assolutamente sup- plire o compensare l’abolizione dell’altra. Perciò l’ipertrotia dell’ipofisi che si nota nell’uomo come negli animali privati di tiroide, non è un’ipertrofia compensatoria, ma semplicemente 1’ espressione di un aumento di lavoro nel campo funzionale proprio. I rapporti fra ipofisi ed altri organi del corpo non sono diversi dai comuni rapporti che, per mezzo del sangue, collegano fra loro le diverse glandole del corpo. 218 RASSEGNA BIOLOGICA Nell'uomo esistono varietà morfologiche della glandola pituitaria che non sì manifestano con fenomeni di qualche importanza, a meno che non ledano i nervi ottici, e non aumentino notevolmente la pressione endo-cranica : alcune alterazioni morfologiche (con ipertrofia dell’ organo), però, possono dar luogo all’acromegalia. La mancanza o l’atrofia dell’ipofisi nell'uomo è costantemente accompa- gnata da arresto di sviluppo e da cretinismo. L’organo-terapia pituitaria è applicabile alle forme morbose psichiche a carattere depressivo [?]. E l’autore così conclude: L’ipofisi è un organo di alta importanza fisio- logica, il quale, per mezzo dei suoi prodotti di secrezione e pei suoi rap- porti col sistema nervoso centrale, regola nel circolo 1° equilibrio di talune sostanze tossiche, le quali, prevalendo, possono stimolare 1’ accrescimento tumultuoso di taluni tessuti dell'organismo, come colla loro mancanza pos- sono provocare la cachessia e l’arresto di sviluppo. G. C. FERRARI. BICKEIL. — Beitrige zur Riickenmarkphysiologie des Frosche$s, — Archiv. fiir Physiologie, 1900, p. 485. L’A. ha proseguito le sue ricerche sulle rane, operandone un numero ‘assai grande che divideva, al solito, in gruppi, a seconda dell’ altezza del ‘midollo in cui era stata praticata la sezione. Il risultato più importante delle ricerche del Bickel fu che tagliato trasversalmente il midollo da un certo punto (al di sopra della quinta vertebra) in su, la parte retrostante dell’animale è in grado di compiere movimenti spontanei [?] anche di loco- mozione, tanto meglio quanto più in alto è caduta la sezione. Certi movi- menti (quelli del salto, quelli del nuoto), non si poterono mai ottenere, ma l’animale poteva strisciare. Così pure, mentre si avevano serî disturbi della respirazione, quando la sezione colpiva il midollo allungato, questi scompa- rivano quando il taglio divideva il midollo allungato dalla bandelletta cere- bellare, non solo, ma le zampine. anteriori allora potevano muoversi e l’animale poteva da solo togliersi dalla posizione supina per mettersi prono. L’A. inizia questa esposizione delle sue ricerche con una breve discus- sione del problema metodologico generale. G. Ch BICKEL. — Beitriige zur Riickenmarkphysiologie der Fische. — Archiv. fiir Physiologie, 1900, p. 481. L’ A. ha voluto studiare 1’ influenza della sezione trasversale (praticata con tutto il rigore sperimentale necessario) del midollo spinale dei pesci, fatta a diverse altezze, sui movimenti di questi animali. Egli ne ha operato una grande quantità, che divide in cinque gruppi, a seconda dei cinque RASSEGNA BIOLOGICA 219 segmenti in cui egli aveva diviso la lunghezza del midollo dei pesci, e la conclusione principale si è che quanto più in alto, verso la testa dell'animale, è praticata la sezione, tanto più difficile veniva ad essere per 1° animale il conservare la posizione abituale. GC KEIVER SMITH. — Rhytmus und Arbeit. — Psychologische Studien, Vol. XVI, 1-2, 1900. La contribuzione che l’ autrice porta alla questione del valore che ha il ritmo per le diverse manifestazioni della vita psichica è senza dubbio degna di lode; e non si è lontani dal credere con lei che la questione dei rapporti fra ritmo e lavoro debba essere feconda di conoscenze nuove ed interessanti tanto in psicologia, quanto in fisiologia. L’A. ha scelto, per discutere il suo problema, una serie di lavori, di dignità progressivamente crescente, e che dovevano essere eseguiti con e senza ritmo. Gli infimi di questi lavori erano prodotti semplicemente musco- lari, in cui non entrava di psichico che la regolazione dell’impulso motore, ed erano misurati coll’ergografo ; seguivano esperienze di scrittura, quindi di sollevamento e valutazione di pesi, poi di atti di memoria, e da questi ultimi era quasi completamente escluso l’elemento motore. Il primo gruppo di ricerche è però fondamentalmente sbagliato in causa del metodo sperimentale di cui 1’ A. si è servita. È evidente per chiunque abbia fatto prove ergografiche, che anche quando il metronomo tace, molti altri dati forniscono la misura per conservare il ritmo ; basta 1’ orecchio musicale più rudimentale, infatti, per mantenerlo. L° A. avrebbe potuto meglio, se voleva assolutamente servirsi dell’ergografo, far andare contem- | poraneamente due metronomi, con tempo non troppo diverso l’uno dall’altro, mentre l’individuo faceva l’esperimento che doveva essere senza ritmo. Il problema si sarebbe forse complicato, ma avrebbe avuto qualche più soda apparenza di verosimiglianza. L’ A. (che del resto fa da sè alcuni appunti al metodo che ha seguito) ha trovato un aumento del lavoro muscolare, quando questo era fatto secondo un ritmo ; ma però non bisogna dimenti- care che questo plus-valore potrebbe essere anche ascritto all’ influenza ‘ personale, per così dire, della battuta del metronomo. Le esperienze di scrittura fatte con o senza ritmo furono dall’ A. divise in 7 serie. Si trattava nella prima di copiare, senza sollevare la penna, una certa figura, per far la quale erano necessarî quattro movimenti : Le figure dovevano essere tutte ugualmente alte (12 mm.) e presentare un certo rapporto fra altezza e larghezza. Due sedute di 10° ciascuna, la prima col metronomo, la seconda senza, e che erano separate da 10’ di riposo, furono fatte «una volta al giorno per dieci giorni consecutivi. E 1° A. conclude che ogni persona ha un proprio ritmo, in un certo grado variabile, pei movimenti della scrittura; e che il ritmo agisce indubbiamente sulla quantità, non è invece così evidente l’ influenza che si esercita sulla qualità del lavoro eseguito. 220 RASSEGNA BIOLOGICA In una seconda serie, in cui si potè notare anche un’influenza del ritmo sulla qualità del lavoro eseguito, furono più opportunamente fatte prima, per cinque giorni, le esperienze col metronomo, poi, per altri cinque giorni, senza. Da queste e dalle serie seguenti 1° A. trae dei corollarî assai inte- ressanti e che additano molte e promettenti vie di ricerca, ma 1’ accenno che ne potremmo fare qui sarebbe necessariamente insufficiente. Certo dobbiamo ricordare l’importanza, messa bene in luce da questo studio, che per la pedagogia deve avere lo sviluppare la sensibilità al ritmo nei giovani scolari, come mezzo protettivo della fatica normalmente indotta dal lavoro, come mezzo disciplinare, ecc. Per le misure coi pesi l'A. si serviva di 8 pesi, di cui uno era costante e serviva da paradimma ; ed aveva di mira lo studio non della velocità con cui l’esperimento procedeva, ma dell’ esattezza complessiva delle risposte e dei giudizi, e della continuità dell’ attenzione. Un gruppo di ricerche era fatto col metronomo, il secondo senza ; e dal confronto di tutti questi dati, (espresso per lo più per mezzo di tabelle) 1° A. trae delle proposizioni di interesse generale, specialmente per la psicofisica. Più complete e di valore più immediato sono le ricerche della quarta serie, relativa agli atti di memoria, ed alla questione circa 1} influenza che ha il ritmo per imparare e per riprodurre lettere o sillabe senza significato. L’ A. risponde, in base ad un notevolissimo numero di esperimenti molto più accurati ed intelligenti di tutti gli altri: @) che il ritmo serve ad unificare i singoli componenti, diminuendo il numero delle unità e facili- tando la comprensione della intera serie; 6) che favorisce 1’ attenzione ; e) che l’azione del ritmo sul sentimento è favorevole all’apprendimento. In un ultimo paragrafo VA. trae le conclusioni generali del suo lavoro: « Il ritmo ha in ogni caso un’influenza diretta sull’ attenzionéè e sui senti- menti » ..... «Il movimento dei diversi organi deve avere un tempo medio quasi costante pei propri movimenti, senza che esistano al riguardo diffe- renze individuali molto notevoli... Ogni arte deve avere un suo tempo favo- rito. Si troverà forse una certa relazione matematica fra questo tempo e la lunghezza e la massa dei diversi arti ». « Esiste quasi in tutti una tendenza assal notevole a scandere in ritmi ogni movimento continuato ». È pure interessantissimo lo studio dei rapporti fra i ritmi proposti dall’esterno e quelli accettati dall’ interno, e del diverso valore emozionale dei varî accordi così formatisi. L’ origine del ritmo è fisiologica : i movimenti, regolarmente ripetuti, del corpo, costituiscono gli stimoli fisiologici che hanno per manifestazione psichica. il ritmo. VascHIpbE N. et VuRPAS A. — Contribution è 1° étude psycho - phy- siologique des acetes vitaux en l’absence totale du cerveau chez un enfant. — Comp. Ren. de VAcc. des Sciences. — N. 10, 11 Mars 1901. (li AA., avendo potuto osservare durante le 39 ore di sua esistenza un neonato anencefalo, ne approfittarono per fare sopra di lui delle ricerche di psico-fisiologia. Nell’ interno del tumore cistico, che teneva luogo del eranio, RASSEGNA BIOLOGICA 221 «non vi erano, del sistema nervoso centrale, che il bulbo, la protuberanza e probabilmente qualche rudimento della quadrigemella. Gli AA. hanno stu- diato lo stato della respirazione, della circolazione, della motilità, della sen- sibilità e delle principali manifestazioni psichiche. Le respirazioni erano in media 9 al minuto ed avevano il tipo Cheine-Stoches. Il polso aveva 139 pulsazioni al minuto. I riflessi tendinei degli arti superiori, i soli esaminati, erano esagerati, i riflessi muscolari diretti erano presenti. La reazione di difesa alle impressioni tattili, dolorose e termiche erano nette; il neonato presentava dei movimenti coordinati del corpo e dei riflessi associati per sfuggire le sensazioni spiacevoli. Nessuna reazione invece ad un rumore o ad un fascio di luce molto intensi; e così pure allo stimolo del bromidrato di chinino sulla lingua, come di una bottiglietta di canfora sotto il naso; vivace reazione invece all’ammoniaca. Importante notare che il neonato presentava anche delle convulsioni, tipo jaksoniano. _ La circolazione, la respirazione, e la calorificazione sono dunque rego- late in molta parte dal cervello, mentre i riflessi semplici ed associati, la coordinazione di movimenti anche complicati, la sensibilità al dolore. Le sensibilità, tattili, muscolari e termiche, necessarie a reazioni di difesa esi- stono all’infuori dell’azione del cervello e del cervelletto. L’assenza dei lobi cerebrali non impedisce l’ insorgere delle convulsioni. OBICI. CHAUVEAU. — La production du travail musculaire utilise-t-elle, comme potentiel énergétique, l'alcool substitué à une partie de la ration alimentaire ? — Comp. Rend. de VAcc. de Sciences. — N. 2, 14 Janvier 1901. CHAUVEAU. — Imfluence sur la substitution de l’alcool au suecre alimentaire, en quantité isodyname sur la valeur du travail musculaire accompli par le sujet. — Comp. Rend. dell'Acc. de Sciences. — N. 3, 21 Janvier 1901. L’A. si propone un quesito di pura fisiologia, dietro al quale stanno problemi di alto interesse sociale ed igienico, e lo risolve in modo categorico con rigorosi esperimenti di laboratorio. Analizzando i gas della respirazione di un animale, si può indagare, con una certa esattezza per mezzo del tasso dell’ acido carbonico comparato a quello dell’ ossigeno assorbito durante la combustione dell’ organismo, la natura delle materie che alimentano queste combustioni. Così si sa ad esempio, che il quoziente di combustione degli idrati di carbonio vale 1,000, mentre quello dell’ alcool vale solamente 0,666. La enorme differenza non può tradursi nei quozienti respiratori di soggetti ai quali sieno dati, per eseguire un lavoro muscolare, degli idrati di car- bonio con o senza sostituzione parziale di alcool etilico. Dalle cifre del ri- cambio respiratorio si conoscerà se le due sostanze sono usate a dare, propor- zionatamente alla loro quantità, 1’ energia dispensata dai muscoli in istato di attività. 222. RASSEGNA BIOLOGICA L’A. ha fatto una lunghissima serie di esperienze di simile: genere su di un cane che alimentava comunemente con 500 gr. di carne cruda, e 250 gr. di zucchero, sostituendo in dati giorni, a 84 gr. di zucchero, 28 gr. di alcool. Faceva poi correre per un’ ora o due il cane in un apparechio spe- ciale che gli permetteva di esaminare il ricambio gassoso della respirazione. Senza seguire l’A. nell’analisi dei suoi dati, riportiamo le sue importantis- sime conclusioni : L’alcool ingerito, di cui l'organismo si impregna così rapi- damente, non partecipa che in piccolissima parte — se pure vi partecipa — alle combustioni dalle quali il sistema muscolare trae le energie neces- sarie al suo funzionamento. Questa sostanza non è un alimento di forza, e la sua introduzione nelle razioni di lavoro appare un controsenso fisiologico. Sembra poi inoltre che un organismo saturo di alcool, non solo non possa utilizzarlo nell’esecuzione del lavoro dei muscoli, ma neppure nell’ esecuzione del complesso lavorio fisiologico dello stato di riposo. Nella seconda nota l’A., servendosi di dati molto più numerosi ottenuti nello stesso cane durante 108 giorni di esperienza, studia le variazioni del peso dell’animale a seconda, se nella solita dieta era o no sostituito l’alcool. Ora egli ha visto crescere il peso del cane nei periodi in cui lo alimentava con carne e zucchero, nonostante l’animale corresse con molta lena per due ore al giorno, calare invece il peso, e considerevolmente, quando sostituiva ad una parte di zucchero l’ alcool, nonostante il cane, nelle due ore gior- naliere di corsa, percorresse minore strada. OBICI. IDE Antropologia generale. ANDRES AÀ. — La lotta per Il’ esistenza sostenuta dell’ uomo contro gli animali. — Discorso inangurale dell’Anno Accademico 1900-901 all’ Università di Parma. i Il prof. Andres passa in rassegna le vittorie riportate dall’uomo sulle altre specie animali; viene quindi a descrivere come l’uomo dalla fase pri- mitiva poco più che bestiale sia successivamente entrato in quella di cac- ciatore, poi di pastore nomade e fisso, e da ultimo in quella di agricoltore, assorgendo a civiltà. Una delle conclusioni principali di questo studio è che, non tutta la umanità passò per tutte le fasi sovra indicate, ma a partire dalla fase di cacciatore (dal periodo di selce scheggiata), la ulteriore evoluzione, la tra- sformazione in pastore nomade e in agricoltore stabile, 1’ addomesticamento di alcune specie, sarebbe stata esclusiva di alcune popolazioni privilegiate del genere umano, mentre le altre rimasero più o men passive accogliendo le invenzioni e scoperte di quelle. RASSEGNA BIOLOGICA 223 Per quanto riguarda 1’ addomesticamento è da notare che il cane dome- stico si trova ovunque come le armi di selce scheggiata comuni a tutto il genere umano ; e perciò l’ addomesticamento del cane risale probabilmente ai primordi della vita di cacciatore, quando non s’ erano ancora differen- ziate le varie razze. L’ addomesticamento delle altre specie fu compiuto invece da singole popolazioni in epoche e luoghi diversi; come la pietra levigata e l’uso dei metalli non furono invenzione di tutto il genere umano, ma di alcuni popoli più intelligenti. I primi animali domestici sarebbero apparsi in Europa nel periodo neo- litico, probabilmente importati dagli stessi popoli che introdussero la pietra levigata; il bue ed il cavallo sarebbero apparsi più tardi, nell’ età del bronzo. Pare che l’addomesticamento degli animali abbia avuto origine nella parte centrale dell’ Asia, ove tuttora fiorisce la pastorizia nomade: esso risalirebbe alla fine del periodo paleolitico (circa 1000 secoli addietro !), se è vero che i primi animali domestici ci furono introdotti in Europa insieme alla pietra levigata. BELLEI. — La stanchezza mentale nei bambini delle pubbliche scuole. — Fivista sperimentale di Freniatria, Vol. XXVI. N. IV. p. 692. Esposti succintamente i diversi metodi del dettato, della memoria, della matematica, e quello, detto di combinazione, dell Ebbinghaus, usati generalmente per determinare il rapporto che esiste fra 1’ insegnamento quotidiano della scuola e la stanchezza che da tale insegnamento deriva, lA. spiega come abbia scelto il metodo del dettato perchè è alla portata degli studenti da tutte le classi e non preoccupa gli scolari, i quali perciò vengono osservati nelle migliori condizioni. Riferiti quindi i dati ottenuti su 320 bambini ed il metodo di classifica- zione degli errori, espone le conclusioni a cui è giunto e che si possono riassumere in questo modo : 1°) che il risultato migliore è quello ottenuto subito dopo il riposo di mezzogiorno: 2°) che il peggiore è quello ottenuto alla fine delle lezioni del pomeriggio ; 3°) che a questo tiene subito dietro, per deficienza, quello fatto al momento dell’ingresso nella scuola ; 4°) nella seconda ora di lezione le condizioni migliorano. Im complesso, malgrado che dopo il riposo di mezzogiorno gli scolari si trovino nelle migliori condizioni di mente, un’ora o poco più di lezione bastano ad esaurire tutta la riserva mentale degli scolari. GC 224 RASSEGNA RIOLOGICA RAUSCHBURG u. BALINT. — WUeber qualitative und quantitative Ver:inderungen geistiger Vorginge im hohen Greisenalter. — Allg. Zeisschrift f. Psychiatrie, 1900, p. 689-719. Come soggetti hanno servito 14 pensionati fra i 60 e gli 84 anni, raccolti in un Ricovero di mendicità di Budapest, i quali erano fisicamente ancora forti e non presentavano alcun segno di demenza incipiente : nell’età giova- nile erano stati tutti operai, ed avevano avuto un’istruzione appena elementare. Come individui di controllo gli autori scelsero 10 inservienti di quella Clinica psichiatrica, fra i 20 e i 40 anni, e nelle medesime condizioni di istruzione, ma forse un po’ meno evoluti intellettualmente. Gli individui furono esaminati coi comuni metodi della psicologia indi- viduale, studiando in essi le reazioni semplici o complesse ai diversi stimoli, le reazioni associative, il meccanismo del giudizio, ecc., ece. Si notò nella generalità dei vecchi esaminati un’inferiorità quantitativa e qualitativa di tutte le facoltà psichiche. Le reazioni furono, in complesso, sempre più lunghe che nei giovani, tanto più, quanto più complesse esse erano. Lo studio dei processi associativi, poi dimostrò una diminuzione della elasticità mentale, ed un infiacchimento dell’ attività immaginativa, che si limitava quasi esclusivamente ad associazioni di idee secondo la subordina- zione, la predicazione, ecc. GATE, TouLOUSE et VASCHIDE. -—- I° asymétrie sensorielle olfactive. —- Revue philosophique, 1900. Gli autori hanno sperimentato sugli infermieri dei due sessi del Manicomio di Villejuif e sui bambini di quell’ asilo-scuola ; adoperando la canfora in soluzioni varie, da 1: 1.000, ad 1: 1.000.000, con dieci suddivisioni in serie per ciascuna gradazione tipica. Essi bendavano il soggetto, e avendogli turata una narice, ponevano sotto l’altra una soluzione debolissima, che cambiavano con una più forte se non veniva avvertita, arrestandosi a quella che rappresentava il minimum sensibile per la percezione e pel riconoscimento. Quest’ ultimo era gene- ralmente l’ultimo atto. — Successivamente si esaminava l’altra narice, colle stesse precauzioni. Gli autori hanno trovato che in tutte le persone esaminate da loro una narice è più sensibile dell’altra, e che nella grande maggioranza (42 per 50) questa narice è la sinistra, tanto per gli uomini che per le donne, nei bambini come nei vecchi. Essi trovano una spiegazione eventuale di questo fatto [che del resto ognuno può facilmente dimostrare sopra sè stesso] in ciò che mentre le fibre nervose sensitive degli altri organi di senso si inerociano, questo non avviene, almeno per le più importanti delle fibre olfattive (Ferrier e RASSEGNA BIOLOGICA 225 Collet). Ora, siccome l’emisfero sinistro è più importante, è naturale che sia più fine la sensibilità olfattiva della narice sinistra. Una controprova di questo fatto si ha nelle esperienze sull’ asimmetria sensoriale dal van Biervliet pubblicate nel IV volume dell’ Année psychologique e nella stessa Levue philosophique. Egli pure aveva trovato, nonostante che si servisse di un metodo poco scientifico, il disaccordo esistente fra la sensibilità olfattiva e quella tattile delle due narici. Mentre la prima era più squisita a sinistra, la seconda era assai più fine a destra! Quest’ ultimo fatto parlerebbe in favore della ipotesi anatomica messa avanti dagli autori di questa curiosa memoria. GC BIEGER. — Die Castration in rechtlicher, socialer and vitaler Hinsicht. — Jena, Fischer, 1901, 1 vol. di p. 113. L’ introduzione a questa eminente operetta del clinico di W irzburg è quasi esclusivamente una polemica, vivacissima e talvolta anche violenta, contro il tentativo di riabilitazione delle teorie frenologiche di Gall, fatta specialmente dal Mòbius, con quel suo stranissimo e interessante libro <« Ueber die Anlage cur Mathematich ». L'A. ritiene col Loeb che lo studio delle relazioni spaziali nella compagine cerebrale sia una cosa accessoria, e "che dovrebbe essere completato, o meglio, fondamentalmente sostituito, dalla considerazione dei rapporti temporali di tutti i movimenti che avvengono attraverso il cervello. Egli proclama quindi strettamente necessario di soste- nere l’ indipendenza della psicologia e della psichiatria, contro le pretese della frenologia antica (Gall) e moderna (Flechsig). Questa prefazione non è la parte meno interessante del libro ; il quale attacca subito la questione della castrazione dal punto di vista giuridico e sociale, specialmente in vista delle leggi e dei regolamenti delle Compagnie di Assicurazioni, e su questo argomento porta un’infinità di materiale sapien- temente raccolto ed esposto. | Di interesse più generale sono le parti che seguono, le quali trattano della castrazione prima o dopo l’evoluzione della sessualità. È soltanto nel primo caso che essa può determinare alcune variazioni, ma queste non sono essen- ziali, e quanto alla castrazione nell’età adulta, basta studiare le biografie di Abelardo, di Narsete e di Origene per persuadersi della sua poca importanza di quell’ operazione pel lavoro mentale. L’A. anzi parrebbe ascri- verle un grande vantaggio... ideale, per la soppressione della castrazione de- terminata dalle tendenze sessuali insoddisfatte o soddisfatte. È originalissima pure l’ultima parte, piena di spirito, in cui cerca anche nella mitologia le origini del grande rispetto di cui godono i testicoli, secondo | A. a torto, e che pure la Natura ha lasciato così esposti! Qui canzona il Freud, per la sua teoria dell’origine sessuale di molti disturbi psicopatici; ma forse in questo punto cede un po’ troppo alla facile vivacità del suo stile troppo brillante. Fa piacere, però, vedere tale ardore di battaglia messo al servizio delle idee che egli ritiene giuste e vere. La pagina in cui bolla a fuoco il « furor operativus activus und passivus » a danno delle ovaie basterebbe da sola a mostrare quanto bene possa fare un libro corag- gioso. GC E Riv, DI BIOLOGIA GENERALE, III. 15 226 RASSEGNA BIOLOGICA III. Psicologia e Sociologia. MassaRT F. — Les plantes ont-elles une àme 2? — « Revue de l’ Univer- sité de Bruxelles », Janvier, 1901. È un riassunto della importante conferenza tenuta da L. Errera il 22 Novembre 1900 a Bruxelles alla Association des étudiants et Sciences. Lo studio più illuminato dei fenomeni naturali e la grande legge della continuità che ne scaturisce sempre più evidente, va persuadendo i nostri scienziati che 1’ « anima », come non potrebbe essere privilegio dell’uomo tra i mammiferi, neppure potrebbe esserlo pei mammiferi tra gli altri animali. « Un tempo si è perfino negata 1’ anima alla donna!» Ora è palese che le proprietà fondamentali delle psiche si rinvengono ‘anche negli animali infe- riori. Coll’ appronfondirsi della fisiologia botanica, le analogie tra animali e vegetali hanno poi suggerito un nuovo problema alla investigazione scientifica : Le piante sono esse pure dotate di una psiche ? L’ esperienza dimostra che malgrado la loro fissità al suolo, esse reagiscono agli stimoli, possiedono una irritabilità, non solo, ma vere e proprie qualità psichiche. / E prima di tutto se si considera come caratteristica della psichicità di un atto l’eseguirsi in vista di uno scopo futuro e mediante una scelta dei mezzi, ci apparirà manifesto che entrambi questi requisiti sono soddisfatti nei vegetali. Quanto alla finalità dei movimenti nei vegetali, chi potrebbe dubitarne? Collocate una pianticina allevata all’ oscuro tra due focolari luminosi di intensità media e leggermente. diversa, e vedrete la pianticina tosto dirigersi verso la luce più intensa. Non si invochi l’effetto immediato di un’accre- sciuta nutrizione, perchè questo sarebbe ancora nullo quando s° inizia il me- vimento; e solo dopo alcune ore si può scoprire la formazione di granuli d’ amido. Il potere di scelta è poi dimostrato dal fatto che la pianta può raggiun- gere il medesimo risultato con mezzi diversi. È vero che i vegetali non possiedono un sistema. nervoso differenziato ; ma hanno però indubbiamente degli organi di senso localizzati: la punta delle radici, i peli sensitivi della Dionaea, la punta del cotiledone delle gra- minacee. i È difficile stabilire un confronto obbiettivo tra la squisitezza ed esten- sione della sensibilità dei protoplasmi vegetali e le corrispondenti proprietà degli animali. È certo che il protoplasma vegetale reagisce alle radiazioni ultra-violette per le quali noi siamo ciechi. Le stesse attività elettriche che sì svolgono in seno ai tessuti nervosi animali si osservano pure accompagnar la trasmissione degli stimoli nelle piante. L’ analogia si può cimentare sopra un terreno molto solido e decisivo, ricercando se anche pei protoplasmi vegetali sia valida la legge da Weber scoperta sperimentando sopra gli animali. Questa vuole che la reazione cresca in progressione aritmetica, mentre la intensità dello stimolo che la RASSEGNA BIOLOGICA 227 produce cresce in progressione geometrica. In altre parole: la reazione cresce come il logaritmo della sensazione. Orbene, questa legge si è ricono- sciuta valida pel chimiotassismo dei protozoi, la sensibilità eliotropica di certi funghi, come anche per le proprietà osmotiche delle cellule vegetali. Ripetendo le stimolazioni elettriche, termiche o meccaniche, la irritabilità va affievolendosi per un fenomeno di assuefazione allo stimolo, affatto ana- logo a quello riscontrato negli animali. Qui è già abbozzato il carattere elementare e primordiale della memoria organica. Una dimostrazione completa di una forma già più elevata di me- moria vegetale si ricava da questo esperimento: « È noto che le piante giovani illuminate da un lato solo si piegano verso il focolare luminoso : se si sposti quest’ ultimo di 180°, esse si piegano in una direzione diametral- mente opposta. Ripetendo l’esperienza più volte, a intervalli di tempo rego- lari, e privando in seguito la pianta della luce, essa continua per qualche tempo ancora ad eseguire regolarmente dei moti pendolari ». Resta a vedere se l’ elemento « coscienza », vero elemento cardinale per la filosofia scolastica, esista anche nei vegetali. Qui non possiamo che giudicare per analogia, quand’ anche si tratti degli animali più elevati, dei selvaggi, degli stessi individui della nostra razza: dovunque incertezza. Del resto non bisogna pretendere più di quanto permetta il metodo : e d’altrà parte pei moderni la coscienza non è più un carattere necessario della mentalità. « È anzi sovente un progresso pei nostri atti psichici lo sbarazzarsi di quelli che si chiamano fenomeni di coscienza. L’ artista, per es., non è egli tanto più abile, quanto più perde coscienza dei movimenti che eseguisce ?». E Lombroso con Myers non colloca egli sotto il campo della coscienza le creazioni del genio? ». I vegetali sono dunque dotati di una psiche ancora embrionale, ma avente però tutti i caratteri fondamentali della psiche animale. ESC. RiBor. — Essai sur l’imagination eréatrice. — Paris, Alcan, 1900. È di tanto conforto e di sì lieto augurio l’operosità ardente di un uomo già quasi vecchio, che non possiamo, e per l’ autorità del nome dell’ autore e per l’importanza del soggetto che ha trattato, esimerci da una considera- zione piuttosto lunga della più recente manifestazione del suo forte pensiero. Soltanto l’immaginazione riproduttiva ha finora attratto l’attenzione dei psicologi: quanto all’ immaginazione creatrice non se ne trova quasi fatto cenno, nella letteratura psicologica, che relativamente all’invenzione estetica o scientifica, che non sono nè l’unica nè la principale manifestazione creatrice. Ora 1’ A. ha potuto dimostrare mediante questo suo eccellente studio, anzitutto come la condizione fondamentale dell’attività creatrice dell’imma- ginazione sia la tendenza naturale che hanno le immagini ad obbiettivarsi ; quindi come questa facoltà costruttiva si sia sviluppata nel corso dei secoli 298° RASSEGNA BIOLOGICA e come si evolva naturalmente in tutte le sue forme, specialmente in quelle che sono in diretto rapporto coi problemi della vita pratica. Perciò egli divide il proprio studio in tre parti; la prima analitica, in cui dissolve il problema nei suoi elementi, che studierà separatamente; — la seconda, genetica, in cui studia l’immaginazione degli animali, dei bambini, la formazione dei miti, e le leggi generali dello sviluppo filogenetico ed ontogenetico dell’imma- ginazione ; — la terza, infine, concreta, in cui descrive i diversi tipi di immaginazione in generale e quali la vita sociale li produce, cioè 1’ immagi- nazione mistica, la scientifica, la meccanica, la commerciale e l’utopista 1). Ogni invenzione è funzione di due fattori elementari, di alcuni desideri o tendenze, espressione di un bisogno fondamentale dell'organismo, e di una rapida associazione di idee; ed i diversi gradi di immaginazione, come le differenze qualitative che vi si ritrovano, sorgono dalla variazione del rapporto fra quei fattori. L'invenzione equivale, nell’ordine intellettuale, alla volizione nell’ordine dei movimenti impulsivi : e 1° A. svolge in proposito un sugge- stivo accenno alla condizione abulica dei révewrs. È di questo stesso prin- cipio (sviluppato in uno studio a parte dal Paulan: Psychologie de l’invention) che VA. si serve magnificamente per istudiare l’immaginazione creatrice degli animali. Questa è, secondo il Ribot, esclusivamente muscolare, come negli infanti. ed in questo fatto, anzi, A. trova un validissimo appoggio per la sua teoria. Per la classificazione dei tipi di immaginazione lA. attribuisce un valore massimo al tono emotivo che colora il processo associativo, ed è in base ad esso che egli distingue due tipi, il tipo di immaginazione plastica e il tipo di immaginazione diffuente. Il primo, che si serve di immagini nette ben definite nello spazio, e di associazioni con rapporti obbiettivi, si mani- festa principalmente nelle arti della forma; in una certa poesia: nei miti a contorni netti; nella meccanica. Il secondo tipo, caratterizzato dalle imma- gini vaghe, legate assieme dai modi associativi più lassi, si ritrova nella réverie, nel romanticismo, nei miti, nelle religioni, nelle arti belle di genere fantastico, simbolista, ecc. Esso ha poi due varietà, quella numerica e quella musicale. Il primo costituirebbe l’immaginazione sensoriale, o esteriore ; il secondo l’immaginazione affettiva, o interiore. 1 L'A. vuole quindi far vedere come questa distinzione della potenza crea- trice esista nelle forme meno generali di immaginazione, alle quali abbiamo più sopra accennato, e lo fa con quella magistrale sicurezza che rende i suoi libri così interessanti e così preziosi. Preziosi in sè pel valore intimo, imma- nente, delle cose che dice, poi per la ricchezza del materiale su cui mostra basarsi il suo giudizio, ed infine, vorrei dire, sopratutto per 1’ infinità di considerazioni che suggerisce, di vedute nuove e di indirizzi di studio che rivela e che, probabilmente, serviranno a confermare le teorie e le ipotesi a cui l'A. accenna, e di cui discute gli elementi, spesso senza dire per quale propenda, perchè egli non ha voluto scrivere una monografia, ma un sem- plice saggio, come modestamente afferma nella prefazione. ; G. C. FERRARI. 1) È da lamentare soltanto che 1 illustre autore non abbia esposto un po’ a lungo la parte patologica generale del suo argomento. So bene che egli non poteva trovar molti dati, ma ad ogni modo essi avrebbero dato maggiore solidità a diverse delle sue affer- mazioni e delle ipotesi che egli propone, RASSEGNA BIOLOGICA 229 THomas A. — La surdité verbale — 1 vol. di p. 83, Paris, 1900. È' questo un articolo tratto dal giornale « La Parole », che sotto le appa- renze di Rivista di una specialità, pubblica invece importantissimi articoli specialmente di fonetica sperimentale e di psicologia. Il Thomas, ben noto pei suoi studî di nevrologia, ha cercato di rendere, con questo lavoro clinico minore la confusione che regna nel campo delle afasie. Egli che definisce con Kuppmaul la sordità verbale ( Wortthaub- heit), come « l'impossibilità, malgrado l'integrità dell’orecchio e dell’intel- ligenza, di comprendere le parole, come si faceva prima », esposto in termini generali il problema, divide le sordità verbali dovute a lesioni organiche (afasia sensoriale, sordità verbale pura, centrale e periferica, afasia motrice), da quelle che sono legate a disordini funzionali, (sordità verbale isterica); e queste diverse forme studia clinicamente in altrettanti capitoli pieni di osservazioni acute e di note critiche penetrantissime, the fanno molto onore a questo ottimo allievo del Dejerine. I fatti clinici sono stati messi a raffronto coi reperti anatomo-patologici tratti dai pochi casi che hanno subito un esame microscopico sufficiente e che mettono assai in dubbio le affermazioni e le ipotesi che si basavano sulle semplici osservazioni micro- scopiche. La parte più interessante e più nuova è forse quella in cui }’ A. studia l’afasia motrice a sede corticale : egli trova che vi sono sempre in questi casi gli elementi della sordità verbale, poco netta, più propriamente delle frasi che delle parole, per cui, per esempio, gli individui colpiti da afasia motrice non afferrano il senso dei discorsi continuati un po’ a lungo, 0 facilmente dimenticano le lingue apprese dopo la lingua materna, ma sor- dità verbale esiste sempre. Interessantissimo e pieno di osservazioni nuove, è il capitoletto intito- lato « Correzione generale del linguaggio ». L° A. ricorda alcune esperienze originali ed indovinate fatte da lui anni or sono in collaborazione col Dottor Roux, e'relative allo stato delle immagini motorie ed acustiche nell’afasia motrice, e, riprendendole, attribuisce a queste immagini la funzione più importante per la formazione del linguaggio. L’ evocazione dell’ immagine uditiva di una parola è inseparabile dall’evocazione dell’immagine motoria ; l’ evocazione dell’ immagine visiva è strettamente connessa a quella delle immagini auditivo-motrici ; mentre l’ evocazione di queste ultime si può avere, in parte almeno, senza che si rievochi l’immagine visiva. Nella scrit- tura spontanea e sotto dettatura l’immagine grafica si associa nel modo più stretto all’immagine uditivo-motoria e a quella visiva. Non meno accuratamente sono trattati i due capitoli che seguono, il primo dei quali tratta della zona e dei centri del linguaggio, il secondo della sua Fisiopatologia, della sordità verbale pura e dell’ afasia sensoriale ; e il lavoro assai utile ed istruttivo si chiude con brevissime considerazioni tera- peutiche, in cui è rilevata sopratutto l’utilità del metodo del F é r é di risve- gliare le associazioni fra le diverse immagini facendo a questi pazienti « leggere sulle labbra » dell’ interlocutore le parole che questi pronuncia, dapprima in modo ben spiccato poi sempre più in fretta ; e con un cenno esteso se non completo dei più importanti lavori che abbiamo sull’argomento in discorso. G. C. FERRARI. 230 RASSEGNA BIOLOGICA CouPIN H. — Le sentiment de la mort chez les animaux — « Revue Scientifique » 22 Dicembre 1900. . In questo articolo interessante l’ A. espone sommariamente le conclusioni di estese ricerche del Bataillon nella letteratura dell'argomento. I filosofi hanno sempre considerato la nozione della morte come esclusiva caratteristica dell’uomo. Pascal anzi ravvisa nella costante prescienza della morte uno dei più alti privilegi della specie umana. Sarebbe forse difficile ‘dimostrare la esistenza della idea astratta di morte negli animali: tuttavia è certo che anche in essi il senso della morte esiste e può manifestarsi in diversissime guise. E prima di tutto certi animali distinguono la preda vivente dalla morta: parecchi rapaci evitano di attaccare la preda viva. I lupi delle praterie, i corvi,. indovinando la malattia di altri animali li ten- gono d’occhio fino all’istante di divorarli, e talvolta aggredendoli ne acce- lerano la fine. Varie specie di uccelli rapaci distinguono benissimo a distanza un cavallo morto, da uno semplicemente addormentato. Non è raro osservare negli animali espressioni di sorpresa in presenza di un cadavere della loro specie. Se si uccide collo schioppo una cornacchia tosto le compagne accorrono da ogni parte emettendo grida lugubri. Quanto alle formiche, riferiscono diversi autori che esse usano seppellire i loro morti in « cimiteri » a qualche distanza dal formicaio, allineati sim- metricamente o sovrapposti. Ma non farebbero altrettanto dei cadaveri di nemici uccisi in guerra che verrebbero invece dissanguati ed esplulsi. Secondo Treat le formiche Sanguinea nell'America del Nord seppelli- rebbero i cadaveri della loro specie isolati, mentre quelli della specie da esse resa schiava verrebbero accumulati alla rinfusa in una fossa comune vicino al nido. i L’amore materno così sviluppato nella maggioranza degli animali, sembra piuttosto assopirsi davanti alla morte [naturale] dei loro nati. Però non mancano aneddoti di scene strazianti quasi tutte relative a morte [violenta] dei piccoli. Sembra del pari che la morte dei parenti desti talvolta un vivo dolore nella prole. Harris vide un elefante di circa 10 anni stringersi accanto alla madre uccisa gemendo e facendo colla sua piccola proboscide vani sforzi per sollevarla. 4 Cuvier narra che essendo morto un Quistiti femmina nel Jardin des plantes, lo sposo prese a carezzarne il cadavere, e accortosi poi che la com- pagna era morta, si portò le mani agli occhi e rimase immobile rifiutando gli alimenti, finchè morì di fame. Della pernice di California riferisce Achille Comte che una femmina essendo morta di dolore, vedendosi togliere le uova appena deposte, il maschio girava come forsennato attorno al suo cadavere e periva poche ore dopo di emozione. Più sorprendenti sono queste espressioni di cordoglio quando originano da rapporti tra specie diverse. Si conoscono innumerevoli esempi di cani morti di dolore per la morte del padrone. Cuvier osservò un cane morire di dolore pel decesso di una leonessa sua compagna. Recentemente X. R a- spail comunicava alla Società zoologica di Francia il caso di un cane da caccia che rifiutò il cibo e ammalò di anemia acuta per la vista del cadavere di un suo compagno rimasto stritolato da un automobile. RASSEGNA BIOLOGICA 291 Da questi ed altri fatti l'A. conchiude che gli animali superiori devono avere coscienza della morte. ASTURARO A. — Della pretesa impossibilità della sociologia gene- rale. Il De Martini in un suo pregevole studio avea combattuto con vigore ed acume le induzioni affrettate di parecchi sociologi, dimostrando quanto siano vaghe e contestabili. Da quest’ analisi critica sullo stato attuale della sociologia egli aveva creduto poter arguire la impossibilità di esistere della sociologia generale, appoggiandosi a quattro argomenti : 1) la complessità dell’oggetto ; 2) la continua mutabilità dei fatti sociali; 3) impossibilità di prevederli ; 4) mancanza di leggi generali ed SUEERO perfino nel mondo fisico, e tanto meno nei fatti sociali. Asturaro prende a confutare tali argomenti. 1) Quanto al primo esso non dimostra altro che la difficoltà di una scienza sociale, non la impossibilità [e spiega anzi perchè essa debba esser la più giovine tra le scienze fonda- mentali]. 2) Rispetto poi alla mutabilità dei fatti sociali, essa non deve in- tendersi in modo assoluto. Ciò equivarrebbe a costituire pei fenomeni sociali, unici in tutto l’ universo, una classe eccezionale, totalmente destituita di uniformità, ossia non soggetta ad alcuna legge. Certo non si deve interpre- tare la ripetizione di un fenomeno come un ricorrere di tutte le condizioni combinate in un dato modo. « Chi pretenderà, ad es., che si ripeta tal e quale la rivoluzione francese ? » In questo senso non vi sarebbe legge in bio- logia, e neppure in fisica. [Una pietra, oppone benissimo il Gobbot allo stesso De Martini nella Revue Philosophique, (vol. XXXI, pag. 326), non cade mai due volte esattamente nello stesso modo. Le leggi non sono rap- porti tra fatti concreti, ma fra termini astratti]. 3) Il terzo argomento di De Martini non è altro che una conseguenza che nulla possa ripetersi nei fatti sociali. 4) Al quarto argomento infine Asturaro risponde che se tutte le leggi valgono solo per un determinato periodo, perfino quelle della fisica, vuol dire che in fin dei conti « la socio- logia è in buona compagnia », e al sociologo basterà che le leggi ch’ egli inferisce valgano, ad es., per la costituzione psichica antropologica della specie umana attuale. Malgrado il fondamentale disaccordo su questi punti, Asturaro conviene del tutto col De Martini nel riconoscere « la inesistenza attuale della sociologia » e negare ogni valore alla così detta sociologia analogica, che parecchi sociologi hanno edificata sopra la ben nota analogia delle società umane cogli organismi singoli, senza accorgersi che il parallelismo innegabile tra corpi individuali e società psichiche è di interesse puramente filosofico C. 232 RASSEGNA BIOLOGICA TV Questioni varie di biologia. RAFFAELE FEDERICO. — Per la genesi dei nervi da catene cellulari. — « Anatomischer Anzeiger », Bd. XVII, 1900 (con 11 fig.). L’A. ha osservato nel nervo laterale e nei nervi che vanno alla pelle delle larve di Lophius dei nuclei allungati intercalati a distanze quasi eguali, per cui il nervo stesso risulterebbe costituito di una serie di cellule molto allun- gate. Sarebbero le cellule nervose di Apathy. L'osservazione riesce più agevole sopra le larve di anfibi, distaccando, previa fissazione delle larve intere, ampi lembi di epidermide, ai quali restano aderenti lunghi tratti dei nervi cutanei. In questi la presenza dei nuclei è evidentissima, come pure eventualmente quella di filamenti che in corrispon- denza ai detti nuclei si anastomizzano con altri nervi. Restando escluso che si tratti di semplice sovrapposizione del nucleo al filamento nervoso, e considerando inoltre che la, tingibilità e natura carat- teristica loro li rende facilmente distinguibili da elementi mesenchimatici, lA. è convinto della « natura cellulare » dei filamenti nervosi. Questa acquista evidenza maggiore là dove i nuclei si presentano in mitosi. LA. anzi avrebbe perfino sorpresa la segmentazione cellulare con biforcazione dei filamento nervoso, che potrebbe essere indizio di una scissione longitudinale. Da numerose osservazioni 1’ A. conchiude che le fibre nervose si originano da catene cellulari, un’ origine già sospettata da Beard, Chiarugi, Dohrn, e sostenuta da Apathy per gli irudinei. I nervi si accrescerebbero per divisione di dette cellule in senso trasver- sale e allontanamento graduale dei prodotti della divisione che rimarrebbero ancora uniti per un filamento protoplasmatico. I sostenitori della. teoria del neurone indipendente suppongono che queste catene cellulari rappresentino non già i nervi definitivi, ma vie provvisorie. Però nel caso delle larve degli anfibi i nervi debbono essere già funzionali perchè in relazione cogli appa- recchi terminali e costituiscono la totalità del sistema nervoso periferico. REN: DrRrIescH Hans. — Studien iiber das Regulationsvermoigen der Or- ganismen. V. Ergiinzende Beobachtungen an Tubularia. — Aveh. P. Entwickelungesmech. Bd. XI, Heft, 1901. i Driesch si è prefisso di analizzare il complesso delle condizioni esterne ed interne da cui dipendono i fenomeni rigenerativi nelle tubularie, e per questa ricerca sì è valso della stessa Zubularia mesembryanthemum di Na- poli, che gli avea servito nelle sue indagini precedenti. I. Numero dei tentacoli degenerati. — L'area da cui si formano i nuovi tessuti va diminuendo per successive rigenerazioni, e insieme va RASSEGNA BIOLOGICA Dos diminuendo il numero dei tentacoli rigenerati. Se si recida un polipo alla estremità orale portando via tutta la corona dei tentacoli, già alla prima rigenerazione colpisce il numero ridotto di queste appendici. Su 23 esemplari in cui il primitivo numero dei tentacoli era in media di circa 24, dopo una prima rigenerazione il numero dei tentacoli rigenerati scende a una media di 14,43, dopo una seconda a una media di 13,73, dopo la terza a 12,00, dopo la quarta a 11,73. Allo scopo di verificare se la differenza numerica si dovesse soltanto a ciò che la rigenerazione è una neoformazione artificialmente provo- cata, VA. attese che un certo numero di tubularie rigenerasse da sè la porzione cefalica, ed osservò anche in questo caso lo stesso decremento numerico dei tentacoli. È noto infatti dalle ricerche di Dalyell che tutti probabilmente i polipi marini mutano periodicamente la testa. Qual’ è la causa di questa diminuzione saltuaria nel numero dei tentacoli dai polipi primitivi integri e da quelli che han rigenerato? Fattore deter- minante precipuo qui dev’ essere la nutrizione. Nelle condizioni naturali di vita nell’ aperto mare sono particolari stati nutritivi del corpo (forse accu- mulo di sostanze di riserva) che provocano la caduta dei polipi vecchi e la loro sostituzione da polipi nuovi: ora tutti i polipi raccolti dalla vita libera del mare, benchè vadano periodicamente rigenerandosi, possiedono il numero di tentacoli completo. Invece nel caso di una riparazione conse- cutiva a lesione operatoria sopra esemplari tenuti in acquarii, o peggio, in piccoli recipienti di vetro, la nutrizione non può essere normale, ma difet- tosa; donde la caduta precoce dei polipi vecchi e la incompleta rigenerazione della corona di tentacoli. A risultati analoghi è venuto il Rand per l’ idra, notando negli esem- plari integri un numero medio di tentacoli pari a 6,6, mentre dopo una rigenerazione una media di soli 6,1. II. Rigenerazioni orali diversamente localizzate. — La minor lun- ghezza dell’ area di rigenerazione. come il decremento numerico dei tentacoli, varia colla distanza del punto di rigenerazione dalla estremità orale, la . differenza essendo maggiore pei polipi che si rigenerano lontano dalla estremità orale. II. Riparazioni sopra pezzi di lunghezza diversa. — Il numero dei tentacoli rigenerati è ancora subordinato a quest’ altro fattore, la lun- ghezza del pezzo rigenerante. Recisa la estremità più aborale a varii indi- vidui (la quale per la sua minore grossezza avrebbe predisposto già per sè ad una rigenerazione incompleta), i polipi stessi così decapitati venivano tagliati procedendo oro-aboralmente in tanti pezzi trasversi, lunghi 2, 4, 8 mm. In generale i pezzi di otto millimetri rigenerano 12,40 tentacoli (media) e quelli di 2 mm., 11,06 tentacoli. Le eccezioni osservabili nella serie dei valori potrebbe imputarsi a qualche causa di errore, probabilmente a una interferenza con quell’ altro fattore della varia distanza dell’area rigenerante dalla estremità orale. Questi risultati armonizzano di nuovo benissimo con quelli conseguiti da Rand sull’ idra. 234 RASSEGNA BIOLOGICA IV. Considerazioni generali. -- Il primo fenomeno annunciante una rigenerazione è l’ adunarsi di granuli di una sostanza rossa nel cenosarco. Tale sostanza, indispensabile ai processi rigenerativi, viene continuamente prodotta dalla tubularia, e normalmente, quando non esista qualche cicatrice aperta all’ estremo aborale, essa vedesi emigrare verso il polo orale : il che forse spiega perchè i polipi rigenerati vicino alla estremità boccale presen- tino volume maggiore e maggior numero di tentacoli. Questa sostanza pe- raltro va considerata semplicemente come un mezzo, la cui quantità può render conto della varia rapidità dei processi rigenerativi; ma non di tutti gli altri fatti che hanno il valore di fenomeni regolatorii adattativi. Secondo Driesch il decremento numerico dei tentacoli nei polipi rigeneranti dipenderebbe da ciò che essi non hanno avuto una nutrizione normale per un tempo sufficiente: una quantità sufficiente di « sostanza rossa » non era disponibile al momento in cui si iniziò la rigenerazione, nè poteva apprestarsi. Ora, sebbene una piccola quantità di sostanza rossa vada continuamente formandosi anche nei polipi allevati fuori delle condizioni naturali, pure la quantità disponibile lasciata dalla prima rigenerazione risulta certo inferiore a quella contenuta nel polipo integro e deve decrescere nelle successive rigenerazioni, donde la riduzione progressiva nel numero dei tentacoli. I polipi rigenerati all’ estremo orale hanno tentacoli più numerosi, perchè il movimento della sostanza rossa diretto oralmente ne ha favorita la nu- trizione. Infine i risultati del terzo esperimento: che pezzi più lunghi formano, polipi con tentacoli più numerosi, si spiega con ciò che la sostanza rossa, malgrado si raccolga prevalentemente all’ estremo orale, pure viene prodotta dal polipo per tutta la sua lunghezza: e per conseguenza 1’ area produttiva nei frammenti piccoli è molto ridotta, talchè il fattore della lunghezza del pezzo che rigenera diviene preponderante. Cicatrizzazione delle ferite nelle tubularie. — È sorprendente la facilità con cui si rimarginano le ferite e soluzioni di continuità prodotte nel cenosarco delle tubularie. L'A. notò sette ore e mezzo dopo una lesione da schiacciamento, con rottura dei setti, la continuità dei tessuti ripristi- nata, fuorchè nei setti della 7. mesembryanthemum, che richiedono 2-3 giorni per saldarsi. Driesch pensa che la facile cicatrizzazione dipenda in alto grado dalla elasticità dei tessuti. Colla stessa prontezza si cicatrizzano piccoli cilindri di cenosarco lunghi un millimetro, tagliati via dal perisarco. Sviluppo di piccoli pezzi di Tubularia privi di perisarco. — I pezzi di cenosarco tagliati via possono in certi casi sviluppare un polipo. Subito dopo la operazione si osserva che le loro aperture vanno restrin- gendosi, e il volume di figura va decrescendo, la forma dei pezzi diviene irregolarmente rotondeggiante, e poi quasi elittica. Di solito dopo 3 o 4 giorni sì nota una membrana sollevata che tutta avvolge la massa centrale (ceno- sarco), la quale va sempre più contraendosi fino a scomparire. Ossia il pezzo rigenera il perisarco; ma questo impedisce ulteriori rigenerazioni e ostacola la respirazione, producendo la morte. Però in 9 casi su 93 lo sviluppo continuò Ù RASSEGNA BIOLOGICA 235 ancora, perchè una membrana intiera non potè formarsi lo sviluppo essen- dosi iniziato in un periodo in cui il perisarco era ancora abbastanza debole da permettere di essere attraversato. Di 93 pezzi un solo rigenerò perfino un vero polipo completo munito di stelo. Driesech ne conchiude che pezzi di cenosarco lunghi un millimetro non hanno ancora varcato il limite mi- nimo di volume capace di rigenerazione. f Numero di tentacoli formati da pezzi divisi longitudinalmente. — Driesch procede in questo modo. Taglia via il pezzo orale per una lunghezza di $ mm.; divide il restante polipo trasversalmente in due pezzi di $ mm. ciascuno, e di questi ultimi pezzi il più aborale per rispetto all’ animale integro, divide longitudinalmente in due parti eguali. Terminata la rigenerazione osserva Drieseh che ciascuno dei pezzi longitudinali non produce mai lo stesso numero di tentacoli che nel polipo Hhtiero. Ma la somma dei tentacoli dei due polipi divisi è sempre maggiore che il numero dei tentacoli del polipo integro. E l’esperimento è dimostra- tivo, perchè in questo caso la vicinanza all’ estremo orale (che sappiamo favorire lo sviluppo di molti tentacoli) è tutta a vantaggio del polipo pri- mitivo integro che termina appunto con quella estremità. oltre i polipi sviluppati da ciascuna metà sono perfettamente simmetrici. Considerazioni teoriche. — Il fatto che polipi che si sviluppano da pezzi staccati formano più tentacoli di quel che corrisponderebbe al loro valore come frazioni dell’ individuo primitivo si spiega pensando che col taglio longitudinale viene diviso in due mezzi cilindri un cilindro cavo, il cenosarco, con pareti di spessore misurabile. Ora se questi mezzi cilindri sì chiudessero in modo da formare ciascuno un cilindro completo, in modo che il loro inviluppo si rendesse continuo, allora la somma degli inviluppi dei due cilindri parziali sarebbe eguale alla superficie del primitivo cilindro. Ma siccome la chiusura avviene invece per accrescimento dalle labbra della ferita, e quindi con aumento di superficie, il processo che si compie può considerarsi invece geometricamente come quello di una massa compatta cilindrica di cenosarco, di cui ciascuna metà longitudinale si disponesse a formare un nuovo cilindro più piccolo e completo: il che equi- varrebbe a dire che la somma degli inviluppi dei cilindri parziali dev’esser maggiore di quella del cilindro primitivo. Si comprende allora come i ten- ‘ tacoli che si distribuiscono circolarmente intorno ad una superficie debbano nel loro numero esser subordinati alla grandezza assoluta delle superficie in questione, e quindi esser più numerosi sui due cilindri parziali che sul- l’ originario. Come si vede, i rapporti sarebbero qnasi invertiti rispetto a quello che lo stesso A. osservò nello sviluppo dei blastomeri isolati. In questi ultimi gli embrioni risultavano in realtà più piccoli di quello che corrisponderebbe al loro valore come frazioni dell’ embrione primitivo. Invece nei fenomeni di rigenerazione delle tubularie succede il contrario. I pezzi risultano più grandi del loro valore numerico come frazioni di un individuo primitivo. La ragione sta in ciò che pei blastomeri che si sviluppano liberamente la pro- porzionalità delle superficie degli embrioni parziali al tutto potè conservarsi mentre nelle tubularie, per forza dell’ adesione del cenosarco col perisarco rigido rimane conservato precisamente il rapporto non di superficie, ma di volume. PAC: 296 RASSEGNA BIOLOGICA MoRrcaN T. H. — Regeneration in Tubularia. — « Arch. f. Entwicke- lungsmech », Bd. II, Heft 2, 8 Febbraio, 1901. Brevi pezzi tolti dalla parte più distale del tronco mostrano una tendenza più spiccata a produrre polipi parziali, privi di stelo, o parti di polipo, che pezzi delle stesse dimensioni tolti dalle parti prossimali. La tendenza a formare polipi nella regione distale è così forte che tutta la sostanza di un pezzo che ne derivi viene adibita a formare un polipo, o una parte di polipo, mentre pezzi tolti da una regione più prossimale impiegano solo una parte relativamente piccola della loro sostanza a formare un polipo. Nè soltanto più piccoli sono i polipi prodotti da quest’ ultima regione, ma sono anche muniti di un numero minore di tentacoli, perfino nel caso che il pezzo reciso abbia lo stesso diametro che i pezzi più anteriori. Pare che non esista verun rapporto diretto fra la posizione obliqua dei tentacoli in un frammento tagliato obliquamente e la posizione obliqua dei polipi neoformati. La posizione del polipo è il risultato di un « stereotro- pismo » negativo. Sembra che lo sviluppo di un polipo incompleto abbia relazione colla piccolezza del frammento rigenerante : ossia la piccolezza del frammento che rigenera va a scapito non della grandezza della struttura che si vien formando, ma a scapito della completezza. In altre parole da un pezzo piccolo deriva una struttura grande ed incompleta, e non una piccola e completa. Il fattore che determina tra queste varie possibilità non è per anco conosciuto. La grandezza dei frammenti non può scendere sotto una certa dimensione minima senza ch’ essi perdano l’ attitudine a rigenerare un polipo intiero o una parte. Morgan ripete gli esperimenti di Peeble allo scopo di verificare se pezzi corti collegati fra loro con le direzioni dell’ asse invertite, si fondano a costituire un individuo unico. Taglia via dal tronco dei pezzi lunghi, indi recide da questi un pezzo corto e lo innesta rovesciato sul pezzo più lungo, facendo combaciare le loro estremità distali. Di solito da siffatta combinazione si sviluppa un idrario solo, malgrado la « polarità » del frammento più piccolo sia invertita rispetto a quella del pezzo più grande. La presenza del frammento piccolo innestato non sembra neppure interferire collo sviluppo di un polipo alla estremità del pezzo lungo, ed esso viene in tal caso a far parte del polipo neoformato. RòRIG ADOLF. — Ueber Geweihentwickelung und Geweihbildung. — IV. Abnorme Geweihbildung und ihre Ursachen. — « Arch. f. Entwicke- lungsmech >», Bd. XI, Heft II, 8 febbraio 1901. Come negli studii precedenti (v. questa Rivista, vol. I, pag. 953) A. non si appoggia esclusivamente ad osservazioni proprie, ma per la massima parte ad uno spoglio ricchissimo di osservazioni ed esperimenti riferiti da altri autori. . RASSEGNA BIOLOGICA 237 Le conclusioni di questo studio importante possono così riassumersi : 1) Lesioni portate alle ossa ed alle parti molli delle estremità depri- mono e deformano lo sviluppo e la formazione delle ossa, producendo arresti di sviluppo e svariate anomalie. 2) La importanza delle malformazioni delle corna è direttamente pro- porzionale alla gravità della lesione subita degli arti, qualunque sia in questi la sede della lesione. 3) Le malformazioni sono tanto più gravi, quanto più vicino ul epoca di sviluppo delle corna si faccia la lesione. 4) Dalla medesima condizione dipende se 1’ anomalia delle corna ricom- paia negli anni successivi. Il più spesso 1’ anomalia ricompare. 5) Lesioni delle parti molli di una sola estremità anteriore hanno per effetto di perturbare lo sviluppo delle corna bilateralmente, producendo però malformazioni più gravi del lato della lesione. 6) Tali malformazioni dovute a lesioni delle estremità anteriori consi- stono in minore lunghezza e robustezza delle corna, anomalie varie nella direzione dei rami, ecc. 7) Lesioni arrecate ad una sola estremità posteriore esercitano la loro influenza deformatrice diagonalmente, vale a dire sul corno del lato opposto, e soltanto in rari casi si nota qualche lieve deformazione anche nel corno dello stesso lato. 8) Le malformazioni dovute a lesione delle estremità posteriori consi- stono in accorcimento dei rami, loro riduzione a semplici escrescenze o tuber- coli, modificazioni nella direzione, ecc. Come spiegare questi rapporti fra lesioni degli arti o malformazioni delle corna ? L’A. ne ravvisa la causa nelle alterazioni che subiscono i nervi ed i vasi sanguigni che si distribuiscono alle corna. Basta seguire fino al punto della lesione i nervi ed i vasi che attraversano le corna frontali ‘e la lamella spon- giosa della scatola cranica, per istabilire le alterazioni ch’esse han subito. Si devono inoltre considerare i nervi e vasi che esternamente si distribuiscono alle corna. Gli arresti di sviluppo in lunghezza e robustezza, la diminuzione del numero delle diramazioni, vanno imputati a disturbi nutritivi dell’organismo colpito dalla lesione, per cui viene affievolita o sospesa l’ azione trofica dei nervi e vasi sanguigni. La conseguenza deve risultare tanto più intensa, quando si pensi che l'accrescimento delle corna del cervo è rapidissimo (LA. calcola circa un aumento medio di peso di 50 gr. al giorno). Riguardo alle cause patologiche delle malformazioni delle corna, queste ci rimangono e rimarranno forse per lungo tempo sconosciute. PCs RoRrIG ADOLF. — Ueber Geweihentwickelung und Geweihbildung. — « Arch. f. Entwickelungsmech », Bd. XI, Heft I. Primi ad esser discussi in questo studio sono i fattori naturali che de- terminano lo sviluppo e la formazione delle corna. Essi distinguonsi in fattori individuali e fattori di ambiente, Tra i primi va ricordata anzitutto 238 RASSEGNA BIOLOGICA la varia potenza produttiva individuale che si traduce nella formazione di corna più o men robuste e ramificate. Essa a sua volta dipende dalla età dell’individuo. La comparsa precoce delle corna si osserva di solito in individui tenuti in prigionia, specie quando non siano stati ammessi all’accoppiamento fino al secondo o terzo anno. Il vigore non consumato nell’atto riproduttivo andrebbe in parte a vantaggio dello sviluppo delle corna. La potenza individuale raggiunge il suo culmine nell’ età media, ed è appunto in questa che le corna mostrano il loro massimo sviluppo. Soprag- giungendo la vecchiezza e col declinare della potenza individuale, la forma- zione delle corna subisce una regressione. E questo era un fatto meno cono- sciuto, essendosi creduto da molti che le corna più sviluppate e ramificate fossero proprie dei cervi più vecchi. Tra le condizioni di esistenza influisce sopratutto sullo sviluppo delle corna la natura degli alimenti. Una buona nutrizione ne favorisce lo sviluppo, massime se ricca di fosfati sotto forma assimilabile. Favorevole del pari è l’azione di un clima temperato con atmosfera umida, mentre i climi tropi- cali e subtropicali sono decisamente sfavorevoli. Un altro fattore di cui si deve tener conto è la possibilità di una illimi- tata diffusione geografica. In generale le razze insulari (delle Ebridi, di Corsica, della Sardegna), come han mole del corpo ridotta, così anche minore sviluppo delle corna. Per gli individui tenuti in prigionia dall’uomo sarebbe difficile precisare quanto delle modificazioni notate si debba alla privazione della libertà, e quanto alla migliorata alimentazione, due fattori contrarii, dei quali il secondo sembra prevalere. Si noti che una nutrizione abbondante a base di fosfati favorisce lo sviluppo delle corna in più alto grado che quello del restante corpo. Sviluppo delle corna nella ontogenesi. — Alla nascita manca anche al maschio ogni traccia di corna. I primi abbozzi compariscono di solito nella seconda metà del primo anno di vita. Giusta il parallelismo ontofilo- genetico, che l’ A. accetta, queste prime corna indivise starebbero a rappre- sentare il primo stadio filogenetico nello sviluppo delle corna. Nel secondo e terzo anno compariscono le seconde corna che sono ramificate. Questo secondo stadio è rappresentato nella serie delle forme attuali dai generi Elaphodus dell’ antico continente, Padua e Coassus del Sud America, pei quali tale condizione è permanente. Ad eccezione dei generi nominati tutti gli altri cervidi di sesso maschile sviluppano nel terzo o quarto anno le terze corna. Non oltrepassano questo stadio i gen. Cervulus e Furcifer. I rimanenti cervidi sviluppano ancora nel quarto anno le quarte corna : i generi Pseudaris e Cervus nel quinto anno le quinte corna a otto rami, infine il gen. Cervus produce ancora nel sesto anno corna di 10 rami, nel settimo di 12 rami, nell’ottavo di 14, e così via. Ré6rig viene a descrivere i processi di sviluppo nelle varie forme. Diver- genze individuali dal tipo son frequenti, come effetto di variate condizioni di esistenza o costituzione individuale. Le cause perturbatrici dello sviluppo delle corna per esser efficaci devono agire durante il periodo in cui esse corna si formano, o prima. In generale si osserva « che la produzione delle RASSEGNA BIOLOGICA i 239 corna è tanto più anticipata quanto più l'individuo si avvicina al tipo normale, e inversamente il periodo della muta delle corna è tanto più ritar- dato, quanto più la costituzione si allontana dalla normale ». Rorig fa seguire uno studio delle anomalie riscontrate nelle corna per rispetto ai rapporti di posizione dei rami fra loro e delle corna alla scatola cranica rispetto alla forma delle corna medesime, all’ assenza di nuovi ramuscoli che normalmente dovrebbero esistere, o alla presenza di ramuscoli sovran- numerarii, alla suddivisione eventuale di ramuscoli normalmente indivisi, alla formazione di ramuscoli secondarii, sopra la direzione ed inserzione di questi. La maggior parte di queste anomalie delle corna sarebbero ereditarie. In questa, come nelle altre parti della memoria, 1° A. fa procedere di pari passo collo svolgimento generale e sintetico una parte descrittiva, riportando una ricchissima casistica concernente ben 111 individui, osservati dall'A. stesso o raccolti nella vastissima letteratura. L’ ultimo capitolo tratta comparativamente della robustezza delle corna in alcune specie di cervidi e delle formazioni iperplastiche. In generale un corpo molto pesante porta corna proporzionalmente sviluppate. Però si cono- scono numerose eccezioni a questa regola. La curva che esprime le varia- zioni del peso del corpo in funzione dell’ età non coincide esattamente con quella che esprime 1’ aumento numerico dei ramuscoli. Il peso del corpo raggiunge prima la sua fase stazionaria. Ma è anche da notare che il numero dei ramuscoli non è neppure proporzionale al peso delle stesse corna. PE. PARKER H. G. — Correlated abnormalities in the scutes aud bony plates of the carapace of the sculptured Tortoise. — « American Naturalist »>, Gennaio, ’901. Una corazza tipica della testuggine COhelopus insculptus presenta dorsal- mente uno scudo osseo composto di 50 pezzi (elementi mesodermatici) nel quale si adagiano 88 scudetti o piastre cornee (elementi ectodermatici). In un primo esemplare Parker rileva varie anomalie, come irregolarità nella forma e disposizione degli scudi, presenza di elementi sovrannumerarii, limitate allo strato esterno di piastre cornee, come anche difetto di qualche pezzo corneo, mancanza che si nota pure nello strato osseo sottostante. In un secondo specimen nota assenza bilaterale d’uno scudo posteriore all’ottavo scudo marginale. Correlativamente a siffatte anomalie si nota nel medesimo specimen la completa assenza di un intiero segmento osseo (e cioè una piastra mediana, un paio di piastre laterali ed un paio di marginali). Però le aree ove si riscontrano tali anomalie nei due strati non sono esattamente sovrapposte, perchè nel rivestimento corneo esterno sono situate molto più posteriormente. Peraltro non pare si possa escludere che le due anomalie sono intimamente correlate. Ovvie analogie con fenomeni osservati da Harrison nello sviluppo dei girini rendono molto probabile che primi- tivamente gli strati corrispondenti meso- ed ectodermatico coincidessero nel ‘240 RASSEGNA BIOLOGICA periodo in cui la causa perturbatrice determinò 1’ anomalia ; e che in seguito, grazia alla più attiva proliferazione: ectodermatica, nella regione anteriore 1’ ectoderma sia gradualmente emigrato all’ indietro, producendo la trasposizione segnalata dei corrispondenti punti del tegumento. Ciò sarebbe confermato dal fatto che le anomalie riscontrate negli strati osseo e tegu- mentale della regione anteriore occupano aree esattamente sovrapposte. [Ma tali malformazioni dovute ad una causa comune che agì ad un tempo sopra punti corrispondenti di due foglietti contigui sono esse realmente correlative?]. Da variazioni osservate nei due strati osseo e corneo' l’ A. è portato ad appoggiare la ipotesi di Gadow, secondo cui primitivamente ad ogni piastra cornea dovea corrispondere uno scudetto osseo nello strato sotto- stante. Pri Vi Fattori della evoluzione. FuLp ERNEST. — Ueber Verinderungen der Hinterbeinknochen von Hunden in Folge Mangels der Vorderbeine. — Lbeitrag sur Frage nach den Ursachen der Knochengestaltung und zur Transformationslehre der Organismen. — « Arch. f Entwichelungsmech ». — Bd. XI. Heft 1, 18 gennaio 1891. Fuld ha escogitato un nuovo mezzo per istudiare le modificazioni adatta- tive funzionali di una parte obbligata a un esercizio anormale. Praticata la disarticolazione dell’arto anteriore di cani molto giovani, obbligandoli cioè a saltare e sorreggersi sugli arti posteriori, egli osservò che per effetto della stazione e locomozione così alterate compariscono modi- ficazioni notevoli nei rapporti di lunghezza tra il femore e la tibia, talchè gli animali sperimentati venivano ad acquistare una certa somiglianza coi mammiferi (Kanguro), pei quali detti modi di stazione e progressione sono abituali. L’A. intende proseguire queste indagini, condotte a termine finora fra 5 cani soltanto, dividendo il materiale di osservazione in due gruppi: uno costituito da individui obbligati il più possibile a mantenersi ritti sugli arti posteriori, impedendo loro di procedere saltellando ; e ad ‘altri individui di un secondo gruppo, permettendo di saltellare frequentemente, ma impedendo loro, fin dove sia possibile, di stare fermi in posizione verticale. Spera con ciò il Fuld di poter determinare l’influenza particolare che sulle modifica- zioni notate esercitano ciascuno di quei movimenti. PIC. Dott. P. CELESIA, Redattore responsabile. Stabilimento Tipo-litografico Romeo Longatti — Como, | Direzione © Amministra (|_‘’‘’‘0‘0‘’0’vIA NAZIONALE, 200 APRILE-MAGGIO 1901 DEC, £5, «ixRIVISTA det! DI A gele pe ale RR. Uallaboratori + È AES AS a FOREL E. HAECKEL-.* E. HERING “aa id LUBBOCK. .. C. RICGHET. R. WIEDERSHEIM TRE: Aa G. CATTANEO - F. DELPINO - C. EMERY - G. FANO B. GRASSI - 0. LOMBROSO - L. LUCTANI - E. MORSELLI - A. MOSSO Ò R. e G. ROMITI - G. SERGI - F. TODARO - T. VIGNOLI ER Hadatione: Dott. PAOLO CELESIA ica RE SOMUARIO | Sensations des Insectes. Continuation de la CARO ì des expériences faites dès 1887 ; i 2A, FOREL | Pag. 241 di metodi. somatometrici in Zoologia . — 'G. CATTANEO i 283 Questioni sulle circonvoluzioni ‘cerebrali ( con la ; Tavola I e con 4 figure intercalate) . . «=... — C. LEGGIARDI-LAURA » 304 ' Sul? innesto delle ovaie . cirrt, . 3 .—C. Foà ». 321 Sol io dei testicoli. ... .. ca — ;(C. Foà » 929 Sogn. 0). NOTE CRITICHE E COMUNICAZIONI RODE Sni ua della ai metopica o medio fron- tale. - - Nota e Ù ; : ” eV. GruUFFRIDA-RUGGERI ro, 340 3: Re: | RASSEGNA BIOLOGICA e SR FISIOLOGIA. — Oharpantier : Trasmissione nervosa d'un, eccitamento elettrico. - Rothmann : Sulle funzioni del fascio piramidale. - Rossi: Sul sistema nervoso dei Miriapodi.- Fan Gehuchten : Il nervo accessorio di illis. - Bataillon: La pressione osmotica e i grandi problemi della n | biologia. - Pùitter: Reazioni tigmotattiche. - Zeger: Metodi ergografici. - Godlewski: Azione -—. dell? Ossigeno. sullo sviluppo delle uova... IT. ANPROPOLOGIA GENERALE. — Pikler e Somlò : Origine del totemismo. - Favaro, Lombroso, CIA ed Olivetti : Le pieghe laterali nei solchi vestibolari della bocca. - Spuzka: Della scissura essa: - Ranke: Ossa sovrannumerarie nel éranio umano.» DI: PSICOLOGIA E SOCIOLOGIA. — Claparède: A proposito di coscienza degli animali. - Wasmann: | Potere:‘di orientazione delle formiche, - Sergi La psiche nei fenomeni della vita. - Milne > Edwards: Il sentimento di pietà negli uccelli. - o; La psiche e le funzioni del sistema \_mervosò centrale. i r°. Espinas: Del ostulato della sociologia. ._ MEDIANISMO-— Hales : Storia della Società psichiea di Londra, - Lombroso: Fenomeni medianici SAL a Torino. - Visani Scozzi: La medianità. (Iv. QUESTIONI VARIE DI BIOLOGIA. — Rawitz : Possibilità di una efebogenesi. - Galloway :- Azione | acceleratrice del calore sullo sviluppo. - Beauregard: Origine delle ghiandole del profumo. - | —"Dewitz: Impedita incrisalidazione delle larve degli. insetti: - Gallardo: Sopra alcune anomalie di | Digitalis purpurea. - Weismann : Partenogenesi ‘delle api. -.Herbsi : Possibilità di sostituire certi Si ji imorganici utilizzati nello sviluppo. - Giglio Pos: I problemi della vita. ATTORI DELLA EVOLUZIONE; — Fischer : Ereditarietà dei caratteri acquisiti, - Enteman: ; rieti della A A hyalina. - Strong: Variabilità in' certi uccelli. americani. - Blanchon: . Variazioni nel # umaggio di certe razze di galli. vi FILOSOFIA B OLOGICA. — Durand de Gros: Varietà filosofiche. È Osliorn: Dai Greci 2 Darwin. - Plade: L’Année Biologigque. © FRATELLI BOCCA. EDITORI! Torino-Milano-Firenze-Roma - Direzione della Rivista : Amministrazione della’ Rivista : | Dott. PAOLO CELESIA | FRATELLI BOCCA Como, Villa Celesia. Gian Torino, Via Carlo Alberto, 3. | “eitituend da volume di complessive 1000 pe ove i Col LEA, e Ale. 1 VOLARE ì LD x s da 20 de; pri s per gli mi dell ii Postale A RR PIL ORA A NI OI (i: Tg mpg ann di ciasoun fasolcolo semplice è di Li 2, © O bona; n Lenti dirigersi all’Amministrazione FRATELLI nOcca, POLOA SS e ae s vi Fa pag = un LIAn per la E E nella Rivista: o 1) Non re assume la responsabilità scientifica. - 2) Se si tratti di articoli agio ne retribuisce i in no di » hi Da: Sa di spie di 16° Un vol. di TILISO | con oe fig. e 10Ì tao. Hi 10. - pai. - Seu 5 Frères - = 5, Gin si dia 15. i s 4 domo a di di e e et Lai Li ntate di carî Ian: A Società de: li gs Ke CITI O DE DIGA de do OR I, sn (Dal pubblicherà a A) di di 40nella mistra ilano età E Edit. Li aria, Via Disciplini, 15. JUN 24 1901 RIVISTA DI BIOLOGIA GENERALE redatta da P: CELESIA (ANNO III APRILE-MAGGIO 1901 Votr. III) Sensations des Insectes. Continuation de la critique des expériences faites dès 1887 QUATRIÈME PARTIRE (1901) Appendice à la III° partie: Dernière note de Plateau. Dans son travail le plus récent (la vision chez 1’ Anthidium mani- catum (Annales de la Soc. ent. de Belgique XLIII 1899) Plateau constate chez cet insecte les faits suivants : 1°) Le g' de l’Anthidium vole horizontalement entre les tiges serrées de la Salvia horminum, sans jamais s’y heurter. Plateau s’explique maintenant le fait par le mouvement de l’in- secte. Mais il ne fait pas remarquer que ce fait contredit ses ancien- nes conclusions sur des cas analogues, en particulier è propos du filet, et méme celles de ses expériences avec le labyrinthe où 1’ insecte se meut aussi, quoique plus lentement. 2°) Le dit 4 chasse les autres d' de son espèce du massif des salvia. Done il les voit et les reconnaît (à leurs mouvements, dit Plateau!). 3°) Souvent il fait erreur et se jette sur des Megachile, des Anthophora, des Apis mellifica, mème des Iechneumonides pour s’accou- pler (naturellement sans succeès). Plateau en conclut à sa mauvaise vue, sans remarquer la contradiction avec 2. Mais on sait que pareilles erreurs, dues à l’excitation du rut, ont lieu méme chez des vertébrés. Il remarque du reste que 1’ Anthidium ne commet pas cette erreur envers des Lépidoptères. RIv. pI BIOLOGIA GENERALE, III i 16 242 A. FOREL 4°) Plateau observe que, lors de la première éclosion des fleurs de Salvia horminum, les hyménoptères volent droit à ces fleurs situées sur les còtés de la tige et jamais au bouquet de feuilles ou brac- tées bien plus fortement colorées en rose ou bleu vif du sommet de la plante. Il en déduit que la couleur ne les attire pas, mais l’odo- rat. Jen déduis qu’ils savent distinguer à la vue et reconnaître un bouquet de feuilles colorées des fleurs qu’ils recherchent. Orientation dans l'espace. A. — Sens du mouvement (senso-motilité) Mach-Breuer. Sous ce titre je veux traiter en un bloc une question assez complexe qui a donné lieu à de singulières opinions et à de curieux qui pro quo. Disons cependant d’emblée qu’il y a deux ordres de faits fon- damentalement différents à distinguer. 1°) Tant nous mémes que les animaux, en nous mouvant dans l’espace, nous avons la faculté de nous y reconnaître, de nous y orienter. En ce qui nous concerne, nous savons que ce sont soit les sensations combinées ou perceptions de toucher et de vue qui nous y orientent, soit leurs souvenirs. Ainsi, par exemple, rentrant par une nuit noire dans notre chambre à coucher, nous nous y diri- geons rapidement, et mettons la main sur les objets dont la place nous est connue, non pas directement à Vaide de la vue ni du tou- cher, mais au moyen des souvenirs de 1 espace de la dite chambre, souvenirs que nous ont laissés nos perceptions visuelles précédentes. Nous ne possédons pas de sens spécial d’orientation; la vue, avant tout, puis le toucher et la mémoire de ‘ces deux sens seuls, ou à peu près seuls, nous orientent dans l’espace, et nous en avons parfaitement conscience. L’ouie n’y ajoute pas grand chose, le goùt et l’odorat autant que rien. Voilà ce qui en est de l’homme, incon- testablement. La vue nous orientant infiniment mieux et plus vite que le toucher, et nous orientant à distance, il n’y a guère que les aveugles qui développent par l’exercice leur orientation au moyen du toucher et de l’ouîe. Ov nous avons déjà vu, à propos des expériences de Lu b- boek, de Plateau et des nòtres qu’il en est de méme chez les insectes, comme chez les animaux supérieurs, à Vexception cepen- dant d’une faculté spéciale d’orientation dans l'espace que possède , | : l . SENSATIONS DES INSECTES 243 l’odorat antennaire, faculté sur laquelle nous reviendrons. Mais le principe est le mème. C'est un sens, dont la disposition fournit au cerveau des relations nettes entre les différentes portions de l’espace. Combinées sous forme d’images, ces relations se fixent dans le cer- veau, se transforment ainsi en perceptions (Walhrnehmungen) et en souvenirs qui sont utilisés dans I’ orientation de I’ animal en mou- vement. J'espère prouver que toute autre théorie mystique ou mystérieuse de sens spécial, de 6%: sens, de magnétisme ete. est aussi super- flue que fausse pour toute la série animale. Les sens connus, leurs variétés et les souvenirs qui en dérivent expliquent tout. 2°) C’est surtout à Mac h (1) Sitzber. Wiener Akademie, 6 Nov. 1875; 2) Mach E. Grundlinien der Lehre Von den Bewegungsempfin- dungen. Leipzig, 1875 ; 3) Ueber Orienterungs empfindungen, Vortrag Wien, 1897, bei Braumiiller) et à Breuer (Anzeige d. K. K. Gesellsch der aerzte n.° 7; 14 Nov. 1873 etc.) que l’on doit d’avoir éclairci la question de la sensation du mouvement. Il y a là plu- sieurs choses à distinguer : a) Toute contraction musculaire, tout déplacement relatif, toute pression d’ une «partie du corps excite des nerfs tactiles qui signalent ainsi au cerveau la localisation du déplacement. Il s’agit là d’un simple phénomène du sens du toucher. b) Nous avons conscience de 1 effort de toute innervation motrice. Mais Stricker et le Cumberlandisme prouvent que tout effort volontaire, mèéme non suivi d’ effet de masse, est accompagné d’une innervation musculaire effective qui peut suffire à irriter des terminaisons sensibles. Done d peut ei revenir à @ et au toucher. c) Basé sur la loi de V inertie, Mach a par contre montré que ce n’est pas le mouvement total continué, mais que ce sont les accélérations, les ralentissements et les changements de direc- tion subis par la masse de notre corps que nous devons ressentir par le simple fait que tout changement pareil change les pressions des parties du corps les unes sur les autres et du corps sur les objets qu’ il touche et qui le soutiennent. Ici encore, les nerfs du toucher et de la vue (déplacements relatifs de 1’ image rétinienne) servent à nous signaler les changements. Mais Mach et Breuer ont prouvé par d’ ingénieuses expé- riences que nous sentons les accélérations, les ralentissements et les rotations indépendamment de la vue et du toucher. Ils ont prouvé que le siège de cette sensation est dans la téte et que tout concourt à la localiser dans Vappareil vestibulaire du labyrinthe. Les phénomènes du mal de mer, du mal de terre (en sens inverse), 244 A. FOREL du vertige de rotation et de balancement se rapportent à cette sensation. Toute accélération de mouvement irrite selon la direction dans laquelle elle a lieu telle partie de l’appareil terminal du vestibule, les otolithes ou le liquide des canaux sémicirculaires demeurant en ‘arrière en vertu de la loi de 1’ inertie et ébranlant ainsi le nerf. La disposition des trois canaux dans les trois dimensions sert è signaler en outre les angles de changement dans les directions du mouvement, c’est-à-dire les rotations totales ou partielles dans les trois dimensions. Mach ceroit que le vestibule lui méme sert à nous annoncer les accélérations et les ralentissements dans la progression rectiligne du corps. Je renvoie aux travaux originaux de Mach et de Breuer, desquels il ressort clairement que 1 appareil vestibulaire oriente notre téte et par là notre corps sur tous ses changements de position et de vitesse. En effet, chaque changement est signalé, par une sen- satipn de rotation ou de progression qui peut devenir illusoire lor- squ’elle se prolonge au delà d’un arrét subit, et qui cesse, lorsque le contenu de l’appareil vestibulaire a pris lui méme la vitesse et la direc- tion du corps par la continuation du mouvement dans un méme sens. Mais divers auteurs se sont exagéré la portée du fait en pensant pouvoir l’étendre à l’orientation hors du corps. L’appareil vestibu- laire constitue avant tout un sens de l’équilibre, un sens statique, nullement un sens d’ orientation dans 1’ espace hors de nous. Il n’est pas méme indispensable, puisque de nombreux sourds muets conservent leur équilibre sans lui et ne le perdent que sous V’eau, où le toucher du corps ne peut plus leur signaler les variations des pressions. Mach appelle les otolithes statolithes. Mach pense que l’organe de l’ouîe (limagon) est une spécialisation phylétique de 1 appareil vestibulaire pour les tons. Il pense que chez les animaux inférieurs l’ouîe n’existe pas, mais que les otolithes font sentir les ébranlements et que de là est dérivé I’ organe de I’ ouîe. Cette idée concorde avec I’ hypothèse de Dugès, d’ après laquelle la prétendue ouîe des insectes serait une fausse audition par perception des ébranlements, opinion à laquelle je me suis rattaché jusqu’ici. A l’objection de Hensen qui dit : il y a des animaux sans labyrinthe; done le labyrinthe ne peut pas ètre un organe d’orien- tation, Mach répond ironiquement: Les serpents n’ ont pas de jambes et avancent tout de méme ; donc nos jambes ne sont pas des organes de locomotion! Cette ironie serait très juste, si ’objection de Hensen devait étre comprise selon le syllogisme ci-dessus ; mais ce n’est pas le cas, SENSATIONS DES INSECTES 245 Il faut constater d’abord que l’équilibre d’un animal et la sensa- tion des accélérations et des ralentissements sont possibles sans appareil vestibulaire, mème chez les animaux qui en possèdent un (sourds muets etc.). Puis il faut constater, comme nous allons le faire, que l’ orientation hors du corps a lieu par d’ autres sens seulement, et nullement par l’appareil vestibulaire. Il ne reste alors plus guère qu’à admettre que, chez les animaux sans labyrinthe, les autres sens le remplacent. Ceci est d’ autant plus plausible qu’il s’ agit d’ animaux relativement petits, chez lesquels, comme nous 1 avons déjà fait remarquer, le corps entier est souvent ébranlé par le moindre souffle, de sorte que la loi de l’inertie sy fait beaucoup moins sentir par des différences de vitesse dans le déplacement des différentes parties du corps. Les moindres ébranlements et leur direction se communiquent par contre au corps entier et à ses organes du toucher. Autant enfin nous pouvons nettement nous représenter à chaque instant à l’aide des souvenirs visuels les localités de l’espace et les objets qu’elles contiennent, autant nous sommes incapables de nous représenter nos innervations musculaires et leur jeu dans 1’ espace occupé par notre propre corps. Il en est de méme de tous les mou- vements les plus complexes que nous effectuons. Nous en avons bien un vague sentiment, et notre cerveau possède un souvenir incon- scient.admirable de toutes les innervations cérébrofuges qui y prési- dent ainsi que de leur harmonie, sans quoi les pianistes seraient impossibles, pour ne donner qu’un exemple. Mais la faculté de représentation consciente des complexions d’innervations dites psy- cho-motrices nous fait absolument défaut. Ces faits étant donnés, avons nous le droit de parler d’un sens des accélérations ou de l’équilibre ? On devrait trouver au moins un autre mot pour désigner la senso-motilité et la mémoire inconsciente que nous avons de la com- plexion des innervations psycho-motrices. Précisément parce qu'elle est inconsciente chez nous-mémes, nous ne pouvons l’y étudier par introspection, et ici la « psychologie comparée » se trouve au niveau de la psychologie humaine, ou peu s’en faut. Mach défend son 6" sens des accélérations en lui attribuant la sensation de rotation comme énergie spéciale de toute irritation des terminaisons nerveuses des canaux sémicirculaires. C’est là un fait plus palpable; mais alors il faut distinguer ce « sens » du reste de la senso motilité autant que de l’orientation au dehors. En tout cas le vestibule, étant entièrement situé à l’intérieur, ne peut, par ce fait, nous faire connaître l’espace hors de nous. 246 A. FOREL IV. — Cyon (prétendu sens de l’ espace). En sectionnant les canaux sémicirculaires des pigeons, qui sont la terminaison du nerf du vestibule, le pysiologiste Flourens, on le sait, a réguliérement obtenu un deséquilibrement des mouvements du pigeon. Les trois canaux sont disposés dans les trois dimensions de l’ espace; la section séparée de chaque canal produit un desé- quilibrement et des mouvements de vertige dans le sens du dit canal. Le fait est absolument certain et clair. Je Vai observé pendant plu- sieurs semaines sur des pigeons sectionés par Cy on. Chez les pigeons les canaux sont si éloignés du cerveau, si grands et si près de la surface du eràne que 1’ objection d’ une lésion cérébrale possible n’a pu étre faite que par des personnes qui ne connaissent pas les faits. Dernièrement (Pfliiger’s Archiv fiir die gesammte Physiologie, Bd. LXXIX, 5 Heft, p. 211. 1900, Olrlabyrinth, Raumsinn und Orientirung) Cyon a repris le sujet et s’ est efforcé d’ etablir sa théorie par de nouveaux faits. Il a montré qu’un poisson (Neunauge; Petromyzon Auviatilis) qui ne possède que deux des canaux sémicirculaires ne se meut réguliè- rement et en droite ligne que dans les deux directions correspon- dantes de l’espace en avant et en haut, jamais de còté. Mais ses expériences sur les souris dansantes du Japon sont surtout fort inté- ressantes. Cet animal n’a qu’un seul canal sémicireulaire développé, le supérieur. Il ne se meut aisément ni en avant, ni en haut, mais seulement en tournant, par la diagonale. Pour avancer, il déerit des courbes en zig zag. Son amusement perpétuel est de danser en valses furibondes et interminables, dans lesquelles le 4 et la 9 tournent à deux; souvent méme plusieurs souris dansent en com- mun, sans jamais en prendre le vertige, pas plus que les sourds- muets lorsqu’ ils valsent. Entre deux, elles dorment ou mangent. Elles dansent surtout la nuit; c’est surtout l’odorat de leurs exeré- ments qui les excite à danser. Elles sont presque sourdes, n’ en- tendant que le ton très haut de leur propre voix venant d’en haut. Quand on leur bouche le nez avec du collodium, elles cessent de danser. Tout obstacle les arréte. Elles ne peuvent grimper de jour sur un plan incliné à 45°. Elles ne peuvent marcher à reculon, seu- lement obliquement. De nuit, où la hauteur ne leur donne pas le vertige, elles peuvent grimper sur un plan incliné de 45°. Ce n’est done pas un défaut de locomotion qui les empèche. C y on en conclut à un rapport entre la vue et le vestibule. La vue leur donne le vertige, comme un éclair nous le donne la nuit, parce qu’elles ne connaissent la dimension verticale que par la vue. SENSATIONS DES INSECTES 247 A l’aide de la vue, les pigeons à canaux sémicirculaires 1ésés finissent petit à petit par s’orienter, la vue remplacant les canaux ‘sémicirculaires; mais si on les aveugle ils perdent de nouveau 1’ équilibre. Or, dès qu’on aveugle les souris dansantes avec du collodium, elles _cessent leurs mouvements normaux et commencent à faire des cule- butes en tout sens, perdant l’équilibre comme des pigeons à canaux sémicirculaires opérés. Il faut les mettre dans un hamac pour les empécher de se blesser; tout au plus apprennent-elles à faire quel- ques mouvements coordonnés vers leur mangeoire au bout de quel- ques jours, et cela malgré le canal sémicirculaire intact qui leur reste. Elles perdent leur faculté de danser et font des mouvements qu’elles ne font jamais à l’état normal. Comment s’expliquer ce singu- lier fait, alors que ces mémes souris dansent si bien la nuit ? Cyon répòète è ce sujet sa théorie sur l’effet produit par la destruction des canaux sémicirculaires chez le pigeon. Il dit que les mouvements vertigineux proviennent : 1°) d’un vertige visuel produit par le contraste entre l'espace vu et l’espace idéal (idéalement senti) constitué par les canaux sémi- circulaires maintenant sectionnés. 2°) de la fausse représentation de la position du corps dans l’espace, résultant de ce fait. 3°) Des déviations dans la distribution de 1’ innervation des musceles, déviations dues à la méme cause. C’ est le point 3 seul, c'est à dire la privation des influences inhibitrices de l’innervation qui peut expliquer comme quoi la souris dansante perd 1 équilibre après l’ occlusion des yeux et pas la nuit. Cyon déduit de cet faits que le remplacement des canaux sémi- circulaires par les yeux n’est probablement pas dù à des impres- sions visuelles conscientes, mais à d’autres irritations, partant des yeux, et qui, à l’ordinaire, sont mises en action par les canaux sémi- circulaires. Déjà en 1577 Cyon considérait les canaux sémicircu- laires comme régularisant par inhibition, la répartition et la mesure des forces d’innervation motrice envoyées au corps. C’ est leur absence, non leur présence, a dit Chevreul, qui cause les mou: vements désordonnés de vertige découverts par Flourens. Sans entrer dans d’autres détails sur des expériences faites sur les requins etc., nous donnerons simplement les conclusions de Cyon: a) Lorsque l’un ou l’autre des canaux sémicirculaires fait défaut de naissance, la vue peut remplacer en partie leur influence inhibitrice, mais seulement pour la conservation de 1’ équilibre dans diverses 248 A. FOREL positions du corps et pour passer d’une position à l’autre, pas pour l’orientation dans l’espace (à l’intérieur du corps). b) Les canaux sémicirculaires sont les seuls organes périfériques de l’espace. Les sensations provenant d’eux sont indispensables à la représentation de l’espace (dans le domaine du corps). c) La faculté de Y animal de se mouvoir dans les diftérentes directions de l’espace, c’est-à-dire de s’orienter, est obtenue par la sensation de 1’ espace du vestibule. Les sensations de vue et de toucher ne peuvent remplacer cette faculté. Voici textuellement la théorie de Cyon sur le « sens de l’espace ». A. — L’orientation proprement dite dans les 3 dimensions de l’espace, c’est-à-dire le choix de la direction dans laquelle doivent etre innervés les mouvements, et la coordination des actions des centres d’innervation, nécessaire à la détermination et à la conser- vation des dites directions, est exclusivement la fonetion de Vappareil des canaux sémicirculaires. B. — Le réglage des forces d’innervation, tant pour les dits centres que pour ceux qui président à la conservation de l’équilibre et aux mouvements utiles, se fait principalement è V’aide du laby- rinthe. Mais ce réglage est en méme temps fait à 1’ aide d’ autres organes sensoriels (eil, tact). Ces organes peuvent plus ou moins complètement remplacer le labyrinthe, lorsqu’il a été supprimé ou lorsqu’il fait défaut. C. — Les sensations produites par l’irritation des canaux sémi- circulaires sont des sensations de direction et d’espace. On n’en a conscience que lorsque l’attention est dirigée sur elles. Elles servent a YPhomme à se former la représentation de l’espace à trois dimen- sions sur lequel il projette son espace vu et touché. D. — Les animaux qui n’ont que deux canaux ne sentent que deux directions et ne s’orientent que dans leur domaine. Ceux qui n’ en ont qu’ un ne sentent qu’ une direction (souris dansantes) et ne s’orientent qu’à son aide. Cyon avait présumé que les otholithes des invertébrés jouaient le méme role; Yves Delage l’a confirmé chez les mollusques. Hensen a fait à Cyon la méme objection qu’à Mach. La théorie de Cyon n’est ni claire, ni satisfaisante. Si positifs et remarquables que soient les faits, elle me semble attribuer aux canaux sémicirculaires une influence trop générale. La chose ne me paraît pas encore éclaircie, et l’on fera bien d’entasser de nou- veaux faits, avant d’en faire la théorie. Je rappelle à ce propos mes propres expériences faites sur le nerf acoustique du lapin (Neurologisehes Centralblatt, 1885, n.° 5 et 9; Arehiv. f. Psychiatrie, Bd. XVIII, Heft 1, Januar 1887 ; SENSATIONS DES INSECTES 249 puis Onufrowicz Br. : Experim. Beitr. 2. Kenntn. des Centr. Urspr. des Nerv. Acusticus, Archiv fiir Psychiatrie 1885, Bd. XVI, Heft 3). Dans ces travaux faits par moi ou sous ma direction, et à propos d’autres faits relatifs au cervelet, jai obtenu des résultats que je erois pouvoir actuellement résumer comme suit : « «1°.) Les mouvements produits par la destruction des canaux sémieirculaires se répètent chaque fois qu’on lèse le nerf du vesti- bule, jusquà son noyau d’origine qui a été aussi trouvé par Bechterew et qui se trouve de chaque còté, au dessus du 4° ventricule, sous le vermis cerebelli. Ce noyau, composé de petites cellules polygonales, paraît avoir le caractère des noyaux moteurs, et non pas des noyaux sensibles. Ce sont en effet ses cellules dont une partie s’ atrophient lorsqu’on réussit à obtenir une lésion par. tielle suffisante du nerf en conservant l’ animal vivant. Sa lésion totale produit un tournoiement perpétuel jusqu’à la mort; j’ ai répété l expérience à satiété. Or le nerf du vestibule n’ a pas de renflement ganglionnaire comme celui du limagon, ni comme les autres nerfs sensibles. Ses fibres se terminent en ramifications libres dans l’appareil vestibulaire et non dans des cellules nerveuses. Ce nerf a done bien plus le caractère d’un nerf moteur que d’un nerf sensible. Comme le premier il va droit de ses cellules d’origine à son point d’ émergence du cerveau, sans prendre de direction longitu- dinale. 2.°) Le nerf du limagon ou nerf acoustique a une toute autre origine, conforme à celle des nerfs sensibles. Les cellules de ses neurones sont en partie dans le limagon et en partie dans le ganglion acoustique que j'ai déerit (Onufrowiez). Sa lésion et son extirpation totale n’entraînent aucune perturbation des mouvements, mais l’atro- phie subséquente de ses centres d’ origine (ganglion acoustique, tubercule acoustique). 3.9) L’extirpation des hémisphères cérébelleux du lapin n’ en- traîne aucune perturbation des mouvements. 4.°) Méme les lésions superficielles du Vermis n’ en entraînent pas; seules ses lésions profondes, qui atteignent la région des noyaux du nerf du vestibule dérangent l’équilibre. 5.°) L’analogie anatomique frappante du nerf du vestibule avec les nerfs moteurs a fait naître en moi depuis longtemps l’idée qw'il pourrait ètre, comme le nerf électrique des torpilles, un nerf moteur transformé dans ses terminaisons périfériques et adapté à la fonction spéciale de l’équilibre, auquel cas le sac des otolithes dériverait d’un muscle. Ces résultats, on le voit, concordent en somme assez avec les idées de Mach et de Cyon, et il me semblait à propos de les 250 A. FOREL rappeler ici !). B. v. Gudden et Schiff avaient du reste obtenu les mèmes résultats avant moi, en ce qui concerne les opérations sur le cervelet. Wlassak enfin a enlevé le cervelet des srenouilles sans obtenir de troubles de 1’ @quilibre. Seulement — et voici ce qui nous intéresse — les insectes ne semblent posséder aucun organe dont la lésion produise des phéno- mènes analogues à ceux de la lésion de l’appareil vestibulaire des animaux supérieurss Lubbock a vu des stéthoscopes mierosco- piques dans les organes en bouteille et en bouchon de champagne que Hicks et moi nous avons décrits dans les antennes des fourmis et des abeilles; Graber a trouvé des prétendus otolithes dans les antennes des mouches et a admirablement décrit les appareils tympa- niformes sensoriaux des grillons et des acrydiens. On peut cependant extirper tous ces organes sans déranger le moins du monde l’équilibre de l’insecte. Les haltères des diptères ont, il est vrai, un organe senso- riel, et leur section empèche le vol; mais il ne se produit aucun mou- vement désordonné (je les ai enlevés à plusieurs reprises) et l’empé- chement du vol a une autre cause mécanique. Les seules lésions qui m’ont fait voir des mouvements convulsionnés et vertigineux chez les inséctes ont été la lésion du cerveau (ganglion susceso- phagien) d’ un seul còté et celle d’ autres ganglions ou cordons ventraux, lésion qui produit un mouvement de manège; puis l’intoxi- cation par la morphine qui produit des convulsions générales. On pourrait encore a la rigueur y ranger le vol en l’air en spirale des insectes aveuglés (voir plus haut), mais à terre, ces insectes con- servent la coordination parfaite de leurs mouvements. 1) Cyon croit cependant pouvoir prouver que les irritations du nerf auditif (nerf du limacon) excitent les canaux sémicirculaires et font connaître l’espace. A cela je réponds que l’extirpation du nerf du limacon ne produit aucun mouvement de vertige, et que nous apprécions l’ espace aussi mal que possible au moyen des sons. Qu’ on assiste è une bonne séance de ventriloque et à la facon dont les seuls contrastes de la voix, qui constituent l’art du ventriloque, suffisent à nous faire porter des jugements entièrement faux sur la direction d’ où proviennent les sons; alors on comprendra combien peu l’ouie seule nous renseigne sur l’espace. J’ai vu un ventriloque tromper à diverses reprises une meute de chiens courants en imitant des aboiements lointains. Il faisait ainsi partir la meute dans la direction qu?il lui plaisait. La localisation des hallucinations de l’ouie faite par les aliénés montre aussi l’ arbitraire de la fagon dont nous localisons les sons dans l’espace. Nous les localisons surtout par des jugements portés à 1° aide des perceptions d’autres sens. SENSATIONS DES INSECTES 251 Or la lésion des centres nerveux semble simplement provoquer du còté lésé, une paralysie de l’innervation cérébrale (volontaire, correspondant au faisceau pyramidal des vertébrés), ce qui, en aug- mentant l’ activité réflexe du còté lésé, donne nécessairement une direction de manège aux mouvements inhibés par la volonté de l’ autre coté seulement. Les trois pattes du còté 1ésé prennent done le dessus. Ces expériences ont du reste été faites d’ une facon systématique et admirable par Alexandre Yersin sur le grillon (Recherches sur les fonctions du système nerveux dans les animaux articulés; Bul- letin dela société vaudoise des sciences naturelles I, V, n. 39-41, 1857 ou 58), et je ne puis qu’y renvoyer. Yersin a constamment vu l’ insecte tourner du coté opposé à la lésion, soit du ganglion suscesophagien, soit d’un des cordons connectifs situés plus bas. Il a montré 1’ indé- pendance relative des centres nerveux entre autres par le fait qu’après la section d’ un connectif, la téte du grillon qui veut rester vers un morceau de pain pour le manger, ou vers sa femelle, en est empé@- chée par les pattes qui continuent leur marche en avant. Si elle s’accroche par les mandibules,, il en résulte une culebùte. Cependant il a pu prouver l’existence de réflexes croisés. | Mais d’un «sens de l espace >», selon Videé de Cy on, ou seule- ment de 1’ équilibre ou des accélérations, nous ne trouvons nulle trace. Et pourtant la logique, semble-t-il, l'exigerait. Ou bien la theorie n’est pas exacte, ou bien, chez les insectes, le « sens de l’espace », et de 1’ équilibre, des accélérations du corps est inutile et n’existe pas, étant simplement remplacé par la senso-motilité ordinaire au moyen, du toucher etc. Est-ce peut-étre parce que les insectes sont sourds? Je ne veux pas pousser plus loin. J'ai simple- ment voulu mettre la question au point. Les mémes réflexions et les mémes faits servent du reste aussi à conduire à l absurde les théories de Loeb sur un sens hypothé- tique, géotropique, présidé par les otholithes. Pour n’ en pas avoir, les insectes ne marchent pas plus que nous sur le dos ni sur la téte. B. — Faculté d’orientation hors du corps et prétendu sens de la direction. Passons maintenant à l orientation è distance, telle qu’elle a lieu consciemment chez nous au moyen de la vue et du toucher. Ici je ne répéterai pas ce que j'ai dit à propos de la facon dont, selon mes expériences, les insectes s’orientent, non seulement à l’aide de la vue (surtout au vol) et des antennes (surtout à terre), 252 A. FOREL mais en combinant les perceptions de leurs divers sens et les sou- venirs de leurs perceptions sensorielles. Je tiens à souligner encore que j’emploie toujours le terme de perception dans le sens du mot allemand Wahrnehmung, c'est-à-dire d’un phénomène psychique complexe de sensations associées, pro- voqué normalement par des irritations sensorielles actuelles, combi- nées aux souvenirs de sensations associées antérieures. Une percep- tion n’ est donc jamais primitive. L’ hallucination est une perception illusoire, provoquée par des irritations internes seules, à l’aide de souvenirs d’images sensorielles. Je renvoie d’ abord à la remarque que j'ai faite en 1886 sur M. Fabre et l’instinct de la direction et qui est rapportée dans la 2me partie de ce travail (Rivista di Scienze Biologiche n. 9, Vol. IL à la fin de mes expériences sur la vue). Puis j’ y ajoute la citation suivante : V. — A. Forel. — « Revue de l’Hypnotisme, Juin 1892, p. 34. Vue et sens de la Direction ». « M. le Prof. Caustier (Revue de l’Hypnotisme n. 1, p. 10, juillet 1892) se hate trop de trancher négativement la question de la vue à 1’ aide de la rotondité de la terre. Il oublie que les pigeons, plus encore que les Chalico- doma (insectes longs de plus de deux centimètres et ressemblant à des Bour- dons), emmagasinent dans leur cerveau des images visuelles, des souvenirs des lieux parcourus dans leurs excursions spontanées. Pourquoi les pigeons s’ élèvent-ils d’ abord fort haut et tournent-ils la tète en divers sens? Pour- quoi s’elèvent-ils au-dessus du brouillard avant de prendre leur direction ? Pourquoi un certain nombre de pigeons perdent-ils leur chemin? Pourquoi existe-t-il une distance maxima (250 à 300 kilomètres) au-dessus de laquelle les pigeons ne paraissent d’ordinaire plus pouvoir retrouver leur chemin ? Pourquoi des essais répétés petit à petit, en augmentant la distance, mais dans le méme direction, sont-ils si avantageux ? Tous ces faits ne parlent- ils pas clairement pour une orientation par la vue? En invoquant la rotondité de la terre, on oublie ses inégalités : les montagnes. Le Mont- Blanc est visible, de la plaine, à plus de 200 kilomètres. Or, en s’élevant au vol à 300 mètres, on augmente considérablement le champs visuel, on voit de plus loin des montagnes moins élevées. Mais plus. M. Caustier part évidemment de l’idée (absolument erronée à mon avis) que le pigeon ne peut utiliser ses yeux pour se diriger que si, du point où on le laàche, il voit directement le lieu de son colombier. Or, je prétends qu’il lui suffit de reconnaitre un point de repère quelconque situé entre les deux loca- lités >». « Mais nous pouvons aller plus loin. Le pigeon vole souvent et loin. Dans ses excursions aériennes, il s’éloigne è une certaine distance de son colombier. Or, s’il peut reconnaître un point de repère situé è demi-chemin SENSATIONS DES INSECTES 258 entre le lieu où on le làche et le lieu (à lui connu) situé au point périphé- rique de ses excursions ordinaires, dans la direction du lieu où on l’a tran- sporté, cela suffira pour le guider ». « Ces derniers faits diminuent déjà la distance que nous devons exiger de la vue directe de plus de la moitié. Et qui nous prouve que les pigeons n’utilisent pas instinetivement le soleil et les autres astres pour se diriger? » « A ces réflexions, il nous faut ajouter un autre fait incontestable que M. Caustier veut aussi expliquer par le fameux sens d’orientation, c’ est celui de la dégénération de la falculté d’ orientation chez l'homme civilisé ». « Cette dégénération, déjà énorme lorsqu’on la compare à la faculté d’orien- tation de l’Indien d’ Amérique par exemple, ne permet plus guère de comparer notre vue à celle, infiniment supérieure, des oiseaux. L’Indiena non seulement la vue bien plus pergcante, mais il sait infiniment mieux s’en servir pour s’orienter. C’ est l’ effet de l’exercice que nous avons perdu gràce aux boussoles, aux routes, aux chemins de fer, etc. Chez l’oiseau, non seulement la vue est bien plus développée, mais, comme nous l’ avons vu plus haut, sa position dans l’ air et ses mouvements rapides lui donnent nécessairement des notions des lieux dont nous ne pouvons avoir qu’ une faible idée. Si une lieue pour le Chalicodoma (aérien) correspond à 4 mètres pour la fourmi (terrestre), 250 kilomètres pour le pigeon correspondent bien è 4 kilomètres pour l’homme, et 1’ énigme est expliquée ». <« Qu’ on fasse plutòt 1° expérience suivante : Qu’ on obstrue par un anky- loblepharon, par exemple, les yeux d’ un pigeon, d’ un chat, d’ un chien méme (ici il faudrait cependant tenir compte de l’odorat), et l'on verra que l’in- stinct de la direction aura disparu, et que ces animaux seront aussi incapables de retrouver leur chemin, au vol ou à terre, que les mouches, les bourdons et les hannetons auxquels j’avais verni les yeux et qui allaient se cogner contre la terre et contre les murs !). Si les abeilles ne savent pas retrouver leur rucher déplacé ?), cela tient è leur faiblesse de raisonnement, tandis que la vue les ramène toujours droit à l’ ancienne localité. » 1) Comme nous allons le voir, Cyon a fait l’éxpérience et en a obtenu le résultat que j'avais prévu. Romanes (Nature, 29 Oct. 1886) porta un rucher dans une maison située à quelques . cents mètres de la còte, éloignée de tout rucher, avec des jardins à fleurs de chaque còté, puis de grandes pelouses devant, du còté de la mer. Il ouvrit d’abord la fenétre et le rucher pour permettre aux abeilles d’ explorer les environs immédiats. Puis, le soir. il stempara des abeilles qui rentraient et les mit dans une boîte. Le lendemain, laissant le rucher fermé, il porta la boîte au bord de la mer, à 250 mètres au plus de distance du rucher, et lacha les abeilles. Pas une seule en retrouva le chemin du rucher; aucune ne revint. Il attendit quelques jours, pour étre certain qu’elles étaient bien perdues, et répéta ainsi plusieurs fois l’expérience avec le méème résultat. Mais lorsqu' ensuite il refit I’ expérience en portant les abeilles è: 1’ extrémité des jardins, de chaque còté de la maison, elles se trouvèrent souvent de retour avant lui è 1’ entrée du rucher fermé, dans sa chambre. Romanes conclut avec raison de cette belle expérience que c’est la connaissance des lieux et non pas un sens spécial de la direction qui dirige les abeilles. Nous som- mes done arrivés, lui et moi, indépendamment l’ un de l’ autre, au méme résultat. (F o- rel: Sensations des insectes 1886). 2) Expériences faites longtemps avant celles de Bethe avec le méme résultat. 254 A. FOREL « Nous n’avons donc besoin ni de sixiéme sens, ni d’électricité, ni de cou- rants atmosphériques pour nous expliquer la faculté d’ orientation des 0iseaux ». J'avoue que j’ éprouve une certaine satisfaction è voir les vues que j'avais émises en 1886 et 1892 étre maintenant entièrement confirmées par Exner et par Cyon, comme nous allons voir, sans que ces deux auteurs paraissent avoir eu connaissance de mon ar- ticle. IV.bis — Cyon (loc. cit.) et Toussenel. Viguier a cru que les pigeons voyageurs étaient dirigés par le magnétisme terrestre. Bonnier leur attribue une sorte d’institut cartographique automatique placé dans les canaux sémicirculaires. Cyon a fait des expériences à Spa (Belgique). Il a observé le fort occiput des pigeons voyageurs et le grand développement de leurs canaux sémicirculaires ; mais il attribue, sans doute avec raison, ce développement è leur système musculaire considérable et à leur énorme force d’innervation pour le vol. Il colle d’abord les paupières de divers pigeons avec du collodium. Ces animaux ne retrouvent plus leur colombier à quatre pas. Puis il transporte à 70 kilomètres des pigeons dont il a bouché à lun le nez, à Vautre les oreilles avec du collodium et un bouchon de ouate cocainisée, et les làche au fond d’un vallon. Le pigeon aux oreilles bouchées revient le premier à la maison, méme avant un pigeon intact. Le pigeon au nez bouché ne revient qu’au bout de 4 jours, après avoir perdu son collodium. A mon avis Cyon attribue beaucoup trop d’importance à cette dernière expérience qui est unique et dont il conclut è une orien- tation par l’ odorat. Il faudrait la répéter avec plus de soin. Mais il accorde à la vue un ròle prédominant. Cyon accorde aux pigeons des facultés intellectuelles et rend attentif aux faits suivants : Un pigeon porté de «a à d par un détour e d e revient en général par le mème détour. Mais si, arrivé à d., à 100 Kkilomètres de a, il réussit, en décrivant quelques cercles atriens, à reconnaître la direction où se trouve a, il y vole par la ligne droite d a. On voit souvent des pigeons de Belgique, làchés è Bordeaux, revenir en suivant la còte de l’ océan pour s’orienter vers le nord, au lieu de suivre la ligne du chemin de fer. Reynaud avait eru pouvoir établir une «loi du contre pied » dans l’ orientation des pigeons pour le retour. Ces taits prouvent que c’ est une erreur, SENSATIONS DES INSECTES 255 Lorsqu’on a soin de prendre des pigeons du méme colombier, et, après les avoir portés au loin, de ne les làcher qu’à des intervalles suffisants pour qu’aucun d’eux ne puisse voir son prédécesseur, on observe qu’il prennent tous d’abord des directions assez diffé- rentes. Cyon cite, comme nous, l’éducation des pigeons par entraîne- ment successif; il en déduit qu’ils apprennent à connaître leur chemin avec leurs yeux et leur mémoire et pense qu’ ils arrivent à s’orienter ainsi jusqu’à 500 ou 600 Kkilomètres. Seulement il attribue à leur nez un ròle dans une orientation par les vents et croit que la dif- ficulté connue qu’ils ont à passer les Alpes provient des vents froids et nombreux de ces montagnes. Le pigeon, dit-il, aime à voler contre Je vent qui lui amène des odeurs. Cependant il admet la possibilité d’un sens nasal (Spirsinn) indépendant de l’odorat. Nous préférons ne pas le suivre dans cette hypothèse qui manque de base suf- fisante. Relevons encore, l’ opinion d’un observateur de grande expé- rience, cité par Fabre dans ses souvenirs entomologiques (1882), de Toussenel (VEsprit des. bétes) : « L’oiseau de France, dit-il, sait par expérience que le froid « vient du Nord, le chaud du Midi, le sec de Est, Y’humide de «Ouest. C’ en est assez de connaissances météorologiques pour lui « donner les points cardinaux et diriger son vol. Le pigeon tran- « sporté de Bruxelles à Toulouse dans un panier couvert n’a certes «pas la possibilité de relever de 1 eil la carte géographique du « parcours ; mais il n’ est au pouvoir de personne de Il’ empécher de « sentir, aux chaudes impressions de lathmosphère, qu'il suit la « route du Midi. Renda à la liberté à Toulouse, il sait déjà que la « direction à suivre pour regagner son colombier est celle du Nord. « Donc, il pique droit dans cette direction, et ne s’arréte que vers «les parages du. ciel dont la température moyenne est celle de la «zone qu'il habite. S’il ne trouve pas d’emblée son domicile, c'est «qu'il a trop appuyé sur la droite ou sur la gauche. Dans tous les « cas, il n'a besoin que de quelques heures de recherches dans la « direction de V’ Est à Quest pour relever ses erreurs ». Je ne connaissais pas cette opinion qui s'harmonise fort bien avec la mienne. Fabre essaie de la réfuter, mais bien faiblement, avec ses. chats et ses Chalicodoma. Il ne faut pas brouiller les cartes. Les combinaisons sensorielles et mentales sont autres chez le chat qui ne vole pas. Je ne erois certes pas que l’opinion de Toussenel explique tout; nous l’ avons vu et nous allons le voir. Mais elle renferme un facteur important d’orientation, facteur dont il faut tenir compte, 256 A. FOREL I.bis — Sigmund Exmer: — Negative Versuchsergebnisse diber das Orientirungsvermbgen der Brieftauben; Wiener Akad. d. wis- sensch. Mat. naturw., CI., Juli 1893. Avant Cyon, Exner avait fait des expériences d’ un autre genre que voici : Le pigeon aime son colombier par dessus tout, et sait y revenir à de grandes distance». C'est cet instinet qu’on utilise. On assure méme que, sur les pigeons apportés des Etats Unis à Londres, trois surent revenir à travers l’océan. i D’après la théorié de Mach-Breuer, les otholites constituent un appareil servant è percevoir les accélérations rectilignes aux- quelles l’animal est soumis, dans quelque direction que ce soit, et les canaux sémicirculaires un appareil servant à percevoir les accé- lérations auxquelles l’animal est soumis lorsqu’il tourne autour d’une axe quelconque. Exner a cherché a expliquer par là la faculté d’ orientation des pigeons. Il a fait des expériences, et con- vient qu’elles l’ont obligé è abandonner son hypothèse. Les voici: Il transporta ses pigeons dans un panier entouré d’ un drap noir qu’ il secoua tout du long, ou qu’il fit tourner sur son axe avec grande vitesse. Il fit cela dès le départ à 1’ arrivée, en gare, en chemin de fer, à tous les contours. Trois pigeons furent mis dans le panier secoué et tourné. Les trois autres ne furent ni secoués, ni tournés. Il les transporta à 37,7 Kilom. de Vienne, dans un lieu où les dits pigeons n’ avaient jamais été d’ après l’opinion de leur propriétaire, et séparé de Vienne par les montagnes du Wiener Wald. Les pigeons furent làchés lun après autre, ancun avant que son prédécesseur n’ eùt disparu. Tous revinrent normalement au colombier. Les pigeons de controle (non secoués) furent làchés les premiers. Ici je me permets d’observer que 1’ expérience est insuffisante. Le fait que nos yeux ne discernent plus un pigeon ne prouve pas que les pigeons ne le voient pas non plus. Puis il fallait làcher les secoués les premiers. En tout cas secousses et rotations ne les désorientèrent nullement. 1 Dans une seconde expérience, Exner, non seulement fit tourner ses pigeons tout du long, mais leur galvanisa la téte avec un courant électrique par un procédé fort ingénieux. Il galvanisa ainsi deux pigeons, un vieux et un jeune, et prit avec eux deux pigeons de controle, un vieux et un jeune. Il les porta tous les quatre à 54 Kilom. de Vienne, dans des conditions analogues aux autres. Le vieux pigeon galvanibé revint à Vienne SENSATIONS DES INSECTES 257 à son colombier en 5 h. 32 minutes. Le vieux pigeon de contròle ne revint que deux jours après. Aucun des deux jeunes pigeons ne revint, ni celui de contròle, ni le galvanisé. Ce dernier resta au lieu du départ. Cette expérience-là est absolument concluante, le pigeon tourné et galvanisé étant arrivé le premier. Notons que ce sont les jeunes, ceux qui ont encore peu vu de pays qui n’ ont pas su trouver leur chemin ! Ces pigeons avaient été armés d’ un masque en drap noir pour les empécher de voir. Une expérience de contròle avec des pigeons non masqués donna trois pigeons perdus sur quatre! C’est done la chaine de montagnes et le lieu inconnu qui les ont désorientés ! Enfin Exner refit Il expérience à 28,8 kilom. de distance et sans chaîne de montagnes entre deux, mais en laissant reposer le pigeon galvanisé et les autres pendant deux jours dans des locaux différents avant de les làcher. Le résultat fut que le pigeon galvanisé revint le second (en 40 minutes). Malgré tout, Exner tient au sens statique. Nous n’y revenons pas, renvoyant à ce que nous avons dit à propos de Mach, de Cyon et des insectes. Puis Exner se pose la question suivante : Les pigeons font-ils des expériences à leur voyage d’aller ? Il narcotisa done deux pigeons pendant tout le voyage de 48 kilomètres et les laissa 4 jours à Oberhollabrunn, séparés de Vienne par un pays de collines. Puis il les làcha, ainsi qu’ un pigeon de contròle. Deux se perdirent, dont le pigeon de contròle. Seul lun des narcotisés revint en 4 h. 20 min. Il refit l’expérience è une distance moindre avec deux vieux et deux jeunes pigeons, dont lun des vieux et l’un des jeunes furent narcotisés. Les deux jeunes se perdirent. Les deux vieux revinrent, le narcotisé en moins de temps que le normal! Je suis étonné qu’ Exner ne tire pas de ses résultats si clairs la simple conclusion que c’est 1’ expérience et la connaissance des lieux par la vue qui oriente les pigeons. Pour conclure, je propose moi méme une fort simple expérience è Messieurs les colombophiles ; la voici : Faites éclore quelques oeufs de pigeons voyageurs dans une grande cage placée dans une chambre dont la fenétre sera simple- ment obstruée par un cadre de mousseline ou autre étoffe, assez épaisse pour que la vue au travers soit impossible, mème à un pigeon. L’air pourra pénétrer suffisamment à travers la mousseline, ainsi qu’une lumiére diffuse. Dès que les jeunes pigeons pourront se passer de leur mère, on enlèvera celle-ci. Puis on laissera devenir les jeunes pigeons, adultes dans leur cage, sans jamais leur per- Riv. DI BIOLOGIA GENERALE, III, 17 258 A. FOREL mettre de rien voir du paysage par la fenétre. Une fois qu’ ils auront la force et l’àge voulus, on les transportera, la téte masquée de drap noir, dans un panier bien fermé, non pas à 20 ou 30 kilo- mètres, mais seulement à deux ou trois kilomètres de distance, après avoir enlevé la mousseline de la fenétre. S’ils retrouvent leur colombier è V’aide d’un sens magnétique, statique, géotropique ou otholitique de l’espace et de la direction, je me rendrai à 1’ évidence et me déclarerai battu. Mais s’ils ne le retrouvent pas, je suis en droit de nier absolument l’existence du dit sens supposé et d’attri- buer l’orientation à la vue. Cependant deux précautions sont encore nécessaires : Il faut que la fenétre de la chambre où sera la cage ou le colombier des pigeons en question soit placée de, telle facon que le contenu de la dite chambre ne puisse étre vu directement à distance. Il faut de plus isoler la mère des jeunes pigeons, afin qu’ elle ne puisse leur servir de guide. Je suis persuadé que les pigeons seront absolume-t incapables de retrouver le chemin de leur colombier, méme à cette courte distance, par la simple raison qu’ ils n’ auront pas de souvenirs visuels en dehors de la chambre où ils auront vécu. Exner a, par sa dernière expérience, réfuté idée de connaissances acquises à l’allée par le pigeon, mais nullement les faits de leur con- naissance antécédente des lieux. Or c’est sur celle-là que j’insiste. VI. — Fabre — Souvenirs entomologiques 1879 et 1882. Revenons aux insectes et à M. Fabre. On trouvera peut-étre oiseux que j’aie tant parlé pigeon à propos d’insectes. Mais ce’ était absolument nécessaire, car on s’ est complètement fourvoyé dans cette question. Je tenais à montrer que la fagon dont les oiseaux s’orientent est la mème que celle dont le font les insectes aériens, et cela d’une facon' frappante. De là à conclure que les canaux sémi- circulaires et les otholithes qui font défaut !) à ces derniers n’y sont probablement pour rien, il n°y a qu’un pas (comparer avec les expériences de Yersin et les miennes, voir ci-dessus). Done un grand ensemble de faits concorde à dénoncer la vue comme le sens aérien d’orientation par excellence, sens qui rend inutile toute hy- pothèse de sens mystérieux de la direction. La seule restrietion à faire est que l’odorat, le toucher et l’ouîe lui servent de complément )) Remarque: Ce que Graber croit ètre otholite dans l’ antenne des mouches peut ètre enlevé sans que 1’ equilibre soit le moins du monde troublé. L’organe de la sensomotilité chez les insectes, s’il existe, est encore à trouver, SENSATIONS DES INSECTES i 259 plus ou moins important ou méme la surpassent chez certains animaux (Bombycides, Chauves souris et autres). Dans les expériences de Fabre dont nous avons parlé, il faut rele- ver certains détails. Les Chalicodoma (abeilles magonnes), marquées à la couleur, qu’ il porta dans une boîte à 3 ou 4 Kilomètres ne revinrent la plupart du temps qu’ en une proportion de 30 à 40 pour cent. Sur les 40 Chalicodoma qu’ il porta dans un bois è 5 kilo- mètres de leur nid, 9 seulement retrouvèrent leur chemin. Sans doute, comme le dit Fabre, la pression de ses doigts en éclopa quelques unes, mais les Chalicodoma sont très dures, et ce fait ne suffit nullement à mon avis pour expliquer le nombre des perdues. Dans la plupart des cas, les Chalicodoma, après s’ étre élevées, parti- rent droit dans la direction de leur nid. Il y eut cependant un certain nombre d’exceptions; quelques unes prirent une autre direction. Dans l’expérience à 5 kilomètres de distance, le bois était séparé du nid par une colline de 100 mètres. Làchées dans une clairière, les Chalicodoma s’ élevèrent tout d’abord et décrivirent quelques cercles (comme les pigeons!), puis partirent toutes vers le sud, dans la direction de la colline qui était celle de leur nid. Pourquoi 9 -seulement y revinrent-elles? Si un sens mystique de la direction les avait conduites, toutes celles qui s’ étaient envolées seraient reve- nues. Weismann pense avec raison que, dans ce lieu inconnu et répugnant pour elles, la vue de la colline les aura attirées. Une fois là, les plus vieilles, celles qui connaissaient le mieux les envi- rons auront trouvé un point de repère et leur chemin. En effet, nous voyons méme les pigeons partir d’abord souvent dans diverses directions. Incité par Ch. Darwin, Fabre fit avec ses Chalicodoma, la méme expérience qu’ Exner avec ses pigeons. Il secoua la boîte qui les contenait et la fit pirouetter pour désorienter les Chalico- doma, ayant soin en outre d’aller par divers chemins détournés. L’effet des pirouettes fut absolument nul. Les Chalicodoma, revin- rent en aussi grand nombre que sans pirouettes. Ch. Darwin ayant alors donné à Fabre l’idée du magné- tisme terrestre, Fabre essaya de désorienter ses Chalicodoma en leur mettant sur le dos une petite aiguille aimantée. Mais ces insectes ne souffrent ni aiguille, ni paille sur leur dos en volant, ce qui fit manquer l’expérience. N’est-il pas significatif de voir ainsi, en petit, des abeilles magcon- nes soumises aux méme expériences, se conduire presque exacte- ment comme les pigeons voyageurs, sans posséder pourtant d’appareil vestibulaire ou otholithique? Le cercle de leur connaissance des lieux ne paraît pas dépasser 4 kilomètres ; celui des pigeons très entraînés paraît arriver à 500. Il n’ y a pas là de disproportion frappante. 