pertatattei ind ii io tatara att . i 3 »; midi di TTT RIA È Cai rietde : ; o î ene ì è pri i ò pone >: i mori ei - elet EtirÀ " i ” à 7 O a v TE SETDEA Shi vira fr COGMZZATECE CLEVELETIN PANTANI trav r ‘nr dis Ù Rai » e verona pn n È na opa A TITTTRLETIIEY FrPtirPUEIr: ‘verona vete n Farrrz FITTI AE es resureis verno re'evevve eo bid rr nn Dir a RSA =_=" Glass 0) RZ O 7 Book _ R TI SMITHSONIAN. DEPOSIT TL ( Ly î ; USATA RIVISTA ITALIANA \\ xi PALEONTOLOGIA je REDATTORE P. VINASSA pe REGNY COLLABORATORI ANELLI M. — Fossa MANCINI E. GirurrrIipa Ruceeri V. — PieragNOLI Ly Vorume XXII - Anno 1916 |] PARMA RIVISTA ITALIANA DI PALEONTOLOGIA 1916 . INDICE DEL VOLUME XXII Recensioni italiane . I A 0 DAREI 2 E) UT AEG E RO ME A AR PR E A CANE 7 ph MEMORIE E NOTE ORIGINALI Fossa Mancini E. - A_ proposito di alcune recenti pubblicazioni riguardanti ammoniti liassiche . . . . Pieragnoli L. =Selacki eocenicii di; Toscana: #0 Ler'asi tte «FE Ruggeri V. - La successione e la provenienza delle razze europee preneolitiche e i pretesi Cro- Lee pron delle Canarie; vinto RECENSIONI Autori dei quali furono recensiti i lavori. 21 | Grandori E NGTECO:: I | Lovisato SAZ} Ct RONIC]IEone an 2A SP ARONArn O 25 | Principi .. 2 | Rodighero 25 | Rovereto . 200 ISACCO ZO SECTINIDICO e ga 32 | Vinassa de Regny. 32 Fossili dei quali si tratta nei lavori recensiti Ty02(201.130039) pi ‘ Sa rarari : 3 32, 35; INDICE DEL VOLUME XXII i Shi Vermi . A : ; ; ; : , INR e : SOR ur” Molluschi . ; ì 4 È z ; 7 > 23N 33033) 855 30 fe Cefalopodi .. . ; î i 3 4 È 4 4 4, 3cdian Crostacei. » - : È x È x 3 È ò ui 123633 Pesci . . ra edg . . . . . » I, 2, 23, 25; 38, 54 I Rettili 0 cip LR e I a E RI Mammiferi . ; i 2 È 7 : ; È si 1 3375 2A CRI EII. Terreni dei quali si tratta nei lavori recensiti. Siluriano Devoniano Trias : 2 5 È ; È % 4 È Ù 5 SLA Easpic 5 È o 5 ; 5 4 x È ad, 030: EROIAZAN i Giura . y , ; A È È 3 S A s 7 Lo n Vengono esposte in questo lavoro alcune osservazioni che ten: dono a dimostrare la indispensabilità della più vasta conoscenza del sistema dentario degli attuali Elasmobranchi per poter arri- vare ad una esatta interpretazione sistematica e filogenetica nella determinazione dei denti fossili. Nella istituzione delle nuove @ specie fossili i naturalisti non hanno sempre fatto gli ‘opportuni. A confronti con la dentatura delle specie viventi e in ciò deve ri- 03 cercarsi il difetto fondamentale per cui lo studio degli ittiodon- ; toliti terziari si mostrò spesso incerto, talora contradditorio. Un'al- ki tra fonte di errore si deve ricercare nel fatto che la determi- nazione dei denti degli Elasmobranchi è basata molto spesso so- pra preconcetti cronologici, per cui denti fossili aventi gli stessi caratteri morfologici vengon indicati con nomi specifici diversi. GB solo perchè si trovano in terreni ritenuti di età diversa; tale de- limitazione cronologica delle specie attraverso i tempi geologici mal si accorda col concetto stesso di specie quale oggi si intende AR an; SIATE i ETA di ARI Vga RE ee È FB per gli animali viventi. Nota a questo proposito l’A. come sia DE. errato il criterio che la specie paleontologica debba esser conce- È pita e considerata in modo diverso da quello secondo cui vien con- 2 È: cepita e considerata la specie geologica, criterio che rappresenta HI la causa prima per cui in paleontologia le specie fossili si. mol- x hi tiplicano all’infinito. Le regole che informano le specie geologi- ss d: che debbon esser adottate anche in paleontologia; il che val quanto >: dire che nella pratica, allorchè si tratta di determinare speci- ficamente uno o più avanzi fossili appartenenti ad un dato gene- . dà re vivente, occorre prima di tutto constatare le variazioni entro le |’ di. quali sì aggirano le specie odierne appartenenti a quel dato ge- fi nere. S È i M. ANELLI. * è REL FABIANI R. e STEFANINI G. — Monografia dei terreni terziari. 9 ° del Veneto. — Mem. dell’ Ist. Geolog. della R. Univ: di Pa- ar pa ani ia e (A : OS 3 a DI PALEONTOLOGIA 27 dova, vol. III, 1915, Padova, pag. 624, 17 tav. e 68 figure nel testo. Nella ricca ed elegante veste tipografica delle « Memorie del- l’Istituto Geologico della R. Università di Padova » compare que- sta « Monografia sui terreni terziari del Veneto », che fu premiata a suo tempo al concorso di fondazione Querini-Stampalia bandito dal R. Istituto Veneto. Sono due monografie distinte, opera rispet- tivamente del Fabiani e dello Stefanini, riguardanti la prima il Paleogene, la seconda il Neogene, comprendenti ciascuna l’ illu- strazione stratigrafica e paleontologica; la parte paleontologica limitata per ora ad un semplice riassunto, vedrà la luce succes- sivamente. Lo studio del Paleogene si inizia con una trattazione anali- tica dei vari profili stratigrafici più importanti ed opportunamente scelti per mettere in evidenza la varietà delle facies e la distri- buzione delle faune nei singoli livelli; a questo capitolo l'A. fa | seguire una esposizione sintetica sulla stratigrafia del Paleogene veneto, occupandosi caso per caso delle questioni cronologiche e mettendo a raffronto la serie paleogenica del Veneto con quella dei più importanti bacini terziari di altre regioni. L’A., che per stabilire i limiti fra i vari piani ha tenuto conto gione veneta, ha assunto come base per la distinzione dei vari gruppi di strati il concetto delle zone paleontologiche, che ha de- finito ogni volta che è stato possibile mediante le Nummuliti, pur Non trascurando lo studio degli Echinodermi, dei Brachiopodi e dei Molluschi, che servì ad integrare i risultati stratigrafici rica- vati della distribuzione delle foraminifere. Per ciò che riguarda riferimenti cronologici, le ricerche del- . l'A. hanno principalmente portato a questi risultati: la flora di Teolo va riferita all’ eocene inferiore ; l’orizzonte di Roncà anche in base ai rapporti stratigrafici risulta distinto e più recente di quello di S. Giovanni Ilarione e riferibile all’ Auversiano, a cui debbono esser riportati anche gli strati di Buttrio; è confermato il riferimento delle ligniti di Bolca con Crocodilus vicetinus alla . . 4 D . . . . ‘dei fenomeni di trasgressione verificatisi a varie riprese nella re- RIVISTA ITALIANA parte più ‘alta dell’ Eocene medio; gli strati a Cersthium diaboli vengon definitivamente ascritti Ja base del Priaboniano ; la flora superiore di Bolca e dei Vegroni appartiene all’ Ninersiono più alto e non all’ Oligocene; l'orizzonte a Crosara coi coralli va ri- ferito all’ Oligocene inferiore; i giacimenti a pesci e a palmizi di Chiavon e Salcedo all’ Oligocene medio ; la glauconia inferiore del Bellunese è oligocenica e non miocenica; esistono formazioni marine con lepidocicline e le ultime nummuliti riferibili all’ Oli- gocene superiore o Cattiano. Segue un saggio di sintesi sulla paleontologia del terziario inferiore della regione Veneta, in cui vengono presi ordinatamente in esame tutti i gruppi sistematici, premettendo per ciascuno le principali notizie storico-bibliografiche e riportando quindi gli elenchi delle specie piano per piano e, quando ne è il caso, gia- cimento per giacimento; vengono quindi trattati i caratteri più salienti di ogni gruppo riguardo alla distribuzione stratigrafica e geografica delle specie, alla loro importanza per la cronologia, ai loro eventuali rapporti filogenetici, allo sviluppo biologico delle famiglie e dei generi delle singoli classi, agli spostamenti per mi- grazioni e alle affinità con le associazioni paleontologiche di altri bacini. È La seconda memoria (Neogene) è divisa in tre capitoli, in certo qual modo autonomi, e di ineguale estensione, sebbene svolti secondo un piano unico. Il primo, il più esteso e in gran parte originale, riguarda il Friuli, il secondo il Veneto centrale, il terzo, in gran parte di compilazione, il Veneto occidentale. A comple- mento di questo terzo capitolo vengono riassunti anche i dati bi bliografici relativi al territorio bresciano, che sebbene fuori dei limiti della regione veneta, ha stretti rapporti con essa. Ciascuno di questi capitoli consiste di una introduzione nella quale vien riassunta la bibliografia e si danno alcune nozioni pre- liminari sulla tettonica e di una parte descrittiva comprendente la illustrazione dei vari lembi e degli spaccati che vi si osservano, a conclusione della quale è posto un quadro di sincronizzazione dei singoli livelli ed un secondo quadro di confronto tra la classifi- cazione proposta dall’A. e quella di autori precedenti. Cn | DI PALEONTOLOGIA 29 . Il quarto capitolo tratta della classificazione generale dei terreni, il quinto contiene le conclusioni generali relative all’età ‘dei movimenti tettonici subiti dalla regione e alla storia geologica del bacino durante il Neogene, tracciata in base alla successione delle facies e ad osservazioni sulla morfologia e l’idrografia. Se- guono le indicazioni bibliografiche. I risultati principali di questo studio si posson così riepilo- gare: aggruppamento dei lembi e zone mioceniche in lembi mon- tani o submontani e lembi pedemontani, i primi déi quali fu- rono sollevati e ripiegati insieme alle roccie più antiche, che ne formano la base; accertamento della trasgressività del. Mio- | cene (Langhiano) nel Friuli e distinzione di questo piano dall’ A- quitaniano (strati di Schio); riconoscimento di due distinti livelli langhiani nel Veneto orientale e centrale; attribuzione al Lan- ghiano degli strati di Verona; attribuzione all’ Elveziano delle marne a Venus Dujardini e Arca diluvii e loro distinzione pa- leontologica e stratigrafica, sia dal Langhiano, sia dal Torto- niano; individualizzazione di un Tortoniano superiore a facies strettamente litorale, formante passaggio tra il Tortoniano infe- riore sublitorale e il Pontico, di facies continentale ; attribuzione al Pontico (Miocene per lA.) di tutto il complesso fluviolacustre in base a considerazioni stratigrafiche e a dati paleontologici ; ac- certamento dei rapporti di discordanza dei conglomerati di So- . ligo rispetto al Pliocene marino e al Pontico, e loro conseguente attribuzione al Villafranchiano inteso come Postpliocene antico; constatazione dell’esistenza, nell’ interno del paese, di traccie multiformi e numerose delle varie fasi attraversate dal sistema idrografico. Numerosi quadri riassuntivi e comparativi, numerose figure nel testo, 17 tavole e una carta geologica d’ insieme accompagnano i due voluminosi e interessanti lavori. M. ANELLI. 30 RIVISTA ITALIANA Fossa Mancini E. — Lias e Giura nella Montagna della Rossa. Atti Soc. Tose. Sc. Naturali. — Memorie vol. XXX, Pisa 1915, pag. 30. L’A. nei suoi rilievi sulla Montagna della Rossa, (il gruppo. montuoso nella media valle dell’ Esino tra la stazione di Serra S. Quirico e il ponte di Chiarodovo, che tettonicamente può esser considerato come un settore di uno degli ellissoidi che, allineati, costituiscono la più orientale onda orogenica dell’Appennino cen- trale), ha potuto riconoscere, combinando le osservazioni strati- grafiche colle paleontologiche, l’esistenza di tutti i piani del lias e del giura, fatta eccezione forse pel batoniano. Il calcare mas- siccio, di dubbio riferimento nella sua parte inferiore, appartiene superiormente al sinemuriano. Nella pietra corniola inferiore son rappresentati, oltre la parte più alta del lias inferiore, il pliensba- chiano e il domeriano rispettivamente con una fauna a brachio- podi e ad ammoniti; una fauna prevalentemente ad ammoniti si presenta in tutte le formazioni superiori e cioè nei calcari giallo bruni, (domeriano, toarciano, aleniano), nella pietra corniola su- periore (baiociano, calloviano), nei calcari bianchi inferiori (oxfor- diano inf.). All’oxfordiano, al sequaniano e a parte del kimeridgiano cor- rispondono verosimilmente gli scisti con aptichi con selce poli- croma alla base e verdicci negli strati superiori ; nei calcari verdi è rappresentato il kimeridgiano e il titoniano inferiore; nella parte inferiore del calcare maiolica fossilifero il titoniano supe- riore; aldi sopra, potentissimo, senza traccia d’organismi, in per- fetta continuità stratigrafica e litologica, segue il resto del calcare maiolica neocomiano. - La mancanza di fossili batoniani potrebbe far pensare ad uno hiatus nella deposizione, ma l’ identità litologica dei terreni im- mediatamente più recenti e più antichi (pietra corniola sipentei ti non si accorda con tale ipotesi. I sedimenti che formano la Montagna della Rossa si sono de- posti per un lunghissimo periodo di tempo con continuità, rego- larità, concordanza; pur non essendo per lo più di mare molto «profondo presentano caratteri tali da escludere la prossimità di terre emerse. Solamente delle ricerche accurate in località nume- | rose è sufficientemente vicine tra loro potranno dirci se ci tro- — viamo di fronte ad un fatto di grande importanza geologica 0 «non piuttosto ad un fenomeno locale. if Fucini A. — Fossili wealdiani del Verrucano tipico del M. a Pisano. — Palaeontographia italica, XXI, 1915, pag. 55-95, + tav. VII-XI. * È noto che da tempo il Fucini sostiene che il tipico verru- cano, considerato dalla maggioranza degli autori come paleozoi- di co, è invece cretaceo e più specialmente wealdiano. Alle numero- È se prove puramente geologiche il Fucini aggiunge ora quelle pa-. _leontologiche figurando nelle cinque tavole che accompagnano il lavoro una serie di fossili, non certo eccessivamente ben conser- vati, ma tali da permetterne la determinazione e la fotografia. s . Si tratta di ben 66 specie di molluschi, alcune piante e due ret- ._tili. Predominano in modo assoluto le Cyrena che quasi tutte so- «no riferibili a forme descritte dal Dunker, dal Roemer e dallo —_—Struckmann: e del resto anche le altre forme in grande maggio- | ranza rispondono a quelle del Hannover descritte da questi au- tori. Il Fucini non manca di far notare giustamente la strana | mancanza di qualsiasi gasteropode. Dal complesso della fauna i PA. deduce che la formazione del Verrucano è una formazione litorale o di estuario. Se il Wealdiano sia da riferire piuttosto al Cretaceo che al Giura superiore non si rileva da questa fauna, ma l’A. fa notare che le somiglianze maggiori son per il Giura. Naturalmente questa memoria ha uno scopo documentario più che paleontologico descrittivo, ed è perciò che poche sono le nuove forme e cioè: Ichmites pisanus. Cyrena pisana, C. Terminetti, A C. verrucana, Anisocardia verrucana, Anatina verrucana e Cor- de bula verrucana. Tutti gli esemplari descritti sono figurati a mez- zo di fotografie non ritoccate ed hanno così pieno ed assoluto | valore documentario. | >» Rai: RISE pet a 32° | RIVISTA ITALIANA Fucini A. — Pennatulidi del Lias inferiore del Casale ins Provincia di Palermo. — Mem. Ace. Gioenia di sc. nat., Catania, 5, VIII, pagg. 10 e una tav. I Pennatulidi sono certamente fossili molto rari come dimo- stra l’A. in un breve cenno bibliografico. Ignoti erano poi nelle for- mazioni liassiche, cosicchè il lavoro ha grande interesse paleon- tologico. Dopo aver dato alcuni cenni morfologici l’A. propone pei suoi fossili il nuovo genere Mesosceptron. Le forme son tutte nuove ad eccezione di una: Mesosceptron Neumayeri che il Di Stefano in sch. aveva riferito a Xiphoteuthis; le altre forme so- no: Mesosceptron conicum, M. magnum, M. tuberculatum, M. ete- rogeneum, M. eragonum e M. fusiforme, i quali tutti sono accu- ratamente disegnati nella tavola annessa. Nella spiegazione della tavola è da avvertire la trasposizione avvenuta dei numeri 19 e 20 che deve essere 20 e 19. Le figure 20 e 21 sono ingrandite al dop- pio; ma tale indicazione manca sia nella spiegazione della tavo- la sia nella tavola stessa presso le figure. Na GortANI M. — Contribuzioni allo studio del Paleozoico car- nico. V. Fossili eodevonici della base del Capolago. — Palaeontogr. italica, pag. 117-188, tav. XIV-XVI. i ll rovesciamento riconosciuto alla base del Capolago nel co- stone sinora anonimo ma che oggi si chiama Costone Lamberten- ghi dal nome dell’eroico ufficiale che lo conquistò con un assalto alla baionetta, è qui documentato per la parte che si riferisce al- l’Eodevonico. In questi calcari grigi i tedeschi che da oltre tren- t'anni avevano studiato la regione dicevano che non si trovavan fossili. E invece non solo vi sono e abbondanti ma importanti pure dal punto di vista paleontologico. Ben tredici forme son nuove e cioè: Strophomena carnica, Atrypa italica, Merista gibba, Pentamerus volaicus, P. linguifer var. carnicus, Rhyncho- nella preacuminata, Rh. Vinassai, Rh. caput-lacis, Orthonychia x DI PALEONTOLOGIA Canavarii, Platyceras Taramellii, Bronteus palifer var. carni- cus, Br. rhinoceros var. inermis, Harpes venetus. Detratte que- ste specie e quelle di difficile determinazione o di valore crono- logico nullo ne restano pur sempre sessanta dalle quali risulta che il giacimento appartiene all’Eodevonico medio. È pure da no- tare che oltre alle forme nuove altre venti specie compaiono ora per la prima volta negli elenchi del Devoniano dell'Europa me- ridionale. Cosiechè questi banchi calcarei non solo permettono di are un esatto giudizio, coi loro fossili, sulla loro età, ma hanno dato un materiale che arrichisce considerevolmente le cognizioni nostre sulla fauna paleozoica delle Alpi. ca Di GranporI L. — Su di un seme mesozoico di pteridosperma e sulle sue affinità con forme paleozoiche e forme viven- ti. — Atti Acc. Sc. ven. trent. istr., 3, VIIL, pag. 107-118 e tav. VI. Lo studio della flora dei calcari liassici del Veneto, eseguito dall’A. ha dimostrato l’esistenza di cicadofelci nel mesozoico che si aggruppano nella specie Liaspermum dissectum Ligno sp. che viene descritta e figurata e riferita con probabilità alla pianta Lomatopteris juriensis Kurr sp.. Le relazioni con forme paleozoi- che sono specialmente nette con Trigonocarpus, ma la mancanza di appendici tegumentali accenna invece a Cycadales viventi. So- no molto importanti le osservazioni che l'A. fa a proposito della Macrozamia Moorei e dei suoi ovuli in rapporto al seme studiato. NE, Mi. ® Granpori L. — Sulle affinità delle Pteropsida fossili (studio ° critico) — Atti Acc. Sc. Veneto-Trentino-Istriana,. Serie III, vol. VIII, Padova 1916, pag. 163-195. È un lavoro che ha lo scopo di stabilire una sorta di que- x stionario, al quale si è condotti dopo un esame critico dei dati e SD i ci Rio "236 o” quae RIVISTA ITALIANA li delle ipotesi più importanti che riguardano le parentele e le ori- gini delle famiglie fossili di Pferopsida in rapporto alle fami- glie viventi. gr» Delle Pteropsida, che secondo le vedute dello Jeffrey compren- dono le Filicales, le Gimnospermeae e le Angiospermeae, vengon sottoposte all'esame critico in questa prima parte del lavoro fino- ra publicata le Felci e le Pteridosperme, sotto il qual nome si comprende quella parte di Cycadofilices di cui si conoscono gli organi riproduttori e che rientrerebbero nello Gimnosperme. Un riassunto dei dati di fondamentale importanza ‘acquisiti dalla paleobotanica precede le discussioni su ogni gruppo. La prima origine delle Felci viventi deve esser rimandata in un periodo antichissimo del quale non abbiamo ricordo. Nel pa- leozoico si è già compiuto l’ultimo e più importante atto della evoluzione filicinea, e cioè il passaggio alla spermia. Troviamo già differenziati i tipi strutturali delle felci, forse già tramontato il periodo di splendore delle marattiacee e troviamo infine i due ultimi gruppi- documenti dell'evoluzione precedentemente avvenuta; quello delle Primofilices e quello delle eterospore, l’ùno in dire- zione dell’evoluzione filicinea, l’altro in direzione dell’evoluzione gimnospermica. Per quanto si riferisce alle Pteridosperme dob- biamo derivarle dalle felci eterospore e queste alla lor volta col- legare per mezzo di un progenitore comune alle eusporangiate. Le Cordaitales, le Benettitales possono essersi originate da forme pteridospermiche; come pure dalle pteridosperme potrebbero esser- si originati separatamente tutti i gruppi di piante superiori. M. ANELLI GREeco B. — Il Sinemuriano del deserto arabico settentriona- le. — Boll. Soc. geolog. it., XXXIV, pag. 505-526 e tav. X. Con grande piacere ritorniamo a registrare il nome dell’ ami- co e collega carissimo in questa Rivista, ed a registrarlo per un lavoro nel quale si riconosce la solita coscenziosa cura che carat- terizzò in altri tempi i lavori sul mesozoico di Rossano calabro. {ario SIE DI ti 5 a DI PALEONTOLOGIA 35 L’A., che lavora oggi nel Museo di Firenze, ebbe in studio le rac- colte fatte in Egitto dal Figari Bey. Il materiale cretaceo viene studiato im altro lavoro che è recensito in seguito. Questo tratta invece di fossili sinemuriani. Il Sinemuriano era ignoto dell’Egit- to e da nessuno, non ostante le scoperte del Figari ehe furono ignorate, venne mai più citato. Cosicchè VA. ha potuto rivendi- care per il modesto farmacista italiano la scoperta del Lias in- feriore in queste regioni. Le forme son poche ma sufficienti alla determinazione cronologica. Sono: Arnioceras mendax Fuc. var. rariplicata Fuc., Gryphacea arcuata Lamk., Chlamys textorius (?) Schloth., RAynchonella Figarii n. e una RA sp. ind. Tutte sono benissimo figurate nella tavola annessa al lavoro. LE Greco B. —- Fauna cretacea dell’ Egitto raccolta dal Figari Bey. Parte prima: Cephalopoda. — Palaeontographia Ita- lica vol. XXI,. Pisa 1915 pag. 189-231, tav. XVII-XXII, e fig. 1-11 intere. L’A. espone in questo lavoro i risultati geologici e paleonto- logici ai quali è giunto in seguito allo studio dei Cefalopodi e delle roccie che li contengono facenti parte della collezione di fossili cretacei d’Egitto regalata dal Figari Bey all'Istituto geo- logico di Firenze nel 1868. Tali risultati sono ben differenti da quelli cui era pervenuto il donatore, la cui voluminosa opera, tan- to benemerita sotto altri riguardi, lasciava veramente a desidera- re per ciò che si riferisce alla geologia e specialmente alla pa- leontologia. | Le formazioni geologiche dell’Egitto riferite dal Figari Bey al giurassico, al cretaceo inferiore, medio e superiore appartengo- no tutte nel loro complesso al cretaceo superiore, essendo le più antiche quelle del cenomaniano. Se si vuol seguire la ctassifica- zione dei terreni cretacei proposta dal Haug, apparterrebbero al mesocretaceo i calcari marnosi grigio chiari (cenomaniano) e i calcari marnoso-arenacei grigio scuri (turoniano); al neocretaceo o senoniano i calcari marnosi bianco-giallognoli e i calcari silicei 36 RIVISTA ITALIANA ferruginosi rossi (coniaciano) dell’altipiano mokattanico orientale. Turoniano e coniaciano con perfetta corrispondenza faunistica e li- tologica sono rappresentati nell’Arabia Petrea. Quanto ai calcari bianco cenerini con noduli di selce dei din- torni di Edfu contengono forme caratteristiche degli strati con Exogyra Overwegi del deserto libico, che l’A., crede debbano es- sere considerati come appartenenti al atei ohi io e riferiti al- la parte elevata del piano senoniano. 3 Il santoniano s. s. e il campaniano, presenti nella regione mokattanica, non hanno somministrato cefalopodi al Figari Bey. È degno di nota il fatto che mentre per il maestrichtiano si ha perfetta corrispondenza paleontologica tra i cefalopodi della regione studiata e quella del Deserto Libico, per il coniaciano, } il turoniano e il cenomaniano l’affinità è strettissima con la Tu-. nisia e l'Algeria. Le forme descritte e figurate in sei tavole sono venti, di cui sette nuove: Neolobites Isidis, Pseudotissotia ( Choffaticerus) mo- kattanica, Ps. (Ch.) De Stefanii, Heterotissotia aegyptia, H. neolobitoides, H. Figarii e H. Osiridis. M. ANELLI Lovisato D. — Dodicesimo contributo echinodermico, con 12 nuove specie di Clypeaster del miocene medio e infe- riore della Sardegna. — Boll Soc. geol. it, XXXIV, pag. 469-504, e tav. XVIII-XIX. È questo l’ultimo lavoro del compianto Autore che, quasi pre-- sago della sua fine, da qualche tempo accelerava | illustrazione. dei Clypeaster dell’ « Isola bella » com’ ei.chiamava amorosamen- - te la Sardegna. Il suo modo di considerare le nuove forme aveva suscitato critiche ed è perciò che anche questo lavoro si inizia con vivaci pagine polemiche. Sono poi descritte le seguenti nuove. specie: Clypeaster Santarosai, Cl. Settembrinii, CI. Verdii, CI. Modenai, Cl. Ruffinii, Cl. Guilleti, Cl. Vochierii, CI. Tolai, CI. Thappazi, Cl. Gavottii, CI. Tamburellii e Cl. Ferrarii. Va DI PALEONTOLOGIA Meri R. — Fossili scoperti nella Valle del Sacco. — Boll. Soc. geol. it., XXXV, 1, pag. XLII-XLIV. Del tufo perperiniforme della mola di Govinano, l'A. presenta un molare di Rhinoceres Mercki e delle foglie di Prunus e di Buxus sempervirens. Dei tufi presso l’acqua litinica Meo, lA. cita Cervus cfr. claphus e un IOGUCLO di Limmaca insieme a tronchi di vegetali. VE MeLI R. — Breve notizia intorno ad alcune ossa elefantine rinvenute presso la stazione ferroviaria di Sezze nella Palude Pontina. — Boll. Soc. Geol. It., vol. XXXIV (1915) fas. 3.° - Roma 1915, pag. 527-530. In uno scavo presso Sezze, nella Palude Pontina, în. 6 sotto il livello del mare, in una marna verosimilmente continentale vennero rinvenuti alcuni avanzi elefantini, che l’ À. riferisce a E. antiquus Falconer con marcato passaggio, per le lamine, alla forma più antica E. meridionalis Nesti, accennanti chiaramente . al quaternario. Le speciali condizioni di giacitura di questi avanzi possono gettar luce sulla storia della formazione della Palude Pontina e - farebbero pensare ad uno sprofondamento delle roccie secondarie nell’area occupata oggi dalla palude, avvenuto nel quaternario e causato forse dallo sventramento prodottosi nel sottosuolo delle eruzioni dei vicini vulcali laziali, ipotesi confermata da parecchie osservazioni di fatto che l’ A. espone. M. ANELLI © Principi P. — Ammoniti del Lias superiore dei M. Martani (Umbria). — Boll. Soc. geol. it., XXXIV, pag. 429-468, tav. XV-XVII. Nei M. Martani non sono infrequenti le Ammoniti e l'Autore ne descrive e figura qui un buon numero, Sono infatti 30 specie ben | determinabili e tutte di lias medio di cui son nuove: ZHildoceras _ martanense e Coeloceras umbrum. Nelle tre tavole che accompa- gnano il lavoro sono figurate quasi tutte le forme descritte. NE 88 - RIVISTA ITALIANA | - Principi P. — Spugne perforanti fossili della Patagonia e deb altre località del territorio argentino. — Rend. Acc. Lin- cei, 5, XXIV, sem. 1°, fasc. 4, pag. 341-347 e una tav. : 3 Dopo i lavori del Topsent lo studio delle spugne perforanti pe è reso possibile poichè la determinazione si basa sulla struttura | dello scheletro e delle singole spicule. Il metodo in Italia venne — o per primo seguito dal Rovereto ed ora dall’A. il quale ha studia- (2 to il materiale raccolto appunto dal Rovereto nella Repubblica a s Argentina. Si tratta sempre del genere Cliona e le sei specie so- no tutte nuove. Esse sono: Cliona entrerriana, Cl. Ameghinoi ambedue mioceniche; Cl. americana, CI. Roveretoi e CI. pampe- iana tutte e tre quaternarie e C7. patagonica vivente. Le spicule di queste specie son figurate nella tavola. Va È te LES va TA "e _- di Principi P. — Synopsis della flora fossile oligocenica di S. : Giustina e Sassello in Liguria. — Atti Soc. lig. Sc. Nat. e geogr., XXV, 3, pag. 149-200. 29% L’A., che ha in corso una compiuta illustrazione iconografica della grande collezione di filliti conservate nel Museo geologico di Genova, presenta qui l’elenco completo della flora studiata. Si tratta di ben 462 forme, numero molto superiore a quello di tut- te le flore oligoceniche conosciute sino ad oggi. L'elenco è ac- .compagnato dalla indicazione della distribuzione stratigrafica delle forme e della loro affinità colla ftora mondiale vivente. Dal‘ complesso della flora risulta che essa appartiene al Sannoisiano e che il clima a cui accenna doveva esser quello che oggi si ha in regioni tropicali e subtropicali delPAsia e dell'America. V. x ia rota dn ATTI Sacco F. — Apparati dentali di Labrodon e di Chrysophrys s del pliocene italiano, — Atti K. Ace. Sc. Torino II, pag. 3 Qecitav, gr Sono accuratamente descritti e benissimo figurati avanzi den- tari di Chrysophrys cincta Ag. var. astensis nov., dell’Astiano di S DI PALEONTOLOGIA 39 Montegrosso; Labrodon pavimentatum Gerv. sp. var. ligustica nov. del piacenziano di Zinola presso Savona; L. multidens var. Pisa- nii Costa sp. di Pianosa, e L. superbum var. expisanii nov., pure $ ‘di Pianosa. V. s "A tro. ri Pr NSA 1) MA Lee tu iS STEFANINI G. — Specie nuove del Miocene veneto. — Atti Acc. Sc. ven. trent. istr. 3, VIII, pag. 151-162.. Poichè la illustrazione della parte paleontologica della Mo- nografia del Neogene veneto non potrà così presto uscire l'A. pub- blica le diagnosi delle forme nuove. Sono le 8 forme seguenti ac - curatamente descritte, ma che ancora non possono considerarsi pubblicate mancandone la figura: Clavatula zic-zac, Neritina Dal Piazi, Unio flabellatus Golfs. var. Prottii, Cyrena Roberti- Douvillei, Terebratula De Tonii, Clypeaster Marinellii, Scutella forumjuliensis e Brissopsis Dainelli. VE SEFANINI G. — Sull’esistenza dell’ Oligocene in Friuli e sulle mutazioni del Potamides margaritaceus Br. — Atti Ace. Sc. veneto-trent. istr., 3, VIII, pag. 68-94, e tav. V. Per la confusione di località fatta dal primo raccoglitore di fossili, Castelli, il lembo di Preonis veniva riferito al Miocene. Invece l'A. dimostra che si tratta di Oligocene. Dato un ‘cenno sulla successione degli strati l'A. descrive i fossili di Preonis. Sono citate 19 forme di cui nuove: Cyrena Taramellii e C. Telli- ‘ nii. Al catalogo delle faune è aggiunto un interessante studio sul- le mutazioni del Potamides margaritaceus Brocchi, il cui tipo pare provenga dal miocene viennese. In questo studio è svolta una serrata ed accurata critica a varie forme riportate da parec- chi autori a questa specie, e che conclude nel modo seguente: E- siste nell’Oligocene una specie che è il C. promargaritaceus Sac- co e nel miocene il vero margaritaceus Brocchi. Le due forme però sono così somiglianti, anche nel parallelismo delle loro va- riazioni, che probabilmente sono da considerarsi come mutazioni di una stessa specie, VE 40 RIVISTA ITALIANA Vinassa DE ReGNY P. — Fossili ordoviciani del Capolago pres- so il passo di Volaia (Alpi carniche). — Palacontographia italica, XXI, 1915 pag. 96-116, tav. XII,XII. Anche questo lavoro come quello di Gortani sullo stesso argo- mento ha valore documentario. Il rovesciamento presso al lago di Volaia e nella alta Valentina, che muta completamente tutta la concezione che della geologia del Nucleo centrale carnico si e- ran fatti i tedeschi e tutti quelli che pedissequamente li seguiva- no, non può oggi più esser messo in dubbio. Gortani colla deter- minazione dei fossili eodevonici, lA. della presente memoria con quella dei fossili ordoviciani danno la piena giustificazione delle loro osservazioni geologiche. I fossili ordoviciani non sono molto ben conservati quantunque numerosi. Si tratta di un vero e pro- prio impasto di fossili. Più facile quindi è ottenere buoni prepa- rati dei treptostomi, che difatti sono 1 prevalenti. Nuove forme sono: Protocrisina carnica, Ceramopora Gortanii, Prasopera carnica, Hallopora carnica, Hallopora filicina, Trematopora Ta- ramellii, Batostoma Canavarii, Diplotrypa Basslerì e Trochus volaianus. Per la Monotrypa carnica, già descritta dall'A. del- l’Ordoviciano di Meledis e di Lanza, è proposto il nuovo genere. Acanthotrypa di cui ecco la diagnosi: Zooarium subglobosum ; e- pizooarium undulatum; zooecia duplicia, idiopora idest et acan- thopora. Idiopora poligonalia; acanthopora parva undique irre- gulariter disposita, numquam in calicem idiopororum protunden- tia. Paries subtilis numnquam incrassata. Tabulae crebrae. Per quanto vi siano parecchie nuove forme le già conosciute bastano a determinare la età ordoviciana, poichè diciotto forme sono a co- mune coi giacimenti ordoviciani carnici. E delle nove specie non peculiari della Carnia ben otto sono del Caradoc inglese. I DI PALEONTOLOGIA D'EL'AGETLOGCENEGI:DIRSREO:S' E ANSA MEMORIA DI LINA PIERAGNOLI (con Tav. I). La maggior parte dei fossili da me studiati, sono stati trovati nei monti che fan corona al Val d’Arno Superiore, da Firenze fino alla Val d’Ambra e specialmente nei dintorni di Pontassieve. I terreni di questo Bacino, salvo il Pliocene e qualche piccolo lembo lontano, appartengono tutti all’ eocene superiore e medio. Un solo esemplare proviene dall’ Alpe di Camporaghena nel Bacino della Magra, da terreno eocenico, alquanto più antico dei pre- .cedenti, ma pur sempre dell’ eocene medio. I fossili furono raccolti e riu- | miti dal Cocchi, dal d’Ancona, specialmente quelli di Volognano, da Enrico Bercigli e alcuni pochi di Val d’Ambra da me stessa e mi furono tutti forniti per studio dal Prof. Carlo De-Stefani. Quelli di Mosciano, Te- renzano e dei dintorni di Pontassieve (Belvedere, Castiglionchio, Volognano, Rosano e Volpiano) provengono da una brecciola ciottolosa, intercalata in lenti o in straterelli nelle rocce arenacee o talora schistose che formano quasi la base dell’ eocene medio sotto ai calcari ad Melminthoidea labyrinthica | Heer, che già presentano Nummuliti dell’ eocene supericre. Le puddinghe e le brecciole sono formate specialmente da elementi piuttosto grossolani. Nelle brecciole si trovano ciottolini di clorito-schisti, mica-schisti, talco-schi- sti: ciottoli di diaspro, quarzo rosa o bianco, calcedonio, calcite, ciottoli calcarei diversamente colorati, rocce verdi, fagliette di mica e di clorite, frammentini di epidoto e di granato. In sezione trasparente ho potuto pure constatare la presenza di nummoliti, orbitoidi, globigerine, alveoline, itko- thamniumi, frammenti di echinidi, di briozoi, di coralli. All’ analisi chimica di un frammento di roccia di Rosano (Pontassieve) ho trovato carbonati in | quantità, biossido di Si, un poco di Al, molto Mn e Ca e poco Na. , A Anche in Val d’Ambra abbiamo strati calcarei arenosi e argillosi alter- nati come nelle vicinanze di Pontassieve. Gli elementi che compongono le ; ‘puddinghe, più arenacee delle brecciole, sono più fini e, nonostante, vi si possono distinguere sempre le solite rocce verdi in frammenti e ghiaiette . di più piccola dimensione: in sezione trasparente si vedono molte assiline = RIVISTA ITALIANA e nummoliti; delle Giwbelza afurica Joly et Leymerie ho potuto isolarne io stessa dalla roccia: vi sono poi orbitoidi, globigerine, alveoline, coralli, gusci di echini, Zihoffamzium. La composizione chimica delle rocce di Val d’Ambra non differisce molto dalla composizione delle rocce di Pontassieve : anche quì abbiamo biossido di Si, carbonati, abbondantissimo Ca, scarso L Na, e in più molto Fe. i Dell’ Alpe di Camporaghena non ho potuto esaminare la roccia, nè chimicamente, nè al microscopio, perchè non ne avevo in quantità: ad oc- chio nudo è formata da elementi minuti, ben cementati dal calcare e a quan. ‘ to mi dice il Prof. De Stefani, essa proviene dagli schisti argillosi rossi dell’ Eocene medio posti tra i Calcari secondari e le Arenarie eoceniche. Fra i selaci eocenici di Toscana i Ptychodus furono già descritti da Giuseppe Canestrelli nel suo lavoro : « I denti di Ptychodus. Agass nel terzia- rio dell’Appennino Tosco-Emiliano ». Egli cita uno Ptychodus decurrens di Resti nel Vallone di Mommio in Lunigiana probabilmente appartenente @1- l’eocene medio come l’Oxyr. Zippei Agass. di Tonsana nella stessa Luni giana, e il Ptycodus latisstimus Agas. nell’ Eocene superiore di Poggio al Pino presso Strada in Chianti non lungi da Firenze. Aggiungerò che dopo la pubblicazione del Canestrelli è stato trovato nella stessa formazione ar- gillosa di Poggio al Pino, un altro dente della stessa specie certamente in un terreno appartenente all’ eocene superiore. Ciò premesso passerò alla descrizione di altri selaci fino ad ora non indicati. Ù i Delle sinonimie mi sono limitata a citare alcune delle principali opere, specialmente tra quelle che hanno trattato di fossili italiani, per render più e facile il paragone coi miei. 2 Per l’ insieme delle specie, come si vedrà in ogni singola descrizione e nell’esame del quadro. finale comparativo e come risulta dalle nummo- liti ed orbitoidi che le accompagnano, si può dedurre che possono appar-. n tenere benissimo all’ eocene medio o superiore. Odontaspis Hiopei — Agassiz. Laval ere. 1843 - Lamna Hopei — Agassiz. - Recherches suf les poissons fossiles - vol. III p. 293 - tav. 37 a fig. 27-30. 3 1877 - Lamna Hopet — Bassani F. - Ittiodontoliti del Veneto - pag. 26. È 1877 - Lamna gracilis — Bassani F. - Loc. cit. p. 25 (pars). \ 1877 - Lamna cuspidata — Bassani F. - Loc. cit. p. 23 (pars). » i DI PALEONTOLOGIA 45 1889 - Odontaspis cuspidata — Smith Woodward - Catalogue of the Fossil Fishes in the British Museum - p. 368. 1889 - Odontaspis Hopei — Bassani - La ittiofauna del calcare eocenico di n Gassino - p. 16 - tav. 1 fig. 18-23. 1906 - Odontaspis cuspidata — var. Hopei - Leriche - Poissons fossiles du Nord de la France - p. 205. 1912 - Odontaspis Hopei — De Stefano - Pesci fossili di Bismantova - (Bol- lettino della Società geologica italiana) tav. , XXX. pag. 384. Di questa specie ho alcuni esemplari flessuosi e fortemente incurvati | indietro: sono incastrati nel calcare in modo che non si posson vedere le due superfici interna ed esterna - sono privi di strie e acuminati. Smith Wo- odward include questa specie nella O. cuspidata però, a mio parere, i denti di O. cuspidata sono di forma meno slanciata, più piatti, meno curvi, più rigonfi alla base. Anche Bassani dice doversi tenere la O. opei separata dalla O. cuspidata, per aver questa i margini più taglienti e la forma meno sottile e meno slanciata. Il Leriche e il Priem invece ritengono che la O. LARA | . Hopei sia una semplice varietà dell’ altra. fe Età - Eocene - Località - Mosciano. Odontaspis cuspidata — Agassiz. Tav. I, fig. 3-8. i 1843 - Lamna cuspidata — L. Agassiz. - Poiss. foss. vol. III pag. 290 - ES tav. XXVII a fig. 43-50. _ 1843 - Zamna denticulata — L. Agassiz. loc. cit. - p. 291 - tav. XXVII a fig. 51-53. 1 1843 - Zamna (Od.) dubia — L. Agassiz. loc. cit. pag. 295 - tav. XXVII to a fig. 24-26. È 1826 - Lamna cuspidata — E. Sismonda - Descrizione dei pesci e dei cro- i È stacei fossili nel Piemonte {Atti Acc. Sc. Torino, Vol. X pag. 47 tav. II fig. 29-32). 1846 - Lamna (Odont.) dubia — E. Sismonda loc. cit. pag. 48 - tav. II s fig. 17-22. re t 1889 - Odontaspis cuspidata (pars) — A. Smith Woodward - Fossil Fisches in the British Museum p. 368. 1912 - Odontaspis cuspidata — De Stefano - Pesci fossili di Bismantova - Boll. Soc. geolog. vol. XXX - p. 388 - tav. XIII - fig. 12-14 - tav. XIV fig. 31-37. Di- di «| —RIVISTA ITALIANA Sono denti di forma slanciata, di spessore piuttosto forte, di larghezza bc media, equilaterali, un po’ ricurvi in fuori. Smith Woodward include in Mr. questa specie anche la O. /opei. Tutti gli studiosi sono concordi nell’ includervi la /amzza dubia Agas. Età - Eocene. Località - Belvedere presso Pontassieve, Rosano, Volognano.. SAR Odontaspis elegans — Agassiz. Ion Je fig. 9Q-II. 1843 - ZLamma (Odont.) n (pars) — L. Agassiz. ‘Poiss. foss. vol. III na: bo - pag. 289 - tav. XXXV - fig. 1- 55 tav. XXXVII ed SE fig. 59. A 1889 - Odontaspis elegans — A. Smith Woodward - Fossil Fishes - pag. 361. > 1899 - Odontaspis elegans — Bassani - La ittiofanna del calcare eocenico di . Gassino in Piemonte - pag. 13 tav. I fig. 1-17. È un dente ben conservato, ma infitto nel calcare: ha strie longitudi- nali, avvallamento mediano: manca di radice e perchè così infitto nella roccia non si possono verificare nè la sua faccia interna, nè il suo spessore. Bassani ne trovò diversi esemplari nel calcare eocenico di Gassino. ba Età - Eocene - Località - Volognano presso Pontassieve e Rosano. Odontaspis acutissima — Agassiz. Tav. I; siga 13% 1843 - Lamna acutissima — L. Agassiz - Poiss. foss. vol. III p. 294 tav. \XXXVII fig. 33-34. prot, 1843 - Lamna contortidens «Su Agas. Poiss. foss. vol. XII p. 294 - tav. XXXVI fig. 17-23. 1849 - Zammna contortidens — Sismonda - Descr. Pesci e crostacei di Pie- monte - vol. X p. 48 tav. II fig. 25-28. 1857 - Lamna contortidens — G. G. Gemmellaro - Ricerche sui pesci fos- sili di Sicilia - Atti Accademia Gioenia Scienze Naturali - vol. XIII pag. 320 - tav. a. fig. 13 a. si 1879 - Lammna contortidens — F. Bassani - Ricerche sui pesci fossili del miocene medio di Gahard - Atti della Società trentina Scienze Naturali vol. VI p. 57. 1879 - Odontaspis acutissima — Bassani - Loc. cit. vol. VI p. 56. 1889 - Odontaspis contortidens — A. Smith Woodward - Foss. fisches in tbe British Museum - p. 366. d | TRE DI PALEONTOLOGIA 45 1889 - Odontaspis acutissima — A. Smith Woodward - loc. cit. p. 374. 1912 - Odontaspis acutissima — De Stefano - Pesci fossili di Bismantova - Boll. Soc. Geol. ital. - vol. XXX p. 393. Questi denti sono caratteristici per la loro forma cilindrica, irregolare, ricurva in fuori: hanno forma slanciata e vanno a terminare in una punta molto acuta. Io ho due esemplari di questi denti, che direi appartenenti quasi per certo alla mascella inferiore. Molti autori come Sauvage, Bassani, Leriche ritengono giustamente che VO. aculissima Ag. sia sinonima della | O. contortidens Ag. Leriche infatti dimostra che i denti indicati dall’ Agassiz E col nome di Lamza acxtissima sono denti laterali della mascella inferiore - della stessa specie di quelli descritti col nome di Z. confortidens che sono denti anteriori delle due mascelle e denti laterali della mascella superiore. Età: dall’ Eocene al pliocene. Località - Val d’Ambra. È Oxyrhina nova -- Winkler 1874. ss i Faves, fio 454=26) v tes - Oayrhina nova — E. C. Winkler - Deuxiéme Memoire sur de& fi dents de poissons fossiles du terrain bruxellien A Archives du Musée Teyler - vol. IV (fasc. 1 - 1876) p. 22 - tav. II fig. 8 Estratto 1874 p. 7 - fig. 8. 1902 - Oxyrhina nova — M. Leriche Les poissons paléocenes de la Belgique E (Mémoires du Musée Royal d’ Histoire Naturelle si du Belgique) - fasc. II p. 34 - tav. I fig. 45-48. br 1906 - Oxyrhina nova — M. Leriche - Poissons fossiles du Nord de la mo 3 France et des régions voisines - p. 218 tav. X 33 fig. 1-2-7-8-II, “Fal Ho molti esemplari di questi denti, alcuni molto ben conservati, altri solo in pezzi. Mi pare che si possano considerare appartenenti a questa specie piuttosto che all’O. acxzissizza, perchè molto meno sottili, meno slanciati | . di forma, mero torti e meno a punta. Alcuni esemplari hanno i margini taglienti e sono quasi a triangolo, come si può notare nella fig. 8 a tav. i X del Leriche; altri invece sono cilindrici, con punta piuttosto tozza come | nelle figure I e 7 dello stesso. È una delle più piccole specie del genere ; |» la corona è molto stretta, ma in alcuni esemplari si slarga alla base: i denti della mascella superiore sono più contorti, quelli della inferiore più dritti. i Età — Piano superiore dell’eocene inferiore - eocene medio (piano in- feriore e piano superiore). Di Località - Volognano - Rosano - Volpiano. % 46 RIVISTA IDALDANA “one Oxyrhina Zippei — Agassiz. Tav. I fig. 8. 1843 - Oxyrhina Zippei —' Agassiz - Poiss. foss. vol. III p. 284 - tav. vi; XXXVI fig. 48-52. 0 1887 - Oryrhina Zippei (?) — A. Smith. BL CO e - Fossil fishes in the British Musem p. 392. do Dente di dimensioni piuttosto piccole ha la forma di un triangolo iso- È scele, coi lati leggermente svasati: ha depressione centrale sulla faccia e- t sterna: la base dello smalto è perfettamente dritta: ne ho due esemplari uno più piccolo e uno più grande, ma uguali per la loro forma, si Età — Eocene, miocene e pliocene. i SE: Località — Alpe di Camporaghena sopra Torsgna nella Lunigiana, nelle argille rosse eoceniche alla base dell’arenaria - Volognano presso Pontassieve. 4 Oxyrhina Desorii — Agassiz. sla RAvAbi tig; s27-129% SA 1843 - Oxyrhina Desorit — L. Agassiz - Poiss. foss.vol. III p. 282 tavi 6 -XXXVII fig. 8-13. ASSEA 1843 - Oxyrhina leptodon — L. Agassiz. Poiss. foss. - vol. III p. 282 tav. XXXVII fig. 3-5 (? tav. XXXIV fig. 1-2). cer 1849 - Oxyrhina Desoriî — E. Sismonda Mem. R. Accad. Scienze Torino i [2] vol. X pag. 44 - tav. II fig. 9-7-16. Ra 1957 - Oxyrhina Desorii — G. G. Gemmellaro Ricerche sui pesci fossili di + Sicilia - Atti Accad. Gioenia Sc. Nat. [2] vol. XIII pas. 315 tav. VI a-fip;(12-13. , 1857 - Lamna Lyelli G. G. Gemmellaro - loc. cit. p. 319 - tav. VI a. fig. 17. 1857 - Lamma inaequilateralis — G. G. Gemmellaro - loc. cit. p. 319 tav. Va, 89,22: 3 1876 - Oxyrhina Desorii — R. Lawley - Nuovi studi sopra ai pesci etc. i delle Colline Toscane - p. 29. 1881 - Oxyrhina Desorii — R. Lawley - Studi comparativi dei pesci fos- a sili coi viventi. Generi Carcharodon, Oxyrhina SL e Galeocerdo - p. 77 - tav. 2-3.. a 1889 - Oxyrhina Desorii — A. Smith Woodward - Fossil fishes in the Bri î se tish Museum p. 382. PRE e 1899 - Oxyrhina Desorii — F. Bassani - La ittiofauna del calcare eocenico - 9 di Gassino in Piemonte - p. 19 tav. II fig. 24-38. i DI PALEONTOLOGIA Cai | 1906 - Oxyrhina Desorii M. Leriche - Les poiss. éocénes du bassin belge i = pal329. 1912 - Oxyrhina Desorii — G. De Stefano - Pesci fossili di Bismantova - Boll. soc. geol. ital. vol. XXX. pag. 399 - tav. XIII fig. 15-21. 1912 - Oxyrhina Desorii — M. Gemmellaro - Ittiodontoliti del miocene me- dio. di alcune regioni della Provincia di Palermo e di: Girgenti. - p. 134 tav. IV - fig. 12-29. 1912 - Ovyrhina Desoriî — M. Gemmellaro - Ittiodontoliti del calcare asfal- tifero di Ragusa - p. 31 tav. I fig 28-30 - tav. II fig. 1-8. Il Woodward unisce a questa specie anche lO. /eptodon Ag. Molti altri hanno fatto confusione tra questa e la complanata, la crassidens, la Lvetlli, la srinuta, la hastalis e la crassa. Io ho di questa specie due denti: uno molto grande e uno molto pic- colo, essi hanno ‘forma a lancia e uno, quello che è libero dalla roccia, presenta alla base della faccia interna una forte depressione. Questi denti hanno forma allungata, ripiegata indietro: non sono molto sottili nè molto acuminati: uno, il più piccolo, manca di radice; l’altro ha la radice rotta e appartiene probabilmente alla parte anteriore della mascella inferiore. Età — Eocene medio e superiore, continuando nell’oligocene e nel miocene. % . x } . = Località — Terenzano presso Settignano. Oxyrhina hastalis — Agassiz. Tav fron 321 1843 Oxryrhina hastalis — L. Agassiz, Poiss. foss. vol. III p. 277° tav, 345 fig. 3-5-13-15-I7. .T TA - Donna leptodon — L. Agassiz, loc. cit. vol. III, p. 282, tav. 32, - fig. 1-2-4. 1843 - Oxyrhina xiphodon — L. Agassiz, loc. cit. vol. III p. 278, tav. 33, > fig. 11-17. 1843 - Oxyrhina trigonodon — L. Agassiz, loc. cit. vol. pl: PI279, avi ; XXXVII fig. 17-18. 1843 - Oxyrhina plicatilis — L. Agassiz, loc. cit. p. 279 tav. XXXVII. 1843 - si retroflera — L. Agassiz, loc. cit. p. 281 tav. XXXIII = fig. o Li LARE Li teG a va TRAVE DE 1843 1849 1549 1849 1849 1857 1857 1857 1876 1877 ISSI 1589 1S9I I9IO 1912 1912 1912 1913 RIVISTA ITALIANA Oxyrhina quadrans — L. Agassiz, loc. cit. p. 281, tav. XXXVII fig. 1-2. : Oxyrhina hastalis — Sismonda, Descrizione dei pesci c dei crostacei fossili del Piemonte, pag. 40 tav. I fig. 42-45-47. Oxyrhina xiphodon — Sismonda, loc. cit. pag. 42 tav. I fig. 51-52. Oxyrhina plicatilis — Sismonda, loc. cit. p. 42, tav. I fig. 48-50. i Oxyrhtna isoscelica — Sismonda, loc. cit. pag. 43, tav. Il fig. 1-6. Oxyrhina hastalis — G. G. Gemmellaro, Atti Accad. Gioenia, Scien- ze Nat.-[2] vol. XIII, p; 312; tav. Vla,dfig. 5a. Oaxyrhina xiphodon G. G. Gemmellaro loc. cit. pag. 313 tav. VI a, fig. 6a 8a. Oxyrhina leptodon — G. G. Gemmellaro, loc. cit. pag. 314, tav. —— Via Hip io aria. i Oxyrhina hastalis - xiphodon - trigonodon, - plicatilis - isocelica — R. Lawley. Nuovi studi pesci etc. colline toscane, pag. 27-28-30. ; Oxyrhina RI — R. Lawley, Quattro memorie sopra a resti fossili. Atti Società Toscana vol. INI pae: 237 Oxyrhina Agassiziî — R. Lawley. Studi comparativi dei pesci fos- 0 sili coi viventi etc. p. 93 tav. 5-9. Oxyrhina hastalis — A. Smith Woodward. Fossil fishes in the Bri- tish Museum, p. 285. Oxyrhina hastalis — Bassani. Contributo alla ReleonioleeR della Sardegna. Ittiol. mioc. Oxyrhina hastalis — G. De Stefano. Pesci sassi della Calabria me- rid. p. 183 tav. 4 fig. 3-5. Oxyrhina hastalis — G. De Stefano. Pesci fossili di Bismantova, p. 406, tav. 13, fig. 23-24, tav. 14, fig. 60-66. Oxyrhina hastalis -- M. Gemnmellaro. Ittiodont. del miocene medio di alcune regioni delle provincie di Palermo e di Girgenti, p. 131, tav. 4, fig. 7-12. Oxyrhina hastalis — G. De Stefano. Ittiofauna fossile dell’ Emilia, pag. 48, tav. I, fig. 18-19, tav. II fig. 15-18. Oxyrhina hastalisi — M. Gemmellaro. Ittiod. del calcare asfaltifero - di Ragusa in Sicilia, p. 29, tav. I fig. 13-26. Il dente che ho trovato apparterrebbe secondo Agassiz (Poiss. foss. 27 a, vol. III tav. XXXIII fig. 17-18) alla O. #rigonodon, cortispondendovi perfettamente perchè ha la forma di un triangolo isoscele coi margini ta- gal anY So) AE ETA y AL: PRO $i UTI TI LT n K 3 dig; Di ll e e e e e a Li pb s 2% LEA | PARE tibie VELI Ai EM TE gY 1 REI GE] DI PALEONTOLOGIA 49 d 3 glienti e perchè è rigonfiato alla faccia esterna. A. Woodward unisce però Ri (Catalogue etc. p. 385) la O. frigozodon Ag. alla O. hastalis, insieme colla _ xiphodon colla plicatilis, colla retloflexa, colla guadrans. Il Bassani pure associa la #rigonodon alla hastalis: ed io anche credo molto giusto unirle . tutte quante in una sola specie.” L’ Issel trova ad Aggio in Liguria (Liguria Geologica e Preistorica vol. I - 1892) un dente fossile di O.xy7%ina convertito in rame nativo, che . egli classifica e figura come Oxyrkina Mantelli del cretaceo. A. me sembra che invece debba ritenersi come appartenente alla Oxyrhina hastalis Agas., avendo anche questa forma di triangolo isosecle, terminando a punta, avendo i margini taglienti e la superficie esterna un po’ rigonfia: sarebbe | perciò dell’ Eocene ed infatti il Prof. Carlo De Stefani aveva già ritenuto quella località come eocene superiore. Età — Eocene, miccene e pliocene. Località — Terenzano. Oxyrhina minuta — Agassiz. Paveit, fig. 033. 1843 - Oxyrhina minuta — Agassiz. Poiss. foss. vol. III, p. 285, tav. 36 fig. 39-47. 1849 - Oxyrhina minuta — E. Sismonda. Mem. R. Accad. Scienze Torino [2], vol. X pag. 44, tav. 2 fig. 36-39. 1854-56 - Oayrhina minuta — "ta Costa. Paleontologia del Regno di Napoli, ph vol. II, pag. 85 tav. 7, fig. 52-58. fi 1997 - Oxyrhina minuta — G. G. Gemmellaro. Atti Accademia Gioenia Si S , Scien. Nat. [2] vol. XIII, pag. 316, tav. 6 fig. 14. ae / È un piccolo dente incastrato nella roccia e perciò un po’ difficile ad | essere ben classificato. È molto piccolo, molto sottile, acuminato, di forma ci- lindrica, privo di strie con base dello smalto orizzontale: essendo molto sottile e piuttosto lungo appartiene alla mascella inferiore, assomiglia un po’ ad alcuni esemplari di O. paradora, ma questi hanno la superficie coperta di strie, la punta ottusa. Mancando la radice, potrebbe pure assomigliarsi alla O. contortidens Ag., ma questa è molto ricurva in fuori. Età — Eocene e miocene. Località — Sotto Castiglionchio presso Pontassieve. 50 -C RIVISTA IAUIONA Sa Carcharodon auriculatus — Blainville. 2 Tav. «Log 1818 - Squalus auriculatus — Blainville. Nouv. Dict. d’ Hist. Naturelle. 7 vol. XXVII, pag. 384. ba DIE Wi odwani include nelle Specie non solo il: E: 1840 - Carcharodon auriculatus — L. Agassiz. Poiss. foss. vol. III, pag 254, tav. XXVIII, fig. 17-19. Ma anche: ® il Carcharodon angustidens L. Agassiz, il Carch. turgidus Agas, ìl Carch. lanceolatus Agas, il Carch. toliapicus Agas, il Carch. heterodon Agas, a Carch. megalotis Agas, il Carch. disauris Agas (pag, 255-56-57-58-59, tav. i XXX, fig. 1-3-7-8-9-10-I11-14-16). 1849 - Carcharodon angustidens — E. Sismonda. Memorie R. Accademia "tia Scient. Torino, vol. X, p. 36, tav.I, fig. 30-31. — »$ 1849 - Carcharodon heteroaon — E. Sismonda, loc. ‘cit. pag. 38. È = i 1852 - Carcharodon disauris — P. Gervais. Zoologie e Paléontologie Fran- ee caises, Aminaux vertebrés, p. 520, tav. LXXIV,, pe fig. 6, tav. LXXI, fig. 6. La 1854-56 - Carcharodon angustidens — Costa. Paleont. Regno Napoli, tav. s Il fe-<5o, tav a VI e 03, a 1854-56 - Carcharodon interamniae — Costa. loc. cit. tav. II, pag. 53 tav. i 4 > V, fig. 6. ® ee 1857 - Carcharodon angustidens — G. G. Gemmellaro. Atti Accad. Gioenia Sc. Nat. vol. XIH pag. ‘304,.tav. Va, fig. 6 a.: 1857 - Carcharodon angustidens — var. turgidus, G. G. Gemmellaro. loc. cit. pag. 305, tav. Va, fig. 7-8 a. Carcharodon. curiculatus — F. Bassani. i ittiofauna del calcare eo- cenico di Gassino in Piemonte, pag. 22 tav. I, bad fig. 36-39. 1906 - Carcharodon auriculatus — M. Leriche. Poiss. foss. du Nord de la # ii Va N IA Fr PESO IERI SETA I PARTECI DEI RIA VI PETE Y Go ' 1899 France, pag. 220. 1912 - Carcharodon auriculatus — G. De Stefano. Boll. soc. geol. ital. vol. XX, fasc. 3, pag. 258, tav. XIII fig. 8-9, tav. XIV fig. 4-7. 1913 - Carcharodon auriculatus — M. Gemmellaro. Ittiodontoliti eoceniche di Patàra, pag. 300, tav. I, fig. 9-Ir. DI PALEONTOLOGIA 1913 - Carcharodon auriculatus — M. Gemmellaro. Ittiodontoliti del calcare asfaltifero di Ragusa in Sicilia pag. 34, tav. III, fig. 5-8. Il De Stefano associa al C. auriculatus Blainville il C. hReferodon Ag, ma combatte chi vuole includere in questo anche il C. angustiders Ag. Il « Gemmellaro associa al C. azriculatus anche il C. Referodon, il C. lanceo- latus, il C. angustidens. Così il Bassani. Anche a me pare che le differenze che segnano gli autori tra queste varie specie non siano tali da far ritenere che tutti questi esemplari non appartengano ad una sola specie. Ma invece è da credersi che abbiano avuto posizione diversa nelle mascelle o abbiano appartenuto a epoche diverse. Io ho solamente un dente incastrato nel calcare, ma per la sua forma slanciata,. per la sua dimensione, per le sue dentellature, mi sembra non debba esserci questione e sia proprio C. auriculatus. Età — Eocene. Località — Belvedere presso Pontassieve. Raja clavata — L. avi too 35e 1767 - Raja clavata — Limnaeus, Syst. Naturae, vol. I, pag. 397. 1843 - Raja antigua — Agassiz. Poiss. foss. vol. III p. 371, tav. 37 fig. 33. 1876 - Raja antigua — L. Lawley. Nuovi studi pesci foss. colline toscane, pao.42; Stavo 1889 - Raja clavata — Smith Woodward. Foss. fishes in the British Mu- seum pag. 87. Credo che appartengano a questa specie, tutt'ora vivente, alcuni denti che ho trovato incuneati nel calcare. Mi è stato solo possibile isolarne uno : ‘però manca di radice. Sono tutti piccoli: hanno forma allungata, sono bassi e quasi a losanga: hanno piccole dentellature. Non ho trovato insieme con essi nessuna placca dermica, ma esemplari della stessa specie vivente sono perfettamente uguali ai fossili da me studiati. È Età — Eocene fino a tempi attuali. Località — Mosciano. OINAULEIT | SHJD]NILLND - UOPOADYIAD] sedy - vyuunu SeS\ - S2707SDY sedy - 2200597 sedy - 224917 JONUINI 220% - vuy ao sesy - DIULSSITNID sedy - 520.599 va < Le] I E cd. ener i pi Sg bd RS seSy - nynpigsno sesy 2290] - sigsv]uvpo PueSIo] QueIdjoA Quesoy oueufojoj | ouezuala, | oMmpuorfnse) | RIQUy.p |A | 210paAeg OUCIISON 'Q109ds sSIIRA 9] OUEAO0II) IS KHenb aqgau ex]eoso] s[[°p EBIOAE,L Di SAR K - DI PALEONTOLOGIA Quadro delle varie età a cui appartengono i fossili. st Eocene Miocene | Pliocene Odontaspis Hopei - Agas cuspidata - Agas / ++ 4+ ++4++ elegans - Agas acutissima - Agas Oxyrhina nova - Winkler . Zippei - Agas Desorii - Agas hastalis - Agas minuta - Agas È e Carcharodon auriculatus - Blainville Raja clavata - L. . È Tra queste specie la Od. cuspidata, la elegans, la Hopei, V Oa. nova e il Carch. auriculatus sono caratteristiche dell’ eocene, ovvero comuni a que- sto terreno ed al miocene, le altre sono tutte forme che si continuano at- traverso il miocene fin quasi ai tempi attuali, ma si trovano pure nell’ eo- cene. 5 z TA © RIVISTA ITALIANA — li I IIlIIZS)Ò-WSR’”©éL I l'o J £ \ Ddoniannia Hopei Agas (Mosciano). » cuspidata Agas (Belvedere, Volognano, Rosano). » elegans Agas (Volognano). » acutissima Agas (Val d’Ambra) Oayrhina nova Winkl. (Volognano, Rosano). » Desorit Agas (Terenzano). » Zippei Agas (Volognano). » hastalis Agas (Terenzano). » minuta Agas (Castiglionchio). 34 Carcharodon auriculatus Blainv. (Belvedere). 35 Zeaja clavata L. (Mosciano). FOTOT. DITTA MARZARI - SCHIO Fasc. IV. RIVISTA ITALIANA DI PALEONTOLOGIA REDATTORE I P. VINASSA pe REGNY SOMMARIO Bice Io I. PUBBLICAZIONI ITALIANE: II. V. Giuffrida-Ruggeri - La suc- (Checchia-Rispoli, Parona). © cessione e la provenienza delle razze europee preneolitiche e i 3 :.. pretesi Cro-Magnon delle Cana- rie (con I fig.). | PARMA RIVISTA ITALIANA DI PALEONTOLOGIA 1917 PUBBLICATO IL 28 MARZO 1917 Abbonamento IE Li: 8- Per l estero L. Non si vendono fascicoli separati Gli autori di note originali o di recensioni possono DIA d sig pe avere sino a 50 estratti, con copertina, al prezzo seguente Per copie Per copie - N Ì sN | 25 50 4 pagine Lo 0 OO IT 8 »- SEEIRECI SI 2,50 3,50 ) SANDS IRR IO E SI, 5,00 \ Gen on | 16 ia a 60 | \ gt Na Ba LA importo degli estratti dovrà inviarsi anticipatamente ;' in caso ta contrario la spedizione di essi verrà fatta contro assegno. pil AEREO Dirigere lettere E oe alla : RIVISTA ITALIANA DI PALEONTOLOGIA i ‘R. Università — PARMA. Ang SL SOG TAROII: Fasc. IVI RASSEGNA DELLE PUBBLICAZIONI ITALIANE CHeccHIA-RISsPoLI G. — Su aleuni Echinidi Eocenici del Monte Gargano. — Boll. Soc. Geol. Ital., vol. XXXP, fasc. 2, Roma. 1916 (con una tavola). Con questo terzo contributo il numero degli Echinidi noti fi- nora nella formazione eocenica (luteziano) del promontorio gar- ganico ascende a diciannove; cifra non trascurabile se si tien presente la grande scarsezza di siffatti organismi in tutto il Num- mulitico dell’ Italia meridionale. Le specie descritte in questa nota sono cinque, cioè: Schi- zaster Di-Stefanoi, Hemiaster (Trachyaster) Pillai, Linthia in- flata, Brissopsis (Kleinia) sypontinus, Gualtieria sp. ind. delle quali sono nuove le prime due. Notevole nel giacimento la presenza del gen. Gwualtieria.in- dicato ora per la prima volta nell’ Eocene dell’ Italia meridionale. Accompagna il lavoro una tavola in fototipia, nella quale sono illustrate tutte le specie descritte. Va PARONA C. F. — Nuovi fossili del Miocene di Rosignano (Pie- monte). — Atti R. Accad. Sc., orino, II, pagg. 8 e 1 tav. ‘Avendo potuto acquistare la collezione Cantamessa per il Museo geologico di Torino, quel Museo si è arricchito di nume- ‘rosi ed importanti fossili che verranno a suo tempo illustrati. In- tanto l’ A. dà notizia di due rari fossili del miocene di Rosignano, che confermano l’ appartenenza al langhiano del giacimento. Un bell’ esemplare, fotografato e riprodotto nelle tavole, di Cybium Bottii Cap. sp. corrisponde benissimo al tipo della Pietra leccese. RIVISTA ITALIANA Ora siccome questa specie venne pure trovata nell’ arenaria di Bolzano nel Bellunese essa assume importanza di fossile guida. pel Langhiano. Il secondo esemplare ricordato dall’A., che ne enumera le varie parti, è un cranio di delfino che probabilmente appartiene a 7ur- stops miocenus Portis. Visti PaRroNA C. F. — Cenni sulle faune sopracretacee a Rudiste del M. Gargano. — Rend. PR. Acc. Lincei, XXV, 1° sem.,9, pag. 271-274. L'A. aveva già citato Rudiste del Gargano ed in questa breve nota preventiva accenna ad altre numerose forme che verranno prossimamente illustrate. Risulta la presenza della serie cenomaniana-turoniana con due facies litologiche ben distinte, di cui una ha forme comuni a M. d’Ocre e alle Prealpi venete orientali. .L’ altra presenta un miscuglio di forme cenomaniane, turoniane e senoniane da cui risulta che questi tre orizzonti si succedono colla stessa facies li- tologica: occorrerà perciò far nuove raccolte a livelli ben precisati. Le forme determinate sono- interessanti pei loro rapporti con altri giacimenti sopracretacei. Il Senoniano era già noto nel Gargano, ma l’A. aggiunge alle forme già citate altre nuove ed importanti. Risulta adunque che anche pel Sopracretacico il promontorio garganico promette di di- venire una località di grande importanza e degna di accurati studi. Na DI PALEONTOLOGIA | 59 LA SUCCESSIONE. E LA. PROVENIENZA bEeEbbES RaAZz/E RBURORBE*BRRENEOLFELCH E E I PRETESI CRO-MAGNON DELLE CANARIE Nota DI V. GIUFFRIDA- RUGGERI Nell’ opera -- che ha avuto così sperticati elogi dal Roosevelt — ulti- mamente pubblicata dall’ Osborn (1) si trova, in fine del volume, un albero filetico, il quale merita speciale attenzione, perchè, a differenza degli altri che si fermano alle razze umane fossili e all’ uomo europeo in blocco, vi è - dato una ramificazione di razze dolicocefale e di razze brachicefale apparte- nenti al paleolitico superiore. Come si vede dalla figura qui riprodotta, queste razze, che noi per bre- vità chiamiamo « dolicomorfi » e «brachimorfi », prendono origine secondo l’O., . da un ceppo unico — non sono perciò irriduttibili come voleva il Sergi — appartenente a omo sapiens, verso la metà del paleolitico inferiore. A piedi della figura l’ O. pone questa lunga e molto utile spiegazione: « Al- bero dimostrativo delle linee teoriche di discendenza delle principali razze preneolitiche scoperte nell’ Europa occidentale. (La razza di Grimaldi è omessa a causa dei suoi caratteri aberranti. I dolicocefali nord-Teutonici sono pure omessi). Trinil, Heidelberg e Neanderthal sono rappresentati come ramuscoli di un unico grande ramo. Piltdown è rappresentato come un ramo indipendente, le cui relazioni con altre razze sono ignote. È pro- babile che i cinque o sei rami di /70m:0 sapiens scoperti nel paleolitico su- periore siansi separati l’ uno dall'altro in Asia nel paleolitico inferiore. Di questi il più primitivo è di gran lunga quello che porta il nome di Briinn ». L’ uomo di Piltdown è dall’ O. posto nel prechelleano, 125.000 anni fa, nel 3° interglaciale (Riss-Wirm del Penck), mentre dagli scopritori Dawson e Woodward è collocato all’ inizio del pleistocene. L’ O. crede che, trattan- dosi di uno stadio umano così avanzato quale si vede nel cranio di Piltdown, (1) OsBORN (H. Fairfield). — Mex of the old stone age. New York, 2 ed., 1916. — Senza es- sere « la più grande opera che sia stata scritta dopo quella del Darwin », è però un’ opera riassuntiva di molto pregio e ha già avuto due edizioni (la 1a nel 1915). 60 | RIVISTA ITALIANA se un tale stadio fosse stato raggiunto nel basso pleistocene, noi dovremmo aspettarci di scoprire 1’ uomo anche nel pliocene; invece nel pliocene, se- condo la sua opinione, l’uomo non può aver raggiunto che lo stadio preu- mano simile a quello del i/lkecazthropus, e la vera evoluzione umana — posteriore al pliocene — si avrebbe nel mezzo milione di anni ‘del plei- stocene.. UPPER ! RACES sfe OLD STONE AGE | MODERN LI CImmon Ancestots PALKOLITHIC a \ RC ARR ì + OLI RL Extinygetion- SRI sata di dr a l: of Neafr\ferthalsX 9 deR 1 ABIH i LOWER tà 3 i PALRFOLITHIC ! I : Seen = SIE PAIIRESTOA I, ] 1 Races balonging È t LU (°] i POLATRIC Existing Species of Ma I " Homo sa iens ' ’ f. ; n I - I si 3E "I TOR È ! be ia vai 8/7, n) t Mag vd 1, ; 2° I I il I I I PRE-HUMAN RACES of Extinet and Existing Species of Man Anche Piltdown è dato come proveniente dall'Asia, come il precedente Heidelberg e il successivo Neanderthal: tutti « of eastern origin » (Pref. p. VII). L’ Asia riprende il suo vecchio posto, « the chief theatre of evolution both of animal and human life », quel posto dal quale negli ultimi tempi si era tentato di detronizzarla. Vedremo anche che l’O. esagera alquanto in questa reazione (a proposito dei brachicefali). Le coste settentrionali del- " A A 0 SI PRI ZAP NINO ORTA, I ia 4 a LR) IRR T Mt | l'Africa rappresentano la via di migrazione dall’ est all’ ovest, essendo a quell’ epoca collegate mediante due istmi con l’ Europa occidentale. Le riserve sulla posizione antropologica di Piltdown sono molto giuste, Ri e a me sono sempre apparse tanto più giustificate quanto più era visibile lo sforzo — e direi la virtuosità anatomica — di conciliare la scatola cranica di « Zomo evoluto » e la mandibola scimmiesca (trovata a qualche di- stanza), nonchè il canino. Questo canino — dapprima creduto inferiore e adesso riconosciuto come superiore — insieme alla mandibola, sono stati entrambi ultimamente dal Gerrit S. Miller (1) identificati come appartenenti a una nuova specie di scimpansé del pleistocene europeo denominata Par vetus, cui lo stesso Miller riferisce anche il supposto dente umano del plei- : stocene di Taubach. Questa conclusione — alla quale già si capiva che si È. doveva venire e che forse in Europa non è stata nettamente formulata per qualche riguardo o deferenza agli anatomici inglesi, Elliot Smith e Arturo Keith, che conoscevano de vis% il materiale — ha il risultato, come giusta- dp. mente osserva l’O., di privare il Piltdown della sua mandibola, in conside- È razione della quale era stato creato il supposto genere Z0ar/kropus, e farlo passare senz’altro al genere //omo. È È soltanto alla fine del Dicembre 1915 che I’ O. ha potuto aggiungere i: in una nota finale questo risultato, il quale deve cambiare del tutto le rico- bp struzioni figurate a pp. 137, 140, I4I e segg.: sono del resto visibilmente inverosimili e certamente saranno soppresse in una 3% edizione. La razza di Grimaldi — cioè i due scheletri scoperti nella Grotte des Enfants nel 1906 —, sebbene non figuri nell’ albero filetico, è dall’ O. dili- gentemente illustrata: egli la giudica essenzialmente negroide e molto dif- 4 I ferente dai Cro-Magnon, che furono trovati a un livello superiore. Sebbene la fauna calda cominci a scomparire già alla fine del 3° interglaciale, 1° O. fa notare che nella Riviera l’ ultimo clima favorevole alla fauna calda si protrae sino alla fine del Mousteriano, onde si spiega il passaggio degli Aurignaciani dall’ Africa — per la via sopra menzionata — insieme ai Ne- groidi di Grimaldi. |: Tutto ciò è ben documentato ; soltanto un punto è ipotetico, dove l’O. b ammette che già i primi Aurignaciani che sloggiavano i Neanderthal dalle loro stazioni fossero dei Cro-Magnon, mentre positivamente risulta, come nota lo stesso O., che i Cro-Magnon di Grimaldi — e questi sono i più antichi fra tutti i Cro-Magnon — sono nello strato superiore a quello che (1) MiLLER (Gerrit S.). — 7We /aw of the Piltdown Man. Smithsonian Institution, Washin- gton, Nov. 24, 19/5. RIVISTA ITALIANA contiene i Negroidi, e che 1’ Aurignaciano di Grimaldi è appena della fine di tale epoca. Vi è quindi quasi tutto intiero V Aurignaciano senza indizi di Cro-Magnon, e però appare arbitraria la successione dei Cro-Magnon ai Neanderthal. Sono addotte dall’ O. considerazioni puramente culturali (ca- ratteri elevati della civiltà Aurignaciana) specialmente dal punto di vista aItistico; ma siccome non è dimostrato che un’altra razza non fosse capace della stessa cultura — del resto i documenti artistici del basso Aurigna-. ciano sono molto rozzi —, manca una vera giustificazione. È tanto meno accettabile l’ ipotesi dell’ O. a favore dei Cro-Magnon in quantochè un’ altra razza veramente esiste nel basso Aurignaciano, e ben distinta sia dai Nean- derthal sia dai Cro-Magnon. Questa è rappresentata dall’ uomo di Combe Capelle, detto appunto 7700 aurignacensis, il nostro 77. proto-aethiopicus. L’O., che mette sempre dei punti interrogativi a proposito di questa « razza aurignacense », non ne contesta la maggiore antichità, ma cerca di svalutarla a profitto dei suoi prediletti Cro-Magnon, anteriori ai veri reperti scheletrici, senza neanche avvertire il lettore che questi Pre-Cro-Magnon (come dovrebbero essere rettamente denominati) sono semplicemente ipo-. tetici e aspettano la conferma antropologica. È questo il punto più debole di tutto il volume, poichè mostra il partito preso dall’ O., il quale ha po- tuto scrivere parole come queste: « it seems probable that the Aurignacian. man is a member of the true Cro-Magnon race and that additional evi- dence is required to establish it as distinct » (1). Invece la distinzione è ovvia: in Combe Capelle non solo manca il cosidetto tipo disarmonico — cranio lungo e faccia corta —, ma si hanno caratteri tali che sono perfettamente opposti a quelli dei Cro-Magnon. I caratteri aurignacensi cui alludo sono: ipsistenocefalia, discreto prognatismo, platirrinia. L’ essere il cranio iperdo- licocefalo e alto, mentre il Cro-Magnon è basso (a volta piatta), indica una correlazione molto importante, cioè una statura bassa per il Combe Capelle e una statura alta per il Cro-Magnon — il che è difatti —, ciò che corri- sponde a una legge di meccanica dello sviluppo già da tempo enunciata dal Manouvrier. Nessuno di questi caratteri del più ‘alto valore antropologico è preso in considerazione dall’O., il quale dà il cranio di Combe Capelle come ortognato, il che non è (ind. alveolare 103.9). Soltanto a proposito dell’ a- spetto cro-magnonoide dell’ attuale popolazione della Dordogna egli scrive : (1) Op. cit., p. 303. — Per l’ evidenza richiesta 1’ O. può consultare il mio scritto: Quattro crani preistorici dell’ Italia meridionale ecc. Arch, per l’ Antrop. e 1’ Etnol. XVL, 1915, fasc. 39-49, p. 300 e segg., e specialmente l’Appendice: Aycazcità della forma ipsistenocefalica e sua paren- tela equatoriale, con l'annesso specchietto. ci DI PALEONTOLOGIA « the skull is very low-vaulted », il che è — senza che egli lo sospetti — perfettamente il contrario di ciò che si vede nel Combe Capelle. Egli del resto non dà neanche una figura di quest’ ultimo, e probabilmente non pos- ‘siede alcuna riproduzione del medesimo : in un punto cita l’ opinione del Keith a proposito di certi caratteri negroidi del Combe Capelle, il che non è certo favorevole alla sua tesi. Dall’ albero filetico appare che è la razza di Briinn che prende il posto del Combe Capelle e dei cosidetti Galley-Hilloidi. La razza di Brùnn, se- condo l’ O., non ha nulla di negroide; ma ciò ha poca importanza, tanto più data la penuria di scheletri facciali: la quistione è di sapere se il cranio somiglia o no a quello del Combe Capelle, vale a dire se è di tipo proto- etiopico, e gli antropologi sanno che « etiopico » non vuol dire, come DI crede l’O. a p. 261, « negro ». L’ affinità è innegabile, e tutti insieme co- stituiscono un’ antica stratificazione distinta dalla neanderthaloide e dalla cromagnoide. Lo stesso O. dice di Briinn I che si tratta « of a somewhat low. racial type », e che appartiene al Solutreano, possibilmente anche al- l’Aurignaciano, quindi anche cronologicamente vicino al Combe Capelle. La razza di Briinn sarebbe, secondo l’O., penetrata nella valle del Danubio venendo da Oriente. : Alla fine del paleolitico 1' O. ammette due nuove razze, le quali trova- rono la loro via anch’ esse lungo il Danubio, poichè si rinvengono seppel- lite a Ofnet nella Baviera orientale, 1’ una « extremely broadheaded » e l’altra « extremely longheaded »; ma quest’ ultima è certamente una esa- gerazione dell’ O. come si vede nello specchietto a p. 500, in cui è dato l’ind. cef. 75, che è quello della mesaticefalia. Nell’ albero filetico figurano luna come alpina, l’ altra come mediterranea, precedute (all’ uso spagnuolo) da un punto interrogativo. L’O. ha messo un punto interrogativo ai dolicocefali di Ofnet, per la possibilità che rappresentino una branca della razza mediterranea del Sergi, ma senza relazione con quella di Briinn. Questa separazione fra i Me- diterranei e la razza di Briinn corrisponde a quella che noi abbiamo fatto fra i Mediterranei e i Galley-Hilloidi (1): non è quindi affatto per dispiacerci. Alla stessa epoca di transizione è riferita « un’ avanguardia della pura razza Mediterranea del Sergi », la quale migrando dall’ Asia lungo le coste setten- trionali dell’Africa passò in Spagna con l’ industria microlitica Tardenoisiana. Neanche questa emigrazione ci trova contrari, anzi già da tempo favorevoli : (1) Cfr. GIUFFRIDA-RUGGERI (V.) — Per una sistemazione ael tipo di Cro-Magnon ecc. Arch. per l’ Antrop. e l’ Etnol. XLI, rorI, fasc. 1. be e 14 a Pa e RL ire ae el ali te REMIGIO SII O a «leda i via, >. n Lsdd1) VERS ne aa ES Ue 64 RIVISTA ITALIANA è noto invece che il Sergi non fa venire la sua razza Mediterranea dall’Asia. Quanto all’ industria microlitica essa è molto diftusa nell’ Italia preistorica, e lO. dice a questo proposito: « The upper layers at Mentone on the ri- viera are paralled by those observed near Otranto in Sicily »: invece deve trattarsi della Grotta del Castello presso Termini Imerese, che è in Sicilia (1), mentre Otranto è nelle Puglie. Questa svista dipende dal vezzo dell’ O., che ha comune con diversi autori inglesi, di conoscere di seconda mano ciò che si stampa in Italia. L'O. ricorda anche che la stessa industria microlitica si trova a Mu- gem in Portogallo, e aggiunge che indubbiamente è preneolitica, poichè non è accompagnata da alcuna ceramica, nè traccia di animali domestici, eccetto, forse, il cane. Tralascia però il fatto importante che a Mugnenm si trovano anche dei brachicefali, il che prova che i Mediterranei sono venuti coi rappresentanti (se non si vuole ammettere che siano mutanti) di altre varietà. io stesso fatto del resto si ripete anche altrove, poichè i brachi- cefali isolati non si trovano quasi in nessun posto, nei tempi preistorici: l’intensificazione brachioide è molto posteriore. ] Il secondo punto interrogativo dell’ albero filetico dell'O. riguarda la razza Alpina e si riferisce a Furfooz-Grenelle, due località in cui come a Ofnet sono stati trovati crani moderatamente biachicefali : Furfooz è certa- mente dello stesso periodo di transizione sopra menzionato, mentre Gre- nelle sarebbe probabilmente neolitico. L’O. trova problematica la connes- sione con la razza Alpina e perciò mette il punto interrogativo. Io vera- mente — se dovessi rispondere a tale interrogazione — direi che non tengo molto alla connessione incriminata, poichè ho già avanzato l’ipotesi di in- tensificazioni brachioidi in aree separate (2), e certamente l’ intensificazione alpina ha dovuto accadere molto più tardi, quando si cominciarono a di- struggere col fuoco le foreste degli altipiani dell’ Europa centrale a vantaggio dell’ agricoltura e della pastorizia dei nuov coloni. Cade così la prima parte dell’ appunto che lO. mi rivolge: « By Giuftfrida-Ruggeri the Furfooz race is identified with the existing broad-headed Alpine race (/7om0 sapiens al- pinus), and is mistakenly adduced as proof that the Alpine race originated in Europe and is not in any way related to the Mongolian races of central (1) Cfr. GiuFFRIDA-RUGGERI (V.) — Materiale paletnologico della grotta del Castello di Ter- mini Imerese. Atti Soc. Rom. Antrop., XIII, 1907, fasc. II. — Un'altra svista da correggere in una 3° ediz. è a p. 96, dove Heidelberg9è messa nella Germania settentrionale anzichè nella meridionale. (2) GIUFFRIDA-RUGGERI (V.) — L'uomo attuale. Una specie collettiva. Roma, Albrighi-Se- gati, 1913. enni 'È x DI PALEONTOLOGIA 6: Asia » (1). Anzi per i brachicefali neolitici che qua e là si trovano. nel Me- diterraneo io sono d'opinione che — senza. essere affatto imparentati coi Mongolici — siano venuti direttamente dall’ Asia insieme coi dolicocefali (2). Che in tutta l’ Asia occidentale si trovassero dei dolicocefali risulta da ciò che lO. ammette riguardo alla provenienza dei Mediterranei, come | sopra si è visto. Egli stesso fa venire dall’ Asia anche quei dolicocefali nord-teutonici, i quali nel suo albero filetico sono omessi. Egli si fonda specialmente sui depositi di Maglemose, in Danimarca, in cui queste tribù pre-neolitiche, senza agricoltura e animali domestici, tranne il cane, mo- strano la. stessa arte convenzionale e primitiva, sia in figure dipinte sia in- cise, quale si trova nella Siberia occidentale, nella regione centrale degli Urali e anche a nord dei monti Altai, così da indicare l’origine asiatica e precisamente siberiana. Non è piccolo merito dell’ O. di averci liberato dal- l'ossessione — da me del resto combattuta — dell’ origine africana dei do- licocefali europei. Meno utile per l’ antropologia è la pretesa dell’ O., che i brachicefali europei siano — come si è visto dall’ appunto a me mosso — imparentati con quelli propriamente mongolici, sebbene egli abbia in suo favore diverse autorità antropologiche. Egli avrebbe potuto facilmente liberarsi da questo pregiudizio, per il quale si verrebbe ad ammettere in definitiva l’ ìirredutti- bilità delle due forme: da un lato brachicefali, dall’ altro dolicocefali. Ora ciò € contradetto dallo stesso albero filetico dell’ O., e d’altra parte egli, sebbene dia i dolicocefali europei: come imparentati ai dolicocefali asiatici dello stesso tipo, non li collega però coi dolicocefali mongolici, con gli Eschi- mesi e altri dell’ estremo oriente. Ugualmente si può pensare dei brachi- cefali, cioè che siano affini soltanto a quei brachicefali asiatici che hanno la stessa facies europea, ma non a quelli di tipo mongolico, che hanno tanti altri caratteri somatici divergenti. Ben inteso che anche in Europa è possi- bile che i brachicefali presentino una convergenza con alcuni caratteri fisiono- mici mongoloidi, ma ciò non infrange i vincoli di parentela originari e che tuttora mantengono con i dolicocefali europei. Essendo gli uni e gli altri Leucodermi, sono due rami di /7. indoeuropaeus, e non hanno nulla che ve- i (1) Op. cit., p. 484. Non è un mistero per nessuno che questa teoria è entrata nel bagaglio del Keith (cfr. « Journ. Anthrop. Inst. » XLVI, 1916, p. 160), ma veramente gli appartiene soltanto per il fatto che egli ha dimenticato di citare un mio scritto di alcuni anni fa: Cont buto all’ antropologia fisica delle regioni dinariche e danubiane e dell'Asia anteriore, Arch. per l’Antrop. e 1’ Etnol. XXXVIII, 1908, fasc. 1; vedi anche la mia opera sopra citata (o la trad. ted. Homo sapiens. Finleitung zu einem Kurse dev Anthropologie, Wien u. Leipzig, 1913). .(2) GIUFFRIDA-RUGGERI (V.) — Quattro crani preistorici ecc. Loc. cit. p. 304. dia" (* Pas | * di: n È DI Ù 66 RIVISTA ITALIANA dere col ceppo mongolico. In realtà non sono Mongoli nè gli Armeni nè i Galcia del Pamir. Chi, come me, è fedele al concetto delle formazioni pa- È rallele, potrebbe anche appellarsi a ciò che lo stesso O.-*ha scritto in altro volume (1), che, a differenza dell’ attuale, era perfettamente nell’ ambito della sua più ponderata dottrina. i % ica d Noi troviamo che l’ O., travolto dal suo nuovo entusiasmo per i fatti H culturali, accoglie troppo facilmente ciò che gli è stato suggerito dagli ar- “v cheologi francesi, facendo opera talora piuttosto di compilatore anzichè di naturalista, come sarebbe stato più legittimo attendersi da così eminente paleontologo. Non è stata piccola la nostra sorpresa che egli abbia potuto dare importanza ai disegni geometrici tracciati nelle grotte di Teneriffa (2), come se tali disegni possano avere qualche cosa di comune con le mirabili - gallerie di pittura lasciateci dai Cro-Magnon in Francia e in Ispagna. Evi- dentemente la sua attenzione fu richiamata su tali disegni (3) a titolo di pi n raffronto, onde viemmeglio collegare i Guanci di Teneriffa coi Cro-Magnon, e lO. senza alcuna obbiezione ha adottato quella tesi, riferendo anche in lei cea | VP « Appendice » lunghi tratti, che ha avuto la bontà di tradurre dal francese, ma che non dicono proprio nulla sull’affinità antropologica e preistorica delle due popolazioni. Quest’ affinità ultimamente è stata molto scossa e proprio per ricerche e Gee 2 fatte da altri americani, i quali non hanno voluto acquietarsi alla usuale de- e ferenza che circonda ie vecchie opinioni, ma hanno voluto formarsi una loro È opinione indagando sul posto. Così lo Hooton (4) ha misurato 350 crani an- tichi raccolti a Teneriffa, e ha trovato che i crani a tipo disarmonico, cioè dolicocefali a faccia corta come si ha fra i Cro-Magnon, sono crani piccoli e che hanno dovuto appartenere a uomini di piccola statura, anzichè a in- i dividui di m. 1,78, media della razza di Cro-Magnon. Il significato di tali È, crani disarmonici sporadici non è altro che questo, cioè che una razza a di cranio lungo e faccia lunga si è incrociata con una razza a cranio corto e Y faccia corta, onde si è avuta una percentuale di individui a cranio lungo e 8 faccia corta; del resto già il Prof. Sergi aveva fatto notare che il numero ‘4 a AULE Za 4 (1) OsBORN (H. Fairfield). — 7%e age of Mammals in Europe, Asia and North America, New York, 1910, p. 30. (2) OSBORN (H. Fairfield). — Mex of the Ola Stone Age. Op. cit., pp. 454,509. (3) Poichè nel RipLEYy (7%e races of Europc, London, 1900) che è il testo seguìto dall’ Q., non è fatta menzione di tali disegni. (4) HooTon (E. A.). — Preliminary Remarks on the Archeology and Physical Anthropology of Tenerifa, Amer. Anthrop., 1916, fasc. 3°. TE RIA £9 Peo > pia ped Pose de) n prada; net POD AS SER: © OTO HIDE ta de A e I A A A e LI DI PALEONTOLOGIA 67 dei brachiprosopi nelle Canarie è molto piccolo e non aveva accolto le con- clusioni del Verneau (1). Questi aveva anche addotto i suoi risultati antro- pometrici, che danno per la popolazione attuale, specialmente maschile, una altissima statura, ma non sembra che tale statura si possa attribuire ai Guanci preistorici: lo Hooton dalle ossa lunghe estratte da una caverna di Teneriffa (63 femori e 71 tibie) ha avuto come statura m. 1,62 per il sesso maschile e m. 1,52 per il sesso femminile. Neanche 1’ altra affermazione del Verneau, che fra i Canariani attuali quelli biondi hanno anche la testa e l’alta statura dei Cro-Magnon, viene confermata dallo Hooton, il quale ha potuto constatare che i biondi hanno qualunque statura e forma facciale. Manca così ai pretesi Cro-Magnon delle Canarie 1’ u6î consisfam, se i Cro-Magnon devono intendersi come biondi nordici di alta statura, secondo il concetto del Verneau. Veramente i Cro-Magnon possono essere nordici senza essere biondi, e gli Eschimesi sono lì per nostro insegnamento. Altri nordici, quelli di tipo Teutonico, sono certamente biondi di alta stutura, ma il loro teschio non è disarmonico : essi hanno cranio lungo e faccia lunga. I discendenti di questi si trovano in qualche. percentuale nelle Canarie, e lo Hooton crede di riconoscere i loro crani per la maggiore dimensione e l’aspetto più rozzo a confronto dei comuni crani mediterranei. Il mito dei Cro-Magnon alle Canarie nonostante l’ appoggio tardivo del- l’ Osborn si risolve in una colonia di pastori neolitici — nulla di veramente | paleolitico essendosi mai trovato —, abitante, come fanno tutti i pastori, ‘ora in caverne ora in capanne più o meno permanenti. A questo fondo mediterraneo vanno aggiunte le immistioni di brachicefali bruni e di doli- cocefali biondi, per le quali speriamo di avere una buona messe di notizie nella prossima più estesa pubblicazione della missione archeologica americana. Notiamo che in nessun punto l’ Osborn si pronunzia sul colore biondo dei Cro-Magnon, il quale è messo molto in dubbio dal Ripley (2), a causa dei capelli e occhi scuri degli attuali abitanti della Dordogna. Quasi con- temporaneamente l’Abercromby si è occupato della questione dei Cro-Magnon delle Canarie, ed è venuto alla conclusione che i Guanci non dovevano es- sere biondi (3). Abbiamo visto che secondo lo Hooton non erano neanche alti; diguisachè si può dire, che non si sa più perchè si debba ancora par- lare di Cro-Magnon alle Canarie. Napoli, R. Università, Istituto Antropologico. (1) Cfr. SerGI (G.) — Africa, Torino, 1897, p. 366 e segg. (2) RieLEY (W. Z.). — Op. cit., p. 466. (3) ABERCKOMBY (J.). — The Prehistoric Pottery of the Canary Islands and its makers, Journ. R. Anthrop. Inst., XLIV, 1914, p. 319. N È ; È VIA Dr At SIR RIVISTA ITALIANA Li DI PALEONTOLOGIA REDATTORE ‘P. VINASSA pe REGNY VoLume XXIII - Ànno . PARMA RIVISTA ITALIANA DI PALEONTOLOGIA 19175: INDICE DEL VOLUME XXIII E/O Revisioni; italiane 0 Se it I DAB 37 mar 7 oi S HA * È | MEMORIE E NOTE ORIGINALI ia Sangiorgi D. - Fossili tortoniani dell’ alta valle dell’Idice Pag. 11 A Del Campana D. - Sopra alcuni resti di Testudo graeca L. di pre Monsummano . . . anranit ai Voi ra » 26 de: Del Campana D. - Sulla presenza del Canis. megamastoides (di Pom. nel pliocene del Valdarno inf. (con 408 FAVE AIRIS LORI ZI 20 Vinassa de Regny P. - Coralli devoniani della Carnia. . . . . >» 45 E. ‘RECENSIONI ® I. Autori dei quali furono recensiti i lavori. È Airaghi : . . . pag. dal Deb Vecchiora so e tg Maat) IO GTO Lap te 9 # Ebeehiaf RA 4 5608) CRONISTA e EZ fi Campanalt o 0. OA Lr DAULIOLGI a oe io 1649 \ i Peano ee ciak, IENA ehe INDIA XI. Fossili dei quali si tratta nei lavori recensiti. balene pad. Cefalopodi! Want = 1° e 9 » POLICE Se MRO ILCIOSTACCLA i pt ALT Cote a ANA ER La i È Ei 4 or ESC; i > Ndr 39 FO *‘Eamelibranchi 0. = + 02° +42) Mammiferi. +. 93/37; 40, 42} 44 6 È Casteropodi tn ELITE GA mi XII. Terreni dei quali si tratta nei lavori recensiti Cicidcco elet paned, 400; 139 |. Phiocericazgiia «e: 640,41; 42; 43 Poeene ann no 14, 65-42 |: Quaternarione Vl. sin. 5 Is 37 Miocene gere Lode AL; 44 Ù * IV. Elenco delle nuove forme descritte nei lavori recensiti. ACGCIINOBGRA:;..0,, 47 | himeraensis (Distefania)’. adriatica (Rimella) . . È 42 |Hori (Cerithium).. . . Aidae (Turritella). . . o Io | Humei (Actaeonella). . ambiguus (Spatangus) . & 5 | Isidis (Ptychoris) . . . anachoreta (Cerithium) . i, ro | Lamberti (Fibularia). . athleticum (Tylostoma) . . 1o | Lamberti (Schizaster) . breberensis (Potamides?) 42 | liburnica (Pseudoliva) . . Canavarii (Schizaster) . . mediterraneus (Ptychodus). Cheopis (Turbo) iu e Radamesis (Cerithium) . . Cleopatrae (Turritella) . Ramsis{Turnitella) ea DISTEFANIA-SNASC e Sanfilippoi ;(Zuffardia) . . Distefanoi (Clypeaster) | Sauri (Teliostoma?) . . . etruscus (Cynailurus?) . i siculus:(Echinus) .. + Fieami (Lyda)in pre. siculus (Psammechinus). . Figari: (Sycum):(0,. Sphyngis (Mesalia) . . Fourtaui (Acera) . . ... LUEFARDI A: conti RIVISTA ITALIANA DI È 3 | PA LEONTO LOGIA * REDATTORE | P. VINASSA pe REGNY: SOMMARIO DES i i sa I. PUBBLICAZIONI ITALIANE: ‘. Linn. nel Quaternario di Mon- (Checchia-Rispoli, Del Vecchio, ; summano. aL Greco)., ATO: ; i si | IV. D. Del Campana. — Sulla pre- II. Domenico Sangiorgi. — Fossili |. senza ‘del (Canis) Cerdocyon Tortoniani dell'Alta Valle del- È ° 1’ Idice. Vane, megamastoides Pom. nel Plio- III. D. Del Campana. IRIS al- cene superiore. del Valdarno. cuni resti di Testudo Graeca | inferiore, (Tav. I). di È pe PRA RIMA RIVISTA ITALIANA DI PALEONTOLOGIA 1917 x PUBBLICATO IL 20 GIUGNO 1917 La Rivista si pubblica trimestralmente in 1084 7 di circa 32 pagine con tavole o figure. » Gli autori di note originali o'di recensioni possono . Per copie | Per copie 8,00. 5,00- ia 5,000] 850 700 | 1200 | Hrgipener Doe 9,00. | 15,00 N..B. - L'importo degli estratti dovrà inviarsi Hnbidipalagionte i in caso contrario la spedizione di essi voga fatta contro assegno. shin Pai e) Dirigere lettere e vaglia alla: U RIVISTA ITALIANA DI (PALEONTOLOGIA IOI7 La Rivista esce anche in quest’ anno e presenta il suo * primo numero all’ inizio di una primavera, piena di speranze «e densa di storia. Non è questo certo un buon momento per le pubblica- zioni scientifiche; e la Rivista, ridotta ai suoi trenta abbonati italiani, vive. perchè il suo redattore ritiene che di vita sia . degna, e per “dimostrare la ‘continuità del lavoro scientifico italiano, per quanto ridotto di mole. te durante questo epico periodo par che non debba esi- stere se non un solo argomento degno di interesse: la Guerra, e la Guerra Vittoriosa per la sempre più grande Italia, pur non ostante il lavoro italiano nel campo della scienza non si è arrestato, ed anche questo sarà non piccolo tito di onore per la nostra Nazione. I cortesi e fedeli abbonati vorranno scusare se, nelle at- |» tuali condizioni, la Rivista si presenta a loro sparuta di pa- gine e con grandi ritardi. Tornerà ad essere l’ antica Rivista dopo la Vittoria: quando si potrà, giustamente, deporre la spada per ripren- dere il martello e la penna. Per intanto continua a vivere. I _ due minori volumi della collezione ricorderanno, coll’ andar | degli anni, che in questo periodo si fece più grande l’Italia. Zona di guerra, Maggio del 1917. t, ai dEi Ò, TRL. 3 2) riali ERA Se BO A LI TI a) Ù) ’ } -— Anno XXNI 1917 Fasc. 1-IL. 409 RASSEGNA DELLE PUBBLICAZIONI ITALIANE “a CHECCHIA RispoLI G. — “ Distefania ,, nuovo genere di Bra- P: chiuri del Cenomaniano della Sicilia. — Boll. Soc. Zool. d RIVISTA ITALIANA CHeccHIA RIispoLi G. — Su alcune rocce a foraminifere del- 1’ Eocene medie della Capitanata. — Boll. Soc. Geol. Ital., vol. XXXYV, 1916. È una breve Comunicazione fatta nella riunione della Società Geologica del dicembre scorso per richiamare 1’ attenzione dei Soci su alcuni campioni di rocce calcaree a foraminifere che VA. ha raccolto in quel tratto della formazione eccenica della Ca- pitanata compreso tra il Celone ed il Sannoro ad ovest di Troja nel Circondario di Bovino. Alcuni di questi campioni, che sono dei calcari tenaci, mo- strano l’ associazione di tipiche Lepidocyclina (Lep. marginata, Lep. Morgani, ecc.) con altri foraminiferi indiscutibilmente eo- cenici Alceolina milium, Alv. oblonga ecc., Nummulites distans, Numm. Beaumonti, Numm. Partchi, Numm. perforatus, Numm. lacvigatus, Numm. Brongnarti, ecc., nonchè varie Orthophra- gmina ed altri fossili). | Poichè non è il caso di invocare anche per questo nuovo rinvenimento di Lepidocyclina nell’ Eocene l intervento di feno- meni tettonici (carreggiamenti, pieghe, scaglie ecc.) per spiegarne la presenza, l'A. si limita solo a dimostrare con argomenti fisico- biologici che nemmeno l’ ipotesi del rimaneggiamento è possibile e conclude che le Lepidocyclina, come ha sempre sostenuto e come ha scritto anche recentemente il prof. H. Douvillé per V'A- merica, fanno indiscutibilmente parte delle vere faune eoceniche. NE CueccHia-RispoLi G. — “ Zuffardia , nuovo genere di Echi- nide del Senoniano della Tripolitania. — Rend.- R. Acc. dei Lincei, CI. Sc. Fis. Mat. e Nat., 1° sem., 1917. Le specie di Echinidi che 1 A. riunisce nel nuovo genere Zuffardia in omaggio alla memoria gloriosa del dott. P. Zuffardi eroicamente morto in seguito a varie ferite riportate nell’ aspro at- tacco notturno di Zugna Torta (1 luglio 1916), sono così caratte- rizzate: ssi aida 1 | y — sui fianchi; faccia inferiore pianeggiante o debolmente convessa ; _ margine arrotondato. “prima di passare alla descrizione di quelli pliocenici, pubblica ‘osservazioni su due echinidi viventi, cioè Genocidaris maculata . Al Ag. e Psammechinus microtuberculatus. Blainv., di cui isti- DI PALEONTOLOGIA « Guscio di medie dimensioni e sottile. Contorno ovale; fac- cia superiore elevata, convessa o subconica, rapidamente declive Apparecchio apicale centrale, monobasale, di forma pentago- nale un po’ allungata, munito di quatto pori genitali legger- mente ovali, rigettati in parte negli interambulacri. Ocellari piccolissime, situate ai vertici del pentagono. | Ambulacri subeguali, nettamente petaloidi, larghi, un po’ aperti verso le estremità. Zone porifere sviluppate, formate di pori diseguali, disposti a paia obliqui, separati da una costa, sporgente e BOE Peristoma un po’ spostato avanti e piccolo, superficiale, pen- tagonale, allungato nel senso dell’ asse antero-posteriore, circon- dato da fortissime e strette protuberanze interambulacrali e da fillodi bene sviluppati. Periprocto piccolo, superficiale, trigonale, appuntito in alto, situato nel mezzo della faccia posteriore. Tubercoli piccolissimi, scrobicolati, stipati sulla faccia su- periore, un po’ più distanti e grossi sulla inferiore. Tipo: Zuffardia Sanfilippoi Ch dA del Senoniano della Tripolitania. Ve CeccHIA-RIspoLI G. — Gli Echinidi viventi e fossili della Si- cilia, P. III, Appendice alle Parti Prima e Seconda. — Pa- lacont. Italica, vol. XXII, 1917 (con una tavola). L'A. avendo ripreso lo studio degli Echinidi della Sicilia, un’ Appendice alle due prime parti, la quale comprende alcune tuisce definitivamente la var. alta propria del mare di Sicilia e la descrizione di varie altre forme del Piano Siciliano (postplio- cene) del bacino di Palermo. Di queste sono nuove: Echinus si- culus, Fibularia Lamberti, Spatangus ambiguus. Di RIVISTA ITALIANA Lo Schizaster Scillae, descritto nella prima parte della mo- nografia, diventa il tipo di una nuova specie, denominata Sch. Canavarii. L'A. rileva infine che il suo Spatangus Distefanoi è stato ultimamente rinvenuto ancora vivente dal zoologo Mortensen nelle acque di Villafranca presso Nizza. Mi Cueccnia-RispoLi G. — Gli Echinidi viventi e fossili della Sicilia, P. IV, Echinidi Pliocenici. — Palacont. Italica, vol. XXII, 1917 (con tre tavole). Sono descritte dodici specie di Echinidi, di cui sono nuove: Psammechinus siculus, Clypeaster Distefanoi e Schizaster Lam- berti. 1l ben conservato materiale, di cui l'A. ha potuto disporre, ha permesso una più completa descrizione di alcune specie, come Dorocidaris margaritifera e Styrechinus Scillae, le quali, dall’ e- poca della loro istituzione, non avevano avuto più alcuna illu- strazione. Ì ; i | Un fatto importante messo in luce dal presente studio è la constatazione di Schizechinus Chateleti e di un Clypeaster (Clyp. Distefanoi), di due specie cioè appartenenti a generi, che rag- giunsero il loro massimo sviluppo nel Miocene. Tale constatazione servirà a stabilire più stretti rapporti tra la fauna echinologica pliocenica e quella miocenica, che è così differente dalla prima Meta: CueccHia-RispoLi G. — Focene dei dintorni di Roseto Valfor- tore e considerazioni sulla sua fauna. — Boll. R. Com. Geol. d’ Italia, vol. XLVI, 1916 (con dieci tavole). Lo scopo di questo lavoro non è la sola illustrazione di un certo numero di nummuliti ed altri foraminiferi eocenici oramai più o meno noti; VA. più che altro ha cercato di portare una nuova ed esauriente prova dell’ eocenicità di certi gruppi di Or- SI DI PALEONTOLOGIA bitoides, che egli sostiene da oltre un decennio e che ammette recentemente per le Lepidocyclina anche il prof. H. Douvillé. Dimostrato in base allo studio della fauna che il lembo della formazione calcareo-argillosa dei dintorni di Roseto Valfortore in Capitanata appartiene alla parte elevata dell’ Eocene medio (An- versiano), l’ A. mette in rilievo il fatto dell’ associazione di Or- bitoides, Lepidocyclina, Miogypsilites, Assilina, Orthophragmina, ecc.) indiscutibilmonte eocenici e questa associazione si verifica sugli stessi campioni ottenuti da un° unica lastra di quel calcare intercalato a varie altezze nelle argille scagliose. L’A. prende occasione da questo studio per fare alcune con- siderazioni sulla distribuzione geologica dei vari gruppi di Orbi- toides, poi passa in rassegna i numerosi rinvenimenti fatti nel- l’ Eocene, per sostenere con argomenti stratigrafici da una parte e con argomenti fisico-biologici dall’ altra, che tali foraminiferi non si trovano nei depositi eocenici nè per causa di accidenti tettonici, nè per rimaneggiamento, ma che essi sono in posto e fanno parte delle vere faune eoceniche. Riassumendo i fatti constatati, il dott. Checchia-Rispoli viene a concludere che : le Orbitoides s. str., oltre clie nel Cretaceo superiore. vissero nell’ Eocene inferiore e medio e che l’ estinzione del genere av- viene nell’ Anversiano; le Lepidocyelina comparirono nel Cretaceo superiore, si svi- lupparono più largamente nell’ Eocene, nell’ Oligocene, nel Mio- cene inferiore e medio, estinguendosi nel più alto Miocene o forse anche nel più basso Pliocene ; le Orthophragmina comparvero nel Cretaceo superiore, si svilupparono in tutto 1’ Bocene e continuarono a vivere nell’ O- ligocene inferiore ; i le Miogypsina infine apparirono nella parte più elevata del- | l’Eocene medio estinguendosi probabilmente nel più alto Miocene od anche nel più basso Pliocene. Risulta perciò da quanto è detto che si è ben lontani dal poter ammettere, secondo fu scritto una volta, che sia sufficiente ad un geologo un frammentino di uno di questi foraminiferi per * Me; \ sitio dildo di ie eli 8 RIVISTA ITALIANA poter determinare ipso facto l'appartenenza di un gruppo di strati al Cretaceo superiore, o all’ Eocene, o all’ Oligocene od al Miocene. È bastato infatti solo lo studio di alcuni sedimenti del Terziario inferiore del bacino mediterraneo per dimostrazione |’ esagera- zione in cui si è andato incontro per voler attribuire un grande valore cronologico ai vari generi di Orbitoidi. Il che è stato an- che tanto bene riconosciuto da quegli stessi autori che si tente- rebbe ora di sperimentare, se un certo valore cronologico potessero avere almeno i vari sottogeneri in cui si vorrebbero suddividere le Orbitoidi., L’A. osserva che sarebbe stato di certo più opportuna sin da principio la discussione sul valore delle specie per poi passare a. quello dei generi e gruppi. Si è invece proceduto a rovescio. Si è constatato infatti che le specie di Orbitoides s. str. che si tro- vano nel Cretaceo si trovano anche nell’ Eocene inferiore e medio (lo stesso è avvenuto per Siderolites ed Omphalocyclus). Altret- tanto dicasi di Orthophragmina, molte delle quali attraversano tutto l’ Eocene e l’ Oligocene inferiore e di alcune Miogypsina che dall’ Anversiano passano sino al più elevato Miocene. Riguardo alle Lepidocyclina è fuor di dubbio che varie fra di esse ritenute una volta esclusive del Miocene, furono trovate poi nell’ Oligocene é prima ancora nell’ Eocene. Basti dire che la Lep. Mantelli, che pel Douvillé è lu più antica di tali fora- minifere, oltre che nell’ Eocene (Douvillé) si trova anche nel Mio- cene (Prever). Ora fossili che hanno una così lunga diffusione verticale non possono avere da soli il valore di fossili-guida e fra le Orbitoidi quelle che 1 hanno di meno sono le lepidocicline. Chiude la prima parte del lavoro un quadro della distribu- zione geologica delle varie Orbitoidi. i La seconda parte comprende la descrizione delle specie rac- colte, circa una trentina; fra le quali predominano le Nummuliti che costituiscono circa il terzo della fauna dell’ Eocene di Roseto Valfortore. I fatti verificati si ripetono nell’ Eocene di Castelluccio *almaggiore, la cui fauna, per ricchezza di specie e di individui, e per conservazione di materiale, sta certamente al disopra di tutte le altre finora studiate. Vi EZRA PMO SAI SR € & A DI PALEONTOLOGIA Der VeccHio C. — Osservazioni su aleuni resti di Canidi raccolti nella Grotta Guglielmo sul. Palanzone. — Atti Soc. it. Sc. nat. IV, pag. 239-251. La grotta venne esplorata la prima volta nel 1898, e il Prof. Mariani ne dette una descrizione nel ‘99. In essa si raccolsero due scheletri più o meno completi di Canis adulto ma non vec- chio. Si tratta con molta probabilità di Canis lupus. L’A. dà una completa descrizione con molte misure di questi avanzi, nei quali sono rappresentate le ossa del eranio non com- pleto, la mascella'e la mandibola pure incompleta e con alcuni denti, cinque vertebre lombari e un osso sacro, le ossa del bacino, specialmente il cosciale sinistro e finalmente 1’ omero destro. L'A. termina il suo lavoro facendo notare le somiglianze e le differenze che questi fossili hanno sia colla forma di cani ti- pici, sia colle forme lupine, per concludere che si tratta quasi cer- tamente di un tipo lupino. NE Greco B. — Faune cretacee dell’ Egitto raccolte dal Figari Bey. — Parte II - Pisces, Cephalapoda (addenda) et Ga- stropoda. Palaeontog. it., XXII, pag. 103-107 e tav. XV-XIX. Continuando l’opera iniziata nel precedente volume della Pa- laebntographia italica l'A. aggiunge ora una seconda parte che il- | lustra prevalentemente i Gasteropodi raccolti in parte all’ Uadi (1) Am Rockam, la cui fauna, contrariamente all’ opinione del Four- tau, l’A. pone sul Maestrichiano, considerato come termine in- termedio tra il Daniano ed il Campaniano. Altri gasteropodi provengono quasi certamente dall’ Uadi Abu Elesieh, località ove già VA. aveva stabilita la presenza del Co- niaciano. Altri gasteropodi turoniani provengono dai dintorni del Con- vento di S. Paolo. E finalmente delle stesse località si hanno pure altri gasteropodi cenomaniani. (1) L'A. adopra la grafia francese di Quadi. RIVISTA ITALIANA Dal complesso della fauna risulta che per il Maestrichiano continuano strettissime affinità paleontologiche col deserto li- bico; per il Coniaciano si hanno affinità prima colla Tunisia poi. con l’ Algeria, l'India Meridionale, la Francia e il Tirolo; per il Turoniano si ha stretta affinità colla Tunisia e Portogallo; per il Cenomaniano infine si ha perfetta corrispondenza con la Tunisia e l'Algeria. Le specie descritte sono le seguenti. Psiveniguti dal Maestri- chiano: Corax pristodontus Ag., Baculites rertebralis Lamk., Turbo Schweinfurthi Per. et Fourt., Calliostoma Ammneris n. f., Neri- topsis Abbatei Peroet Fourt., Solarium dachelense Wann., Turri- tella Aidae n f., T. Cleopatrae n. f., Nerinea Ganesha Noetl.; Cerithium anachoreta n. f., Tritonimm tuberculosum Kaunh. e Tornatellaca pharaonum Waun. Provenienti dal Coniaciano: Tur- ritella Ramsis n. f., Mesalia splyngis n. f., anche colla var. quatercarinata n., Natica bulbiformis Sow., Tylostoma athleti- cun n. f., Cerithium Radamesis n. t., O. pustuliferum Bayle, C. Horì n. f., Tympanotomus pustulosus Sow., Fasciolaria Assa- illyi Th. et Per., Lyria Figarii n. f., Ptycoris Isidis n. f., Vo- Iutoderma Stoliczhana Dall. e V. media Dall. Provenienti dal Tu- roniano: Turbo Cheopis n. f., Tylostoma globosum Sharpe, T. Cossoni Th. et Per.. Nerinea olisiponensis Sharpe, Nerinella subaequalis d’Orh., Rostrocerithium plicatum Sow., Aporrhais subgibbosus Perv.. Actacon Abeihensis White e Actaconella Humei n.f. Pro- venienti dal Cenomaniano: Tylostoma Pallaryi Per. et Fourt., Nerinea bicatenata .Coq., Mrhilaia mnerincaeformis Coq., Ceri- thium tenouklense Coq., Aporrhais Dutrugei Coq., Harpagodes Heberti Th. et Per., Pterodonta Deffisi Th. et Per., Strombus incertus A Orb., Fusus Fourneti Th. et Per., Sycum Figari n. f., Voluta Algira Cog., V. pusilla Coq. e Accra Fourtaui n. f. 13 - FOSSILI TORTONIANI DELL'ALTA VALLE DELL’ IDICE 3* Nora pEL Dott. DOMENICO SANGIORGI. Nell’ estate del 1914 ho creduto opportuno riprendere le ricerche pa leontologiche nell’ alta Valle dell’ Idice, nei pressi di Monte Renzo, in quelle | stesse località che or sono 18 anni mi diedero così ricca e promettente rac- . colta di fossili a aczes tortoniana. Mi parve valesse la pena di rinnovare tali ricerche, sia per aumentare il già ricco materiale paleontologico trovato nelle precedenti escursioni, sia per vedere. lo stato in cui si trovavono i giacimenti fossiliferi, che nel non breve periodo -di tempo, per opera degli agenti meteorici o per opera del- l’uomo, potevano aver subìto notevoli variazioni. Per quanto si riferisce alle condizioni topografiche dell’ alta valle del- l’Idice, e alle considerazioni geologiche, stratigrafiche e. paleontologiche sulle località e sui fossili che in esse si rinvengono, rimando alle due note da me pubblicate in questa stessa Rivista, dopo le prime escursioni (1). Le condizioni generali del terreno non diversificano molto da quelle di x allora. Qualche tratto è stato conquistato dalle colture agrarie, o modificato da opere di drenaggio, il che rende più difficili e meno proficue le ricerche | fossilifere, e i giacimenti e i nidi di fossili pare abbiano subìto un impove- rimento di forme. È, I depositi più ricchi di fossili si mantengono ancora quelli del Rio Bac- canello e del balzo a sinistra de'l'Idice a monte della casa Fiume. Nulla ho da aggiungere o da modificare alle considerazioni stratigrafiche e paleonteologiche enunciate nélle note sopra ricordate. Forse l’ estensione delle formazioni mioceniche è minore di quanto dissi allora, ed è verso Valle o a Nord, che le formazioni tortoniane sono meno estese. Il complesso delle forme rinvenute in questo terzo anno di ricerche con- ‘ (1) SAnGIORGI D., /2 fortoniano dell'alta valle dell’ Idice. — « Riv. It. di Paleont., » Anno II, fasc. IV, Bologna, 1896. i Idem — I fossili tortoniani dell'Alta Valle dell Idice. « Riv. It. di Paleont. » — Anno IV, fasc. III, Parma, 1898. & 12 RIVISTA ITALIANA iL ferma il carattere tortoniano dei giacimenti. Anche questa volta dobbiamo notare la grande prevalenza dei gasteropodi sugli altri gruppi dei molluschi. I coralli isolati sono rappresentati da una grandissima quantità di forme. Non mancano fossili che accennerebbero a depositi di mare meno profondo, alcuni dei quali di tipo decisamente elveziano. Considerando tuttavia l’ assieme della fauna fossile, si scorge che essa è di tipo di mare più profondo, a carattere cioè decisamente tortoniano. Fra specie e varietà, sono 67 le forme non rinvenute nelle precedenti escursioni. Con le 139 della prima nota, e le 52 della seconda, si raggiunge la somma di 258 forme diverse trovate fino ad ora nei vari giacimenti del- l’ alta valle dell’ Idice, nel comune di Monterenzo ad Est del Monte delle Formiche. 