260 A. POREL VII. — Albrecht Bethe |). Bethe part d’une idée préconcue. Pour lui les insectes sont des machines réflexes, et toute psychologie comparée est une absurdité. Il fait bon marché de tous ses prédécesseurs qui d’ après lui sont évidemment très faibles. Nous aurons à revenir plus tard sur ce sujet. Ici nous n’avons qu’à examiner ses expériences sur l’orienta- tion des abeilles et des fourmis. Je crois seulement qu’il est néces- saire de signaler le fait dès l’abord, car les systèmes et partis pris influencent toujours 1’ expérience. Je crois du reste que 1’ opinion extrème de Bethe aura le bon effet de faire préciser les questions. Pour étre d’une conséquence mathématique, Bethe ne parle plus ni de vue, ni d’odorat, mais seulement de photoréflexe, chémoréflexe, matière du nid (au lieu d’odeur du nid) ete. A. — Abeilles. — Bethe se demande d’abord si e’ est une substanee odorante (un chémoréflexe ; je me permettrai ici de con- server les anciens termes, ayant de bonnes raisons pour ne pas adopter la terminologie de Bet he) qui ramène les abeilles à leur rucher. Il constate que le rucher a une odeur que nous percevons et signale les màles de Bombyx qui, attirés à distance par Vodeur vont trouver leur femelle dans une ville. Il prétend que si on pou- vait le prouver, cela suffirait à rendre superflue l’hypotèse de facultés mentales chez l’abeille. Remarquons que ce raisonnement est par trop naif car les abeilles ne font pas que revenir à leur rucher. Bethe change un rucher (4) de place, mais seulement d’ une largeur de rucher, et met à son ancienne place un rucher vide (5), done tout à coté. Les abeilles revenant de butiner volent droit à la porte du rucher B (qui occupe l’ancienne place de celle de leur rucher A). Elles entrent dans le rucher vide, n’y trouvant rien en ressortent par derrière, puis volent de nouveau à l’entrée, faisant ainsi un circuit perpétuel. Les abeilles du rucher A ne sortent qu’en hésitant, peu à peu; quelques unes s’envolent; elles sont dérangées par la nouveauté (odo- rante) du plancher de départ. Mais au bout de 10 minutes un bon nombre sont parties. A ce moment la 1" abeille revint à 1’ entrée de A, mais au lieu d’entrer par la porte du rucher, elle courut sur la planche en bourdonnant des ailes, ce que d’ autres imitèrent. Aucune n’entra dans le rucher; quelques unes volèrent à la porte de B. Au bout de 20 minutes environ ‘/, des abeilles volaient à A, la reste à B. Enfin une des abeilles qui erraient dans le rucher vide 1) ALgerecHT BerHE — Diirfen wir den Ameisen und Bienen psychische Qualitiiten cuschreiben ? Archiv f, die ges. Physiologie Bd, 70, 1898, SENSATIONS DES INSECTES 261 (B) découvrit en furetant à la marche, un interstice qui 1 amena au rucher A. D’autres la suivirent è la marche, et ainsi se forma une file du rucher B au rucher A. Bethe conclut avec certitude que des traces chimiques servent à guider les abeilles, à la marche du moins, et que, méme au vol, une substancee chimique aide aussi à les guider puisque quelques nouvelles arrivantes volèrent à A, parce que les abeilles sorties de A venaient de laisser leur odeur (trace chimique) sur la plancher de départ (Flugbrett). Je n’admets pas ces conclusions pour des raisons données plus haut et prouvant le mauvais odorat des abeille (Plateau). D’ abord les abeilles ont pu suivre leurs compagnes à la marche par la vue aussi bien que par l’odorat (elles le font, les antennes coupées), ce qui suffit à réfuter la « certitude » de Bethe. Et de méme les abeilles volant droit à A étaient sans doute celles qui en étaient sorties et en retrouvaient la direction par la vue ou y voyaient d’autres abeil- les; ici’ on peut méme certifier d’ après nos expériences (Platéau) que Bethe se trompe. Mais Bethe lui méme reconnaît l’absurdité de l’hypothèse d’une trace odorante en l’ air, trace ou piste que chaque souffle balaierait. Notre auteur tourne un rucher autour de son axe de 90°. Des abeilles qui reviennent volent à la place où se trouvait la porte de sortie, se posent sur le rucher et bourdonnent des ailes (Bethe appelle « heulen> ce bourdonnement d’inquiétude; disons aussi qu’el- les « crient », pour abréger). Elles ne savent d’abord pas trouver la porte d’entrée déplacée et ne la retrouvent qu’ à la marche, lors- méme que les autres en sortent au vol. Notre auteur place son rucher sur un pivot qu’ il peut faire tourner horizontalement, avec la lenteur voulue, et le fait tourner à raison de 90° en un quart d’heure de VEst au Sud. A 30° les abeilles vont encore assez droit à la porte, sans s’arréter. Mais à P7 45°, au bout de 7 minutes, la majeure partie des abeilles arrivantes commence à voleter quelques fois avant d’entrer, ce qui provoque un essaim qui s’ accumule; cependant I ensemble dévie distinetement vers le sud. A mesure que la rotation avance, l’essaim grossit, et un nombre croissant d’ abeilles cessent de trouver le chemin de la porte d’entrée. A 90° l’ essaim est considérable; quelques abeilles seulement arrivent à trouver la porte. Plusieurs se posent sur le rucher et découvrent la porte à pied. Le gros vole en essaim dans la direction intermédiaire de 45°. Si la rotation est plus lente, (20 minutes pour 90°), l’essaim suit un peu mieux le mouvement (bien . Jusqu’ à 45°), mais à 135° presque plus aucune abeille ne trouve la porte. Une plus grande lenteur n’ avance à rien. Bethe ne peut 262 A. FOREL faire dévier l’essaim des abeilles arrivantes à plus de 45°. Quand Bethe laisse le rucher pendant 4 ou 5 heures tourné à 45°, puis le replace subitement dans sa position normale, les abeilles, qui se sont habituées à voler à 45° (Sud-Est) continuent un. certain temps à voler dans cette direction, faisant au dernier instant un cerochet à droite pour entrer par la porte. Ce vol au Sud-Est et ce crochet n’ont pas lieu s’il remet le rucher en place immédiatement. après les 7 ou 10 minutes de rotation. Mais voici mieux. Bethe recule son rucher de 50 centimètres. Alors les abeilles volent à la place où était leur porte, puis décri- vent des cercles au vol. En ce faisant, elles passent droit devant leur rucher, et une partie d’entre elles y entrent. Cependant il se forme un certain essaim là où était précédemment la porte. Sil recule le rucher de deux meétres, presque plus aucune abeille ne retrouve la porte. Un énorme essaim se forme en l’air, exactement à la place où était précédemment la porte, c'est à dire 2 mètres devant le rucher. Tout au plus une abeille toutes les 2 ou 3 minutes trou- ve-t-elle la porte actuelle du rucher. Tout le reste vole en cercles de 0.20 m. à 2,5 m. autour de l’ancienne place, en V’air. Si Von remet le rucher à l’ancienne place, tout l’essaim s’y précipite. Si on met à sa place une caisse vide pourvue d’un trou à la place où etait précédemment la porte du rucher, les abeilles y volent et y entrent en hésitant plus on moins. C'est méme un truc connu des apicul- teurs pour faire entrer des abeilles dans un nouveau rucher. Lorsqu’ on déplace le rucher en avant, au lieu de le reculer, le résultat dépend de la ligne que les abeilles suivent (selon le temps qu’ il fait) pour rentrer chez elles. Si cette ligne est près de l’hori- zontale, on peut avancer le rucher de plus d’ un mètre sans que cela empéche les abeilles de rentrer. Mais si elle est abrupte (descen- . dant rapidement), de sorte qu’ un déplacement en avant d’un à deux mètres la fasse arriver derrière le rucher, les .abeilles arrivantes manquent ce dernier et vont former derrière lui un essaim en l’ air à V ancienne place de la porte, comme elles le firent en avant dans l’ expérience précédente. Soit dit en passant, c'est une jolie preuve de l’ influence de 1’ élan et de 1’ obsession de l’abeille au retour. Si le déplacement du rucher a lien lentement et graduellement cela ne change pas le résultat final. L’essaim à la place de 1’ an- cienne porte se forme tout de méème en avant ou en arrière. Tout au plus le nombre des abeilles qui trouvent la porte est-il un peu plus grand. | . Bethe ajoute encore que les abeilles auxquelles il a coupé les antennes volent malgré cela en droite ligne à leur rucher à 25 et 50 métres de distance (méme résultat que le mien). SENSATIONS DES INSECTES 263 De ces expériences, Bethe conclut. que le Neststoff (l’ odorat) ne peut jouer un role prépondérant dans la fagon dont les abeilles retrouvent au vol leur rucher. Quelque chose d’ indépendant du rucher les dirige. Ce quelque chose ne les conduit pas au rucher, mais à la place de l’ espace à laquelle le rucher se trouve d’ habi- tude. Le son ou cri des abeilles, (c’ est à dire 1’ oufe) ne les guide pas non plus, sans quoi leur essaim devrait suivre le déplacement du rucher où crient leur compagnes. Nous reviendrons sur ces conclusions. Mais Bethe tient à prouver que ce ne sont pas les souvenirs visuels qui dirigent les abeilles. Voici ses expériences à cet égard. i Un rucher était exposé à 1’ Est et les abeilles volaient à 1’ Est en sortant et en rentrant. Bethe tourna en quelques jours le rucher vers le Sud (90°). Plusieurs mois après les abeilles volaient toujours à l Est. Le rucher était entouré de platanes hauts de 6 m., ceux d’ Est à 6 m. de distance, ceux du Sud à 6 mètres. Au Nord-Est et à V'Est il y avait deux espaces libres ; les abeilles volaient par celui de l'Est. Pensant que la lumière de cet espace était peut-étre cause du phé- nomène, Bethe y placa un grand écran brun foncé, large de 3 m. et haut de 2 !/, m., de facon è obstruer le dit espace. Les abeilles ne S’en inquiétèrent pas, volant par dessus l’écran, en déviant en haut à partir d’un mètre de 1 écran ; les abeilles au retour firent de méme. Bethe croit pouvoir en conclure qu’ elles ne voyaient l’écran qu’à 1‘/, mètre de distance et qu’ elles avaient un instinet de voler à I’ Est. A mon avis le fait ne permet aucune de ces conclusions ; il y a trop d’ autres facteurs possibles, avant tout le plus ordinaire : les abeilles trouvaient è butiner du còté de 1 Est, et suivaient par habitude machinale leur ancienne direction jusque près de l’écran. Bethe refait les expériences de Fabre avec les rotations et méme (avec succès) avec l’aiguille magnétisée suggérée par Darwin. Ni rotations, ni aimant placé sur le dos ne les empéchent de retrouver leur chemin. C’était à prévoir. Bethe a refait nos expériences en vernissant les yeux des abeilles et a observé le iméème vol droit en 1’ air et 1’ impossibilité de s’ orienter. Mais il se débarrasse vite de la chose en déclarant que la lumière est l’agent irritateur qui excite au vol ces animaux diurnes et qui « le régle ». Done le fait qu’aveuglés ils ne savent plus se diriger « ne prouve rien » d’après lui. Je suis obligé de protester contre cette allégation aussi hasardée qu’arbitraire. Elle repose sur une fausse observation. Plateau et moi-méme nous avons montré que les Eristalis, les hannetons, les noctuelles et d’autres insectes s’ envolent spontanément avec les yeux 264 A. KOREL vernis. Mais ils sont alors incapables de se diriger au vol. Ce simple fait réduit è néant les allégations et 1’ argumentation de Bethe. Du reste qu’est-ce que « régler » le vol, sinon 1’ orienter. Ce sont des mots et rien d’autre. Alors que fait Bethe? Il masque un rucher placé sur une table à deux mètres d’un platane. Les abeilles volaient à VV Est-Nord- Est. Bethe place à 1 m. 50 du rucher à I Quest et au Sud un paravent en coin de 2 m. 50 de haut, à ailes de 2 m. 50 de long. Il place des mouchoirs colorés sur le paravent. Puis il couvre la table et le rucher de branches vertes et colle du papier bleu sur la face antérieure jaune du rucher. Les abeilles revenant au rucher n’ hésitèrent qu’ un moment, formant un léger essaim. Puis elles volèrent dès lors sans hésiter à la porte du rucher. Ensuite Bethe placa 6 mètres carrés de papier blanc sur le gazon, devant le rucher. Alors les abeilles devinrent inquiètes et voletèrent en hésitant autour du rucher. Bethe remplaca le papier blane par un bleu, et.elles se tranquillisèrent. Il s’ explique la chose en disant que les abeilles évitent les grandes surfaces blanches éclairées par le soleil. i Tout cela ne prouve rien du tout, ou plutòt nous donne raison contre Bethe. Il n’est pas exact que les abeilles évitent le blanc. Je les ai vu butiner en masse sur du papier blanc en plein soleil, aussi bien que sur du bleu. Et les abeilles de mes dahlias masqués avaient bien su retrouver la localité sans hésiter. Le fait de couvrir d’arbres notre maison et de placer un écran derrière ne nous empéchera pas non plus de la retrouver, si on ne l’a pas transportée ailleurs. Il faut bien mal connaître la psychologie et 1’ adaptation de l’abeille à I entrée de son rucher qui est tout pour elle, pour s’ attendre à un autre résultat. Le subjectivisme de Bethe se montre dans le fait suivant. Après avoir « tranquillisé » ses abeilles en remplacant le papier blanc par du bleu, il les agite de nouveau en remplagant le bleu par du rouge. Il eroit fermement à leur inclination pour le bleu et à leur dégoùt du rouge et du blane. Je note le fait sans y revenir, car Plateau et moi nous avons montré à satiété qu'il s'agit là d’une illusion. Bethe reconnaît que dans divers cas (miroir réfléchissant le soleil, papier frais mis autour du rucher, papier blanc, papier rouge) les abeilles sont embarrassées et s’ accumulent en essaim avant d’entrer. Mais il explique tout cela par l’odorat, et maintient que les changements d’ aspect de l’ entrée du rucher n’ empéchent pas les abeilles de la retrouver sans hésitation. Avec ces restrictions je n’en doute nullement. U’était à prévoir, mais ne prouve pas ce que Bethe veut prouver. Au contraire cela prouve qu’ un grand SENSATIONS DES INSECTES 265 et éclatant changement: de couleur arrive è les désorienter, méème pour la localité de l’ entrée de leur rucher qui est ce qu’elles con- naissent le mieux. Des ruchers situés à l'Est étaient ombragés par un platane de 7 mètres situé droit devant. Bethe le fit abattre le 14 juin 1897 à 10 !/, h. du matin. La plupart des abeilles étaient dehors et butinaient. Eh bien! elles rentrèrent droit à la porte du rucher, sans hésiter, à travers la place libre où était un instant avant le platane, tandis qu’auparavant elles volaient d’en haut, en passant par dessus le platane. Le fait est sans doute intéressant. Mais, le platane n’y étant plus, et le rucher n’ ayant pas changé de place, il n’est pas si extraordinaire. Bethe croit avoir victorieasement réfuté par là les souvenirs des lieux chez l’abeille. Je le nie. Le fait de la dis- parition subite d’un grand arbre qui masquait une hutte dont nous connaissons le chemin ne nous empéchera nullement d’ aller droit à la hutte, bien au contraire. Seulement Bethe a eru pou- voir conclure de ses expériences avec le rucher déplacé en arrière que les abeilles ne voient pas le rucher déplacé, et cette fausse conclusion en amène d’autres. Elles le voient fort bien, mais elles sont préoccupées, d’autre chose: leur attention est obsédée par le souvenir du lieu où il était précédemment, et c’est là qu’elles le cherchent obstinément. De méme les abeilles s’apergurent sans nul doute de la disparition du platane. Mais ce platane leur était absolument indifférent ; il les génait tout au plus. Leur attention les portait violemment à leur rucher seul qui n’était pas ‘déplacé, mais droit devant elles. En niant la psychologie des insectes, Bethe néglige naturellement d’en tenir compte. Un homme se serait sans doute arrété et aurait réfléchi au changement survenu. Mais une abeille n’est pas un homme et raisonne bien plus simple- ment. Elle n’a pas de temps à perdre et n’associe que ce qui est; lié directement à ses besoins et à ses instincts, ce qui n’ était pas le cas du platane de M. Bethe, en ce qui concerne le retour au rucher. Bethe reprend alors l’expérience de Romanes, citée plus haut en note, d’une autre facon. D’un còté de son jardin est la ville de Strassbourg où les abeilles ne vont pour ainsi dire jamais, de l’autre sont les fortifications avec des prairies couvertes de fleurs et d’abeilles. Bethe prit des abeilles marquées et les porta à plu- sieurs reprises soit en ville, soit dans les prés des fortifications à 350, 400 et 650 mètres du rucher. Elles revinrent aussi bien de la ville que de la prairie. Les abeilles ainsi làchées volent d’abord en spirale en haut, 266 A. FOREL puis partent en droite ligne dans la direction du rucher, dit Bethe. Sur 6 abeilles làchées dans une rue bordée de hautes maisons, 4 volent dans la bonne direction, une dans une fausse, une est dou- teuse. Huit autres volent toutes dans la bonne direction ete. Bethe prétend qu’elles prennent cette bonne direction avant d’ avoir at- teint le sommet des maison, done avant d’avoir pu s’ orienter par la vue. J'avoue que ce dernier fait m’a rendu perplexe, car il a l’air concluant. Cependant en y réfléchissant, et comme je connais Strassbourg avec ses rues étroites, je me suis posé deux questions que voici. Comment des abeilles peuvent-elles prendre dans une rue étroite de Strassbourg la direction exacte de leur rucher situé à la péri- férie de la ville, avanti d’avoir atteint le toît des maisons? Une rue n’a que deux directions. Bethe a-t-il choisi des rues droites et justement perpendiculaires à son rucher? Il ne le dit pas. Puis il ne m’est pas prouvé que les abeilles ne visitent pas une ville comme Strassbourg où il y a assez de fleurs, d’arbres, de sucre et de miel pour les attirer. En tout cas il y a là des résultats contradictoires qui demandent confirmation. A mon avis l’expérience de Romanes est beaucoup plus concluante et mieux faite que celle de Bethe, parce qu'elle ne laisse pas d’autre interprétation possible, à cause des précautions prises. Le rucher de Romanes était fraîchement apporté. Bethe accorde finalement quelque chose à la vue. Il montre qu’un morceau de papier noir carré est pris par les abeilles pour la porte d’entrée de leur nid, et qu’elles y volent, tandis qu’ elles se détournent du papier coloré ou blanc. Bethe admet 3 kilomètres à la ronde comme distance à laquelle les abeilles retrouvent en moyenne leur rucher. À son idée, c'est la force mystérieuse qui agit jusqu’à cette distance du rucher. Il déerète et conclut de ses expériences qu’une force totalement inconnue les ramène au rucher et non pas la vue, ni l’odorat, ni le magnétisme. Il cite encore plusieurs faits intéressant: Lorsqu’il recule un rucher seulement de 20 à 30 centim. par jour, et le laisse reposer pendant un jour dès qu’un petit essaim se forme en avant, il peut arriver à le reculer de 4 mètres sans que les abeilles retournent à l’ancienne place de leur porte d’entrée et de sortie. Lorsqu’ on déplace un rucher en automne, et le met où que ce soit dans les environs (à 3 kilom. à la ronde), le printemps suivant les abeilles ne retournent pas à l’ ancienne place, mais d’emblée à la nouvelle (quest devenue alors la force mystérieuse et inconnue ? Bethe ne devrait-il pas en conclure plutòt que pendant leur som- SENSATIONS DES INSECTES 267 meil hivernal elles ont oublié leurs anciennes routes aériennes, et s’orientent à nouveau ?). Si l’on fait tourner un rucher sur son axe de 90° degrés pen- dant la nuit et si quelques jours de pluie suivent, au premier jour de soleil il se forme un essaim d’arrét des abeilles qui reviennent. Mais elles retrouvent bientòt leur chemin, et au bout de peu de Jours elles volent droit à leur porte, (n’est ce pas une preuve que le souvenir de la direction qu’elles suivaient précédemment, et par suite l’obsession correspondente a perdu de sa force pendant leur réclusion [Fore]]?). On obtient le mèéme résultat par les jours de soleil si on ne fait tourner le rucher que de quelques degrés par jour. Ayant tourné ainsi peu à peu un rucher de l’ Est au Sud, Bethe le laissa 5 se- maines ainsi, puis le remit subitement à Est. Les abeilles revenant de butiner volèrent alors au Sud, formèrent un léger essaim d' hé- sitation, mais bientòt elles revinrent par un crochet à leur porte, à VV Est. L’essaim d’ hésitation cessa très vite, mais les abeilles con- tinuèrent à voler vers le Sud et à entrer dans leur porte en faisant, un crochet, le crochet fut continué pendant des semaines, mais en diminuant peu à peu de grandeur. Cette charmante observation s’ explique à notre avis par un phé- nomène d’ habitude prise, mais corrigée chaque fois par un coup de l’ attention. Nous observons des. phénomènes voisins chez nous mémes. Seulement e’était une habitude de 5 semaines vers le Sud seulement. Elle avait été précédée d’une « habitude è V Est », et c'est pour cela qu’un peu d’attention provoquée par l’ aspect de la paroi sans porte suffisait pour faire rentrer les abeilles par un crochet dans leur habitude précédente non encore oubliée, au lieu de les plonger dans une désorientation complète comme dans les expériences citées plus haut. Il y a là un trait lumineux de psychologie de l’in- secte, une psychologie qui rappelle surtout celle de nos états sub- conscients, de nos automatismes somnambuliques par exemple. Mais Bethe a fait encore d’ autres curieuses observations qui, à première vue, semblent lui donner raison. Nous avons vu plus haut l’istoire du platane coupé. Eh bien! pendant des mois, tandis que les abeilles revenant au rucher volaient droit à la porte, celles qui partaient au contraire continuaient, sans rime ni raison, comme des automates, à voler en haut et à contourner en l’air la place qu’ occupait autrefois le platane. Bethe chante victoire et croit de nouveau avoir refuté 1’ habitude et prouvé la force mystérieuse de retour à la porte. Analysons les faits : L’abeille qui a fini de butiner n’ a qu’ une obsession fixe en téte :. revenir au plus tòt à la porte du rucher. Cette obsession la pousse . 268 A. FOREL à raccourcir tous les angles, à rechercher la ligne la plus droite (la fameuse Bee line) pour atteindre son unique objectif. Tout autre est le cas de celles qui partent. Sans doute, il y a en général une di- rection principale, par laquelle elles sortent, celle qui les conduit aux places où elles butinent. Mais en rase campagne ces places varient selon les saisons, et avec elles la direction que prennent les abeilles au sortir de leur rucher. Je puis 1 affirmer, car nous 1’ ob- servons ici. Un champ de colza en fleur, situé au Nord-Quest, les fait voler an Nord-Quest ete. L’abeille qui sort va en outre butiner à divers endroits. Elle n’a donc pas d’obsession fixe qui la pousse vers un point unique à sa sortie. Ici donc une vieille habitude automatique de voler en l’air peut se conserver, faute d’obsession antagoniste. Bethe s’étonne aussi de ce que les abeilles d’un nouveau rucher, acheté au loin et placé chez lui, après s’ étre élevées en tournoyant et étre parties vers le Sud, revinrent plus tard par l’ Est. Il y voit de nouveau sa force mystérieuse ; je ny vois que leur excellente faculté de s’ orienter dans l’ espace par la vue. Enfin Bethe transporte dans des boîtes des abeilles au loin, pour voir si elles savent revenir au rucher. Celles qui ne sont plus capables de se diriger, après s’étre élevées et avoir tournoyé à une grande hauteur, viennent toujours retomber exactement à la place d’où elles sont parties, sans se tromper de plus que de quelques cen- timètres. Les ayant fait partir d’une boîte qu'il tenait à la main, il se déplaca après leur départ. Les abeilles revinrent tournoyer en l’air exactement à la place où Bethe avait précédemment tenu sa boîte (dans d’ autres cas sur la prairie exactement à la place où avait été la. boîte dont elles étaient parties). Ces fait sont sans doute fort curieux et prouvent à n’ en pas douter chez les abeilles une faculté surprenante de retrouver un point quelconque ‘ide l'espace. Dans les dernier cas, les abeilles étant absolument perdues et. ne pouvant reconnaître le chemin de leur rucher trop éloigné, n’avaient qu’un seul souvenir associable d’espace localisé, celui du point où on les avait làchées. Il n°y a donc rien d’ étonnant en pareil cas à ce qu’ après avoit vainement cherché è s’orienter en l’air, elles y reviennent et y répètent le manège qu’elles font à la porte d’ un rucher déplacé. 1 Ce qui est frappant, dans ce cas comme dans d’autres, e’ est la rapidité et la sùreté de leur orientation dans 1’ espace. Les objets en eux mémes, s’ils n’ont pas de qualités \attractives spéciales, attirent bien moins les abeilles que la place circonserite de l’espace qu’elles connaissent et reconnaissent. Ceci découle du reste aussi des x expériences que j’ai racontées à propos de Plateau. SENSATIONS: DES INSECTES 269 Est-ce là une raison suffisante, après tout ce que nous avons vu, pour leur attribuer une force mystérieuse indépendante des sens et spécialement: de la vue? Je ne le crois pas. Je ne veux pas répéter ce que j’ai dit à propos des pigeons, mais insister encore sur un point seulement : nous autres hommes, avec nos lents mou- vements terrestres, nous ne pouvons comprendre, (sentir, saisir avec notre esprit) ce que doit étre l’orientation par la vue d’un animal aérien au; vol rapide, avec ses immombrables et prompts déplace- ments dans l'espace. Bethe, et bien d’autres avec lui, oublient, que pour taxer ce qu’un sens peut fournir il ne faut pas seulement tenir compte du nombre de ses éléments et de son acuité, mais encore de la facon dont l’animal peut l’ utiliser. Une vue qui bondit dans les airs comme celle des insectes aériens doit nécessairement fournir à son possesseur par adaptation héréditaire au moyen de la sélection et à l’aide d’ associations rapides une faculté d’ orientation admirable dans l’ espace, dès que celle-ci devient utile, comme c'est le cas chez les hyménoptères sociaux. Ce qui ne suffit pas à nous orienter, suffità orienter une abeille par la vue, dès que son instinct, ses obsessions attentionnelles 1’y poussent. Nous avons vu (Exner) que l’ceil à facettes fournit une percep- tion des déplacements supérieure à celle du nòtre. Or, dans l’ orien-. tation au vol, tout est déplacement ou mouvement relatif. Sans doute la vue des abeilles et des insectes en général n’ est pas notre vue. Je l’ accorde pleinement à Bethe, et je n’ai cessé de le prouver de cent facons; elle est bien plus mauvaise pour certaines choses, mais meilleure pour d’autres. Or Bethe qui est d’une sévérité outrée pour tout ce qui sent de loin l’ anthropomorphisme, méme pour les études les plus permises au moyen de 1’ analogie, tombe lui-méme dans un anthropomorphisme des plus étroits en posant son dilemme qui est à peu près celui-ci : «Les abeilles ne s’orientent pas comme Vhomme par la vue. Done ce n’ est pas par la vue, mais par une force mystérieuse qu’ elles s’ orientent ». C'est du moins le sens de sa logique unilatérale. Pour lui il n'y a pas de milieu possible. Pour nous bien au con- traire. Nous disons: Natura non fecit saltum. La vue, comme l’odorat, s’ est modifiée et adaptée à des buts très divers. En outre, la fagon dont le cerveau lutilise varie avec les aptitudes et les tendances de ce dernier. De là tant de nuances, tant de variations, tant de complications. Que Bethe opère sur les guépes, il verra déjà à quel point cet hyménoptère social, voisin cependant del’abeille, s’oriente d’une fagon différente, gràce à un odorat bien plus déve- loppé et à une vue différente. Bethe conclut en fin de compte : « Les abeilles obéissent à une 270 A. FOREL « force qui nous est absolument inconnue et qui les force à revenir «à la place de l’ espace d’ où elles sont parties. Cette place est « d’ordinaire le rucher, mais pas nécessairement. L’ action de cette « force ne s’ étend qu’à quelques kilomètres à la ronde ». i Nous sommes très redevables à Bethe de ses expériences aussi ingénieuses que patientes. Elles enrichissent nos connaissances de faits très intéressants. Mais je suis obligé de combattre ses conclusion comme précon- cues, unilatérales et d’un absolutisme absolument contraire à la logi- que et à l’esprit scientifique. Chemin faisant, j’ ai fait une série d’ objections de détail aux expériences de Bethe. Lui-méme est obligé d’accorder à la suite de ses propres expériences qu’il se produit chez les abeilles une sorte d’ habitude (entraînement) et qu’elles se déshabituent aussi. Or qu’ est-ce qu’ une habitude sans souvenirs? Les expériences de Bethe ne parlent-elles pas clairement contre lui? Au bout de 5° semaines les abeilles ont encore le souvenir de l’ancienne place de leur porte qui avait été déplacée. Mais au printemps, après le som- meil d’hiver, tout est oublié. i Pourquoi une partie des abeilles làchées à 3 kilomètres recon- naissent-elles leur chemin, et l’autre pas? La force inconnue et aveu- gle de Bethe, qui les ramène au rucher, devrait étre la méme: pour toutes. Et pourquoi s’élèvent-elles d’abord en l’air en tourno- yant, tout comme les pigeons, sinon pour se reconnaître. La force aveugle pourrait attirer les unes plus vite, les autres plus lente- ment vers le rucher, mais pas les unes au rucher et les autres à la place d’ où on les a làchées. Au contraire la différence s’ explique simplement si on admet que les unes ont retrouvé des points de repère qui les orientent, les autres pas. Ces dernières, sans doute les plus jeunes, comme chez les pigeons, n’ont alors d’autre res- source que de revenir sur leurs pas, comme tout animal ou homme qui s’est perdu. Et enfin, je le répète en insistant, si une force indépendante de la vue guidait les insectes au vol, les insectes aux yeux vernis s’orien- teraient exactement après s’ étre envolés; 1’ objection de Beth e, indiquée plus haut, n’en est pas une; e’est un faux fuyant. Mais d’autres considérations montrent encore l’erreur où se trouve Bethe. Jai parlé plus haut d’un nid de bourdons (Bombus) placé sur ma fenétre et de la peine énorme que ces insectes avaient à le retrouver, ainsi que de la facon dont ils examinaient d’abord d’au- tres fenétres analogues avant de le trouver. Les Bourdons locali- sent plus mal que les abeilles ; je crois pouvoir l’affirmer. En tout cas cette expérience parle absolument contre la « force inconnue » SENSATIONS DES INSECTES 271 de Bethe. Celle-ci aurait dà ramener les bourdons en droite ligne à leur nid. Pour nous rendre un compte exact de l’orientation des insectes au vol, il faudrait que nous puissions penser comme eux. Le problème est sans doute rendu bien plus difficiles de ce fait que nous ne le pouvons pas. Mais ce n’est pas une raison pour jeter 1’ enfant avec le bain comme le fait Bethe, et pour renier toutes les analogies. S’il en est de fallacieuses, il en est au contraire de très suggestives. Le tout est de les distinguer autant que possible pour approcher de la vérité. Pour nous-mémes, voir, regarder et comprendre sont trois, mais nous ne voyons bien que ce que nous regardons et surtout ce que «nous comprenons. Nous sommes aveugles (d’esprit) pour les choses que nous ne comprenons pas et pour celles qui n’attirent pas notre attention. Nous passons souvent à còté, comme si nous ne les voyons pas. Or tout porte à montrer qu’il en est de méme chez les insectes. Seulement comme le 99 pour 100 de leurs actes se produit d’une fagon automatiquement fixée par l’hérédité, il s’en suit néces- sairement qu’ils ne comprennent à leur facon petite et bornée que le 1 pour 100 peut-étre de ce qu’ils font. Voilà pourquoi, éblouis par cet immense automatisme de l’instinct, nous sommes tentés de raisonner à la Bethe, de ne voir que lui, et de nous extasier, comme Fabre, devant la bétise de cet insecte qu'on a désorienté en coupant la filibre de ses actes et qui ne sait chercher que l’ori- fice de son nid détruit, ne voyant pas ses larves sur les quelles il marche, ou de ces abeilles qui bourdonnent des heures en l’air deux métres devant leur rucher, sans comprendre où il est, et que c'est lui qui est devant-elles. Mais comme je lai dit, ’homme en somnambulisme nous offre une singulière dissociation de l’activité cérébrale qui circonserit le champ de son attention et le rend sourd et aveugle pour ce qui ne sy rapporte pas. En somnambulisme hypnotique, de méme qu’en réve, nous faisons des bévues assez sembables à celles des abeilles; nous agissons très automatiquement, nous allons mécaniquement à un but comme elles vont à Vancienne place de la porte de leur rucher deplacé, sans voir ce qui nous crève les yeux. Sans doute l’analogie est incomplète. Mais elle renferme un grand fond de vérité. Dans les deux cas, c’est l’activité automatique des centres nervenx qui prédomine, laissant l’ activité plastique à 1’ arrière plan. Seule- ment chez homme il s’agit d’inhibitions passagères, chez l’insecte d’une impuissance due à la petitesse de son cerveau. Et cette im- puissance ressort d’ autant plus que les séries localisées d’ actes adaptés à des buts spéciaux sont plus fixées et plus complexes. 272 A. FOREL Ainsi la bétise de Vabeille ressort d’autant plus qu'elle a des in- stinets complexes plus fixés que la plupart des fourmis et que les guépes. Avant de prendre congé des abeilles de B e t h e, je propose, ici aussi, une expérience décisive. Qu’on prenne un rucher et le tran- sporte fermé (de nuit) à 40 ou 60 kilomètres au. moins pour étre certain que la « force mystérieuse » ne puisse ramener aucune abeille à son ancienne place. Qu’on le maintienne un ou deux jours fermé après l’avoir placé dans un lieu assez masqué pour qu’il ne puisse étre vu à plus de quelques mètres. Avant de permettre à aucune abeille de sortir librement, on en introduira une vingtaine dans une boîte par un procédé quelconque et on les marquera soigneusement avec une méme couleur. Puis on les portera, dans la boîte fermée à 300 ou 500 mètres, sans leur avoir permis de voler pour s’orienter. Si j'ai raison, elles seront incapables de voler à leur rucher, n’ayant pu s’orienter au vol par la vue. Si Bethe a raison, la force mystérieuse indépendante de la vue les ramènera droit à leur rucher. Il faut avoir un système qui permette d’adapter une boîte à l’entrée du rucher et d’y faire entrer les abeilles sans qu’aucune puisse s’envoler. Ensuite, après avoir répété deux ou trois fois 1’ ex- périence, ou marquera d’une autre couleur des abeilles qu’on lais- sera partir du rucher et l on observera leur vol d’ allée et de retour. B. — Fourmis. — Les expériences de Bethe sur les fourmis sont beaucoup plus faibles que celles sur les abeilles. Comme ses conclusions ont déjà été magistralement réfutées par Wasmann (Die psychischen Fihigkeiten der Ameisen : Stuttgart, 1899 bei Erwin Naegele ; Heft 26 der zoologica von D. Carl Chun aus Leipzig), nous serons plus brefs à leur égard. Je rappelle d’abord une expérience peu connue que j'ai publiée dans les Annales de la société entomologique de Belgique 1886, Tome XXX, p. 136 (Forel, Etudes myrmécologiques en 1886) « Des « Formica pratensis avaient déménagé d’un nid à un autre. Le démé- «nagement terminé, quelques ouvrières continuèrent è aller visiter « des pucerons sur un arbuste qui se trouvait sur la ligne où le « déménagement avait eu lieu. Je saisis à plusieurs reprises des «ouvrières qui revenaient de l’arbuste à leur nid, l’abdomen gon- « flé de miellée, et je les placai chaque fois de nouveau sur la ligne « du déménagement, mais à un mètre environ de l’endroit où je « venais de les prendre. Revenues de leur premier étonnement, et après «avoir fait quelques circuits très courts, elles se mirent chaque « fois, sans se tromper, en route dans la bonne direction les con- « duisant à leur fourmilière, jamais en sens inverse. Je demande SENSATIONS DES INSECTES 273 «quelle peut éètre dans.ce cas la piste qui les guide au milieu «de toutes les pistes de leurs compagnes allant dans les deux «< sens. Et en admettant que ce soit leur propre piste lors qu’elles « étaient allées à 1’ arbuste, comment ont-elles pu distinguer si « elles devaient la suivre dans un sens ou dans l’autre, puisqu’ elle « devait étre égale des deux còtés et que la piste fraîche qu’ elles «laissaient du còoté de l’ arbuste en avancant vers leur nid n’était « plus là pour les guider, gràce à mon stratagème. L’idée d’ une « piste, comme nous nous la faisons ne suffit plus ici, et comme «les fourmis voient mal, je crois devoir émettre une nouvelle opi- «nion à ce sujet. i « D’ abord il n’ est. pas question d’ un sens vague de la direc- « tion, car lorsqu’ on met des fourmis en tas en un lieu inconnu « d’elles, et qu'on pose l’une d’elles è deux ou trois mètres du tas, « elle est absolument incapable d’ en trouver la direction. Il faut « done qu’elles connaissent les lieux. Or l’expérience prouve qu’el- «les les reconnaissent avec les antennes, car, privées d’antennes, « elles ne peuvent plus se guider. Certaines expériences de Lu b - «bock semblent prouver que la direction de la lumière, les om- « bres, les guident è còté de 1’ odorat. Mais quand le temps est « couvert, et méme la nuit, elles se dirigent comme de jour. «Je commence à croire que nous pourrions étre ici en présence « d’un fait physiologique et psychologique très important. Les orga- «nes des sens internes (le goùt, et 1 odorat) ne nous procu- «rent, on le sait, que des sensations mal délimitées ou méme pas «du tout délimitées dans l espace. Herbert Spencer (Prin- « cipes de Psychologie) croit que cela vient de ce que les terminai- « sons nerveuses sont intérieures et par suite affectées toutes à peu « près de la méme facon (en tourbillon, sans règle) par l’ agent « chimique excitateur, tandis que pour la vue et le toucher les «agents excitateurs se localisent, affectant tantòt une partie, tantòt «une autre de la peau ou de la rétine. Il paraît exister là une « vérité très générale, car nous: localisons bien aussi nos impres- « sions de toucher cutané, mais très mal nos impressions viscéra- «les. Or les sens dont les impressions sont localisées sont en méme «temps ceux qui nous font connaître l’espace. Je crois pouvoir en « conclure que l’odorat des insectes peut avoir des particularités « d’ énergie spéciale que n’ a pas le nòtre (localisation des impres- « sions dans l’espace). Cette localisation, jointe à celle du toucher «et à la mémoire, doît suffire à donner à certains insectes cette « étonnante connaissance des lieux..... impossible à expliquer par «l’odeur vague d’une piste. La fourmi distingue probablement les «impressions de son antenne droite de celles de son antenne gau- RIv. DI BIOLOGIA GENERALE, III, 18 274. A. FOREL « che, celles de la face gauche et de la face droite de chaque antenne, « les impressions qui viennent du còté gauche en général de « celles qui viennent du eòté droit. Ainsi elle distingue par ses « antennes et connaît les deux còtés du chemin, de sorte que, mise « tout à coup à un endroit quelconque des lieux qui lui sont ainsi « connus, elle s’oriente avec ses antennes par les objet qui l’entou- «rent et sait dans quelle direction est son nid, de mème que nous «nous reconnaissons en cas pareil par la vue distinete et sa mé- « moire (mémoire des lieux vus). Le fait que l’homme ne peut pas « Se représenter un odorat localisant dans l’espace n’infirme en rien « notre hypothèse. La foule énorme de terminaisons nervéuses répan- « dues les unes à còté des autres sur la massue des antennes est « extrémement propre à une fine localisation ». Cette expérience a été faite et publiée en 1886. Il est intéressant de voir Bethe, qui ne la connaît pas, arriver au méme résultat, mais à une toute autre interprétation. Il observe la route suivie par les fourmis en les faisant marcher sur du papier enfumé, où elles laissent la trace de leurs pattes. Il observe qu’ elles font de nombreux circuits et trouvent leur nourriture par hasard, non pas en la flairant de loin. Ces faits sont connus dès longtemps, mais pour le flair de loin il faut faire des restrietions. Bethe na opéré que sur trois espèces deux Lasius et un Tetramorium. Or l’acuité de l’odorat et de la vue varient beaucoup selon les espèces. En outre il a observé qu’ au retour elles abrègent leur route en prenant les raccourcis que la piste leur offre, là où les anciens cir- cuits se croisent. Ainsi la répétition fréquente d’un chemin rend leur route de plus en plus droite. Puis Bethe « découvre » que la trace ou piste des fourmis est « polarisée », C'est à dire qu’ elles distinguent la direction du nid de celle du lieu périférique où elles vont chercher leur nourriture. C est donc exactement ce que j’avais montré fort simplement en 1886. Mais Bethe y voit immédiatement une polarisation mysté- rieuse, une force inexpliquée. Son expérience est fort jolie. Il fait passer ses fourmis sur un disque capable d’ étre tourné horizonta- lement. Lorsque les fourmis y ont passé un certain temps, il le tourne de 180°. Alors les fourmis, lors méme que la piste est con- servée, s’ arrétent, vont et viennent fort agitées sur le disque; cela provoque un assemblement de fourmis hésitantes, et ce n’ est que lorsque leurs circuits les ont amenées de l’ autre còté que, retrou- vant la piste dans le bon sens, elles continuent tranquillement leur route, soit au nid, soit aux pucerons. Le fait s’ explique admirable- ment par mon hypothèse à laquelle il donne une base de plus. En effet: sur le disque tourné la piste est continue avec celle de ses SENSATIONS DES INSECTES ; (SS) Tò deux extrémités, mais en sens inverse, la droite à gauche, et la gauche à droite. Il en résulte que l’odorat au contact des antennes de la fourmi pergoit tout-à-coup une transposition de l'espace qui nécessairement la désoriente d’ après ce que j’ai écrit en 1886. La polarisation de Bethe réside tout simplement dans la reconnaissance des détails de l’ espace et de leurs positions relatives au moyen de l’ odorat relationnel au contact des antennes. Nous y reviendrons. En outre Bethe s’imagine réfuter Lubbock et me réfuter en affirmant que la vue ne joue aucun ròle dans l’ orientation des four- mis et que les Y. pratensis dont j’ avais verni les yeux avaient peine à se retrouver au dehors seulement parce qu’elles souffraient. Il faut vraiment une forte dose de suffisance pour porter de pareils jagements à propos d’insectes qu’on connaît à peine. Mes fourmis vernies se portaient parfaitement bien et se dirigeaient lestement dans leurs boîtes, ce dont Bethe ne tient nul compte, lors méme que je Vai nettement affirmé dans mons travail. Dans une boîte, toujours la méme, avec ses simples et étroites dimensions, la tàche était en effet très simple. Mais si Bethe con- naissait les fourmis comme je les connais, il saurait que la facon dont se dirigent les Eciton aveugles, en palpant perpétuellement la terre est toute autre que celle dont se dirigent les Formica qwil ne connaît pas, et qui ont relativement bonne vue. Il serait sans doute fort étonné de voir la facon dont les Pseudomyrma d’ Amérique, avec leurs grands yeux, courent sùrement par saccades rapides sur les arbres, en se dirigeant plutòt par la vue que par les antennes. En un mot il généralise en bloc sur les trois ou quatre espèces d’insec- tes qu'il a observées, sans s’ étre donné la peine de faire des compa- raisons avec des formes dont les sens ont un developpement différent. La vieille expérience du doigt frotté sur la piste des Lasius qui en sont désorientés a été refaite par Bethe avec le méme résultat qui s’ explique de soi. L’ odeur du doigt efface ou plutòt recouvre les odeurs de la route des fourmis et désoriente un moment ces dernières. Les Lasius et les Myrmica sur lesquels Bethe a opéré ont la vue peu développée et se dirigent presque exclusivement par I odorat, ce qui explique le jugement unilatéral de notre auteur. Je tiens à revenir sur l’odorat des antennes, car mon opinion citée ci-dessus paraît avoir été ignorée ou mal comprise. Willibald Nagel, qui seul en a sérieusement tenu compte, n’en a retenu que l’odorat au contact, c’est-à-dire la distinetion chimique au contact par les organes sensoriels de la massue des antennes. Mais là n’est pas le principal. Représentons nous un instant que nous ayons sur la peau des mains un sens nous donnant la connais- 276 A. FOREL sance exacte des mille odeurs et nuances d’odeurs de tous les corps qui nous entourent, non seulement lorsque nous les touchons, mais méme sous forme d’ émanations plus subtiles à une certaine distance. Représentons nous ces mains en fuseau arrondi, placées au bout de deux longs fouets mobiles que nous n’ aurions qu’à agiter à chaque pas pour palper notre chemin à droite, à gauche, en dessus, en dessous. Remarquons que si les émanations des divers objets et por- tions objets localisés dans l’espace se confondent un peu à distance, la nature chimique de leurs surfaces est au contraire très nettement loca- lisée par les limites des dites surfaces. Enfin n’oublions pas quelle va. riété presque infinie les odeurs présentent, mème à notre odorat humain relativement peu développé. Cela dit, voyons ce qu’ un pareil organe doit nécessairement nous faire connaître. D’abord il nous montrera au contact direct, à la surface de tous les objets qui nous entourent, tout une carte géo- graphique de champs odorants différenciés les uns des autres, les uns grands, d’autres petits, les uns ronds, d’autres allongés, etc. Bref il nous donnera des limites nettes infiniment plus variées que le toucher qui ne donne que la résistance et les contours. Mettons- nous à la place d’ une fourmi dans un pré. Un coup d’antenne lui fera sentir l odeur allongée d’ un brin d’herbe, l’ autre 1 odeur arrondie et différente d’ une autre feuille, un troisième celle d’une motte de terre, un quatrième celle d’ un insecte qui passe et ainsi de suite. Si lune de ces odeurs lui rappelle un objet recherché, elle se jettera dessus; si une autre lui annonce un ennemi dange- reux, elle fuira; si une troisièéme est douteuse, mais semble digne d’intérét, elle s'arrétera et la palpera avec soin. Tous ces champs odorants, répartis dans les trois dimensions de l’ espace, formeront dans sa mémoire des perceptions, des images à relations topogra- fiques nettes. Seulement ce sera une topographie de nature chi- mique, avec des odeurs comme élément d’ énergie spéciale. Mais plus! Notre fourmi sentira des émanations à distance, venant de droite, de gauche, d’ en haut, d’ en bas. Ces émanations prolongeront en |’ air sa géographie chimique de l'espace, mais d’ une facon plus confuse. Sa propre odeur, déposée sur le chemin sous forme de piste, celle des points touchés à Vallée par ses antennes, aura pour elle une forme précise. Bret un monde de connaissances localisées, en relations fort précises sera de cette facon projeté dans son cerveau. Si nous étions doués d’un pareil sens, le monde serait transformé pour nous. L’odorat deviendrait un sens des formes, une source d’art, dont nous ne pouvons nous faire qu’une faible idée. Il va sans dire que le cerveau d’ une fourmi n’ en peut tirer que SENSATIONS DES INSECTES PALATI Ge que son exiguité peut en faire. Cependant le fait est là, clair et incontestable. Je suis étonné qu’on lait tant négligé. Il s’agit done d’un sens chimique qui donne des relations exactes entre les différentes portions de 1’ espace, relations très exactes au contact, plus fondues, mais encore fort appréciables à une distance rapprochée. C'est ce que j’ai appelé odorat relationnel, pour indiquer cette fonction fondamentale d’ un sens de l’odorat, mobile et tourné en dehors, donnant à son porteur les relations de l'espace par Vodorat au contact, en tenant spécialement compte de 1’ attouchement direct par les antennes. On pourrait appeler Chemaphesthesie la faculté de l’odorat au contact et sens topochimique Vodorat relationnel. Dans le langage de Bethe il faudrait parler de réflexes topochimiques, mais sa théorie lui interdisant toute analogie il ne peut méme sup- poser pareille chose et tout ce domaine lui reste nécessairement clos. Pour lui il n’existe qu’une « polarisation inexplicable ». Plus encore, Spencer montre que des relations nettes de for- me pour l’espace, de séquences pour le temps, de différences qua- litatives pour tous deux sont nécessaires à la combinaison des sensations, c’est-à-dire à la formation de perceptions et de souvenirs associés et ascociables. C’est pour cela que l’homme n’est pas capa- ble d’associer distinetement les odeurs et les sensations viscérales à ses souvenirs. Pour l’odorat antennaire ou topochimique, il doit done nécessairement en étre autrement. Les antennes nous offrent dans leur massue, chez les hyménop- tères sociaux, deux sortes de terminaisons nerveuses régulières, différentes des poils tactiles ordinaires: les massues olfactives de Leydig et les plaques olfactives des auteurs. Les massues sont hérissées à la surface de l’ antenne et doivent entrer surtout en action au contact. Les plaques sont aplaties, s’ élevant à peine au dessus de la surface de l’antenne, paraissant ainsi plus appropriées à Vl odorat à distance. Elles sont très développées chez les Ichneu- monides. Parmis les fourmis, le Polyergus rufescens possède les plaques les plus différenciées que je connaisse, mais ses massues sont aussi très apparentes et très distinctes. Rien n'est plus instrucetif pour étudier la fagon dont les fourmis se dirigent que d’observer les expéditions de la fourmi amazone (Polyergus rufescens), et celles des Eciton, mais surtout celles des Polyergus. Jen ai fait une longue étude dans mes Fourmis de la Suisse (1874), et jy renvoie pour le détail. Je ne comprends pas comment Bethe peut passer de pareils faits sous silence et lancer sa théorie de polarisation en regard de faits qui ne peuvent s’expli-. quer que par une mémoire des lieux, par la mémoire en général. 278 A. FOREL Cette mémoire est sans doute surtout olfactive, mais les mots de substance du nid ou d’odeur de famille, ne suffisent pas à Vl’ expli- quer. . Dans cette Kevue (Vol. II, n. 3, 1900), à propos des moeurs des fourmis de l’Amerique du Nord, j'ai cité mes observations sur la faculté admirable d’ orientation d’un Eciton aveugle, 1 Eciton caro- linense. Cette orientation a lieu exclusivement au moyen de 1’ odorat topochimique des antennes. Aussi les antennes sont elles dans un mouvement perpétuel, tàtant chaque parcelle de terrain, les compa- gnes et les larves. L’unilatéralité de ce mode d’ orientation l'a poussé à une perfection extrèéme. Lorsqu’on dépose une poignée, de ces Eciton en un lieu inconnu, très éloigné de leur nid, la carte géochimique est immédiatement dressée et reconnue, à chaque pas que fait chaque fourmi, avec une précision incroyable. Dès que VEciton a suivi une ligne, il la retrouve sans hésitations, sans s’écarter d’un millimètre, sùr de ne la confondre avec aucune autre, si nombreux que soient les croisements. Je renvoie à mon article et Je regrette seulement que nous n’ ayons pas d’Eciton en Europe, car mes observations n’ont pu étre que très courtes et sommaires. Voici en quelques mots ce que nous observons chez nos Polyergus (fourmi esclavagiste) d’ Europe : Incapables de soigner leur progéniture ei méme de manger seules, ces singulières « ouvrières » ont 1’ instinet de se réunir en phalanges dans les belles après midi de juillet, d’ aoùt et de sep- tembre. A un signal donné par quelques initiatricés du mouvement qui frappent les autres de leur front, presque toutes les amazones sortent du nid et partent en rangs assez serrés dans une direction donnée, à une vitesse d’environ un mètre en 40 secondes dans le gazon et en 25 ou 530 secondes sur un terrain dénudé. Souvent quelques essais de départ se produisent, sans que suite y soit donnée, surtout si le temps est douteux. La phalange, composée d’environ 300 à 1500 fourmis, avance en ligne assez droite, sans hésiter. Cependant les fourmis qui sont en téte reviennent souvent en arrière, comme pour s’orienter ou s’ assurer qu’ elles sont suivies, de sorte que la tete de l’armée change. Mais fort souvent cette téte hésite, cherche de droite et de gauche, s’arréte méme. Alors toute l’armée s’épar- pille et cherche, longtemps souvent, palpant tout de ses antennes. On peut observer en ce cas les signaux individuels et les mouve- ments généraux. Quelques fourmis, jusque là hésitantes, une seule peut-étre, reconnaissent enfin le chemin à suivre, reprennent soudai- nement une allure rapide, frappent les autres de leur front et partent dans une direction qui forme assez souvent un angle avec la précédente. L’impulsion est ainsi communiquée, et toute l’armée SENSATIONS DES INSECTES 279 la suit, la vue aidant au sens topochimique dans ces mouvements rapides d’ ensemble. Rarement deux « tétes » d’armée se for- ment à la fois, partant chacune dans une direction différente. Alors l’ armée se divise en deux et chaque partie va piller une autre fourmilière, à moins que lune des tétes ne revienne sur ses pas et ne suive l autre, ou ne rentre ‘découragée à la maison. Tous ces cas se présentent et d’ autres encore. Plusieurs arréts pareils peuvent se succéder dans la méme expédition. Parfois ce ne sont que de courtes hésitations, mais parfois aussi les fourmis ne peuvent, malgré de longues recherches, arriver à trouver leur chemin et rentrent chez elles bredouilles. En général elles décou- vrent un nid de Formica fusca ou rufibarbis, y pénètrent et en ressortent un instant après, tenant chacune entre leurs mandibules une larve ou une nymphe qu’ elles rapportent à toute vitesse chez elles. J’ai vu parfois VVarmée passer presque à coté du nid qu’ elle cherchait sans le trouver, mais s’y ruer dès que je 1’ eus mise sur la voie en semant quelques nymphes de fusca avec des mottes de la terre du nid dans sa direction. Au retour de 1’ armée, il n’ y a Jamais d’hésitation; le souvenir olfactif (piste topochimique) et visuel de l’ allée a suffi pour faire connaître a chaque fourmi le chemin exact. A ce propos notons deux faits. J° ai observé une armée amazone traversant un gazon qu’ on venait d’inonder pour les empécher de passer, malgré l’eau, en s'accrochant aux brins d’herbe, puis traverser une route balayée par la poussière d’un vent violent, tout cela sans perdre son orientation. Toute téte d’armée veut étre suivie. Si quelques amazones parties en avant ne sont pas suivies par une troupe suffisante (j'ai observé une exception), elles reviennent sur leurs pas. Rentrées chez elles, les amazonesjettent parfois les nymphes voléesà leurs esclaves et repartent immédiatement piller le méme nid à nouveau s’il renferme encore du butin, ou un autre s’il n’en renferme plus. Plus souvent elles introduisent elles-mèmes le produit de leur rapine dans leur nid, et n’ en ressortent plus ce jour là. En fait donc, elles savent si le nid pillé renferme encore des nymphes ou s’ il n’ en contient plus. Dans le premier cas seulement elles y retournent, tantòt le méme jour, tantòt le lendemain, si l’heure est trop tardive, et cette fois sans arréts ni hésitations. Ces faits me . semblent donner une preuve irréfutable de leur mémoire. Il faut qu’ elles se rappellent si le nid pillé renferme oui, ou non, encore des nymphes, e’ est-à-dire s’il y en avait beaucoup ou peu. Ni les réflexes, ni les odeurs, ni les traces polarisées ne peuvent expliquer la chose, et je n’ai jamais vu des Polyergus piller plusieurs fois de suite un nid qui ne renfermait plus de nymphes. Jai observé ou fait observer pendant un seul été (1873) 44 expé- 280 A. FOREL ditions exécutées en 30 après midi par une seule fourmilière de Polyergus rufescens, et j’ ai calculé que ces fourmis doivent avoir rapporté chez elles près de 29000 nymphes d’esclaves en ce seul été. Comment les Polyergus découvrent-ils des nids de Formica fusca situés souvent à 40 ou 60 mètres du leur et fort cachés? Au printemps, et dans les matinées de l’été, des Polyergus ouvrières sortent individuellement de leur nid et explorent à de grandes distances les environs, découvrant ainsi les nids des espèces qu’elles pillent. On peut admettre avec certitude que ce sont ces explora- trices qui deviennent plus tard les initiatrices des directions, tant au départ que lors des arréts d’hésitation de V’armée. Et c’est ainsi que l odorat topochimique antennaire joue son ròle. Lors d’ un arrét, l’une des ouvrières qui cherchent retrouve, gràce à sa mémoire topochimique des lieux, des points de repère qui l’orientent et part en entraînant les autres à sa suite. Je crois, avec Lubboek, que la vue aide à l’orientation des Polyergus, mais Fabre en'a énor- mément exagéré l’importance. Privé de ses antennes, un Polyergus ne peut plus s’orienter. Sans avoir eu, semble-t-il, connaissance de mes expériences, Fabre (Souvenirs entomoloyiques 1882) a essayé de dépister les amazones au retour en mettant du sable sur leur passage, en inondant (comme dans mon cas), en mettant de l’odeur de menthe sur leur route, enfin en y placant du papier. Les amazones hésitent, cherchent, mais finissent par franchir l’obstacle et par reprendre le bon chemin. J’ ai fait des observations toutes semblables. Cela montre que leur vue leur aide à s’orienter, mais pas du tout qu'elle seule les oriente. Et Fabre oublie complètement que la fourmi au retour sait. et sent par sa piste de quel coté elle vient et en induit nécessairement qu’ elle doit se diriger en sens inverse pour rentrer chez elle. Arrive une interruption (la nature en produit parfois), elle hésite, puis, comprenant de quoi il s’agit, puisque la piste qu'elle a derrière elle la ramènerait au nid pillé et non chez elle, et qu'il n’y en a pas d’autre, se souvenant en outre qu'elle a passé par là peu de temps auparavant, elle n’ hésite plus à tra- verser .l interruption en continuant au hasard la direction de la piste qu’ elle vient de suivre. Et en effet, après 1’ obstacle, elle retrouve sa piste de !’ autre còoté. Je suis persuadé qu’ on finirait par désorienter l’armée, si l’on interrompait sa piste sur une grande longueur, en couvrant, p. ex., le gazon de sable sur 20 ou 30 mètres. Mais alors, en cherchant, les fourmis contourneraient 1’ obstacle et finiraient peut Gtre par trouver anx environs quelque autre piste connue d’elles. Que reste-t-il de la force inconnue de Bethe et de sa polarisa- tion en regard de tous ces faits ? SENSATIONS DES INSECTES 281 Fabre accorde que ce sont les souvenirs des lieux qui guident les amazones. Il fait de charmantes expériences sur les Pompilus en changeant chaque fois de place 1’ araignée paralysée que ces insectes déposent, et en montrant qu’ ils retrouvent toujours, sans hésiter, la dernière place (qu’ en dit Bethe!?). Il leur accorde aussi la mémoire des lieux. Pourquoi la refuse-t-il à ses Ohalico- doma? Singulière inconséquence |! Si l’odorat ne fournit pas à l’homme Tinceos souvenirs, e’ est, comme Herb. Spencer l’a montré, à cause de l’incapacité absolue du tourbillon des odeurs de se grouper en rapports précis d’espace ou de coexistence sur la muqueuse olfactive de notre nez et par suite de former des souvenirs nettement associés dans notre cerveau.. Pour le sens topochimique des antennes il en est tout autrement. Les relations précises qu'il donne dans Vespace doivent nécessairement fournir des perceptions associées et des souvenirs précis des portions successives ou juxtaposées de V espace parcouru à tout cerveau capable de les emmagasiner. Il doit méme fournir des relations de séquence ou de temps plus précises que celles que nous donne notre odorat. Il ne 9 agit point là d’ une hypothèse en 1’ air, mais de faits palpables et absolument certains. Seulement, pour les comprendre, il est nécessaire d’ étudier la psychologie des sens, des sensations et des perceptions. N’en déplaise à Bethe, la psychologie comparée nous réserve encore de nombreuses Iumières dans ce domaine dont il se ferme la porte de parti pris. Résumé sur la faculté d’orientation aérienne et terrestre è distance des insectes et des animaux supérieurs ainsi que sur le sens topochimique antennaire. La faculté d’ orientation en dehors du corps méme de l’indi- vidu ne repose ni sur une force spéciale, mystérieuse, ni sur un sens inconnu, statique, géotropique ou autre, ni sur un sixième sens, ni sur les canaux sémicirculaires. Elle est le résultat de 1’ ex- périence des sens connus, combinés ou non, surtout de la vue et de l’odorat, selon les cas et les espèces. Dans l’orientation aérienne, c'est la vue qui prédomine de beaucoup. Le cas du pigeon voyageur constitue le cas d’orientation aérienne le plus surprenant. Puisqu’il s’explique par la vue, il est oiseux de rechercher dans ce domaine d’autres causes mystérieuses. Dans l’orientation terrestre, 1’ odorat joue souvent un ròle prépondérant, mais cède le pas è la vue chez beaucoup d’animaux, parmi lesquels l’homme, les singes, les reptiles 282 A. FOREL arboricoles, certains insectes, etc. Dans 1’ orientation souterraine et cavernicole 1’ odorat et le toucher règnent en maîtres. Chez les araignées, c’ est le toucher qui est le sens orientateur principal. Nous traiterons plus tard, dans un chapitre à part, de l’orientation dans les milieux aquatiques. Cependant il faut reconnaître que certains sens subissent dans la série animale des transformations morphologiques et physiologi- ques considérables qui modifient beaucoup leur qualité et le genre de connaissances qu’ils procurent. Tel est le cas de la vue par les yeux facettés et de Vodorat topochimique des antennes, tant au contact quà distance. Comme notre palais à còté du goùt, les antennes renferment, à còoté du sens topochimique, un sens topomécanique ou toucher. L’ orientation aérienne des chauves souris mériterait encore une étude spéciale. AUGUSTE FOREL. G. CATTANEO 283 I metodi somatometrici in Zoologia. Una Rivista di biologia generale non può tralasciare di occuparsi del movimento che si è recentemente destato, specialmente in In- ghilterra e in Italia, a proposito della misurazione razionale degli organismi, e che accenna a prendere uno sviluppo e un’importanza considerevole; e, al tempo stesso, di discutere serenamente e obbiet- tivamente i nuovi metodi, per far ch’essi raggiungano sempre meglio lo scopo che si prefiggono. Esponendo su tale argomento le mie riflessioni e proposte, è lontano da me ogni intento polemico, trat- tandosi solo di problemi che, come posi a me stesso, così propongo ai chiari amici e colleghi, autori dei metodi indicati, e a tutti i biologi che s’ interessano della questione. I. — La misurazione in rapporto a una base somatica. Quando si misurano le dimensioni e le distanze dei varii organi in una serie d’individui della stessa specie animale, per averne dati relativi al variare dei caratteri nei due sessi, nelle diverse età, con- dizioni di vita, località ecc., e alla variazione individuale in genere, non è possibile ottenere valori paragonabili, perchè la mole dei varii individui non è sempre eguale, anche quando appartengono allo stesso sesso, età, località, ecc. Quindi nei singoli risultati non si può scin- dere ciò ch’è dovuto alla variabilità, da ciò ch’è dovuto alla diversa mole. Per ovviare a questa difficoltà, alcuni zoologi proposero metodi razionali di misurazione del corpo animale, sottoponendo a precise regole l’uso, non di rado praticato sì nella vita comune che nelle arti, nella sistematica zoologica e specialmente nell’antropologia, di misurare le dimensioni e le distanze non in rapporto a una base metrica, ma ad altre dimensioni ‘e distanze dello stesso corpo che si prende a esaminare. Tra i primi che adoperarono tali metodi in zoologia, è giusto ricordare Weldon, il quale nel 1892-93, seguendo e ampliando i procedimenti statistici di Galton, eseguì diverse serie di misura- zioni sul Crangon vulgaris e sul Carcinus maenas. In circa 3000 esem- plari del primo, provenienti da Plymouth, Southport, Roscoff, Sheer- 284 G. CATTANEO ness e Helder, misurò la lunghezza del telson e di determinate regioni del corpo « expressed in terms of the body length, taken as 1000 ». In 2000 esemplari del secondo, per metà provenienti da Napoli, per metà da Plymouth, misurò il meropodite e il carpopo- dite della chela destra, la larghezza frontale e quella totale del cefalotorace, il margine laterale anteriore ecc., e ancora «in terms of the total length of the carapace, taken as 1000.» Anche in una relazione presentata nel 1894 alla Società Reale di Londra da un Comitato composto di Galton (presidente), F. Darwin, Macali- ster, Meldola, Poulton, e Weldon (relatore), sulla misurazione dei caratteri nelle piante e negli animali, la larghezza frontale e il margine dentato di 7000 carcini di Plymouth, da paragonarsi a quelli prima studiati da Weldon, sono espresse in millesimi della lun- ghezza del carapace (escludendo l’addome, ripiegato sotto) !). Indipendentemente dai detti autori, e per altro intento, Andres nel suo lavoro sui caratteri sessuali secondarii della tinca, non po- tendo ottenere dati paragonabili «per la inevitabile diversità di grandezza degli esemplari esaminati », adoperò come unità di misura la lunghezza del corpo dell’animale. Considerandola divisa in 1000 parti, ogni organo era misurato in millesimi somatici, ottenendosi così risultati paragonabili tra di loro, con grande utilità nell’apprezzare le non molto distinte variazioni, in cui consiste il dimorfismo ses- suale della tinca ?). Qualche tempo dopo, Camerano pubblicò una nota sullo studio quantitativo degli organismi e il coefficente somatico. Osservando di quale interesse sia «studiare lo sviluppo dei vari caratteri col va- riare della mole dell’animale », egli si propone di seguir il metodo già esposto da Andres, dividendo però la lunghezza del corpo in 360 parti anzichè in 1000. Perciò egli calcola per ciascun individuo 1) WeLDON W. F. R. — Certain correlated variations in Crangon vulgaris. Proceedings of the royal Society of London. Vol. LI, pag. 2-21, 11 Feb- braio 1892. i WeELDON W. F. R. — On certain correlated variations in Carcinus maenas. Ibidem. Vol. LIV, pag. 318-329,.9 Agosto 1893. Report of the Committee, consisting of M. GALTON etc. An attempt to mea- sure the death-rate due to the selective destruction of Carcinus maenas, with respect to a particular dimension. Drawn up for the Committee by Prof. Weldon. Ibidem. Vol. LVII, pag. 360-382, 20 Novembre 1894. Nel 1899 Weldon adottò lo stesso metodo dei millesimi per misurare le antenne della Daphnia magna. Ibidem, Vol. LXIV. ?) AnpRES A. — Caratteri sessuali secondari della tinca. Rendiconti del R. Istituto lombardo di scienze e lettere. Milano, 1897. Ser. II. Vol. XXX, fase. 20. I METODI SOMATOMETRICI IN ZOOLOGIA 285 il coefficiente somatico 360/L, in cui L è la lunghezza del corpo in millimetri. o altra misura. Moltiplicando il coefficente per le singole dimensioni o distanze degli organi (7), si ha la formula 360/L 7, che dà i valori paragonabili in individui di grandezza diversa !). Fondandosi su questo sistema di misurazione,.e col metodo sta- tistico, Camerano studiò in altro successivo lavoro il processo per rilevare la variabilità dei caratteri individuali in rapporto con gli specifici, proponendo utili modificazioni ai metodi statistici già adoperati da Davenport, Brewster e Duncker ?). Quasi contemporaneamente al secondo lavoro di Camerano, apparve una nota di Andres sulla misurazione razionale degli orga- nismi, o somatometria, per mezzo dei millesimi somatici, o millisomi. Chiamando pur egli L la lunghezza del corpo e la dimensione o distanza parziale da esaminare, stabilisce la formola 1000/L /, man- tenendo la sua primitiva divisione in millesimi, invece di quella in 360i di Camerano. Per evitare i calcoli, propone anche la costruzione di un «triangolo misuratore », dividendo la base del quale in 10, 100, 1000 parti, e congiungendo col vertice i punti divisorii mediante un fascio di rette, si avrà una divisione propor- zionale su tutte le rette parallele alla base, secondo la lunghezza opportuna *). Tanto Andres che Camerano danno delle tabelle nume- rarie, in cui è già calcolato il coefficiente somatico pei numeri da 1 a 360 o da 1 a 4000. In seguito Camerano applicò il metodo a. un caso concreto, alla misurazione cioè di oltre 500 individui di Bufo vulgaris, di diverse località. Per ciascun individuo le misure sono 38, prese sepa- ratamente nella serie di individui dei due sessi, di località diverse e di diversi periodi vitali (larvale, giovanile, sessuale, senile). Da 1) CAMERANO L. —. Lo studio quantitativo degli organismi e il coefficiente somatico. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino. Vol. XXXV, adunanza del 14 Gennaio 1900. 2) CAMERANO L. — Lo studio quantitativo degli organismi, e gli indici di variabilità, di variazione, di frequenza, di deviazione e di isolamento. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino. Vol. XXXV, adunanza del 25 Marzo 1900. 3) ANDRES A. — La misurazione razionale degli organismi col metodo dei millesimi somatici, 0 millisomi (somatometria). Rend. del R. Istit. lomb., Vol. XXXIII, seduta 15 Marzo 1900. A questa nota rispose Camerano nel Boll. dei Musei di Zoolog. e Anat. comp. di Torino, Vol. XV, n. 373, 1900, sostenendo la divisione in 360 parti (Osservazioni sul modo di dividere la lunghezza base nel calcolo del coefficiente somatico). 286 G. CATTANEO queste circa 20.000 misurazioni, egli rileva l’esistenza di due forme principali di Bufo vulgaris, una d’Europa, Asia centrale, Africa settentrionale, l’altra limitata al Giappone !). Ultimamente è apparsa una nuova memoria d’ Andres sulla determinazione della lunghezza base, la quale, secondo lui, dovrebbe avere queste tre caratteristiche: 1. essere facilmente determinabile cioè limitata da punti estremi ben chiari e precisi; 2. non compren- dere parti appendicolari del corpo, di loro natura molto variabili ; 3. essere presa sempre mella stessa direzione del corpo, per rendere paragonabili i dati forniti da diversi autori, o su specie diverse. Questa direzione dovrebbe essere quella del diametro massimo del corpo, e possibilmente dell’asse principale di simmetria. Ma, poichè in pa- recchi animali queste condizioni si escludono, cioè 1’ asse principale di simmetria non è il diametro massimo, o la regione di minore va- riabilità, così, per avere una norma unica, Andres propone di adottare sempre il diametro massimo, transigendo sulle altre condi- zioni, tanto più che nella maggior parte dei casi esso coincide col- l’asse principale ?). i Le mie riflessioni non riguardano il metodo statistico, il quale è già tanto elaborato da lasciar poco o nulla da desiderare, ma solo la questione fondamentale, che è punto di partenza per tutto il metodo, cioè la paragonabilità dei valori che si ottengono con la misurazione a base somatica; la quale paragonabilità, pur che si osservino alcune norme generali, è ritenuta dai citati autori come evidente, mentre a me invece sembra, in parecchi casi, discutibile, se non si applicano speciali avvertenze nella determinazione della lunghezza-base o speciali correzioni nei risultati. UE La variabilità della lunghezza-base. L’intento propostosi dai professori Weldon, Andres e Ca- merano, di trovare un metodo di misurazione, che sopprima le differenze dovute alle diverse grandezze degli esemplari, in modo da render comparabili i singoli valori, è perfettamente razionale. Tal metodo equivale a quello che si usa in aritmetica, quando si devono 1) CameRANO L. — Ricerche intorno alla variazione nel Bufo vulgaris. Mem. della R. Ace. di Torino. Vol. L, Giugno 1900, con 2 Tav. ?) ANDRES A. — La determinazione della lunghezza base nella misura razionale degli organismi. Rend. del R. Istituto lomb.. Ser. II, Vol. XXXIV, seduta 14 Marzo 1901. I METODI SOMATOMETRICI IN ZOOLOGIA : 287 paragonare o seriare delle frazioni qualsiasi; occorre che i diversi numeratori siano messi in rapporto con una costante; occorre cioè ridurle allo stesso denominatore. Però, prendendo a base la lunghezza dell’animale (o anche il massimo diametro, se non coincide con essa), i risultati, per quanto ottenuti e calcolati con la massima precisione, non saranno mai sicuri, poichè la lunghezza del corpo, o altra sua dimensione qualsiasi, non è «una quantità costante a cui si riferi- scono quantità variabili », ma è essa stessa un carattere individuale variabile anche in animali d’egual mole. Quindi nei singoli risul- tati non si potrà mai distinguere ciò che è dovuto al variare della lunghezza del corpo, o del diametro massimo, da ciò che dipende dalla variazione dei caratteri che si prendono in esame. Siano, ad esempio, due Bufo vulgaris d’egual mole, e siano rispettivamente di egual diametro i loro occhi. In ciò essi coincidono, e non vi è variazione dall’uno all’altro. Ma se, come spesso capita, uno degli individui ha una forma del corpo un po’ più allungata dell’ altro, prendendo la misura dell’occhio in frazione della lunghezza del corpo, l’ occhio dell’ animale più lungo apparirà più piccolo, e si attri- buirà ad esso una variazione in meno, che è dovuta invece a una variazione in più nella lunghezza del corpo. Il contrario avverrebbe per l’occhio dell’animale più breve, e ognuno vede tutte le altre combinazioni possibili coi diversi organi, che renderebbero incerti i risultati. Queste considerazioni non sono veramente sfuggite ai citati autori. Infatti Weldon separa i Carcinus giovani dagli adulti, perchè hanno forma troppo differente. Cam erano riunisce in gruppi di- stinti gli individui di diverso sesso ed. età. Sì egli che Andres raccomandano di escludere dalla misura-base le parti appendicolari perchè molto variabili. Andres con le sue misurazioni di lun- ghezza, larghezza e altezza, rileva come nella tinca individui d’egual mole abbiano forma del corpo e lunghezza diversa, oltre le diffe- renze portate dall’età. Non trovo però discussa da alcuno la que- stione, nemmeno a proposito delle diverse stature, e assunta invece praticamente la lunghezza del corpo come non variabile, o almeno così poco variabile, da poter trascurarne le oscillazioni e conside- rarla come costante. Eppure non fu certamente nel pensiero degli autori di riferire le varie dimensioni degli animali alla loro lunghezza in sè stessa con- siderata. Tale confronto, in sè, non avrebbe alcuno speciale interesse più che il confronto di una con un’altra qualsiasi dalle dimensioni del corpo, le quali non hanno rapporti fissi tra di loro e possono variare indipendentemente le une dalle altre. Il loro concetto, più volte ripetuto, è di stabilire misure paragonabili in animali di diversa mole, 288 -G.- CATTANEO ossia di studiare le variazioni dei caratteri indipendentemente dalle variazioni di grandezza dell’animale, quasi tra esemplari ideali, come direbbe Weldon «of one standard size ». Siccome i nostri soma- tometri hanno limitato le loro misure a quelle lineari, non pote- vano naturalmente fare un confronto tra queste e una. misura volumetrica, quale sarebbe rappresentata dalla mole, ma dovettero scegliere come base un’altra misura lineare, che avesse con la mole un rapporto press’a poco costante, e da considerarsi quindi, entro una data specie, come indice presumibile del variare della mole individuale. Ma, siccome anche la lunghezza del corpo, o qualsiasi altra dimensione assunta come base, è. variabile per rispetto alla mole, se non si indagano i limiti di questa variabilità, e non si stabiliscono le necessarie correzioni, i risultati saranno incerti, e non si avranno più quei rapporti con la mole, che si andavano cercando. Comprendo che a questa proposizione fondamentale, la quale in teoria è certamente inoppugnabile, si possono fare delle obiezioni, mostrando come in pratica l’effetto della variabilità della lunghezza base non sia così grave come si potrebbe supporre. Io stesso, desi- derando in questa discussione di mantenermi assolutamente impar- ziale, proporrò le varie obiezioni che mi sembrano più facilmente prevedibili, cercando di esaminare quali siano più e quali meno fondate. Mi riferirò alla misura-base finora costantemente adoperata, cioè alla lunghezza del corpo, secondo il diametro sagittale o piano di simmetria, intendendo che riflessioni analoghe si possono fare su qualsiasi altra lunghezza-base, compreso il diametro massimo del corpo, qualunque esso sia. III Obiezioni relative alla variabilità della lunghezza-base. 1. La lunghezza del corpo ha, in ciascuna specie animale, un rap- porto costante con la mole, ossia non è variabile. Comincio con questa proposizione assurda, e da nessuno sostenuta, perchè sarebbe l’unica che permetterebbe di ritenere assolutamente paragonabili i valori dei singoli organi in frazione della lunghezza del corpo, e quindi assolutamente esatto e non bisognoso di correzioni il metodo di misura con la lunghezza-base. È superfluo ribattere questa obie- zione, dimostrandoci 1’ esperienza che nè la lunghezza, nè alcun altro parametro del corpo può, in una data specie, aver sempre uno Stesso e preciso rapporto con la mole, I METODI SOMATOMETRICI IN ZOOLOGIA i 289 2. La lunghezza del corpo è variabile in rapporto con la mole, ma meno degli altri caratteri. Questa proposizione è più o meno tacita- mente ammessa dagli zoologi che si occuparono di somatometria, potendo essa assicurare al metodo, se non la esattezza matematica, almeno un certo grado di approssimazione. E certo, quando la variabilità della lunghezza oro-aborale (la più comunemente usata) ‘è confrontata con quella di alcune parti appendicolari (coda, an- tenne, filamenti ecc.), che l’esperienza ha dimostrato in alcuni casi molto variabili, non si può negare un valore a questa proposizione e si deve approvare la esclusione di tali parti appendicolari nella determinazione della lunghezza-base. Però i confronti non si fanno solo tra questa, e quelle parti variabilissime ; i confronti vengono istituiti con tutte le possibili dimensioni e distanze degli organi, larghezza e lunghezza del capo e della mandibola nei vertebrati, larghezza frontale e totale del corpo nei carcini, lunghezza degli arti e loro diverse porzioni, diamétri di varie regioni o di diversi organi ecc. Ora a me non pare evidente che, in generale, la varia- bilità di tutte queste dimensioni o distanze sia maggiore di quella della lunghezza del corpo; ritengo almeno che occorrerebbe dimo- strarlo. La lunghezza del corpo è data dalla somma di tante lun- ghezze parziali (capo, collo, vertebre e regioni vertebrali diverse, oppure capo, torace, addome e loro segmenti ecc.) le quali tutte sono variabili, e quindi la somma di tante parti variabili, e non inversa- mente le une rispetto alle altre, sarà anch’essa variabile. Solo per eccezione può verificarsi il caso che nella lunghezza del corpo, variando una regione in più, e una in meno, }Ja somma risulti meno variabile delle singole parti, ma questo è un caso improbabile, perchè se un gruppo di vertebre o di anelli del corpo tende ad allungarsi o ad accorciarsi, è da aspettarsi che un tal carattere sarà diffuso in tutta la serie, e gli aumenti o le diminuzioni si sommeranno, ren- dendo la somma variabile come le singole parti. Si potrebbe pensare che, essendo la lunghezza del corpo o il diametro massimo la dimensione maggiore, le variazioni della misura base vengan divise nel fare il rapporto con le misure di altri organi in essa più volte contenuti; mentre sarebbero moltiplicate se si prendesse come base un organo di piccola dimensione, e si misu- rasse con esso la lunghezza o il diametro massimo del corpo. Quindi, dato che la misura-base sia anch’essa variabile, pur che rappresenti la lunghezza massima, l’errore si diminuisce, ed in fatto è come se essa fosse meno variabile. A questa obiezione è facile rispondere che, misurando una dimensione più piccola in frazione di una più grande, rimane naturalmente diviso l’errore, in più o in meno, che quest’ultima possa presentare, e precisamente è diminuito di tanto RIv. DI BIOLOGIA GENERALE, III. 19 . 290 3 G. CATTANEO di quanto la dimensione più piccola è contenuta nella grande. Ma, rispetto alla dimensione più piccola l'errore così diminuito ha lo stesso rapporto, che 1’ errore totale rispetto alla dimensione più grande, e reciprocamente. Se io ho una misura metrica inesatta, lunga un centimetro di più del giusto, errore su di un metro sarà di un centimetro, mentre invece sarà diviso per dieci nel tratto che segna il decimetro, riducendosi in esso a un millimetro. Ma un millime- tro è per un decimetro errore così grande come un centimetro per un metro, cioè è sempre la centesima parte. Se di due Bufo di egual mole, uno è lungo in più tre millesimi della lunghezza dell’altro, il femore del più lungo, calcolato col metodo somatico, riceverà un errore di circa un millesimo in meno per rispetto all’altro, essendo il femore del Bufo eguale a circa ‘/, la lunghezza del corpo; ma questo millesimo sarà di lunghezza del corpo ed equivarrà a tre millesimi di lunghezza del femore, che è tre volte più breve. Quindi, qualunque base si prenda, l’errore rimane sempre propor- zionale nelle aliquote, fuorchè ammettendo che la lunghezza base sia meno variabile delle altre. i Ma come si può sapere entro quali limiti oscilli la lunghezza- base? Non certamente facendone 1 esame statistico col mezzo del coefficiente somatico, e adoperando un’altra base di confronto, per esempio la larghezza del corpo, perchè questa sarà pure variabile, non si sa di quanto, cosicchè ci aggiriamo in un circolo vizioso. Eppure, in mezzo a tante variabili, vi è qualche cosa di costante e di assoluto in un dato esemplare che prendiamo a esaminare, ed è Ja sua mole. È questo il vero termine di riferimento, poichè, come vedemmo, la lunghezza-base, qualunque essa sia, non è assunta che come un indice lineare del variar della mole, e lo scopo ultimo di queste ricerche non è di seguire le variazioni degli organi in rapporto a un diametro qualsiasi, ma in rapporto alle diverse moli. Ora è possibile ricercare la variabilità della misura-base per rispetto alla mole in una serie di animali? Questo problema ci obbliga anzitutto a chiarire che cosa inten- diamo per mole. Tutte queste ricerche sono fondate sul concetto di mole, e nessuno la definisce. La mole non è certamente la sta- tura o il diametro massimo, che son cose ben diverse (rappresen- tando esse una sola dimensione, variabile anche a mole eguale), ma il volume complessivo del corpo. Se si trattasse di far confronto con misure ponderali, la mole potrebbe essere anche il peso, che col volume ha un rapporto determinato, per mezzo del peso specifico. Ma, siccome qui si tratta di far confronto con misure metriche, la mole non può essere che il volume, I METODI SOMATOMETRICI IN ZOOLOGIA 291 Certamente, trattandosi di organismi, tale definizione deve inten- dersi cum grano salis. Aleune condizioni fisiologiche, come un’ecces- siva nutrizione o denutrizione, la replezione delle femmine gestanti ecc., possono alterare momentaneamente il volume, senza che si cambi veramente la mole. Perciò, nel fare i confronti, gli individui che si trovassero in tale stato, potrebbero essere raggruppati a parte, e in generale per mole dovrebbe ritenersi il volume del corpo nella sua condizione normale e media. Ma qui sorge una nuova difficoltà. Nel volume del corpo si deve comprendere anche quello delle appendici? È difficile risolvere, in generale, questo problema. Le appendici, se sono sottili, possono variare notevolmente in lunghezza, senza portare con ciò una variazione apprezzabile nel volume complessivo del corpo. Se poi sono esse stesse assai volu- minose, contribuiscono a formare la mole del corpo, di cui possono costituire una parte notevole e integrante. E in molti casi, trat- tandosi di mole, è impossibile far distinzione tra corpo e appendici. Diremo che le branchie di molti animali, il piede dei molluschi ece. non fanno parte del corpo ? Nei pesci la parte caudale contribuisce a costituire la mole, e infatti fu compresa nella misura-base. Se togliamo la porzione caudale ai pleuronettidi, a che cosa si riduce il volume del corpo? Lo stesso dicasi per le braccia dei cefalopodi, per gli arti di molti mammiferi. Siccome poi le parti dette « appen- dicolari » hanno aneh’ esse una circolazione, una innervazione, un ricambio materiale come tutte le altre del corpo, devono essere servite da un cuore, da un cervello, da uno stomaco, da una muscolatura, da basi scheletriche ecc. che staranno in rapporto anche col loro sviluppo, e quindi la grandezza degli organi sarà in correlazione non solo con quella del tronco, ma con la mole com- plessiva di tutto il corpo. Ad ogni modo, stabilito in ogni partico- lare ricerca, che cosa si deve intendere per mole del corpo, e quali parti vi si devono computare, una qualsiasi dimensione assunta come misura-base avrà, in un dato individuo, un certo rapporto con quella misura volumetrica che si assume come sua mole. Questo rapporto non sarà esattamente eguale nei diversi individui che si esaminano, e, tenendo conto delle variazioni, si potrà ad un tempo : 1.° determinare la variabilità della lunghezza-base per rispetto alla mole; 2.° introdurre le opportune correzioni nelle misure dei singoli organi, rendendole veramente paragonabili, e 3.° confrontare il loro grado di variabilità rispetto a quello della misura-base. . Qui intendo fare una discussione e non una ricerca, e non entrerò in particolari tecnici, del resto semplicissimi, a cui accen- nerò in seguito. Dirò solo che, non per ricavare nn risultato defi- 292 G. CATTANEO nitivo, ma solo per farmi un’ idea approssimativa della possibile variabilità della lunghezza del corpo rispetto alla mole in un animale dei più comuni, su una trentina d’individui di Rana escu- lenta, procuratimi dalla stessa località (dintorni di Pavia), trascelsi 10 maschi, di cui 4 avevano un volume di circa 15 centimetri cubici, determinato con immersione in provetta graduata, e misu- ravano rispettivamente in lunghezza mm. 48,5, 49, 51, 52,5 dalla sinfisi mandibolare all’ ano. Due individui di eme. 7 !/, avean lun- ghezza di mm. 42 e 43, due di cme. 5 eran lunghi mm. 38 1/, e 39; due altri, lunghi entrambi mm. 51, avean rispettivamente un volume di 12 !/, e di 15 eme. In altri il rapporto era meno varia. bile, ma qui ho notato i casi estremi. Ripetendo le misure volume- triche in alcuni degli stessi individui privati degli arti, il volume diminuiva regolarmente di circa */,,, senza variazioni sensibili. In conclusione da questo semplice saggio mi parve di poter ricavare, specialmente riferendomi ai quattro primi individui, che la lun- ghezza del corpo è variabile anche a parità di mole, con una devia- zione dalla media che può giungere a !/,,. Volendo tener conto dei possibili errori di osservazione, riduciamo pure, per essere larghi, questa deviazione a ‘/.,; la comune esperienza sulla forma del corpo nell'uomo e negli animali domestici ci assicura che una tale varia- zione non è punto esagerata, anzi è assai piccola, e in molti casì certamente superabile. Un gruppo di animali in cui tale variazione deve raggiungere un alto grado è dato dai crostacei decapodi brachiuri; su cinque maschi e cinque femmine di Carcinus maenas adulti non potei trovare due soli individui, in cui il rapporto fra la lunghezza e la larghezza del corpo fosse, nemmeno prossima- mente, eguale ; e non potendosi ciò attribuire a variazione nella sola larghezza, ma distribuendola sull’una e sull’altra dimensione, se ne ha, anche per la lunghezza, la presunzione di una variabilità notevole. 5. — La lunghezza del corpo è bensì variabile, ma tale variabilità non può alterare essenzialmente è valori dei diversi organi în misura somatica. La risposta a questa obiezione si fa con un calcolo sem- plicissimo. In un Bufo di grandi dimensioni, lungo mm. 127, trovai che il femore misurava mm. 43. Il valore di esso in 360' sarebbe di circa 122 e in 1000' di 338. Ora se, senz’aumento della mole, si pensa accresciuta la lunghezza del corpo di poco più di un milli- metro (precisamente mm. 1,05, ossia appena ’/,, della lunghezza totale, quantità veramente minima) ciò: basta perchè il valore del femore discenda di un’unità nel sistema dei trecentosessantesimi, e di quasi tre unità nel sistema dei millesimi, potendosi alterare così la seriazione ascendente o discendente, e il numero ielle classi, =_= rr e_N | 1 METODI SOMATOMETRICI IN ZOOLOGIA | 293 Essendo possibile, come vedemmo, che due rane d’egual mole siano lunghe una 49 e una 51 millimetri, con un cinquantesimo di devia- zione dalla media, ed essendo i loro femori lunghi mm. 21, quello della rana più corta sarebbe rappresentato da 4/50 0 ‘*/.000, altro da 18/0 € ‘“/ 000, COn una differenza, rispettivamente, di 6 o di 17 unità. Si vede dunque come una deviazione, anche non estrema, possa spostare la seriazione. 4. — La lunghezza del corpo è variabile per rispetto alla mole, ma il metodo statistico annulla o sminuisce Veffetto di tali oscillazioni della base. Qui occorre distinguere i diversi casi, perchè il metodo statistico si può applicare in vario modo e con varii intenti, e l’effetto è diverso secondo il caso. Se ci limitiamo al confronto fra due dimensioni del corpo, la larghezza e la lunghezza, come fece, fra V altro, Weldon pel Carcinus, andremmo errati ritenendo di aver studiato con ciò il variare della larghezza per rispetto alla mole, essendo la lunghezza troppo variabile in tale crostaceo. Ciò che sì ottiene generalmente da questi confronti tra due dimensioni non è tanto la curva di variazione dell’ una, quanto l'indice di variazione della forma del corpo, come si ha nell’ antropologia per l’indice cefalico, con cui si esprime la larghezza massima del cranio in centesimi della lunghezza, senza cercare se questa varìî o no rispetto alla mole del corpo o alla grandezza del cranio. Quando la cosa è intesa in questo senso, d’ un semplice rapporto fra due numeri, d’un indice relativo al variare della forma del corpo, non occorrono correzioni della lunghezza-base, essendo questa la dimen- sione definitiva di riferimento. Ma se si volesse studiar davvero il variar della larghezza per rispetto alla mole, allora bisognerebbe introdurre delle correzioni nella lunghezza-base. Quanto ai confronti che si fanno fra gli organi di diversi individui della stessa specie per studiarne la variabilità, vi possono essere due casi ben distinti. Se si vuol studiare quali sono nell’individuo gli organi che variano più o meno, allora la variabilità della lunghezza-base non ha influenza, perchè su ciascun individuo i caratteri sono sempre riferiti alla stessa unità di misura, e quindi i rapporti si mantengono intatti. In questo modo si verrà a cono- scere se in quel dato gruppo è più variabile l’occhio, o la coda, o la zampa anteriore e posteriore, ecc. Ma se invece si vuol confron- tare uno stesso organo su individui diversi e numerosi (e questa è la ricerca più comunemente usata), allora la variabilità della lun- ghezza base avrà una influenza sui risultati, perchè ciascuno degli organi posti a confronto è misurato con una base diversa. L’ alte- razione dei valori singoli sposterà l’ordine ascendente o discendente della loro distribuzione. Però, se si tratta di studiare il fenomeno 294 i G. CATTANEO della variazione in un dato gruppo d’ individui dello stesso sesso, età, località, ecc., col sistema delle medie e delle deviazioni da esse, le medie non saranno sensibilmente alterate, quando si tratti di piccole oscillazioni in più e in meno nella lunghezza del corpo, i cui effetti in senso inverso sul valore degli organi si elideranno a vicenda. Ma le deviazioni dalle medie rimarranno certamente alterate, e con esse il numero delle classi e gli indici di variazione, di frequenza, ecc. Il danno più probabile si avrà poi quando si tratti del problema più interessante, quello cioè di confrontare le variazioni dei singoli organi in gruppi diversi, appartenenti distinte località o varietà, oppure a individui di diverso sesso e di diversa età. Poichè è facilissimo che questi gruppi presentino, come carattere particolare, quello d’ avere una forma del corpo un po’ . differente, d’ essere cioè più tozzi o più gracili, e allora, essendo la variazione della lunghezza del corpo diretta, entro ciascun gruppo, in un dato senso, le piccole variazioni individuali oscilleranno intorno a medie diverse; e non saranno più confrontabili, da gruppo a gruppo, nè i valori medii, nè le loro deviazioni. Anzi, volendo fare il confronto in tali condizioni, potrà avvenire questo curioso fenomeno : che in complesso i singoli caratteri non siano realmente molto diversi da un gruppo all’altro, e che l’unica differenza fonda- mentale consista nel diverso rapporto tra la lunghezza del corpo e la mole, ma, assumendosi tale lunghezza come misura-base, questa, che è la vera differenza tra i due gruppi, passi inosservata, ed emergano invece tra i valori dei singoli organi molte differenze fittizie, dovute unicamente al variar della base. Inoltre, se tra il maschio e la femmina vi è una differenza nella forma del corpo e quindi nel rapporto tra lunghezza e mole, le misure dei caratteri sessuali secondarii non saranno più paragona- bili. Non pochi animali poi (pesci, anfibii), raggiunto lo stadio adulto e fecondo, continuano a crescere, mutando insieme un po’ la figura del corpo e il rapporto fra lunghezza e mole (i pesci di grandi dimensioni diventano generalmente più tozzi), e anche allora i risultati non saranno confrontabili. Con ciò l’intento del metodo, che è quello di paragonare gli organi in individui di diversa mole, viene a essere scosso nella sua stessa base, quando gli individui di diversa mole non si mantengano della stessa forma. 5. — L'effetto della variabilità della base non si risente equalmente su tutti gli organi. Ciò è vero, essendovi degli organi che variano non già proporzionalmente alla mole, ma precisamente alla lun- ghezza del corpo, altri che variano indipendentemente, altri in modo inversamente proporzionale. Il primo caso si ha in tutti gli organi che stanno sulla linea mediana e contribuiscono a formare I METODI SOMATOMETRICI IN ZOOLOGIA 295 la lunghezza medesima. Se la lunghezza delle vertebre o degli anelli di cui il corpo è composto varia in tutti proporzionalmente alla lunghezza totale, i rapporti non resteranno alterati. Però, se alcuni degli organi che sono sulla linea mediana, per esempio il capo, variassero in lunghezza indipendentemente dalla variazione della lunghezza totale, contribuendo ad accrescerla o diminuirla, ne risen- tiranno un’ alterazione di valore in senso contrario. Se, in generale, la lunghezza degli organi che stanno sulla linea mediana varia in proporzione alla lunghezza totale del corpo, la larghezza invece (p. es. quella del capo, della mandibola, del bacino, degli anelli ecc.) subisce una variazione inversamente proporzionale, poichè, in un corpo che tende a diventar gracile, 1’ allungamento degli organi mediani è in correlazione al loro ristringimento laterale, e il contrario avviene in un corpo che tende a diventar tozzo. In questo caso, diminuendo la lunghezza-base quando il diametro trasversale del- l’ organo s’ accresce, e accrescendosi quando questo diminuisce, i valori resteranno doppiamente alterati. Quanto agli altri organi del corpo che non istanno sulla linea mediana e non contribuiscono a formarne la lunghezza, le loro variazioni saranno indipendenti da quelle della lunghezza medesima, e in relazione solo con la mole, salvo le deviazioni che sono loro proprie. Nè si creda che la lunghezza degli arti abbia generalmente una diretta proporzione, oltre che con la mole, anche coll’allunga- mento del corpo. Questa è una falsa analogia con quanto avviene nell’uomo, in cui, per la stazione éeretta, gli arti posteriori sono computati nella statura e ne formano una parte rilevante, quindi quando essi variano notevolmente in più o in meno, ne riceve una variazione anche la statura, pur se il tronco egualmente non vi partecipa. Ma per gli animali che stanno in posizione orizzontale, la variazione in lunghezza delle pinne o zampe può essere indipen- dente da quella del corpo (linea oro-aborale), anzi, a questo propo- sito viene spontanea .l’ osservazione che gli animali ad arti più lunghi (ragni, crostacei decapodi brachiuri) hanno il corpo molto compatto, e invece gli animali più allungati hanno arti brevi, se pur non ne mancano affatto. Inoltre allungamento o accorciamento della misura-base rispetto alla mole può provenire solo da varia- zione delle mascelle, del cranio o della porzione caudale (nei pesci), e non si comprende perchè gli arti abbiano a seguire le variazioni aberranti del capo o della coda. Perfino in alcune razze umane, che presentano un grande allungamento del tronco, non si nota un allungamento correlativo delle braccia o delle gambe. Non escludo che in parecchi casi le zampe o le pinne possano variare proporzio- nalmente alla lunghezza del corpo, ma non è questo un fatto costante. 296 G. CATTANEO Ad ogni modo, variando alcune dimensioni correlativamente alla misura-base, altre indipendentemente, altre in senso inverso, com’ è possibile aver dati paragonabili? Se, allungandosi o accor- ciandosi la forma del corpo, anche gli anelli, le vertebre, il capo, gli arti si allungano o si accorciano proporzionalmente, questa, si capisce, non è variazione rispetto alla lunghezza del corpo. Ma è o non è una variazione rispetto alla mole? Il dubbio deriva da ciò, che, a questo modo, il problema è mal posto. L’ unica posizione razionale è di riferirsi a un tipo ideale medio, il quale, nelle diverse moli, si conservi sempre d’ egual forma ; in cui quindi, come in tutte le figure simili, le parti siano rispettivamente pro- porzionali, conservando la lunghezza del corpo sempre lo stesso. rapporto rispetto alla mole. Allora è variazione tutto ciò che si allontana da questa proporzionalità ; e quindi anche le vertebre, gli anelli, gli arti allungati o accorciati, benchè proporzionalmente alla lunghezza, rappresentano realmente una variazione per rispetto alla mole, perchè la lunghezza stessa del corpo ha variato in rapporto alla media tipica comportata da quella tal mole, e se si ammette la variazione pel tutto, si deve ammettere anche per le parti proporzionali. Anche Vallungarsi o 1’ accorciarsi dei diametri trasversali inversamente all’accorciamento o allungamento del corpo, è una variazione per rispetto alla forma tipica. Che poi pratica- mente, e trattandosi di piccole oscillazioni, si possa transigere su tutto ciò, e misurare, con le debite cautele, le dimensioni in frazione della lunghezza, è un’ altra questione ; ma se non si pone teorica- mente il problema come ora ho detto, tutto sarà sempre contrad- dizione e dubbio. Questo per me è il nodo della questione ; e ogni obiezione che non tenesse calcolo di ciò, mi parrebbe implicitamente infondata. 6. Il calcolo dell’ errore personale di misurazione basta a salva- guardarci dalle oscillazioni della lunghezza base. Solo nel caso che si tratti di piccole oscillazioni, il calcolo degli errori di misurazione può inintenzionalmente servire anche a riparare le alterazioni dei valori dovute al variar naturale della lunghezza-base. Adoperando stromenti esatti di misura, e impiegandovi la cura necessaria, non si dovrebbe fare un errore maggiore di mezzo millimetro. W eldon lo abbassa anche più, riducendolo a circa 1/00 per la lunghezza e larghezza dei carcini. Ma anche ritenendolo pari a un mezzo milli- metro, o a qualcosa di più, è evidente che il calcolo di questo errore non serve per la variazione della lunghezza-base, fuorchè se applicato a misure fatte su animali piccolissimi, in cui la oscilla- zione della lunghezza in rapporto alla mole non può superare un tal valore. Non basterebbe, come vedemmo, per la rana, in cui la , I METODI SOMATOMETRICI IN ZOOLOGIA 297 x oscillazione è molto maggiore, e superiore certamente a qualsiasi errore personale, e tanto meno basterebbe pel Bufo o altro animale di pari o maggiori dimensioni, in cui l’oscillazione della lunghezza base potrà essere anche di un centimetro e più. TIVE Determinazione della lunghezza-base e correzione dei risultati. È possibile togliere, o almeno correggere, gli errori inerenti al metodo di misurazione, che ha per base la lunghezza (o la dimen- sione massima) del corpo? Non solo è possibile, ma è facile, teori- camente parlando. È vero che con ciò si complicherebbe non poco il processo, il quale per la pratica dev’ essere semplice. Ma se esso non può sempre dare risultati sicuri, la sua relativa semplicità non sarebbe una ragione per seguirlo senza correzioni. E se, per otte- nere risultati più certi, occorressero complicazioni maggiori, a ,seconda dei casi, bisognerebbe farsi coraggio e sottoporvisi, 0 rinunciare ai risultati. Nessuno vorrebbe adottare una misura baro- metrica, per es., nel calcolo delle altitudini, senza le necessarie correzioni, perchè queste importano una non piccola complicazione. D’altra parte gli zoologi che si occuparono finora di somatometria, adottando mezzi accurati di misurazione, tenendo calcolo delle fra- zioni e degli errori minimi, hanno certamente inteso di voler rag- giungere risultati precisi, e non solo approssimativi. I miglioramenti che mi sembrano più ovvii sarebbero i seguenti : 1. Ocecorrerebbe non solo separare in gruppi gli individui di diverso sesso, età, condizioni, ecc., ma, entro ciascun gruppo, quelli che presentano una forma generale del corpo, ossia un rapporto tra gli assi principali, sensibilmente diversa. I confronti si dovreb- bero far solo tra individui, pur di diversissima mole, la cui forma generale del corpo fosse simile, ossia i cui assi- principali fossero abbastanza prossimamente proporzionali tra di loro. Ciò si potrebbe stabilire con la tripla misurazione adottata da Andres per la tinca, per quanto gli assi non bastino a determinare in tutte le sue particolarità la forma del corpo. Ma, evitando in questo modo. il confronto tra individui in cui la lunghezza del corpo rispetto alla mole sia molto diversa, si ovvierebbe alla principale fonte d’incer- tezza e d’ errore. Questo metodo però è solo negativo, ed esclude 1’ errore senza correggerlo, inutilizzando una certa quantità di materiale, che po- trebbe tornare utile allo scopo della ricerca. Inoltre a questo modo non si potrebbe far confronto tra gruppi di diverse località, età, 298 G. CATTANEO sesso, ecc., se la loro differenza caratteristica consistesse nella forma alquanto diversa del corpo, con allungamento o accorciamento rispetto alla mole, e così sarebbe tolta una delle ricerche più inte- ressanti. È un metodo che si può adoperare, quando non si abbia tempo per usarne uno più complicato, e si tratti solo di studiare la variabilità degli organi in un dato gruppo, in cui siano piccole le oscillazioni nella lunghezza relativa del corpo, e poche quindi le forme da eliminare. 2. Un metodo geometricamente razionale, ma a cui accenno ap- pena perchè, per la complicazione dei calcoli, difficilmente potrà essere adottato in pratica, consisterebbe nel prendere per base non la lunghezza di ciascun individuo, ma una lunghezza tipica, che rappresenterebbe il rapporto più costante che, in una data specie, esiste tra la lunghezza del corpo e la mole, trasformando ideal- mente gli individui ehe si adoperano in tanti esemplari, pur di diversa mole, aventi una forma del corpo assolutamente simile, e quindi coi loro parametri rispettivamente proporzionali. Basterebbe prendere un certo numero d’individui d’una data specie, e segnare di ciascuno il volume (o quel volume che si adotta come mole) in millimetri cubi (con immersione in provetta graduata o altro simile artificio) *). Per trovare il rapporto fra le lunghezze e i volumi, occorrerebbe misurare i tre assi ortogonali del corpo, cioè la lun- ghezza, entro i limiti in cui la si vuol prendere, la larghezza e l’ altezza, preferibilmente massime, ma anche non tali, purchè comprese negli stessi limiti per tutti gli individui. Moltiplicando fra di loro i valori dei tre assi, si otterrà un prodotto in mm. e€., che rappresenterà il volume del parallelepipedo determinato dai sei piani, a due a due paralleli, normali ai tre assi del corpo. Divi- dendo questo numero per quello rappresentante la mole, si otterrà un quoziente, il quale sarà il coefficiente empirico, che, moltiplicato per il volume del corpo preso come mole, riprodurrà il parallele- pipedo somatico; da questo, conoscendo il rapporto fra i tre assi, si può ricavare il valore di ciascuno, e quindi anche la lunghezza del corpo. Siccome però i diversi individui non sono forme assolu- tamente simili, i rapporti tra gli assi del corpo, e quindi il coeffi- ciente empirico, saranno un po’ diversi da individuo a individuo; 1) Si potrebbe, specialmente per gli animali un po’ voluminosi, misurare il volume di un solo individuo, e gli altri semplicemente pesarli, ricavandone il volume dal rapporto stabilito tra volume e peso in un solo. Natural- mente escludiamo, per ragioni pratiche, gli animali più grandi, ma di questi ben di rado o mai occorrerà di avere intere serie da esaminare, e, se mai, si possono applicare gli altri metodi, quando questo non sia applicabile. I METODI SOMATOMETRICI IN ZOOLOGIA 299 ma, facendo le medie di ciascuno dei tre assi e con ciò determi- nando i loro rapporti medii, si otterrà un coefficiente empirico medio o tipico, il quale ci darà modo, conosciuto il volame di un esem- plare, di ricavarne la lunghezza tipica, invariabilmente propor- zionale alla mole. I valori dei diversi organi del corpo, misurati in 360' e 1000' della lunghezza tipica di ciascun individuo, saranno, per quanto è possibile, esenti dagli errori dovuti all’ oscillazione della lunghezza rispetto alla mole, e quindi esattamente parago- nabili tra di loro. Invece di misurare i valori dei diversi organi in frazione della lunghezza tipica, si potranno anche misurare al solito modo, in frazione della lunghezza individuale, correggendoli poi col determi- nare di quanto ogni singola lunghezza non corretta differisca dalla tipica, e modificando nella stessa proporzione i singoli valori, alte- rati in senso inverso. Se in un individuo la lunghezza del corpo superasse di !/., la media o tipica, i valori dei singoli organi . saranno aumentati di !/,,. Evidentemente le medie saranno tanto più attendibili, quanto maggiore sarà il numero degli individui adoperati. Quando però nei gruppi di diverso sesso, età, località, ecc. fosse molto diverso il rapporto della lunghezza alla mole, invece di una sola media generale, se ne potrebbe fare una per ciascun gruppo ; determinata la differenza fra la lunghezza tipica d’ un gruppo e dell’ altro, a mole eguale, si potrebbero render paragonabili i valori da gruppo a gruppo, correggendoli proporzionalmente, come ho sopra indicato. Naturalmente il coefficiente empirico sarà diverso da specie a specie, ed eguale solo in quelle, che hanno un egual rapporto tra la lunghezza del corpo e la mole. Questo metodo utilizzerebbe tutte le misure fatte, correggendole, senza escluderne alcuna. 3. Il metodo più semplice e pratico, e che si dovrebbe senz’altro adoperare in tutte queste ricerche, per non avere una raccolta di dati malsicuri, è quello di tener conto del possibile errore dovuto all’ oscillazione della lunghezza-base, allo stesso modo con cui si calcola V’errore personale di misurazione. Una volta stabilito, anche solo approssimativamente, per ciascuna specie o gruppo d’individui, ‘ il valore massimo, in più o in meno, dell’ oscillazione dalla media della lunghezza del corpo rispetto alla mole, è evidente che un’oscil- lazione proporzionale, ma in senso inverso, si potrà trovare nelle singole misure degli organi in frazione somatica. Tutti i valori compresi nel limite dell’ oscillazione sono di necessità dubbi, non potendosi sapere se la loro variazione derivi da variazione vera degli organi, o della lunghezza-base. Solo i valori che oltrepassano, in più o in meno, il limite d’ oscillazione, indicheranno una vera 300 G. CATTANEO variazione avvenuta nell’organo, sebbene la grandezza di tal varia- zione rimanga sempre oscillante in proporzione eguale alla base. Siccome però per calcolare 1’ oscillazione massima della lunghezza- base sarebbe necessario ricorrere al metodo suesposto del coeffi- ciente empirico, goi relativi laboriosi calcoli, si potrebbe, per evitarli, assumere un valore pratico generale dei limiti di oscilla- zione, da applicarsi comunemente. Esso non dovrà essere troppo piccolo, perchè allora non ci salvaguarderebbe dalle oscillazioni della lunghezza-base, nè troppo grande, perchè assorbirebbe i valori anche abbastanza cospicui, che indicano la variazione degli organi. Io credo che se si ammettesse un’oscillazione di !/,, 0 di !/., dalla media della lunghezza-base, si starebbe nei giusti limiti, e allora tra i valori degli organi occorrerebbe eliminare, come malsicuri, tutti quelli che si allontanano, in più o in meno, fino a !/,, 0 4//o dalla media, e ritenere vero indizio di variazione solo gli;altri, pur con un errore possibile di !/,, 0 di !/,5- Nella Rana esculenta il femore è lungo circa */, della lunghezza del corpo, quindi ‘/,c00 0 !°4/s6o- Se ammettiamo che 1’ oscillazione dalla media della misura base sia di !/,,, tutti i valori del femore compresi fra 42 of e 6 a saranno dubbii, e, pur adoperan- doli per ricavar le medie (perchè allora gli errori possono elidersi), dovremo eliminarli dalle deviazioni, non potendo sapére se derivano da variabilità dell’ organo o della base. Si dirà che a questo modo non si può tener conto delle variazioni minime, che sarebbe uno degli scopi più importanti del metodo. Ma non c’è scampo: 0 si adopera un processo di correzione positiva della base o dei risultati, come quello proposto al N.° 2, e allora non si esclude nessun valore e si possono calcolare anche le variazioni minime, essendosi resa la base veramente costante. Ma se, pér evitare gravosi calcoli, si adotta il metodo di esclusione o di oscillazione, come quello del calcolo degli errori, allora le variazioni minime non son più sicure. Dove tutto è mobile e oscillante, bisogna per forza star nel limite dell’oscillazione. La eliminazione delle variazioni minime, non alterando i valori medii ed estremi, che sono i più importanti per la statistica, potrà parere inutile. Ma può darsi che nessuno dei valori degli organi oltrepassi il limite assegnato. In tal caso saranno tutti dubbii, e la ricerca riuscirà vana, nè questa sarà una constatazione inutile. Se il campo di variabilità di un dato organo non è superiore a quello della lunghezza-base, ogni risultato è incerto; cosicchè, a rigor di termini, non si possono aver valori positivi, se non determinando prima il campo di variabilità della base, quando non si voglia adottare il metodo della base tipica. I METODI SOMATOMETRICI IN ZOOLOGIA 301 ro Varie misure-basi, e confronto fra specie e generi diversi. Generalmente si. adotta come misura-base la lunghezza del corpo (diametro oro-aborale), senza le appendici, ma in alcuni casi furono adottate misure diverse (lunghezza del cefalotorace, lunghezza totale compresa la parte caudale), e ora Andres propone di adottare sempre il diametro massimo del corpo, anche se non corrisponde all’ oro-aborale. Per raggiungere la precisione e la paragonabilità dei risultati, adottare come misura-base un diametro piuttosto che un altro ha molto meno importanza, di quanto sembri a prima vista. Il massimo ha il vantaggio, se non di diminuire gli errori di oscil- lazione o variabilità rispetto alla mole (il che, come dissi, non si può ammettere), almeno di diminuire gli errori di misurazione, perchè è più grande, relativamente, 1 errore che si commette misurando una dimensione piccola, che una maggiore. Quindi per questa ragione e anche perchè sarebbero confrontabili i risultati di diversi autori su una stessa specie, essendo stabilita, per tutti i casi, la base da scegliersi, si potrebbe accettare la proposta di Andres. Alcuno invece potrà osservare che è meglio adottare per base sempre lo stesso diametro, p. es. la lunghezza sagittale del corpo, per render i risultati più facilmente paragonabili nelle diverse specie. Ma è facile convincersi che, fuorchè in due specie in cui, per caso fortuito, il rapporto fra la lunghezza-base e la mole fosse identico, i dati non saranno paragonabili, anche adoperando sempre lo stesso diametro. Essendo diverso, nelle diverse specie, il rapporto della misura-base con la mole, gli accrescimenti o diminuzioni di mole non sono proporzionali a quelli delle basi, e i valori presi in fra- zione delle lunghezze non hanno quindi gli stessi rapporti con le moli: quasi lunghezze che fossero misurate con due sistemi diversi. Ma, come le misure ottenute con diversi sistemi sì possono raggua- gliare, quando si conosca il rapporto tra un sistema e l’altro, così si potranno paragonare i dati ottenuti in una specie con quelli otte- nuti nell’ altra, quando si riesca a fare il rapporto fra la lunghezza- base di una specie e la lunghezza-base dell’ altra (a parità di mole). Nel caso che l individuo d’ una specie abbia la stessa mole dell’ in- dividuo dell’ altra, il rapporto fra le due lunghezze del loro corpo è presto trovato; e basta moltiplicare i valori dei singoli organi d’una specie per il rapporto tra la sua lunghezza e quella dell’altra, per aver dati paragonabili. (Se si imagina che un proteo di egual volume di un axolotl abbia una lunghezza doppia, i valori dei sin- goli suoi organi in frazione di questa lunghezza doppia avranno 302 G. CATTANEO un valore due volte più piccolo che quello di organi egualmente lunghi nell’axolotl. Basterà quindi moltiplicare i valori per due nel proteo per renderli paragonabili a quelli dell’axolotl). Quando invece i due individui non fossero d’egual mole, bisognerebbe considerarli ridotti a volume eguale, trovandone le lunghezze confrontabili, col mezzo del coefficiente empirico, come si è detto. I calcoli però sono così laboriosi che difficilmente si adotterà anche questo metodo in pratica, e il confronto fra specie e generi diversi rimarrà sempre un desiderio, finchè non càpitino individui d’egual mole, o non si vogliano calcolare ridotti a mole eguale. Da ciò si ricava che poco importa prender la misura-base secondo la lunghezza del corpo, tra gli stessi limiti, su tutte le specie, perchè i risultati non sarebbero egualmente paragonabili, pel diverso rapporto tra lunghezza e mole; e se si vuol renderli paragonabili, basta trovare il rapporto fra le diverse lunghezze base (in qualun- que senso e limite prese) a parità di mole. D’ altra parte, per la diversa forma degli animali, è impossibile adottare sempre gli stessi diametri e termini di misura. Pei carcini Weldon assume quella sola del cefalotorace, esclu- dendo l’addome, che invece include nel Crangon. Per i pesci Andres comprende anche la parte caudale, e giustamente, perchè essa nella maggior parte dei pesci (eccettuate alcune raie e pochi altri) non è distinguibile dal corpo. Inoltre, se si dovesse assumer néi pesci per lunghezza la distanza oro-aborale, questa in alcuni (pleuronettidi) si ridurrebbe a una quantità minima. Per gli anfibii e rettili Came- rano propone la distanza oro-aborale, e sta bene, perchè la coda o manca, o è variabilissima. Ma per gli ofidii si dovrà o no com- prendere la parte caudale? Per l’uomo si assumerà, come per gli altri mammiferi, la distanza oro-aborale? Parrebbe una stranezza, e i più assumerebbero senz’ altro la statura, dal vertice al calcagno, includendo le gambe e la parte superiore del cranio. E le scimmie antropomorfe si misureranno come luomo o come i mammiferi? E quale sarà la lunghezza dei cefalopodi, dei gasteropodi spirali ecc.? Anche fissando un solo diametro, bisognerà per forza assumere diversi limiti di misurazione, secondo la diversa forma degli animali. Non comprendo poi perchè, volendo trovare dati metrici parago- nabili, non solo a scopo di determinazione sistematica, ma anche per istudiare il fenomeno della variazione, dobbiamo ristringerci a stabilire dei rapporti soltanto fra misure lineari, le quali non indi- cano che una sola dimensione, variabile per rispetto alla mole. Nei casi in cui ciò è possibile, troverei molto utiie cercare anche i rap- porti di mole, o volumetrici, fra le parti del corpo, come si usa da molto tempo in antropologia per confrontare il volume (o il peso) I METODI SOMATOMETRICI IN ZOOLOGIA 303 del cervello e dei varii visceri con quello del corpo, o la capacità di cavità diverse (cranica, vertebrale, nasale ecc.). Per tali misure vi sarebbe questo grandissimo vantaggio, che esse sarebbero sem- pre paragonabili, e non occorrerebbero correzioni di sorta, essendo il volume l’ultimo termine di riferimento, mentre la lunghezza non è che un indice oscillante del cambiamento di volume. * * * Concludo. Le mie riflessioni € proposte non sono che semplici avvertenze, del resto abbastanza ovvie, per tentare di rendere più sicuro il metodo di misurazione col coefficiente somatico, il quale offre certamente molti vantaggi e può condurre a risultati interes- santi. Ma può condurre anche ad errori, che è desiderabile evitare. Certo, quando un tale metodo sia in mano a zoologi esperti, come Weldon, Andres e Camerano, non vi sarà tal timore, per la buona scelta ch’ essi sapranno fare del materiale e il buon coordinamento che sapranno dare ai risultati. Ma il mio timore è che siffatti metodi possano diventare una sorta di sport in mano a giovani poco esperti della zoologia, i quali allettati dalla novità, e dalla relativa facilità del processo (non richiedendosi cognizioni preliminari, ma solo una certa dose di pazienza), abbiano a riem- pire le nostre riviste di tabelle numeriche e di curve grafiche, riproducenti l’ andamento reale dei fenomeni con la stessa fedeltà, con cui uno specchio a superficie ondulata, deprimendo la fronte, torcendo il naso e stirando la bocca, riproduce le linee di un bellis- simo viso. Se con queste osservazioni non ottenessi altro risultato che di risparmiare altrui un inutile lavoro, penserei di non averle fatte invano. P. S. Se il problema si limita alle variazioni în rispetto a una data dimensione, i risultati non hanno bisogno di correzione, solo resta a discutere se una ricerca impostata in tal modo, mentre si sottrae alle difficoltà indicate, possa sempre avere un chiaro significato biologico. Ma, se si tratta davvero di studiare la variazione indi- viduale, sessuale e topografica dei caratteri, è inevitabile allora entrar nell’ordine di idee sovraccennate. Genova, Aprile 1901. G. CATTANEO. 