1. /sis peloritana Seg. Seguenza G., Disquisizioni paleontologiche intorno ai Corallari fossili delle rocce terziarie del distretto di Messina, dispensa II, pag. 16, tav. I, leso (abc, 046): Non ho che un piccolo frammento della parte basale, di circa mm. 20 di lunghezza. Rio Baccanello. 2. Caryophyllia Gemellariana Seg. Seguenza G. 0. cit., pag. 22, tav. II, fig. 2, 2a. Balzo sinistra Idice. 3. C. geniculata Seg. Seguenza' G. 0d:\cif. pag: 28, tav. Il, fig.i3; 3a; 3/b. Balzo sinistra Idice; Rio Baccanello. 4. Ceratocyathus ecostatus Seg. Seguenza G., 0). cit., pag. 50, tav. V, fig. 8. llisettideluròie:fe? ciclo pisì alzano maggiormente sul bordo superiore, formando delle creste fuori del limite della muraglia. Balzo sinistra Idice. 5. C. conulus Seg. Seguenza G., of. ciît., pag. 41, tav. IV, fig. 7, 7a. Balzo sinistra Idice. 6. Trochocyathus bellingerianus Michelin. var. cristata Osasco. Michelin H., Zconogr. Zooph., pag. 41, pl. 9, fig. 3 (Zurbinolia). Paris 1840-1847. — Osasco E. Di alcuni corallari miocenici del ‘Piemonte. Acc. R. d. Sc. d. Torino, anno 1896, pag. 12, fig. 44. Le costole della muraglia arrivano fino alla base del corallo, contraria- mente alla forma figurata dal Michelin, nella quale si arrestano circa alla DIO MRSERTASANII (CIME DI PALEONTOLOGIA sua metà. Nell’ esemplare figurato dalla Osasco, si continuano, come nel no- | stro, per tutto il corallo. A Rio Baccanello. vi 7. T. affinis Reuss. Reuss, Die fossilen Korallen des oesterreichischen - ungarischen Miocins, si Sears dadi rarotaf LIM fior, Rio Baccanello. D 8. 7. ambignus Mich. : È si Reuss, of. cit. \ q È Rio Baccanello. a: Pa 9. Ceratotrochus tyvpus Seg. sp. Seguenza G., of. cit., pag. 83, tav. X, fig. I - Sittonelli Met Gli antozoî pliocenici del Ponticello di Savena preso Bologna. Palaeontographia Italica, Vol. I, 1895, pag. 163 (15), tav. VIII, [I], fig. 17, 18. È È un piccolo esemplare che assomiglia più alla forma bolognese che a È: i, ì quella tipica illustrata dall’ autore della specie. va Pi Balzo sinistra Idice. cai 10. A/abellum avicula Micht. var. siciliensis M.- Edw et H. Simonelli V., Arfozoi neogenici del Museo parmense, Palaeontographia "JE Italica, Vol. II, tav. XXIII, fig. 6, 8. ;9 È Rio Baccanello. va II. Cyphastraea turonensis Mich. sp. Machelin!H., opel, pae. 312,pl. 75, fig: 1,2; 20 Rio Baccanello. «drag 12. C. obliqua Felix. Felix I., AoraMlen aus digyptischen Miocinbildungen. Zeitschr. "i d. Deutsch. seol. gesell., Bd. 55, pag. 12,.taf. I, fig. 7. Corrisponde alla descrisione e figura che ne da l’autore della specie. 1 dA È un esemplare di dimensioni limitate in cui si rileva che i singoli setti * fi sono sporgenti assai dal piano Le: calice, e alquanto meno stipati fra di loro. SE; "I Rio Baccanello i BO: È 13. Megocardita Jouanneti (Bast). 9 var. dertavicula Sacco. Hi È: Sacco F. / molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria, Va i parte XXVII, pag. 9, tav, III, fig. 6, 7, 8, Torino, Clausen, 1899. i 50 È; Ho diversi frammenti di questa caratteristica bivalve tortoniana. te; i Le coste radiali sono ben convesse e divise tra di loro da solchi pro- Pi: fondi e assai larghi. ” IR 14 RIVISTA ITALIANA Balzo sinistra Idice. — Rio Baccanello. 14. Exogyra miotaurinensis Sacco. Sacco F., of. cit., parte XXIII, pag. 30, tav. IX, fig. 15-33, Torino, Clausen, 1897. î Ho una valva sinistra, col tenue guscio abbastanza ben conservato. La forma è distintamente subtrigona, ovale, profondamente cucullata. All’ a- rea cardinale la valva è piuttosto corrosa: ma restono ben visibili i carat- teri distintivi. La lunghezza è di mm. 22, la larghezza mm. 22. Rio Baccanello. È 15. Amiantis gigas Lk. ‘ Sacco F., op. cit., parte XXVIII, pag. 24, 25, tav. VI, fig. 1, 2, To- rino, -Clausen, 1900. È un riferimento assai dubbio non possedendo che un frammento di valva, in cui peraltro è conservata intatta l’area cardinale e Re Rio Baccanello. = 16. Venus multilarmella (Lk). var. glabroides Sacco. i Sacco F., 09. cit., parte XXVIII, pag. 32, tav.. VIII, fig. 17, 18, To- rino, Clausen, 1900. 58 Balzo sinistra Idice. 17. Dentalium dentale (L.). Sacco F., 0). cif., parte XXII, pag. 3104, tav. VIII, fig. 71, Torino, Clausen, 1897. Per il numero, la grandezza, l’ andamento delle costole alternantesi con altrettante costicille, corrisponde alla descrizione e figura data dal Sacco. Forse è una di quelle forme del miocene, come avverte il suddetto au- tore, che si identificano con la comune forma pliocenica. Rio Baccanello. Balzo sinistra Idice. 18. Bolma rugosa (Zurbo r1g:050s) (Lo) var. fuberculata Serr. Hòrnes, Die fossilen Mollusken tertiàr ‘BO von Wien. Vol. I, pag. 432, tav: XLIV, fig. 2, 3, 1856. — Sacco. 0). cit., parte XXI, pag. 10, tav. I, fig. 18, Torino, Clausen, 1896. I tubercoli nel ventre dell’ anfratto non sono visibili che nella parte api- cale. L’ acutezza della spira, la forma dell’ anfratto presso la bocca, l’aper- tura e disposizione della bocca rispetto all’ anfratto, inducono ad assegnare gli esemplari dell’ alta valle dell’ Idice, alla forma piemontese. Balzo sinistra Idice. i 19. Ampullotrochus granulatus (Born.). DI PALEONTOLOGIA var. Zaureata (May.). Sacco F., of. cit., parte XXI, pag. 42, tav. IV, fig. 34, Torino, Clau- sen, 1896. La conchiglia mostra oltre ai cingoli ornamentali caratteristici presso la sutura, minutissime costicine spirali per tutta la superficie degli anfratti. Balzo sinistra Idice. Oxvstele Amedei (Brong.). Sacco F., of. cit., parte XXI, pag. 26, tav. III, fig. 20, Torino, Clau- sen, 1896. Rio Baccanello. 21. Turritella turris (Bast.). var. stazzanensis Sacco. Sacco F., of. cif., parte XIX, pag. 4, tav. I,* fig. 10, Torino, Clausen, ‘ 1895. Dalla 7. furris (Bast.) tipica si distingue oltre che per i caratteri rile- vati dal Sacco, anche per la minore convessità degli anfratti. Rio Baccanello. 22. Zagabria (Turritella) subangulata (Br.). var. depressecarinata Sacco. Sacco ‘E.,.\0f. ci, parte XIX, pag. IT;itav: I, fig. (32, Torino, Clau- sen, 1895. Ho diversi esemplari ma tutti in cattivo stato di conservazione. Presen- tano la caratteristica depressione al mezzo della spira, tanto che le due co- sticine spirali limitanti la depressione, superiormente e inferiormente, ap- | paiono più elevate delle altre. x Rio Baccanello. Balzo sinistra Idice. 23. Haustator (Turritella) marginalis (Br.). Brocchi, Conchiologia fossile subappennina, Vol. II, pag. 373, tav. VI, fig. 20. . Sacco F., 09. cît., parte XIX, pag. 16, tav. I, fig. 55, Torino, Clausen 1895. Più che alla descrizione e figura. data dal Brocchi, si identifica col fos- sile illustrato dal Sacco. Alquanto più numerose sono le strie per ogni sin- golo anfratto, e manca, o almeno è ‘pochissimo distinta, la carena prossima alla sutura. Rio Baccanello. 24. Ti urritella tricarinata Br. / var. miofasciata Sacco. Sacco F., 0p* cif., parte XIX, pag. 7, tav. I, fig. 18, Torino, Clausen | 1895. 16 RIVISTA ITALIANA n Un solo esemplare, ben conservato. La spira è un po’ più depressa della forma di Stazzano : il numero e le dimensioni delle costicine spirali corrispondono alla varietà del Sacco. Rio Baccanello. 25. 7. tricarinata (Br.). Sacco F., of. cit., parte XIX, pag. 5, tav. I, fig. r4, Torino, Clausen, 1895: Rio Baccanello. 26. 7. terebralis Lk. var. subgradata Sacco. Sacco F., op. cit., parte XIX, pag. 9, tav. I, fig. 26, Torino, Clausen, 1895. i. È comune nel deposito di Rio Baccanello. L’angolosità della parte superiore dell’ anfratto, è assai pronunziata. Fra le 4 coste spirali ben distinte ed elevate, altre ve ne sono assai tenui, poco distinte. Rio Baccanello. 27. Mathilda (Turritella) Semperi Tour. Sacco F., 0). cit., parte XIX, pag. 35, tav. III, fig. 31, Torino, Clausen, 1895. i 3 Non ho esitato nella determinazione di questa forma benchè sia dal Sacco indicata come esclusiva del piacenzano di Bacedasco. D’ altra parte non è assolutamente possibile ritenerla una forma ano- mala della 5. guadricarinata, con la quale ha pur comune diversi caratteri, perchè sono evidentissime le due carene predominanti nella parte mediana dell’ anfratto. Rio Baccanello. 28. Neverita (Natica) Josephynia Risso. var. clausodepressa Sacco. Sacco. F.., nd. cit, ‘parte ‘VI, ‘pas..\86,0tav. I xhg.,53, Lorin; Clausen 1891. i La forma di Val d’Idice è straordinariamente depressa: il solco om- bellicale è ben marcato e raggiunge quasi l’ apertura Docs Balzo sinistra Idice. 29. Natica epiglottina Lk. Sacco F., of. cit., parte VIII, pag. 57, tav. II, fig. 24, Torino, Clausen, i 1891. i È rara nelle formazioni dell’ Idice. La conchiglia raggiunge le dimen-. sioni medie segnate nell’ opera del Sacco. L’ ultimo anfratto, sviluppatissimo, è assai rigonfio: la spira non molto depressa. DI PALEONTOLOGIA L’ombellico, per quanto è dato vedere negli esemplari alquanto erosi, è notevolmente aperto. . Rio Baccanello. 30. N. epiglottina Lk. var. acuminata Sacco. i Sacco F., op. cit., parte VIII, pag. 60, tav. II, fig. 30, Torino, Clausen, 1891. Rio Baccanello. 31.-Naticina catena (Da Costa). var. varians (Duj.). | Sacco F., 0. cit., parte VIII, pag. 69, tav. II, fig. 41, Torino, Clau- sen, 1891. Il carattere principale che la distingue è il minore rigonfiamento del- l’ultimo anfratto, il quale è però assai sviluppato. Questo carattere ta si che la spira risulta assai più acuta e slanciata delle altre varietà della N. catena. i Balzo sinistra Idice. 32. Polinices proredempta Sacco. var. fauromamilla Sacco. Sacco F., 10). cit.,, parte VIII, pag. 94;. tav. II, fig. 73, a, by, Torino, Clausen, 1891. i Sono due piccoli esemplari, abbastanza ben conservati. Uno presenta ancora una distinta colorazione rosea. Le suture sono ben visibili, contra- riamente a quanto è detto nella diagnosi del Sacco. Balzo sinistra Idice. 33. Halia praecedens Pantanelli. var. fauroparvula Sacco. :Sacco F., of. cif., parte XIV, pag. 33, tav. II, fig. 41, Torino, Clausen, 1893. i; Ho due esemplari di questa elegante forma. Per alcuni caratteri, po- trebbe avvicinarsi ed alcune varietà dell’ //aZia priamus, quale la var. ovatula . Sacco. Con questa ha comune il carattere del grande sviluppo dell’ ultimo anfratto in confronto degli altri, che, tutti assieme, non rappresentano che i 5/4, dell'intera conchiglia. Ma le dimensioni minori, la lieve profondità delle suture, le quali ap- punto come osserva il Sacco in alcuni esemplari sono mascherate da una ‘ pellicola calcarea, consigliano a riferirla alla var. fauroparvula Sacco. Balzo sinistro Idice. È i 34. Zonarta (Cypraea) Pavicula (Lk.). Sacco F. op. cit., parte XV, pag. 30-32, tav. II, fig. 37, Torino, Clau- sen, 18094. Un solo esemplare, non molto ben conservato, essendo eroso attorno alla bocca. Ma per la forma generale, per il numero e le dimensioni dei . . . È, È : . ) - < denti, per le dimensioni e 1’ andamento dell’ apertura boccale, mi pare si possa riferire con sufficiente sicurezza alla specie di Lamark. Rio Baccanello. 35. Eudolium fasciatun no var. Pluricostata Sacco. Sacco F., of. cit., parte VIII, pag. 16, tav. I, fig. 21, Torino, Clau- sen, I1S9I. È forma abbastanza comune. Vi sono esemplari piccoli, che presen- tano la caratteristica ornamentazione di diverse costicine intercalate fra le coste i spirali più grosse, e altri in cui solo due costicine vi sono, una da una parte e una dall’altra, lateralmente ad una terza più prominente. Rio Baccanello. 36. Ficula geometra (Borson). var. derilla (De Greg.). Sacco F., of. cit., parte VIII, pag. 32, tav. I, fig. 41, Torino, Clau sen, 189I. Balzo sinistra Idice; Rio Baccanello. 37. Eburna Caronis (Brong.). Hormnes, 0f-:ct., Vol IH) P,139,«tav. ao dro Ho esitato nel riferimento di questa forma miocenica di Monterenzo, molto più che l’ esemplare è deteriorato nella parte superiore dell’ ultimo. anfratto. Stando agli esemplari descritti e illustrati dal Bellardi (1) potrebbe anche venire riferita alla Nassa mutabilis (L.). Ma confrontata con le forme del bacino di Vienna, mi sono deciso per l’assegnazione alla specie del Brongnart. Le dimensioni maggiori, il solco profondo alla sutura, la nitidezza degli anfratti, la forma e l'espansione del labbro della bocca, sono tutti caratteri che confortano al riferimento fatto. Balzo sinistra Idice. 38. Nassa Cocconii Bell. Bellardi L., Z m20/luschi dei terveni ser ziari del Piemonte e della Liguria, parte III, pag. 79, tav. V, fig. (a; b.), Torino, Loescher, 1882. (1) Bellardi L., 7 molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria, parte III, pag. 24 tav. I, fig. 20, 21, Torino, Loescher, 1882. uu: i 19 È } * 4 x 4 $ | DI PALEONTOLOGIA Ho esitato nel riferimento specifico, fra la N. Cocconti Bell., e la N. proavia Bell. Tutti gli anfratti, eccetto l’ultimo, sono sprovvisti di costole trasverse: e per questo carattere potrebbe meglio riferirsi alla N. proavia Bell. Ma per la maggiore acutezza della spira, per la minore estensione del callo o labbro sotto la bocca, per la torma generale della spira, mi sono deciso per la N. Cocconii Bell. Rio Baccanello. 39. Nassa proavia Bell. Bellardi L., op. ciz., parte III, pag. 79-80, tav. V, fig. ro (a, b), To- rino, Loescher, 1882. Un esemplare, più piccolo di quello figurato dal Bellardi, corrisponde perfettamente. In qualche altro, non si riscontra il solco presso la sutura inferiore. Balzo sinistra Idice. 40. Nassa attilis Bell. Bellardi L., of. c:f., parte III, pag. 85, tav. V, fig. 16 (a, b), Torino, Loescher, 1882. Presentano gli esemplari di Monterenzo gli anfratti meno rigonfi degli esemplari di Piemonte. Come pure altro carattere che non si osserva, od almeno non è notato, è una stria più marcata delle altre, al basso dell’ an- fratto, verso la sutura. Rio Baccanello, 4t. Nassa semicostulata Bell. Bellardi L., 06. cif., parte III, pag. 82, tav. V, fig. 15 (a, b), Torino, Loescher, 1882. Possiedo un solo esemplare. È di dimensioni un po’ più piccole di quello figurato dal Bellardi: per quanto la mancanza della parte superiore dell’ ultimo anfratto non permetta di misurarne l’ esatta grandezza. Il labbro pure è alquanto più espanso e sviluppato da quanto ci è dato vedere nella conchiglia illustrata dall’ autore della specie. Balzo sinistro Idice. 42. Porphyria longispira Bell. i; Bellardi L., of. cif., parte III, pag. 209, tav. XII, fig. 22, Torino, Loe- scher, 1882. Fra la ?. /ongispira e la P. scalaris, figurate vicine nell'opera del Bel- lardi, le differenze più notevoli sono queste: la /ongispira presenta un mag- giore rigonfiamento nell’ ultimo anfratto, tanto che la conchiglia riesce più ovoide, e i singoli anfratti si susseguono senza che dall’ uno all’altro vi sia lo scalino, dal quale appunto prende il nome’ la specie nella seconda forma figurata. Lp 20 RIVISTA IPALIANA - --- - L’esemplare di Baccanello corrisponde esattamente tanto nella descri- zione quanto nella figura alla conchiglia trovata nel miocene dei colli torinesi. Rio Baccanello. 43. Phos orditus Bon. Bellardi L., of. cil., parte III, ‘pag. ‘6, tav... Li fig. 04 (abi (Rorioo; Loescher, 1882. l Non vi sono osservazioni notevoli da fare su questo fossile di Monte- renzo. Forse l’ anfratto ultimo è un pò meno rigonfio nella sua parte media- na, ed è meno accentuata quella specie di carena, che, su ogni anfratto, si forma ai */, in basso verso la sutura. Rio Baccanello. Balzo sinistra Idice. 44. Marginella (Glabella) Deshayesi Micht. Var subdentata Sacco (= var. A. Bellardi). Sacco F. op. cit,, parte XXX, pag. 91, tav. XIX, fig. 40, Torino, Clausen, 1904. ; Ho trovato due soli esemplari nei giacimenti dell’ Idice. Sono .incom- pleti, mancando della porzione dell’ ultimo anfratto presso la bocca. Sono per altro ben visibili le caratteristiche pieghe columellari, in numero di quattro. Balzo sinistra Idice. 45. Mitra cfr. alligata Dfr. var. aequopersulcata Sacco. È Sacco F., of. cif., parte XXX, pag. 83, tav. XVIII, fig. 43, 44, Torino, Clausen, 1904. i Non ho trovato nell’ opera del Bellardi-Sacco, alcuna forma miocenica da identificare con quello di Monterenzo. La conchiglia è a spira acuta con gli anfratti pianeggianti, con l’ ultimo leggermente rigonfio alla parte mediana. La coda è acuta e distintamente. ripiegata all’ infuori. Le suture sono ben profonde e fortemente inclinate sull’asse della conchiglia. Tutti gli anfratti sono solcati da 5 o 6 strie ben mar- cate, regolarmente distribuite. La riferisco solo comparativamente alla forma pliocenica I. a/igata var. A di Bellardi. Questi riferisce le forme mioce- niche analoghe alla a//igafa Dfr., alla suballigata. Ma questa nell’ opera sud- detta (Bellardi, of. cif,. parte I, pag. 71, tav. IV, fig. 15, Torino, Loescher 1872), difterisce dalla forma tortoniana di Monterenzo per essere più ri- gonfia nell'ultimo anfratto, per avere le suture formanti angolo retto con } asse della conchiglia, e per avere la coda meno lunga, meno slanciata, e meno ricurva all’ infuori. ©. Balzo sinistra Idice; Rio. Baccanello. DI PALEONTOLOGIA 46. M. praecedens Bell. Bellardi L., of. cif., parte V, fasc. 1°, pag. 75, tav. IV, fig. 17, Torino, Loescher, 1887. Ho solo un piccolo esemplare raccolto nel giacimento a sinista dell’ Idice. È un pò deformato perchè schiacciato lateralmente. Le suture sono più marcate che nell’ esemplare piemontese, e l’ ultimo anfratto è di dimensio- ni un pò inferiori rispetto agli altri. Per questi caratteri potrebbe riferirsi alla JM. zizo/ensis Bell., dalla quale per altro difterisce nella forma, essendo. più rigonfio l’ ultimo anfratto. An- che la conchiglia di Monterenzo ha i solchi spirali ben distinti, specialmen- te quelli prossimi alla sutura. Balzo sinistra Idice. 47. — M. contermina Bell. Bellardi L., op. cif., parte V, fasc. 1°, pag. 83, tav. I, fig. 31, Torino, Loescher, 1887. Un solo esemplare trovato nel Rio Baccanello. Come osserva il Bel- lardi, gli anfratti sono realmente meno rigonfi della /. Sismondae Mich. Tut- tavia le strie, o piccoli solchi, sono minutissime, regolari e tanto numerose come nella Sismordae. Rio Baccanello. 48. Ancillaria glandiformis Lk. var. E. Bellardi. Bellardi L., op. cif., parte III, pag. 225, tav. XII, fig. 41, Torino, Loe- scher, 1882. Non ho che un esemplare di Monterenzo di dimensioni assai piccole (mm. 13 X mm. 9). La brevità della spira, il rigonfiamento o sporgenza dell’anfratto in corrispondenza della bocca al suo margine posteriore, persuadono della e- sattezza della determinazione. Balzo sinistra Idice. 49. — A. glandiformis Lk. var. anguloseinffata Sacco. SACCORHSMop.toie, parte XXX, pag. $o, tav. XVII, fig. 70, Torino, Clausen, 1904. Balzo sinistra Idice. 50. — A. glandiforris Lk. var. dertorugulosa Sacco. Sacco F., 0). cit., parte XXX, pag. 80, tav. XVII, fig. 71-73, Torino, Clausen, 1904. 22 RIVISTA ITALIANA | Rio Baccanello. 51. A. obsoleta (Broc.). var. breviobsoleta Sacco. Sacco F., of. cif., parte XXX, pag. 79, tav. XVII, fig. 58-59, Torino, Clausen, 1904. | Balzo sinistra Idice; Rio Baccanello. 52. Subula plicaria (Bast.). var. fuscomodesta Sacco. Sacco, F.,_op. cit... parte X, pag. (14,.tav. I, fig...i2i,. Torino; Clansen, 189I. È un solo esemplare, non molto ben conservato. Gli anfratti abbastanza rigonfi, la mancanza del solco vicino alla sutura, e la sutura notevolmente profonda caratterizzano questa forma e l’ identificano a quella di giacimenti di Torino. Balzo sinistra Idice. 53. Pleurotoma coronifera Bell. Bellardi L., of. cif., parte II, pag. 34, tav. I, fig. 20 (a, b.), Torino, Loescher, 1877. Più che alla figura, corrisponde alla descrizione che ne dà il- Bellardi. E un esemplare più piccolo di quello illustrato (num. 20). Presso la sutura, gli anfratti inferiormente, più che rigonfiati, presentano una zona distintamente pianeggiante. Balzo sinistra Idice. 54. Surcula consobrina Bell. i Bellardi.;L.;:.05. ct.,.parte.II) pas. ‘73; tav... hg.#25, Dorme og: scher, 1877. ; È una forma rara di Rio Baccanello, che riferisco a quelle del miocene superiore dei colli tortonesi. Corrisponde per la curva degli anfratti, per il numero e le dimensioni e l'andamento delle coste, e specialmente per quella specie di cingolo che è formato dall’ anfranto nella sua estrema parte inferiore, presso la sutura. i È un individuo piccolo, misurando appena mm. 20 per mm. 5. Rio Baccanello. i 55. Oligotoma sp. ind. Non ho trovato da riferirla con sicurezza ad alcuna delle numerose for- me del miocene del Piemonte e della Liguria. La spira è acuta, fusiforme come all’ incirca la O. infersecta (Dod.) (1), o anche la O. fbercolata (Pusch.). (1) Bellardi L., op. cit., parte II, pag. 238, tav. VII, fig. 24, Torino, Loescher 1877. PR DI PALEONTOLOGIA (1). Ma la bocca è assai più aperta ed ovale, e l’ ornamentazione degli an- fratti è tutta diversa. Gli anfranti sono pochissimo distinti fra loro, essendo assai pianneggiati e le suture appena visibili fra le numerose costicine che solcano per il lungo tutta la conchiglia. Ogni anfratto presenta quattro coste spirali ben distinte: due presso la sutura inferiore, e due presso la sutura ‘superiore meno distinte delle prime. In mezzo, una serie di nodi, disposti a cingolo continuo, decorrenti spiralmente per tutta la conchiglia. Fra que- sta serie di nodi e le coste, tenui striature trasversali visibili specialmente i negli ultimi anfratti. Su tutta la coda si nota una evidente ornamentazione i di costicine formanti maglie, tagliate lungo l’ asse della conchiglia da strie | profonde, forse strie di accrescimento. i Rio Baccanello. LS | 56. Drillia cfr. Galerita (Phìl.). «Si | Bellardi L. oò. cif., parte II, pag. 123, tav. IV, fig. 13, Torino, Loe- scher, 1877. Ho un solo esemplare, in cattivo stato di conservazione essendo cor- roso in tutta la sua lunghezza. To angolo della spira, l’ andamento degli anfratti, il numero e la dispo- sizione dei tubercoli al ventre degli anfratti, 1’ ornamentazione generale della conchiglia, per quanto questa sia sciupata, mi hanno persuaso a raffrontare il fossile di Monterenzo alla D. Galerita (Phil). Balzo sinistra Idice. 57. Pseudotoma cfr. Bonellii Bell. Bellardi L., of. cif., parte II, pag. 218, tav. VII, fig. 13, Torino, Loe- scher, 1877. Ho un esemplare unico, trovato nelle marne dell’ Idice, che conserva ancora il suo colore roseo. Senza la coda dell’ ultimo anfratto, misura mm. 12 XX 7. Le differenze dalla P. Bomne/lii Bell. tipica sono: gli anfratti non sono divisi da suture così profonde; le costole trasversali alla spira sono meno acute e meno numerose; le costicine lungo la spira sono regolari, ben prominenti nella ‘parte superiore dell’ ultimo anfratto e sulla coda, e sono in numero di 6. Balzo sinistra Idice. 58. Clavatula sp, É Ho trovato diversi esemplari alla sinistra dell’ Idice e al Rio Bacca- nello e tutti in cattivo stato di conservazione. Per alcuni caratteri la CZavafu/a di Monterenzo si avvicina alla /aciziata (1) Bellardi:L., of. cià., parte II, pag. 239, tav. VII, fig. 26, Torino, Loescher 1877. RIVISTA ITALIANA Bell., var. acuminata Sacco (= var. A. di Bellardi) (1). Ma la spira è meno acuta ricordando per tale carattere la C. basilica Bell. i Ogni anfratto presenta un ordine di grossi tubercoli, e 1 ultimo anfratto due ordini di tubercoli ben distinti. Fra i due ordini di tubercoli corrono tre costicine spirali con andamento ondulato, accompagnando le sinuosità formate dai tubercoli. Similmente sopra il 2° ordine di tubercoli (il supe- riore, verso la coda) la conchiglia è ornata di costicine spirali contigue, pure ondulate secondo le convessità formate dai nodi, che si continuano per tutta la lunghezza della coda. Gli anfratti presentano suture appena di- stinte, essendo mascherate prevalentemente dalla sovrapposizione della parte posteriore dell’ anfratto successivo. i I due cingoli di nodi negli anfratti anteriori all'ultimo vanno man mano riducendosi, tanto che ai primi anfratti la conchiglia mostra un solo cingolo di nodi. Qualche costicina spirale, benchè meno distinta, si continua per ogni singolo anfratto, più precisamente nella metà posteriore di esso. Balzo sinistra Idice. Rio Baccanello. 59. Athoma hypothetica Bell. Bellardi L., 0f., cif., parte II, pag. 324, tav. IX, fig. 39, Torino, Loe- scher, 1877. 60. Conus oblongoturbinatus (Grat.). var. faurogracilis Sacco. Sacro hi;? 02. 6. parte XIII, \pag:353; tav: vi fig. 23, Torino, ‘Clausen, 1893. Rio Baccanello. 61. Dendroconus Berghausi (Micht.) var. exfuscocingulata Sacco. Sacco F., of. cit., parte XIII, pag. 8, tav. I, fig. 12, Torino Clausen, 1893. Rio Baccanello. 1 62. Leptoconus Allionit (Micht) var. conicospirata Sacco Sacco F., op. cit., parte XIII, pag. 33, tav. IV, fig. 8, Forino, Clau- sen, 1393. Rio Baccanello. 63. L. Allionii (Micht). var. oblita Sacco. Sacco F., of. cît., parte XIII, pag. 34, tav. IV, ftg. 13, Torino, Clau- sen, 1893. (1) Sacco F., of. cit., parte XXX, pag. 48, tav. XII, fig. 67, Torino, Clausen, 1904. DI PALEONTOLOGIA Rio Baccanello. 64 L. Allionii (Micht). Sacco F., of. cit., parte XIII, pag. 32, tav. IV, fig. 6, Torino, Clausen, 1893. Balzo sinistra Idice. 65. Cylichnina intermedia Sacco. Sacco F., 0). cif., parte XXII, pag. 53, tav. IV, fig. 31, 32, Torino, Clausen, 1917. È un un solo esemplare che ho trovato nel giacimento a sinistra del- l’ Idice. Per la gracilità della conchiglia, per la presenza del piccolo ombellico, per il restringimento superiore dell’ ultimo anfratto e conseguente allargamen- to dell'apertura boccale, per la sporgenza e gracilità del labbro esterno, mi sono indotto a riferire il fossile di Monterenzo alla specie tortoniana di Sacco. Balzo sinistra Idice. 66. Aturia Aturi (Bast.)? Sacco F., of. cit., parte XXX, pag. 6, tav. Mia fig. 1, 2, Torino, Clau- sen 1904 È un frammento che riferisco dubitativamente alla forma Elveziana, e il suo valore stratigrafico viene per di più diminuito dal fatto .di essere stato trovato erratico nel Rio Salomona. Rio Salomona. 67. Odontaspis sp. Un solo dentino, mancante delle radici e della corona : quindi di dub- bia determinazione. La forma slanciata, appiattita, i margini taglienti, la curva generale e altri caratteri secondari mi hanno indotto all’ assegnazione generica dell’ odontolite. i Balzo sinistra Idice. [N Bologna, R. Museo Geologico - 1 Gennaio 1917. RIVISTA ITALIANA SOPRA ALCUNI RESTI DI 7ESTUDO GRAECA LINN. NEL QUATERNARIO DI MONSUMMANO NoTA DI D. DEL CAMPANA I resti di 7estudo graeca Linn. de’ quali mi accingo a dare notizia mi vennero affidati per lo studio dal Prof. Carlo De Stefani. Furono raccolti a Monsummano nelle cave di travertino quaternario e si conservano nel Museo di Geologia e Paleontologia del R. Istituto di Studî Superiori di Firenze. Si tratta di tre esemplari di dimensioni piuttosto sviluppate, dei quali non ci rimane che il modello interno, essendo le piastre ossee quasi del tutto scomparse, sia in seguito al processo della fossilizzazione, sia e più specialmente all’ atto della escavazione dei fossili. Dei tre esemplari in discorso uno solo (A) si presenta completo ed è il più sviluppato in dimensioni; un secondo (B) manca, in parte, della re- gione anteriore; finalmente un terzo (C), ch’ è il più piccolo dei due altri, è costituito soltanto dalla metà posteriore. ile misure che ho potuto raccogliere su questi esemplari sono le. seguenti: Lunghezza approssimativa dello scudo, secondo la curva cm. Larghezza DU dello scudo a circa metà della lunghezza; secendo:la curva eg ee a Diametro antero-posteriore approssimativo del piastrone Diametro trasverso-anteriore approssimativo del piastrone Diametro trasverso-posteriore approssimativo del piastrone Altezza approssimativa del guscio . /. ...... >» 12 Altre misure ho potuto prendere sulle piastre ossee costali. Di queste si veggono ben delineate le linee di sutura, per la filtrazione della roccia fossilizzante negli interstizi delle varie piastre. Le cifre che seguono si rife- riscono solo al secondo esemplare (B) perchè è quello che, sotto tal riguardo, si presenta meglio conservato: DI PALEONTOLOGIA | 21 Piastra|3® Piastra|4® Piastra 5% Piastra|6® Piastra|7a Piastra, PAS Da ; FALGRI i ir mne, mm. 59 68 | 67 67 63 | a È | | © larghezza alla estremità superiore » | 1x6 | 26. 15 TRA AO Regi | Larghezza alla estremità inferiore » | 23 | RICO SE 25 I5 | Queste poche cifre servono per darci un’idea, sebbene lontana, dei | rapporti di dimensioni che corrono tra i fossili in parola e la 7estudo graeca Linn. alla quale se ne propone il ravvicinamento. Questa specie, come ognuno sa, non raggiunge che in casi ben rari le | dimensioni dei primi due esemplari (A, B) e segnatamente del più svilup- È | pato di questi; mentre gli erpetologi indicano in cm. 20 il limite massimo di lunghezza che la corazza può raggiungere nella 7esfudo graeca Linn (1). Qualche dato importante sullo sviluppo che questa specie può assu- 9 | mere ci è fornito dal Pantanelli in una sua memoria sopra una 7estuggine del Monte Amiata (2). Da cotesta memoria si ricava che il rapporto tra la lunghezza del piastrone e l'altezza del guscio, è espresso da una media di r,51 in 16 femmine e di 1,38 in undici maschi. In una mia breve nota sopra una 7esfuggine fossile del miocene supe- 5 riore di Salonicco (3), io ho riscontrato che questo rapporto può .salire “A in qualche esemplare di 7estudo graeca Linn. a 1,77, sorpassando in tal È modo il massimo rapporto trovato dal Pantanelli nelle femmine di questa |» specie, e che è di 1,59. i È Nella più grossa delle tre 7esfuggizi di Monsummano, il rapporto sale a 1,66; cifra che sebbene, come indicavo sopra, resulti da misure ap- prossimative, rientra però nei limiti riscontrati dal Pantanelli e da me per la Zestudo graeca Linn. (de Giova ora dir qualche cosa sui caratteri morfologici dei fossili in esame. Sa Io ho potuto osservare il modello interno del guscio in alcuni individui di 7estudo graeca Linn., e per quello che riguarda la posizione dei punti «di inserzione nello scudo, delle apofisi spinose, delie vertebre e delle coste, d non trovo differenze di sorta tra questa specie ed i fossili in parola. Nel maggiore degli esemplari studiati restano conservate sul lato sinistro bi: (1) Cfr. LorteT L. — Osservations sur les Tortues tevrestres et paludines du Bassin de la s Meéditerranée - Archives du Muséum d’Histoire Naturelle de Lyon - T. quatrieme Lyon 1887. È . (2) PANTANELLI D. — Testudo Amiatae n. sp. - Atti della Società Toscana di Scienze na- A naturali residente in Pisa - Memorie - Vol. XII Pisa 1892. (3) DkL Campana D. — Resti di Testudo nel Miocene superiore di Capudjlar presso Salo- ricco - Bullettino della Società Geologica Italiana - Anno 1917 - Vol. XXXVI - Roma. ni (RIVISTA ITALIANA © ‘alcune parti di piastre ossee costali, sulle quali si veggono abbastanza bene gli ornamenti delle placche cornee, corrispondenti, ‘che ricordano assai da vicino quelli della Zesfudo g7aeca Linn. Quanto alla forma generale del guscio essa ripete quella che si osserva nella specie ora ricordata, sia per la convessità dello scudo, quanto per a- vere il diametro trasverso-anteriore più breve del posteriore. Resi: Vero è che le dimensioni dei fossili fanno ripensare ad un’altra specie di 7estudinide, che per le sue dimensioni si avvicina maggiormente ai fossili. %. Intendo alludere qui alla 7estudo marginata Schoepf., nella quale la i; 1 È lunghezza del guscio raggiunge talora anche più di cm. 40 (-). Ma la mancanza nei fossili di un guscio a forma regolarmente ovale, ed O 8] CI ; il non presentare essi alcun accenno a restringersi lievemente ai lati, come accade appunto nella 7esfudo arginata Schoepf. sono argomenti i quali, i mentre escludono del tutto il riferimento dei nostri esemplari a questa spe- cie, ci convincono sempre meglio ch’ essi appartengono con tutta sicurezza alla estudo graeca Linn. È Altro carattere proprio di questa e pel quale le si avvicina in modo. speciale il più sviluppato degli esemplari di Monsummano, è dato dal bordo inferiore delle placche marginali posteriori. Questo anzichè segnare una linea orizzontale, come nella 7estudo marginata Schoepf., segna invece una linea obliqua e convessa in alto come nella 7esfudo graeca Linn. | Possiamo aggiungere, a conclusione delle nostre brevi osservazioni, che nei travertini di Monsummano, fossili di 7estudo graeca Linn. non sono rari a trovarsi, sebbene in condizioni di conservazione tutt’ altro che buona. De (1) LorTET L. — Of. cit. DI PALEONTOLOGIA SULLA PRESENZA DEL (CANZS) CERDOCYON MEGAMASTOIDES.POM. NEL PLIOCENE DEL VALDARNO INFERIORE . Ti Nota DI D. DEL CAMPANA (con Tav. I.) Nel decorso anno (1916) il Prof. Alberto Fucini, Ordinario di Geologia e Paleontologia della R. Università di Catania, faceva dono al Museo di Geologia e Paleontologia del R. Istituto di Studî superiori di Firenze, di un frammento di mandibola sinistra e di un secondo di metacarpale secondo destro, appartenenti senza dubbio ad un canide. Furono rinvenuti l’ uno e l’ altro a S. Giusto presso Empoli {Valdarno inferiore) nelle argille turchine che costituiscono localmente la parte inferiore del pliocene, e più precisa- mente nella cava di proprietà Chiarugi, La mandibola è rotta, anteriormente, in corrispondenza del Pm 4; po- steriormente è rotta poco sotto all’ apofisi angolare e manca per ciò di quest’ ultima, del condilo, oltre che della branca montante. Nessun dente si trova sulla mandibola; si vedono però assai ben con- servati, gli alveoli del ferino e dei due tubercolosi, i quali non permettono alcun dubbio sul riferimento del fossile al grande gruppo dei Caridi. Il carattere peraltro che in quello di preferenza colpisce e che ha per- messo di assegnarlo con sicurezza al Cerdocvon megamastoides Pom., si è la marcata dilatazione, o lobo subangolare, che la mandibola presenta nel tratto in cui va ad inserirsi il muscolo digastrico, e che costituisce appunto uno dei più singolari caratteri morfologici del Cerdocvon megamastoides Pom. del Pliocene superiore di Perrier in Francia. Basta infatti confrontare le figure da me date del fossile in questione, con )’ altra data dal Boule (1) per la specie ora citata, perchè non vi sia alcun dubbio sul riferimento da me fatto. (1) BouLe M. — Le Canis megamastoides Pom. du Pliocéne moyen de Perrievr (Puy-de-Dòme) - Bulletin de la Société Géologique de France - Troisitme série - Tome Dix-septième - 1888-89 Pag. 329 - Séance du 18 Fevrier 1889. ì RIVISTA ITALIANA Esaminando appunto dette figure si nota (fig. 1) che sul lato esterno il lobo subangolare cui sopra accennavo, corrisponde, come nel Cerdocyvor megamastoides Pom., alla cresta per l'inserzione del massetere, la quale va a terminare presso l’ apofisi angolare della mandibola, e che si presenta nel nostro fossile mancante in buona parte per rottura. Sul lato interno {fig. 2) la corrispondenza si ha invece col foro mascel- lare che si apre in alto, oltrepassato di poco il limite posteriore del lobo subangolare. I’ unica differenza che vien fatto di notare tra la mandibola di S. Giusto e quella di Cerdocyon megamastoides Pom. si è la maggiore espansione nella regione del digastrico, che la prima presenta in confronto alla se- conda. Lo stesso si potrebbe osservare confrontando colla mandibola figu- rata dal Gervais (1) del Cazis borbonicus Brav. sinonimo del precedente. Per: altro tale differenza non sembra essere di grande importanza, con- siderando la mandibola del Cerdocyon megamastoides Pom. figurata dal Pomel (2) e riportata anche dal Blainville (3). In questa l’ espansione nella regione del digastrico è anche maggiore che nel fossile da me esaminato; onde ne concludo che questo carattere andava soggetto a varianti individuali piuttosto notevoli. Tanto il Boule, quanto il Pomel, basandosi sullo sviluppo notevole delle inserzioni muscolari del digastrico e del massetere del Cerdòcyor . megamastoides Pom. sì da dar luogo, lungo il margine inferiore della man- dibola, a delle creste piuttosto sentite, ne traggono motivo a indurne un proporzionale sviluppo dei’ muscoli ora ricordati. Lo stesso si può asserire per la mandibola da noi presa in esame; la quale, per le ragioni esposte sopra, si trova intermedia tra la forma di Cerdocyon megamastoides Pom. studiata dal Pomel, e |’ altre della stessa specie studiate dal Boule e dal Gervais. Non ostante ciò, gli stessi caratteri peculiari dati dal Pomel e dal Boule per la mandibola del Cerdocyvon megamastoides Pom. ricorrono nel caso nostro. Infatti anche nella mandibola di San Giusto il margine inferiore, che limita posteriormente il lobo subangolare si dirige in alto curvandosi in ma- (1) GkRVAIS P. — Géologie et Palcontologie francaises - Nouvelles vecherches sur les animaua vertébres - Deuxième édition - Pag. 213, Tav. XXVII, fig. 7 - Paris 1859. (2) PomeL A. — Nouvelle espece de Chien fossile découverte dans les alluvions volcaniques de l Auvergne. - Canis megamastoides. — Bulletin de la Société Géologique de France, Tome qua- torzième - 1842 a 1843, Pag. 38, Tav. 1, fig. 4. (3) DE BrainviLLe Ducroray M. H. M. — Osteographie. Mammiféres carnassiers - Gen. Canis - Pag. 126, Tav. 13 - Paris. nile DI PALEONTOLOGIA 31 niera da dar luogo ad una concavità che va a terminare presso l’angolo della mandibola. Così pure la branca orizzontale della suddetta mandibola, sebbene in buona parte mancante, si rivela, come nel Cerdocyor megamastoides Pom., allungata, lateralmente compressa, e declinante in altezza dall’ indietro verso l’avanti; mentre la branca montante forma colla prima un angolo molto vicino al retto. Il Boule non ha dato per la specie ora ricordata l’ ampiezza di tale angolo; misurando sulle figure avrei ricavata la cifra di 97°, cifra che cor- risponde nella mandibola in esame a quella approssimativa di 989. Il Boule indica pel Cerdocvon megamastoides Pom. |’ altezza della branca orizzontale della mandibola, tra Pm. 2 e Pm. 4, in mm. 13. Si può rite- nere con assai fondatezza che, presso a poco, la stessa dimensione si riscon- trava nella mandibola da noi studiata; la quale, in corrispondenza del bordo posteriore dell’ alveolo di Pm. 4, misurava approssimativamente mm. 14. Pomel ha trovato la stessa cifra sulla mandibola da lui studiata. Il Boule ha dato altresi, in mm. 24, l'altezza della mandibola, subito dopo l’ultimo molare; a questa cifra corrisponde nella mandibola studiata dal Pomel, l’altra di mm. 29; ed in quella studiata da me la cifra di mm. 27. Tale differenza che di per sè non è aftatto grande, sta in relazione col diverso sviluppo che assume il lobo subangolare nella specie in questione. Come osservavo in principio nessun dente è conservato nella mandibola di San Giusto; ci conviene quindi limitare il nostro esame agli alveoli per risalire da quelli ad alcuno dei caratteri della dentizione. Intanto dalla loro posizione possiamo stabilire che i premolari e i molari, come nel Cerdocvon megamastoides Pom., erano disposti in serie pressochè rettilinea. L’alveolo di Pm. 4, dista per uno spazio di circa mm. 1 da quello di M. 1; circostanza la quale prova che nella mandibola in questione, come in quella della specie di Pomel, Pm. 4 era separato dal Ferino da un certo intervallo. i M re Mz invece, come si vede bene dagli alveoli, erano avvicinati tra loro, mentre M 3 era un po’ distaccato da M 2. Tali caratteri si ripetono appunto nel Cerdocyon negamastoides Pom. studiato dal Boule. Osservando nell’alveolo del M 1 il bordo superiore della cavità corri- spondente alla radice anteriore di questo dente, si può facilmente indurne come la cuspide anteriore di questo fosse piuttosto breve e slargata. Ove poi si consideri che alla cavità per la radice anteriore dovevano corrispon- dere presso a poco, come nelle Volpi, le due cuspidi del ferino, si può ap- RIVISTA ITALIANA Los plicare al caso nostro quanto il Boule osservò già pel Cerdocyon megama- stoides Pom. tipico, che cioè M 1 rassomigliava a quello della comune Volpe, ma era proporzionalmente più corto. L’autore ricordato osserva ancora che la lunghezza di M, e M; riu- niti uguaglia presso a poco, nella specie in questione, quella del M,; lo stesso accade pel fossile che stiamo esaminando. Ecco le misure ch'egli riporta di Pm. 4, e dei tre Molari del Cerdocyon megamastoides Pom., insieme a quelle che si ricavano misurando gli alveoli della mandibola da noi studiata. La lunghezza in quest’ ultima dell’ alveolo di Pm. 4, è data solo approssimativamente, per le ragioni già accennate in precedenza; nondimeno tutto fa ritenere che essa sia molto vicina alla lun- ghezza normale. È Giusto (Em- mastoides Pom. poli). Perrier (da Boule). Cerdocyon mega- Ss. Cerdocyon mega- mastoides Pom Lunghezza i 9* Larghezza 30 Lunghezza Larghezza al tallone 5:3 Lunghezza 8.5 8.4 Larghezza 5 4 Lunghezza 4.5 3-7 Larghezza 3.5 3.2 ‘ Tenuto conto della circostanza non trascurabile che le misure prese su- gli alveoli dànno cifre un po’ minori di quelle prese sui denti, si può facil- mente vedere che la corrispondenza tra le cifre delle due forme poste a raftronto, non potrebbe essere maggiore; ed è pur questo un argomento in favore della attribuzione da me fatta della mandibola studiata alla specie del Pomel. Vengo ora a dir qualche cosa del metacarpale secondo destro rinve- nuto insieme alla mandibola esaminata. Comparato coll’ omologo della Volpe comune (Vx/pes vulgaris Linn) e di uno Sciacallo ( YXos mesomelas Schreb), dell’ Eritrea, non è dubbio ch’egli appartenga ad un Canide. Mancando del suo terzo distale non è possibile dar misure sulla sua . DI PALEONTOLOGIA 83 lunghezza. Non si erra per altro osservando che mentre per la sua robu- i stezza era intermedio tra le due forme viventi sopra citate, si avvicinava «invece, se pure non l’oltrepassava, per la sua lunghezza allo Sciacallo. A questo proposito, non sarà inutile notare che il Boule pone la lun- | ghezza del metacarpale secondo di Cerdocvon megamastoides Pom. in mm. | 51; mentre nel 7%os mesomelas Schreb. da me esaminato la lunghezza del fi metacarpale secondo è di mm. 48,5, ed in quello di Vw/pes vulgaris Linn. è di mm. 37. Le sole misure che io ho potuto prendere sul metacarpale di S. Giusto sono indicate nel seguente specchietto, dove si veggono poste a raffronto con quelle delle due specie viventi sopra citate, poichè mancano nelle me- « — morie del Pomel e del Boule le misure corrispondenti relative al Cerdocyor | megamastoides Pom. Giusto - Empoli. Schreb - Colonia vulgaris Linn. - Toscana. Vulpes Thos - mesomelas Eritrea. Cerdocyon mega- mastoides - San Diametro antero-posteriore dell’estremità distale mm. 8 uee) (911 T 7 |‘ Diametro trasverso massimo dell’ estrem. distale » 4 5 5 Quanto ai caratteri morfologici del nostro fossile e più particolarmente quelli delle faccette d’ articolazione coi Metacarpali primo e terzo e col Ra- 9 1 dio, come anche per la inserzione muscolare posteriore, piuttosto allungata, esso fossile si avvicina di preferenza alla specie di Sciacallo ricordata sopra, E, piuttosto che alla comune Volpe. Py, ri * > Il Boule nella sua interessante memoria sulla specie in questione ne mise è ampliamente in rilievo le affinità ch’essa presenta pei caratteri della sua dentizione colle specie mioceniche di Cyrodictis e di Cephalogale. Al con- trario il cranio ricorda assai bene, secondo le osservazioni del Boule, quello di Vulpes vulgaris Linn.; mentre la mandibola presenta molte somiglianze coll’ Ofocvon megalotis Desm. dell’Affrica australe, non che colle specie ame- ricane Cerdocyon cancrivorus Desm., Cerdocvon Azarae Wied., Urocyon ci- nereoargentatus Mill. A queste ultime, dopo i confronti ch'io ho potuto eseguire, deve aggiungersi anche MNotocvon parvidens Miv. sempre deo il perfetto sincronismo. ser aranniT NECA SLI Mii ps E: Se SON cn " ti MER Re ITALIA) N Cerdocyon megamastoides Pom. Fig. 1 - Branca sinistra di mandibola veduta dal lato esterno.. » 2 - La stessa veduta dal lato interno. » 3- La stessa veduta di sopra. À Rivista Italiana di Paleontologia Finno XXIII, - Tav. L vo) 5) PA STAB- FOTOMECCANICO E FOTOCHIMICO ING- ARTURO ALINARI - FIRENZE Fasc, Ill, IV. RIVISTA ITALIANA Soria DI PALEONTOLOGIA REDATTORE P. VINASSA pe REGNY SOMMARIO Si; SONIA? La Db x I. PUBBLICAZIONI ITALIANE: ts A Sangiorgi D., SeraG.L.) (Airaghi C., Canavari M., Del | II. Vinassa de Regny P. — Coralli Campana. D., Dainelli G., Por- devoniani della Carnia. ‘p AR M A -RIvISTÀ Inantana DI PALEONTOLOGIA La Rivista si pubblica trimestralmente in fascicoli © Ci circa 32 pagine con tavole o figure. é Abbonamento annuale L. 8 - Per l' estero le; 10 Non si vendono fascicoli separati autori di note originali o di recensioni possono | avere sino a 50 estratti, con copertina, al prezzo seguente Per copie Per copie 25 SÉ 50 Con copertina 3,00 SULA 5,00. | 8,50 7,00 | 12,00 0,00 - | 15,00 Con copertina \ stampata - N. B. - L'importo degli ELritti dovrà i inviarsi snficigarmznito in caso. contrario la spedizione di essi verrà fatta contro EGO; % LEE lettere e vaglia a: î o RIVISTA ITALIANA DI PALBONTOLOGIA | Res Università — PARMA. iti ai - dl Vr ata Anno XXIII 1917 Fasc. III-IV RASSEGNA DELLE PUBBLICAZIONI ITALIANE ArraGHI C. — Sui molari d’ elefante delle alluvioni lombarde con osservazioni sulla filogenia e scomparsa di alcuni pro- boscidati. — Soc. It. Sc. Nat. e Mus. Civ. di St. Nat. di Milano — Memorie, vol. VIII., fasc. III pag. 191-242, con 3 tav. e 4 fig. intercalate nel testo - Pavia 1917. Vengono descritti in questo lavoro numerosi molari di elefanti delle alluvioni lombarde, appartenenti alle collezioni paleontolo- giche della R. Università, del Museo Civico di Pavia e del Museo di Storia Naturale di Milano: nel contempo l’A. ha avuto l’ occa- sione di rivedere la determinazione del ricco materiale già illu- strato da molti paleontologi, specialmente di quello rinvenuto nei giacimenti d’ Italia. Ma il maggior interesse del lavoro è dato non tanto dalla de- terminazione delle diverse specie, quanto dalla possibilità che si è presentata all’ A. di portare, con dati desunti da caratteri fissi dei molari (spessore delle lamine = quoziente tra la lunghezza del dente e il numero delle lamine e indice lamellare = quoziente tra la lar- ghezza del dente e lo spessore delle lamine), un maggior contributo alla conoscenza della filogenia degli elefantidi. . Negli elefanti le lamine, indipendentemente dal loro numero, sono sempre più grosse nelle specie più antiche e più sottili nelle più recenti ; il loro spessore diminuisce gradatamente nelle specie che si susseguirono nel tempo ; l’ indice lamellare invece è sempre diverso per specie che hanno spessore lamellare eguale, di modo che queste possono esser nettamente separate in tre gruppi che lA. crede bene di considerare come generi distinti coi nomi di Loxodon [L. meridionalis (Nesti), L. antiquus Falc., L. melitensis Falc]; Evelephas [ E. namadicus Falce. pars = E. trogontherii Pohl., E. indicus L.|; Elephas | E. primigenius Blumb. |. TETTE) EE A RA A 4 A 93.00 RIVISTA ITALIANA Da L. meridionalis sarebbero derivati da una parte L. antiquus col suo discendente L. melitensis, dall’ altra E. namadicus = tro- gontherii, da cui sarebbero provenuti E. indicus ed E. primigenius. Le due varietà stabilite dal compianto Zuffardi L. antiquus var. trogontheroides, E. primigenius var. trogontherîi che dovevano, la prima, collegare il L. antiquus col L. meridionalis, e la seconda coll’ E. primigenius non avrebbero ragione d’ esistere per mancanza di caratteri differenziali. Nel quadro degli Elefanti non figura E. africanus che 1° A. considera come uno Stegodon e il diretto discendente dello S. în- signis, dal quale antecedentemente deve essersi staccato, per for- mare un nuovo ramo, il L. meridionalis. Nel grande gruppo degli Elefantidi si osserva che le lamine si fanno sempre più numerose dalle specie più antiche alle più re- centi, con una sola eccezione alla regola generale: invece lo spes- sore lamellare dal. M. gracile, con evoluzione ascensionale, aumen- tando sempre della medesima quantità da specie a specie, va a poco a poco ingrossandosi sempre più, sintantochè, raggiunto un certo sviluppo, con evoluzione contraria e sempre con la medesima proporzione torna a diminuire, così che nelle forme più recenti di ciascun gruppo si avvicina o diventa eguale a quello della specie più antica da cui ebbero origine tutte le altre. Lo stesso fenomeno si ha nella lunghezza e larghezza della su- perficie triturante. Sì verifica cioè una evoluzione ascendente seguìta da una re- gressione continua, una vera parabola, dopo la quale si riscontra la scomparsa della specie. Si potrebbe pertanto pensare che gli Elefan- tidi non siano scomparsi o vadano scomparendo per il sopraggiun- gere d’altre forme meglio agguerrite nella lotta per l’ esistenza o per cambiamenti di ambiente, ma bensì per aver compiuto il loro ciclo regolare, per essere ritornati o prossimi a ritornare, in rap- porto allo spessore delle lamine e alla estensione della superficie triturante, alle forme primitive da cui derivarono: infatti la regres- sione continua d’ un organo importante, non seguìta nello stesso modo da quella di tutti gli altri organi, deve aver generato condi- zioni tali nella costituzione dell’ animale da renderlo incapace a UT LETI E II VT E STR Srna fe n DI PALEONTOLOGIA 39 trasformarsi ulteriormente e da determinarne la scomparsa ; esempi di tale evoluzione ciclica non sono rari in Paleontologia, (Ammoniti, Equidi, Cheloni ecc.). Le forme descritte e figurate vengono riferite @ Lose me- ridionalis (Nesti), L. antiquus Falc., Euelephas namadicus Falc. (pars), Elephas primigenius Blumb. Il lavoro è accompagnato da tre tavole e quattro figure nel testo e da numerosi quadri filogenetici. ® M. ANELLI. CanavaRI M. — Descrizione di un notevole esemplare di Pty- chodus Ag. trovato nel caleare della Creta superiore di Gallio nei Sette Comuni. — Palaeontogr. ital. vol. XXII, (1916) pag. 34-102 e 10 tavole. Si tratta di un mAgnifico esemplare di Ptychodus forse il più completo che esista nel mondo, comprendente circa 400 denti, cioè a dire i tre ottavi della dentatura completa. La memoria, dopo una breve introduzione, imprende a descrivere la piastra della porzione « della cavità orale. L’ A., per il momento, ne lascia indeterminata la posizione, se cioè inferiore o superiore. Secondo 1° ipotesi del Woodward questa parte x sarebbe la dentatura superiore. Di questa parte « sono determinati 210 denti, descritti partitamente come: denti della serie impari mediana antero-posteriore : denti delle serie la- terali antero-posteriori o longitudinali e più partitamente: delle serie laterali longitudinali del primo, del secondo, del terzo, del quarto, del quinto, del sesto, del settimo, dell’ ottavo e probabil- mente del nono paio. La descrizione dei 210 denti termina con la probabile ricostruzione della forma della piastra. L’A. passa poi a descrivere i denti della parte #8 della cavità orale, nella quale, attorno ad una serie mediana di denti più grandi e gibbosi, sono disposte nove paia di serie laterali, in tutto cioè 19 serie; ed anche quì si descrivono partitamente i denti della serie mediana antero-posteriore e delle nove paia delle serie late- rali: sono in tutto 167 denti. Anche questa parte termina con la ricostruzione probabile della piastra. Lidi É pui escl di . SITE MIO Aa SI RODA) $ tiv : : RAY aan fi Rio Rea dda iii ARPOREL TA AMT 0, Spa PTAT API pp 40 RIVISTA ITALIANA X Si danno poi notizie delle tracce di sostanza cartilaginea cal- cificata di sostegno ai denti, e di un corpo vertebrale contenuto pure nel pezzo di calcare nel quale sono immersi i denti. Nelle conclusioni l'A. discute della posizione relativa delle due piastre x e £., e ritiene molto probabile, a differenza di quanto aveva supposto il Woodward, che la piastra da lui ritenuta superiore sia invece l’ inferiore e viceversa. Comunque continua a chiamarle pias- tra « e £, in attesa di un più sicuro giudizio in base a nuovi studi. Quanto alla specie, dopo avere accuratamente passato in rassegna tutte le forme note, 1’ A. propone il nuovo nome di Ptychodus me- diterraneus. Nelle dieci magnifiche tavole è rappresentato l’ intero fossile, e nelle figure intercalate è pure la ricostruzione delle due piastre orali coi denti in posto. VE ‘ DeL CAMPANA D. — Nuove ricerche sui felini del Pliocene ita- liano. Parte seconda. — Pal. ital. vol. XXII, (1916), pag. 1-33, con 4 tav. Facendo seguito alla descrizione del cranio del Leopardus arvernensis Cr. e Job. (vedi Rivista, 1916, pag. 24) lA. passa a descrivere il rimanente dello scheletro. Si tratta delle seguenti parti: Radio destro, ulna destra, piede anteriore destro e sinistro, femore destro, tibia, piede posteriore sinistro, metatarsali sinistri, tutti del Valdarno superiore. Da Olivola provengono: Colonna ver- tebrale, omero sinistro e destro, radio destro e sinistro, ulne destre, piede anteriore sinistro, bacino, tibia sinistra, metatarsali destri. Seguendo il metodo adottato nella prima parte i pezzi vengono descritti con continui riferimenti a forme viventi. Dalle conclusioni si rileva che il fossile va ascritto al gen. Leopardus, che le dimensioni erano simili a quelle del ZL. oncas, che le affinità maggiori sono col L. pardus. La memoria continua colla descrizione di una nuova forma, il Felis (Cynailurus?) etruscus, cranio e branca mandibolare del pliocene di Montopoli. Risulta che si tratta di una nuova ed inte- DI PALEONTOLOGIA 41 LI ressante forma, la cui determinazione generica è ancora dubbiosa, benchè le somiglianze coi Cynadlurus cogniti siano molto spiccate. E DeL CAMPANA D. — Resti di Testudo nel miocene superiore di Capudjlar presso Salonicco. - Boll. Soc. Geol. It. vol. XXXVI, 1917, pag. 69-78, tav. IV. - V. Viene descritto in questa memoria il guscio di un individuo adulto con lo scudo abbastanza conservato, non però presente con tutti i suoi pezzi, di una Zestudo fossile rinvenuta a Capugilar nei dintorni di Salonicco, in terreni appartenenti al piano Pontico. L’A. passa in seguito a studiarne i rapporti e le differenze con le specie del medesimo genere che più gli si avvicinano, e ne mette in chiaro la sua appartenenza al tipo della Testudo graeca L., che discende attraverso il pliocene fin negli strati del miocene superiore, mentre specificamente il fossile in questione, pur non al- lontanandosi di troppo da questa forma, si avvicina per la maggior parte dei suoi caratteri morfologici alla 7. Amiatae Pant., dalla quale ha creduto di non tenerlo distinto. M. ANELLI. DeL CAMPANA D. — Resti di Canis nel pliocene lacustre presso Chiusi. — Boll. Soc. Geol. It. vol. XXXVI,-1917, fasc. 1°. Roma 1917, pag. 37-44. In questo lavoro l'A. espone le ragioni per cui alcuni resti (cranio, mandibole, frammenti di mandibole, denti) provenienti dai depositi pliocenici lacustri tra il.lago Trasimeno ed il lago di Chiusi debbono esser considerati come appartenenti alla forma da lui fatta recentemente conoscere sotto il nome di UVanis olivolanus. Seguono alcune considerazioni che convalidano le osservazioni generali fatte dall’ A. in una recente memoria ed in particolare l’ i- stituzione da lui proposta di questa nuova specie, la quale, a diffe- «renza del C. etruscus Maj. e del C. Majori Del Camp., ebbe du- 42 RIVISTA ITALIANA rante il pliocene superiore un’ area di diffusione assai più vasta: inquantochè non limitata, come quelle, al solo Valdarno superiore, ma estesa verso il nord nella Val di Magra, verso il sud nella Val d’ Era e nel lato sud-ovest del bacino del Trasimeno. Una tabella, una figura nel testo ed una tavola accompagnano il lavoro. M. ANELLI. DaInELLI G. — Fossili eocenici della Croazia costiera. — Mem. Soc. tosc. Sc. nat. vol. XXXII, pagine 58 e 2 tav. Pisa 1917. Sino dal 1884 il Frauscher descriveva alcuni fossili eocenici di Cossavino presso Breberio in Croazia. Successivamente altri fossili raccolse il De Stefani che l’ A. determinò. Nel 1912 uscì un lavoro del Vogl, il quale però non esaurì l’ argomento, tanto che l’ A. può in questa memoria ampliare notevolmente la lista dei fossili eoce- nici di questa località, aggiungendo ben 47 forme alle forme citate dal Frauscher e dal Vogl. La fauna, come sino dal 1902 aveva as- serito l’ A. stesso, è di tipo salmastro e l’ orizzonte a cui essa va ascritta è, come già l'A. aveva detto, quello di Roncà. Sono de- scritte e in parte figurate: 3 forme di coralli, 6 di lamellibranchi e 43 di gasteropodi dei quali sono nuovi: Teliostoma (?) Sauri, Potamis (2) breberensis, Rimella adriatica e Pseudoliva liburnica Me > PortIs A.— I primi avanzi di quadrumani del suolo di Roma. — Boll. Soc. Geol. It. vol. XXXV, 1916, fasc. 3, Roma 1916, pag. 239-278. Alcuni resti fossili di quadrumane (un ramo mandibolare de- stro profondamente alterato e otto denti) rinvenuti in uno strato di tufo sulla strada che allaccia la via Nomentana con la via Salaria presso Casale Fiscale, formano l’ oggetto di questo studio. Con una dotta discussione, separandolo progressivamente da tutti gli altri quadrumani sin quì conosciuti allo stato fossile, PA. ii dai cia ricette DI PALEONTOLOGIA 43 mostra come i resti in questione appartengano ad una vecchia fem- mina di Innuus (Aulazinus) florentinus Cocchi, colla descrizione del quale datane dal Ristori concorda nella totalità dei caratteri generali e peculiari, e che vede per conseguenza estesa la sua area di distribuzione dalla Val d’Arno alla Valle del Tevere. Ritiene V’A. che Innuus florentinus del Pliocene superiore val- darnese e di Roma, oltre all’esser quasi sicuramente identico col vi- vente /. înnuus, lo sia del pari con I. priscus Gervais del pliocene inf. di Montpellier, e non possano sottrarsi a questa identità nè il plio- cenico I. suevicus dello Heppenloch, nè il pliocenico superiore (Forest- bed) I. pliocaenus Owen, nè i posteriori I. înnuus fossilis e I. i. tolosanus e neppure quelli ultimamente estratti dai filoni ossi- feri pliocenici della Sardegna e della Corsica; cosichè I. innuus L. gode di larghissima diffusione sia stratigrafica che geografica, essendo conosciuto in Europa e poi in Africa dal pliocene infe- riore ai tempi moderni, nei quali accenna ad estinguersi. Nei tempi pliocenici occupò l’ Europa occidentale dall’ Inghilterra fino alla Svevia ed alla Francia meridionale; e non si allargò in Spagna, mentre per la Tirrenide e la Balcanide passava largamente nelle grandi isole Tirreniche e nell’ ora continente italico. Per questa via passava nel postpliocene nel continente africano, dove veniva ad isolarsi dalla sua patria d’ origine e a prosperarvi limitatamente, mentre il rigore del clima avvenuto in Europa lo bandiva dall’ Eu- ropa stessa. E in Europa non ritornava che schiavo : fuggendo dalla schiavitù si fissava e si riproduceva, talora per tempi limitati, quale « marroon » sullo scoglio di Gibilterra, M. ANELLI. SanGiorGI D. — Flora fossile dell’ Imolese. — Boll. Soc. geol. it., vol. XXXV, pag. 270-302 e 1 tav. I fossili studiati in questa nota si conservano nel Museo di Imola e vennero raccolti nel Rio Pratella a SW della città, in una argilla finissimamente sabbiosa, che appartiene al pliocene. I fos- sili sono dello stesso tipo di quelli di Mongardino e del Valdarno superiore. Si tratta di 32 forme di piante, tra le quali se ne hanno DE. 6 o (To crei aka a e LT. dai ad da a dl RIVISTA ITALIANA n . di habitat diverso. Ciò è spiegabile col fatto che le correnti lito- rali hanno accumulato nello stesso giacimento tutte le foglie tra- scinate da corsi d’acqua diversi, provenienti da lontano e da zone altimetriche diverse. Quasi tutte le forme determinate sono figurate nella tavola annessa. V. Sera G. L. — Un preteso Hominida miocenico : Sivapithecus indicus. Natura — Riv. di Sc. Nat., vol. VIII - fasc. Sett. — Dic., pag. 149-173, con 1 tav. - Milano 1917. È un esame critico accurato ed imparziale, nel quale vengono sottoposti a revisione i risultati a cui giunse il Pilgrim studiando | alcuni resti fossili (frammenti di mandibole e denti) del miocene superiore dei M. Siwalik nell’ India, da lui riferiti ad un Mominida, che ha chiamato Sivapithecus indicus: sarebbe questo il precur- sore terziario dell’uomo, che, ammesso da taluni, da altri negato, SE per l’ America del sud, certamente per il mondo artico non era an- E cora venuto alla luce. ‘ Dopo aver descritto i varii resti, taluni dei quali vengono figu- i rati in una tavola in cui sono riprodotte identicamente talune delle î illustrazioni del Pilgrim, e dopo aver premesso che 1’ apparato den- di: tario ci permette in generale di stabilire con approssimazione suf- i ficiente la diagnosi tra uomo ed antropomorfo, l A. giunge alla con- clusione che confrontando i caratteri morfologici principali di or- ganizzazione antropoidica con quelli di organizzazione umana presenti in Sivapithecus, tale bilancio di caratteri si chiude nettamente con una stragrande prevalenza di caratteri antropoidici, alcuni dei quali fortemente pronunziati. Riguardo alla questione sistematica sembra all’ A. che 1’ assun- zione di un nuovo genere sia giustificata, non rimanendo tuttavia esclusa la possibilità, se non di una coincidenza completa con Pa- leopithecus, che esso sia una nuova specie dì questo genere: si può ammettere anche una certa affinità con Griphopithecus. Le vedute del Pilgrim sono quindi scarsamente. attendibili ; Sivapithecus deve essere considerato uno schietto antropomorfo. M. ANELLI. DI PALEONTOLOGIA 45 pi: CORALLI DEVONIANI DELLA CARNIA ù ‘cui NotA PREVENTIVA DI P. VINASSA DE REGNY Da molti anni sono andato raccogliendo, insieme a Gortani, numerosi wa fossili della Carnia tra i quali ho scelto, per illustrarli da parte mia, i co- ralli; intendendo con questo nome non solo i corallari ma anche i tabulati, gli stromatoporidi e gli altri tipi costruttori di scogliere. Le mie attuali mansioni non mi permettono di pubblicare l’intero lavoro, che vedrà spero presto la luce non appena sarà terminata la necessaria e difficile parte illu- strativa. Per adesso credo. di qualche interesse presentare 1’ elenco delle forme studiate, corredandolo di. qualche osservazione, allo scopo di mostrare la ricchezza della fauna devoniana carnica, che può degnamente competere con quelle di altri ben noti giacimenti classici devoniani. 1 Il materiale venne tutto raccolto in posto in varie località, delle quali la più ricca è la parete calcarea retrostante alla casera Val di Collina, sulla via che da Timau conduce alla cas. Monumenz. Seguono per ricchezza di esemplari e di forme: il passo di Volaia sia dal lato del Cogliàns sia dal lato del Capolago; la cas. Monumènz; la Cianavate; il Freikofel; la Creta di Timau; il Germula ecc. La ricca collezione si conserva attualmente nel Museo geologico di Parma da me diretto. Le forme studiate sono le seguenti: Cyathophylum heliantoides Gd@fss. C. tinocystis Frech var. carnica n. v. C. spongiosum Schulz sp. C. heterophyllum M. Ed. e H. C. heterophylloides Frech C. collinense n. f. L’unica specie a cui la nuova forma può avvicininarsi è il C. Aefero- phylum, col quale ha a comune la forma lanceolata dei setti, che però nel collinense è assai più tozza. Si hanno pure analogie, in sezione longitudinale, colla mut. forguata figurata dal Frech (Rheinisches Mitteldevon); ma sono ben diverse le forme delle vescichette distali. C. vermiculare Gdfss. C. vermiculare Gdfss. var. praecursor Frech C. Gortanti n. f. i 46 —. RIVISTA ITALIANA Appartiene al gruppo del C. vermicu/are, ma se ne distingue per il maggior numero dei setti, per la maggiore uniformità nelle loro dimensioni, (di modo che mal si distinguono i setti di primo da quelli di secondo or- dine) e per la presenza di grandi vescicole quasi semicircolari abbraccianti le vescicole minori.. C. cfr. volaicum Charlesw. C. ceratites Gdfss. C. dianthus Gdfss. C. Lindstròmi Frech. C. coespitosum Gdfss. \ C. coespitosum var. breviseftata Frech C. conglomeratum Schliit. sp. var. paxciseptata n. v. C. Canavarii n. f. Appartiene al gruppo del C. dianthus; se ne distingue per la forma dei setti, ma più ancora per la forma e la disposizione delle formazioni en- dotecali veramente caratteristiche. Aspasmophylum cfr. ligeriense Barr. sp. Endophyllum acanthicum Frech. E. cfr. priscum v. Munst. sp. ClisiophyllIum cfr. praecursor Frech. C. s. 1. Taramellii n. f. i Per la sua struttura interna così caratteristico e distinto che forse me- riterebbe di esser considerato come nuovo sottogenere dei C/istopAyMum. Amplexus Frechi Charlesw. var. major n. v. A. Gortanii n. f. Con setti meno numerosi e sepimenti molto più regolari che non VA. mutabilis Maurer. Prossimo anche all’ A. hercinicus Roem. che è però assai più piccolo e con setti più numerosi e più brevi. A. mutabilis Maurer. Thamnophylum Penecke. Il Penecke ha descritto questo nuovo genere mettendo in risalto certi caratteri che non hanno forse grande valore, come ad esempio quello della sua forma esterna a cespuglio donde il nome di Thamnophylum, e quello della presenza di una « falsa parete interna » così detta per analogia di nome con la falsa columella. Ritengo, contro la critica di taluni, che il genere possa esser mantenuto in prossimità di Am6/exus, rilevando però i caratteri interni che lo distin- guono nettamente dagli A9/exus e che lo avvicinano ai Cyathophyllidae. Il Penecke difatti lo ascrive, e per me giustamente, ai Ciatofillidi mentre lo } Zittel lo elenca negli Zafrentidi. La simmetria bilaterale, che già in taluni Amplexus è pochissimo spiccata, lo è ancor meno nei 7%amnophyUum. La vera caratteristica del genere è la presenza di una sola serie di vescicole, piccole, sovrapposte come grani di rosario: serie che è separata dalla por- zione mediana, che ha tipici sepimenti abbastanza distanti, su per giù pa- ralleli, per lo più semplici, prevalentemente orizzontali come nei tipici Amplexus. La falsa parete interna di cui parla il Penecke non è che un fenomeno di inspessimento secondario delle pareti. delle vescicole e non ha valore diagnostico. Thamnophylium carnicum n. f. E simile al 7%. Hòrnesi Penecke, dal quale si distingue subito pei setti assai più brevi e per la forma dei sepimenti che non sono così ricurvi, a vetro di orologio, come nella specie stiriana. Zaphrentis sp. Actynocystis cfr. Goldfussi M. Ed. e H. Phyllipsasterea Hennahi Lonsd. sp. Plasmopora carnica n. f. Del gruppo della 7. xxdis Lindstr., ma distinta pei calici minori, per la netta distinzione dei tubuli cenenchimatici e per le tabule meno vescicolose. Heliolites porosus Gdfss. sp. ì H. Barrandei Penecke var. carnicus n. v. Favosites Goldfussi d’ Orb. Pa; fidelis Barr. F. cfr. Forbesi M. Ed. e H. F. polymorpha Gdfss, | F. Ottiliae Penecke. F. volaica n. f. Interessante forma con due tipi di tubi come la £. F’orbesî, ma con tubi minori assai più rari e con grande numero di pori parietali. F. forojuliensis n. f. Tipo a minutissimi tubi ed a perfetta regolare e geometrica disposizione dei calici. F. forojuliensis n. f. var. pinnata n. v. F. robiniaefolia n. f. Caratteristica per la forma esterna, per il grande “numero dei tubuli regolarmente disposti e per la quasi assoluta mancanza di tabule, che la fa rassomigliare ai tipi mesozoici di Lovceripora. F. italica n. f. Si distingue dalla Y. polymorpha, colla quale presenta delle analogie, ) 48 RIVISTA ITALIANA per le pareti sottili, il piccolo numero dei pori e il grandissimo numero delle tabule. Acetinopora n. &. Propongo questo nuovo genere per alcune forme di Favositidi che si distinguono dalle vere Aavosifes per la presenza di croci o di stelle a cinque raggi in rispondenza del punto di riunione delle varie pareti dei tubi. Tali formazioni stellate appariscono nettamente in chiaro al punto di confluenza e i raggi di esse si stendono talvolta per oltre un terzo della lunghezza delle singole pareti. Non di rado il punto centrale di tali formazioni stel- lari ha un aspetto più compatto come quello di un bottone. AI nuovo genere appartengono sino ad oggi tre specie; una è la nuova Act. carnica e due sono state precedentemente descritte riferendole alle Fa- vosites ; la Fav. asteriscus Frech e la Fav. proasteriscus Charlesw. L’Actinop. asteriscus Frech sp. venne descritta dal Frech. nel Mesode- vonico di Hwa-ling-pu nell’Asia centrale (Frech in Loczy, op. cit. pag. 232, tav. VIII, fig. 2). Essa è caratterizzata dalle sopradette formazioni stellari, che non si manifestano però mai nei punti di incrocio di tre sole pareti, di modo che si hanno o croci o stelle a cinque raggi. Dalla figura risulterebbe anche che nell’interno di queste formazioni raggiate, che sono rappresen- tate come una piccola piastra, si hanno delle altre formazioni stellate più piccole, che spiccano più in chiaro. Si avrebbe cioè un vero e proprio inspes- simento in rispondenza dell’ incrocio. I tubi hanno circa 1 mm. di spessore, spini non esistono, i pori. sono rarissimi, le tavole sono sempre irregolari, in- complete, come quelle delle £7720zsîa e poche di numero; circa 18-20 per cm., almeno a giudicarne dalla figura, la quale forse non è molto esatta e della quale non è data la misura di ingrandimento. Della Carnia ha fatto conoscere una seconda specie, l’ Ac. proasteriscus, lo Charlesworth. Da quanto si può rilevare da questo infelice lavoro nel quale spessissimo figure e descrizioni non solo non si corrispondono, ma a dirittura si contraddicono, risulta che la forma carnica è globosa, di grandi dimensioni, con tubi di 1 mm. di diametro, di rado meno, molto ondulati, con pareti sottilissime, con pochi e grandi pori, con tabule molto fitte in modo che se ne hanno 25 per cent. Ora dalla figura 12 della tav. XXXIII risulta invece che esse sono circa 70 per cm. Le formazioni stellari, che anche qui mancano nei punti ove solo tre pareti convergono, sono assai meno spiccate che non nella forma chinese. Ed infatti nella fig. 18 della sopradetta tavola risulta la loro poca visibilità. Comunque esse esistono e x quindi il riferimento al nuovo genere è certo. La forma dei dintorni del TR MT DI PALEONTOLOGIA 49 ia dtt e lit Le Volaia si riconosce dalla precedente pei tubî molto piccoli e per le tabule complete e numerose. A queste due specie si unisce oggi la nuova forma : A. carnica n. f. Gen. Pachypora Nich. Non si vuole da taluni, come il Frech, (Ober-Devon pag. 100) ammet- tere il genere, dicendo che talune Aavosifes, come la /uv. polymorpha, pos- sono avere o no inspessimento nelle pareti. Ritengo invece che il genere debba esser accolto, facendo rilevare la caratteristica dello inspessimento forte della parete, specialmente verso la parte periferica esterna del co- rallo, in modo che le aperture calicinali, che son sempre poligonali nelle Favosites, sono invece sempre tondeggianti nelle Packyfora. Così compreso il « genere » è facilmente distinguibile e la separazione delle forme resa più facile, cosa che è necessaria nello studio paleontologico ove i criteri deb- bono essere tenuti più ristretti che non in zoologia. Ammesso così il genere ben distinto anche dai generi a pareti ingros- sate prossimi: .Striafopora, Trachypora, Alveolites e Coenites restano a deli- mitarsi le specie tra cui ripartire le forme fossili. i Anche qui vi furono discussioni ed errori di nomenclatura. Cominciò il . Nicholson a dare il nome di Packypora cristata Ed. Haime ad una forma siluriana, che nulla ha a che fare colla vera /. crisfafa Blum. del Devoniano. Egli poi diede il nome di 7. cervicornis alla specie nota col nome di /. re- ticulata Blainv. Effettivamente il Blainville descrisse la /. cervicorzis poche linee prima della 2. reficulata e per il nudo diritto di priorità andrebbe preferito il nome di cervicornis a quello di reficulata. Ma i primi che figura- rono col nome di 7. cervicornis un esemplare, che non era la 7. cervicornis del Blainville, furono Milne Edwards e Haime, e allora, per evitar confu- sioni, è meglio tornare al nome di /. reficu/ata Blainv. Il Frech corresse l’errore del Nicholson relativo alla /. crisfafa e diede la sinonimia critica di questa specie. A sua volta però commise l’ errore di dare il nome di Zavosites Nicholsoni alla Pac. cervicornis del Nicholson. Giustamente il Giirich corresse questo errore e su tal correzione pare vi sia pieno accordo col Frech. Pachypora reticulata Blainv. sp. P. cristata Blum. sp. P. corallioides n. f. 4 Forma molto interessante, che non ha analogie spiccate con nessuna delle forme note, e che presenta l'interessante fenomeno descritto dallo Schliiter nella sua Packitheca stellimicans. 5 RIVISTA ITALIANA » Striatopora vermicularis M’ Coy sp. St. vermicularis M’ Coy sp. var. volaica Charlesw. St. subaequalis M. Ed. e H, St. subaequalis M. Ed. e H. var. major n. v. Alveolites suborbicularis d’ Orb. A. suborbicularis d° Orb. var minor Gort. A. cfr. irregularis Gort. A. collinensis n. f. Ha qualche analogia colla A. ska/ersis Gùrich pei calici allungati, di-° sposti in serie e a labbra festonate; ma essi sono più piccoli, meno stirati e privi di denti; cosicché la forma carnica è una vera A/veolites, mentre la. forma polacca è una Caliapora. A. crinalis n. f. Del tipo della A. sî6/ea Barr., ma diversa per sezione dei tubi e per il loro tipo e disposizione. A. (Caliapora) Battersbyi M. Ed. A. (Ci) julica:n: £. Per la presenza di spini dentiformi ha analogie colla A. Labeckei Nich., ma è assai maggiore, ha tabule più spesse e, più che altro, pori così nu- merosi come di rado si notano nelle A/veolites. Coenites polonica Girich, C. carnica. n. f. Ha qualche analogia colla C. escharoides Stein., ma ha un numero assai minore di aperture lunulari. fi C. Mariae n. t. Nettamente distinta dalle sue congeneri per la fittezza delle aperture e per la irregolarità nella loro disseminazione. Amjphipora ramosa Phill. sp. Svringopora carnica n. f. Simile per aspetto alla S. crispa Schlùter, ma distinta per il gran nu-. mero di tabule. E° interessante, anche geologicamente, perchè è il solo fos- sile che si rinvenga in, tutto il massiccio della Cretabianca dai 2000 ai 2100 metri di altitudine. Actinostroma clathratum Nich. A. clathratum Nich. var. confertum ist A. stellulatum Nich. var. italicum Gort. A. bifarium Nich. _ Clathrodictyum regulare Rosèn var. carnicum Vinassa Stromatopora concentrica Gdfss. St. Hiùpschii Barg. ina Pala eee ù VE St. Beuthi Barg. St. Beuthi Barg. var. radiata n. v. St. Cadornai n f. Del tipo della SexZki, ma distinta per la predominanza dei pilastri, per la maggior dimensione degli elementi e per la mancanza di veri e proprii tubi zooidiali. St. Gentilis Gort. St. columnaris Barr. in Pocta var. carnica n. v. St. bucheliensis Barg. St. bucheliensis Barg. var. crassa n. v. St. forojuliensis n. f. Del gruppo della .S7. 6uche/iensis, ma distinta per il maggiore spessore delle fibre e il minor lume dei tubi intermedi. Stromatoporella curiosa Barg. var. carnica Gort. St. socialis Nich. St. socialis var. conferta Gort. Hermatostroma cfr. Schliiteri Nich. Idiostroma cfr. Ròmeri. Stachyoides verticillata M’ Coy sp. Monotrypa carnica n. f. i Per la sua semplicità ha grandi analogie colla Mow. simplicissima Vi- nassa dell’ Ordoviciano di Uggwa, ma se ne distingue per le molto minori dimensioni. Si tratta pertanto di 84 forme da me studiate. Ora i precedenti studiosi avevano citato solo 31 forme, delle quali | A/veolites reticulata Stein., l’Aulopora repens minor e V Actinostroma verrucosuni, citati ma non mai descritti dal Frech, mancano alle mie raccolte. Tutte le altre sono rappre- sentate e le nuove sono 53. Numero non indifferente e che unito alle 100 forme di briozoi, brachiopodi, molluschi e crostacei descritti dal Gortani fanno del Mesodevonico carnico uno dei più ricchi giacimenti noti ed il più ricco di tutte le Alpi. Zona di guerra, Ottobre del 1917. DI | PALEONTOLOGIA ici REDATTORE P. VINASSA De REGNY EE |’ PARMA RIVISTA ITALIANA DI PALEONTOLOGIA 1918 i RECCOSIONi Italiane RR) MT lei Eopekiate DAS Li 135 MEMORIE E NOTE ORIGINALI Gemmellaro M. — Sulla presenza del Kelloviano inferiore nell’ isola ; ARIMA VISMIANA MRI MA O LS A e Giuffrida Ruggieri V. — Unicità del Philum umano con pluralità dei CENUET: SDECIICE SE E E Vinassa de Regny P. —. L’ ordoviciano del Portixeddu presso Flumini maggiore . DIALISI Vinassa de Regny P. — Sulle future relazioni personali agli scienziati dei paesi nemici . . Pag AIA Necrologia — G. Di Stefano . . . . RECENSIONI 1. Autori dei quali furono recensiti i lavori. Checchia Rispoli . 3 i Meli . . i xo pag EbesStefano: ii. Novarese Eremo: RT Ar SE LIE Portis . IERI» Mariani; È 3 Scalia Fossili dei quali sì tratta nei lavori recensiti. Piante soi Li upagri5. | Casteropodi. Brachiopodi . Rica ge Ni DESIRE Lamellibranchi . «<<. 7 | Mammiferi. III. Terreni dei quali si tratta nei lavori recensiti. Bemnico do Nap è go. DAgi Cretaceo. . ARE IDE VEE A Ra Le Aa 4;,.:7.| Miocene SA ai eine a ) Pliocene . ire SORDI TV. Elenco delle nuove forme descritte nei lavori recensiti. Vallarsae - gloriosae (Gervilleia) Verrucanus (Inoceramus) . . . 928% E, Fasc. I, II. RIVISTA ITALIANA DI PALEONTOLOGIA . REDATTORE P. VINASSA pe REGNY SOMMARIO I. PUBBLICAZIONI ITALIANE: del Kelloviano inferiore nell’ i- sola di Favignana. Fa, RISpoli, De- - Stefano, 0 III. Giuffrida Ruggeri V. = Unicità del ui ii Novarese, Portis, Philum umano con pluralità dei calia. t ifici.;;) II. Gemmellaro M. - Sulla presenza | JV, ai i De: Stefani. PARMA RIVISTA ITALIANA DI PALEONTOLOGIA | PUBBLICATO IL 2° SETTEMBRE 1918 © % BIRRA SC FMDPNUENEN sl si Abbonamento annuale L. 8 - Per 1 cateto L 10 Non si vendono fascicoli separati Gli autori di note originali o di recensioni possorio avere sino. a 50 estratti, con CORSI, al prezzo seguente | Per copie. Per copie 25 50. Fac ) Con copertina . 4 pagine 3,00 - | 5,00 - semplice. 5,00 7 8, 50, .\ x ce 7,00 12 ,00 (9 Con copertina è stampata 9,00 | 15,00, N. B. - L’importo degli estratti dovrà inviarsi anticipatamente; in caso | contrario la spedizione di essi verrà fatta contro assegno. ue Dirigere lettere È vaglia. alla: RIVISTA ITALIANA DI PALPONTOLOGIA *, Università _ 0 vign Anno XXIV 1918 Fasc. I-II ———mm————mE__-___oÀ1——_—_—_—_—_—_—_——_———_e_—e—__——r—_0r er=+__tT__t%2%02000——z RASSEGNA DELLE PUBBLICAZIONI ITALIANE CneccHia RispoLi G. — Sull’ estensione del Miocene nella reà ; gione sett. del promontorio garganico. — Boll. Soc. geol. ito ja n p9° XXXVI, 2-3, pag. 81. in A causa di affinità litologiche non venne per lungo tempo distinto come miocenico il fufo dei dintorni del lago di Varano. L'A. sino dal 1904 ne descriveva un lembo a Cagnano, a cui il Crema nel 1915 ne uggiunse un altro presso la sponda meridionale del lago. La formazione niocenica è però assai più estesa avendosi lembi miocenici fossiliferi alla base del M. Devio, alle falde del ; M. lo Sfrizzo, in regione S. Marena e presso la Cisterna a Ca- 1 gnano, tra Cagnano e Carpino e finalmente in regione Irchio. | Il lembo più ricco di fossili è quello di S. Nicola, ove abbon- dano Pteropodi in numero tale da dare origine ad una vera lu- . machella. Gli pteropodi, di cui parecchie forme sono nuove, ver- ranno presto descritti. Dal complesso della fauna risulta trattarsi di Langhiano, | mentre una lumachella di Cagnano a Balanus, ostriche ecc. ap- È partiene all’ Elveziano. V. De Srerano G. — Alcuni nuovi pesci fossili del terziario ita- liano — Boll. Soc. Geol. It. Vol. XXXVI. fasc. 2-3, pag. 189-204 e 1 tav. — Roma 1918. Tre avanzi di pesci fossili, appartenenti al gabinetto di Storia Naturale del R. Liceo E. Q. Visconti di Roma, forniscono all’ A. l’ argomento per questa nota. sl liti eee io pa} - D SI 2 RIVISTA ITALIANA th Rn A Rare =- # Due di tali resti, provenienti dalle marne del pliocene infe- “i riore di Cotrone (prov. di Catanzaro), vengono riferiti al Gadus RA poutassou Rizzo, oggi comune nel Mediterrano, che viene segna- lato per la prima volta nelle formazioni plioceniche italiane ed 4 DE I estere, e che l’ A., basandosi su osservazioni fatte altre volte sui i | pesci de’ tripoli di Licata, ritiene di poter far rimontare al mio- fi: pliocene. i L’ altro avanzo, proveniente dal noto giacimento di Mondaino e (prov. di Forlì) appartiene al genere Equula (fam. Carangidae), 6: i i cui rappresentanti odierni vivono nell’ Arcipelago indiano, nel se M. Rosso, nei mati della Cina e del Giappone non che sulle dv coste nordiche dell’ Australia, e che van ripartiti in diciassette fi specie. Una comparazione con tutte queste specie non è stata pos- er. sibile all’ A., che riferisce dubitativamente l’ avanzo in questione Dr: ad E. fasciata Lacépède, di cui ha potuto osservare qualche esem- % plare. È la prima volta che il genere Zquula viene segnalato i allo stato fossile, non solo nelle formazioni sarmatiche italiane, | ma anche in tutto il terziario europeo. La sua presenza nella for- mazione de’ tripoli viene a confermare le opinioni già espresse altre volte dall’ autore : che cioè alcuni generi, i cui rappresen- È. tanti oggi si riscontrano solo nei mari caldi, all’ epoca mio-plio- | “A cenica si trovavano anche nel Mediterraneo e che la ittiofama | ho delle formazioni mio-plioceniche italiane è verosimilmente costi- Wu tuita in prevalenza da specie che vivono nei mari odierni. È I resti fossili, accuratamente descritti, sono figurati in una o tavola. i î ERRE M. ANELLI I a Fucini A. — Ragioni stratigrafiche che convalidano I’ età e Wealdiana del Verrucano tipico del M. Pisano desunta i di: dai fossili. — Atti Ace. Gioenia di Sc. Nat. in Catania - fi. Serie V., Vol. XI. Pas. 30, con 3 figure nel testo. Ad In attesa di poter pubblicare i risultati di uno studio geolo- n gico sul M. Pisano, l'A. in questa memoria, polemizzando col Lotti e col De Stefani, riporta le ragioni stratigrafiche e litolo- I AIR TO di I CIRO o. E A.» AT RBE Li DI PALEONTOLOGIA 3 giche che convalidano l’ età wealdiana del Verrucano tipico di detta località, che egli aveva già desunta in base ai referti pa- leontologici, a proposito dei quali fa notare come l’ osservazione del Lotti circa la frequenza del futto di aversi fossili di tipo mesozoico in terreni carboniferi e permiani, nel caso presente non abbia valore poichè tutti indistintamente i resti, sia vegetali che animali, sono di tipo wealdiano e non hanno nessuna rispon- denza negli strati carboniferi marini dell’ Elba, di Iano e di altre località italiane. E VA. quì accenna come l’Anisocardia verru- cana Fuc. già da lui descritta, debba riportarsi probabilmente ad una Gryphaea e | esemplare già riferito con dubbio alla Cyrena mactroides Rmr. sia in realtà un Znoceramus che chiama I. ver- rucanus, somigliante alquanto all’ I. meocomiensis d’ Orb., e moltissimo all’ Z. cuneifornis d’ Orb. di età un poco più recente. Ponendo in rilievo il contrasto tra le vedute dei suoi due op- positori (poichè mentre da una parte il De-Stefani, d’accordo col- l’A. dichiara inesistente il carreggiamento o meglio 1’ intrusione del cosidetto verrucano tra le formazioni titoniche invocata dal Lotti, dall’ altra sostiene che le puddinghe del verrucano della Verruca sono sottoposte agli scisti con flora antracolitica della Valle del Guappero di modo che non possono essere wealdiane, mentre il Lotti si accorda coll’A. per ritenerle sovrapposte a quegli scisti), dimostra ripartendo numerose osservazioni e la serie completa dei terreni nel M. Pisano e nei monti di Oltre Serchio, come il detto carreggiamento non possa ammettersi. A torto il Lotti ritiene titonici sia i diaspri sottostanti come quelli sovrastanti al verrucano, che sarebbe in certo modo iniettato se- condo un piano di stratificazione della detta formazione. I dia- spri che stanno al di sotto sono certamente del Giurassico sup., ma quelli sovrastanti sono collegati in modo intimo ai calcari maiolica e debbono ritenersi neocomiani. In realtà la formazione verrucana (che lA. ritiene ben di- stinta da quella profonda a flora antracolitica della Valle del Guappero) si è depositata nel wealdiano trasgressivamente sulle formazioni palezoiche e mesozoiche, precedentemente emerse ed erose. Essa si depose, anche fuori del M. Pisano, di preferenza al fondo delle valli primitive, generalmente occupate da scisti 4 RIVISTA ITALIANA antichi e raramente sopra le elevazioni costituite da calcari trias- sici o liassici, rimaste come isolotti più o meno subacquei, alla base dei quali essa, insieme colle successive formazioni, acquistò l’apparente sottomissione stratigrafica a quei calcari secondari che talora gli saranno stati anche sospinti o scivolati sopra. Bar- riere dovettero isolare più o meno i vari bacini; a queste varie e strane condizioni di sedimentazione si debbono le strane condi- zioni che esso ora presenta, analogamente al Welden tipico. La successione stratigrafica è ovunque data, in modo fisso ed ‘immutabile, da Verrucano (complesso roccioso molto caratteristico e litologicamente identico al cosidetto pseudoverrucano cretaceo del Lotti), poi da scisti argillosi rossi con diaspri a radiolari e da calcari cavernosi, che VA. riferisce ad un costante livello e precisamente al neocomiano medio. Numerosi lembi intermediari, in evidente trasgressione sul Lias, collegano il Verrucano della parte settentrionale del M. Pisano con netta posizione wealdiana a quello della parte meri- dionale, che apparentemente sembra sottoposto al mesozoico, ma contiene però fossili wealdiani e mostrano l’ unicità della forma- zione. M. ANELLI. MARIANI E. — Dal Monte Generoso ai Corni di Canzo. — Os- servazioni geologiche. — Rivista di Scienze Naturali « Natu- ra ». Vol. 1X pag. 61-79 con 4 figure nel testo. - Pavia 19183. È un lavoro d’ indole generale, il cui scopo è quello di ri- cordare alcune delle principali e più note caratteristiche geolo- giche della regione prealpina compresa tra il lago di Lecco ed il ramo Porlezza — Capolago del lago di Lugano, nella quale il M. Generoso e i Corni di Canzo formano i due rilievi più impor- tanti. Descritta a grandi linee la morfologia e la tettonica (le principali dislocazioni sono abbozzate in una cartina topogra- fica), viene ricordata la serie di terreni: 1 termini inferiori del trias compaiono solo in una stretta zona occidentale, mentre i due piani superiori (dolomia principale e retico), ben noti per le loro POT, AES PUOI DI PALEONTOLOGIA . importanti faune, sono largamente sviluppati nella regione orien- tale; segue il lias inferiore (hettangiano e sinemuriano riccamente fossilifero, a cui spettano prevalentemente le formazioni sedi- mentarie di tutto il territorio studiato) ricoperto regolarmente dal lias medio e superiore e dalla serie dei terreni giuresi e cretacei poco potenti. Degni di menzione sono i lembi di argille fossilifere plioce- niche di Balerna. Il giacimento fillitifero di Cadenabbia per l’A. sarebbe da riferirsi all’ ultimo periodo interglaciale. Da ultimo vengono ricordate le numerose grotte ben note an- che paleontologicamente, e vien fatto cenno dell’ irregolare regime fi) idrografico superficiale e sotterraneo in relazione colle grandi masse calcaree fratturate, in cui compaiono numerose le sorgenti intermittenti. i M. ANELLI. Novarese V. — L’ Autuniano in Sardegna. — Boll. Soc. geol. it. XXXVI, 2-3, pag. 88. L’A. ha avuto dall’ Ing. Sartori alcuni esemplari di filliti del Permocarbonifero sardo. Da Seui proviene un esemplare che indub- biamente è una Walchia piraiformis; pertanto il giacimento di Seui apparterrebbe alla base del Permico, Autuniano, trasgres- sivo sulle grandi pieghe del paleozoico più antico. V. Ports A. — Il rinvenimento di Ovis antiqua Pommerol in territorio di Roma — Boll. Soc. Geol. It. Vol. XXXVI, fasc. 2-3 pag. 223-322, con 1 tav. - Roma 1918. Viene studiato in questo lavoro un cranio mancante della re- gione facciale di un grosso ruminante cavicorne a enormi caviglie cornigere, che fanno supporre per le corna propriamente dette una lunghezza di circa due metri; tale resto venne acquistato dal- l’ Istituto geologico universitario di Roma presso un operaio ter- 6 RIVISTA ITALIANA razziere che asseriva d’ averlo trovato in una cava di sbanca-. mento nei dintorni della Magliana. Con abbondanza d’argomenti l’A. dimostra che si tratta di un vero fossile proveniente da qual- che lembo di quelle formazioni di acque dolci palustri sovrastanti alle pozzolane grigie del pliocene superiore, lembo che in questi ultimi anni andò soggetto a demolizione. Passati in rassegna tutti i principali generi di nove tra le dieci sottofamiglie dei Cavicornia senza trovarne uno a cui si adattasse il fossile della Magliana, ha da ultimo proceduto con lo stesso metodo di esclusioni ragionate comparative per i singoli generi della sottofamiglia ultima o Caprinae, venendo alla con- clusione che non possa che appartènere al genere Ovis L. e più specialmente ad O. antiqua Pomm. Tale specie, spiccatamente cromeriana, che ha assorbito in sinonimia 0. argaloîdes Nehring e Capra Rozeti Pomel del plei- stocene europeo, e che potrebbe esser ritenuta progenitrice comune degli attualmente viventi nella regione Asiatica 0. ammon L., O. Vignei Blyth e O. Poloi, possedette una amplissima area eu- ropea di distribuzione estendendosi dall’ Inghilterra e dall’ Bu- ropa occidentale sino agli estremi confini orientali della Moravia : l’attuale rinvenimento del fossile romano viene a prolungare no- tevolmente questa area verso sud. E poichè in Asia non sono stati rinvenuti rappresentanti fos- sili delle grandi specie di Oviîs attualmente indigene dell’Asia di questa regione, specie che offrono notevoli relazioni di paren- tela colla O. antiqua del Cromeriano europeo, VA. si domanda se la ipotesi generalmente ammessa di introduzione della grande fauna mammolugica europea dall'Asia non sarebbe invertibile, al- meno per la specie in questione, nel senso di veder questa dap- prima svilupparsi nell’ Europa e poi migrare, modificandosi, verso oriente per diventare la progenitrice delle grandi specie attuali asiatiche. i La distribuzione geografica di Innuus innuus L., di Capra cylindricornis Blyth, di C. sibyrica Meyer e dei loro ascendenti fossili verrebbe in appoggio a questo modo di vedere. Comunque sia, resta osservato che Ovis antiqua, esclusiva- mente cromeriana in tutti i. giacimenti europei, è stata rinvenuta - - 0 NE TR 3 PO) E QI elia v : pil x: . Me ev DI PALEONTOLOGIA nel suolo di Roma in un giacimento che per posizione stratigra- fica, per concordante sovragiacenza a livelli ben conosciuti e di età pliocenica - superiore ben definita, deve venir considerato come coevo dei Forest-beds di Cromer. M. ANELLI. SCALIA S. — Sulla fauna degli strati a Spirigera trigonella Sehloth. sp. della Val di Sinello, presso Camposilvano, in Vallarsa (Trentino meridionale). Boll. Soc. Geolog. It. vol, XXXVI (1917). L’A., chiamato alle armi ed inviato al comando di una Cen- turia in Vallarsa, dopo una serie di ricerche, ha potuto metter le mani in V. di Sinello sopra un ricchissimo sciame di fossili, come sogliono trovarsi a vari livelli nella formazione dei calcari nucleati del Muschelkalk inferiore delle Alpi, per solito assai scar- samente fossiliferi. Questa interessante e ricca fauna virgloriana era sfuggita alle ricerche ‘dei geologi austriaci, compresi quelli i della k. k. geolog. Reichsanstalt, che fecero il rilievo geologico di «quella regione. Nella presente nota preliminare l’A. si limita a dare un elenco d provvisorio dei fossili determinati con sicurezza, tralasciando le È forme dubbie o nuove, eccettuata una Gervillia, a cui dà il nome di G. Vallarsae-gloriosae. Nell’ elenco figurano 51 forme (1 brio- zoo, 4 echinodermi, 1 verme, 6 brachiopodi 36 lamellibranchi, 3 n gasteropodi). 1 È Alla parte superiore dei depositi fossiliferi, che si distin- guono facilmente nella formazione dei calcari nucleati, perchè vi abbondano le marne verdi grigiastre, i calcari marnosi simili al Wellenkalk alternano con banchi di calcari grigi, compatti, a liste e noduli di selce nera, talora zeppi di fossili. M. ANELLI. SULLA PRESENZA. DEL KELLOWIANO INFERIORE (ZONA CON MACROCEPHALITES MACROCEPHALUS SCHLOTH. SP.) NELL'ISOLA DI FAVIGNANA Nota DI MARIANO GEMMELLARO La ripida catena di colline che attraversa da N. a S. l’isola di Favi- gnana, da Punta Faraglione a Pizzo Moschitto, costituendo lo spartiacque tra le regioni pianeggianti quaternarie, « La Piana » e « Il Bosco », è for- mata in alto da calcari con crinoidi del Lias medio, i quali poggiano, con direzione E.