304. C. LEGGIARDI-LAURA Questioni sulle circonvoluzioni cerebrali. La questione dei rapporti esistenti tra la forma del cranio e le varietà delle circonvoluzioni cerebrali, non solo non è risolta, ma, si può dire, non è neppure ben stabilito che effettivamente un rapporto tra i due fatti esista, benchè appaia logico il presumerlo. Le magistrali ricerche del Chiarugi su questo argomento con- fortano bensi questa presunzione logica già supposta da altri autori, e stabiliscono alcuni caratteri della forma generale del cervello in rapporto con quella del cranio; ma noi non sappiamo punto se le varietà delle singole scissure abbiano alcuni modi costanti di raggrupparsi tra loro nello stesso cervello, sì da risul- tarne particolari varietà di cervelli in: rapporto con particolari varietà craniche; e ’ esistenza stessa della brachiencefalia e della doligoencefalia, per ciò che si riferisce alle varietà delle circonvoluzioni, è decisamente negata da alcuni autori e non am- messa generalmente dagli altri. Dopo il libro del Chiarugi la questione non ha fatto un passo di più. Gli autori continuano a occuparsi delle varietà delle singole scissure, isolatamente prese, tendendo a considerarle come fatti puramente individuali, i quali compaiono senza ordine fisso, non solo nei diversi cervelli, ma anche nei due emisferi dello stesso cervello. Intanto questo problema — importantissimo per 1 anatomia umana e comparata — è veramente vitale per l’antropologia e per le applicazioni di queste Scienze all’antropologia criminale ed alla psichiatria. L’ antropologia non ha potuto finora giovarsi molto delle ricerche della anatomia in questo campo, nonostante l’ ardore e 1’ ingegno dei migliori antropologi; giacchè di tutti i caratteri, a mano a mano descritti da questo e da quell’altro autore come caratteristici di alcune razze per le circonvoluzioni cerebrali, quasi nessuno è rimasto ad affrontare la critica ; e del resto la constatazione di una varietà di una singola scissura in una razza umana più frequente- merlte che in un’altra direbbe ancora troppo poco. Così l’ antropologia non ha potuto stabilire nulla intorno alla questione del tipo etnico — o meglio delle varietà etniche — del cervello. QUESTIONI SULLE CIRCONVOLUZIONI CEREBRALI 305 Ma intorno a ciò esiste, come chi dicesse, una questione pregiu- diziale : Egli è che non si è punto studiato, finora, il tipo del cervello nelle varie razze, bensì si è studiato — per lo più — quello di varie regioni geografiche o politiche, il che non è affatto la medesima cosa. L’equivoco è stato ed è ancora assai diffuso, non solo tra gli anatomici, ma anche fra parecchi antropologi. M i n - gazzini, per esempio, che sul. cervello ha fatto, come ognun sa, un bellissimo libro, cita, come studi del cervello nelle razze, quelli di Sernow e di Giacomini, perchè, dice, il primo studiò « cervelli a preferenza di slavi » ed il secondo « studiando le varietà delle circonvoluzioni cerebrali, ci fornì simultaneamente uno studio sulla morfologia del cervello degli italiani ». In realtà entrambi questi autori, e specialmente il secondo, studiarono ciascuno i cer- velli di una popolazione, cioè di un miscuglio di elementi etnici e non il cervello di una razza. Anzi, siccome i paesi d’ Europa sono composti tutti, come dimostrò il Sergi, di due elementi etnici fondamentali, leurafricano e l’eurasico, rappresentati da 9 princi- pali varietà craniche, così noi non potremmo evidentemente fare nessuna applicazione di tali studi sulle circonvoluzioni all’ antro- pologia, poichè in essi non è alcun dato che distingua i varî elementi. Per studiare veramente il tipo etnico del cervello umano biso- gnerebbe adunque sceverare prima in una popolazione i varii elementi che la compongono ; ciò che — a rigore — si dovrebbe fare sopra un complesso di caratteri somatici, ma che, in pratica, si suole desumere dall’esame del eranio, ritenuto come l’espressione più fedele della razza. Perciò l’opera di Calori e specialmente quella di Chiarugi segnano un indirizzo che gli antropologi dovrebbero .seguire con entusiasmo, e sono pressochè le uniche che possano servire come ricerche anche del tipo etnico del cervello, perchè tengono conto delle corrispondenti forme craniche. Senonchè anche il Chiarugi si è servito — come è universal- mente noto — dell’indice cefalico per classificare i suoi cranì. Ora, sì può ancora discutere se la craniologia dia criterî sufficienti per la classificazione delle razze; ma certo non si può più discutere su ciò che l’indice cefalico è assolutamente insufficiente alla bisogna e talora conduce a risultati veramente falsi. Con esso 1’ antropologia — dopo un lungo lavoro e dopo molto entusiasmo — s’è trovata a classificare insieme per l’ indice cefalico, razze diversissime e a disgiungerne di quelle che devono invece stare vicine (V. Sergi: Specie e Varietà Umane). Chiunque abbia una certa famigliarità coi eranî si potrà facilmente persuadere di ciò, osservando una RIv. DI BIOLOGIA GENERALE, III. 20 306 C. LEGGIARDI-LAURA serie, anche piccola, di cranî ad esempio doligocefali; nè gli sarà difficile constatare, tanto più se essi appartengono a due diverse regioni d’Italia, la presenza di coppie di cranî a doligocefalia egual- mente spiccata, ma pure diversissimi I’ uno dall’ altro ; e di vedere ad esempio che uno ha linee armoniche, regolari, e 1’ altro ha invece sporgenti i seni' frontali, il tubercolo occipitale esterno, ecc.; uno ha bella ed ampia la fronte, l’altro è ametopo ; in una parola, due cranî, che per l’indice cefalico sono perfettamente identici, sono poi dk l’uno dall’altro per la forma generale e non si DALen, bero riunire nello stesso gruppo, senza artifizio. Così, se anche esistono nelle circonvoluzioni effettivamente carat- teri etnici distintivi delle varietà umane, essi non saranno affatto riconoscibili se noi classifichiamo il nostro materiale col criterio dell’indice cefalico. Ma anche dal punto di vista anatomico — posto che realmente vi sia un certo rapporto tra la maggiore o minore larghezza relativa del cranio e la direzione dei solchi — 1’ indice cefalico non può servire che molto grossolanamente ; in realtà vi hanno bensì rari casi in cui la larghezza in confronto della lunghezza è pressochè uniforme in tutti i punti del cranio, come ad esempio nella forma cuboide che però è assai rara, e fino ad un certo punto anche nella elissoide ; ma nel maggior numero dei casi ciò non avviene, e cioè in tutte le altre varietà craniche in cui la forma generale, determinata per la norma verticale, è ovoide, pentago- noide, sfenoide, ecc. In questi casi noi abbiamo generalmente dei punti allargati del contorno cranico, dai quali punti i margini si rendono convergenti in avanti o indietro o in tutte e due queste direzioni, e in convergenza maggiore o minore, e più o meno bru- scamente per le diverse forme craniche. Ne viene che il presunto. rapporto tra la relativa larghezza del cranio e la direzione dei solchi cerebrali — se esiste — non potrà essere uniforme in tutti i segmenti del cervello: ma che anzi potrà essere persino contraria nei vari segmenti, ed un cervello potrà avere i caratteri della brachiencefalia nel lobo parietale, ad esempio, e avere invece quelli della doligoencefalia nel frontale e nell’ occipitale se il cranio — piuttosto largo in corrispondenza delle bozze parietali — andrà di qui restringendosi verso il polo frontale e verso 1’ occipitale, come avviene in quella varietà cranica che Sergi chiama pentagonoide. La stessa varietà descritta dal Chiarugi e confermata dal M i n- gazzini per la brachiencefalia tenderebbe a confermare questo modo di intendere le cose. Infatti questi due autori trovano fre- quente nella brachiencefalia la tendenza delle scissure a disporsi trasversalmente nel lobo parieto-occipitale, mentre vi trovano fre- quente il lobo frontale a quattro circonvoluzioni longitudinali. To QUESTIONI SULLE CIRCONVOLUZIONI CEREBRALI 307 penso che in tali casi il cranio avesse una forma sfenoidale, visto per la norma verticale, sia perchè io trovo frequente tale disposi- zione delle scissure corrispondentemente al cranio sphenoides latus, sia perchè fra i crani brachicefali tale forma cranica è la più frequente. Sicchè, non soltanto si trovano nei varîì cervelli osser- vazioni che paiono, come afferma Giacomini, contraddire all’esi- stenza di un rapporto tra la forma del cranio e la direzione delle scissure cerebrali, ma ancora tali osservazioni si riscontrano nel medesimo cervello ; senonchè questa apparente contraddizione dipende forse soltanto da ciò che si è inesattamente valutato — per questo rispetto — il rapporto tra la larghezza e la lunghezza del cranio. Ognun sa che è per questa insufficienza dell’indice cefalico come carattere di classificazione che il Mantegazza propose la deseri- zione linneana del cranio e che il Sergi creò la sua nuova classificazione. Ma già il Chiarugi — indipendentemente dalle risultanze dell’ antropologia — s’ era accorto durante le sue ricerche, come fosse insufficiente V’indice cefalico (0 quello cerebrale, che torna lo stesso) per la questione. Infatti egli scrive : « Senza dubbio la conoscenza dei 3 principali diametri del cervello e dei loro rapporti non è sufficiente per rappresentare alla nostra mente la forma di esso. È molto più utile aver presente la figura del suo contorno, presa secondo le varie norme e specialmente secondo la norma laterale e superiore; perocchè per mezzo di essa possiamo prendere idea dello sviluppo relativo dei diversi segmenti cerebrali, il che per le possibili applicazioni di questi studi è di grande interesse ». Quanto poi alle applicazioni di tali studi all’ antropologia criminale ed alla psichiatria, si è passati da un entusiasmo ad uno scetticismo entrambi esagerati e per le medesime ragioni che per l’ antropologia. Anche qui bisogna studiare non solo le varietà delle singole scissure, ma sopratutto 1’ associarsi di essa nei varî cervelli. Allora potremo dire, con una certa approssimazione, che le tali disposizioni delle scissure di un dato cervello sono comuni -ai cervelli di un dato gruppo e insolite relativamente ad un dato altro : o anche insolite in modo assoluto. Ma, innanzi tutto, esistono esse veramente varietà costanti di lobi e di cervelli, per il modo di associarsi delle varietà delle scis- sure cerebrali ? Oppure è vero definitivamente che ogni cervello è in ciò aissimile da tutti gli altri ? * * > Durante uno studio intrappreso due anni or sono con Vara- glia sopra circa 500 cervelli umani (studio pubblicato da noi solo in parte) io mi potei convincere che tutte — o quasi tutte — le 308 C. LEGGIARDI-LAURA principali varietà delle scissure cerebrali, relativamente al loro modo di associarsi nel cervello umano, si possono raggruppare in sostanza, secondo la direzione dei solehi nelle seguenti : 1. Cervello in cui si ha un evidente predominio di solchi tra- sversi în tutti i lobi (cuboide e sferoide). 2. Cervello in cui si ha un predominio dei solchi longitudinali in tutti i lobi (elissoide). 3. Lobo frontale a solchi longitudinali predominanti e lobo parieto-occipitale a solchi trasversi (sfenoide e beloide). 4. Lobo frontale e solchi longitudinali predominanti, lobo parieto- occipitale misto (sfenoide). 5. Lobo frontale a solchi longitudinali, lobo parietale a solchi tra- sversi, lobo occipitale a solchi longitudinali (pentagonoide). 6. Lobo frontale a solchi trasversali e lobo parieto-occipitale a solchi longitudinali. 7. Lobo frontale misto, lobo parietale a solchi trasversi, lobo vcci- pitale misto. 8. Cervello in cui non predominano i solchi trasversi nè j longi- tudinali (misto). 9. Cervelli schematici ed eurigirencefali. Descriverò alcune di queste varietà cerebrali avvertendo però che io non ho alcuna presunzione di stabilire una classifica- zione perfetta e definitiva; forse qualche varietà potrà considerarsi in seguito come una semplice sottovarietà, e qualcun’ altra potrà essere in seguito aggiunta. Ma ciò che importa si è di stabilire che le varietà delle singole scissure si associano tra loro in modo da produrre speciali varietà di lobi, le quali alla loro volta si associano in vario modo, sì da produrre speciali varietà di cervelli. Aggiungo subito che talora si riscontrano nel cervello, oltre ai caratteri accennati, altre particolarità che sfuggono a qualsiasi classificazione perchè sono incostanti e possono apparire in qualunque delle dette varietà cerebrali stesse. Di queste disposizioni incostanti alcune hanno significato patologico, altre rappresentano un arresto nello sviluppo embrionale, altre ripetono un carattere costante di . animali inferiori, scomparso normalmente nell’ uomo, altre infine non hanno, fin’ora, alcuno dei tre significati precedenti, ma rap- presentano tuttavia una deviazione del fatto comune !). Solo a queste ultime disposizioni dovrebbe adunque addattarsi la denominazione di insolite, che, come è noto, fu introdotta dal 1) MINGAZZINI : — Il cervello in relazione coi fenomeni psichici, Torino, Bolla, 1895. DI QUESTIONI SULLE CIRCONVOLUZIONI CEREBRALI 09 Broca e attribuita da lui e successivamente dagli altri autori, ad una infinità di disposizioni anche non veramente rare. Le altre tre serie di varietà devono invece considerarsi come vere anomalie e più esattamente diremo : 1. Anomalie patologiche, quelle che alterano profondamente la disposizione dei solchi cerebrali (ed anche la struttura stessa delle circonvoluzioni) per cause patologiche, che agirono durante lo svi- luppo dell’ organo, e senza dare a*questo caratteri del cervello di animali inferiori. Così, ad esempio, chiameremo anomalie patolo- giche quelle che si riscontrano nel cervello di feti mostruosi o in quello di alcuni microcefali 1). 2. Anomalie da arresto di sviluppo, o fetali quelle che non alte- rano il tipo di costituzione del cervello umano, ma rappresentano uno stadio di incompleto sviluppo ontogenetico di esso, come sa- rebbe, ad esempio, l’ interruzione della scissura di Rolando per una piega superficiale (V. Leggiardi- Laura e Varaglia: Contrib. allo stud. di Varietà d. Sc. di Rolando, ecc. in « Rivista di Scienze Biologiche », 1900). 3. Anomalie ataviche quelle che riproducono nell’ uomo carat- teri che sono normali in animali inferiori all’ uomo, quando tali caratteri appaiono incostanti nell’ uomo stesso e non appartengono a particolari varietà cerebrali. Le anomalie da arresto di sviluppo e quelle ataviche paiono compatibili colla funzione locale, ma rappresentano un indice dello sviluppo dell’ individuo, nel senso che si attribuisce generalmente alla parola, quando si parla di indici di sviluppo del cranio, del sistema pilifero ecc.; sono stigmate somatiche della perturbazione 0 dell’ arresto dello sviluppo. Vale a dire: s'intende con ciò che l’anomalia in discorso non ha — 0 non si sa che abbia — un’ influenza diretta, immediata sulle fun- zioni dell’ organo, come potrebbe averla, ad esempio, un processo patologico, ma sta ad indicare, insieme con altri indici di sviluppo, che l’ organismo tutto intero ha subito una perturbazione atavistica, di cui adunque l’ anomalia in discorso non è che un segno visibile; allo stesso modo che l’ipertricosi, in sè innocente, fa supporre nell’ individuo qualche cosa di regressivo, o, se si vuol meglio dire la stessa cosa, allo stesso modo che la tinta gialla o nera o bianca della cute, e sopratutto le forme del cranio, del bacino, ecc., sono indici delle razze umane, o del tipo etnico. Si possono adunque distinguere tutte le varietà delle circonvo- luzioni cerebrali in: costanti ed incostanti ; le costanti comprendono 1) MINGAZZINI, Op. c. 310 C. LEGGIARDI-LAURA le 9 varietà descritte, a significato probabilmente etnico; le inco- stanti si distinguono secondo la seguente tabella ed hanno signifi- cato di varietà individuali : | insolite (non comuni) (microgiria, mancanza della R., ecc.) pato ogidie (plagioencefalia, ecc.). MOFGO : (non ataviche: esempio: arresti di sviluppo embrionale . È interruzione della R.). Varietà ( anoma le neofiletiche incostanti ataviche Ì paleofiletiche (Esempio: Tre rami della branca anteriore della progressive SICARIO LTL sc. Silviana). Tutte queste ultime varietà (incostanti) di scissure, e soltanto queste, debbono, a parer mio, considerarsi come varietà individuali. Tutte le altre sono in rapporto con la forma del cranio, e come questa, hanno importanza di fatti etnici. * x * X Della /@ Varietà (solchi trasversi spiccatamente predominanti in tutti i lobi) abbiamo un esempio tipico nella fig. 1, che rappresenta il cervello di un delinquente piemontese (Squ... è - Museo Lom- broso). Presenta le seguenti disposizioni principali : 1. La scissura di Rolando, comunica colla Silviana e si estende in alto fino all’interemisferica. Lobo frontale : — 1. Scissure prerolandiche molto pronunciate. 2. Sei solchi terziarî trasversali nel lobo frontale. Questo nella sua porzione anteriore è disposto a circonvoluzioni trasverse in numero di due ben distinte; e in questa porzione non si distinguono più le circonvoluzioni longitudinali. 5. Il solco orbito-frontale è bene sviluppato in entrambi i suoi segmenti. 4. La branca anteriore della Silviana è triforcata. QUESTIONI SULLE CIRCONVOLUZIONI CEREBRALI of 5. Non esiste traccia del solco longitudinale che è frequente ad osservarsi nello spessore della circonvoluzione frontale 1° e che talora sdoppia longitudinalmente la detta circonvoluzione. Esiste appena traccia del solco longitudinale che spesso tende a sdoppiare la circonvoluzione frontale media, (sulcus frontalis medius) ; esso la percorre per breve tratto, terminando poi in un pronunciato solco trasverso. 6. Il solco frontale 1° non raggiunge 1’ apice del lobo, ma si arresta a 2 mm. circa all’innanzi di uno dei solchi trasversi i quali danno alla porzione anteriore del lobo stesso la accennata disposi- zione a 2 circonvoluzioni trasversali. Noteremo inoltre, come carattere accessorio di questo lobo fron- tale, che la circonvoluzione frontale 2* è molto sviluppata, cioè più sviluppata che la inferiore, e questa più che la superiore. Adunque questo lobo frontale si distingue per tre caratteri gene- rali nella disposizione dei suoi solchi, cioè : 1. Per l’interruzione dei solchi longitudinali secondari e, conse- guentemente, per il loro piccolo sviluppo. 2. Per la mancanza, o per il piccolissimo sviluppo, dei solchi longitudinali terziari che comunemente s’ incontrano nello spessore delle circonvoluzioni frontali longitudinali. 3. Per la presenza di molteplici solchi trasversi terziarî nel lobo stesso. In questo senso, diremo più brevemente che ci troviamo in presenza di un lobo frontale a solchi trasversi predominanti. La stessa cosa avviene nel lobo parietale e nell’occipitale, sicchè nella regione parieto-occipitale troviamo le seguenti disposizioni : 1. Scissura postrolandica unica, ben individualizzata, distinta dalla porzione orizzontale della scissura interparietale. 2. Scissura interparietale divisa nei suoi tre segmenti. 3. Dietro la scissura postrolandica esiste un terzo solco che le è parallelo, poco meno sviluppato di essa, e che incrocia la scissura interparietale, risultandone così, nella corrispondente porzione dell’e- misfero, una disposizione ad H caratteristica. Questo secondo solco, del quale dirò più estesamente quando potrò pubblicare n exrtenso i risultati completi delle mie osservazioni, è, secondo me, costante- mente rappresentato nell’uomo, incostantemente negli antropoidi e manca negli altri primati. Nell'uomo è talora rappresentato da due segmenti, più o meno pronunciati, aventi sempre la medesima dire- zione, o da uno solo che per lo più è il superiore. Quando, come in questo esemplare, i due segmenti sono riuniti, ne risulta un solco lungo tre o quattro centimetri, il quale colla sua estremità superiore si trova immediatamente dietro il solco intraprecuneale 312 C. LEGGIARDI-LAURA ed inferiormente si trova dietro al tratto ascendente della branca posteriore della scissura di Silvio. Di altre varietà di questo solco dirò in seguito. Nel feto umano pare incominci ad apparire tra il 6° ed il 7° mese di vita endouterina, perchè io potei osservarne la pre- senza in un feto di 6 mesi (feto F di mesi 6, della raccolta Gia co- mini) e in alcuni di età più avanzata. È appunto questo solco, che, quando è notevolmente sviluppato ed associato ad insolita disposizione della postrolandica può essere scambiato per una scis- sura postrolandica; ma il rapporto che esso ha inferiormente col tratto ascendente della branca posteriore della scissura di Silvio, basta a farlo distinguere dalla postrolandica, la quale è sempre anteriore al detto tratto ascendente, come io ho appunto rilevato, (V. Leggiardi Laura: Sopra dl significato della cosidetta dupli- cità deila scissura di Rolando e sopra un rapporto della sc. postro- landieca. — Giorn. della R. Accad. di Medicina di Torino; 1900). 4. Dietro il detto solco trasverso esiste il tratto ascendente della scissura temporale superiore grandemente sviluppato, sì da raggiun- gere la scissura interparietale ed oltrepassarla di 1 cm. 5. Dietro questo tratto esiste un altro solco trasverso terziario lungo circa 3 cm. 6. E finalmente esiste il solco occipitale trasverso bene svilup- pato. 7.I solchi del lobo occipitale assumono direzione trasversale. Adunque anche nel lobo pa- rieto-occipitale di questo esem- plare tipico, osserviamo tre carat- teri distintivi nella disposizione dei solchi, cioè : 1. L'interruzione del solco Fig. 1. longitudinale secondario del lobo parietale e rispettivamente la direzione trasversale dei solchi secon- darî del lobo occipitale. 2. La mancanza, ‘o rispettivamente il poco sviluppo, di solchi longitudinali terziarì nello spessore delle circonvoluzioni della regione. 3. La presenza di solchi terziarî trasversi molteplici (e rispetti- vamente : di circonvoluzioni trasverse) nel lobo stesso. Il che diremo più brevemente classificando questo lobo nella varietà di lobo parieto-occipitale a solchi trasversi predominanti. Le figure 1°, 2, 6° della tavola e specialmente la prima dimo-. QUESTIONI SULLE CIRCONVOLUZIONI CEREBRALI 018 strano abbastanza be- ne questa varietà di lobo parieto - occipi- tale, la quale poi mi Si presentava esagera- tamente spiccata nel- I esemplare rappre- sentato dalla figura 2?, schematica (raccolta Giacomini), ove non è assolutamente pos- sibile riconoscere i ca- ratteri con cui si de- scrive generalmente il lobo parietale, riscon- trandosi, in questo esem- plare, null’ altro che solchi e circonvoluzioni trasver- sali: la si confronti colla fig. schematica 4*. Del resto il Giacomini stesso, come osserva anche il Chiarugi, aveva descritto questa ul- tima disposizione di lobo parietale già nelle sue « Va- rietà ». I cranî corrispon- denti non presentavano al- cuna disposizione speciale, secondo Giacomini; e quanto all’ indice, esso va- riava, nei 4 esemplari os- e servati, da 66,8 a 89,4. Raf Della 24 varietà cere- brale (a solchi longitudi- nali predominanti ovun- que) abbiamo un esempio nella T., fig. 5? (raccolta Bonomo). Il lobo frontale di questo esemplare pre- senta una disposizione a Fig. 4. 314 C. LEGGIARDI-LAURA solchi longitudinali esageratissima; vi si riscontrano infatti tre solchi longitudinali che lo percorrono completamente, ed un altro (quasi invisibile nella figura) nello spessore della 12 circonvoluzione frontale cui percorre per circa i */, posteriori, mentre altri brevi solchetti sagittali paiono continuarne il decorso fino all’ estremo anterione del lobo ; sicchè ne risulta un lobo frontale a ‘5 circon- voluzioni longitudinali, così ben distinte come non ricordo di aver mai osservato. La scissura prerolandica superiore è distinta dalla inferiore. La sc. di Rolando è separata dalla sc. Silviana per una piega molto robusta. La sc. postrolandica è divisa in due segmenti e la se. inter- parietale decorre ad arco fino al lobo occipitale e si continua col solco occipitale inferiore ; in tutto il suo decorso è soltanto inter- rotta una volta da una sottile piega, subito dietro al punto in cui è incrociata dal solco trasverso da me descritto; il quale, in questo caso, è rappresentato ‘da due solchi distinti non molto pronunciati (12 varietà). Il solco temporale 1° ha direzione quasi perfettamente orizzontale e si spinge indietro (con un ramo di biforcazione) fino a continuarsi col s. occipitale inferiore. Caratteristico è pure il lobo frontale di Mag. (è, raccolta Lom- broso) raffigurato nella figura schematica 3*; che, senza bisogno di altra descrizione, basterà confrontare colle figure schematiche e 2 Ma senza ricorrere a questi rari esempi di doligoencefalia (scis- surale) lobare si hanno esempi delle forme più comuni nel lobo fron- tale della fig. 4%, e nel parieto-occipitale della fig. 3° della tavola : Lobo frontale : — 1. La scissura prerolandica superiore e la scis- sura prerolandica inferiore sono distinte (e sulla stessa linea). 2. Solco frontale 1° dipendente dalla sc. prerolandica superiore : solco frontale 2° bene sviluppato. 3. Solco longitudinale nello spessore della circonvoluzione fron- tale superiore discretamente sviluppato (non riuscito nella figura). 4. Divisione della circonvoluzione frontale media per mezzo di un solco profondo percorrente, dal piede di essa, tutto il lobo ; sicchè si notano, in questo lobo, 4 circonvoluzioni frontali. 5. Nessun solco terziario trasverso molto sviluppato. 6. Solco orbito-frontale rappresentato dalla porzione distale soltanto. Il lobo parieto-occipitale presenta le seguenti disposizioni : 1. La scissura postrolandica superiore non distinta dalla se. interparietale (4° varietà del Cunningham). 2. La scissura interparietale, ininterrotta, si spinge fino al lobo occipitale trasverso ed ha la comune disposizione ad arco. QUESTIONI SULLE CIROONVOLUZIONI CEREBRALI 19 2. Il solco trasverso parietale (x), da me osservato come costante nell’ uomo, risulta qui del solo segmento inferiore. 5. Non esistono altri solchi terziari trasversi molto sviluppati. 9. I solchi occipitali, orizzontali e profondi. Adunque, ciò che caratterizza questi lobi si è: 1. Il notevole sviluppo dei solchi secondarî lbugitudinali e l in- terruzione dei trasversi. 2. La mancanza, o rispettivamente il poco sviluppo di solchi trasversi terziari nello spessore delle circonvoluzioni. 5. La presenza di solchi longitudinali terziari nello spessore delle circonvoluzioni, e nel lobo frontale, la tendenza alla formazione di 4 circonvoluzioni longitudinali. Non descriverò, per brevità, le varietà 32, 42, 5, 6° e 72, le quali sono il risultato di combinazioni diverse dei due tipi diversi dei varî lobi. La fig. 4° della tavola può del resto dare una idea abbastanza esatta della varietà 4°; e la fig. 3° della stessa tavola ha precisamente la disposizione della varietà 6°. Invece deseriveremo un esemplare tipico della varietà di cervello (e rispettivamente di ciascun lobo) in cui i solchi longitudinali e trasversali sono ovunque rappresentati senza che si possa affermare alcun predominio degli uni rispetto agli altri. Lobo frontale : 1. Scissura prerolandica superiore e sc. prerolandica inferiore distinte (e non nella stessa direzione). Dalla prelorandica inferiore parte un soleo lungo circa 2 em. e !/,, obliquo in alto ed in avanti nello spessore della circonvoluzione parietale media. 2. All’ innanzi della sc. prerolandica inferiore, esiste un solco insolito (x) da cui parte il solco frontale inferiore. 5. Esistono bene sviluppati due solchi terziarì trasversi che tendono a far comunicare il solco frontale 1° col 2°. 4. Il solco orbito-frontale è bene sviluppato. 5. Esiste un solco longitudinale, abbastanza pronunciato ed esteso, nello spessore della circonvoluzione frontale superiore. Nel lobo parietale troviamo le seguenti disposizioni : 1. Scissura di Rolando estesa su tutta la faccia esterna, cioè comunicante colla scissura interemisferica e colla sc. silviana con- temporaneamente. 2. Scissura postrolandica bene individualizzata ed estesa. 5. La scissura interparietale (Varietà III del Cunningham) indipendente dalla sc. postrolandica ed avente la comune dispo- sizione ad arco, decorre ininterrotta da pieghe superficiali fino al solco occipitale trasverso. 4. Esiste un solco trasverso unico del lobo parietale, avente la disposizione accennata più in alto; è bene sviluppato, taglia la _ 316 C. LEGGIARDI-LAURA interparietale e raggiunge il solco temporal superiore (ramo ascen- dente); questo si prolunga con un ramo a direzione longitudinale, fino ad incontrare la scissura postrolandica. 5. I solchi temporo- e parieto-occipitali hanno direzione longi- tudinale. 6. La scissura del Silvio comunica colla scissura temporal superiore, per un solco trasversalmente diretto nello spessore della circonvoluzione temporal superiore e in corrispondenza della !/, circa di questa circonvoluzione. E finalmente esiste una disposizione cerebrale che sono in dubbio se debba essere classificata a parte, oppure se debba considerarsi come una sottovarietà di « cervello schematico, 0 semplice, ed euri- girencefalo ». Esempio tipico di questa varietà non molto frequente è il cer- vello del brigante Fioravanti, il quale non presenta alcuna anomalia somatica notevole. Questo cervello si distingue dagli altri per due fatti, cioè : 1. Perchè è poco ricco di solchi terziarî, ed i solchi primarî e secondari hanno una disposizione esattamente regolare, poco tor- tuosa e decorso semplice, come suole raffigurarsi negli schemi che servono alla dimostrazione didattica dei solchi più importanti del cervello (cervello schematico di Broca). 2. Per la grossezza, semplicità e poca tortuosità delle circonvo- luzioni nella loro generalità. A questo si aggiunge ancora, in qualche esemplare, un fatto osservato da me e da Varaglia (V. Contrib. allo studio d. Var. d. sc. di Silvio nei deling. Giorn. d. R. Accadem. di Med. di Torino, 1900), cioè : la scissura di Silvio semplice ed arcuata nella sua branca posteriore. Noi abbiamo qualificato così una forma di scissura di Silvio in cui la branca posteriore decorre con una obliquità, che, se non riproduce propriamente quanto avviene nelle scimmie inferiori, si distingue tuttavia da quella degli altri esem- plari umani per i seguenti caratteri : x) Una obliquità più spiccata di quella che si suole osservare nell’ uomo adulto; questa obliquità affetta anche la porzione oriz- zontale della branca. 6) La disposizione arcuata dell’ estremo posteriore della branca e la mancanza di un vero e distinto tratto verticale ascendente della branca stessa. X) La mancanza del tratto verticale discendente che, secondo Retzius, esiste nel 73 °/, dei casi. ò) La mancanza o lo scarso sviluppo di solchi insinuantisi nelle circonvoluzioni limitrofe. Dalle poche osservazioni che abbiamo QUESTIONI SULLE CIRCONVOLUZIONI CEREBRALI SIL potuto fare — e specialmente dall’ esame delle figure del Retzius — ci pare che realmente questa disposizione riproduca quanto avviene nel feto dal settimo all’ ottavo mese di vita endo-uterina. Io e Varaglia notavamo ancora a questo proposito che ave- vamo riscontrato tale varietà négli onesti con molto minore fre- quenza che nei criminali. Ora mi pare che essa si riscontri con maggiore frequenza nei cervelli schematici ed eurigirencefali che non in quelli delle altre varietà, il che pare in rapporto colla semplicità generale dei solchi. Più pronunciata ancora la trovai, con Varaglia, in due cervelli di Indios, specialmente in uno della tribù dei Tobas, come non avevamo mai veduto nell’uomo; entrambi quei cervelli erano piut- tosto semplicemente costituiti. Così si potrebbe essere tratti a considerare questo carattere come in rapporto colla disposizione semplice, schematica delle scissure, in alcuni cervelli; invece essa si presenta anche in cer- velli abbastanza complessi sotto questo aspetto e stenogirencefali ; inoltre non si presenta in tutti i cervelli semplici, perchè anzi è un fatto abbastanza raro a constatarsi, avendolo io e Varaglia riscontrato soltanto nel 10 °/, dei delinquenti maschi e nel 17 °/ delle delinquenti. Infine questo carattere si trova con maggiore frequenza in razze selvaggie e ricorda, se non riproduce completamente, quanto avviene nelle scimmie inferiori, mentre le antropomorfe si avvicinano in ciò all’ uomo; nell’ uomo adulto questo carattere ricorda ancora una disposizione fetale che generalmente scompare più tardi. Pertanto ‘esso pare essere anomalo ed atavico, salvochè possa dimostrarsi — il che mi pare poco probabile — carattere di elementi etnici che siano, almeno scarsissimamente, rappresentati nei nostri paesi. x* x * Che intanto le varietà cerebrali siano in rapporto molto diretto colle particolarità delle forme craniche, è dimostrato dal modo di comportarsi dei solchi cerebrali nella plagiosefalia. Sono dolente di non poter presentare la tigura del cervello del delinquente Bocc (Museo Lombroso) assai dimostrativo. Questo cervello presenta il tipo misto dei solchi nel lobo frontale e trasversale nel parietale. Il cranio ha forma di elissoide molto largo, con fronte un po’ sfuggente e bassa e provvista di una sutura metopica; offre una plagiocefalia occipito-frontale con depres- sione dell’occipitale a destra. Corrispondentemente il cervello pre- senta solchi trasversi pronunciati assai più a sinistra che a destra 318 C. LEGGIARDI-LAURA ed i solchi occipitali disposti longitudinalmente a sinistra e trasver- salmente a destra. Il che conferma adunque il modo di vedere che io ho espresso. Anche qui noi troviamo, oltre ai caratteri che sono in rapporto colla forma del cranio, disposizioni che non si possono totalmente spiegare con essa e che sono insolite in tutte le forme di cranio, come la interruzione delle circonvoluzioni frontale e parietale ascen- dente (Emisfero destro) e un carattere anomalo ed atavico, cioè la comunicazione della scissura del Silvio colla sc. temporale supe- riore nella 1° maniera di Giacomini (entrambi gli emisferi) come normalmente avviene nelle scimmie inferiori. Ho notato la stessa disposizione delle scissure occipitali e fron- tali in due casi analoghi a quello del Bocc.... Questa modalità è molto evidente nelle figure 3° e 4° della tavola, le quali raffigu- rano rispettivamente l’ emisfero sinistro ed il destro dello stesso cervello : nel destro il lobo frontale è a solchi trasversi predomi- nanti, e il parieto-occipitale è invece spiccatamente a solchi longi- tudinali. Io qualificherei volentieri tale disposizione come plagio- encefalia scissurale. Ma ciò che mi colpisce di più a vantaggio della mia convinzione sui rapporti della forma del cranio con le varietà delle scissure cerebrali è il fatto da me riscontrato nel cranio e rispettivamente nel cervello (fig. schematica 12) del delinquente Squass. (museo Lombroso), e quanto analogamente notai nel cervello (raccolta Bonomo) di cui è rappresentato 1’ emisfero destro nella fig. 6 della tavola. Alla parte anteriore del lobo frontale di Squass., come ho già detto, si presentano infatti tre circonvoluzioni trasverse, per la presenza di solchi trasversi insoliti, dietro ai quali bruscamente si arrestano i due solehi longitudinali secondarî; corrispondentemente la parete interna dell’ osso frontale, per un enorme sviluppo dei seni frontali, si spinge molto bruscamente indietro, sì da accorciare notevolmente il diametro della fossa anteriore del cranio. A sua volta l’esemplare della fig. 6 presenta in corrispondenza della parte posteriore del lobo parietale una profonda depressione che deve essere stata indubbiamente in relazione colla anomalia cranica del Kelp; ora, sul punto depresso non si osservano affatto soleature, ed ai limiti anteriore e posteriore di esso si trovano tre solchi non molto pronunciati (due posteriori ed uno anteriore) a decorso trasversale. Potremo intanto rappresesentare nelle seguenti tavole gli schemi delle Varietà di lobi (tenendo conto soltanto, e per ora, della faccia esterna degli emisferi) ed arrivando alle combinazioni di queste nelle varietà dei cervelli : QUESTIONI SULLE CIRCONVOLUZIONI CEREBRALI 319 Schema delle varietà di lobi. — Lobo frontale. A solchi longitudinali : Scis. prerolandica superiore ed in- feriore distinte. Molteplici solchi terziari longitudi- nali nello spessore delle circonvolu- zioni longit. con frequente sdoppia- mento di queste e quindi con frequente presenza di 4 circonvoluzioni frontali longitudinali. Solco orbito-frontale bene svilup- pato. Solco frontale 2° per lo più non interrotto. Mancanza o rispettivamente scarso sviluppo (come p. es. pel solco di Valenti) di solchi terziari tendenti a far comunicare i solchi longit. tra loro. Solchi frontale 1° e fr. 2° bene estesi e circonvoluz. long. ben distinte. A solchi trasversì : Scis. prerolandica unica e molto estesa. Molteplici solchi terziari trasver- sali, e rispettivamente formazione di circonvoluzioni trasversali. Solco orbito-frontale bene svilup- pato in entrambi i suoi segmenti. Solco frontale 2° interrotto da una piega anteriore. Mancanza, o rispettivamente scarso sviluppo del solco longitudinale nello spessore della circonvoluzione fron- tale 12 e di solchi longit. nello spes’ sore della circonv. 2. Solchi frontale 1° e fr. 2° non estesi fino all’ apice del lobo e interrotti nel loro decorso. Schema delle varietà di lobi. — Lobo parieto-occipitale. A solchi longitudinali : Scissura postrolandica sup. distinta dalla scissura interparieta.è. Scissura interparietale ininterrotta, spingen- tesi fino al 1° occipitale trasverso ed avente la comune disposizione ad arco. (22 varietà del Cunningham). Poco sviluppo, o mancanza del seg- mento inferiore del solco trasverso parietale x, e mancanza di solchi ter- ziari trasversi bene sviluppati. Poco sviluppo del tratto asc. della branca post. della Silvia e del tratto ascend. della sc. temp. super. Solchi occipitali orizzontali e bene sviluppati. A solchi trasversi : Scissura postrolandica unica, ben individualizzata, distinta dalla por- zione orizzontale della sc. interparie- tale. Sciss. interparietale apparte- nente alla 1° varietà del Cuninn- gham, cioè divisa. in tre segmenti. Solchi trasversali molteplici nel lobo par. e formazione di circonvol. trasversali. Grande sviluppo del tratto ascen- dente della branca post. della sc. di Silvio. Grande sviluppo del tratto asc. della sc. temporale 1°. Solchi occipitali a direzione tra- sversale, 320 C. LEGGIARDI-LAURA Ed ora bisogna che io ripeta ciò che già dicevo sul principio di questo articolo :° ben lontano dal credere d’ aver dimostrato il mio modo di interpretare la disposizione complessiva dei solchi cerebrali nei varî cervelli ed i relativi rapporti colle forme. eraniche, io so bene di averlo appena accennato. Sono convinto che il rapporto tra la forma del cranio e le varietà delle circonvoluzioni cerebrali consista effettivamente in ciò che i solchi tendano a disporsi nella direzione delle minori resistenze come pensano gli autori; e ciò, ben inteso, indipendentemente dal- l’altra più alta questione sulla genesi delle solcature cerebrali; basterebbe a convincermi della legge suddetta — oltre all’autorità dei Maestri — ciò che ho notato in qualche caso di plagioencefalia, di anomalia del Kelp, e di qualche altra variazione puramente individuale delle solcature cerebrali correlativa a particolare dispo- sizione della scatola cranica, come nel caso Squass., accennato in queste note. Ma io sono personalmente convinto che il rapporto cranio-cere- brale non possa ridursi entro i confini dell’ indice cefalico, e che la brachiencefalia e la doligoencefalia, per ciò che si riferisce alle varietà delle scissure cerebrali, siano, se si può dir così, relative ai singoli lobi cerebrali, o anche a porzioni di lobi; 0, in una parola, che la brachicefalia e la doligocetfalia non siano caratteri sufficienti a darci un indizio della direzione delle resistenze. Io sono però perfettamente consapevole di non aver dato suffi- cientemente ragione delle varietà che nei singoli casi andrebbero a costituirsi per una prevalente direzione dei solchi eerebrali e di non aver provata l’esistenza dei tipi cerebrali enunciati. Fra l’altro, a fare che essi potessero presentarsi d’innanzi all’ inevitabile e giustificato scetticismo degli autori, avrei dovuto corredare questa « nota » di figure numerose e bene appropriate; condizioni speciali, indipendenti dalla mia volontà, mi hanno impe- dito di farlo. Ma io ho tratta la mia convinzione da un esame così copioso di fatti, che non dispero di poter dimostrare prossimamente l’enunciato di questo articolo; il quale costituisce piuttosto un proposito di lavoro che non un lavoro compiuto. Spero anche di poter completare le ricerche sull’uomo adulto, confrontandole con analoghi studi sulle forme fetali del cranio e del cervello e con ricerche analoghe sugli animali a cervello circon- voluzionato. Firenze, 1901. C. LEGGIARDI-LAURA. 1) Devo alla squisita cortesia del chiarissimo sig. Professore capitano Bonomo, insegnante Traumatologia di guerra alla Scuola d’ applicazione di Sanità militare, di poter pubblicare le figure di questi esemplari (V. Tav. I) appartenenti alla sua raccolta ; mi è grato ringraziarlo pubblicamente. Ringrazio nello stesso tempo l'illustre Maestro, il Prof. Filippi. ed il chiarissimo e carissimo Prof. Biondi, della bontà colla quale mi facilitarono l’ esame della rae- colta del Gabinetto Medicé-Legale degli Istituti Superiori di Firenze. ‘‘ Rivista di Biologia generale ,, VOL. III. - Tav. I. Fig. 1 e2. — Emisfero destro — e rispettivamente sinistro — a solchi trasversi molteplici in tutti i lobi. Fig. 3 e 4. — Emisfero destro — e rispettivamente sinistro; nel destro il lobo frontale mostra una disposizione a solchi trasversi, mentre il parieto-occi- pitale presenta spiccati solchi longitudinali. Il sinistro tende ad avere una disposizione inversa (plagiocefalia occipito-trontale ?) 5 6 Fig. 5. — Lobo trontale a 5 circon- Fig. 6. — Emisfero destro di un voluzioni longitudinali. cervello a solchi trasversi spic- cati e di più corrispondente presumibilmente ad un cranio che presentava l’ anomalia del Kelps. C. FOÀ 821 Sull’innesto delle ovaie. In una nota pubblicata l’anno scorso !) ho dato relazione di parecchie esperienze eseguite sull’ innesto delle ovaie, aggiungen- dovi pure alcune considerazioni d’ indole generale. Insieme con alcuni nuovi risultati sperimentali che riporterò più sotto debbo ora aggiungere qualche notizia bibliografica che non potei inserire nella prima nota. Oltre ai lavori in quella già citati del Knauer, Gre- goriev, Ribbert, Herlitzka, Schultz, 'ecc., dobbiamo pren- dere in considerazione una nuova nota del Knauer ?*) nella quale egli raccoglie ed espone tutti i risultati delle sue esperienze sul trapianto delle ovaie, compresi quelli già pubblicati nei lavori pre- cedenti. Riferisce su molte esperienze di trapiantamento omoplastico delle ovaie nelle coniglie, e dice che ebbe da quasi tutte risultato negativo. Tuttavia in un ovaio dopo 3 settimane dall’ innesto vide ancora discretamente conservati lo stroma od i follicoli. L’ Autore osserva che il periodo di tempo durante il quale si compì l’ espe- rienza è troppo breve per poter trarre una conclusione certa, Ina sostiene tuttavia che avendosi casi di ovaie degenerate in minor tempo, il suo può considerarsi come un caso d’ innesto riuscito. Trae la stessa conclusione da un’ altra esperienza nella quale dopo sei mesi constatò la presenza di piccoli resti di tessuto ovarico con- servato, ma senza follicoli. Noi dobbiamo osservare che nè la prima nè la seconda esperienza dimostrano che 1’ ovaio si sia conservato, considerando per la 1% che il tempo che impiega un ovaio innestato a degenerare è variabilissimo da un’esperienza all’altra 3), per la 2* che non si può dire conservato un ovaio nel quale sian dege- nerati gli elementi essenziali : gli ovuli. Un’ altro lavoro sul medesimo argomento venne pubblicato dal Dott. Marchese ‘). Egli operò degli innesti autoplastici e omo- 1) Foà C. — L’innesto delle ovaie in rapporto con alcune questioni di bio- logia generale. Questa Rivista V. II. N. 6-7 e Arch. It. de Biol., T. XXXIV, F. 1. 2) KNAUER E. — Arch. f. Gynàk. 1900 Bd. 60. H. 2. 3) HERLITZKA. — Milano. Soc. Ed. Libr. 1900 e Arch. It. de Biol. T. XXXIV, F.1, pag. 89. 4) MarcHEse. — Sulla trapiantazione delle ovaie. Arch. It. di ginec. 1898 Agosto. RIV. DI BIOLOGIA GENERALE, III. 21 922 C. FOÀ plastici nelle cagne. In due casi d’ innesto autoplastico 1’ ovaio con- servò la propria struttura punto alterata, ma 1’ esperienza era durata in ùn caso 5 giorni nell’ altro 12 ore. In un’ esperienza che durò 5 mesi L’A. trovò l’ ovaio d’aspetto completamente normale, ma senza traccia di follicoli nè di ovuli! Un’ altra volta avendo innestato un ovaio in una tasca peritoneale, e 1’ altro nell’ interno di un corno uterino, dopo un mese trovò il primo ovaio in preda a suppurazione e a necrosi senza ombra di follicoli nè di ovuli, Il altro invece per metà degenerato e per metà conservato con follicoli ed ovuli nella parte centrale. In un’esperienza di innesto omoplastico (fra due cagne) trovò dopo tre mesi e 10 giorni l’ ovaio degenerato e necro- sato. Dopo due mesì da un trapianto autoplastico in una cagna trovò « il tessuto ovarico per nulla alterato », ma aggiunge poco dopo: « non si riscontrano nè follicoli di Graaf nè ovuli! ». L'A. operò in una cagna l’innesto delle due ovaie tolte ad un’altra cagna. Dopo 5 giorni una di esse è per metà necrosata per metà conservata con follicoli, l’ altra dopo tre mesi non ha più follicoli e solo si notano nello strato periferico dei nuclei di cellule rotonde generatrici di ovuli. In un caso di innesto autoplastico delle due ovaie di una cagna dopo 3 mesi ne trovò una in cui tutto è normale: vasi, stroma, capsula (?) e l’ altra ovaia era necrosata. L'A. conclude: « In base ai risultati di tali esperienze io eredo si possa senza dubbio affer- mare che veramente | ovaio è trapiantabile da un punto all’ altro dell’ organismo o da un animale all’ altro ». Ho voluto riportare un po’ dettagliatamente i risultati delle esperienze del Marchese, perchè risulti evidente Vl’ arbitrarietà di tale conclusione la quale tratta logicamente dalle stesse esperienze dell’A. avrebbe dovuto essere precisamente la opposta. W. Preobrasehesky !) riferisce i risultati di trapianti di ovaie in maschi nei quali il luogo dell’ innesto era talora 1’ excavatio vescico-rettalis,. talora lo spazio del Douglas, o il muscolo ileo- psoas. L’esame degli organi innestati eseguito dopo 2 settimane dal giorno dell’ operazione rivelò che i processi regressivi non avevano risparmiato nè lo stroma nè gli elementi specifici, non trovandosi più che follicoli e ovuli degenerati. Di recente lo stesso A. ?) riprese lo studio dell’ innesto delle ovale con molte nuove esperienze. 1.° Asportate le ovaie di un animale innestava quelle di un altro. 2.° Innestava le ovaie senza asportare quelle dell’animale operato. 1) PREOBRASCHESKY W. — Journ. f. Geb u. Frauenkrank. St. Peter- sburg, Bd. IX, 1399. ?) PREOBRASCHESKY W. — Thèse de St. Petersbourg, 1900. SULL’ INNESTO DELLE OVAIE 323 3.° Trasportava 1’ ovaio di un animale sul legamento largo del medesimo animale dopo averne asportato utero ed annessi. 4.° Innestava alle gatte ovaie di coniglia e viceversa. 5.0 Toglieva l’ ovaio dal suo posto normale e lo innestava sul mesentere dello stesso animale. i Solo l’ innesto autoplastico sembrò aver dato risultati positivi. L’ovaio conservava per lungo tempo le vescicole di Graaf e rigene- rava gli elementi specifici. Ma anche in questo caso dopo un certo tempo le vescicole di Graaf mature perivano, e solo si conservavano le forme di passaggio. Gli innesti omo- ed eteroplastici diedero risul- tati negativi. E. F. Fisch !) dice di aver operato con successo degli innesti omoplastici d’ovaia ma non riferisce i reperti microscopici. J. Me. Cone ?) riferisce su innesti auto- omo- ed eteroplastici operati tutti con successo, ma a dir vero la figura inserita nel testo che rappresenta una sezione microscopica dell’ovaio innestato non dimostra per nulla che esso sia morfologicamente conservato, e par- rebbe anzi rappresentare la sezione di un organo necrosato. Non vi è che un follicolo di Graaf il quale non presenta per nulla la strut- tura normale ed.ha l apparenza di una cisti. D’altra parte il Cone non dice se gli animali dai quali 1’ ovaio fu tolto, e quelli nei quali fu innestato erano giovani, o in istretta parentela fra loro, e noi già vedemmo nella nota precedente in quanta considerazione si abbiano da tenere questi due fattori nell’ interpretare i risultati degli innesti animali. i Come sintesi dei risultati dai varii sperimentatori ottenuti, e che vennero esposti in questa nota e nell’ altra mia precedente, e con- siderato che nessuno dei casi d’ innesto omoplastico che venne cre- duto felicemente riuscito si sottrae ad una critica un po’ precisa, debbo ripetere quanto già avevo concluso altra volta che cioè: 1’ in- nesto omoplastico dell’ ovaio adulto non dà risultati positivi ed ha per esito la degenerazione dell’ organo innestato. * * * i Nella mia nota precedente avevo esposto i risultati degli innesti omoplastici di ovaie embrionali in femmine di varia età. Fra le conclusioni alle quali ero arrivato quelle che più ora interessano sono le segnenti : 1.° L’ovaio embrionale innestato in sostituzione di uno degli ovarii di femmine giovanissime impuberi, o di femmine adulte giunte lì) FiscH E. F. — Annals of Gynec. and. Pediatry. Mars, 1899. 2) Cone J. Me. — The American Journ. of obstetri, August, 1899. 924 c. FOÀ alla maturità sessuale, può attecchire nell’un caso e nell’altro. Però nel primo caso esso conserva presso a poco la stessa struttura e lo stesso grado di sviluppo che aveva quando venne innestato; nel secondo caso invece aggiunge presto la struttura di un ovaio adulto, accelerando di molto la propria evoluzione normale. 2.° L’ innesto omoplastico bilaterale di ovaie embrionali, sia in femmine impuberi, sia in femmine sessualmente mature dà gli iden- tici risultati dell’ innesto unilaterale. Queste conclusioni erano state tratte dall’ esame istologico del- l’ organo innestato. A conferma della conservata funzionalità delle ovaie innestate in femmine giovani e sessualmente mature, non restava che tentare di ottenere la fecondazione di ovuli maturatisi in tali ovaie. A tale scopo praticai una prima serie di innesti bila- terali di ovaie tolte a conigliette neonate in coniglie impuberi, e in coniglie sessualmente mature dopo aver asportate le ovaie proprie degli animali operati ed accoppiai col maschio in gabbie separate le coniglie operate. Dopo circa due mesi una coniglia adulta divenne gravida e partorì in seguito cinque coniglietti normali. Altre 2 coniglie adulte operate non divennero gravide malgrado esaminandole dopo 7 mesi dall’ innesto le ovaie innestate siano apparse ingrossate e cosparse sulla loro superficie di vescicole di Graaf. In altre 5 coniglie adulte le ovaie innestate non attecchirono e il loro parenchima venne sostituito da un tessuto connettivo fibroso. Una coniglietta impubere di due mesi di vita operata contemporaneamente alle altre, divenne adulta e 4 mesi dopo l operazione accoppiata col maschio divenne gravida. Per cause che mi rimasero sconosciute essa morì prima del ter- mine della gravidanza, e nel corno uterino destro vennero trovati 3 embrioncini completamente normali. È da notare che il solo ovaio destro si dimostrò all’ esame microscopico non solo conservato ma reso adulto, mentre dell’ ovaio sinistro non mi fu dato di trovare neppure un piccolo residuo. Questi risultati sperimentali confermano quanto avevo descritto nella nota precedente, e dimostrano in modo evidente come 1’ ovaio embrionale innestato in un organismo adulto divenga rapidamente adulto e funzionante, tantochè dopo 2 soli mesi dall’ innesto un ovaio tolto ad una coniglietta di 2 giorni di vita ed innestato in una di un anno e mezzo fu capace di dare ovuli fecondabili. Che la gravidanza non si sia ottenuta se non dopo 4 mesi dopo l’ innesto nella coniglia operata quando era impubere, è cosa che si poteva prevedere se teniamo conto che, come ho già dimostrato, 1’ ovaio embrionale innestato in un organismo sessualmente immaturo non accelera la propria evoluzione ma la compie nel normale spazio di SULL’ INNESTO DELLE OVAIE 325 tempo, cioè in 5-6 mesi. È naturale quindi che solo oltrepassato tale periodo di tempo, quelle ovaie sieno divenute capaci di dare ovuli maturi. Una seconda serie di esperienze fu compiuta innestando 1’ ovaio embrionale omoplasticamente non già nella sua posizione normale, cioè vicino al padiglione delle tube, bensì in regioni distanti dalle tube stesse come | escavatio vescico-uterina, o nello spazio del Douglas. Contemporaneamente all’innesto delle ovaie embrionali, che per lo più venivano messe vicine fra loro, venivano tolte le ovaie dell’ animale operato. Le coniglie venivano sacrificate dopo spazi diversi di tempo dal giorno dell’ innesto, e gli organi trapian- tati venivano sottoposti all’ esame mieroscopico. Non credo utile di riferire particolareggiatamente il reperto istologico, potendomi limitare a dire che questo non è per nulla diverso da quello che descrissi per gli innesti eseguiti collocando le ovaie nella loro posizione normale. Tale genere d’ esperienze mi condussero tuttavia ad un risultato abbastanza raro ed interessante. Avendo io, per semplice comodità di mantenimento, collocate le coniglie operate insieme con molti altri conigli fra i quali alcuni maschi, ebbi al termine di 5 mesi dall’operazione il non atteso risul- tato di trovarne una gravida. Non ceredetti necessario di lasciare andar a termine la gravidanza e sacrificai 1’ animale. L’esame ma- croscopico all’ autopsia rivelò 1’ atrofia e quasi scomparsa di una delle ovaie innestate, e il completo sviluppo dell’ altra che ondeg- giava libera nella escavatio vescico-uterina, tenuta in posto da una plica peritoneale neoformata. L’utero perfettamente normale era gravido nel corno sinistro di un solo embrione già discretamente sviluppato. Nel luogo un tempo occupato dalle ovaie proprie del- l’ animale, non si notava traccia alcuna delle ovaie asportate, e solo una lieve nodosità nello spessore del legamento largo di destra. Siccome per ammettere che 1’ ovulo che venne fecondato fosse par- tito dall’ ovaio innestato bisognava escludere nel modo più assoluto che vi fossero residui degli antichi ovarii vicino al padiglione delle tube così fissai in sublimato non solo la nodosità del legamento largo, ma tutto in blocco il tessuto lasso che si trovava presso la tube e lungo i corni uterini. Eseguite un numero grandissimo di sezioni in vari piani del blocco di tessuto fissato, non mi fu dato di rinvenire in alcune un tessuto che avesse 1 aspetto di parenchima ovarico. Che poi la gravidanza non fosse dovuta alla fecondazione di un ovulo che già si trovasse nell’utero è quasi con certezza escluso pel fatto che essa si manifestò solo dopo 5 mesi di continua vicinanza col maschio in una stagione favorevole alla copula. 926 C. FOÀ Questo risultato sperimentale trova riscontro in uno analogo ottenuto da Grigoriev dopo un innesto autoplastico di ovaie lontano dalla loro posizione normale. È un risultato che porta un contributo alla conoscenza della cosidetta migrazione esterna del- l’ uovo, che significa 1’ accorrere di esso nell’ interno dell’ utero da punti della cavità addominale anche lontani assai dall’ ostio delle tube Falloppiane. Ma su tale questione e sull’ interpretazione da dare a tale migrazione esterna dell’ uovo ritornerò in un’altra prossima nota riferendo in essa pure altri risultati sperimentali. Una terza serie di esperienze si riferisce all’ innesto delle ovaie embrionali in \maschi posti in condizioni varie. Già Preobra- chensky, Herlitzka, Schultz ed altri si occuparono di tal genere di ricerca, ma questi sperimentatori si servirono di ovaie adulte, tranne Schultz le cui esperienze ho già discusse nella mia nota precedente !). Io volli tentare l’innesto dell’ovaio embrionale che già aveva dato nella femmina dei buoni risultati, ed eseguii tali innesti sulla cavia. La tecnica operatoria era semplicissima, poichè non facevo che estrarre da una piccolissima ferita aperta nelle pareti addominali di una cavia maschio l’omento e cucire ad esso l’ovaio tolto a cavie neonate. Come già aveva fatto Herlitzka scelsi come punto d’innesto l’ omento perchè più facile mi sarebbe poi riuscito l’andare alla ricerca dell’organo trapiantato. | Le esperienze di questa serie vennero divise nei seguenti gruppi: 1. Imnnesti in maschi adulti. 2. » » » impuberi. DI » » » impuberi e castrati al momento dell’ innesto. 4. » » » adulti» » » » » » D. » » » » » » qualche mese prima, quando erano ancora impuberi. Lo scopo di queste esperienze era di ricercare se 1’ organismo maschile costituisse un’ ambiente favorevole o no alla funzionalità delle ghiandole sessuali femminili, e se avessero un’influenza sulla riescita dell’esperimento la presenza o la mancanza delle ghiandole sessuali maschili. Malgrado ingente numero delle operazioni eseguite, e la varietà delle condizioni in cui tali esperienze si effettuarono, il risultato è identico per tutti gli innesti eseguiti sui maschi. Mediante laparatomie esplorative eseguite con molta cautela dopo 20, 60, 100 e 120 giorni dall’ operazione potei seguire dall’ esame esterno dell’ ovaio innestato il suo stato di conservazione. Nei casi in cui l operazione era stata bene eseguita i reperti furono 1) Sulla nota di Schultz v. pure Herlitzka. « Biolog. Centralbl. ». BA TX SULL’INNESTO DELLE OVAIE 927 i seguenti. Dopo 20 giorni | ovaio aderente per un margine ha le dimensioni, il colore e l aspetto della superficie identici a quelli che aveva al momento dell’ innesto. Dopo 60 giorni l’ ovaio è ingrossato, roseo, con qualche piccolo follicolo visibile sulla superficie. Dopo 100 e 120 giorni esso è ridottissimo di volume, flaccido, privo di follicoli visibili. L’ esame microscopico eseguito dopo gli stessi periodi di tempo sulle ovaie innestate in conigli diversi, dimostrò che la struttura del parenchima ovarico era preci- samente quella che appariva dall’ aspetto esteriore, cioè struttura embrionale dopo i primi 20 giorni; sviluppo ulteriore e formazione di follicoli di Graaf dopo 60 giorni, poi regressione ed atrofia del parenchima ovarico nel periodo di tempo successivo. In taluni casi l’atrofia non incomincia che dopo 150 giorni o più. L'organismo maschile concede dunque all’ ovaio di svilupparsi solo fino ad un certo punto, e poi ne determina la lenta e progressiva atrofia. Quanto alla ragione che determina questo fatto non la si può ricercare su una azione inibitrice sullo sviluppo dell’ovaio esercitata dalla ghiandola sessuale maschile, poichè il risultato è identico anche quando il maschio venne castrato, e neppure si può invocare una azione esercitata da un organismo che malgrado non possieda più ghiandole sessuali, fu da esse un tempo per così dire mascoli- nizzato, perchè il risultato è lo stesso anche quando il maschio venne castrato giovanissimo e divenne adulto senza ghiandole sessuali. Piuttosto quindi che alla presenza di alcunchè che ostacoli lo sviluppo dell’ ovaio nel maschio, la causa di questo mancato sviluppo credo si debba ricercare nella mancanza di organi che lo favoriscono, e per studiare il valore di una tale ipotesi tentai un’altra serie di esperienze, le quali per cause indipendenti dall’atto operativo, non diedero buon risultato e dovranno. essere ripetute. Esse consistono nell’innestare l’ovaio embrionale in coniglie a cui vennero asportati nella prima età l’utero, le tube e le ovaie e che divennero adulte senza questi organi. È chiaro allora che se un’in- fluenza venisse esercitata sull’ ovaio innestato dall’ utero e dalle tube, questa sarebbe abolita in tal genere d’ esperienze, di cui i risultati ci permetterebbero di studiare meglio i rapporti di inter- dipendenza che esistono fra ovaio, utero e tube, e potrebbero illu- minarci intorno alle cause dell’ insuccesso dell’ innesto nei maschi. Dalle esperienze finora esposte possiamo trarre le seguenti con- clusioni : 1.° L’ ovaio embrionale attecchisce innestato sia in coniglie impuberi che in adulte, e conserva la sua funzionalità anche se viene trapiantato in un sito lontano dalla sua posizione normale. 328 C. FOÀ 2.0 È dimostrata la possibilità di una migrazione dell’ uovo nell’ utero da punti lontani della cavità addominale. 3.° L’ ovaio embrionale innestato in un organismo maschile conserva per un po’ di tempo la sua struttura embrionale, poi procede un po’ nello sviluppo, ma in un periodo di tempo che può variare dai 90 ai 170 giorni regredisce e si atrofizza progressiva- mente fino alla completa riduzione. CARLO FOA allievo nell’istituto di Fisiologia nell’ Università di Torino diretto dal Prof. Angelo Mosso. Torino, Aprile 1901. . C. FOÀ 929 Sul trapiantamento dei testicoli. Nel 1860 il Mantegazza ‘), riprendendo con. metodi più scien- tifici le esperienze sugli innesti che erano state fino ad allora piuttosto argomento di curiosità, che non vero e proprio oggetto di ricerca, si occupò pure del trapiantamento del testicolo nella rana, giungendo a risultati che, affatto nuovi pel loro tempo, sono ancora oggi lar- gamente citati in molti testi di biologia. E questo avviene perchè, malgrado altri sperimentatori si sieno occupati più tardi dello stesso argomento, giungendo a risultati opposti, essi sperimentarono con altri animali, in generale con mammiferi, e non si curarono di porre in rapporto i loro risultati con quelli del Mantegazza; cosicchè passa come cosa provata che VV innesto del testicolo nella rana si può fare senza danno della ghiandola, la quale mantiene la propria struttura e la propria funzionalità. Chi però legge attentamente i lavori originali del Mantegazza, nota la mancanza di un rigoroso controllo dell’ esperienza, e una tendenza a formulare ipotesi che non hanno una vera base sperimen- tale positiva. Basterà dire che il Mantegazza avendo innestato un testicolo sotto la cute del ventre di una rana femmina, e avendo visto uleerarsi lentamente fino alla perforazione i muscoli dell’ ad- dome, immaginò che questo avvenisse per una compressione eser- citata dal testicolo che veniva vivamente attratto dalle uova poste al di là della parete muscolare su cui esso poggiava. E basterà ancora riferire come essendosi formata un’ulcerazione e una. perfora- zione della pelle, analoga a quella della parete muscolare, nel sito del- l’ innesto, il Mantegazza immaginò che quel forellino stesse a ì) MANTEGAZZA P. - Della vitalità dei nemasperni della rana, e del tra- piantamento dei testicoli da un animale all’altro. 1860. MANTEGAZZA P. - Degli innesti animali, e della produzione artificiale delle cellule. 1865. 330 i C. FOÀ indicare un principio di formazione del canal deferente. Se si pensa che non venivano usate cautele asettiche nell’operare le rane, e che queste venivano poi tenute in acquari terrosi inquinati senza dubbio da ogni sorta di bacteri, si capirà come quei fenomeni ulce- rativi fossero dovuti a processi infettivi e suppurativi, che alteravano le condizioni dell’ esperienza. Ma è naturale che il Mantegazza non abbia dato grande importanza a questi fenomeni, in tempi in cui delle nozioni bacte- riologiche ancora scarse si teneva poco conto. Tuttavia 1’ aver visto citati in più testi anche autorevoli i risul- tati di quelle esperienze, e 1’ esser venuto a. conoscenze di lavori consecutivi che le contraddicevano e che pure non erano presi in considerazione, mi decise a riprendere quelle esperienze, ed a ripe- terle sia sulle rane, che sui mammiferi superiori. Esperienze sulle rane. Il Mantegazza innestava il testicolo di rana sotto la eute del ventre, o nel sacco linfatico dorsale di altre rane: (maschi, femmine, e rane d’altra specie). Dopo un certo numero di giorni (in alcune esperienze fin dopo 70 giorni), egli esaminava il testicolo innestato spappolandone un po’ sotto al microscopio e trovava ancora gli sper- matozoi vivi e mobili. Da questo solo dato egli dedusse che un organo così complesso come il testicolo può esser trapiantato da un individuo all’altro, e può vivere nel nuovo organismo per lo spazio di 70 giorni. Nei lavoro del 1875 il Mantegazza dice a proposito della milza che essa come il testicolo presenta dopo parecchi mesi la stessissima struttura che aveva nel primo momento in cui fu tolta dall’ animale a cui apparteneva. Ed altrove dice: «il testicolo vive in un organismo femmina come in un maschio, nella cavità del ventre, come sotto la pelle dell’addome, delle coscie e del dorso ». Ma a provare tutto questo non stava che il fatto d’aver trovato gli spermatozoi viventi spappolando il testicolo, poichè, dice il Man- tegazza, «quando abbiamo trovato il testicolo aderente al nuovo organismo non abbiamo creduto necessario di ricorrere a iniezioni 0 a fini dissezioni per persuaderci che il testicolo faceva parte (1) del nuovo corpo, perchè si scorgevano chiaramente molti vasi sanguigni che lo rannodavano col nuovo organismo ». È evidente che, data la estrema delicatezza del tessuto testicolare, i dati che servirono al Mantegazza per trarre le sue conclusioni, non sono sufficienti, e di questo sono prova evidente i risultati affatto contrari ottenuti lo SUL TRAPIANTAMENTO DEI TESTICOLI 891 scorso anno da A. Herlitzka !), operando il trapiantamento dei testicoli nei tritoni. Egli con un accurato esame microscopico dei testicoli innestati, riscontrò da un lato una progressiva alterazione del tessuto ghiandolare di cui le cellule erano in preda a processi degenerativi gravissimi, d’altro lato un’ abbondante infiltrazione di cellule migranti seguita da una neoformazione di tessuto connettivo sempre più crescente fino a sostituire completamente tutto il tessuto proprio del testicolo. E ciò malgrado il testicolo aderiva al nuovo organismo, e vi scorrevano sulla superficie abbondantissimi vasi neoformati, e non aveva mutato l’aspetto esteriore di un testicolo normale! Come conciliare, dunque, la permanenza della vitalità dei nema- spermi trovata dal Mantegazza, e confermata dal Bizzozero ?), colla degenerazione del tessuto ghiandolare dimostrata dalle espe- rienze di Herlitzka? La vitalità dei nemaspermi è grandissima. Il Mantegazza stesso nei lavori citati, dimostrò che essi possono gelare e sgelare 4 volte di seguito senza morire. Si poteva quindi supporre che essi vives- sero indipendentemente dalla ghiandola che li aveva prodotti, e dalla quale unicamente venivano protetti, nell’ innesto, contro il pericolo della fagocitosi. Per constatare se ciò fosse, operai una serie d’innesti di testicolo nelle rane, collocando la ghiandola inne- stata, o sotto cute nei sacchi linfatici dorsale e ventrale, o nella cavità addominale. In ogni caso l’ operazione era semplicissima, e procedeva senza cautele asettiche. Alcune esperienze durarono un mese, perchè non mi fu possibile di far vivere più a lungo delle rane in istato di cattività. Non tengo conto delle rane morte spon- taneamente per non incorrere in errore. Al termine dell’esperienza venivano sacrificati gli animali, e una parte di testicoli innestati esaminavo a fresco per studiare la vitalità dei nemaspermi, un’ altra parte ne fissavo in sublimato (secondo Heidenhain), e procedevo ad un accurato esame istologico delle sezioni. Il decorso di queste esperienze ed i risultati che se ne ottennero sono i seguenti: Quando il testicolo veniva innestato sotto cute raramente contraeva aderenze, e lo si trovava per lo più migrante nei sacchi linfatici ancora al termine dell’ esperienza. Quando invece veniva innestato nella cavità addominale quasi sempre e presto continuava aderenze con qualche lamina mesenterica. Nel primo caso al termine dell’ esperienza il testicolo si mostrava leggermente 1) HERLITZKA A. - Sul trapiantamento dei testicoli. Arch. f. Entw. mech. der Organismen. Bd. IX H. 1. 1899 e Archt. It. de Biol. *) Bizzozero G. - Sulla vitalità degli elementi contrattili. Napoli 1868. 392 C. FOÀ appiattito, un po’ più pallido e un po’ più molle del normale. Nel secondo caso era invece un po’ indurito e la sua superficie era abbondantemente vascolarizzata. Nell’ un caso e nell’ altro all’ esame a fresco potei anch’io constatare ancora dopo un mese dall’innesto l’ esistenza di spermatozoi vivi, per quanto non tutti lo fossero, e molti si presentassero o immobili o frammentati. Era dunque confermato che nell’ innesto del testicolo almeno una parte degli spermatozoi mantengono anche per un mese la loro vitalità. L’ esame delle sezioni diede risultati diversi per le due specie d’innesti. Per i testicoli trapiantati sotto cute il reperto isto- logico è il seguente: sono ben conservate per quanto prive di cario- cinesi le cellule di un solo strato di canalicoli seminiferi; il più periferico, e nel lume di questi canalicoli si notano degli spermatozoi ben conservati. Tutta la parte centrale della ghiandola è irricono- scibile. Non vi è più traccia di canalicoli nè di cellule di nessuna specie, ma tutto è ridotto ad un ammasso di granuli, di gocciole variamente coagulate dall’agente fissatore, e insieme rivela la più completa necrosi. Fra questi granuli sonvi dei ciuffi di spermatozoi che hanno conservata ottimamente la loro forma. L’ interpretazione di questi fatti non è difficile. Gli spermatozoi che si vedono vivi coll’ esame a fresco sono quelli che si trovano sparsi nei varii punti della sezione, ma della ghiandola solo i cana- licoli periferici si conservarono, perchè si nutrirono per osmosi dalla linfa circostante mentre la parte interna più lontana dai succhi nutri- tori degenerò rapidamente e si ridusse in una poltiglia amorfa. Quanto ai testicoli innestati nella cavità addominale essi subirono una sorte un po’ diversa, perchè, come già dissi,. contrassero aderenze e rapporti vascolari, e subirono per ciò non più una necrosi della ghiandola con perdita totale del tessuto, ma una vera sostituzione di un tessuto ad un’ altro. Una compatta massa di tessuto connet- tivo fibroso andò limitando progressivamente il lume dei canalicoli strozzandoli dall’ esterno, cosicchè in ultimo non ne rimasero che alcuni qua e là, e questi ancora contenevano spermatozoi. Sono questi gli spermatozoi che ritrovammo viventi sull’ esame a fresco. Il fatto che gli spermatozoi conservino la loro vitalità non è dunque indice della conservata funzionalità della ghiandola innestata, la quale al contrario degenera; tutto poi ci induce a credere che in una più prolungata esperienza l’ intero testicolo si trasformerebbe in una massa connettiva, o si necrotizzerebbe a seconda dei casi, e che malgrado ciò gli spermatozoi, se riescissero a scampare dalla fagocitosi, rimarrebbero vivi. Per provare la resistenza della vitalità dei nemaspérmi eseguii la seguente esperienza: Feci costruire dei tubetti di vetro che a metà avessero una strozzatura al disopra della SUL TRAPIANTAMENTO DEI TESTICOLI 399 quale il vetro fosse leggermente incavato. In questo incavo veniva collocato un testicolo di rana, e nella parte inferiore del tubetto veniva messa nell’acqua. Era così costruita una camera umida che poteva venire accuratamente sterilizzata e che tappata da un batuf- folo di cotone pure sterilizzato, assicurava all’organo ripostovi un ambiente umido, e al riparo dai processi putrefattivi. Collocato così un testicolo di rana ed esaminatolo a fresco fin dopo un mese, vi trovai degli spermatozoi vivi e mobili, mentre naturalmente tutto il resto della ghiandola era degenerato. Questa esperienza riproduce quasi esattamente quella degli innesti sotto cute, e ci dà la ragione dei risultati di questi. Per di più contraddice all’asserzione di Mantegazza che avendo visto i zoospermi sopravvivere alla rana fin 7 giorni, credette che essi vivano più a lungo se lasciati nel cadavere che nei testicoli asportati dall’ animale. Ed è naturale che questo non sia, perchè nei tubetti della mia esperienza gli spermatozoi venivano sottratti ai processi putrefattivi ai quali, invece, inesorabilmente vanno incontro restando nel cadavere. La ricerca e la discussione delle cause per le quali il testicolo non attecchisce nell’ innesto, verranno fatte più tardi, quando avrò riferito completamente tutti i risultati delle esperienze eseguite. Esperienze suîi mammiferi superiori. Del trapiantamento del testitolo nei mammiferi si occuparono Mantegazza 1), G6bbel ?°) e Ribbert ?). Il primo autore rife- risce alcune esperienze eseguite sulla cavia, le quali diedero senza eccezione risultato negativo. 1’ organo innestato degenerava rapidamente. G6bbel trapiantando in un coniglio i testicoli nella cavità addominale vide che degenerava la parte centrale della ghiandola e solo la parte periferica conteneva vasi e si manteneva per un certo tempo vitale. Con piccoli frammenti di testicolo l’espe- rienza riusciva meglio, e la parte innestata si manteneva più a lungo vitale. Ribbert trovò che le cellule epiteliali della ghiandola inne- 1) Loc. cit. d 2) GOBBEL - Centralbl. f. Path. Anat. Bd. IX. Heft. 18-19. ?) RigBerT - Veber Veriinderung transplantirter Gewebe. Arch. f. Entw. mech. der Organ Bd. XI Heft. 1°. RIBBERT - Veber transplantation von Ovarium, Hoden, und Mamma. Stesso Arch. Bd. VII. Heft. 4°. 354 C. FOÀ stata non degeneravano, ma subivano un processo di regressione tornando allo stato embrionale, mentre predominava il tessuto con- nettivo. Nel secondo lavoro il Ribbert dice che nei testicoli inne- stati nello stesso individuo dal quale vengono tolti, interi od a frammenti, si ha degenerazione del tessuto epiteliale per neofor- ‘mazione di connettivo. L’ epitelio dell’epididimo resiste più a lungo di quelli a funzione specifica. L’ A. crede che I’ innesto non riesca perchè la ghiandola non può versare all’ esterno il suo prodotto di secrezione e perchè le parti centrali restano prive di nutrimento. Alessandri !) dice brevemente che gli innesti di testicolo nella compagine di altri organi avevan dato sempre risultato negativo. Intraprendendo io una serie di esperienze sull’ innesto del testicolo negli animali superiori cercai di porre I’ organo trapiantato nelle condizioni di ambiente e di nutrizione più simili alle naturali. Ebbi pure per iscopo di indagare se vi fosse differenza nei risultati ope- rando con testicoli embrionali ed inattivi, o con testicoli adulti e funzionanti e se i trapianti autoplastici dessero miglior risultato degli omoplastici come avviene per le ovaie. Imnnesti di testicolo embrionale. Esp. 1. Tolto ad un cane di 3 giorni di vita uno dei testicoli che ancora si trovava nella cavità addominale e spogliatolo dei due primi involucri lo trapiantai nella cavità addominale di un giovane . cane, cucendolo all’omento per poterlo poi più facilmente ritrovare. Fatta per strati la sutura della parete addominale colle più rigorose cautele asettiche, coperta la ferita col collodion iodoformizato, lasciai a sè l’animale. Dopo un mese dall’ operazione lo sacrificai. Reperto macroscopico. — Ferita cutanea guarita per prima. Lieve aderenza peritoneale nel luogo della ferita. Omento libero nella cavità addominale. Il testicolo innestato si presenta fortemente aderente all’ omento stesso, un po’ rimpicciolito, e assai indurito. Lo stacco e lo fisso in sublimato. Reperto microscopico. — Nessuna traccia di tessuto ghiandolare; neppure un canalicolo ed una cellula epiteliale si sono conservati ; tutta la sezione è composta da un tessuto connettivo compattissimo che ha completamente sostituito ‘il tessuto ghiandolare. Non vi è perciò nulla di particolare da descrivere. Soltanto aggiungerò che l’epididimo è alquanto meglio conservato, notandosi ancora qua e !) Il Policlinico. Giugno 1896 e Luglio 1897. SUL TRAPIANTAMENTO DEI TESTICOLI 995 là qualche canalicolo in buono stato per quanto circondato da un abbondante strato di fibre connettive fittissimamente intrecciate. La descrizione di questa esperienza mi dispensa dal descriverne altre dello stesso gruppo, poichè eccettuate due, nelle quali non mi fu dato di trovare traccia dell’organo innestato, le altre cinque ese- guite tutte nelle identiche condizioni, mi diedero l’ identico risultato. Il trapiantamento autoplastico del testicolo embrionale non diede risultato migliore in cinque esperienze. Altre due esperienze eseguite lasciando al testicolo i due primi involucri ebbero pure per risultato la degenerazione completa del- l’ organo innestato, N Emmesti di testicolo adulto. Questi innesti vennero eseguiti in numero di sette nel seguente modo. Procedendo sempre colle più rigorose cautele asettiche met- tevo a scoperto un testicolo a due cani contemporaneamente pre- parato; avendo cura di scegliere animali che avessero i testicoli presso a poco della stessa dimensione di quelli del primo. Staccavo da un testicolo dei due animali un pezzo di ghiandola a forma di cuneo e della stessa dimensione, e scambiavo di posto i due frammenti aspor- tati. Ne cucivo con molta cura gli involucri, comprendendo in un primo strato la sola vaginale ed in un secondo strato tutti assieme gli altri involucri. Una difficoltà mi si è sempre presentata a questo punto dell’ operazione, ed è la grande esplosività (mi si conceda il termine) del tessuto testicolare il quale non appena si tenta di tagliarne un pezzo, fuoresce dai margini della ferita, e tende a riempire il vuoto lasciato dall’ asportazione del frammento. Con molta pazienza ed accuratezza si riesce a rimettere a posto la parte della ghiandola che tende a fuoruscire, e ad adattare alla ferita il nuovo pezzo di testicolo innestato. Molte volte invece di operare su due animali diversi, compiere l’esperienza sui due testicoli di uno stesso animale. Ho quindi eseguito col metodo esposto trapianti omoplastici e trapianti autoplastici. Il risultato che fu identico per le due specie d’innesti e per tutte le esperienze può venire in poche parole riferito, e ciò mi dispensa dal riferire partitamente le singole esperienze. Dopo 15 ‘giorni (talvolta anche solo dopo 10 giorni) sacrificai I animale. La ferita guarì sempre per prima intenzione, e non vi fu mai alcun caso che rivelasse 1’ esistenza di processi infettivi. Il testicolo ope- rato aveva conservato le proprie dimensioni, ma si presentava note- 396 C. FOÀ volmente indurito. All’ esame microscopico rivelò la più completa scomparsa del tessuto ghiandolare non solo nella parte innestata, ma anche nella parte dove l'innesto fu fatto, e la completa sosti- tuzione di tessuto connettivo compatto e duro. Visto questo risultato negativo, pensai se non fosse possibile di innestare tutto intero l’organo nel posto che gli è normale, ristabi- lendogli il più possibile le connessioni di cui abbisogna. Si trattava cioè di togliere dallo scroto un testicolo con un pezzo di funicolo sper- matico, e sostituirlo ad un testicolo simmetrico tolto ad un altro animale. Si poteva perciò tagliare le tonache esterne così del testicolo come del funicolo spermatico, lasciando loro aderente soltanto la vaginale che non può venir tolta senza danno del testicolo (Ales- sandri ‘); togliere poi il testicolo con un pezzo di funicolo e trasportarlo nello seroto di un altro animale al quale si fosse fatta la identica operazione si sarebbero ricucite al disopra del testicolo innestato le membrane, non senza aver prima operato la sutura dei due monconi di canal deferente con uno dei metodi in uso nella pratica chirurgica. Ma una grave obbiezione si presentava a questo modo di operare, ed era questa: che non si sarebbe potuta ristabilire la circolazione interrotta nel funicolo spermatico, e neppure si sarebbe potuto sperare ch’essa si riattivasse nella ghiandola pro- venendo dalle tonache esterne. Perciò l’ innesto non avrebbe potuto dare risultati migliori di quelli che dia l’ esperienza della legatura dei vasi nel cordone spermatico, e noi sappiamo dal lavoro del- VV Alessandri *) come quest’operazione conduca a morte il testicolo. Ho perciò rinunciato all’esperienza che ho descritta perchè a priori si poteva prevedere con certezza un esito negativo. Restava perciò già assodato dalle precedenti esperienze che e testicolo così embrionale che adulto non attecchisce negli innesti sia inne- stato completo nella cavità addominale, che a frammenti nella compa- gine di un altro testicolo, e che il risultato è ugualmente negativo negli innesti autoplastici e negli omoplastici. Piscussione dei risultati. Un primo dubbio che con un ragionamento aprioristico potrebbe sorgere, è che il risultato dell’ innesto del testicolo debba essere diverso secondo che si tratta di innesto autoplastico o di innesto omoplastico. Questa questione è risolta completamente dalle espe- rienze che ho più sopra riferito, dalle quali appare chiaro come le !) Il Policlinico - Anno IV. 1 Aprile 1897. 2) Loc. cit. SUL TRAPIANTAMENTO DEI TESTICOLI BEIA due specie d’ innesti diano identico risultato, cosa che del resto avevo già fatto notare in una recente nota sul trapiantamento delle ovaie ‘). Eliminato quindi questo fattore come causa d’insuccesso si dovevano cercare delle cause dovute non già all’ ambiente nel quale il testicolo veniva innestato, ma ai trattamenti fatti subire alla ghian- dola nell’ atto operativo. Il Ribbert attribuisce alla mancanza del dotto deferente la degenerazione del testicolo, non potendo esso più versare all’esterno il suo prodotto di secrezione. Che la mancanza o .1’ occlusione. del dotto spermatico provochi gravi alterazioni nel tessuto ghiandolare del testicolo venne dimostrato da molti sperimentatori ?). Ma nel caso dell’ innesto del testicolo all’ interpretazione del Ribbert si oppongono i risultati di.Herlitzka il quale avendo trapiantato dei testicoli nei. tritoni lontano dall’ epoca degli amori, quando la ghian- dola ancora non secerneva, li vide ugualmente degenerare, pur non abbisognando essi di dotto escretore. D’altra parte vedemmo nel corso delle nostre esperienze come avvenga la degenerazione del testicolo embrionale innestato, il quale senza dubbio non funziona, a non ha bisogno di dotto escretore, tant’ è che questo può venir legato, senza apportare inconvenienti alla ghiandola fino a tanto che essa non diventi adulta e funzio- nante *). La mancanza del dotto deferente non si può quindi invo- care come unica causa dell’insuecesso dell’innesto, perchè questo avviene anche quando di dotto deferente non v’è bisogno. Ma poichè è dimostrato che un testicolo funzionante è danneg- giato dalla mancanza di dotto deferente, questa potrà essere consi- derata come causa concomitante dell’ insuccesso (insieme con altre ‘cause che or ora vedremo) per gli innesti eseguiti dal Ribbert, per quelli operati da Herlitzka sui tritoni nell’ epoca degli amori, e per i miei eseguiti sulla rana con testicoli funzionanti. Il Ribbert è pure propenso ad attribuire alla mancanza di vascolarizzazione la degenerazione dell’organo innestato. Se questa può esser la causa dell’ insuccesso negli innesti da me eseguiti sulla rana dove il testicolo trapiantato nei sacchi linfatici non contraeva . aleune aderenze, non può però servire a spiegare l’insuccesso negli 1) Foà C. - L'innesto delle ovaia in rapporto con alcune questioni di bio- logia generate: Rivista di Sc. Biolog. V. II. n. 6-7. Arch. It. de Biologie. BRPAONONEV.., Fasc. 1°. ?) MaLassEz Er TERILLON - Arch.de phis. norm. et path. 1880. VII. 769-789. G&rIerITHs - Lancet 18 Aprile 1895. ALESSANDRI - Policlinico. Anno II. 1 Maggio 1895. 3) GRIFFITHS - Loc. cit. Riv. DI BIOLOGIA GENERALE, III. 22 33800 0. FOÀ altri innesti eseguiti da Herlitzka sul tritone e da me sulla rana, ‘in cui il testicolo trapiantato nella cavità addominale, contraeva aderenze con lamine mesenteriche, e da esse veniva abbondante» mente e rapidamente vascolarizzato non solo sulla superficie, ma in tutta la compagine ghiandolare. Eppure la mancanza di vasi è un fattore del quale si deve in molti casi tener conto, perchè venne dimostrato che la legatura di essi tanto fatta in massa, quanto portata sui singoli elementi vasali del cordone spermatico provoca gravissime e svariate lesioni nel testicolo !). In quei casi dove non si può ricer- care la causa dell’insuccesso, nè nella mancanza del dotto deferente, nè nella mancanza di vasi, non è improbabile che esso sia dovuto ad una mancata ricostituzione delle vie di conduzione nervosa; e senza voler parlare di vero trofismo, può essere che negli innesti, la mancanza di innervazione della ghiandola contribuisca a farla degenerare. Questa supposizione è avvalorata dalle esperienze di Obolenscki °), le quali dimostrarono come in seguito al taglio del n. spernratico sotto Vl apertura esterna del canale inguinale, si ha dege- nerazione grassa e successiva atrofia del testicolo. Nei casi poi in cui il testicolo non venne asportato intero dalla sua situazione naturale, ma di esso venne innestato un frammento nella compagine di altro tessuto testicolare, la causa della degene- razione non si può attribuire alla mancanza di dotto deferente, nè di vasi, nè di nervi, perchè degenera insieme colla parte innestata anche quella che la ospita, e che pure possiede ancora integri tutti quegli elementi. In questi casi l’insuccesso è dovuto molto proba- bilmente a due cause : 1° all’aver tagliati i canalicoli della ghian- dola, in modo che certamente essi non si possano più ricostituire 2° alla compressione esercitata sulla ghiandola dagli involucri sutu- rati al disopra di essa, e che data 1’ esplosività del. suo tessuto, la tengono certamente più compressa che non nelle condizioni nor- mali. E questo avviene perchè è quasi impossibile innestare una parte di ghiandola che abbia esattamente lo stesso volume della parte asportata, e perchè colla sutura, per quanto accurata, gli invo- lueri vengono senza dubbio ristretti. Se si pensa che basta una con- tusione per far cessare la funzionalità di un testicolo, non riuscirà difficile ammettere che le manipolazioni a cui ho or ora accennato. siano causa della degenerazione della ghiandola. Come conclusione di queste considerazioni mi pare di poter atfer- 1) DuBROVvO - Gaz. méd. de Paris, 1876. n. 27. ALESSANDRI - Loc. cit. °) OboLENSCHY - Centralbl. f. med. Wissensch. 1867. p. 297. SUL TRAPIANTAMENTO DEI TESTICOLI 399 mare che il testicolo nell’innesto degenera in ogni caso per cause traumatiche apportate dall’operatore, e che volta a volta possono essere lesioni portate al dotto deferente, ai vasi, od ai nervi quelle che determinano la degenerazione del testicolo innestato, poichè coi metodi operativi finora usati non si riuscì mai a ridonare alla ghian- dola trapiantata tutte le vie di conduzione e di comunicazione col- l’ambiente circostante che sono in natura e che sono necessarie a mantenergli la sua funzionalità. CARLO Foà allievo nell’Istituto di Fisiologia nell’ Università di Torino diretto dal Prof. A. Mosso. NOTE CRITICHE E COMUNICAZIONI Sui residui della fontanella metopica o medio-frontale Nota preventiva Un notevole studio del prof. Schwalbe !) sulla fontanella metopica nell’ uomo mi fornisce 1’ occasione di far noti alcuni casi analoghi (qualche altro caso spero ancora di trovare) a quelli illustrati dall’ anatomico di Strasburgo, da me trovati nel Museo dell’ Istituto Antropologico di Roma, e che possono servire ad arricchire la casuistica : non è mai inutile accre- scere il materiale di studio, sul quale poi si potranno fare delle deduzioni, che a priori sarebbe puerile enunciare. Lo Sehwalbe adunque (accenno brevemente) o la spiegazione della molteplicità dei frontali, già messa avanti dal Maggi ?), perchè se- condo lui nella filogenesi non esisterebbero che due frontali 3). Però fa la supposizione che 4 centri si possano sviluppare nell'uomo non come fatto atavico, ma come fatto progressivo, consecutivo a maggior sviluppo ence- falico. Esclude che si possa trattare di un disuguale accrescimento nei raggi ossei, perchè allora non si saprebbe spiegare la posizione, che lui crede costante, dell’ anomalia. È un fatto che anche in quattro nostri cranî adulti, cioè in un cranio della Carinzia N. 381 del Cat.,in un cranio delle Canarie N. 2041 del Cat., in-un cranio Romano N. 1270 del Cat., ed in un cranio Melanesiano N. 782 del Cat., coincidono quei solchi trasversali che lo Schwalbe giudica residui fontanellari con la posizione da lui indicata, cioè verso la metà del terzo inferiore dell’ arco frontale, e in altra posizione non sì trovano. Si può addurre da quelli che negano ]’ esistenza della fontanella metopica che si tratti di segmenti trasversali di una sutura metopica che in tutto il resto si fosse obliterata. Ma. oltre che dentellature trasversali 1) ScnwaLBE. — Veber die Fontanella metopica (medio-frontalis) und ihve Bildungen. Zeitserifth fiir Morphologie und Anthropologie Band III, Heft. I, 1901. Vi è riferita tutta la letteratura. 2) MAGGI. — FMontanella metopica e frontali medii rai nei vertebrati superiori. Rendiconti del R. Ist. Lomb. di sc. e lett. 1899; e altri lavori a 3) Lo Schwalbe non tien conto forse di tutti i dati. Cfr. Frassetto: Sui quattro centri di ossificazione del frontale in un cranio di Equus ve juv. Bollettino dei Musei di Zoologia ed Anatomia comparata della R, Università di Torino. Vol. XVI, Febbraio, 1901, SUI RESIDUI DELLA FONTANELLA METOPICA 341 così estese non si riscontrano di solito in quella porzione della sutura me- topica, resterebbe sempre inesplicabile la costanza dell’ ubicazione e la pro- fondità notevole dei solchi: realmente i residui della sutura metopica pre- sentano un aspetto evanescente, superficiale, enon sono mai isolati nettamente. Poi la sutura ad Y che dallo Sehwalbe e da altri è stata riscontrata nella stessa posizione sarebbe ugualmente inesplicabile : di questa forma si vede un esempio nel cranio Umbro infantile N. 461 del Cat., appartenente al nostro Museo, e questo esempio è tanto più eloquente inquantochè la branca destra dell’ Y si prolunga in alto per una lunghezza doppia dell’ altra branca e poi alquanto si ricurva ; inoltre le due branche vengono ad essere riunite da un piccolo solco accennato nell’ osso stesso, cosicchè, se teniamo conto di ciò, viene ad essere delimitato un ossicino oblungo : solo la posizione è alquanto più in basso che negli altri casi. Infine sarebbero inesplicabili certi segni che si riscontrano nella superficie endocranica dei frontale, dei quali quello figurato dallo Schwalbe nella fig. 3 della tav. III, essendo a forma di Y, mi sembra particolarmente eloquente. Non è realmente azzardato ammettere che i solchi trasversali accennati, esattamente identici a quelli figurati dallo Schwalbe, siano residui fontanellari, avendo analogia con una piccola scissura trasversale che si può trovare all’obelion e che rappresenta il residuo della fontanella obelica o del Gerdy, la quale alla sua volta è il residuo del foro pineale 1). Anche la presenza di fori nella parte del frontale in discorso è stata dallo Staderini giudicata un residuo fontanellare ?), ed io pure ho ammesso che tale significato abbiano sia i forami parietali, sia il forame interparietale 3). Quanto a quest’ ultimo che si trova nella squama dell’ oc- cipitale in vicinanza del punto occipitale massimo devo notare che lo Sta u- renghi lo considera come temporaneo nell’ uomo 4‘), mentre secondo le 1) MAGGI. — Risultati di ricerche morfologiche intorno ad ossa e fontanelle del cranio umano. Rendiconti del R. Ist. Lomb. di sc. e lett. 1898, p. 6 dell’estratto. Il Papillault (Le transformisme et son interprétation en craniologie. Bull. de la Soc. d’Anthrop. de Paris 1897, Fasc. 4) ha ripresa questa idea per spiegare la scissura parietale : io però ho fatto notare che bisogna distinguere due fatti morfologici, a seconda che questa scissura è di piccola estensione, essendo allora corrispondente alle dimensioni della fontanella, ovvero prende un’estensione molto maggiore, essendo in questo caso spiegabile soltanto con la teoria dei quattro nuclei di ossificazione del parietale. Cfr. Giuffrida-Ruggeri Sul significato delle ossa fontanellari e dei forami parietali e sulla pretesa penuria ossea del cranio umano. Atti della Società Romana di Antropologia. Vol. VII, Fasc. III. 2) STADERINI. — Osservazioni anatomiche. II. Intorno alla fontanella medio-frontale del cranio umano. Atti della R. Acc. dei Fisiocritici, Siena 1596. 3) GIUFFRIDA-RUGGERI. — Loc. cit.Il Papillault (loc. cit.) spiega i forami parietali come dovuti alle vene oftalmiche dell’ occhio pineale. Questa precisione di identifica- zione non mi pare necessaria: secondo me è sufficiente dire che si tratta di residui fontanellari, spiegazione che essendo valevole anche per gli altri forami accennati, e probabilmente anche per alcuni forami che chiamerei parabregmatici, ha il vantaggio di essere generale. 4) STAURENGHI. — Nuove osservazioni di craniologia. Pavia 1900, p. 17. — Cfr. anche Ranke (Die iiberzihligen Hautknochen des menschlichen Schideldachs. Abhandl. der k. bayer. Akademie der Wiss. CI. II, Bd. XX. Abth. II, 1899) che dice di non aver mai trovato tale forame nè in cranî infantili nè in cranî adulti (p. 170 dell’ estratto), ma che l'avrebbe trovato invece negli antropoidi, per lo meno negli Hylobates, se vogliamo interpretare così quanto egli scrive a pag. 72 della sua pregevole memoria. 342 V. GIUFFRIDA-RUGGERI mie osservazioni è abbastanza frequente nei cranî Melanesiani, e talora si riscontra negli Europei adulti, della dimensione degli ordinarî forami parie- tali. Giustamente quindi il Maggi che lo chiama foro mediointerparietale dice che esso si può mantenere anche in età più avanzata tanto durante la vita intrauterina che extrauterina !). Infine il Maggi stesso sin dal 1896 accennava a « fontanelle che in seguito possono venire ridotte a un foro transitorio o permanente ». Quindi non è meraviglia che ciò avvenga, come ha pensato lo Staderini, per la fontanella metopica. Aprile 1901. Dr. V. GIUFFRIDA-RUGGERI Assistente di Antropologia nell’ Università di Roma. DI 1) MaGGI. — Centri di ossificazione e principali varietà morfologiche degli interparie- tali nell'uomo. Rendiconti del R. Ist. Lomb. di sc. e lett. 1896, p. 16 dell’ estratto. (Hi pa ww RASSEGNA BIOLOGICA RASSEGNA BIOLOGICA E Fisiologia, CHARPANTIER A. — Trasmissione nervosa d’un eccitamento elettrico istantaneo. — (Accademia delle Scienze, Parigi. V. Sèm. Med. 27 Février, 1901). Importantissimi i risultati e le conclusioni dell’ A., secondo il quale, quando si imprime ad un nervo una eccitazione elettrica breve, una parte di questa eccitazione è trasmessa press’ a poco istantaneamente come per mezzo di un conduttore ordinario, mentre l’ altra parte, accresciuta o no da una reazione del nervo, si trasmette colla velocità, assai moderata, del- l’influsso nervoso (da 20 a 30 m. per m.’). Questa seconda parte dell’ ecci- tamento è ancora di natura elettrica, poichè essa può essere condotta a distanza da un filo metallico e provocare in un altro animale, o sopra un’ altra regione dello stesso animale, una contrazione muscolare, per l’inter- mezzo di un nervo motore. Inoltre, in capo a qualche periodo isocrono molto piccolo, consecutivo alla eccitazione originaria, il filo metallico con- duce al secondo nervo una nuova eccitazione. Per conseguenza, non sola- mente il nervo eccitato fornì al conduttore metallico elettricità diretta, ma ancora quest’ ultima prese un carattere oscillatorio che 1’ eccitazione primi- tiva non aveva. C. LEGGIARDI-LAURA. ROTHMANN. — Sulle funzioni del fascio piramidale. — (Società medica di Berlino. Seduta del 13 febbraio 1901. V. Sém. Médicale, 27 Février, 1901). i L’A. potè constatare che nel cane la distruzione bilaterale del fascio piramidale e del cordone di von Monakow nella parte superiore del bulbo determina 1’ apparizione di fenomeni spasmodici analoghi a quelli prodotti nell’ uomo dalla lesione diretta della corteccia. La sezione unilate- rale del cordone di von Monakow e del fascio piramidale produce una paralisi transitoria. Pare adunque che abbiano ragione quegli autori i quali attribuiscono al cordone di von Monakow una funzione supplettiva del fascio piramidale. C. LEGGIARDI-LAURA. Z4d. RASSEGNA . BIOLOGICA Rossi GIOVANNI. — Sul sistema nervoso sottointestinale dei Miria- podi. — Atti della R. Accademia Lincei, vol. X, fasc. VIII. Il sistema nervoso sottointestinale di Julus terrestris non è a catena, nè a scala a piuoli, come negli altri miriapodi, ma è « un vero cilindro appiattito, senza gangli, senza commessure, senza connettivi ». Per ogni segmento del corpo vi sono quattro paia di nervi, dei quali il primo e terzo vanno al primo e secondo paio di piedi, e il terzo e quarto paio di nervi si distribuisce al tronco, alternandosi così per tutta la lunghezza del cordone la innervazione pediale con quella del tronco. Per quanto riguarda la struttura istologica è da notare che le cellule nervose, com’era da aspettarsi, data la assenza di rigonfiamenti, sono uniformemente distribuite lungo tutto il cordone. L’ A. viene poi a deseri- vere gli elementi del cordone. Allo scopo di comparare il sistema nervoso sottointestinale dei diplopodi (cui appartiene Julus) cogli altri miriapodi detti chilopodi Rossi ha fatto alcune osservazioni sopra la Scolopendra cingulata. Già era nota in questa la esistenza in ogni segmento di un ganglio che dà origine a quattro paia di nervi ed è collegato ai gangli degli altri segmenti per mezzo di connet- tivi. Le indagini di Rossi dimostrano fra l’altro che nella Scolopendra vi ha anche istologicamente un vero differenziamento, trovandovisi, localizzata nei soli gangli, quella stessa struttura che si osserva nel cordone di Julus per tutta la sua lunghezza. La condizione di quest’ ultimo corrisponde a quella riscontrata nel sistema nervoso embrionale degli insetti e di alcuni vermi; mentre la disposizione dei chilopodi somiglia piuttosto a quella presentata dagli insetti adulti. « Nei diplopodi (Julus) dunque » conchiude V’A., « v'ha un importante carattere d’inferiorità rispetto ai secondi ; resta a vedere se trattasi di primitività o di regresso ». PX: VAN GEHUCHTEN. — Il nervo accessorio di Willis nelle sue connes- sioni collo pneumogastrico. — (Comunicazione fatta all’ Accademia. Belga di medicina di Bruxelles. V. Sem. med. 27 Février 1901). L'A. dalle ricerche sperimentali fatte colla collaborazione di Bochenek (di Cracovia) viene a queste conclusioni : Lo spinale dà effettivamente fibre motrici al pneumogastrico, le quali, contrariamente a ciò che pretendono alcuni fisiologi, non contribuiscono per nulla alla innervazione della faringe, dell’ esofago, dello stomaco, della trachea, del cuore e dei polmoni, ma servono unicamente all’ innervazione della laringe. C. LEGGIARDI-LAURA. RASSEGNA BIOLOGICA 345 BATAILLON E. — La pression osmotique et les grands problèmes de la biologie. — « Arch. f. Entwickelungsmech ». Bd. XI, Heft I, 18 Gennaio, 1901. Un fattore così generale come la pressione osmotica dei plasmi cellulari deve prestarsi a illuminare le questioni biologiche più svariate. La impor- tanza di quel fattore pel determinismo ontogenetico salta agli occhi quando sì pensi che la cellula uovo ha un contenuto fluido fisicamente sottomesso alle leggi dell’ equilibrio, e ch’ essa cellula inoltre è rivestita da inviluppi partecipanti alle proprietà delle membrane semipermeabili. Da tali condizioni risulta che il plasma ovulare è esposto a variare mol- tissimo nel grado della sua idratazione. In una serie anteriore di ricerche era stato infatti osservato dal Bat'aillon che le uova dei teleostei all’atto in cui vengono deposte subiscono notevole idratazione passando dal mezzo materno ad un ambiente a pressione osmotica più debole. Secondo Bataillon il medesimo fattore, la pressione osmotica, può spiegare la resistenza di certi materiali vivi alla disidatrazione. Già nel 1862 il Davaine avea dimostrato che le uova di certe specie di Ascaris possono svilupparsi a secco. Bataillon provò ad esporre le uova di Ascaris all’ aria ad una temperatura di 35.° Verificò che dopo 24 ore gli embrioni sono in buono stato, come lo rimangono quando le uova vengano ineluse in balsamo. È facile convincersi che il disseccamento delle uova così trattate non è che apparente. Le uova possono anche galleggiare per settimane nell’ acido solforico diluito, laddove gli embrioni appena usciti dai loro inviluppi ne sono tosto alterati. Esperimenti istituiti sopra la resistenza a liquidi più o meno caustici (alcool, acidi) han dimostrato che questi liquidi non penetrano nell’ uovo. Un’ altra prova del notevole grado di impermeabilità dello strato esterno (chorion) dell’ uovo si ha in ciò che esso può resistere alla essiccazione all’aria ordinaria, senza che il mezzo interno ne subisca apprezzabile disi- dratazione. La impermeabilità non è però tale da proteggere 1° embrione contro la essiccazione, passati certi limiti di tempo e di temperatura. Una esposizione nella stufa secca a 38° per 24 ore rende già visibile la eliminazione di un certo volume di acqua la quale si raccoglie in uno spazio fra il chorion rigido e il membranoso. Un tal risultato però si deve sopratutto all’aumen- tata tensione del vapore nel contenuto fluido dell’uovo. Soluzioni di Cl Na. al disopra del 15 °/, provocano del pari la disidratazione dell’uovo, la quale per una soluzione a 30 °/, dello stesso sale raggiunge il grado mortale. Si dice allora che il contenuto dell’ uovo ha subita la plasmolisi per l’azione del C1] Na. : Una legge di Overton vuole che le sostanze capaci di provocare la plasmolisi nelle cellule vegetali non penetrino nel contenuto cellulare, e inversamente. Ora tale regola vale anche per le uova di Ascaris. Tutto insomma dipende dalla diversità di pressione osmotica fra mezzo ovulare e ambiente esterno. ì Sali diversi allo stesso grado di concentrazione si mostrano dotati. di 7) 346 RASSEGNA BIOLOGICA pressioni osmotiche molto diverse, come. si rileva confrontando il grado di concentrazione necessario a provocare l’ inizio della plasmolisi. Il vario titolo delle soluzioni equiosmotiche così determinato può assumersi a coef- ficiente delle sostanze diverse. Il saccarosio dovrebbe avere il titolo, impossibile a raggiungere, di 150 °/o, ossia per provocare un principio di plasmolisi la soluzione di zucchero di canna dovrebbe esser concentrata dieci volte più che la soluzione di CI Na: quanto dire la plasmolisi non si raggiunge colle concentrazioni di saccarosio più spinte che sia possibile. Da un confronto eolla soluzione limito di Cl Na si può arguire che la pressione osmotica del contenuto fluido di un uovo di Ascaris dev’ esser superiore a 100 atmosfere. Vita latente o anidrobiosi. — I fenomeni sopra riferiti forniscono la chiave per ispiegare la sorprendente resistenza delle uova di Ascariîs al disseccamento ed alla penetrazione di liquidi tossici. Bisogna ammettere 1. che il chorion membranoso esistente entro il guscio rigido dell’ novo funzioni come diaframma semipermeabile ; 2. inoltre una concentrazione elevatissima del fluido interno la quale si traduce in una pressione osmo- tica enorme. | L’A. è quindi portato a occuparsi dei fenomeni di reviviscenza osservati, ad es., nei rotiferi e tardigradi. Vien naturale il chiedersi se il materiale in istato di « vita latente » si trovi completamente disidratato. L’ esperimento insegna a questo proposito che l’azione del calore sui rotiferi diviene letale quando si prolunghi oltre un certo tempo. A 80° si richiedono due ore per la morte dei rotiferi, mentre a 85° essi possono resistere un’ora soltanto. Pare che il materiale capace della pretesa reviviscenza non sia mai in .istato di completa disidratazione, ma che abbia solo la proprietà di resistere in alto grado alla essiccazione. Una disidratazione completa sarebbe incom- patibile colla conservazione della vita. Da quanto precede Bataillon conchiude che più elevata è la pressione osmotica, ossia più alta è la con- centrazione dei liquidi organici, e Leon l’ organismo resiste alla disidrata- zione. Secondo Giard la vita latente o anidrobiosi consisterebbe nel dana mento dei fenomeni vitali sotto l’influenza della disidratazione progressiva. Bataillon lo dimostra sperimentalmente collocando uova di Ascaris in soluzioni di Cl Na graduata fra 15 °/, e 85 °/: egli osserva che lo sviluppo è ritardato proporzionalmente all’azione disidratante esercitata dalla soluzione. Poliembrionia e teratogenesi. — In condizioni particolari e non bene precisate le uova di Petromyzon subiscono una blastotomia spontanea, ossia la separazione dei blastomeri corrispondentemente al primo solco di segmentazione, formandosi due larve gemelle da un unico uovo. Bataillon è riuscito a provocare la blastotomia sperimentale, immer- gendo dapprima le uova in soluzioni abbastanza concentrate e isotoniche di sali e zucchero, in modo che la pressione osmotica nell’ interno dell’ uovo veniva aumentata, e portando dipoi le uova in acqua pura, talchè la diffe- renza di pressione esagerandosi Lorraansse la separazione dei blastomeri e la loro evoluzione indipendente. RASSEGNA BIOLOGICA 347 Questi risultati si accordavano con quelli di Loeb, il quale aveva ottenuto formazioni doppie da uova di echino dopo averle mantenute per qualche tempo in acqua di mare diluita, e trasportandole quindi in acqua di mare nor- male. Anche qui si trattava di cambiamenti bruschi della pressione osmotica. Loeb anzi era giunto fino a supporre che le fomazioni doppie ordinarie dei mammiferi derivassero da differenze di pressione esagerate tra l’uovo anor- male e i liquidi uterini. _ È importante notare che i risultati ottenuti sono indipendenti dalla costituzione chimica dei liquidi ambienti; e che Bataillon ha ottenuto formazioni doppie anche da uova di teleostei (Leuciscus rutilus) trattate nello stesso modo. Già conosciamo le ricerche di Loeb (vedi questo vol. pag. 30) sopra la partenogenesi sperimentale. Egli immergeva delle uova di echini in acqua di mare addizionata di Cloruro di Magnesio e dopo un certo tempo le restituiva al loro ambiente normale : notò allora che esse si sviluppavano senza essere fecondate fino a produrre dei plutei bene conformati. Per contro Viguier, avendo trattate nello stesso modo uova normalmente partenogenetiche, non riuscì che ad arrestarne e ritardarne lo sviluppo, non mai a favorirlo, e conchiude che probabilmente i plutei ottenuti da Loeb si devono a feno- meni di partenogenesi accidentale. La questione deve dunque per ora restar sospesa. Certo è però che parecchi autori hanno osservato le uova di echi- nodermi e di parecchi altri tipi animali non fecondate e non capaci di evolu- zione spontanea, immerse in soluzioni di acido solforico, o sublimato o siero antidifterico, subire dipoi una evoluzione più o men regolare, e segmentarsi fino allo stadio blastulare o fino allo stadio di 16, secondo i casi. Questo fenomeno dunque non differisce se non per gradi da quello osservato da Loeb. Qualunque sia stato il liquido adoperato o le uova trattate, i risultati si possono ricondurre a variazioni nella pressione, e perciò nell’equi- librio osmotico. PiùrTtER AUGUST. — Studien iiber Thigmotaxis bei Protisten. — Archiv. f. Anat. u. Physiologie, Phys. Abtheil., Supplement band, 1900, p. 243-302. Le reazioni degli organismi unicellulari a svariati stimoli sono profon- damente modificate quando tali organismi si trovano in contatto con un solido. Piittter analizza minutamente quest’ azione detta tigmotassi, inve- stigando particolarmente come interferendo con stimoli calorifici ed elettrici essa modifichi la reazione a questi. 348 RASSEGNA BIOLOGICA HeGEeR. — Modifications du tracé ergographique par apposition d’une armature de fer sur l’avant-bras. — Vol. Jubilaire du Cinquantenaire de la Soc. de Biologie (p. 683). L'A. ha sperimentato con molte cautele su di una persona molto pratica di tracciati ergografici. L’ applicazione (che non disturbava affatto i movi- menti) sull’avambraccio che lavorava di un’ armatura di zinco e di rame non alterava nè la fisionomia della curva, nè la sua portata (in chilogram-. metri), tanto se i metalli toccavano direttamente la pelle del soggetto, quanto se fra metallo e pelle era frapposto un foglietto di gutta-perca. Se . invece l’ armatura era di ferro e toccava direttamente la pelle, la fisionomia del tracciato si alterava, ove aumentava sensibilmente il valore. G. 0. PR. GopLEWSKI EmiL JUNIOR. — Die Einwirkung des Sauerstoffes auf die Entwickelung von Rana temporaria und Versuch der quan- titaven Bestimmung des Gaswechsels in den ersten Entwicke- lungstadien. — Arch. f. Entwickelungsmech, Bd. XI. Heft, III u. V., Aprile, 1900. Godlewski si è prefisso di determinare la quantità di ossigeno assunta e di anidride carbonica emessa durante i primi stadi di segmentazione del- l’ uovo e nelle prime fasi dello sviluppo embrionale. Roux è stato il primo autore a riconoscere la necessità di un apporto di aria per lo sviluppo delle uova di rana. Secondo Loeb l’ organismo diviene tanto più sensibile al di- fetto di ossigeno quanto più progredisce nello sviluppo. Quasi contempora- neamente Samassa venne alla conclusione « che lo sviluppo di uova (Rana temporaria) è nelle prime 24 ore indipendente dalla presenza di ossigeno ». Da una serie di accurate esperienze Godlewski ha potuto constatare che : 1. Il decorso é la durata dello sviluppo stanno in intimo rapporto colla presenza di ossigeno, sebbene la segmentazione possa decorrere in modo abbastanza normale senza apporto di ossigeno dall’ esterno. 2. L’° azione di un’ aumentato apporto di ossigeno si fa sentire fin dal principio dello svi- luppo al comparire del primo solco di segmentazione. 3. La sensibilità alla mancanza di ossigeno dipende molto dalla costituzione individuale dell’ or- ganismo. 4. L° anidride carbonica esercita un’azione tossica specifica sopra lo sviluppo. Nella seconda parte di questa memoria 1’ A. riferisce i risultati di ricerche quantitative sopra lo scambio gassoso nei primi stadii di sviluppo delle uova di rana, ossia sopra la quantità di ossigeno assunta e di anidride carbonica eliminata. Tali determinazioni lo portano a conchiudere che la energia re- spiratoria va crescendo collo sviluppo e che nei ‘primi stadii della ontogenesi gli organismi mostrano uno sviluppo quasi indipendente dalla pressione par- ziale dell’ ossigeno. RASSEGNA BIOLOGICA . 949 Un fatto interessante è che le uova sperimentate riuscirono ad utilizzare l’ ossigeno fino alle ultime traccie; mentre è noto che la maggioranza degli organismi possono vivere in un’ atmosfera in cui l’ ossigeno non oltrepassi determinati limiti di rarefazione, diversi pei diversi organismi. L'A. si pro- pone di studiare ‘in una serie ulteriore di indagini la influenza degli agenti esterni sopra lo scambio gassoso nelle prime fasi dello sviluppo. IRÒ Antropologia generale. PiIKkLER J. u. SOomLÒò J. — Der Ursprung des Totemismus. — Berlin, K. Hoffmann 1900. Colla parola « totemismo » gli antropologi usano designare il fatto (che sì riscontra particolarmente tra le popolazioni indigene dell’ America del Nord, e dell'Australia) di tribù o comunità che prendono il nome da qualche animale, o pianta, 0, talvolta, anche da qualche oggetto inanimato, e l’insieme delle credenze e costumanze che a tale fatto si connettono, quali in special modo la credenza a una comune origine da quell’animale, o pianta, e la venerazione per esso, venerazione che si presenta talvolta sotto forma ‘ d’un vero culto religioso, tal altra anche semplicemente come ripugnanza a portar danno all’ oggetto, o animale, in questione, o come proibizione di cacciarlo o di cibarsene. Le varie spiegazioni che sono state proposte per rendersi ragione di questo genere di fatti, quella per esempio che li ricon- nette alle stesse cause che hanno dato luogo alle forme primitive di feticismo, o l’altra, adottato dello Spencer, secondo la quale essi dovrebbero la loro origine alla graduale estensione, a tutti i membri della tribù, del nome di guerra, o soprannome, di qualche antico capo o progenitore di essa, concor- dano nel presupporre, come condizione determinatrice dell’introduzione delle designazioni totemistiche per ciascuna tribù, l’esistenza in essa, se non d’un culto, almeno di qualche speciale sentimento di venerazione, di attaccamento, di rispetto, sia che questo sentimento si riferisca originariamente all’oggetto o all’ animale di cui si tratta, o al personaggio precedentemente designato collo stesso nome. Secondo la nuova spiegazione invece, che il Pikler propone nel pre- sente suo Saggio, il suddetto culto e sentimento, e la corrispondente credenza a una comune provenienza dei membri della tribù dall’animale o dall'oggetto a cui il culto si riferisce, lungi dal dover essere riguardate come cause dell’introduzione delle denominazioni totemistiche, non ne sarebbero invece che una conseguenza secondaria. La vera causa andrebbe, secondo il Pikler, cercata in tutt'altra dire- zione, e l’ipotesi, a prima vista paradossale, che egli crede di poter avanzare 350 RASSEGNA BIOLOGICA in proposito, viene a trovare convincente conferma nei numerosi fatti J. Somlò ha potuto raccogliere, compulsando con diligenza ed acume il copioso materiale etnografico che, su tale soggetto, giace accumulato nelle opere dello Schooleraft, del Brough-Smyth, del Von den Stei- nen, del Lubbock, del Morgan, dello Spencer, del Bastian, del Faulmann, ecc. Pel Pikler l’ introduzione e la diffusione delle denominazioni totemi- stiche non sarebbe che una semplice conseguenza di esigenze pratiche relative alla trasmissione di notizie per mezzo di segni imitativi, o pitture rappresen- tative, sia tra tribù affini, sia fra diversi aggruppamenti o suddivisioni di una stessa tribù. È noto (ed è anche « naturale » @ priori) che la scrittura « pittorica », quella cioè che consiste nella riproduzione di figure imitanti gli oggetti sui quali vertono le informazioni che si vogliono comunicare (siano queste indicazioni di proprietà su oggetti mobili, o indicazioni topografiche, o contrassegni sepolcrali, o notizie di guerra o di caccia, o trasmissioni di. comandi, o documenti relativi a patti, transazioni, promesse, ecc.), rappre- senta il primo stadio attraverso al quale è passata la « tecnica » delle comu- nicazioni scritte. I fatti raccolti dal So mlò tenderebbero a mettere in luce non solo che un tale primitivo stadio dell’ arte di comunicare è stato assai presto raggiunto, anche da popolazioni che sono sotto ogni altro rapporto più lontane dallo stato di civiltà, ma che inoltre il suo raggiungimento costituisce una caratteristica costante (con un’ unica eccezione, di cui non gli riesce difficile rendersi ragione) delle tribù presso le quali vigono deno- minazioni o costumanze « totemistiche ». Ora, osserva il Pikler, finchè si tratta di applicare un tal mezzo di rappresentazione grafica per designare o località contraddistinte da qualche speciale carattere, ovvero individui appartenenti a popolazioni (o a classi) abbastanza differenti per razza, per l’uso di diverse sorta di ornamenti, o abiti, o armi, ecc., la cosa non pre- senta altre difficoltà che quelle inerenti all'esecuzione d’ un disegno ricono- scibile : difficoltà che possono essere portate al livello di qualsiasi imperizia o di qualunque imperfezione dello. strumento, o del materiale adoperato, ricorrendo a processi di « schematizzazione » 0 di « caricatura ». Ben diverso invece è il caso quando, come più spesso deve avvenire, le notizie da comunicare implicano la designazione di gruppi individui o tribù che, facendo parte d’un gruppo di popolazioni conformi per razza, per costumi, per modo di vita, non presentano tra loro differenze generiche abbastanza accentuate per poter servire alla loro identificazione per mezzo di grossolane riproduzioni grafiche. Lo scopo non poteva allora essere raggiunto se non ricorrendo ad artifici sussidiari : e, tra questi, crede il Pikler non poteva a meno che presentarsi naturalmente quello di applicare alle tribù o gruppi d’ individui, che occorreva spesso di dover denotare, il nome di oggetti eterogenei, le cui figure, facilmente riproducibili e distinguibili (adempiendo a un ufficio analogo a quello degli stemmi nel Medio Evo, o delle insegne di osterie o d’ alberghi ancora ai nostri giorni) permettessero di designare tali individuì o gruppi nel modo più spedito e meno equivoco. Che a tal fine venissero adoperate immagini di animali a preferenza di quelle d’ altri oggetti qualunque, trova, secondo il Pikler, una naturale RASSEGNA BIOLOGICA 9DI spiegazione, (oltrechè nella frequenza relativamente maggiore dei nomi di animali nel dizionario limitatissimo di quelle popolazioni di cui 1’ ordinaria occupazione è la pastorizia e la caccia) 1) nel fatto che, all'applicazione di tali nomi ad uomini o gruppi di uomini, tendeva già spontaneamente a spingere il riconoscimento di analogie o corrispondenze tra alcune qualità, fisiche o morali, di dati animali, e quelle possedute o attribuite, sia DE: vanto, sia per dispregio agli individui o alle tribù in questione. A tale condizione il Pikler avrebbe potuto anche aggiungerne un’altra, che, cioè, le rappresentazioni per mezzo di figure di animali presentavano sopra tutte le altre il vantaggio di prestarsi ad esprimere mediante la varia- zione di attitudini, non solo le persone, ma anche fino un certo punto i loro eventuali stati d’ animo e le loro azioni o disposizioni momentanee : tali figure cioè, per esprimermi coi termini tecnici della grammatica, pote- vano fungere non solo da nomi ma anche da verbi, il che dava loro utia efficacia preponderante, e facilmente apprezzabile, come strumenti di comu- nicazione. i L’ammettere poi che l’impiego di questo modo di rappresentazione e la conseguente abitudine di considerare l’animale o l’oggetto in questione come il « simbolo » della tribù, abbia gradatamente portato alla formazione di un nucleo di credenze superstiziose rispetto ad esso, e in particolare alla divul- gazione di leggende attribuenti ad esso una qualsiasi parte nell’ origine mitologica della tribù, sembra all’A. una conclusione perfettamente conforme a quanto si conosce sulla preponderante influenza del linguaggio nella formazione dei miti: influenza di cui si riscontrano esempi nella storia di tutte le religioni e in ogni stadio di civiltà, non escluso il nostro. Nel sottoporre al giudizio degli antropologi la sua ardita e originale ipotesi, che come egli ci informa, gli fu suggerita incidentalmente nel corso di ricerche d’altra natura (il Pikler insegna Storia del Diritto all’ Univer- sità di Buda Pest), I’ A. fa rilevare come essa presenti, sopra quelle finora proposte, il vantaggio di non implicare od esigere alcuna supposizione rela- tiva al possesso, da parte delle menti primitive, di qualsiasi « istinto » 0 peculiare tendenza di cui non si possa riscontrare una traccia o una corri- spondenza anche nella mente, a noi solo direttamente nota, dell’ uomo appartenente a civiltà avanzate. Ma, oltrecchè nel fatto di fare appello solamente all’ azione di cause la cui realtà e la cui efficacia sono atte a esser constatate e determinate anche dall’osservazione di ciò che avviene sotto i nostri occhi, l'ipotesi del Pikler sta in contrasto con le precedenti anche pel genere delle cause da cui essa fa dipendere la produzione dei fatti che mira a spiegare. In quanto infatti essa tende a riconnettere il sorgere e lo svilupparsi di credenze d’ indole mistica e superstiziosa (quale è quella della comune discendenza della tribù dall’animale o dall’oggetto di cui essa porta il nome) o di sentimenti relativamente <« idealistici » (quali quelli che si riferiscono al culto di tale oggetto o animale o all’ astinenza, non utilitaria, da certe 1) Non predominano forse le figure d’animali (come lo indica ancora il nome greco) anche tra i segni dello Zodiace, che devono appunto la loro origine esigenze pratiche (per la misura del tempo e l’identificazione delle stagioni, o per l orientamento ecc,) d’indole affatto analoga alle suddette ? 