-O. ed inclinazione a S., sopra calcare cristallino del Lias inferiore (1). l Allo estremo settentrionale della catena, cioè alla Punta Faraglione, compaiono sotto il calcare cristallino delle dolomie che il Baldacci ha ri- tenuto probabilmente triassiche. Sono lieto di poter confermare il riferi- mento al Trias superiore di tali dolomie, tra le quali ho potuto costatare la presenza di un fascio di strati calcarei con liste e noduli di selce, talchè, per analogia con gli altri sedimenti triassici della Sicilia occidentale, non può aversi dubbio sull’ età del complesso. I calcari con crinoidi del Lias medio, identici a quelli del Monte S. Giuliano (Erice) presso Trapani, si prolungano fino all’ estremità meridio- nale della catena, ove formano il piccolo rilievo detto Pizzo Moschitto. Fra questo e la costa, passa una mulattiera che allaccia le regioni « La Piana » e « Il Bosco ». Questa via, nella località detta « Casa di Guardia », incontra un fascio di strati fossiliferi, nell’assieme poco potenti, i quali pog- giano con leggiera discordanza angolare su quelli del Lias medio di Pizzo Moschitto. Tali strati, costituiti da un calcare di color giallo ocraceo a volte ten- dente al carneo, con struttura non uniforme, or grossolanamente cristallina, or quasi terrosa (2), sono diretti da E. ad O. e pendono di circa 30° a S., immergendosi in mare. ASTI, RO n O (1) BaLpacci L. — Descrizione geologica ‘dell'isola di Sicila, p. 187, Roma, 1886. (2) Com’ è noto, calcari identici a questi descritti si rinvengono in Sicilia molto fossiliferi al la Rocca chi parra, presso Calatafimi. (GemmeLLARO G. G. - Sopra alcune faune giuresi e liasiche della Sicilia, Mon. I, Sopra i cefalopodi della zona con Stephanoceras macrocephalum Schloth. della Rocca chi parra, presso Calatafimi, provincia di Trapani, Palermo, 1872-82). -— Sempre in Sicilia, al M. Rasella, tra Marineo e Piana dei Greci (BaLpACCI - 0f. cu. pag. 66) esistono anche calcari simili, compresi tra gli scisti silicei del Lias superiore ed il Malm; in essi non sono mai stati rin- venuti fossili. Ù In essi, nella detta località « Casa di Guardia » ho rinvenuti ‘i fossili DESTA qui appresso indicati, i quali si conservano nelle collezioni del Museo geolo-, gico della R. Università di Palermo: Rhynchonella varians Schloth. » Wihneri Di-Stef. % CT » (Acantothyris) myriacantha E. Desl. Di Waldheimia (Aulacothyris) pala de Buch. » (Zeilleria) aegusina n. sp. Specie vicina alla Wa/dheimia (Zeilleria) lagenatlis Schloth. (1) dalla dae però differisce per essere più breve, meno attenuata avanti e meno bru-. scamente troncata al margine frontale. La commessura della valve è retta, l’ apice è piccolo, molto ricurvo ; il forame è piccolissimo e rotondo. i Terebratula dorsoplicata Suess. È » sphaeroidalis Sow. » erycina G. G. Gemm. E Lima . duplicata Sow. sp. ip » (Plagiostoma) Cassandra Di-Stef. gli Pholadomya Murchisoni Sow. » Escheri Ag. n Pleurotomaria scalaris E Deslì d . Nautilus calloviensis Opp. Ri È » cfr. Quilti G. G, Gemm. ; noci Phylloceras euphyllum Neum. » Kunthi Neum. a: » mediterraneum /Neum. » disputabile Zitt. È » isomorphum G. G. Gemm. Sowerbyceras transiens Pomp. di Lytoceras adeloides Kud. sp. © Up Oppetia subcostaria Opp. sp. i ; » Neumavri G. G. Gemm. i » pherolopha G. G. Gemm. SENI "eri » fector Wag. È Oebgh ‘raustes conjungens Mayet sp. } EEA :G . i . È : È = Haploceras psilodiscum Schlonb. sp. i G Hecticoceras hecticum Rein. sp. (1) DestonccHamPs E. E. — Palcontologie| Francaise - Terrain Jurassique, T. VI, Brachio - dodes, pag. 451, tav. 127, 128, Paris, 1862. Sphaeroceras bullatum d’ Orb..sp. » microstoma d’ Orb. sp. Macrocephalites macrocephalus Schloth. sp. » tumidus Rein. sp. Kepplerites Gowerianus Sow. sp. Perisphinctes Moorei Opp. sp. » sub-bakeriae d’ Orb. sp. » Recuperoi G. G. Gemm. » Caroli G. G. Gemm. RE leptus G. G. Gemm. Proplanulites Kbenigi Sow. sp. i Atractites Di-Stefanoi n. sp. Specie abbondantissima, di grandi. dimensioni, del tipo della trias- sica Atractites alyeolaris.' Quenst. sp. (1) dalla quale si distingue per la minore conicità del fragmocono. Belemnites subhastatus Zieten. Tra i cefalopodi compresi nel superiore elenco, osservo, pria d'ogni altro, l'abbondanza delle ammoniti caratteristiche della Zona con Ma- crocephalites macrocephalus Schloth. sp. (/7ecticoceras hecticum, Sphaero- ceras bullatum, Macrocephalites macrocephalus, Macr. tumidus, Kepple- rites Gowerianus, Proplanulites Koenigi, etc.). j Mancano invece le specie proprie del superiore orizzonte con Xer- neckeia anceps Rein. sp. Tra i brachiopodi poi, noto la presenza della A%yrchonella Wihneri Di-Stef., e della 7erebratula ericyna G. G. Gemm., forme molto dif- fuse nei più antichi sedimenti della Oolite inferiore di Sicilia (2), non ancor note nel Kellowiano; nonchè quella della 7erebratula sphaeroi- dalis Sow. sp., raramente segnalata in tale terreno (3). Da questo concludo che gli strati di color giallo ocraceo di « Casa ‘di Guardia » in Favignana, debbono riferirsi al Kellowiano inferiore, e (1) QUENSTEDT. A. — Petrefactenkunde Deutschlands, vol. I, Cephalopoden, pag. 476, tav. 31, fig. 6, Tiibingen, 1846-49. k (2) GEMMELLARO G. G. — Sopra alcune faune giuresi e liasiche della Sicilia, Mon. V, Sopra al- cuni fossili della zona con Posidonomya alpina Gras di Sicilia, pag. 151, tav. xx, fig.6-7, Palermo, 1872-82. . Di Srerano G. — Veber die Brachiopoden des Unteroolites von Monte San Giuliano bei Tra- pani (Sicilien), pag. 734, tav. XIV, fig. 16 e tav. XV, fig. 1-7, Iahrbuch d. k. k. geol. Reichsans., vol. 34, fasc. 4, Vienna, 1884. (3) PARONA C. F. ET BoNARELLI G. — Sur la faune du Callovien inférieur (Chanasien) de Sa- vote, pag. 58, tav. I, fig. 2-3, Mém. d. l’ Ac, de Savoie, sér. IV, vol. VI, Chambery, 1895. precisamente alla Zona al pari di deci simili Calatafimi, Palermo, 1872-82. DT e dici I inni License etica ni ia ant cca iii etti ti DI PALEONTOLOGIA 13 UNICITÀ DEL PHILUM UMANO CON PLURALITÀ DEI CENTRI SPECIFICI Nota DI V. GIUFFRIDA-RUGGERI Poichè, evidentemente, deve esserci stata un’ epoca in cui non esiste- vano Hominidae, è importante vedere come si risolve il passaggio dai Pro- Hominidae agli Hominidae. La soluzione più infantile del quesito è quella di prolungare indietro gli attuali differenziamenti, come si faceva da CARLO Vor e poi, in Germania, da qualche altro meno illustre polifiletista : il pro- lungamento a ritroso farebbe di alcune razze umane i nipoti di Orangoidi, di altre razze umane i nipoti di Scimpansoidi, ecc., come ultimamente senza alcun successo ha sostenuto il KLAATSCH (1). Questa povertà intellettuale non può riflettere la povertà della natura, e tutti sentono che è uno schema troppo impari alla realtà: così la teoria « panantropoide » è caduta, ma non vuol dire che non sia sempre per risorgere. I soliti confronti che hanno fatto presa su questo o quello ritorneranno come idee fisse, sulle quali si gira per indigenza mentale. Il polifiletismo attuale, che salta i Simiidae, non ha ancora trovato i nomi; cui attaccare i molti phila, che restano sospesi nel vuoto; non sa neanche « se esistano aggruppamenti di Primati paralleli a quelli stabiliti nella umanità » (2); è semplicemente uno sfafo d’azimio, una vaga aspira- zione di collegare le differenziazioni umane e quelle della « sfera anatomo- zoologica »: non avendo alcuna consistenza non si può neanche combat- terlo. Il fatto più saliente di, quest’ ultima fase in Italia è stato che in base alle scoperte dell’AMEGHINO si pretendeva « doveroso » di diventare polifi- letisti : quest’ argomentazione non ha rialzato molto il prestigio del polifi- letismo, e tanto meno guadagnato alcun proselite. (1) Cfr. GiuFFRIDA-RUGGERI (V.), L'uomo mousteriano e ? ipotesi panantropoide. Riv. d’ Italia XIV, 1911, fasc. VIII, dove si trova riferita anche la critica pubblicata dal KEITH in « Na- ture », IQII, pp. 508-s10. (2) Così scrive il SERA (« Giorn, per la Mori. ecc., », 1917, p. 133), il quale vorrebbe che un monofiletista, il prof. KEITH, si occupasse di « verificare la concezione polifiletica » : speriamo che se ne voglia occupare lui stesso, essendo per lui più doveroso di giustificare le sue convin- zioni o preferenze polifiletistiche. A di È. | LEPRI CERATO ri iS LT DTT o fa el DI i Bi e i Ro Ie 5 4 3 14 RIVISTA ITALIANA In mancanza di altra dimostrazione (1) noi teniamo ancora alla conce- zione che l’uomo è monofiletico, come spiega il prof. LuLL (2) dicendo: « that is, derived from a single prehuman species, and there is no reason to believe otherwise ». La quistione del passaggio dai Pro-Hominidae agli Hominidae è posta dal LuLL nel modo -seguente. All’ epoca in cui non esistevano Hominidae le condizioni geologiche erano alquanto diverse dalle attuali. Il LuLL crede che allora sia avvenuta la grande elevazione continentale dell’ Imalaia, la cui conseguenza climatica è stata un incremento dell’ aridità, specialmente a nord della grande catena. Una zona enorme ha cessato di trovarsi in condizioni climatiche tropicali, con una diminuzione corrispondente di aree intensamente boschive. Non si tratta ‘dell'incendio delle foreste di qualche isola per eruzioni vulcaniche, come immaginava il MANOUVRIER per spiegare il passaggio dalla vita arbori- cola alla terrestre, ma di un fenomeno naturale su una scala molto più vasta. Per quanto sia da ammettere che ogni animale vada in cerca del suo ‘ambiente, si può essere determinata gradatamente una condizione di am- biente, la quale da una parte portava all’ estinzione dei vecchi abitatori delle (1) La grossa memoria del SERA, « Za zestimonianza dei fossili di antropomorfi per la que- stione dell'origine dell’ uomo. Atti Soc. Ital. Sc. Nat., LVI, 1917, » potrebbe essere sottoscritta da qualunque monofiletista. Quando il S. dice (p. 120): « non si può dedurre senz’ altro dalla somiglianza generale dei denti di tutte le razze umane una comunanza di origine per tutti gli uomini », bisogna aggiungere, naturalmente, che tanto meno si può dedurre la non comunanza di origine, sebbene la predilezione del S. sia per la non comunanza; ma allora perchè parla (p. 108, per es.) di « phylum umano », e del « predecessore » di /70720? Mi pare che i polifile- tisti dovrebbero adoperare il $/ura/e, e lasciare il singolare ai monofiletisti. L’ipotesi polifiletistica del S. è che « un dato gruppo umano da una parte e un dato antro- pomorfo dall’altra » siano associati a un tipo primitivo comune (p. 121), associazione che — spre- giudicatamente, come dice il S. — appare del tutto gratuita: certamente non è neanche per il S. rivestita del carattere di necessità. Il S. stesso riconosce che « i denti costituiscono rn documento piuttosto magro per la loro stessa natura per la decisione delle questioni filogene- tiche più grosse » (p. 121). Lo stesso dice presso a poco per la mandibola (p. 141). E allora? Non si potrebbe aspettare ad enunciare l’ipotesi quando vi fossero documenti piuttosto sostanziosi ? Questi che sarebbero i buoi per tirare il carro del polifiletismo sinora non sono apparsi: è apparso il carro, ma chi lo tira? Il femore di Eppelsheim anche per il S. non basta (p. 86), e certamente non saremo noi a credere il contrario, anche se voles- simo ammettere che l’uomo europeo (s:c) sia apparso alla fine del miocene (p. 119). Il piccante della questione è che in nessun punto della memoria del S..è detto perché egli sia polifiletista. Egli dà una grande importanza al forte sviluppo del sistema nervoso centrale (p. 127), il che è giustissimo ; ma forse che tale sviluppo è contrario al monofiletismo ? Infatti il S. non da neanche le ragioni per le quali rifugge dal monofiletismo: il dire che è probabile che i phila umani siano molteplici (p. 125), non basta, se non si può dire ferché « è probabile ». Come ho\ detto — con qualche. riserva che si può fare da chi conosce l’ antropologia etnica — la me- moria potrebbe essere sottoscritta da qualunque monofiletista, tanto è poco dimostrativa in senso contrario : il che è molto fausto per il monofiletismo, dato lo stato d’ animo del S. e le risorse non piccole del suo ingegno versatile. (2) LuLL (R. S.), Organic Evolution, New York, 1917, p. 684. E TT emi ai | DI PALEONTOLOGIA — 15 selve, dall’ altra favoriva la sopravvivenza di alcuni mutanti in via di di- venire bipedi terrestri. Una volta sul terreno, un rapido rimaneggiamento del tipo fisico in vista del nuovo adattamento avrebbe dato origine a /7omo. Il GrEGORY dice appunto per il cambiamento di struttura onde si origi- narono gli Hominidae: « non è improbabile che durante un profondo cam- biamento delle abitudini di vita l’evoluzione talora proceda più rapidamente che nei casi più comuni in cui si tratta di adattamenti progressivi ininter- rotti, i quali procedono in una sola direzione » (1). Del resto è ovvio che non si avevano ancora le eccessive specializzazioni arboricole degli antro- pomorfi successivi, e quindi il cambiamento non deve immaginarsi così grande come potrebbe essere per l’orango o per il gorilla: secondo il Woop Jones moltissimo era già acquistato, poichè l’ antenato umano già camzzi- nava sugli alberi, anzi l'uomo stesso: « he and his forebears climbed and walked about the branches of the trees » (2). Egli descrive la capacità di aggrapparsi fortemente che hanno i neonati e piccoli bambini, la quale sa- rebbe « an obvious arboreal adaptation of. the human baby..... the survival ot the grip which enabled it to cling te its mother, and to the branches of its arboreal home » (3). In breve si può dire che tutte le caratteristiche umane sono proiettate nel passato, in quell’ipotetico stock « humanoid », il quale « può aver avuto precocissimi rappresentanti nella fauna mammale ». Quest’ idea di risalire molto indietro sino allo stock basale primatoide, evitando il trasformismo, non è nuova: io stesso ne diedi un largo rias- sunto molti anni fa (4), quando pareva che fosse giustificato aderire alle nuove idee antilamarkiane, le quali adesso non mi sembrano più molto con- vincenti. Neanche mi persuade molto che lo stock umano, o umanoide, sia stato preservato dalla specializzazione grazie alla sua dieta omnivora (5). Se questo philum di omnivori fosse sempre esistito, il quale certamente do- veva essere riconoscibile all’ apparato dentario, non è eccessivo supporre che avremmo già avuto qualche documento fossile meno tardivo di Mauer, che appartiene soltanto al secondo interglaciale. Invece tutti i fossili di Pri- mati superiori che si sono avuti dagli strati geologici — e oramai il nu- mero di denti e frammenti di mandibole è rilevante — indicano la dieta- frugivora. (1) GREGORY (W. K.), Studies on the Evolution of the Primates. Parte II. — Phylogeny of Recent and Extinct Anthropoids with Special Reference to the Origin of Man. Bull. Ann. Mus. Nat. Hist., Vol. XXXV, 1916, art. XIX, p. 242. (2) JONES (F. Wood), Arborea! Man, London, 1916, p. 224. (3) bid. p. 206. (4) GIUFFRIDA-RUGGERI (V.), /Z Pithecanthropus erectus e l'origine della specie umana. — Riv. di Scienza (Scientia), Ann. 1, 1907, Vol. 1I, N. IV. (5) JONES (F. Wood), Op. cit., p. 213. diete 16 RIVISTA ITALIANA » Scartando l’ eccessivo preadattamento sostenuto dal Woop JONES, pos- siamo considerare con fiducia come primo caposaldo che i Pro-Hominidae erano frugivori, sino a prova contraria, e che gli Hominidae invece erano omnivori. Allora — ritornando all'ipotesi del LuLL — il cambiamento am- bientale giustifica il passaggio alla dieta omnivora. Questa ipotesi si ac- corda con il concetto che ha il GREGORY dei Pro-Hominidae e degli Homi- nidae. I primi sono « Antropoidi catarrini semieretti, senza coda, con membra corte e grosse mascelle»: essi appartengono al Miocene superiore (1); essendo antropoidi sono confinati nelle regioni delle foreste. Invece omo è « omnivoro, interamente terrestre, eretto, bipede e corridore (cursorial), sovratutto abitante di regioni aperte » (2). Il secondo caposaldo è la differente distribuzione geografica che deve risultare, date tali definizioni, a causa della netta separazione che il dia- framma dell’ Imalaia stabilisce fra 1’ habitat boschivo e quello delle regioni aperte. A. partire dal Pliocene tutta la regione delle foreste a sud dell’ Ima- laia resta come habitat dei Simiidae ; agli Hominidae appartengono le lande dell’ immenso altipiano dell'Asia Centrale, secondo l’ ipotesi del LuLL; ma, come animali adatti alle incursioni, si può loro assegnare in secondo tempo tutta l’ Eurasia — la parte non boschiva sempre — a nord dell’ Imalaia, Il deterioramento delle armi naturali di difesa indica che l’ambiente non esi- geva una lotta fisica, come si ha fra gli abitatori della giungla, potendo essere sufficienti le risorse dell’ intelletto. Certo l’ Asia centrale non avrà presentato quelle condizioni ideali di sicurtà, che lo SCHÒTENSACK vedeva nell’ Australia, ma tutto sommato forse sarà stata un ambiente più fattivo, suscitando uno stato di difesa intelligente, che essendo attiva e vigile non era nè disperata nè diuturna. Possiamo vedere subito l’utilità di questi concetti geonemici, valu- tando la predizione che ha fatto ultimamente il prof. OsBoRN, quando ha scritto: « It is possibile that within the next decade one or more of the tertiary ancestors of man may be discovered in northern India among the foot-hills known as the Siwaliks » (3). La catena dei Siwalik, parallela all’Imalaia ma poco elevata, è la terra classica degli antropomorfi fossili asiatici, si potrebbe dire il loro habitat di predilezione, il che esclude che possa essere stato anche prediletto dagli Hominidae. Dal momento che Simiidae e Hominidae non potevano aver l’ habitat comune per la ragione che le foreste convenivano soltanto ai primi, la speranza dell’ OsBoRN ci (1) GREGORY (W. K.), Op. cit., p. 327. (2) /bid. p. 277. (3) OsBorN (H. Fairfield). Mfen of the Old Stone Age, 2% ediz. New. York, 1916, p. SII. ur se I PROSE “ i - y 5 I Mu SARI r” PA, \de Li è 4 aa dI ORO dfn MAINE OT “ANA "ag ra ) DI PALEONTOLOGIA 17 fi sembra geograficamente male collocata. Nel Quaternario si può ammettere di che Z7omo abbia già potuto iniziare quel dominio della natura, per cui qua- ù lunque ambiente non sarebbe stato più proibitivo per lui, ma nel Terziario Ai la convivenza di antropomorfi e di uomini ci sembra poco probabile; tanto meno crediamo che, i primi abbiano potuto offrire qualche protezione ai se- condi, come pure è stato immaginato, e fraternamente occuparsi del loro sviluppo, ogni antropomorfo avendo sotto le sue cure un dato gruppo di Hominidae. Il SERA crede impossibile che forme inermi affatto potessero conservarsi sul suolo terrestre senza gli antropomorfi che prepararono e crearono a poco a poco l’ambiente umano (1); invece un nuovo polifiletista, il Woop JonFSs, dà gli Hominidae come esistenti anteriormente ai Simiidae (2). A noi sembra.semplicemente che Hominidae e Simiidae siano evoluti senza alcuna interferenza. Vogliamo quì accennare al caso del .Sivafifhecus indicus, il quale, prove- Lo nendo appunto dai monti Sivalik, ha rischiato di passare per Hominida, il . che avrebbe realizzato subito la speranza dell’Osgsorn. Quando il PILGRIM }: annunziò questa sua scoperta di un Hominida terziario, io scrissi subito in È una recensione .(3) del lavoro gentilmente inviatomi dall’ autore, che .Siva- pithecus non mi sembrava effettivamente così distinto da a/eopithecus da poter entrare in un’altra famiglia, nella famiglia Hominidae: vedo con piacere che il più autorevole conoscitore di fossili scimmieschi ha dato uguale i giudizio (4). La ricostruzione della mandibola fatta dal PiLGrIM è risultata inesatta, troppo corta alla sinfisi, coi canini situati troppo internamente ri- spetto ai premolati, evidentemente per il preconcetto di avvicinarla alla mandibola di /7omo0. Invece la ricostruzione fatta dal GREGORY (5) mostra piuttosto la sua rassomiglianza con la mandibola dell’ orango: è una rico- 4 struzione molto più verosimile, e enormemente diversa da quella del PiL- GRIM, specialmente nella disposizione dell’ arcata dentaria, la quale il GRE- cory ha disposto su due linee parallele come negli antropoidi e il PILGRIM invece su una curva parabolica come nell’ uomo. A parte questo — che rientra in quel campo di arbitrio nel quale si pone sempre chi ricostruisce troppo più di ciò che possiede — meno si può perdonare il fatto che, es- sendo quasi tutto lo studio del PiLcrIiMm fondato sui denti, il GrEGORY in- (1) SERA (G. L.), Za festimonianza ecc., loc. cit., pp. 124-127. (2) JonES (F. Wood), Te Problem of Man's Ancestry, London, 1918, pp. 34, 39. } 4 (3) PiLGrIM (G. E.), New Sivalik Primates and their Bearing on the Question of the Evolution x of Man and the Anthropoidea. Records of the Geolog. Surv. of India, XLV, 1915, Parte I, pp. 1-74, pls. 1-4. — Vedi recens. in « Arch. per l’Antrop. e l’ Etnol. », XLV, 1915. pp. 202-203. (4) GrEGORY (W. K.), Op. cit., p. 301. (5) Zbid., p. 289, fig. 14, A e p. 291, fig. 16 A. la es 18 ‘© RIVISTA ITALIANA vece viene alla conclusione che i denti stessi sono molto differenti da quelli di Mauer, di Krapina « or any other known human types ». Il SERA addi- rittura afferma che la corona dei molari, anzichè avere aspetto umano, come - crede il PiLGRIM, ha aspetto ceboide (1). Tutto ciò non è molto edificante per riguardo all’ attendibilità che meritano gli schemi filetici fondati sullo studio dei denti. Ad ogni modo è molto significativo il fatto che diversi naturalisti, senza sapere l’ uno dell’ altro, sono venuti alla stessa conclusione che Sivapithecus è un antropomorfo schietto. Il SERA trova in esso 9 caratteri certamente antropoidici e nessun carattere esclusivamente e sicuramente umano; trova anche delle note ceboidi, le quali indicano il precoce distacco dal phylum generale, quando questo ancora possedeva caratteristiche platirrinoidi: ri- tiene inoltre che lo spazio anteriore destinato alla lingua e ai suoi movimenti. doveva essere assai limitato trasversalmente, il che conferma la nuova ri- costruzione del GreGORY. Questa anche nel profilo appare molto più cor- retta che quella del PiLGrIim, in cui la linea di profilo è anteriormente rappresentata dal canino, ciò che veramente non è nè umano nè scimmiesco, dovendo invece gl’incisivi sempre essere alquanto visibili anteriormente al canino. Il quale poi è così fortemente sviluppato che esclude quella « se- lezione neuropsichica, » come dice il SERA, onde tutta la fabrica corporis dell’ uomo riceve un'impronta non equivoca. ; Che dire adesso della pretesa del PiLGRIM, il quale in base alla lun- ghezza della sinfisi mandibolare era giunto al polifiletismo? In un phylum egli mette le pretesi sinfisi corte, in un altro le pretesi sinfisi lunghe: si ha così un philum composto da Sivapithecus, Pithecanthropus, Homo sapiens, e un altro composto da:/7. heidelbergencis (2), Eoanthropus e H. neanderthalensis. Quantò sia arbitrario questo polifiletismo risulta dal fatto che del primo philum non conosciamo la sinfisi di .Sivapithecus e ci manca completamente la mandibola di /iflkecanthropus; del secondo phylum, igno- riamo ugualmente la sinfisi di £var/kropus, perchè il frammento di Piltdown non arriva alla linea mediana, e del resto dai più competenti è adesso ascritto a un 7voglodytes (Pan vetus, Mill.), senza dire che è tutt'altro che somi- gliante alla mandibola di Mauer. È il caso di esclamare, con quanto poco criterio si sostiene il polifiletismo! Tuttavia il prof. SerGI loda il PILGRIM per il suo polifiletismo, criticandone le incongruenze per la sinfisi (3); l’idea generale è buona, soltanto l’udîi corsistam fa difetto; così il SERGI, per il quale (1) SerA (G. L.), Un preteso Hominida miocenico : Sivapithecus indicus Natura. Riv. di sc. natur., VIII, 1917, p. 172; e in « Giorn. per la Morf. ecc. », 1917, fasc. I, p. 54. (2) Questo veramente non figura nell’albero politico, ma è menzionato nel testo, a p. 59. (3) SERGI (G.), Problemi di Scienza contemporanea. ‘Torino, 1916, pp. 131-132. . TRE VERE ETNEA E E CI DI PALEONTOLOGIA x Sivapithecus è un antropoide, incita il neofita a saltare i Simiidae. In tal caso tutte le difficoltà si appianano, ma il lavoro del PiLcrim diventa inutile: ritorniamo al polifiletismo unicamente verbale, atto di fede o stato d'animo, ma nulla di concreto. Il PiLGriMm non saprà più dove attaccare i suoi phila, come non lo sa il SerGI. Le specie umane fossili non conducono molto lontano: esse non implicano nulla contro il monofiletismo (1); ognuno capisce che l’ unicità del phylum s'intende prezwzaza per definizione, come abbiamo detto in principio di questo scritto. 1 Quì è opportuno uno schiarimento. Altra volta (2) ho chiamato con l’Osrorn « Polifiletismo » la torma- zione di linee, parallele o divergenti (Rosa), provenienti da origine unica, i e ho detto che in questo senso ero anch’ io polifiletista; ma nè il SERGI nè } È il SeRA intendono il polifiletismo entro l'ambito umano, bensì — e forse è O preferibile come terminologia — o/fre l'ambito umano. Così per mag- giore chiarezza ho preferito lasciar che si chiami polifiletismo quella che il SERGI chiama « teoria delle origini delle forme organiche a gruppi, chiamati È stirpi, composte di rami o phyla, dello stesso tipo, ma con caratteri propri che li separano gli uni dagli altri » (3). Egli stesso riconosce che ciò è dif ferente dal polifiletismo dell’ Osporn, rispetto al quale si può chiamare ul- trapolifiletismo. Contro questa teoria è molto caustica la critica che il GREGORY rivolge agli investigatori « who expect very remote ancestors to foreshadow all the characters of their specialized descendants, and who, not finding such ancestors, make every group indefinitely polyphyletic and push all phyletic lines backward as nearly parallel lines meeting only at excessively remote periods. » (4) Noi siamo perfettamente d’accordo col ‘GRECORY, il quale sostiene che « natural families perhaps usually arise, from a single genus or from closely allied genera » (5). Gli Hominidae sono una famiglia tipicamente omogeneà, sia nel rispetto fisiologico (Hominidae attuali) che nel .rispetto anatomico (Hominidae attuali ed estinti); quindi i ad essa, meno che ad altra famiglia, possono applicarsi le divagazioni poli- filetiche. - a (1) Meno ancora si comprende quali vantaggi si aspettino i polifiletisti dal riconoscimento, Ù che essi domandano a gran voce, di varie specie umane viventi (e quindi gli attacchi al KEITH, che conducono in mirabile concordia il SERGI e il SERA): posso ‘assicurarli che la mia disposi- zione ad ammettere diverse specie è andata crescendo senza farmi accorto di cadere menoma- pi mente nel polifiletismo. ; (2) GIUFFRIDA-RUGGERI (V.), L'uomo attuale: una specie collettiva, Roma, Albrighi e Segati, 1913, Cfr. specialmente la « Prefazione ». ' È (3) SERGI (G.), Op. cit., p. 76. (4) GREGORY (W. K.), Op. cit., p. 292. (5) Z0id., p. 307. . RIVISTA ITALIANA ) Ritornando al PiLGRIM e al suo schema filetico, guardando quest’ ultimo si vede subito, che se il PiLGrim fosse costretto a saltare Pi/recanthropus e Sivapithecus dovrebbe attaccare i suoi phila umani al philum degli Hylo- batinae, poichè gli altri Simiidae sono da lui relegati molto lontano. In definitiva è un polifiletismo che si riduce a riunire arbitrariamente una fami- glia, « Hominidae », a una subfam. di Simiidae. Supponiamo che il PILGRIM, per seguire il consiglio del SerGI salti del tutto Simiidae, i suoi phila — quelli che ha tracciato nel suo schema, — interrotti, restano sospesi nel vuoto, si perdono subito, appena oltrepassano gli Hominidae. Intanto da ciò che abbiamo detto, tragghiamo la conclusione, che il PILGRIM deve fare a meno di Sivafithecus.. Stando ai denti egli dovrebbe fare a meno anche di /iffecanthrofus, i cui molari sono più somiglianti a quelli dell’orango che a quelli dell’uomo (1), e l’orango nello schema del PILGRIM è il più discosto che possibile da 7070. Per essere il primo esempio concreto di polifiletismo applicato a Hominidae il risultato non sembra molto confortante. * x * A noi interessa rivolgerci ancora una volta la domanda: come si con- cepisce il passaggio dai Pro-Hominidae agli Hominidae. È sempre il GRE- Gory che risponde. più chiaramente di ogni altro: tostoch* la locomozione bipede fu adottata, gli arti inferiori si allungarono e le braccia si accorcia-. rono; anche un piede di tipo gorilloide con cambiamenti morfologici relati- vamente lievi può divenire facilmente atto a servire sul terreno (2). Dopo tante critiche, questo concetto semplicissimo non appare nè inverosimile nè seriamente intaccato: se esso ha resistito a oltre mezzo secolo di scetti- cismo, bisogna che confessiamo la sua vitalità e orientiamo le nostre convin- zioni nel senso di tale possibilità. Accogliendo tale concetto noi siamo meglio in grado di valutare la posizione di Pifrecanthropus. Si è ventilata più volte l'ipotesi di un gib- bone gigantesco (3), e anche il SerA mette Pifhkecanthropus accanto a 77y/0- bates nel suo schema filetico provvisorio. Il forte sviluppo degli arti poste- riori ad un piccolo animale, quale il gibbone, facilita la stazione eretta sugli alberi, ma si comprende meno, dice il GrEGORY, che tale posizione possa essere abituale a un animale pesante quanto un gorilla o anche uno scim- (1) GREGORY (W. K.), Op. cit., p. 320. (2) Zbid., pp. 332-334. Cfr. pure Luti (R. S), Op. cit., p. 303. Anche il Woop JonES, so- stenendo che il piede umano è un piede di arboricolo successivamente ‘adattato alla deambula- zione eretta terrestre, non viene a sostenere nulla di essenzialmente nuovo, e non si comprende affatto perchè egli inveisca contro la scuola paleontologica americana, la quale sembra che egli non apprezzi al suo giusto, veramente grande, valore. (3) BouLE (M.), L'Homme fossile de la Chapelle - aua - Saints. Annales de Palèontologie, VIII, 1913, p. 263. ITA iii DI PALEONTOLOGIA 21 pansè, per la difficoltà di mantenere l’equilibrio (1). Non si realizza, da chi tende a svalutare /ifhecanthropus, la portata enorme che ha un femore di 455 mm. Il forte sviluppo degli arti posteriori è già una facies umana: con esso concorda la posizione di Piffecanthrobus nello schema filetico del GREGORY, dove appare lateralmente al ramo principale di Hominidae, molto lontano dagli Hylobatinae. Per gli altri caratteri del fossile si può pensare a un Hominida teromorfizzato. Data l’ epoca relativamente tarda, cioè alla fine del terziario, potrebbe essere già avvenuto il processo di vecchiaia morfolo- gica o bestializzazione, fenomeno che si osserva’ anche in qualche ramo umano attuale : 1’ esempio degli Australiani è stato già da me citato pa- recchi anni fa (2), e non ha bisogno — speriamo — di essere riscoperto da altri. Sono i caratteri detti « filogerontici » dai paleontologi (3). Comunque sia, volendo ammettere che Piffkecanthropus entri nel plylum di Hominidae, non è probabile che sia come capo stipite, ma piuttosto come ramo aberrante o marginale. Esso ci dà un’idea non dei primi esseri scesi dagli alberi — ciò che sarà avvenuto molto lungi da Giava e in un’ epoca molto più remota, — ma di esseri arrivati, forse dopo lungo peregrinare nel- l’ Asia orientale, al termine della loro evoluzione. Quale ne è stato l’ inizio ? È sempre la domanda che ci rivolgiamo per tutti quanti gli Hominidae, e alla quale il GREGORY avvedutamente risponde, che non è da pensare a modesti gibbonoidi dalle abitudini pacifiche, i quali non avrebbero mai potuto correre i rischi di vivere in concorrenza con la poderosa fauna delle pia- nure (4). Soltanto esseri ragguardevoli per mole, che il GREGORY descrive con grande torace e testa voluminosa, hanno potuto iniziare la nuova evo- luzione e progredire in essa. Quindi la forte statura di Pi/kecanthropus, la potente mandibola di 77. heidelbergensis, così atta a strappare le carni, il grosso cervello di omo dawsoni non sono nulla di inaspettato : rappresen- tano la corsa veloce, l’aggressione alle vittime, la fabbricazione di armi litiche; sono i fattori di vittoria e che spiegano il successo di Hominidae in modo autonomo e logico, senza bisogno di ipotesi trascendentali. Inaspettata è stata soltanto la mandibola di 77. dawsori, causa di tanti dissidi e ancora « sub judice ». La sorpresa era giustificata, come ha mo- strato lo studio demolitore del MiLLER (5). Contemporaneamente sono venuti altri giudizi ad aggravare la posizione ambigua del fossile di. Piltdown. A (1) GREGORY (W. K.), Op. cit., p. 334. (2) GruFFRIDA-RUGGERI (V.), Za quistione dei Pigntei e' le variazioni morfologiche dei gruppi etnici. « Atti Soc. Ital. Progr. Sc, », IV Riun. (Napoli, ott. .1910), Roma rgII, pp. 495, 506; e in « Arch. per l’Antrop. e l’Etnol. », XL, I9ro, fasc. 3. (3) Cfr. Lutt (R. S.), Op, cit., p. 220. (4) GREGORY (W. K.), Op. cit., p, 322. (5) MiLLER (G. 5S.), Ze /aw of the Pilidown Man. Smithson. Miscell. Collections. Vol. 65, N12; 1915: x 408 22 RIVISTA ITALIANA appia 49 me è sembrato molto importante che il prof. TOLDT, così competente, senza € sapere nulla delle conclusioni del paleontologo americano e senza neanche Ste entrare nella disputa pro o contro l’ appartenenza della mandibola al cranio — il che mostra l’ assenza di ogni partito preso —, fa notare l’ aspetto an- tropoidico della parte anteriore della mandibola di Piltdown, in contrapposto all'aspetto umano della parte corrispondente in Mauer e nelle mandibole. ascritte all’ uomo neandertalense (1). Quel rafforzamento della parte basale SE che già si inizia in 77. Aeidelbergensis, viene poi morfologicamente prose- guito in 77. neanderthalensis e specialmente in 77. sapiens, ma salta il fi Piltdown, il che non sarebbe avvenuto se la mandibola fosse appartenuta al DA cranio. Vero è che il SERGI scrive che la mandibola poteva essere ricostruita i in un modo più umano (2); non sappiamo con quanto fondamento : forse il WOODWARD, certe libertà — quali si sono viste in occasione degli antro- poidi (ricostruiti!) dell’ Argentina — non se le permette. Noi gli auguriamo } un secondo esemplare di ZEoartiropus dawsoni col cranio e la mandibola ; del precedente; in tal caso sarà doveroso per noi — come per tutti — di } credere alla esistenza del fossile da lui così denominato. Sino ad allora pre- feriamo scinderlo in omo dawsoni e Pan vetus, come si fa ormai dai mor- fologi americani. II GREGORY che, essendo sempre molto cauto, preterisce il terreno più d solido, non si perde in ipotesi, che vadano più indietro di 77. heidelber- I Ro. gensis: per lui l’uomo di Mauer è « directly ancestral to all the later Ho- bi: | minidae » (5), tralasciando altri ascendenti che non si conoscono. Fra i “M discendenti di /7. heidelbergensis annovera 7. dawsoni (3), H. neandertha- to, lensis, e H. sapiens : beninteso che quest’ ordine non indica alcuna deriva- zione l’ uno dall’altro ; è evidente che da un capo stipite possono derivare A 3 rami distinti, e il trovarsi essi in un dato posto a distanza di epoche geologiche N non toglie nulla alla probabilità che siano venuti da regioni molto lontane. Anche le differenze che si hanno nel « composite group called /7. sapiens » È È 1a possono essersi originate « at different times and in widely separated re- Mu. gions » (4). Questa è appunto la nostra opinione, che si può riassumere di- cendo :' uricità del philum e pluralità dei centri specifici. Il GREGORY, l’Ossorn e il MATTHEW sono concordi nel collocare in Asia il centro di formazione e di dispersione di Hominidae, nessuno di essi % ca (1) ToLpT (C.), Veber den vorderen Abschnitt des menschlichen Unterkiefers mit Riteksicht ; Sb auf dessen anthropologische Bedeutung. Mitth. Anthrop. Gesells. Wien, XXXXV, 1915, pp. 248-249. È .(4) SERGI (G.), Op. cit., pp. 115-116, e Za mandibola umana. Riv. di Antrop. XIX, 1914. a : (2) GrecoRrY (W. K.), Op. cit. p. 342. A ia (3) Questo non appare nello schema filetico a p. 337, ma è menzionato nel testo (p. 323). È. pol (4) Zbid., pag. 328. sà av DI PALEONTOLOIGA ‘occupandosi del supposto centro antropogenico sud-americano propugnato in Italia e nell’Argentina, per il quale la nostra diffidenza (1) è stata poi tanto giustificata. Il MaTtTHEW, mettendo da parte le scimmie sud-americane, fa derivare tutti gli altri Anthropoidea, compreso l’uomo (2), dagli antropoidi oligocenici del Fayum, così bene studiati dallo ScHLOSSER: ben inteso che ciò non avviene 77 si/, il che sarebbe troppo infantile, dato il lasso di tempo che intercede. Egli ha il merito di respingere l’ origine tropicale di Hominidae con una serie di osservazioni degne di molta considerazione tratte dal campo zoologico, come quella che non si conosce esempio di animale tropicale a pelle priva o quasi di peli i cui tegumenti non si pre- sentino ispessiti. Ma la pelle dell’uomo è sprovvista di peli ed è sottilis- sima, quanto mai inadatta alla vita in ambiente di foresta: passare nudi attraverso le foreste tropicali è un adattamento che fa fremere! Il MaTTHEW invece ammette l’antropogenesi nell’ altipiano centrale asiatico, quando non | era ancora così sterile come attualmente, il che coincide felicemente con la ipotesi del LuLc, dalla quale abbiamo preso le mosse. Certamente neanche un habitat artico è l’ideale per un animale nudo, ma questo animale però era l’uomo, dotato di un encefalo molto sviluppato, e non doveva essergli ditficile di indossare il rivestimento peloso di qualche altro animale. Il MATTHEW anzi acutamente mette in relazione i due fatti, potendosi supporre che mano mano che l’uomo, non ancora del tutto spe- lato, utilizzava il rivestimento altrui, veniva sempre di più a perdere .il . proprio. Che questa perdita sia stata influenzata dal vestito anzidetto ap- pare dalla differenza che si osserva fra la perdita dei peli nell’ uomo e negli altri animali: mentre in questi il pelame scompare principalmente alla parte ventrale, ai lati del corpo e sugli arti, ed è più a lungo trattenuto sul dorso, nell'uomo si ha tutto il contrario. Per completare il quadro delle origini umane dobbiamo dire qualche cosa delle migrazioni di Hominidae. Noi crediamo con 1 OsBorn, che le migrazioni umane abbiano seguìto le grandi vie aperte da quelle numerose specie animali, che mano mano si allontanavano dai loro centri asiatici (3). Gli Hominidae, « ferocious and predatory » come dice il GREGORY, segui- vano, io credo, quegli animali, perchè come cacciatori omnivori erano ‘at- tratti nelle loro piste. Ciò non avrebbero fatto se fossero stati frugivori, ma Hominidae frugivori non sono mai esistiti. II GREGORY non ritiene con- (1) Cfr. GirurFRIDA-RUGGEi1 (V.), Homo sapiens, Wien u. Leipzig, 1913, e in « Arch. per l’Antrcp. e l’Etnol. », XLII, 1912, fasc. 4°; vedi anche « Monit. Zool. Ital. »; XXII, 1911, n. 11. (2) MATTHEW (W. D.), Climate and evolution. Annals New York Acad. of Scienc., XXIV, 1915, pp. 171-318 : cfr. lo schema filetico a p. 215. ‘. (3) OsBorN (H. Fairfield), Op. cit., p. 72. RIVISTA ITALIANA vincente la dimostrazione contraria del KEiTH (©), che dalla ampiezza della volta palatina del cranio di Gibilterra e dalla larghezza delle corone den- tarie che si hanno negli esemplari neandertalensi desume un esteso mo- vimento di lateralità, onde l’uomo di Neanderthal doveva essere special- mente adattato a una grossolana dieta vegetale. Anche a noi sembra che forse le condizioni morfologiche menzionate dal KEITH non sono così univo- che. La nostra pratica craniologica ci ha fatto vedere volte palatine estre- mamente differenti per ampiezza e altezza nei diversi gruppi umani, senza alcuna diversità rilevante (nel senso notato dal KEITH) per la dieta, poichè, naturalmente, nei gruppi umani attuali non si ha che la dieta più o meno omnivora. Si può piuttosto credere che una volta acquistata la dieta omnivora — vale a dire, in gran parte carnivora — le abitudini predatorie finirono col rappresentare una esigenza psichica tale da far passare in seconda linea il fatto mortologico. Soltanto una costrizione — che sarebbe inesplicabile e. che certamente non si è avverata — avrebbe potuto ottenere il ritorno all’ in- nocente vegetarianismo. La china era piuttosto — in caso di necessità — verso l’ antropofagia, la quale del resto si verificò ampiamente nei discen- denti. È dubbio che le prime onde migratorie si siano dirette verso il Sud: la difficoltà del passaggio dell’ Imalaia, la grande diversità dell’ ambiente sono indicazioni palesemente contrarie. D’ altra parte non mancava territo- rio aperto alle incursioni, sia ad Est che ad Ovest: da questo lato è pos-. sibile che una di queste onde sia arrivata sino nell’ Europa occidentale, in- sieme con gli altri mammiferi asiatici, e che /7. heide/bergensis ne sia il rap- presentante fossile. Ciò del resto dovette ripetersi diverse volte in seguito (2). Nel frattempo ha potuto verificarsi anche l’adattamento alle foreste tropicali; ma probabilmente ciò ha dato origine a un altro ciclo raziale, quello che noi chiamiamo ciclo delle razze equatoriali. Il nucleo di Homi- nidae rimasto nell’ Asia centrale si differenziava anch’ esso in un altro ciclo raziale, che chiamiamo ciclo delle razze boreali, principalmente suddiviso in due formazioni, la Leucodermica e la Xantodermica. Onde si vede che per lo meno ne risultano tre centri genetici raziali, uno meridionale (il quale si suddivide in molti centri locali), e due settentrionali (3). (1) KeiTB (A.), The antiquity of Man, London, 1915, p. ISI. (2) Cfr. GIUFFRIDA-RUGGERI (V.), Za successione e la provenienza delle razze europee Fresa ltiche ecc. Riv. Ital. di Paleontol., XXII, 1916, fasc. IV. (3) Per i particolari vedi GruFFRIDA-RUGGERI (V.), Za così detta culla dell'umanità. Riv. Ital. di Sociol., XIX, 1915, fasc. V-VI, Un ottimo riassunto dovuto al prof. BouLk è apparso in « L’Anthropologie » XXVIII, 1917, p. 598. — Non ho bisogno di far notare che la ipotesi del MATTHEW, pubblicata contemporaneamente alla mia, si riferisce a un periodo cronologico ante- AR ri RA RISE STE VOS SATO ici e hd Ù î DI PALEONTOLOGIA” — Non ho difficoltà ad ammettere che si tratti di centri specifici, e che | tale ipotesi sia « une sorte de conciliation entre monogenistes et polygeni- | stes » (BouLE). Fermo restando il principio che l’antropggenesi non si è ripetuta @0 origine diverse volte, la pluralità dei centri raziali (eventualmente specifici) va intesa come pluralità dei centri di differenziamento in specie e sottospecie. Napoli - R. Università, Istituto Antropologico. Giugno 7928. riore, e che perciò le due ipotesi si completano a vicenda. Non nascondo che avrei preferito che il M. si fosse limitato al periodo delle origini della Famiglia Hominidae — la quale come tale entra nella competenza di qualunque zoologo o paleontologo; — lasciando all’antropologo i gruppi umani, dei quali egli pure si occupa. Non dico ciò per vana jattanza — e tanto meno vorrei imitare quel modo offensivo di far valere la propria competenza (vera o presunta) che si ado- pera comunemente dagli antropologi pur troppo in Italia —; ma, accanto al molto bene che ho detto della memoria del M., la quale è realmente pregevole, posso notare qualche neo, come quello della fig. 6 (p. 210), in cui si vedono segnati i Negritos nell’Africa occidentale. Ora ciò non sarebbe avvenuto se il M. avesse evitato di entrare nel campo della nostra competenza. VA 26 | i Tai “E ‘x Sa GIOVANNI DI-STEFANO (Necrologia) Giovanni Di-Stefano nacque in Santa Ninfa, provincia di Tra- (. pani, il 25 Febbraio del 1856 da Mariano ed Ippolita Perez. fa Nel 1882, seguito il corso di Scienze Naturali nella Univer- Li sità di Palermo, ottenne la Laurea col massimo dei punti. do i Egli presentò, come tesi, un lavoro originale sulla Fauna ti- at tonica del Castello di Termini-Imerese, che nello stesso anno. fot ebbe l’ onore della stampa. Questo fu il secondo lavoro di Gio- A vanni Di-Stefano poichè, studente ancora, avea pubblicato, nel N: 7 1881, alcuni Appunti geologici sul Monte Cronio di Sciacca, che 106 già dimostrarono le ottime disposizioni del giovane geologo. È Poco dopo, nel 1883, Egli fu nominato assistente provvisorio alla cattedra di Geologia e Mineralogia della Università di Pa- lermo; ma nel 1884 rinunziò a questo ufficio per recarsi a studiare A presso 1’ Università di Vienna, avendo ottenuto dal Ministero della 000 Pubblica Istruzione, un assegno per studi di perfezionamento. ftt Il Dott. Di-Stefano rimase per due semestri (l’ultimo del 1884 bi: e il primo del 1885) presso l’Istituto paleontologico dell’ Univer- | sità viennese, allora diretto dal Prof. Neumayr. Frequentò pure ì il corso di Geologia dettato da Eduardo Suess. È Frutto di questo studio fu la pubblicazione in lingua tedesca i della monografia: Ueber die Brachiopoden des Unteroolithes von È 4 Monte 8. Giuliano bei Trapani (Sicilien), che venne inserita } nell’ Annuario dello Istituto geologico austriaco. n. In questo lavoro è descritta per la prima volta la fauna di brachiopodi dell’ Oolite inferiore di Monte S. Giuliano, la quale hi è stata poi rinvenuta in Calabria, in Basilicata e parzialmente fe anche nelle regioni alpine. Durante la dimora del Dott. Di-Stefano a Vienna fu anche hi pubblicata a Palermo la Sua monografia: Sui brachiopodi della TIE e eee E DI PALEONTOLOGIA 97 ' zona con Posidonomya alpina dì Monte Ucina, presso (Galati. I fossili descritti in questo lavoro ebbero anche riscontro nella Oolite della Calabria. Ritornato in patria, fu nominato assistente ordinario. alla Cattedra di Geologia e Mineralogia dell’ Università di Palermo e occupò questo ufficio dal 1885 al 1889. In questo tempo si svolse per Lui un periodo importante della Sua vita scientifica. Egli la- vorò, sotto la guida del Prof. Gemmellaro, al riordinamento del Museo geologico che è pregio dell’ Università di Palermo e prese parte attiva ai lavori di campagna, avendo così occasione di fare una completa pratica geologica e paleontologica. Contemporaneamente il Dott. Di-Stefano potè pubb'icare 1 ri- sultati di varie sue indagini in parecchi lavori che qui mi è im- possibile di citare tutti. Tra i più importanti rilevo: Sul Lias inferiore di Taormina e dei suoi dintorni. — L'età delle rocce credute triassiche del territorio di Taormina (parti due). — I calcari con Caprotina di Termini- Imerese. — Osservazioni strati- grafiche sul Pliocene e sul Post-Pliocene di Sciacca. Il frutto di queste pubblicazioni fu una più estesa ed esatta conoscenza di vari terreni siciliani, la rimozione di vari errori nella Geologia della provincia di Messina e l'illustrazione di faune in grandissima parte ignote fino allora, il cui studio ha fatto anche progredire le cognizioni sul Lias e sul Cretaceo del nostro continente. Nel 1885 fu abilitato alla libera docenza in Geologia e Pa- leontologia presso la Università di Palermo e impartì regolar- mente lezione da quell’anno fino al 1889. 1 Suoi corsi, concernenti i seguenti argomenti: Vulcanismo e terremoti. — La dinamica esterna e l’ azione degli organismi sulla costituzione della crosta terrestre. — Sulla costituzione geologica del bacino di Palermo, furono sempre integrati da escursioni geologiche eseguite in omaggio al principio che, nelle nostre di- scipline, lo studio di gabinetto deve essere il riepilogo di quello eseguito in campagna. Il 1° Gennaio 1890 il Dott. Di-Stefano, già maturo cultore della Sua scienza, su proposta del R. Comitato Geologico fu no- 98 | RIVISTA ITALIANA minato paleontologo del R. Corpo delle Miniere e destinato al- l Ufficio Geologico di Roma. Ivi si svolse per Lui un nuovo e più importante ‘periodo di operosità. Quattordici anni Ei lavorò ìn ufficio e sul terreno pel progresso della Carta Geologica d’Italia, determinando le colle- zioni di fossili, personalmente raccolte, o dagli ingegneri rileva- tori, e prendendo assai spesso parte ai lavori di campagna. Egli prestò specialmente la Sua opera al rilevamento della Calabria, della Basilicata, della Puglia, degli Abruzzi, della provincia di Roma, dell'Umbria e delle Alpi Cozie e Marittime. Dell’ opera lodevole e feconda del Di-Stefano, restano a far. fede i verbali di adunanza del KR. Comitato geologico, le relazioni della Direzione del Servizio Geclogico e, oltre alle pubblicazioni proprie, quelle eseguite dagli ingegneri operatori dell’ Ufficio. Nel 1898, su proposta del R. Comitato Geologico, fu incaricato di rivedere parzialmente la Carta Geologica al 50.000 della Ca- labria settentrionale e del circondario di Rossano Calabro. Egli eseguì tale revisione ed ebbe il plauso del Comitato. I risultati del Suo studio furono pubblicati nei fogli 220, 222 e 280 della Carta Geologica al 100.000 del Regno, e nel relativo foglio di sezioni. Certo la collaborazione del Di-Stefano, durata tanti anni, al grandioso lavoro di rilevamento della Carta Geologica d'’ Italia, costituisce uno dei Suoi meriti maggiori. Durante tal periodo, fu chiamato dal Ministero di Agricol- tura, Industria e Commercio a far parte della R. Commissione per lo studio del terremoto calabro-siculo del Novembre 1894. Egli redasse la parte geologica della relazione, stampata solo più tardi, nel 1907, ed i risultati delle Sue indagini trovarono piena conferma in tutti i competenti che in appresso studiarono la regione, quando l’ immane disastro del 1908 colpì a morte quelle plaghe ridenti! i Tra tanto lavoro il Prof. Di-Stefano non trascurò di eseguire una serie di pubblicazioni tra le quali citerò le seguenti : Guida geologica dei dintorni di Taormina (in collaborazione con l’ Ing. E. Cortese), nella quale è data una compiuta descri- zione geologica delle regioni intorno Taormina, e sono dimostrati VT i A AT i Te re IT SRI A SIIT 7 RN Ep ua i i 1 i i 3 ; | DI PALEONTOLOGIA 29 parecchi fatti nuovi tra i quali l'età liassica del conglomerato rosso con anageniti, ritenuto prima triassico o permiano. Il Lias medio del Monte S. Giuliano (Erice) presso Trapani, nel quale si descrive la struttura geologica di quel monte e la fauna di brachiopodi di quel Lias medio. Sulla presenza dell’ Urgoniano in Puglia, che fa conoscere l’ esistenza della facies urgoniana dell’ Infra-Cretaceo, nella pro- vincia di Bari. Lo scisto marnoso con Myophoria vestita, della” Punta delle Pietre Nere, in provincia dì Foggia, nel quale si fa conoscere e si illustra il primo e forse unico lembo di terreno raibliano del- l’Italia meridionale. I calcari con Polyconites di Termini-Imerese, monografia che illustra un orizzonte geologico non prima noto in Italia, ma solo conosciuto in Portogallo, nella Spagna e nelle Regioni pire- naiche francesi. Il Malm in Calabria, studio col quale si dimostra che buona parte dei calcari calabresi con Ellipsactinidi appartengono al Cretaceo ; che, finora, si conosce in Calabria un solo lembo auten- tico di Malm, scoperto dal Di-Stefano, e che esistono ivi anche gli strati con A/hynchonella Clesiana, prima non conosciuti. Vacava intantogin Catania la cattedra di Geologia di quella Università ed al relativo concorso prese parte il Prof. Di-Ste- fano, attratto forse dal desiderio di tornare nella isola natìa, sempre a Lui così cara. Vinse il concorso ; e, con decreto del 18 Febbraio 1903, venne nominato professore straordinario in quella Università. Chiese al- lora la aspettativa, per motivi di servizio presso il Ministero di Agricoltura, e la ottenne con decreto del Gennaio 1904 ; finchè, cessato ai vivi nel marzo dello stesso anno il Prof. G. G. Gem- mellaro, ordinario di Geologia e Paleontologia nella Università di Palermo, la Facoltà Lo chiamava a succedere allo illustre de- funto. Così, con decreto dell’ agosto dello stesso anno, il Prof. Di-Stefano fu trasferito all’ Università di Palermo ed ascese de- gnamente la cattedra dell’ amato maestro. In pari tempo, la Di- rezione della R. Scuola di Applicazione per gli Ingegneri ed Ar-° GALA ; A par 30 | RIVISTA ITALIANA chitetti di Palermo Gli affidava l’incarico per l’ insegnamento della Geologia applicata ai materiali da costruzione. Ormai maturo d’ anni e di mente, giunto all’ apogeo della Sua cultura scientifica, sicuro e cosciente di quanto sapeva, il Prof. Di-Stefano diede a Palermo i migliori frutti del Suo lavoro. I poderosi studi che la Scienza Gli deve possono, secondo gli ar- gomenti trattati, distinguersi nei seguenti gruppi: Studi sul Terziario siciliano. Studi sui pretesi fenomeni di carreggiamento scoperti in Sicilia. Studi sul Triassico siciliano. Studi sul Cretaceo e sull’Eocene di Egitto e del Deserto Arabico. Studi sulle Richthofenia del Permiano di Palazzo Adriano. Conferenze di carattere scientifico generale. Noi non possiamo indugiarci, per ragioni di spazio, nello esame speciale di ognuna delle monografie componenti i singoli gruppi. Diremo soltanto : Che i lavori del primo gruppo contribuirono efficacemente a promuovere lo studio della dibattuta ed importante questione sulla estensione cronologica della Lepidocyelina, che dimostrò inesatte le divisioni fondate sulla sola base paleontologica. Che gli studi sul Triassico siciliano sono costituiti da mono- grafie magistrali dal punto di vista della paleontologia strati- grafica. Che le note: Sui pretesi fenomeni di carreggiamento in Si- cilia rettificarono le osservazioni di Lugeon e Argand per quanto riguarda la Sicilia, e moderarono la manìa carreggiante dei loro seguaci; poichè, pur non negando il fenomeno in linea generale, lo dimostrarono. limitato in Sicilia a pochi ricoprimenti locali. Che la monografia sulle Richthofenia di Palazzo Adriano può ben definirsi un cesello di lavoro paleontologico. Con essa il Prof. Di-Stefano, diede l’ anatomia della conchiglia di questo strano genere di brachiopodi, escludendo nettamente l’ ipotesi che tali forme potessero attribuirsi ai corallari. Che i lavori sull’ Egitto e sul Deserto Arabico, che Egli aveva visitato insieme con l’ ing. Cortese e d’ onde portò al Museo geo- logico della Università di Palermo una ricchissima ed interes- sante collezione di fossili e di rocce, recano un importantissimo mala ict cen. dè LE è ea x Sa TINI SIE, ODE do, PE IT. TT I TR DI PALEONTOLOGIA 00 31 contributo alla conoscenza geologica e paleontologica di quei luoghi. i Che infine, i discorsi, le conferenze, le prolusioni del Prof. Di-Stefano furono e sono modello di sobrietà di linguaggio Scien- tifico, e compendio di lungo studio e di grande erudizione. Giovanni Di-Stefano lascia una importante monografia sul Cretaceo e sull’Eocene d’ Egitto, che è in corso di stampa nel Bollettino del R. Comitato Geologico Italiano. Essa al più presto vedrà la luce, e la pubblicazione sarà curata col dovuto affetto dai suoi devoti discepoli. Non così sventuratamente può farsi per una fondamentale opera paleontologica sul Trias siciliano cui Egli attendeva da anni, con pazienti ricerche e con la Sua consueta acutezza di ve- dute i Di tale studio magistrale non rimangono che le illustrazioni e anche esse non compiute. Sarà prova di devozione alla memoria b. dello Estinto, tentare di ripigliare }’ importante argomento e com- | piere, col tempo, la grande opera iniziata Tutti?gli ‘scritti di Giovanni Di-Stefano, per unanime con- senso degli studiosi esteri ed italiani, hanno in prima linea V’im- pronta di opere perfette per quanto perfetto può riuscire un la- voro umano. Mai Egli scrisse, mai ‘Egli espresse una idea che non fosse il risultato maturo di pazienti, ripetute ricerche sul ter- reno, di faticoso studio e di lunga meditazione al Suo tavolo. Per questo Egli, che"poteva dare”alla scienza un numero di contributi certo maggiore, stampò relativamente poco e per questo ancora fu più meritevole di lode, convinto assertore di quel dubitando che sì conviene'alla serietà della ‘Scienza. Tale pregevole produzione scientifica diede al Di-Stefano la grande notorietà rapidamente conseguita nei maggiori centri di studi geologici, e servi a mantenere l’ Istituto e la Scuola. geolo- gica palermitana a quell’ altezza, a quella universale considera- zione, cui era già pervenuta per opera del suo fondatore G. G. Gemmellaro. oi An, ALIANA ici RIVISTA IT Con la dipartita di Giovanni Di-Stefano non soltanto uno scienziato, un Maestro sparisce dalla scena del mondo; con Lui scompare una forte, integerrima figura di uomo e di cittadino. Spirito indagatore, mente lucida, Egli aveva una percezione giusta e sana delle cose; non solo per quanto riguardasse la scienza, ma anche per le contingenze tutte della vita. Italiano nel cuore e nelle manifestazioni, nemico della vana- gloria e degli infingimenti, Egli combattè strenuamente avverso il progetto sorto anni or sono, di fondare sul Vesuvio un Istituto vulcanologico di carattere internazionale, sotto l’ auspicio tedesco. Sostenne allora una difficile lotta, e si deve alla Sua opera ed a quella di pochi altri valentuomini (1) se il fatto non ebbe com- piuto successo. Provato sin dalla giovinezza da sventure domestiche, altre ancor più gravi Lo colpirono negli ultimi anni, nel più vivo dei Suoi affetti; ciò non valse a distoglierlo dallo studio nel quale solo Egli cercò la pace e la rassegnazione ai dolori della vita, mantenendo ad ogni ora quella bontà, quella sincerità e quella dolcezza che Gli trasparivano dal volto ed erano l’ espressione del Suo animo integro e schietto. M. GEMMELLARO. (1) Oppo G. — Per lo sviluppo dell'industria chimica in Italia, App. I, Tipografia Ponzio, Pavia, 1917. Fasc. III-IV. RIVISTA ITALIANA DI PALEONTOLOGIA REDATTORE brary of Copy P. VINASSA pe REG SOMMARIO Le PUBBLICAZIONI ITALIANE: | III. P. Vinassa de Regny. — L’or- (Meli, Scalia). doviciano del Portixeddu pres- Il. P. Vinassa de Regny. — Sulle so Flumini Maggiore. future relazioni con gli scien- ziati nemici. — PARMA Rivista ITALIANA DI PALEONTOLOGIA Ta Ù 1918 SPERA i a OR SAMB SI RIMANI ROL DR PRIORA COMO MERLO UT ì { È ) Abbonamento annuale L. 8 - Per l’ estero L. 10 L5 i / 3 Non si vendono fascicoli separati Gli autori di note originali o di recensioni possono avere sino a 50 estratti, con copertina, al prezzo seguente | Per copie |. Per copie Soi 50 4 pagine tons: ill 3,00 5.00 ra Bota 5,00... | 18,50) 12 » CRA 7,00 12,00 d ‘ Con copertina \ . Stampata | lontra 9. 