952 RASSEGNA BIOLOGICA azioni in suo riguardo), ad esigenze d’indole pratica, anzi tecnologica, delle quali le suddette credenze o sentimenti non sarebbero che una « soprastrut- tura », l'ipotesi del Pikler si conforma a quell’indirizzo di ricerca socio- logica che si designa col nome di «concezione materialistica della storia », indirizzo che 1’ A. sembra approvare nel suo complesso pur ripudiando espressamente le esagerazioni e 1’ esclusivismo della più parte dei suoi fautori (pag. 14). Un’ altra caratteristica, infine, connessa in parte, e in parte in contrasto, colla precedente, che presenta l’ipotesi del Pikler, di fronte a quelle che essa vorrebbe sostituire, mi sembra consistere in ciò che essa tende ad attribuire, sia pure in una piccola sfera particolare, una maggiore impor- tanza allo sforzo volontario, al discernimento, alla scelta cosciente, come fattori di svolgimento sociale. Essa partecipa con ciò alla tendenza (comune ora ai più diversi rami di indagine dei fenomeni collettivi, dalla storia del diritto o dei costumi a quello della lingua o delle istituzioni economiche), a contentarsi sempre meno delle troppo comode spiegazioni che consistono nel rappresentarsi lo sviluppo di ciascuno dei suddetti ordini di fenomeni come qualche cosa di tanto automatico, o fatale, quanto quello degli « orga- nismi », composti di parti non dotate di intelligenza e volontà propriamente dette; come se il possesso di queste qualità, da parte dei membri di un aggregato, dovesse essere considerato come una circostanza di nessun rilievo, e come se gli effetti ad essa dovuti non fossero tanto suscettibili di for- mare oggetto di indagine « scientifica » diretta, quanto quelli dovuti a qualsiasi altro ordine di circostanze. Una tale esagerazione, giustificabile forse fino a un certo punto come una reazione contro le opposte esagerazioni di altre precedenti teorie che, come quelle dei filosofi francesi del Secolo XVIII, tendevano invece a con- ferire troppa parte agli adattamenti coscienti di mezzi a fini, ai propositi deliberati, ai « contratti sociali », all’ artificio insomma, nella formazione e nell’organizzazione delle società, sembra ora far luogo a un'opinione media più ragionevole e a un più chiaro riconoscimento dei rapporti di reciproca dipendenza che connettono le leggi di sviluppo delle varie manifestazioni dell’ attività sociale col modo di funzionare e di interferire delle singole unità individuali, dei cui sforzi coscienti e volontari le leggi suddette non rappresentano in certo modo che il risultato « netto » esteriore, allo stesso modo come, secondo la teoria cinetica dei gas, la legge di Mariotte non è che il risultato degli innumerabili e frequentissimi urti delle singole molecole del gas «contro le pareti del recipiente. Im quanto il geniale e diligente lavoro del Pikler e del Somlò ci presenta un esempio caratteristico dell’utilità che anche agli studi antropo- logici può derivare dal mettersi risolutamente per questa via, già seguita con buon successo dalle scienze affini, non mi sembra che si avrebbe torto nell'attribuire ad esso, secondo le intenzioni degli autori, una portata e un significato che si estende al di là della speciale questione che ne forma il soggetto. G. VAILATI. Bari, 2 Aprile 1901. RASSEGNA BIOLOGICA 353 Favaro, LomBroso, TREVvES ed OLIVETTI. — Le pieghe laterali dei © solchi vestibolari della bocca. — <« Archivio di Psichiatria », Vol. XXII, fase. I-II, pag. 34, 1901. Il Favaro richiama l’attenzione degli antropologi criminalisti intorno ad alcune ripiegature laterali non di rado visibili nei solchi vestibolari inferiore e superiore della bocca dell’ uomo e di cui egli dà una esatta descrizione. Da una serie di indagini comparative il Favaro era riuscito a stabilire la omologia della piega inferiore con una formazione costante nel solco vestibolare inferiore della maggior parte dei mammiferi da lui esaminati, inelusi i primati. Esse dividono il solco vestibolare inferiore in tre segmenti di cui uno impari mediano e due laterali. Nelle scimmie provvedute di tasche guanciali tali pieghe prendon parte alla formazione delle tasche. Nell’ uomo tali pieghe o frenuli son ridotti a condizione rudimentale e sono incostanti. Dall’esame di centinaia di individui dei due sessi Favaro conchiude che si hanno pieghe mancanti nel 79 °/,; poco sviluppate nel 15 |, e bene sviluppate nel 6 °/,. Le pieghe corrispondenti del solco vestibolare inferiore sono meno costanti nella serie dei mammiferi : anche queste spesso si notano nella specie umana. Lombroso insieme ai dott. Treves ed Olivetti ha voluto subito applicare i reperti del Favaro all’ antropologia criminale e psichiatria, facendo ricerche su 352 criminali e pazzi. | Pei pazzi risultò una quota (9 °%) notévolmente superiore che nei nor- mali (6 %). Un fatto importantissimo e molto significativo per la teoria di Lombroso è che nei pazzi epilettici la quota dei frenuli vestibolari sale a ben 35,4 °/y nei maschi e 25 °/, nelle femmine, e che una frequenza poco diversa si notò nei criminali. Im certi tipi di criminali violenti si ha pure lo sviluppo esagerato delle pieghe fino a costituire delle vere tasche guanciali. Osservano giustamente gli AA. che la maggior frequenza dei frenuli laterali nei pazzi epilettici in confronto agli altri pazzi ed ai normali riba- disce esser questo un vero carattere degenerativo, non per anco avvertito e di cui d’ora innanzi converrà tener conto, carattere che spesseggia sopra- tutto nelle forme degenerative ataviche e perciò sopratutto nei criminali. La critica più severa dovrà riconoscere il significato atavico di questo carattere. La sua costanza in parecchi ordini di mammiferi e in molti pri- mati, inoltre la sua presenza nel feto umano, come pure la eventuale ricom- parsa, segnalata da Lombroso, di vere borse guanciali in degenerati della nostra razza, ne sono altrettante prove. La mancanza di siffatte pieghe nella grande maggioranza degli indi- vidui dimostra che esse trovansi in una fase di regressione filogenetica così avanzata da dover cadere sotto il dominio di quella che io chiamai selezione patologica o morbosa (Riv. di Sc. biol., vol. I, Aprile). Sarebbe difficile scoprire il fattore che fa regredire un carattere funzio- nalmente così insignificante nelle razze umane superiori. Non parlo dei primi stadii della regressione, che potrebbero essere un portato della regres- sione delle parti boccali caratteristica della nostra specie, sebbene questa Riv. DI BIOLOGIA GENERALE, III. 23 354 RASSEGNA BIOLOGICA causa sembri troppo generale per render conto delle prime variazioni subminime, ossia la prima comparsa di individui più evoluti che ne siano privi del tutto. Ad ogni modo è dimostrabile che, a partire da un dato punto, quando in una specie le variazioni subminime di un carattere regressivo sono in notevole maggioranza, come ormai è delle pieghe mascellari tra noi, la eliminazione individuale di coloro nei quali il rudimento sopravvive è condizione favorevole, se non indispensabile, per la finale scomparsa di quel rudimento nella specie. Infatti 1’ organo trovasi allora in una fase della sua regressione in cui il libero incrocio (panmissia di Weismann) tra i portatori di esso e gli immuni agirebbe in senso contrario, tende- rebbe cioè a perpetuare il carattere, a distribuirlo a un numero maggiore di individui suddividendolo su vasta scala per un processo di riduzione frazionaria che secondo i calcoli dovrebbe durare indefinitamente, quando la eredità fosse sempre bilaterale. Ora le indagini di Lombroso e sua scuola dimostrano che tra i por- tatori di quei caratteri v°è una quota elevata di degenerati, quanto dire di individui che vanno eliminandosi per l’ azione diretta della nevropatia, o per sterilità o discendenza non vitale, o per suicidio. Adunque la coesistenza della epilessia con un generale regresso organico, scoperta da Lombroso, se da una parte ci addita nel morbo una delle cause di riversioni ataviche, ci spiega dall’altra come gli stessi mali abbiano in sè tali condizioni da impedire fino a un certo segno che il regresso indi- viduale ritardi la evoluzione morfologica della specie, come invece avver- rebbe qualora gli individui dalle stigmate ataviche si unissero tutti in connubio cogli individui immuni, contaminando anche la prole di questi ultimi. Ricordiamo ancora in questa occasione come la selezione patologica operando in un’altra delle sue svariate forme sopra gli organi rudimentali (Selescenza filogenetica del Wiedersheim) divenga qui pure tanto più intensa ed efficace, quanto più progredisce la riduzione di un dato carattere e si affievoliscono i fattori interni della regressione, essendo nota infatti la maggior tenacia conservativa dei caratteri più antichi]. PC. SPITZKA E. — The mesial relations of the inflected fissure. — (Osser- vazioni sopra cento cervelli). — La « New York Medical Journal», 5 Gen- naio, 1901. L’ A. — che è un allievo del Wilder — contrariamente alla opinione di altri autori, e specialmente di Eberstaller, ritiene che la fissura inflessa (Wilder) non sia da identificarsi col solco prae-paracentralis (paracentrale cefalico di Wilder),ma che si tratti di due solchi distinti. Egli trovò infatti che nell’80 °/, la scissura inflessa era rappresentata; e sopra questi, nel 91 °/, dei casì la stessa scissura coesisteva con un indubbio solco cefalico paracentrale, ed era situata in un piano posteriore ad esso. Nello stesso lavoro 1’ A. descrisse le varietà della scissura inflessa. Per ciò che si RASSEGNA BIOLOGICA 355 riferisce alla distinzione fra i due solchi, io posso aggiungere che le osser- vazioni che io ebbi ultimamente occasione di fare sopra circa 70 emisferi cerebrali per altre ricerche, mi porterebbero a confermare l’ interpretazione del Wilder e dello Spitzka. C. LEGGIARDI-LAURA. RANKE. — Die iilberzihligen Hautknochen des menschlichen Schi- deldachs. — Abhandl. der k. bayer. Akademie der Wiss. CI. II, Bd. XX, Abth. II, Miinchen 1899. Il Prof. Ranke ha pubblicato un lavoro poderoso nel quale ha raccolto da uno studio fatto su 3000 cranî Bavaresi una quantità notevole di osser- vazioni personali utilizzabili dall’anatomia è specialmente dall’ anatomia comparata, che peraltro da noi e per molti nostri lavori (italiani) è già in possesso di diversi fatti morfologici. Era tempo difatti che gli antropologi, i quali possiedono collezioni di cranî assai più ricche di quelle che si trovano nei Musei anatomici, utilizzassero tanto materiale, adibendolo a uno studio morfologico positivo. Troppo a lungo essi sono stati ipnotizzati dalla ricerca delle razze, sterile ricerca che è rassomigliata alla tela di Penelope, e che ormai ha stancato i più tenaci (e anche, quel ch’ è più, il pubblico scienti- fico), sterile e ad ogni modo troppo assorbente rispetto alla scarsa impor- tanza che ha oramai tale quesito in biologia : quindi è con vivo compiaci- mento che notiamo questo nuovo orientamento, che comincia a farsi strada sia in Germania che in Italia. Vero è che per tale nuovo indirizzo non tutti sono preparati (onde molte opposizioni), occorrendo serie basi anatomiche e una non comune facoltà di osservare e comparare : ad ogni modo i risultati sono altrettanto utili quanto più difficili a conseguire : ciò che è facile e accessibile a tutti non è che superficiale. Venendo a una sommaria, necessariamente troppo sommaria, esposizione dell’opera del Ranke, dirò che in essa il chiaro antropologo di Monaco sì occupa in primo luogo dei parietali divisi. L'A. riferisce non meno di 12 casi conosciuti (e alcuni pubblicati in Italia gli sono sfuggiti) di divisione completa, parallela alla sagittale, nell’uomo, e ne dà le figure. Riferisce poi i casì di divisione obliqua, che secondo noi ha certamente un altro signifi- cato morfologico. Tanto la divisione completa del parietale che l’ incompleta si osservano negli antropoidi, e 1’ A. ne riferisce diversi esempi: fa notare giu- stamente l’importanza che ha tale fatto nella spiegazione di alcune modalità morfologiche della sutura coronale. Poi l'A. riferisce la parte embriologica della quistione, e le sue ricerche in proposito : molto importanti i dati che egli fornisce sui forami parietali. La parte seconda della memoria tratta delle cosidette anomalie della squama occipitale. L'A. distingue oltre 1° Os Ineae la cui forma tipica sa- rebbe quadripartitum, due Spitzenknochen che chiama « halbpatologische » e uno o più ossi fontanellari in corrispondenza della fontanella posteriore. Si ferma altresì sulle altre fontanelle fetali, la bregmatica, l’ asterica e la pte- rica, e sulle ossa fontanellari che ivi possono formarsi. 356 RASSEGNA BIOLOGICA La terza parte tratta dell’ osso intertemporale (meglio pretemporale) della divisione trasversale e ‘verticale della squama del temporale (che sa- rebbe stato importante illustrare con figure), del postfrontale (sull’ ubicazione del quale non conveniamo coll’A.), e di altre minori anomalie. Ma poichè ho già accennato a lavori italiani, farei una cattiva recensione e ingiusta se non aggiungessi con dispiacere che lA. ha completamente dimenticato l'importante serie di lavori che il Prof. Maggi aveva gia pub- blicato sugli stessi argomenti. E valga il vero: quanto ai parietali divisi e ai rispettivi centri di ossificazione 1), quanto ai forami parietali e interpa- rietali ?), quanto alle ossa interparietali e preinterparietali 3), agli ossicini sagittali 4), alle minori fontanelle craniche e ossa corrispondenti *), al post- frontale 6), le ricerche dell’A. erano state precedute da quelle del professore di Pavia. Più numerose sono poi le ricerche del Maggi che non quelle dell’A., se dall'uomo passiamo a quanto lA. serive su altri animali, pesci e ‘stegocefali, e sulle ossa accessorie nel cavallo. Era tanto più necessario di ricordare tali lavori fatti in Italia, inquantochè le vedute del Maggi sono talora diverse da quelle del Ranke (e anche crediamo più giuste, dolenti di non poter entrare in particolari), e quindi debbono essere conosciute dagli studiosi. GIUFFRIDA RUGGERI. III Psicologia e Sociologia. CLAPARÈDE. — Les animaux sont-ils conscients? — Revue phrilosophique, Maggio 1901, pag. 481. Circa una trentina d’anni or sono, quando al nascere del darwinismo si trattava di divulgare questa dottrina e render meno odioso all’uomo il suo ravvicinamento alle bestie, biologi come Biichner, Vogt, Romanes, Darwin accordarono con larghezza: forse eccessiva le più elevate facoltà 1) MAGGI. — Risultati di ricerche morfologiche intorno ad ossa e fontanelle del cranio umano. hend. Ist. Lomb. 1896. — Altri risultati di ricerche morfologiche intorno ad ossa craniali. Ibidem 1897. — Note craniologiche. Bullettino scientifico di Pavia 1899. 2) MAGGI. — Risultati citati. 3) MAGGI. — Alcune varietà morfologiche dei preinterparietali asinchiti. Rend. Ist. Lomb. Vol. XXVII. — Centri di ossificazione e principali varietà morfologiche degli inter- parietali nell'uomo. Ibidem Vol. XXIX. — Placche osteodermiche interparietali degli stego- cefali e rispondenti centri di ossificazione ‘interparietale nell’ uomo. Ibidem. Vol. XXXI. 4) Cfr. MaGGI. — Serie di ossicini mediali del tegmen cranii in alcuni cani e loro omologhi ed omotopi in alcuni storioni. Rend. Ist. Lomb. 1898. 5) MAGGI. — Fontanelle nello scheletro cefalico di alcuni mammiferi. Nota 1. ‘Rend. Ist. Lomb. Vol. XXIII. — Nota 2. Ibidem. — Nota 3. Vol. XXV. — NMontanella metopica e frontali medi quadruplici nei vertebrati superiori. Ibidem. Vol. XXXII. — Nuove fontanelle craniali. Ibidem. Vol. XXXII. 6) MaGGI. — Postfrontali nei mammiferi. Rend, Ist. Lomb. 1897, — Intorno all’ evo- luzione dei postfrontali, Ibidem 1897, RASSEGNA BIOLOGICA 357 mentali agli animali anche inferiori. Ora la dottrina evolutiva, ammessa da tutte le persone intelligenti, non ha più bisogno di esser presentata con questi artifici. Parecchi fisiologi odierni si sono anzi accinti a un lavoro inverso e son giunti a conclusioni opposte, riducendo le attività degli animali inferiori a puri automatismi, richiamando in vita idee di Descartes e Malebranche. Claparède prende a dimostrare che non v’ è alcuna ragione, nè in fisiologia nè in psicologia, per tener conto della presenza o assenza della coscienza quando si vogliano spiegare gli atti degli animali. Conoscere la funzione che esercita la coscienza degli animali sui loro atti non è un problema nè di fisiologia, nè di psicologia. Loeb di Chicago, sperimentando su asterie, meduse, anellidi, ha sottratto al dominio dell’ istinto parecchi atti per aseriverli all’ azione meccanica della luce, gravità, ecc. Ad es. un’asteria rovesciata, quando cerca di rimet- tersi nella posizione naturale obbedisce ad un geotropismo. Queste reazioni « cieche » del protoplasma all’ ambiente sono denominate genericamente tropismi. Non molto diverse sono le opinioni di Bethe il quale non è disposto ad accordare una coscienza agli organismi inferiori, distinguendo nella serie animale come « psichici » gli atti coscienti dagli atti meccanici. All’ ammissione di esseri coscienti egli dev’ esser giunto senza dubbio infe- rendo per analogia dall’ uomo agli animali : d’ altra parte ascendendo, per analogia con certe reazioni dei corpi inorganici e piante, egli dev’ esser giunto a concepire i tropismi come reazioni cieche degli organismi. « Per cui interrogando il mondo animale Loeb ottiene due risposte : gli animali sono coscienti; gli animali sono automi ..... Ciò era prevedibile. Il metodo discendente non ci parla che in termini di coscienza [è questa una delle idee più limpide sorte in simili discussioni]; mentre il metodo ascen- dente non conosce che il linguaggio meccanico fisiologico ». E non sapendo come conciliare le conclusioni apparentemente contradditorie Loeb ha spezzato la serie degli animali, stabilendo che gli inferiori siano automi, serbando ai superiori il privilegio della coscienza. L’ errore di Loeb, secondo 1’ A., sta nell’aver ommessa l’ applicazione simultanea del metodo ascendente a tutta la serie animale. Edinger, aprendo un’inchiesta, di cui si è già occupata questa Rassegna ha potuto stabilire che i pesci accorrono alla vista di chi è solito portar loro il cibo, mentre fuggono all’appressarsi di un nemico. Per accertarsi se i fatti riportati siano dovuti a memoria occorrerebbe scoprire in essi l’inter- vento di un’ associazione di idee. Per tal modo gli autori vanno in cerca di un criterio obbiettivo della coscienza affine di distinguere un atto semplicemente meccanico da un atto psichico. Loeb crede aver trovato quel criterio nell’ attività associativa della memoria, alla quale è legata la coscienza. Claparède contesta quest’ asserzione gratuita ed erronea. La coscienza può sussistere indipendentemente dalla memoria che ne è solo un caso particolare. Da qualche tempo è venuto di moda il parlare di tropismi, assumendo come dati elementari questi che sono probabilmente atti assai complicati, e negando ad essi ogni valore subbiettivo. Ma non è difficile dimostrare che non esistono differenze di natura, ma 358. RASSEGNA BIOLOGICA solo di grado fra i tropismi, i riflessi e gli atti volontarii. Le ricerche di Loeb hanno avuto il merito di determinare le azioni: fisico-chimiche che determinano i movimenti detti tropismi, ma il modo di attuazione di questi ci rimane totalmente sconosciuto. D'altra parte questi atti che appariscono così elementari e primordiali potrebbero essere complicatissimi. Se un abitante di Sirio discendendo sul nostro pianeta osservasse «i numerosi punti di attrazione che sotto forme di taverne fanno agglomerare gli umani, immaginerebbe senza dubbio un « etilotropismo », che sarebbe uno dei più generali. Doterebbe i giardinieri di un fitotropismo, i contadini di un geo- tropismo, ecc... Ora avrebbe torto di considerar le azioni umane come reazioni semplici, ma avrebbe ragione di assimilare le cause immediate delle nostre azioni alle forze generali della natura ». Loeb e compagni commettono un errore analogo a quello dell’ipotetico abitante di Sirio pren- dendo per tropismi elementari delle azioni molto complesse ; ma più di questo errano quando non vogliono riconoscere che tutti gli atti del nostro organismo dai più elevati ai più umili possono ricondursi a processi di natura analoga ai tropismi, e insistono nel dividere gli animali in due gruppi secondo che gli atti loro sono o non sono « funzioni » della coscienza. Tutti gli organismi soddisfano alle condizioni che esigerebbe il Lo eb. Ma resta a vedere se la ricerca sia utile, a parte ciò. A che possa giovar il sapere nello studiare gli atti di un animale se siano o no coscienti, nè Loeb, nè Bethe, nè Edinger si fermano a determinarlo. Eppure se è vero che la coscienza ha una sì grande importanza come tale da riprodurre o modificare i movimenti, bisogna ammettere che un fatto cosciente eserciti come tale un’azione sul sistema nervoso. « Ed eccoci in pieno spiritualismo ». Fa allora meraviglia di trovarvi dei sedicenti scienziati positivi come i citati. Pel nostro Autore l’attenersi al parallelismo psicofisico è la sola posizione tenibile, se si vuol evitar di pregiudicare i come ed i perchè dei rapporti fra corpo e psiche. Abbandonandolo si entra nella metafisica. Ora dal punto di vista del parallelismo il fatto che un atto sia o non sia cosciente diviene affatto indifferente, perchè, « se anche si potesse dimostrare che certi atti degli animali: sono coscienti ed altri no, si sarebbe costretti a considerare questa coscienza come non esercitante alcuna funzione e per conseguenza a considerare tutti i processi come se fossero incoscienti ». Durand de Gros accordava una coscienza embrionale ed oscura anche agli atti midollari, automatici, Haeckel ammette che fossero già coscienti le prime molecole viventi, Forel adotta vedute analoghe. Queste possono essere giustissime, ma l’adottarle non fa avanzare la questione del perchè debba sovraggiungersi l’elemento cosciente. « O ammettiamo che la coscienza non agisce sul corpo, e allora non comprendiamo perchè codesta apparizione subbiettiva ed inutile non sia stata eliminata; oppure ammettiamo che la coscienza agisce sul corpo, ed allora trasgrediamo la legge di conser- vazione dell’energia e il postulato meccanico sul quale è fondata la scienza contemporanea ». Il principio del parallelismo è stato formulato appunto per sottrarre la fisiologia e la psicologia a quel dilemma. Chiunque desideri elevarsi oltre il terreno dell’indagine positiva per conciliare la utilità della coscienza coi principi della conservazione dell’ energia è costretto a fare della metafisica, a entrare nella filosofia. RASSEGNA BIOLOGICA 359 Calaparède afferma e dimostra che la scelta di un criterio obbiettivo della coscienza è impossibile a priori, almeno per gli animali. È vero che per l’uomo potrebbe tentarsi di stabilire certi rapporti empirici tra i fatti obbiettivi e subbiettivi; ma si presenterebbe una difficoltà nel sapere se il bulbo, il midollo, siano incoscienti, e se la nostra incoscienza sia anche la loro. Ora data la nostra ignoranza rispetto al subbiettivismo degli atti dei nostri centri sottocorticali non saremo mai in grado di stabilire empirica- mente le equivalenze psicofisiche presso gli animali. La importanza comunemente attribuita alla distinzione tra atti coscienti e atti incoscienti, come se nella successione gli uni determinassero gli altri, implica apparentemente una violazione del parallelismo ; ma ciò si deve unicamente alla nostra ignoranza dei processi. fisiologici che sono anelli nella catena per cui nella serie degli atti studiati dobbiamo sostituire ad essi gli aspetti subbiettivi corrispondenti o paralleli che a ciascuno di noi sono noti immediatamente. La violazione del parallelismo è dunque solo apparente e fatta per comodità di linguaggio « essendo il termine psichico anche spesso più breve e preciso di quello che denota il processo fisiologico concomitante ». Nello studiare la psicologia degli animali geniali come dei poco intelli- genti, la loro spiegazione dovrà essere indipendente dalla questione della presenza o assenza della coscienza. « Per gli animali l’ unico lato da consi- derare nelle spiegazioni sarebbe il lato fisiologico. Con che non si esclude affatto ch’essi siano coscienti. Che anzi discendendo dall’uomo agli animali inferiori non v'è ragion per negare la continuità degli stati subbiettivi ». L’A. conchiude che la psicologia animale può e deve scrutare il problema dello sviluppo più o men grande della intelligenza degli animali senza preoccuparsi di quella della coscienza. « La nozione del tropismo è utile ; ma l’ atto tropico deve contrapporsi non all’ atto cosciente...., bensì all’atto complesso ». TESA WASMANN E. — Zum ©rientiurungsvermògen der Ameisen. — Allg. Zeitschr. f. Entomologie. 6 Bd. 1901. Ciò che guida la maggior parte delle formiche nel ritrovare il loro cam- mino probabilmente non è, come è stato sostenuto dal Bethe, una serie di chemoreflessi, ma piuttosto un insieme di sensazioni olfattive che permet- tono loro di distinguere le diverse specie e « forme » di odori. Questa è l’opi- nione del noto autore delle « Facoltà psichiche delle formiche » il quale in questo articolo si propone di dimostrare che altre specie di formiche, come, ad es., la Formica sanguinea, sono guidate non più dall’ olfatto, ma dalla vista. Alcuni interessanti esperimenti rendono questa tesi molto probabile: uno di essi sembra dimostrare che il potere di orientamento è legato ad una speciale memoria che le formiche conservano dell’ antica via, per il che è necessario oltre le percezioni sensorie, un certo grado di potere associativo, escludendo così in modo assoluto l’opinione del Bethe dei semplici riflessi. 360 RASSEGNA BIOLOGICA Il Wasmann si rifiuta anche di attribuire, come molti fanno, la facoltà di orientamento ad un incognito potere sensorio, poichè non costituisce spie- gazione ricondurre i fatti a fattori sconosciuti. La spiegazione secondo’ il Wasmann più verosimile si può riassumere così: per via delle singole impressioni visive, che nel seguire un dato cammino, si susseguono in modo determinato, viene a formarsi una immagine direttiva indistinta nelle sue particolarità, una guida sicura nel suo complesso e che costituisce appunto la base fondamentale del senso d’ orientamento. In altri termini quel processo non è essenzialmente diverso da quello che si svolge nell’ orientamento dell’ uomo. A. GIARDINA. SERGI G. — La psiche nei fenomeni della vita. — Un vol. di pag. 221 con 80 fig. nel testo. Piccola biblioteca di Scienze moderne, fratelli Bocca editori, L. 2,50. In questo volumetto il Sergi presenta in gran parte un riassunto delle idee già da lui manifestate nella sua Psychologie physiologique ed insieme l’abbozzo di una psicologia generale. Nel primo capitolo tratta del « movimento vitale » negli organismi unicellulari. Egli non accetta le opinioni di Verworn che i movimenti degli organismi unicellulari distingue in riflessi, automatici, impulsivi, spon- tanei, attribuendo ad essi un carattere di psichicità analogo a quello degli animali superiori. Sergi chiama anche primordiali i movimenti « spontanei » di Verworn, perchè essi costituiscono la manifestazione prima della vitalità. La sostanza cellulare è un’ accumulatrice di energia. Ciò è dimostrato dal noto esperimento di stimolare meccanicamente un muscolo gastrocnemio di rana facendovi cader sopra un peso di dieci grammi dall’ altezza di un cen- timetro. Il muscolo così stimolato contraendosi solleva all’altezza di un cen- timetro un peso di 100 grammi, ossia dieci volte maggiore. Così è provato che la reazione del muscolo non si deve a una pura trasformazione della energia impiegata nello stimolare; ma invece si libera una quantità di energia notevolmente maggiore ch’ era nel muscolo accumulata. L’ energia latente immagazzinata nella sostanza vivente può manifestarsi nella sua forma primordiale di movimento di massa, oppure trasformarsi dando luogo fenomeni di fosforescenza, elettrici (Torpedo), oppure di sviluppo dell’orga- nismo. Che anche questo sia una trasformazione della stessa energia è rivelato dalla relazione reciproca esistente tra l’attività dello sviluppo e la quantità di movimento esteriore manifestata da certe spore flagellate o ciliate, le quali a un certo punto cessano di agitarsi nell’ acqua, perdono ciglia e flagelli, si incistano e sviluppano, impiegando a compiere un lavoro interno quell’energia accumulata che altrimenti si dissiperebbe in moto di traslazione del corpo. Ad eccezione dei movimenti detti « spontanei » che si manifestano « per esuberanza di vita », tutti gli altri movimenti animali e vegetali si compiono RASSEGNA BIOLOGICA 361 per l’ impulso di qualche forza esterna. Perchè anche la sostanza organica ha la sua inerzia, vale a dire non è in grado di alterare da sè il suo stato di moto o di quiete. Ora, gli impulsi esterni non avrebbero efficacia alcuna sugli organismi, se questi non possedessero la proprietà di « ricevere la energia e modificarsi sotto di essa così da manifestare una forma di energia come reazione alla stessa ». Questa proprietà è la eccitabilità. Dapprincipio essa non ha che un valore meccanico; ma viene poi sviluppandosi in sensibilità negli orga- nismi superiori dotati di un sistema nervoso sviluppato. La eccitabilità serve a dirigere le manifestazioni della vita, com’è provato dai fenomeni detti di chemotropismo, galvanotropismo, eliotropismo, barotropismo, ecc. Passando ai viventi pluricellulari, Sergi si ferma sopratutto a conside- rare il fenomeno della riproduzione. Negli individui unicellulari le cellule che nascono dalla scissione si separano e restano distinte, nei secondi restano unite. Nella riproduzione scorge il Sergi una tendenza « all’ espan- sione della sostanza viva, e quindi alla moltiplicazione . . ., la qual ten- denza qualche volta si manifesta come un fenomeno limitato interno, ,cioè con la divisione del nucleo in parti minutissime . . . , ovvero con la ver: molteplicità nucleare, senza moltiplicare la individualità della cellula ». Nei viventi unicellulari invece avviene la scissione la quale tien dietro alla moltiplicazione nucleare interna, e ciò devesi, secondo 1° A., a che negli « unicellulari le tendenze all’ espansione della sostanza vivente sono mag- giori e più effettive ». La divisione mitotica o indiretta conduce a' risultati identici. Nei pluri- cellulari succede poi il più sovente che le cellule unite si modificano suddi- videndosi il lavoro, come parti di un medesimo individuo. Ma anche nella forma di moltiplicazione completa, seguita cioè da separazione delle cellule, propria degli unicellulari, avviene che questi ultimi non potendo formare di una cellula sola veri tessuti, mostrano però una tendenza spiccata alle trasformazioni in fasi successive del loro sviluppo. Così la distinzione fondamentale tra organismi unicellulari e pluricellu- lari è ricondotta a due forme di riproduzione cellulare : divisione completa (diretta o indiretta) caratteristica dei primi e la scissione incompleta, cioè non seguita da separazione delle cellule prodotte, caratteristica dei secondi. Crede con ciò l’A. di poter « escludere il concetto di polizoismo e anche quello di colonie nel significato largo a questo attribuito ». Una forma di riproduzione che può considerarsi come una variazione della prima si ha in un anellide, Myrianida, che si riproduce mediante una reiterata gemmazione di un individuo progenitore che si sviluppa dall’uovo : gli individui che si van formando in serie lineare (metamerica) si staccano a completa maturità. Le gemmazioni a foggia radiale, arborescente, dei polipi sarebbero invece una variante della moltiplicazione senza separazione dall’individuo genera- tore. [Qui il Sergi non distingue parmi abbastanza la moltiplicazione di cellule dalla moltiplicazione di aggregati cellulari. L'esempio della Myrianida e dei polipi non valgono ad illustrare il passaggio dagli unicellulari ai pluricellulari ; ma da pluricellulari ad aggregati di questi: il che per altro non esclude che si ripetano qui fenomeni analoghi a quelli notati passando dagli uni- ai pluricellulari]. 362 i RASSEGNA BIOLOGICA Quanto all’origine coloniare della metameria VA. la ritiene un’ illusione sembrandogli che nella ontogenesi la metameria sia « un fenomeno secon- dario e posteriore alla moltiplicazione cellulare dell’uovo ». Per gli organismi pluricellulari rimane ancora valido quanto fu detto rispetto alle manifestazioni della energia vitale. Nella aggregazione di cellule avviene che tutte le energie similari di ciascun elemento si associano e fondono in un’unica energia; così la energia di un muscolo agisce come fosse unica pur derivando dalla somma delle energie di ciascuna sua fibra. Il carattore veramente positivo per cui distinguiamo la vita non è la eccitabilità, ma il movimento : se ad una stimolazione non risponde un movimento diciamo che manca la eccitabilità. Volendo acquistare un’ idea più determinava della eccitabilità è d’uopo ricordare qualche modificazione prodotta dagli agenti esterni nei corpi inorganici, come la influenza colo- rante o scolorante esercitata dalla luce, o l’ azione dei raggi calorifici sui ‘corpi. Ora in questi casi, per determinare il valore dell’ azione esercitata dagli agenti «isici non abbiamo altro mezzo che misurare gli effetti. Analo- gamente dobbiamo riguardare la eccitabilità come un’ attitudine della sostanza organica a subire un’alterazione dagli agenti esterni. Siffatte alte- razioni prodotte da stimoli naturali o artificiali si rendono distintamente visibili quando, ad es., si faccia agire sopra una cellula di 7radescantia virginica una «corrente elettrica. Si vede allora il protoplasma cellulare rac- cogliersi in piccole sfere. Negli esseri superiori a sistema nervoso sviluppato gli effetti di quest’ alterazione della sostanza dei tessuti per azione degli stimoli possono rendersi sensibili per quel fenomeno psichico che dicesi dolore. La differenza principale tra la eccitabilità organica ed inorganica sta in ciò che per quanto concerne la prima l’ alterazione prodotta è transitoria, a meno che la intensnà degli stimoli non sia stata tale da distruggere la composizione organica; inentre nella sostanza inorganica le alterazioni sono permanenti. Un’ altra caratteristica della sostanza organica è che gli agenti esterni agendo su di essa servono a liberare e trasformare l’energia interna accumulata e nel tempo stesso a dirigerla. Per Sergi la eccitabilità è una proprietà generale degli organismi viventi, piante ed animali, la quale si eleva e diventa sensibilità cosciente negli animali superiori nei quali si trova un sistema nervoso differenziato e sviluppato. In ciò egli dissente dal Luciani. pel quale tra eccitabilità e sensibilità non esiste che differenza verbale, esserdo la eccitabilità pel chiaro fisiologo « la stessa sensibilità espressa con simbolo verbale fornito dalla osservazione esterna e per converso la sensibilità essendo la stessa eccitabilità espressa con simbolo attinto all’introspezione ». A conforto delle sue vedute il Sergi adduce il fatto che negli orga- nismi più evoluti, come nel corpo umano, la eccitabilità organica vrimor- diale incosciente persiste accanto alla sensibilità più elevata e cosciente. Irritabili sono infatti i leucociti che si trovano nel liquido sanguigno dotati di movimenti ameboidi, e tali sono pure le cellule degli epitelii ciliati che tappezzano il canale esofageo e laringotracheale. Ora, secondo la teoria di Luciani, si dovrebbe ammettere che questi elementi possiedano la eccita- bilità anche nella sua forma cosciente o subbiettiva; e questo il Sergi non RASSEGNA BIOLOGICA 363 concede negando la irritabilità cosciente negli stessi organismi primordiali liberamente viventi. La sensibilità definitiva si acquista dagli animali collo sviluppo del sistema nervoso: nel regno vegetale la eccitabilità è rimasta nella sua forma pri- mordiale anche nelle piante più evolute. La eccitabilità serve a intrattenere le funzioni nutritiva e riproduttiva degli organismi per le quali la coscienza non è neppure necessaria, come si rileva dal fatto che nell’uomo la maggior parte dei fenomeni nutritivi e di elaborazione del materiale riproduttivo si compiono in piena incoscienza. Ma la sensibilità, che negli animali superiori va evolvendosi dalla eccitabilità, ha una funzione distinta dalle due accennate, una funzione di difesa già abboz- zata negli stessi protozoi. I fenomeni psichici fin dal loro primo apparire sono fenomeni di protezione, donde il nome dato loro da Sergi di estofilassi o sensibilità di difesa. Mentre le prime due funzioni possono compiersi nel- l’incoscienza, per la protezione è necessario che al vivente si riveli 1’ alte- razione prodotta nella sua sostanza dagli agenti esterni; e questa si avverte come dolore o piacere. Perchè la funzione protettiva possa esercitarsi non basta la sola sensibi- lità, ma è ancora necessario la reazione corrispondente che si esplica sotto forma di movimento. Sergi ha designato come estocinesi (senso e moto), la funzione completa. Le funzioni nutritiva e riproduttiva si compiono per la maggior parte senza alcuna rivelazione dei loro effetti alla coscienza. Però in condizioni patologiche, quando i processi organici siano perturbati, è utile, ed infatti succede, che tali disturbi vengano annunciati alla coscienza come sensazione generale di malessere o di dolore che spingono il paziente a provvedere. Oltre alle sensazioni di dolore e piacere che corrispondono alla forma pri- migenia della sensazione, e non hanno organi specifici, si aggiungono negli animali superiori sensazioni speciali agli organi di senso caratteristiche secondo l’ agente esterno che agisce sull’organo. Queste ultime sensazioni, che diconsi specifiche, si liberano in gran parte da ciò che costituisce lo stato di sentimento e dànno immagini sempre più definite, elevandosi dalle sensazioni cutanee che partecipano ancora del carattere primigenio alle visive che sono le più individuate. Le sensazioni forniscono immagini che si denominano idee. Però queste hanno anche un’ altra sorgente, ossia dalle sensazioni che accusano movi- menti compiuti dallo stesso organismo, sensazioni dette muscolari, legate alla presenza di fibre nervose che sono diramazioni dei nervi centripeti ai muscoli. Ne risultano immagini corrispondenti a idee di movimenti. La coscienza per Sergi « non è un fenomeno a sè, distinto, separato dai fenomeni detti psichici; . ... essa è solamente e semplicemente il rivelarsi dei fenomeni. Tutti i fenomeni vitali alle volte sono di carattere psichico, alle volte rimangono di puro carattere biologico », ed è così anche dei fenomeni più elevati della psiche, come il pensiero. Il carattere intermittente, frammentario della coscienza si manifesta nelle funzioni nutritive che possono essere avvertite in condizioni morbose, come anche in certe fasi dell’ attività riproduttiva. Perfino i movimenti riflessi ed automatici possono ad un tratto apparire alla coscienza dopo il loro compimento. 364 RASSEGNA BIOLOGICA Gli stimoli non solo provocano movimenti, ma anche imprimono ad essi determinate direzioni. I movimenti acquistano un carattere diverso negli organismi superiori, grazie alla formazione in essi di idee di movimento le quali possono seguire all’ eccitamento invece della reazione motoria. Tali movimenti che non seguono immediatamente all’ impulso che li provoca diconsi volontarii. Essi dunque passano per l’intermedio dell’idea e la loro esecuzione è stata differita per fini utili al vivente. L’impulso esterno resta sempre la causa prima determinante; ma complicandosi i movimenti, l’idea di eseguirli si presenta alla coscienza come un fatto autonomo, generando la illusione di una indipendenza dagli stimoli esterni o spontaneità. È però da avvertire che non sono le idee pure e semplici che eccitano i movimenti pel loro contenuto rappresentativo, ma sono soltanto i movimenti che le accompagnano. : Questa illusione di spontaneità la dànno così all’ osservazione esterna come all’ introspezione, anche i movimenti detti istintivi; mentre in realtà anche questi sono provocati come i movimenti detti volontarii. Se per un istante facciamo astrazione dalla complessità, troveremo negli unicellulari dei movimenti che pel loro carattere protettivo primordiale si dovrebbero chiamare istintivi, come quello della Difflugia di ritirare i pseudopodi per una lieve scossa subita, sebbene debbasi ad essi, secondo il Sergi, negare il carattere di coscienza o psichicità. Negli istinti di animali a sistema nervoso molto sviluppato può entrare un elemento di coscienza. Tra gli istinti sono da distinguere: quelli che sono primarii, si attuano restando incoscienti come i riflessi e poggiano sull’ eredità ; ed altri secon- darii derivati da abitudine e divenuti automatici, e che primitivamente erano movimenti provocati da sensazioni, aventi cioè carattere psichico. A questi devonsi ancora aggiungere i movimenti emozionali, come la paura di natura protettiva, che privi di coscienza si notano già abbozzati nella retra- zione dei pseudopodi per reazione immediata, di cui parlammo. Altro istinto è la pugnacità o aggressività che è una forma di difesa attiva e trovasi in quasi tutti gli animali. Un’altra manifestazione psichica degli animali superiori è la ragione che Spencer fa nascere dall’istinto. Essa implica tra due percezioni un legame di successione pel quale dopo una prima percezione se ne attende una seconda che viene evocata per associazione nella memoria. Viene quindi il Sergi a discutere alcune delle teorie proposte per ispie- gare la eredità dei caratteri. La ipotesi Weismanniana sembra al Sergi assurda principalmente perchè l’autore tedesco ripone nelle unioni sessuali e nella mescolanza dei plasmi germinativi la origine dei caratteri individuali ereditarii. Ora il Sergi si chiede come avviene « che nelle due cellule sessuali si sia prodotta la variazione del loro plasma germinativo ; perchè noi dobbiamo ammettere che l’ uovo e lo spermatozoo contengano elementi eguali. E pertanto la mescolanza dei loro plasmi non può essere causa di variazioni individuali ereditarie ». [È per altro da notare che Weismann nonattribuisce alle unioni ses- suali altro significato che quello di combinare in diverse guise plasmi ger- minativi resi già diversi specialmente per azione di agenti esterni e non tali per differenze specifiche di sesso]. RASSEGNA BIOLOGICA 365 Al Sergi le dottrine weismanniane, galtoniane di plasmi, stirpi, gem- mule, sembrano un frutto della « tendenza all’occultismo », ed egli vorrebbe sì ricercasse una spiegazione più semplice e naturale. In tutti i fenomeni naturali, è evidente una tendenza alla stabilità, e la eredità per le forme organizzate non è che una forma di questa legge. Per quel che riguarda poi la ereditarietà tanto discussa dei caratteri acquisiti l’A. pensa che divengano ereditari solo le variazioni che sono utili alla specie mentre « se le variazioni sono superficiali, cioè non necessarie alla specie, possono essere ereditarie ma anche transitorie ». Parlando dell’istinto fu già notato che alcuni movimenti istintivi vanno considerati come di origine psichica e poi divenuti automatici. Questo implica già la eredità dei caratteri nel senso lamarkiano. Per Sergi la «eredità psicologica non si separa dalla morfologica che ne è il sostegno o la base ». Ammette però che certe variazioni funzionali «senza far variare gli organi possano lasciare traccie che si interpretano come tendenze dell’ or- gano a funzionare più perfettamente o meno ». — Nell’eredità dei caratteri psicologici morbosi, pazzia, delitto ecc., vi ha tendenza alla trasformazione e questa interpretazione dei fenomeni patologici della psiche sembra al Sergi applicabile anche al genio. I casi di apparente eredità specifica nel genio, sono dall’A. riferiti « all’influenza della famiglia nella quale si tende a conservare uno stato professionale o fruttifero o glorioso ». La stabilità e la variabilità notate nella riproduzione ereditaria delle forme organiche, si manifestano, abbiam detto, anche nella riproduzione dei caratteri fisiologici e psicologici. Anzi in questi ultimi le variazioni possono essere più numerose e più forti, perchè la funzione è in gran parte quella che modifica le forme deviandole dalla loro stabilità. Noi non sapremmo determinare quali modificazioni morfologiche corrispondano alle variazioni nelle tendenze funzionali; ma ammettiamo però che tali differenze debbono esistere. Ora se nella vita individuale le variazioni funzionali sono la causa delle modificazioni organiche, nella trasmissione ereditaria invece si ripro- ducono le sole basi organiche della variazione le quali poi si esplicheranno in una funzione modificata. Da un altro punto di vista «la riproduzione delle forme funzionali è una memoria, la cui base consiste nelle modificazioni apportate agli organi per variazione funzionale e nella riproduzione di tali modificazioni nell’ eredità di tutto l’organismo ». Il Sergi denomina invece riproduzione mnemonica la memoria. indivi- duale psichica, la quale ha una base non diversa dalla memoria ereditaria. Fondamento di essa è quella proprietà della sostanza viva, una volta alte- rata da uno stimolo, di serbare traccie nella sua composizione, per cui soprag- giungendo un altro stimolo, si determina più facilmente alla reazione come seguendo una via di minore resistenza. Negli organismi unicellulari non esisterebbe ancora la riproduzione mne- monica, ma certamente la memoria ereditaria. Le modificazioni morfologiche che accompagnano siffatti cangiamenti funzionali sono avvertibili in tessuti, come il muscolare, e non dobbiamo pertanto negare che avvengano anche nel tessuto nervoso. Se le proprietà acquistate dal tessuto nervoso per via funzionale hanno un carattere di utilità alla specie possono trasmeéttersi per 366 RASSEGNA BIOLOGICA eredità e riprodursi come istinti, divenendo in tal caso la eredità individuale in certo modo memoria ereditaria; ma così non sarebbe per le funzioni muscolari acquistate per abilità musculari. Negli organismi pluricellulari, la memoria individuale assume il carattere psichico di riproduzione mnemo- nica coll’ acquisto della coscienza. Organo principale e regolatore della psiche e della vita è il tessuto ner- voso. Uno dei problemi principali è quello che volgarmente dicesi della sede della coscienza. Sergi sostiene che la espressione è inesatta perchè la coscienza non sarebbe « una qualche forma di spazio in cui vengono iscritti e localizzati i fenomeni; ma è il fenomeno che può assumere il carattere cosciente. Dunque il problema sarebbe piuttosto di ricercare la sede dei fenomeni che possono divenire coscienti ». Lo studio comparativo nella serie ascendente dei mammiferi porta a cre- dere che a dirigere le funzioni di nutrizione e di relazione bastino le parti inferiori dell’ encefalo umano. A queste si è aggiunta nella evoluzione la corteccia con tutte le fibre di conduzione ed associazione. Onde la localiz- zazione di alcune funzioni sarebbe doppia, l'una nei centri più antichi, Valtra, secondaria, nella corteccia, e quivi pare esse assumano il carattere di coscienza. Sembra del resto che la coscienza possa ritrovarsi in varie parti, anche nei lobi occipitali quando vi si localizzano speciali fenomeni. Dire di più sarebbe arbitrario e fantastico. Nell'ultimo capitolo di questo interessante scritto il Sergi riassume le sue opinioni sulla psiche e la vita: «la vita non è un’entità, è un insieme di fenomeni, una serie di manifestazioni di energia variamente trasformata.... La psichicità è una proprietà acquisita dalla sostanza vivente nella sensi- bilità; quindi apparisce come una forma di manifestazione di essa stessa, e non un’entità ». E: Milne Epwarps A. M. — Le sentiment de la Charité chez les oiseaux. — Bull. du Muséum d' historie natur. Année, N. 3, Paris. In una gabbia vivevano in buon accordo due di quei graziosi Timellidi (Leiothrix lutea) [appartengono all’ Ordine dei Passeracei] della regione del- l’ Himalaia, che Sonnerat battezzò Mésauges de Nankin. Un giorno, un Cardinale grigio [appartiene anch’ esso all’ Ordine dei Passeracei] s’inferocì contro una di queste bestioline e dopo averle strappati alcuni ciuffi di piume, con una forte beccata le fracassò una zampa. La povera ferita non poteva più, così malconcia, tenersi sui ballatoi e perciò stava appollaiata per terra, tremando di freddo. La sua compagna impietosita scendeva tutte le sere presso la ferita e le recava pagliuzze e fili d’erba per farne soffice ‘cuscino alla zampa, poi la copriva mollemente con la sua ala. Così la pie- tosa passò le notti per una settimana. Poi l’ammalata morì. Allora }’ amica superstite diventò triste, passò ancora alenni giorni, raggrieciata in un angolo della sua prigione, e vi morì anch’ essa. RASSEGNA BIOLOGICA 367 Quale è l'istinto che può condurre un animale a compiere aiti così pie- tosi ? È istinto questo? O non vi par meglio sentimento ragionato ? F. FIRASSETTO, BAGLIONI SILVESTRO. — La psiche e le funzioni del sisterna nervoso centrale. — Saggio di critica fisiologica. — « Rivistu di Filosofia, Peda- gogia e scienze affini », Aprile, 1901. La psiche non è, come spesso si suol ripetere, la fun:iione o la risultante diretta ed immediata dei fenomeni e processi vitali che si svolgono nei centri nervosi. La psiche non può esser funzione del siste;na nervoso, perchè funzione secondo lA. sarebbe « un rapporto tra due fenomeni oggettivi » ; mentre « la psiche è un fenomeno eminentemente sog yettivo e noi non possiamo percepirlo mai al di fuori di noi ». La psiche è inoltre « indefini- bile essa tutto abbraccia quanto è, quanto sentiamo, quanto sappiamo ». Volendo definire i rapporti tra fisiologia e psicologia 1° A, si attiene al subbiettivismo di Verworn del quale riporta le idee. Lo scopo della fisiologia « è di ricondurre tutti i fenomeni vitali oggettivi alle proprietà dell’atomo ». La psicologia sarebbe una parte della fisiologia « quando il fenomeno psichico elementare fosse capace, per la su» natura, d’ essere ricondotto alle proprietà dell’ atomo » ; ma l’atomo stesso è un fenomeno. Onde « non l’elemento psichico si può ricondurre all’elemento tomo, bensì questo a quello ». Espinas A. — Etre ou ne pas étre ou du postulat de la Sociologie — <« Revue philosophique >», Mai 1901. Espinas rileva e discute le cause della viva opposizione che andarono incontrando gli studi sociologici dal 1871, quando lA. dimo:trava per la prima volta la necessità di studiare il fatto sociale nella sua generalità compren- dendovi anche l’esame delle società animali, fino ai giorni nostri in cui da molti si nega ancora la esistenza delle società e della coscienza sociale, e per conseguenza anche si rifiuta di considerare i fenomeni soc’: i conie formanti un gruppo a parte al di là dei fenomeni psicologici. Tra le cause che contribuirono a gettare il discredito sopra la sociologia vanno annoverati in primo luogo i ravvicinamenti esagera6i tra le società umane e i corpi individuali. La reazione contro tali eccessi è scata utile, ma non deve spingersi fino a misconoscere le somiglianze, e il fatto che anche le società sono organizzate e dotate di vita. Una causa di ritardo dei progressi della sociologia consiste poi nel ricco sviluppo della psicologia contemporanea, la quale va indagando un numero di questioni psicologiche senza avvertirne la vera natu;a. n giorno però quest’ultima diverrà più evidente e sarà allora rivendicato alla socio- logia un buon terzo dei materiali elaborati dalla psicologia tradizionale. 368 RASSEGNA BIOLOGICA L’ostacolo di gran lunga più grave al progresso della sociologia è oppo- sto dal punto di vista individualistico proprio della filosofia spiritualista e della teologia cristiana. Il contrasto tra la metafisica spiritualista e le vedute sociologiche trovasi luminosamente espresso da Leibnitz, là dove egli afferma che se una società organizzata sembra avere più unità di un’acco- zaglia confusa, tale unità però non ha esistenza reale, ma soltanto nel pen- siero, la sola unità vera essendo nella monade. Ogni aggregato riceve la sua unità dallo spirito che la contempla; la sua unità è un puro effetto ottico. Tuttavia, a questa incompatibilità tra la metafisica cristiana e una storia naturale delle società si potrebbe obbiettare che tra i primi promotori delle speculazioni di questo genere furono Maistre e Bonald. Ma, risponde Espinas, ciò dipendeva dalla preoccupazione della scuola teologica in quel torno di sottrarre così l'iniziativa dell’ indirizzo alle società politiche, rimettendo .a Dio il governo degli uomini, dimostrando che la costituzione di popoli non è un’opera umana, non è il risultato di una scelta, di un contratto, ma della volontà divina. È così che il gesuita Meyer accetta le similitudini coi corpi individuali a patto però che ciascuna parte della società conservi la propria attività, quanto dire che le anime non comu- nichino tra loro e i loro rapporti siano puramente esteriori. Per Espinas dunque « non può esservi sociologia cristiana come non si potrebbe conce- pire una geologia biblica, a meno di ricorrere ad abili adattamenti che lascino intatte le divergenze fondamentali ». Altro ostacolo allo sviluppo della sociologia: il pregiudizio che ogni teoria scientifica debba essere immediatamente convertibile in una regola pra- tica dalla quale soltanto essa riceva la misura del suo valore. Si comprende come i riformatori desiderosi di cambiamenti istantanei e indefiniti nell’ as- setto della società avversino per instinto l’idea di leggi e «specie » definite in sociologia, che suppongono le strutture sociali dotate di una relativa fissità. Sotto il regno di Luigi Filippo primo disseminatore delle idee sociali- stiche in Europa fu il sansimonismo : la sua indole era <« assolutamente anticontrattuale » e la « fisiologia sociale» era uno dei verbi della sua rive- lazione.... È noto che Enfantin avea fatto disegnare un corpo umano sui Jardins de Ménilmontant e che se ne serviva per dimostrare le leggi della vita sociale». Oggi invece la teoria che considera i fenomeni sociali come varianti in funzione delle leggi naturali è interpretata come conducente ad applicazioni pratiche opposte :- essa autorizzerebbe la politica di classe, giusti- ficherebbe il regime aristocratico ad autoritario. [Questa «singolare inver- sione» del significato pratico della sociologica naturale non è però nuova nella storia. Basti ricordare che dell’ analogia sociologica si. valse Menenio Agrippa quando, per sedare i tumulti, spiegò al popolo che le mani un dì ribellatesi allo stomaco dovettero ben tosto ravvedersi e portare il cibo alla bocca se volevano a lor volta ricevere nutrimento dallo stomaco. E queste vicende storiche non sono punto strane. Fra le parti dei corpi individuali è tanto vero che esiste una lotta (il principio di Roux) e la subordinazione quanto la cooperazione; e questi principii arbitrariamente interpretati e peggio applicati possono servire a dimostrare tutto quello che si vuole, a difendere il regime aristocratico come il collettivismo]. » RASSEGNA BIOLOGICA 369 Un’ altra accusa lanciata contro chi vuol dividere la massa umana in gruppi distinti dotati di « coscienze nazionali» è di favorire la prolungazione della guerra e delle paci armate. Ora i partigiani della teoria organica possono desiderare la pace internazionale quanto i promotori di congressi internazionali pel disarmo; ma non possono che veder confermata la esistenza delle «individualità nazionali», quando scorgono la evangelica Inghilterra scagliarsi con tanto furore contro i Boeri e tutta l’ Europa commettere bar- barie nella China. Nella seconda parte di questo scritto Espinas tenta delimitare l’oggetto della sociologia, determinandone i confini verso la biologia e la sociologia. Un criterio adottato dall'A. nei primi suoi lavori sull’argomento per deli- mitare gli aggregati sociali dagli aggregati biologici, consisteva nel discer- nimento dei gradi di composizione. « È sociale ogni aggregato di 2° grado a partire dai primordi della vita; al disotto di questo limite 1’ aggregato resta semplicemente biologico ». L'A. avea proposto il nome di blastodemi per gli individui viventi, aggregati pluricellulari come l’ insetto, il pesce, ecc. È quel gradino che Perrier denomina zoidi, Haeckel «persone», Cattaneo cladi. I vincoli che uniscono le cellule nel blastodema sono o semplicemente materiali, come le aderenze o anche funzionali; ma sempre fisico-chimici, non essendovi traccie abbastanza evidenti di rappresentazioni nei movimenti dei leucociti e nemasperni perchè questi possano costituire un’eccezione. Invece i vincoli che uniscono i blastodemi fra loro sono psicologici. I fatti d’ ori- gine psicologica che si staccano per formare una classe nuova sono fatti di rappresentazioni ed impulsioni reciproche (es. amore sessuale, materno, ecc). Tuttavia il fatto sociologico si svolge senza mai emanciparsi dalle sue aderenze colla realtà biologica. Un rapporto stretto tra i due ordini è stabilito dalla famiglia. Ogni società è composta di famiglie e questo fatto univer- sale deve avere una ripercussione profonda sull’insieme della vita sociale. Il fatto biologico non può divenire immediatamente sociale: si esige un intermediario, il fatto psicologico. Ora se 1’ essere gli individui dotati di rappresentazioni, emozioni ed impulsioni è condizione perchè tra essi possa stabilirsi una solidarietà e cooperazione delle attività, d’ altra parte lo svi- luppo e la funzione di ciascun individuo nella società è determinato dal- l’ aggregato in seno al quale esso si sviluppa. Da quando poi si formò il linguaggio I’ importanza dell’ azione sociale nella formazione della personalità individuale è divenuto si ragguardevole da esser difficile distinguere nella costituzione mentale di ciascun associato i limiti tra psicologia e sociologia. Che cosa sono le società? Non meritano questo nome altro che « quei gruppi i cui membri sono uniti per tutti i rapporti della vita, compresa la riproduzione e nutrizione». Un gruppo ove non esistesse la famiglia, non è una società. Una compagnia ferroviaria per quanto vasta non è una realtà sociale, e neppure è tale un esercito: sono soltanto organi. Le società animali ed umane inferiori mancano di quel grado di orga- nizzazione che è indispensabile perchè il tutto acquisti una coscienza distinta. Fra gli antichi la « città» è stato il primo aggregato che presentasse tutti i caratteri di un essere sociale, caratteri che si sono andati raffermando nelle nazioni. Queste infatti presentano un elevato grado di accentramento delle Riv. DI BIOLOGIA GENERALE, III. 2 370 RASSEGNA BIOLOGICA coscienze ed inoltre una massa enorme di fenomeni sociali incoscienti. È infatti impossibile ridurre a contratti volontarii gli accordi che si fanno su vasta scala nei mercati nazionali e internazionali sotto la pressione di bisogni urgenti e di circostanze estremamente variabili. Nelle vere società organizzate le cooperazioni collettive assumono tale importanza per la prosperità degli individui che esse divengono lo scopo ; «le rappresentazioni, le emozioni, i desideri tendenti al bene comune fanno convergere verso un medesimo punto tutte le coscienze parziali, formando un nuovo centro che è la coscienza collettiva, la più alta concentrazione spontanea (delle rappresentazioni e degli impulsi ». Al contrario « la maggior parte dei filosofi, sociologi di nome ma non di intenzione, non accordano la individualità che ai soli esseri nei quali pos- sono riporre un io trascendente, una sostanza. Essi affermano: l'individuo nasce quando vi entra una monade sovrana; perisce quando questa congeda le monadi vassalle ». Questi sedicenti sociologi ritengono impossibile la deter- minazione di tipi e di leggi sociali. Eppure la possibilità di riuscirvi va crescendo ogni giorno. Espinas ha già potuto fissare nella serie zoologica un certo numero di tipi sociali ben definiti. La esistenza poi di leggi sociali è dimostrata dalla prevedibilità, per quanto limitata dei fatti sociali. Le probabilità di vendita guidano quotidianamente le previsioni dell’ industria e del commercio. L'A. è certo di nulla arrischiare affermando « che tra 20 anni vi sarà ancora un’ Europa politica, e che la forma politica di na- zioni dovrà persistere per un periodo maggiore nei gruppi sociali umani ». Da ultimo VA. si chiede quali siano le regole pratiche che la teoria auto- rizza. E qui la risposta riesce difficile perchè Espinas non crede che la pratica possa costruirsi deduttivamente. Non ha mai pensato peraltro che le sue con- cezioni sociologiche « possano autorizzare ciò che somiglia alla dittatura, nè sì prestino a giustificare il privilegio ». TECO NMedianismo. HALES FRANCK. — Histoire de la Société des Recherches psychiques de Londres. — Conférence faite à l’Institut psychologique le 5 Mars 1901. — « Bulletin de l’Institut psychologique International ». Avril, 1901. È uno sguardo alla storia della Society for Psychical Research (S. P. R.) di Londra di cui A. è membro. Sarà opportuno riassumere questa confe- renza, perchè buon numero dei nostri studiosi ignorano affatto la esistenza della S. P. R. e l immenso lavoro da essa compiuto. La Società di ricerche psichiche si è costituita nel 1882 allo scopo di assoggettare ad una investigazione scientifica un ordine di fenomeni (alluci- nazioni veridiche, magnetismo, levitazioni, chiaroveggenza, ecc.) che eransi fino allora considerati come appartenenti ad una sfera superiore alla scienza, oppure indegni di essa o del tutto immaginarii. Si trattava di esaminare RASSEGNA BIOLOGICA ST1 questi fenomeni senza preconcetti. Chi si assunse questo compito fu sopra- tutto il compianto Sidgwick, che lA. chiama «il più grande genio critico dell’ Inghilterra contemporanea », in unione a Guerney e Myers, l’ insigne investigatore del mondo psichico subliminale, anch’ egli mancato da poco alla scienza. La Società, appena costituita, si suddivise in sei comitati allo scopo: 1. di studiare 1’ influenza che una psiche può eser- citare sopra un’ altra indipendentemente dai modi normali di percezione ; 2. inoltre l’ ipnotismo, la chiaroveggenza e fenomeni affini; 3. fare una revisione critica delle esperienze di Reichenbaeh suile isteriche ; 4. rac- cogliere e vagliare le testimonianze circa le apparizioni allucinatorie di persone al momento della loro morte; 5. fare una revisione dei fenomeni fisici dello « spiritismo »; 6. coordinare i materiali relativi alla storia di questi argomenti. In questa sua prima conferenza Hales intende occuparsi esclusivamente dei risultati del primo comitato avente per oggetto lo studio della telepatia. Il fenomeno telepatico nella sua forma tipica consisterebbe in ciò: «< una persona A (agente) è morta, B (percipiente) allo stato di veglia ha veduto A nella sua camera nel medesimo tempo in cui è avvenuta la morte di A ». Nelle ricerche sulla telepatia la Società procedeva in questo modo. Anzi- tutto classificava secondo 1° ordine del loro valore evidenziale le testimo- nianze dei fatti singoli raccolte per mezzo di un’inchiesta statistica. Questo lavoro fu molto arduo e faticoso, dovendosi assumere informazioni e possi- bilmente far la conoscenza personale dei soggetti. Indi ogni singola narra- zione che presentasse i caratteri della buona fede veniva assoggettata ad una minuta analisi allo scopo di spogliarla di quanto potessero aver aggiunto al vero la immaginazione o le illusioni della memoria, tenendo conto anche della tendenza naturale ad avvicinare nella memoria le date di due eventi, in modo che la coincidenza ne risulti più sorprendente, oppure deformare ed attenuare i fatti per qualche idea preconcetta ad essi favorevole o contraria. I membri attivi della S. P. R. non si risparmiarono nè spese, nè fatiche per proseguire col dovuto rigore queste indagini che trattate con metodo meno esatto sarebbero state di nessun valore. Raccolta così una ricca casistica, occorreva determinare se la coincidenza tra l’ allucinazione e il fatto accaduto a distanza (la morte nel caso tipico scelto dai Sidgwick per la loro inchiesta) fosse accidentale oppure causale. A tale scopo da una parte fu aperta un’ inchiesta sopra la frequenza di allucinazioni ordinarie avute allo stato di veglia da persone normali e di un contenuto analogo a quelle riferite nei casi di telepatia, e d’ altra parte fu calcolata, in base al censimento della popolazione ed alla mortalità, la probabilità che una persona scelta a caso venga a morire in un dato giorno. Per l’ Inghilterra tale probabilità risultò di 1/19000. L’ inchiesta relativa alle allucinazioni durò tre anni e si raccolsero ben 17000 risposte. Confrontando il numero dei casi di allucinazioni non coin- cidenti colla morte di una persona conosciuta, col numero delle allucinazioni coincidenti risultò che il secondo è 292 volte maggiore di quello che risul- terebbe dal calcolo di probabilità pel caso che le coincidenze fossero fortuite. Nei calcoli si è considerata come « coincidente » un’ allucinazione avve- 372 RASSEGNA BIOLOGICA nuta a un intervallo al massimo 12 ore prima o dopo l'ora accertata della morte. [Ma è da notare che nella grande maggioranza dei casi la coinci- denza è ben più esatta, e se questi limiti così larghi furono assunti per la difficoltà che una persona ricordi esattamente 1’ ora in cui ebbe 1° allucina- zione, crediamo di non errare affermando che se si potessero valutare nei loro limiti effettivi di tempo le coincidenze tra i due fenomeni, si troverebbe ch’ esse non si distribuiscono uniformemente nelle 12 ore che precedono e seguono la morte cui si riferisce 1° allucinazione, ma sarebbero quasi tutte raggruppate a breve distanza dall’ istante del decesso. Se dunque si restrin- gesse il calcolo a questi casi, che sono anche individualmente i più pro- bativi, risulterebbe una cifra ben più alta a favore della ipotesi telepatica]. All’ applicazione del metodo statistico nella questione della telepatia si mossero parecchie obbiezioni. [Il prot. Bager Sjrogén, II Congresso Internazionale (1896) di psicologia a Monaco di Baviera, sostenne (come apprendo dalla bella relazione di Vailati in ‘vista di Studii psichici, Sett., 296) la insufficienza del metodo statistico, e non avere i Sidgwick tenuto il debito conto delle selezioni involontarie per cui tra le allucinazioni, come per ogni altro fatto psichico, hanno maggior tendenza a fissarsi nella memoria quelle che si associano qualche altro evento per una coincidenza particolarmente interessante. Richet prese a combattere con vigore tali obbiezioni. Secondo lui date le attuali difficoltà di applicare i metodi speri- mentali allo studio di questi fenomeni, l’ unico metodo scientifico è quello fondato sulle statistiche. « Non siamo d’altronde noi che possiamo imporre ai fatti i metodi che a noi sembrano migliori; ma sono i fatti che sugge- riscono a noi la scelta di questo o di quel metodo a norma della loro appli- cabilità ». Nè bisogna dimenticare, segue Richet, che certi casi di telepatia anche isolati hanno un valore immenso, ed è così ogni volta che un fatto accaduto a distanza coincida coll’ allucinazione in tutti i suoi particolari]. Non sono più felici le obbiezioni sollevate dal Parish in un opuscolo critico pubblicato nel 1897. La prima suppone nel soggetto una illusione della memoria, per cui 1’ individuo crede realmente di aver avuto nel pas- sato un’ allucinazione (allucinazioni retrospettive di Bernheim); la seconda, pur concedendo che il soggetto abbia avuto realmente un’ allucinazione, immagina che essa non sia stata riconosciuta subito, ma che per una illu- sione il soggetto creda di averla realmente riconosciuta nell’ occasione della morte della persona. 3 Parish dunque non fa che accampare delle possibilità, mentre nella questione della telepatia si tratta di vagliare le probabilità. Ora le fonti di errore indicate da Parish potranno forse spiegare qualche raro caso, ma non la massa degli esempi di telepatia raccolti dalla S. P..R. la quale d’ altronde non si è mai fidata esclusivamente delle affermazioni dei soggetti. Una terza obbiezione pretende che il contenuto di un’ allucinazione essendo dovuto all’ associazione, e quest’ ltima non potendosi mai escludere, l’allu- cinazione non potrà mai considerarsi come telepatica. Hales concede che le leggi dell’ associazione possano spiegare il contenuto di un’ allucinazione, ma non ch’esse bastino a spiegare il fatto che un’ allucinazione si è prodotta. Jastrow vorrebbe attribuire la frequenza delle coincidenze notata all’interesse che il soggetto prende alla questione della telepatia. Hales è RASSEGNA BIOLOGICA 373 risponde benissimo che nessuno dei membri della S. P. R. malgrado il vivissimo interesse a questo genere di ricerche, riferì mai di aver avuto allucinazioni veridiche. L’ obbiezione di Jastrow è dunque contraddetta dall’ esperienza. Parish afferma ancora che i fatti più comunemente ritenuti casuali, come il numero delle lettere impostate annualmente senza indirizzo, mo- strano una certa costanza, vale a dire seguono leggi generali di ricorrenza. Sta bene, ribatte Hales; ma quand’anche si riconoscesse che il numero delle allucinazioni coincidenti è press’ a poco costante in un lungo periodo di tempo, non per questo sarebbe leggittimo conchiudere che le coincidenze sono fortuite. Se il numero delle allucinazioni coincidenti fosse troppo grande rispetto al numero totale delle allucinazioni si dovrebbe sempre ammettere la ipotesi telepatica. Hales riprende quindi per conto suo la critica dei fenomeni telepatici. Osserva che la relazione causale, ammessa dai fautori dell’ ipotesi telepatica, tra unò stato di coscienza del soggetto 4A e un avvenimento nella vita di un altro soggetto B, non deve necessariamente intendersi nel senso che l'uno di questi fenomeni sia la causa dell’ altro; potrebbero anche entrambi non essere che stadii di un medesimo processo causale, come per esempio il giorno e la notte. Per fare un passo avanti nell’ analisi del processo causale diviene indispensabile il metodo sperimentale. Occorre continuare le indagini di laboratorio iniziate dalla stessa S. P. R. sopra la trasmissione del pensiero. i Per quanto riguarda i fenomeni medianici fisici, parecchi ritengono che gli uomini di scienza, avvezzi ad accordare piena fiducia ai loro apparecchi, siano di una ingenuità e candore poco addatte a scoprire la frode. Ma si dimentica che anche alla frode sono imposti dei limiti. Tutt’ al contrario sono proprio gli scienziati i più addatti a portare sui fenomeni allegati un controllo veramente obbiettivo. Da essi vennero smascherati parecchi impo- stori; e la storia della S. P. R. sta a dimostrare ch’essi furono piuttosto eccessivamente severi che creduli e privi di critica. Sulle manifestazioni fisiche della medianità la S. P. R. si è astenuta dal formulare ancora un giudizio definitivo, essendosi prefissa di non tener conto delle osservazioni di Crookes, Zoellner, Wallace, che sono anteriori alla fonda- zione della Società. Ma la ipotesi della frode deve assolutamente cadere davanti alla medianità di Home e Stainton Moses, secondo le concordi testi- monianze dei più celebri prestigiatori. Non è del resto a meravigliare che la Società non siasi per anco pro nunciata sui fenomeni fisici dello spiritismo. È noto che le grandi scoperte sono quasi sempre opera di individui isolati; mentre la dimostrazione ed elaborazione dj esse da parte della scienza costituita avviene per opera soprat- tutto di società o accademie. La ricerca individuale riesce sempre più agile e conclusiva; ma non sarebbe forse neppur desiderabile che in questi campi così oscuri si divulgassero subito senza accurato controllo i risultati di investigatori isolati. I fenomeni che maggiormente hanno esercitata la sagacia dei membri della S. P. R. sono quelli presentati nella trance della americana signora Piper. Essa si mette a volontà in uno stato diverso da quello di veglia ordi- 374 RASSEGNA BIOLOGICA naria, durante il quale essa afferma cadere sotto il dominio (controle) di spiriti dei defunti, i quali sarebbero i veri autori di ciò che essa dice e serive in istato di trance. Essa faceva per tal modo rivivere l’ antica idea di una possessione spiritica. Primo ad occuparsi con seguito di lei fu l’il- lustre psicologo americano William James. Dopo una dozzina di sedute egli dovette persuadersi che la Piper era dotata di facoltà sopranormali. La Piper venne poi in Inghilterra chiamata dalla S. P. R., e vi suscitò giu- dizii disparatissimi. Il prof. Lodge si dichiarò subito convinto che la mag- gior parte delle informazioni date dalla Piper in trance non sono state da essa acquistate per le vie normali conosciute. Altri ammise invece che tutto si riducesse a frode. Stando così le cose la investigazione fu affidata a Hod g- son, già noto per aver smascherato altri sedicenti medii; ed egli tenne la Piper in osservazione dal 1887 a questi giorni. In questo intervallo potè assistere a circa 700 sedute alle quali fece intervenire altre persone ch’ egli istruiva sulla necessità di dominare i proprii gesti, le intonazioni della voce per non tradire gli intimi pensieri. Inoltre ebbe 1’ ottima idea di organizzare un servizio di agenti segreti per sorvegliare a sua insaputa la signora Piper, pel caso che negli intervalli fra le sedute essa cercasse infor- mazioni sulla famiglia e sul passato degli astanti. Orbene in questo lungo periodo di osservazione, e diremo quasi spionaggio, la condotta della Piper non fu mai tale da giustificare il menomo sospetto sulla sua intiera sincerità. Per quanto concerne il preteso spirito-guida che si spaccia per un chirurgo francese (Phinuit) defunto pare fuor di dubbio che esso non è ciò che afferma di essere. La Piper allo stato di veglia dice di ignorare affatto quanto succeda di lei in trance. Hodgson si astiene da una conclusione definitiva riguardo alla personalità di Phinuit; ma inclina a pensare che la trance della Piper sia un’ autoipnosi in cui 1’ incosciente simula lo spirito di una persona morta. Questo Phinuit si dava per l'intermediario che metteva gli interlocutori della Piper in corrispondenza coi parenti e gli amici defunti. Ben più difficile è prender partito rispetto all’ origine delle conoscenze manifestate dalla Piper. Essa non solo riuscì molte volte a descrivere minu- tamente persone morte, ma ne diede dei contrassegni così caratteristici al giudizio dei famigliari, da escludere completamente una divinazione casuale. Così, ad es., una volta, descritta una signora morta ben nota all’ Hodgso n, soggiunse che l’ iride sua di un bruno scuro presentava una macchia azzur- rastra a contorni irregolari diretta dalla pupilla alla base dell’ occhio, e ne fece il disegno. Tra le vivaci discussioni che suscitò la medianità della Piper nei membri della S. P. R. una si riferiva alla immortalità dell’ anima, credenza che Pelhan riteneva assurda. Pelhan promise un giorno che se morisse pel primo farebbe il possibile per farsi conoscere ai suoi amici. Morì improv- visamente a New-Yok in età di 32 anni. Quattro settimane dopo nelle sedute della Piper e per bocca sua si annunciò «un Giorgio che desiderava parlare »; indi diede il suo nome completo, G. Pelhan, fece allusioni alla sua pole- mica con Hodgson a proposito di un mito di Platone. Hodgson fece intervenire successivamente e segretamente alle sedute una trentina di amici di Pelhan. Tutti furono riconosciuti e a ciascuno il sedicente Pelhan ricordò qualche aneddoto della loro vita comune. RASSEGNA BIOLOGICA 375 Quasi tutti ora i membri della S. P. R. sono concordi nell’ escludere una frode cosciente della Piper, come pure nell’ammettere la origine sopranor- male delle conoscenze manifestate in trance. Alcuni vogliono spiegarne la origine con una involontaria trasmissione del pensiero dagli astanti al medio. Però tale ipotesi non regge pei casi in cui il medio rivelò fatti che nessuno dei presenti avea mai conosciuto. E ad ogni modo questa trasmissione involon- taria del pensiero differirebbe dalla telepatia sperimentale, in cui 1’ agente sì studia di mantenere presente alla coscienza qualche immagine, onde modi- ficare il corso dei pensieri del medio. Come si vede è ingiusta la insinuazione di coloro che nell’opera della S. P. R. non iscorgono altro che il frutto di una tendenza superstiziosa e mistica. Ma cos'è il misticismo ? Uno dei più acerbi critici, il Miinsterberg, pare intenda per occultismo e misticismo «la credenza a rapporti sopran- naturali nel mondo fisico e psichico ». Ora il soprannaturale, sebbene ver- balmente intelligibile come un qualche cosa che appartiene a un ordine superiore, per la scienza umana non esiste. È questo il famoso postulato della ragion pura. Il miracolo non è tale che per la novità e la nostra ignoranza. La storia ci addita il ricorrere di certi fenomeni miracolosi in presenza di persone diverse dalle altre. Tra il volgo credulo che traduce la propria meraviglia e 1’ offesa alle proprie abitudini mentali in una violazione delle leggi naturali, ed il volgo incredulo che per lo stesso errore implicito rinnega la evidenza dei fatti, circoscrivendo i confini delle leggi naturali all’ angustia del proprio intelletto, 1’ atteggiamento dello scienziato dev’ esser quello della modestia: egli deve rivolgere alla natura una modesta parola interrogativa. Miinsterberg invece pretenderebbe che lo scienziato rifiutasse di dovere all’esame di certi fatti. Egli rileva come la telepatia mal si concigli col parallelismo psicofisico, e dopo aver dimostrato ch’essa sarebbe un fatto « extrafisiologico », afferma che è inconciliabile colla sua metafisica e quindi impossibile. [Dove trovar meglio e quasi letteralmenete illustrata quella « me- tafisica gretta e superba» e quella «intolleranza dei fatti » che altrove ho segnalato come il principale ostacolo al risconoscimento dei fatti medianici ?]. EZO: LomBRroso CESAR». — Fenomeni medianici in una casa di Torino. — « Archivio di Psichiatria, Scienze penali ed Antropologia criminale », vol. XXII, fase. I-II 1901. Lombroso, che tra i nostri scienziati è uno dei pochi che non disde- gnino occuparsi dei fenomeni medianiei, si è portato nei locali di una trat- toria di Torino che dicevasi hantée e aveva levato a rumore tutta la città, e fu così fortunato da poter constatare alla luce di sei candele, spostamenti di bottiglie e loro « discesa » dagli scaffali, alcune poi rotolare « come se fossero spinte da un dito, e poi rompersi vicino al tavolo ; e questo dopo 376 RASSEGNA BIOLOGICA aver ispezionato i locali e gli oggetti che vennero per il tal modo smossi. Altri testimoni prima di Lombroso avevano riferito che in loro presenza un vaso di fiori era sceso dalla cimasa di una porta senza rompersi e molti oggetti erano stati mutati di posto o proiettati con violenza tale da produrre ferite. Non ebbe esito altrettanto soddisfaciente la ricerca del medio. È noto che tali fenomeni accadono particolarmente (sempre ?) in presenza di indi- vidui il cui sistema nervoso trovasi in condizioni fisiologiche anormali e non bene determinate, i quali diconsi medii. La persona più sospetta di media- nità parrebbe qui al Lombroso esser la moglie del trattore, nevrotica e soggetta ad allucinazioni fin dall’ infanzia. Fu allontanata una prima volta dalla casa dietro consiglio di Lombroso, e i fenomeni tosto cessarono per riprodursi con più violenza al suo ritorno : però dopo che fu ripartita i feno- meni persistettero ugualmente. Essendo venuto in mente all’ oste di con- gedare il garzone di 13 anni (apparentemente normale) i fenomeni cessarono definitivamente. Non è improbabile che tanto el’ ostessa che il garzone favo- rissero colla loro presenza quelle singolari manifestazioni. Quanto al trueco è assolutamente escluso, non solo per la estrema difficoltà di attuare la frode, ma per la nessuna utilità, anzi pel danno gravissimo che ne venne all’ oste il quale dovette chiudere 1’ esercizio dopo essersi vanamente industriato di tener celati i fenomeni 1). Fatti di questo genere, nota il Lombroso, si ebbero gli scorsi anni in una località poco lontana : [e quest’ anno furono segnalati a Roma in via Conte Rosso; come ora (14, 15 Aprile) pare avvengano a Sarzana in Via Castruccio, ove, dopo la apposizione di sigilli alla porta di una camera si constatò lo spostamento di una bottiglietta contenente olio da un caminetto ov’ erasi appositamente collocata, sopra una sedia a circa due metri di distanza: verso sera si notò ancora che le lenzuola e coperte di un letto s° erano am- mucchiate in mezzo alla camera]. VisanI Scozzi PAOLO. — La medianità. — Un vol. di pag. 466, Bemporad & figlio editori, Firenze, (con una tavola), L. 5. Il presente studio sulla medianità si intende preferibilmente rivolto a coloro che sono del tutto o quasi ignari in queste materie. La parte princi- pale consiste nella narrazione di quattro sedute tenute col medio Eusapia Paladino nel 1895. Si aggiungono alcuni capitoli (I, II, III e IV) sopra.i fatti e le teorie dell’ipnotismo e sulla storia dei fenomeni medianici, ed una parte terza, ove si tenta ricavare dai fatti una dottrina della medianità. Riassumiamo i resoconti delle sedute. I. Seduta. — A Napoli : ore dieci di sera. L’ A. con tre altre persone di sua fiducia stanno sedute facendo catena attorno al tavolo che è collo- » 1) Per uma diffusa narrazione vedi anche Revue des Etudes psychiques diretta da C. Vesme, Gennaio-Febbraio, 1901. RASSEGNA BIOLOGICA IATA cato sotto una lampada a petrolio accesa. Si osservano levitazioni complete del tavolo. Si odono colpi ritmici battuti sopra un tamburello, con ritmo che imita quello segnato da uno degli astanti. Spostamento di un tavolino. Il medio alza il braccio a pugno chiuso e batte dei colpi staccati in aria, ai quali corrispondono altrettanti colpi energici battuti sul tavolo, come se esso vi battesse direttamente. Viene chiesto tiptologicamente (ossia a colpi) di abbassare la luce. Questa rimane tale da poter ancora distinguere i contorni delle persone. Visani Scozzi si sente toccare, stringere il ginocchio e poi la mano da una mano fredda e robusta che egli non riesce a trattenere. Altri attoccamenti. A lume spento : Il tavolo si dirige verso 1’ uscio d’ ingresso. Al leggero chiarore che mandano i vetri opachi dell’uscio l'A. vede avanzarsi nell'aria «un globo di nebbia » più denso ed opaco nel mezzo per la grandezza di circa un arancio e via via più diafano procedendo alla periferia. Si ode un tintinnio come di monete agitate tra due mani, ed una di queste viene deposta nella mano di Visani Scozzi, il quale, malgrado fosse in condi- zioni meccaniche più vantaggiose rispetto all’ ipotetico operatore invisibile, tenta vanamente di trattenerla. Da ultimo, e sempre in buone condizioni di controllo, una sedia viene portata sopra il tavolo. EI. Seduta. — Fenomeni simili ai sopraccennati. Inoltre trascinamento del tavolo e del medio ; comparsa di un’ ombra globare. Ad una signora che prende parte alla seduta vien tolto un’ braccialetto il quale poi viene successivamente posto nelle mani degli altri astanti e infine rimesso al braccio della proprietaria. A un certo punto si fa udire una voce « simile a quelle che si riscontrano nelle gravi laringiti sifilitiche o tubercolari », che si potrebbe definire come « un balbettamento quasi afono », come di aria passante attraverso a un tubo, e nel tempo stesso fu avvertito dall’ A. e da un suo vicino un alito affannoso in vicinanza del viso, e « quella pressione quasi palpitante che ci rivela nell’oscurità di essere a breve tratta da una persona vivente ». i Viene ordinato tiptologicamente di legare il medio, il che si eseguisce nei modi che l’A. descrive, facendo circa 20 nodi. Inoltre una terza persona che poi si accomiatò (il Chiaia) legò le mani degli astanti che facevano catena con due nodi a ciascun polso. Il medio sembra entrare in una trance più profonda; ma a un tratto si riscuote e con meraviglia dice di sentirsi sciolta, come infatti si osserva poi alla luce. XII. Seduta. — L’ A. sperimenta col medio in presenza di due amici. Viene chiesto di abbassar la luce. Si lascia un debole chiarore che permette di distinguere appena le cose più vicine. Ben tosto si scorge come un’ombra levarsi dalla persona del medio : pare che questa si elevi, s’ ingigantisca fino a raggiungere proporzioni colossali. « Cotesta ombra aveva la particola- rità di rendersi visibile più di quanto lo comportasse il grado di luminosità della stanza ». La periferia di essa appariva leggermente luminosa. Scom- pare ad un tratto. A lume spento : Toccamenti, apparizione di un globo luminoso semovente il quale passando e ripassando davanti all’uscio a vetri smerigliati ne inter- cetta ogni tanto la debole luce. Si rivolgono al medio domande mentali cui esso risponde con semplici affermazioni o negazioni. 978 RASSEGNA BIOLOGICA Il tamburello viene agitato e un campanello portato nell’aria con grande rapidità e suonata una trombetta a notevole altezza nell’ aria. Poi i tre strumenti vengono suonati contemporaneamente con una certa espressione di giubilo, elevandosi sempre più nell’ aria ed assumendo il ritmo di una marcia. S’ inizia difatti una marcia : il tavolo s’ incammina verso 1’ uscio d’ingresso battendo il tempo coì piedi ; la media assonnita vien trascinata con la seggiola dietro a quello. Si ode poi in alto un applauso. Di lì a poco Visani Scozzi ha la sensazione come di esser circondato da uno stuolo di persone : sente alitarsi sulla faccia e vede tra sè e l’ uscio interposta una massa opaca che non è quella di alcuno fra gli astanti. La signora M. presente avendo portato segretamente un bel regalo per la Paladino, e volendo pregare il sedicente spirito John King di incaricarsi di consegnare il gioiello, prima ancora d’ aver terminata la domanda, sente portarsi via il gioiello dalla tasca, e tutti odono distinta- mente sciogliere il filo, aprire la scatola che viene riconsegnata vuota. Intanto la Paladino era sempre tenuta per la mano dall’ A. e dal vicino ed anche i piedi tenuti fermi. A un certo punto il medio annuncia di sentirsi afferrare sotto le braccia e poco dopo tutti sentono ch’esso è sollevato da terra con la seggiola e deposto sul tavolino. Fatta la luce si trova lo spillo donato alla Paladino infilato nella cravatta con quella precisione come fosse stato aggiustato davanti allo specchio. IV. Seduta. — Comunicazioni tiptologiche ; traslazione del tavolo in piena luce. A luce debole: apertura e chiusura di un pianoforte, apparizione di una massa globare luminosa ; restituzione di un orecchino involato al medio. A lume spento : 1’ A. mentre tiene per mano il medio vede passare contro il chiarore dell’uscio un’ombra a forma di testa, il cui profilo somiglia a quello del medio; ma colla differenza che quella testa non era portata da spalle e terminava invece in un collo lungo e moito sottile, «tanto da raffigurare nelle debite proporzioni il gambo esile di un grossissimo frutto ». Dal tavolo più tardi si elevano delle spirali luminose. Dopo molti scuoti- menti e traslazioni del tavolo si effettua sopra una massa di creta da scultori appositamente preparata la impronta di un viso e di una mano. Si tratta del « profilo destro di un volto umano in bassorilievo ben netto in qualche contorno colle prominenze orbitarie e zigomatiche ben marcate, colla branca mandibolare assai distinta e benissimo disegnati il padiglione dell’orecchio e la metà inferiore della piramide nasale. Il rilievo della mano nel gesso è ben distinto e la sua origine devesi all’ infossamento di una destra chiusa a pugno e cacciata a cuneo, obliquamente, colla faccia palmare in basso, nella creta ». La fotografia di questa impronta è ripro- dotta nel libro. : La narrazione dei fatti, che abbiamo tentato di riassumere (molto incom- pletamente) desta il più alto interesse : e nessuno certo potrà mettere in dubbio la buona fede del narratore. Nell’accingersi a interpretare i fatti l'A. raccomanda molto giustamente di « non trascurar mai, nel giudizio di ogni fenomeno singolo, il ricordo della loro complessività.... Prendendo un solo fatto isolato, esso nelle sotti- gliezze della nostra dialettica può diventar ciò che nelle mani di un gioco- liere diventa un fazzoletto : questo si allunga, si accorcia, si sciolgono con RASSEGNA BIOLOGICA 379 un tocco di bacchetta magica i nodi più inestricabili... ». Egli erede oppor- tuno fare anche la storia dei proprii convincimenti ed afferma esser partito, come molti altri sperimentatori prima di lui, dall’ ipotesi della frode, ed esser venuto poi gradatamente modificando il proprio giudizio a misura che egli procedeva nelle esperienze, avvertendo che avea già assistito a - buon numero di sedute con altri medii prima di intraprendere queste con la Paladino. Non si può certo muovere all’A. il rimprovero di non essersi industriato abbastanza per ricondurre all’ organismo del medio la causa diretta dei fenomeni, perchè in favore di una tale ipotesi egli vi parla ad ogni pie’ sospinto di «irradiazioni », di « proiezioni » dai centri nervosi. Però, malgrado queste, egli non crede potersi dispensare dal supporre l’intervento di intel- ligenze estranee al medio ed agli astanti, avvicinandosi così all’ ipotesi del Wallace, pur ammettendo che tali intelligenze non siano per necessità spiriti di defunti, ma possan anche appartenere ad una specie diversa dalla umana. i i In che cosa consisterebbero per 1’ A. la prerogativa pei medii? — « Essa s' ha a riportare di pieno diritto nella sfera dell’ ipnotismo. Il medio è un soggetto ipnotico. Come tale, è un individuo in cui è molto facile la disin- tegrazione della personalità ... Nella stessa Paladino sono evidenti le stim- mate dell’ isterismo nella permanente anestesia a sinistra e nelle alterazioni transitorie della sensibilità per tutto il corpo. L’isterismo non è a tutto rigore condizione necessaria della medianità, come non lo è a costituire l’ ipnotismo, ma rappresenta una condizione molto vantaggiosa ». Visani Scozzi presenta dipoi un quadro della medianità, rilevando come coll’ approfondirsi della ipnosi si vadano complicando i fenomeni me- dianici. Allo stato di veglia si ha la sola medianità intuitiva, accompagnata tutt’ al più dai primi effetti fisici di moto ; nella preipnosi si aggiungereb- bero la medianità parlante, scrivente e tiptologica, nel sonnambulismo le levitazioni del medio, le materializzazioni parziali, nella catalessi le mate- rializzazioni più complete transitorie, infine nella letargia si aggiungerebbero ancora le materializzazioni parziali permanenti. Una parte non felice del libro sembra a noi quella che tenta una inter- pretazione dei fenomeni; non già perchè 1’ A. abbia avuto l’ardire di ammet- tere l’intervento di « intelligenze occulte», ma sopratutto per l’affastellamento faragginoso di spiegazioni puramente verbali come quella di un « dinamismo irradiante >» dal medio, di una « radiazione che traduce all’ esterno di ogni organismo l’ esponente degli intimi e indefiniti caratteri della vitalità di ciascun organismo », e altrove di « proiezioni delle attitudini dei centri ner- Vosì »; espressioni queste che non ci dànno alcuna informazione sul modo delle operazioni complicatissime che vagamente designano, e non hanno per noi altro significato che quello negativo di non supporre l’ intervento di forze estranee al medio. Ma quando poi 1’ autore invoca anche la ipotesi spiritica, le espressioni accennate perdono in gran parte anche quel significato, e po- trebbero ‘con più vantaggio per la chiarezza sostituirsi dicendo che i feno- meni implicano, secondo |’ A., la esistenza di qualche intelligenza esteriore al medio ed agli astanti, colla probabile cooperazione delle forze dell’ orga- nismo del medio e dei presenti. 380 RASSEGNA BIOLOGICA Anche nella parte descrittiva 1° A. non sempre si contenta di esporre i nudi fatti e omette qualche volta di fare una netta distinzione tra le senza- zioni destate in lui dagli oggetti esterni (o creduti tali) e le loro proprietà più complesse che non sono rivelate immediatamente dalla sensazione, ma rappresentano conclusioni di giudizii. Ad es., a pag. 189 nella espressione <«imminenza di un globo luminoso e vitale » non è ben chiaro quale sia il carattere voluto designare per vitale. Si allude probabilmente a movimenti spontanei; ma la espressione così vaga ed ambigua mette il lettore già scon- certato dalla singolarità del fatto, in uno stato d’ animo poco favorevole all’ ammissione dei fenomeni, i quali vengono per lui ad assumere una facies vieppiù repulsiva. L’ egregio A. ci perdoni di segnalare ancora nella sua narrazione una lieve tendenza ad esagerare involontariamente i fatti. Ad es., a pag. 287 si chiede « perchè il tavolo (i cui piedi vengono poi qualificati per « zampe ») assumesse tale e tanta vitalità da apparire un essere animato? Perchè la sua fibra lignea essiccata, assumeva la plasticità della carne? » Ora, per ispie- gare spostamenti e fremiti del tavolo è proprio necessario riconoscervi la plasticità della carne? E intanto 1° A. poco dopo si dimentica di aver da spiegare il solo spostamento del tavolo e va in cerca di una spiegazione della sua plasticità ; e siccome la « carne » da cui togliere ad imprestito tale qualità è poco lontana, egli rinviene 1’ origine della plasticità nell’ organismo del medio, sede di tante mirabili « irradiazioni »..L’ A. pensa che « nelle cel- lule del legno, forse tuttora viventi, penetrava una corrente capace di pla- sticizzare in vario modo cotesta materia, non ancora inerte, con fulminei processi, onde renderla idoneo strumento di manifestazioni meravigliose ». E donde questa corrente, si chiede 1’ A.? « Si trattava certamente di un’ ema- nazione che avea la stessa origine di quelle mani agili e potenti, di quegli organi buccali e fonetici così prodigiosamente formati ». E donde la « ma- teria adibita alle rapide sintesi »? Dagli elementi dell’ atmosfera e dalle irradiazioni di tutti i presenti. Al che si può aggiungere « una esteriorizza- zione della plasticità, indiscutibile nella Paladino ». A pag. 21 dopo aver riferito la impressione risentita di una voce, come di un balbettamento privo di sonorità di timbro, 1’ A. soggiunge : « sì trat- tava evidentemente di un organo che tentava di parlare, ma non possedeva i requisiti anatomo-fisiologici a ciò necessari »; il che gli sarebbe stato con- fermata dall’indubbia vicinanza al suo viso di un altro viso che egli « non giunse a distinguere , ma che si riduce poi in realtà ad un «alito affan- noso ». La difformità dell’immagine di quest’ organo vocale che fa vani sforzi per parlare, commovendo i presenti, non può che esercitare fra i lettori un’ azione ben diversa... risum teneatis amici ? i Malgrado queste mende che non intaccano però l’ apprezzamento dei fatti perchè Visani Scozzi si dà la pena di presentar più volte gli stessi fatti con parole diverse e in forma meno fantastica, è certamente da elogiare VA. per aver resi pubblici i risultati delle sue esperienze così riuscite, affrontando senza timori il pericolo ancora più grave per un medico, di una ingiusta impopolarità. Il suo libro assai istruttivo contribuirà certamente a divulgare le conoscenze di questo campo così rieco di promesse. Quello che oggi sopratutto si richiede per 1° avanzamento di questi studi — RASSEGNA BIOLOGICA 981 non è tanto la ripetizione ad infinitum dei fenomeni per opera dei diversi osservatori sempre seguendo lo stesso metodo, ma è piuttosto una modifica- zione nella tecnica di osservazione. Pare a:me che specialmente siano desi- derabili : 1. Un controllo automatico del medio, magari con mezzi grafici analoghi a quelli impiegati dal Marey per registrare i movimenti di locomozione degli animali ; 2. Applicazione simultanea di metodi obbiettivi alla registra- zione dei fenomeni, non limitandosi alla prova colla creta, ma continuando le ricerche colla fotografia, carta a nero fumo, applicando inoltre microfoni, fonografi, ecc., insomma quanti mezzi sono a disposizione della scienza moderna per aumentare il potere di osservazione e registrare i fenomeni naturali. i IIS IV. Questioni varie di biologia. RawIrz BERNHARD. -- Wersuche iilber Ephebogenesis. — « Arch. f. Entwickelungsmech », Bd. XI, Heft I. | Avendo Boveri nel 1889 comunicato d’esser riuscito a fecondare uova di Echino private del loro nucleo conseguendo plutei di pretto tipo paterno, Seeliger non tardò a dimostrare che i dati di Boveri erano da impu- tare ad una diagnosi errata delle larve. E perciò si credette ancora, come prima si ammetteva, che la proprietà di sviluppare un organismo senza intervento dell’ altro elemento riproduttore, fosse esclusiva dell’ uovo. Il vantaggio dell’uovo, rispetto alla. possibilità di uno sviluppo senza coniu- gazione è evidente. Esso solo ha a sua disposizione una massa ragguardevole di tuorlo di nutrizione ; il nemasperma ne è sprovvisto. Malgrado la recisa contraddizione di Seeliger è sembrato a Rawitz che la questione interessante sollevata da Boveri meritasse. di essere assoggettata a nuove ricerche. i È innegabile intanto in molti casi la forte prevalenza dei caratteri paterni nel prodotto, dei quali unico veicolo è il nemasperma, a tal segno che le caratteristiche materne ne sembrano quasi del tutto cancellate. Onde la equivalenza produttiva del nemasperma all’uovo pare da Rawitz un postu- lato teoretico necessario. Secondo il medesimo A. bisognerebbe portare il nemasperma in un terreno indifferente adatto, e quest’ultimo sarebbe fornito da uova o frammenti di uova private del loro nucleo. In altre parole: come in natura si osserva una partenogenesi, così dovrebbe potersi osservare anche .una efebogenesi, almeno sperimentale. Nella speranza di annullare 1’ azione del nucleo ovulare, l'A. immerse uova di Holothuria tubulosa non mature in soluzioni isotoniche di svariati sali misti ad acqua di mare e quindi portò @ contatto con essa sperma di Strongylocentrotus. La permanenza in questo liquido ha per effetto di alterare il contenuto di un gran numero di uova, 382 RASSEGNA BIOLOGICA rendendole opache : in altre il nucleo appare profondamente alterato, assume forma irregolare emettendo degli zaffi ed emigra verso uno dei poli dell’uovo cou movimenti ameboidi. Quindi 1 uovo si allunga assumendo forma biscotto e si fa acuminato al polo ove si è portato il nucleo ormai divenuto rotondo. Indi la membrana dell’ uovo si fende e il contenuto esce e ripiglia tosto forma rotondeggiante. Il cambiamento successivo consiste nella Espul: sione di tutto il nucleo ovulare non maturo. Abbiamo così ottenuto, dice l’A., una formazione che per la sua sostanza costitutiva è un uovo ma non possiede più di nucleo, nè di membrana, comparabile in certo modo a quelle forme prive di nucleo che Haeeckel denomina citodi. Orbene questi dopo breve pausa cominciano a mostrare dei solchi di segmentazione, dividendosi in 4, 8, 16 blastomeri, fino a rag- giungere una formazione simile alla morula costituita di cellule talvolta molto grandi, talvolta piccolissime, ma sempre prive di nucleo. A partire da quello stadio apparivano fenomeni di alterazione, i blastomeri divenivano opachi; per quanta cura si ponesse nel trattamento delle uova, queste non si segmentavano mai oltre lo stadio di morula. Un’ altra serie di ricerche fu istituita ponendo a contatto sperma maturo di Strongylocentrotus lividus con uova non mature di Holothuria tubulosa in una soluzione isotonica di sali di Magnesio e acqua di mare. Le uova subi- scono svariate modificazioni, il risultato finale delle quali è di far uscire il nucleo attraverso alla membrana dell’uovo. A un certo punto compariscono i solchi di segmentazione ; però lo stadio di pacca si raggiunge solo in casì rari. Ricerche di controllo han provato che le soluzioni impiegate dall’A. sopra uove non fecondate non hanno alcuna influenza, mentre dall’ altra parte uova mature trattate con le indicate soluzioni non si segmentano fecondate con lo sperma di Strongylocentrotus. Discussione dei risultati. — L’A., inclina ad imputare l’arresto dello sviluppo allo stadio di morula al fatto che l’acqua di mare impiegata non era in quel tempo abbastanza limpida. Ad ogni modo resta acquisito il fatto che uova non mature di una specie di echinodermi, assoggettate che siano . a determinate azioni chimiche, e a quella dei nemaspermi maturi di un’altra classe, subiscono modificazioni che sono da qualificare come segmentazioni. Siccome d’altra parte le uova non mature di Holothuria tubulosa fecondate con nemaspermi di Strongylocentrotus perdettero il nucleo, e malgrado ciò sì segmentarono in modo abbastanza regolare, è per lo meno verosimile che il nemasperma, quando si trovi sopra un terreno adatto sia capace per sè di determinare la formazione di un nuovo organismo e che per questo la partecipazione di un nucleo femminile non è necessaria ; che inoltre è indifferente che il nemasperma agisca sopra un uovo appartenente alla stessa specie oppure a specie diversa. Rawitz non credeche la segmentazione di queste uova si debba all’azione di estratti eventualmente originatisi dai nemaspermi, perchè questi ultimi conservarono la loro forma del tutto normale. Sembra dunque doversi eselu- dere un’analogia coi processi di segmentazione ottenuti da Winkler il quale preparava veri estratti del nemasperma e questo sempre doveva essere della stessa specie delle nova. RASSEGNA BIOLOGICA 389 GaLLowar T. W. — Studies on the Cause of the accelerating effect of Heat upon growth. — « American Naturalist », Dicembre, ?900. È noto che il calore tende ad accelerare lo sviluppo degli organismi. L’A. si è proposto di ricercare sopra le specie Rana sylvestris, Amblyostoma puncetatum, Bufo Americanus, se tale acceleramento si debba piuttosto ad aumentata intensità del metabolismo assimilatorio o solo ad una più rapida ed attiva imbibizione di acqua. Trovò che aumenti di temperatura compresi fra i limiti di + 6° e + 25° C. accelerano la successione degli stadii iniziali di sviluppo. Siccome pesate di animali resi asciutti (essiccati in una camera a tenuta d’ aria, contenente So'H°) non mostrano veruna variazione in rapporto ai cambiamenti di temperatura subìti, 1° A. ritiene che 1’ acceleramento dello sviluppo per la temperatura notato su altri individui in questo periodo si debba esclusiva- mente all’accelerata imbibizione di acqua. DA: BBAUREGARD. — @rigine préputiale des glandes a parfum des mam- mifères. — Vol. Jubilaire de la Société de Biologie (p. 634). Tutte le glandole del profumo dei mammiferi hanno una origine comune : esse debbono i loro elementi costitutivi, compresi i muscoli, alla guaina pre- puziale. I muscoli che servono a queste glandole sono infatti semplici espan- sioni del muscolo ischio-prepuziale o retrattore del prepuzio, e del muscolo a questo antagonista. In altri casi le pareti della tasca del profumo sono formate dagli strati profondi della guaina prepuziale; talvolta, però, la glan- dola è così grande che, sebbene si origini dalla superficie dorsale del pre- puzio, solleva la pelle del ventre confinante. La struttura istologica di queste glandole, pure, conferma l’ unicità della loro origine. Nelle forme più complesse 1’ apparecchio glandolare è formato da glandole sebacee pure e da un epitelio che si desquama abbondantemente; in quelle più semplici (castoro) mancano le glandole sebacee, e non si ha che una abbondante desquamazione delle superficie epiteliali delle taschette glandulari; modo perfettamente conforme a quello per cui si secerne lo smegma prepuziale. G. C. F. Dewirz J. -- Verhinderung der Verpuppung bei Imsektenlarven. — Arch. FP. Entwickelumgsmech. BA. XI, Heft, IIlu., IV, April, 1901. Un rinnovamento di aria è necessario perchè le larve degli insetti pos- ‘ sano incrisalidare. Le larve di Lucilia non solo non inerisalidano se tenute in un recipiente chiuso, ma l’inerisalidamento da loro iniziato cessa alla 884 RASSEGNA BIOLOGICA fine di Ottobre anche per gli esemplari allevati in una camera. Le larve di Musca vomitoria (erythrocephala) inerisalidano anche d’inverno, nel mese di Novembre all’aperto, e più tardi in una camera chiusa. Questi limiti natu- ralmente non si devono attribuire al fatto che in un’ epoca più inoltrata dell’anno l’atmosfera non contenga una quantità sufficiente di ossigeno per le larve di Zucilia ;+ ma le cause che impediscono la inerisalidazione vanno piuttosto ricercate nella stessa larva. Dewitz è anche riuscito a impedire la inerisalidazione di larve di Pieris Brassicae. Queste appena abbandonano il cibo per fare il bozzolo, cominciano a tessere un pezzo appiattito a forma di suola proprio sul punto ove stanno per fare il bozzolo. Indi il bruco tesse un filo che più tardi cingerà la eri- salide a mo’ di cintura. Dewitz liberò alcunì bruchi dalla cintura che ave- rano tessuta e li collocò in provette di vetro, ed essi non inerisalidarono mai completamente, eccettuati però quelli che erano già prossimi a mutarsi in erisalide trovandosi già da due giorni avvolti nella cintura. Larve di icneumonidi (Microgaster glomeratus) parassite dei bruchi di Pieris brassicae, chiuse in ana piccola tazza e disposte sopra un panno inu- midito continuano a vivere per parecchi giorni senza però fare il bozzolo. L’ostacolo qui potrebbe consistere nella difticoltà per le larve di far aderire il filo ai corpi umidi. Tuttavia è da notare che le larve degli icneumonidi avrebbero potuto, come usano, assicurare da un lato il filo al corpo delle. larve dì Pieride che aveano abbandonato e che nell’ esperimento dell’ A. non erano inumidite. Giova poi notare che î bruchi di Pieris brassieae sono in grado di tessere il bozzolo anche sopra pezzi di panno inumiditi. Pri GALLARDO ANGEL. — Soebre algunas anomalias de Digitals purpurea. — < Anales del Museo Nacional de Buenos Ayres », Tomo VII, p. 37-72. In una Digitalis purpurea allevata in Buenos Ayres, Gallardo ha potuto osservare nel 1895 alcune interessanti anomalie florali, le quali sì riprodussero nel ’96 e negli anni successivi. La anomalia consiste nella presenza di una formazione terminale del racemo florale di aspetto vario caratterizzata dall’ aumento del numero dei pezzi costitutivi. « Richiama soprattutto 1)’ attenzione una corolla formata di un numero variabile di petali generalmente saldati fra loro, ma che possono essere anche liberi presentando tutti i gradi possibili di saldatura. La corolla è di solito cam- panulata o cupuliforme, nel maggior numero dei casi actinomorfa. Esternamente ad essa esiste un calice di un numero variabile di sepali, in un caso saldati e in un altro disposti a spirale, in continuazione di quella descritta dall’ inserzione di numerose brattee, dalle cui ascelle si sviluppano spesso fiori di un numero minore di pezzi che î fiori normali, o semplici tubì corollini senza organi riproduttori internamente. Gli stami, generalmente isodinami, presentano varii gradi di saldatura fra loro o colla corolla: molti sono semipetaloidi, e in tal caso possono ancora portare sacchi pollinici fertili, oppure totalmente petaloidi e sterili. A ceti belt pente ee see per Ap sr RASSEGNA BIOLOGICA 385 I carpelli sono di regola ben più trasformati. In un caso formano un ovario multiloculare con stilo unico semplice. Formano inoltre una coppa carpellare sul cui margine appariscono come denti gli stili rudimentali e dal cui centro si eleva Vasse della infiorescenza che produce un pennacchio di brattee. Qualche volta 1’ asse attraversa del tutto la coppa carpellare e vi produce nuovi fiori normali terminando il racemo normalmente in una seconda formazione metaschematica. 1 I racemi laterali delle infiorescenze anormali terminano per la maggior parte in fiori metaschematici ma meno complicati che quello terminale del racemo principale ». E la complicazione via via decresce nei fiori portati da racemilli terziarii, quaternarii, ecc. La pianta si distingue nel resto dalle normali pel suo grande vigore e per le sue foglie vegetative più sviluppate. La interpretazione di quest’ anomalia è molto difficile. La prima descri- zione riferentesi a un caso in cui l’asse della infiorescenza continuava attra- verso alla formazione metaschematica dando luogo a una diafisi racemipara, si deve a Vrolik. Dal suo studio si rileva che Adalberto di Cha- misso conosceva questa anomalia e la riteneva come una proliferazione. Tra gli autori posteriori Magnus è quello che ha studiato più a fondo l'anomalia. Egli notò che i fiori che hanno meno di dieci pezzi in ogni ciclo possono essere actinomorfi o zigomorfi, mentre quelli che possiedono maggior numero di foglie son sempre attinomorfi. Parecchi botanici consi- derano queste formazioni come < sinantie >», dovute a fusione di più fiori. Gallardo le considera come sinantie complicate di proliferazione. L’A. ha potuto osservare che 1’ anomalia si riproduce ereditariamente, ed egli conta istituire ricerche sistematiche su questo punto. Il numero degli stami è variabilissimo. In un campione straordinario trovò gli stami fertili e al centro un corpo carpellare di 5 centimetri di larghezza. Questo esemplare era affetto da fasciazione e presentava un tallo di 2 cm. coronato da un immenso fiore metaschematico ellittico con numerosissime brattee. Gallardo ha potuto osservare tutti i gradi di metaschematismo dal semplice aumento numerico dei pezzi florali alla proliferazione. Le anomalie, abbiam detto, possono trasmettersi per semi. In generale può dirsi che tutte le anomalie si mostrano ereditarie ; però tra i discendenti si osservano sempre individui atavici ossia normali >». [In questo caso infatti l’atavismo famigliare riconduce la stirpe alla condizione « normale »; come nei pesci pleuronettidi, asimmetrici, notava la Sacchi, l’atavismo ristabilisce la primitiva simmetria. Resta a vedere poi se l’ anomalia descritta da Ga]- lardo non sia essa stessa atavistica]. Perchè una anomalia possa perpetuarsi nel seguito delle generazioni non basta scegliere gli esemplari mostruosi, occorre ancora riunire tutte le |. condizioni favorevoli alla conservazione di essa: altrimenti andrà perduta o apparirà in un numero molto scarso di individui. La sola selezione è impo- tente a fissav la razza se non l’' accompagnano convenienti condizioni di cultura. « De Vries ha notato che la scelta degli individui più mostruosi come portatori di grani, equivale alla selezione degli individui meglio nutriti, supposto che la mostruosità si presenti solo in alto grado in esemplari vigorosi. Di modo che in questa forma la influenza della nutrizione e delle Rrv. pi BIOLOGIA GENERALE, III. zD 386 RASSEGNA BIOLOGICA condizioni favorevoli esterne si va accumulando nelle generazioni successive. Se si considerano come acquisite le variazioni indotte per alimentazione, queste sì mostrano ereditarie ». Quando si parla di eredità delle mostruosità si intende notare soltanto il fatto che le deformazioni ricompariscono nelle piante riprodotte per semi; ma non siamo ancora in grado di determinare quanta parte hanno in questa trasmissione i caratteri detti interni e quanta i fattori di ambiente ». La eredità di questa anomalia nella Digitalis purpurea fu notata da Goebel per 5 anni, da Suringar per ben 20 anni. Gallardo con- servò quest’ anomalia dal 1895 al 799 ed essa continua a riprodursi. La proporzione degli esemplari anomali era nel’98 di 51 °/,, 1 anno successivo di 52 °. Per quanto riguarda la influenza del mezzo è da notare che i semi di piante mostruose coltivate in condizioni diverse dànno nel caso più favorevole 1° 80 °/, di mostruosità e solo il 38 °/, in condizioni non vantag- giose ; mentre semi mescolati di piante mostruose normali coltivate in buone condizioni dànno 56 °/, di anomalie, vale a dire 18 °/, più che i semi di piante mostruose non mescolati e fatti sviluppare in condizioni sfavore- voli. Per quel che riguarda i diversi gradi dell’ anomalia, Gallardo ha scelto un carattere che si prestasse con facilità ad una valutazione nume- rica. Il numero dei petali non essendo sempre chiaramente decifrabile, perchè sono spesso fusi e solo avvertibili come semplici lobi sul margine della corolla, 1’ A. si è attenuto al numero degli stami, per la maggior parte di forma normale e fertili: anche quando siano trasformati in staminoidi con- servano ancora abbastanza individualità da potersi contare senza incertezze. Prima di riferire i risultati delle sue osservazioni Gallardo espone limpidamente alcune generalità sopra le statistiche biologiche. Su 88 fiori terminali, trova che il numero degli stami (compresi gli eventuali stami- nodi) oscilla fra 13 e 35, cadendo la massima frequenza dei fiori 20-21; mentre nei fiori subterminali il numero oscilla fra gli estremi di 6 e 18 con un marimum a 8. Se vogliamo rappresentare con un solo poligono empirico il numero degli stami in una serie mista di fiori normali e mostruosi, troveremo un poligono a due marimum, l’ uno in corrispondenza a 4 stami per gli indi- vidui atavici (normali) l’ altro in corrispondenza a 20 pei fiori mostruosi. « Questa è la forma tipica determinata da De Vries per diverse anomalie nelle specie vegetali ». i Il poligono empirico di variazione pei soli fiori mostruosi presenta due marimum, abbiam detto, 1’ uno in corrispondenza agli 8 stami e 1’ altro in corrispondenza a 20-16. Per conseguenza la curva appartiene alla categoria delle « multimodali » o a più vertici, dette pleiomorfe dal Bateson. Quetelet, Ammon, Zograf han considerato le curve a due vertici come caratteristiche della mescolanza di due razze. Però in certi casì le curve a più vertici hanno un significato diverso : possono esprimere una condizione polimorfica della specie, oppure la divisione di una specie in due o più varietà. Gallardo desiderando presentare i risultati delle sue numerazioni in una forma sintetica, ha cercato di riunirle in una eurva sola, facendo le necessarie conversioni nei valori, tenendo conto che i fiori subterminali | e cssllli RASSEGNA BIOLOGICA 987 ‘ sono meno numerosi che i terminali e calcolando che per ciascuna pianta il numero dei racemi laterali sia di 4 (media). L’° A. ottenne una curva a tre vertici corrispondenti a 8, 15-14 e 20-21, cifre queste che coincidono con una discreta approssimazione con la serie 8, 13, 21, detta di Fibonacci che Ludwig ha incontrato molto spesso nelle indagini fitometriche. [Una coincidenza fortuita con tale serie determinabile a priori, si potrebbe esclu- dere con maggior certezza se erva a quattro vertici]. I tre numeri accennati nella loro successione formano il frammento di una serie (... + 8, — 5, + 3, — 224 1, — 1,0, 1) 1, 2,3, 5, 8, 13, 21, 54, 55, 87, 114....i cui termini successivi si clinaenae per la somma dei due ei. «Questa serie, chiamata dai botanici di Gerhardt o di Lamé dovrebbe, secondo Ludwig, denominarsi serie di Fibonacci, perchè Leonardo da Pisa, filius Bonacci, generalmente appellato Bonacci, la studiò nel secolo XIII. Da Keplero fu applicata a certi numeri vege- tali, in particolare al numero 5 così frequente fra le dicotiledoni ». Così sua ono a spirale delle foglie la serie delle divergenze più frequenti è del Sig: ho Ser ls 3/35 lr... - frazioni queste che rappresen- A ili successive della frazione continua : 3 IR Ca cla le osservazioni avessero invece fornita una mentre i numeratori e i denominatori di quelle Seguono la serie di Fi b o- nacci. Ultimamente Ludwig credette poter ravvisare una differenza fonda- mentale tra animali e piante nel fatto che le seconde soltanto, comprese le crittogame, nella disposizione delle loro parti seguono la serie di Fibonacci nei numeri indicati o loro multipli. Le piccole divergenze della curva Cia pirica ricavata dal Gallardo colla serie di Fibonacci potrebbero spiegarsi come dovute al non aver contato un numero sufficientemente grande di esemplari. } Ad ogni modo è notevole la pluralità dei vertici della curva ossia l’aggruppamento dei fiori attorno a certi tipi e la scarsezza delle forme intermedie che è, secondo De Vries, la regola generale per le razze mostruose. PRC. WEISMANN. — Ueber die Parthenogenese der Bienen. — Anatom. Anzeiger. Bd. XVIII, Heft 20-21, p. 492-499, Dicembre, 5, 1900. Weismann riferisce i risultati di ricerche compiute sotto la sua direzione da Paulcke e Petrunkewitsch nel laboratorio di Fri- burgo, rivolte a verificare le conclusioni di Dzierzon e von Siebold, secondo i quali le uova fecondate di ape producono sempre operaie (0 regine) e le uova non fecondate fuchi o maschi. La necessità di controllare questi 388 RASSEGNA BIOLOGICA fatti si imponeva dacchè Dickel sostenne che: tutte le uova di ape sono fecondate, e il metodo seguito da von Siebold e Leuckart di esaminar le uova al microscopio da 1 a 12 ore dopo la deposizione non poteva rite- nersi esatto, sapendosi che i nemaspermi penetrati nell’ uovo perdono in poche ore la loro apparenza filiforme e divengono pressochè irreconoscibili dando luogo al nueleo ed all’aster spermatico. Il materiale di studio per gli allievi di Weismann consisteva in uova tolte agli alveari e spedite al laboratorio nel liquido preservativo. Gli AA. si convinsero che l’ unico modo sicuro per distinguere le nova fecondate dalle altre consiste nell’ uccider le uova quando è formato il secondo fuso di maturazione ; perchè allora nelle uova fecondate si ha la distinta forma- zione di un aster spermatico completo. Petrunkewitsceh applicando questo criterio sezionò 132 uova fissate nello stadio del primo fuso. Tutte le 62 uova provenienti da celle di operaia presentavano l’aster spermatico ; mentre delle 272 raccolte in celle di fuchi una sola ne era fornita: e questa eccezione Weismann spiega in un errore della regina che doveva aver deposto un uovo fecondato in una cella non adatta, caso non nuovo agli apicultori. Sarebbero così confermate le conclusioni di Dzierzo n. È stato poi osservato da Dickel che appena la regina ha deposto un uovo le operaie entrano nella cella e leccando l’uovo lo ricoprono di saliva. Dickel suppone che questa sia la causa determinante del sesso. L'ufficio della saliva è certamente importante, perchè avendo Dickel isolate alcune nova dal contatto colle operaie, esse perirono tutte. Forse la saliva impe- disce la essiccazione delle uova il cui chorion è molto sottile. Secondo il Weismann insomma il sesso è determinato dall’ esser le uova fecondate o no. Sembra però altré modificazioni entro il tipo sessuale, la differenza tra operaie e regine, dipendano dalla quantità e qualità del cibo e dall’azione della saliva, come risulta dagli esperimenti di Grassi sulle termiti. Dickel afferma poi che i fuchi prodotti da operaie feconde differiscono da quelli derivati da regine, i primi essendo sterili. È certo, nota il Weismann, che una lieve differenza nei primi stadii dello sviluppo si osserva tra le uova non fecondate di regina e quelle di operaia. Herpsr Curr. — Ueber die zur Entwickelung der Seeigellarven nothwendigen anorgansichen Stoffe. ihre Rolle und ihre Ver- tretbarkeit. II Theil. Die Vertretbarkeit der Nothwendigen Stofle durch andere iihnliche chemiscer Natur. — Arch. f. Entwi- ckelungsmech., Bd. XI, Heft, III u., IV, April, 1901. Da indagini precedenti dello stesso A. era risultato che per lo sviluppo normale delle uova di oloturia era indispensabile che nel liquido ambiente si trovassero S, CI, Na, K, Mg e Ca, mentre l’addizione di ferro era necessaria sol quando si adoperasse Caz P.,0y in miscela artificiale di acqua di mare, e che i fosfati erano sempre indispensabili fino allo stadio di pluteo, il quale RASSEGNA BIOLOGICA 389 non veniva mai oltrepassato nelle culture artificiali. Infine la miscela artifi- ciale di acqua di mare dovea possedere ancora un certo grado di alcalinità, come anche per la formazione di uno scheletro completo era necessaria la presenza di carbonati. Ora, si chiede Herbst, queste sostanze inorganiche necessarie allo svi- luppo possono esse venir sostituite da altre di natura chimica analoga? In altre parole i processi chimici che accompagnano le modificazioni morfolo- giche dello sviluppo ontogenetico sono essi regolati in modo immutabile, oppure quando la composizione chimica del mezzo varii alquanto, 1’ organismo possiede la capacità di regolare i processi chimici in modo che lo sviluppo proceda indisturbato e da ultimo si generino i prodotti normali? Si tratta di vedere, ad es., se le uova in via di sviluppo possano utilizzare lo solfo in qualunque combinazione o soltanto sotto forma di solfati. Sostituendo un elemento necessario con un altro di natura analoga, ad es. il Cloro con un altro alogeno, il bromo, o il K col Rb., si verrebbe poi a definire se lo sviluppo, posto che sia ancora possibile, decorra nello stesso modo che colla presenza degli elementi normali, o se invece appariscano modificazioni morfologiche specifiche del processo evolutivo. A tali quesiti gli esperimenti han dato una risposta negativa, nel senso che i processi chimici dello sviluppo non sono modificabili. In niun caso gli embrioni sono stati in grado di separare da combinazioni così semplici come i solfati di etile 1’ ione SO, indispensabile al loro sviluppo, nè in mancanza della quantità sufficiente di Ca fabbricare uno scheletro di ma- gnesite invece che di calcite. Solo per alcune sostanze chimicamente molto affini fu possibile una sostituzione, non però assolutamente completa, poichè le larve sviluppate da una miscela con S, 0; invece di S O,, o in acqua con Rb e Ca in luogo di K non erano mai complete, nè di forma normale. Le divergenze dalla norma consistevano in arresti del processo formativo normale, e non già in cangiamenti specifici simili ‘a quelli da Herbst già notati sotto l’ azione del litio. GieLIO Tos dott. ERMANNO. — Les problèmes de la vie. Première partie. La substance vivente et la cytodiérèse. — Un vol. di pag. 286 con 33 fig. intercalate, Torino, presso l’ autore, Palazzo Carignano, L. 3. Questo studio è dedicato all’ esame: della costituzione della sostanza vivente e delle sue funzioni fondamentali; assimilazione e riproduzione. L'A. è convinto che « l’ applicazione dei principii generali dei fenomeni della materia bruta basta all’ interpretazione dei fenomeni fondamentali della vita» . .... « che i meravigliosi fenomeni vitali non sono che le conseguenze naturali dei fenomeni chimici, fisici e meccanici, e che la loro natura è molto più semplice che non pensiamo ». Nel primo capitolo Giglio Tos si studia di ricondurre la causa dell’ assimilazione alla strut- tura molecolare, ossia alla costituzione chimica dei corpi organizzati, invece 390 . RASSEGNA BIOLOGICA che alla struttura morfologica del protoplasma, come gli autori prima di lui. «I cambiamenti chimici delle molecole ‘dei corpi viventi devono bastare a spiegare l’ assimilazione e la riproduzione ». L’ A. chiama « biomolecole » ‘le molecole viventi « che sono le parti viventi più piccole che si possano immaginare » (Cap. II). Nella « fisiologia della molecola » che 1° A. va svolgendo (Cap. III) sono interpretate secondo le opinioni dell’ A., la respi- razione intramolecolare, la funzione clorofillica, amilogena, la disassimila- zione e la secrezione. Le biomolecole aggregandosi formano i « biomori >», e questi a lor volta sì aggregano in « sistemi simbiotici » che 1° A. denomina « biomonadi ». Le figure caratteristiche della cariocinesi sono (Cap. IV) ricondotte « allo stesso fenomeno che produce la divisione di un biomoro e di una molecola ; la orientazione delle parti ». « L’ orientazione biomorica è la causa unica della formazione della centrosfera, dei filamenti degli aster e del fuso e del loro accrescimento, dell’ allontanamento dei corpi centrali e anse cromatiche, e della separazione delle due cellule figlie ». Tutto ciò avviene senza intervento di alcuna speciale forza attrattiva o repulsiva. Dalla sua interpretazione della citodieresi Giglio Tos deduce poi come « leggi razionali » alcune proposizioni, ed afferma di poter così risol- vere con rigore matematico alcuni problemi della citodieresi. Ne presenta infatti alcuni saggi nel Cap. III, ove sono pure analizzate quelle che 1° A. considera « cause principali » della divisione cellulare e sua direzione. Infine nel Cap. IX son presentate sotto forma di problemi varie determinazioni dei piani di segmentazione nelle uova sviluppantisi .in condizioni normali ed anormali. . Vi Fattori della evoluzione. FiscHeR E. — Experimentelle Untersuchungen ilber die Vererbung Erworbener Eigenschaften. — Alleg. Zeitschrift. f. Entomologie. Bd. 6., 190î, con una tavola. L'A. sottomise una cinquantina di crisalidi di Arctia caja all’ azione in- termittente di una bassa temperatura (ca. — 8° C.), lasciandone, per controllo, altrettante alla temperatura ordinaria. Queste ultime diedero farfalle senza alcuna notevole alterazione del colorito e del disegno, farfalle normali. Dalle crisalidi sottomesse al raffreddamento schiusero delle farfalle che mostravano in grado diverso modificazioni aberranti del colorito e del di- segno, consistenti, come si scorge dalle figure, in una maggiore estensione delle macchie brune o scure delle ali, che in alcuni maschi arrivano a fon- dersi completamente. Questa modificazione causata dal freddo durante lo sviluppo, si può considerare come un carattere nuovo, originato per azione del mondo esterno. tiuscì all’A. l’accoppi&mento di due di questi individuj anomali e ne RASSEGNA BIOLOGICA 391 ottenne molte uova e poi dei bruchi e delle crisalidi, che mantenne sempre alla temperatura ordinaria. Le prime farfalle schiuse erano perfettamente normali, ma le ultime erano abberranti. Non meno di 17 individui erano modificati nel senso dei geni- tori, e ciò si osservava quasi esclusivamente nella farfalla di sesso maschile. Con questo esperimento il Fischer crede di aver dimostrato che il carat- tere acquisito per la temperatura anormale, durante lo sviluppo, può ricom- parire anche nei discendenti. E sostiene che un risultato simile può prodursi in natura, occorrendo però un tempo lunghissimo, poichè naturalmente la temperatura non varia in modo troppo rapido o troppo forte, ma solo gra- datamente, sia durante le'epoche, che durante le migrazioni delle specie da un luogo ad un altro. A. GIARDINA. ENTEMAN MINNIE MARIE.— Variations in the crest of Daphnia hyalina — American Naturalist — « October » 1900. Da parecchi zoologi fu notata la straordinaria variabilità della Daphnia hyalina, e la sua spiccata tendenza a costituire varietà locali così diverse da sembrare specie distinte. Infatti D. gracilis Hellich, D. pelluccida Miller e D. Galeata Sars, grazie alle recenti scoperte di numerose e graduate forme in- termedie, furono riconosciute come semplici varietà della specie D. hyalina di Leydig. La variabilità si osserva in tutti gli organi, ma sopratutto nella cresta cefalica : « ogni specie di cresta riscontrata nel genere, è rappresentata nella specie hyalina. » I risultati delle prime ricerche sulle dafnie dei laghi americani portarono a questa conclusione: « che quasi ogni lago ha la sua varietà speciale di D. hyalina.» L’A. del presente articolo studiò una ricca collezione di queste dafnie raccolte nei laghi americani. Essa notò che disponendo le forme in serie le variazioni seguivanò determinate vie. « Alcune varietà europee di D. hyalina variano nella direzione della specie Kahlbdergiensis ; le forme americane variano verso la specie americana retrocurva e bergiensis. » Pare che la forma più antica e fondamentale sia la D. hyalina di Leydig. A questa interessante memoria dell’autrice americana va unito un dia- gramma che rappresenta con molta chiarezza le variazioni delle forme nei caratteri della cresta, rostro, antenne e spina. Il profilo della regione cefalica superiore (cresta) è quello che varia di più, ora assai arrotondato, a forma di elmo e con distinto rostro anteriore, ora acuminato, a cappuccio, colla punta ventrale (forme europee) o dorsale (forme americane). Nuove indagini furono dall'A. istituite nella regione denominata distretto lacuale della Wankesha County, che comprende una cinquantina di laghi. Le variazioni quivi riscontrate furono su per giù quelle già rinvenute negli altri laghi. « È importantissimo rotare che le forme raccolte d’inverno spettano al tipo a cresta bassa o depressa; e ciò potrebbe stare in relazione col fatto che la prole estiva ha origine partenogenetica ». i Naturalmente qui si ha un ottimo materiale per lo studio delle varia- zioni correlative. L’ Autrice ha riconosciuto un rapporto diretto evident 392 RASSEGNA BIOLOGICA tra la lunghezza e curvatura della cresta cefalica, e lunghezza e curvatura della spina terminale. Le variazioni locali di D. hyalina sembrano essere indipendenti dalla profondità dei laghi e natura delle sponde ed essere piut- tosto in relazione alla natura dell'ambiente biologico (competizione tra specie affini, ecc.). Il lago Garvin, sebbene comunicante col lago Okauchee, pre- senta una varietà diversa. Pi. CI Strone R. M. — A quantitative Study of Variation in the smaller north-american shrikes. — American Naturatist, April, 1901. È un tentativo di impiegare i metodi statistici nello studio delle varia- zioni applicando il cosidetto « eriterio esatto » di Davenport al pro- blema della classificazione. L’A. istituì a tale scopo misurazioni sulla lun- ghezza della coda, delle ali, del becco e curvatura del culmen nella specie Lanius borealis un passeraceo del nord America che è distribuito sopra un’ area geografica molto estesa. ‘La variabilità in lunghezza delle ali e coda è esprimibile con un coeffi- ciente inferiore a 4. Più variabile è il becco, pel quale il coefficiente si eleva a 5,89. In grado ancor più alto varia il colore a determinare il quale lA. ha fatto uso di una trottola portante un disco graduato, sul quale si dispongono dischi di carta di diversi colori che si sovrappongono parzial- mente in modo da lasciar esposte determinate superficie dei colori elemen- tari. Queste si regolano in modo che fondendosi poi nella rotazione del disco i colori elementari riproducano la colorazione osservata in una data parte del piumaggio. La proporzione delle superficie esposte di ciascun colore dà la proporzione in cui si combinano i colori primarii nel piumaggio. La più grande variabilità fu riscontrata nella quantità del melanismo, potendosi esprimere con un coefficiente di 29,02 per le parti superiori della coda, e di 85,48 pel petto. Tuttavia 1° A. non stima opportuno eccedere nella distinzione delle razze per le differenze di colore, malgrado la tendenza oggi sviluppatissima negli ornitologi di istituire nuove subspecie per ogni variazione connessa a qualche differenza nella distribuzione geografica. Egli vorrebbe che la istituzione di nuove subspecie o varietà si limitasse coll’appli- cazione di qualche criterio generale. In certi problemi tassonomici, ad es., può riuscire utile il « criterio esatto »> di Davenport, il quale ha proposto di considerare come specie quelle forme la cui divergenza è almeno il triplo dell’indice di variazione, e invece razze o varietà quelle la cui divergenza è minore. BLANCHON ALFONSE. — Variation du plumage dans les races gal- limes. — « Revue Scientifique », 2 Février, 190L. Le regole generali che governano la diversità di colorazione e la distri- buzione dei colori nelle svariate razze di galli domestici meritano in alto grado la considerazione del biologo evoluzionista. La loro conoscenza per- SIE, STO, TROTA RASSEGNA BIOLOGICA 393 mette inoltre agli allevatori di dirigere efficacemente gli sforzi verso la produzione di un tipo prescelto o favorito dalla moda. I colori che soli o associati in tutte le loro sfumature si riscontrano nel piumaggio delle varie razze, si riducono a cinque : nero, rosso, giallo e fulvo, azzurro e bianco, quest’ultimo essendo dovuto alla totale assenza di pigmento. L'A. distingue anzitutto i colori in primarî e secondarî, distinzione che nulla ha che vedere con quella ottica dei colori in fondamentali e derivati. Il colore azzurro, ad es., non sarebbe un colore primario essendo gli andalusi azzurri ottenuti per incrocio di langshan neri e bianchi. Il colore fulvo non sarebbe che una modificazione del rosso, che si riscontra là dove manca ogni macchia nera o bianca; un rosso uniforme pare non possa realizzarsi, ma sempre associato al bianco od al nero. I colori primarî si riducono dunque al nero e al rosso, che infatti esclu- sivamente occupano il piumaggio del gallo primitivo, salvo una modifica- zione locale del rosso in giallo. Allorquando piume interamente rosse si trovano associate sopra un me- desimo individuo a piume interamente nere, queste ultime sono generalmente confinate alla coda, al petto, alle parti inferiori, mentre il nero alla parte superiore. Imneroci di un tipo primitivo a dorso rosso e parti inferiori nere con una razza intieramente albina, dànno la varieta detta dai francesi « pile >», superiormente rossa e in cui il nero inferiormente è stato sostituito dal bianco: donde l'A. ricava questa regola : « il bianco, ossia la mancanza di pigmento, opponendosi negli incroci al rosso, modifica poco quest’ ultimo, mentre distrugge il nero ». Altra regola desunta dagli incroci di esemplari a dorso nero con esem. plari a dorso rosso è la seguente : « Se il rosso ed il nero possono coesistere sopra un medesimo soggetto in parti diverse, altrettanto non succede quando nell’inerocio i due colori occupando le medesime aree, si trovino in conflitto diretto. Tendono allora ad elidersi, comparendo nella regione corrispondente il bianco, o per lo meno una forte tendenza all’ albinismo ». Nelle razze tenute in domesticità v° è una tendenza ad assumere tinte più chiare, che porterebbe presto alla produzione di razze albine ove fosse assecondata da una diligente selezione. I casi di macchie bianche, di albi- nismo parziale, derivano quasi sempre da un conflitto diretto fra il nero e il bianco nella parte corrispondente dei parenti. Importa molto all’ allevatore scoprire sul loro nascere le prime traccie di quella decolorazione progressiva che suole manifestarsi sotto l'influenza della domesticità, affine di poterla correggere con una selezione antago- nista. Basta osservare a tal uopo la lanuggine alla base delle piume: quivi comincia la diminuzione del pigmento, e una colorazione molto intensa di quelle parti è sempre una buona garanzia, mentre vanno esclusi rigoro- samente dagli accoppiamenti gli individui che alla base delle piume mo- strano un principio di decolorazione. Messi a contrasto negli incroci il bianco ed il nero, il bianco ha il sopravvento. Più tenace del nero — al quale pare corrisponda una quantità minore di pigmento — è il fulvo, che resiste per alcune generazioni, seb- bene perdendo gradualmente terreno, alla crescente invasione del bianco, 394 RASSEGNA BIOLOGICA Infine il rosso è il colore più solido; tanto che riesce difficile mercè ripetuti incroci con individui bianchi e selezione degli esemplari più chiari elimi- narne le ultime traccie consistenti in macchie rosse o in una colorazione tendente al giallo-paglia diffusa su tutto il piumaggio. L’A. aggiunge alcune norme sul modo di ottenere varietà di un colore fulvo uniforme, ora molto ricercate. È questo un risultato molto difficile a conseguire e conservare, postochè la tinta fulva uniforme, se non si man- tenga associata con opportuni incroci a piccole quantità di nero, cede più o men presto il campo ad un parziale albinismo. a C VI. Filosofia biologica. DuURAND DE Gros J. P. — Variétés philosophiques. — Paris, Alcan, 1901. Il titolo primitivo (Ontologie et psychologie physiologique, 1871) dell’opera di cui il Durand, pochi mesi prima della sua morte, ha potuto curare la presente seconda edizione, era meglio atto a suggerire la natura del suo contenuto, il quale si riattacca, da una parte, alle note ricerche e vedute dell’ A. sulle attività psichiche dei centri nervosi inferiori, e dall’ altra, ai suoi tentativi di rappresentare i rapporti tra stati di coscienza e i corri- spondenti fenomeni fisiologici, per mezzo di qualche ipotesi più coerente e comprensiva di quelle aventi corso presso la maggior parte dei fisiologi. Che a raggiungere quest’ ultimo scopo 1’ A. sia riuscito o no, o fino a che punto sia riuscito, è una domanda alla quale i lettori del libro si senti- ranno indotti a dar risposte assai disparate a seconda delle loro preferenze filosofiche e dell’indole speciale dei loro studi. Ma anche quelli fra essi che fossero meno disposti a consentire nelle conclusioni, talvolta alquanto para- dossali, a cui 1’ A. arriva, e a riguardare come logicamente corrette tutte le argomentazioni alle quali egli le appoggia, non potranno a meno di rico- noscere i pregi eccezionali di chiarezza, di penetrazione, di solidità che caratterizzano la parte critica della sua esposizione, in quanto specialmente essa è rivolta a porre in evidenza gli ostacoli che, a una trattazione soddi- sfacente e proficua delle suddette questioni, vengono frapposti dalla man- canza di precisione e determinatezza nel significato dei termini che figurano nella loro enunciazione. La tendenza a riguardare i concetti che a tali termini corrispondono — quali sono, per esempio, quelli di organo, di funzione, di facoltà, di atto, di causa, di forza, di percezione, di sensazione, di individuo, ecc. — come dei « dati » non suscettibili di ulteriori analisi, e a qualificare come « metafisita », e sterile per sua natura, qualunque ricerca diretta a precisarli; a elaborarli, a coordinarli, è dall’ A. considerata come uno dei peggiori caratteri di quel positivismo volgare che (imitando RASSEGNA BIOLOGICA ‘395 la tattica dello struzzo che crede essersi messo in salvo dal cacciatore quando, nascondendo la testa dietro un albero o sotto la sabbia, ha cessato di vederlo) s’illude basti ricusare di occuparsi d’una questione perchè essa cessi di esistere e perchè svanisca ogni danno inerente al non averla risoluta. Così, per accennare a una questione che occupa una parte prominente nella trattazione dell’A., si può benissimo ammettere che le vecchie contro- versie tra materialisti e spiritualisti abbiano perduto per noi gran parte del loro interesse e che esse appartengano ormai alla Storia, come le contese tra i Guelfi e i Ghibellini o quelle tra i classici e i romantici; ma 1’ essere convinti di ciò è ben lungi dal bastare per renderci immuni da ogni influenza di quelle stesse cause d’ errore e di confusione da cui le divergenze tra le suddette scuole filosofiche hanno preso origine ed alimento. Nè a garantire una tale immunità è sufficiente, come ben osserva 1’ A., il riconoscere vagamente che ciascuna delle due opposte teorie racchiudeva un germe o una parte di verità : occorre vedere chiaramente quale questa | parte fosse, e come mai i fautori dell’ una e dell’ altra dottrina potessero credere che la parte di verità da essi veduta fosse incompatibile, o in contraddizione, colla parte veduta dai loro avversari: come mai, per esempio, a frasi come le seguenti : « il pensiero è un prodotto dell’ organismo », 0, < il cervello è sede del pensiero » ecc., potessero venir attribuiti, sia da parte di quelli che le enunciavano sia da parte di quelli che se ne scanda- lizzavano, una quantità di significati reconditi, oltre all’ unico che esse pote- vano avere, e che si esprimerebbe, senza metafore, semplicemente dicendo che « certe condizioni o modificazioni dell'organismo e certi stati di coscienza sì accompagnano costantemente ». Finchè i paralogismi, le ingenuità, i preconcetti, che hanno dato luogo a malintesi di questo genere, non vengono attaccati direttamente alla loro radice, finchè la forma stessa del linguaggio tecnico non cessa di prestarsi a dar asilo e a coprire del manto di una illusoria evidenza intuitiva, le concezioni più grossolane, rendendo estre- mamente difficile qualsiasi chiara distinzione tra ciò che è « fatto » e ciò che è « ipotesi », tra ciò che è descrizione e ciò che è interpretazione dei risultati delle osservazioni, o degli esperimenti, tra ciò che è modo di rappresentare e ciò che è modo di spiegare, è vano immaginarsi che 1° èra delle speculazioni oziose, delle costruzioni fantastiche, dei dogmatisimi ciechi, delle dispute bizantine sia chiusa definivamente. Si avrà un bel mettere la « metafisica » alla porta : essa rientrerà per la finestra, o anzi, come ben dice l’ A., par toutes les fenétres ; e 1’ averle chiusa la porta in faccia non farà che render più difficile il cacciarla fuori un’ altra volta. Per addur fatti in appoggio di questo suo convincimento 1’ A. non ha bisogno di ricorrere ad altri campi che a quello nel quale massimamente si è esplicata la sua attività scientifica : la fisiologia del sistema nervoso. Molti anzi sono da lui desunti dalle polemiche che egli, nei vari periodi della sua lunga carriera di ricercatore indipendente e di propugnatore di nuovi indirizzi d’indagine, ebbe a sostenere con alcuni dei più riputati fisio- logi del suo tempo. Un nucleo centrale, intorno al quale una gran parte di tali polemiche si vengono a raggruppare, è costituito dalla sua ipotesi del « polizoismo » la quale, come è noto, consiste nell’ammettere che i centri nervosi subordinati 396 RASSEGNA BIOLOGICA di cui si compone il midollo spinale, costituiscano, per usare la frase di Cl. Bernard, quasi una serie di piccoli cervelli dotati ciascuno di attività psichiche autonome cui corrisponderebbero delle vere e proprie « coscienze >» analoghe, ma nello stesso tempo distinte, da quella che nello stato normale, riconosciamo come la nostra. Il fatto che noi non possiamo direttamente accorgerci che esse esistano è, secondo l’ A., così poco sufficiente per autorizzarci a negare la loro realtà, quanto il fatto che noi non siamo direttamente consci di quanto sentono o pensano gli altri uomini lo sarebbe per farci conchiudere che essi siano automi privi d’ogni sensibilità e intelligenza. La celebre teoria cartesiana la quale ammetteva appunto che questo fosse il caso per tutti gli animali eccetto 1’ uomo, è riguardata dall'A. come niente affatto più assurda dell’opinione corrente, dalla quale, azioni presentanti tutti i caratteri di un adattamento conscio di mezzi ai fini, quali quelle, per es., eseguite in stato di sonnambulismo o di ipnosi, sono senz’ altro qualificate come riflesse, o come dovute a puro automatismo, solo perchè ad esse non corrisponde, da parte nostra, alcuna memoria di sensazioni provate, di ragio- namenti fatti, di deliberazioni prese. Niente di strano, egli osserva, che noi non ci ricordiamo di ciò che non abbiamo mai saputo, in quanto non è stato sentito o fatto da noi; ma, dal dire che una tal cosa non è stata sentita o voluta da noi al dire che non è stata sentita o voluta da nessuno, passa tutta la distanza che vi può essere tra la constatazione d’un fatto e 1’ accettazione di un’ipotesi, la quale potrà essere più o meno plausibile, ma avrebbe bisogno, a ogni modo, di essere provata prima di essere ammessa come vera, a preferenza di altre @ priori ugualmente accettabili. Pare ora all’ A. che i fatti, spassionatamente osser- vati, tendano piuttosto a stabilire 1’ ipotesi contraria, 1° ipotesi cioè che quello che noi, con discreta presunzione, chiamiamo il nostro corpo sia sede, o teatro, non d’ una sola serie di stati di coscienza, ma di parecchie serie parallele, fino a un certo punto indipendenti le une dalle altre, e prive di comunica- zioni normalitra di loro, che esso, in altre parole, sia 1’ organo d’un aggregato, o d’ una gerarchia, di « coscienze » di cui la nostra non sarebbe, per dir così, che la « prima inter pares ». | E non solo l’esistenza di tali coscienze, o personalità, subordinate, ma anche la loro capacità ad assumere, date certe condizioni non ancora abba- stanza esplorate, le parti di protagonista ricacciando in seconda linea quella che, per intenderci, potremo chiamare la coscienza « primaria » è riguardata dall'A. come una conclusione a cui conducono inevitabilmente i risultati, sempre più meravigliosi e nello stesso tempo sempre meno contestabili, delle ricerche sperimentali nel campo dell’ ipnotismo, della criptomnesia, della medianità. Che l’ ipotesi da lui avanzata valga a fornire soddisfacenti spiegazioni per tutte le categorie di nuovi fatti che le dette ricerche vanno portando alla luce, è una questione che l’A. non pretende risolvere. Giova però notare a tale proposito, anzitutto, che il numero di quelli tra questi fatti, di cui sì può sperare di riuscire mediante essa a rendersi ragione, è assai più grande di quanto appaia a prima vista, come i recenti studi (tra i quali basterà citare quelli del Flournoy) tendono sempre più a provare; in secondo RASSEGNA BIOLOGICA 397° luogo che, tra le ipotesi fin qui escogitate per spiegarli, o tra le altre alle quali sarebbe necessario ricorrere per raggiungere tale scopo senza far uso di quella che lA. propone, non sembra essservene alcuna che più di que- st’ ultima sia compatibile con quelle che tuttora si ha ragione di riguardare come le leggi fondamentali della natura e della vita organica. Il parlare di percezioni o di volizioni non accompagnate da alcuna coscienza, e perfino, con Cl. Bernard, di «intelligenza incosciente » sembra all’ A. o non voler dir altro che questo : che le attività psichiche, e gli atti di volontà o d’ intelligenza di cui si parla sono da attribuire a qualche coscienza distinta dalla nostra (il che equivale ad ammettere implicitamente l’ipotesi da lui sostenuta) 0, in caso contrario, aver così poco senso come il parlare di un « circolo quadrato » o d’ una quantità non eguale a sè stessa. Su questo soggetto il suo modo di vedere coincide perfettamente con quello sostenuto dal James nei suoi principi di psicologia (cap. VI). Si potrebbe tuttavia osservare, a proposito dei suddetti esempi presi dal campo della matematica, che questa scienza stessa si presterebbe anche a for- nirne altri, atti a far vedere come frasi costituenti delle «contraddizioni in ter- mini » non meno flagranti di quella racchiusa nella nozione di «coscienza inco- sciente», possano esercitare, provvisoriamente almeno, una funzione utile pel progresso della scienza !). Il cattivo uso che i seguaci di Hartmann o di Wundt possono aver fatto di un’ innocentissima metafora, introdotta per la prima volta dal Leibnitz, non è certo una ragione sufficiente perchè essa venga bandita dal campo della psicofisiologia, dove può essere ancora di qualche giovamento se non fosse altro per impedire l’introduzione di ‘qualche altro termine o immagine meno ancora adatta a caratterizzare esat- tamente i fenomeni che essa serve a designare. Bari, 8 Maggio 1901. G. VAILATI. Osporn E. F. — Dai Greci a Darwin. — Prima versione italiana del Dott. G. Nobili. Torino, Frat. Bocca, 1901. L’Osborn, che è professore di zoologia nella Columbia University di Nuova Jork, e che si occupa già da circa un ventennio della teoria evolutiva, ha fatto in questo volume una esposizione eronologica delle principali fasi storiche di essa dalle concezioni nebulose di Empedocle a quella del Darwin. i 1) Nessuno, per esempio, può porre in dubbio i vantaggi che derivarono, all’algebra e alla geometria, dal fatto che i loro cultori non si ritrassero dal parlare, e dall’ occu- parsi, di « radici quadrate di numeri che non erano quadrati di aleun numero » 0 di «punti d’ incontro di relte che non 8’ intersecavano ». L'uso Ci frasi di questo genere è del resto un carattere comune anche ad altri rami di scienza (non parlano. per esempio, ì fisici di «raggi luminosi oscuri ? »); esse sono talvolta causa e tal altra volta effetto dell’ introduzione di nuovi concetti più generali di quelli che corrispondono al senso proprio e letterale dei termini che figurano nella loro enunciazione. 398 . RASSEGNA BIOLOGICA . ‘Im questa rassegna storica lA. tratteggia ed imbastisce con logica con- nessione i concetti che i priricipali filosofi ebbero della origine della vita e dei fenomeni vitali e tutto ciò alla buona, senza sfoggi di dottrina e con forma piana e abbastanza briosa. Naturalmente questo non è un libro di vera erudizione scientifica, e perciò se in qualche punto 1° autore pecca di inesattezza non e’ è da fargliene gran torto. A pag. 10, per es., leggendo : <... e questa fu una vittoria che la Germania riconobbe chiamando giusta- mente Darwinismo la teoria dell’ Evoluzione », si potrebbe pensare, per quel « giustamente » che Darwinismo ed Evoluzionismo siano diverse deno- minazioni di una stessa cosa, mentre sono tutt’ altro. Per quanto riguarda le idee personali dell’ autore, per quel pochetto che se ne può trarre da alcuni giudizii che egli dà qua e là, non mi sembra di sbagliare dicendo che esse sanno di stantio, ma ciò .non è forse un male perchè il gran pubblico a cui è dedicato questo libro, non avrebbe sufficiente coltura per capire le idee nuove. Tutto sommato, questo libro, quantunque sia di 260 pag., si legge in fretta con molta piacevolezza e con molto profitto; ed i Fratelli Bocca, accettando la proposta del Dott. Nobili, assistente al R. Museo Zoologico di Torino, hanno fatto opera assai lodevole, perchè in Italia ab- biamo uno straordinario bisogno di diffondere la coltura con libri, che trat- tino questioni scientifiche in modo facile e piano ed agevolmente leggibili da tutti. F. FRASSETTO. DELAGE Yves. — L’Année Biologique. — Quatrième Année 1898. — Paris, 1900, L. 48. Il quarto volume di questo interessante Annuario compendia tutta la produzione scientifica biologica dell’ anno 1898. Secondo il metodo seguito nei primi volumi, la materia è divisa in 20 capitoli e ciascuno di essi con- tiene la completa bibliografia, in ordine alfabetico, dello speciale argomento, estese riviste analitiche di moltissimi lavori ed aleune pagine di preambolo nelle quali i solerti compilatori dell’ Année, Delage, Labbé e Poirault, mettono in luce i progressi fatti dalla scienza durante 1° anno. Il volume dà le indicazioni bibliografiche e i riassunti dei lavori di Bio- logia comparsi in ben 550 Riviste delle quali più di 50 sono italiane. Noi accenneremo rapidamente in quali campi più largamente si sia espanse l’ attività degli scienziati, e citeremo alcuni lavori scegliendo quelli i cui risultati ci sembrassero più interessanti. Il primo capitolo tratta della Cellula e riassume 171 lavori di cui 14 italiani. Le questioni della struttura del protoplasma del nueleo e del nucleolo han dato luogo a diversi lavori interessanti ma poco originali, si è invece maggiormente esteso lo studio sulle comunicazioni protoplasmatiche intracellulari, e specialmente sono stati oggetto di studii i centrosomi e le sfere. Due questioni capitali sono state discusse, 1’ una intorno alla origine, alla natura e alla funzione delle sfere; la seconda, più importante, intorno alle funzioni del centrosoma nella mitosi e nei suoi rapporti con le cellule vibratili, forse come organo sensitivo, come centro nervoso delle cellule. RASSEGNA BIOLOGICA 399 I problemi biologici intorno ai prodotti sessuali e alla fecondazione sono studiati (Cap. II) in 127 lavori, di cui ben pochi sono italiani. Degni di nota sono i lavori del Benda, del Peter, del Lenhosseck e del Friedmann, perchè permettono di tracciare la storia della spermato- genesi. Le cellule vegetative del testicolo, da principio disposte lungo le pareti del tubo seminale, fra le cellule germinali. allungherebbero la loro porzione distale lungo il canale seminale esercitando un’ attrazione speciale sulle cellule germinative, con esse fondendosi e nutrendole fino alla maturità dello spermatozoo. Pochi AA., dei quali nessuno italiano, si sono occupati della Parteno- genesi (Cap. III), e della Riproduzione asessuale (Cap. IV), mentre in 78 lavori, di cui 7 italiani, si tratta della Ontogenesi (Cap. V). Notevoli sono i lavori di Morpurgo, nei quali si dimostra che in seguito ad un aumento di lavoro si accresce la grossezza delle fibre nel muscolo lavora- tore, ma non il numero totale delle fibre, nè delle fibrille, nè dei nuclei. Non offrono granchè di nuovo i 50 lavori che trattano della Teratogenesi, . (Cap. VI), nè i 47 che trattano della Rigenerazione (Cap. VII). Sono stati invece proseguiti con ardore i tentativi di suture degli animali e special- mente i trapianti di organi (Cap. VIII)J) Crampton, ad esempio, conti- nuando le sue ricerche sugli effetti della sutura delle crisalidi di Lepidotteri di varie specie, ha ottenuto il trasporto della colorazione di un individuo all’ altro. II Ribbert ha invece stabilito le condizioni di sviluppo per i trapianti di organi, ed ha visto, risultato molto curioso, una mammella trapiantata sulla pelle di un orecchio attecchire, e poi, dopo che |’ animale aveva partorito, entrare in funzione. Il lavoro del Ribbert ha importanza ‘anche per i problemi di correlazione (Cap. XII) fra i tessuti, poichè mostra che il sistema nervoso non è necessario nè per l’ evoluzione della glandola nè per determinare la sua entrata in funzione. Non restano adunque che le modificazioni del sang gue onde spiegare un fatto così notevole di corre- lazione fisiologica. Nel Cap. IX, a proposito della dolermistazione del sesso, sono citati e criticati i noti studi dello Sehenk che vede la procreazione dei maschi correlativa all’ assenza completa di zucchero nelle urine della madre, e la teoria .di Le Dantec che attribuisce le differenze sessuali alla disim- metria molecolare di sostanze chimicamente identiche. Im 26 lavori sono poi trattate tutte le altre questioni del sesso, e due di esse, importanti, sono di scienziati italiani. Autori di tutto il mondo, in ben 336 lavori, di cui 32 italiani, abbordano da vari lati i multiformi problemi della morfologia e fisiologia generale (Cap. XIV); importanti fra tutte le ricerche di Loeb e di Cookè sui processi osmotici dei muscoli in funzione ; quelle di Chauveau intorno all’ azione di diversi alimenti sulla dinamogenesi e termogenesi, e quelli di molteplici AA. intorno all’azione immunizzatrice del siero e dei succhi di vari organi. Intorno ai problemi tanto studiati dell’ eredità (Cap. XV) importantissimi sono i lavori del Tutt sulle farfalle. Egli crede che il parente che ha forza ereditaria più possente, faccia predominare i propri caratteri sui figli, procreandoli però più spesso di sesso opposto. Non nuove teorie, non fatti nuovi di vero interesse, tale è il bilancio 400 È — RASSEGNA BIOLOGICA del 1898 intorno al Capitolo XVI delle Variazioni. Intorno alle origini delle specie (XVII) i compilatori dell’ Année si estendono ad illustrare il tentativo del Davenport di dare una espressione matematica alla defi- nizione della specie; citano anche le numerose obbiezioni. Il XVII Cap. tratta della distribuzione geografica delle specie rivistando 79 lavori. Il XIX Cap., il più lungo del libro, tratta del sistema nervoso, e delle funzioni mentali; sono in esso revistati 151 lavori sul sistema nervoso, dei quali ben 36 italiani, e 220 lavori intorno ai processi psichici, di cui 16 italiani. I lavori italiani di Golgi, Paladino, Levi, Lugaro, Capobianco, Donaggio, Fragnito sono specialmente importanti nello stabilire la struttura della cellula nervosa, le sue funzioni e la sua patologia; importanti appaiono pure le ricerche del Ruffini e del Cipollone che tendono a considerare 1’ organo muscolo-tendineo del Golgi come l’ organo specifico del senso muscolare. Mentre non molto importanti sono gli studî sulla struttura degli organi di senso, notevoli invece sono quelli sulle varie sensazioni. Sono inoltre notevoli gli studi dello Janet sul carattere e la natura delle emozioni. quelli del nostro Ferrari su argomenti analoghi, quelli del Celesia, lungamente rivistati, e dell’ Oddi sui fatti di inibizione, i lavori del Binet, dell’ Hervay, del Vaschide, dell’Hylan di psicofisiologia, del Sully e del Baldwin div psicologia infantile. L’ ultimo capitolo tratta delle teorie generali della biologia, e commenta lungamente la teoria dello Sechiaparelli che vuole che le forme orga- niche e le forme geometriche pure siano perfettamente omologhe. La specie sarebbe determinata, come le forme geometriche, con caratteri fissi e inva- riabili, e solo» gli individui potrebbero cambiare e subire le cause delle variazioni. Del lavoro dello Schiaparelli, 1’ Année dà una lunga rivista del Cattaneo ed aggiunge un confronto dal Celesia istituito fra le idee di Darwin e quelle dello Schiaparelli intorno all’ evoluzione naturale. ‘ OBICI. Dott. P. CELESIA, fedattore responsabile. Stabilimento Tipo-litografico Romeo Longatti — Como. STA ITALIANA DI DICROLOGtA Consiglio. birettivà: - % 4 Bosco - S. COGNETTI DE MARTIIS - V. TANGORRA | @. CAVAGLIERI - G. SERGI - E. E. TEDESCHI a Rivista italiana di sociologia esce in Roma ogni due mesi, in ssi fascicoli di almeno 140 pagine, in-8 grande, di fitta composizione. Ogni numero contiene: 1) articoli originali; 2) note e comunicazioni ; rassegna delle pubblicazioni italiane e straniere; 4) cronaca di notizie at- ti Ie studi sociali. ABBONAMENTO ANNUO er VItalia L. 10. Per gli Stati dell’Unione postale Fr. 15.— i | Un fascicolo separato Lire 2. ; zione e Amministrazione della Rivista Italiana di Sociologia VIA NAZIONALE, 200 — ROMA | Recentissime niazioi: : SR 33 6 PAOLA LOMBROSO AIR e Il Problema della Felicità Un volume in-16 L. 8. - Legato elegantemente L. 4, SANTE DE-SANCTIS I SOGNI tudî psicologici e clinici di un Alienista (con 3 figure ed una tavola) . Un volume in-16 L. 5. - Elegantemente legato in tela con fregi L. 6. LINO FERRIANI con lettera di C. Lombroso Elegante volume di 500 pagine. — L. 5, — Editore, Y. OMARINI - Como. vartaco I DANNI | Un volume na L. 8.500 7 SA ATTRICI pe È 1199 CN Pa? Gi J | AMD sY È. S: li 3 i Collaboratori fi | - A. FOREL. E. HAECKEL E. HERING | —’‘’‘Redattore: Dott. PAOLO CELESIA : SOMMARIO - Insectes, Continuation de la critique enees fauites des 1887, i. —., — A. FOREL', Pag. 401 ogica (generale). -... a + ‘A. ASTUBARO. >» 461 ._—’NOTE CRITICHE E COMUNICAZIONI ione dell’ individuo proposta da F. Le > risa e a Da IRA io CELESIA » 507 ifie corrispondenti (Nota preventiva) — G. C. FERRARI >» — 524 | ‘RASSEGNA BIOLOGICA Jensen : Analisi della contrazione muscolare e influenza dei prodotti di assimi- di alcuni layori tel ; Italiana. <«— —“ "a 1 I DELLA EVOLUZIONE. — Mauck Abram Vurdiman: Variazioni nei miriapodi. - Sil Operai ginecoidi di Zermes con osservazioni intorno all’ origine delle varie caste nei ro | ‘’‘VRATELLI BOCCA EDITORI 2 La .__dY.Torino-Milano-Firenze-Roma Direzione della Rivista: 0/0 0° .. Amministrazione della Rivista : FRATELLI BOCCA. )ott. PAOLO CELESIA © DCCA | Torino, Via Carlo Alberto, 8. | Como, Villa Celesia. ista di biologia generale, vanno la pubblicazione della Ro amministrazione 1 importo dell’ abb Î ques andato all’ . primo semestre d Nora — Cessando col bbonati che a 1. signori a tto ivi onamento hanno d x di D Vessero gi al rimborso di L. 10. Y % di V1I-588 con mi aticmerose: a © 10 tav. I. 10. - _ ait Scion TR oe dt Fora Baite i i img di 1000, © rat a ii È ch sa di rari di pe - Di Società -£ ug caso Jasieso 33 Ì di LUIGI LUCIANI s sui dell’ Va = . o si 7 0 formerà due volumi riccamente illustrati, di circa 800 pa ariano, e sì diga a fascicoli di 40 nella misura media uno al mese. — Milano, Società Edit. Lib ria, Via Disciplini, 15. 20 È nani RI L.1 cen pila i primi 14); nia Mal OCT 7 1901 RIVISTA DI BIOLOGIA GENERALE redatta da P. CELESIA (ANNO III Giueno-LuGLIO 1901 VoL. III) Sensations des Imnsectes. Continuation de la critique des expériences faites dès 1887 CINQUIEÈEME PARTIE (1901) VIII. — H. von Buttel Reepen !). En écrivant la 4": Partie de ce travail j’ ignorais le travail de H. von Buttel Reepen. Si d’un còté je le regrette, de l’autre cela a l’avantage d’avoir rendu ma critique de Bethe indépendante de la sienne, et le lecteur des deux travaux sera étonné de voir à quel point nos résultats concordent. Cette concordance mème donne un fort appui de plus à nos résultats. M. von Buttel est un apiculteur expérimenté doublé d’un zoologiste, ce qui renforce infi- niment la valeur de son travail, pour cette raison bien supérieur à ce que j’ ai pu dire des abeilles. Je lui dois réparation de mon omission et je le fais avec le plaisir de l’avoir confirmé sauf pour Vl ouie qu’ il croit pouvoir attribuer aux abeilles. Son travail est divisé en chapitres que nous analyserons aussi brièvement que possible. Ce travail magistral ayant paru en allemand, je crois que notre analyse ne sera pas superflue. 1) ButTEL-REEPEN von H. — Sind die Bienen Reflermaschinen ? — Leipzig. 1900, Verlag von Arthur Georgi. IpEM. — Biolog. Centralblatt XX. Band 1900. (mème article. avec quel- ques modifications). RIv, pI BIOLOGIA GENERALE III. 26 402 A. POREL Odeur du nid et les réactions qu°elle provoque. Von Buttel répudie comme moi la terminologie de Bethe et distingue les odeurs suivantes percues par les abeilles : 1. Odeur individuelle. — V. Buttel démontre à l’aide d’un grand nombre de faits que la reine des abeilles a une très forte odeur, forte surtout à 1 époque de la ponte, et différente pour chaque reine. Les ouvrières distinguent les reines l’une de l’autre à l’odeur, tuent celles qui ne sont pas la leur, et ne s’ habituent que peu à peu à une nouvelle reine. La cour qu’ elles font à leur reine tient à son odeur et diminue avec celle-ci. Si done les reines ont chacune une odeur individuelle, ont doit admettre a priori que c’ est aussi le cas (probablement moins marqué) chez les ouvrières. Et jYajoute que cette conclusion de v. Buttel me confirme dans ma suppo- sition d’un fait analogue chez les fourmis. 2. Tous les petits d’ une méme mère ont une odeur commune de famille. 3. L’odeur des larves et de la pàtée alimentaire. 4. L’odeur des màles ou faux bourdons. 5. L’odeur de la cire. Cette odeur se complique de la combinaison des odeurs individuelles des abeilles dont la cire est une sécrétion. 6. L’odeur du miel. 7. L’odeur du nid est à l’état normal un mélange des six odeurs précédentes ou d’une partie d’entre elles. Or 24 heures suffisent pour faire accepter une reine étrangère à un essaim sans reine (on protège la reine pendant ce temps en I enfermant dans un treillis au milieu du rucher, et on peut composer cet essaim en prenant des abeilles de 30 essaims différents. Done l’ odeur du nid n’est pas innée. Elle consiste en un mélange des odeurs individuelles ou familiales combiné avec les autres odeurs. Lorsqu’ on place deux ruchers l’un à còoté de 1 autre et qu’ on enlève à Il un sa reine et toute la couvée, il arrive souvent que toute sa population se rend joyeusement au rucher voisin ow elle est bien recgue, et non pas tuée ou maltraitée, comme cela devrait ètre si le « chémoréflexe » du nid n’ était pas susceptible d’ ètre modifié, comme le prétend Bet he. Lorsqu’un rucher se laisse piller son miel, faute de chasser les abeilles pillardes, on excite à nouveau 1’ inimitié de ses abitants envers les étrangères à 1 aide de certains procédés (miel fer- menté ete.). Les abeilles qui rentrent le jabot plein de miel sont en général bien recues, méme par un rucher étranger : pour flatter ses habi- SENSATIONS DES INSECTES 403 tants elle leur offre du miel qu'elle dégorge. En troquant la place d’ un rucher fort avec celle d’ un rucher faible pendant que les abeilles butinent, on arrive ainsi à fortifier le second. En aspergeant la population de deux ruchers d’ une substance odorante ou de farine on peut les réunir sans danger de batailles. Les abeilles perdent leur mémoire des lieux lorsqu’on les narcotise avec du salpètre, de l’ether ete. En sens inverse on observe parfois des perversions de l’instinet: des abeilles qui tuent leurs compagnes revenant de butiner ou méme leur reine. Est-ce dù è des odeurs anormales ? L’odeur très caractéristique (mèéme pour l’homme) de la couvée des abeilles, couvée dont la vie produit méme une assez forte chaleur, attire fortement les abeilles et suffit pour retenir une population vagabonde et difficile à fixer dans un rucher. Les abeilles sacrifient tout à leur reine et la nourrissent lorsqu’elles meurent elles-mèémes de faim, si bien qu’ elles meurent toutes, et que la reine seule reste en vie lorsqu’on les laisse jeuner. La reine ne réagit pas à l’odeur du nid, ni d’ une facon hostile, ni d’ une facon amicale: elle ne se montre jamais hostile à une ouvrière étrangère. Elle demande et recoit sa nourriture de toute abeille, amie ou ennemie, méme lorsqu’elle V’implore à travers les mailles du treillis des ouvrières qui cherchent à la tuer en l’assail- lant. Ainsi un rucher sans reine nourrira 20 ou 30 reines encagées dans des treillis; mais dès qu’il en aura adopté une, il laissera mourir de faim les autres. La reine n'a qu’ une ennemie : sa concurrente, en général sa fille ou sa soeur, laquelle a la méme odeur de nid et de famille qu’elle. Lorsqu’elles entrent en lutte, l’une d’elles reste presque toujours sur le carreau. Dans des cas très rares on a vu deux reines vivre en paix còte à cote dans un méme rucher et sur un méme couvain. Les faux bourdons sont internationaux et sont admis dans tous les ruchers jusqu à 1 époque de leur Saint Barthelmi (massacre général). Lorsque les abeilles ouvrières, faute de reine, commencent è pondre elles mèémes (des oeufs màales), il devient de plus en plus difficile, soit de leur faire accepter une reine, soit de les faire admettre par un autre rucher. Elles y sont tuées. Cela provient, d’après Dònhoff, d’ un changement progressif dans la composition de l’odeur du nid. De tous ces faits, et d’ autres qu’ il serait trop long de citer, résulte que les odeurs d’individus, de màles, de reines, de famille et de nid sont en réalité infiniment plus compliquées que ne se l’imagine Bethe, et qu’il en est de méme des diverses réactions qu’ elles provoquent. 404 A. FOREL Faculté de communication des abeilles. Cette faculté est niée par Bethe avec son aplomb ordinaire. V. Buttel n’est pas de cet avis et étaie son opinion d’expériences très intéressantes : Il relève d’ abord une erreur de Bethe. Bethe confond le cri plaintif (heulen) des abeilles qu’ ont perdu leur reine ou qui sont effarées, avec leur bruissement joyeux (sterzeln), lorsqu? elles retrouvent leur rucher ou leur reine. Le « cri » a un tout autre ton, prolongé, aigu et plaintif, tandis que le bruissement joyeux est plus court, plus bas, plus bourdonnant et se combine avec un relèvement de 1’ arrière train. Les abeilles eftfrayées ou en colère prennent une attitude qui ressemble à celle du bruissement de Jole, sans étre identique. Lorsqu’ on enlève la reine à un fort rucher de 50000 à 60000 abeilles pendant qu’ elles butinent ferme, il se passe souvent une heure ou méme plusieurs heures avant qu’ elles s’ en apercoivent. Alors, presque subitement, le rucher change d’ aspect : le bruisse- ment joyeux se change en « eri ». Les abeilles s’ agitent, effarées, comme cherchant partout quelque chose, et deviennent colériques. disposées à piquer, au dedans du rucher comme au dehors. Dans de faibles ruchers, 1’ agitation commence en général dès qu’ on a enlevé la reine, surtout aux époques où les abeilles ne butinent pas. A quoi donc les abeilles reconnaissent-elles 1 absence de la reine ? Ce ne peut étre par l’odorat, car d’un còté l’ odeur de la reine est persistante et imprègne tout le rucher, et de V autre il faut souvent plus d’ une heure avant que les ouvrières remarquent son absence. Lorsqu’ elles la remarquent €’ est presque subitement. Et si Bethe avait raison en attribuant tout à 1’ odeur (chémo- réflexe), cela prouverait qu’il a tort de ’ attribuer è celle du nid dont la reine serait imprégnée, puisqu’ alors au contraire toute la réaction proviendrait de I odeur de la reine qui dominerait celle du nid. Ce n’est pas non plus l’ escadron de jeunes abeilles nourrissant la reine, sa « cour », qui, remarquent son absence et, la cherchant en .vain, en fait part au reste du rucher, car on peut enlever le dit escadron avec la reine, et l’effet est le mème. On peut du reste former artificiellement un rucher avec de vieilles abeilles, sans reine. Le « cri » s$'y produit. Dès qu’ on y met une reine quelconque, encagée, le rucher s’apaise, comme par enchantement, et les abeilles se mettent à bruire joyeusement. i Ayant éerasé par hasard la reine d’un'essaim, et ecraignant que SENSATIONS DES INSECTES 405 x l’ essaim ne se dispersàt et ne rentràt à son rucher d’ origine, v. Buttel piqua la reine écrasée à un morceau de liège et la placa ainsi dans l’essaim. L’essaim demeura tranquille, travailla au miel, et la cour ordinaire continua à entourer et à lécher sa majesté défunte. Mais plus! V. Buttel mit une reine encagée dans un rucher faible auquel il enleva tous ses rayons, le transformant ainsi en simple essaim. Le lendemain il enleva la cage avec la reine. Bientòt éclatèrent le « cri » et | agitation typiques. Alors, après avoir enlevé la reine de sa cage, il placa cette dernière (vide) rapidement au milieu des abeilles. Aussitòt le « cri » cessa, et la cage vide fut assaillie d’ abeilles bruissant de joie. Done — 1’ expérience est claire — l’odeur seule de la cage où avait été la reine suffit pour amener l’apaisement des abeilles. Mais alors que faire de la 1" expérience où l’enlèvement de la reine suffit pour amener subitement le « eri », alors que son odeur doit persister ? Très judicieusement v. Buttel déduit de ces faits qu’il y a plus là que de simple odeurs. Il dit que dans le dernier cas de l’apaisement subit à l’aide de la cage vide on avait affaire è un instinet rendu algu par l urgence d’ une position grave et précaire. Le simple souvenir évoqué par l’odeur de la reine avait alors suffi pour apaiser les ouvrières. De méème, dit v. Buttel, dans des régions pauvres en pollen, on voit au printemps, les abeilles pressées par le besoin, se charger de poussière de charbon, de tuiles, de granges. Cela ne veut pas dire qu’elles confondent les deux choses, et dès qu’elles auront leur vraie reine ou du vrai pollen, elles abandonneront la cage vide et la poussière de charbon ou de tuiles. Nous ajoutons que c’est la méme histoire que celle de la poule à laquelle on a pris ses oeufs et qui couve une pierre blanche è leur place, et que celle de la vieille fille qui s’ attache aux chiens et aux chats faute d’enfants (voir E. Rambert; « Les illusions du coeur »). Frappante est I’ analogie de ces faits avec ceux que j’ ai relatés dans mes Fourmis de la Suisse, p. 263 à 274 (Exp. V, n.° 1 à 10) à propos des rapports entre fourmis adultes de diverses four- milières, qui se combattent jusqu’ à 1’ extermination ou s’ allient selon les circonstances. Elles se combattent lorsqu’ elles sont (les deux partis ou au moins lun deux) chez elles et à leur aise. Elles s’allient, lorsque les deux partis sont dans une position très précaire. Un peu de réflexion montre qu’il s'agit dans tous ces cas d’anta- gonismes psychiques et psychosensibles, dans lesquels des difté- rences qualitatives et quantitatives, concernant soit l’ agent irri- tateur sensoriel, soit les dynamismes cérébraux instinctifs ou plastiques éveillés par lui, sont en jeu réciproque. Expliquons nous : 406 i A. POREL Les abeilles ont besoin d’ une reine pour étre satisfaites; ce’ est un instinet adapté. On la leur enlève. Une légère diminution d’ odeur et d’ autres signes (1’ absence du mouvement et des bour- donnements qui ont lieu autour de la reine de par sa cour) y rendent attentives quelques abeilles qui s’ assurent par leurs sens que la reine a disparu et donnent alors instinectivement essor à leur émotion pénible par leur « cri ». Von Buttel croit que ce cri est « entendu » par les autres abeilles qui sont alors rapidement contaminées par cette « panique ». .Peu importe qu’ il s’ agisse là d’ une vraie ou d’une fausse audition (nous y reviendrons). Le fait que le « cri » se communique, comme la panique chez les fourmis (voir Fourmis de la Suisse p. 315, exp. IX et p. 359, exp. XXI), prouve clairement qu'il y a communication d’une émotion instinetive par le canal d’ un sens quelconque. Cette émotion peut revétir le caractère de la joie, de la frayeur, de la colère, du découragement, chez les abeilles comme chez les fourmis. Ce sont des termes anthropomorphiques, j’en conviens; mais je ne sais en trouver qui rendent mieux les faits et leurs conséquences. Disons bien que ce sont des émotions « apiaires » ou « formiques » et non pas humaines, pour ésiter tout malentendu à ce sujet. Eh bien! 1’ émotion du « cri » place le cerveau de l’ abeille dans un état croissant de non satisfaction, c'est à dire de peine. Comme le fait fort bien remarquer von Buttel, il suffira alors de la faible évocation d’un souvenir agréable par l’odorat (cage vide où avait été la reine) pour calmer par contraste les abeilles agitées les plus voisines qui percevront l’ odeur. Le calme se communiquera alors aux autres, comme le « cri » S’était communiqué. Au contraire la mème cage vide provo- quera le « cri » si précédemment elle s’ était trouvée, contenant une reine, dans un rucher, parce qu’ici le contraste aura lieu ne sens inverse. De méme un méme morceau de pain moisi dégoùtera le riche rassasié et fera les délices d’ un pauvre affamé. Tout est relatif en psychologie, et 1’ on voit ici une concordance frappante entre la psychologie des sentiments ou des émotions chez l’insecte et chez nous. Nous disons que tout est relatif en méme temps que tout est contraste et antagonisme quantitatif ou qualitatif, ou les deux combinés, dans ce qui détermine les émotions et les autres actes des insectes comme les nòtres. Nous venons d’en donner un exemple frappant cité par von Buttel. De méme nous avons vu ailleurs (3me Partie de ces Expériences, à propos de Plateau) les impres- sions du miel et leurs souvenirs associés effacer et remplacer celles des Dahlias, de méme j'ai vu (Mourmis de la Suisse p. 446) 1’ instinet de la défense de la fourmilière (du devoir social !) 1’ emporter sur SENSATIONS DES INSECTES 407 la gourmandise, ce’ est à dire sur l’ envie de manger du miel, chez les fourmis. Dans ces antagonismes, ce’ est tantòt une sensation directe d’un méme sens qui l’emporte sur l’autre par son intensité ou sa qualité, tantòt un souvenir de sensations ou de perceptions combinées qui I’ emporte sur une sensation ou perception actuelle, tantòt une émotion ou un instinet complexe qui triomphe de toutes les sensations ou perceptions actuelles ou antécédentes. Voilà les éléments psychologiques fondamentaux que nous trahit l’observation attentive des insectes sociaux. Il faut étre aveuglé comme Beth e par le parti pris pour ne pas les reconnaître. 1’ automatisme instinetif y prend, je le répète toujours, la part du lion, mais il y est, à chaque circonstance un peu difficile ou exceptionnelle, entre- mélé de jets d’ adaptation plastique. Revenons à von Buttel Reepen. Von Buttel enlève la reine à un essaim au moment de son départ. D’ordinaire en pareil cas, les abeilles de l’essaim cherchent en vain et rentrent au rucher (c’est-à-dire que l’absence des percep- tions relatives à la reine 1’ emporte sur le déploiement commencé de l’instinet de Vessaimage, Forel). Dans le cas particulier cepen- dant, l’essaim alla tranquillement se suspendre en grappe à une branche d’arbre, comme sil eùt eu une reine. L'examen du rucher prouva qu’ il n° y avait pas de cellule royale onverte d’où eùt pu sortir une Jeune reine. Et en effet, l’essaim, après étre demeuré une demi heure tranquille sur sa branche, s’ éparpilla soudain, vola long- temps de còté et d’ autre, et rentra finalement au rucher, preuve certaine qu’ il n’ avait pas de reine. Ici l’ instinet s’ était déployé une demi-heure durant sans perceptions adéquates de la reine, probablement par simple imitation prolongée des ouvrières. Ce qui est curieux ici, c'est la tranquillité de l’essaim sans reine. Mais von Buttel fait remarquer qu’ à 1’ air libre les abeilles ont peine à percevoir l’odeur de la reine. Il faut en effet maintenir très longtemps une reine dans sa cage au milieu d’un essaim libre, avant que les abeilles sentent la reine, et souvent méme on n’ y parvient pas. Mais dès qu’ une abeille se pose en bruissant joyeu- sement sur la cage royale, les autres abeilles, attirées par son bruissement joyeux l’imitent et V’essaim s’apaise et se pose. Une règle des apiculteurs consiste à encager la reine au moment de la grande floraison, afin de l’empécher de pondre à ce moment et d’augmerter par là la récolte du miel, en diminuant les bouches atfamées du rucher. Mais en dérangeant ainsi 1’ instinet normal des abeilles, on arrive souvent à un autre résultat : les abeilles agissent comme si elles n’avaient plus de reine et font des cellules royales à une époque anormale (comme lorsque leur reine devient 408 A. FOREL vieille et maladive). Von Buttel pense qu’il s’agit d’un instinet de nourissage non satisfait. Les ouvrières ont trop de suc nourricier et sentent le besoin de l’utiliser (ou bien l’encagement de la reine leur produit, par contraste, un effet négatif ou de diminution rela- tivement à la perception normale antécédente de la reine libre; ou mieux encore, les deux causes se combinent; Forel). Von Buttel enlève la reine d’un fort rucher rempli de couvain, d’abeilles et de miel, rucher s’ ouvrant par derrière et permettant d’ opérer dans 1] étage supérieur où se trouve le miel. Lorsque l’agitation et le cri des abeilles ont atteint leur comble, à la suite de l’enlèvement de la reine, von Buttel remet celle-ci, dans une cage, en haut, sur l’ étage à miel, et observe immédiatement les abeilles qui sont à 1 autre extrémité, vers la porte de sortie, et qui sont séparées de la reine replacée par toute la masse du couvain et des abeilles du rucher. Presque instantanément le cri cesse partout en méme temps et les abeilles qui sont vers le trou de sortie se mettent è bruire joyeusement en relevant V’ab- domen. En sens inverse, von Buttel pendit la cage contenant la reine à un baton qu’il planta en terre, de facon à ce que la cage se trouvàt à la hautenr de la porte du rucher et à 35 em. d’ elle, de coté. Aucune des abeilles sortantes ne fut capable de flairer la reine, et le rucher demeura dans l’agitation, continuant è crier. De ces deux ordres de faits von Buttel conclut, sans aucun doute avec raison, que ce n’est pas l’odorat seul qui produit le repos subit des abeilles, et qu’un autre sens, plus acéré et de communi- cation plus rapide, leur communique la bonne ou la mauvaise nouvelle. La vue est exclue par l’expérience ci-dessus. Von Buttel conclut à l’ ouîe. Le ton de la joie (bruissement) appelle les com- pagnes ou les tranquillise ; le ton gémissant de la plainte, le «ceri » les agite et leur fait négliger le travail. Von Buttel donne d’autres preuves de 1’ ouie des abeilles. Il signale le ton spécial qu’ elles émettent lorsqu’elles essaiment; elles sont alors prises d’une émotion enthousiaste qui détourne leur attention de tout le reste ; elles oublient tout, méme leur rucher, et méme de piquer. Lorsqu’avant 1’ essaimage un morceau d’abeilles pend en barbe devant le rucher, Vl on voit soudain quelques abeilles sortir du rucher, se jeter sur la « barbe » et s’y introduire de vive force en disloquant les autres. A ce signal (von Buttel suppose que c’est un ton que nous n’entendons pas), la barbe se dissout, les abeilles se précipitent dans le rucher, s° y gorgent de miel et partent un instant après soudainement pour essaimer. Von Buttel, cite ensuite des faits montrant que les essaim attirent d’autres abeilles SENSATIONS DES INSECTES 409 voisines, ce qu’il attribue au « ton d’essaimage » ton qui se donne au vol. Puis il montre comment on amène l’essaim attrapé dans un rucher en secouant un paquet d’abeilles vers la porte du rucher. Elle y entrent en bruissant. Selon von Buttel c'est ce bruissement qui fait que les autres se retournent et les suivent. Remarquons en passant que von Buttel ne tient aucun compte de la vue dans les mouvement aériens, et méme dans les derniers indiqués sur terre, à tort à mon avis. Puis von Buttel raconte ce qui se passe dans les forts ruchers qui veulent essaimer plusieurs fois, et dans lesquels les ouvrières empéchent la jeune reine première éclose (après le départ de la vieille reine avec le 1° essaim) de tuer ses concurrents encore enfermées dans leur cellule ou cocon. Ces dernières n’osent cepen- dant pas sortir, crainte de l aiguillon de la jeune reine. Elles se contentent de couper un petite fente de leur prison pour y passer leur trompe et se faire ainsi nourrir par les ouvrières. La jeune reine, jalouse, se promène aux alentours, presse la téte contre les rayons et fait entendre un son prolongé : thute, thute. Les reines enfermées répondent par un ton plus bas et court: covuak, couak. Cette alternance de tons peut durer des heures, méème des jours, si la pluie empéche le second essaimage. Enfin, lorsqu’ on place une reine étrangère libre (non encagée) dans un essaim sans reine, les abeilles les plus voisines d’elles se Jettent sur elle pour la mordre et la piquer (odeur étrangère). La reine s’échappe, mais on la poursuit. Alors, dans sa frayeur, elle pousse, des « eris d’effroi » qui agitent tout le rucher. L’agitation du rucher ne se produit en effet pas lorsque la reine est encagée et ne crie pas. Von Buttel en conclut que les ouvrières entendent les cris d’effroi de la reine !). )) D y a là un singulier point de la psychologie de 1’ abeille que von Buttel ne relève pas. Comment se fait.il que cette mème reine encagée, dont la seule présence apaise et « réjouit >» le rucher éploré par la perte de sa reine, soit attaquée, piquée et tuée dès qu’ elle n° est pas encagée? Il y a là une singulière contradietion psychologique, à mon avis bien caractéri- stique pour l’instinct, et pour la faiblesse d’adaptabilité plastique chez ces insectes. En effet, nos ruchers artificiels soumettent les instinets d’un petit cerveau d’abeille à de rudes épreuves auxquelles la nature ne l’a pas adapté. Dans la nature, tout essaim part avec la reine du rucher qui est remplacée par des concurrentes non encore écloses à son départ. Un rucher qui perd sa reine sans avoir de couvain pour la remplacer est perdu ; il se disperse et les abeilles se font accepter ailleurs ou périssent. Personne ne leur apporte de reine encagée à accepter. Elles ne sont donc pas adaptées à ce cas arti- 410 A. FOREI J'avoue que les remarques judicieuses et 1’ expérience d'un obser- vateur aussi excellent que von Buttel Reepen m’ obligent è douter sérieusements sur la question de 1’ ouîe des insectes. Cepen- dant il me manque pour me convertir un point fondamental: où est son organe, si elle existe comme sens spécifié, à énergie spéciale? Nous connaissons et prouvons sans peine les organes des autres sens. Pourquoi pas celui dé 1)’ ouîe? Tant que son siège et la surdité consécutive à son extirpation n’auront pas été démontrés, il reste une possibilité que méme von Buttel ne peut exclure, c’est celle de la « fausse audition par le toucher » de Dugès. J’ ai montré ailleurs combien les insectes, si légers et si petits, sont facilemet impressionés dans leurs organes tactiles par la moindre vibration de l’athmosphère et des corps qui les soutiennent. Or précisément celles des expériences de von Buttel qui excluent peremptoirement la vue, c’est-à-dire celles qui se passent dans 1’ obscurité du rucher ou à travers son contenu, n’excluent nullement la perception tactile des vibrations. Et celles qui semblent indiquer une audition è distance en plein air n’ excluent pas la vue. Les différences des tons émis par les abeilles, différences que nous percevons par notre ouie pourraient fort bien étre percues par elles comme différences de vibrations tactiles, selon leur amplitude, comme nous mémes, nous percevons les vibrations sonores très basses par le tact, et non pas seulement par l’ouîe. Il y a là une question très ardue, qui doit èétre posée. Mais qu’il s'agisse ou non d’ ouîe proprement dite, le fait que les abeilles se communiquent leurs impressions et leurs émotions a été victorienusement démontré par von Buttel contre Bethe, et confirme ce que jai observé chez les fourmis. ficiel. La reine encagée produit par conséquent le conflit de deux instincts naturels : a) 1’ inimitié contre toute odeur d’ abeille étrangère ; ) la joie due au retour d’une reine. Si la reine étrangère n’est pas protégée, la lutte et son cri enveniment l’agitation et font triompher a. La cage, en empéchant la lutte et le cri, fait triompher 1’ instinet bd. En outre, elle empéche la perception la plus intense de l’odeur au contact (perception topochimique) et ce’ est probablement ce qui empéche les abeilles ouvrières de s’ irriter. Peu à peu le mélange des odeurs se fait dans le rucher ; les abeilles s’habi- tuent aux émanations de la nouvelle reine, 1’ instinet a s° efface et la cage devient inutile. D’ après von Buttel, ce’ est l’ouie qui communique, sinon réveille, la première l’instinct b..Les combats è froid individuels des fourmis offrent des faits de nature analogue, tels que les haines individuelles entretenues et envenimées par des luttes répétées, et les alliances exception- nelles par suite de services amicaux rendus è des ennemis naturels (Forel: Fourmis de la Suisse). SENSATIONS DES INSECTES 411 Mémoire des lieux chez les abeilles. C'est sur ce chapitre que mes observations se rencontrent avec celle de von Buttel en réfutant Bethe. Von Buttel déclare, comme je lai fait, que Bethe confirme par ses expériences la mémoire des abeilles en s'imaginant la réfuter. Tout d’abord von Buttel établit ce que j’ai dit, c'est qu’il n’y a pas de « route aérienne » fixe des abeilles d’un rucher. Elles par- tent dans la direction où elles trouvent à butiner, quelle qu’ elle soit, et reviennent de méme. Cela s’observe surtout bien en plaine. Lorsqu’il y aà butiner dans plusieurs directions, elles se partagent en conséquence. En outre von Buttel constate que Bethe se trompe sur la distance à laquelle agit sa « force inconnue ». En effet, elle peut agir jusqu’à 6 et 7 kilomètres, lorsqu’il n’ y a rien à butiner aux environs du rucher, beaucoup par contre à ces grandes distances. La distance à laquelle elles s’ orientent dépend simplement de l’e- space qu’elles ont appris à connaître dans leur vol. Bethe se trompe, dit von Buttel, en disant que la ligne des abeilles est plus ou moins ascendente selon le temps qu’ il fait. Il fait erreur en disant que cette «ligne » part toujours du rucher dans la méme direction des points cardinaux qui serait presque toujours le Sud, 1 Est ou le Sud-Est. Cette erreur provient sim- plement de ce que la ville de Strassbourg est située au Nord des ruchers de Bethe. Bethe se trompe en outre en ceroyant que ses abeilles ne connaissaient pas la ville de Strassbourg. Von Buttel donne ici les mémes raisons que moi et ajoute que, lors de leur première sortie qui sert umniquement à leur orientation, les abeilles volent dans toutes les directions pour s’ orienter partout. Von Buttel déclare encore plus énergiquement que moi que les abeilles de Bethe devaient connaître Strassbourg à la petite distance de moins d’un Kilomètre. Il cite à ce propos K. Zwilling rédacteur de « L’ apiculteur d’ Alsace- Lorraine » qui raconte que les abeilles des ruchers situés contre les remparts de Strassbourg vont piller le sucre de la Fabrique de Bombons Pale, et vont méème jusqu’à la Place Kleber, au milieu de la ville, naturellement à I’ époque où il n’y a pas de fleurs. D’ autres vont aux arbres en fleurs de la ville et au marché des fleurs. A propos des abeilles làchées par Bethe dans les rues de Strassbourg et prenant « exactement la direction de leur rucher avant méme de s’étre élevées à la hauteur des toits », von Buttel la conduit à absurde en montrant que beaucoup des dites abeilles ont employé un temps beaucoup trop long dans leur vol de retour Ly? A. FOREL pour avoir volé directement au rucher, puis que 1’ abeille sortant d’un lieu sombre tel qu’une rue de Strassbourg, vole toujours d’abord là où est la plus forte lumière qui, d’après les indications de Bethe, devait venir précisément de la direction de son Institut (situé au Sud, la ville étant 'au Nord; Bethe laàchait ses abeilles un jour de soleil). Von Buttel fait observer que les abeilles narcotisées par l’ether, le ehloroforme ou le salpètre perdent pour toujours tous les souve- nirs des lieux acquis avant la narcose. Elles ne trouvent plus, ni leur chemin, ni leur rucher et ne reconnaissent plus les autres abeilles. On peut les mettre à quel rucher Von veut. Il en conelut à lemr mémoire car on ne peut pas oublier sans avoir eu une mémoire! C’en est en effet la preuve la plus simple et la plus concluante. La force inconnue de Bethe consiste précisement dans la mémoire des abeilles. Revenues de leur narcose, les abeilles apprennent tout à nouveau, le chemin de leur rucher, celui des fleurs ete. Done elles <« apprennent », ce que Bethe nie. Von Buttel fait remarquer comme nous l absurdité qu’ ily a à postuler une force inconnue après une expérience faite sur des abeilles portées au loin, au cours de laquelle la plupart des abeilles làchées s’ élèvent et volent au rucher, tandis que deux, qui ne savent pas s’orienter, reviennent au point de départ. La « force inconnue » devrait agir pour toutes de mème. Je ne m’étendrai pas sur la réfutation de ces expériences de Bet he.où von Buttel argumente comme moi. Mais il fait en outre remarquer que la « force inconnue », poussant labeille éloignée de chez elle à la fois dans deux directions différentes, une fois à son rucher, l’ autre fois à la boîte d’où on l’ a làchée, il y a là une contradietion flagrante. J ajoute que d’ après le parallélogramme des forces, la logique de Bethe devait diriger V’abeille par la résultante dans une direction intermédiaire entre le rucher et la boîte de départ. Ce n’ est vrai- ment pas une plaisanterie, étant donné le mécanisme outré de Bethe. Von Buttel répète les expériences de Bet he sur les abeilles emportées au loin. Ses résultats diffèrent de ceux de Bethe. Il avait pris ses abeilles (de deux ruchers) dans deux boîtes (mettons A et 5). Il làche les abeilles A en ouvrant leur boîte sur le gazon, et en s’ éloignant rapidement. Les abeilles s’ élèvent è environ 3 mètres en spirale, tournant leur tète vers le point de départ. Deux seules reviennent sur la boîte. Von Buttel enlève celle-ci. Les abeilles volent et cherchent autour de la place de départ. Tout à coup les abeilles qui sont dans la boîte B, dans sa poche, se mettent à bourdonner. Aussitòt les abeilles A (les ayant entendues eroit von SENSATIONS DES INSECTES 418 Buttel) se mettent à bourdonner autour de von Buttel et à le suivre ainsi que ses compagnons partout où ils vont. Lors méme que von Buttel remit la boîte A au point de depart, les abeilles A n’ y firent plus attention. La seconde boîte fut élevée en l’ air, avec la main et les 30 ou 40 abeilles quelle contenait làchées. Elles décrivirent des cercles autour de la boîte. Au bout d’‘/, minute von Buttel retira la boîte et s’ éloigna, cherchant à remarquer la place aérienne où avait eté la boîte. Mais deux abeilles seules s’ y rendirent. Le gros de l essaim, cherchant de droite et de gauche, finit par se réunir au bout de quelques minutes en cercles de plus en plus concentrés à environ deux mètres de là, presque à la hauteur du terrain, c’ est à dire à une hauteur exactement équivalente è celle de la porte de son rucher! Von Buttel est persuadé qu’il cherchait la dite porte. Un certain temps après les abeilles se dispersèrent, puis se mirent à suivre Von Buttel et ses compagnons jusqu’ à 20 pas de distance environ, dans la direction de la maison. Certes ces observations sont curieuses et montrent à quel point Bethe a mal et dogmatiquement observé. Mais von Buttel me permettra ici une observation. Ailleurs il répudie Il opinion vulgaire qui attribue aux abeilles la faculté de reconnaître leur apiculteur. Sans doute il a raison de répudier le sens anthropomorphique attribué d’ ordinaire à cette reconnaissance. Mais si Y abeille est capable de reconnaître une localité, ses compagnes, son rucher, son chemin à l’aide de la vue, de l’odorat et (d’après von Buttel) de l’ouîe, pourquoi ne reconnaitrait-elle pas ce gros étre mobile qui s’occupe tant d’elle et qui, sans aucun doute, doit lui laisser des impressions visuelles et odorantes constantes, pour peu qu’il conserve les mémes habits? Sans doute sa mobilité doit rendre aux abeilles, si adaptées à s’ orienter sur der objets fixes, la reconnaissaunce plus difficile. Mais il me semble que précisément les expériences ci-dessus, surtout la seconde où l’ audition d’abeilles bourdonnant dans une boîte n’entre plus en ligne de compte, parlent pour 1 opinion du vulgaire. Von Buttel me dira que les abeilles suivirent aussi ses compagnons. Je ne veux pas non plus prétendre qu’elles distinguent d’ ordinaire un homme d’ un autre. Mais von Buttel lui méme fait remarquer que des abeilles ainsi désorientées et éplorées, sont déroutées et sont de mauvais objets d’expérimentation. Je fait ici une restriction et je dis: mauvais pour les instincts normaua, mais admirables pour la faculté d’adaptation plastigque! Cela dit, je conclus que des abeilles à I’ état normal, autour de leur rucher, auront bien des raisons sensorielles pour distinguer leur apiculteur, leur « papa », dans ses habits ordinaires. d’un étranger. Il y aurait 414 A. POREL peut étre là de jolies expériences à faire avant de trancher la question. Il va sans dire, encore une fois, que je parle d’ une distinction « apiaire » et non « humaine ». Mais l’experimentum crucis de von Buttel est l’expérience que j”ai « proposée », sans savoir que von Buttel l’ avait faite d’ une facon plus simple encore: 1. Il suffit de prendre de jeunes abeilles, celles qui nourrissent la reine et n’ont pas encore entrepris leur premier vol d’ orientation, et de les porter à une distance minime du rucher. Aucune d’elles ne sait retronver le chemin du rucher. Or ce n’est pas parce que cette faculté leur manque par elle méme. En effet les 15 premiers jours de leur vie, les jeunes abeilles sont dans la règle exclusivement occupées à nourrir la reine et les larves. Mais si l'on compose un rucher exclusivement de jeunes abeilles, elles vont déjà butiner au 5" et 6° jour après leur éclosion et retrouvent leur chemin aussi bien que les autres. 2. Si l’on emporte de vieilles abeilles butineuses très loin de leur rucher, elles y reviennent toutes, sans exception. 3. Si on porte un rucher à plus de 7 kilomètres de là où il était, et qu’ on porte de vieilles abeilles, avant qu’ elles aient pu prendre leur vol d’ orientation, à 80 ou 40 mètres seulement du rucher, elles sont incapables de le retrouver, pour peu qu’ il leur soit masqué par des arbres, des maisons ou des buissons. 4. Von Buttel porta un rucher à 2 kilomètres de là où il était, sans narcotiser les abeilles, et place un rucher vide avec des rayons vides è son ancienne placa. Plusieurs centaines d’ abeilles revinrent à l’ancienne place et voletèrent effarées autour de ce rucher vide, malgré leur liberté entière de retourner è leur vrai rucher transporté. De ces faits absolument celairs et irréfutables von Buttel conclut è la mémoire des lieux chez les abeilles par 1’ orientation au moyen de la vue. Il conduit I’hypothèse de la force inconnue et mystérieuse de Bethe absolument et irrévocablement à l’absurde. Von Buttel fait encore remarquer que les abeilles qui ont essaimé paraissent avoir oublié leur ancien rucher, car elles n’y retournent plus. En réalité ce n’ est pas le cas, car si on enlève leur reine quelques jours seulement après la fondation du nouveau rucher, elles retournent à l’ancien. Il s'agit done ici de représen- tations associées nouvelles et très fortes fournies par l’ essaimage, qui immédiatement 1’ emportent sur les anciennes (celles du vieux rucher). Mais ces dernières ne sont pas effacées comme après la narcotisation. Encore un effet de concurrence des forces. Von Buttel indique des agents, qui affaiblissent la mémoire des lieux chez les abeilles, ainsi le miel de blé noir, 1 obscurité SENSATIONS DES INSECTES 415 durant plusieurs jours, le froid, les bains dans l’eau, entin le temps. Au bout de 5 à 6 semaines, en été, les abeilles ont absolument oublié leurs anciennes localités, y compris l’ancienne place de leur rucher (c’est facile à voir en les replacant tout à còté). Mais cet oubli rapide n’ a lieu que si des impressions nouvelles viennent effacer les anciennes. Lorsqu’on déplace un rucher au printemps, avant la l'e sortie des abeilles, on peut observer, lorsque la chaleur arrive brusquement, que souvent des abeilles retournent à V’ancienne place où le rucher était I’ automne d’avant. F. Huber vit méme au printemps des abeilles revenir à la fenétre où on leur avait donné du miel 1’ automne précédent. Ici encore Bethe qui a affirmé le contraire est réfuté. Von Buttel montre ensuite que les abeilles associent leurs souvenirs. Des abeilles étaient venues en masse par sa fenétre manger du miel d’un rayon qui était dans sa chambre. Chassées de là, et la fenétre ayant été fermée, elles se mirent è chercher dans toutes les chambres environnantes dont les fenétres étaient ouvertes, mèéme dans la maison d’en face. Mon expériences citée à propos de Plateau (3"° partie de ces exp. et Rem.) concorde absolument avec ces faits. Or dans tous ces cas et dans ceux où les abeilles, guépes, ete. reviennent plusieurs jours de suite à l’endroit où on leur a donné du miel ou des mouches, lors méme qu'il n'y en a plus, il ne peut étre question que d’associations par la mémoire, puisque 1 agent irritatenr chémoréflexe ou photoréflexe n’est plus là pour les attirer! Von Buttel fait fort bien remarquer qu’une plante ne réagira plus jamais d’une facon héliotropique ou chémotropique dès que l’agent irritateur cessera d’agir directement sur elle. Le blé noir ne donne du miel que le matin. Les abeilles y volent Jusque vers dix heures. Elles y retournent encore deux ou trois fois pour rien, puis cessent d’y aller après 10 heures. L’ expérience leur apprend peu à peu à ny plus aller que le matin, lors méme que l’odeur et la couleur des fleurs sont toujours là pour les attirer. Un fait extrémement curieux est l’instinet des abeilles éclaireurs qui vont, avant l’essaimage de la vieille reine, à des distances considérables du rucher (plusieurs kilomètres parfois) cherchéer une localité propice à l’essaim qui se prépare. Lorsque celui-ci prend ‘son vol, elles lui servent de guide et le conduisent à 1’ endroit qu’elles ont choisi. D’après von Berlepsch (1852) et von Buttel le fait est absolument certain et démontre à nouveau la mémoire des lieux. Sur plus de 50,000 abeilles, il n°y en a pas plus de 50 à 100 qui servent, d’éclaireurs. Le vieille abeille part droit de la porte du rucher, La jeune qui 416 A. FOREI, sort pour la 1’ fois s’ oriente d’ abord en décrivant des cercles ‘autour du rucher vers lequel elle tourne toujours la téte. Done Vabeille apprend. Lorsqu’on trompe les abeilles en déplagant leur rucher en un lieu fort éloigné, elles partent tout droit, dès qu’on ouvre leurs porte, au lieu de s’orienter d’abord comme les jeunes abeilles. Si le temps est froid ou venteux, beaucoup se perdent. Sil est calme, elles retrouvent le rucher en s’orientant de point en point au retour par la vue. Mais s’il y a plusieurs ruchers voisins, elles ne distin- guent pas le leur et sont obligées de flairer plusieurs ruchers à l’aide de l’odorat avant de le retrouver. Voilà donc encore un fait intéressant qui contredit absolument Bethe. Von Buttel montre que l’expérience où Bethe transporta un rucher au loin a été très mal faite. En effet, méme lorsqu’ elles volent le plus loin, jamais les abeilles ne demeurent plus d’ une heure loin de leur rucher. Bethe les fait revenir au bout de 5 à 6 heures. Cela prouve simplement que les premières parties se sont perdues. Bethe paraît ne pas connaître le vol normal d’orientation des abeilles. A propos du platane coupé de Bethe, von Buttel fait remarquer que les abeilles ne vivent guère que 6 à 7 semaines en été et que par conséquent la raison pour laquelle les abeilles de Bethe « continuèrent à voler en haut, comme si l’arbre eùt été encore là » 14 semaines après qu’il eùt été abattu, ne peut étre une habitude prise, ni une «ligne d’abeilles », puisque ce ne pouvaient plus étre les mémes abeilles. Von Buttel discutant 1 instinet des abeilles de s’ orienter exactement dans l’espace, surtout en hauteur et sur un point exact. non pas d’abord par la vue directe de ce point méme, mais par la position relative dans l’espace des grands objets ambiants et surtout du sol, en*conclut, comme moi, à l’orientation par la vue et à V’inutilité des expériences où Bethe masquait les alentours du rucher par des objets divers. L’abeille s’oriente en grand et à di- stance dans son vol rapide; cela va sans dire. Puisqu’elle s’obstine à chercher la place méme de son rucher après qu’il a été enlevé. il est évident que des objets placés devant ou à còté ne la géneront pas pour retrouver le rucher qui n’a pas changé de place. En con- clure à Vabsence d’images souvenirs chez l’abeille, comme le fait Bethe, c’ est, dit von Buttel, faire de 1’ anthropomorphisme de la plus belle eau, et nous le disons avec lui. C’est en effet exiger de l’abeille des réflexions humaines et une vue humaine. En réalité l’ abeille, orientée dans la contrée, vole droit à la place où est la porte de son rucher sans observer les objets environ- SENSATIONS DES INSECDES LIT N nants. Mais, arrivée à cette place, elle s’arréte et cherche en bour- donnant, si des changements survenus frappent son attention. Plus elle est affairée et, par là, distraite, moins elle observe les change- ments Survenus. Lorsqu’ on làche une abeille en Vair au erépuscule, non loin de son rucher, elle décrit quelques cereles et retombe, perdue, à terre. Elle ne peut plus s’orienter, faute de lumière. Qu’est dévenue la « force inconnue » de Bethe? | Un apiculteur (Dathe) avait 500 ruchers. Chez quelques uns les portes étaient tournées au Sud, chez d’autres, tout à coté, è l’Est. Lorsque les nuages s'amoncèlent avant un orage, les abeilles reviennent effrayées en toute hate au rucher. Alors elles se trompent souvent de rucher par suite de leur hàte et se ruent sur la porte. Eh bien! M. Dathe vit en pareil cas nombre d’abeilles appartenant aux ruchers orientés au Sud se ruer sur la paroi Sud de ruchers orientés à VEst et y chercher en vain leur porte. Erreur d’orien- tation par la vue, fort explicable par une trop grande hate, dit von Buttel. Comment l’expliquer avec la force inconnue de Bethe?® A propos de la vue des couleurs, von Buttel cite deux cas frappants. Le voisin d’un apiculteur peignit la fagade supérieure de sa maison en bleu de ciel. Jusque là les abeilles volaient par dessus le toît vers le ciel bleu. Le ciel s’étant couvert après la peinture de la fagadé, les abeilles, trompées par la couleur, allèrent se ruer contre la paroi bleue, croyant voler au ciel! Un faible essaim de jeunes abeilles qui sortaient d’un rucher peint en bleu fut disloqué par le jeu d’autres essaims plus forts sortis en méme temps. Dispersées en plusieurs petits pelotons détachés, les abeilles voulurent revenir à leur rucher, mais un grand nombre (jeunes, è mémoire peu fixée et effacée par l’essaimage) ne sachant plus le distinguer dans l’espace volèrent vers tous ceux des autres ruchers qui étaient peints en bleu, et seulement vers ceux là. Elles y furent mal regues et leurs cadavres jonchèrent le terrain, mais seulement sous les portes des essaims peints en bleu. L’abeille qui entre dans une chambre où elle flaire du miel, ne S'y engage que prudemment, peu à peu, en voletant. Von Buttel ayant un'rayon de miel pour expérience au fond de son laboratoire fut fort étonné, après avoir ouvert la fenétre, de voir des abeilles entrer à coup sùr et y voler tout droit. Il en conelut qu’ elles devaient déjà connaître une chambre quelconque. Or 1 énigme fut expliquée. A vingt pas de là un apiculteur avait quelques ruchers ou fond d’une mansarde, et c’étaient ses abeilles, déjà familiarisées avec l’obscurité d’une chambre qui volaient si sùirement dans le laboratoire de von Buttel. De méme les abeilles pillardes, recon- Riv. DI BIOLOGIA GENERALE, III. 27] 418 A. FOREL naissables à leur chitine rapée, sont d’abord prudentes et crain- tives, lorsqu’elles commencent leur métier. Mais la réussite de leurs incursions les rends de plus en plus audacieuses et insolentes. Elles arrivent méme à intimider et à hypnotiser les abeilles des ruchers qu’ elles pillent au point de se faire dégorger du miel par elles. Il est certain que les abeilles apprennent. Un rucher qui s’affaiblit de population voit aussi s’ affaiblir la force des instinets des abeilles. Elles cessent de se défendre contre leurs ennemis (teignes et abeilles pillardes), deviennent négligentes et paresseuses, ne défendent plus leur porte. Lorsque la reine demeure seule avec quelques ouvrières, ces dernières cessent méme parfois de récolter le miel qu'on met devant elles. C’est le décou- ragement complet, le désespoir final. Ces réactions varient selon les variétés d’abeilles. Von Buttel fait remarquer en outre que la manière, Vallure des abeilles les fait peut é@tre mieux distinguer comme amies ou ennemies par les gardiennes de la porte que leur odeur. En effet, lorsqu’une pillarde encore novice essaie d’entrer dans un rucher étranger en l’examinant prudemment, elle est souvent attaquée en l’air, avant méme d’avoir pris pied. Ici l’odorat ne peut étre en jeu. Au contraire la vieille pillarde exercée qui vole d’un seul coup au rucher, sans hésiter, droit par la porte, n’est presque jamais molestée. De méme les essaims qui ont perdu leur reine et qui entrent avec sùreté en bruissant joyeusement dans un rucher étranger, y sont presque toujours bien regus gràce à leur allure. Enfin les abeilles qui ont été narcotisées, ayant oublié leur rucher, entrent avec sùreté, sans hésiter, dans un rucher étranger, et y sont presque toujours bien recues, probablement pour la méme raison. Von Buttel réfute l’opinion de Miillenhoff qui prétend que la forme du corps des abeilles dépend de celle de la cellule où elles se développent. Par contre il accepte avec quelques restrictions celle par laquelle Miillenhoff attribue la forme polygonale régu- lière des cellules des rayons non à l’art des abeilles, mais à un pur effet mécanique de compression de la cire. Je me permettrai de demander à cette occasion si Milllenhoff s’imagine expliquer par le mème mécanisme la forme polygonale régulière des cellules que les guépes construisent en carton ? Von Buttel rend attentif à certains jeux des abeilles de forts essaims qui ne manquent de rien, le soir des beaux jours. Des files d’abeilles se balancent en rythme, la tète en bas, en faisant une sorte de bruissement. Les apiculteurs disent que les abeilles se balancent ou rabotent. SENSATIONS DES INSECTES 419 Enfin von Buttel n’a pas de peine è réfuter les opinions fort superficielles de Wundt (Vorles. ber die Menschen und Thier- seele, 1363), opinions basées en grande partie sur des observations fausses ou incomplètes. Wundt les a du reste lui méème aban- données plus tard. B. — Sens, ame et réflexes La Psychologie comparée est-elle licite? Existe-t-elle ? Nos études sur les sensations des insectes nous ont amenés en plein dans le domaine de l’ àme de l’insecte, surtout de 1’ insecte social. Mais nous voilà arrétés au plus beau moment par les travaux récents de quelques auteurs allemands, Bethe, Beer, Uexkiill, Loeb, entre autres, qui, au nom des sciences exactes, viennent contester la possibilité d’ une psychologie comparée. A leur avis tout est à recommencer; nous n’ avons fait jusqu’ ici que de 1’ an- thropomorphisme. Nous n’avons aucun droit d’admettre ni sensations, ni perceptions, ni mémoire chez les animaux. Nous n’ observons chez eux que des réflexes plus ou moins combinés lorsqu’ils constituent des instincts. Il faut refaire toute la nomenclature qui est pourrie d’ anthropomorphisme. On ne pourra plus parler de vue, ni d’odorat etc., chez les béètes, mais seulement de photoréflexe ou de chémoré- flexe. L’odeur du nid sera la substance du nid. L’ odeur individuelle, familiale et réginale combinée d’ un rucher d’ abeilles sera par conséquent la substance du reflexe individuo-régino-familio-nido-chi- mique. Ce que nous avons eru reconnaître comme souvenirs et asso- ciations seront des forces inconnues A, B, 0, D ete. De cette facon on pourra sans doute arriver à des formules exactes (mathématiques ? chimiques?) de la vie animale, et nos travaux biologiques apparaî- tront à nos successeurs comme l’alchimie des siècles passés aux chimistes du XIXm®© siècle. Il faut avouer que le programme est grandiose. D’un coup, au travers de tous les doutes scientifiques d’antan, il nous fait par- venir de la forét complexe, inextricable méme, quoique poétique et belle, des inductions de ce qu’ on a appelé jusquà Bethe et consorts les sciences naturelles, à cette exactitude mathématique, un peu aride il est vrai, mais à I’ aide de laquelle on calcule tout sans erreur, depuis le cube de sa chambre jusqu’ à la distance des étoiles fixes. C’ est si grandiose que e’ est trop beau, et M. Bethe lui-méme, partisan de l’ exactitude parfaite, en théorie du moins, nous permettra de passer ses vues au creuset de la critique. 420 o A. FOREL Constatons auparavant que Bethe a déjà été critiqué par Wasmann et par von Buttel-Reepen. Nous venons d’ ana- lyser la critique de ce dernier. Wasmann (Die psychischen Fihigkeiten der Ameisen; Stuttgart 1899, Verlag v. Erw. Naegele) a soumis le travail de Bethe à une critique magistrale à laquelle nous renvoyons. Nous ne pouvons l’analyser en détail ici, parce quelle sort de notre cadre des sen- sations!). Je renvoieà la IV®® Partie de ce travail(Albrecht Bethe). Wasmann, partant lui-méme du point de vue d’ un père jésuite, sait cependant, pour tout ce qui ne touche pas à l homme, conserver une objectivité scientifique remarquable. Il réfute Bethe, surtout à Vaide d’ expériences déjà publiées (de lui-méme, de Lubbock, de Janet, de moi etc.), avec une logique écrasante pour Bethe. Mais il est par contre nécessaire d’étudier les idées fondamentales de la critique de Wasmann, parce que cet auteur tombe dans un autre écueil dù à son dualisme religieux. 1) Il faut pourtant noter quelques faits importants. Bethe avait cru prouver que les fourmis ne se reconnaissent qu’à une « substance du nid, ou de famille ». Il avait baigné certaines espèces (Camponotus) dans une bouillie faite avec les corps d’une espèce ennemie (Tetramorium caespitum), et avait trouvé qu’a près cela les Tetramorium cessaient d’ att@quer les Camponotus et les trai- taient en amis. Wasmann a refait l’ expérience è diverses reprises, en la variant de différentes facons, mais au lieu de confirmer Bethe, il a trouvé que les fourmis « baignées » sont attaquées et tuées, ce’ est-à-dire que l’ennemi reconnaît leur odeur ennemie sous le couvert de l’ odeur amie au bout de peu d’instant. Tout au plus y a-t-il au commencement quelques instants d’ indifférence. Wasmann réfute avec soin une assertion de Bethe, qui est si absurde et si contraire à tous les faits d’ observation, que je ne 1 ai pas méème relevée. Bethe croit avoir prouvé à 1’ aide d’ une observation superficielle que «la piste qui va, p. ex., d'un arbre au nid ne peut servir à une fourmi à aller du nid à Varbre et que la piste qui va du nid à V arbre ne peut servir à une fourmi à revenir au nid ». Si Bethe connaissait les moeurs des For- mica et des Polyergus il s’ effraierait d’ avoir commis pareille énormité, vu que ces insectes s’orientent on peut dire toujours au retour par leur piste (dans le sens de l’odorat topochimique) de l’ aller. Comme le dit fort bien Wasmann, le retour d’une armée de Polyergus rufescens et les déména- gements des Formica seraient impossibles, si Bethe avait raison. Wasmann rend attentif à la « forme » de la piste odorante, comme moyen qu’ a la fourmi de distinguer la piste d’ aller de la piste de retour. Cela correspond en partie à ma théorie de l’odorat topochimique. Du reste Wasmann montre par des expériences controlant celles de B e t h e 1° erreur de ses con- clusions, et insiste comme moi sur la faute que commet Bethe en appli- SENSATIONS DES INSECTES 421 IX. — Wasmann. Loc. cit. En dualiste par religion, Wasmann commence par donner raison à Bethe là où il attaque le « panpsychisme de Haeckel». Com- mencons par nous mettre au clair sur ce point. Le panpsychisme de Haeckel, de méme que le polypsychisme de Durand de Gros (Haeckel, die Weltrathsel) 1899; Durand de Gros, Electrodynanisme® vital 1855 et Essais de physiologie psychologique 1866, Paris Baillère) ne veut étre au fond que le monisme de Giordano Bruno, de Spinoza et d’autres, monisme meta- physique, sur lequel nous reviendrons. Haeckel n’est en outre pas conséquent dans la facon dont il le développe et donne par là une prise facile à la critique. Je donnerai plus loin mon opinion sur le sujet et cette opinion sera en méme temps la réfutation de ‘Bethe et de Wasmann sur ce point. Bethe appelle « Modificationsvermbgen » (faculté de modification) ce que j’ ai appelé activité plastique des centres nerveux par oppo- sition à leur activité réflexe ou automatique. C’est pour lui (en cela je suis d’accord avec lui) la condition de la faculté d’ expérience ou d’ aprentissage individuel. Mais tout ce qui n’est pas ainsi appris quant aux fourmis en général la manière dont s’orientent les Lasius. Il conclut è des souvenirs associés qui font retrouver leur chemin à des Po- lyergus mème après plusieurs semaines. Wasmann fait remarquer avec raison que les Formica connaissent si bien les environs immédiats de leur nid que méme l’enlèvement d’une sur- face de terrain avec la pelle ne les désoriente pas. Je renvoie à ce que j’ai dit plus haut contre Fabre à propos des Polyergus. Ici la direction géné- rale, et la vue suffisent. Elles sont trop sùres de leur fait; la mémoire des lieux connus leur donne cette sureté, comme le remarque Wasmann. Wasmann donne de jolies preuves de la vue des Formica et du rapport de la vue des fourmis avec le mimétisme des insectes myrmécophiles. Il démontre clairement la faculté de communication (faux langage) des fourmis, comme je l’ai fait dans mes Fourmis de la Swisse, et comme von Buttel la fait pour les abeilles, en y ajoutant de nombreux faits. Il admet, comme moi, qu’ il s' agit de signaux très divers, dont ia compréhension est fixée par l’ instinct, comme leur exécution. Il en donne un catalogue fort complet. Enfin je rappelle ici mes propres expériences VI, 3; VI, 4; VI, 5; VI, 6 et V, 2 de mes Fourmis de la Suisse. Il en ressort que la fourmi se souvient aussi d’un bon traitement ou d’un mauvais traitement dont elle use envers une autre ou qu'elle regoit d’une autre. Ses amitiés et ses inimitiés, ses sympathies et ses haines en sont fortement influencées et pareils faits fortuits peuvent triompher des antipathies et sympathies instinctives d’odeurs, c’est-à- dire des chémoréflexes de famille de Bethe. 492 A. HOREL est pour lui réflere. Wasmann lui fait remarquer qu’ entre deux ily a tout le domaine de l’instinct, c’est-à-dire des actions et réac- tions nerveuses héréditaires coordonnées d’une fagon complexe dans le temps, pour atteindre des buts complexes. De tout cela Bethe fait fi; c’est rayé d’un trait de sa plume et jeté dans le sac du grand mot « réflexe ». En second lieu, Bet he met dans son second sac (pour lui il y en a deux, et seulement deux), tout ce qu’ il appelle « psychische Qualitiiten » (mentalité), et le définit par sa « faculté de modifica tion ». Le terme est mauvais, car l’instinet aussi peut se modifier; je préfère le terme d’ activité cérébrale plastique ou individuellement adaptable. Cette « mentalité », il la refuse aux insectes en se basant sur des expériences aussi superficielles que mal interprétées, expé- riences qui montrent d’un bout à Il autre que Bet he connaît fort mal les insectes dont il parle. Nous l’avons, croyons nous, suffisa- ment prouvé dans ce qui précède. Celui. qui n’ est pas encore édifié à ce sujet n’a qu’à lire le travail de Wasmann et mes Fourmis de la Suisse (Genève 1874; Nouv. Mémoire de la Soc. Helvet. des sciences naturelles). Done les insectes sont capables de percevoir, d’ apprendre, de se souvenir, d’associer leurs souvenirs et de les utiliser pour atteindre leurs buts. Ils ont des émotions diverses et leur volonté n’ est pas purement instinetive, mais offre des modifications individuelles pla- stiques, adaptées aux circonstances. Ici nous sommes pleinement d’ accord avee Wasmann qui apporte une logique impitoyable è la démonstration du fait. C'est vraiment piquant de voir le dua- lisme de Bethe ainsi sapé par un père jésuite. En effet, Bethe consacre son dualisme en faisant éclore la mentalité, la «conscience ». comme un Deus ex machina, chez les vertébrés. Mais mon savant et honorable ami, M. Wasmann, me permettra de lui dire que si le couteau dualiste de Bethe a tort de retran- cher l àme du cerveau des invertébrés il ne s’ en suit pas que le couteau dualiste du père jésuite ait raison de la séparer un peu plus haut, entre I homme et son cerveau, en la refusant au ver- tébré supérieur. Quelques mots d’ explication sont nécessaires à ce sujet : Constatons d’ abord que Bethe se trompe en établissant une séparation brusque entre les activités plastique et automatique (son « réflexe » et sa « faculté de modification »). Le passage graduel des activités plastiques conscientes de l'homme aux activités auto- matiques secondaires ou habitudes nous donne 1’ exemple journalier de toutes les transitions possibles entre ces deux termes dont Bethe fait arbitrairement des antithèses, avec Descartes. Mais SENSATIONS DES INSECTES 423 les instinets hérités eux-mémes sont plus ou moins fixés et auto- matiques, offrant par là des transitions à l’activité plastique, et il en est de méme des simples réflexes. Ils sont plus ou moins inhibés et modifiables, selon les cas, par des activités plastiques, dites volontaires, qui se combinent avec eux à tous les degrès. Après avoir prétendu que tout était réflexe chez les fourmis, Bethe dit que les chiens et les singes sont obligés de tout apprendre, méme à marcher et à manger, comme l homme. Il y a là une charmante confusion que fait Bethe et en partie aussi Wasmann. Tàchons de la débrouiller en quelques mots, tout d’abord par deux exemples. Le lapin nouveau-né peut à peine se traîner et a les yeux fermés ; le cobaye par contre court avec agilité dès sa nais- sance. Donc, d’après Bet he, le lapin aurait besoin « d’apprendre », le cobaye pas. Cela paraît pourtant peu probable, et ce n’ est pas vrai non plus. La raison de ces faits apparemment contradictoires est que le lapin naît à une période beaucoup plus embryonnaire que le cobaye ; son cerveau est encore beaucoup plus gris, les fibres nerveuses sont trop peu myélinisées pour fonetionner. Ce simple fait montre que Bethe a écrit sans réfléchir. Beaucoup d’ activités nerveuses arrivent à un certain àge d’elles-mémes, par cause embryogénique, et alors nous nous imaginons, comme Bethe, qu’elles sont « apprises ». Mais c'est aussi le cas de l’ homme et nous nous imaginons apprendre à nos enfants une foule de choses qu’ils apprennent d’eux mémes. Du reste la « maman » aide aussi les petits singes et méme les petits chiens dans leurs premiers essais de divers actes. Wasmann lui mèéme reconnaît que l’apprentissage de la marche chez l’enfant humain n’est en grande partie que l’exercice de réflexes ; il pourrait dire entièrement. Mais nous ajouterons que dans toutes les activités humaines et animales il y a un élément héréditaire qu’ on appelle prédisposition. Et si Von se donne la peine d’analyser les faits de près, on trouve qu’entre l’instinet hérité tout d’une pièce, n’ ayant besoin d’aucun apprentissage et les actes les plus élevés de l’intel- ligence plastique humaine, il y a toute une série ininterrompue de transitions. C’est ici que je commence à me séparer de Wasmann. En effet, l’entant humain naît avec un cerveau presque tout gris, embryonnaire au plus haut degré, ne fonctionnant presque pas; la moélle épinière et les ganglions de la base ont seuls leurs appareils réflexes et automatiques assez myélinisés pour étre capables de fonetionner. Mais chez l’homme ces appareils inférieurs sont dans une dépendance énorme du grand cerveau qui dissocie leur fonc- tionnement, relativement indépendant chez les autres mammifères, au moyen du faisceau pyramidal psycho-moteur. Voilà pourquoi JD A. FOREL l’enfant nouveau-né est si inepte et si dépendant. Ce n’est qu’en se myélinisant pendant la 1’° année de sa vie que son cerveau devient capable de recevoir peu à peu les impressions des sens et de mettre peu à peu en jeu les muscles, non pas directement, mais en jouant sur les centres réflexes spinaux et autres au moyen de l’énorme faisceau pyramidal cortico-médullaire. Du reste, dans la série ascendente des mammifères, la dépendance relative des centres médullaires, bulbaires et autres relativement au grand cerveau, augmente avec le volume relatif de ce dernier et du faisceau pyramidal. La vieille scolastique philosophique ne connaissait pas le cer- veau humain. Partant d’une psychologie mal comprise, faute de connaître sa base organique, et de spéculations métaphysiques, elle a fondé des axiomes et des entités qui n’ existent pas en réalité. Or on sait que les mots réprésentant nos abstractions, fausses ou justes, ou moitié fausses et moitié justes, ont une tendance con- stante, à prendre corps dans notre esprit et a y remplacer, non seulement pour la forme, mais pour le fond, les notions qu’ils représentent. C’est là la grande faiblesse de l’esprit humain, le revers des avantages que présente l’abstraction par le langage et l’encyclopédie écrite de nos connaissances. Les langues et les livres sont bourrés de mots qui y sont pris pour des choses. Nous finis- sons par leur attribuer une réalité. Voilà le point où Wasmann s’enferre. Il accorde au mammifère supérieur et à l’insecte la faculté de perception sensorielle, celle de l’apprentissage, de l’imitation, des émotions etc. Nous sommes absolument d’accord avec lui sur tous ces points. Mais il leur refuse « l’intelligence >». Or comment la définit-il ? L’homme, dit-il, a une intention intelligente. IL est capable de conclure de ses expériences passées à de nouveaux rapports. Cest la définition que Wasmann donne de l’intelligence humaine. Il divise la faculté d’apprendre ou de connaiître individuellement en six formes qu'il résume sous deux chefs : I. — CONNAISSANCES ACQUISES SPONTANÉMENT. 1. Par Pexercice instinetif des mécanismes réflexes congénitaux qui sont mis en jeu par les sensations musculaires de l’animal. 2. Par l’expérience des sens qui forme immédiatement de nou- velles associations de sensations et de représentations (mémoire sensorielle). 3. Par l’expérience des sens et les conclusions intelligentes d’anciens rapports à des rapports nouveaue (mémoire sensorielle et vraie intel- ligence). SENSATIONS DES INSECTES x 425. II. — CONNAISSANCES ACQUISES PAR DES INFLUENCES. ÉTRANGÈRES. 4. Par l’évocation de l’instinet d’imitation au moyen de V’'exemple. 5. Par le dressage, au moyen duquel homme inculque à d’autres ètres doués de sensation de nouvelles associations sensorielles et représentatives selon ses plans intelligents. 6. Par l’instruction intelligente par laquelle un étre intelligent apprend à un autre étre intelligent non seulement à former immé- diatement de nouvelles associations de représentations, mais encore à tirer de nouvelles conclusions de ses connaissances antérieures. Wasmann accorde à ll homme seul ses six catégories et à lui exelusivement les catégories I, 3 et II, 6. Aux animaux il accorde, selon leur dévéloppement les catégories. I, 1 seule ou 1,1 + II, 4 ou I,1--1IL4--1I,3+ II, 5. Cependant il ne prétend pas assurer la catégorie I, 1 aux protozoaires. Sa catégorie II, 5 suppose natu- rellement un maître intelligent. La première critique que j'ai à faire à ces catégories, e’ est que dans la nature elles n’existent que graduellement. Wasmann tranche là où rien n’ est tranché. Elles évoluent de lune è l’autre, tant dans la vie de l’individu que dans celle de 1’ espèce. L’ em- bryon humain commence par étre semblable au protozoaire, et du protozaire on arrive graduellement à homme par la chaîne phylé- tique. Wasmann pèche done par la base en partant de catégo- ries tranchées pour établir ensuite des différences absolues qui n’ existent pas. i Il accorde que chez l’ animal supérieur on obtient par le dressage des effets intelligents très considérables qu’ on ne peut obtenir chez l’insecte (fourmi, etc). Il est bien obligé de 1’ accorder, car il serait fort embarrassé d’apprendre è une fourmi ou à une guépe ce qu’on apprend à un singe ou à un chien. Mais là où il fait erreur, e’ est à propos de sa catégorie I, 2. Il rabaisse beaucoup trop cette faculté de développement et d’expérience individuelle chez les mammifères supérieurs. Trop imprégné encore de cartésianisme, il ne voit dans l’ effet de leur dressage que l’ intelligence humaine qui s’y réper- cute (comme Netter par exemple) et ne tient pas du tout assez compte des expériences spontanées que font les animaux supérieurs dont il ne s’ est pas occupé. Les expériences de von Buttel Reepen (aussi la mienne avec les dahlias à propos de Plateau) sur les abeilles nous ont surtout fait toucher du doigt la rapidité avec laquelle ces insectes apprennent dans la direction de leurs instinets hérités. Mais il ne faut pas oublier tout d’ un coup, comme le fait W asma nn, leur TAL ON A. KOREL « épouvantable bétise » pour tout ce qui n’ est pas adapté à leurs instinets, bétise si admirablement décrite par Fabre qui en a fait il est vrai presque une caricature. Les vertébrés à cerveau déve- loppé ne font pas de bétises pareilles, parce qu’ ils « comprennent » bien mieux et savent bien autrement profiter de leurs expériences, combiner leurs souvenirs et contourner les difficultés. Je ne citerai que le chien que chacun connaît. Dès qu’on approfondit un peu les moeurs des vertébrés sauvages, on découvre qu’ils font bien plus d’expériences individuelles et en profitent bien autrement que ne se l’ imaginent ceux qui ne les connaissent pas. Tout chasseur le sait, et Jen appelle à tous les connaisseurs des vertébrés. S. A. R. la Princesse Thérèse de Bavière, dans son livre remarquable (Thérèse Prinzessin von Bayern: Meine Reise in den Brasilianischen Tropen, Berlin 1897, Verlag von Dietrich Reimer, S. 495 u. f.f.) sur son voyage au Brésil, expose sans aucun parti pris, et d’une facon très objective le caractère d’un coati (Nasua socialis Wied) qu? elle a observé 4 ans durant. Je recommande à chacun de pareilles études psychologiques sur les vertébrés. L’ auteur, auquel ou peut tout reprocher dans son livre plutòt que le manque d’objectivité, fait remarquer avec grande justesse qu’en enfermant les animaux (j’ajoute aussi en les dressant trop), on empéche leur intelligence natu- relle de se développer et de se dévoiler (tout comme chez l’homme!). Aussi la Princesse Thérèse laissa-t-elle son coati entièrement libre, et c’ est ce qui augmente la valeur des observations faites sur la mémoire étonnante, les distinetions de personnes, les sympathies et les tours divers de ce curieux animal. Je renvoie du reste à Romanes: L’intelligence des animaux et à la remarque que j’ai faite dans la 6®e édition de Gehirn und Seele (Forel: Gehirn un Seele, 1399 verlag v. Emil Strauss p. 384 et suiv.). Il m’ est impossible de traiter dans le présent travail le coté cérébral-physiologique de la psychologie humaine. Ce que j’ affirme, e’ est que l’ approfondissement de cette étude démontre d’ une fagon indubitable qu’ elle n’ est que 1’ épanouissement évolutif de la psy- chologie animale, épanouissement greffé sur un fait fondamental ou plutòot sur la séquence historique de deux faits fondamentaux: la tradition orale et 1’ encyclopédie écrite. Ces deux faits sout le résultat du langage oral et du langage écrit (plus tard imprimé), lesquels sont eux mémes la conséquence d’un développement céré- bral progressif dont nons trouvons toutes les racines et tous les commencements chez les animaux supérieurs. Si nous pouvions observer encore en vie le Pithecanthropus erectus avec sa capacité cranienne (calotte) de 570 centimètres cubes, et l'homme du Nean- n) SENSATIONS DES INSECTES 427 derthal (920 em.?), nous aurions devant nous l’évolution du lan- gage. L’ homme actuel a une capacité cranienne (calotte) de 1100 à 1300 cent.* environ, tandis que les grands singes anthropomorphes n’ en ont que 280 à 290 environ. En 1877, lors de mon « habilitation » comme Privatdocent à I’ Université de Munich, j'ai posé comme 7"° thèse : « Simmtliche Eigenschaften der menschlichen Seele konnen aus HEigenschatten der Seele hoherer Thiere abgeleitet werden ». (On peut faire dériver toutes les facultés de Il àme humaine des facultés de 1’ àme des animaux supé- rieurs). Je n’ai pas un iota à retrancher aujourd’hui de cette thèse. Je me permettrai de développer prochainement deux question qui S’y rapportent dans deux articles de journaux: « Die Factoren des Ich » dans le journal allemand « Die Zukunft » de Max. Harden et « Perfectibility » dans le journal américain: International Monthly (Macmillan C°. New-York)..J?y renvoie. Dans le dernier de ces articles je montre comment la perfectibilité humaine dérive de la perfecti- bilité animale ou évolutive par deux étapes: la perfectibilité par tradition orale et la perfectibilité par encyclopédie écrite. Il n’ est pas difficile de voir que nos dualistes s’efforcent toujours de comparer à la routine animale les facultés les plus développées des hommes supérieurs, facultés qui sont toutes greffées sur |’ en. cyclopédie écrite, laquelle permet d’utiliser notre cerveau d’ une facon inouie. Perchés sur les épaules de nos prédécesseurs au moyen de cette encyclopédie, nous sommes trop inclinés à nous surfaire. En effet, nous pouvons déjà trouver les racines animales de nos facultés supérieures si nous comparons aux animaux, non pas Socrate ou Goethe et ce que nous savons d’ eux, mais un analphabet de race aryenne (de notre race) et un homme instruit de race inférieure. Le premier a dans son cerveau les énergies héréditaires nécessaires pour devenir supérienr par l’ instruetion, mais il ne les a pas déve- loppées. C’ est le singe ou chien non dressé comparé au singe ou chien bien dressé. Le Wedda ou Bushman instruit paraît à l’obser- vateur superficiel bien supérieur à ’analphabet arien. Or c’est un faux jugement. Méme le nègre si on l’étudie de près, se rapproche beau- coup de la catégorie II, 5 de Wasmannmn. En effet, il ne main- tient ce qu’ il a appris par dressage, (chez lui l’instruetion se rap- proche de plus en plus du dressage bien plus encore que chez les perroquets de nos écoles) qu’ autant qu’ il demeure en contact avec le blanc. Livré à lui méme, il dégringole rapidement et il est surtout incapable de transmettre la civilisation à ses descendants (voir Haiti et Libéria, colonies nègres qui ont méme été fondées à l’aide de nègres de races plutòt intelligentes). Il ne possède les catégories I, 3et II, 6 de Wasmann qu’à un degré limité, bien inférieur au 428 A. FOREL notre. Et en sens inverse je conteste 1° exactitude de 1’ assertion de Wasmann qui refuse absolument sa catégorie I 3 aux singes supérieurs et aux chiens p. ex. Sans doute elle est chez ces animaux extrémement rudimentaire relativement méme à celle des races humai- nes les plus inférieures. Ce n’est pas étonnant, si nous comparons le cervenu humain au leur! Mais elle existe. Le chien qui aime son maître et se laisse méme faire par lui patiemment une opération chirurgicale (je V ai fait moi-méme), tandis qu’ il se méfie d’un étranger et surtout de celui qui lui a fait du mal, ou lui a témoigné de l’antipathie, ce chien dis-je prouve par là qu’il conclut d’an- ciennes expériences à de nouveaux rapports. Il prévoit ce qui arrivera S'il fait telle ou telle chose. Sans doute, comparé à nos prévisions et résolutions ce n’ est guère compliqué. Il ne peut en outré nous l’exprimer par un langage dont son cerveau n’est pas capable, faute de circonvolutions assez développées, mais 1’ élément est bel et bien là. 3ethe et Wasmann sont en opposition, en ce sens que le premier rapproche d’une fagon exagérée l’àme du mammifère supé- rieur de celle de I’ homme, tout en faisant une différence foncière entre elle et celle de 1’ insecte, tandis que Wasmann au con- traire exagère le rapprochement entre l’àme de linsecte et celle du mammifère supérieur pour séparer cette dernière de celle de l’homme par sa définition artificielle de l’intelligence. La vérité est entre-deux, mais l’ àme de l’insecte diffère surtout de celle du mammifère en qualité, tant à cause des différences qualitatives des sens, diffèrences que nous avons analysées, que par les parti- cularités des instinets des articulés en général, instinets très com- plexes et se combinant avec une faculté extrémement rapide d’ap- prentissage par la mémoire, tandis que l’adaptabilité plastique è tout se qui n’ est pas du domaine de 1’ instinet spécifique est extré- mement limitée chez ces animaux. Chez le mammifère au contraire, l’adaptabilité plastique est infiniment supérieure et les instincets sont bien plus simples. La comparaison est done plus difficile. Entre homme et le mammifère supérieur, surtout le singe anthropomor- phe, la différence est avant tout quantitative. Lors méme que le cerveau d’un sauvage sans culture de race inférieure se rapproche infiniment plus du nòtre que de celui du singe vivant le plus élevé, ses moeurs et son horizon intellectuel sont en grande partie plus voisins de ceux de l orang-outang que de ceux d’ un homme distin- gué et cultivé. Bien des citoyens de nos villes et villages vivent d’une vie et pensent d’une fagon plus semblables à celles de la brute, qu’à celles de I’ homme «de téte et de coeur». Ces faits tiennent à l’éducation ou à la non éducation du cerveau à l’aide de l’eney- clopédie. Mais si on laisse tout parti pris et tout préjugé de còte, SENSATIONS DES INSECTES 429 on y trouvera précisément la confirmation de i’ opinion évolutio- niste et moniste en tout ce qui concerne le domaine cérébral. Seu- . lement, pour trouver cette confirmation, une étude approfondie du cerveau humain et de ses fonctions normales et. pathologiques est absolument nécessaire. L’étude de la psychiatrie, de la respon- sabilité limitée, de l’anthropologie eriminelle, de la pédagogie, de la suggestion hypnotique, de la psychologie physiologique, des lois sociologiques et de 1’ ethnologie des races humaines est nécessaire à la compréhension d’ un sujet aussi complexe. Mais plus on l’ap- profondit, plus apparaît la parenté intime entre l’ àme humaine et celle de ses plus proches voisins animaux, si on ne voile pas de parti pris son horizon par une coupure artificielle, munie d’un rideau opaque. i Il ne faut pas oublier que 1’ abstraction ne devient. guère pos- sible qu’au moyen d’ un langage conventionnel. Sil y a une dîfférence bien marquée entre l’ homme et le mammifère supérieur, elle réside dans le langage et dans la faculté d’ abstraetions et non pas dans celle de conclure d’une ancienne expérience à quelque chose de nouveau. Mais nous trouvons les rudiments du langage chez le mammifère supérieur et un langage rudimentaire chez homme inférieur. Le chien et le singe ont sans aucun doute des représen- tations générales qui forment la base primordiale des notions abstraites. O Si le monisme postulait pour les étres inférieurs des qualités complexes dont l’existence n’est pas démontrée et méme improbable on aurait pleinement raison de lui en faire un reproche. Mais il ne le fait pas. Il se contente de constater |’ évolution qui fait dériver le compliqué du simple et se refuse à tailler der limites qui n’ e- xistent pas. S'il attribue le reflet introspectif ou la conscience à des phénomènes simples par raisonnement d’ analogie, e’ est parce qu’il définit le terme de conscience tout autrement que le dualisme. Pour lui ce n’ est rien de complexe et n’a rien à faire avec. le «savoir », C'est un simple aspect introspectif de tout étre. Sentant fort bien enfin qu’en octroyant à 1’ àme qu’on veut séparer du cerveau la notion de l’énergie, on tombe dans V’absurde, parce qu’ alors on la rematérialise et on la réduit à une autre forme d’ énergie qui pose de nouveau la question péremptoire du moni- sme (voir plus bas: X), Wasmann la lui refuse. Pour lui ’àme est «tout autre chose», quelque chose d’absolument indépendant de la notion de 1’ énergie et de la loi de sa conservation. Mais alors comment une action réciproque de l’àme sur le corps et du corps sur l’àme est-elle possible sans perte ou sureroît d’ énergie, sans que nous observions des causes sans effets et des effets sans causes 430 A. FOREL des actions sans réaction ou vice versa, ce que nous n’observons pas? A cela Wasmann répond: Si, dans le miracle! Dans « Stimmen aus Maria Laach » Freiburg '/B 1900 Heft 2: « Eine plotzliche Heilung aus neuester Zeit », il nous raconte la guérison subite d’ une vieille fracture compliquée avec pseudarthrose, par la St. Vierge de Lourdes, guérison dàment constatée par médecins et témoins. Il figure méme les os recollés du malade (Peter de Rudder). Ici, d’après lui, le créateur personnel montre qu’il est au dessus des lois naturelles en leur donnant occasionnellement une entorse! Mon excellent ami M. Wasmann me dispensera de le suivre sur ce terrain, si délicat, du miracle. Les « preuves » qu’ il donne du miracle de Rudder ne m’ont nullement convaincu. Jusqu? ici tous les « miracles » se sont évanouis, c. a. d. expliqués peu à peu devant le flambeau de la science, et nous avons tout lieu de croire qu’ il en sera de méme à lavenir. i Après avoir réfuté les déductions que Bethe tire de ses expé- riences pour arriver à une sorte de psychologie comparée mécanique, et celles que Wasmann tire des siennes pour arriver à un dua- lisme entre 1’ àme humaine, indépendente de la loi de la conserva- tion de l’énergie, et celle de l’ animal, il nous reste à examiner le noeud méme de la question, ce que nous ferons dans quelques chapitres aussi brefs que possible. VII.bis — Alb. Bethe !): — Mecanisme et science eracte en physiologie et psychologie. Terminologie de la psychologie comparee. Bethe vante l’exactitude de la physiologie et accuse Wasmann et nous de faire de 1’ anthropomorphisme et du subjectivisme. Voyons un peu ce que valent son exactitude et sa terminologie. Il n’y a qu’une science exacte: les mathématiques. Or les mathématiques ne sont exactes que parce que toutes leurs vérités reviennent à des équations : Que je dise : 2XxXx2= 4 ; sims 2d+d')2 Ou: V = h =, ou enfin: 25 = 25 1) BetHE ALBRECHT. — Noch ein Mal ber die psychischen Qualittiten der Ameisen. Pfliiger?s Archiv fiir die gesamnte Physiologie. Bd. XXIX, p. 39, Bonn 1900. SENSATIONS DES INSECTES 4831 ou si l’on veut: Monsieur de Lapalisse était encore en vie un quart d’heure avant sa mort ce qui revient à: Etant encore en vie il était encore en vie OU ; Ghregrenkviet_ tere temwviek au point de vue de la logique cela revient au méme. Les vérités mathématiques ou absolument exactes sont .... une autre manière de dire la méme chose. Elles ne servent qu’à débrouiller les égalités compliquées au moyen d’abstractions représentées par des signes. Elles ne nous donnent donc que des relations entre des abstractions et supposent prouvées les valeurs intrinsèques de leurs termes, ou plutòt ne s’en inquiètent pas. Si je dis 2 + 2= 4001 4 = 4 c'est absolument exact, parce que 4 n’est qu’une abstraction. Mais si je dis, 4 franes en argent monnayé — 4 autres franes en argent monnayé ce n’est plus exact, parce que cela suppose qu’une monnaie d’un frane est absolument égale à une autre monnaie d’un frane, ce qui n’est jamais vrai. Ne faisons done pas dire aux mathématiques ou sciences exactes ce qu’elles ne disent pas. Or la physiologie ne peut pas méme étre une science exacte dans ses calculs, parce que nous ne connaissons absolument rien des formules physiques et chimiques de la vie du protoplasma qui fait l’objet de ses études. Nous n’en connaissons que les manifes- tations telles qu’elles se présentent à nous. La physiologie ne peut done étre qu’une science naturelle ou d’observation. Vouloir sup- primer l’élément subjectif de toute science d’observation, c’est vouloir l’impossible et tendre à Vabsurde. Il va sans dire que les mathématiques lui servent dans beaucoup de chapîtres et lui aident à résoudre beaucoup de problèmes de détail; mais, la base méme manquant, l’exactitude mathématique de la physiologie se réduit nécessairement à des épaves. Cela étant, il faut étre terriblement présomptueux pour s’ima- giner pouvoir « objectiver » et rendre exacts tous les termes de la physiologie et surtout tous les termes de la biologie, de la physio- logie comparée des centres nerveux, ou en d’autres termes de croire pouvoir faire de la psychologie comparée une mécanique soi-disant objective, des « réflexes » des animaux et biffer d’un trait de plume tout ce qui ne rentre pas dans pareil cadre. Cette mécanique suppose les lois physiques et chimiques de la vie protoplasmique connues, ce qui n’est pas. Et, partant de là, elle croit pouvoir résoudre è elle seule les immenses complications de la biologie, des 432 A. POREL manifestations si complexes de la vie cérébrale des animaux ! Aussi mal outillée, elle croit encore pouvoir faire fi de toutes les obser- vations qui ne se réduisent pas à ses prétendues lois, véreuses par leur base méme, comme la loi de Fechner!) — Weber, et interdire toute comparaison des actes des animaux avec l’étude psycholo- gique que nous pouvons faire sur nous mème, sur l'homme, étude bien plus fertile quelle. Elle s'îÎmagine naivement pouvoir substituer des termes de mécanique à tous les termes tirés de la psychologie humaine dans le domaine de la psychologie comparée. C'est tout simplement de 1’ étroitesse de spécialiste (Facheinseitigheit). Pour ètre conséquent, il faudrait arriver à reconnaître que, chaque homme. n’ayant que son subjectivisme à lui, on devra refuser tout terme « anthropomorphique » c'est è dire égocentrique, non seulement è ce qui concerne les animaux, mais a tous les autres hommes. En effet, en supposant que les autres hommes ont les mémes sen- sations que nous, nous leur administrons, sans preuve exacte, notre subjectivisme à nous. Si nous voulions y renoncer consé-: quemment, selon Bethe, nous ne pourrions plus dire: « Ma femme a mal à la téte ». Il faudrait dire : « Cette machine animale que je crois étre ma femme fait certaines contorsiohs faciales et pousse certaines articulations sonores qui correspondent à celles que je pousse quand j’ai mal è la téte ; il serait donc possible qu'elle ait des sensations analogues. aux miennes en pareil cas, mais je n’ai pas le droit de les appeler mal de téte ». Et lorsque M. Bethe se plaint de ce que Wasmann le traîte en « wisseschaftlicher Hanswurst (pantin scientifique) », j avone que je ne sais quels termes il devrait employer pour exprimer selon ses propres idées cette pensée présumée d’un autre, d’une facon vraiment mécanique et objective. Cette pensée est en effet relative à V’àme de Wasmann qui n’est pas la sienne, et qu'il n’a du reste pas l’air de comprendre. Puisqu’on n'a pas le droit de dire « Odeur du nid » en parlant de la sensation olfactive présumée des fourmis, que M. Bethe nous trouve la « substance », le terme objectif, repré- sentant l’expression de «pantin scientifique » qu’il croit pouvoir extraire de la pensée de Wasmann relativement à lui Bethe! Plaisanterie à part, je renonce pour ma part à trouver ce terme. )) Fechner a été le premier è reconnaître que sa loi psychophysique qu’il a modestement appelée loi de Weber, n’ était pas une loi, mais seulement l’essai très imparfait de chercher l’expression d’une loi, là où les bases mémes renferment trop d’inconnues pour que la loi soit juste. Il reconnaît les fautes et les exceptions continuelles de sa loi. Ce sont ses Gmules qui en ont exagéré l’importance, surtout Wundt et son école. SENSATIONS DES INSECTES 439 Méme dans un domaine moins rapproché du nòtre, celui de la psy- chologie du Wedda de Ceylan, du Pithecanthropus erectus ou simple- ment d’un chien, je défie M. Bethe de trouver des termes mécaniques et objectifs homologues à celui de « Neststoff » (substance du nid) pour exprimer toutes les manifestations biologiques actuelles ou pas- Sées de ces étres, par exemple celles des émotions et de la mémoire d’un chien. Or M. Bethe, s’il veut absolument éviter toute compa- ralson et tout terme tirés de sa propre psychologie sera obligé de faire cette terminologie. Sinon il fera du Bethomorphisme chez le chien et méme chez le Wedda ou chez nos enfants et nos femmes qui pensent fort différemment de nous, hommes adultes et cultivés, et qui comprennent les termes du langage conventionnel autrement. On peut méme dire que pas deux hommes cultivées ne pensent de méme et ne comprennent absolument de méme les termes de leur langage. Il suffit de lire la polémique Bethe- Wasmann pour s’en convainere. Pour étre vraiment exact et objectif, il faudrait done supprimer tout sous-entendu subjectif supposant que notre subjec- tivisme humain existe et qu’il est le méme chez tous les hommes. Il faudrait y approprier toute la terminologie. M. Bethe devra done le faire. Mais il ne pourra pas le faire. Si Von veut remplacer tous les termes psychologiques par des termes physiologiques il faut en effet bouleverser toute la langue, toute l’histoire, toute notre culture et les rebàtir avec d’autres termes supposant la non existence du subjectivisme des autres. Il faudrait pour cela arriver à avoir deux langage pour tout, l’un pour le moi et l’autre pour le non moi. M. Bethe n’y arrivera pas. Certes je suis loin de vouloir faire l’apologie de 1’ humanisation de l’àme des bétes. Jai fait au contraire mon possible pour la com- battre. Mais si nous devons partout insister sur les différences et sur l’insuffisance de notre terminologie, ce n’est pas une raison pour nous défaire de toute comparaison des subjectivismes jugés par analogie, pour saper par la base toute psychologie comparée. Il n’Y @ pas de psychologie possible sans psychologie comparée. Et la physiologie des centres nerveux sans psychologie n'est quun conglomérat de pattes, sans la téte qui les coordonne. Il faut done, bon gré malgré, étudier la psycho- logie et la physiologie en rapport lune avec autre, en comparant leurs résultats, en tàchant de trouver les relations les plus exactes possibles, entre leurs notions et les termes qui s’y rapportent, mèéme au risque de retomber souvent dans l’anthropomorphisme sans le vouloir. Si nous connaissons ce dernier danger, et si nous le com- battons sans relàche, le corrigeant sans cesse, nous marcherons, d’erreur corrigée en erreur corrigée, lentement mais sùrement vers la vérité relative que seule nous pouvons connaître. RIv. DI BIOLOGIA GENERALE, III. 2R 434 A. FOREL Si par contre, ne voyant qu’ un còté de la question, nous nous obstinons à vouloir d’ un coup faire de la mécanique soi disant objective là où toutes les bases nous manquent pour le faire, nous tomberons dans l’absurde et n’arriverons à rien. Voilà ce que j'ai à répondre à M. Bethe et à son école. Dans le travail cité en téte de se chapître, Bethe essaie de se défendre contre Wasmann, mais sa défense est si faible quelle dissimule mal une déroute. Je mé dispense done d’ en faire 1’ analyse. En somme Bethe est obligé de reconnaître une partie de ses erreurs. Sa défense consiste surtout à attaquer les idées religieuses de Wasmann; c'est la meilleure preuve qu’il se sent battu sur son propre terrain. Pour mon compte je suis d’avis d’ employer une terminologie mixte, s'appuyant sur celle de la psychologie humaine, mais indi- quant autant que possible toutes les différences définissables. X. — Identité ct parallélisme psychophysiologique (KH iilpe, Heymans ct les psychologistes). Monisme ou dualisme. L’hypothèse de l’identité moniste doit étre è mon avis préférée à l’hypothèse ou au compromis du parallélisme. C° est surtout le terme de parallélisme et la séparation des domaines consacrés par lui que je condamne, parce qu’ elle préte trop encore au qui-pro- quo nécessaire à toute interprétation dualiste des faits. Accordons. d’ emblée que l’identité psychophysiologique, disant que le fait psychologique et le fait physiologique correspondant ne sont que deux aspects d’une méme réalité, n’est pas prouvable*par les syllogismes de la méthode déductive, mais seulement par indue- tion. Par contre nous avons le droit en science de supposer une théorie vraie, et de voir ensuite si les faits concordent avec elle cui ou non. Nul n’est besoin pour nous d’attendréè ses preuves syllogistiques. Or les faits seientifiques du cerveau et de 1’ àme concordent avec 1’ hypothèse moniste et ne COncenconi pas avec Phypothèse dualiste. Par identité je n’ entends pas 1’ identité des phénomènes, mais celle de la réalité ou chose en soi qui nous apparaît sous deux aspects, l’un physiologique, l’autre psychologique. Rappelons nous que ces deux aspects sont subjectifs, comme toutes nos connaissances. Mais le premier peut étre controlé et corrigé par nos divers sens et par d’ autres personnes, ce qui n’ est pas le cas (du moins pas directement) du second. C'est pourquoi nous appelons (en réalité à tort) objectif 1’ aspect physiologique des phénomènes nerveux, de méme que l’aspect du monde extérieur, que nous procure nos sens. Ceci doit étre répété, parce qu’on se plaît trop à l’oublier. SENSATIONS DES INSECTES 435. . D’une facon analogue les forces qui agissent dans un aecumula- teur électrique et la matière de 1’ accumulateur ne sont pas deux réalités différentes. Les forces protoplasmiques qui constituent le vie des cellules d’ une pomme et la pomme que je vois, que je déguste ou que je touche ne sont non plus qu’ une seule et méme réalité vue, degustée, touchée et calculée dans les forces physiques et chimiques de son protoplasma, ce qui représente au moins quatre aspects différents. Or ces aspects divers ou phénomènes ne sont pas parallèles. Quand je regarde ou palpe l’accumulateur et la pomme en tant que matières, j’y observe des synthèses d’ énergies, mais pas de toutes les énergies qui constituent la réalité de 1’ accumulateur ou de la pomme. Et quand j’ analyse les forces électriques combinées de l’accumulateur ou la physiologie du protoplasma de la pomme je ne découvre pas toutes les forces dont j’ai plus ou moins reconnu le mécanisme. Chaque aspect me donne une connaissance partielle et symbolique de la réalité. Dans certains cas mon analyse va très loin et s'approche plus ou moins du démembrement complet des synthèses que me fournissent mes sens; dans d’autres elle s’ en éloigne encore beaucoup. Ce n’est pas là un parallélisme. Je sais qu’ en dernier lieu il doit y avoir identité entre matières, et forces percues et calculées, mais je ne puis arriver au bout, faute de pou- voir saisir tous les fils. Cependant il y a une différence fondamentale entre 1’ accumu- lateur et la pomme. Dans le premier, j'ai pu moi méme, non pas créer, mais au moins rassembler et ajuster les forces qui agissent, e’ est-à-dire construire leur combinaison. C’ est une machine faite par moi. Pour la pomme je n’en suis pas capable. Je ne puis construire le protoplasma vivant. Je ne puis que constater une partie des lois de la vie, telle qu’elle existe. Je n’ai pas le secret de la DIDESOGO universelle qui évolue dans la matière vivante. Réfléchissons SCREQUONI et nous verrons que la différence n’est pas si grande qu’elle paraît d’abord. J'ai dit que nous ne eréons pas les forces avec lesquelles nous faisons aller une machine; nous ne faisons qu’ utiliser celles qui existent ou les combiner et les transformer. Nous ne connaissons done au fond pas plus l’évolution du monde inanimé que celle du monde vivant. Mais nous pouvons aussi en une certaine mesure utiliser et combiner les forces organisées des étres vivants, par exemple dans la sélection artificielle. Le secret qui nous échappe, le fond du problème, n’est pas celui de la conscience, comme nous allons voir, mais celui de 436 | A. FOREL I’ évolution naturelle. C’ est la question de savoir comment il se fait que le monde dit inanimé, autant que le monde vivant, évolue et se transforme peu à peu dans un certain sens et d’après certaines lois que nous commengons seulement è entrevoir, tandis que nos machines, méme les plus admirablement construites sont absolument incapables d’évoluer selon nos vues et, abandonnées à elles mémes, se dissolvent de nouveau selon les lois de le matière brute. Il ya un point du problème duquel on ne peut pas dire d’ a- vance qu’ il soit inaccessible à 1’ investigation scientifique. Le jour où l homme aura peut-ètre trouvé le moyen de faire évoluer la matière dans un certain sens sans avoir besoin d’ intervenir per- pétuellement lui-méme pour faire aller ses machines, il aura fait dans la connaissance un pas formidable, qui est loin encore d’ètre accompli. Il ne faut pas désespérer non plus d’arriver un jour à connaître les conditions de la formation de la vie organique. Mais si ’Vhomme y arrive un jour, il n’aura pour cela pas fait un pas dans la connaissance de la puissance insondable et divine, cause première de l’évolution universelle. En effet, n’en étant nous mémes qu’un rouage secondaire, sous sommes par là méme incapables de saisir l’étre divin, l’énigme du monde, et c’est ce qui rend tout système métaphysique illusoire. L’erreur scientifique que nous attaquons consiste et a toujours consisté à dualiser les phénomènes de vue interne ou de conscience qui reflètent introspectivement à notre cerveau sa propre activité et, par celle-ci, le monde extérieur symbolisé et projeté en lui au moyen des sens, d’en faire un second quelque chose, une « àme », differente (parallèle ou non, peu importe) des énergies cérébrales. A cette malheureuse conception dualiste, due à un jeu sur les mots, nous opposons la conception de l’identité moniste, dont idée première se trouve déjà chez Giordano Bruno, Spinoza, Burdach, ete., conception qui seule concorde avec les résultats obtenus depuis par la science moderne du cerveau. Mais les anciens qui n’avaient que des connaissances très vagues sur le cerveau et ses fonetions avaient fait du monisme une métaphysique et n’ en avaient pas assez saisi la portée scientifique. Spinoza, avec son dogme des attributs, considère les faits physiques et psychiques . comme constituant deux séries de réalités différentes avec des contenus différents, mais dérivant d’ un absolu unique et moniste. C’est un monisme métaphysique qui devient dualiste par bifurcation. Ce n’est pas le nòtre, comme Heymans (voir plus bas) le fait très bien ressortir. Nous ne voulons au contraire pas en faire une religion, ni un dogme métaphysique. Laissant de còté l’absolu qui est métaphysique, ce’ est-à-dire inconnaissable, nous admettons SENSATIONS DES INSECTES . 