9,00 15,003 044; CRT N. B. - L'importo degli estratti dovrà inviarsi anticipatamente; in caso contrario la spedizione di essi verrà fatta contro assegno. Dirigere lettere e vaglia alla : RIVISTA ITALIANA DI PALMONTOLOGIA R. Università — ORI 19018 Questo piccolo fascicolo, che chiude la serie delle annate di guerra, esce dopo che la Vittoria ha baciato la nostra ban- diera. La guerra, dall’ Austria iniziata, è terminata collo sfacelo austriaco. L’ Intesa, che segnò la sua prima vittoria alla Marna, e fu vittoria francese dovuta all’ Italia, vinse la guerra per la vittoria italiana. E noi italiani questo non dobbiamo dimenti- care e dobbiamo anzi continuamente ricordare ad amici e ne- mici, specialmente in questo momento in cui risorgono gli egoismi nazionali e noi, gli eterni modesti, corriamo pericolo di perdere i frutti del fiore del sangue nostro versato ovunque : sulle Alpi, sul Carso, sul Piave, sui mari, in Palestina, in Ma- cedonia, nella Balcania tutta, in terra di Francia. Passato il primo momento di violenta, divina commo- zione, all’ entusiasmo per la vittoria, e per tanta vittoria, si è sostituito un senso di stanchezza. E’ come se la vittoria fosse già lontana; come se essa fosse una cosa ben diversa da quella che si era sognato. Ci pare che vittoria volesse dire qualcosa di più, di diverso. E un senso di delusione, di in- quietudine ci pervade. Grave è il momento che attraversiamo. Questa immane guerra, che tanto pareva dover cambiare l’anima umana, lascia noi italiani come prima, sempre pronti alle usate querele, alle vecchie accademie ideologiche. Dottrinari, antistorici, impoli- s4 tici, molti di noi italiani, che per ironia siam detti i nipoti di Machiavelli (bene il Segretario fiorentino avrebbe ragion di adirarsi per questa asserita parentela!) facciamo francamente i rinunciatari in un nuovo mondo che sorge, e sorge impe- riale. Non comprendiamo, cristallizzati nelle più anguste for- mole del principio di nazionalità, che questo è ormai superato, e che nel mondo almeno quattro grandi imperi si solidificano o si stanno formando: il vecchio colossale impero inglese che dispone delle più ricche regioni del globo; l impero francese che avrà, ampliandosi, i più ricchi giacimenti di ferro d’ Eu- ropa, il nuovo impero giapponese che si afferma in Cina e in Siberia, e quello, ancor maggiore, americano, padrone ormai anche di tutta l'America centrale e meridionale. E noi pren- diamo sul serio e in buona fede la Società delle Nazioni, e per amore di essa gridiamo contro il rostro imperialismo (contro quello altrui è inutile gridare, tanto nessuno ci da- rebbe ascolto), pronti a qualunque rinuncia a beneficio altrui. Grave è per noi l’ ora della vittoria. La vecchia menta- lità italiana purtroppo vive anche oggi. Voglia Dio che non abbia a farci perdere il frutto del sangue versato. Anno XXIV i 1918 Fasc. III-IV r—————_——_----_--_---—-rrrrrrrrr—r————_—_—@ RASSEGNA DELLE PUBBLICAZIONI ITALIANE MeLi R. — Rinvenimento di resti fossili di un elefante nel- l'interno della città. di Roma. — Atti della Pont. Acc. Rom. dei Nuovi Lincei Anno LXXI (1917-1918). — Sessione IV del 17 Marzo 1918, Sess. V del 21 Aprile 1918. — Roma, pag. 141-149. Con questa nota di carattere preventivo viene data comunica- zione del rinvenimento di alcuni resti fossili elefantini, avvenuto in Roma nello scavare un pozzo d’ assaggio nell’ orto dell’ ex-Con- vento di S. Pietro in Vincoli sulla spianata del M. Oppio, a m. 18 di profondità in un sabbione giallastro. Tali resti che, per in- curia degli addetti allo scavo rimasero lungamente esposti agli ‘agenti atmosferici, sono ridotti ad uno stato di grande friabilità, ma non mostrano nessuna traccia di logoramento per trasporto e sembrano appartenere allo scheletro di uno stesso individuo di mediocre grandezza. Sono dieci pezzi spettanti alle zanne, due molari inferiori, frammenti del ramo mandibolare sinistro, alcune vertebre cervicali, una scapola coll’ articolazione della cavità gle- noide, l'articolazione superiore del cubito colla cavità sigmoidea e porzioni di diafisi di ossa lunghe. I due molari, di cui vengono date le misure, sono particolarmente interessanti : la figura pre- sentata dalle lamelle sulla superficie triturante, tendente alla rom- bica, li fa avvicinare assai all’ E. africanus; tale riferimento viene reso assai probabile anche dallo spessore lamellare, dal- l'indice lamellare e dal numero delle lamine. È singolare il rin- venimento di questa specie nel quaternario romano dell’ interno della città di Roma, cioè al M. Pincio, al M. Aventino e al M. Oppio. Nella provincia i resti elefantini dei terreni quaternari 36: RIVISTA ITALIANA appartengono in ordine di frequenza a E. antiquus, E. meridio- nalis, E. primigenius. | L’A. si riserva di tornare sull’ argomento con una nuova nota accompagnata da fotografie. M. ANELLI. SCALIA S. — Osservazioni stratigrafiche e geotettoniche nella provinefa di Messina. — II. Il Neocomiano in provincia di Messina.- Boll. Acc. Gioenia di Scienze Naturali in Catania, Fasc. 44, Luglio 1918. In questa nota l'A. mostra come, contrariamente a quanto si era finora ritenuto, il Neocomiano sia uno dei terreni secondari meglio e più estesamente rappresentati nella provincia di Messina, dovendosi ad esso riferire la grande massa degli strati ad Aptychus, di cui soltanto la parte inferiore è qua e là da riferirsi al Tito- niano. Questi affiorano non soltanto nei dintorni di Taormina e di S. Agata di Militello, dove la loro età era stata in parte rico- nosciuta dal Seguenza, ma esistono nel territorio di Roccella Val- demone e di S. Demenica Vittoria, dove assumono un grande svi- luppo e dove sono stati impropriamente riferiti al Lias medio e superiore. Sono dei calcari marnosi compatti grigio-cinerei o bian- castri, con macchie oscure o verdastre e con piromaca nera, al- ternanti irregolarmente colle solite argille scistose nerastre e pre- sentanti frequenti resti di belemnite e di aptici. La presenza dei caratteristici Apt. Didayi ed Apt. angulicostatus e la frequenza di quest’ ultimo nella maggior parte degli strati permettono di riferire questa formazione al Neocomiano, come di ascriverla in gran parte all’ Hauteriviano ; il Valanginiano sarebbe rappresen- tato alla base della collina presso la stazione Giardini — Taor- mina da strati con Apt. Didayi. Il neocomiano del Messinese, con o senza il Valanginiano come base, riposa talora sui diaspri del Titoniano, oppure la sua grande massa Hauteriviana si trova in trasgressione sul Titoniano o su altri terreni giura-liasici o sulle filladi ritenute paleozoiche; esso è ricoperto quasi sempre da scisti lucenti, di aspetto filla- | dico, che hanno fornito l’ argomento più importante per applicare alle montagne mesozoiche di Taormina tutte le modalità dei grandi carreggiamenti. Ma osserva l’ A. come la loro costante s0- | vrapposizione al Neocomiano, il loro metamorfismo poco accen- ‘tuato, la diversità con gli scisti filladici preliasici, nonchè i pas- saggi graduali con sedimenti assai metamorfici o normali, sem- brano indicare che essi appartengano ad un livello superiore al Neocomiano Taio 20 M. ANELLI. 38 RIVISTA ITALIANA SULLE FUTURE RELAZIONI PERSONALI CON GLI SCIENZIATI DEI PAESI NEMICI « Geografia » la nobile e simpatica Rivista di propaganda geografica, diretta da L. F. DE MAGISTRIS, ha molto opportu- namente indetto un Referendum sull’ argomento dei futuri nostri rapporti cogli scienziati austro-tedeschi. E le varie ri- sposte ha pubblicato nel fascicolo maggio-giugno 98. Come conclusione sta un fiero articolo di E. PICARD, segretario per- petuo dell’Accademie delle Scienze di Parigi, articolo che qui. riporto integralmente. I tedeschi si arrabattano in questi momenti perchè, alla fine delle ostilità, le relazioni scientifiche internazionali siano per essere riprese nelle stesse condizioni che dianzi. Certuni, fra i dotti d'i paesi neutrali, s° assumono il compito di onesti sensali per ridar vita alle intese internazionali, oramai spente da tre anni. Bisogna dichiarare, ad alta voce, che tutte le « relazioni personali » saranno impossibili per parecchi anni, fra è nostri scienziati e gli scienziati tedeschi. Non potremo sederci ad uno stesso tavolo con uomini, fra i quali alcuni avrebbero — pareva impossibile — disonorata la scienza chiedendole î mezzi più ac- conci a commettere delitti prima d’ oggi sconosciuti. Le atrocità innominabili, compiute durante questa guerra, hanno per lungo tempo posta la Germania al bando delle nazioni civili. Come lo ha detto così fortemente il celebre romanziere inglese Kipling : « Noi sappiamo ora che vi sono sulla Terra due razze — la razza umana e la razza tedesca ». Falsa e dannosa è l’idea che la scienza non ha da spartir x i È i e ul MRI ere PI DI PALEONTOLOGIA 39 nulla con le questioni nazionali. Numerosi scienziati tedeschi sono stati fra i più accesi propagandisti del pangermanesimo, e la spaventosa tormenta, che spazza la Terra, è in gran parte opera dei professori delle Università tedesche. Per quarant’ anni la Germania si è servita della scienza, non meno che del com- mercio e dell’ industria, come mezzo di dominio. Le vecchie associazioni internazionali, ch’ erano il trampo- lino del germanesimo, devono essere considerate morte. C° è un mezgo solo per opporsi all’ invasione di avversari sleali e furbi ; sbutter loro la porta în faccia e non comprometterci con essi. Arri- veremo — e ne ho qualcosa più di una semplice speranza — ad organare con alleati ed amici parecchi raggruppamenti di scien- ziati, esclusa la Germania. Avremo altresì il benefizio di sbarazzarci delle nebulosità del pensiero tedesco e di quello spirito sistematico tedesco che così spesso volta le spalle al buon senso. Non ignoreremo certamente i lavori che saranno pubblicati in Germania, ma non avremo « rela- zioni personali » con gli scienziati di quel paese. Trarremo anche x vantaggio dalle loro scoperte, se è necessario, ma non saremo i loro leccascarpe, come è spesso accaduto. L’ esclusione dei tedeschi potrà ritardare alquanto, nei primi tempi, alcune opere collettive. Ci addolorerà certamente la pub- blicazione lenta d’un « Corpus » d’ iscrizioni o l'interruzione delle misure per la variazione della latitudine per un certo tempo; ma è ben poca cosa dinanzi agl’ interessi generali. Gli scienziati nostri non esiteranno a fare qualche sacrifizio in ra- gione dello scopo da raggiungere, qual’ è quello di isolare la Ger- mania per procurare di toglierle dal capo la velleità di riso- gnare la dominazione universale. Il sangue di milioni di morti lo vuole, e saremo ricompensati al cento per uno se ricupereremo la libertà nostra in tutti i campi e faremo fruttare le iniziative nostre. Evidentemente si stabilirà fra noi e gli alleati tutti una collaborazione più profonda ed intima, e troveremo da questa parte più di quanto avremo potuto perder dall’ altra. e IO e RL ii pai 40, RIVISTA ITALIANA DS Se non m' inganno c° è voluta una dozzina d’unni, dopo la guerra del 1870, per la ripresa di relazioni scientifiche tra la Francia e la Germania. Per quale coefficiente dovremo molti- plicare questo numero dopo 1’ attuale cataclisma ? Sarebbe vana ogni ricerca. Però è nostro obbligo di civili cittadini dell'umanità di augurarci che verrà il tempo in cui la Germania, e gli Stati vassalli, guariti dalla pazzia che li affligge, potranno rientrare nel novero delle nazioni civili; ma la storia dei popoli tedeschi, a traverso i tempi, ci autorizza a diffidare. (ottobre 1917). EMILE PICARD. Secretaire perpetuel de l’Accadémie des Sciences (Paris). Le osservazioni del PICARD sono giustissime: la Ger- mania, e duemila anni di sua storia ben lo dimostrano, ha un’anima immutabile. Alla sua nuova verniciatura repubblicana, democratica, fatta, su misura, per noi dottrinari internaziona- listi impenitenti, non possono credere che i gonzi. Personal- mente poi il tedesco si darà una seconda verniciatura, quella del bonaccione innocuo, traviato dai suoi capi e quindi irre- sponsabile della lungamente studiata e preparata aggressione, che egli si affretterà a stigmatizzare con tutto il suo cuore ben fatto. Es ist nicht wahr! Lo potremo dire con le stesse parole dei 93 firmatari di quel monumento di incoscienza, che dovrà es- sere sempre la tavola. della legge nei nostri rapporti con quella genia. Mor è vero/ Il tedesco bonaccione e irresponsa- bile è una pura menzogna: la Germania non fu traviata dal Kaiser e dai suoi adepti. Bensì ottanta milioni di kaiser erano matematicamente, tedescamente sicuri di vincere la guerra, e fa- DI PALEONTOLOGIA 41 cevano allora, tutti, unanimi, senza eccezione, i prepotenti. Oggi, nella ignobiltà del loro animo, incapace di qualunque forma di dignità, inferiori per questo al più pezzente tra gli arabi illetterati, sono umili, striscianti, leccanti; ripugnanti oggi forse più di prima, Ma presenti! E presenti in un blocco na- zionale, imponente e compatto, e quello che più conta sicuri nell’ animo loro, non ostante la mansuetudine esterna, di non essere stati sconfitti. E’ partità rimessa quella germanica. Guai a chi lo dimenticasse, oggi che spira l’ atmosfera di latte e miele della Società delle Nazioni. Pazienti e testardi i germani ricominceranno prima o poi. Frattanto vorranno riallacciare i loro rapporti con. noi. Vi è tanta carta stampata a Lipsia che attende l’ apertura della frontiera per riprendere il posto nelle nostre biblioteche, nelle nostre scuole. Vi son ancora tanti germani a cui sorride l’idea del sole italico specialmente se, insieme al sole, si potrà trovare ancora un poco di quella cordiale ospitalità latina, che, offrendo, pareva onorata che un tedesco si degnasse di ricevere! E ci scriveranno delle lunghe epistole, consiglian- doci di scordare il passato. E ci diranno che la scienza è internazionale, che è su- periore alle meschine competizioni politiche. Es ist nicht wahr! Il tedesco, prima di ogni altra cosa, prima di essere scienziato, è pangermanista; mentre noi, prima di essere italiani, siamo o almeno siamo stati internazionalisti. Questo è il pericolo. E’ la mancanza di dignità nazionale, anzi di orgoglio nazionale quello che ci potrà danneggiare. Sarebbe bene che gli italiani, per il solo fatto di essere italiani, si sentissero superiori a tutti gli altri popoli. E’ una esagerazione questa; ma è necessaria per noi che, troppo autocri- tici, vediamo ogni nostro piccolo difetto, mentre dei forestieri dita UT SERIETA BIN REI RI 9 La i e AI < MPT eo ita die ai alli DA de A 42 RIVISTA ITALIANA non vediamo che il bello. Ma quando si sia ecceduto in que- sto orgoglio verrà la giusta reazione, e allora ci potremo ve- ramente dire equilibrati. Non prima. Frattanto la scienza italiana dovrà volgersi verso altre mete. Se la miopia politica francese, alleata inconsciamente coi germanofili nostrani, non fomentasse in ogni maniera, col suo antipatico atteggiamento antitaliano la sorda irritazione che, è inutile negarlo, serpeggia tra noi verso il popolo a noi più affine, noi potremmo coi francesi formare un blocco scientifico di inestimabile valore. Ma possiamo certo farlo cogli inglesi e più cogli americani, che, dal giorno che ci hanno conosciuti, passano di meraviglia in meraviglia e ci dimostrano in ogni modo la loro simpatia. Ma da parte anglo-sassone occorre temperare quell’eccessivo isolamento, anche librario, che faceva tanto contrasto al sistema da bazar della libreria germanica. A. noi occorre instaurare legami colla scienza anglo-sassone, che nella sua pratica quadratura, tanto bene si accorda colla mentalità del classicismo italico. Alla esclusiva conoscenza del tedesco, come indispensabile lingua scientifica, si dovrà sostituire quella dell’ inglese. Ma anche e sempre imporre la nostra lingua nei nostri rapporti internazionali. Non ci comprenderanno sul primo: non importa; impareranno. Dopo di che si ammettano pure, in sottordine, i tedeschi; non potremo e non dovremo certo ignorarli. Ma sempre, nei nostri rapporti con loro, dovremo considerarli come i « vigilati speciali dell’ umanità » ; poichè, non dimentichiamolo, l’ anima tedesca è immutabile. P. ViNASSA DE REGNyY wi DI PALEONTOLOGIA 43 L’'ORDOVICIANO DEL PORTIXEDDU PRESSO FLUMINI MAGGIORE 4 È ; y NOTA PREVENTIVA DI P. VINASSA DE REGNY i a =_= ALBERTO LAMARMORA nel 1916 scopriva in Sardegna il Siluriano infe- riore presso Flumini maggiore e lo indicava al BARRANDE che vi si recava nel 1844 e ne trovava un nuovo affioramento presso il mare. Successivamente il LAMARMORA nel 1846 faceva nuove raccolte di fos- | sili che il principe dei paleontologi italiani, Gruseppe MENEGHINI, studiava, descriveva e faceva figurare in modo perfetto nell’ appendice alla classica opera del LAMARMORA stesso (1). A proposito del giacimento allo sbocco del Rio Mannu presso Flumini maggiore il MENEGHINI diceva che, più che illustrarlo, intendeva segnalarlo i alla attenzione dei paleontologi futuri. Veramente egli si riferiva in modo speciale al cosidetto « scisto talcoso calcarifero » che affiora in mare nella località oggi detta « Su Portixeddu de Flumini » o « Su Portixeddu » senz’ al- tro; nome che nel LAMARMORA (Op. cit. pag. 52) è indicato come « Porto de sa Perdixedda ». In questa località si ha però in grande prevalenza lo scisto argilloso a macchie ocracee citato dal LAMARMORA a pag. 49. Per lungo tempo di questo giacimento fossilifero non si fece più parola. Quando ebbi la fortuna di scoprire le ricche faune ordoviciane delle Alpi carniche misi in rilievo la grandissima somiglianza che i giacimenti al- pini avevano con quelli sardi, sia dal punto di vista litologico sia dal punto di vista faunistico (2). Per tale analogia ritengo che sarà necessario sepa- rare nettamente nella Sardegna gli scisti ocracei ordoviciani dai calcari grigi (1) LAMARMORA A. — Voyage en Sardaigne - III partie — Descrit. géologigue, tome II - Paléontologie par ?. MENEGHINI — Turin - Bocca, Paris - Bertrand, 1867. (2) Vinassa P. — Fossili ordoviciani del Nucleo centrale carnico — Mem. An, Gloenìa nat., 5*, III, Catania 1910. LASA ni Du 4 7 aero 9 LO ad POI da: “ RAI ARBI I gl I ti Brini Sie < era «id < e im + aaa di d) pe LA e corra Gel ni ? ! È vw SIR PAN Lia = e IR et TE 4 - (= N pera R METANO IRIS MERZIA A. ANO li ‘ ” nc NE RARO 1 LU m ; | RIVISTA ITALIANA tipicamente gotlandiani. Le sezioni da me rilevate e citate di Meledis, Lanza, Pizzùl, Costone I ambertenghi al Volaia ecc. non lasciano alcun dubbio sulla appartenenza all’ Ordoviciano superiore degli scisti a macchie ocracee con Ortkis e Treptostomi, e perciò nessun dubbio mi sembra possa sussistere sull’età ordoviciana degli scisti di Flumini che contengono la stessa fauna. Posseggo della località un ricco materiale ascendente a parecchi quin- tali di roccia, dai quali son riuscito a trarre delle centinaia di esemplari, specialmente di brachiopodi. È assai spiacevole però che la fauna, mentre è ricchissima di individui, sia povera in modo straordinario di generi e specie. In taluni punti si ha un vero e proprio impasto di valve di brachio- podi e di rami di Treptostomi, ma sempre su per giù della stessa specie. Sono presenti anche gasteropodi, crinoidi e cistidee. Avevo iniziato lo studio della fauna poco ‘tempo prima dello scoppio della nostra guerra e lo ho dovuto lasciare pei nuovi doveri assunti in questo periodo. E poichè sarà ancor lungo il tempo occorrente ‘a terminare lo studio di tutte le forme, mi limito oggi a presentare un elenco dei bra- chiopodi, i quali però basteranno a stabilire 1’ età ordoviciana del giaci- mento. Orthis pfatera SALT. in MNGH. Venne descritta per la prima volta dal MENEGHINI del Portixeddu. Si trova frequente nell’ Ordiviciano carnico al Pizzùl ed al Capolago presso il passo di Volaia. E presente al Portixeddu in centinaia di esemplari. Orthis Actoniae Sow. Come già avevo avvertito nel mio lavoro sull’ Ordoviciano del Nucleo centrale carnico |’ O. Acfoniae, diftusa in tutto il Caradoc inglese e carnico, si trova anche in Sardegna e ne ho del Portixeddu parecchi esemplari tipici. Orthis flabellulum Sow. Non venne citata dal MENEGHINI, ma è una delle forme più comuni del giacimento ordoviciano del Portixeddu. Si trova nel Caradoc inglese ed in quello carnico al Chiadin di Lanza, al Pizzùl, al Capolago, al Germùla come pure ad Uggwa. Orthis porcata Sow. Anche questa forma, non citata dal MENEGRINI, è molto frequente al Portixeddu. La forma è del Caradoc inglese e si trova in Cafnia al Pizzùl, a Meledis, al Capolago come pure ad Uggwa. MEC ar cl ig Nago RADI dare \gg: gi Lai er TE RAPINE TRITO: WRIAAAIPISR SO.) 0 IO NOA DI PALEONTOLOGIA 45 Orthis calligramma DALM. Non citata dal MENEGHINI la citò invece il. BORNEMANN. Effettivamente la forma è poco abbondante. È tipica del Caradoc inglese ed è frequente in Carnia, al Pizzùl, a Meledis, a Lanza, al Capolago e si trova pure ad Uggwa. Orthis retrorsistria M’ Cov. Non venne citata dal MENEGHINI ed è effettivamente rara al Portixeddu. Ne ho difatti due soli esemplari di valva dorsale assai ben conservati. Fu citata la prima volta in Italia nell’ Ordoviciano carnico a Cas. Meledis. Orthis ellipsoides BARR. La forma venne citata da me per la prima volta in Italia dell’ Ordovi- ciano del Pizzùl. Esiste forse anche ad Uggwa. Al Portixeddu pure sembra rara non avendone che un solo esemplare sicuro. Orthis alternata Sow. È noto che le forme ascritte alla Ort4is festudinaria DALM. sono in- vece molto spesso appartenenti alla forma del SowerBy, e talvolta anche alla O. retrorsistria. Lo stesso può notarsi per le forme descritte dal ME- NEGHINI col nome di O. festudinaria, di cui talune sono tipicamente appar- tenenti alla O. alternata. La forma è del Caradoc e si rinvenne in Carnia al Pizzùl e al Capolago. Orthis testudinaria DALM. Alcuni degli esemplari figurati dal MENEGHINI appartengono invece ef- fettivamente a questa forma, sino ad oggi trovata nell’ Ordoviciano carnico solo in mal conservati e poco sicuri esemplari. Orthis elegantula DALM. Il MENEGRINI la cita con dubbio. Ma effettivamente questa specie or- doviciana esiste nel giacimento del Portixeddu in esemplari tipici. Orthis Noctilio SHARPE Forma assai diffusa nel giacimento del Portixeddu. Venne trovata nel- l’Ordoviciano carnico al Pizzùl, a Meledis ed a Lanza come pure ad Uggwa. Orthis biforata v. ScHLTH. (.Spirifer terebratuloides M’ Covy). Considero appartenti alla specie tipica solo gli esemplari figurati dal MENEGHINI nelle figure A, 2c, 2d, formando invece la varietà seguente per gli altri esemplari. Orthis biforata SCHLTH. var. sardoa n. v. Distinguo questa varietà sugli esemplari figurati dal MENEGHINI nelle figure 2a, 2a,’ 2b, che sono abbastanza diversi da quelli della specie tipica. er er, 46 RIVISTA ITALIANA Orthis biforata SCHLTH. var. fissicostata M’ Coy Al Portixeddu esistono esemplari di Or#kis bdiforata che rispondono alla varietà fissicostata e sono pertanto indentici a quelli. carnici di Cas. Meledis. Orthis Menapiae Hicks. La forma venne citata da me con dubbio nell’ Ordoviciano carnico. Ora dopo nuove ricerche ritengo che nessun dubbio possa più sussistere, al- meno per l’ esemplare figurato nella tav. 3 fig. 17 del mio lavoro sul Nu- cleo centrale carnico. Del Portixeddu ne ho. due esemplari perfettamente rispondenti alla specie tipica. i Or his unguis SOw. sf. Ne ho del Portixeddu un solo esemplare ma benissimo rispondente. La forma inglese venne trovata nell’ Ordoviciano carnico al Pizzùl, al Ca- polago e forse anche si trova ad Uggwa. Orthis turgida M’ Coy Non venne sinora citata nell'Ordoviciano italiano. Al Portixeddu ne ho un esemplare del tutto rispondente a quelli del Caradoc inglese. Orthis miniensis SHARPE Anche di questa forma ho un solo esemplare benissimo rispondente a quello figurato dal MENEGHINI nella sua figura roa della tavola. Triplesia insularis EicHw. Non citata dal MENEGHINI si trova al Portixeddu in esemplari simili a quelli dell’ Ordoviciano carnico del Pizzùl. La forma è nota anche dell’ Or- doviciano di Uggwa. Strophomena expansa SOow sp. Gia citata dal MENEGHINI è forma comune in tutto il Caradoc inglese e carnico, ma è un poco meno frequente che non la ‘sua congenere .S7. grandis. Strophomena grandis Sow. sp. Non citata dal MENEGHINI è però forma comune al Portixeddu come del resto in tutto l’ Ordoviciano anche carnico. Strophomena rhomboidalis WiLk. Questa forma non citata dal MENEGHINI si trova pure al Portixeddu. Non ha alcun valore cronologico. Leptaena transversatis WAHL. Di questa forma, pure non citata dal MENEGHINI, ho sei esemplari ben NAT conservati e parecchi frammenti. La specie, tipica del Caradoc, si trova pure al Pizzùl. : Leptaena sericea Sow. Anche questa forma non venne citata dal MenEGHINI. Non è infatti ‘frequente ‘al Portixeddu, dove ne conosco solo quattro esemplari. Nell’ Or- doviciano carnico è nota al Pizzùl; si trova pure ad Uggwa. * * * | Mi sembra non possa sussistere alcun dubbio sulla pertinenza all’ Or- doviciano superiore del giacimento sardo, e mon posso che confermare. quanto gia ebbi a dire sino dal rgro (Op. cit. pag. 47) circa la assoluta corrispondenza tra l’Ordoviciano sardo e quello carnico ; corrispondenza che sarà ancor più palese quando potrò render note le forme di Trepto- stomi che sto attualmente studiando, insieme ai gasteropodi ed alle cistidee di cui è ricca la fauna del Portixeddu. Parma, Istituto geologico della R. Università, febbraio 1919. RIVISTA ITALIANA DI PALEONTOLOGIA REDATTORE P. VINASSA pe REGNY SOMMARIO I. PUBBLICAZIONI ITALIANE: (Caterini, Checchia-Rispoli, Dal III. L. Pieragnoli. — Otoliti Plio- ceniche della Toscana. Piaz, De Stefani, Fabiani, Greco, Issel, Meli, Parona): II. PUBBLICAZIONI ESTERE: IV. M. Gemmellaro. — Sopra unCri- noide (Pseudosaccocoma stram- bergense Remes) del Titonico (Andersson). inferiore e dell’Urgoniano della Provincia di Palermo. Ì PARMA RIVISTA ITALIANA DI PALEONTOLOGIA 1919 PUBBLICATO IL 80 AGOGTO 1919 Abbonamento annuale L. 8 - Per V estero L. 100 Non si vendono fascicoli “iu SUE SEI Gli autori di note originali o di recensioni possono avere sino a 50 estratti, con copertina, al prezzo seguente n° deal 0 Uda urtato. Per copie Per copie 4 pagine . . L.| 3,00 BI } BECOME Ses 1905 nati 000 Cia i | \ stampata Ra pa Ro 16 ci Lea] 00 IDO I È ; N. B. - L’importo degli estratti dovrà inviarsi anticipatamente; in caso RL vi pe contrario Ia spedizione di essi verrà fatta contro assegno. È s : Sia SESTA van GA a “a W:: Dirigere lettere e vaglia alla: ; > dI Bee | 9 | << ASgREE RIVISTA ITALIANA DI PALFONTOLOGIA. # be : kh. Università Si PARMA. Fasc. I-IIL _r———————————— —————____—_—_—_—m__—_— _——_ÉÉ—rcrc-cmaue toast anmiace sumuni zi. RASSEGNA DELLE PUBBLICAZIONI ITALIANE CaATERINI F. — Sopra aleune nuove forme di Koninckinidi del Lias medio dell’ Appennino. — Mem. Soc. tose. Sc. nat. - Vol. XXXII, Pisa 1919. Premessa una succosa storia del gruppo delle Koninckinidi l'A. descrive i 16 esemplari del Museo di Pisa dividendoli in due gruppi. Il primo ha forma tondeggiante e ha per tipo la K. for- nicata Canav.; il secondo ha ali assai sviluppate ed ha per tipo la K. Geyeri. Del primo gruppo son descritte: Koninckella Cana - varii n., Koninckina cfr. Aquonrae Par., K. convera n., K. Eber- hardti Bittn. e K. intermedia n. Del secondo gruppo la sola K. cfr. Geyeri, Bitt. V. CATERINI F. -- Sulla Balaena Montalionis Cap. — Atti Soc. Tose. Sc. Nat. Proc. Verb. - Vol. XXVII, N. 4, pag. 1-2. Insieme al cranio di Balaena Montalionis Cap., descritto dal Capellini nella sua memoria sulle « Balene fossili toscane », venne rinvenuto un altro frammento, probabilmente della scapola sinistra, appartenente allo stesso individuo. Di questo resto, che per dimenticanza non venne spedito al Capellini, viene data una breve descrizione in questa nota. M. ANELLI Cnecca- Rispoi G. — Gli Echinidi viventi e fossili della Sicilia. - P. V. - Echinidi Miocenici. — Palacont. Ital. vol. XXIII, Pisa, 1917 (con 6 tavole). ‘L’A. in questa quinta parte della sua Monografia dà l'illu- strazione delle specie mioceniche della Sicilia, in tutto dician- e TI i en CREO IA ITAETIE Di RIVISTA ITALIANA nove. Sono nuove: Lambertiella pulcra, che è il tipo di un nuovo genere, i cui rapporti più vicini sono cogli Echinodiscus Brey- nius; Clypeaster Portisi, Clyp. Carapezzai, Clyp. Schopeni ; Hypsociypeus Lamberti; Echinolampas Canavarii, Echinol. Pa- . ronai, Gregoryaster Mortenseni; Hemiaster Loveni. : Il materiale studiato, esistente nelle collezioni dell’Istituto geologico palermitano, proviene da vari luoghi della vasta for- mazione calcareo-marnosa del Siracusano, riferita complessiva- mente dagli autori, che se ne sono occupati, al Miocene medio. Vi; / CeccHIa-RispoLi G. — Gli Echinidi viventi e fossili della Si- cilia - P. VI. - Echinidi Eocenici. — Palaeontogr. Ital., Vol. XXIII, Pisa, 1917 (con 2 tavole). La formazione eocenica siciliana, per quanto molto svilup- pata, ha fornito uno scarso numero di Echinidi. L’A. descrive quattordici specie. Erano note: Rhabdocidaris mespilum Des.; Cidaris subularis d’Arc.; Cid. striato-granosa d’Arch., Triplacidia Van den Heckei Ag., Fibularia affinis Des.; Scutellina rotunda Forb.; Amblypygus Pellati Cott.; nuove: Echinanthus Di-Stefanoi, Ech. Lamberti, Ech. Delorioli; Echi- nolampas Baldaccii, E. Degregorioi ; Brissoides Segréi. Il materiale parte esisteva nel Museo Geologico PalSeuu a parte è stato raccolto dall’ autore. La maggior parte delle specie appartiene all’ Eocene medio ; poche altre, come Cidaris striato-granosa, Amblypygus Pellati e Brissoides Segrci sono state raccolte negli strati a Lepidocy- clina più elevati, i quali chiudono in alto la serie eocenica del Vallone Tre Pietre presso Termini-Imerese. L’ Amblypygus dila- tatus è una specie propria dell’Eocene superiore (Biarritz) e il Cid. striato-granosa, per quanto diffuso nell’ Oligocene, si trova già nel Bartoniano (Biarritz, ecc.) e secondo il Doucieux fa la prima apparizione nel Luteziano dell’ Aude. V. Re Ti a a | i DI PALEONTOLOGIA 3 Dar Praz G. — Gli Odontoceti del Miocene Bellunese, Parte III. — Squalodelphis Fabianii. — Mem. Istit. Geolog. della R. Univ. di Padova, Vol. V. 1917-1918, pag. 34, con 5 tavole. In una precedente memoria |’ A. aveva creduto di poter segna- lare nelle arenarie mioceniche di Belluno, in base ad alcuni denti, la presenza del genere americano Delphinodon, allora incomple- tamente conosciuto. Ma un fortunato rinvenimento nelle cave di Libano, venuto ad arricchire in modo insperato il primitivo scarso materiale, gli ha permesso di concludere che la forma bellunese non può asso- lutamente riportarsi a Delphinodon, ora ben noto grazie alla mo- nografia del True. Il materiale preso in esame nella presente memoria consta di un cranio completo, di altri crani più o meno incompleti, di pa- recchi denti isolati e di pochi avanzi di coste e di vertebre. Lo studio del materiale ha dimostrato che esso presenta un insieme di caratteri così distintivi da non trovare esatto riscontro in alcuno dei gruppi generici finora noti. Ne è venuta la necessità di creare un nuovo genere per il quale, tenuto conto di qualche lontano rap - porto strutturale cogli squalodontidi da un lato e con certi delfi- nidi dall’ altro, ha adottato il nome di Squalodelphis. Messo a raffronto colle numerose forme di Odontoceti viventi e fossili, il nuovo genere presenta qualche carattere d’ insieme co- mune coi generi Delphinodon e Argyrodelphis, quest’ultimo del miocene di S. Cruta in Patagonia. Ma per quanto si riferisce a Delphinodon, che appartiene indubbiamente alla famiglia dei Del- finidi, della quale rappresenterebbe un tipo aucestrale, sia dall’e- same della dentatura sia dalla conformazione del cranio risulta evidente che le due forme appartengono non solo a generi distinti, ma a diverse famiglie. Maggiori rapporti di somiglianza presenta con Argyrodelphis, specialmente per la conformazione d’ insieme ‘del cranio. Ma il rapporto dettagliato rileva |’ esistenza di una serie di differenze che per la loro importanza non possono essere riferite a semplici variazioni specifiche. I caratteri differenziali consistono in parti- È » TR EAU ni NR 2a È LI? 4} a ‘ dii se RL, A i Le ' pri SENTE rat VIRA MT a ENI Ta RE IS n'e 4 RIVISTA ITALIANA. colare modo nella maggiore elevazione in Squalodelphis della re- gione fronto-nasale, nello sviluppo più considerevole dei frontali, nella ragguardevole estensione degli intermascellari che alla base del rostro ricoprono quasi totalmente i mascellari e nella) presenza di due massiccie ed enormi bozze sopraorbitarie, che danno al cranio in questione una impronta tutta particolare. I caratteri differenziali di valore fondamentale si riscontrano però nella for- ma, nel numero e nella distribuzione dei denti. Il True aveva riferito Argyrodelphis alla famiglia degli Squa- lodonti, mentre il Rovereto credeva di riportarlo alla sottofamiglia Stenodelphidae )= Pontoporidae). In base ad un complesso di con- siderazioni l’ A. ritiene che tali riferimenti non siano ingiustifi- ficati, ma che invece i due generi Squalodelphis e Argyrodelphis, per quanto nettamente distinti, costituiscano per un insieme di ca- ratteri fondamentali comuni un gruppo a sè, che può esser preso come tipo di una nuova famiglia, per la quale propone il nome di Squalodelphidae, gruppo che si allontana senalmienio sia dagli Squalodontidi, che dai Pontoporidi. L’Argyrodelphis e specialmente lo Squalodelphis, appaiono, per certi caratteri che ricordano gli Squalodonti, i Delfinidi, gli Archeoceti, i Zifioidi, gli Acrodelfidi, come degli interessati tipi sintetici, nei quali la specializzazione non ha cancellato ancora tutti i caratteri primitivi, ma ne ha fatto apparire nuovi che si ritrovano poi più sviluppati e fissati in forme successive. Talune particolarità farebbero supporre che per progressiva semplificazione di denti gli Squalodelfidi siano derivati da forme di Archeoceti già antichi, certamente anteriori al Miocene medio. Se così è, oltre che dal punto di vista morfologico, anche da quello filogenetico la nuova famiglia troverebbe la sua giusta posizione parallella- mente agli Squalodontidi e agli Iniidi s. l., e verrebbe semplifi- catà in tal modo anche la sistematica di questi interessanti gruppi di Delfinorinchi, nei quali vennero di rado inclusi elementi troppo eterogenei. Tutti i resti della nuova forma Squalodelphis Fabianii sono riccamente illustrati da 5 tavole e da una figura intercalata nel testo. M. ANELLI. È spet 6 REI NI dl WENT AIA RE MELO ENI CRUI I RE fi 0) IT PENE E MIT TDI, A la DI PALEONTOLOGIA DI Da Praz G. — Gli Qdontoceti del miocene bellunese - Parte IV - Eoplatanista Italica. — Mem. dell’ Ist. Geol. della R. Univ. di Padova, Vol. V (1917-918), pag. 23 con 2 tavole e ll fig. nel testo. Della famiglia Platanistidae s. s. l’unico genere finora cono- sciuto era la vivente Platanista, il curioso e ben noto delfino dei fiumi indiani. Si presenta quindi interessantissimo il rinvenimento di un cranio, isolato artificialmente dalle arenarie delle cave di Libano, che per la straordinaria lunghezza ed esiguità del rostro e della mandibola, la sviluppatissima sinfisi, la presenza della fossetta all’ estremità degli intermascellari, e sopratutto la forma dei numerosi denti, depressi a bottoncino posteriormente, lunghi, irregolari, appiattiti a grossa lama anteriormente, mostra di pos- sedere i caratteri fondamentali della detta famiglia, che viene così ad avere anche dei rappresentanti fossili risalenti fino al miocene medio. Peraltro il curiosissimo esemplare si allontana dalla tipica Platanista per molti particolari e specialmente per la conforma- zione della parte posteriore del cranio e per la mancanza delle creste sopramascellari così caratteristiche nel Delfino dell’ India, di modo che ne è risultata la necessità di istituire per la forma fossile un nuovo genere, pel quale, tenuto conto dei rapporti di famiglia e specialmente delle affinità morfologiche d’ insieme dei denti con quelli della vivente Platanista, VA. ha proposto il nome di Eoplatanista. È da notarsi come il fossile di Libano presenta dal punto di vista della conformazione del cranio notevoli rapporti con Cyrto- delphis sutcatus, mentre da quello della dentatura, che resta sem- pre il carattere classativo fondamentale, si collega alla Platanista. L’ Eoplatanista italica in altre parole appare come una interes- sante forma comprensiva, il cui studio getta una inattesa luce su rapporti di parentela e sulle-linee fondamentali del corso evolu- tivo seguito dagli attuali delfini d’ acqua dolce e specialmente di quelli dell’ India. Cyrtodelphis ed Eoplatanista, per le ricordate affinità mor- fologiche del cranio, si palesano come discendenti da un unico To PO TITt Di RIVISTA ITALIANA ù ceppo, probabilmente oligocenico. E mentre Cyrtodelphys va con- siderato il capostipite della serie che pervenne all’ attuale Ponto- pas poria, \ Eoplatanista devesi ritenere il rappresentante miocenico n di un’ altra serie di forme, che si succedettero fino alla vivente $ Platanista, che ha raggiunto uno stadio di specializzazione assai È elevato, reso evidente sopratutto dal caratteristico casco, di modo che, senza gli elementi forniti dalla scoperta. dell’ Eoplatanista, sarebbe stato ben difficile intravedere i suoi legami di parentela e di comune origine col Cirtodelfidi. M. ANELLI. De SrerANI C. — Fossili carboniferi dell’ Isola d° Elba. — Paleont. Ital. vol. XXIII 1917, - pag. 1-53, tav. I - IV e 1 fig. intercalata. I L’ interessante lavoro, d’indole prevalentemente paleontolo- gica, tende a dimostrare come tutta la zona arenaceo - scistosa. sovrastante alle serpentine nella parte orientale dell'Elba, da Rio, al Cavo a M. Orello, appartenga al Carbonifero. Come non si possono fare distinzioni litologiche nella successione degli strati, così non si possono fare distinzioni di epoca. La distin- zione ammessa nella Carta geologica di due periodi, Siluriano e Permiano, non fondata litologicamente nè paleontologicamente, non si può conservare: non esiste affatto la supposta discordanza o interruzione tra la zona ritenuta siluriana e quella attribuita , al Permiano. I fossili, che sono inclusi in una fillade cerulea o rossastra, spesso quarzosa e idromicacea o cloritica, appaiono o silicizzati e in tal caso ben conservati oppure ‘costituiti di ocra sfattibile e quindi difficilmente isolabili: rimangono peraltro le impronte del modello, quasi sempre spostate. Dal complesso delle osservazioui sembra risultare che la fauna, costituita quasi solo da Molluschi, viveva se non proprio presso al litorale, per lo meno a profon- dità non molto grandi, sulla piattaforma litorale di una terra ferma esistente forse dalla parte della Corsica e della’ Sardegna, © | A A "NAVARRO e e TIR, bat I E L pai a >» ed =] DI PALEONTOLOGIA prevalentemente costituita da rocce assai più antiche, supposi- zione questa che sarebbe confermata dalla presenza dei fossili vegetali negli strati adiacenti. Di I fossili, animali sono: Circopora Savii n. (che manifesta nettamente la struttura di un idrozoo a scheletro calcare, assai vi- di cino alle Stromatoporae, ma però cilindrico ; somiglia assai alle di Circopora Waagen et Wentzel rappresentate da due specie nella Su middle Productus limestone della Salt Range nell’ India) Zoophi- È cos sp., Lumbricaria sp., Cyathocrinus sp., Cidaridae sp., Fene- i stella ctr. Veneris Fischer, Lingula Foresii n., Chonetes? sp., vw Productus sp., P. curvirostris??, Janeia Matteuccii n., Soleno- morpha? elegantissima n., Ctenodonta Bigeschii, C. Manasseìi n., C. sp., Macrodon Achiardii n, M. Martellii n., Myalina Ro- A | Pant rea di sterì n., M. ilvaensis n., Schizodus Campanae n., S. Saccoì n., d S. Cocchii n., S. Grattarolae n., S. Lottiù n., S. Aloisii n., S. 2 corbuloides n.; S. etruscus n., S. Mattiroloi n., S.? sp., Mo- a diola Fosseni n., Lucina? sp., Dentalium Novaresei n., Lepe- i ; topsis Millosevichi n., Bellerophon anthracophilus Frech, Eu- A phemus Meneghinii n., Murchisonia Deangelisi n., M. Paretoì da; n., M.? cylindroides n., Ivania? Fabrii n., Naticopsis rivulen- Sa sis n., Macrochilina Corsi n., M.? brevis, Loronema Pillai n., ss) Holopella Canavarii n., Turbonitella Gortanii n., Nautiloide î sp., RAyneolites sp., Ammonites sp., Trilobite?? - Decapode? di Sono da aggiungersi pei vegetali: Asferophyllites sp. (De An- gelis), Calamites Suckowii Brongniart, Annularia stellata Schlo- theim. Fra tutti questi fossili, Fenestella Veneris, Bellerophon an- ge thracophilus, Calamites Suckowii e Annularia stellata apparten- gono al Carbonifero, la prima a quello delle Alpi Carniche, della w: Russia e forse del Belgio, la seconda a quello dell’ Ungheria, PR della Serbia e di Moravia, la terza e la quarta al Carbonifero se superiore di molti bacini d'Europa. Molte delle forme nuove pre- 3 Gai sentano grandi affinità con tipi già noti del Devoniano e sopra- ii tutto del Carbonifero. Complessivamente sono notevoli le analogie com generi e specie del Devoniano e poco meno con altre del ® Permiano. Però ponendo mente ai generi che non passano oltre il 3 i iaipiaietbo ie w 2 Vrviia 7 Ò r G 3 iis 4 SII A NES VA ’ 8 RIVISTA ITALIANA Carbonifero, specialmente ai Macrodon e alle Myalinae cui, come si è detto, appartengono quasi tutti gli esemplari raccolti, non che alle tre o quattro specie trovate altrove nel Carbonifero, ri- sulta giustificato il riferimento al Carbonifero e precisamente, vista la presenza di Calamites Suckowii e di Annularia stellata, allo Stefaniano, per quanto non sia possibile, allo stato attuale, stabilire dei precisi confronti con altre località carbonifere, sia italiane che straniere. Il modo particolare di fossilizzazione in nuclei ferrugginosi, insieme ad altre osservazioni, fanno ritenere verosimile all’ A. che i minerali ferriferi dei dintorni di Rio, le cui miniere sono aperte precisamente nella formazione studiata, siano contemporanei agli strati in mezzo a cui si trovano, e che precisamente si sia for- mato in origine solfuro di ferro per riduzione di elementi ferrug- ginosi coevi sotto l’ influsso di sostanze organiche, con successiva trasformazione in sesquiossido e in idrossido per fenomeni pneu- matolitici e per acque anche superficiali. La descrizione delle specie è accompagnata da fotografie, ta- lora ingrandite, e da disegni; a volte dalle une e dagli altri. M. ANELLI FABIANI R. — I mammiferi quaternari della regione veneta. — Mem. Istit. Geol. della R. Università di Padova, Vol. V (1917-18) pag. 174 con 16 figure interc. nel testo e 30 tavole. Viene compiuta in questo poderoso lavoro la revisione dei mammiferi quaternari del Veneto, in base allo studio diretto del materiate osteologico proveniente da raccolte pubbliche e private, materiale rinvenuto nella regione veneta nei suoi termini naturali dal Garda al Golfo del Qaarnero. Risulta dal complesso delle ri- cerche che tale fauna comprende, fra specie, sottospecie o razze, 64 forme, parecchie delle quali non erano state ancora segnalate nella regione. Molte di queste sono estinte: Ursus spelaeus, U. sp. minor, Canis famil. intermedius, C. f. matris optimae, ©. felis palustris, C. felis Spallettii, Felis leo spelaea, F. pardus J SRI RIVE SA RI SE IRE Y DI PALEONTOLOGIA 9 antiqua, Hyaena crocuta spelaca, Rhinoceros Mercki, Sus scrofa antiquus, S. palustris, Megaceros euriceros, Ovis aries palustris, Bison priscus, Bos taurus primigenius, Elephas antiquus, E. primigenius. Altre non vivono più nel territorio: Gulo gulo, Canis lupus, Castor fiber, Cricetus cricetus, Capreolus pygargus, Cervus ela- phus maral, Dama dama, Alces alces, Rangifer tarandus, Capra ibex, C. aegagrus. Restano tuttora a formare la fauna veneta: Talpa europaea, Erinaceus europaeus, Myotis myotis, Ursus arctos, Meles meles, Martes martes, M. faina, Mustela putorius, Lutra lutra, Canis familiaris, Vulpes vulpes, Felis silvestris ?, Lynx Lyna 2, Mar- motamarmota, Lepus europaeus, L.timidus, Glis glis, Muscardinus avellanarius, Apodemus syliaticus, Evotomys glareolus, Microtus nivalis, Arvicola italicus, Equus caballus, E. asinus, Sus do- mesticus, Capreolus capreolus, Cervus elaphus, Capra hircus, Ovis aries, Bos taurus. Queste ultime specie rappresentano poco più di un terzo di quelle che compongono la fauna attuale del Ve- neto, ma si deve ritenere per certo che la massima parte delle specie odierne mancanti nell’ elenco esistettero nella regione an- che durante i tempi plistocenici ed olocenici più antichi e che anzi vi furono più frequenti che nel tempo presente. Il lavoro è diviso in 2 parti: la 1° comprende la descrizione, accompagnata da una cartina, dei giacimenti e uno sguardo sto- rico; la 2* è lo studio sistematico dei materiali, la 3% espone i risultati delle osservazioni sugli elementi della fauna e sulla suc- cessione delle faune e infine le conclusioni generali. | Nella seconda e nella terza parte vengono rilevati i caratteri delle varie forme sia considerati dal punto di vista statico, sia da quello evolutivo ontogenetico e filogenetico, istituendo in ogni caso in cui i mezzi avuti a disposizione lo hanno permesso, opportuni confronti con materiali omologhi delle forme corrispondenti fos- sili e attuali. A proposito dell’ Ursus spelaeus è da notare come il materiale esaminato fornisca notevoli elementi per lo studio delle variazioni del cranio dall’ età giovanissima a quella adulta e vecchia, di modo che alcuni crani già interpretati, sopratutto RT PRO a a SITU REAL " a ia: ME na: TA DAR VIII PRA I PARO AI GIÙ ?] 10 RIVISTA ITALIANA > da De Zigno, come appartenuti a specie diverse, poterono invece trovare la loro posizione naturale nella serie delle successive va- riazioni morfologiche presentate dal cranio dell’ orso delle caverne nel corso del suo sviluppo. Ed è da rilevare ancora la presenza, a la Pocala a NW di Nabresina della Renna, che si spinse fino alle porte d’Italia, senza entrare a quanto si sa, nella pianura padana. L’A. infine considera le successioni faunistiche dei giacimenti più importanti, cercando di ordinarle secondo la loro età, in modo da poter stabilire la successione nel tempo delle faune medesime, valendosi dei dati della stratigrafia e della paletnologia e inte- grandoli con quelli deducibili dai caratteri zoografici delle varie faune. Vengono così raffigurati a grandi linee i mutamenti fau- nistici in relazione alle vicende climatologiche della regione dal quaternario medio, a cui si riferiscono i più antichi avanzi, sino all’ attualità. Subentrato al clima rigido della espansione glaciale del Rissiano un clima assai più mite, le rivéè dell'Adige e le ul- time propaggini collinose dei Lessini si popolano di una fauna che presenta grandi analogie con quelle che vivono attualmente in prossimità dei grandi fiumi africani. Accanto al rinoceronte, al- l’ elefante, al leone, alla pantera, troviamo varie specie (lepre, ca- vallo, capriolo, daino, cervo, orso delle caverne, Megaceros eury- ceros) che ci stanno ad indicare un clima non molto caldo. L'associazione di elementi frequentatori delle steppe con altri che preferiscono le foreste, fa ritenere che la parte pianeggiante del paese avesse tipo di steppa o di prateria, dove specialmente vivevano i grandi felini, i rinoceronti, i cavalli, i buoi e che la regione pedemontana e collinosa fosse coperta di grandi selve a- bitate da elefanti, cervi, caprioli, daini e dall’orso delle caverne. Succeduto il periodo gelido corrispondente all’ espansione wur- miana, le specie meno adatte (Rhinoceros Merki ed Elephas an- tiquus) scomparvero dal territorio, mentre a quelle che continua- rono a vivervi se ne aggiunsero alcune provenienti da zone alti- metriche più elevate, come la Marmotta, o da latitudini più set- tentrionali come il Mammut. Sia durante il massimo dell’ espan- sione Wurmiana sia durante le fasi successive, le grotte accolsero resti di numerosi animali, ma ritiene l’A. che in tale fauna non 35 DI PALEONTOLOGIA b | Otolithus — (Berycidarum) pulcher - Prochazka, bi. Tav, I, fig. 25 a-b-c-d. % 1893 - Otol. (Berycidarum) pulcher - Prochazka, pag. 80 - III 7 — 1905 - } Schubert, pag. 634 - tav. XVII, fig. 12-14-16 - Ri i 1906 — Bassoli pag. 49 - tav. II, fig. 19-20. î Piccole otoliti con faccia inferna piana o leggermente convessa: ‘ostio fi e coda differenziati e occupati da collicolo: coda breve: ostio lungo e am- i plio: scissura dell’ostio molto netta: la faccia esferza è liscia e convessa. ; Dimensioni 4 XX 2-3 X 0-5. Orciano e dintorni di Siena. Miocene e pliocene. VI. — PERCIDAE. Otolithus — (Dentex) speronatus Bassoli. Tav. I, fig. 27 a-b-c. 1906 - Dentex speronatus — Bassoli, pag. 51 - tav. II, fig. 37-38. Forma subellittica: faccia esterna ondulata e ornata ‘di strie concen- triche, meno visibili però che nello Syariîs vulgaris vivente: faccia interna divisa da un solco profondissimo e ostio molto amplio: ha la ceratteristica che gli attribuisce BassoLI, cioè un’ espansione lobosa molto pronunziata e sporgente all’ indietro. Ho un altro esemplare chè ha le caratteristiche del , primo, ma che ne differisce, perchè la superficie esterna ha gli ornamenti concentrici molto più pronunziati e lo sperone, ossia l’ espansione lobosa, fp: non è sul margine superiore e rivolta all'indietro, ma all’ostio. Io non ri- tengo che per questo possa farsene una specie nuova: potrebbe forse es- sere una Varietà del Derfex speronatus Bassoli o dello Smaris vulgaris KOoKEN. Dimensioni 15 X 8 X 3. Orciano - pliocene. rali diri cn Ati Sa pa Otolithus — (Apogon) ingens-Koken. Tav. II, fig. 28 a-b. IE CA 1884 - Apogon ingens Koken - pag. 550 - tav. XII, fig. 1-3. Faccia interna somiglia moltissimo agli esemplari di KokEen, solo l’ a- rea inferiore è molto minore, del resto la coda è larga, l’ostio amplissi- mo: non abbiamo canale in continuazione della scissura: scissura stretta: È; È i 7 b n r° ui. Sa w to Li Pig RASDE E ite tg" CS uni fl t. PT ee poi 36 RIVISTA ITALIANA ì rostro sporgente, ma non acuto : lembo superiore con una depressione cen- trale, col margine diviso in più punte: ostio ché tocca il margine e si perde in esso: il margine superiore della coda e dell’ ostio è molto rilevato : faccia esterna rigonfia specialmente al centro da cui si diramano scanalature a raggio: in alcuni esemplari abbiamo una specie di umbone centrale, con ornamenti concentrici che si estendono anche al margine. Dimensioni 10-25 X 17 X 3-5. Orciano - pliocene. Otolithus — (Apogon) minimus sp. n. Tav. II, fig. 29 a-b. - Sono forme piccolissime che hanno il lembo superiore della faccia in- terna molto stretto: la forma generale è perfettamente romboidale con al- tezza maggiore della lunghezza, ciò che non si ha affatto nell’ Ap. ingers Koken: il rostro è acutissimo e l’ angolo della scissura si avvicina più a due retti, che ad uno, Bisogna tenere conto che i caratteri di tutti questi esemplari che sono moltissimi, sono spiccati e tanto costanti che si ritrovano in tutti: perciò è una specie simile alla precedente, ma che certamente non i può, nè deve includersi nella precedente. Dimensioni 9 X 6 X 2. Orciano - pliocene. Ho materiale vivente di Dexfex Vulgaris (tav. 2 fig. 30 a-b). Asso- miglia alle specie estinte specialmente pel solco che è anche qui profondis- simo e coi margini rilevati, per l’ ostio amplio, e all’ Ap. ingens Kok. anche per i margini che sono sottili e per le sculture a raggio sulla superficie esterna: però questi esemplari sono più grandi. hanno i margini più den- tellati e la superficie esterna profondamente concava. VII. — PRISTIPOMATIDAE. Otolithus — (Smaris) vulgaris-Koken. Tav. II, fig. 31 a-b-c-d. Dure * 1884 - Smaris vulgaris Koken — pag. 537, - Tav. X, fig. 10. Forma generale rigonfia. Faccia interna con un solco diviso in coda assai lunga e ostio assai largo, ma non molto: nonostante che il rostro si prolunghi, tutti gli esemplari mancano di scissura. La faccia esterna ha la particolarità di essere ondulata e ha una specie BEL DI PALEONTOLOGIA di rialzo che corrisponde all’ ostio : ha pure la particolarità di avere un um- bone centrale, non molto rilevato è intorno molti giri concentrici, dei quali il più marcato è generalmente a metà del raggio tra il centro e la scissura. Dimensioni 8-12 X 4-7 X 2-3. Orciano - pliocene. Corrisponde all’ attuale Swzaris vulgaris di cui ho due esemplari : essi sono in tutto uguali allo .Saris vulgaris fossile, solo hanno dimensioni - “molto minori (più piccoli quattro o cinque volte). Otolithus — (inc. sedis) lunaburgensis - Koken. Tav. II, fig. 32 a-b. 1891 - Ofol. (inc. sedis) lunaburgensis — Koken, pag. 137 — 1905 Schubert, pag. 676 - tav. IV, fig. 33 a-b. 2 Superficie esterna convessa o piana, ornata specialmente in alcuni esem- plari di strie concentriche. Superficie interna piana o leggermente convessa con area inferiore assai sviluppata: area superiore ridotta e depressa e in alcuni esemplari con margine ondulato e seghettato. Il solco è profondo e stretto, non arriva al margine e si allarga quasi ad angolo bruscamente nel- l’ostio che si sperde verso il margine. Dimensioni 8-20 X 6-10 X 2-3. Orciano - miocene e pliocene. 3 Tanto KokEN quanto ScHuUBERT non sanno a che genere attribuire questa otolite: a mio parere, siccome la trovo assai somigliante allo Swaris vulgaris KOKEN e differisce da questo solo per la forma dell’ area inferiore, che nello Smaris è più regolare e più arrotondata, ed anche per l’ostio e per la coda che nello .Swaris sono di forma diversa e più profondi, trovo che potrebbero essere inclusi nel medesimo. Differiscono dal Pagellus Mormyris KokeN perchè il solco è meno lungo e più dritto, perchè l’ostio si apre diversamente, e si allontanano dal Dentex subnobilis ScHUBERT pel solco più breve, per la forma meno al- lungata, per la /accia esterna che ha strie e che non è irregolare. VIII. — SCIAENIDAE., Pe Otolithus — (Sciaena) aquila Risso. Tav. II, fig. 33 a-b. 1876 - Otolithus (Umbrina) Pecchiolii-Lawley, pag. 78, fig. 65 a-b. — 1906 - Schubert, pag. 637 a. u ta ONDE SCA e A. : a ; na 3 98 RIVISTA ITALIANB 1914 - Ofolithus (Sciaena) Corii-Priem, pag. 269 solo fig. 55. Faccia interna rigonfia con solco allostio molto amplio, coda profonda di cui la curvatura tocca il bordo inferiore : faccia esterna concava, irregolare, con una forte protuberanza indivisa: si notano al bordo strie concentriche, che si notano pure negli esemplari di .Sc. aguila vivente o ombrina bocca d’oro, (tav. 2 fig. c-d) i cui esemplari corrispondono perfettamente ai fossili di cui sopra. Ho incluso nella .Sc. aguila anche le otoliti, trovate dal LAwLEy, classificate da lui come appartenenti al genere « ombriza ». Ma già il Prof. De ALESSANDRI (Note di ittiologia fossile pag. 18-21. Affi della so- cietà scienze naturali, 1902), il Prof. pi STEFANO (Boll. geol. 1909, pag. 62 e 1912 pag. 66), GEMMELLARO (Giornale di Scienze naturali ed economiche vol. XXIX, pag. 145-1912), BassanI (Ittioliti mioceniche della Sardegna _1891 e Ittiofauna della pietra leccese 1915 pag. 45) ritengono che i denti fi- gurati e descritti dal LawLEY come appartenenti al genere Umbriza non siano altro che denti appartenenti al genere Sciaeza e molto probabilmente alla Sciaena aquila: non possono però affermarlo con sicurezza, mancando loro altro materiale di confronto. Ora, tra i miei fossili, ho bellissimi esemplari di otoliti identiche per tutti i caratteri a otoliti di Sciaezia aquila vivente, ma questi esemplari sono anche identici a quelli raffigurati come UVrbrina Pecchioli dal LawLEY: hanno la stessa forma e lo stesso solco, la stessa protuberanza indivisa sulla faccia esterna, le stesse strie concentriche al bordo: mi pare che in tal modo si possa con sicurezza affermare che la Sciaena aquila e la Umbrina Pecchioli LAWLEYv sono sinonime. Anche ScHuBERT; nel suo lavoro del 1906 (pag. 637) riprende per un esemplare di otolite il nome di Pecchiolii del LawLEY, pure correggendo con .Sciaena il nome, ed include in questa anche la Of. (Sciaenidarum) Corii per la quale aveva fatto una specie a sè. PRIEM nel suo lavoro del 1414 ri- prende la Sciaena Coriî di SCHUBERT; ma degli esemplari di PRIEM l uno deve essere incluso sicuramente nella .Sciaeza aquila, perchè è perfetta- mente uguale anche agli esemplari viventi, gli altri sono diversi dagli esem- plari di SCHUBERT e anche diversissimi tra loro ; perciò degli esemplari miei che si assomigliano alle figure 53-54 credo conveniente fare una specie a sè. Otolithus -- (Sciaena) Priemi sp. n. Tav. II, fig. 34 a-b. Forma allungata e spessa: la superficie esterna ha da un lato un um-_ bone grosso, irregolare, tozzo; che si abbassa e si perde dall’ altro lato del margine senza strozzatura basale: la faccia interna è un po’ rigonfia ' L) LI Vaia E. è DAI tp > BREVA Me E ARP PE I SET 05 VOTE OTO SIETE Vo. A i 4 : i | o : i 7 V DI PALEONTOLOGIA 39 con coda e ostio particolari della .Sciceza e assai profondi. Difterisce dalla Ot. Corii ScHuBERT perchè quest’ ultima ha la superficie esterna con due protuberanze a punta e ha l’ostio più amplio: differisce dalla .Sciaeza a- quila per la forma generale e perchè l’ umbone di questa si restringe alla base in luogo di allargarsi e perdersi come nella Of. Corzî ed anche perchè mancano completamente le striature. Dimensioni 12 ){X 7 XX 5. Orciano - pliocene. Otolithus — (Sciaenidarum) Corii-Schubert. Tav. II, fig. 35 a-b. i h 1906 - Otolithus (Sciaenidarum) Corti - Schubert, pag. 308 - tav. X, fig. 22 i a-b-c. Forma ovale: faccia esterna con due piccole protuberanze a punta assai marcate, con bordi sottili : faccia esterna con solco molto grande, con ostio amplissimo e coda ristretta, un po’ più profonda dell’ostio, non molto però : segue tutto il bordo superiore e posteriore e termina all’ inferiore. Differisce dalla .Sc. Priemi per il suo umbone che è diviso in due punte e per i bordi sottilissimi, per la forma dell’ umbone e per la grandezza: dalla Sc. aquila e dalla Sc. pyrenaicus perchè le punte non sono più di due e mancano le gemmazioni. Dimensioni 7 X 4 X 2-3. Orciano - Miocene e pliocene. Otolithus — (Sciaenidarum) pyrenaicus - Priem. Tav. II, fig. 36 a-b. Ig1I - Ofol. (Sciaenidarum) pyrenaicus - Priem, pag. 269 fig. 59. Forma ovale: si assomiglia alla precedente. Priem dice che ne diffe- risce pel solco che lascia libera una certa area. A me questo non sembra: . anche paragonando la figura dell’ Of. Corîî ScHUBERT e la fig. 59 del PRIEM si nota subito che questa differenza non esiste: c’è invece una differenza spiccatissima nella superficie esterna: questa non ha una protuberanza, ma, un insieme di granulazioni salienti che le danno un aspetto speciale: forse vi è differenza anche nell’ ostio. Negli esemplari che ho io l’ostio è più piccolo e la sua forma quasi a cuore (fig. 56-57-58 del PrIEM): dall’ Oto/. Gemmoides PrIEM differisce perchè è più allungata nella forma e ha nella superficie esterna granulazioni e non protuberanze. Si avvicina alla UVx- brina cirrosa vivente, che ha pure la protuberanza esterna divisa e sud- PA ‘è n » \ È ì 7 db > 4 ERRO È 4 ne v IR ET RIVISTA ITALIANA” r—r__/__=+»»ÀMÀA);IÒ}II9III lìiibiiNNI0LÒÒ©&( |EE: divisa, perchè anche questa è meno spessa delle altre e ha il solco su- perficiale : ma ha dimensioni molto maggiori (otto o dieci volte) e non ap- partiene alla stessa specie. Dimensioni 7 X 4 X 1-3. Orciano - pliocene. IX. — SPARIDAE. Otolithus — (Pagellus) gregarius - Koken. Tav. II, fig. 37 a-b 1891 - Ozol. (sparidarum) gregarius — Koken, pag. 129, fig. 18-19-20. 1906 - Otol. (pagellus) gregarius - Bassoli pag. 52 - tav. II, fig. 35. Tra gli esemplari di ofo/. swaris vulgaris Koken ne ho trovato alcuni che presentano molta somiglianza col Pag. gregarius Koken. La faccia interna ha profondo solco, un po’ ricurvo con largo ostio ed è assai Ts gonfia più che nello Swaris vulgaris Koken: la scissura è presso a poco uguale e così gli altri caratteri: la Yaccia: esterna invece di essere convessa è concava e non presenta giri concentrici: la forma è assai quadrata e rom- boidale : per questo e per la maggiore profondità del solco si allontana dallo Smaris vulgaris vivente che ha una forma allungata assai e breve altezza: corrisponde invece all'attuale Pag. erifhrinus Lawley. Dimensioni 10 XX 10 X 2. Orciano - pliocene. i Ho alcuni esemplari di Page/lus vivente (tav. 2, fig. 37 c-d): i miei per la forma romboidale, quasi rotonda col lembo inferiore amplio, si di- staccano dal Pag. mormyris, pure avendo lo stesso solco profondo e la su- perficie esterna concava: nel Pag. mormyris la forma è allungata assai, il lembo inferiore poco sviluppato, il solco più dritto e l’ ostio meno amplio. I miei esemplari si avvicinano più al Pag. erifhrinus (il comune fregolino): la forma generale di questa otolite è sempre un po’ più allargata che nel Pag. gregarius Koken, ma in alcuni esemplari è quasi romboidale: ha poi lo stesso solco, le stesse particolarità nelle due faccie esterna ed interna. X. TRIGLIDAE. Otolithus — (Triglae) Orcianensis - Sp. n. 2. Tav. II, fig. 39 a-b. Riconosco nel mio esemplare la #rig/a alla superficie esterna che ha visibilissimi giri concentrici intorno ad un: umbone centrale; anche per la dl n È DI PALEONTOLOGIA 41 forma, per una piega che produce una punta nel margine si assomiglierebbe molto all’ otolite 7vig/a ellipticus Koken 1884 pag. 555, tav. II, fig. 9-10) ma quest’ultima ha per prima cosa dimensioni molto minori e poi la suder- fice interna ha, nei miei esemplari, un solco che attraversa, tagliandola, x tutta la superficie: questo solco poi è nettamente diviso in ostio assai largo e in coda assai lunga; il rostro è visibile: ma la scissura no: si nota il col- licolo anteriore, ma non quello posteriore; nell’area superiore, al di sopra della coda abbiamo una cresta che è molto minore nell’ area inferiore: 1° a- rea superiore è piana con qualche dentellatura, mentre’ inferiore, che è più amplia, è liscia e rotenda. Quattro esemplari 1’ uno poco dissimile dall’ altro. Nell’ Of. (triglae\ ellipticus Koken il solco non è differenziato che per un piccolo restringimento mediano in coda ed ostio : l’ostio è più stretto: la coda corta e non arriva al margine : il rostro poco visibile. Dimensioni 10 XX 7 X 2. Orciano - pliocene. Difterisce anche dalla 7yig/a lyra, (tav. II, fig. 38 a-b-c-d) vivente per la stessa ragione che in questa il solco non è differenziato e non attraversa tutta quanta la superficie: gli altri caratteri sono uguali. Forse nella forma vivente la superficie esterna è molto concava. ‘ . Otolithus — (triglae) aspera - Schubert. Tav. II, fig. 39 c-d. ‘1906 - Otol (triglae) asperoides — Schubert, pag. 641 - tav. VI, fig. 34-35- Forma rotonda: faccia esterna un po’ rigonfia con superficie ornata di un reticolo: faccia ‘interna piana, lembo superiore non molto sviluppato, l’ inferiore assai: questo possiede striature che a raggio toccano i margini: l’ostio e la coda non sono ben. visibili, nè separati. Differisce un po’ dagli esemplari figurati da ScHuBERT perchè è più regolarmente rotonda e ha ornamenti che |’ altro non possiede: abbiamo collicolo. Dimensioni 12 XX 10 X 2. Orciano - pliocene. ; Ponendo a raftronto gli esemplari di 7rig/a aspera SCHUBERT con al- cuni di 7vig/a lyra comune, quest’ ultima ha dimensioni molto minori (sette volte) dell’ altra, ha superficie esterna concava: il solco è simile in ambedue : pochissimo differenziato, attraversa da un lato all’altro l’ otolite: solo nella Trigla lyra è molto profondo: nei miei esemplari che sono molto consu- mati, questa particolarità non si può notare: il lembo inferiore è come nella 7rig/a lyra: ‘è molto sviluppato a detrimento del lembo superiore che lo è pochissimo. i SA: a eg Sg < Re Pe Ri 42 RIVISTA ITALIANA XI. CEPOLIDAE. Otolithus — (Cepola) rubesces. Tav. II, fig. 41 a-b. 1906 - Cepola praerubescens — Bassoli, pag. 54 - tav. II. Forma assai allungata con piccolo rostro pronunziato e con piccola scissura dell’ ostio poco marcata. La faccia esterna è assai convessa e ha l’ostio e la coda ben definiti e separati tra loro da una forte strozzatura mediana: la cresta inferiore del solco è rettilinea: quella superiore ha la forma di due cerchi consecutivi: somiglia un po’ all’of. ophididarum pulcher BASSOLI, ma ne difterisce per la forma assai più allungata e pel solco che è ben visibile e che, come abbiamo già detto, presenta una strozzatura: la faccia esterna della Cepola rubescens è concava: quella dell’ Ofo/. (Ophidid.) pulcher BASSOLI è convessa. Dimensioni 5 X 24/0 X 1. Orciano - Pliocene. Non può essere alcun dubbio su questi esemplari, perchè sono identici per la forma generale, per la forma delle due facce, per quella speciale del solco e anche per dimensioni a esemplari che ho di Cepola rubesecens vi- vente (tav. II, fig. 42 c-d) ed è per questo che includo la Cepola praerubescens BassoLI nella Cepola rubescens vivente. I terreni di Orciano, ai quali appartengono la maggior parte delle oto- liti che ho studiato, dal punto di vista agrario sono dei più sterili della To- scana, come dei più sterili sono ancora i terreni che stanno ad Est di Siena, le così dette « crete senesi », delle quali, sebbene in minore quantità e va- rietà, ho alcune Otoliti: sono argille più o meno pure, impermeabili ed aride al massimo grado. Le otoliti di Siena, meno due sole specie (imenocephalus labiatus. SCHUBERT e un Opf%idium simile all’ Opfhidium parvulus BASSOLI) sono della medesima specie di alcune di Orciano. Ho notato che le otoliti trovate a Siena sono le forme più piccole: ne ho infatti una quantità che sembrano sabbia, mentre in quelle di Orciano non ho trovato forme molto pic- cole e le stesse specie di quelle di Siena hanno dimensioni sempre maggiori. Inoltre molte otoliti che SCHUBERT, KOKEN e BASSOLI trovano nel mio- cene sono state trovate da me e in quantità, in terreni pliocenici di Siena e di Orciano: alcune di queste specie, di poco modificate, seguitano a vi- vere nei mari attuali. Firenze, Gabinetto di Geologia del R.9 Ist. Studi Superiori. Aprile, 1919. | : i si deci x Len Ni LATI, VA dla ILA PI = dig ir BABA. pai IRENE BERE: RIBAROTASENIN NT rara DI PALEONTOLOGIA 19 RASSEGNA DI PUBBLICAZIONI ESTERE ANDERSSON E. — Uber einige Trias-Fische aus der Cava Tre- fontane, Tessin. — Bull. Geol. Ist. Uppsala. vol. XV. pag. 13-34 con 7 figure nel testo e 3 tavole. L'A. mentre sta studiando una collezione di vertebrati della formazione triassica dello Spitzberg, esistente nell’ Istituto geolo- gico di Upsala, ha stabilito degli opportuni confronti colle faune di altre località triassiche, tra le quali ritiene di particolare in- teresse Perledo e Besano nell’Italia settentrionale e la Cava Tre Fontane nel Ticino. Nella sua Monografia sopra i pesci triassici della Lombardia De Alessandri aveva ricordato: Belonorhynchus Stoppanti Bass., Colobodus? triasicus Bass., Colobodus Bassanii De Aless., Ophiopsis Belotti Bass., Ptycholepis Barboi Bass., Pho- lidophorus meridensis De Aless., Pholidopleurus typus Bronn. A questa lista debbono essere aggiunte nuove forme ed è so- pratutto degna di nota la presenza del genere Undina, che fin qui era noto soltanto nel trias di Giffoni. Uno dei principali risul- tati ai quali è giunto VA. è la costituzione di una nuova famiglia, quella delle Colobontidae limitata al trias, della quale peraltro la posizione sistematica tra i Condrostei deve essere considerata come provvisoria. Ad essa sì può ascrivere con certezza, allo stato attuale delle. nostre conoscenze, il solo genere Colobodus, ma forse vi si potrebbe aggiungere il nuovo genere Meridensia che lA. costituisce, traendolo dalla vecchia specie Pholidophorus meridensis. In complesso la fauna ittiolitica della Cava Trefontane, da quanto risulta dal materiale esaminato dall'A. consterebbe di: Undina sp., Urolepis sp., Belonorhynchus robustus Bellotti, B. DEA AT VA W4 96 Giù sa RIvIST TALIANA "a Stoppantii Bass., Colobodus Bassanii De Aless., Meridensia me=s ridensis De Aless., Lepidotus? triasicus Bass., Ophiopsis Be- È ca lotti Bass. Heterolepidotus? Belotti De Aless., Ptycholepis Barboi — Bass., Pholidopleurus typus Bronn., Peltapleurus splendes Kner. | Tutte le forme sono sd ao descritte e accompagnate. da figurine inserite nel testo, fatta eccezione di Belonorhynchus robustus, di cui lA. si riserva di dare la descrizione, quando pu- blicherà il suo lavoro sulle forme dello Spitzberg. I resti di Colobodus Bassanti, alla cui conoscenza viene por- |. tato in questo lavoro un notevole contributo, sono riprodotti in 3 tavole, insieme a squame di Undina. M. ANELLI. DI PALEONTOLOGIA 21 OTOLITI PLIOCENICHE DELLA TOSCANA MEMORIA DELLA Dott. L. PIERAGNOLI Il primo che notò otoliti di terreni italiani fu nel 1780 il Padre Camal- dolense Ambrogio SoLDANI nell’ appendice del « Saggio Criptografico » che dedicò a Leopoldo di Toscana: ricavò anche il disegno di due otoliti che egli classificò come palato di pesce. Ha accennato ad altre di esse il SISMONDA . nella « Descrizione dei pesci e dei crostacei fossili del Piemonte » (1849) pubblicata nelle memorie della Reale Accademia di Scienze di Torino, dove figura qualche otolite, senza però specificare il genere a cui appartiene (tav. II* fig. 60-71). Hanno accennato ad altre di esse il LawLEv nel 1876 nei « Nuovi studi sopra i pesci fossili ed altri vertebrati della Toscana », il BassaNI (7899) nella « Ittiofauna del calcare eocenico di Gassino in Pie- monte » e così anche il Costa nel 1866-68 « degli Otoliti in generale » dove parla pure della loro costituzione interna. Solo il BASSOLI, aiutato nei suoi studi da ScHUBERT, in una nota pubblicata nel 1906 in questa Rivista studia e classifica le otoliti fossili terziarie dell’ Emilia, basando principal- mente le sue classificazioni sugli studi del KokEN e dello SCHUBERT. Le otoliti da me studiate sono di Orciano (Pisa) in massima parte, e alcune poche dei dintorni di Siena (Coroncina): appartengono al Museo di Firenze e le ho avute in esame dal Prof. Carlo DE STEFANI. Essendomi interessata agli studi del Costa sulla costituzione interna delle otoliti, studi che non furono terminati per la morte del Costa stesso, ne ho voluto fare delle sezioni ho fatto sezioni longitudinali di Oprfidium (fig. 43-44 tav. II) e di Sciaeza (fig. 45 tav. II). Vedute al microscopio queste sezioni, si trova che la costituzione interna è molto simile a quella dei denti: la parte solida è costituita da strati concontrici ciascuno costituito da fibre ir- radianti, sui quali poi si depositano altri strati, tormando così l’ accresci- mento, come avviene per i denti. Nella sezione longitudinale di OpAhidium si distinguono al centro diversi nuclei dai quali si partono due filamenti scuri, forse di ossido di manganese, che attraversano longitudinalmente |’ o- tolite e che si suddividono quindi in prossimità della periferia. Nella se- zione trasversale si vede al centro una rete di filamenti dalla quale si par- 22 Led RIVISTA ITALIANA | ur RETTA e tono tante ramificazioni che si risuddividono e si suddividono; fo stesso dicasi per la' sezione longitudinale di .Sciaeza, che, per essere l’otolite di forma irregolare, è venuta meno bene: anche qui si vedono molti filamenti che si ramificano e si anastomizzano fra loro, percorrendo così tutta l’ o- tolite. Ora questi filamenti che si vedono partire dal centro e ramificarsi e suddividersi e anastomizzarsi, che si estendono per tutta l’otolite e si ri- petono in tutte le otoliti, anche variando specie e forma, ritengo altro non siano che i solchi dei nervi che entrano insieme ‘ coi vasi sanguigni nell’ c- tolite e che colle loro diramazioni la percorrono, come avviene pei denti. Le otoliti di Orciano sono di mare profondo e fino ad ora non erano state studiate nel loro complesso, ma solo il LawLEy aveva accennato alla « Sciaena Pecchiolii » e al « Merlucius Bosniaskii » e lo SCHUBERT ‘al « Ma- CVUVUS Praetachyrhincus » e ad altre pure il KokEeN, ma isolatamente, non: come studio speciale. i Le otoliti viventi che ho potuto. silidiare: n°, Sono state favorite in studio dal Sig. BERCIGLI, preparatore del museo fiorentino di Paleontologia. Ho fatto anche l’ analisi chimica di otoliti vi- venti e il resultato non è stato molto diverso da quello ottenuto da altti studiosi : i Carbonato di calcio o î 5 d 2 î .. gr. 9487%o Sostanze organiche (in parte azotate, in parte grasse). » . 4,27 Fosfato di calcio . X n E ? E 3 RAS 0,35 Perdite e tracce di ferro e silice . 7 : 3 cLTtn 0,51 100,00 Ca dii Pale è ela £ ata METRO TI RETRO I ME O sE tania “a n SA 723 Punk did Da TI 35 i NO a: e “i % { > o STA sd pei ® BIBLIOGRAFIA Ta &, ì . Tr È | PIL fi 1780 - SoLDANI — Ambrogio - Saggio Crittografico - Siena. ‘ È 1849 - Sismonpa — Descrizione dei pesci e dei crostaci fossili del Piemonte A i ; (Mem. Accad. Scienze di Torino, vol. X). de 1867 - Costa — Degli otoliti in i generale - Affi della R. Accademia di Scienze di Napoli, vol III, anno 1866-68, N. 15. 1876 - LavvLey — Nuovi studi sopra i pesci fossili ed altri vertebrati della Toscana - Firenze. N, 1884 - KokEeN — Uber Fisch-otolithen, insbesondere iiber diejenigen der pi È SE norddeutschen cligocan Ablagerungen - (Zezfs d. dent. N È geol. Gesell.), vol. XXXVI - Berlino. xi 1891 - KokeN — Neue Untersuchungen an tertiiren Fisch-otolithen Zetf. d. 13 ca deut. geol. Gesell.), vol. XLIII - Berlino. A 1893 - PROCHAZKA — Das miocin von Scelovvitz in Mahren und dessen 3 si Fauna - Sifzungsber d. bò. Franz - Josefs Akad. - N. i “ 9 R. XXIV. SG 3 1899 - Bassani — Ittiofauna del calcare eocenico di Gassino in Piemonte è se Atti della R. Accademia di Scienze di Napoli, vol. IX. 4 sa 1905 - ScHuBERT -- Die Fischotolithen des ésterrungarisschen testeais - G fahrbuch der geol. Reiehs - Band. 56- - Vienna. ; và 1906 - SCHUBERT — Die Fischotolithen des òsterrung arischen tertiàrs - pia Jahrb. der geol. Reichs. - Band. 56-57 Vienna. ù "A | 1906 - BassoLi — Otoliti fossili terziarie dell’ Emilia - Rivista it. di Paleon- S i fologia - Anno III, fasc. 1 - Perugia. rgri - PRIEM — Otolithes de Poissons fossiles des terrains tertiaires supé- Ù rieurs de France - 2%. Soc. géolog. de France, vol. ci XI fasc. 1-2 - Paris. AG 1914 - PrIEM — Otol. du tertiaire du S. W. - 2. Soc. géol. de France Le 3 SO, - IV serie, vol. XIV, fasc. 5-6 - Paris. @ d 1916 - PRIEM — Sur des otol. de proiss. foss. des terrains tertiaires sup. du A _S. Quest de la France - 2ul. Soc. géol. de’ France - Ki IV, serie, fasc. XIV, N. 5 + Paris. È i 24 RIVISTA ITALIANA: I. — GADIDAE. Otolithus — (Gadus) elegans Koken. av. 1,800 Tasti s 1780 - Palata piscium — Soldani, p. 120, C. 41 II - tav. XIV fig. 72-73. 1884 - Gadus elegans — Koken, vol. XXXVI, pag. 542 - tav. XI fig. 2-4. 1891 - Koken — Vol. XLIII, pag. 93 - tav. .1V fig. 1-1a 2-2a - tav. V fig. 6. 1906 - Schubert, p. 80 - tav. V fig. 13-19 e 21-2 - tav. VI fig. 16-18 - 1916. \ * P; — -Priem, pag. 251, fig. 12. 5 1906 - Of. (Phycis) elegans — Bassoli, pag. 39 - tav. I fig. 11-12. "9a La varietà che ho io potrebbe assegnarsi alla Ot. (P%ycis) tenuis Koken, N: ma manca del tutto la sporgenza parallela al solco nell’ area inferiore: dico n, che sia la var. $/anata BassoLI e SCHUBERT, perchè il solco nei miei esem- sa plari non è molto differenziato, perchè i tubercoli della faccia esterna non Sp sono molto rilevati, nè molto abbondanti: del resto la faccia esterna è Yan quasi concava, la i2ferza convessa fortemente: ha forma allungata. BASSOLI > ) i fa pure differenza tra la varietà f/azata e la varietà scu/pta KoKEN, per le ; Î PR dimensioni: mi pare però che la differenza di uno o due millimetri che corre dall’ una all’ altra, non possa essere presa in considerazione, potendo dipen- || dere da differenze di individui o di età. : Mettendo a confronto il Gadus elegans di Koken ed il Gadus minutus vivente, non si nota che una piccolissima differenza nella grandezza: le di- Siria EI mensioni dei fossili sono assai maggiori, ma anch’essi hanno la stessa e forma allungata e appuntita da un lato: il solco non è difterenziato, la su- perficie esterna ha gli stessi ornamenti, di modo che si potrebbe affermare che arrivando a noi la specie si è indebolita e ha diminuito di dimensioni. Dimensioni — lung. 8-15 — alt. 3-6 — spess. 2-4. Pliocene - Orciano. = glia en— va E * e * sizÈ = i i $ Otolithus — (Gadus) - De Stefanii sp. n. i TWavil; foevA45Cs6dì ATEI I Mar a Si assomiglia molto al G. elegars KoKEN, ma differisce dalla varietà sculpta perchè la faccia interna ha la cauda e l’ostium meno visibili e di forma diversa e il bordo di questa faccia è più o meno scolpito: la faccia esterna poi è concava ed è coperta di tubercoli, mentre nei miei esemplari , SIT a : e IA Tige è liscia o quasi. Si potrebbe assomigliare anche al G. elegans. var: laevis KoKkEN: ma questa forma è meno allungata della mia e differisce per la n ” ESA DI PALEONTOLOGIA : 2 (ha forma della coda. Nei miei esemplari la superficie esterna è liscia, con due o tre sculture e con un avvallamento al bordo inferiore: la forma è assai allungata: la /accia interna è gonfia: |’ area inferiore è ridottissima. La maggiore estensione della superficie della faccia è occupata dalla coda, che non si differenzia nell’ os? il quale ultimo uno dei miei esemplari tocca il bordo, nell’ altro no: la coda è molto superficiale e la scissura è pochis- simo marcata. Dimensioni l. 23-25 mm. alt. 8 - Spess. 3-4. Orciano — Come la elegans è del pliocene — PRIEM trova la elegans nel pliocene e nel miocene d’ Italia. & Otolithus (Gadus) tenuis - KokEN. Tav. I, fig. 3 a-b. 1891 - Gadus tenuis — Koken, pag. 92 - tav. IV fig. 3-6. 1906 - Pkicis tenuis — Schubert, pag. 79 - tav. V fig. 37-40. Forma molto allungata e contorta: faccia esferza assai liscia, ma con alcune protuberanze : faccia 72/e7za convessa con lungo e larghissimo solco non differenziato in coda e ostio: il collicolo occupa tutto il solco : il lembo inferiòbre porta una lieve sporgenza parallela al solco: non ha striature, nè solcature. Sono stata incerta se includere questi due esemplari nel Gadus elegans Koken o nel fenzis Koken o se doverne fare una specie nuova. Dal Gadus elegans differiscono per la superficie esterna, che non è tubercolata e specialmente pel solco che non è differenziato e che è molto largo, ca- rattere questo del solco, sul quale ci sì può basare con assai sicurezza. Ma i miei esemplari differiscono dal G. e/egars perchè hanno dimensioni molto maggiori. Dimensioni 1. 24 mm. alt. 8 mm. - Spess. 3 mm. Orciano-pliocene e Miocene di M. Gibio e Modenese. Otolithus — (Gadus) Bassanii - sp. n. Tav. I, fig. 2 a-b. Anch' essa somiglia assai al G. elegans Koken: specialmente per la sua forma che è allungata molto e in certi esemplari quasi appuntita nella parte posteriore: ma la faccia interna è diversa: il solco attraversa tutta quanta la otolite ed è un po’ differenziato in cauda e ostium: il solco è occupato dal collicolo: il lembo inferiore è assai amplio, il superiore ridottissimo non è neanche molto regolare: in alcuni esemplari vi si vedono striature e pro- î: n, + la | hi vii GI, NR a a e CO VANTO ba REN LE \ 26 RIVISTA ITALIANA tuberanze - /a faccia esterna nel G. elegans ha la particolarità di essere tu- bercolata, in questa specie invece è convessa, ondulata e quasi liscia in al- cuni esemplari, in altri invece ha protuberanze e avvallamenti che l’attra- versano dall’alto in basso. Dimensioni l. 12-24 mm. alt. 6-12 mm. - Spess. 2-4 mm. Orciano-pliocene. L Otolithus — (Gadidarum) difformis-Koken ‘Tav. I, fig. 4 a-b. 1884 - Otolithus (Gadidarum) difformis Koken, pag. 547 - tav. XI fig. 13. I miei esemplari assai numerosi non si assomigliano molto neppure a questa specie che però è l’ unica tra quelle che sono state descritte alla quale più si avvicinano : superficie esferza allungata, concava, con una sporgenza irregolare, assai acuta da un lato: sul margine inferiore ha un avvalla- mento. Superficie 77/erza convessa, lembo superiore e inferiore molto ri- dotto, breve coda e ostio molto allungato: tanto I’ una quanto l’ altra hanno forte collicolo, fortemente diviso: — Scissura in alcuni esemplari molto vi- sibile, con rostro assai sporgente, quasi nullo in altri esemplari. Se non fosse per questa scissura che realmente esiste, non stenterei a riunire questi miei esemplari al G. elegans Koken, avvicinandosi molto a questo per tutti i caratteri principali: si potrebbe anche avvicinare questa specie all’ Of. difformis, KOKEN (1891 - p. 1oI - tav. VI, fig. 5) ma ne differisce assai per la superficie esterna e per la mancanza della protuberanza. Altra specie a cui si potrebbe rassomigliare sarebbe il Zierasfer posterus KoKEN descritto anche da BassoLi nel suo lavoro: ma in questo non vi è distinzione tra coda e ostio e manca la scissura; ma è anche certo che, se possedessi degli esemplari come quelli descritti da BassoLi e dal KoKEn, li includerei nel G. e/egans KokeN, dal quale non differiscono che per una sporgenza nel bordo, nel senso dell’ asse orizzontale ; il G. elegans KokEeN presenta forme molto simili e presenta varietà molto spiccate. Dimensioni (maggiori che negli esemplari del. KoKkEN) 6-12 X 4-8 X 3-4. Orciano-pliocene. Motella communis — (Costa). Tav. I, fig. 5 a-b-c-d. Molti esemplari di questa specie avevo prima classificato per una va- rietà del G. elegans KokEN, poi ho avuto abbondante e bellissimo mate- DI PALEONTOLOGIA 27 \ riale vivente di /IMotella communis ed ho potuto riconoscere che la forma vivente e la fossile sono uguali. La faccia esterna è piana, ma ondulata e in alcuni esemplari fossili si trovano delle granulazioni che nei viventi non O appariscono: il bordo inferiore è rilevato, la faccia interna è convessa molto e ha un solco che è amplio, ma che non è differenziato in coda e ostio e che è quasi contorto, il Jembo superiore non è molto sviluppato e special- mente nel fossile presenta qualche irregolarità: il lembo inferiore è rego- lare e ridottissimo, di modo che quasi tutta /a superficie esterna è occupata dal solco che ha anche il collicolo : la forma generale è allungata molto e appuntita da una parte. Dimensioni 8-20 X 5-8 X 5. Orciano-pliocene. Merlucius vulgaris o esculentus. Tav. I, fig. 6 a-b 7 c-d. 1876 - Otol. (Merlucius) Bosniaskii — Lawley, pag. 81. 1906 - Merlucius praesculentus — Bassoli e Schubert. Schubert, pag. 77 — Bassoli.e Schubert — Bassoli, pag. 39 - tav. I fig. 17-08. Includo nel Merlucius Vulgaris il Bosniaskii LAwLEY e il Mer/. prae- sculentus BassoLi e SCHUBERT, che sono tra loro difterenti solo per pochi millimetri di grandezza: per gll altri caratteri sono perfettamente corrispon- denti e siccome tutti questi esemplari sono perfettamente uguali a esemplari di Merl. esculentus vivente, (tav. I, fig. 7 a-b), reputo giusto fare una sola specie di tutti e tre. Faccia esterna tubercolata e striata : faccia interna con solco lungo e largo diviso verso la metà in coda e ostrio: collicolo: lembo superiore striato con varie crenelature e molto irregolare: lembo inferiore liscio, ma in alcuni esemplari si trovano striature. Forma generale dell’ o- tolite allungata assai. Dimensioni 8-20 X 5-10 X 1-2. Orciano-pliocene. - \ Otolithus — (Merlucius) obtusus-Koken. Tav. I, fig. 8 a-b. 1891 - AMerlucius obtusus — Koken, pag. 85 - tav. II fig. 3-4-5. Forma allungata; faccia interna quasi piana attraversata da ampio solco ben diviso in coda e ostio profondo: area superiore poco sviluppata, area | «i rar: x a a ISTRIA TROTA i) rA CX pai E.,3° E se 3 ss ART ; px : “i ; p ] = 2 i; inferiore assai espansa e circondata all’intorno da un solco: faccia esterna i convessa con rari avvallamenti: differisce dal Mer/. aftenuatus KOKEN pel 4 solco, che in questa forma è più stretto ed allungato, non differenziato, per "i * la forma generale che è più appuntita e per una scissura dell’ ostio ben vi- i sibile in questa forma: dal J7er/. emarginatus KoKEN differisce perchè anche + questo è più allungato ed a punta, perchè la coda e l’ostio hanno dimen- E sioni regolari e sono occupati da un collicolo strozzato: l’area superiore è a triangolo e l’inferiore meno estesa. A Dimensioni 22 X 7 X 3. 3 Orciano-pliocene. P II. — MACRURIDI. i Otolithus — (Macrurus) Trolli-Schubert. Tav. I, fig. 9 a-b. 1780 - Palata piscium — Ambrogio Soldani, pag. 120 C L - tav. XIV fig. 1. 1905 - Macrurus Trolli — Schubert, pag. 617 tav. 16, fig. 14-19 -- 1906 - eta VUE i PESI ET TI I e Bassoli,” pag. 42 - tav. I fig. 34-35. Faccia inferna grande coda che non è difterenziata nell’ostio e arriva fino al margine con un collicolo assai sviluppato e depresso: lembo infe- riore assai rotondeggiante. Aaccia esterna, convessa, irregolare, solcata. Dimensioni 14-22 XK 12-20 X 4-7. MERE 1 PA ll Schubert e Bassoli la trovano in terreni miocenici: i miei esemplari sono del pliocene di Orciano. Otolithus — (Macrurus) elongatus-Schubert. PI RAI fig. 10 a-b. PI PRE SLAVE A TETRA 1905 - Macrurus elongatus — Schubert, pag. 617 - tav. XVI fig. 22. : Questa forma non difterisce molto dalla precedente: ha una scissura } ‘ dell’ ostio più profonda e più acuta: ha il lembo superiore meno trapezoi- dale ed è di forma più allungata. Dimensioni 16-26 X 10-15 X 6-8. Pliocene di Orciano. Schubert e Bassoli la trovano nel miocene. Otolithus — (Macrurus) praetracyrincus-Schubert. Tav. I, fig. rr a-b. 1905 - Macrurus praetrachyrincus — Schubert, ‘pag. 615 - tav. XVI fig. 1-8. aa Faccia interna con solco assai profondo, non allargantesi all’ ostio : col- E 5) e | 7! TAO PET ia i cn rn Li DI PALEONTOLOGIA 29 licolo assai sviluppato: scissura dell’ ostio molto profonda, acutissima: rostro assai pronunziato, ma non molto a punta: area superiore divisa al margine in tre e anche in più punti: è questo il carattere principale che differenzia questa forma dal Macrurus Trolli. Faccia esterna rigonfia con solchi e sporgenze. Dimensioni 12-23 XK 11-19 X 5-8. Orciano. Milazzo. Forma attribuita al miocene: i miei esemplari sono pliocenici. Otolithus — (Macrurus) rotundatus. Schubert. Tav. I, fig. IL c-d. 1905 - Macrurus rotundatus — Schubert, pag. 620 - tav. XVI fig. 25-26. Faccia interna: solco e collicolo come nella precedente specie : la scis- sura dell’ostio è molto meno amplia: l’area superiore non è divisa, è più regolare e meno staccata dell’area inferiore. Faccia esterna molto irrego- lare, più rotonda, meno allungata. Dimensioni 12-13 XX Io-1I1 X 5. Pliocene di Orciano. Citata nel Miocene, Otolithus — (Macrurus) gracilis Bassoli e Schubert. Rava figrata-D. 1905 - Macrurus gracilis — Schubert, pag. 616 - tav. XVI fig. 9-13 — 1906 - Bassoli, pag. 42 - tav. I fig. 19-20-23-24. Faccia" interna. Il mio sempliare si assomiglia molto alla descrizione che ne fa il BassoLI, ma non combina altrettanto con quella che ne fa ScHu- BERT. Il solco è lungo e stretto e non arriva ai margini: l’area inferiore è finemente crenelata, cosa che non si ha negli esemplari di SCHUBERT, ma vi mancano le depressioni concentriche specialmente notevoli ai margini, che si trovano in quelli del BassoLI, perciò non so se sarebbe meglio farne una specie nuova: ne ho un solo esemplare benissimo conservato. La faccia esterna ® tubercolata come negli altri Macrurus. Dimensioni 18 XK 14 X 5. Schubert e Bassoli la trovano nel Miocene, il mio esemplare è del plio- cene di Orciano. Otolithus — (Macrurus) maximus Bassoli. Fav. I, fig. 13 a-b. 1906 - Ot. Macrurus maximus — Bassoli, pag. 42 - tav. I fig. 29-30. Forma assai grande. /accia interna piana, solco con la cresta supe- b x È + sor sò , * eta riiee 3 £ ATE RIE n LE a OE, aa sora o eri _30 RIVISTA ITALIANA ì riore diritta, l’inferiore divisa in due curve che dividono così la coda e l’ostio, che sono occupati da collicolo: scissura dell’ ostio assai visibile quasi 4 ad angolo retto. Cresta inferiore molto rilevata, area inferiore non molto w amplia; la superiore quasi triangolare. .Superficie esterna irregolare molto, con avvallamenti e protuberanze trasversali, che formano come degli um- boni centrali. Dal acrurus Ansfuchsi Schubert differisce, come ben dice va Bassoli, per l’area inferiore molto meno estesa, per l’area superiore più sviluppata, per la forma generale meno regolare. Dimensioni 20-25 X 15-18 X 5. * Miocene e Pliocene di Orciano. < , Otolithus — (Himenocephalus) labiatus - Schubert. ne Tav. II, fig. 40 a-b-c-d. È 1905 - Otolithus (Himenocephalus) labiatus — Schubert, pag. 626 - tav. XVII fig. 18 — 1906 - Bassoli, pag. 43 - tav. II fig. 31. I due esemplari piccolissimi che ho si possono assomigliare all’ Of. (MHim.) labiatus di SCHUBERT e di BassoLi: solo il solco nei miei esem- plari è più visibile e più differenziato che negli esemplari dei due autori citati, ed uno dei miei presenta una depressione nel lembo superiore. 2 Dimensioni 2 XI X 0,5. ; Orciano e dintorni di Siena - pliocene. III. — OPHIDIDAE. Otolithus. — (Ophidium) Magnus - Bassoli. Tav. I, fig. 15 a-b-c. Ù 1905 - Otol. (Ophidium) Magnus — Bassoli, pag. 44 - tav. I fig. 44-45. 1906 - Otol. (Ophidium) Pulcher — Bassoli, pag. 44 - tav. I fig. 46. Ho molti esemp/ari di questa specie: hanno facce biconvesse, forma el- littica; la faccia interna ha il solco degli Ophidi: coda breve con collicolo e ostio perpendicolare: alcuni esemplari miei differiscono dalla descrizione che ne fa il Bassoli, perchè il solco è orizzontale perfettamente, mentre in . quelli di Bassoli è inclinato sull’ asse orizzontale: non credo però che per questo sia conveniente di farne due specie diverse : /a faccia esterna in al- cuni esemplari è quasi regolare, in altri ha rilievi e abbassamenti che spe- cialmente negli individui più giovani producono dei lobi sul margine su- periore: io includo nell’ Opr.. Magnus. BassoLi, 1° Oph. pulcher BASSOLI, Lai DI PALEONTOLOGIA 31 perchè fra l’uno e l’altro non trovo altra differenza che le dimensioni e le protuberanze che negli individui giovani sono sempre più accentuate. Dimensioni 10-25 }{ 5-12 X 3-5. Orciano - Pliocene. Otolithus — (Ophidium) Pantanellii, Bassoli e Schubert. è i Tav. I, fig. 15 d-e. 1906 - (Ofhidium) Pantanellii — Bassoli, pag. 43 - tav. I fig. 41-42. 1906 - (Ophidium) Appendiculatus — Bassoli, pag. 53 - tav. I fig. 37. | Questa otolite ha molte varietà: alcuni esemplari sono biconvessi: altri hanno la faccia interna più o meno convessa e la esterna pianeggiante : altri ancora hanno la faccia esterna convessa nel centro e concava ai margini: 3 troviamo alcune volte delle protuberanze, ma non molto spiccate. VeZ/a o faccia interna abbiamo un solco formato da una corta coda con collicolo ed un ostio perfettamente perpendicolare alla coda, ma poco visibile: Bas- soLI separa la specie da me descritta da alcuni esemplari che hanno il mar- Î gine superiore con una piccola espansione che dà luogo ad una insenatura ; pei quali fa una nuova specie (Op%. Appendiculatus). Ma questa non ‘è una differenza essenziale ed altre differenze non ci sono, come si nota anche À dalle figure dello stesso BassoLI. Inoltre nel mio materiale ho tanti termini | intermedi fra gli uni esemplari e gli altri: ho anche esemplari con due o | tre piccole insenature: per tutte queste ragioni riunisco le due specie del BassoLi in una sola. Dimensioni 4-13 X 3-4 X 6-10 Orciano - pliocene. Otolithus — (Ophididarum) parvulys - Bassoli. Tav. I, fig. 16 a-b-c-d. 1906 - Oto! (Ophididarum) parvulus — Bassoli, pag. 44 - tav. I fig. 43. Piccola otolite di forma allungata, ellittica, biconvessa, appuntita un po’ alle due estremità. Nella faccia interna abbiamo un breve solco proprio degli Opridii con coda orizzontale e stretta, fornita di collicolo e l’ ostio. breve, perpendicolare alla coda e poco visibile. Dimensioni 4 X 3 X 1/a. Orciano - pliocene. 2% i &. vie 32 RIVISTA ITALIANA © Otolithus — (Ophididarum) Soldanii sp. n. hi: Tav. I fig. 17 a-b. È una forma piccolissima che ho trovato tra alcune otoliti della Coron- - cina presso Siena. Si assomiglia all’ Of. sarvulus. Bass, ma è molto più piccola, ha il solco molto meno visibile, più dritto e più lungo. Dimensioni 2-3 X 1-2 X 1. Pliocene. Coroncina presso Siena nelle argille di mare profondo. IV.._- _—PLEURONECTIDAE. Otolithus — (Solea) Kokeni - Bassoli e Schubert. ‘Tav. I, fig. 18 a-b-c-d. 1906 - Solea Kokeni Bass. e Schubert — Bassoli, pag. 46 - tav. II fig. 3. 