437 l’identité ou le monisme psychophysiologique dans les réalités du monde que nous connaissons. Et en admettant cette identité, nous unifions là où Spinoza bifurque. Nous ne prétendons pas en faire une religion, ni un dogme. Nous disons simplement qu’en admettant la dite identité les faits qui paraissaient contradictoires et irréduc- tibles concordent et s’ expliquent sans peine, ce qui parle pour la Justesse de l’hypothèse. Il ne s’agit donc pas d’un mot prétendant donner 1’ essence du monde. L’ hypothèse ou théorie de 1’ identité moniste dit simplement ceci. Il n°Y a pas d’ ame sans centre nerveua ni de centre nerveua sans ame, pas plus que de force sans matière, ni de matière sans force. Les deux termes ne désignent pas deux réalités, mais deux aspects différents de la méme réalité, du méme étre en soi, aspects différents seulement pour les énergies qualitatives spéciales de nos sens, et par ce que nous ne les percevons chacun qu’incomplètement. Cela étant, il n’existe pas d’action réciproque de 1’ àme sur le cerveau ni du cerveau sur l’ àme, pas plus que du mental sur le physique ni du physique sur le mental. Cette prétendue action réciproque n’est qu’un qui-pro-quo dualiste. Ce qu'on a pris pour une pareille action réciproque ne sont que des actions réciproques de certaines fonctions cérébrales supérieures sur des fonetions cérébrales infé- rieures ou vice-versa, des actions d’une portion du système nerveux sur I autre. Et ce qui a fortifié le qui-pro-quo, ce’ est la limitation de la faculté d’association des souvenirs conscients de ces différentes activités entre elles, le champ d’ association de notre conscience ordinaire étant en général plus ou moins limité aux maxima de nos états attentionnels. Du monde extérieur nous ne percevons que les dits aspects (phénomènes) partiels, plus ou moins synthétiques ou analytiques dus aux ondes neurocymiques !) qu’il communique à notre cerveau par le moyen des organes des sens. Ce qui en physiologie est onde neurocymique est en psychologie sensation ou représentation. On voit par là que la perception du monde extérieur par notre cerveau ne diffère pas essentiellement des phénomènes psychologi- ques purement internes. Chez ces derniers il ne s’agit que d’actions et de réactions neurocymiques intracérébrales, sans participation actuelle des sens, voilà tout. La physiologie cérébrale et la psychologie ne sont done que deux aspects d’ une partie de la vie principale de notre cerveau. 1) J'ai appelé neurocyme l’onde dynamique moléculaire qui transmet les irritations dans les neurones du système nerveux. 435 AVTRORDI Ce que nous devons appeler conscience n’est donc pas une faculté spéciale de 1° àme qui sait, mais simplement 1 ensemble d’ un des aspects que nous venons de signaler: 1’ aspect psychologique. Or cet aspect étant un introspect (qu’on excuse le terme), il va de soi qu’il ne peut s’étendre au delà d’un certain enchaînement de phé- nomènes nécessairement limités (au maximum) à notre système nerveux central lui-mèéme. En conclure à l’absence de « conscience » (d’introspect) pour tout ce qui n’est pas associé à notre introspect individuel (à notre conscience individuelle) est simplement dire une absurdité. i La dite absurdité a été poussée à 1’ extréme par les anciens scolastiques du spiritualisme qui, conduisant la logique è V’extréme, ont dit: « Je ne connais du monde que la conscience que j’en ai; donc cette dernière existe seule, et le monde extérieur y compris mes soi disants semblables n’existe pas ». Ce à quoi Molière répond par des coups de bàton donnés au spiritualiste. Or les matérialistes qui s'imaginent construire la conscience (e’ est-à-dire un aspect, une abstraction) avec des atomes (une autre abstraction) disent simplement une autre sottise du mème genre et non moins sabsurde. Je prétends que ce’ est dire une absurdité que de refuser la ‘conscience (l’introspect) à ce qui nous est inconscient. En effet, la force des faits nous oblige à raisonner par analogie, e’ est-à-dire è attribuer cet introspect, cette conscience à nos semblables: hommes, femmes, enfants, nègres, Weddas, fous, idiots mèéme; sans quoi la psychologie, réduite à chaque moi individuel, deviendrait un mythe. Mais alors nous ne pouvons la refuser à Phomme du Nean- derthal, ni au Pithecanthropus erectis, ni au goril, ni au chien et alors où s’arréter? Pouvons nous la refuser à notre moélle épinière, si nous l’accordons au lapin et aux poissons ? Mais ce n’ est pas tout. La plus grande erreur, c’ est. celle qui ne cesse de confondre la notion de conscience, c’est-à-dire 1’ abstrac-. tion que nous tirons des phénomènes de notre introspection en elle-méme, avec les synthèses dynamiques cérébrales introspec- tées (qu’ on excuse encore ce terme). Ce qui est. compliqué en nous, ce sont les forces cérébrales en jeu; ce n'est pas leur conscience, leur reflet interne; en d’autres termes c’est la synthèse introspectée et non pas l’abstraction de l’introspect !). Mieux méme; l’expérience ) Voir: Forel: « Der Hypnotismus » Stuttgart bei F. Enke 2° édition 1891 et 8me édition 1895 p. 1-15; puis: Forel: « Un apercu de psychologie comparée » Année psychologique de Binet 1896, et: « Nochmals das Bewusst- sein» Zeitschrift fir Hypnotismus 1894. Sans avoir compris mon point de SENSATIONS DES INSECTES 439 psychophysiologique prouve sans peine (H 6ffding) que ce qui, introspecté, nous paraît unité (ainsi une sensation de rouge) se compose physiologiquement de dynamismes complexes. L’ me est done un mot à double sens qui devrait représenter en réalité seulement l’activité cérébrale introspectée, dans le sens moniste de l’identité. Seulement la manie des hommes de se payer de mots au lieu de notions, après leur avoir fait extraire des phénomènes psychologiques une abstraction désignée par le mot « conscience », s’est hàtée de donner corps et pattes à ce mot. On a donné è la « conscience >», à V introspection, des qualificatifs; on en a fait une àme-force, un quelque chose qui apparaît à une certaine époque dans la série animale (nos dualistes-matérialistes contemporains Soi-disant scientifiques à la Bethe et autres), comme les esprits matérialisés que nos spirites modernes font halluciner à leurs adeptes, comme les revenants et les fantòmes qui dans le bon vieux temps hantaient les tourelles des anciens chàteaux. Pour étre con- séquent dans son dualisme, Descartes décrétait que les animaux étaient des machines et que | àme de I’ homme, postée dans la glande pinéale, y tenait le corps (le cerveau) en bride par les deux petits faisceaux de fibres blanches nommés en cet honneur <« habe- nulae ! ». Ce qui m’étonne, c'est que la psychologie scientifique moderne perpétue ce qui-pro-quo par le terme de parallélisme qui fait croire qu’ il y a là deux choses, et peut-étre méme une troisièòme entre deux, là où il n’y en a en réalité qu’une. Les auteurs qui continuent à se tenir à cheval sur ce terme de compromis, lequel, en voulant ne rien préjuger, préjuge en faveur d’ un malentendu dualiste, oublient constamment que 1’ introspection ne nous donne que le reflet d’ une synthèse des forces projetées dans 1’ écorce de notre cerveau antérieur lorsqu’elles y sont renforcées par la force concen- trée de 1’ attention (aperception). De son còté la physiologie ne peut pénétrer dans le jeu réciproque des neurones intercérébraux vue M. Claparède (voir plus bas) répond à la question : « Les animaux sont-ils conscients?» parla réponse : «Je l’ignore, peu m’importe». Nous ne sommes, on le voit pas loin d’ètre d’accord. La facon dont nous comprenons le terme de conscience et 1° identité psycho-physiologique rend absolument inutile de discuter la question de savoir si les animaux sont ou ne sont pas « conscients ». Mais dire «je l’ ignore», c'est aller trop loin, à moins que M. Claparède ne veuille ignorer aussi la « conscience » des humains qui ne sont pas lui. Il y a là une gradation insensible de la connaissance à l’igno- rance par tous les degrés de la probabilité. Il suffit d’étudier l’hypnotisme pour s’en assurer. 440) i A. FOREL et persiste, en se confinant dans ses méthodes, à faire danser des pattes de grenouilles avec des irritants électriques, à faire de grossières lésions au cerveau, comme la fait Goltz, cu à multi- plier le nombre de ce qu'elle appelle des « centres » et des «réflexes ». Tant que les physiologistes borneront ainsi leur champ d’inve- stigation sans tenir assez compte ni de l’anatomie, ni de l’histologie, ni de la pathologie humaines et comparées du cerveau, ni des expériences combinées avec ces diverses disciplines (Méthodes de Waller et de Gudden), ni surtout de l’observation biologique et psychologique, il n’y aura pas de compréhension mutuelle possible. Il suffit de réfléchir un instant à ces faits pour comprendre que nous sommes encore à cent lieues de pouvoir établir un vrai « parallélisme » entre les phénomènes dits psychologique et ceux dits physiologiques, parce qu’ entre ceux des deux sortes qui sont accessibles à nos investigations dl ya d’immenses accumulateurs, inhibiteurs et dyna- mogènes de forces (tronc eérébral, cervelet, moélle, activités corticales subconscientes), inaccessibles aux deux méthodes. Mais ces faits sont précisément de nature à nous fortifier de plus en plus dans l’hypothèse de l’identité moniste. L’impossibilité où nous sommes de ramener la psychologie à ses « correlats » physiologiques, comme nous ramenons les atomes inorganiques è leurs « correlats » dynamiques ne provient pas d’une réalité diffé- rente des deux séries de phénomènes, capables de réagir les uns sur les autres, mais de la difficulté, insurmontable jusqu’ ici, qui s’oppose à l’étude des fonctions (dites subconscientes) d’une immense partie des centres nerveux qui sont inaccessibles à la fois à V’intro- spection et à la méthode dite physiologique, à la psychologie et à la physiologie, ce qui fausse tous nos calculs. Nous nous trouvons là dans une situation, analogue à celle de 1’ astronome auquel ses calculs démontrent une perturbation qui lui prouve l’existence d’un astre encore inconnu. Mais l’astronome a affaire à des faits plus simples et peut découvrir son astre au télescope à 1)’ aide de ses caleuls, tandis que le fonetionnement des centres nerveux nous offre encore trop d’inconnues pour nous permettre de fixer une loi comme celle de Weber-Fechner. Cette loi n’ est pas une loi. Si nous partons de 1’ hypothèse que le phénomène de 1’ introspection est absolument général, qu’ il est a toute force active ce que 1’ ombre est à la lumière ou ce que la concavité d’ une courbe mathématique idéale est à la convexité de la méme courbe (Spencer), que, n’étant rien par lui méme, il ne peut ni savoir, ni étre compliqué, ni actionner quoi que ce soit, nous comprendrons que ce qui sait ou ne sait pas en nous, c'est 1’ activité cérébrale et non pas le reflet dit conscient. Lorsqu’ elle est plastique et complexe; lorsqu?’ elle + lg _—= i rreg66cntoizi SENSATIONS DES INSECTES 441 est douée d’une tendance à combiner de nombreuses activités, pour en composer des constellations nouvelles, sensorielles ou émotives, cette activité constituera l’imagination, mère du génie. Lorsqu’elle tendra à s’assimiler et à reproduire beaucoup, elle représentera le talent récep- tif. Une forte tendance aux actions longuement préparées par des com- binaisons plastiques constituera les fortes volontés. Le haut dévelop- pement des émotions sympathiques et des instincets sociaux fournira le sens moral etc. Réduite au contraire à sa plus simple expression, descendant par l’ automatisme au réflexe, à la cellule amiboide, à I atome lui-méme, 1’ activité nerveuse, protoplasmique, atomique n’ aura plus qu’un reflet introspectif correspondant à sa propre complexité et finalement infinitésimal. J? accorde que nous pouvons encore bien moins « prowver » l’existence de ce reflet introspectif chez les éléments cosmiques du monde que chez tout organisme complexe vivant, situé hors de notre moi individuel. Mais il ne s’agit pas là de donner des preuves syllogistiques. Il faut voir si les innombrables inductions sceienti- x fiques qui concordent toutes à nous amener à 1’ hypotèse moniste ont droit cui ou non à étre sérieusement prises en considération. Et je prétend qu’elles y ont droit tant qu’ on ne nous aura pas démontré 1’ existence d’ une ame complere sans cerveau vivant. En effet, si nos phénomènes introspectifs dits de ccnscience sont abso- lument liés, en ce qui concerne les complexions qu’ils nous reflètent, à l’ existence de neurones compliqués, il s’ ensuit que ce sont les neurones et leur fonetion compliquée qui constituent notre àme et non pas leur reflet subjectif, dit conscient, reflet qui n’est par lui méme rien d’ autre que 1’ ensemble des aspects synthétiques intro- spectits des activités atomaires cérébrales. Et, c'est pourquoi je n’emploie pas le terme de parallélisme psychophysiologique. Il n° y a pas de parallélisme réel. Il y a diversité irrégulière d’aspects, à cause du grand nombre d’inconnues interposées. Mais au fond de tout cela il y a identité absolue d’ètre entre matière-force et conscience dans le cerveau vivant comme dans tout atome de l’univers. C'est là ce que I’ on doit entendre par monisme. Et ce qui nous fait admettre sa réalité c’est qu’il rend compte de tous les aspects dits mentaux et matériels d’une nature qu’on a théoriquement et faussement scindée en deux. Quelques faits feront peut-étre mieux comprendre la chose. Quand je regarde le ciel bleu, je suis conscient d’une sensation de bleu. C’est un phénomène d’introspection. La physiologie me prouve que la sensation de bleu résulte d’une irritation de la retine par une certaine longueur d’ondes dites lumineuses qui ne sont qu’une forme d’ébranlement mécanique, mais que la sensation de bleu ne se 449 . A. FOREL produit chez moi que lorsque ces ondes sont répercutées par les neurones d’une certaine partie de l’écorce cérébrale. Or la forme en question de l’ébranlement des dits neurones corticaux et la sen- sations de bleu ne peuvent exister Vun sans Vautre. Pas de bleu sans l’ébranlement cortical; pas d’ébranlement cortical de la dite nature sans sensation de bleu. La dernière proposition a pu paraître infirmée par suite des phénomènes d’inhibition (mais alors 1’ ébranle- ment cortical est inhibé et n’a done pas lieu) ou par les phénomènes d’amnésie et d’hypnotisme ‘). Mais les faits de « double conscience » 1) Je renvoie à ce propos au cas singulier que j'ai observé et qui a été décrit par Max Naef dans sa dissertation de doctorat (Max Naef: Ein Fall von tempordrer, totaler, theilweise retrograder Amnesie, durch sug- gestion geheilt; Zeitschrift fin Hypnotismus, Leipzig bei Ambros. Barth, 1898). Un Monsieur (hystérique) qui était depuis quelques mois en Australie, y est atteint d’une légère fièvre Dengue qui provoque chez lui le 6 mai un accès somnambulique avec dissociation mentale partielle accompagnée de subcon- science. Dans cet état il rentre, moitié rèvant, mais se tirant à peu près d’affaire, en Europe, abandonnant tous ses engagements qu'il a oubliés, et ne sachant plus d’où il vient, ni pourquoi il est là. Il aborde à Naples et va à Ziirich où il vit quelques semaines sans se douter de ce qu’il a fait, sans donner de ses nouvelles à sa famille éplorée qui le eroit perdu. Un journal lui tombe sous la main ; il y lit son histoire et en conclut par le nom, et en retrouvant son passeport dans sa poche, que « ce doit étre lui ». Alors, désespéré, il se rend auprès de moi et je l’admets à l’asile que je dirigeais alors. A ce moment il avait absolument oublié 8 mois de son existence (tout son séjour en Australie et une partie du temps avant et après). C’était en juillet. A l’aide de la suggestion hypnotique j’arrive à grand peine d’abord à lui remettre en mémoire ce qui se passa à son départ d’Europe. Jour par jour, en de nombreuses séances je lui remets tout en mémoire jusqu’ au 6 mai; jusque là ses souvenirs son normaux, et absolu- ment logiques et exacts. Mais depuis là cela ne va plus. Je le prends alors en sens inverse, à partir de Ziirich (juillet), et j?arrive àè grand peine è faire renaître dans l’ hypnose les souvenirs de 1’ état somnambulique en juin et ‘mai, jusqu’au 6 mai. Mais ces souvenirs sont sans liens logiques, dissociés comme des réves. Ce sont des épisodes décousues et mal interprétées , par lui. Il y a donc deux périodes dans l’amnésie : la 17€, de novembre au 6 mai, où à un état cérébral normal avait correspondu une conscience supérieure normale (amnésie rétrograde); la seconde, du 6 mai au mois de juillet, où à une activité cérébrale dissociée (somnambulique) avait correspondu une subconscience en rapport avec elle. Et pourtant toutes deux avaient été si bien oubliées que lors des 1" temps de son séjour à l’asile M. X. n’en revenait pas de voir les lettres qu'il avait écrites d’Australie, n°y. recon- naissant que son écriture. Il sortit guéri. Je renvoie pour les détails très curieux à l’original. SENSATIONS DES INSECTES 443 x ont mis le doigt sur l’erreur et prouvé que nous prenons à tout moment des phénomènes de dissociation ou d’amnésie pour des cas d’inconscience. Sans doute, la «loi» de Fechner ne nous permet pas de mesurer l’intensité psychologique par l’intensité physiolo- gique. Mais nous avons vu que cela venait de notre incapacité d’ observer le véritable dynamisme physiologique qui correspond au phénomène psychologique. Ce que nous mesurons est toujours trop périférique. Les inhibitions et les dynamogénies (H e m - mungen und Bahnungen) des centres intermédiaires faus- sent nos calculs et de toute facon la mesure des activités inter- corticales et intracorticales nous est impossible. Tout ces faits tendent à confirmer que les phénomènes de notre psychologie ne sont que le reflet introspectif de phénomènes physiologiques corticanx attentionnels et ne sont qu’une seule et mème chose avec eux. L’hypnotisme montre à satiété que ce reflet introspectif a lieu pour une foule de phénomènes: cérébraux qui pour l’ordinaire nous demeurent inconscients, non parce qu’ils le sont pour eux-mémes, mais parce que les reflets conscients des diverses activités céré- brales se scindent et ne peuvent étre appelés tous à la fois, ni étre rappelés tous dans ce que nous appelons le champ de notre con- Science ordinaire à l’état de veille. De là le fait des subconsciences ou personnalités secondaires. Mais celles-ci sont limitées, pour notre connaissance, aux activités cérébrales qui peuvent, par certains moyens, étre occasionnellement associées aux activités reflétées par notre conscience ordinaire, c’ est-a-dire rappelées à notre mémoire consciente. Sans aucun doute il existe pour les centres inférieurs des subconsciences ou reflets introspectifs dont le contenu, pour les raisons indiquées déjà à propos de nombreuses activités corticales, ne peut a fortiori jamais étre associé à celui de notre conscience supérieure ou ordinaire. L’identité psychophysiologique se congoit done très simplement pour peu qu'on admette pour toute activité nerveuse, et pas seule- ment pour celles qui tombent ordinairement ou accidentellement dans le domaine de notre conscience supérieure, des reflets intro- spectifs subconscients, c’est-à-dire non associés à la dite conscience supérieure (aux reflets des apperceptions qui constituent son contenu). Toute modification de la partie de notre activité corticale qui nous est consciente à l’ordinaire, implique une modification corre- spondente de nos états de conscience et viceversa (voir le cas d’amnésie cité en note ci-dessus). Il n’est pas douteux que l’exci- tation maniaque et l’inhibition mélancolique des aliénés ne corre- spondent a des états pathologiques d’accéleration et de ralentisse- ment de l’ activité des neurones corticaux. Au repos du som- 444 A. FOREL meil correspond la dissociation des réèves. A 1’ hallucination doit correspondre une coirritation cortico-fuge des neurones qui vont du centre secondaire au centre cortical du sens halluciné (ainsi, pour la vue, des neurones du corps genouillé externe à l’écorce du cuneus) et qui normalement ne font que conduire des irritations corticopètes etc. L’étude de l’aphasie et de tout ce qui y ressemble (groupe des syndromes des dissymbolies de Kussmaul), en général celle des troubles du langage, nous fait toucher du doigt l’identité psychophysiologique, de méme que l’étude de l’hypnotisme à l’aide duquel nous modifions à volonté les reflets de la conscience et les fonctions qui représentent le moi par la simple introduction dans le cerveau au moyen du canal des sens de représentations sugges- tives appropriées. L’hypnotisme est un jeu psychophysiologique. Ce n’est pas de la psychologie pure. En effet, une àme ne peut agir sur l’autre que par le canal des sens qui est physiologique. Il est vrai que par ce canal, au moyen de mots, elle éveille des représentations, des émotions, des volitions, des notions abstraites ete. Mais tous ces phénomènes psychologiques, éveillés par des mots associés, c’est-à-dire par la monnaie de la pensée, ne peuvent l’étre qu'au moyen d’irritations sensorielles actuelles ou passées. Nihil est in intellectu quod non prius fuerit in sensu. En un mot nous voyons toujours et partout la conscience refléter simplement des activités cérébrales. Son contenu fuctue et se modifie selon l’espèce, l’intensité, l’extension et la durée des dites activités. Ces activités cessant, leur reflet disparaît avec elles. Il ne s’agit done pas là d’un parallélisme, mais d’une identité. Comment peut-on, sans admettre les subconsciences des activités nerveuses qui nous paraissent inconscientes, parler de parallélisme, puisqu’ alors Y une des parallèles (la psychique) serait è chaque instant interrompue, alors que l’ autre ne l'est pas, et en regard du fait que l’intensité d’une activité cérébrale n’ est en aucun rapport constant avec la clarté de la conscience dont nous nous souvenons ? L’hypothèse moniste, elle, ne considérant pas la conscience comme quelque chose, mais seulement comme l’aspect introspectif de toute activité cosmique, aspect qui, dans le cas spécial de notre psycho- logie, s’ étend et s’associe tout naturellement avec l’ extension et l’ association spéciales des concentrations attentionnelles du travail neurocymique cortico-cérébral, l’hypothèse moniste, dis-je, n’ éprouve aucune difficulté à considérer les phénomènes psychologiques comme des synthèses introspectées de phénomènes physiologiques. La « con- science» n’impliquant aucune force spéciale, ni mystérieuse, ni autre, ne nous gène nullement et ne dérange en rien la loi de la conserva- tion de 1’ énergie, tandis que le dualisme est la négation méme de cette loi. = SENSATIONS DES INSECTES 445 L’ hypothèse moniste nous permet en outre d’ aborder franchement la psychologie comparce en évitant tout à la fois Vanthropomorphisme et le dualisme Bethiste. Et c’ est là ce qui nous intéresse ici, ce à L quoi nous voulions en venir. Le parallélisme évite anxieusement de considérer tour à tour le méme fait sous ses deux faces physiologique et psychologique, parce qu’ il a peur, dit-il, des. erreurs qui peuvent en résulter. Il veut une étude absolument séparée des deux « séries». L’inten- tion est louable, nous n’ en doutons pas. Mais le monisme craint de son còté qu’ en séparant par des mots, ou méme par toute une terminologie, genre Bethe, les deux aspects d’unités réelles, on ne finisse par retomber lourdement dans le dualisme. On a trop peur de l’ anthropomorphisme, et 1’ on tombe dans l excès contraire. Si on veut demeurer conséquent, la terminologie dite physiologique de Bethe devient simplement impossible. Lors mème qu’ un ani- mal donne des signes indubitables de frayeur, de joie, de colère, de mémoire, d’ affection, nous devrions inventer des mots grecs accolés au terme de réflexe pour les désigner, erainte d’ étre accusés d’an- tropomorphisme. Mais alors ne devrions nous pas étendre ces termes aux nègres, aux petits enfants, aux aliénés, aux femmes et finale- ment à tout ce qui n’ est pas notre moi? Nous préférons aborder franchement la difficalté en admettant d’ emblée que partout au moins où il y a une physiologie nerveuse centrale il doit y avoir une introspection correspondente, et tàcher de serrer de plus en plus près ses particularités en fixant ses conditions physiologiques ou biologiques que nous pouvons observer, mesurer et comparer en expérimentant soigneusement sur les moeurs de l’animal. En méme temps, raisonnant par analogie, nous tàcherons d’ en déduire ce que peut étre cette psychologie animale, en quoi elle diffère de la nòtre et en quoi elle doit lui ressembler. Oswald Kiilpe (Zeitschrift fir Hypnotismus Bd. VII, Heft 1-2, 1895: Veber die Beziehungen zwischen korperlichen und seclischen Vorgiingen) met la dialectique d’ un logicien émérite au service du parallélisme et aussi du dualisme. Il s’élève contre Hoeffding et d’ autres qui donnent au premier une tendance moniste et le définit comme ne préjugeant rien. Nous avons vu qu'il préjuge trop ou trop peu, selon la fagon dont on le comprend. Ktlpe ne peut admettre avee Mach et Boltzmann que la notion de cause et d’ effet doive étre remplacée par celle de la transformation de l’é- nergie ou de l’action et de la réaction. Il fait observer que s’il est possible en mathématique de la remplacer par la notion de la « Fone- tion» qui peut étre indifféremment appliquée aux deux termes, ce n’est pas le cas en science naturelle où le temps rend toujours le 44.6 A. FOREL factenr antécélent indépendant du subséquent. Fort bien, mais si la loi de la conservation de 1’ énergie est vraie, les facteurs sub- séquents se retrouvent (transformés) en entier dans leurs antécédents, et la dépendance sans réciproque où le subséquent se trouve, vis- à-vis de l’antécédent ne concerne que la forme. Or, cette forme, le subséquent peut la reproduire à son tour dans l’avenir. Nous ne pou- vons entrer ici dans des dissertations sur la théorie de la connais- sance. A l’ hypothèse de l’identité ne peut étre opposée que celle du dualisme, e’ est-à-dire d’ une action réciproque de «l’àme» sur le « corps », à moins qu’ on ne nie lune des deux catégories de phénomènes, physiques (spiritualisme) ou psychiques (matérialisme), ou ne veuille du moins expliquer les uns par les autres, ce qui conduit à l’absurde ou au cerele vicieux. Le parallélisme ne veut préjuger ni dualisme ni monisme et laisser à tous deux la porte ouverte. En ce sens il se donne l’air inexpugnable d’une trève indéfinie. Mais son danger consiste en ce qu’ on prend la trève pour quelque chose, pour une sorte de solu- tion permettant è chaque ornière de continuer son chemin séparé. Or les faits de la science du cerveau et des sciences biologiques cadrent si bien avec l’hypothèse moniste de l’identité et la dite hypo- thèse, provisoirement admise, est si féconde en inductions qui peu- vent étre ensuite contròlées par l’expérience, que nous préférons en faire notre base de travail, jusquà ce qu on arrive à nous démon- trer un seul fait irréfutable qui V infirme. Kiilpe dit que nous man- quons de preuve ponr savoir si le phénomène psychique est syn: crone avec le phénomène physique ou si un précède 1’ autre. Or si lun précédait 1’ autre (était sa « cause» dans le sens vulgaire du mot), il y a longtemps que ce serait prouvé. N’étant qu’ une seule et méme réalité, ils ne peuvent pas plus étre subséquents dans le temps que cause l’un de l’autre. Pour maintenir la possi- bilité du dualisme, afin de pouvoir postuler le parallélisme, K iilpe avoue qu’ il faut revendiquer la notion de 1’ énergie comme partie intégrale de celle de 1’ àme, sans quoi les actions réciproques accu- seraient des « déchets» ou des « surcroiîts» au lieu de la conservation de 1’ énergie. Mais qu’est-ce alors que cette «àme énergique», sinon un jeu de mots, une àme qu’on rematérialise après 1’ avoir artifi- ciellement extraite des réalités naturelles? Cela sent terriblement les esprits matérialisés des spirites, et donne à mon avis raison à Hoeffding età Mach. Cela revient à la « conscience force » qu’on fait surgir, comme Bethe et autres, tout à coup d’on ne sait où dans la série animale. A quoi bon tous ces expédients dia- lectiques, là où 1’ hypothèse moniste rend simplement et naturel- lement compte des faits? L’àme indépendante de la loi de la con- SENSATIONS DES INSECTES 447 servation de l’ énergie (voir Wasmann, plus bas Uexkiill) est une illusion, mais elle est moins illogique. Enfin, en s’entétant à séparer les deux séries, on en arrive à faire comme le Prof. Lipps au congrès psychologique de Miinich, e’ est-à-dire à vouloir séparer entièrement les disciplines et les hommes qui les étudient, ce que je considère comme néfaste. En effet, le subjectivisme étroit des spécialisations appliqué aux deux còtés de l’ étude des mémes faits ne peut qu’ augmenter encore des qui-pro-quo déjà poussés à labsurde. Si 1 on a commis une erreur en voulant séparer la Névrologie de la Psychiatrie, -c’est- à-dire en voulant couper le cerveau quelque part entre le Pont de Varole et la Couronne rayonnante, on commettra une double erreur en voulant séparer la psychologie de la physiologie du cerveau dans la méme fonction des mémes neurones cérébraux 1). Je signalerai pour terminer ce chapitre déjà trop long un travail de G. Heymans (Zur Parallelismus frage, Zeitschrift fir Psycho- logie und Physiologie der Sinnesorgane 1898, Bd. XVII, p. 62) où l’auteur rompt une lance en faveur du monisme moderne et tàche de le faire comprendre en langage de psychologiste. Ce travail est fort clair et fait toucher du doigt les inconséquence auxquelles !) Pour s'assurer si l’on ne se fourvoie pas, il est bon parfois d’examiner les arguments que les psychologistes de profession nous opposent quand ils daignent nous faire )’ honneur de nous citer. Dans un article de la ‘evue philosophique (1901), M. Ed. Claparède Priv. Doc. de Psychologie à 1’ Uni- versité de Genève, après avoir critiqué du haut en bas divers auteurs, en partie du reste avec raison, ainsi Loeb, nous voue les phrases suivantes : « M. Forel lui méme croit tout éclairer en adoptant un polypsychisme analogue (à celui de Durand de Gros). Or nous nous trouvons tout naturellement dispensé de discuter ces vues, parce que, contraire à l’ esprit du parallélisme, elles ne sont pas de nature è nous apporter la lumière . désirée. Le polypsychisme de M. M. Durand de Gros et Forel fùt-il cent fois démontré, cela ne-résoudrait pas une parcelle du pourquoi de cette doublure consciente. Cela ne ferait que reculer aux centres inférieurs cette difficulté devant laquelle on s’était trouvé désarmé quand il s’agissait de l’écorce cérébrale; il resterait donc à expliquer 1’ influence de cette «ame médullaire» sur la moélle, et e’ est précisément là la question. D’ ailleurs ; cette influence admise, il faudrait montrer, c'est ce qu'on ne fait pas et pour cause, comment l’ àme sait qu’à certaine exeitation elle doit répondre de telle facon et comment elle s° y prend pour le faire. L’ àme est ainsi invoquée comme un Deus ex machina; ©’ est-à-dire que la science ignore quelle est la raison de nos états subjectifs. Il eùt mieux valu commencer par là». Ces confusions se jugent d’elles mèémes. M. Claparède n’a évidemment lu que deux petits articles que j’ ai publiés dans la Revue de Ribot et 448 A. FOREL mène le dualisme en regard de nos connaissances actuelles sur le cerveau. M. Heymans, dont je recommande l’ artiele cité, parle d’un «monisme paralléliste». Dans le sens, dans lequel il comprend ce dernier adiectif, je n’ ai rien à y objecter, et en ce qui concerne le monisme, e’ est comme lui que je crois toujours 1’ avoir compris. XI. — Uexkiill. Réponse de Wasmann. Bethe : fonction indépen- dente des fibrilles nerveuses. Loeb. Je demande excuse au lecteur de ma longue excursion dans le domaine du monisme. Mais j’espère qu'on aura compris la nécessité de se mettre au clair sur ces questions fondamentales de toute psychologie. En réfutant les dualismes de Bethe et de Wasmann, et en partant du principe de l’ identité psychophysiologique nous ouvrons à la psychologie la porte d’études fécondes et vastes, porte qu’on voulait nous fermer. Dans le « Biologische Uentralblatt » Bd. XX, n.° 15, 1 Aoàùt, 1900, (Ueber die Stellung der vergl. Physiologie zur Hypothese der Thierseele) Uexkii]l précise son point de vue extrèéme et conséquent pense-t-il. Il y a amené Albr. Bethe lui-méme qui, en pécheur converti, avoue n’ avoir pas été assez loin, avoir fait trop de con- dans l Année psychologique et ne les a pas compris. En parlant « d’ in- fluence de 1° àme médullaire sur la moélle» il nous fait dire les absurdité dualistes que précisément nous combattons. Nous ne parlons ni plus ni moins d’ influence de 1° àme médullaire sur la moélle que de celle de la force d’un atome sur sa propre matière, puisque nous les considérons comme deux aspects d’une méme énergie! Ce n’ est pas «l’ àme » opposée au neurone qui « sait »; c’ est 1° énergie dme-cerveau. Elle n’ est pas un Deus ex machina, mais un Deus in natura. Elle ne sait que ce. qu’ elle peut savoir dans le domaine restreint de ses energies et ne veut que ce qu’elle peut vouloir pour la méème raison. Et nous-mèmes, n’ étant qu’ une àme-cerveau, nous ne préten- dons ni n’ avons jamais prétendu rendre compte des « pourquoi » métaphy- siques de notre étre, « pourquoi» tout aussi insondables pour nous sous leur aspect dit objectif ou physique que sous leur aspecis psychologique. C° est là une vieille vérité philosophique qu’il ne devrait plus falloir répéter. À l’aide de l’hypothèse de l’ identité moniste, encore une fois, nous ne voulons pré- Juger aucun pourquoi métaphysique; nous voulons simplement nous rendre compte des faits naturels observés sons leurs deux aspects physique et introspectif. Pour mon opinion sur la question du libre arbitre et de ce que l’ àme peut savoir ou ne pas savoir, je renvoie M. Claparède à mes autres travaux parus en allemand sur ces sujets (Gehirn und Seele, Zurech- nungsfihigheit, Hypnotismus ete.). Mais en tout cas un psychologiste de son 6tat devrait voir plus clair. SENSATIONS DES INSECTES 440) cessions à la psychologie comparée, et se ranger maintenant à Vavis d’ Uexkiill. C'est parfait et nous facilite notre tàche. Voici à peu près le raisonnement d’ U e x k ii 11. Partant de l irritation nerveuse périférique chez l animal et passant par tous les centres nerveux on revient toujours au muscle. On ne trouve nulle part une « psychologie » sur son chemin. La cause du mouvement ne peut donc étre qu’un mouvement. Pour le naturaliste il n’ existe par conséquent pas de psychologie animale, mais seulement une physiologie nerveuse. Si nous pouvions suivre en nous méme le mouvement moléculaire nerveux au galvanomètre, il en serait de méme pour l homme. Mais en plus, à un certain point de notre cerveau humain, apparaît la psychologie. Entre les deux il y a la physiologie psychologique. Celle-ci suit le phénomène physiologique jusqu’à l’apparition du phénomène psychologique qui faisait défaut jusque là. Or les phénomènes psychiques, survenant tout-à-coup à nouveau dans cette recherche, ne sont pas provenus des phénomènes physiologiques observés jusque là, car ces derniers continuent è se produire comme auparavant selon des lois fixes. C'est le point cardinal. En effet: Si un mouvement ne peut produire qu’ un mouvement, et si la chaîne des causes et des effets est complète jusqu’à 1 exécution du dernier mouvement produit, le 1©® mouvement ne pouvait produire à coté de cela une « qualité psychique ». Entre le mouvement de points matériels dans 1 espace et ma sensation il n’y a pas de relation de cause (pas plus en effet qu’entre la lumière et l’ ombre ou qu entre la ligne mathématique et la série des points qui la constituent. Forel). Avec quiconque n’a pas compris cet axiome fondamental de la physiologie psycho- logique, toute discussion est inutile. Voilà ce que dit U exkii]l. En fait de nouvauté, Uex kill nous apprend encore qu’il est impossible de faire saisir à un daltoniste la couleur qui lui manque, fùt-il le plus fort des psycho-physiologistes! Ce qu'il y a d’amusant c’est qu? Uexkiill, malgré sa conséquence absolutiste ne s’ attaque quà la psychologie animale, mais pas à celle des autres hommes. Voulant étre absolument conséquent il commet une grossière incon- séquence. Pour lui il ne devrait exister qu’ une psychologie, celle eeraeiv\Wieix ke u111). 1) Uexkill ne s’occupe guère qu’à faire de la critique négative et dogmatique avec une arrogance, fort amusante du reste, qui a été très bien caractérisée par Willibald Nagel (Zeitschritt fiir Psychologie und Phy- siologie der Sinnesorgane, 1896) sur les travaux duquel ;j’espère pouvoir revenir ailleurs. Nagel fait toucher du doigt les exagérations et les Riv. DI BIOLOGIA GENERALE, III. vu 450 - A. FOREL Nous ne pouvons, dit-il, savoir si une fourmi sent bleu, rouge, salé comme nous. Done nous ne pouvons lui attribuer de mémoire, de sensation, de qualités psychiques. Nous ne revenons pas sur la fausseté de ce raisonnement que nous avons déjà suffisamment montrée à propos de Bethe. Uexkii]l renonce done è affirmer ou à nier la sensation chez l’insecte, ce problème étant è son avis tout à fait au delà de notre horizon (disons de 1’ horizon d’ un spécialiste en physiologie qui a les yeux bouchés pour tout ce qui n’est pas du ressort de ses méthodes). Au lieu de dire : « Le souvenir de I’ odeur du nid frappa à ce moment l’attention de la fourmi », on peut dire d’après Uexkiill: « L’ irritation demeurée « rémanente » dans 1’ organe central par la substance du nid redevint active à ce moment là ». Pour ce simple cas UexKkii]l] se tire à peu près d’affaire, quoique bien lourdement, avec son langage physiologique, mais je prie le lecteur de faire lui méme 1 essai de raconter des observations biologiques animales dans un pareil jargon physiologique pour voir où il aboutira, méme en y intercalant dix ou douze lettres désignant des « forces inconnues » genre Bethe! Pour mon compte j'y renonce. Enfin Uexkii]ll termine en résumé à peu près comme suit : L’hypothèse de la psychologie animale dans la physiologie comparée ne mène à rien de positif, mais produit une confusion terrible. Il en sort tout plutòt que de la science. Nous avons mis au panier tout ce vieux fatras, sans autre forme de procès, comme l’alchimie et l’astrologie. La science expérimentale ne s’occupe que de ce qui peut se peser et se mesurer.. Beer, Bethe et moi, nous nous sommes placés conséquemment à ce point de vue et nous engageons tous nos collègues à mettre à la porte tranquillement et énergique- ment toute spéculation sur l’inconnaissable ! Brrr! nous avons notre affaire! Done, d’après U ex k ii 11, nous ne faisons que ‘des divagations sur l’inconnaissable. Dans sa réponse à Uexkiill, Wasmann constate d’abord la conversion complète inconséquences d’ Uexki 11, la facon dont il dénature la pensée et les termes de ceux qu’ il critique, enfin les absurdités auxquelles conduit son point de vue extrème. Uexki 1], partisan absolu du dogme de l’énergie spéciale absolue de chaque sens, critique, p. ex., violemment Nagel parce que ce dernier a fort bien montré les points où le « dogme » a ses limites. Uexki 11 oublie complètement que le phylétisme des énergies spéciales a dù les faire dériver peu da peu d’ énergies non encore spécifiées, et cela, à l’aide des agents irritateurs adéquats auxquels elles ont été peu à peu adaptées, SENSATIONS DES INSECTES 451 de Bethe aux idées d’ Uexkiill. Puis il se lance dans le dualisme et déelare nettement que les phénomènes psychologiques ne peuvent étre soumis à la loi de la conservation de 1’ énergie, (voir plus haut K iilpe, qui nous prouve le contraire). Peu s’ en faut, Wasmann et Uexkiill tomberaient d’accord sur le dualisme métaphysique. Ce qui semble lear donner raison, e’ est le faux monisme mal compris de Haeckel ou de Flechsig. Ces auteurs croient avoir trouvé « un organe spécial pour la conscience », pour le subjectivisme, qu’ ils confondent avec le travail cérébral de la pensée. Nous renvoyons à ce que nous avons dit à ce sujet. Du reste Wasmann (Biolog. Centralblat Bd. XXI, n. 1, 1° janvier 1901: Nervenphysiologie und Thierpsychologie) donne à Uexkiill une réponse excellente que je recommande à tout lecteur désireux de s’instruire, malgré le dualisme qui se cache sous les termes d’action réciproque (Wechselzoirkung) et de cause et d’ effet appliqués aux phénomènes psychophysiologiques, qui-pro-quo que nous avons élucidé plus haut. A propos de cause et d’effet, signalons encore une grosse confu- sion. Il va sans dire qu’on peut (Wasmann y insiste avec raison) considérer l’agent irritateur d’un nerf sensible (piqùre d’une guépe p. ex.) comme cause de la sensation de douleur qui la suit. En le niant, Uexkiill a dit une absurdité que Wasmann a relevée. Mais ce n’ est pas là ce que dit la théorie de 1 identité. Cette dernière compare une sensation de bleu p. ex. aux dernières ondes neurocymiques corticales synchrones sans lesquelles la sensation n’a pas lieu et qui ne peuvent se produire sans qu’elle ait lieu. Tandis que dans le cas de la piqùre nous comparions un phénomène de V’extrémité d’un nerf cutané à un autre phénomène subséquent et cortical et devions en conclure à action et réaction ou cause et effet (relation entre deux réalités subséquentes), dans le cas de la sensation de bleu et de son « corrélat » cortical physiologique il y a synchronisme et identité de réalité. Pour la piqfire il existe de méine « des ondes neurocymiques synehrones corticales, identiques à la sensation de douleur. Quant aux « sensations » que peuvent et doivent avoir le nerf periférique et les centres subcorticaux, elles sont subconscientes et nous ne les connaissons pas. Sans doute, quand on ne sort pas des méthodes physiologiques, ou ne trouve pas autre chose que des mouvements et pour ma part (Uexkiill y trouvera un peu d’impolitesse excusable de la part de ceux qu’il traite d’ « astrologues aver leur vieux fatras »), si Je me borne à étudier les réactions motrices de M. Uexkiill, è l’entrée de ses photoreceptions et à la sortie de ses mouvements graphiquement fixés par Vimprimerie, je serai aussi obligé de nier 452 A. FOREL qu'il ait une psychologie et je trouvevai méme ses réactions phy- siologiques trop simples pour pouvoir étre exactes et prises en considération ; qu’il veuille bien l’excuser. Mais finissons en avec ce jargon ridicule qui provoque involon- tairement l’ ironie dans un sujet fort sérieux. Uexkii]ll oublie simplement, comme le lui fait fort bien remarquer Wasmann. que nous avons d’autres méthodes scientifiques que celles de la physiologie. J'ai montré plus haut quelle énorme exagération il y a à appeler la physiologie une science exacte. L’observation psychologique, la méthode inductive et les ana- logies suffisamment établies ne perdent nullement leurs droits scientifiques à la suite des quelques boutades d’auteurs dont la présomption n’est égalée que par la faiblesse de leur logique, et, comme nous l’avons vu, par la superficialité de leurs observations. Le premier raissonnement d’ Uexkii]l serait juste si nous prétendions que les mouvements moléculaires du système nerveux central produisent, à coté de leurs effets moteurs, des qualités psy- chiques. Mais e’ est précisément cette idée fausse que combat la théorie de l’identité psychologique soutenue par nous, et, en nous attaquant, Uexkiill nous confirme. Une méme réalité ne peut ni se produire elle-méme, ni étre elle-mème sa propre cause, quod erat demonstrandum. Alors pourquoi se refuser à la méthode introspective ou psychologique de l’étude de cette réalité ? Cela ne regarde pas le physiologiste, répondra Uexkiill. Et en cela il fait preuve de cet esprit étroit du spécialiste qui s’obstine à ne connaître que son coté de la question. Lorsque Waller et Von Gudden instituèrent leur admirable et féconde méthode anatomo-physiologique de l’étude des centres nerveux au moyen des dégénérations et atrophies secon- daires survenant ensuite de lésions, opératoires et autres, de certains centres ou organes nerveux périfériques, leurs résultats fondamentaux furent longtemps ignorés des physiologistes qui dirent « ce n’ est pas de la physiologie », et des anatomistes qui dirent «ce n’ est pas de l’ anatomie! ». En ce faisant, ils firent comme Uexkiill, Bethe etc., non pas de la science, mais de l’étroitesse de spécialiste, plus dangereuse souvent que l’alchimie. Dans sa naîveté, Uexkiill, qui pourtant ne travaille et n’observe la nature qu’avec sa propre psychologie et son propre subjectivisme, ne s’apercoit pas que son « axiome » li fait nier toute psychologie humaine autre que la sienne et toute biologie « qui n’est pas étudiée avec la méthode anatomo-physiologique » en un mot qu'il le conduit à labsurde le plus complet. Nous sommes obligés de lui rappeler, que la méthode déductive n’est eraete qu’en mathé- mathique pure, pour les raisons indiquées plus haut. Or la vraie SENSATIONS DES INSECTES 459 méthode scientitfique ou inductive exclut l’exclusivisme et l’unilaté- ralité. Elle exige qu'on se serve de toutes les méthodes accessibles pour arriver peu à peu par la comparaison de leurs résultats à la vérité relative que seule nous pouvons connaître. Done, pour le cerveau humain et animal, ainsi que pour ses fonetions, elle exige que nous utilisions les méthodes anatomique, physiologique, biolo- gique et psychologique, et que nous comparions leurs résultats à l’aide d’inductions. d’homologies et d’analogies en entassant les faits. Sans doute on se servira des mathématiques appliquées aux problèmes physiques et chimiques, partout où ce sera faisable. Mais est un enfantillage que de eroire pouvoir se confiner exclusive- ment dans leur domaine. La psychologie est une science d’observation, comme tant d’autres, et la méthode scientifique exige ici d’autant plus l’emploi d’autres methodes, non mathématiques d’investigation que nous n’avons aucune base mathématique pour calculer la biologie céré- brale, ce qui rend absolument ridicules et absurdes les prétentions et les exigences d’ Uexkiill. Avec son système on arrive à se payer de mots, voilà tout; les essais de Bethe, critiqués plus haut, se sont amplement chargés de le démontrer. Repondons enfin à une objection qui nous a été faite plus d’une fois et d’après laquelle la « conscience » serait une « qualité » psy- chique qui a pu se développer comme toute autre à un certain moment dans la série phyletique on qui « apparaît » à un certain moment de l’ontogénèse. La notion (Begriff) de qualité psychologi- que est une notion purement subjective. ‘Nous ne connaissons pas de qualités objectives. La comparaison et la vérification dites objectives des données de nos diftérents sens les unes par les autres ne nous fournit que des quantités. La notion de différence qualitative nous est toujours fournie directement ou indirectement par les sens ou par les souvenirs de leurs sensations: En combinant ces dernières nous en tirons par abstraction des qualités abstraites (beau, mauvais). La notion de différence qualitative des sensations est avec celle de la sen- sation elle-méme la notion fondamentale et élémentaire de la psycho- logie. Si done nous appelons subjectivisme, introspection ou con- science la notion abstraite générale qui comprend toutes les notions spéciales des aspects qualitatifs ou psychologiques (non pas des dyna- mismes cérébraux qu’ils reflètent !) il s’en suit que nous ne pouvons pas la faire dériver d’un cas spécial, ni la comparer à une qualité spéciale, pas plus que nous ne pouvons dire: « La force » ou «la matière » est apparue à un certain moment et sur un certain point dans l’univers on est « dérivée » de ceci ou de cela. A cela on nous répond toujours que ne connaissant le subjec- 454 A. POREL tivisme que par nous méme nous ne pouvons l’extérioriser ni l’attribuer à ce qui est hors du champ introspectif de notre con- science supérieure à l’état de veille. Nous avons vu qu’en effet, sauf pour les faits révélés par I’’hypnotisme et les cas dits de double conscience, nous ne pouvons raisonner là dessus que par analogie, mais nous avons donné en méme temps les raisons qui parlent pour l’hypothèse moniste et nous n’y revenons pas. Nous constatons seulement que la théorie de l’identité psychophysiolo- gique qui, nous l’avons vu, nous évite un tissus de contradictions et de disputes de mots, rend très probable l’existence d’un subjec- tivisme (c’est-à-dire d’un aspect subjectif ou introspectif), non seu- lement chez les étres qui nous ressemblent où il ne peut étre mis en doute, mais chez toute réalité, vivante ou autre, hors de nous. Seulement cette hypothèse perd de son importance scientifique, nous le reconnaissons pleinement, à mesure que nous nous éloignons plus des centres nerveux complexes ressemblant aux nòtres et finit par confiner à la métaphysique moniste (monisme spinoziste) où nous ne devons pas la suivre, tant que nous nous bornons au domaine de la science. Nous sommes cependant obligés (par la logique) de signaler cette hypothèse métaphysique, parce que sa possibilité (probable à mon avis) nous évite les contradietions dans lesquelles on tàche de nous mettre à Vaide d’autres dogmes méta- physiques qu’on cherche toujours à nous imposer, soit directement, soit sub rosa. Remercions en terminant ce chapitre M. M. Bethe, Uexkdiill et Beer de leur campagne exclusiviste. Elle aura eu le grand avantage de nous faire préciser les termes et les méthodes, tout en fortifiant la raison d’étre de l’éclectisme nécessaire à toute biologie ou psychologie comparée. Avant de prendre congé de Bethe et d’ Uexkiill, ainsi que de leurs hypothèses qui remettaient tout en question, que deux mots encore me soient permis sur une expérience de Bethe (Das Centr. Nervensyst. von Carcinus maenas, Arch. f. mier. Anat. 1897 p. 629). Bethe prétend avoir réussi à séparer le nerf de l’antenne du Carcinus maenas de toutes ses cellules centrales et avoir obtenu, malgré cela des mouvements réflexes de l’antenne. Il en conclut que le neuropilème (les fibrilles) peut fonctionner” sans la cellule ganglionnaire du neurone auquel il appartient. Le fait serait en effet très épatant s’il était prouvé. Bethe accorde que l’opération est extrèémement difficile et ne lui a réussi que deux fois, mais, è l’en croire, son résultat serait très positif. J’avoue que le contròle des expériences de Bethe sur les abeilles et les fourmis, tant par von Buttel-Reepen que par moi-méme, m’a enlevé la confiance SENSATIONS DES INSECTES 455 que j'avais en commencant, sinon dans le jugement, du moins dans l’exactitude des expériences de cet auteur. J'aurais done de bonnes raisons pour douter de la totalité de 1’ extirpation de Bethe en pareilles conditions. I Mais méme si l’observation de Bethe est exacte et si son extirpation des cellules a été complète, elle ne prouve nullement ce que l’auteur eroit prouver, c’est-à-dire un fonctionnement nor- mal des neurones dont on a enlevé la cellule ganglionnaire. En effet, méme une antenne ou une patte séparée du corps, chez certains arachnides et insectes, continue à faire spontanément les mouvements de flexion et d’extension qu’a observés Bethe; c'est une vieille histoire bien connue de tout entomologiste. Il en est parfois de méme lorsqu’ on excite ses terminaison sensibles. Or les terminaisons sensibles des antennes (ganglion terminal antennaire) sont cellulaires et non pas fibrillaires comme celles de la peau des vertébrés. Bethe n’ a donc supprimé que les cellules des neurones centrifuges, mais pas celles des neurones centripètes qui vivaient encore sous la cuti- cule de I’ antenne méme de son Carcinus! De plus Arloing, Tripier et d’autres ont prouvé chez les vertébrés 1’ existence d’ une sensibilité récurrente au moyen de fibres sensibles existant dans des nerfs moteurs. Qui a prouvé à Bethe que les cellules périfériques de l’antenne de son Carcinus, isolée des centres cérébraux, n’envoient pas quelques ramifications fibrillaires récurrentes au nerf moteur de l’antenne? Tout s’ expliquerait ainsi fort simplement par réflexes intraantennaires, indépendants du cerveau. En tout cas Bethe n’a nullement exclu la cellule ganglionnaire des réflexes qu’il a obtenus, comme il s' imagine 1’ avoir fait; seulement ce sont des cellules ganglionnaires périfériques et non des cellules cérébrales qui peuvent étre restées en continuité avec une partie des fibres séparées du cerveau. Enfin les mouvements de simple flexion et extension de l’antenne observés par Bethe à la suite d’ une irritation de antenne séparée du cerveau ne sont pas nécessairement des mouvements réflexes. En effet, quand on isole les muscles d’ une patte de grenouille avec leur nerf moteur, on obtient, chacun le sait, une contraction muscu- laire en irritant la surface conpée du trongon périférique du nerf attenant au muscle, lors méme que le dit trongon est séparé de sa cellule ganglionnaire. Tant que le nerf n’ a pas encore dégénéré (dégénération sécondaire), cette réaction est possible et produit une flexion, si les os de la patte sont encore attachés aux muscles. Il ne s’agit pas là d’ une fonction réflexe, mais d’ un remplacement de pareille action par 1’ irritation directe chimique ou physique d’un troncon «de neurone. Bethe ne me parait pas avoir exclu cette 456 A. FOREL possibilité dans son expériences qui pour les diverses raisons indi- quées ne prouve à mon avis rien du tout. Notons encore la tenacité bien connue de la vie locale chez les trongons d’animaux articulés, et il ne reste d’étonnant que l’ importance attribuée par Bethe à son résultat. Du reste l’irritabilité de l’ antenne ne dure pas bien longtemps, ce qui semble montrer que le nerf sectionné ne tarde | pas à dégénérer, probablement avec son ganglion intraantennaire. Je ne parle pas des autres expériences physiologiques de Bethe sur le système nerveux, parce que cela sort de notre sujet et qu’elles avaient été déjà faites en grande partie par Yersin (I. c.), il y a près de 50 ans, sur le grillon. Je suis seulement étonné de voir attribuer par lui la découverte des fibrilles à Apathy, alors que Leydig, Kupfer, Solbrig et tant d’ autres les ont décrites et figurées il y a déjà tant d’années. Qu’on regarde, p. ex., le travail de Solbrig (Ueber die feinere Structur der Nerven elemente bei den Gasteropoden 1872). Apathy les a seulement suivies plus loin. Pour étre complets nous devrions encore analyser les travaux de Loeb (Einleitung in der vergleichenden Gehirnphysiologie, Leipziy, 1899). Loeb a des idées analogues à celles de Bethe etc. Il croit pouvoir réduire les instinets à des effets mécaniques des forces physiques et chimiques (lumière etc.). Il a son « mot », comme les autres ; pour lui c'est du « tropisme » (géotropisme, héliotropisme, etc.), correspondant plus ou moins aux <« forces inconnues » de Bethe. Et comme Bethe il fait surgir la « conscience », le « psychisme » chez les animaux supérieurs. Mais une pareille ana- lyse nous conduirait à des répétitions décidément oiseuses. Ce que Jai répondu à Bethe et ce qui vient d’ étre dit dans les IV®° et Vme parties du présent travail, s’ applique aussi à Loeb et à ses hypothèses mal mùries. Il vent prouver les lois mécaniques de la vie, lors méme que la base manque et coupe en deux l’activité des centres nerveux, là où aucune coupure n’ existe. C? est plutòt nous qui aurions le droit d’employer les termes hautains d’ Uexkiil] et de dire qu’ il est temps de mettre au vieux fer ce salmigondis de mécanisme vital sans preuves et de dualisme psycho-physiologi- que superstitieux. Il y a là bien plus d’alchimie que dans la simple et modeste observation biologique méme avec ses erreurs anthro- pomorphiques. XII. — Netter, Ziegler. A. — Netter. — Abr. Netter; Eramen des moeurs des Abeilles au double point de vue des mathématiques et de la psychologie expéri- mentale: comptes rendus de 1’ Académié des sciences, 10 décembre 1900. SENSATIONS DES INSECTES 457 M. le Dr Netter, un cartésien à tout erin, avait déja publié ‘ un livre for tintéressant intitulé: « ZL’ Homme et Vanimal» devant la méthode expérimentale, Paris, E. Dentu 1883. Dans ce livre il met toute sa dialectique à prouver que les animaux n’ont pas d’ame, ni d’ intelligence, qu’ ils ne sont que des machines. Il y fait mème des tours de force, voisins du sophisme, pour tàcher de montrer que les expériences individuelles dont j'ai donné des preuves dans mes Fourmis de la Suisse sont effet d’ un pur mécanisme. Il en dit autant des chiens, bref de tout animal. La comparaison de son livre au présent travail est fort instructive; elle permettra à chacun de suivre pas è pas les faux jugements du cartésianisme, dont la raison d’ èétre apparente est due avant tout à I anthropomorphisme qu’on mettait alors dans l’ intelligence animale encore fort mal comprise : on tombait d’un extrème dans l’ autre: machine (instinet automa- tique) ou àme humaine, sans comprendre les étapes Inver peraltee, et Von en faisait une antithèse. Dans ses vieux jours M. le D.r Netter revient à la charge à propos des abeilles. Si je le cite, e’ est pro memoria, car son article se réfute de lui méme. Il suffit de le comparer à notre résumé de von Buttel-Reepen pour voir l inanité des raisonnements de Netter. Netter pense voir dans la forme géométrique des alvéoles des rayons du miel une répercussion de la vue en mosaique des yeux à facettes qui en fourniraient le plan. D’autres y ont vu l’ effet de la simple pression mécanique. Oh ces mécanistes! Si Netter avait raison, pourquoi d’autres insectes, dont les facettes sont tout aussi hexagonales, construisent-ils des cellules arrondies, irrégulières ou tubuliformes? Et si :la pression peut expliquer la forme hexagonale des cellules des rayons de miel, elle ne peut expli- quer la méme forme hexagonale des gàteaux en carton que construi- sent les guépes et les frélons. Nous avons réfuté au long et au large toutes les soi-disantes preuves du cartésianisme apportées par Netter, et nous ne crai- gnons pas de recommander aux gens qui veulent s’instruire la lecture de sa dialectique, persuadés que la comparaison les amènera à nous donner raison et à comprendre pas à pas les erreurs où conduit la syllogistique des cartésiens. A ce propos je me permets de prédire que le jour où nous aurons la clé du mécanisme de la vie protoplasmique, des réflexes et de l’instinet, nous aurons aussi et par là celle de l’activité plas- tique de Vàme humaine. B. — HM. E. Ziegler. — Veber den Begriff des Instinctes, Vortrag von Prof. H. E. Ziegler. Verh. Deutsch. Zool. Ges. 1892, Frei- burg in Breisgau. 458 A. FOREL Theoretisches zur Thierpsychologie und Vergleichenden Neurophy- siologie. Biolog. Centralblatt Jan. 1900. Derselbe. Dans le premier de ces deux travaux, Ziegler se rattache à l’opinion de Weismann contre Darwin. Il nie avec raison que l’instinet puisse provenir d’habitudes héritées et le fait dériver de la conjonetion des germes et de la sélection, comme les structures morphologiques. Il cite un discours de Théodore Meynert (Vl anatomiste du cerveau) tenu à Vl assemblée des naturalistes alle- mands à Wiesbaden 1887. Meynert fait remarquer avec grande justesse que si les habitudes ou anutomatismes secondaires se trans- formaient en instinets, ces derniers devraient constituer la phase la plus élevée et la plus compliquée de l’esprit humain dont la pensée individuelle deviendrait inutile. Or e’ est le contraire qui a lieu : le grand cerveau de l'homme, organe d’associations intelligentes individuelles ne renferme presque pas d’instincts hérités. Ziegler définit l’instinet à peu près comme nous un réflexe compliqué et héréditaire. Nous ajoutons seulement qu’ en se compli- quant d’actes successifs coordonnés et tendant à un but, 1’ instinet sort de la définition du simple réflexe. C? est un automatisme com- pliqué, composé d’actes successifs reliés par des impression senso- rielles et des intercalations plastiques. ©’ est mèéme une série héréditaire d’ automatismes composés chacun de divers réflexes combinés et coordonnés à un but. Jai dit à plusieurs reprises que la réaction plastique ou adap- tative est primaire et l’instinet secondaire. La réflexion de Meynert énoncée ci-dessus, peut paraitre à première vue me contredire. Ce n’ est pourtant nullement le cas. Je considère de méme que Weismann linstinet comme ne pouvant provenir directement d’habitudes heritées, et la réflexion de Meynert appuie fortement cette manière de voir. Mais je considère en méme temps l’automa- tisation de toute activité nerveuse, soit par hérédité sélective, soit par habitude individuelle, comme un phénomène secondaire, dérivé d’ae- tivités primitivement plastiques. Pour l'habitude individuelle, le fait est patent. Chacun peut l’observer chez lui-meme, chez les autres, hommes et méme chez les animaux. Les insectes eux mémes avons. nous vu (abeilles, fourmis) en donnent des preuves. Pour l’instinet hérité, e’ est plus difficile à prouver. Cependant . nous observons que les instinets sont plus ou moins fixés, plus ou | moins invariables. Or il ne peut étre douteux que les instincts les plus fixés, les plus invariables, sont les plus anciens. Je citerai par exemple l’instinct esclavagiste fixé et fatal du Polyergus rufescens, comparé a l’instinet esclavagiste non encore fatal, sujet à des: exceptions, rares il est vrai, de la Formica sanguinea. Or 1° étude SENSATIONS DES INSEOTES 459 des fourmis prouve clairement que linstinet de la Formica sangui- nea est plus récent. Mais plus. Les autres espèces de Formica, non esclavagistes d’ordinaire, qui exceptionnellement font des escelaves (Formica rufa, truncicola, exsecta, exsectoides), dévoilent assez nette- ment l’ origine plastique de 1’ instinet esclavagiste de la Formica sanguinea, leur congénère. Par sélection, une disposition encore peu marquée à certaines adaptations plastiques s’ est développée de plus en plus dans de nombreuses générations et a fini par devenir de plus en plus instinctive. La forme de réaction motrice la plus primitive de la vie, la contractilité ou irritabilité du protoplasma cellulaire, n’est ni réflexe, ni plastique. Elle est encore indifférenciée. Mais le commencement de toute motilité ne peut ètre que plastique è son début, car elle n’a pu encore étre automatisée ni fixée, pas plus pour 1 individu que pour l’ espèce, pas plus par I habitude que par 1’ hérédité. Ici je suis en opposition avec Ziegler. Cela n° empéche nullement l’ activité plastique de prendre un développement énorme dans le cerveau humain, gràce au nombre immense de ses éléments non immobilisés par les réflexes et les automatismes. Je crois pour ma part que l’activité automatique se spécialise pour son compte, pour les réflexes et les instinets simples, dans des centres étroitement liés aux neurones des organes des sens et des muscles, tandis que des centres plus spécialement doués à 1 activité plastique adapta- trice et combinatrice se superposent en formant des neurones qui ne regoivent qu’indirectement les irritations sensorielles et n’envoient qu’indirectement leurs irritations aux muscles. Ces derniers conser- vent cependant la faculté d’automatiser leurs propres activités par la répétition (habitudes), et héritent au moins de dispositions par conjonetion et sélection. Les gros hémisphères eérébraux indépen- dants des fourmis ouvrières, mis en regard des hémisphères rudi- mentaires des fourmis males, confirment ces vues d’ une facon éclatante. Ziegler se refuse avec raison à faire intervenir la notion de conscienee-force dans 1’ instinet et en général dans la psychologie animale; je ne reviens pas là dessus. Dans le second travail cité, Ziegler rend compte des opinions de Bethe, Beer, Uexkiill, Apathy ete. Il ajoute à mon avis trop de foi aux trois premiers auteurs sur la critique desquels je ne reviens pas. Les travaux histologiques d’ Apathy n’ont pas à nous occuper ici. Ziegler prend occasion de cette récension pour introduire des termes nouveaux qui me paraissent superflus: Pour dire hérédité et héréditaire il dit cléronomie et cléronome, 460 A. FOREL appliquant ces termes aux réflexes et a l’ instinet. A quoi bon ce mot grec, lorsqu’on a un mot clair et net, connu de tous, qui exprime la méème idée? Par anticlise ou faculté de modification, Bethe, Beer et Uexkiill désignent ce que j’ ai appelé activité plastique ou plasti- cité. Ici encore je ne saisis pas 1’ avantage du changement de nom. Ce que l’individu acquiert dans sa vie individuelle, Ziegler l’appelle embiontique. Je préfère les vieux termes d’adaptation indi- viduelle, d’acquis par Vaction du milieu, V éducation ete. Il me semble aussi simple et aussi clair de parler de caractères ou de facteurs hérités et acquis que de caractères ou de facteurs cléronomiques et embiontiques. J avais désigné (Gehirn una Seele 1894) l’onde nerveuse d’irri- tation moléculaire par le terme de mneurocyme. Ziegler croit devoir lui substituer celui de neurocinèse. A part une syllabe de plus, je ne vois pas non plus l’ avantage de ce changement. Loi de priorité à part je crois que la multiplication des termes pour dire la méme chose ne fait pas avancer notre connaissance. Ziegler appuie lopinion de Wernike qui distingue. entre la mémoiîre (conservation des images) et la « Merkfahigkeit ». Pour ma part je ne comprends pas la différence que Wernicke et Ziegler font entre leur « Merkfihigkeit » et 1 attention. Les états attentionnels sont ceux qui se fixent en premier lieu par la mémoire. Ce n’ est pas nouveau !). AUGUSTE FOREL. )) Au moment où ce travail sort de presse je recois un travail du D. G. Alexander (Zur Anatomie des Ganglion vestibulare der Stiugethiere ; Sitzber. d. K. Acad. d. Wiss Wien. Math. naturw. Kl. Bd. CVIII Abth. III, Nov., 1899). L’auteur étudie les renflements ganglionnaires du nerf du vestibule renfermés dans le rocher et leur attribue tous les neurones du dit nerf. Je ne puis controler le fait. S° il est exact il oblige à refaire 1° expérience de l’atrophie (partielle il est vrai) que nous avons constatée des cellules du noyau de Bechterew à la base du cervelet. En tout cas il exclut la com- paraison que nous avons faite entre le nerf du vestibule et les nerfs moteurs. ASTURARO 461 Sociologia zoologica (generale). Capo II. Nuovi stati psichici e nuovi atti e processi volontari negli animali conviventi. Lo studio degli animali allo stato di isolamento ci ha posto dinnanzi a tre grandi bisogni, serialmente disposti, ed alle rispet- tive attività volontarie, Nutrizione, Riproduzione e Lotta (con la conseguente Inibizione), servite ciascuna dall’ Osservazione volontaria. Or supponiamo che animali forniti di tali facoltà convivano ; in altri termini introduciamo il fatto della convivenza. Vedremo sorgere nuovi stati psichici e nuove attività volontarie. Introduciamo a questo punto e non prima il gran fatto del convivere, per la semplice ragione che se noi supponiamo animali incapaci di nutrirsi, riprodursi, lottare e inibirsi volontariamente nessuno dei fenomeni sociali noti otterremmo, per quanto deduces- simo dalle leggi della vita e della psiche. Ciò apparrà evidente dal seguito delle nostre deduzioni. Ma una splendida riprova ce ne dà sin da ora il fatto, che animali come i polipi, le vorticelle ed altri esseri infimi, convivono intimamente, ma non ci presentano alcun’ attività nè alcun fenomeno che possa dirsi sociale. Non è dunque la convivenza pura e semplice quella che genera le attività sociali, ma la convivenza di esseri forniti delle più fondamentali attività volontarie individuali *). 1) Un’ obbiezione potrebbero muoverci i biologi: Chi vi assicura che le attività volontarie individuali non si svilupparono dapprima in esseri già conviventi? — Ma non avrebbe alcun valore dal punto di vista da cui si deve porre la Sociologia zoologica. Anco ammesso che la convivenza presi- stesse ed esercitasse qualche influsso sul nascimento delle attività volontarie individuali (che d’ altronde non avrebbe potuto essere se nòn indiretto e puramente biologico, non psicologico) egli è certo che non è siffatta convi- 462 ASTURARO Gli individui in un numero immenso di specie animali che vivono nel nostro pianeta, si agglomerano per un tempo più o meno lungo !). Dove e perchè ? Dove il nutrimento abbonda (pascoli, animali mangiabili ecc.) 0 dov’ essi trovano più facilmente ricovero (tane, sotterranei, vòlte ecc.) o dove sono più sicuri dai nemici della specie; insomma dove e perchè possono soddisfare qualcuno dei grandi bisogni della vita. La ricerca del cibo è il motivo più frequente; certo la nutrizione è la conditio sine qua non perchè 1 agglomera- zione possa sussistere per qualche tempo, giacchè invano si offri- rebbe un comune ricovero o la sicurezza là dove il nutrimento non fosse sufficiente se non all’ animale isolato o ad una sola coppia. Sotto questo aspetto (condizionale) 1° attività alimentare è assoluta- venza anteriore, quella di cui si deve occupare la Sociologia, e che il nostro problema rimarrebbe in fondo identico : « quali sono gli effetti della convi- venza ulteriore in esseri già forniti delle attività e dei bisogni individuali? ». Ed un’ altra ce ne potrebbero muovere i filosofi: Chi vi assicura che non esistano animali forniti di bisogni ed attività volontarie diverse da quelle degli animali che noi conosciamo e che abitano quella parte infini- tesima del Cosmo che si chiama la terra? Ma noi risponderemmo : la Sociologia zoologica vale appunto per gli animali che noi conosciamo ; ed è generale solo relativamente ad essi. Noi non neghiamo «a priori la possi- bilità dell’ esistenza di animali diversamente conformati, che, per esempio, non sentano il bisogno della nutrizione o della riproduzione o d’ entrambe, ma eseguano il ricambio materiale e diano origine a nuovi esseri automa- ticamente ed inconsciamente. Senonchè noi non possiamo comprenderli nell’ esame se non costringendo il lettore a perdersi nelle nuvole o cadendo nella Metafisica. Ed a questo proposito ricordiamo come uno dei più grandi scienziati che sieno esistiti, il Leibnitz, quando volle costrurre anche lui il suo sistema metafisico, immaginò appunto esseri trascendenti, esenti del bisogno di nutrirsi e di riprodursi, le Monadi. Per conseguenza dovette negar loro la Lotta e 1° Inibizione. Ebbene ei si appigliò a quel che costi- tuisce l’ estremo termine della nostra serie, all’ Osservazione volontaria, ma disinteressata. Anch’ egli, come tutti i metafisici, cadde in assurdi; ma intanto è notevole il fatto che anch’ egli fu costretto a supporre i suoi individui come già forniti di qualche bisogno individuale. La sua Monado- logia non è altro che la Sociologia generale di esseri forniti del bisogno di osservare! Ancora meno probabile sarebbe la riuscita di una Sociologia fon- data sul bisogno altruistico; anzi addirittura inconcepibile, ove non si ‘supponga come oggetto della simpatia e dell’ altruismo un’ altra specie, di esseri animati. Lasciamo dunque le ipotesi su altre specie ignote di animali ed a for- tiori su altre classi di esseri animati e trascendenti; e stiamo al nostro argomento. 1) V. GIbDINGS. — Sociologia. SOCIOLOGIA ZOOLOGICA 1 463 mente fondamentale per la vita sociale degli animali, come la pro- duzione economica per quella degli uomini, nè v’ han sofismi che possano generare dubbio di sorta. Le agglomerazioni possono essere anche mobili e determinate dal bisogno di migrare in località più adatte alla ricerca del cibo ed alla conservazione della vita; il qual bisogno raduna stuoli talvolta innumerevoli come quelli dei volatili per l immenso aere e delle antilopi su le sterminate steppe dell’ Africa. Siano mobili o locali, hanno sempre il carattere della temporaneità ; 1’ individuo ritorna allo stato libero e poi di nuovo a quello di convivenza. Così i Kanguri per lo più sono solitari e si radunano solo nei luoghi abbondanti di nutrimento: « si vedono in un’ora branchi di 80 e più individui, che si sparpagliano un’ ora dopo da capo in tutte le direzioni e si riuniscono per caso nuovamente con altri della mede- sima specie senza ricercare i primitivi compagni ». (Bre h m). Giacchè un’agglomerazione può essere anche fortuita e non rinno- varsi abitualmente, distingueremo col nome di gregarietà quello stato, in cui l'individuo, pur potendo passare da un gruppo all’ altro, fa sempre parte di una qualche agglomerazione o almeno tende ad agglomerarsi per interna disposizione. Riserveremo poi il nome di società animali proprie a quegli aggregati che per la stabilità relativa del numero e degli individui, che si riconoscono tra loro escludendo gli altri, presentino una certa unità ed individualità. Sarà forse inutile l’ avvertire che tra agglomerazione, aggre- gazione e società non vi sono limiti netti e recisi. La convi- venza è il fatto comune a tutte e nello stesso tempo il fatto primor- diale : quello di cui vogliamo, pria di tutto, indagare gli effetti. Ma in un senso largo si può dire che convivano tutti gli animali, anco delle più diverse specie, che abitano una determinata area, in cui possano reciprocamente osservare, magari involontariamente, i loro movimenti ed i segni delle loro emozioni. Laonde si può far questione se i primissimi rudimenti dei fatti e delle attività, che Stiamo per descrivere, non si trovino anche nella vita che comune- mente chiamasi solitaria e non nascano anche relativamente a specie diverse. Così per esempio, un mammifero può scorgere e comprendere i segni del pericolo anco in un uccello od in un serpente e rego- larsi su di esso. Gl’iraci si scompigliano quando i lucertoloni delle roccie mostrano paura; i,ruminanti si pongono in guardia quando i loro aerei visitatori scappano via dal loro dorso ; le zebre fanno attenzione alle antilopi ed agli struzzi. Nè è inverosimile quel che si racconta dei gufi, i quali farebbero, senza volerlo, la sentinella a quelle piccole marmotte che i naturalisti chiamano Cynomydes ludo- 464 ASTURARO viciani. Son noti inoltre certi segni di simpatia, e certi casi di adozione tra animali appartenenti a generi e persino a classi diverse. Con maggior ragione gl’ individui solitari della medesima specie possono imparare a comprendere i segni dei principali loro atti e in certi casi sentire una qualche scambievole simpatia. Un vasto sistema di comunicazione psichica e di regolazione sembra dunque esistere anco tra specie diverse e nella vita di relativo isolamento. Senonchè i nuovi stati psichici e le nuove attività volontarie non possono acquistare un certo grado di sviluppo e di consistenza se non in individui della medesima specie, formanti agglomerazioni ed aggregazioni. E ad ogni modo e in ogni caso noi possiamo benissimo far astrazione e dalla convivenza in senso largo e da quei primissimi rudimenti; e considerare quali debbano essere e sieno gli effetti della convivenza vera e propria in individui della medesima specie, che, spinti dallo stesso stimolo esteriore, per- mangono insieme e convivono nel senso stretto della parola ed hanno perciò frequenti contrasti e contatti e continue occasioni di osser- varsi scambievolmente. In altri termini, se le circostanze operanti come condizioni e come cause, sono le stesse in entrambi i casi (convivenza degl’individui e una certa somiglianza di caratteri che ha per conseguenza una certa somiglianza di bisogni e di azioni) e non differiscono se non nel grado della loro intensità, noi possiamo benissimo considerarle in uno stato definito, vale a dire supporre che la convivenza sia stretta e la somiglianza abbia quel grado determinato che per i naturalisti costituisce la specie animale. Or in tal supposizione, scientificamente lecita, anzi necessaria; posto, cioè, che per un qualsiasi bisogno della vita individuale, e verificandosi la condizione sine qua non, la sufficienza del nutri- mento, individui della medesima specie, prima non socievole, vengano a trovarsi riuniti nella medesima località ed a convivere nel senso stretto della parola, dovranno verificarsi alcune modifi- cazioni e innovazioni, pria di tutto nei loro stati psichici. Nuovi stati psichici. Continueremo anco qui a fare astrazione dall’ eredità, dalla selezione e da tutti quei processi che possono fissare, trasmettere, assicurare le formazioni psichiche, non mai produrle. Le più impor- tanti qualità psichiche le quali debbono formarsi per effetto della convivenza sono: la simpatia e il sentimento sociale. Simpatia. — Harley l’aveva dedotta dalla legge di associa- zione e riproduzione psichica, considerando gli effetti della convivenza SOCIOLOGIA ZOOLOGICA 465 nel seno della famiglia, in quanto che, costituendo questa un’unità, tutti gl’ individui che la compongono sono esposti alle medesime cause di piacere e di dolore, di abbondanza e di penuria, onde associano la propria emozione ai segni di quella degli altri, e questi segni fan poi riprodurre la propria. Lo Spencer ha esteso questo corollario della gran legge alla convivenza degl’individui nella mede- sima aggregazione, e n’è venuta fuori quella teoria psicologica ch’è così mirabile per semplicità ed evidenza scientifica. Se più animali della .medesima specie convivono, saranno esposti alle medesime cause di soddisfazione, di dolore, di paura, di sdegno e via discor- rendo. Ma essi sono conformati similmente, dunque esprimeranno la loro emozione nello stesso tempo e con lo stesso segno esteriore (moto, gesto, grido). Così la emozione resterà associata a questo segno, e tenderà a riprodursi nell’ animale ) ogni qualvolta esso percepisca il segno stesso. Evidentemente la simpatia non è un bisogno nè un’attività volon- taria, è semplicemente una proprietà psichica (derivata) e, come vedremo tra poco, non genera immediatamente il bisogno e 1’ atti- vità altruistica, cioè quella del beneficare o soccorrere o astenersi dall’ offesa. Sentimento sociale. — È il sentimento piacevole che accom- pagna l’idea e la presenza dei compagni. Se nella medesima località si trovano riuniti, come dicemmo, individui della medesima specie ?) per la semplice cagione che ivi è abbondanza di nutrimento o ricovero o sicurezza, il godimento che ciascuno prova mangiando o ricove- randosi o preservandosi, si associa all’idea degl’ individui che simul- taneamente si percepiscono : onde una tale idea (rappresentazione) diviene piacevole. Ma questa è una semplicissima e debolissima associazione di coesistenza, alla quale non si può dare l’importanza che le ha dato C. Darwin per spiegare gl’istinti della socievolezza. Il sentimento, a cui dà origine, non è diverso da quello che ci ispira un oggetto che abbiamo sempre veduto nella nostra stanza e ch’ è stato il muto spettatore delle nostre gioie. Ben presto però altre asso- ciazioni psichiche debbono aggiungersi. Sé individuo trova accanto ai suoi simili riparo dal freddo (topi, pipistrelli, scimmie ecc.), e se cominciando a muoversi in loro compagnia, incontra più facilmente la preda o sfugge più facilmente ai pericoli (le grandi agglomera- 1) Si avverta come per forza di questa medesima teoria anche tra animali che convivano in senso largo si può creare un rudimento di simpatia. 2) Si faccia per animali di diversa specie che convivano in senso largo, la stessa avvertenza che per la simpatia. Riv. DI BIOLOGIA GENERALE III. 30 466 ASTURARO zioni, per es. dei pecari, con la sola forza del numero rovesciano anche le tigri) non solo si renderà più forte e più stabile l'associazione psichica tra il piacere e l’idea degl’ individui aventi caratteri simili a quelli con cui si è convissuto, ma si trasformerà in un’altra assai più efficace, giacchè i propri simili saranno non più coesistenti, ma antecedenti (cause) dei piaceri dell’individuo. E vi entreranno poi pro- gressivamente tutte l’esperienze di utilità della vita in comune, non esclusa quella regolazione reciproca di cui parleremo tra poco. Si sviluppa così sempre più quel sentimento che per brevità e per non introdurre termini nuovi possiamo chiamare sentimento sociale. Ad un certo punto esso si trasformerà in amore dei propri simili. Neppur esso è un bisogno od un’ attività, ma uno stato psichico. Pure dà origine immediatamente ad un bisogno e ad un atto: che è quello di cercare la compagnia di coloro che hanno quei determi- nati caratteri che si sono associati all’ idea del piacere, e di sfuggire la solitudine. E questo alla sua volta può dar luogo ad un istinto, che per non introdurre termini nuovi si può chiamare istinto di società col Leibnitz o sociale col Darwin, quantunque esso non sia che il più semplice degl’ istinti sociali, come ben videro e il Leibnitz e il Darwin. Così il fatto della convivenza crea il bisogno della convivenza. Noi incontriamo dunque questo bisogno per duplice via. L’ animale che ha sperimentato in compagnia vantaggi relativi alla nutrizione od alla riproduzione od alla difesa, cerca i suoi simili perchè in loro compagnia sì aspetta quei determinati godimenti. In secondo luogo questa compagnia in seguito all’ associazione psichica è dive- nuta piacevole per sè stessa, e quindi egli la cerca anche senza un determinato bisogno, per il piacere che la vista dei suoi simili gli procura e per sfuggire alla inquietezza che lo assalirebbe nella loro assenza. È In qual rapporto stanno questi due modi od aspetti dello stesso bisogno di convivere? Nell’ identico rapporto in cui, in ogni trasformazione di. mezzi in fini, stanno tra loro il bisogno relativo e .il bisogno assoluto; l’ atto che serve coscientemente di mezzo, e 1’ atto desiderato per Sè stesso. Ne segue: 1° che il bisogno sociale è più debole di ciascuno dei bisogni della vita individuale; 2° che quanto più 1 individuo ha sperimentato i vantaggi (piaceri procurati e dolori risparmiati) della convivenza, tanto più forte sarà il suo sentimento sociale e il biso- gno di convivere; 3° che ogni esperienza in contrario tende a dissol- vere questo sentimento e ad annullare questo bisogno, ed una serie di sperienze costantemente contrarie può trasformare una specie di SOCIOLOGIA ZOOLOGICA 467 animali socievoli in solitari; 4° che però se il sentimento sociale esiste, opererà in un certo intervallo, prima di dissolversi; e ad ogni modo manifesterà la sua presenza in tutti quei casi, in cui l animale potendo cercare il suo cibo o la sua femmina o la sua difesa, da solo o in compagnia, indifferentemente, il sentimento sociale lo trae alla convivenza così irresistibilmente come un gra- nellino piccolissimo aggiunto ad uno dei piatti di una bilancia la fa traboccare da quella parte; 5° che noi potremmo nella spiega- zione della maggior parte dei fatti far a meno del sentimento sociale o del bisogno assoluto della convivenza, e servirci del bisogno rela- tivo cioè determinato dai fini o bisogni individuali: se nel mondo animale i sentimenti che riassumono l’esperienze già fatte in altret- tante tendenze immediate, non fossero cosa più semplice, più natu- rale che il continuo calcolo cosciente dei mezzi. È Posto ciò, si può domandare se a capo della nuova serie che intendiamo stabilire, non si debba porre il bisogno e l’atto del con- vivere. Noi non ve la poniamo per una ragione analoga a quella per cui a capo della serie delle attività individuali determinate, non abbiamo posto la ricerca del piacere e il bisogno della conser- vazione : perchè non è un bisogno determinato od un’ attività determinata, ma il presupposto di tutte le attività dell’ essere associato. Giova intanto ricordare, conchiudendo, che questa nuova atti- Vità generica e indeterminata, onde l’ animale rimane unito agli altri anche quando alcun bisogno immediato non lo urge, nasce come un mezzo per la più completa soddisfazione dei bisogni individuali (nutrizione, riproduzione, lotta e difesa), e presuppone come sua con- dizione alcune inibizioni, se non altro, quella del tentativo di man- giarsi a vicenda !). Insomma essa apparisce come il risultato da una parte della convivenza e dell’altra di bisogni ed attività volontarie individuali. Conchiudendo questo paragrafo, possiamo dire che dato il legame esteriore della convivenza, determinato da circostanze esteriori favorevoli alla soddisfazione di uno o più bisogni della vita animale, si deve formare, per virtù delle leggi bio- e psicologiche, un legame interno e psichico tra gli individui, e nascere un bisogno ed un atto nuovo, per quanto generico ed indetinito, quello. del convi- 1) Se queste inibizioni fondamentali non preesistessero già negl’individui che cominciano a convivere nel senso stretto della parola, e creerebbero per effetto dei contatti e contrasti che avvengono nella convivenza, prima che apparisse il sentimento sociale di cui sono in ogni caso una condizione ed un fondamento. 465 ASTURARO vere. Allora all’ agglomerazione, succede la gregarietà : 1 animale entra in una nuova classe, in quella degli esseri socievoli. Quali bisogni ed atti determinati nascono o si sviluppano negli indi- vidui associati? E da quali rapporti sono collegati? Per eliminare alcune delle difficoltà esporremo in questo capitolo solo un fram- mento della soluzione, intrattenendoci sopra alcune delle nuove attività e dei nuovi processi volontarî, intorno a cui più facili riescono la confusione e 1’ equivoco. Nuove attività volontarie determinate. 1° GRUPPO: attività .regolative 4). Dominio e subordina- zione. Si presupponga dunque formata questa specie di forza di coesione, che dà alla convivenza, dapprima momentanea e fortuita, una certa costanza stabilità, in modo che gl’ individui abbiano ancor più frequenti contatti e contrasti e occasioni di osservarsi scambie- volmente e di intendere gli atti altrui, e si parta ora della serie delle attività individuali e propriamente dall’ inibizione. Giacchè gli stessi individui possono incontrarsi e riconoscersi, dovunque esista una sufficiente differenza di forza da produrre inibizione unilaterale, questa necessariamente diverrà permanente e subirà quella trasformazione che, come dicemmo nel cap. prec., non è possibile nella vita isolata per mancanza di frequenti contatti ed esperienze. Il dominio del più forte non è, pria di tutto, che Vini- bizione attiva ch’ egli esercita, divenuta permanente, e rivolta a determinati individui; e la subordinazione del più debole non è altro che l’ inibizione passiva divenuta permanente salvo 1’ ulteriore com- plicazione. Nei branchi, dice un naturalista, vi è sempre chi a furia di morsi o di calci o di cornate riesce a sottomettere gli altri o qualche altro, per es. i deboli o i piccoli. Ma sinchè tutto si riduce all’ini- bizione che questi altri subiscono, astenendosi dall’offenderlo e dal lottare con lui, il fenomeno non differisce quasi per nulla dall’ ini- bizione che abbiamo incontrato nella serie individuale. Ma nel seno di una aggregazione il più forte può servirsi della forza è del timore che ispira per ottenere, a discapito di altri, vantaggi determinati, rela- tivi alla nutrizione, alla riproduzione ed alla difesa ; cioè per allonta- narli dalla preda, per avere i migliori bocconi, o per conservare le femmine più atte all’amore, per occupare il posto migliore nella corsa o più adatto alla difesa e sorveglianza contro il nemico. Non basta: egli può anche costringere un altro ad eseguire un suo determinato desiderio, per es. a seguirlo, a dargli da mangiare, a scansarsi ece, SOCIOLOGIA ZOOLOGICA 469 impedendo con la forza o col timore (inibendo) tutti gli atti che sono contrari a tal desiderio; e allora si ha il dominio vero e proprio. Lo si può osservare perfettamente nelle relazioni tra adulti e piccoli ; tra il maschio poligamo e le sue femmine; tra i padroni e gli schiavi, nelle formiche. A produrlo non è menomamente necessario 1’ altruismo, ma solo l’ egoismo, il timore e la differenza di forza. Dove questa differenza non esiste, non esiste neppure il dominio. : Si avverta intanto che il più forte, dominando, produce una regola- zione degli atti del più debole; or questa è determinata dal torna- conto di lui ed è assolutamente passiva per il più debole. Questi perde, nel momento in cui obbedisce e in ciò che concerne il dominio, la sua volontà, cioè la facoltà di compiere i movimenti ch’ egli ha sperimentato direttamente e positivamente a sè stesso piacevoli, e diviene un prolungamento della volontà del più forte. Come ed in quali casi questa regolazione possa tornare utile anche ai soggetti vedremo in seguito. Il dominio giova, come abbiamo già accennato, al miglior conse- guimento di tutti i fini individuali del dominatore. Ma quando esso sia stato lungamente esercitato per tali motivi, come può avve- nire anco tra gli animali, darà origine ad un muovo bisogno indipendente, ossia diverrà un fine, onde si desidera senz’ al- tro la soggezione altrui. Ciò apparisce nel carattere prepotente e dominatore che i naturalisti hanno constatato nelle scimmie in generale, e che si rivela ancor più chiaramente nell’ uomo od in alcuni uomini. Essendo un effetto dell’inibizione unilaterale e questa delle lotte inter-individuali, un tal carattere sarà tanto meno fre- quente, quanto più rare sono le occasioni di lotta ed i contrasti tra gli individui. È curioso osservare come tenda a divenire automatica e ad entrare nel carattere anche la subordinazione, lungamente subìta, e si riveli nell’ abbiettezza e nel servilismo. Ma più curiosa è la coesistenza delle due opposte tendenze automatiche, la prepotenza verso i più deboli e la sottomissione verso i più forti, ch’è così visibile nello Chimpanzè descritto dal Brehm, come in altre scimmie. Questo, allo stato domestico, così pieno di riguardi per I’ uomo e persino per i fanciulli umani, muta a un tratto atteggiamento e condotta non appena gli comparisce davanti una scimmiuccia od altro animale insignificante. Sarebbe il caso di ripetere la nota frase che non gli manca altro che la parola... Ma quel che premeva qui era di descrivere sommariamente il fenomeno, allo stato di mezzo, e di determinare i suoi rapporti cau- sali. Evidentemente esso è legato teleologicamente a tutte le attività 470 ASTURARO individuali ed è immediatamente condizionato dall’ inibizione, di cui non è altro che un’ ulteriore esplicazione, dovuta alla vita in comune. Tra l’ inibizione e il dominio non vi è soltanto serialità, ma addirit- tura continuazione. Il dominio non è altro, pria di tutto, che la stessa inibizione degli atti altrui che ostacolano desiderii proprii. Solo i rapporti tra questo nuovo fenomeno e 1’ osservazione volon- taria possono dar origine a difficoltà, perchè si complicano. Infatti l’ osservazione può servire di mezzo anche al dominio ed alla subor- - dinazione. Si possono osservare volontariamente gli atti ed i segni altrui per uniformarvisi o per inibirli. L’ osservazione volontaria, la quale serve a tutti i bisogni dell’ animale solitario, comincia a rivelarsi come il gran mezzo di qualsivoglia bisogno ed attività animale. Ma se così è, verrà prima o dopo il dominio? e come sarà possibile la serie? Teleologicamente essa si colloca anche dopo il dominio, perchè giova anche ad esso. Sotto questo aspetto nutrizione, riproduzione, lotta, inibizione, dominio, osservazione volontaria, formano una serie evidente e inoppugnabile. Ma nella serie zoologica e nello sviluppo individuale ella può essere ed è prima del dominio e senza il dominio; onde pare che la serialità completa sia insostenibile. Pure a riaffermare la seria- lità basta scindere 1’ osservazione volontaria, cioè porre prima i plessi individuali, vale a dire ’’ osservazione volontaria in quanto serve ai bisogni individuali; poi il dominio; poi 1’ osservazione volontaria in quanto serve al dominio. Maggiori chiarimenti di questo rapporto verranno in seguito. B) Imitazione. — Allorchè un individuo percepisce in un altro movimenti o atti che son seguiti in questo altro da uno stato o da un possesso che anch’ egli appetisce, è spinto a fare quei medesimi atti (imitare). Così, per es., se I’ altro immergendosi nel- l’acqua o recandosi in un dato luogo ha carpito del cibo, anch'egli s’immergerà o si avanzerà per desiderio di cibo. Si ha una regolazione passiva, ma determinata dal bisogno di colui ch’è regolato : la volizione (che consta sempre del desiderio e della rappresentazione del mezzo) viene in lui completata per effetto della presenza di un altro indi- viduo, ma per soddisfare un bisogno proprio e non dell’altro indi- viduo. In qual modo vien completata? Il fine o il desiderio ci era, mancava l’esperienza del mezzo; or questa esperienza è stata fatta dall’ altro ed egli la segue per un’associazione psichica, come se l’ avesse fatta egli stesso. Egli ha regolato il suo atto. Il fenomeno diviene intieramente visibile e consapevole quando l’animale osserva volontariamente ciò che gli altri fanno per la soddisfazione di un bisogno che anch'egli sente, pronto a ripetere lo stesso movimento; siccome fanno specialmente i piccoli e gl’ inesperti. SOCIOLOGIA ZOOLOGICA 471 Tutto ciò presuppone un complesso di stati e di qualità psichiche, che sebbene possano sorgere anehe nella convivenza in senso largo, non si sviluppano vigorosamente se non per effetto della convi- venza propria, e principalmente l’ interpretazione degli atti altrui. Grandissimo è poi l’influsso causale che su questa facoltà, e quindi sulla possibilità d’imitare, esercita la simpatia. Infatti mediante l’ associazione tra i segni e l’ emozioni, essa fissa il valore delle espressioni, dei gesti e dei moti altrui. Inoltre essa è per sè medesima una gran fonte d’ imitazione, per quanto involontaria (Bain). Vi è ancora un altro modo di regolazione della condotta nella convivenza. Regolazione propriamente detta. — In ogni volizione relativa alla soddisfazione dei tre grandi bisogni individuali, vi è la perce- zione volontaria od involontaria di un oggetto esteriore: cibo, fem- mina, nemico. Ebbene anche per rispetto a questo oggetto 1’ indi- viduo può essere regolato dalla presenza o dall’ atteggiamento di altri, se questi percepiscono I’ oggetto ch? egli non ha ancora perce- pito o non è in grado o in situazione di percepire. Questo processo è molto difficile e lungo per le vie ordinarie dell’associazione psichica. Esso trovasi a un tratto compendiato e con- densato per effetto di quello speciale prodotto dalla convivenza sociale e dell’associazione psichica, ch’è la simpatia. Infatti i segni esteriori dell’ emozione che gli altri emettono davanti al cibo o alla femmina o al pericolo, risvegliano immediatamente nell’ individuo l’ emozione corrispondente e quindi gli atti o un cominciamento degli atti che tendono ‘alla soddisfazione del bisogno, come s’ egli stesso avesse osservato l’oggetto del desiderio dell’ avversione. Non è stata avvertita l’importanza di quest'altra specie di rego- lazione. Pure, essa è grandissima nelle aggregazioni animali. Infatti non tutti si trovano nel posto più opportuno per iscorgere l’acqua od il cibo, per fiutare l’aria, per accorgersi del nemico; non tutti hanno egualmente sviluppati tutti i sensi, e chi ha più acuto l’odorato o ludito o l'occhio può dare più prestamente il segnale o l’allarme; non tutti sono egualmente. adulti e sperimentati, e la nuova gene- razione non segue, oltre i propri impulsi, altra norma che quella che le viene dalla facoltà simpatetica e dalle inferenze ch’ essa può fare dai segni altrui. Anche quest’altro fenomeno diviene cosciente e completo, allorchè l’animale osserva volontariamente Vl individuo o gli individui che sono nella località più opportuna o sono più capaci e più abili, per es. di scoprire il cibo o V acqua o il nemico, ed attende un segnale che anch’ egli seguirà. 472 - ASTURARO Nei casi sinora descritti, colui che si regola, cioè imita il mezzo adoperato da un altro o riceve da altri notizia dell’oggetto esteriore. Ma opera, in seguito alla sua percezione, consciamente e volonta riamente. Non così chi è imitato o dà il segnale. Questi, per lo più, non ci mette nulla del suo: egli opera per conto proprio, e, come se fosse solo, esprime irresistibilmente le sue impressioni: fugge, come la pecora, quando ha paura; nitrisce acutissimamente, come il cavallo selvatico, o fischia e percuote con le zampe il terreno, come il camoscio, allorchè scorge il pericolo ; si frega orribilmente il petto, come'il gorilla, se lo fanno adirare; fiuta con la più grande soddisfazione, come il camello del deserto, se una corrente d’aria gli reca finalmente la lieta novella dell’ acqua. A rendere più grande 1) omologia di questi fenomeni, con quelli umani, occorrerebbe dunque che colui che ha trovato il mezzo per soddisfare un dato bisogno o scorto 1’ oggetto esteriore del desiderio o dell’ avversione ne desse agli altri 1’ esempio o il segnale volon- tariamente, cioè aspettandosi che gli altri facciano come lui o accor- rano 0 fuggano o si pongano sulla difesa o si rassicurino. Ebbene anche questo si verifica nel mondo animale, specie nelle società proprie e nella famiglia; ma, di questo fatto elevato e complesso in cui penetra ben presto l’ altruismo, parleremo in seguito, per non istancare ad un tratto 1’ attenzione di qualche lettore. Il resto del fenomeno, d’ altronde, rimane identico al caso precedente, cioè alla semplice regolazione passiva: infatti chi imita 1’ atto o segue il segnale di un altro, ottiene lo stesso risultato tanto nel caso che quell’ atto o segnale sia stata fatto appositamente per lui, quando nel caso contrario, Quel poco che abbiamo detto basta intanto a far scorgere come i processi regolativi nel seno di un’aggregazione animale non riescano altro che ad una divisione e ripartizione della stessa attività volon- taria degl’ individui forniti della nota serie di bisogni. Infatti la volontà nel suo significato scientifico e per ciò che concerne i grandi bisogni della vita individuale, consta di tre elementi principali: 1° il desiderio o bisogno o fine; 2° la percezione volontaria od involontaria dell’ oggetto esteriore; 3° la ricerca o l’esperienza già fatta circa il mezzo o il movimento adatto a conseguire o sfuggire l’ oggetto. Ebbene nella relazione tra dominato e dominante è dato da un altro il fine, e l’individuo non fa altro che eseguire il mezzo per la soddisfazione del desiderio di quello, quantunque ciò possa coincidere nel risultato ultimo, con un vantaggio proprio. Nell’ imi- tazione è fatta da altri la ricerca o l’esperienza del mezzo, e questo s'impone a chi imita. Nel terzo processo che abbiamo descritto, è fatta da altri l osservazione volontaria o involontaria dell’oggetto. SOCIOLOGIA ZOOLOGICA 1 473 Or non ci è bisogno di avvertire che questa ripartizione e la sua utilità sfuggono all’ intelligenza animale. Della stessa regolazione, a cui riescono i processi su descritti 1’ animale non ha la menoma idea, e noi chiamiamo regolativi tali processi badando solo al risul- tato obbiettivo, alla stessa guisa che i biologi chiamano regolatore il sistema nervoso. Il dominio può essere un fenomeno molto diffuso, quando vi sieno piccoli e adulti, padroni e schiavi. Ma anche 1 imitazione e la regolazione possono essere reciproche e diffuse in tutto l’ aggregato, e in questo stato molto semplice ci occorreva qui descriverle e analizzarle. Or l’uno or l’altro individuo può essere imitato. Or l’ uno or l’altro individuo può dare il segnale: così tra le renne quando una è stanca di far la sentinella un’ altra imme- diatamente la sostituisce; tra le viscacce or l una or l’altra si drizza sui piedi posteriori e sbircia e vigila attentamente, e al menomo allarme che una di esse dà, tutte le altre scappano preci- pitosamente verso la tana. — A suo tempo parleremo della localiz- zazione di siffatti processi, e mostreremo come tutti e tre i fenomeni, che la nostra analisi ha visto, il dominio del più forte, 1’ esempio del più abile e la regolazione propriamente detta si uniscano, a guisa di funzione unica, nel capo o nei capi del branco. E allora, più specialmente, sarà il caso di ricercare altresì quali rapporti leghino una tal funzione ad altre attività collettive o localizzate. Per ora basterà accennare ai rapporti causali che intercedono tra ciascuno dei processi volontari su descritti-(regolativi), quali si pre- sentano in ciascuno individuo associato e le attività della serie indi- viduale. Questi rapporti sono evidenti. Per il dominio lo abbiamo già veduto. Quanto all’ imitazione ed alla regolazione in seguito ai segni altrui, è evidente ch’esse non hanno scopo proprio; sono, piuttosto che vere attività volontarie, processi volontari determinati dal fine della nutrizione, della riproduzione, della difesa e condi- zionate dall’ inibizione tra gl’ individui che compongono il gruppo. Nulla vi penetra, per ora, di altruistico. Il più forte non s'impone al certo per beneficare il suo soggetto; e il più debole è determi. nato dal timore e dal bisogno di rimanere nel branco. Chi imita e chi segue i gesti ed i segni altrui non ha certo di mira il bene di questi altri. Nè siffatti processi volontari presuppongono come loro condizione preesistente, l’attività altruistica. Quanto all’ osservazione volontaria è da ripetersi quel che si è detto intorno al dominio. Essa può daccapo servire di mezzo anche alla regolazione. Il che vuol dire che sorgono a mano a mano sempre nuove manifestazioni della facoltà di esplorare volontariamente il mondo esterno, ed esse formano alla lor volta una serie. 474 ASTURARO . GruPPO : Altruismo. — È un errore grave, per quanto ei l’attribuire no alle relazioni sessuali e familiari il sorgere dell’ attività e del bisogno che diconsi altruistici. Al certo esse ne sono una delle fonti più copiose; ma in nessun’ altra for- mazione psichica meglio che in questa si rivela la pluralità delle cause; e in nessun’altra apparisce meglio che in questa la possibilità di ridurle ad una sola. Più vasta e più generale sorgente di altruismo è la convivenza degl’individui e i benefizi che ciascuno ricava dall’esistenza e dalle azioni altrui. L'efficacia delle relazioni sessuali, famigliari e paren- tali è un caso più particolare dell’ efficacia della convivenza e dei godimenti, che si ottengono da altri esseri conviventi salvo quella parte dell’ affetto parentale che si deve essa stessa all’ altruismo sociale preesistente o si asconde tuttora nei recessi dell’ ignoto biologico. La riprova induttiva, chiara, limpida e incontrastabile dell’ affermazione che l’altruismo può esistere senza questa seconda e più speciale efficacia, sta nel fatto che vi sono animali che mentre sono tra i più socievoli altruistici, non conoscono i figli e non hanno famiglia, come le formiche. E dall’ altra parte sta nel fatto che vi sono animali, che, mentre sono tra i più gelosi e più amo- revoli per i figli, non manifestano alcun sentimento altruistico per i loro simili, come i felini. Ritorniamo dunque alla convivenza. Per effetto di questa può sorgere e sorge, come vedemmo, la facoltà simpatetica e il senti- mento sociale. Da entrambe queste qualità psichiche si genera Vattività altruistica nel suo stato più puro. La simpatia non porta come sua prima ed immediata conse- guenza l’atto altruistico, cioè quello che tende a procurare consa- pevolmente un piacere ad altri ovvero ad alleviargli un dolore; ma, come abbiamo veduto più sopra, produce la regolazione degli atti proprii a scopo egoistico. Se B ha scorto prima di A la preda 0 la femmina o il nemico e manifesta la sua emozione, A proverà la medesima emozione e quindi la medesima tendenza ad occorrere o a fuggire, cioè a conseguire uno scopo egoistico. È il primo grado della facoltà simpatetica, associato a rappresentazioni, concrete o vaghe, di cibo, femmine, nemici, pericoli CROSLI, e non può menare ad altro che ad una regolazione. Spesso, anzi, esso mena alla lotta e ad atti che sono contrarii all’altruismo. Così, per es., se B manifesta un’emozione piacevole, per avere trovato una femmina o del cibo, A sarà spinto ad accor- rere anche lui per provare la medesima gioia effettiva (e non sola- mente quella simpatetica o ideale), e se ’oggetto è scarso e insufficiente od unico ed esclusivo, se cioè A si sente privo della cosa di cui SOCIOLOGIA ZOOLOGICA 475 l’altro gode od ha goduto, al primo ed incipiente piacere simpate- tico succederà il dolore della privazione e si avrà 1’ invidia così stupendamente definita dallo Spinoza: e vi possono essere anche botte da orbi, come sugli alberi dove sono accorse troppe scimmie a divorare le noci deliziose. Così pure, se A sente un grido che gli risveglia l’idea del dolore e un principio di dolore, ben diverso dal dolore effettivo, sarà spinto ad osservare se non vi sia qualcosa che possa offendere effettivamente anche lui e, nel caso di pericolo o di segni troppo gravi, a scap- pare, siccome fanno, al grido di morte di una loro compagna, le scimmie. Ma vi ha dippiù: se nulla vi ha che possa _ offen- derlo ed egli si sente immune dal dolore effettivo, al primo ed incipiente dolore simpatetico succederà una soddisfazione che lo distrugge, quella del sentirsi illeso mentre altri soffre, qualcosa di simile alla malignità che brilla talvolta anco negli occhi dei nostri bambini. Resta dunque luminosamente dimostrato che il primo effetto della facoltà simpatetica non è l’altruismo, è una regolazione passiva egoistica. Ma, si dice : le grida o l’espressione dolorosa di B possono continuare, e può anche continuare la loro rappresentazione o memoria e con essa l’emozione simpatetica: per sottrarsi a questo dolore simpatetico A presterà il soccorso. Ma qui si sottintende un mondo di cose, che sono essenziali e che bisogna esplicitamente spiegare. Si sottintende, pria di tutto, che B non sia un nemico. Chè se tale ei fosse, ecciterebbe un sentimento più profondo e più antico, che noi abbiamo già incontrato nella serie dell’emozioni individuali nel Sruppo relativo alla lotta, cioè odio. Or il dolore e la distru- zione dell’individuo odiato produce piacere. È tutto il contrario di quel che si richiede per la produzione dell’atto altruistico. È dunque neces- sario che la simpatia si riferisca ad un essere alla cui idea non è associata quella di lotta nè il sentimento di odio. Or per l’ appunto la simpatia nascé tra esseri che convivono assiduamente ed in cui si forma simultaneamente il sentimento sociale e poi lamore. Ebbene, un oggetto di sentimento sociale e d’ amore si trova in condizioni affatto opposte a quelle di un essere odiato: i segni della sua distru- zione od immobilità od impotenza, sono dolorosi; piacevoli quelli della sua esistenza e della sua conservazione. In tal caso l’impulso altruistico nasce necessariamente e, se le altre condizioni si veri- ficano, determina l’azione. Così simpatia e sentimento sociale vengono quasi sempre ad opé- rare di conserva. Senza la simpatia, amore sarebbe negli animali infecondo, perchè essi non comprenderebbero l’espressione del desi-' derio o del dolore altrui o non fisserebbero sopra di esso la propria 476 ASTURARO attenzione : per vincere, almeno qualche volta, il loro egoismo la natura doveva imporre loro una partecipazione involontaria ai senti- menti altrui. Senza il sentimento sociale e l’amore, la simpatia non avrebbe nella maggior parte dei ‘casi alcun risultato altruistico. Ma ancora altre cose si sottintendono. Per prestare il soccorso un animale deve trovarsi in condizioni affatto speciali. Se, per es., egli è affamato, è assurdo il pensare che il dolore simpatetico della fame altrui lo spinga ad un atto altruistico, cioè vinca il dolore reale ed effettivo della fame propria; s’egli ha paura irresistibile di una belva, è assurdo il pensare che corra in aiuto del compagno aggredito da quella. È necessario dunque che certi suoi bisogni sieno già soddisfatti e che la rinuncia ch’egli fa per appagare il suo bisogno altruistico non superi certi limiti, purtroppo ristretti, di cui non è qui il luogo di trattare. Si sottintende ancora ch’ egli abbia fatto un’esperienza dei mezzi efficaci per operare sugli altri e soddisfare i loro bisogni. Or questa esperienza è una delle più complesse che un animale possa fare, onde a lui è assai più facile sentire il bisogno di soccorrere che prestare il soccorso effettivo. Anche per questo rispetto l’attività altruistica vien dopo, molto dopo dei processi regolativi. Ma i rapporti dei due fenomeni saranno oggetto di apposito esame. La simpatia e il sentimento sociale producono l’altruismo nella sua forma pura, disinteressata; vale a dire, generano non sempli- cemente l’atto altruistico (cioè avente per risultato il bene altrui), ma anche l’ impulso altruistico '). Però la descrizione di questo nuovo gruppo di fenomeni deve abbracciare anche 1’ atto altruistico in quanto determinati da impulsi egoistici, vale a dire, i termini medî che congiungono il puro egoismo al puro altruismo. Anzi da questo avremmo dovuto, rigorosamente, incominciare. Tralasciamo quegli atti, che sebbene riescano utili ad altri, sono provocati dall’ egoismo senza alcun pensiero di quel risultato e senz’ alcun riguardo ad altri. A questa categoria appartengono parecchi dei casi che una volta si citavano (cosa curiosa!) come emananti dall’ altruismo, per es., il mondarsi che fanno le scimmie dai parassiti allo scopo di mangiarseli ; il liberare dal miele, come fanno le api, una compagna imbrattata, leccandoselo saporitamente! ) È forse inutile avvertire che l’esistenza dell’ impulso altruistico non contradice al procedimento normale del volere, che è quello di cercare il piacere e sfuggire il dolore proprio. Perchè esista l’impulso altruistico basta che il piacere o dolore proprio sia determinato dai segni del piacere 0 dolore altrui. SOCIOLOGIA ZOOLOGICA 477 Ma non possiamo trascurare una serie di casi in cui, l’esistenza e la vitalità di altri essendo associata come antecedente o come mezzo al piacere proprio, l’animale compie atti tendenti a conser- vare, mediante quella, il piacere proprio. Tali sono le carezze alla femmina per conquistarla; le cure, Vassistenza e la difesa che il maschio presta alla sua compagna, fonte per lui di grandi godi- menti; gli aiuti che si porgono le operaie in lavori utili a ciascuna; l'assistenza alle compagne inferme o ubbriache o momentaneamente impotenti, la cui temporanea incapacità è sentita da ciascuno come un male, perchè scema il numero dei cooperanti; e infine le pre- mure verso il capo del branco, dalla cui utile direzione e dal cui coraggio ciascuno dipenda, e senza di cui ciascuno si sente perduto. Ebbene una semplice trasformazione di mezzi in fini, cioè una forma speciale di associazione psichica, basta a farci passare all’ altruismo vero e proprio. Senonchè negli animali questa trasfor- mazione non concerne l’ atto stesso. A loro è stata negata non solo la intelligenza e la forza di astrazione necessaria, ma la stessa frequenza di occasioni propizie perchè dopo un certo numero di atti tendenti al bene altrui, ma ispirati da bisogni propri, atto del beneficare si associ al piacere proprio e diventi per sè stesso piace- vole. Essa ha dato invece splendidi risultati nella vita sociale umana, dove la pubblica opinione, i premi, le ricompense, la reli- gione stessa hanno creato sempre nuovi legami tra l’atto benefico e il piacere proprio dell’ agente. La trasformazione del mezzo in fine negli animali avviene rela- tivamente alla esistenza ed alla conservazione altrui. Se questa è fonte di piaceri determinati per I’ individuo, com’è l’esistenza della femmina per il maschio, del compagno per gli altri individui coope- ranti, del capo per i membri del suo branco, e via discorrendo; da una parte si avrà un processo interessato che tende a conser- varla nel proprio interesse; ma dall’altra parte quell’ esistenza e quella conservazione si associeranno progressivamente col piacere ed alla fine saran desiderate per sè stesse; da mezzi diverranno fini; daranno luogo all’ amore. E questo darà impulso altruistico all’ atto altruistico. È ben inteso che l’uno e l’altro processo saranno tanto più forti quanto più intimi sono i legami di convivenza e quanto più intensa ed assidua è la cooperazione e solidarietà degli individui. È bello il considerare come quel sentimento amorevole può assu- mere svariate forme, e tutte sono casi di un’unica forma d’ associa- zione psichica (per contiguità) cioè discendono da un’ unica legge. L’affetto che persiste talora dopo l’epoca degli amori per la fem-. mina, quello per i genitori dopo il divvezzamento, quello per i 478 ASTURARO compagni di produzione e di difesa, quello dell’individuo beneficato per il suo benefattore discendono tutti dall’ associaziozione psichica che si stabilisce tra il piacere e l’idea di colui che lo ha cagionato. Ma esiste poi veramente negli animali questo impulso altruistico, prodotto dal sentimento testè descritto e dalla simpatia? Molti fatti non ci permettono di dubitarne. Ricordiamo, tra tanti, il babbuino celebrato dal Darwin, che ritorna per salvare un piccino, già circondato dai cani; i pellicani che alimentano i compagni ciechi o affamati; le api e le formiche che trasportano e curano le compagne ubbriache o malandate; i pappagalli che allevano piccoli orfani; le scimmie che difendono coraggiosamente le deboli creature da loro adottate, le morse e le vacche marine, che difendono e soccorrono i compagni feriti col pericolo della propria vita. Pure è troppo raro e scarso, e non riesce quasi mai a vincere, almeno in parte, gl’ impulsi più fondamentali, la fame e 1 amore; onde noi non possiamo osservarlo chiaramente che non dove il sacri- ficio o la rinuncia ch’esso implica, è motoria, cioè consiste in uno sforzo muscolare, o tutt'al più, concerne il bisogno della sicurezza e l’idea del pericolo. Rapporti tra i due nuovi gruppi di attività. Anco se consideriamo l’altruismo nella sua forma pura, cioè come proveniente da un sentimento amorevole o dalla simpatia, o dalla cooperazione di entrambi questi fattori, chiaro apparisce ch? esso è meno forte e meno urgente di qualsivoglia tendenza appartenente al gruppo regolativo; è meno generale e meno frequente di questi ; e, come già accennammo, più complesso e più difficile ad attuarsi. I fatti lo confermano pienamente; perchè, mentre tutti gli animali che manifestano o ci lasciano inferire impulsi altruistici, sanno anche dominare, imitare, regolarsi e regolare, vi sono invece non poche specie che mentre ci presentano i fenomeni regolativi, non danno indizio alcuno d’altruismo: e tra queste non sono soltanto la massima parte dei pesci che vivono in frotte, tra cui il Romanes non ha potuto scorgere alcun vestigio di altruismo; ma persino certe specie di formiche che, secondo il Lubboeck non mostrano alcun segno di reciproco affetto, mentre noi sappiamo che al pari di tutte le altre specie dello stesso genere, esse hanno mirabil- tnente sviluppati gl’ istinti regolativi. È Senonchè tutti questi rapporti, urgenza, generalità, complessità. frequenza, sono secondarii, sebbene più che sufficienti alla serialità. Esistono anche i rapporti primarii o causali ? SOCIOLOGIA ZOOLOGICA 479 È molto ditficile lo scorgerli : tanto s’intrecciano i gruppi di fatti. Inoltre i fatti regolativi sono di specie diverse e bisogna considerarli uno per uno. Uno sforzo supremo dell’ analisi è necessario. ‘ L’attività altruistica sarà da noi considerata, nel suo duplice aspetto, e come avente uno scopo (egoistico) e come determinata dall’impulso altruistico. E sarà confrontata con ciascuna delle at- tività appartenenti al gruppo regolativo. Cominciamo dal dominio del più forte e dalla subordinazione del più debole. Il rendere gli altri momentaneamente o permanente- mente sottomessi ai proprii desiderii non ha niente da fare con 1’ al- truismo; anzi si potrebbe porlo addirittura tra i fenomeni inter- individuali e inserirlo nella serie delle attività degli animali isolati, se la vita in comune non fosse necessaria, in quanto fornisce agl’ indi- vidui sufficienti occasioni di misurare le loro forze. Indubbiamente e ineontrastabilmente quest’ attività ha le sue condizioni e le sue cause sufficienti nei bisogni, nelle attività volontarie e nella forza del dominatore, senza che l’altruismo ci entri per nulla. D'altra parte se noi prendiamo le mosse dall’altruismo e soltanto dall’altruismo, se cioè supponiamo un individuo puramente e semplicemente altruista, non arriveremo mai per deduzione al suo dominio brutale, ma ad un altro fenomeno, che esamineremo in seguito. Tutt’al contrario, se noi partiamo dalla relazione tra il più forte, che domina, e il più debole, che è dominato, possiamo ottenere come conseguenza od effetto un principio di attività altruistica, così nella sua forma interessata come in quella disinteressata, e così dal lato teleologico, come da quello condizionale. Infatti chi domina ottiene, come ve- demmo, molteplici vantaggi dalla sua supremazia, ed ha interesse perchè il suo soggetto viva, si mova, eseguisca, cioè si conservi, e per questo motivo interessato può fargli del bene. Dall’altra banda la sottomissione del soggetto, la sua passiva e abituale inibizione, la sua incapacità di offenderlo, infine la condiscendenza a soddisfare i desideri di. lui, faranno associare nella psiche del dominatore l’idea del piacere all’idea del soggetto, cioè creeranno ‘in lui un principio di amore e di generosità e quindi l’impulso altruistico. Questo corollario della legge d’ associazione per contignità do- vette balenare alla mente di H. Spencer, allorchè parlando delle società umane enunciò, come una legge, che conseguenza del dispo- tismo è la generosità (non la giustizia). Al certo ce ne danno una riprova incontestabile le scimmie, prepotenti e dominatrici (Brehm) anche con i piccoli animali che adottano, ed a cui vogliono del bene a patto che questi siano sottomessi ad ogni loro capriccio e spesso alle loro torture. Indubbiamente la benevolenza per gli animali adottati non fornisce alcuna causa o condizione, nè contribuisce 480 ASTURARO menomamente alla prepotenza ch’esse esercitano; tutt'al contrario, il vederli inoffensivi, sottomessi, condiscendenti in tutto e per tutto, concorre (coi sentimenti sociali) a formare la benevolenza verso di loro. i Viceversa il dominato compie atti benefici verso il suo domina- tore, per un motivo interessato, ch’è il timore, il desiderio di ren- derselo proprizio, la speranza di difesa o protezione; ed alcuni di questi atti, divenendo alla fine abituali, non si distingueranno più da quelli disinteressati. Tra le scimmie, dice il Brehm, il capo non è soltanto obbedito, ma accarezzato continuamente per la sua potenza. Non di rado le femmine stesse si adoperano in tutti è modi a procurargli quelle cose che possono essere gradite ad una scimmia. Da questo fenomeno il sociologo deve con un’ abile e delicata operazione distinguere un altro, ch’ è molto spesso congiunto al primo e costantemente là dov’ esistono relazioni famigliari. La madre che alleva i figli, il padre poligamo che ha simpatia ed amore per le sue femmine e i suoi piccoli, e fors’ anche il duce di una schiera di animali elevati possono talvolta servirsi della loro forza e del timore che incutono, per far compiere ai soggetti atti a loro utili e più ancora per impedire atti a loro dannosi. Alcuni fatti che ci sono attestati dai naturalisti e che possono cader anche sotto i nostri occhi, non sono interpretabili altrimenti. È l’amore che in questi casi si serve della forza. Siamo dinnanzi ad una reazione dell’ altruismo. Quest’ altra manifestazione dell’ attività dominatrice presuppone dunque e il dominio e 1’ altruismo; non è più il semplice dominio del forte come tale. Questo è prima: poi l’altruismo; poi la reazione dell’altruismo sul dominio. I tre termini formano una serie incontrastabile. Consideriamo ora | imitazione e la regolazione passiva. Anche questi processi volontarì hanno, come vedemmo, le loro cause suf- ficienti al di fuori dell’ altruismo. E ciò è tanto vero che i loro rudimenti possono esistere fuori della stessa vita sociale. Inoltre se noi partissimo dal bisogno di beneficare altri, non arriveremmo mai nè condizionalmente nè teleologicamente a dedurne quei processi : infatti A non imita B nè si regola su B perchè vuole beneficarlo 0 con lo scopo di compiere meglio un atto benefico verso di lui. Tutt’ al contrario, A imitando o seguendo i segnali di 5, riceve egli stesso un vantaggio, che senza B non riceverebbe; e questo vantaggio può avere conseguenze di natura altruistica. Infatti la lunga esperienza può insegnare ad A che la presenza, la vita e il buono stato di B gli è utile. Molti animali si sparpagliano, fuggono, son presi da timor panico, non appena viene ucciso il loro duce: tanto sentono vivamente il bisogno della sua esistenza. Se così è, SOCIOLOG. ZOOLOGICA 481 A potrebbe aiutare, curare, difendere B consapevolmente per l'utilità che ne ricava. Ma quella stessa esperienza può menare all’ impulso altruistico, cioè far associare immediatamente 1’ idea del piacere all’ idea di 5, il quale diverrà oggetto di un affetto disinteressato. Si ricordi infatti che vi sono animali, come le vigogne, che com- piono atti d’ insolita premura verso il loro duce (Brehm). — Là dove tutti compiono scambievolmente e successivamente 1’ ufficio di regolatore, per tutti tende a crearsi una dose di affetto, dovuta appunto a questo reciproco beneficio. — Adunque, mentre l’ altrui- smo non concorre menomamente, come causa, alla produzione dell’imitazione e della regolazione passiva, queste sono una delle cause concorrenti dell’ altruismo. Consideriamo infine la regolazione attiva, che l'individuo può esercitare su altri. È il più complesso dei fenomeni del gruppo regolativo, sinora descritti e costituisce un’attività veramente nuova e veramente sociale. Noi non ci eravamo ancora fermati su di esso, per non ammassare soverchiamente e ad un tratto nella mente del lettore gli elementi della nostra analisi. L’animale ordinariamente ed originariamente emette il segno del cibo, del pericolo, della sicurezza, involontariamente, per la corrispon- denza che vi ha tra V’emozione e i moti muscolari in cui energia si scarica. Ma gli altri intendono quel segno; in essi si destano per l’asso- ciazione psichica le stessa emozione e le stesse rappresentazioni. Così essi si regolano. Ma può anche l’individuo emettere o ripetere quel segno volontariamente, perchè desidera o si aspetta che i compagni accorrano o fuggano o si rassicurino o prendano una determinata direzione? Moltissimi fatti, tra cui alcuni possono cadere anche sotto ai nostri occhi, non sono suscettibili di altra esplicazione. Ebbene essi sono gli omologhi, i veri omologhi della direzione che esercita l’uomo sull’ uomo. In che rapporti stanno con l’altruismo? È il punto più delicato dell’attuale nostra analisi. Come un uomo, che coopera con altri ad un fine comune e senza questi altri non potrebbe riuscire nel suo intento egoistico, sente il bisogno di far loro seguire la via ch’ egli crede più atile, ed essendo il più abile, di farsi imitare, e quindi li regola nel suo stesso interesse; così un animale può richiamare a sè col suo grido speciale i membri del suo branco o della sua famiglia, là dov'è il cibo o la sicurezza (e si noti che là dov’ è un oggetto di godimento esclusivo, la femmina, non li chiama mai), e persino dirigere i loro movimenti, per es., in un assalto, come fanno le formiche stesse, senza alcun motivo altruistico. Ecco infatti una serie di motivi, per cui egli può farsi seguire e dirigere. Senza la loro compagnia egli non si sente sieuro. Senza di essi non può carpire la preda. Il richiamarli Riv, DI BIOLOGIA GENERALE, III. - sl 462 ASTURARO dove abbonda il miele o il frumento aumenterà la provvista sociale, ai cui vantaggi egli stesso partecipa. In quel branco sono le sue femmine o i suoi soggetti, fonti di piacere per lui, ed egli desidera che non si allontanino. Certi determinati movimenti dei compagni sono quelli che 1 esperienza ha mostrato utili per la riuscita della spedizione, dell’impresa, dell’assalto, della difesa, della vigi- lanza, ed egli desidera che siano compiuti. Si ricordino gli atti che fanno a tale scopo gli ufficiali tra le formiche in movimento ; i capi degli elefanti ecc. In questo ultimo caso la regolazione concerne la cooperazione e quindi assume una complessità molto maggiore. Vi è dunque una regolazione attiva che non si fonda sull’ al- truismo. Tutt’al contrario, essa può divenire sorgente di affetto e di altruismo negli individui regolati verso colui che li regola, e, là dove ciascuna adempie, a seconda della situazione, a questo ufficio, in ciascuno verso di tutti. i Ma ecco l’intreccio e la complicazione. Se la famiglia o altruismo od entrambi sono sorti, l’individuo può dare ad altri il segnale rego- latore (che indica il cibo o il pericolo o la sicurezza o il movimento da seguire) per la simpatia e 1’ affetto che ha verso di loro. Così la madre ai figli; il maschio poligamo al suo harem, il duce di ani- mali elevati all’ intiero branco. Ma evidentemente è questa una manifestazione complessa, analoga (sebbene più elevata) a quella che gia rilevammo per il dominio. Essa deve separarsi e distinguersi, mercè una delicatissima operazione, dalla regolazione egoistica. Quanto importi una simile distinzione per districare enorme matassa delle attività sociali umane, si vedrà a suo tempo. È chiaro intanto che nel gruppo puramente regolativo delle attività animali va posta, per ora, soltanto la manifestazione egoistica. È tempo di conchiudere. Vi è um minimun di fenomeni regolativi che non dipende menomamente dai fatti altruistici e viene prima di un minimun d’ altruismo, del quale non solamente è più generale e più frequente e più urgente e più semplice, ma deve considerarsi come una delle cause, e non già come un effetto. Importantissima nella maggior parte dei casi, sebbene difticilis- sima a districarsi, è la reazione che vi esercita l’altruismo. Ma di questa come delle altre reazioni altruistiche parleremo a suo tempo, per come l’esigenze del metodo ci prescrivono. Ed ora ripigliamo il nostro compito. Ciò che abbiamo detto in questo capitolo doveva servire principalmente a facilitare la nostra esposizione. Si tratta ancora di vedere quali trasfor- mazioni subiscano socialmente gli atti della serie individuale ; se e quali altre attività e modalità volontarie si formino in SOCIOLOGIA ZOOLOGICA 483 conseguenza; che cosa avvenga delle nuove attività di cui abbiamo testè discorso ; in che rapporto stieno quelle con queste; si tratta insomma di costruire l’intiera serie delle attività degli animali associati e dei fenomeni sociali che ne risultano. CapPo III. La serie dei bisogni e delle attività volontarie negli animali associati e dei fenomeni sociali che ne risultano. I bisogni individuali studiati nel cap. 1 non cessano mai di esistere. Ma molti degli atti ad essi relativi divengono collettivi, od anche, mercè la combinazione, la cooperazione e la divisione del lavoro, sociali. E ciò per effetto della convivenza continuata e divenuta abituale. Or anche questi atti ed i fenomeni sociali che ne risultano formano una serie, cioè hanno tra loro rapporti di dipendenza causale? E in che rapporto staranno con i due gruppi seriali del capitolo precedente ? Esiste una serie unica ? È ciò che stiamo per indagare. È naturale che anche qui, e qui pria di tutto, molte difficoltà si presentino. A prevenirne alcune, credo utile qualche avvertenza circa il rapporto teleologico. 1. Se noi paragoniamo un fenomeno sociale con un altro feno- meno sociale, considerandoli entrambi nel loro complesso ed obbietti- vamente, il rapporto teleologico diretto e consapevole non può più esistere, ma soltanto quello indiretto ed inconscio. Così, per es., se diciamo che la difesa collettiva serve alla produzione collettiva, e la regolazione sociale ad entrambe, questa parola non può inten- dersi in significato diverso da quello in cui diciamo, per es., che la funzione del sistema nervoso serve alla nutrizione od alla locomozione. 2. Il vero rapporto teleologico diretto e consciente non può trovarsi se non tra l’atto, con cui individuo contribuisce al feno- meno collettivo o sociale, per es. alla difesa collettiva, e i suoi bisogni individuali, per es. quello di nutrirsi o riprodursi o conser- varsi. Or è questo il vero rapporto esplicativo. E poco importa se questa spiegazione valga solo. per il cominciamento, mentre in seguito il fenomeno diviene istintivo ed inconscio; perchè è appunto il cominciamento che la sociologia zoologica deve spiegare, facendo astrazione dai processi che fissano i risultati (eredità, selezione ecc.). 484 ASTURARO 3. Qualcuna delle attività individuali può in qualche specie di società animali non dar luogo ad alcun fenomeno sociale. In tal caso il rapporto teleologico, diretto e indiretto, esiste sempre, e si trova tra l’attività sociale o atto con cui ciascuno vi contri- buisce, e i fini più fondamentali degli individui. Così, per es., se in una società di animali ciascuno cercasse il cibo per conto suo, ma la difesa fosse collettiva, un rapporto causale sussisterebbe sempre, ma sarebbe tra la difesa collettiva od anche tra l’atto con cui ciascun individuo vi contribuisce, e il bisogno che ciascuno ha di nutrirsi € di scansare il dolore. Considerazioni affini, se non identiche, occorreranno circa il rapporto condizionale. Universalmente e necessariamente fondamen- tali per rispetto a ciascun fenomeno sociale non sono dunque i fenomeni sociali della classe precedente, ma i motivi o bisogni individuali dell’ordine precedente. Ed ora entriamo nell’ argomento. I. — Produzione collettiva e sociale. — La convivenza non trasforma un animale, il cui bisogno e la cui attività più fondamentale è di nutrirsi, in un essere sostanzialmente diverso, il cui bisogno e la cui attività più fondamentale sia differente. Quando la convivenza sia continua e abituale, cioè dia luogo alla vita gregaria o sociale. può però far sì che gli atti o alcuni degli atti, onde l’animale cerca soddisfare il bisogno di nutrirsi, si modi- fichino, si complichino, divengano elemento di qualche fenomeno collettivo o sociale. Or anche questi fenomeni collettivi o sociali, relativi alla produzione ; sono fondamentali per rispetto alle altre classi di fenomeni collettivi o sociali ? Chiariamo, pria di tutto, in che consistano. La migrazione verso luoghi più adatti alla ricerca del cibo 0 più abbondanti di preda o di pascoli; la caccia in massa; la deva- stazione di una piantagione; lo sfruttamento di un boschetto; il deposito delle provviste, fatte dai singoli, in un medesimo luogo : escavazione di una tana, di una quercia, di una vasca: ecco altrettanti fatti, molto frequenti, di produzione animale, @ cui prendono parte tutti i membri dell’ aggregazione e che perciò noi chiamiamo semplicemente collettivi, in quanto che ciascun individuo fa quel che avrebbe fatto ed ottenuto od è solito di fare e di otte- nere da sè solo, quantunque possa nascere un risultato maggiore 0 più utile dall’ unione degli sforzi. Ma ben presto apparisce la cooperazione vera e propria con divisione del lavoro, cioè fenomeni, che, per distinguerli dai precedenti, chiameremo sociali in senso stretto e per cui l’individuo fa ed ottiene ciò che non sarebbe stato capace di fare ed ottenere da solo, Ce ne danno esempî perfetti le SOCIOLOGIA ZOOLOGICA US società delle formiche e delle api, dei castori, dei cinocefali e via discorrendo; ma essi s’ incontrano anche nella semplice gregarietà e talvolta in animali che di sociale non han che Vistinto. Gl’ indi- vidui uniscono i loro sforzi per aggredire un animale che nessuno di essi sarebbe capace di affrontare o cacciare da solo, come i cani, i lupi, le lontre, o per alzare una grossa pietra per cercarvi gli insetti nascosti, come i cinocefali, o per costruire grandi dighe come i castori ecc., ecc. E talvolta si vedono sorgere associazioni puramente produttive e durare finchè il lavoro è compiuto, e lo scopo è raggiunto ; mirabilmente analoghe a certe associazioni pura- mente economiche degli uomini. Notevolissimo è anche il fatto che animali ricalcitranti ai vincoli sociali, come i leoni, si uniscono in certi determinati tempi e luoghi per cooperare nella caccia, nel numero di 10 a 15. In queste associazioni puramente produttive ogni altro fenomeno sociale è assente. Ebbene a spiegare la produzione collettiva e quella sociale nessuno si sognerebbe di ricorrere a fenomeni collettivi o sociali di difesa o di riproduzione, tanto meno a giochi sociali (meno ancora a fatti sociali di curiosità che presso gli animali non esistono). Inoltre noi non abbiamo bisogno, per ispiegare questi fatti, di ricorrere ad altri bisogni assoluti degl’ individui, cioè ad altre attività-fini; nè alla riproduzione, nè alla combattività per odio, nè al giuoco, nè all’ altruismo, nè alla curiosità. Ciò è evidente. I fenomeni collettivi di produzione sono una mera somma degli atti individuali di produzione, compiuti simultaneamente per sem- ‘plice effetto del fatto del convivere. La cooperazione poi, e la divi- sione del lavoro nella produzione non presuppongono altro che la convivenza, le qualità psichiche individuali, tra cui un certo grado d’intelligenza ossia di associazione psichica, il bisogno individuale della nutrizione servito da certe attività-mezzi, anch’esse individuali, e infine (elemento caratteristico) 1’ esperienza dei risultati utili otte- nuti nella convivenza dal compiere un atto mentre altri ne compie un altro diverso, ma tendente allo stesso scopo, per es. dall’andare incontro alla preda mentre altri la persegue di dietro, come fanno le lontre, o dal tenere per un capo un tronco d’ albero mentre altri lo sostiene dal capo opposto, come i castori, o dall’ alzare per un verso una grossa pietra, che altri simultaneamente cercano di solle- vare, dal canto loro, come i cinocefali, o dal far cadere le fogliuzze, mentre altri le raccolgono, come le formiche, e via discorrendo. La rappresentazione del risultato utile e del piacere ottenuto resta associata a quella dall’atto, sia pur dapprima casualmente compiuto. In altri termini la cooperazione è deducibile, data la convivenza e il bisogno più fondamentale degli individui, dalle leggi psicolo- giche. 436 ASTURARI) Or tutto questo basta a convincerci che la produzione collettiva o sociale è un fenomeno fondamentale. Ma non resta con ciò escluso che altri fenomeni collettivi o sociali siano del pari fondamentali. È dunque il seguito delle nostre deduzioni, confermate dall’ indu- zione, quello che potrà dimostrare perentoriamente essere la produ- zione collettiva il fenomeno più fondamentale di tutti. Ad impedire un grave errore, giova intanto ricordare che la convivenza opera su animali che sono forniti non del semplice bisogno nutritivo, ma di quel bisogno servito da alcune attività-mezzi, quali sono l’inibizione verso i propri simili, e l'osservazione volon- taria. Or è chiaro che senza un’inibizione reciproca, per quanto tempo- ranea, se non altro quella del mangiarsi a vicenda, nessuna produ- zione collettiva o sociale è possibile, e senza 1’ osservazione volon- taria nessun modo di produzione può fissarsi. In altri termini, chiamando a, d, c...i bisogni individuali, @’ bd’ e... le attività individuali ed A, B, C, i fenomeni collettivi o sociali, è chiaro che a produrre A contribuisce ciascun individuo, non come fornito del semplice bisogno a, ma come capace anche di servirsi dei mezzi bV e e’, in altri termini come un complesso a (a’ bd’ e’). È questa. situazione quella che gitta tanti pensatori nel confusionismo e li mena a negare la serialità dei fenomeni sociali. Essi dicono : se « spiegare la produzione sociale entra anche 1’ inibizione e 1’ osserva- zione, facoltà più elevate della nutrizione, dunque serialità non esiste, ma solo reciproca causalità (che equivale a confusione). E non pensano ch’ essi paragonano termini eterogenei. La produ- zione sociale è fenomeno sociale : 1 inibizione e 1 osservazione individuale sono fenomeni individuali. La serialità non ne discapita nè punto nè poco : essa continua ad esistere tra a, d, c,; e continua pure tra A, B, 0. Perchè venisse meno, sarebbe necessario che la produzione sociale dipendesse anche dalla difesa sociale o da altro fenomeno sociale, che cioè A dipendesse anche da £ o C. Ma se, come realmente accade, B dipende da A, e C da £, nulla importa che A sia un risultato di a (a’ d e’), ripetuto tante volte quanti sono gl’ individui. Inoltre essi non pensano ad un’ altra eterogeneità. Qui si tratta di %’ e’... come semplici mezzi del bisogno a; non già dei rispettivi fini o bisogni assoluti. Chè se noi nello spiegare la produzione collettiva o sociale A e propriamente il minimun del fenomeno, volessimo ricorrere, poniamo al bisogno o di lottare per odio o di giuocare o di curiosare insomma ad un bisogno superiore; non solamente la serialità, ma la scienza stessa se ne andrebbe in fumo. Ed ora che ci troviamo, faremo ancora un’ altra avvertenza non più contro i confusionari, ma contro i loro opposti, i semplicisti. SOCIOLOGIA ZOOLOGICA 4ST Come abbiamo veduto, ai mezzi testè indicati altri se ne aggiun- gono per effetto della convivenza : 1’ imitazione, la regolazione, il dominio. Anche questi, una volta sorti, servono all’ individuo per meglio soddisfare il bisogno della nutrizione. Ebbene, verrà un momento nella nostra spiegazione sociologica progressiva, che bisogna tener conto anche di questi mezzi elevati per spiegare la produzione sociale nella sua piena e concreta realtà. Infatti in ogni aggrega- zione o società animale, dove esistono fenomeni di produzione collettiva, se i piccoli e i nuovi nati non imitassero gli adulti e non si regolassero su di loro, ma dovessero rifare da capo l’esperienze necessarie; se le variazioni utili introdotte da alcuni individui non fossero immediatamente seguite da tutti gli altri; se la notizia del cibo o .la scoperta di oggetti utili non si propagassero immediata- mente da un capo all’altro dell’aggregato; se i più adulti e più esperti o i capi, non imponessero certi atti : la produzione sarebbe ridotta ad un minimum, troppo lontano dallo stato in cui la troviamo attualmente. Vero è che a questo minimum può per ora arrestarsi il nostro esame generico ed astratto. II. — La Riproduzione negli animali gregarii, e î correlativi fenomeni collettivi o sociali. Gli atti relativi alla riproduzione rimangono per lo più assolutamente individuali. Spessissimo poi il bisogno sessuale dissolve l'aggregazione: i maschi lottano tra loro per le femmine e la convivenza si ripiglia dopo il periodo degli amori, e, se vi ha allattamento, dopo di questi. In tali casi, cessata la vita sociale, cessa anche la serie sociale. Altre volte l’ aggregato non si dissolve ma ciascuna coppia si riproduce per conto suo ed alleva i figli indipendentemente dagli altri ; nessuna attività collettiva nè sociale ne nasce. Potremmo dunque saltare la riproduzione, come quella che non si presenta omogeneamente alle altre attività sociali, se due ragioni non ci costringessero a tenerne conto. La prima è che, anche quando essa rimane fenomeno assolutamente individuale (senza però dis- solvere 1 aggregazione, chè in tal caso ogni serie cessa), può provocare al suo servigio fenomeni sociali, per esempio, di difesa. Giusta l’ avvertenza fatta a principio di questo capitolo, il rapporto teleologico si stabilisce allora tra questi fenomeni, per esempio la difesa collettiva, e il bisogno riproduttivo dei singoli. I cavalli, per es., difendono collettivamente le femmine, mentre ciascuno le possiede per sè. La seconda è che non mancano fenomeni collettivi e sociali che si riferiscano alla riproduzione. La convivenza può influire su di essa modificandone le modalità, e adattandola indirettamente e inconsapevolmente al fine della nutrizione e produzione sociale ; INS ASTURARO o creando delle inibizioni reciproche, per cui più maschi possono successivamente e pacificamente accoppiarsi ad una sola femmina, come è stato osservato tra gli orecchioni, od anche conservare ciascuno il possesso delle sue femmine, come avviene tra i cavalli (quantunque in questo già apparisca un altro fenomeno, la famiglia). Ma vi sono anche veri fenomeni collettivi e sociali. Tal’è l’ andare insieme alla ricerca di femmine e l’impadronirsene con le forze riunite; come dicesi dei bisonti e dei cavalli tartari; tal’ è la costruzione in comune dei nidi, presso alcuni uccelli, e, presso altri, la cooperazione nel covare ; tal’ è pure, fenomeno più importante di tutti, la cura e l’ allevamento in comune delle uova e delle larve. Ebbene i fenomeni di riproduzione in un’ aggregazione animale in che rapporto stanno con quelli della produzione ? Se gli uni e gli altri fossero individuali (caso non assolutamente impossibile, perchè in un aggregato animale potrebbe essere sociale solo la difesa), i rapporti sarebbero quelli stessi che già abbiamo incontrato nella serie individuale, e si ricordi che dei rapporti primarî si verifica solo quello condizionale. Se la produzione fosse collettiva o sociale, allora i fenomeni di ripro- duzione, sieno individuali o collettivi, dipenderebbero condizional- mente da quella, essendo evidente che dove gl’individui non possono vivere che mercè la produzione collettiva, questa è anche la conditio sine qua non perchè essi abbiano la quantità di energia neces- saria per riprodursi, per carpire le femmine, per allevare le larve, ecc. IL’ inverso non è menomamente ammissibile : la produzione collet- tiva in un’ aggregazione od in una società può continuare non solo senza fenomeni collettivi di riproduzione, ma anche nell’ ipotesi che tutti gli individui divengano ad un tratto sterili e privi di qualunque tendenza sessuale o riproduttiva. III. — Lotta collettiva e sociale; a) Contro individui nemici od estranei pericolosi. — Se un indi- viduo appartenente a specie nemica si affacci, od anche un estra- neo, magari della stessa specie, attenti alle vite individuali, alle provviste od ai prodotti sociali, alle femmine, alle uova, alle larve, possedute o custodite dalla comunità, tutti i membri gli si scaglieranno contro. È una difesa collettiva pura e semplice. Come un caso particolare di questo fatto dobbiamo qui conside- rare la reazione contro un nemico od estraneo, il quale minacci 0 aggredisca o ferisca un membro dell’ aggregazione animale, in quanto esso provoca il timore di tutti, ciascuno dei quali già l’odia e paventa come nemico, ovvero si rappresenta, si aspetta una aggressione contro di sè. Essi riescono a difendere il compagno, SOCIOLOGIA ZOOLOGICA 40) ma gli è perchè ciascuno sente il pericolo anche per sè medesimo. È teleologicamente una difesa collettiva, la quale ha per effetto la protezione di un individuo, e, quando sia divenuta abituale, di qualsiasi individuo del branco. In essa penetrerà, come vedremo, I altruismo e le darà un nuovo e ,più elevato carattere. Ma essa può esistere anche indipendentemente dall’ attività altruistica, e persino nell’ assenza di facoltà simpatetica. Ed ha il suo omologo nelle orde umane, dove costituisce uno dei fatti elementari e primordiali, da cui si sviluppa il diritto. Da collettivo il fenomeno della difesa contro nemici od estranei pericolosi diviene sociale, non appena gl’ individui abbiano appreso dall’ esperienza a dividersi le parti, a disporsi in un certo ordine, a formare cerchi, ecc., o quando esso si localizzi nei più abili, cioè nei più forti, negli adulti, nei maschi. Già sono evidenti i rapporti causali di queste lotte collettive con i fenomeni delle classi precedenti; ma, per brevità, li esporremo dopo aver considerato le altre forme di lotta collettiva. b) Contro individui pericolosi dello stesso aggregato. — Nella stessa condizione di un nemico od estraneo che attenti alla vita di un compa- gno od ai beni collettivi, si pone alla fin fine anche un membro dell’ag- gregato, il quale ne faccia tante e di così grosse, sia contro i com- pagni ovvero contro i beni comuni, da eccitare il timore e l’odio e la rivolta di tutti. Nel seno di ciascun branco, in verità, oltre certe inibizioni fonda- mentali, senza di cui è impossibile la permanenza della vita gregaria e la stessa produzione sociale, si creano altre inibizioni reciproche, relative alla nutrizione ed alla riproduzione, in seguito alle baruffe che per questi motivi avvengono continuamente. Queste inibizioni avranno un’ importanza molto maggiore tra gli uomini, dove costi- tuiscono una delle basi psicologiche primitive della coesione sociale. Pure esse non costituiscono mai un vero fenomeno sociale. Tra gli animali poi, per quelle baruffe domina, per così dire, il principio del non intervento, tranne in casi rarissimi, che son dovuti ad un eccitamento straordinario del bisogno della propria difesa e ad una delle reazioni dell’ altruismo che incontreremo appunto nell’ esami- nare queste reazioni. Duelli e zuffe tra individui sono avvenimenti di tutti i giorni e di tutte le ore nel seno dei branchi; ma nessun altro se ne preoccupa. Però, se‘un individuo diviene pericoloso a tutti, la cosa muta aspetto. Allora egli viene represso collettiva- mente : scacciato od ucciso. Potremmo cominciare col ricordare i volitanti o chirotteri, le cui femmine formano aggruppamenti nei nascondigli, e ne scacciano collettivamente qualunque maschio vi penetri, perchè esso ha il 490) ASTURARO vezzo di mangiarsi i piccoli: e molte altre specie e famiglia e classi, in cui le femmine ed i figli si aggregano a parte, respin- gendo i maschi, prepotenti e importuni. Tra i Siamanq (scimmie) un individuo del branco che siasi assentato per un certo tempo, ritornando, viene collettivamente ucciso o per lo meno scacciato. Gli elefanti respingono sempre lo straniero o chi siasi assentato ; ed anche le femmine prendono parte a questa difesa collettiva. Ogni . qualvolta un vecchio maschio tra le scimmie, si rende insopportabile, subisce la medesima pena: gli è anche per questo che se ne vedono moltissimi isolati. Lo stesso accade tra i buoi selvatici. Nelle nume- rosissime agglomerazioni di topi, i vecchi e ringhiosi sono messi al bando. In parecchie specie di scimmie il giovine che durante una spedizione o in procinto di saccheggiare emetta un grido, viene schiaffeggiato. I lupi, i cani ed altri animali si scagliano imme- diatamente contro l’ individuo ch’emette un grido, anche se ferito, perchè quel grido può mandare a monte la spedizione o richiamare qualche nemico. E basta. Non vi ha dubbio che in tutti questi casi vi ha difesa e repressione collettiva, come ben vide Enrico Ferri; e si deve anche supporre ch’ essa generi un principio d’ini- bizione, esercitata dalle collettività su l’individuo ; che cioè, per es., le piccole scimmie imparino a rattenere le grida per paura degli schiaffi. Evidentemente in questi casi 1’ altruismo non ci ha che vedere: si tratta di un interesse collettivo. 0, meglio, della somma degli interessi e degli sdegni individuali. Eppure è questo I’ omologo di uno dei fatti elementari più importanti del diritto; e bisogna ricor- darsene a tempo per isfuggire alcuni errori molto diffusi !). Questa repressione collettiva, per un motivo collettivo, è tra gli animali socievoli quasi generale e primitiva: immensamente più rara ed al certo posteriore è la repressione delle offese da individuo a indi- viduo, nel seno del branco. È possibile anche qui una localizza- zione negl’ individui più capaci di esercitare la difesa e la repres- sione ed il Ferri ritiene ch’essa si verifichi realmente. Anche di questo fenomeno sono già evidenti i rapporti con quelli che lo precedono nella nostra serie. Ma anche di esso sarà bene discorrere non appena avremo esaurito la descrizione di tutti i fenomeni di lotta collettiva e sociale. lì) L’ errore consiste principalmente nel considerare i fenomeni giuridici come effetti e conseguenti di quelli politici, perchè si ha di mira sempre il diritto privato che nasce assai tardi, e si dimentica l’interesse della collet- tività, primitivo ed eterno. RENT ma SE I AMP I SL SOCIOLOGIA ZOOLOGICA 4OI IV. — Lotta collettiva e sociale : c) Contro altri aggregati (guerra animale) — Il fatto dianzi descritto corrisponde a ciò che lo Spencer nelle società umane chiama difesa interna, ed insieme con le preesistenti reazioni ed inibizioni individuali e con la protezione di ciascun membro contro i nemici e gli aggressori estranei, assicurano quel grado di sicurezza che si può godere nel seno di un branco animalesco. Ve n° ha w altro ancora ed è ’l aggressione e la difesa collettiva contro altri aggregati della medesima specie o di specie affini. È la guerra animale, e corrisponde a ciò che lo Spencer chiama difesa (e lotta) esterna. Sembrano ad alcuni due facce opposte dello stesso fenomeno, e per conseguenza di pari comples- sità e valore; mentre ad altri la guerra apparisce come rispondente ad un bisogno più fondamentale ed urgente. Vedremo tra poco che luna e l’altra opinione sono inesatte. Ma intanto ricordiamo qualche esempio di guerra animale. Le api si uniscono in masse compatte per attaccare le provviste altrui e se sono incoraggiate dal successo, continuano le loro razzie e formano, al dire del Letourneau, una vera società predatrice. Le formiche, presso cui I’ arte della guerra è portata da un alto grado di perfezione, giusta la bella immagine dello stesso Letourneau, aggrediscono e si difendono in grandi schiere per il territorio, le provviste, le uova, le larve, gli Schiavi. Spesso una schiera di scimmie, dice il Brehm, si precipita sopra un’altra schiera, ordinariamente per un motivo relativo alla produzione sociale, cioè per conquistare o difendere una buona resi- denza o un boschetto da sfruttare, e secondariamente per un motivo relativo alla riproduzione, come il ratto delle femmine e 1’ accop- piamento. Qui ancor più evidenti appariscono i motivi (fini) e le condizioni. Ma è ormai il momento di trattare complessivamente di tutt'e tre i fenomeni suddescritti. La lotta collettiva e sociale ci si è presentata sotto tre forme: contro individui nemici od estranei; contro membri pericolosi del branco; contro altre aggregazioni o società simili. Esse han di comune appunto l’essere lotte collettive. Ora in quali rapporti sta la lotta collettiva în generale con gli altri fenomeni collettivi e sociali ? Nessuno dei bisogni superiori ci occorre a spiegare il fenomeno, nè il giuoco, nè l altruismo, nè la curiosità; e nel fatto nessuna guerra animale ha luogo per siffatti motivi. Tanto meno ci occorrono i fenomeni sociali che nella nostra serie vengono dopo, neppure il dominio o la regolazione sociale : la schiera che si precipita o si difende può anche essere, e spessissimo è, anarchica. Invece la nutrizione dei singoli individui è evidentemente la 490 ASTURARO conditio sine qua non della possibilità di combattere, e dove questa nutrizione si faccia mercè la produzione collettiva, questa diviene la condizione preesistente e indispensabile della guerra. Noi non potremmo in veruna guisa porre la guerra a base della produzione collettiva o sociale. Ma écco una di quelle difficoltà apparenti a cui accennammo a principio di questo capitolo. La nutrizione può restare un fenomeno individuale. La costituzione organica della specie decide. I ruminanti e i cavalli, gli erbivori e nomadi in generale, non possono produrre collettivamente. Dove la costituzione organica è tale che gli individui possano indifferentemente produrre ciascuno per sè ovvero socialmente, come le api, è l’ambiente fisico quello che decide: se è necessario ammassare le provviste, la produzione diverrà sociale ; se invece gl’ individui possono trovare in qualunque sta- gione dell’ anno il nutrimento ciascuno per sè, la nutrizione tende a ridivenire individuale, e persino la società stessa può dissolversi, (come quelle delle api nei climi favorevoli) se non soccorre il bisogno della comune difesa. Non altrimenti l'economia umana in certe epoche e in certe circostanze è individualistica; ma la difesa è sociale. Vero è che nei casi suesposti, sì potrebbe dire che qualcosa di collet- tivo ci sia sempre nella produzione : se non altro la migrazione € l’ occupazione di un unico territorio. Ma vi sono dei casi in cui non vi ha nulla. I gorilla si nutrono ciascuno per sè con la sua famiglia; si uniscono invece in schiere numerose per far la guerra (Brehm). Condizione indispensabile e universale delle lotte collet- tive non è dunque la produzione sociale: è che una produzione vi sia, è che la somma degl’ individui si nutra. Ma allora la serie cessa di esistere tra i due fenomeni sociali? Neppure. Perchè dovun- que la produzione sociale esista come fonte della nutrizione degli individui, essa è la condizione della lotta collettiva o sociale ; non già viceversa: questa non è mai, in nessun caso la condizione preesistente e indispensabile della produzione sociale, le cui cause sufficienti risiedono, come già vedemmo, in altri fenomeni. Nè cessa la serie dei rimanenti fatti sociali, in quanto sociali, dove nulla di sociale presenti la produzione: solo essa incomin- cierà dai fenomeni sociali di riproduzione o addirittura dalla lotta collettiva. Guardiamo ora il rapporto teleologico. I bisogni del nutrirsi e del riprodursi oltre a quello generico di evitare il dolore o di conservarsi, sono in ciascun individuo i motivi per cui esso lotta unitamente ai proprì compagni. I fatti stessi che abbiamo addotto ad esempio per ciascuna forma di lotta, lo dicono. E qui è da fare la stessa avvertenza. Se qual- | SOCIOLOGIA ZOOLOGICA 493 cuno dei due bisogni fondamentali, non dà luogo ad alcun fenomeno sociale, ciascun individuo lotterà esclusivamente per il suo desiderio individuale del cibo, della femmina e della integrità propria. Ma se esiste la produzione collettiva od anco fenomeni collettivi di riproduzione, la motivazione si rende più complicata senza mutar natura: l’ individuo lotta per la provvista sociale o per le uova 0 per le larve o per un gruppo di femmine, cioè per un oggetto di godimento, alla cui idea è associato, è vero, nella sua psiche la partecipazione degli altri compagni, ma anche e pria di tutto, la partecipazione sua. Desso è un oggetto di godimento anche per lui, e pria di tutto, per lui. Onde in ultima analisi sono i tre bisogni fondamentali, nutrizione, riproduzione e difesa quelli che spingono gl’ individui di un gruppo a lottare sia contro individui oyvero contro altri gruppi. Solo col trasformarsi dei processi volontari in istintivi, il rapporto teleologico non fa altro che oecul- tarsi nella coscienza dei singoli, per riapparire allo scienziato come adattamento indiretto ed inconscio, ma non meno reale ed efficace. In ogni caso, se paragoniamo i fenomeni sociali della produzione e riproduzione da una parte e quello della lotta collettiva dall’altra, considerando ciascuno nel suo complesso oggettivo, come si potrebbe fare di due o più funzioni organiche considerate ciascuna nel suo complesso e prescindendo dall’ opera dei singoli elementi funzio- nanti (cellule); chiaro apparisce che la lotta collettiva si adatta al fine (inconscio) della conservazione e dell’accrescimento dei prodotti sociali e della riproduzione, non viceversa. Ciò basta per affermare che la lotta collettiva in generale è da collocarsi dopo i fenomeni, sieno diffusi e sieno collettivi o sociali, di nutrizione e di riproduzione. Guardiamo ora se tra le tre forme da noi descritte vi sieno pure rapporti determinati. Allorchè uno stesso fenomeno si specifica in due o più altri, queste diramazioni collaterali non è necessario che abbiano rapporti causali. Pure una può essere più urgente, più semplice, più gene- rale dell’ altra. Ebbene sotto questi rapporti (secondarî) è facile vedere che le tre forme di lotta collettiva si presentano nello stesso ordine in cui noi le abbiamo descritte. Più urgente e più semplice e più antica e più generale nel mondo degli animali associati è la difesa collettiva contro un individuo di specie nemica. È meno quella contro un individuo pericoloso del branco stesso. Più com- plessa e difficile ad attuarsi e assai più rara è la lotta di una Schiera contro un’ altra schiera affine, cioè la guerra, 404 ASTURARO I tre fenomeni si potrebbero rappresentare nel modo seguente: o a” Contro altri aggregati Lotte. La diversa altezza delle linee indice il diverso grado di genera- lità e di urgenza. Quand’ anche non si verificassero tra essi altri rapporti, noi saremmo in grado di affermare che la guerra non è nè di pari valore nè più fondamentale della difesa contro individui pericolosi a tutti. Ma vi ha qualcosa dippiù. Se tra due o più diramazioni laterali dello stesso fenomeno non esiste mai rapporto teleologico esclusivo, cioè per un verso determinato; può però esistere in qualche modo quello condizionale. Or nel caso presente la guerra contro un’altra | schiera o società non si può menomamente concepire come la condi- zione preesistente e necessaria perchè il branco si difenda da un nemico o da un membro pericoloso. Al contrario il vincere i nemici singoli e l’ esser sicuri all’ interno da chi può nuocere gravemente a tutti, potrebbe considerarsi come una condizione per muovere com- patti alla guerra. La riprova ce la dànno i fatti. La repressione collet- tivà d’ individui avviene indipendentemente da ogni guerra ed in ispecie dove la guerra non esiste affatto. E prima di far la guerra, gl’ individui di un branco pensano a liberarsi dei nemici e a scacciare od uccidere gl’ individui pericolosi. V. — Regolazione sociale. — Allorchè parlammo dei pro- cessi regolativi (cap. 3) noi intendemmo darne,° per così dire, una conoscenza generica allo scopo di facilitare, per eliminazione, l’intelli- genza della intiera serie. E li considerammo allo stato diffuso: vale dire in ciascun individuo indistintamente, perchè ciascun individuo convivente è capace di dominare o di essere dominato, d’ imitare od essere imitato, di regolare od essere regolato. Ma questi processi SOCIOLOGIA ZOOLOGICA 495 dànno luogo anch’ essi a fenomeni collettivi e sociali nel senso stretto della parola e ad una divisione di lavoro e ad una localiz- zazione, che, sebbene visibili perfettamente nelle società proprie, possono osservarsi anche nello stato di aggregazione. La tendenza a sottomettere gli altri e dominarli è per la sua Stessa natura esercitata dai più forti verso i più deboli: dunque dagli adulti verso i giovani e i piccoli, dai maschi verso le femmine ordinariamente più deboli, dai rappresentanti giganteschi della specie verso gli esseri comuni. Vi può essere dunque e vi è in molti branchi animali una specie di aristocrazia della forza bruta composta dei più forti, che s’inibiscono tra loro, mentre dominano i più deboli. Un bellissimo esempio sono i due maschi giganteschi di macachi che furono veduti dal Janghuhn, usarsi i riguardi più squisiti mentre spadroneggiavano sulle femmine e su tutti gli altri membri del branco, e scacciavano o impaurivano quelli che osassero magari di accostarsi a loro. Ma il fatto è molto più generale e più costante: si può dire in generale che tra i mammiferi, i vecchi maschi, che sono appunto gli individui più robusti, esercitino il dominio nel branco. Senonchè 1’ aristocrazia può dar luogo anche ad una vera monarchia. Un individuo può sottomettere tutti gli altri del branco e quindi conquistare il primo posto. « Questa carica, dice il Brehm, parlando delle scimmie in generale, non gli viene affi- data così facilmente, nè per voto generale : la lunghezza dei denti e la robustezza delle braccia decidono della vittoria. Chi non intenda sottomettersi di buona voglia, è costretto a cedere dai morsi e dalle percosse : il serto regale spetta al più forte». Una delle con- seguenze è ch’ egli avrà il primo posto anche nel marciare, nel sorvegliare, nel combattere, nel fuggire. Gli altri sono costretti a seguirlo. Egli diviene per effetto nel suo dominio, fondato sulla forza, il regolatore sociale. Ma se gli altri lo seguono costantemente, è ciò spiegabile con la sola forza? Lo vedremo più innanzi. Per ora continuiamo la descrizione di questo gruppo. L’imitaxione e la regolazione possono, come vedemmo, essere esercitate da qualsiasi membro del branco, ma è naturale che i più vecchi, i più esperti ed i più abili siano a preferenza imitati e servano da regolatori ai più giovani, ai meno esperti ed ai meno abili. Laonde anche questo fenomeno si differenzia e localizza. E le prime differenziazioni sono tra adulti e piccoli, tra maschi da una parte, femmine e piccoli dall’ altra, tra i vecchi maschi e i rimanenti individui. Im molti branchi trovasi una specie di ari- stocrazia del valore e dell’ abilità che spesso coopera nell’ ufficio regolativo: parecchi esploratori talvolta si staccano e si dividono Il lavoro di esplorazione; tal’altra sorvegliano volontariamente le 496 ASTURARO fila e mantengono il buon ordine. Ma anche l’ ufficio di esplora- tore, di sentinella, di avvisatore, di duce è altre volte concen- trato in un solo. In che relazione stanno questi atti con quelli di dominio ? Per lo più sono riuniti nei medesimi individui. Ed è naturale : tra gli animali i più forti sono anche i più ricchi fisiologicamente, i più coraggiosi, i più capaci di affrontare il nemico, i più esperti, quelli che hanno vista più lunga e odorato più fino. Gli è per questo che i vecchi maschi non solo dominano, ma regolano. E gli è anche per questo che il capo unico che ha conquistato il dominio con la forza, è obbedito e seguito costantemente. Egli ispira non solo timore, ma fiducia. E se la merita: è ordinariamente un maschio vigoroso e talvolta gigantesco che sta sempre in prima linea; che protegge con la sua forza e la sua posizione la schiera; che vigila sempre ; che non falla mai. Le femmine non ascendono alPalta posizione se non quando o sono normalmente più grandi e più forti dei maschi, come in alcune specie si verifica, o quando i maschi si separano dopo gli amori. In questo secondo caso, frequentissimo tra i mammi- feri, la schiera delle femmine e dei nuovi generati è per necessità capi- tanata da una femmina ; e così pure la schiera dei giovani e delle giovani non atte alla riproduzione, e scacciate al tempo degli amori, sarà naturalmente capitanata dalla femmina più esperta. Se anche dopo il ritorno dei maschi, la femmina in qualche raro caso rimane a capo del branco, non sappiamo con certezza; pure in abstractu riconosciamo che là dove la forza non sia utile, il comando possa restare affidato, come dice il Brehm, al più accorto ed al più scaltro e quindi anche ad una femmina. Si comprende altresì come le femmine, per la loro costante abitudine di regolare i figli e per la tendenza di questi a seguirle, servano spesso all’ufficio di esplora- trici e di sentinelle anche quando un maschio è a capo del branco. Così la funzione riunita del dominio del più forte e dell’ influsso del più abile, produce veri fenomeni sociali: una lontanissima immagine dell’aristocrazia e della monarchia. Talvolta una trovasi accanto all’ altra: tra i cebidi, o almeno nel genere delle scimmie urlatrici, il capo ha sotto di sè una serie di maschi, che anch'essi hanno la loro parte nella regolazione del branco. Talvolta ancora il capo prende sotto di sè parecchi individui e divide tra loro il lavoro dell’ esplorazione, come risulta, tra 1 altro, dal bellissimo racconto che il Maggiore Kinner fa di un numeroso branco di elefanti in procinto di bagnarsi nel lago. « Presso ad uno stagno stendevasi un fitto bosco : PV altra parte era scoperta. La notte era splendida. Un albero enorme mi offrì nella sua chioma un asilo sieuro, Dopo dune ore, a circa trecento SOCIOLOGIA ZOOLOGICA 497 passi, un grosso elefante fece capolino fuori del bosco, camminò lentamente duecento passi, poi si fermò ad origliare. Era venuto così chetamente che non si potè udire il più lieve rumore, e per parecchi minuti rimase ritto ed immobile come una roccia. Si avanzò ancora a tre riprese, sostando qualche minuto ogni volta, e spalan- cando le vaste orecchie per poter carpire il più lieve susurro. Così venne lentamente sino al bacino. Non pensò neppure a spegnere la sua sete, sebbene fosse così vicino. Per parecchi altri minuti rimase origliando senza muover membro. Poi si volse lentamente e cauto tornò al bosco nel medesimo punto ond’era venuto. Dopo alcuni istanti rieomparve con cinque altri che condusse all’ acqua con la medesima prudenza, sebbene con maggior rumore. I cinque si appo- starono a guisa di scolte. Tornò ancora al bosco e questa volta riapparve circondato dal branco intiero, composto di 80 a 100 indi- vidui, che guidò al luogo scoperto col massimo silenzio. 1l branco fece sosta in mezzo allo spazio nudo. Il capo prese seco le scolte, tornò indietro, ispezionò tutto, si convinse della perfetta sicurezza e diede il segnale. Il branco si precipitò nell’ acqua con completa voluttà. Nessuno si preoccupava di nulla: tutti avevano la massima fiducia nel duce ». La regolazione necessariamente porta come conseguenza una certa passività degl’ individui o della classe regolata. Ma essa si deve sempre negli animali a differenza di forza, di età, di coraggio, di abilità; cioè a differenze naturali e non artificiali. Dove queste differenze non esistono, non esiste neppure quella passività. Essa varierà dunque dalla balda indipendenza con cui i giovani stalloni formanti branco separato, scorrono le praterie, regolandosi recipro- camente mercè la facoltà simpatetica e 1’ imitazione, alla pecorile . insulsaggine con cui, al dire del Breh m, il branco delle femmine e dei piccoli Globicefali (delfini) segue alcuni maschi giganteschi, anco quando la comune rovina è sicura. L’ omologia tra i fenomeni regolativi degli animali e quelli umani giungerebbe al suo colmo, s’ essi avessero anche la facoltà di deliberare, cioè quella forma elevatissima di divisione del lavorio volitivo, propria delle persone eguali, in cui varie tendenze o varî modi per conseguire lo scopo si annunziano, finchè una di esse, si propaghi per la massa degl’individui, si rafforzi, esca vittoriosa dal conflitto. Anche questa è dagl’ indigeni dell’Africa tropicale attri- buita ai Cercopiteci, le quali si radunerebbero, prima di migrare, in una località della foresta e vi si fermerebbero per deliberare. Ma noi non giuriamo certamente sulla parola di quegl’indigeni . . . Veniamo al nostro solito problema: quali rapporti legano i feno- meni accertati di dominio e regolazione ai motivi individuali ed agli altri fenomeni sociali ? RIv. DI BIOLOGIA GENERALE, III. 32 498 ASTURARO DL’ attività regolatrice, localizzandosi in alcuni o nel capo, guar- data nel suo complesso e nei suoi effetti inconsci serve evidente- mente al buon andamento della guerra, della repressione collettiva, della riproduzione e della nutrizione sociale. Geneticamente poi è visibile il vincolo che la lega e alla difesa e alla produzione collettiva. Dove la difesa si è differenziata dalla produzione sociale, e localizzata in alcuni individui (stalloni, formiche guerriere, ecc.), alla sua volta si differenzia da essa e si localizza la regolazione : alcuni dei combattenti e talvolta uno solo esplora, guida, sorveglia, inibisce, mantiene 1’ ordine. Guardiamo ora i motivi che spingono alcuni individui od un solo a comandare ed a regolare, e gli altri ad obbedire ed essere regolati. E qui non dobbiamo far altro che applicare e chiarire meglio quel che già dicemmo. In chi imita e segue il capo od i capi e approfitta dei segni di lui, nessun nuovo motivo soprag- giunge : sono sempre i bisogni individuali della nutrizione, ripro- duzione, difesa, che lo determinano (salvo la trasformazione della condotta da volontaria in istintiva). Ed i regolatori, non fanno che servire, senza volerlo, a questi motivi degl’individui. Ciò sembrano saper bene gli animali di molte specie; i quali uccidono collettivamente la guida, la sentinella od il capo, che li fuorvii o meni a perdizione. Nè meno egoistici sono i fini del regolatore o dei regolatori. S’egli domina, è perchè ottiene molteplici vantaggi. S’egli vuole il posto più propizio all’ esplorazione, gli è perchè (dice il Brehm del capo di scimmie) il vecchio astuto non si fida di nessuno. Se dirige il branco o lo sciame nella migrazione, gli è perchè desidera avviarsi al luogo più opportuno per il cibo e la vita. Se veglia continuamente, gli è perchè non gli piace di essere aggredito all’ improvviso. Se dirige la guerra, gli è perchè essa riesca ed anch’ egli, anzi egli per il primo, ne consegua i vantaggi. Nulla vi penetra ancora di altruistico. Ma se e non appena l’altruismo è sorto, la regolazione si complica. Questa complicazione è da stu- diarsi a parte. Così, se noi consideriamo le attività volontarie e i motivi in ciascun individuo associato, il gruppo dei fatti regolativi (dominio, imitazione, regolazione) si colloca immediatamente dopo l’inibizione; e si ha la seguente serie incontrastabile : nutrizione, riproduzione, lotta, inibizione, fatti regolativi. E se consideriamo i fenomeni complessivi e sociali, avremo quest’ altra serie, correlativa e non meno evidente : produzione sociale ; fatti sociali di riproduzione ; repressione sociale e guerra ; regolazione sociale. VI. — Altruismo. — Anche questa attività che allo stato diffuso già studiammo, dà luogo a fenomeni collettivi e sociali? SOCIOLOGIA ZOOLOGICA 499 A differenza dell’attività regolatrice essa non si localizza ‘quasi mai in un individuo o gruppo d’ individui, distinti, nè dà mai luogo ad alcuna divisione di lavoro tra coloro che beneficano 0 soccorrono. Ed è questa una prova novella del posto, più elevato, che occupa l’ altruismo nella serie. Vi sono però dei fatti, per quanto scarsi, che mostrano un’opera collettiva: molti individui talvolta si precipitano a soccorrere un compagno o a salvarlo dalla fame, dalla prigionia, dall’aggressione. In un vaso dalle parieti liscie, dov’ erano stati rinchiusi dei pipi- strelli vivi, che non potevano più uscirne, ben 320 compagni si gittarono con l’ evidente intenzione di trarli fuora (Brehm). In parecchie specie di cetacei tutti circondano e proteggono il ferito. Parecchi pellicani alimentano il compagno cieco. Le starne coope- rano a sollevare e portare via una compagna ferita e in pericolo. (Romanes ece.). In che rapporto stanno questi fatti con quelli di regolazione ? Il lettore non ha che a rileggere il capitolo precedente. Qui ricor- diamo soltanto che l’altruismo sociale, sia individualmente e sia col- lettivamente esercitato, non trovasi mai in specie incapaci di rego- lazione; mentre questa trovasi spessissimo senza di quelli, appunto perchè è un fenomeno più semplice e non ha le sue condizioni e le sue cause nell’ altruismo. Ed aggiungiamo, per ciò che concerne i fenomeni collettivi e sociali, che anche nei rari casi di altruismo collettivo non si vede mai sorgere ed è impossibile che sorga da questa attività un domi- natore od un regolatore del branco. Tutt’al contrario dove un capo o dei capi esistono, per cause affatto diverse dall’ altruismo, in questi possono localizzarsi e accumularsi, come appendice della loro funzione principale, alcune attività altruistiche, quali sono la difesa e la regolazione altruistica dei rimanenti individui. VII. Ki giuoco negli avimali socievoli. Giuoehi sociali. — Il lettore avrà notato che nel trattare delle attività sociali della regolazione e dell’ altruismo, noi non abbiamo incontrato il giuoco, e tanto meno la curiosità. Gli è perchè quelle, almeno negli animali che noi conosciamo e che sono forniti dei bisogni più fondamentali, hanno le loro cause sufficienti in questi bisogni e nella convivenza e cooperazione; sorgono e sussistono come se il giuoco e la curio- sità non ci fossero per nulla. La riprova sta nel fatto che vi sono animali che si regolano, eppure non giuocano nè curiosano. Persino il povero Bombice processionario presenta fatti regolativi: una lunga squadra dalle fila crescenti, capitanata da un solo, in cui, se un individuo vien sottratto o sparisce, la notizia si propaga rapida- mente di fila in fila, e tutti si fermano nè ripigliano la faticosa 500 ASTURARO via, se non quando il posto è stato colmato e 1’ ordine ristabilito. Eppure il meschinello ha ben altro da fare che trastullarsi ed è tutt’ altro che curioso ! Ma dal lato opposto il giuoco e la curiosità non hanno tra le loro condizioni o cause necessarie nè i fatti regolativi nè l’altruismo, e possono trovarsi anche in animali solitarii, salvo l’ influsso indi- retto ch’ esercita la vita sociale. La conseguenza è questa: che quasi al medesimo punto nell’albero, con cui si possono rappresentare i rapporti causali tra le varie attività individuali e sociali, si diramano collateralmente due gruppi di atti- vità: il giuoco e la curiosità da una parte, le attività regolative e altruistiche dall’altra; e i due rami non hanno alcun rapporto causale, relativamente al loro nascimento ed alla loro esistenza. Sorge la domanda: Esistono tra i due rami collaterali altri rap- porti? e di qual natura? e si potrebbe su di questi ristabilire da capo la serie? Ella sarebbe al certo meno perfetta di quella che esiste sino al punto della biforcazione. Ma non è una serie lineare, fondata sopra un’ unica e medesima specie di rapporti, quella che preme a noi: una serie simile non esiste se non nel campo dei numeri. | | Entriamo così nella parte più difficile della nostra ricerca; tanto più che alcune delle attività, di cui qui si tratta, sono tra gli ani- mali appena percettibili ed i loro rapporti quasi invisibili. Già più di uno dei fenomeni .delle aggregazioni animali, nel corso della nostra indagine, abbiamo dovuto guardare e presentare al lettore sotto una lente d’ingrandimento. Ma qui in questa estrema efflore- scenza della psiche animale il più forte ingrandimento è necessario. Anzi per vedere chiaramente quei rapporti dovremo talvolta esten- dere il nostro sguardo al mondo umano, dove, a prescindere dai fenomeni analoghi e superiori dell’arte, della scienza, della politica e della morale, persistono, in un livello inferiore, i fenomeni, comuni al mondo sottoumano, del gittoco, della curiosità, della regolazione e dell’ altruismo. Assai poco, relativamente, otterremmo dal considerare i rap- porti di complessità, generalità ed urgenza. Quando due bisogni od attività nascono l’una dall’altra, al grado di complessità corrisponde, inversamente, quello di generalità, giusta la legge della logica formale, che il Comte applicò alla serie dei fenomeni. Non basta. All’uno ed all’altro corrisponde necessariamente anche l’urgenza del bisogno, massime se l’attività più complessa e meno generale è sorta come un mezzo dell’ altra e si è poi trasformata in un fine, essendo, ovvio per le leggi dell’ associazione psichica che questo fine sarà meno intensamente desiderato che quello fondamentale e primitivo, SOCIOLOGIA ZOOLOGICA 501 Gli è perciò che, seguendo i nostri criterii, 1) urgenza relativa dei principali bisogni può essere dedotta. Ma quando si tratta di due attività collaterali, non solamente la loro relativa complessità è difficile misurare, se non impossibile, ma ad essa può non corri- spondere il grado relativo d’ urgenza. Vi può, per es., essere una attività di lusso nel mondo psichico, come in quello organico una formazione di lusso; or un’ attività più complessa, ma più utile, potrà benissimo, una volta sorta, corrispondere ad un bisogno più urgente di quella, allo stesso modo, che una formazione organica più utile, sebbene più tardiva e di composizione più difficile, potrebbe vincere o far sparire, nell’ economia della vita, una forma- zione di lusso, sebbene più semplice. È giuocoforza dunque limitarsi a considerare il grado di urgenza indipendentemente dalla complessità. Or se guardiamo da una parte il giuoco e dall’altra i fatti regolativi e altruistici, in quanto attività- mezzi, è chiaro che il paragone non si può fare a rigor di termini o, meglio, che la questione è bell’ e decisa dal solo fatto che uno corrisponde ad un bisogno assoluto e le altre ad un bisogno” rela- tivo. Le attività-mezzi partecipano all’ urgenza del fine, a cui servono. Ora un atto regolativo o altruistico è compiuto per con- servare od accrescere le soddisfazioni della nutrizione, della riprodu- zione, della aggressione e della difesa: è chiaro dunque che il bisogno (relativo) di compierlo sarà tanto più urgente di quello di giuocare, quanto le soddisfazioni di quel genere sono maggiori del piacere di giuocare. Laonde si potrebbero sacrificare al giuoco solo quegli atti regolativi e altruistici che servono a quella infima quantità di soddisfazioni fondamentali, che è, dessa medesima, sacrificabile al desiderio di giuocare. Ciò non ha bisogno di chiarimento alcuno, quando si tratta della semplice regolazione passiva e dell’imitazione che sono i fatti regolativi più elementari, e non sono (almeno la prima) vere attività volontarie, ma semplici complicazioni della stessa attività nutritiva, o riproduttiva, o difensiva (noi ne abbiamo parlato nel cap. 2, solo perchè senza di tali elementi non si poteva intendere la regolazione attiva). Val però la pena di chiarire con qualche esempio la cosa per rispetto ai fenomeni più complessi del dominio, della regolazione attiva e dell’ altruismo. Una formica padrona che fa cenno ad uua schiava perchè le porti da mangiare; un capo di scimmie che richiama i suoi nella direzione del boschetto da conquistare contro altre scimmie; un membro del branco che toglie le spine ad un altro, perchè si aspetta dall’ altro lo stesso servigio: non trascurerebbe in nessun caso quel cenno, quel richiamo, quell’ atto altruistico, per mettersi a giuocare; infatti ciò equivar- rebbe a rinunciare al cibo, alla conquista del boschetto, alla Jlibe- 502 ASTURARO razione dalle spine, per solo desidesio di trastullarsi, e questo è impossibile. Non vi ha dubbio dunque: le attività regolative e altruistiche, in quanto mezzi, sono più urgenti del giuoco (ed a fortiori della curiosità), quantunque possano sorgere nel tempo dopo di lui e pre- supporre una trama psichica più complicata e difficile (ciò che, trat- tandosi di formazioni collaterali non è punto contradditorio). Ma il paragone può e, con maggior rigore, deve farsi anche tra bisogni assoluti. Confronteremo dunque i bisogni assoluti del ginoco e della curiosità con l’ altruismo puro ed i bisogni che nascono, per trasformazione dei mezzi in fini, dalle attività regolative? Ma qui incontriamo le più gravi difficoltà. Alcune si possono facilmente su- perare. Questa trasformazione non avviene negli animali se non in alcune specie elevate e per rispetto al solo dominio, stando al Brehm. Ebbene noi possiamo supporre che in qualche specie esista il bisogno di dominare cioè il desiderio della sottomissione altrui. L’ altruismo non è una qualità unica ed astratta; non esiste l’al- truismo, ma determinati atti ed istinti altruistici; ebbene noi pos-: siamo e dobbiamo prendere in considerazione appunto queste determi- nate e singole tendenze. L'uno e l’altro bisogno possono mancare là dove esiste il giuoco (e magari anche la curiosità) e manifestarsi e svi- lupparsi dopo di esso: ebbene noi non ne concluderemo ch’esso deve essere meno urgente solo perchè apparisce dopo. Ma il guaio è che non si trova nella psicologia pura alcun dato per dedurre la mag- giore o minore urgenza relativa di siffatti motivi, e nessuna espe- rienza si è fatta sul proposito. Mentre tra i termini di ciascun ramo la serie sussiste, anco relativamente all’ urgenza, i termini del- l’uno sembrano incommensurabili con quelli dell’ altro. Ciò nono- stante non si può negare che il bisogno del dominio e 1’ altruismo siano più vicini alla parte emotiva e appetitiva della psiche che non il desiderio di giuocare e di osservare disinteressatamente, nel quale predomina 1 elemento rappresentativo ; e che ciascuno di essi, può rafforzarsi da uno stato in cui non esiste ed in cui la sua intensità è eguale a zero, sino a superare il motivo del giuoco e della curio- sità. Ciò è visibilissimo per il dominio. Un uomo può non sentire il bisogno di dominare; ma se lo sente, sacrifica ad esso il giuoco. Non altrimenti la scimmia prepotente e dominatrice (Bre hm) in un serraglio, bada, prima che a giuocare, ad acquistare la sua parte di autorità o addirittura la supremazia. Anzi si può dire che questo bisogno, ch’ è troppo vicino a quello della difesa e raggiunge troppo immediatamente le soddisfazioni che alla difesa si riferiscono, non appena raggiunga quel grado d’intensità che lo può far distinguere come un bisogno a sè, debba vincere necessariamente quello di giuo- care. SOCIOLOGIA ZOOLOGICA 503 In qualunque modo i risultati a cui questo confronto ci può me- nare, non hanno nè possono avere un grado considerevole di preci- sione scientifica. Affrontiamo invece un problema assai più importante, perchè causale : se, cioè, il rapporto teleologico e quello condizionale, che non esistono tra le due diramazioni collaterali, relativamente al loro nascimento ed alla loro esistenza, giacchè ciascuna nasce e sussiste come se l’ altra non ci fosse, si verifichino, almeno relati- vamente alle loro variazioni o ad alcune delle loro variazioni. In altri termini ricerchiamo se 1 esistenza dell’ una possa produrre determinate variazioni dell’ altra e per consegueuza influire anche mercè le sue proprie variazioni. Giacchè si tratta di fenomeni collaterali, può darsi che cotesto intlusso sia perfettamente reciproco. In tal caso, per sfuggire la confusione, sarà prezzo dell’ opera il determinare in quali modi e circostanze ciascuno influisca sull’ altro. Ma può anche darsi che uno dei due rami eserciti un’azione più precoce e più grande e più fondamentale; e in tal caso una serie, sebbene meno perfetta, esisterà anche tra essi, in quanto che le variazioni di uno dei gruppi dipendono dall’ altro assai più che le variazioni di questo non dipendono da quello. Se i fatti regolativi e altruistici rappresentano, almeno nel loro stato di mezzi, qualcosa di più urgente all’individuo che i giuochi, comincieremo appunto dall’esaminare quali variazioni in quantità e qualità essi possano produrre in quel qualsiasi grado di giuoco che già esiste o può esistere indipendentemente da essi. Già la vita sociale in genere vi porta una grande trasformazione : non solo la quantità dei giuochi, a parità delle altre condizioni, aumenta con la cresciuta sicurezza, ma il giuoco da individuale diviene collettivo e sociale, pur continuando ad esistere, in un livello inferiore, giuochi puramente individuali e solitarîi. Ma qui preme specificare gli effetti delle attività e dei bisogni regolativi e altruistici. Essi sono i seguenti : a) Condizione per giuocare, come dicemmo a principio, è 1’ aver soddisfatto, almeno sino ad un certo grado, i due grandi bisogni della nutrizione e della difesa, che sono non solo subbiettivamente, ma anche obbiettivamente più urgenti: perchè senza di ciò l’indi- viduo sarebbe nell’ impossibilità di giuocare, anzi in un modo o in un altro perirebbe. Or dov’ esistono i fatti regolativi, servono a conservare ed accrescere la nutrizione e la sicurezza: dunque acere- scieranno eziandio la intensità e frequenza del giuoco. Essi sono la condizione preesistente di questo aumento. Ciò è visibile anche là dove x una certa differenziazione e localizzazione è avvenuta. Guardate 504 ASTURARO infatti una famiglia o un branco, o una colonia, in cui mentre la madre o il duce o la sentinella vigilano, pronte a dare 1 allarme, gli altri, e specialmente i piccini, si divertono; e non penserete al certo che questi giuochi sieno la condizione di quelle sentinelle e di quei fatti regolativi, ma direte piuttosto il contrario. Pensandoci meglio, vi accorgerete che anche senza le sentinelle e la capacità di regolare e regolarsi, quegli animali giuocherebbero ; ma allora ciascuno dovrebbe vegliare alla propria sicurezza ed avrebbe minor tempo e minor possibilità di ,giuocare, e talora in qualche specie potrebbe non averne affatto. Analogo rapporto esiste nelle società umane, non solamente tra i giuochi ed i fatti. regolativi, ma anche tra l’arte ed i fenomeni politici. b) Condizione dei gimuochi più frequenti e più piacevoli degli animali sociali è l’inibizione altruistica. Essi consistono infatti nelle lotte amichevoli. P. Huber e dopo di lui molti naturalisti le hanno osservate anche nelle formiche. Senza far mai uso dei mezzi nocivi, di cui sì servono nelle lotte serie, esse si tirano peri piedi o per le mandibole, si gittano a terra, si rotolano, si trascinano sino al nido per poi useirne e tornare da capo. Evidentemente la capacità di astenersi dall’ offendere i compagni, per simpatia od amore, è la condizione sine qua non di tali giuochi; ed a chi lo ponesse in dubbio e dicesse che 1’ inibizione egoistica o il timore della reazione altrui è sufficiente a spiegare i fatti e che l’esistenza dell’ altra non è ‘dimostrata, ricorderemmo le lotte simulate, così frequenti. tra i mammiferi, dei genitori e dei forti coi figli e coi deboli, che al certo non possono ispirare timore alcuno. c) Condizione delle variazioni qualitative del giuoco ossia del con- tenuto progressivamente variabile ch’ esso assume, è che vi sieno varie categorie di movimenti e di atti, dapprima compiuti per un bisogno determinato e poi divenuti piacevoli. Il saltare, il correre, l’ addentare, il rodere sono giuochi molto semplici, il cui contenuto è dato dell’ attività nutritiva e dalla locomozione ch’ è un mezzo dell’ attività nutritiva. Quelli che riproducono atti di lotta, come nei felini, sono più complicati. Un grado anche maggiore di com- plessità presentano le lotte simulate tra individui della medesima specie; ma questo è già un vero giuoco sociale, impossibile tra ani- mali solitari e continuamente sospettosi 1’ uno dell’ altro. Ebbene, una volta sorti, i fatti regolativi e altruistici forniranno nuova materia o contenuto al giuoco, cioè saranno la condizione di nuove variazioni qualitative di questa attività, cioè di nuovi giuochi. Lo stato di dominio e di sottomissione è simulato sino a un certo punto dai nostri cani e, nei giuochi amichevoli tra madre e figlio, da altre specie; perfettamente poi dai nostri fanciulli. L’ imitazione SOCIOLOGIA ZOOLOGICA 505 è anch’ essa oggetto di giuoco e si ha il giuoco dell’'imitazione che si deve ben distinguere dall’iîmitazione dei giuochi. Esso è visibilis- simo nelle scimmie. Assume poi le più grandi proporzioni nei fan- ciulli; e allora comparisce come contenuto anche la regolazione attiva. Essi imitano anche coloro che dirigono una casa, una cucina, un esercito di soldati; e forse non è tutta imitazione la loro, ma vi entra anche l’esercizio di una tendenza propria. Persino l’altruismo può dar origine a nuovi giuochi. Non ricorderemo a questo propo- sito 1’ adozione di piccoli animali, perchè in essa entra troppo chiaramente come motivo diretto un istinto altruistico; ma i giuo- cattoli che alcuni animali elevati conservano e portano a dormire seco e trattano con molte cure, potrebbero dimostrare ch’essi sono capaci di esercitare per giuoco un’ attività altruistica. Checchè ne sia degli animali, è certo che i pupattoli delle nostre fanciulle entrano in questa categoria. Adunque i fatti regolativi e altruistici provocano nuove manifestazioni del giuoco e divengono condizione di nuovi giuochi. Un tal rapporto diviene poi evidente e importantissimo nei giuochi umani e più ancora nel campo analogo e superiore dell’arte, la quale può riflettere non solamente il contenuto della poli- tica e della morale, nel rappresentare avvenimenti politici e morali, ma tutti i sentimenti, le valutazioni e le idealità politiche e morali dell’ artista. d) Un rapporto teleologico di natura speciale (che non è ancora quello diretto di cui parleremo in seguito) lega altre variazioni dei giuochi alle attività regolative e altruistiche come a loro causa. Chi domina e regola sotto Ia pressione dei bisogni più fondamentali, indivi- duali e sociali, nutrizione e lotta, tenderà anche adimpedire con la forza tutti quei giuochi che ostacolano il conseguimeuto dei fini medesimi. Così per es. tra le scimmie, se in una spedizione fatta a scopo di saccheggio o di guerra, un piccino si mette a gridare per giuoco, i vecchi maschi lo reprimono a furia di ceffoni. Or lo stesso fatto tende a verificarsi relativamente a quei giuochi che turbano grave- mente il sentimento altruistico ; e già vedemmo che se il finto duello tra due giovani foche prende una brutta piega, il genitore interviene e lo tronca. Si ha dunque una limitazione e circoscri- zione dei giuochi, ch'è un effetto delle attività regolative e altrui- stiche (la quale, si noti per sfuggire all’obbiezione di una recipro- cità) non produce alcuna nuova manifestazione dell’attività regola- tiva o altruistica, perchè questa reprime, per es., il grido importuno,. non in quanto giuoco, ma in quanto nocivo, sia desso l’urlo doloroso di un ferito o lo schiamazzo festevole di una piccola scimmia. Un tal rapporto assume grandi proporzioni nel mondo umano. Il potere politico e quello etico-religioso hanno sempre esercitato il 506 ASTURARO i, più grave controllo non solamente sui giuochi pubblici, ma anche sull’ arte. Ed a questo influsso negativo n’ hanno aggiunto uno positivo, l’ incoraggiamento di quei giuochi e di quelle manifesta- zioni artistiche che meglio rispondono ai fini sociali più fondamentali. e) Un rapporto teleologico diretto, per cui le attività regolative e altruistiche influiscono sulle variazioni del giuoco, sembra impos- sibile, essendo questo un bisogno assoluto. Ma uno dei fatti psico- logici, gravidi di maggiori conseguenze, che poi si dispiegano este- sissimamente nel mondo umano, è la seconda mediazione, che i fini possono subire nell’ individuo mercè le sue relazioni con altri indi- vidui. Ciò si verifica anche per il giuoco, e già ne incontrammo ‘un caso nelle relazioni sessuali. Se un atto, compiuto per il solo piacere che si è associato al suo esercizio, è gradito alla femmina ed ha la potenza di attrarla o sedurla, sarà ripetuto per questo motivo inte- ressato e talora soltanto per esso. Così, in una specie di Spinello, il maschio va incontro alla femmina a bocca aperta, ma guardan- dosi bene dal morderla; così l’Idromide si aggira con tal rapidità nell’ acqua che paia travolta nel vortice di una forte corrente; così gli uccelli spiegano le loro piume e raddoppiano i loro gorgheggi. Ebbene non appena il gruppo di sentimenti che si riferiscono al dominio è sorto, non appena il desiderio di superiorità e distinzione si è formato in qualche animale elevato, il giuoco potrà servire anche alla soddisfazione di questo. Il Romanes nota infatti che un certo orgoglio manifesta il pappagallo nel ripetere le frasi udite e il capo del gregge nel portare e sentir risuonare i suoi fregi e il suo campanello, che sono nello stesso tempo segni di distinzione; e noi dobbiamo supporre che in certi salti straordinarii delle scimmie e in certe lotte e in certi giuochi di abilità e di forza degli animali sociali non sieno del tutto assenti la vanità e il desi- derio di distinzione o superiorità, chè poi hanno una parte enorme nei giuochi e nelle arti umane, provocandoli, aumentandoli e perfe- zionandoli. Il giuoco può mediatamente servire anche all’ attività altruistica; ma di quest’ altra sua potenzialità, che si attua nel mondo umano, nessun esempio chiaro ci offrono gli animali, se non forse nell’ educazione dei figli alla corsa, al volo, alla caccia, al nuoto. Conchiudendo, i fatti regolativi e altruistici hanno la potenzialità di aumentare, perfezionare, limitare i giuochi; di determinare nuove variazioni qualitative; di rendere possibili i giuochi sociali veri e più frequenti. E questa potenzialità va aumentando col progresso della vita e della socialità: nel campo dell’ arte si attua talmente che, se alla cognizione dei fenomeni fondamentali economici, fami- liari, giuridici, guerreschi, aggiungiamo quella déi fenomeni politici, SOCIOLOGIA ZOOLOGICA 507 morali e religiosi e delle loro modalità, tutte le variazioni dell’ arte, in ciò che questo fenomeno ha di sociale e sino al punto in cui apparisce la reazione della scienza, divengano spiegabili. Guardiamo ora il rovescio della medaglia e cerchiamo in quali modi e forme determinate il giuoco può alla sua volta influire sulle variazioni dei fatti regolativi e altruistici. Ci accorgeremo subito che agli importanti rapporti causali, di sopra indicati con le lettere bed nulla esso può contrapporre. Consideriamo i rimanenti a, c, e. a) Condizione di un aumento o rafforzamento del sentimento so- ciale e quindi mediatamente, dei fatti regolativi e altruistici, si può considerare la cooperazione nei gimochi. In esseri ipotetici o addi- rittura metafisici, essa potrebbe addirittura considerare come la causa di un sentimento sociale, perchè in abstracto, qualunque bi- sogno individuale può dar luogo ai fenomeni inter-individuali (lotte o contrasti e inibizioni) e quando la convivenza sia necessaria alla soddisfazione di esso, a fenomeni di socializzazione di regolazione ed infine di altruismo; laonde un filosofo od un metafisico potrebbe prender le mossa dal bisogno di giuocare, supponendo che gli indi- vidui non possano soddisfarlo se non coesistendo; come il Lei b- nits le prese dal bisogno di percepire od osservare disinteressata- mente. Ma negli animali che noi conosciamo e di cui parliamo, i bisogni formano una serie, ed il giuoco ha in questa serie un posto determinato : esso presuppone la soddisfazione di certi altri bisogni ed è impossibile che riesca a creare un sentimento sociale, data la convivenza e la cooperazione non lo hanno già creato. Giac- chè oggi si tende ad attribuire a questa attività di lusso une parte molto esagerata, è bene ricordare che nessun’ aggregazione o società animale è mai sorta per divertimento o per effetto dei divertimenti, come nessun popolo, sia pure quello di Grecia, è mai giunto all’in- tegrazione politica, per virtù dei giuochi, sieno pure quelli olim- pici od istmici. La convivenza e poi la cooperazione di animali che giuocano e in quanto giuocano, non può far altro che rafforzare un sentimento che già esiste tra essi. Ma in tal caso essa è la causa di questa quantità addizionale del sentimento socievole, che alla sua volta opera sulla regolazione e sull’ altruismo, ed il suo influsso si può contrapporre a quello ch’ esercitano sull’ aumento dei giuochi i fatti del secondo gruppo. Senonchè una grave differenza, tra le altre, è da notare. I giuochi che rendono possibile il godimento simultaneo e la cooperazione non sono i puri giuochi individuali e quasi fisio- logici; sono giuochi abbastanza elevati, in cui ciascuno può essere attore e spettatore ad un tempo, o addirittura sociali, come le lotte amichevoli, sicchè presuppongono già il sentimento sociale e la loro azione è piuttosto una reazione che lo rafforza. Or seequando gli effetti 505 ASTURARO di tal rafforzamento si faranno sentire su i fatti regolativi e al- truistici, questi fatti avran già elevato, almeno indirettamente, il tenore dei giuochi e della vita sociale in genere. c) Condizione o contenuto di certi gimochi possono essere, come si è visto, fatti regolativi e altruistici; ma può anche avve- nire l'inverso, che cioè, alcuni fatti regolativi e altruistici abbiano per loro contenuto il giuoco? Ciò si verifica solo per l’imitazione, in quanto si possono imitare anche giuochi altrui (e, nel campo del- l’arte, invenzioni altrui); e per l’altruismo, in quanto si può sim- patizzare col desiderio che altri ha di giuocare ed aiutarlo od offrir- gliene i mezzi. Ma tra gli animali di questo secondo fenomeno non troviamo qualche esempio se non nella sfera dell’intenso affetto materno e nelle specie che maggiormente lo sentono : la scimmia dondola il suo piccino, e la madre del felino gli oftre la coda perchè giuochi o gli porta piccoli animali ed oggetti per trastullarsi. Nes- suno nella sfera dell’ altruismo sociale. e) It rapporto teleologico può esistere anche in senso inverso; vale a dire, può il bisogno del giuoco determinare al suo servigio nuovi atti altruistici e nuove forme di regolazione? In altri termini, si può conservare e beneficare un altro perchè ci è utile o indispensabile nel giuoco o ci procura godimenti estetici; e si possono regolare i giuochi, affinchè essi riescano meglio? Senza dubbio; ma ciò non accade mai tra gli animali inferiori e molto tardi tra gli uomini. Egli è perchè si presuppongono esperienze e relazioni molto complicate. Così, tra l’altro, il giuoco deve essere già socializzato, o addirittura lo- calizzato in certi individui, perchè sorga un regolatore o dei rego- latori, o perchè gl’individui si accordino a regolarlo. Ma quando ciò accade, già la regolazione esisteva per le attività più fonda- mentali ed aveva esercitato il suo influsso modificatore su i giuochi. Analogo rapporto ci offrirà l’arte. Molti e molti progressi dovran compiere la società umana e le sue attività regolative e altruistiche e queste attività avran già influito in varie guise sull’ arte, prima che gli artisti formino un’ associazione, e la loro associazione venga regolata pel fine dell’arte stessa, e prima che il bisogno estetico- artistico provochi atti di altruismo. Concludendo: le variazioni del giuoco dipendono dalle attività regolative e altruistiche assai più che le variazioni di queste non dipendano da quello; e, quel che più monta, 1’ influsso dei giuochi, sulle attività regolative e altruistiche si manifesta dopo ed a patto che queste abbiano già influito su quelli. La serie, quantunque meno perfettamente, si ristabilisce. I giuochi sociali poi evidentemente, sono una trasformazione del giuoco dovuta alla vita sociale, e nél- l’albero raffigurante le attività degli animali sociali, pur rimanendo SOCIOLOGIA ZOOLOGICA 509 lateralmente, si vanno avvicinando ai fatti regolativi e altruistici e si collocano più in alto di questi, e sotto l'aspetto teleologico e sotto quello condizionale. VIII. Curiosità. — A questo bisogno assoluto ed a questa attività si potrebbero applicare quasi tutte le cose dette relativa- mente al giuoco, se negli animali essa non fosse troppo rara è sporadica, e se i suoi rapporti con le attività regolative e altruistiche non fossero assolutamente invisibili. Se non è il meno intenso, certo è il bisogno più difficile e raro. A nessuna socializzazione, cooperazione, divisione del lavoro essa dà luogo negli animali; e neppure ad atti collettivi, ove per tale non si ritenga l’accorrere che talvolta fanno i pesci e gli uccelli ed altri animali verso un oggetto insolito e troppo attraente. Al di sopra della serie delle attività individuali e sociali sembra dunque permanere, assolutamente individuale e solitario, questo bisogno della osservazione come fine a sè stessa. E noi ve lo lasciamo, salvo il ripigliare 1’ esame del suo luminoso sviluppo nella sociologia umana. Tutto questo non toglie che anche la semplice curiosità, non ancora sublimata e trasformata in scienza teoretica, abbia avuto un’ utilità, che, sebbene indirettamente e indeliberatamente ottenuta, può essere stata di immenso valore. Le prime e grandi scoperte dell’ uomo e dei suoi precursori, 1’ uso delle grandi foglie del fuoco, delle armi di pietra, han potuto essere, più che il risultato di un calcolo o di una ricerca deliberata, l’effetto della curiosità associata al giuoco. Capo IV. Le reazioni dell’ altruismo. Consideriamo ora alcune delle reazioni che l’° altruismo, una volta sorto, deve esercitare sulle attività che lo precedono.nella serie delle attività degli esseri sociali, producendo in ciascuna una manifestazione più complessa, che sebbene continui ad essere considerata come appartenente allo stesso gruppo di questa, pure è, rigorosamente parlando, un risultato di lei e di un’ altra attività più complessa, cioè 1’ effetto di una di quelle reazioni e di quégl’ intrecci che sono visibilissimi nelle formazioni organiche. Per ristabilire la serialità rigorosa basta in tali casi porre prima l’ attività più fondamentale A, poi quella che reagisce £, poi la nuova manifestazione prodotta in A da 5, cioè A 5. Cominceremo dall’ attività immediatamente prossima all’ altrui- smo, cioè dalla 510 ASTURARO Regolazione. — Se l’individuo ha associato nella sua psiche all’ idea del suo segno o della sua espressione il movimento degli altri (accorrere, fuggire, tener dietro, ecc.) ne viene per conseguenza che se egli sente il bisogno altruistico e desidera che altri compia quel movimento (accorra per mangiare, fugga il nemico, ecc.) si servirà di quel segnale o di quell’ espressione, anche per questo scopo altruistico (cioè aspettandosi che quegli mangi, si salvi, ecc.). Allora egli regola altruisticamente. E questa funzione può compiersi reciprocamente od anche localizzarsi. Or l’uno or l’altro può chiamare, avvertire, regolare i compagni; ma è la madre che a preferenza regola i suoi piccini ; è il capo del branco che per lo più richiama, avvisa, rassicura. La lotta collettiva e l’ altruismo. — Vedemmo che allorquando un membro dell’ aggregazione o della società è aggre- dito da un nemico o da un estraneo, tutti gli altri tendono « difenderlo collettivamente per un impulso egoistico di odio o di difesa contro l’aggressore. Ma s’essi sono forniti già del bisogno altruistico, difenderanno anche per questo motivo e talvolta soltanto per esso. Allorechè una scimmia logotrice è messa alle strette e manda il grido speciale di soccorso, tutte le altre si precipitano dagli alberi vicini. Le morse e le vacche marine corrono a salvare la compagna in pericolo e adoperano morsi, porcosse, ruggiti spaventevoli, senza preoccuparsi dei morti e feriti. Così ciascun individuo viene garan- tito anche per opera dell’ altruismo. Ma vi è nello stesso gruppo un fatto ancora più importante, sebbene più difficile e. raro. Vedemmo che nelle lotte inter-indivi- duali che avvengono nel seno della medesima aggregazione o società, predomina il non-intervento. Ma in alcune specie, i compagni intervengono a soccorrere chi ha la peggio, come fanno le foche, secondo il Brehm. In altre essi vendicano certe offese arrecate da un compagno ad un altro, siccome fanno le mulacchie, secondo - Goldsmith e Romanes, contro gli adulteri e gli spogliatori del nido altrui. Senonchè questa seconda azione è dovuta al risentimento simpatetico e, prima che in questo, ha il suo fondamento nell’egoismo, onde il suo posto è, pria di tutto, tra le lotte collettive semplici. Così la classe dei fatti che è analoga a quella dei fenomeni giuri- dici, si accresce di un nuovo fatto elementare, vale a dire della pro- tezione collettiva dell’individuo malmenato o soccombente, nel seno stesso dell’associazione, e per effetto della simpatia; e si completa, nella medesima classe, quella reazione ‘a cui, come vedemmo nel cap. III, ciascun membro dell’associazione è tratto, allorchè l’offesa è troppo vivamente rappresentata ed eccita in lui il sentimento di un pericolo proprio. SOCIOLOGIA ZOOLOGICA alati Reazione sulla riproduzione. — Basta qui ricordare solo la parte che ha Vl altruismo nell’ allevamento delle larve e nelle. cure materne e quindi nella famiglia. L’ allevamento e la famiglia quantunque continuino ad essere considerati come appar- tenenti alla classe dei fenomeni genetici, sono manifestazioni elevate di questa classe, dovute anche all’ opera dell’ altruismo sociale, formatosi per cause sociali. CAPO V. Società senza famiglia o società d’individui. Basta un comune ricovero od una sede comune e relativamente stabile di produzione sociale od altra causa consimile, perchè gl’ in- dividui dell’ aggregazione imparino a riconoscersi lun | altro ed escludano gli estranei, e quindi si abbia una società. Il numero degli individui che la compongono è dunque relativamente stabile, salvo l’accrescimento o la diminuzione che provengono dalla riproduzione, da scissione, dai decessi, dalle perdite, dall’ importazione di larve. Che gl’individui che compongono una società animale siano, senza ch’essi il sappiano, parenti, salvo l'influsso che sulla mescolanza delle razze esercita l’ importazione di larve, di uova, di schiavi, di femmine non costituisce un carattere essenziale. Ben più importante sarebbe la differenziazione e divisione del lavoro sociale, che vi si realizza assai più che nelle semplici aggregazioni. Ma il vero carattere distintivo di una società animale resta sempre il mutuo riconoscimento e la relativa stabilità. Ora tutti i caratteri suindicati possono trovarsi anche quando la famiglia non esiste menomamente. Vi sono dunque società senza famiglia : esempî tipici, quelle delle formiche e delle api. Quel che preme a noi qui di notare è che in tali aggregati l’ ordine e i rapporti delle varie attività e dei vari fenomeni collettivi e sociali non può essere diverso da quello che abbiamo descritto per le aggregazioni in generale. Capo VI. Famiglia e società familiare. La famiglia animale differisce da quella umana perchè vi manca o non diviene permanente la consapevolezza di un vincolo di san- gue, almeno quello tra madre e figli. Ciò nonostante essa è sempre 512 ASTURARO l'eccezione e non la regola nel regno animale. Nella sua forma completa, cioè come convivenza per quanto temporanea dei genitori e dei figli, esso è ancor meno frequente. Per lo più il padre è assente perchè non riconosce o non cura più la sua femmina, 0: viene allontanato a causa di una certa sua tendenza, ch’ è quella di mangiarsi i figli. Questi poi ordinariamente lasciano la mamma o sono scacciati da lei, non appena sono in grado di nutrirsi da sè. Solo un numero ben ristretto di: specie ci offrono una famiglia composta dei genitori e dei figli finchè questi non sieno atti a riprodursi e quindi a formare nuove famiglie. In questo ultimo caso si ha una specie di piccola società vale a dire di aggregazione stabile d’individui che si riconoscono tra loro escludendo gli estranei. È la società familiare, di cui esempi tipici ci offrono il gorilla, l’emione ecc. Se il capo è poligamo, essa può contenere un numero sì grande d’individui da farla difficilmente distinguere da una società vera e propria. Far derivare i fenomeni sociali in genere dalla famiglia completa cioè dall’eccezione, sarebbe perciò cosa atfatto assurda. Neppure dalle semplici relazioni parentali, filiali e sessuali può prendere le mosse una teoria generale dei fenomeni sociali negli animali, come già riconobbe VV Espinas. Anzi l’autore delle Societés animales cre- dette scorgere addirittura una ragione inversa tra le relazioni ses- suali e la famiglia, da una parte, e la socialità dall’ altra. Però, al punto in cui siamo, dobbiamo riconoscere che molte- plici sentimenti, di cui non dobbiamo qui ricercare la genesi, ma che hanno per loro antecedente comune il gran fatto della riproduzione sessuale, sono il punto di partenza della società familiare. L’ affetto della madre per i figli durante I’ allevamento è senza dubbio maraviglioso. Vero è che quasi a mantenere intatta la nostra ammirazione, la natura non Vha posta in condizione di sacrificare o rinunciare, neppure in parte, alla soddisfazione dei due bisogni più fondamentali. Quello riproduttivo è assente durante l’ allevamento e la nutrizione della madre si fa in modo affatto diverso da quello del figlio come nel caso dell’ allattamento, ovvero prima di quella del figlio come nel caso della cibazione. Ma essa sacrifica enormi quantità della sua energia muscolare e motrice e, quel ch’ è più, delle proprie soddisfazioni relative alla conservazione, alla sicurezza, alla difesa. Il pensiero doloroso della distruzione di lui vince gran parte de’ propri timori; attenua talvolta, sino quasi ad annullarla, l’idea del proprio pericolo e della propria distruzione; e in che altro mai consiste I eroismo? Senonchè tutto questo ordinariamente cessa non appena i figli sono in grado di nutrirsi da sè. Ora che SOCIOLOGIA ZOOLOGICA 513 cosa ha la potenza di far perdurare un legame psichico tra la madre e i figli? Un altro sentimento è quello del maschio per la femmina e talvolta per i figli. Ma anch’ esso dura finchè durano le gioie della riproduzione. Or che cosa può trasformare questa relazione temporanea in un vincolo più stabile? Un terzo sentimento è quello dei figli per colui o coloro che li alle- vano; ed anche questo tende a cessare con la causa che gli dà origine. Infine un principio di simpatia e di sentimento sociale si deve creare tra i piccoli, che convivono nel tempo dell’ allevamento : salvochè, poco dopo, ordinariamente essi si dividono e non si rico- noscono meglio che con gli altri della medesima specie. Or che cosa può far sì che i figli rimangano uniti tra loro e con coloro che li han generati? Tutte queste domande sono comprese in una sola: Caine dalle relazioni sessuali e parentali può sorgere la società familiare ? La conditio sine qua non è che gl’individui, dapprima legati dalle relazioni sessuali e parentali, possano, rimanendo insieme, trovare nutrimento sufficiente : altrimenti essi si sparpaglieranno, nè potranno sopravvivere e lasciar discendenti senza dividersi. Ma s’ essi possono continuare a convivere, incomincia quel processo di socializzazione che la convivenza crea e che già abbiamo descritto e dedotto, conti- nuamente ratforzato dalla cooperazione. Senonchè una grave differenza necessariamente si deve ammet- tere tra questo stato di cose e gli effetti della convivenza fortuita, determinata solo da cause esterne; in quanto che già preesistevano tra i membri della famiglia affetti operanti nello stesso senso che. il sentimento sociale. La conseguenza è questa: Dei fenomeni sociali continueranno ad esistere anche in una società familiare ed anche in una famiglia incompleta : i figli si comporteranno tra loro come gli eguali di un branco qualsiasi e tra essi ed i genitori vi saranno le stesse relazioni che tra regolati e regolatori; ma l’attività altruistica e la sua reazione sulle altre sarà molto più sviluppata e più intensa che in qua- lunque altra associazione. Così il genitore dedica una parte della sua attività produttiva alla nutrizione dei piccoli; li difende, regola, reprime, educa anche per altruismo e principalmente per altruismo. Persino la repressione a scopo altruistico apparisce nelle specie più . elevate e socievoli e ciò si localizza in colui che domina e regola: così quando due piccole foche, lottando per giuoco, finiscono col mordersi sul serio, il genitore interviene brontolando, e tronca il duello non senza attestare, lambendo, la sua approvazione al vin- citore (Bre hm). Riv. DI BIOLOGIA GENERALE, III, 33 Dick ASTURARO CaAPo VII. Famiglia composta e indivisa. Dalla famiglia semplice può nascere e nasce talvolta un aggregato sociale, che con espressione adoperata da S. Maine, può chiamarsi famiglia composta e indivisa. L’ abitudine che ha la madre del Kanguro di allattare i figli di due parti consecutivi ed anche i figli più grandi ed i figli dei figli, fa sì che tutti quest’ individui restino insieme (Brehm) e formino un branco sui generis, che non cessa d’ essere familiare. Anche senza l’ allattamento, se i nati dei parti consecutivi e i i loro figli rimangono insieme, si avrà un branco, che si potrebbe chiamare una famiglia composta se, venendo a mancare tra i prin- cipali componenti ogni altro vincolo che non sia quello puramente sociale, esso non fosse piuttosto un’ aggregazione ed in certi casi una società composta di famiglie (capo IX). I rapporti e la serie delle attività e dei fenomeni sociali doviania apparire più evidenti che nella famiglia semplice. Essi rifulgono infatti tanto più, quanto più i vincoli sociali si estendono e pre- valgono su quelli sessuali e parentali. CAPO VIII. Agglomerazioni e aggregazioni di famiglie. Gl individui possono, per le cause e i motivi esposti nel capo II, trovarsi insieme e formare agglomerazioni provvisorie od anche aggregazioni. Lo stesso avviene delle famiglie. Le famiglie semplici dei gorilla, come vedemmo, si uniscono temporaneamente per aggre- dire. I cavalli selvatici, poi, ciascuno dei quali tra la sua famiglia, sono animali eminentemente gregarî: i loro branchi racchiudono talvolta parecchie centinaia “i famiglie. E si possono avere anche aggregazioni di aggregazioni : onde gli immensi strupi degli stessi cavalli selvatici, che giungono talora a contenere parecchie migliaia d’individui. I fenomeni collettivi e sociali che si verificano ed i loro rapporti non possono essere diversi da quelli già indicati per le aggrega-. zioni d’ individui, salvo la complicazione che viene dal fatto che ciascun individuo adulto ha una famiglia. Quindi vi saranno lotte, inibizioni, osservazioni volontarie provocate anche dal desi. derio che ciascuno ha di conservare le sue femmine. Così, per SOCIOLOGIA ZOOLOGICA 515 es., tra gli stalloni, ogni qualvolta uno tenta rapire una giumenta ad un altro, vi sono morsi e calci ; e per effetto di queste lotte inter-individuali anche inibizioni inter-individuali. E fin qui nessun’alterazione nella serie dei fenomeni. Ma. una modificazione, introduce 1 altruismo familiare, e non è altro che lo reazione di cui qui parlammo nel capo IV. Gli stalloni, per es., combattono, esplorano, regolano, anche per le loro famiglie; e ne nascono nuove abitudini sociali, come, per es., quella di porre in mezzo, nel caso di aggressione, le femmine e i piccoli. Capo IX. Società di famiglie. Il successivo estendimento della famiglia allorchè i maschi atti alla riproduzione sono costretti a procurarsi femmine proprie o ad abbandonare la compagnia e se le procurano infatti e rimangono, come avviene’ in molteplici specie di mammiferi, dà luogo ad una società, composta di famiglie dello stesso sangue, salvo 1’ in- erociamento proveniente dal ratto delle femmine. Le condizioni e i motivi per cui l'unione permane sono sempre quei medesimi che già abbiamo incontrato. Negli animali queste società subiscono un’ organizzazione, una differenziazione e quindi un’evo- luzione minore che le società senza famiglia. La loro superiorità consiste invece nell’ elevata costituzione degl’ individui che le com- pongono. Questa superiorità è visibile quando si paragoni la rego- lazione attiva di un capo di elefanti o di scimmie determinata quasi da un ragionamento, da una lunga esperienza e da una grande scal- trezza a quella semplicissima ed istintiva di una regina di api. Quanto all’ inconscia parentela, parecchi problemi possono sor- gere: per es., se un’aggregazione di famiglie non possa, per effetto dell’ appropriazione di un territorio o di un comune ricovero, o di altra causa consimile, dar luogo ad una società di famiglie non parenti, e che cosa avvenga della parentela in seguito alla scissione per accrescimento numerico. Ma quel che preme a noi è soltanto questo, che, se esistono società di famiglie, vi sia o non vi sia | parentela, l’ordine ed i rapporti generici tra le varie attività sociali non possono mutare. Or che tali società esistano, non è dubbio. Se i cavalli selvatici non riescono a costituirne, giacchè, pur rimanendo insieme o vicini i figli con le rispettive femmine, si aggregano ben presto e facilis- simamente ad altri individui o strupi, gli è perchè non hanno la 516 ASTURARO necessità di un numero definito nè si appropriano un territorio 0 un ricovero. Ma le colonie di castori, costituite da vere società familiari, in cui ciascuno dei figli grandicelli aiuta i genitori e, quando ha raggiunto l’età della riproduzione, si costruisce la sua loggia accanto a quella dei suoi parenti e fonda una nuova famiglia ; sono un esempio evidente di un tal tipo sociale. Gli aggregati di scimmie, occupanti, in numero definito, una parte della foresta o delle parieti delle roccie, allorehè ogni maschio adulto ha la sua femmina o le sue femmine, intorno a cui si aggruppano almeno i figli più piccoli (se non quelli grandicelli) come tra le Amadriadi, i Tokur, ecc., sono anch’ essi esempi di società composte da fami- glie (se non da società familiari). Questi gruppi in certe occasioni, specialmente nel migrare, o in certe località favorevoli alla loro coesistenza, possono alla lor volta agglomerarsi o aggregarsi; ed è questo l’estremo grado di compo- sizione a cui gli aggregati animali possono giungere. CONCLUSIONE. Abbiamo cercato di stabilire i principali rapporti e quindi le principali leggi delle attività degli animali associati e dei rispettivi fenomeni collettivi e sociali, prescindendo, quanto più era possibile, dalle particolari circostanze di ciascuna classe o famiglia o specie. . E giacchè ci siamo valsi in sostanza e prevalentemente della dedu-° zione dalle leggi bio-psicologiche, confermata dalla induzione e pro- gressivamente applicata (per quanto, a rendere meno arida e noiosa la nostra esposizione non lo abbiamo nella forma ostentato) dobbiamo presumere che quei rapporti saran. validi a priori per qualsiasi animale sociale, salvo 1’ introdurre per ciascuna specie le particolari circostanze e le qualità che la distinguono, e il decidere in ultimo se vi sia sulla terra qualche specie, la quale presenti qualità non solamente superiori di grado, ma irreducibili sotto le note leggi della vita e della psiche, cosa scientificamente improbabile, ma che pur non devesi escludere a priorî da chi voglia spingere al suo mas- simo il rigore scientifico. Prof. ALFONSO ASTURARO, NOTE CRITICHE E COMUNICAZIONI © Di una definizione dell’ individuo proposta da F. Le Dantee. In un interessante articolo comparso nella Revue philosophique 1), Félix Le Dantec si propone di trovare una nozione generale ed assoluta di ciò .che devesi intendere per individuo in biologia, e in questo dissente dal Delage che asserisce non doversi definire l’individuo. La forma comunemente usata nel porre il problema delle aggregazioni organiche «se gli individui superiori siano aggregati di individualità d’ordine inferiore », sarebbe, secondo Le Dantec, atta a generare equivoci e confusione; perchè la parola individuo viene qui adoperata successiva- mente con significati diversi. Ritiene dunque 1’ A. francese necessario prima di tutto definire che cosa debba intendersi per individuo, termine non ambiguo quando si applichi all’ uomo, ma di difficile e dubbia appli- cazione quando si tratti di forme organiche inferiori, come certi vermi, celenterati, echinodermi ed ‘anche protozoi. In questi casi il riconoscimento dell’ « individuo » può divenire oggetto di ricerca scientifica. I. — Indivisibilità. — E intanto l’A. scarta il criterio della indivisibi- lità, suggerito dalla stessa etimologia della parola «individuo», perchè l’uomo stesso, individuo per eccellenza, può subire mutilazioni continuando a vivere. II. — Comunanza d’origine. -— Un’altra definizione si è voluta fondare sopra la comunanza d’ origine e la continuità delle parti costitutive. Il concetto racchiuso in essa è troppo vago. Dall’uovo di un’idra si sviluppa un animale che può vivere isolato, oppure sviluppare gemme : un idrario ‘marino sviluppa una massa di polipi che restano uniti, ognuno dei quali equivale, ossia è omologo, ad un’idra. Ora, considerare individuo la massa totale proveniente dall’ uovo implicherebbe un assurdo, la negazione della stessa teoria coloniale, poichè la medesima denominazione si applicherebbe all’idra e alla massa dell’idrario che ne è un multiplo. 1) F. Le Daxrrc. — Za definition de l individu. — « Revue philosophique », «(Ribot). Gennaio e Febbraio, 1901. 515 i P. CELESIA II. — L'unità animale. — Si chiama correlazione « l'insieme delle influenze che esercitano l’una sull’altra le diverse parti di un’agglomerazione vivente e continua ». Questa ha stretti rapporti col fenomeno della rigene- razione. Se esistessero organismi tra le cui parti. non sì manifestassero correlazioni, si. potrebbero considerare individui quelli soltanto ove detta proprietà si riscontrasse; ma anche nei casi della indipendenza apparente- mente più spinta fra le parti, come tra i rami di un albero, sarebbe teme- rario asserire che manchi un certo grado di dipendenza reciproca. Tagliando un ramo una qualche modificazione deve ripercuotersi sugli altri. Dal fatto che un albero non rigenera i rami tagliati, mentre un tritone rigenera una zampa amputata, conchiude l'A. che : tra le parti dell’anfibio vi ha una più stretta dipendenza morfologica ; che inoltre, a differenza di quanto succede nei tritoni, « la forma complessiva dell’ albero non è una forma d’equilibrio obbligatoria ». Per altro questa differenza nel comportamento non potrebbe valere per una definizione dell’individuo, poichè l’uomo non ha la facoltà di rigenerare arti mutilati, eppure nessuno gli negherà il valore di individuo. Il criterio della facoltà rigenerativa per altro sarebbe prezioso, se si potesse eliminare una causa di errore, che limita le attitudini rigenerative degli orga- nismi; la quale causa Le Dantec ravvisa nella presenza di parti rigide costituenti uno scheletro : questo, una volta formato nell’ adulto, stabilisce tra le parti un equilibrio che non è più quello che altrimenti avrebbero le parti nel loro complesso. « Che cosa è il tronco di una quercia adulta? Un ammasso di prigioni scheletriche, di cui talune possiedono ancora, molte hanno perduto, le sostanze viventi iniziali. Tagliate un ramo a una quercia, e qual ragione vi sarà perchè l’equilibrio di essa sia compromesso ? Eviden- temente nessuna. È come se si demolisse un tratto di muro: non vi sarebbe ragione perchè la parte restante ne soffrisse ». — «È per la esistenza dello scheletro che noi non possiamo riconoscere nei casì singoli se la forma di un dato corpo organizzato sia una forma d’equilibrio fatale per una massa vivente di una data specie, o almeno è la presenza dello scheletro che ci impedisce di verificare ciò mediante un esperimento di rigenerazione ». Nella riproduzione l'A. scorge « un modo di rigenerazione in cui l’azione dello scheletro è eliminata ». Essa ci permetterà di distinguere nei casi singoli « una massa vivente la cui forma è ereditariamente obbligatoria », conducendoci a definire l’ individuo : « 1’ unità morfologica più elevata che l'eredità riproduca fedelmente ». Veniamo a qualche esempio. La Magosphaera di Haeckel, massa sferica di 32 cellule flagellate uguali, non sarebbe per Le Dantec una colonia, ma un individuo, perchè detta sfera consta appunto di un numero determi- natissimo di cellule eguali, ed essa rappresenta dunque per la specie Mago- 8phaera la più alta unità morfologica che la eredità riproduca esattamente. Invece per l’ infusorio Epistylis, che si presenta in aggregati variabili per forma e dimensioni di cellule, ognuna delle quali somiglia ad una Vorticella (cellula vivente isolata), ciò che è ereditariamente determinato è la forma di ogni singola cellula, e non l’aggregato di cellule, sempre variabile per composizione e forma complessiva. « Epistylis è una specie coloniale ». DI UNA DEFINIZIONE DELL’ INDIVIDUO 519 IV. — Metazoi. — La gastrula, sacco di cellule a tre strati, è pei metazoi ciò.che la cellula è pei protozoi : essa è l'elemento di cui si compongono gli individui più complessi; è la unità morfologica superiore alla cellula, deno- minata meride (Perrier) o persona (Haeckel). E qui per giudicare se un aggregato di meridi sia piuttosto individuo o colonia valgono considerazioni analoghe a quelle già esposte per un aggre- gato di cellule. « Se l’agglomerazione si compone sempre in una determinata specie del medesimo numero di elementi similmente disposti, l'individuo è rappresentato dall’agglomerazione complessiva; se al contrario l'aggregazione presenta una grande variabilità nella sua costituzione da meridi, la più alta unità morfologica ereditaria, ossia 1° « individuo », è rappresentata dal meride, quand’anche questo sia estremamente polimorfo per tutta la colonia ». Le unità morfologiche denominate meridi possono aggregarsi (come si nota nei celenterati ecc.) nelle forme più svariate, in foggia arborescente, radiale, ecc. : quando si succedono in serie lineare diconsi metameri, e questi interessano in sommo grado perchè si è supposto che i metameri o i segmenti del corpo degli anellidi e degli artropodi superiori rappresentassero altrettanti meridi aggregati, derivati per gemmazione da un individuo capo-serie. Nei crostacei superiori (decapodi) il numero. dei meridi è fisso (21). « Che cosa conchiuderemo », dice l’A., « dal fatto che tutti i crostacei supe-. riori hanno 21 segmenti, se non ch’essi discendono tutti da una medesima forma atavica, in cui la individualizzazione della colonia di 21 metameri era un fatto compiuto? ». Queste, che abbiamo sommariamente esposte, le idee di Le Dantec. Riconosciamo al chiaro autore il merito di aver risollevata la questione così interessante, oggi quasi dimenticata, delle aggregazioni organiche, e di avere insistito sul carattere della crescente determinatezza nel numero delle unità costitutive, carattere del resto già, implicitamente ammesso da parecchi biologi. Nessuna delle definizioni dell’ individualità proposte dagli autori è del tutto inobbiettabile. Quella proposta ora da Le Dantec farebbe una eccezione ? Per apprezzarne il valore dobbiamo vagliarne le applicabilità in quei casi più dubbi, e insieme più ‘interessanti, che rappresentano transizioni da una individualità relativamente semplice come quella di protozoi cellulari a individualità più complesse come quelle dei metazoi ; oppure in quelle forme di transizione tra una semplice gastrula e gli organismi che suppo- niamo essere aggregati di unità omologhe ciascuna ad una gastrula, e sono in via di formare individualità di ordine superiore, di terz’ ordine. Nell’ applicare la definizione di Le Dantec incontreremo molte diffi- coltà. Le Dantec asserisce che solo la esatta definizione di individuo permetterebbe di trattare con rigore la questione polizoica, che inoltre quest’ultima non si potrà mai risolvere fuorchè con ipotesi più o meno incerte. Noi ci proponiamo di dimostrare che la definizione astratta di «individuo » 520 LP. CELESIA non potrà mai trovare applicazione nei casì speciali più interessanti, nè esser di aiuto, senza partecipare delle medesime incertezze implicate dalla questione filogenetica che essa presuppone, e dalla quale essa trae ogni sua validità: poichè solo la indagine comparativa e filogenetica permette di determinare con un certo grado di probabilità quale sia « la più alta unità morfologica che la eredità riproduce fedelmente ». Prendiamo l’esempio della metameria, o segmentazione del corpo, degli anellidi. Anzitutto la ipotesi della origine aggregativa di essa, per quanto altamente probabile, non è ammessa universalmente. Molti (Gegenbaur tra questi) opinano invece che la metameria degli anellidi siasi formata per differenziamento interno, anzichè per gemmazione, di un meride unico, il quale per ragioni meccaniche di locomozione andò suddividendo i suoi organi in masse distinte, la segmentazione dapprima superficiale facendosi sempre più profonda fino a risultarne un corpo in apparenza multiplo. Che più? Alcuni naturalisti (Korschelt ed altri) attribuiscono a diffe- renziamento interno la genesi della stessa metameria così profonda dei cestodi! Questi dispareri riguardo all’ origine della metameria dimostrano se non altro che anche nei casi di evidentissima segmentazione non basta l’esame anatomico di qualche esemplare per conchiudere immediatamente de visu che si tratti di metameria aggregativa. La questione filogenetica è sempre in fondo al problema. Supponiamo per un istante con Korschelt la metameria dei eestodi derivata per differenziamento e complicazione interna, invece che per aggre- gazione. Da che sarebbe rappresentato allora, ad es., nella specie Taenia solium l’individuo ? Dalla proglottide, risponderà Le Dantec, perchè il numero di queste è variabilissimo, e perciò la proglottide è la più alta unità morfologica che la eredità riproduca fedelmente, e il corpo intiero del Taenia solium è una colonia, un aggregato di terz’ordine. . Ma in questo modo si rischia di sconvolgere la gerarchia delle aggrega- zioni, introducendo una nuova unità morfologicamente non determinabile ; perchè come si potrà assegnare il valore di meride a ciascuna proglottide prodottasi nella forma ancestrale per complicazione interna di un individuo unico, anzichè per riproduzione gemmipara, dimostrandone la omologia con una gastrula liberamente vivente, da una parte, coi veri metameri di altri organismi prodotti per gemmazione terminale dell’altra ? Che anzi se supponiamo con Korschelt una genesi differenziativa per la metameria dei cestodi, avremmo per ipotesi preeisamente il contrario, che cioè ogni proglottide rappresenterebbe in realtà una frazione di meride. Ed eccoci di fronte a questi elementi di dubbia genesi filogenetica, e perciò di dubbia omologia; le proglottidi, cui non sapremmo se accordare o negare il valore di meridi, e che pertanto renderebbero impossibile la determinazione dell’individuo. Che se invece per forza della stessa ipotesi differenziativa Le Dantee consideri « individuo » il complesso delle proglottidi, perchè tutte frazioni di un meride unico, riconosce in altro modo la più alta unità morfologica non esser determinabile se non si appoggi ad una ipotesi filogenetica. D' altra parte, dando la preferenza al criterio morfologico non vorremo tener conto delle proglottidi come di unità definite (sempre nell’ ipotesi DI UNA DEFINIZIONE DELL’ INDIVIDUO 521 differenziativa): dovremo allora considerare la catena intiera semplicemente come una « colonia di cellule ». Le incertezze che riverberano nella determinazione dell’individuo secondo le norme di Le Dantec tutti i dubbii relativi alla genesi della metameria nelle forme ancestrali, ossia il possibile contrasto tra la indipendenza attuale e la primitiva unità delle parti, raggiunge il colmo quando si pensi che nei cestodi e in certi anellidi i segmenti che nell’ipotesi del differenziamento sarebbero frazioni di meride si staccano per divenire individui liberi. Ma, attenendoci al criterio fisiologico della indipendenza delle parti noi abbiamo considerato « colonia » il complesso del cestode, ed ora siamo necessaria- mente portati a dare la stessa denominazione alle proglottidi (perchè tanto indipendenti da poter vivere autonome, e inoltre composte di cellule senza esserne aggregati fissi e definiti a quel modo che idealmente ne è il meride) ossia la stessa denominazione al tutto e a ciascuna sua parte, a meno di ritener « individuo » la proglottide già matura e ancora aderente, e invece < colonia » la proglottide staccata, il che è assurdo. Certo anche il differenziamento di un solo meride, come ben notava il Cattaneo!) « può progredire tanto oltre da produrre un risultato anotomo- fisiologico analogo a quello che sarebbe dato da una gemmazione vera ». Anche in questo caso la personalità complessiva del cestode « risulterebbe in senso fisiologico multipla, essendo composta di parti divenute semi indi- pendenti » 1). Si potrebbe dunque in questo senso ritenere coloniale 1’ organismo del cestode, quand’ anche filogeneticamente le unità che lo compongono non fossero che frazioni di un corpo primitivamente inarticolato, e non fosse possibile trovare i loro equivalenti morfologici tra le forme dotate di vita libera. Ma che significa questo se non che nell’apprezzamento dell’ individualità si verrebbe a introdurre un nuovo criterio che non è contemplato nella definizione proposta da Le Dantec, perchè si applicherebbe il nome di « colonia » a denotare il complesso di un organismo, che pure rappresente- rebbe esso stesso la più alta unità morfologica che la eredità riproduce fedelmente, e non ammetterebbe una suddivisione in sottomultipli morfolo- gicamente definiti, se non in cellule ? : Tutte queste incertezze derivano dalla interferenza del criterio fisiologico con quello filogenetico. Occorre coordinarli 1’ uno all’altro, imperniando la determinazione dell’individuo sopra una classificazione morfologica rigorosa: e in tal caso per essere conseguenti bisogna riconoscere che tutto il valore della determinazione dipende dalla genesi che s’ ammette; oppure cercare un’ altra definizione più vaga e generale come quella di Spencer, di poco o nessun aiuto all’ investigazione biologica, ma almeno filosoficamente giustificabile ed autonoma. 1) CatTANEO G. — Embrologia e morfologia comparata. — Milano, Hoepli, 1898, Poco fa parlando dei metameri nei cestodi e degli anellidi ho detto che se si ammetteva la origine differenziativa, si perdeva ogni speranza di determinare il loro valore come unità morfologiche. Se essi mancavano nella forma ancestrale segmentata, la loro attuale indipendenza ha un valore semplicemente adattativo. Poichè la omologia è un filo continuo nella storia dello sviluppo, che il biologo tende con estrema cautela nei meandri delle forme. Se il filo una volta si spezza, impossibile riallacciarlo discendendo per un tratto la serie, perchè le omologie non si possono costruire col metodo discendente. Inter- rotta una volta la continuità genetica, per cui lentamente si segue as ce e n- dendo di gradino in gradino, il sovrapporsi delle aggregazioni, va perduta ogni speranza di riconoscimento e «di segnalazione obbiettiva per le unità morfologiche genuine. Una. proglottide derivata per differenziamento interno, dato che ciò sia possibile, non sarebbe omologa ad un meride, quand’anche fosse strut- turalmente identica ad una gastrula tipica. Non sarebbe che una forma resa analoga per convergenza. Non si dimentichi infatti che la omologazione di ogni vero metamero con una gastrula (nei casi in cui essa è legittima) per la quale assegniamo ad esso il valore di meride, non può conseguirsi direttamente, ma implica una inferenza mediata, per cui prima si riconosce la equivalenza del primi- tivo individuo-capo della serie nella forma atavica con una gastrula, dacchè esso appunto dovea svilupparsi da questa per complicazione. interna, e poi la equivalenza dei segmenti successivamente gemmati all’ individuo-capo primitivo, loro comune progenitore agamo (cestodi) dal quale ereditano il valore morfologico inalterato ; mentre poi nei casi di gemmazione terminale derivando l’ uno dall’ altro se lo trasmettono successivamente. Devono per- tanto anch’esse risultare omologhe ad una gastrula, avere cioè il valore morfologico di meridi. Nell’ipotesi differenziativa la omologazione dei metameri ad una gastrula, per quanto essi sian divenuti indipendenti e capaci di vita libera, sarebbe illegittima, le proglottidi sarebbero unità non occupanti un posto definito nella scala delle aggregazioni, come il braccio ectocotile dei cefalopodi che si stacca e va a fecondare la femmina e che nessuno pretenderà sia omologo ad una gastrula. È vero che anche immaginando per la metameria una genesi aggregativa in certi casi non siamo in grado di determinare rapporti numerici definiti tra le varie parti di un organismo. Ad es., a quanti segmenti fusi corri- sponde la testa di un insetto ? Non possiamo rispondere con assoluta certezza. Però se accettiamo l’ origine aggregativa noi postuliamo uno stadio filoge- netico in cui tutti i segmenti erano simili, e per forza della stessa ipotesi dobbiamo ammettere che il metamero sia per così dire il minimo denomi- natore comune di tutte le regioni (capo, torace, addome) risultanti dalla fusione di segmenti, e per conseguenza un sottomultiplo definito anche della regione cefalica, e pertanto il rapporto tra la regione cefalica e ciascun DI UNA DEFINIZIONE DELL'INDIVIDUO 923 metamero esprimibile con numero intiero, quand’anche siano nella impossi- bilità di determinare questo numero. Al contrario nella ipotesi differenziativa potrebbe darsi benissimo il caso che una parte del corpo del primitivo progenitore inarticolato fosse rimasta estranea al processo di segmentazione, ed allora sarebbe vano cer- care un rapporto morfologico tra essa ed ogni segmento. In quest’operazione la parte primordialmente non segmentata costituirebbe un residuo morfolo- gicamente non determinabile 1). La genesi differenziativa della metameria dei cestodi, anellidi ed artro- podi, malgrado sia favorita da molti scienziati autorevoli, non sembra a noi molto verosimile, (seguendo. in questo le idee di Spencer, Perrier ‘e Cattaneo): però ci siamo indugiati a discuterne la portata nella que- stione che ci occupa, perchè ci è parso che Le Dantec avrebbe potuto insistere maggiormente sulla difficoltà di determinare « la più alta unità morfologica che la eredità riproduce fedelmente », rilevando in quale alto grado la determinazione di quest’ultima dipenda dallà genesi che noi ammet- tiamo della metameria. Ci è parso così di dare un’idea della apice del problema e del come sia impossibile decifrare la individualità degli organismi con più rigore e certezza che non comporti la indagine filogenetica. Questa sola ci porge nella comparazione colle unità di misura, cellula, gastrula, i veri metri-campioni del biologo, un metodo obbiettivo, per quanto ancora imper- fetto e spesso incerto, rinunciando al quale si chiederebbe alla biologia di sacrificare una delle sue conquiste più feconde. P. CELESIA. 1) Una delle ipotesi oggi in voga sulla genesi della metameria degli anellidi suppone appunto che nella forma ancestrale esistesse già un differenziamento in una parte ante- Tiore 0 prosoma in cui cadrebbe la bocca, il lobo preorale e l’ organo escretore, e la restante parte o metasoma. La metameria sarebbe dovuta all’accrescimento ed alla divi- sione del solo metasoma. Per altro non è escluso che nelle forme ancestrali degli anellidi il prostoma si fosse già formato per fusione di un numero determinato di segmenti, fusione la quale poi nelle singole classi degli artropodi progredì per addizione di sempre nuovi segmenti al praestomium. E in questo caso non sarebbe affatto esclusa la origine aggregativa di questa metameria. Certo è che se si ammette la preformazione del prostoma segmentato, da assumersi come dato primordiale e irreducibile a un numero determinato di segmenti, si cade nella ipotesi differenziativa non solo, ma secondo noi la preformazione di una parte nella regione anteriore del corpo è a sua volta postulata da questa ipotesi stessa, ogni volta che si supponga la metameria derivata per adattamento alla. locomozione : infatti questa presuppone uno stadio in cui la primitiva forma asegmentata si movesse già e questa ipotesi implica nella regione anteriore la esistenza di un centro coordinatore della locomozione abbastanza sviluppato prima che si iniziasse la divisione metamerica del corpo. 24 G. C. FERRARI Paralalie e paragrafie corrispondenti. Nota preventiva. Ho potuto osservare più volte, grazie alla mia professione — per cui mi capitano nelle mani manoscritti di individui che solo più tardi arrivo a ‘conoscere di persona, — che molti adulti, nella scrittura corrente, delineano atrofiche quelle lettere che essi (pure avendo la possibilità di pronunciarle bene) abitualmente non pronunciano o pronunciano male. Le lettere che più spesso presentano tale atrofia nella loro struttura grafica sono l’esse e l’erre, ed ho osservato spessissimo che nell’indirizzo delle lettere o dei manoscritti, Ia loro forma era corretta, completa, sebbene fosse non di rado stentata, e, per esempio, le tre erre del mio cognome avevano ciascuna una fisionomia particolare, e le due che «si seguono erano per lo più staccate. Ora in queste persone, quando arrivavo a conoscerle, io notavo o un leggero rotacismo (r strisciata, grassa, gutturale), più di sovente un grado abbastanza spiccato di asigmatismo (se si può dire), per cui, invece dell’esse, l’individuo, o ne pronunciava un semplice accenno rudimentale, o raddoppiava la lettera (specie se era una dentale) che avrebbe dovuto ‘venire dopo l’s, o in qualche modo sostituiva quest’ultima. Invitati però a pronunciare nettamente l’ una o l’ altra di quelle lettere, specie se isolate, quasi tutti gli individui potevano farlo, e la riproducevano con una esattezza che solo la poca abitudine di pronunciarle rendeva non perfetta. Non esistevano quindi in loro cause anatomiche, fisiologiche o patologiche, periferiche o centrali che impedissero quell’ esecuzione ; e la simultaneità dell’ errore, che si notava tanto nella dizione come nella scrittura, dimo- strava che il fatto doveva essere interpretato puramente come un disturbo psichico. Confermerò sperimentalmente questa osservazione servendomi del pres- siografo per sorprendere la deficienza grafica, e del fonografo per quella fonica, sebbene non sia facile riuscirvi senza attirare sul fenomeno l’atten- zione del soggetto perturbando così i resultati dell’esperimento. Ho pregato pure un -:maestro di deficienti e di malati di mente di fare osservazione alla cosa nella sua pratica, e di tutto parlerò più tardi. Intanto desidero con questa nota preventiva richiamare l’ attenzione sul fatto medesimo, il quale dimostra chiaramente che queste mogilalie, o difetti parziali di pronunzia limitati a taluni suoni, e che i fonologi trova- rono normali in razze diverse dalla nostra, possono essere e sono comuni nei deficienti forse per un mancato sviluppo psichico, perchè infatti rappre- sentano un arresto o una deficiente evoluzione dal linguaggio infantile 1); _ ma tale interpretazione non è più possibile quando si parli dei degenerati, e specie nei degenerati superiori, nei quali sono frequentissime. 1) WunpTr. — Véòolkerpsychologie. Eine Untersuchung der Entwickelungsgesetz von Sprache, Mythus und Sitte. — 1. Bd. Leipzig, Engelmann, 1900. PARALALIE E PARAGRAFIE CORRISPONDENTI 525 L’ osservazione riportata, infatti, della corrispondenza perfetta fra para- lalia e paragrafia, ambedue puramente funzionali. si spiega in questo modo : Gli individui che dovevano imparare quelle lettere particolari la cui pro- nuncia presentava qualche difficoltà speciale, rifuggivano dallo sforzo neces- sario per arrivare a pronunciarle in modo corretto, e le pronunciavano come venivano più facilmente. La pronuncia insufficiente, dal suo canto, non provocava una immagine abbastanza netta del segno grafico rappresentante la lettera mal pronunciata, e così si aveva il fenomeno che abbiamo rilevato. Si comprende pure bene come questo fatto avvenga con una certa pre- dilezione nei degenerati, se si pensa alle condizioni speciali in cui tali individui nascono, e al modo come si svolgono comunemeute i primi anni della loro infanzia. In questo tempo prezioso per la formazione del linguaggio, essi, o sono abbandonati a sè stessi, senza che nessuno si curi del modo come pronunciano; oppure, oppressi di premure fuor di luogo, possono pronunciare come vogliono, perchè tutti sono troppo contenti che i piccoli despoti si degnino di parlare, per pensare a correggere qualunque enormità avvenga loro di pronunciare o di dire. Per cui avviene naturalmente che questi difetti colpiscano di preferenza le lettere di più difficile pronuncia. Non si tratta quindi in tutto questo di una rifioritura di residui atavici che giacevano nell’ incosciente e di cui la degenerazione del terreno sul quale si svolgono favorirebbe il germinare, come potrebbe far supporre il fatto che sono modi di pronunciare comuni attualmente a certe’razze infe- riori, o a stadii di evoluzione che i nostri progenitori hanno attraversato ; ma siamo probabilmente in presenza di cattive abitudini mentali, cattive pieghe mentali (per così dire); lo studio delle quali potrebbe forse utilmente indirizzarci nello studio di certe allucinazioni o pseudo-allucinazioni e di certi deliri ‘). Aprile, 1901. G. C. FERRARI. 1) G. C. FERRARI. — Influenza degli stati emotivi sulla genesi e sullo sviluppo dei deliri e della psicosi. — Reggio Emilia, 1901. ut LAS Sì RASSEGNA BIOLOGICA RASSEGNA BIOLOGICA I. Fisiologia. JENSEN PAUL. — Zur Analyse der Muskelcontraction. Ueber den Einfluss des Assimilirungsproducte auf die Muskeleurve. — « Arch. f. d. gesammte Physiologie », Bd. 86, 1901. Jensen tenta ricondurre la contrazione muscolare ai fattori indicati da Hering come le componenti dei processi vitali, in altre parole all’ al- ternarsi della fase discendente del metabolismo muscolare colla fase ascen- dente. L° A. mira sopratutto a precisare i rapporti tra le singole porzioni della curva miografica e la grandezza e il decorso dei processi accennati, dimodochè in ogni caso speciale sì possa conchiudere da determinati can- giamenti della curva a determinate modificazioni degli intimi processi della sostanza muscolare ». E poichè dal miogramma muscolare descritto da tutta la massa del muscolo sì vuol conoscere i cangiamenti dei singoli elementi, è indispensa- bile per la ricerca un’analisi preliminare dell’influenza che i singoli elementi del muscolo esercitano sulla forma della curva. La forma della curva muscolare è condizionata da tre fattori : velocità di trasmissione dello stimolo nel muscolo; più o men completa diffusione di questo processo ; .e infine sua ampiezza e durata in ogni elemento muscolare. L’analisi della contrazione secondo i criterii dell’ A. si può istituire, perchè da numerose esperienze risulta che la curva muscolare isotonica dipende prevalentemente da modificazioni nei processi intimi dell’ elemento muscolare. Il processo di eccitamento del muscolo è molto complicato, inquantochè lo stimolo che viene dalle terminazioni nervose, prima di raggiungere le fibrille muscolari, deve attraversare il sarcoplasma e quindi i fenomeni meccanici del muscolo dipendono non solo dalle modificazioni della sostanza fibrillare, ma amcora da quelle del sarcoplasma. Altre complicazioni consistono in ciò che la « eccitazione » comprende serie di processi diversi. Dapprima si ha la « modificazione discendente » con diminuzione dei prodotti assimilabili e aumento di prodotti di dissimi- lazione : succedono poi 1)’ assimilazione compensatoria e la eliminazione dei prodotti di dissimilazione, i quali processi entrambi insieme formano la « modificazione ascendente », RASSEGNA BIOLOGICA 527 Per quel che riguarda la durata dei processi accennati e della modifica- zione discendente in ispecie, essa dev’esser commisurata dal tempo nel quale raggiunge il suo marimum la modificaziene del potenziale elettrico dell’ele- mento, vale a dire corrispondere al periodo di latenza meccanica. Secondo ogni verosimiglianza anche la modificazione ascendente, ossia la assimilazione compensatoria ha principio quasi immediatamente dopo il principio della modificazione discendente ; dimodochè prima che quest’ultima abbia raggiunto il suo marimum, avviene già una ricostituzione notevole di materiali dissimilabili ; come risulterebbe anche dalle esperienze di Sehoen- lein sulla oscillazione negativa. Rispetto ai rapporti di tempo tra i singoli processi chimici ora accennati e le modificazioni meccaniche dell’elemento muscolare, è probabile che tutta la modificazione discendente e l’inizio delle due componenti della fase ascendente siano comprese nel periodo di latenza meccanica. La fase discen- dente raggiunge probabilmente il suo maximum prima del marimum della contrazione, e i prodotti di dissimilazione sono probabilmente già rimossi al termine della scossa muscolare. d Allo scopo di conoscere come gli accennati fattori influiscano ciascheduno sulla forma della curva, Jensen si è accinto a variarne la intensità con- trollando le corrispondenti modificazioni dei fenomeni meccanici. Gli esperi- menti furono fatti sopra un muscolo di rana irrigato di sangue. La elimi- nazione dei prodotti di dissimilazione veniva aumentata ostacolando la uscita di essi dal muscolo (impedendo all’animale la escrezione dell’urina) d’altra parte gli altri due fattori, modificazione discendente ed assimilazione com- pensatoria, venivano modificati indirettamente riducendo l’attlusso dei mate- riali assimilabili (impedendo la respirazione). Determinando contemporaneamente un aumento di prodotti dissimilatorii e una diminuzione di materiali assimilabili nel muscolo, coll’ impedirvi la circolazione e stimolarlo a brevissimi intervalli, non risultò alcuna differenza dal comportamento del muscolo normalmente irrigato di sangue. Dai numerosi esperimenti risulta che 1)’ altezza della curva, e quindi la grandezza della modificazione discendente, dipende dalla quantità disponibile delle sostanze dissimilabili, ossigeno in ispecie. Un diminuito apporto di ossigeno provoca una diminuzione di altezza della curva senza cangiamenti apprezzabili della sua forma. Alla medesima causa (povertà di ossigeno) è da attribuire il diminuire di altezza delle curve per la fatica. Nulla di ben chiaro può ancora dirsi rispetto all’ azione diretta della assimilazione compensatoria sull’altezza della curva. Per la fase decrescente o di rilasciamento del muscolo è da considerare il semplice rapporto delle ascisse, vale a dire la velocità con cui la curva si avvicina all’ ascissa primitiva. Questa velocità è minore e la durata del periodo decrescente per conseguenza maggiore, nella fatica: e ciò può dipen- dere o da eccessiva lentezza dell’ assimilazione compensatoria o da troppo ritardata eliminazione dei prodotti disassimilatorii. Però è da avvertire che la grandezza dell’assimilazione influisce più sull’altezza della curva miogra- fica che non sulla lunghezza della sua parte decrescente. Vanno distinte dai rilassamenti ritardati che si manifestano nel calo uretrale stimolato dopo legatura, le « contratture » che non sono imputabili 528 RASSEGNA BIOLOGICA ad un accumularsi dei prodotti dissimilatorii nel muscolo. È verosimile che la cosidetta contrattura di Tigel sia dovuta ad un adunamento anormale di acqua nella sostanza. È L’altezza della curva, astraendo da alcune costanti, resta funzione della quantità del materiale assimilabile e da quella dei prodotti di dissimilazione, ed essa cresce col crescere di questi due fattori. Questi a lor volta possono rappresentarsi come funzioni del tempo esprimendoli con una certa frequenza di stimoli succedentisi a eguali intervalli (ad es. primo al secondo). I risultati che si ottengono variando questa, concordano perfettamente con quanto la teoria dei processi intimi del muscolo faceva prevedere. RosENTHAL J. - Lehrbuch der allgemeinen Physiologie. — Leipzig, A. Georgi, 1901. Si può dire che, prima che comparisse il libro del Verworn !), non esistesse un vero trattato di fisiologia generale. C’ erano gli « Elementi di fisiologia generale » di W. Preyer; ma il piccolo libro, piuttosto che un trattato sistematico, era l’esposizione di alcuni principii di filosofia naturale riguardanti le funzioni degli esseri viventi, l’origine della vita, ecc. L’opera del Verworn destò molto rumore, e, nonostante le molte critiche di cui fu fatta segno (più aspra fra tutte fu quella di F. Schenck), sembrò e sembra ancora un’opera ben fatta, quasi geniale nel decorso della forma limpida e piana. Tuttavia essa presenta un difetto fondamentale, di origine, il quale consiste nell’aver dato 1’ A. eccessivo sviluppo alla fisiologia cellulare, e propriamente dei protisti, e troppo poco alla fisiologia dei tessuti. A questo difetto l’ A. non ha rimediato nella seconda edizione, e non vi rimedierà più, perchè egli ritiene la fisiologia generale essere innanzi tutto fisiologia cellulare. Vennero poi, nel ?99, i due pregevolissimi volumi di M. Kassowitz ?), nei quali invece prevale la morfologia, tutto ciò che riguarda le questioni dell’ eredità e dell’ adattamento, ecc. ; mentre di vera fisiologia c'è pochis- simo, e dal libro è affatto escluso ogni insegnamento tecnico. Tanto nell’ opera del Verworn, quanto in quella del Kassowitz pochissima parte è fatta alle interessantissime applicazioni che presente- mente si fanno dei principii fisico-chimici, in generale meccanici, ai feno- meni della vita. Ultimo è venuto il libro del Rosenthal, al quale l’ A. ha creduto di dare il sottotitolo di « Introduzione allo studio delle Scienze Naturali e 1) VerRwoRrN M. — Allgemeine Physiologie. — Jena, G. Fischer, 1895. (Trad. italiana del Bocca). 2) Kassowrrz M. — AUgemeine Biologie. — I. Bd.: Aufbau und Zerfall des Proto- plasmas, — II. Bd,: Vererbung und Entwicklung. Wien, M. Perles, 1899. RASSEGNA BIOLOGICA al della Medicina ». E ha fatto bene, perchè crediamo che in questo libro, del resto anche pregevole, e nel quale 1’ A. ha riunito lezioni e conferenze da lui fatte in molti anni d’ insegnamento all’ Università di Erlangen ; in questo libro, diciamo, c’è più di quanto occorrerebbe alla psicologia gene- rale e c'è meno di quanto più propriamente le spetterebbe. I primi tre capitoli trattano dei principii di logica scientifica e di meto- dologia. Il quarto e il quinto trattano della materia e dell’ etere, del movi- mento e dell’ energia. . Nei capitoli dal sesto al decimo, l'A. entra a dirittura nella fisica e nella chimica fisiologica, parlando dei gaz, delle soluzioni, delle combinazioni chimiche e dei costituenti chimici dell’organismo. Il lettore giunge, dunque, alla fine del decimo capitolo, cioè a pag. 260, senza essere ancora entrato, per dir così, in materia (fisiologia generale). Con ciò non vogliamo dire che da un trattato di fisiologia generale debba essere esclusa la fisica, la chimica, ecc. Queste discipline, ridotte ai principii fondamentali, dovrebbero però, crediamo noi, far capolino qua e là nel testo, quando se ne presenta l’occa- sione, in forma di ricordi, e non occupare quasi il primo terzo libro, che lo studioso per ciò molto probabilmente abbandona prima d’ essersi inoltrato nella parte che veramente tratta di fisiologia generale. Ma anche questa parte, nel libro del Rosenthal, non ci sembra che corrisponda all’aspettativa del lettore. Due capitoli sono dedicati alla fisio- logia cellulare, uno alla respirazione e circolazione, due al metabolismo dinamico. Tutta la dottrina dell’ eccitabilità, e la fisiologia generale dei tessuti muscolare e nervoso e delle strutture sensoriali, sono strozzate in un solo capitolo, non lungo. L’opera si chiude con un capitolo sull’origine della vita. L’ esposizione è molto elementare, così che il libro risponde al titolo « Introduzione, ecc. », e chiara. Fa difetto anche qui la tecnica. Il testo contiene 137 figure, in gran parte riprodotte da altri libri e da lavori speciali. i In conclusione, possiamo dire di avere nei tre libri del Verworn, del Kassowitz e del Rosenthal tre opere le quali, pur avendo lo stesso titolo o quasi, differiscono molto tra loro, senza che nessuna di esse corri- sponda, secondo il nostro modo di vedere, all’ideale d’ un trattato di fisio- logia generale, che dovrebbe essere sopra tutto una fisiologia dei tessuti, e un’ esposizione dei meccanismi funzionali generali dei quali si sprigionano le manifestazioni della vita. La fisiologia generale, così intesa, è più della fisiologia cellulare ; non comprende la fisiologia degli organi, degli apparati, che è fisiologia speciale ; utilizza i dati della fisica e della chimica biologiche e sopra tutto le applicazioni dei principii di chimico-fisica allo studio degli esseri viventi, ma non s’indugia a trattare delle proprietà dei gaz, e di simili questioni speciali; ha una propria tecnica, cioè la tecnica che viene impiegata nello studio delle funzioni dei singoli tessuti, la tecnica citologica, ecc. ; infine deve esporre con eguale chiarezza e concisione tanto la contra- zione d’ un muscolo o lè proprietà conduttrici d’ un nervo, quanto la più elevata ipotesi sulla costituzione della materia vivente o sull’ origine della vita o sull’ eredità dei caratteri, e così via. Chi conviene con noi in questo modo d’intendere la fisiologia o biologia Riv. DI BIOLOGIA GENERALE, III. 54 530. RASSEGNA BIOLOGICA generale, dalla quale non dovrebbero nemmeno andare esclusi almeno i primi principii di psicologia, leggendo i suddetti tre libri facilmente si persuaderà che un vero trattato di questo genere resta ancora da fare. F. BOTTAZZI. JENNINGS H. S. — ©n the significance of the spiral swimming of organism. — The American Naturalist, Maggio, 1901. Molti degli organismi unicellulari, infusorii, ciliati e flagellati si muovono descrivendo giri di spira, mantenendo il corpo loro una posizione costante rispetto all’asse della spirale descritta, vale a dire presentando sempre lo stesso lato del corpo esternamente alla spirale. Un Paramaecium, quando si mette in movimento, non può seguire una linea retta, ma per la sua forma asimmetrica continuamente devia da un lato, tendendo a descrivere un circolo. Una vera progressione utile all’orga- nismo sarebbe impossibile, se questo non possedesse qualche mezzo per correggere le deviazioni laterali, e questo mezzo pei Paramaecium, Loxodes,' Hypotricha, ece., consiste nel combinare il movimento di traslazione dianzi accennato con un movimento di rivoluzione intorno all’ asse longitudinale. In questo modo la parte più attiva nella progressione viene rivolta ini dire- zioni sempre diverse. L’ organismo descrive così un cammino a spirale. Nei Loxodes v ha una tendenza a deviare a sinistra, negli Hypotricha verso destra, nella Chilomonas a deviare verso il lato inferiore. Im certe forme simmetriche come i Volvox la rivoluzione intorno all’ asse longitudinale è conservata forse per compensare eventuali deviazioni dovute a malforma- zioni di sviluppo. Fattori meccanici della rivoluzione intorno all’ asse nei ciliati sembrano essere la vibrazione obliqua della cilia, la’ posizione obliqua del peristoma, l’asimmetria generale del corpo. Che quest’ ultima non sia la causa princi- pale della rivoluzione è dimostrato dal fatto che in molti di questi organismi la direzione della rivoluzione può invertirsi anche quando la forma del corpo sembrerebbe costituire un ostacolo a questa inversione. I movimenti che questi organismi eseguiscono stando sopra una superficie sono molto diversi da quelli presentati nuotando liberamente nell’ acqua. Manca in quest’ ultimo caso il rivolgimento intorno all’ asse maggiore del corpo ; ma il cammino percorso è ancora sensibilmente curvo. La progressione a spirale non è propria soltanto degli organismi asimmetrici : così ad es., passando ai metazoi, i rotiferi bilateralmente simmetrici si muovono in spirale. Anche per questi il movimento spirale cessa quando strisciano sopra una superficie. Ma quando 1’ animale ruota liberamente nell’acqua, allora non vi ha solo la possibilità di deviazioni da destra a sinistra, ma anche di deviazioni dorsali e ventrali e nelle direzioni ‘ intermedie, e queste saranno probabilmente favorite dall’essere il lato ven- RASSEGNA BIOLOGICA 591 trale diverso dal dorsale. Infatti sì può osservare nel nuoto dei rotiferi una distinta deviazione dorsale. Il che pare doversi ricondurre al fatto che i rotiferi erano originariamente animali striscianti sul fondo e parecchi riten- gono ancora questo costume. -Per alzarsi a nuoto dal fondo 1’ animale deve eseguire un movimento verso il lato dorsale : ciò si rileva benissimo osservando il movimento delle cilia. L° animale coricato sul lato dorsale è nella impossibilità di rialzarsi, se prima non si rovesci. I Pleosoma offrono condizioni analoghe a quelle dei protozoi inquantochè il movimento delle cilià fa loro descrivere dei circoli di raggio limitato ; e la progressione diviene a spirale non appena a quel movimento si combini il rivolgimento attorno all’ asse maggiore del corpo. Tutti i rotiferi osservati descrivono delle spirali conservando il lato dorsale diretto all’esterno, e il rivolgimento loro avviene verso destra. Un adattamento peculiarissimo a questo modo di progressione è offerto dal gruppo aberrante delle Rattulidae. Rattulus tigris, ad es., ha la forma di un segmento di spirale e presenta inoltre lateralmente una cresta a spirale. Certe specie di rotiferi (es. Diaschiza) presentano una siffatta curvatura ventrale che la tendenza del corpo a deviare dorsalmente è più che compensata e la via tracciata dall’ animale invece devia in direzione ventrale ; tendenza questa che è corretta dal modo di rivoluzione intorno all’ asse, conservando questa specie rivolta invece esternamente la faccia ventrale. Infine in alcuni rotiferi la rivoluzione attorno all’asse maggiore è divenuta inutile e si è perduta. LANGENDORFF 0. — Die physiologischen Merkmale der Nervenzelle. — Rede gehalten sur Ferier des 28 Februar 1901 in d. Universittit Ro- stoch. Pag. 1-23. Dopo aver fatto confessione di fede neuronistica, dal punto di vista fisio- logico e chimico, senza del resto negare importanza alle ricerche istologiche dei moderni antineuronisti, l'A. passa, con molta chiarezza, in rassegna le varie funzioni caratteristiche della cellula nervosa centrale, le quali poi in ultimo riassume nelle seguenti parole, che quasi letteralmente traduciamo. . Le cellule nervose sono apparati dai quali si sprigiona energia che hanno precedentemente accumulata, e ciò fanno sia automaticamente, sia come effetto di stimolazioni esteriori. Esse esercitano inoltre l’ ufizio di trasforma- tori degli impulsi nervosi che si propagano verso i muscoli volontari, siano d’origine corticale o riflessi, e verso i muscoli della vita vegetativa. Esse funzionano ancora come stazioni centrali terminali degl’impulsi sensoriali, e sono perciò la sede delle sensazioni coscienti e di tutte le altre funzioni psichiche. L'A. distingue nettamente le cellule dei gangli spinali da tutte le altre centrali, assegnando a quelle una funzione precipuamente trofica sulla prima via di senso, o via periferica, mentre, nelle altre cellule centrali, alla fun- 532 RASSEGNA BIOLOGICA zione trofica, che, come la più anticamente nota, l'A. a pena rammenta, s'aggiungono tutte quelle altre che abbiamo dianzi enumerate. Di fronte ai moderni tentativi di sostituire, nell’ esercizio delle dette fun- zioni (escluso il trofismo) alle cellule o più precisamente ai corpi cellulari, l’intricata rete nervosa centrale, l'A. mette in guardia gli studiosi, incul- cando che se non si deve rimanere ostinatamente attaccati a tutto ciò che è vecchio, non è lecito nemmeno abbandonarsi alla furia demolitrice di questo per accettare, senza considerazione, tutto ciò che è nuovo, perchè è nuovo. F. BOTTAZZI. BickEL A. — Beitriigge zur Gehirnphysiologie der Schildkròte. — (Arch. fiir Anatomie und Physiol. Physiol. Altheilung 1901, I-II, pa- gine 52-80). L'A. ha fatto ricerche d’ estirpazione e stimolazione (stimoli elettrici e chimici) dell'encefalo dell’ Emys europaea e (pochi casi) della Testudo Graceca. Dopo avere esposto le parti fondamentali dell’anatomia dell’ encefalo di questi animali, e le singole esperienze personali, l'A. viene alle seguenti conclusioni generali : 1. La frequenza dei moti spontanei, e specialmente della locomozione, diminuisce negli animali privati del cervello anteriore, o di questo e del cervello intermedio. Aumenta invece in seguito all’ estirpazione del cervello medio, a tal segno che i movimenti spontanei diventano anche più frequenti che negli animali normali. 2. Per quanto riguarda l’ esecuzione dei movimenti, in sè e per sè, e il portamento degli arti durante i medesimi, l’animale privato del cervello anteriore non presenta differenze dimostrabili dal normale. s. La tartaruga mancante del cervello intermedio lascia riconoscere una certa indifferenza rispetto alla posizione dei suoi arti nello spazio, e per lo più, quando improvvisamente la si immerge o la si lascia cadere in acqua profonda, senza altrimenti disturbarla dalla sua posizione di riposo, inco- mincia a nuotare più tardi della tartaruga normale. 4. La tartaruga privata del cervello medio, oltre alla straordinaria attività che le è caratteristica, presenta determinate anomalie nell’ eseguire i movimenti. Questi disturbi riguardano le più fini sfumature nel graduare i movimenti dei singoli arti e derivano evidentemente da lesioni della sen- sibilità. Questi movimenti sono incerti, grossolani, non bene misurati, esa- gerati. Con una parola si potrebbe chiamare l'insieme di questi disturbi atassia da lesione del cervello medio. Tuttavia, la normale sequenza nell’uso delle singole estremità rimane, tanto nella deambulazione quanto nel nuoto. inalterata. 5. La tartaruga, il cui asse cerebro-spinale sia stato tagliato a livello del passaggio dalla midolla allungata al midollo spinale, presenta pochissimi movimenti spontane .-degli arti, della testa e della coda. Una spontanea locomozione non si verifica più. La locomozione che talora si osserva in seguito a lunghe e forte stimolazioni elettriche del treno posteriore, se bene la sequenza dei moti degli arti sia normale, è in alto grado atassica. Questa RASSEGNA BIOLOGICA d505 atassia è più cospicua di quella che presentano le tartarughe le quali, oltre al midollo spinale, posseggono ancora la midolla allungata o una parte di essa. 6. Movimenti coatti, (come quelli di maneggio, a indice d’ orologio, retrogradi ecc.) appariscono solamente in seguito a lesioni del cervello medio, del cervello posteriore e della midolla allungata; mai in seguito a lesioni del cervello anteriore o intermedio. 7. La stimolazione elettrica o chimica della superficie del telencefalo non provoca movimenti nella tartaruga, analoghi a quelli che in simil guisa sogliono essere provocati nei mammiferi. Mai accessi epilettici, crampi tonici o clonici, convulsioni ecc. seguono a dette stimolazioni. L’A. finalmente dice quale significato fisiologico egli erede di poter asse- gnare alle singole parti dell’ encefalo della tartaruga. Riproduciamo le sue parole. i a) Il telencefalo, compreso l’organo olfattorio centrale, esercita in primo luogo un’ influenza eccitante i movimenti. Quest’ influenza appartiene anche all’olfattorio, per sè solo. A pena si può attribuire al telencefalo una importanza nella relazione dei movimenti. b) La stessa influenza possiede il cervello intermedio. Ma oltre a ciò, verosimilmente in esso, eccitazioni sensoriali, destinate ad avvertire l’ organo centrale sulla posizione degli arti nello spazio, acquistano il valore di agire sulla sfera motrice (regolazione). Questa funzione è però assai più sviluppata nel mesencefalo. c) Il quale, oltre ai suoi rapporti con la vista e 1’ udito, possiede in modo speciale la funzione di inibire e regolare i movimenti. Questa funzione riguarda piuttosto la locomozione, quell’ insieme di riflessi per cui 1’ animale sfugge i pericoli. d) La midolla allungata esercita sul midollo spinale un’influenza ini- bitrice dei riflessi. Per rispetto al midollo spinale, ad essa appartengono in alto grado proprietà associative. La normal connessione della midolla allun- gata col midollo spinale (almeno in grandissima parte) è inoltre la conditio sine qua non per l’ esecuzione normale dei movimenti spontanei dell’ animale. Le ricerche del Bickel sono state condotte con buon metodo, e i risultati, come si vede, sono interessanti. Se non che essi non hanno altro valore, se non quello di confermare molte delle osservazioni già fatte dal Fano parecchio tempo fa, e pubbli- cate in extenso sin dal 1884: Saggio sperimentale sul meccanismo dei movimenti volontari nella testuggine palustre. Firenze, Le Monnier, 1884. Vedasi inoltre : Fano, Sul modo deambulatorio bulbare. Genova, 1885. Noi potremmo, se non fosse ozioso, confrontare punto per punto le osser- vazioni dei due Autori, e troveremmo identità di risultati. Ma il Bickel non ha conosciuto le pubblicazioni complete del Fano, bensì la sola nota preventiva che questi pubblicò nel 1883 (Arch. ital. de Biologie, tom. II, p. 365), nella quale però si trovavano già chiaramente enumerati i principali resultati dell’ Autore. F. BOTTAZZI. 584 RASSEGNA BIOLOGICA RoGER. — Le role protecteur du foie et du poumon. — « Volume jubi- laire du Cinquantenaire de la Société de biologie de Paris », p. 213. L’ A. descrive il metodo per dimostrare 1’ influenza antiparassitaria del fegato e del polmone specialmente, il quale consiste nel confrontare i diversi effetti ottenuti iniettando delle colture virulenti nel moncone centrale della carotide, in una vena periferica ed in un ramo della vena porta. Gli effetti variano a seconda del microbio usato, ed a seconda pure quanto sembra, della quantità di sostanza tossica che entra in circolo. In complesso, però, risulta che il fegato costituisce una protezione inestimabile per l’ organismo, sebbene essa non si estenda indifferentemente a tutte le sostanze che la vena porta vi versa. Il fegato esercita un’ azione elettiva : esso immagazzina alcuni veleni per eliminarli colla bile; altri lascia passare gradualmente nell’ organismo, a dosi inoffensive ; altri trasforma; su altri, infine, non ha alcuna azione. Meno nota ma egualmente importante è l’ azione protettiva che il polmone esercita contro le infezioni e le intossicazioni, quale 1° A. la descrive; ed è anzi tale, che diviene logica la domanda se i disordini osservati nel corso delle affezioni dell’ albero respiratorio si debbano ascrivere esclusivamente ad una semplice asfissia, o se non convenga stabilire un capitolo dedicato allo studio delle intossicazioni morbose d’origine polmonare. Inoltre come si ammettono delle sinergie funzionali, che hanno per conseguenza delle sim- patie di morbosità fra il rene ed il fegato, si deve ammettere che ne esi- stano fra il polmone ed il fegato. L’ A., infatti, aveva già da tempo osservata la frequenza delle lesioni epatiche negli individui che soffrono di malattie polmonari, e ricerche speri- mentali dirette a confortare di prove queste osservazioni, la confermarono. Gi CE CURE Antropologia. VERNEAU et De VILLENEUVE. — La grotte des Bas-Moulins — « L’An- thropologie », 1901, N. 1-2. Poichè in questa /tivista abbiamo già sostenuto la presenza dei brachi- cefali sin dall’epoca neolitica più antica, contrariarmente all’opinione di altri antropologi che credono i brachicefali siano venuti nel neolitico più recente, quando già apparivano i metalli, è bene segnalare questa nuova scoperta fatta nel principato di Monaco, che viene a confermare nel modo più indi- scutibile le nostre opinioni personali, e nello stesso tempo iumeggia uno stadio dell’umanità che attualmente suscita il maggiore interesse. Si tratta di nove cranî trovati nella caverna dei Las-Moulins, caverna francamente neolitica: orbene di questi nove cranî otto sono brachicefali : il loro indice cefalico è in media 81,7. Un solo cranio è dolicocefalo e presenta un indice approssimativo di 66,8. La differenza non potrebbe essere più imponente, e RASSEGNA BIOLOGICA 53 (hi ciò indica nettamente due razze diverse. Che in altri paesi di Europa si abbia una proporzione inversa, ciò non dimostra altro che quanto abbiamo già sostenuto, cioè non potersi da singole regioni generalizzare. Giustamente gli A.A. non ammettono l’ibridismo sostenuto da Herv é, il quale si fon- dava sulla pretesa scarsità dei brachicefali nel neolitico, sostenendo che il loro maggiore numero era venuto all’ epoca dei metalli. Immigrazioni numerose e omogenee erano già venute in un’epoca anteriore. GIUFFRIDA-RUGGERI. PORTIGLIOTTI GIUSEPPE. — Dati anatomici su uomini eminenti di Francia. -— < Archivio di Psichiatria, Scienze penali ed Antropologia », vol. XXII, fase. IV-V. Da uno spoglio accurato di monografie sparse in varii periodici francesi lA. ha ricavata una serie di notizie anatomiche su uomini eminenti di ‘Francia : Cuvier, Victor Hugo, Asseline, Assézat, Couderau, Gambetta, Bertillon, Véron, Zola. Il peso del cervello in questa serie oscilla da 1830 gr. (Cuvier) a gr. 1246 (Gambetta). A parte il cervello di Gambetta, che è di 113 grammi inferiore alla media, tutti gli altri hanno un peso superiore alla media. È inoltre da notare che quasi tutti gli individui qui esaminati avrebbero avuta, secondo l’A., statura media o piuttosto al disotto della media. Anomalie speciali degne di nota sono : 1. Pel cranio plagiocefalia (Couderau e Véron) esilità della teca (Cuvier) ; 2. Per il cervello : sdoppiamento anormale di circonvoluzioni ; anomala ‘confluenza di scissure ; presenza di solchi anormali, mancanza di pieghe di passaggio, dissimmetrie di lunghezza dei due emisferi ; 3. Per la faccia asimmetrie e rughe precoci. [Si rilevi che le grandi oscillazioni nel peso del cervello sono in questa serie indipendenti dalle variazioni della statura : e questo meriterebbe di esser controllato con ricerche e confronti più estesi]. I PS: II. Rassegna generale di alcuni lavori recenti sui sogni. FREUD. — Ueber den Traum. Wiesbaden, Bergmann 1901. BERGSON. — Le réève. — Pevue scientifique. Serie III. N. 1 e « Bulletin de l’Institut psychologique international », An. 1° N. 3. VASCHIDE et PiERON. — La valeur pronbesigne des rèves. — La Revue N. du 14 Juin 1901. IL’ argomento dei sogni è tornato di moda da qualche tempo, e forse in coincidenza col nuovo interesse che accennano ad acquistare le cosidette «ricerche psichiche ». Esiste infatti fra i due argomenti un’affinità, che va 5910) RASSEGNA BIOLOGICA oltre quell’ interesse generale che destano tuttii problemi della vita, i quali sembrano attrarre attenzione in ragione del mistero che li avvolge, per localiz- zarsi nel senso indefinito dell’ esistenza inconcepibile di qualche cosa che sta al di sopra del tempo e dello spazio. Gli autori dei lavori che stiamo per esaminare, un nevrologo, un filosofo e due psichiatri, appartengono a tre branche delle scienze che più si vantavano (qualche anno fa) di essere positive ; ma tre almeno fra essi si mostrano preoccupati più che del modo come si sogna, del perchè si sogni, del significato cioè dei nostri sogni, mentre l’ altro, il Bergson, termina, come vedremo, il suo studio con un accenno alle comunicazioni telepatiche, affermando inoltre l’importanza ed il valore delle ricerche che si dirigono alle più profonde oseurità della nostra vita inco- sciente. I. Il Freud si occupa da molti anni dei sogni, sul quale argomento ha scritto un grosso volume !) ricco di idee originali. Secondo lui nella valu- tazione dei sogni si distinguono tre diversi indirizzi: quello degli antichi filosofi, che ritenevano il sogno come uno stato speciale e superiore dell’ at- tività psichica, per cui l’ anima si libera dalle strettoie del senso comune; quello di altri pensatori, secondo i quali pure si avrebbe nel sogno il libero sviluppo di alcune facoltà, che non sarebbero soggette allora ad alcun freno inibitore; il maggior numero dei medici, infine, che attribuisce a stento al sogno il valore di un fenomeno psichico. Per costoro, esso sarebbe esclusiva- mente provocato da eccitamenti sensoriali o cenestesici, e avrebbe il valore di « un semplice fatto fisico, inutile per lo più, spesso morboso » (Binz). Tutte le particolarità della vita del sogno si spiegherebbero mediante l’atti- vità di qualche gruppo di cellule del cervello che, in massa, sta dormendo, provocata da stimoli fisiologici. Un quarto indirizzo esiste al riguardo, ed è quello che il popolo segue. Secondo l’opinione popolare i sogni vogliono dire qualche cosa, ed hanno col futuro un rapporto che è qualche yolta possibile districare dall’inviluppo di scorie in cui giace. Il modo di spiegare i sogni che il popolo segue, con- siste nel sostituire ad un certo contenuto, che si ricorda, un altro, sia pezzo per pezzo, secondo una chiave stabilita, sia la complessità di uno di essi con una seconda complessità, colla quale quel primo stia ne rapporto del simbolo alla cosa rappresentata. Freud trovò un giorno che era quest’ ultimo modo di spiegare i sogni quello che, nonostante apparisse superstizioso e confuso, aveva le maggiori probabilità di avvicinarsi alla verità; ed a questo concetto arrivò conside- rando che i sogni presentano spesso una certa analogia con le fobie, le idee coatte, le idee deliranti, ecc., fenomeni mentali dei quali egli, assieme a Breuer, aveva potuto stabilire sperimentalmente la genesi e il metodo di cura, consistente nel cercare quali associazioni potesse avere avuto l’idea, — la quale era divenuta morbosa pel fatto di non aver trovato alcun derivativo, e 1). Stomonp PREUD. — Die Traumendeutung. -- Wien und Leipzig 1890, RASSEGNA BIOLOGICA DST di esser rimasta sempre più isolata ed estranea al suo ambiente, — per ride- stare quelle associazioni, ed esercitare su di esse, prima l’attenzione, quindi la critica dei pazienti. Applicando ai sogni questo metodo della ricerca minuta, implacabile, per l’appunto di quei particolari « ai quali non si bada », « che disturbano », pel cui mezzo si arriva a vedere la derivazione logica dei singoli frammenti di ogni idea morbosa un po’ complessa, il Freud è riuscito a vedere (e di ciò riferisce, p. 310-313, un esempio assai dimostrativo) non solo che tutti i particolari del sogno rappresentano, per così dire, tante singole direzioni del pensiero del dormiente in quelle condizioni, ma che esse, svolte mercè l’analisi, mettono capo ad un punto centrale, di cui certamente non si sarebbe potuto sospettar 1’ esi- stenza osservando semplicemente il contenuto del sogno. Non solo, ma questo è perfettamente privo di espressione affettiva, mentre il corso dei pensieri che il sogno stesso sostituisce, molto in breve, ha un carattere emozionale spicca- tissimo. Freud chiama contenuto manifesto del sogno ciò che il soggetto ne ricorda al momento di svegliarsi; contenuto latente ciò che vi si trova mercè l’ analisi, lavorìo del sogno il processo per cui i fenomeni mentali che l’analisi mette in luce si sono convertiti in sogno. Per rapporto a quest’ ultimo processo (Traumarbeit) i sogni si divi- dono in tre categorie : 1. Quelli che si comprendono : essi sono brevi, vengono riconosciuti come sogni, ma sono poco curati. 2. Quelli che meravigliano, pure essendo comprensibili, perchè non si capisce « come si sia potuto pensare quella cosa », date le proprie condi- zioni. 3. Quelli che non hanno senso alcuno, mancano di unità e sono strambi. Questi ultimi costituiscono la maggioranza tra i sogni, ed hanno servito a stabilire le teorie « mediche » circa i sogni. I bambini hanno quasi esclusivamente sogni del primo tipo e in essì si adempiono il più spesso i desiderî formati nella veglia. Negli adulti pure sì hanno talvolta di questi sogni, e d’ ordinario, allora, precedono il risve- gliarsi, raffigurando davanti alla mente come eseguito, un atto che deve essere compiuto appena desti. Si trasforma in presente un pensiero esistente come ottativo. Sebbene i sogni della terza categoria siano strambi e confusi, pure vi si può riconoscere l’ esistenza di una certa tendenza a confluire dei diversi elementi del contenuto latente del sogno, sia pel loro significato, sia ancora per via di associazioni foniche (come nei rebus), per contrasto, ecc., le quali determinano un processo di condensazione, per cui, per esempio, spesso si trovano i tratti fisici e morali di due o più persone che hanno qualche cosa in comune raccolte in una soltanto ; od un semplice pensiero si trasforma in una situazione (Dramatisirung). Un altro fenomeno ben spiccato che si vede in questi sogni è quello per cui ciò che è più evidente diviene la cosa più importante (ciò che avviene in ragione diretta dell’ oscurità e della confusione del sogno); così, sebbene il sogno non si riferisca mai a cose che non hanno la potenzialità di inte- ressarci quando siamo desti, pure il valore dei fatti sognati è completamente sconvolto. È per causa di questo sconvolgimento, che è quasi sempre assai DIS RASSEGNA BIOLOGICA difficile riconoscere il contenuto latente sotto quello manifesto, e tradurre il secondo nel linguaggio del primo ; tanto più che avviene talvoltà a sogno compiuto un fenomeno stranissimo, di cui ognuno può, in condizioni speciali, avere una netta coscienza, ma del quale non posso far qui che un brevissimo cenno. Avviene, cioè, che si abbiano diversi elementi di un sogno, ma tanto dissociati da non capirvi nulla : ad un tratto ‘[per un fenomeno di economia mentale ?] si trova un « punto di vista », che a quegli elementi architetto- nici disparati e sconnessi fornisce una specie di facciata, la quale non spiega tutto, ma dà una certa comprensibilità al sogno stesso, secondo le leggi stesse per cui noi, svegli, aggruppiamo attorno a qualche cosa a noi noto un gruppo di segni o di parole che ci sono incomprensibili, falsandone il senso, pure di poterle più facilmente ritenere. A questi pochi punti si riduce il lavorio del sogno, il quale nulla crea, non sviluppa alcuna fantasia sua propria, non fa giudizi, non trae conclu- sioni, ma condensa, sposta, sconvolge secondo modi che sono costanti nella vita del sogno. Nel sogno si può trarre una conclusione, ma questa vi è trasportata dalla vita sveglia; e se vi è trasportata tal quale ha un’ aria di irremovibilità, di fatalità, allo stesso modo come appare illogica quando ba ‘slittato da un dato materiale della vita sveglia ad un altro, nel sogno. Ora tutto questo processo è analogo a quanto si osserva in quei sintomi isterici che sono le idee ansiose, coatte, deliranti ; non solo, ma è analogo ad un’ infinità di fenomeni che avvengono nella vita d’ ogni giorno nelle persone sane: dimenticanze, scambi di persone o di parole. ecc. Ogni idea sì muove in mezzo ad una frangia di correnti e di contracorrenti : ora, nulla di più facile che il pensiero si lasci fuorviare da qualcuna di queste correnti secondarie e si arresti soltanto quando qualche particolare analogo di un’ altra idea che muove dallo stesso principio affettivo (desiderio) arriva a tratte- nerlo. Questo fatto è però messo in luce soltanto dall’ analisi, la quale dimostra così come anche i sogni della 3% categoria non rappresentino che l’ adempimento, mascherato più o meno, di un desiderio più o meno nascosto dalle abitudini mentali, dall’ educazione, ecc. Il fenomeno per cui la madre non si sveglia che se il bambino piange, il mugnaio se il mulino si arresta, ecc., è lo stesso per cui il cervello addor- mentato percepisce gli oscuri desideri che insorgono dalla cenestesi, e ne forma dei sogni, i quali hanno talvolta perfino la funzione di salvaguardare la continuità del sonno; sono come la guardia notturna, che placa i tumulti perchè i cittadini possano dormire tranquilli, pronta a svegliarli non appena qualche pericolo reale si presenti. II. Bergson ha fatto dei sogni l'argomento di una sua Conferenza letta il 26 Marzo di quest’ anno all’ Istituto Psicologico di Parigi, di cui abbiamo raccontate le origini !) in questo stesso giornale. Secondo questo A. esiste pei sogni una certa materia sensibile che colpisce costantemente i nostri organi di senso: se non l’ avvertiamo sempre, ciò 1) Rivista di Scienze biologiche, Vol. II. N. 11-12, RASSEGNA BIOLOGICA 099 sì deve al fatto che occorre una ‘certa educazione per osservare sè stesso con profitto. Purchè osservi bene ciò che accade in lui quando ‘chiude gli occhi, ognuno può vedere un’ infinità di punti brillanti, di macchie di luce; questi prendono nomi diversi, « fosfeni », « spettri oculari », e sono dovuti a diverse cause, ma formano medesimamente, secondo l’ A, la stoffa dei nostri sogni. Già Maury e d’Hervey de Saint Denis avevano osservato trenta 0 quarant’ anni addietro che queste macchie colorate si solidificano, si fissano, assumono contorni sempre più definiti, al momento in cui uno sta per addormentarsi, ed avevano consigliato di studiarle, per arrivare a conoscere i sogni. Il Ladd, più di recente, consigliava invece di abituarsi a risve- gliarsì lentamente, aspettando ad aprire gli occhi; perchè si vedevano in tal caso i contorni delle persone osservate in sogno, trasmutarsi in quei fosfeni. I sogni sarebbero fatti di una specie di polvere visiva continuamente presente alla nostra sensazione. A questa sensazione interna, per così dire, si debbono aggiungere quelle che continuano a pervenirci da ogni sorgente esteriore. Una luce improv- visa darà origine ad un sogno di incendio, o di battaglie, se è accompagnata da rumore, ecc. Una luce chiara e continua, invece, come quella della luna, p. es., provocherà 1 insorgere di immagini (enzima (ne esistono molti esempi, come quello di Krauss; ela favola di Endimione e Selene ne è forse la riproduzione nel mito). Le stesse cose si possono dire per le sensazioni uditive (sebbene la mas- sima parte dei nostri sogni sia fatta con un materiale visivo, e talvolta anche si sogni, p. es., di fare una lunga conversazione ben seguita, scam- biando i pensieri, ma senza pronunciare alcuna parola); (per quelle del senso tattile, le quali, inframettendosi fra quelle visive, provocano le più strane confusioni; o della cenestesi, le più fine di tutte. Si vede quindi che la nostra percezione sensibile, invece di restringersi si estende, nel sogno, sebbene perda in tensione quanto guadagna in ampiezza, specie subbiettiva. Ma questo materiale è greggio, bruto, disorganizzato; e non trova il proprio fermento formativo, per così dire, che nei ricordi i quali, rievocandosi e stranamente associandosi, formano la trama dei nostri sogni !). La coscienza dell’ uomo vigile non risveglia indifferentemente tutti î ricordi che giacciono immagazzinati nelle più oscure profondità della me- ‘moria, ma esercita una scelta continua, mettendo in piena luce soltanto quelli che sono particolarmente interessanti ; gli indefiniti che, per così dire, tendono vivacemente e di continuo ad assumere colore e calore, a materia- lizzarsi, assimilandosi quella polvere colorata di cui parlavamo prima, i ru- 1) Nel sogno non è possibile una creazione vera e propria. I racconti che circolano in proposito sono troppo antichi per non essere quasi completamente leggendari. — Esiste un libro assai curioso dello Stevenson « A chapter of dream... » in cui questo autore racconta come egli si servisse dei propri sogni per creare le sue originalissime novelle, ma si vede bene che egli doveva, al tempo in cui scriveva cadere colla massima facilità in uno stato sonnambolico. à Perla trattazione generale della questione si veda: W. James « Principi di Psico- logia » (trad. Ferrari). Milano, Società editrice libraria, 1901, 540 RASSEGNA BIOLOGICA mori ed i suoni esteriori che ci colpiscono senza destarci, e che, del resto, rispondono al tono atfettivo della nostra sensibilità generale. Il meccanismo del sogno è identico a quello della percezione normale nella quale la materia sensibile che percepiamo è ben poco, confronto a ciò che la nostra memoria vi aggiunge, come Miinsterberg, Goldscheider, Miller, W. James hanno dimostrato, specialmente per la lettura, la quale è un’ esteriorizzazione di ricordi, che approfittano in certo qual modo della realizzazione parziale che trovano qua e colà per realizzarsi per intero, I nostri ricordi non giacciono inerti nella nostra mente, ma vi stanno in tensione, e non aspettano che la prima occasione per dar di fuori. La differenza fra percepire e sognare, secondo Bergson, sta in ciò, che l'individuo diviene nel sogno non incapace, ma indifferente alla logica. Se egli assistesse come un semplice spettatore alla molteplicità delle immagini che si presentano alla sua coscienza non accadrebbe nulla, ma egli vuole, per abitudine mentale, collegare fra loro immagini del tutto incoerenti, e non può quindi costruire che un ragionamento bizzarro e quasi assurdo. L'individuo che percepisce un suono qualunque, istituisce un confronto fra questo e tutto il suo patrimonio mnemonico per ritrovarvi 1’ immagine che corrisponde esattamente a quella, e per mezzo della quale egli riconosce il suono udito. Questo lo ottiene mantenendosi in uno stato di continua tensione, per cui, come dice Bergson, «avoir du bon sens c’ est très fatigugnt ». L’ individuo che dorme, invece, si disinteressa di tutto. E Bergson cita in appoggio a questo proposito, quei fatti in cui l’ individuo dorme per tutto meno che per qualche cosa che tien desta la sua affettività, per cui, per esempio, la madre che il rumore di una cannonata non sveglierebbe, si desta di soprassalto invece se il suo bimbo malato si rivolta pel letto. L'individuo che dorme, non vuole nulla, perchè solo vegliare è volere, è lottare, ed è nella mancanza di tensione, di sforzo e di movimento che sta la caratteristica del sonno. Partendo da questo principio, si potrebbero facilmente determinare i carat- teri principali del sogno, che sono : 1’ incoerenza, l’ abolizione del senso della durata e dell’ordine secondo il quale i ricordi si presentano a colui che sogna per incarnarsi colle sensazioni presenti. L’ incoerenza si spiega colla mancanza dell’ accomodazione fra le sensa- zioni attuali e i ricordi, aggravata dal fatto dell’ intenzione di spiegare le percezioni assurde. L’ abolizione del senso del tempo si spiega medesima- mente per la stessa mancanza. Di solito noi viviamo di una vita comune a noi ed a molti; l’attenzione che noi prestiamo a questa vita esterna, sociale, è la grande regolatrice della successione dei nostri stati interiori; è come il bilanciere dell’ orologio che rallenta e divide in frammenti regolari la tensione indivisa della molla. È questo bilanciere che manca nel sogno. Quanto all’ ordine dei sogni, per cui certi ricordi sono preferiti a certi altri, il pregiudizio comune dice che si sognano le cose che stanno più a cuore, ma un sonno di questo genere affaticherebbe troppo; realmente, invece, si vede che i sogni che avvengono nel sonno tranquillo, più di frequente si rife- riscono a cose a cui non abbiamo quasi prestato alcun’ attenzione. Questo hanno pure osservato W. Robert, Delage e Freud, RASSEGNA BIOLOGICA 541 Questo però vale pei sogni che si ricordano, mentre nulla sappiamo di quelli che avvengono mentre il sonno è più profondo. Abbiamo però quasi sempre, allora, una sensazione assai curiosa; ci sembra sempre di provenire da un luogo stranissimo, lontano nel tempo e nello spazio : sono avveni- menti della nostra infanzia, scene antichissime su cui si lancia uno sguardo meravigliato, e sulle quali ricade immediatamente il velario pesante dell’oblio. In questo senso lavora Vasc hide, il quale con esperienze ancora inedite, molto interessanti, pare che riescirà a dimostrare che durante questo sonno profondo i nostri sogni sono molto più coerenti di quelli fatti nel sonno leggero. Studiando il sonno profondo si arriverà forse a conoscere qualche cosa circa il meccanismo della memoria incosciente, e circa certi fatti che apparten- gono ai soggetti di studio delle « ricerche psichiche », perchè se si potessero influenzare telepaticamente i nostri sogni, ciò dovrebbe verosimilmente avvenire durante questo sonno più profondo. È allo studio delle più oscure profondità dell’ inconsciente che si deve dedicare la psicologia del secolo XX. II. Il Javoro di Vaschide e Pieron è quasi esclusivamente una raccolta intelligente ed accurata dei fatti più rilevanti e meglio documen- tati sui sogni nei quali si aveva avuto qualche profezia relativa al sogna- tore stesso, la quale per lo più si era poi avverata. Sono fatti curiosissimi e che si potrebbero cominciare a classificare, anche se non sono in numero eccessivo, memori del detto del grande Morgagni: « Non numerande, sed perpendende sunt observationes ». G. C. FERRARI. DUFFAND. — Méthode d° éducation de l’ouie chez les sourds et du toucher chez les aveugles. — <« Bulletin de 1’ Institut psychologique international », 1"° Année, N. 3, Mai, 1901, p. 123. Questo metodo, che pare abbia dato resultati assai buoni in un grande numero di casi. consiste principalmente nella possibilità di sviluppare, mediante un’educazione apposita, i vestigi che siano rimasti di un organo che si è perduto oppure di fare sostituire 1° organo mancante da qualche altro. Quanto ai sordi si deve ricordare che è la funzione che crea l’ organo ; invece l’individuo che sente poco sfugge la compagnia : quelli che debbono vivere al suo contatto evitano di parlargli per non fargli rilevare la sua disgrazia. quindi } individuo diviene sempre più sordo per mancanza di DA RASSEGNA , BIOLOGICA esercizio. A questa condizione di cose l’ A. ha pensato di provvedere con un amplificatore audiometrico per cui si graduano esattamente i suoni prima musicali poi del canto, infine delle parole, da produrre in presenza del sordo abituandolo man mano a percepirli ed a riconoscerli, anche quando. sono attenuati come nel parlare comune. 5 Del suo apparecchio abbastanza semplice che egli combina con un fono- grafo, coll’avvertenza che le parole che il fonografo ripeteva, debbono essere scritte anche su di un foglio che il paziente deve leggere mentre le ascolta, per completare e rinforzare l’immagine uditiva con quella grafica, 1’ A. dà, una minuta descrizione ; affermando di avere osservato che il 97 °/, della sordità, da qualunque origine, sono modificabili col metodo della rieducazione. Quanto ai ciechi 1’ A. ha pensato di dar loro la nozione del movimento e dello spostamento di un oggetto mediante una specie di cinematografo rudimentale, in cui le fotografie successive sono sostituite da una serie di rilievi fatti in stagnola e riproducenti le diverse fasi successive dell’oggetto, in moto. Questi rilievi sono applicati su di ruota che si muove orizzontal- mente, secondo l’impulso che le viene comunicato, per mezzo di una trasmis- sione, dal piede del soggetto. L’ A. ha creato così un metodo di istruzione generale e di educazione del senso tattile dei ciechi, ed un mezzo utilissimo per istudiare scientifica- mente, p. es., il rapporto che passa fra tatto e visione quanto alla rapidità della percezione, la persistenza delle immagini, ecc. Trattandosi di apparecchi relativamente molto semplici, si può sperare che essi troveranno un’applicazione abbastanza estesa. G. C. FERRARI. FéÉré. — Étude expérimentale de l’influence des excitations agréa- bles et des excitations désagréables sur le travail. — « Année psychologique » VII, 1901, p. 82-129. Con queste ricerche; fatte dall'A. su sè stesso servendosi dell’ ergograto di Mosso, ha voluto completare la serie delle ricerche precedenti, colle quali aveva studiato 1’ effetto delle eccitazioni sensoriali fintanto che esse sussistevano. Con quelle e con le altre ben note e che sommariamente ricorda, aveva trovato che le eccitazioni piacevoli aumentano la somma del lavoro, mentre le sensazioni disaggradevoli coincidono con un considerevole abbas- sarsi della curva ergografica. Colle ricerche presenti egli ha voluto studiare l’effetto remoto degli stimoli disaggradevoli che non disgregano gli elementi anatomici. Si è servito di moltissimi mezzi, compreso l’odore di candela spenta [che!' però per molte persone ha notevoli effetti sulla meccanica respiratoria, cosa di cui non ci sembra che il Féré abbia tenuto il debito conto], dal modo di agire dei quali fa un’analisi assai accurata; ha studiato pure certe condi. zioni patologiche; ed ha notato che gli effetti che questi diversi stimoli’ LI RASSEGNA BIOLOGICA 543 determinavano variavano secondo un’ infinità di cause. Come Newton ha stabilito pei colori, gli odori sono in noi, ed hanno un’azione stenica o ipertenica a seconda delle condizioni del soggetto. In generale ha notato (analogamente a quanto avevano scoperto Luciani e Tamburini, eccitando i centri corticali) un rapporto fra 1’ esercizio abituale e l’eccitabilità ; fatto della massima importanza dal punto di vista dell’educazione, perchè mostra come l’educazione dei movimenti possa servire all’educazione della sensibilità, ed in generale, la correlazione che passa fra mobilità e sensibilità. Concludendo ha trovato che le eccitazioni favoriscono il lavoro, in via primitiva o secondaria, in quanto sono accompagnate da un senso di euprassia, il quale dura soltanto pochi istanti dopo che lo stimolo ha cessato di agire. Gli stimoli sensoriali quindi non giovano alla produzione totale del lavoro : esercitano invece un’influenza immediata qualitativa e quanti- tativa diversa secondo gli individui. Lo stimolo quindi non giova che per eccitare una forma parossistica di attività : coloro che debbono dare un prodotto metodico, regolare, se ricorrono agli stimolanti non fanno che acquistarne l’abitudine senza ritrarne alcun giovamento. G. C. FERRARI. HELLER. — Ueber Schwankungen der Sinnesschzirfe Sehwachsinni- ger. — < Zeitschr f, piidagos. Psychologie und Pathologie », .1900, n. 2, pe 190, L’autore ha osservato due casi molto interessanti di oscillazioni notevo- lissime dell’attività sensoriale in due deficienti ; i quali di tempo in tempo durante l’ora della lezione mostravano un decadimento rapidissimo, quasi improvviso, uno dell’acuità visiva, l’altro di quella uditiva. In ambedue i casi gli organi periferici di senso, diligentemente esaminati dallo specialista, non avevano presentato alcuna anormalità. L’autore ne conclude che si trattasse nei casi in questione di un esauri- mento (da fatica) centrale, il quale, al contrario di quanto avviene in seguito alla fatica mentale nelle persone normali, colpirebbe, paralizzandola, la funzione dell’uno o dell’altro organo di senso isolatamente. È Sembra a noi che questo studio meriti il più attento controllo, non tanto allo scopo di avere una regola per 1’ eventuale educazione dei deficienti, quanto per studiarne un po’ più intimamente le condizioni di distribuzione dell’attività mentale, le quali ci possono illuminare non solo circa il ritmo dell’attività cosciente in noi stessi, ma circa il meccanismo dell’ attenzione e di certi fenomeni della memoria e dell’attività emozionale. G. C. FERRARI, 544 RASSEGNA BIOLOGICA BancHI GuIpo. — L'influenza delle cause meccaniche nello sviluppo delle ossa. « Lo Sperimentale », anno LV, fase. 3, 1901. con due tav. Allo scopo di determinare quali alterazioni trofiche si producono nell’arto inferiore per effetto della resezione del nervo sciatico, 1’ A. ha operato sulle rane, cavie, conigli e cani giovanissimi, la recisione dello sciatico destro, ottenerido una paralisi completa dell’ arto inferiore, mantenendoli poi con un regime speciale, mescolando cioè al loro cibo normale una quantità di polvere di robbia (Rubia tinctorum) destinata a colorare e render meglio visibile tutta quella sostanza ossea che si sarebbe depositata dopo la ovpe- razione. Indi per mezzo di esatte misurazioni di lunghezza e peso 1° A. determi- nava le variazioni e differenze sopravvenute tra l’ arto normale e quello paralizzato per la sezione del nervo. Il risultato più generale conseguito sulle cavie, è stato una manifesta atrofia muscolare nell’arto operato, la differenza di peso tra i gastrocnemii di sinistra e quelli di destra raggiungendo in certi casi perfino il 30 °, @ favore dell’arto integro. Altrettanto evidente si ebbe l’atrofia muscolare nei cani e conigli, meno nelle rane. Anche in queste però si manifesta indub- biamente, sebbene molto ritardata. Il Banchi considera l’ atrofia dei muscoli come un semplice effetto della soppressione della funzione del muscolo stesso. La sezione del nervò sciatico noh fa che abolire la funzione del muscolo, senza però indurvi alterazioni degenerative dirette. In queste esperienze mancò pure qualsiasi alterazione trofica della pelle, dei peli, delle unghie. Questa è una conferma che 1’ atrofia delle masse muscolari non dipendeva dalla soppressione di una vera e propria azione trofica diretta del nervo reciso, sibbene dalla mancanza di ginnastica. Negli arti operati per effetto di una paralisi vaso- motoria si osserva una iperemia, nè stasica, nè propriamente congestiva. Ora questa paralisi vasomotoria, influendo sulla cartilagine epifisaria, provoca un aumento in lunghezza delle ossa dal lato operato. D'altra parte cangia- menti sopravvenuti nelle condizioni statiche e meccaniche dell’ arto per la paralisi di una parte o della totalità dei muscoli producono cangiamenti nella inclinazione e torsione dell’asse. Nessuna alterazione nel midollo delle ossa. Nelle ossa del lato paralizzato si osserva una marcata diminuzione nello spessore delle pareti ossee. Inoltre le creste ossee, su cui si inseriscono certi muscoli, appariscono più estesamente colorate dal lato sano che dal lato operato. Questo concorderebbe con quanto già aveva osservato Schiff, circa l’azione dei muscoli sullo sviluppo e modellatura delle ossa ov? essi hanno inserzione, e sulle quali per conseguenza meccanicamente agiscono. Schiff notò che si otteneva costantemente la ipetrofia del peroneo dal lato operato, per la esagerata trazione che esercitavano sull’ osso certi muscoli innervati dal nervo gluteo e otturatorio, dopo la paralisi dei loro anta- gonisti. Sovrapponendo sezioni omologhe delle ossa dei due lati il Banchi ha potuto convincersi anche meglio delle modificazioni subite dal lato para- lizzato. Qui mentre coincidono le circonferenze interne corrispondenti alle sezioni della cavità midollare, non coincidono più le linee che delimitano RASSEGNA BIOLOGICA 545 la superficie esterna dell’osso, lo spessore di quest’ ultimo essendo notevol- mente maggiore dal lato sano. Ciò dimostra che il riassorbimento del tessuto osseo, che si compie dall’ interno, è progredito normalmente in ambo gli arti, mentre 1’ accrescimento dall’ esterno per apposizione dal periostio è molto più considerevole dal lato sano. La prevalenza del contorno osseo dal lato sano è più spiccata in corrispondenza alla inserzione dei principali gruppi muscolari. Nelle restanti parti la differenza è molto minore, allonta- nandosi dalle inserzioni diviene addirittura trascurabile. Per conchiudere, la sezione del nervo non ha avuta alcuna azione diretta nell’arresto di sviluppo delle ossa. Neanche per queste l’esame microscopico ha rivelata alcuna alterazione nell’ intima struttura. Il diminuito accresci- mento delle ossa dal lato paralizzato dipende dal mancato eccitamento mec- canico sulle ossa e sul periostio dei muscoli resi inattivi, i quali normal- mente colle loro contrazioni sono importanti fattori nella modellatura e nell’acerescimento delle ossa. È noto infatti che qualunque azione meccanica esercitata del periostio ha per: effetto di provocare una sovrabbondante deposizione di tessuto osseo, IV. Questioni varie di biologia. SPERMANN Hans. — Entwickelungs physiologische Studien am Triton Ei. — « Arch. f. Entwickelungsmech, d. Organismen », Bd. XII, Heft II, Luglio, 1901. È uno studio sperimentale e critico. rivolto a determinare il « significato prospettico » e la « potenza prospettica » dei primi blastemeri. Dalle indagini di Roux sapevasi che il primo piano di segmentazione corrisponde in gene- rale al piano mediano dell’embrione. Non di rado, come anacronismo nella segmentazione, accade che solo il secondo piano di segmentazione corrisponde al piano mediano. — Nella rana è possibile già dopo la prima ségmentazione, ed anche prima, indicare dove si troverà la estremità anteriore, dove la posteriore dell’ em- brione, dove si formerà la cellula destra, dove la sinistra. Ora una simile determinazione di ciò che sarà destro e sinistro, anteriore e posteriore, non è possibile nell’ uovo di tritone finchè non sia formata la bocca primitiva. Col metodo della isolazione dei blastomeri l'A. ha trovato che nel maggior numero dei casi il primo piano di segmentazione diviene un piano trasverso dell'embrione, in una minoranza di casi invece il piano mediano, e talvolta . forma con l’uno o con l’altro di questi un’angolo di una certa inclinazione. Come point de repère nella determinazione del piano mediano serve benissimo il blastoporo dal suo primo apparire. « Se il primo piano di segmentazione corrisponde al piano mediano del corpo, il blastoporo è situato trasversal- mente rispetto alla legatura fatta per separare i blastomeri, e viene dimez- Riv. DI BIOLOGIA GENERALE, III. 35 546 RASSEGNA BIOLOGICA zato da essa. Il piano mediano giace allora sotto la legatura. Risultato finale è lo sviluppo d’una duplicitas anterior o d’un « fanus ». Se invece il primo piano di segmentazione corrisponde a un piano trasverso dell’ embrione, il blastoporo viene a trovarsi da un lato della legatura e parallelo ad essa. Tutto questo naturalmente se la legatura sia fatta e rimanga nella dire- zione della prima segmentazione. Non è ben noto quale influenza precisa la legatura eserciti sulla orienta- zione dell’embrione sviluppantesi. Per quanto riguarda la « potenza prospettica » dei primi due blastomeri dell’ uovo di tritone sono da ricordare le esperienze di Herlitzka, il quale avrebbe ottenuto un embrione normale da ciascuno dei due primi blastomeri, conchiudendo che « anche nell’ uovo di tritone la potenza pro- spettica dei due primi blastomeri è eguale e corrisponde a quella dell’uovo intiero ». Spermann osservò che qualche volta una legatura non molto stretta bastava a separare completamente i blastomeri, mentre altra volta non bastava, provocando invece svariate malformazioni e sdoppiamenti. La causa di questa diversità negli effetti eli In fa dipendere dall’ esser fatta la legatura in uno stadio più o meno avanzato della prima segmentazione, quando cioè essa sia appena iniziata o già al termine. Questo spiegherebbe i risultati in parte contradditorii degli autori prima di lui. L’A. sostiene poi che da ciascuna sfera di segmentazione è possibile ottenere un embrione intiero solo quando il primo piano di segmentazione corri sponda al piano mediano. GIARDINA ANDREA. — Ein Beitrag zur Kentniss des Genus Machilis. — « INlustrierte Zeitung f. Entomologie ». Dopo aver descritto diligentemente quattro specie nuove di Machilis da lui trovate in Val di Ficuzza in Sicilia, 1’ A. espone alcune considerazioni generale sopra i criterii discriminativi dei caratteri specifici e sulla biologia del genere Machilis. Grassi e Rovelli aveano considerato come un carattere generico la presenza di sei macchie nere dorsali submediane appaiate al 3°, 6° e 9° tergite. Ma siccome esse non sono tutte presenti in ciascuna delle quattro nuove specie rinvenute dall’A., questi è portato a negare ad esse il valore di carattere generico. Dalla considerazione dello sviluppo ontogenetico il Giardina è indotto ad ammettere che non solo le sei macchie mediane, ma ancora le striscie longitudinali oscure vanno prese come punto di par- tenza nella genesi dei caratteri specifici : tali striscie sono una mediana, due submediane, due laterali interne e due esterne, ed inoltre due. sub- marginali. Con tendenza a divenire più marcate ed oscure nella M. leinendergi, le striscie longitudinali submediane mostrano già nelle variazioni indivi duali di questa specie una proclività a rinforzarsi nel 3°, 6° e 9° tergite, formando talvolta sei macchie. Un processo questo molto più avanzato nella RASSEGNA BIOLOGICA DET M. Targionii che presenta sopra la linea submediana tre distinte paia di macchie ai tergiti 3°, 6° e 9°. Macchie bianche si trovano nelle regioni dor- sale e laterale e sopra ogni macchia nera. Grassi e Rovelli osservarono nella M. Fasciata, una tendenza delle macchie nere submediane a diffondersi sui segmenti anteriori o posteriori agli indicati. Altre volte le macchie nere del terzo tergite si allungano come linee bianche all’indietro e all’innanzi sopra il 2° e 1° tergite; ed in tal caso si osserva che di pari passo le macchie nere del sesto segmento si prolungano in modo analogo. Le linee nere submediane di Mackhilis, le quali formano il margine late- rale della striscia bianca mediana, tendono ad assumere una direzione propria, ossia a disporsi sopra ogni tergite obliquamente alla linea mediana e convergenti all’ innanzi, addentrandosi nella striscia chiara. Questo è ancora più evidente in Machilis sicula in cui i margini oscuri della striscia bianca continuano fino al terzo tergite, divengono quindi discontinui ed obliqui con convergenza anteriore nei singoli segmenti, risultando in essi tante striscie oscure parallele tra cui decorrono le striscie bianche. Può quindi ritenersi che le strisce oblique scure della M. Sicula abbiano seguito nel loro sviluppo le seguenti fasi: 1. Modificazione delle striscie e laterali in striscie oscure, almeno negli ultimi tergiti* (M. Targioni) ; 2. Formazione di una striscia chiara mediana sul dorso tra le striscie sub- mediane (M. fasciata); 3. la linea submediana si risolve in striscie oblique; 4. le striscie oblique submediane si allungano ed uniscono colle macchie laterali dei tergiti successivi. Così potrebbero le striscie bianche oblique esser derivate dalla unione delle macchie laterali bianche sul dorso colla striscia bianca mediana. Da questa e da altre considerazioni 1’ A. ritiene che le striscie longitu- dinali debbano essere il punto di partenza delle variazioni particolari delle macchie, ed in base a questo criterio egli espone le connessioni tra le varie specie in uno schema, al quale però è ben lungi dal voler attribuire il valore di un albero genealogico definitivo. La M. Mleinenbergii sarebbe la forma fondamentale. Giardina aggiunge poi interessanti notizie sulla biologia del genere Machilis. Descrive la muta che osservò in atto su parecchi individui, deter- mina l’ epoca della loro riproduzione, avendo trovato negli ultimi giorni di Settembre numerose femmine con uova mature. Alla fine dello stesso mese vide una M. Grassi deporre le uova. Queste sono irregolarmente ovoidi e presentano ad una delle estremità coniche un prolungamento sottile e tra- sparente con cui le uova aderiscono saldamente alla nervatura delle foglie. PIC: WIEDERSHEIM RoBERT. — Beitriige zur Kentniss der ailsseren Nase von « Semnopithecus nasicus ». Eine physiognomische Studie. « Zeitschrift f. Morphologie u. Anthropologie », Bd. III, Heft, II, con 4 tavole e 9 fig., Stuttgart, 1901. In questa interessante monografia, splendidamente illustrata, il Wieder- sheim raccoglie le notizie sparse nella letteratura aggiungendo osservazioni » 548 RASSEGNA BIOLOGICA proprie su esemplari conservati in alcool sull’organo singolare che ha valso a questa specie di scimmie il nome di Semmopithecus nasicus. Negli animali giovani e negli embrioni maturi il naso forma una larga prominenza colle narici che guardano all’innanzi. Da questo stadio il dorso del naso va incurvandosi finchè l’intero organo assume la forma di un uncino rilevato. Indi il piano di apertura delle narici fin qui pressochè verticale comincia a divenire obliquo, mentre la punta del naso si fa più acuta. Col progredire dell’età la punta del naso da rivolta in su si va abbassando, talchè da ultimo nell’animale vecchio le narici si aprono verso la bocca ed il profilo diviene distintamente ed esageratamente aquilino. Si seguono dunque nel corso della vita individuale con un forte ingrandimento quelle stesse modificazioni che si osservano nel naso dell’uomo. Pel nasica la causa meccanica di tali cangiamenti sembra essere il cadere del proprio peso della massa nasale crescente; L’ A. imprende una descrizione minutissima della muscolatura del naso di Semnopithecus nasicus e dellaspecie più affine S. entellus. Per quanto riguarda la mobilità del naso, i dati degli autori erano poco soddisfacenti. Selenka potè osservare queste scimmie vive a Borneo: Egli afferma che la massa nasale non è capace di movimenti attivi. D'altra parte il Finsch dice che essa non possiede mobilità, se non che oscilla a guisa di pendolo quando l’animale eseguisce salti molto elevati. Selenka anzi ha notato che 1 animale non può introdurre il cibo (foglie) in bocca se coll’altra mano o con un piede non sollevi il naso. Però Finsch già citato soggiunge che nello sbadigliare tutta la parte più avanzata si rileva e piega all’indietro. Restava insomma dubbio il grado della mobilità e quale fosse la parte mobile dell’organo, se esso si muova come un tutto, ecc. Dopo accurate indagini il Wiedersheim non esita ad asserire che il naso non solo è soggetto come un tutto all’azione di cospicue masse musco- lari, ma che è estremamente mobile, superando sotto questo riguardo la proboscide degli elefanti, tapiri e tutte le formazioni analoghe nella serie dei mammiferi. Per effetto di una così ricca muscolatura il naso può compiere movimenti di flessione laterale e dorsale, di depressione e compressione. Per contro la restante muscolatura mimica è povera e di un carattere primitivo che ricorda quella dei prosimii. Il sistema del platisma e dello Sphincter colli decorre semplice e indiviso, i _WV. M. caninus e marillo-labialis sono appena accennati. La cartilagine alare è per la massima parte indivisa. Riguardo alle varietà nella forma esterna del naso, quale risulta dalle deseri- zioni degli autori sul vivo e dai disegni inviati dai Musei, è da indagare se essa sia per avventura imputabile a diversi stati di contrazione della muscola- tura dell'organo. L’età è certo un fattore molto importante in questi cangiamenti. Però è indubitato che anche nell’ animale adulto si trovano tutte le forme di naso intermedie tra i piccoli nasi conici rivolti all’insù e quello che VA. chiama naso giudaico pendente. È molto istruttiva ed importante per l'antropologia la comparazione che l'A. istituisce tra il naso del Semmnopithecus e l'organo umano corrispondente. Prima di tutto fornisce importanti caratteri 1’ apertura delle narici. Mentre nei mammiferi inferiori fino alle scimmie antropoidi (compreso - RASSEGNA BIOLOGICA 549 anche Semmnopithecus entellus) esse in generale convergono coi loro assi longitudinali verso le labbra, nell’ uomo tale convergenza avviene invece verso l’apice del naso, sebbene con angolo molto variabile, amplissimo nelle razze inferiori di tipo negroide. Hovorka sostiene che percorrendo la serie dei mammiferi non si trova nulla di rigorosamente comparabile al naso umano, ma solo talvolta delle « formazioni ipetrofiche » che nulla hanno a che fare con quello. Soggiunge però che una eccezione sarebbe data dal nasicus, se non fosse per l'assenza sul cranio di una vera e propria prominenza nasale : neanche qui si tratte- rebbe dunque di un vero naso, ma di una specie di proboscide. Ora, è inesatto che manchi del tutto sul cranio ogni rilievo nasale. Inoltre nella stessa specie umana non sono rari i nasi insellati o camusi caratterizzati dalla completa loro depressione alla radice. Per la distinzione tra naso e proboscide può valere il criterio di His, secondo il quale il naso assume il carattere di proboscide quando 1° aper- tura delle narici si allontana notevolmente dal labbro, sicchè 1’ organo nel suo complesso assume la forma di un cono più o men lungo. Considerando la distanza che separa le narici dalla bocca, Wiedersheim assegna al naso di $S. masicus un posto intermedio tra la proboscide e ciò che nell’ uomo è il naso. Esso si distingue sopratutto dal naso umano per ciò che la sua prominenza non devesi all’ elevamento del vomero e . delle ossa nasali, ma solo alle cartilagini nasali che si spingono innanzi, al decorso quasi orizzontale delle cartilagini alari. Quanto sopra dicemmo si riferiva quasi esclusivamente alle analogie dell’organo in questione. Ben più difficile è pronunciarsi sopra il suo svi- luppo filogenetico e sul significato fisiologico di questa formazione nel nasicus. Wiedersheim ritiene probabile che il naso delle altre scimmie siasi diramato da una forma simile a quella oggi rappresentata da $S. entellus. L’anatomia comparata del gen. Semmopithecus e di tutte le altre scimmie ci induce ad ammettere che il naso loro fosse un organo già fortemente ridotto nella filogenesi. Quale causa ha potuto arrestare nel nasicus questo processo involutivo, facen- dogli assumere all’organo lo sviluppo caratteristico ? Ecco una questione molto oscura, che lo stato attuale delle nostre conoscenze biologiche non ci permette di risolvere : tanto più che quest’ appendice oscillante davanti alla bocca, come sopra vedemmo, sembra molto incomoda ogni volta che 1 animale voglia cibarsi. — Che v’ abbia influenza la selezione sessuale, sopratutto in vista del colore rosso o roseo visibile anche in altre parti del corpo? Ma pare si tratti di carattere poco diverso nei due sessi. O che sia un carattere terrifico ? [o forse meglio un carattere di riconoscimento per la specie ?] Certo una causa molto intensa deve esservi stata perchè in un gruppo così limitato e bene circoscritto siasi sviluppato un organo, il solo nella serie dei mammiferi comparabile al naso umano, divergendo da una base filogenetica comune. 550 RASSEGNA BIOLOGICA Corre JULES. — Notes biologiques sur le « Suberites Domuncula ». — (Spongiaires). Paris, Boyer imprimeur, 15 Rue Racinei 1901. In questo studio diligente l'A. porta un notevole contributo alla fisiologia degli animali inferiori, studiando particolarmente la composizione chimica della Suberites domuncula e di altri spongiarii affini, i prodotti di disassimi- lazione, le sostanze coloranti ecc. Suberites domuncula è una spugna (monassonide) di forma il più spesso globulare, che la draga porta da fondi marini di una profondità variabile dai 25 ai 100 m. Essa si raccoglie il più spesso fissata sopra una conchiglia di gasteropodo abitata da un paguro (P. Striatus, Eupagurus Luvcasii, Eup. exca- vatus, Paguristes maculatus ecc.). Col crescere della spugna il paguro abban- dona gradatamente la conchiglia e la spugna avvolge l’ospite modellandosi sul suo corpo talchè nell’interno della spugna si continua la spirale della con- chiglia con giri di ampiezza crescente a misura che si sviluppa il paguro. La simbiosi colla Suberites non è necessaria pel paguro, il quale può abitare conchiglie abbandonate di molluschi senza spugna o molto sovente con sopra attinie di varia specie le quali lo difendono coi loro nematocisti e ne dissimulano la presenza. Ancora controversa per contro è la possibilità per la spugna di svilupparsi e raggiungere grandi dimensioni aderendo sopra oggetti immobili sul fondo del mare. Il naturalista veneto Renier sul principio del secolo scorso descriveva come varietà di un’ unica specie tre forme distinte: la Litumena spugnosa: Litumena domuncula che è la forma associata al paguro, Litumena scudiforme che si rinviene addossata a mo? di scudo sul dorso del crostaceo Dromia vulgaris, e finalmente Litumena lobata, forma che si rinviene fissa al suolo. In un opuscolo pubblicato circa otto anni fa, io credetti dover appoggiare la opinione del Renier che la medesirea specie di spugna fosse capace di svilupparsi sul fondo del mare come le forme congeneri sedentarie, non asso- ciata a crostacei. Mi confermava in questa supposizione il fatto d’ aver tro- vato una spugna rossa di piccole dimensioni cresciuta sopra un organismo immobile, con spicule identiche a quelle della Suberites. Soggiungevo che nella maggior parte dei casi il periodo di quiete che normalmente precede la invasione del paguro nelle conchiglie abbandonate di gasteropodi era probabilmente quello in cui e larve della spugna si fissavano sulla conchiglia. Il Topsent, uno dei più distinti osservatori delle spugne, addottò anch’ egli la opinione che la spugna deve potersi sviluppare da sola, come pensava già il Renier e contrariamente a quanto scrissero Delage ed Hérouard in un loro trattato di Zoologia concreta Ora il Cotte dissente da noi e pensa che tra le mille larve di spugna disseminate sul fondo marino quelle sole si sviluppano che cadono sopra una conchiglia invasa dal paguro perchè non sarebbero adatte alla vita sedentaria, soggiungendo : c’ était déjà V opinion de IRrenier. Qui mi pare egli sbagli poichè 1’ avere il Renier descritta la forma l/obata come varietà distinta della Litumena spugnosa non toglie che la identità fondamentale delle tre forme, casetta, lobata e scudiforme sia stata ammessa dall’ autore veneto, come risulta dal seguente passo : dhe RASSEGNA BIOLOGICA 551 «Se il primordio (la larva) di quest’essere venga a cadere o sia traspor- tato sopra una chiocciola abitata dal Cancer eremita, Linn, o dal Cancer Bernhardus, vi si attacca, vi si sviluppa, e crescendo, tutta la investe, eccetto la sola apertura, mantenuta libera dall’ospite, che vi dimora e prende forma ovoide, di pera o di altra qualunque, sempre derivante da quella chiocciola stessa. Più di rado ciò avviene sul dorso del Cancer dromia, il quale colle zampe posteriori la afferra e la rattiene.... perchè gli serva a perenne difesa. Che se il primordio cada libero sul fondo del mare, osopra alcun corpo immobile prende allora la forma lobata, od altra qualunque, in conformità degli urti che riceve dall’acqua o da altre cause circostanti » 1). A chi ritenesse incompatibile la distinzione in varietà tra queste forme, per le quali il Renier stesso ammette poi una identità fondamentale d’origine ricorderò i fatti sempre più numerosi di polimorfismo ecogenetico, per cui un phylum può assumere tipi diversi a seconda delle condizioni in cui gli individui si sviluppano. A me pare che chi esclude la possibilità di uno sviluppo della Suberites domuncula sul fondo del mare dovrebbe prima di tutto indicare quale sia la forma descritta e figurata dal Renier come Litumena lobata e dal distinto naturalista veneto riferita alla medesima specie che alberga il paguro o ricopre il dorso della Dromia. Quando fu comunicata alla Società ligustica di Scienze naturali in Genova quella mia nota sull’ argomento, il compianto dottor Dufour fece osser- vare che la forma fissa della domuncula è nota da gran tempo e suole indicarsi col nome di manus marina. Stando così le cose, non trovo ragione alcuna per abbandonare la ipotesi del Renier che mi sembra molto scientifica e più probabile che quella di De Vosmaer adottata da Delage. Ed invero non si comprende come nella serie filogenetica la spugna fissa abbia potuto rendersi disadatta alla vita sedentaria, essendo nota la tenacia ereditaria in questi organismi così semplici e primitivi tanto più per l'habitat primordiale caratteristico della classe. Facilmente si cancellano e van perduti gli adattamenti locali di gruppi circoscritti, ma non quelli fondamentali e primigenii. Aggiungi che ben difficile sarebbe stato che quando primamente si ini- ziarono queste associazioni venisse assicurata alla spugna per uno sterminato numero di generazioni una simbiosi sempre rinnovata, senza discontinuità, col crostaceo. Ora noi sappiamo da innumerevoli esempi anche di organismi molto superiori abitanti acque salumastre, esposti a periodici cambiamenti nella salinità del mezzo, che essi ben lungi dallo specializzarsi assumendo un adattamento unilaterale, acquistano una più grande adattabilità che li rende idonei così all’ habitat primitivo come all’ ambiente mutato. (Es. Artenia salina). 1) RENIER. — Zuvole per servire alla classificazione degli animali. Osservazioni postume di zoologia adriatica, pubblicate nel 1847. — Venezia. DO2 RASSEGNA BIOLOGICA D'altra parte, si volesse anche ammettere che la spugna ritrae un gran vantaggio dalla sua convivenza col paguro, ad es. che assorbendone gli escrementi ne tragga materiali assimilabili e quindi prosperi maggiormente, o che portata qua e là dal suo ospite trovi alimento in maggior copia, è assai dubbio che gli individui associati al paguro si trovino in istato di competizione apprezzabile cogli individui rimasti aderenti al suolo, essendo noto che la competizione è massima tra forme viventi in condizioni più simili. E allora come sarebbero stati sterminati gli individui fissi al suolo? To credo piuttosto che dal perpetuarsi la forma fissa venga moltiplicata la utilità della simbiosi, la quale contribuirebbe pure ad aumentare 1’ area di disseminazione della specie. Gli stessi rapporti infatti intercedono tra la forma abitata dal paguro di un’altra spugna la Ficulina ficus citata dal Cotte e la forma fissa di questa spugna che è ben conosciuta. Per risolvere la questione bisogna anzi- tutto operare dragaggi nelle regioni più ricche di Suberites e specialmente là dove allignerebbe la forma lobata del Renier e quella che ai sistematici è nota sotto il nome di manus marina. La forma fissa che eventualmente si raccogliesse potrebbe esser diversa anche nella struttura interna dalla forma abitata dal paguro, pur essendo unica la specie, come dimostrano i casi di polimorfismo. Infine potrebbe ancora ricordarsi in favore dell’ ipotesi di Renier il fatto che gli esemplari più grandi di Suberites domuncula vanno assumendo una superficie più irregolare e tuberosa e un aspetto distintamente lobato simile a quello descritto dal Renier nella forma lobata. E ciò secondo me perchè le spugne piccole abitate di solito da un crostaceo piccolo subi- scono per effetto dell’accrescimento una rotazione più rapida intorno all’asse della spirale e quindi la massa dello spongiario viene a presentare sneces- sivamente all’attrito contro il suolo le varie parti senza quasi lasciare il tempo che la massa si modelli su quella determinata forma assumendo un nuovo equilibrio, il che invece accade in quegli esemplari grandi (XXI e XXVII della mia serie) più distintamente irregolari e tuberosi, nei quali minimo è il rapporto tra il volume della spugna e 1’ angolo corrispondente ai giri della spirale, ossia minima è la velocità di rotazione e quindi la efficacia plasmatrice del fattore meccanico. Molto importante, perchè sperimentale, è il contributo che porta il Cotte all’analisi chimica della spugna. Egli vi ha trovato numerosi fermenti solubili e parecchie diastasi. Trovo che su 100 parti di spugna, si hanno 73,23 di acqua e il resto in materie solide. Su cento parti di materie solide, 39,29 di materie organiche, oltre 60 di materie minerali, fra cui in grande prevalenza (53 °) il silicio od il carbonio. Non si rinvengono traccie di Mmucina, nè di peptoni. Degna di nota dal punto di vista fisiologico è inoltre la presenza di amido già riscontrata dal Carter nella Suberites. L'A. pensa tuttavia che esso non vi si trovi costantemente. La materia pigmentaria di colore rosso, sarebbe la tetroneritrina, pigmento identico a quello del paguro. Esso appartiene alla spugna e non è fornito nè dalle alghe, nè da batterii. Quanto agli enzimi scoperti da Cotte nella spugna, VA. esitava dapprima ad attribuirne' la origine alla spugna ; sembrandogli che l’amidase e zueche- RASSEGNA BIOLOGICA 993 rase dovessero piuttosto attribuirsi alle alghe Zoorantelle di Brandt da me indicate come viventi in simbiosi nella spugna. Ma in seguito a più minute indagini il Cotte viene ora alla conclusione che tali fermenti siano invece prodotti di escrezione dello spongiario. Tra i fermenti scoperti dall’ A. nella Suberites ve n°ha uno che egli deno- mina provvisoriamente Suberipsina al quale si deve il potere della Suberites di provocare la idrolisi delle sostanze albuminoidi. In una breve appendice a questa memoria si raccolgono i risultati dell’ analisi chimica di altre due spugne : Cydonium gigas e Tethya Lin- curium. P. CELESIA. Borzì ANTONIO. — Anatomia dell’ apparato senso-motore dei cirri delle Cucurbitacee. -- « Atti della lf. Accademia dei Lincei», anno CCXCVIHI, serie V, vol. X, fasc. 10, 1901. Sono note le meravigliose proprietà che i cirri manifestano a contatto o in prossimità di sostegni appropriati; ma. ancora oscuro resta l’ intimo meccanismo del loro funzionamento. L’ odierna teoria dei moti di questi organi vuol trovare le cause dell’avviticchiarsi del cirro nell’ineguale accre- scimento delle due faccie del cirro, crescendo molto i tessuti corrispondenti al lato esterno, contraendosi invece quelli del lato opposto. Il diverso accre- scimento sarebbe determinato dallo stimolo della pressione esercitata dai corpi duri sulla superficie del cirro. Al Borzì non sembra accettabile questa dottrina perchè i processi ordinarii d’ accrescimento ch’'essa invoca sono di lor natura lentissimi, mentre l’avvolgimento dei cirri compiesi in realtà con mutamenti istantanei, come si riconosce all’esame microscopico. Borzì ha istituito ricerche sopra una sessantina di specie di Cucurbitacee. Nella vita di un cirro egli distingue tre fasi biologiche caratteristiche : 1. Appoggio al sostegno per mezzo dell’ estremità libera e circumnutante nello spazio; 2. Ravvolgimento al sostegno per mezzo della porzione supe- riore; 3. Consolidamento definitivo di tutto il cirro al sostegno. La forma e le proprietà del cirro rispondono benissimo alle sue necessità funzionali nelle varie fasi. È sopratutto nella seconda fase che sono messe în azione tutte le attitudini sensibili del cirro. La sensibilità è più svilup- pata nella regione concava del cirro, quasi nulla o debolissima al lato convesso. Ora nella faccia interna come nelle due regioni marginali longitudinali, pur esse squisitamente sensibili, si notano numerosi fasci sottoepidermici di fibre eminentemente contrattili. A questi che possono ritenersi elementi di moto lo stimolo vien trasmesso da particolari protoplasti periferici epidermici i quali assumono dunque il carattere di elementi di senso. Osserva inoltre il Borzì (e ciò costituirebbe un ravvicinamento ancora più sorprendente col differenziamento parallelo degli animali) che gli elementi di senso provvengono dall’epidermide, mentre quelli di moto dal periblema. Secondo il Borzì sono cellule di senso tutti i protoplasti epidermici, di un cirro (eccettuati quelli della porzione basale). Ogni cellula di senso è d5bd RASSEGNA BIOLOGICA fornita verso l’esterno di 1, 8, 5, 7, 9, 11 particolari appendici di recezione o corpi tattili, aventi forma di brevissime papille a sommità tozza che attraversano le pareti esterne della epidermide e si portano a livello della cuticola. Sono munite di grosso nucleo. Per la « moltiplicazione degli effetti » di uno stimolo (come Spencer la chiama) vi sono disposizioni ammirabili che il Borzì rileva molto ingegnosamente : vale a dire il corpo tattile attraversa l’epidermide per un’apertura ellissoide dai cui labbri resta cinto a mo’ di collare e che ineurvandosi il cirro si ristringe longitndinalmente, così che la sommità del corpo tattile viene ad essere più fortemente eccitata, eccitazione che può essere accresciuta ancora dalla intrusione di minuti corpi cristallini. Tenuissime fibre protoplasmiche allacciano fra di loro i propoplasti di senso attraversando le membrane cellulari. Le fibre motrici hanno pareti spesse ma formate di una materia densa e di consistenza colloide, di note- volissima compressibilità. La plasmolisi dimostra infatti che ogni fibra può ridurre il primitivo volume del 25-30 ‘/o. Tali essendo le condizioni per ricevere e coordinare lo stimolo, resta a vedere per quali disposizioni meccaniche sia reso possibile che lo stimolo provochi il movimento. A questo riguardo il Borzì ritiene che lo stimolo agisca modificando lo stato di normale turgescenza delle fibre motrici, abbassando e deprimendo il potere osmotico del protoplasma. Nella terza fase della vita del cirro, questo acquista una consistenza quasi sublignea ed una grande elasticità : la parte del cirro che non è ravvolta al sostegno sì contorce a spirale accostando sempre più il ramo al sostegno. Le spiegazioni date dagli autori di processi incrementali ed azioni mecca- niche come cause del movimento trovano specialmente applicazione in questa fase. A misura che il cirro invecchia esso va perdendo la sensibilità e rimane alla mercè dei processi di mero accrescimento. Un particolare plesso di fibre sclerentimatiche costituenti un complesso che il Borzì vorrebbe denominare lamina del Bianconi (in onore di chi primo lo descrisse) provvedono a fissare la forma del cirro una volta rag- giunto il grado optimum del ravvolgimento. Questa lamina ha disposizione unilaterale che ben si addice alla sua funzione : la sua progressiva lignifi- cazione di mano in mano che il cirro avvolge il sostegno ne assicura la tenacia e resistenza. [È un organo per funzione perfettamente paragonabile agli organi di fissazione descritti dal Tilo nelle pinne dei pesci : è quella che i tedeschi denominano Sperrvorrichtung), la cui presenza costituisce un gran risparmio di energia per gli organismi e nel caso dei pesci permette che il muscolo riposi]. P_i RecaLIA E. — Sulla fauna della ‘Buca del bersagliere., e sull’ età dei depositi della vicina grotta dei Colombi (Is. Palmaria, Spezia). — < Archivio per l’Antropologia e 1° Etnologia », vol. XXX, fasc. 3, 1900. L’A. descrive la fauna da lui raccolta in una cavità vicina alla « Grotta dei Colombi » nell’isola Palmaria, ben nota ai paleontologi e paleoetnologi. RASSEGNA BIOLOGICA È DIO La cavità esplorata dal Regalia è denominata « Buca del bersagliere », dal soprannome di chi pel primo l’ avrebbe visitata. La fauna ivi raccolta è notevole sopratutto pel numero delle specie, e molto istruttivo per la vicinanza delle due cavità riesce il confronto dall’ A. istituito tra la fauna della Buca del bersagliere e quella della Grotta dei Colombi. La « Buca » essendo più alta sul livello del mare che la « Grotta », si deve supporre che l’ accumulazione della fauna sia cominciata più anti- camente nella « Buca », perchè questa avrà raggiunto prima quell’ altezza sul livello del mare, da non essere più lavata dalle onde e porgere quindi un riparo anzitutto agli uccelli. La differenza di livello esistente di circa m. 7 corrisponderebbe a una differenza nel tempo di almeno mille anni. «Vi ha quindi >», soggiunge, « maggiore probabilità d’ incontrare qualche specie più antica delle specie attuali nelle « Buca » che nella « Grotta ». Considerando poi che ambedue le caverne dovevano un tempo (nel qua- ternario più antico) essere più emergenti che attualmente, e insieme tutta l’ isola e la vicina terraferma, allora in perfetta continuità, è da presumere che la « Buca » e la « Grotta » possano contenere avanzi di specie vissute nel quaternario più antico. Se ammettiamo che 1’ elevamento sia avvenuto per bradisismi e non per cataclismi, possiamo calcolare che la « Grotta », ora alta 30 m. sul mare, avrà potuto dare asilo ad uccelli per 2100 anni (calcolando l'innalzamento di un metro per secolo e assumendo m. 14 di elevazione come altezza minima per proteggere gli uccelli) prima che l’ innalzamento fosse tale da congiungere l’ isola alla terraferma e permet- tere quindi l’ invasione dei mammiferi. Un calcolo analogo per la « Buca » darebbe 2700 anni. Adunque le due cavità devono aver accolti avanzi ani- mali contemporanei di quelli delle breccie ossifere e molto probabilmente anche di anteriori. L’ anteriorità della fauna della « Buca » sarebbe quasi insignificante dal punto di vista geologico, per un dislivello di pochi metri, ma potrebbe acquistare un significato ben diverso quando quella differenza di tempo si fosse verificata durante un «regime climatico », durante la composizione e distribuzione di una fauna. Sebbene al Regalia sembri fondato il supporre che la « Buca del bersagliere » contenga a preferenza dell’ altra resti di specie vissute nella prima fase del quaternario, pure egli non riuscì a trovarne le prove nella piccola raccolta da lui studiata. Per quanto concerne poi la estensione dell’ avifauna delle due caverne è interessante notare che della «Grotta» si conoscono forse 101 specie e 12, diverse, della « Buca ». Un particolare degno di nota è la presenza tra gli avanzi delle « Buca » di otto frammenti d’ ossa lunghe e un’ epifisi di corso vertebrale che doveva appartenere a mammiferi di mole mezzana. Tale grotticina è ora inacces- sibile ai mammiferi, tranne ai piccolissimi: quindi, se tale era anche nel passato, si deve ammettere che gli avanzi vi siano stati trasportati o da uccelli rapaci o per opera di agenti fisici attraverso a qualche crepaccio. Ora di crepacci non furono ancora segnalati. D’ altra parte è incredibile che mammiferi così grandi (come la pecora e più, a giudicare dagli avanzi) abbiano potuto essere trasportati neppure dalle aquile. Sembra più giusto 9096 RASSEGNA BIOLOGICA il supporre che un tempo la grotta fosse accessibile a carnivori almeno mezzani o all’ uomo. Nelle pagine seguenti del suo lavoro il Regalia risponde a parecchie obbiezioni del Portis, discutendo se la grotta dei Colombi contenga una breccia ossifera di origine marina e se fu abitata solo nel neolitico. FoREL À. — Formiciden des Naturhistorischen Museums zer Ham- burg, Neue Caleptomyrmex, Dacryon, Sodomyrma, und Echi- nopla Arten. — « Mittheilungen ans der Naturhistorischen Museum >, XVII, 1901. Da una revisione della bella raccolta mirmecologica del Museo di Am- burgo, Forel è venuto a conoscenza di ben 23 specie nuove di formicidi, 21 nuove subspecie e. 12 nuove varietà, ch’ egli descrive nel presente lavoro. Si tratta di varie specie di Pheidole, di Stenamma, e circa una diecina di altre specie. Segue un elenco di specie accidemalmente importate ad Hamburg sopra piante esotiche. « Considerando queste notevolissime importazioni di formiche viventi », conchiude 1 A., « spesso'con larve, pupe e individui alati, si comprende agevolmente come le faune vengano sempre più a mescolarsi, e sì affermino sempre nuove specie cosmopolite, e come le faune locali, sopra- tutto insulari, ne vengano rovinate ». IsseL RAFFAELE. — Osservazioni sopra alcuni animali della fauna termale italiana. — « Atti Soc. Lig. di Sc. Nat. », Marzo 1901, con due tav. A complemento di uno studio precedente (v. pag. 148, fasc. I) R. Issel riferisce ora nuove osservazioni sulla fauna che popola le acque termo-minerali italiane, scendendo a particolari più minuti di quelli implicati dalla mera determinazione della specie, l’interesse di tali indagini biologiche consistendo non solo nella distribuzione generale della fauna o nella eventuale determina-. zione di nuove specie, ma sopratutto nel rilevare le differenze che possono presentare i membri di questa fauna con quelli di specie identiche od affini viventi a temperatura diversa o a diversa composizione delle acque. Gli individui di Quadrula symmetrica (foraminifero ?) si distinguono da quelli descritti da varii autori per avere una teca di forma tozza a placche irregolari e per la statura piccolissima, inferiore alla metà di quella ripor- tata da Lidey. Il Metopus sigmoides, già noto ai sistematici per la sua grande variabi- lità, si distingue da quelli fin qui disegnati con questo nome pel fatto di presentare soltanto tre setole apicali. Notevolissime pure le differenze osservate nell’anellide Aelosoma quater- narium, il quale pei suoi caratteri non corrisponderebbe a nessuna delle forme descritte da Vejdowsky, ma occuperebbe un posto intermedio tra A. Eherenbergii ed A. quaternarium, più vicino al secondo. Si distingue RASSEGNA BIOLOGICA 557 dal primo soprattutto per la presenza di un sepimento tra capo e tronco. Onde 1° A. sospende il suo giudizio circa la opportunità di istituire per questa forma una specie nuova, per il che si richiedono nuove indagini con materiale di confronto. Issel si ferma poi a descrivere il modo di riproduzione di questo anellide, che ha luogo per via agama, una sola volta essendosi stati osser- vati gli organi riproduttori. La scissiparità avviene mercè la formazione di successivi strozzamenti alla estremità posteriore che si allunga in guisa che l’ultimo individuo formato si trova sempre tra il corpo del progenitore ed il penultimo gemmato. | Il processo di gemmazione negli Aelosoma di Vinadio è più semplice e regolare di quanto si osservi nell’ A. Ehrenbergii e nell’ A. tenebrarum, secondo Vanda. Aelosoma quaternarium è forma cosmopolita. Trovasi pure nelle acque termali di Valdana e nel lago di Garda. Tra i gasteropodi indigeni delle terme di Vinadio la Melamposis etrusca è variabilissima così per la statura come pel colore in una stessa località. Ciò non toglie a chi abbia pratica ed occhio esercitato di distinguere alcune variazioni locali di Melanopsis. Quelle di Caldana hanno statura piccola (media di 15 individui mm. 12); quelle di Massa sono di statura maggiore (media su 15 individui mm. 14, alla qual misura vanno aggiunti pel con- fronto 2 o 3 mm. perchè l’apice di questi esemplari si presenta corroso). ‘Infine è da separare come varietà distinta una forma piuttosto rara non collegata per gradi intermedi cogli altri esemplari della stessa località. Essa corrisponde alla varietà elata di A. Issel. Le Melanopsis manifestano grande resistenza vitale. L° A. ha potuto conservarle vive per oltre 10 mesi in un mezzo litro d’ acqua con scarso nutrimento : « sopportano temperature di oltre 30° inferiori a quelle a cui sogliono prosperare ». PC. wa Fattori della evoluzione. MAUCK ABRAM VARDIMAN. — On the swarming and Variation ina My- riapod ( Fontaria virginiensis). < The American Naturalist », Giugno 1901. L’A. ha potuto osservare la migrazione di numerosissimi miriapodi della specie Fontaria virginiensis. Di 1309 esemplari raccolti trovò che 622 sono di sesso maschile (dunque 47,52 °/) e 687 femmine (52,48 0/). Indi VA. prese ad esaminare una serie di 100 maschi e 100 femmine dal punto di vista della variabilità dei caratteri. Trovò che i segmenti del corpo erano costantemente in numero di venti in ambe le serie, le zampe distribuite in trenta paia nei maschi e trentuno nelle femmine, rimanendo in ogni caso perfettamente conservata la simmetria bilaterale. Infine i segmenti delle antenne erano sette per parte in tutti gli esemplari esaminati.. 558 RASSEGNA BIOLOGICA SILVESTRI F. — ©perai ginecoidi di Termes, con osservazioni intorno all’origine della varie caste nei termitidi. — « Atti della R. Accademia dei Lincei », vol. X, fasc. I, 1901. Già abbiamo veduto altrove come il Grassi abbia tentato spiegare la trasmissione dei caratteri delle operaie sterili nelle società degli imenotteri, supponendo che veicoli di una tale trasmissione siano i maschi che nascono dalle operaie ovificatrici, vale a dire da operaie le cui larve sono state nutrite colla « poltiglia reale », divenendo capaci di deporre uova parteno- genetiche da cui si sviluppano soltanto maschi. Questi maschi accoppian-- dosi alla regina perpetuerebbero i caratteri materni di operaia nella prole. La esistenza delle operaie ovificatrici, se era un fatto noto per le api, non trovava riscontro in altri insetti sociali, studiati dal Grassi, Zermes favicollis e Termes lucifugus. Eppure se la ipotesi del Grassi era vera, il fenomeno analogo dovea trovarsi nelle colonie dei termiti; doveano trovar- visi operai o soldati con organi sessuali bene sviluppati. Nel corso dei suoi studii sopra l’argomento il Grassi potè già segna- lare « una ninfa-soldato di Termes lucifugus con tubi ovatrici bene svilup- pati », ritornando alla supposizione ch’ egli stava per abbandonare <« che i fenomeni di ereditarietà nelle caste sterili si possono interpretare . . . con l’eccezionale esistenza di operai e soldati capaci di ovificare ». Ora il Silvestri porterebbe all’ ipotesi del Grassi una conferma notevole, perchè il solo caso osservato dal Grassi poteva anche interpre- tarsi come una semplice mostruosità senz’altro significato. Il Silvestri trovò ad Urucum, in cui il nido di Yermes Strunchii « larve a varii stadii, operai, soldati, ninfe della prima forma, alati, senza coppia reale vera, in cambio v’erano 40 operai f e è con gli organi genitali già molto svilup- pati ». Egli li denomina operai ginecoidi, descrivendone i caratteri. In base a tale reperto Silvestri crede poter tracciare la storia delle diverse caste dei termitidi nel seguente modo : I termitidi dovevano originariamente costituire piccole colonie composte di f e è e larve di varie età, ancora incapaci di intaccare colle mandi- bole il legno degli alberi sotto la cui corteccia vivevano. La madre dovea nutrirli rigurgitando loro in bocca il legno triturato. Dapprima tali colonie doveano tendere a sciogliersi non appena le larve giunte a maturità fossero divenute capaci di nutrirsi da sè. È tuttavia probabile che quelle cause generali che promuovono le società fra gli animali, il mutuo soccorso, la partecipazione ai lavori, la difesa del nido, abbiano agito anche nei termitidi, e siano sopravvissute quelle aggregazioni nelle quali più forte era la tendenza a convivere. In questa fase della società sarà accaduto che per diversa qualità e quantità di cibo ricevuto allo stato di larva alcuni individui avran subito un arresto di sviluppo delle ali o una ritardata maturità sessuale, e che perciò saran rimasti più a lungo nel nido ed avranno spesa più attività nella difesa, sviluppando maggiormente le mandibole. Tali cangiamenti essendo utili, la selezione avrà favorito le colonie ove si compievano. Da principio però anche gli individui dallo sviluppo modificato giungevano a diventare sessualmente maturi e trasmettevano i loro carat- teri accoppiandosi con re o regina, RASSEGNA BIOLOGICA 559 Da questo stadio il polimorfismo abbozzato dovette accentuarsi sempre più per selezione fino a conseguire la casta odierna di soldati dalle mandi- bole molto robuste e destinati a restar sterili per tutta la vita «se un cibo speciale non viene loro a destare dal sonno i genitali ». fine un terzo stadio nello sviluppo della società sarebbe quello in cui i termitidi per un processo psico-fisiologico sono andati acquistando « l’istinto di allevare a piacimento con cibo diverso e saliva individui alati, neotenici e soldati ». Infatti le stesse uova possono a seconda delle condizioni svilup- pare soldati od alati. La trasformazione o meglio deviazione di individuo alato in soldato può osservarsi a stadii diversi dello sviluppo, notandosi per effetto del cambiamento di cibo il riassorbimento delle ali. Ora se dalla società dei calotermiti con la sola casta neutra dei soldati, passiamo a quella dei termitini con due caste neutre e ben distinte (operai e soldati), dobbiamo ammettere che tal differenziamento siasi iniziato in quel periodo in cui non tutti gli individui giungevano a metter le ali. Il lavoro costruttivo e di allevamento delle larve richiedendo mezzi e attitu- dini in parte diversi da quello prevalentemente distruttivo dei soldati, si sarà stabilita una divisione del lavoro [che VA. anzi fa risalire all’aver una parte della colonia atteso di preferenza ai lavori di allevamento e 1’ altra alla guerra]. Ora anche qui, malgrado una selezione favorevole, non si comprenderebbe come avrebbe potuto perpetuarsi ed evolvere la casta degli operai sterili se ogni tanto tra le generazioni di questi non si intercalasse qualche generazione sessuata di operai i quali prendendo parte all’accoppia- mento rinvigorissero per così dire nel plasma germinativo della specie i caratteri di operai. E qui appunto troverebbe applicazione il reperto del Silvestri degli operai ginecoidi. L’ A. crede dover respingere la ipotesi dello Spencer che spiega la origine delle varie caste ammettendo che i soldati rappresentino la forma primitiva la quale ricomparirebbe per atavismo, sotto l’ influenza di un cibo scarso. Al Silvestri sembra inammissibile « che un carattere una « volta esistito continui a rinascere e regolarmente, se non venga intercalata « qualche generazione di quelle forme, per mezzo della quale venga rinfor- « zata, per così dire, la parte rappresentativa dei caratteri di quella forma « stessa >». ; Inoltre pare al Silvestri che la ipotesi dello Spencer, spiegasse pure l’esistenza di soldati per una sorta di atavismo perenne, non rende- rebbe conto della origine degli operai. Per conchiudere, secondo la idea del Grassi, ora confermata dal Sil- vestri, la maturazione dei genitali e riproduzione di qualche individuo delle caste neutre sarebbero indispensabili perchè si conservino ed evolvano i caratteri dei neutri. Il fatto che tale maturazione avvenga a periodi più lunghi nei termitidi che negli imenotteri è una prova della maggiore anti- chità della società dei primi, come sembra dimostrare anche la paleontologia, essendo più remoto per quella il tempo in cui tutti gli individui partecipa- vano alla riproduzione ; il che risulterebbe anche dalla mancanza nei termiti della forma intermedia fra le varie caste dei neutri, mentre queste si rin- vengono in molte specie di formiche. Con ciò perderebbe molta forza la obbiezione dei neodarwinisti ai neolamar- 560 * RASSEGNA BIOLOGICA ckisti, che i caratteri coordinati distintivi dei neutri debbano essersi svilup-. pati esclusivamente per selezione poichè data la sterilità dei neutri manche-. rebbe il tramite di trasmissione ereditaria. Invece fino a prova contraria si può ritenere che la sterilità dei neutri non è mai assoluta per la specie, ma che ogni tanto ricompariscono per atavismo individui della forma ORRIDIO î o soldato, i quali partecipano alla riproduzione. [La ipotesi del Grassi è certo seducente. Però la questione della origine e conservazione del polimorfismo degli insetti sociali è ancora ben lungi dal potersi considerare come risolta per forza di essa a favore del lamarckismo. Prima di tutto non troviamo ragione per escludere a priori la possibilità di un atavismo indefinito, intendendo naturalmente per atavismo, ‘ non già l’ azione di una forza misteriosa emanante da qualche forma proge- nitrice, è soggetta ad affievolirsi a distanza . .. di tempo, ma semplice- mente la tendenza immanente nella specie ad assumere in condizioni spe- ciali di sviluppo alcuni caratteri primitivi. Im secondo luogo vien naturale il chiedersi come mai operai e ginecoidi e soldati fecondi possano contribuire a perpetuare la forma degli operai e soldati sterili con organi. genitali atrofici, vale a dire forme in parte diverse. Si risponderà senza dubbio che questa differenza dipende dal diverso cibo somministrato alle larve. E sta bene; ma allora perchè la diversità del cibo, cooperando la selezione (od anche l’uso e il disuso per le forme sessuate) non avrebbe bastato a produrre gli altri caratteri distintivi delle altre caste ? Poichè ad ogni modo lo stesso prof. Grassi dovrà concedere che la riduzione e scomparsa dei tubi ovarici nelle operaie delle formiche non | può dipendere da eredità diretta! Ora la regressione dell’apparecchio ripro- t duttore non è meno enigmatica pel biologo che la riduzione delle ali o delle mandibole ; e se tanto potè la differenza di nutrimento sull’appa- recchio riproduttore, perchè non avrebbe potuto altrettanto sugli altri carat- teri di casta ? ; A mio avviso le osservazioni dl Grassi e Silvestri sono preziose. sopratutto in quanto dimostrano che le correlazioni tra gli organi riprodut- tori e gli altri caratteri di operaio e soldato non sono assolute e primitive, ma possono subire violazioni che andranno facendosi sempre più rare quanto più progredisce il polimorfismo. i Numerosi fatti, tra i quali la persistenza delle forme intermedie sterili. ì in molte specie di formiche, dimostrano che la evoluzione delle società | polimorfe dev’esser stata estremamente lenta. Confessiamo che nella ipotesi. del Grassi, data la periodica partecipazione delle caste neutre alla ripro- | duzione (e con essa la trasmissione delle loro modificazioni funzionali) tale A lentezza evolutiva ci parrebbe non dover esistere. Ad ogni modo eonverrà 4 che gli osservatori di questo campo della zoologia orientino le loro indagini, come ora il Silvestri, verso l’ interessante problema che sorge dalla nuova interpretazione del Grassi]. P. CELESIA. Dott. P. CELESIA, Redattore responsabile. 150 Stabilimento Tipo-litografico Romeo Longatti — Como, +0 | pi rita i RIVISTA ITALIANA DI SOCIOLOGIA Consiglio Direttivo : HE Bosco - S. COGNETTI DE MARTIIS - V. PANGORRA TAL e: od VAGLIBRI - G. ai L. la TEDDSCHI — Eta Rivista italiana di sociologia esce in Roma .ogni due mesi, in. grossi fascicoli di almeno 140 pagine, in-8 grande, di fitta composizione. . Ogni numero. contiene: 1) articoli ori iginali; 2) note e comunicazioni ; 153) rassegna delle pubblicazioni italiane e straniere; 4) cronaca di notizie at- __timentì agli studi sociali. ABBONAMENTO ANNUO Per VItalia L. 10. Per gli Stati dell’Unione postale Fr. 15.— | Un fascicolo separato Lire 2. irezione e Amministrazione della Rivista Italiana di Sociologia VIA NAZIONALE, 200 — ROMA Recentissime pubblicazioni : i PAOLA LOMBROSO Il Problema della Felicità Un volume in-16 L. 8. - Legato elegantemente L. 4. SANTE DE-SANCTIS I SOGNI Studi psicologici e clinici di un Alienista (con 3 figure ed una tavola) Un volume in-16 L. 5. - Elegantemente legato in tela con fregi L. 6. LINO FERRIANI DELINQUENZA PRECOCE E SENILE con lettera di C. Lombroso Elegante volume di 500 pagine. — L. 5.— Editore V. OMARINI - Como. FRATELLI BOCCA, Editori . 5 Forino _ Sa Recentissime iubhlivazioni:. ce cHe i = D = È a EUGENIO D RIGNANO. de e» Di un Socialismo È In accordo colla dottrina economica liberale 4 Un volume in-8 di pa gine IV-524°- Pr ezzo L. 10, Dott. GIUSEPPE E PORTIGLIOTTI L'Eredità Consanguinea VANTAGGI E DANNE Un.volume in-8 L. 3.50 e; C. E. RASIUS DIRIPTI E DOVERI DELLA ORITIOA Un volume in-12 L. 3 - Elegantemente legato L. 4. ETTORE CICCOTTI La Guerra e la Pace nel mondo Antico Un volume in-12 L. 8.50 - Hlegantemente et 4.50 ; ACHILLE LORIA IL CAPITALISMO E LA SCIENZA | STUDI E POLEMICHE si Un volume îin-12 di VIII-268 pagine L. 3.50 - Elegantemente legato L.4. 50 a e Dot. PASQUALE ROSSI Psicologia collettiva morbosa Un volume in-8 gr ande L. 6. ALFREDO NICEFORO ‘©. Italiani del Nord e Italiani del Sud Un volume in-12 con 133 tavole numeriche e 31 tavole grafiche L. 5. Elegantemente legato L. 6. : Di prossima pubblicazione : H. SPENCER I PRIMI PRINCIPIT Nuova versione italiana del Dott. G. Salvadori, fatta nella ‘recentissima edizione Inglese. °-° E AL Si: Aol E è D°) È. [ni DS I, ji! t fi UA A y REN III n JU i di Ce - - = = ba i Sprda Fassi co Ten. —_ = = e" ATTI TROIE AT fd DLL ALU TIT URIL ILE RIPARTE NL TTALIALILI 4 106 278 Date Due ORE TIRA saverio sere ER cert ento ITA