1906 - .Solea patens Bass. e Schubert — Bassoli, pag. 46 - tav. II fig. 4. RIA x È dr Credo sia errato fare due specie delle otoliti trovate da BassoLi, la Solea patens BassoL1 e SCHUBERT e la .Solea Kokeni BassoLI e ScHuBERT. La loro differenza è secondo il mio parere una differenza di conservazione. La forma di queste otoliti è rotondeggiante: la faccia interna ha un solco as- sai pronunziato e breve e circondato da una forte scanalatura che fa appa- ati iii diin nta rire più elevate le creste. Le facce sono convesse. Dimensioni 3-4 X 3 X 1. Orciano e Siena - miocene e pliocene. Ho esemplarî di solea vulgaris vivente (tav. I fig. 18 c-d) che hanno TIA IE 10 VE APRE MP PAESI SI dimensioni molto maggiori che gli esemplari fossili (solo bisogna notare che sono otoliti di grosse sogliole d’ Ostenda): hanno la superficie esterna piana o concava, mentre le fossili hanno la superficie esterna convessa: ma si assomigliano moltissimo per la forma rotondeggiaute e per il solco, che Ù . D x . x i in ambedue le specie è circondato da un avvallamento profondo che dà un - carattere speciale. V. — BERYCIDAE. Otolithus — (Hoplostetus) Lawley - Koken. tal Tav. I, fig. 20 a-b. 1891 - Otol. (Hoplostetus) Lawley — Koken, pag. t15 - tav. IX fig. 2 2-a. Faccia interna piana: solco molto largo all’ostio cha si restringe un. | po’ verso la scissura che è assai profonda, ma stretta: coda profonda: ro- DI PALEONTOLOGIA stro e antirostro assai pronunziati: faccia esterna convessa, irregolare: dal- l’umbone pochissimo pronunziato si partono delle sculture che danno al mar- gine superiore un aspetto seghettato: differisce dall’ 77092. pisanus. Koken perchè ha il rostro molto più lungo, maggior numero di sculture e 1’ ostio più largo. Dimensioni 20-23 X 15-20 X 5-9. | ‘ Orciano - pliocene. Otolithus — (Hopl.) pisanus - Koken. Tav. I, fig. 19 a-b. 1891 - Hopl. pisanus — Koken, pag. 115 - tav. IX fig. 1 1a. Faccia interna - coda profonda, ostio assai largo, minore però che nel- l’ Hop!. Lawley Koken: da questo si diramano delle strie specialmente visibili in un esemplare. Dimensioni 15-22 X 7-15 X 4-7. Orciano - pliocene. Otolithus/— (Hopl.) Magnus sp. n. Tav. I, fig. 21 a-b 22 a-b. « Questa nuova specie assomiglia assai all’ Z7op/. pisanus Kok: all’ op?. Lawley Kox : all’ op. ostiolatus Kok: ma difterisce da questi per vari ca- ratteri: la faccia interna è rigonfia, l’area superiore finamente striata e il margine molto irregolare: il solco è amplio e profondo, con margine ta- gliente difterenziato.in un ostio assai largo,’ meno profondo del solco, ma che non ha un rostro così pronunziato come 1° ÉJop/. ostiolatus Kok: la scissura è piccola, l’area inferiore è assai regolare e ha un solco lungo il margine. La faccia esterna è concava, irregolare, ondulata con sculture a raggio che terminano al margine in tante crenelature. Dimensioni I 3-25 X 10-20 XX 4-8. Orciano - pliocene. Otolithus — (Hoplostetus) orbicularis - Koken. Tav. I, fig. 23 a-b. 1906 - Otol. ( Hop!.) orbicularis Kok-Bassoli, pag. 48 - tav. II fig. 13-14. La forma è subcircolare : la faccia esterna è convessa: alcuni esemplari portano su questa faccia degli ornamenti concentrici : la faccia interna è 1 Ade ulti ®-_ p" ROIO a pis X 4: sÀ, ki pai % #% 34 RIVISTA ITALIANA piana con solco differenziato in amplio ostio e in coda assai larga, ma tozza; ai margini del solco noto un rilievo: scissura dell’ ostio non molto amplia: l’area superiore in alcuni esemplari è lobata, in altri no; ma tanto l’area superiore che l’inferiore sono assai piccole: la maggiore estensione è occupata dal solco. Dimensioni 9-11 X 8-10 - X 3. Orciano - pliocene. Otolithus — (Hoplostetus) orbicularis - Koken var. biexcissa, Bassoli. ; Tav. I, fig. 24 a-b. 1906 - Otol. (Hopl.) orbicularis Koken var. biexcissa — Bassoli, pag. 49 - tav Ilio, 15. Ho molti esemplari di questa varietà: la forma generale dell’ otolite è molto più allungata, meno subcircolare della specie tipo; differisce da questa perchè l’ area superiore ha una profonda incavatura e talvolta anche due che danno l’idea di una seconda e di una terza scissura dell’ ostio. Dimensioni 12 X< 7-8 XX 3-4. Orciano - pliocene. Otolithus — (Hoplostetus) orbicularis - Koken var. perforatus - Bassoli. Tav. I, fig. 24 c-d. 1906 - Ofol. (Hopl.) orbicularis Koken var. perforatus — Bassoli, pag. 49 - tav. II, fig. 16. oi Credo che non sia opportuno creare una specie nuova per questi esem- plari che sono perfettamente uguali all’ Z7op/. orbicularis Kok, differendone solo perchè mancano di scissura e perchè il rostro si è prolungato fino a congiungersi saldamente col margine dell’area superiore, lasciando solo dove prima era la scissura un piccolissimo foro rotondo. Bassoli è incerto se dovere credere i due esemplari che possiede come appartenenti a una specie nuova o come una accidentalità : io ho nove esemplari’ che presen- tano tutti questa particolarità : credo perciò che la medesima non sia do- vuta ad un caso, ma che questi esemplati possano veramente considerarsi come una seconda varietà dell’ /70p/. orbicularis. Dimensioni 10-11 X 9 X 3. Orciano - pliocene. rn f, iatale dedi x PR IO I RE TIENE CRM, RI 12 Pal fire 2 6 È È 3 iù ‘a % ua ni Lili sin tati Ana I ito 2 ” - he nl Siae 0 O ine SANA TA VE RAG T= PIALZINI I LA n ”! DI PALEONTOLOGIA 1l sia possibile allo stato attuale delle nostre conoscenze, fissare delle distinzioni cronologiche. Ad ogni modo alcuni degli ele- menti faunistici dimostrano che al massimo rigore del clima Wur- miano devono essere succedute, probabilmente in alternanza mul- tipla, fauna di tundra (ghiottone, lepre variabile, renna) e quindi di steppa (tricetus, arvicole, asinidi). Le faune del neolitico indicano condizioni d’ ambiente tem- perato, quali si mantennero presso a poco successivamente fino all'attualità. La distruzione dei boschi operata dall’ uomo e la bonifica delle paludi, trasformando la fisionomia del suolo, con- tribuirono all’ estinzione dei grandi mammiferi (orso, cervo, ca- priolo, cinghiale) e la riduzione graduale o la scomparsa di molte delle specie minori (lupo, tasso, martora, lince, gatto selvatico). Trenta tavole, sedici figure intercalate nel testo e numerosi quadri d’ insieme accompagnano la memoria. M. ANELLI. Greco B. — Fauna cretacea dell’ Egitto, raccolta dal Figari Bey - Parte III: Lamellibranchiata. — Palaeont. Italica, Vol. XXIII, 1917, pag. 938-161, tav. XIII-XXIII. Nella collezione cretacea egiziana del Figari Bey, di cui VA. ha già descritto i Cefalopodi e i Gasteropodi, la classe dei Lamellibranchi, che viene studiata in questo lavoro, è la più ric- camente rappresentata sia per numero di specie sia per abbon- danza di individui, sopratutto di Ostriche, in buono stato di conservazione. Malauguratamente anche qui sono indicate in modo assai vago le località di provenienza. Dalla formazione calcarea e grigia nerastra intercalata con marmi neri dell’ Ouadi Au Rockam provengono: Pycnodonta vesi- cularis Lamk sp., Alectryonia Figarii Fourtau sp., Spondylus Du- templeanus d’ Orb., Spondylus Fornii n. sp., Lima insolita Peron et Four tau, Arca Balli Peron et Fourtau, A. Ferlinti n. sp., Cardita Beaumonti d’ Arch. sp., Crassatella matercula May-Eym., Lu- cina saharica Quaas, L. Calmoni Perv., Cardium delicatulum Stol., Corbula striatuloides Forb. Ò uo RIVISTA ITALIANA Prescizdendo da cinque specie esclusive della formazione ora detta, le altre otto specie erano note precedentemente negli strati con Exrogyra Overwegi del Deserto Libico, nel Maestrichtiano della Tunisia, nell’ Arrioloor dell'India e altrove. Di modo che anche dall’ esame dei Lamellibranchi sembra risulti confermato il riferimento di queste assise al Maestrichtiano, conclusione alla quale VA. era già pervenuto in base alle osservazioni sui Gaste- ropodi. E così pure al Maestrichtiano appartengono i calcari can- didi del Monastero di S. Antonio e i calcari bianchi raccolti dal Figari Bey nella Valle d’Araba, bassa Tebaide, presso il versante . di Quadi Deyr Bakit, contenenti: Pycnodonta vesicularis, da lui erroneamente determinata come Gryphaea arcuata. Lo Zittel aveva già constatato come, in base alle ostriche di questa collezione provenienti dai calcari semisilicizzati di Edfu, questa formazione fosse da ascriversi al Maestrichtiano; tale ri- ferimento risulta confermato dal fatto che gli esemplari, certa- mente non visti dallo Zittel, e determinati erroneamente dal Fi- gari Bey cume 0. flabelloides debbono invece riferirsi ad. Ale- ctryonia Villei Coq. e ad A. Aucapitanei Coq. Tre specie: Alectryonia Nicaisei Coq. sp., Plicatula deci- piens Coq., e Roudaireia Ausserensis Coq. sp., incluse in marne sabbiose giallastre accennerebbero chiaramente al Maestrichtiano ed è da notarsi a questo proposito come Di Stefano, studiando i fossili raccolti dal Cortese nel viaggio attraverso al Deserto ara- bico, abbia riferito' al Maestrichtiano un complesso di strati co- stituiti nella parte superiore da calcari silicizzati contenenti, tra l’altro, Alectryonia Villei e da marne sabbiose giallastre, a Roudaireia Ausserensis, identiche a quelle da cui provengono le 3 specie ora accennate della collezione. I Lamellibranchi confermano ancora il riferimento al Conia- ciano dei calcari bianco-giallognoli passanti al calcare ferruggi- noso, a cui lA. era già pervenuto sulla base più sicura delle Am- moniti e coll’esame dei Gasteropodi. Sono venti le specie che di qui provengono: Ostrea Heinzi Th. et Peron, Liostrea Boucheroni Coq. sp., L. Thomasi Peron sp., Ezogyra laciniata Nills. sp., Ale- ctryonia dichotoma Bayle sp., Plicatula Ferryi Coq., P. Flattersi DI PALEONTOLOGIA 13 . Coq., Lima Bleicheri Th. et Peron, Arca cretacea d' Orb., A. Rosel- linii n. sp., Nucula Belzonii n. sp. Trigonia scabra (?) Lamk., Roudareia Forbesiana Stol. sp., Cytherea plana Sow. sp., 0. su- bovalis d’ Orb. sp., C. solitaria Stol., Tellina Mianii n. sp., Pho- ladomya Esmarcki Nilss. sp., Pleuromya Luynesi Lart. sp., Cor- bula Di Stefanoi n. sp. Dai calcari contenenti Vaseoceras Durandi Th. et Peron, Pseudotissotia segnis Solg., già attribuiti dall’A. al Turoniano anche in base all’ esame dei Gasteropodi, provengono: Lima Flattersì Coq., Avicula atra Coq., Cardium productum Sow., Anisocardia Hermitei Choff., che convalidano il detto riferimento. Infine l'esame dei Lamellibranchi conferma indubbiamente il riferimento già fatto al Cenomaniano, sulla base delle Ammoniti e dei Gasteropodi, della formazione calcarea, arenacea e marnosa egiziana. Vi sono racchiusi: ZLiostrea Rouvillei Cog. sp., Exogira olisiponensis Sharpe, E. columba Lamk. sp., £. africana Lamk. sp., E. Delettrei Cq. sp., E. flabellata Goldf. sp., Pycnodonta vesicularis Lamk. sp. var. vesiculosa Sow., Alectryonia diluviana L. em. Woods., Nazadina Gaudryi Th. et Peron, Plicatula Au- ressensis Coq., P. Numidica Coq., P. Fournelì Coqg., Lima inter- media d° Orb., Pecten laevis Drouet., P. Dutrugei Coq., Modiola ligeriensis d’Orb. sp., Modiola ornatissima d’Orb. sp., Arca Trigeri Coq., Arca Favrei Coq., Arca trigona Seg., A. diceras Seg., Tri- gonia Ethra Coq., Cardita Forgemoli Coq., Crassatella pusilla Coq., Unicardium (2) Matheroni Coq., Cardium hillanum Sow., C. Pauli Coq., C. regulare Coq., C. dilatatum Seg., C. Combei Lart., C. Mermeti Coq., Cyprina cordata Sharpe, C. orientalis Haml., C. inornata d’ Orb., Anisocardia aquilina Uoq. sp., A. Papieri Coq. sp., Venus Reynesi Coq., V. Cleopatra Coq., V. mauritanica Coq., Dosinia Delettrei Coq. sp., Anatina Jettei Coq., Thracia Seguen- zai n. sp., Liopistha Pervinquierei n. sp., Lyopistha alta Roem. Sono complessivamente ottantasei specie, accuratamente de- scritte, di cui otto nuove. Un prospetto comparativo e undici tavole accompagnano l’im- portante lavoro, che è preceduto da considerazioni d’ indole geo- logica. i M. ANELLI. sg È e tene Ag di - A a etnia e A a e | ch: ni ” 3 ; A Pr. IP LI 3 IA | RIVISTA ITALIANA IsseL A. — Bioliti e pisoliti. — Boll. Com. Geol. d’ It. Ser. V, Vol. VI, Anno 1916, fasc. 4° pag. 297-339 con 2 tav. In una Memoria intitolata « Prime linee di un ordinamento sistematico delle pietre figurate > presentata all’ Accademia dei Lincei, lA. aveva divisato di istituire per una certa categoria di queste pietre, che hanno per nucleo un corpo organico o che ri- cettano numerosi fossili microscopici, il gruppo delle biolità. Questo fu distinto da principio nelle due sezioni delle fanerobio- liti (nelle quali si trova un corpo organico piuttosto voluminoso centrale) e nelle criptobioliti (vale a dire in quelle ad organismi assai piccoli). Nelle prime si danno, oltre alle differenze che conseguono dall’ organismo centrale, tipi diversi di composizione, fra i quali meritano di essere segnalati per la loro diffusione i silicei, gli argilloso-calcarei, i limonitici, i piritosi e i manganesiferi. Le criptobioliti, a seconda della natura dei fossili, sì pos- sono scindere in quelle a radiolarie, a spicole di spugne, a dia- tomee, a foraminifere, a spoglie di molluschi, a detriti organici diversi. In base alla natura mineralogica dell’ aggregato è oppor- tuno distinguere quattro varietà, cioè : i selciosi, 1 fosforitici, i calcarei o calcareo-marnosi e i glauconiosi; non mancano peraltro i tipi intermedi e si ha pure, rarissima, una varietà baritica. L'A. distingue poi sotto il nome di lubirintoliti quelle pietre che risultano di corpi organici e in particolar modo di scheletri di radiolarie, tenacemente aggregate con tenui detriti minerali, che assumono figura di corpi sferoidali, ellissoidali o anche irre- golarmente emisferici e subirono superficialmente intensa corro- sione chimica, dalla quale risultarono impressioni tortuose o meandriformi caratteristiche. Si tratta a rigor di termini di vere criptobioliti ulteriormente modificate. Indica inoltre col nome di rizobioliti quelle che si produs- sero per una concentrazione di sostanze minerali attorno a parti di un vegetale (radici, rizomi, fusti ecc.). Oggetto precipuo del presente lavoro si è di far conoscere al- : 3 l K 4 : ) é Hi ad DI PALEONTOLOGIA 15 cuni esempi istruttivi riferibilr alle sezioni cui le bioliti si pos- sono ascrivere, esponendo contemporaneamente le nozioni che sono del caso in ordine alla genesi loro. Tali nozioni sono in gran parte desunte dall’ esame di materiali diversi estratti dalle profondità marine, in ispecie dalle concrezioni e dai-noduli. Nella Memoria ricordata l'A. aveva accennato a certe piso- liti generate in seno alle acque dolci, col concorso di organismi viventi. Le strette relazioni che intercedono fra le bioliti p. d. e siffatte pisoliti lo hanno indotto ad occuparsene. ora in via subor- dinata. Ma non essendo opportuno confonderle colle pisoliti ve- ramente tipiche, ha creduto necessario assegnar loro la denomina- zione di diopisoliti, riserbando alle pisoliti p. d. l’ appellativo di eupisoliti. Non è da escludersi che queste ultime possano ricet- tare corpi organici, come conchiglie, ossa e parti di ossa di pic- coli vertebrati, insetti, miriapodi, crostacei ecc., ma in tal caso la funzione di tali corpi è quella di materiale inerte, paragona- bili a granelli di sabbia, ghialette, microliti ecc. Una distinzione ulteriore tra le biopisoliti si può fare a se- conda della materia minerale che; sollecitata da fenomeni fisio- i \ logici, si raccoglie intorno a corpuscoli organici per formare la concrezione; da ciò tipi diversi cui si potrebbero attribuire i nomi di calcopisoliti e ferropisoliti, comprendendo fra le ultime le note pisoliti ed ooliti limonitiche delle paludi, oggetto di in- È dagini esaurienti da parte di buon numero di scienziati. L'A. si riserva di descrivere in un’ altra nota le concrezioni fungiformi, le digitazioni, i tuberi, le espansioni fogliari più o meno circonvolute, proprie alle alghe incrostanti marine e d’acqua dolce, in specie ai Lithothamnium e ai Lithophyllum, icoliti tutte che designa col nome di micetoliti. Due tavole accompagnano l’ interessante lavoro. M. ANELLI. * Meli R. — Notizie preventive intorno a resti di mammiferi ‘ trovati nelle ligniti della Sabina. — Mem. pont. Acc. i Nuovi Lincei, LXXII — Roma, 1919. Nelle ligniti del Cannetaccio vennero trovati resti di mam- de Sip 16 RIVISTA ITALIANA miferi specialmente denti che sembrano appartenere a Castor fi- ber. L’A., coll’ occasione, parla diffusamente delle ligniti del Can- netaccio e del castoro in provincia di Roma. Nelle ligniti di Cot- tanello presso Rieti si hanno ossami di cervo, cavallo, bove, rino- ceronte, porco o tapiro ed Ewmys. Vi ParoNA C. F. — Prospetto delle varie “ facies ,, e loro succes- sione nei calcari a rudiste dell’ Appennino. Boll. Soc. Geol. It. vol. XXXVII fasc. 1 pag. 1-12. Vengono esposte in questa nota alcune interessanti conside- razioni riassuntive sui caratteri paleontologici della potentissima formazione a rudiste dell’ Appennino meridionale, considerazioni che contribuiscono a gettare degli sprazzi di luce sulla oscura storia delle vicende geo-biologiche del nostro mare cretacico. Ritiene l'A. che senza dubbio i piani della serie neocretacica apenninica risultano dalla successione dei sottopiani Ligeriano, Angoumiano del Turoniano, Coniaciano, Santoniano, Campaniano, Maestrichtiano del Senoniano, poichè se ne trovano i rappresen- tanti paleontologici, ma che non ci è ancora dato di poterne fis- sare e precisare 1 limiti in potenza ed estensione, di valutarne pienamente i caratteri e il significato in confronto della serie ti- pica, e di discutere con sicuro fondamento paleontologico sulla pre- senza o assenza del Daniano, nonchè delle cause generali o lo- cali dell’annientamento delle rudiste, allorquando maturavano gli eventi preparatori del momento critico che segnò il trapasso al Cenozoico. Da un prospetto riassuntivo inserito nella nota risulta chiaramente la continuità e nell’ insieme l’ uniformità litologica della potente formazione calcare, per modo che è ammissibile che la serie siasi depositata in un mare in cui le condizioni di sedimentazione e di vita dovettero mantenersi assai uniformi. Complessivamente i tre piani del Cenomaniano, Turoniano, Senoniano sono ormai ben conosciuti paleontologicamente, pur riuscendo difficile fissarne i limiti di separazione, dato il ripe- slitta sitter (Bindi » [ i i | i; ; È i i È È A r SSR IBRBBNERO: IBEIE A IOIR IAN NP ST pe tt > NR biso de ” Le in aTINalI raf n È t na 4 LA DI PALEONTOLOGIA 17 tersi delle stesse forme litologiche nel Neocretacico, che, non è molto tempo, andava distinto ‘come « ìppuritico » complessiva- mente, ma poco esattamente, perchè il livello di comparsa degli ippuriti coincide col Turoniano superiore. i Altrettanto non può dirsi della serie precenomaniana, cioè del complesso delle dolomie e dei calcari a Toucasia, attribuito all’ Urgoniano. Al complesso si ascriveva una parte comprendente i calcari del livello della Bauxite, che invece oggi vengono col- locati al passaggio fra Cenomaniano e Turoniano. La conoscenza paleontologica della facies urgoniana potrebbe dirsi limitata alla Toucasia carinata, senza i fortunati rinvenimenti di Capri con fauna copiosa e svariata, con caratteristiche rudiste, che accer- tano l’esistenza dei livelli barremiani e aptiani. Tutta la massa del cretacico dell’ Appennino attende ulteriori studi di revisione e così pure resta da verificare per l’ eocretacico il valore cronologico dei foraminiferi. Quanto agli idrozoi è as- sodato che fanno parte della fauna cretacica in generale e che alla fauna contribuiscono, colle ellipsactinidi, delle vere stroma- toporidi. : M. ANELLI. Parona C. F. — Ragguagli sopra gli ossami fossili trovati in una tomba presso Anteopolis. — Atti ft. Acc. Se. Torino, 12 maggio 1919. In una tomba di Anteopolis (Alto Egitto) vennero trovati 0s- sami fossili il gran numero, che V’A. ha studiato. Sembra che gli ossami provengano da alluvioni nilotiche plioceniche. Vi sono rap- presentati: Equus ctr. sivalensis, Sus erymanthius, Hippopota- mus sp., Camelus sp., Cervus sp., Camelopardalus sp., Bosela- phus (2) sp., Bos sp., Felis (2), Uccelli (Struzzo), Crocodilus ctr. palaeindicus, Emyda sivalensis, Trionyx sp., e Lates (?). Si tratta insomma di materiale affine a quello noto dell’ Uadi Natron. V. "TA PA TRASI TA ARIO OTITTRA i A Va Ta ni 18 RIVISTA ITALIANA PaRrONA C. F. — Notevole deformità nell’ apparato cardinale di un Ippurite. — Atti R. Acc. Sc. dì Torino, vol. LII, pag. 502-588 con 1 tav. e 2 fig. nel testo. Viene descritto in questa nota un ippurite proveniente dal M. Sabotino (Carso) ed ora posseduto dal Museo geologico di To- rino, che presenta il fatto insolito di un unico solco nella valva inferiore (invece dei tre normali in rapporto cogli elementi del-. l'apparato cardinale) e, in coincidenza sulla valva superiore, di una sola depressiene allungata nel senso radiale, rispondente ad un unico osculo. Un taglio condotto sotto la commessura ha dato la spiegazione dell’anomalia, ponendo in evidenza dietro al solco un robusto pilastro anteriore,da ciascun lato del quale, a metà lunghezza, si distacca un peduncolo lineare; quello anteriore, pie- gandosi verso l’ interno, si allarga alla estremità a forma di staffa e rappresenta la cresta cardinale, mentre il posteriore, si allarga a formare il pilastro posteriore. Tale anomalia è simile, ma non identica a quella dell’ 7yppurites Giordani Pir., già presa in con- siderazione dal Douvillè. Tenendo conto del fatto che nell’ esemplare del Sabotino, al- l'origine della valva inferiore, i tre elementi dell’ apparato car- dinale sono indipendenti e normali e che anche nell’ H. Giordani la anomalia è parziale nello stadio giovanile, VA. ritiene che tali deformità siano l’ effetto di un processo iniziatosi e svoltosi du- rente lo sviluppo della valva, provocata probabilmente dall’ inter- vento di irregolarità funzionali o da cause traumatiche. L’esemplare in questione appartiene al gruppo dell’ .H. cornu- vaccinum e sembra debba essere assegnato a H. Gaudryi Mun. Chal., già riconosciuto nel Veneto orientale e nel Carso triestino. i M. ANELLI. ] ; “ 1 È Di i ; «i FR ITRIIP REI ST A, VE LTTEOSE Rivista Italiana di Paleontologia SE à "Anno 30 270 > ded pai: TI OT CALZOLAIt A FENNARIO- MILANO ù Cu TAV OLA. T.. . Gadus elegans - KOKEN. - Gadus Bassanti - Sp. n. tenuis - KOKEN. difformis Si KokEen. - De Stefanii - Sp. n. - Motella communis - Costa. - » » dé vivente. PIE Oo° . 7 c. d. - Merlucius esculentus. da » Mglo vivente. » obtusus - KOKEN. Macrurus Trolli - SCHUBERT. i » elongatus - ScHuRERT. » praetrachyrincus - SCHUBERT. rotundatus - SCHUBERT. gracilis - Bass e ScHUB. » Maximus - BASSOLI, c. - Opnidium magnus - VISA ee Pantanéltii - BASS e ScHuUB. 16,a be id parvulus - BASSOLI. a. b. - di Soldanii = SUE a. b. - Sole 3 Aokeri - Bass e Scuus. 18 c. d. - .Solea vulgaris - vivente. 19 Gobi _Hoplostetus Pisanus - KOKEN. 20% e Lawley - KOkEN. 21 A. b. 22 a. b. - Hoplostetus magnus - KOKEN. b. - ) ©. orbicularis - KokEN, 0 cu al 1 a A W N . ACTA 7 oto b b. b 23 a. 24 a. b i orb. var. biexcissa - BASSOLI. 24 Candia IR "orb. var. per, -foratus. i asia. ba cid» Berycidarum pulcher - PROCHAZKA. 27 a. b. c. d. - Dentex speronatus - BASSOLI. Te, TAVOLA, sa - Agogon ingens - KoKEN. — - 0». wminimus sp. n. (f. i.) - Dentex vulgaris ( vivente. c. d. - Smaris vulgaris - KOKEN. ‘- Otol. (inc. sedis) /urabugensis - KOKEN. - Sciaena aquila - Risso. ei |» - vivente. - Sciaena Priem. i sp. n.° - Sciaenidarum Corii . SCHUBERT. = . » | pyrenaicus - PRIEM. - Pagellus gregarius - KOKEN. - » mormyris - vivente. AEREA o Du c. d. - Zvigla lyra - vivente. = » orcianensis - Sp. n. =. » ‘ aspera - SCHUBERT... c. d. - Himenocephalus labiatus - SCHUBERT. | - Cepola rubescens fossile. x S - » » vivente. b b b d b b. d b b d 42 43-44 - Sezione di Ophidium - (ingrandita). 43 - » » .Sciaena - (ingrandita). — } i a e E TA E CRANIO Da Anno XXV. Tav, TE: Rivista Italiana di Paleontologia . si i Ri > 408 40. 40° 400 » 4 da: AJ & Ng [a \ 1 Dt from x° ° v) VA SA \\& A 4a; Ca Alp (Li A | NS = % i Sa = | è Sè ra - f - bd dildo i SE Ò Ù 1 dt + - = kia È Le, Vee ii; 45 i Fx Sala e Ra Pa >= —® + -- de: 23 SEE 7 FA È S (ENO N < <* ax - i $ È ST I Di ce b; SD S&® x; à z bf (SES = t. i “SF i ji > x art î %,, Ro Lam | \ y 7, ti ò Enit r ì di 1a ì 5% NINE ; tà Ì bei | | rÀ î fi È ; 7° nu di Le ai RAR SIOE AIAR ta È i RAMAS b 44 | Ri rg 43, FLINT CALZULAKI BFENHARIO- MILANO DI PALEONTOLOGIA K- & SOPRA UN CRINOIDE (Pseudosaccocoma strambergense enzes) DEL TITONICO INFERIORE E DELL’URGONIANO ‘ DELLA PROVINCIA DI PALERMO Nota DI MARIANO GEMMELLARO Il genere Pseudosaccocoma, con la sua unica specie (Pseudosaccocoma strambergense) fu istituito, come è noto, dal Remes (1) sopra alcuni fossili del calcare bianco titonico di Stramberg. Però, gli esemplari che l’ Autore descrisse, oltre ad essere incompleti, perchè soltanto rappresentati dalla parte dorsale di alcuni calici, si trova- vano in cattivo stato di conservazione, tanto che il Remes, non solo non potè esattamente illustrare la struttura del suo nuovo genere sia pure li- mitatamente alle parti di calice rinvenute), ma rimase anche in forse sulla sua posizione sistematica. Fu poi tratto in errore attribuendo, sebbene con dubbio, alla parte ventrale del calice il fossile del calcare di Skalicka figurato a tav. VII, n.° 18 del suo lavoro. Esso deve invece riferirsi alla parte dorsale del ca- lice (insieme con gli altri studiati dal Remes), come risulta dal suo con- fronto con un mio esemplare ben conservato (tav. IIl, fig. 1, 1 a) il quale mostra le placche caratteristiche della regione dorsale, non visibili nel fram- mento di Skalicka. Del genere in istudio, io, al pari del Remes, ho rinvenuto soltanto frammenti di calice appartenenti alla parte dorsale di essi; ma i numerosi esemplari esaminati sono molto meglio conservati di quelli di Stramberg. Per questo ho potuto rettificare ed aumentare le poche conoscenze che si avevano sopra tali interessanti fossili. Alcuni degli esemplari che quì illustro esistevano da tempo nelle col- (1) Remes M. — Nachtrige zur Fauna von Stramberg, VI. Crinoiden, Asteriden und Echi- noiden-Reste aus dem weissen Kalkstein von Stramberg, Beitràge z. Palaont. u. Geol. Osterr. Ung., Bd. XVIII, pag, 59, Wien, 1905. 46 RIVISTA ITALIANA AROMI > lezioni del Museo geologico della R. Università, rinvenuti nei. calcari tito- nici di scogliera della provincia di Palermo, molti altri ho raccolto io stesso, insieme col compianto prof. Giov. Di-Stefano, tanto in sedimenti titonici, quanto nei calcari urgoniani con 7owcasia e Reguienia dei monti che cir- condano la Conca d’ Oro. Con questo studio quindi, il genere Pseudosaccocoma Remes, noto finora soltanto nei calcari bianchi di Stramberg, viene segnalato per la prima volta in Sicilia, nel Titonico inferiore e nell’ Urgoniano. Infine, per la miglior conoscenza della Fauna del Titonico siciliano 6) ho voluto anche illustrare in questa Nota un bel frammento di stelo riferibile al genere Apiocrinus Miller, che si rinviene spesso insieme col Psexdosacco- coma, nei calcari titonici di BelloJampo, regione Cozzo di Lupo, presso Pa- lermo, ed in quelli coevi della Rupe del Castello di. Termini-Imerese. Pseudosaccocoma stramberzgense — Rem. (Tav. III, fig. 1-6). 1905. — Pseudosaccocoma strambergense Rem, -- Remes M., Nachtrige zur Fauna von Stramberg, VI, Crinoiden, Asteriden und EchinoidensReste aus dem weissen Kalkstein: von Stramberg, Beitràge z. Palàont. u. Geol. Osterr. Ung., Bd. XVIII, pag. 62, tav. VII, fig, 17:a0b, ES, 122005 26 Del genere e della specie in esame si conosce soltanto la parte dorsale (1) La Fauna del Titonico siciliano è stata, fino ad oggi, illustrata dai seguenti autori : Gemmellaro. G. G. — Za Fauna dei calcari a Terebratula Ianitor del Nord di° Sicilia, Giorn, Sc. Nat. ed Ec. di Palermo, vol. IV-VII, XI, Palermo, 1868-76. » » — Prima appendice agli studi daleontologici sulla Fauna del calcare a -T. Ia- nitor del Nord di Sicilia, Atti Acc. Gioenia Sc. Nat. d. Catania, ser. 1II,, vol. XIII, Catania, 1876. \ Di-Stefano Giov, — Nuovi gasteropodi titonici, Nat. Sic,, Anno I, 5. Palermo, 1882. » » — Sopra altri fossili del Tilonio inferiore della DL Giorn. Sc. Nat, ed Ec. di Palermo, vol. XVI, Palermo, 1883. De Gregorio A. — Fossili titonici di contrada dai presso Isnello, Nat. Sic., vol. I, Pa- lermo, 1881. » vo — Contribuzione ai co? Lui giuresi di Sicilia, Nat. Sic., vol. I, Palermo, 1881. » » — "Coralli giuresi di Sicilia, Nat. Sic., Palermo, 1882; 1884, 1887, 1894. » » — Coelenterata tithonica,; Ann. d. Géol. et de Palaeont. de PSlCHo livr. 27, Palermo, 1899. } » » — Zossili del Titonio di Dammusi (Carini), Nat. Sic., vol. XX, Palermo, 1908. Gemmellaro M., — Nuove osservazioni paleontologiche sul Titonico inferiore della provincia di Palermo, I, Gasteropodi, Giorn. Sc. Nat, ed Ec, di Palermo, vol. SLI Palermo, 1909. Tia da Ada a al ì i NF DI PALEONTOLOGIA 47 ‘D r—e===e == = -me— — -- E * dei calici. Questi sono più o: meno convessi, spesso emisfericîf quasi: cònici in alcuni esemplari. Le dimensioni di cinque dei migliori fossili, scelti tra quelli che presen- o Ar rzat tano le più notevoli varietà di forma, sono le seguenti: a) Forma compressa: Altezza mm. 4, Larghezza mm. 16 (tav. III, fig. 1-1 a) b) » CONVESsa: » pItC16; » VIa anta) c) » emisferica: » DI Ss, » TI TIO. (0 Do sasa) > d) » » » » ANDA: » » I6( » » » 4-4 a) e) » subconica: » VIETA a it » DEI TO (NIDI) K La forma compressa da me illustrata, è anche essa da riferirsi alla parte dorsale della specie; essa mostra infatti. in modo evidente, le placche ba- Ai sali e quella centrodorsale (fig. 1) Pertanto io son certo che il fossile del x calcare di Skalicka (simile in tutto a quello da me studiato) attribuito dal Ò Remes, con dubbio, alla parte ventrale del calice, deve anche esso riferirsi alla regione dorsale. Non escludo che la compressione dell’ esemplare possa essere dovuta ad una deformazione avvenuta durante ii processo di fossi- lizzazione. Il contorno dei calici è subpentagonale, con i lati piuttosto arrotondati. La placca centrodorsale, piccola, ha forma pentagonale; è spessa, piut- tosto convessa, ed ha superficie leggermente vermiculata. Mostra nel mezzo una leggiera depressione circolare in fondo alla quale si apre il piccolo fo- (Sat ; rame rotondo del canale centrale nutritizio. Le placche basali, in numero di cinque, sono piccole ed hanno forma ir- 6) regolarmente pentagonale, essendo i due lati opposti alla placca centrodorsale generalmente più lunghi dei tre rimanenti. La loro superficie è leggermente r ed irregolarmente vermiculata, al pari di quella della placca centrodorsale. 3 Le cinque placche radiali, grandi, subtriangolari. convesse, costitui- scono la quasi totalità della regione dorsale dei calici. Esse sono convesse a e rimangono tra di loro distinte e separate da cinque solchi profondi che dalla regione centrale irraggiano verso il contorno esterno. La ornamentazinne delle placche radiali è costituita da costicine arro- tondate, di dimensioni diverse nei vari esemplari, più o meno flessuose ed irregolari che partono dalla regione centrodorsale e si diriggono a ventaglio verso i margini. Di esse, le costicine che occupano la regione mediana delle placchg, raggiungono quasi sempre il margine esterno, mentre quelle laterali si dicotomizzano a metà circa del percorso, rivolgendosi verso i mar- gini laterali delle placche, ove, lungo i solchi radiali che le distinguono, vengono ad incontrare le costicine delle placche adiacenti, con le quali for- è mano un angolo più o meno acuto. e EA RUS A Li LE TIT N LA MRO Ei art 48 RIVISTA ITALIANA i Questa ornamentazione, costante in tutti gli esemplari studiati, è più spiccata in alcuni, meno evidente in altri. Il contorno esterno delle placche radiali, visibile in parte, solo in -al- cuna delle forme esaminate, si mostra liscio ed arrotondato. Qualche fossile, rotto, manifesta uno spessore delle piastre radiali piut- tosto rilevante in rapporto alla dimensione dei calici; tale spessore raggiunge sovente i mm. 5. Tutti gli esemplari studiati sono solidamente impiantati nella roccia; non mi è riuscito di isolarne alcuno e quindi non posso dir nulla sulle altre parti del calice e sulla posizione delle braccia. Rapporti e differenze: Iaekel, sin dal 1892 (1) ha messo in evidenza le attinenze che esistono tra i Saccocomidi, cui appartiene il genere da noi esaminato, ed i Plicatocrinidi. Le sue conclusioni sono state di recente ac- cettate dal Broili nella compilazione della più recente edizione dei Grundziige der Palaontologie di Zittel (2); ivi i Saccocomidi insieme con gli Hapalo- crinidi, Hyocrinidi e Plicatocrinidi, vengono riuniti nell’ Ordine dei Cosfaza. Dati gli evidenti rapporti, chiaramente rilevati dal Remes (3), che in- tercedono tra il genere Pserdosaccocoma ed il genere .Saccocoma, non può, come ho detto, dubitarsi che esso debba ascriversi tra i Saccocomidi e che rientri quindi nell’ Ordine dei Coszaza. Se si tien conto poi delle affinità che lo legano anche ai Plicatocrinidi (v. Remes o. cif.), appare giusto di considerarlo come un genere che pre- senta caratteri intermedi tra quelli dei Saccocomidi, cui appartiene, e quelli della famiglia affine dei Plicatocrinidi. Località ed età: Palermo — Gruppo montuoso di Bellolampo; Regione Cozzo di Lupo (Ti- tonico inferiore, calcari di scogliera). » — Gruppo montuoso di Bellolampo, Regione Riela (Urgoniano, calcari con 7oucasia e Requienia). » — Monte Pellegrino, Regione Scala (Titonico inferiore, calcari di scogliera). » — Monte Pellegrino, Regione Rotoli (Titonico inferiore, calcati-di scogliera). | 1 pi , (1) Iaekel O. — Veber Plicatocriniden, Hyocriuus und Saccocoma, Zeitschr. d. Deutsch. geol Gesellsch., Bd. XLIV, Heft 4, pag. 615, -Berlin, 1892, (2) Zittel K. — Grundziige der Paltiontologie neubearbeitet von F. Broili, I, pag. 150, Miin- cher u. Berlin, 1910. (3) Remes M.. — 0?. cit., Ibidem, pag. 63. DI PALEONTOLOGIA 49 Villabbate — Regione Favara (Titonico inferiore, calcari di scogliera). Termini-Imerese — Rupe del Castello (Titonico inferiore, calcari di scogliera). Gli esemplari illustrati e descritti tanno parte delle collezioni del Museo geologico dell’ Università di Palermo. i A piocrinus sp. EFaw 11 fig: 7). \ Riferisco al genere Apiocrinus Mill. alcuni frammenti di Crinoidi i quali presentano i seguenti caratteri: Steli cilindrici, con diametro di misura variabile tra i 6 ed i 12 mm. La superficie esterna è liscia. La superficie articolare si mostra invece coperta da strie finissime e fitte che, partendo dal canale nutritizio centrale,, raggiungono la periferia; per questo -il contatto tra un articolo e l’altro degli steli appare segnato all’ esterno da una linea minutamente seghettata. Avendo rinvenuto soltanto i frammenti di stelo sopra descritti, non credo prudente di procedere ad una determinazione specifica degli esem- plari studiati. Noto soltanto che essi appartengono tutti, evidentemente, ad una stessa specie e sono molto simili a quelli di Stramberg riferiti pure dal Remes al genere Apiocrinus (1). Località ed età: Palermo — Gruppo montuoso di Bellolampo, Regione Cozzo di Lupo (Ti- tonico inferiore, calcari di scogliera). i Termini-Imerese -- Rupe del Castello (Titonico inferiore, calcari di scogliera). Gli esemplari illustrati e descritti fanno parte delle collezioni del Museo geologico della Università di Palermo. (1) Remes M. — 05. cit., Ibidem, pag. 61, tav. VII, fig. 15, 16 a, b. ia de Si e” e" È 90 Fig. » Tutti gli esemplari sono figurati nella loro grandezza naturale. RIVISTA ITALIANA!" > At SPIEGAZIONE DELLA: TAV. III. I-1a — /seudosaccocoma strambergense Rem. — a) Forma com- DIO 4-4 579 vi ca » dira » a — » a — » — » — Apiocrinus sp. — pressa. — Parte dorsale di un calice, vista di sopra (I) e di lato (1 a) — Loc. Rupe del Castello di Termini- Imerese (Titonico inferiore). strambergense Rem. — b) Forma con- vessa. — Parte dorsale di un calice, vista di sopra (2) e di lato (2 a) —- Loc. Palermo, Gruppo montuoso di Bellocampo, Reg. Riela (Urgoniano). strambergenze Rem. — c) Forma emi- sferica. — Parte dorsale di un calice, vista di sopra (3) e di lato (3a) — Loc. Palermo, Gruppo montuoso di Bellocampo, Reg. Cozzo di Lupo (Ti- tonico inferiore). strambergense Rem. — d) Forma emi- sferica. — Parte dorsale di un calice, vista di sopra (4) e di lato (4a) — Loc. Palermo, Monte Pellegrino, Reg. Scala (Titonico inferiore). strambergense Rem. — e) Forma sub- conica. — Parte dorsale di un calice, vista di sopra (5) e di lato (5a) — Loc. Villabbate, Reg. Favara (Tito- nico inferiore). : strambergense Rem. — Figura sche- matica della. parte dorsale di un ca- lice — (cd) placca centrodorsale, (b) placche basali, (r) placche radiali. Frammento di stelo — Loc. Rupe del Castello di Termini-Imerese (Ti- tonico inferiore). \ [I SE NA IN ol ITi onico inferiore Ata fU — Danesi VETERE RETI E a vena lie dr diastitanzi ‘iti età hi iaia sa, i pe ae i: ; CARS DO RIRAERO SATANA 0 So A È sun ssi E ii: A È ® VE : « Una specie, A. fessellata nova ». # a È del Neocomiano, o forse del Titoniano superiore, dell’ Appennino | È centrale. Mo Re Alla diagnosi posso ora aggiungere la riproduzione fotografica (fig. 12 @ e sg 12 5 tav. V) che non ero finora riuscito ad ottenere in modo soddisfacente, S 2a principalmente a causa della colorazione non uniforme del fossile. P Dalla figura 12 6 si vede che il frammento corrisponde a poco meno di 3 f un quarto dell’ intera corona e che comprende un ambulacro fiancheggiato i È da un interambulacro quasi completo e da una colonna, incompleta e male MI . . . ni hei v conservata, dell’ altro interambulacro. Per quanto è dato giudicare dall’ e- iui È " 6 RES Seo È N same delle parti conservate, sembra che i due interambulacri siano simili, N) s - 3 " DEBST 5 b ci simmetrici, e ugualmente sviluppati. Si possono quindi fare due ipotesi : ì pa 1.0 Il frammento appartiene ad un euechinoide regolare (fig. A). È " 7 2.° Il frammento è costituito dalla parte anteriore, e precisamente i dall’ interambulacro 2, dall’ ambulacro Z// e da una parte dell’ interambu- Ei \ LA A lacro 3 (notazioni di Lovén) di un euechinoide irregolare (fig. B). Bi i Il pù: f: SE. È. sù 3: LA È pa ESRI ù, [ERZEZA | SR SS n «3 i IRR và "Ri SDei esa ‘Ss J "a Ta Lan dì Li Rf aa Cad | fie. A fi. B A sostegno della prima ipotesi sta il fatto che tutti gli echinoidi a RE piastre mobili (.S7reptosomzaza) finora conosciuti, tanto paleozoici (Periscoe- : chinoida lepidodermata KEEPING 1876, cui credo corrispondano le famiglie Archaeocidaridae M’ Cov, Lepidocentridae Lovén, Lepidestidae JACKSON) De quanto postpaleozoici ( Eckizofhuridae Wyy. THowmson) hanno tutti simme- "a tria complessiva raggiata quinaria (1). pa: y ; a A 1 (1) Si conoscono due forme di Zepidocentridae, cioè Hyattechinus varispinus (HALL) e 7. z > beecheri JACKSON che, per quanto regolari, cioè con periprocto apicale, presentano, più o meno ci } distintamente, simmetria bilaterale. Gli £cQkotturidae formano un gruppo poco omogeneo che i Si fa capo ad una forma di dubbie affinità, EckiotQuria floris Woopwarp, conosciuta solo per al- ‘34 È cuni frammenti, mà da tutti considerata come un euechinoide regolare ; Eckirno/kuria era munita CA t di apparato masticatore., DI PALEONTOLOGIA I 69 -— i ° sca — — => A sostegno della seconda milita la forma delle piastre ambulacrali, le loro proporzioni, il loro rapido diminuire in larghezza andando verso |’ a- pice, l'aspetto e la disposizione dei pori, caratteri tutti simili a quelli pre- sentati da certi ArarcAvytidae. Nello studio citato ho detto di queste somiglianze ed ho accennato alla possibilità di una reale parentela, pure facendo notare che i dati di cui al- lora ero in possesso non permettevano di affrontare il problema filogene- tico e sistematico. Forse le analogie osservate mi avrebbero condotto ad ammettere come molto probabile 1’ affinità cogli irregolari e a porre, sia pure con riserva, il nuovo genere fra gli ArzazcAkyfidae se non fossi stato impressionato dal peso che hanno dato alla flessibilità del guscio uomini autorevolissimi. W. KEEPING nel 1876 (Notes on the palaeozoic Echini, in Quarterly Journal of the Geological Society, Vol. XXXII) propone una classificazione per cui tanto i Perischoechinoida che gli £Ewechinoida sono divisi in sezioni fondate sulla rigidità o mobilità del guscio (eriscltoe- chinoida tessellata e lepidodermata ; Echinoida stereodermata e Echinothu- ridae). Lo stesso W. KEEPING nel 1878 (Ox Pelanechinus, nel periodico citato, Vol. XXXIV), T. T. Groom nel 1887 (On some new features in Pelanechinus corallinus, periodico citato, XLIII), M. NEeuMAYR nel 1889 (Die Stimime des Thierreichs) sostengono la parentela di Eckinothuria con Pelanechinus, nonostante la straordinaria differenza nella struttura degli am- bulacri, basandosi principalmente sulla mobilità delle piastre. P. M. DUNCAN, nello stesso anno (A revision of genera and great groups of the Echinoidea in Journal of the Linnean Society, Zoology, Vol. XXIII) divide i Diadema- foida in Stfereosomata e Streptosomata, costituiti questi dalla sola famiglia Echinothuridae (sottofamiglie Pelanechininae, Echinothurinae e Phormoso- mitae); nel 1890 M. NeUMAYR (Veber Palaechinus, Tvphlechinus und die Echinothuriden in Neues Jahrbuch fiir Mineralogie etc, 1890, I) insiste sulla parentela fra Pelanechiuus e Echinothuria; e nuove giustificazioni di questa supposta parentela trova nel 1897 J. W. GreEGoRY (Oz dhe af- finities of the tchinothuridae, in Quartely Journal of the Geological So- cietv, LIII); M.MEISssNER, nel 1904 (.Sisfemati£ der Echinoiden, in Bronn’s Klassen und Ordnungen des Thier-reichs) divide gli Echinoidi regolari ecto- branchiati in .Sfrepfosomata (la sola famiglia Echinothuridae) e Stereoder- mata; e finalmente nello stesso anno T. MortENSEN (Z%e Danish Expe- dition to Siam 1899-900; citato da R. T. Jackson in P4ylogenv of the E- chini) classifica addirittura gli Echinothuridae insieme coi ZLepidocentridae. Altra ragione che mi tratteneva era che, mentre sapevo chè in alcuni /v7- mnodesminae recenti (Brvssopsis, Spatangus, Echinocardium) il margine in- feriore di certe piastre sporge, come una listerella semilunata, a ricoprire 70 RIVISTA ITALIANA il margine superiore della piastra vicina e che nel solo interambulacro im- pari è stato notato un accenno di mobilità, ignoravo che fra gli echinoidi irregolari esistessero forme a guscio flessibile. È quindi comprensibile che io esitassi ad esprimere un’idea che era in contrasto colle vedute dei più e dei maggiori, e chiudessi la nota citata con queste parole: i « A me sembra che la rigidità (piastre unite da saldature o suture) e « la flessibilità (piastre collegate da tessuto molle) della corona, non dipen- « dendo in sostanza che dalla proporzione relativa in cui produzioni cal- « care e tessuti molli si trovano a partecipare alla costituzione del tegu- « mento, non abbiano tutta l’importanza che in generale è stata loro at- « tribuita. Valore ben maggiore, fisiologico e filogenetico, hanno, a mio pa- « rere, le particolarità del sistema acquifero (nelle forme fossili, costituzione « delle piastre ambulacrali e disposizione dei pori).. « Per questo riguardo Azarchothuria presenta le maggiori analogie con « un perischoechinoide siluriano (Aorizckocidaris) e con alcuni spatangoidi « neocretacei (Ararchyftes, Stenonia). Si può pensare che Ararchothuria sia « un lontano discendente del primo con caratteri regressivi, e che sia le- « gato da vera affinità cogli altri, ma non conviene addentrarsi maggior- « mente nel campo delle supposizioni. Meglio è considerarlo come un ge- « nere d’ incerta sede, attendendo il rinvenimento di un esemplare meno « incompleto o di una forma vicina per riprendere, col sussidio di nuovi « dati di fatto, la questione della posizione sistematica ». Oggi, che ho acquistato la certezza che forme legate da indubbia e stretta affinità possono differire notevolmente per quanto riguarda i reciproci rapporti delle piastre e che proprio alla famiglia Ararchyfidae appartengono delle forme che hanno piastre dotate di una certa indipendenza, non avrei più il bisogno di attendere il rinvenimento di altri irregolari streptosomati per dire che ritengo che Azazchothuria appartenga agli Aranchyfinae e pre- cisamente al terzo gruppo. Un nuovo accurato studio del fossile e la rimo- zione di un’altra parte della roccia mi hanno indotto a ritenere che il tram» mento sia principalmente costituito da elementi dell’ ambulacro Z// e degli interambulacri 2 e 3, e che abbia appartenuto ad un echinoide di forma rotondeggiante con solco anteriore poco accentuato e limitato ad un breve tratto dell’ ambulacro impari. Forme paragonabili: per la posizione dei pori e la convessità delle piastre interambulacrali: Zampadocorys sulcatus (COT- TEAU) in COTTEAU, Échinides nouveaux ou peu connus, Revue et Magasin de Zoologie, 3% serie, tomo I, pag. dor tav. VII, fig. 5ile 6h Vzolaster laevis (BRONGNIART)? in p’ OrBIGNY, Paléontologie francaise, Terrain cre- facé, tomo VI, pag. 83, tav. DCCCXII fig. 3 e 5 (non 4 che è in contrasto To 6 +» DI PALEONTOLOGIA 71 colla descrizione); per la forma e la disposizione dei pori: /olaster sub- globosus (LESKE) in D’ ORBIGNY, opera citata, pag. 97, tav. DCCCXVI ; per la disposizione dei pori, per il rapporto fra l’ altezza delle piastre ambula- crali e interambulacrali vicine, e per il rilievo delle piastre: .Sfegaster b0- uillei (COortEAU) in SEUNES, Observations sur le Crétacé supérieur des Py- rénées occidentales, Bulletin de la Societé Geologique de France, serie 3? tomo XVI, pag. 816, tav. XXVI, fig. 2. Si confronti la fig. B, che illustra questa interpretazione, colla fig. A , che è la riproduzione, leggermente modificata in seguito al nuovo esame del fossile, della fig. 2 dell’ altra mia nota. Ho inoltre la prova che anche fra gli irregolari fossili si possono avere forme con piastre libere, almeno in certe parti della corona. Ho trovato in- fatti, fra gli esemplari deformati o incompleti e non ancora studiati del bian- cone di diverse località venete, alcuni pezzi di calcare selcioso e un po’ mar- noso di colore grigio verdognolo chiaro che contengono dei frammenti di grossi echinoidi irregolari (certamente più individui che sembrano però ap- partenere ad una sola forma riferibile al gen. /7o/aster, largamente inteso) a guscio sottile e a piastre ambulacrali indipendenti (fig. 13-17, tav. V). Il sistema apicale sembra appena allungato; gli ambulacri, semplici, sono costituiti da piastre rettangolari, molto basse e molto larghe, unite fra loro assai tenacemente; pori allungati trasversalmente, non coniugati; zone interporifere piuttosto ampie. Gli interambulacri, che pare vadano crescendo molto rapidamente in larghezza dall’ apice sino verso la regione dell’ ambito (come nello Zo/aster latissimus AGASSIZ) sono composti di piastre alte cinque o sei volte più delle ambulacrali vicine. Queste piastre interambu- lacrali, che hanno la forma di esagoni con un angolo rientrante, si trovano frequentemente isolate senza rottura, e spesso coi loro margini superiori (coll’angolo rientrante) ricoprono i margini inferiori delle piastre vicine ; non so se questo fatto sia in rapporto con una vera embricazione. Tubercoli primari e secondari, numerosi, irregolarmente distribuiti, più frequenti nella regione prossima all’ apice; radioli sottilissimi. Questi frammenti provengono dal Neocomiano di Raga: fanno fede del- l'età altri fossili tratti dalla stessa roccia e di sicura determinazione (Pyvgope triangulus (LAMARCK), Phylloceras semistriatum (D’ OrBIGNY), Z7olcodiscus incertus (D’ ORBIGNY), Afptychus Didavi COQUAND, Aptychus seranonis Co- QuanD. Del nuovo echinoide darò una descrizione più completa quando avrò veduto alcune parti che ora sono quasi totalmente incluse nella roccia e che, se - come credo - appartengono alla faccia ventrale, possono fornire buoni caratteri per la determinazione. Utd 4 (“IST Si tt Pe Ba le Meri + LIL Le figure C-H, che riassumono in modo schematico ed esagerato le di- sposizioni osservate, rappresentano delle sezioni che si suppongono condotte per il mezzo di una colonna interambulacrale di alcuni Ararckyéldae fossili ; le superfici tratteggiate indicano le parti spatizzate, quelle punteggiate le parti granulose indubbiamente appartenenti alla corona ; dove si ha normal- mente (Cardiaster, Lampadocorys) il modello interno silicizzato non si può escludere che la parte più esterna di esso sia dovuta alla silicizzazione di un velo superficiale interno delle piastre. In un gruppo si hanno i tipi a piastre solidali (fig. C .Sfenonia tuberculata, fig. D Cardiaster subtrigonatum, fig. E Lampadocorys sulcatus), nell’ altro gruppo quelli a piastre più o meno indipendenti (fig. F_Arazchytes covata, fig. G Holaster f. ind., fig. H Aran- chothuria tessellata». i La mia supposizione che in alcune forme di Arazchytidae si avesse una certa indipendenza delle piastre e quindi una certa mobilità del guscio può sembrare contraddetta dal fatto che la massima parte degli individui appar- tenenti alla meglio conosciuta di quelle forme (ArazcQytes ovata) non è i Pa | DI PALEONTOLOGIA | A — da JAckson (Phylogeny of the Echini) conserva assai bene la forma globosa, | per quanto le loro piastre coronali non fossero a contatto, come mostrano i gli alveoli lamellari che si osservano tanto nei modelli interni, precedente- ‘mente citati, che in quelli esterni (Zoverechinus missouriensis (JACKSON) | Tav. XLIV fig. 5, Maccoya gracilis (MkEK et WoRTHEN) Tav. XXXV, fig. 2). Ù Invece, sempre dalle figure di Jackson, risulta che gli Archaeocidaridae, i Lepidocentridae ed i Lepidesthidae si trovano per lo più schiacciati. Sic- come nei /alaechinidae le pareti marginali sono sensibilmente normali alla superficie del guscio (e lo si vede bene nelle lamelle dei modelli) mi sembra verosimile che quelle piastre si siano spesso mantenute al loro posto anche «modo che una volta ben costrutta si regge anche se il cemento fa difetto; e siccome negli Archkaeocidaridae nei Lepidocentridae e nei Lepidesthidae le piastre erano embricate o per lo meno a superfici marginali oblique per ri- | spetto alla superficie del guscio, mi sembra verosimile che l’edificio sche- | letrico potesse crollare relativamente presto, e prima che se ne fosse effet- | tuato il riempimento. Io credo che Ararzchytes ovata e Holaster f. ind. si siano trovati nelle condizioni dei Padaechinidae, e Ananchothuria tessellata in quelle dei Lepidocentridae. Pisa, Ottobre 1919. Anno XXV Tav. IV cao PO an LI tI e nr ; | I VELINO OTO ES O PTT O E n ii» a ali tr nti I idee irazie APE IND.GRAF CALZOLARI, FERRARIO &C.-MILANC PR TESS, DA A. Ù PICAn DI PALEONTOLOGIA | SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE. PERSO TV . — Stenonia tuberculata (DEFRANCE). — Senoniano, Frassinelle (Colli Euganei). Frammento della regione superiore sezionato secondo un piano perpendicolare alla base e passante all'incirca per il labbro posteriore del peristoma. — .Stenonia tuberculata (DEFRANCE). — Senoniano, Massa di Fiu- minata (Marca di Macerata). — .Sfenonia tuberculata (DEFRANCE). — Senoniano, Massa di Fiu- minata (Marca di Macerata). Il lato sinistro (visibile in parte nella fig. 3b), ben conservato nella parte inferiore, è stato im- merso per pochi minuti in acido cloridrico diluito, per mostrare l’esistenza del velo granuloso siliceo ; il lato destro ha subito l'attacco dell’ acido per alcune ore, e fa vedere la disposizione e le dimensioni delle lamelle silicee interassulari. — Sfenonia tuberculata (DEFRANCE). — Senoniano, Veronese. Mo- dello interno. — — Ananchytes ovata (LESKE). — Senoniano, Haldem (Westfalia). Aderiscono alla faccia superiore dell’ interambulacro impari due individui di Osfrea Rippopodium NILSSON. 6. — Ananchytes ovata (LEsKkE). — Senoniano, Veronese. 7a, b. — /Holaster f. ind. Cenomaniano?, Nizza. — La fig. 7 a non è correttamente orientata : la colonna di piastre parallela al lato lungo della tavola è la 3 a. 8. — Zolaster f. ind. — Altro individuo proveniente probabilmente dallo stesso giacimento. 9a, b. — Lampadocorys sulcatus (COTTEAU). — Neocomiano ?, M. della Rossa (Marca d’ Ancona). Lampadocorys sulcatus (COTTEAU). — Neocomiano?, Veronese. Modello interno. Questo esemplare differisce dal tipo di COrTEAU per avere l’ apice situato più in avanti e tutta la regione apicale subconica; è verosimile che queste differenze rappresentino ca- ratteri giovanili. Cardiaster subtrigonatun (CATULLO). — Senoniano, Massa di Fiuminata (Marca di Macerata). Modello interno. 3 Ta. violadliV, r2a, b. — Ananchothuria tessellata Fossa. — Neocomiano? nino centrale. — 12 a il frammento in grandezza naturale; 2 parte dell’ambulacro e di un interambulacro, ingranditi al doppio ì en — Holaster? f. Neocomiano, Raga (Vicentino). — Alcune piastre eg interambulacrali. Holaster ? f. Neocomiano, Raga (Vicentino). Porzione apicale, fratturata secondo il piano di simmetria; si notino i quattro | ambulacri pari ‘che convergono verso l'apparato apicale (che non a si vede), e l’ impronta, chiara, lasciata dall’ ambulacro impari. Holaster 2 £. Neocomiano, Raga (Vicentino) schiacciata, vista dalla faccia interna. — /olaster ? £. Neocomiano, Raga (Vicentino). di un ambulacro e di un IR ARRE, È si Ri Porzione di corona, | e A n, della regione PRIMI è Tutti gli esemplari figurati sono, conservati. nel Museo di Geologia della | Università di Pisa. IND.GRAFCALZOLARI, FERRARIOLC.- MILANO area a in a it n MIE at Pe ; PE Rea t N sp mart Fa toe uu ; ad a SA SESTA s N] PIE PRA 1 PAR RO N I I NI rin 3. I nuovi associati possono acquistare le prime annate della Rivista Italiana di Paleontologia ai prezzi seguenti: Anno I-VIII (1895-1902) Volumi di complessive pagine 1434, con 29 tavole e 95 figure. (Non si vendono più se- paratamente). Italia EStero Prezzo degli 8 Volumi per l’Italia L. 90,00 F. 100,00 Anno IX - XX (1903-1914) Volumi di ‘complessive pagine 1664 con 60 tavoleso-iiouret. iS 90,001 /R7-100,00 Ciascun volume separatamente. . » 8,00.» 10,00 Anno XXI (1915) Volume di 140 pacine=coniàvtavole.-;.;, 4a 18,007» 10.00 Anno XXII (1916) Volume di 76 pa gineceo tavola: ii 38,00 10,00 Anno XXIII (1917) Volume di 60 papinp o bitavola > e 800 a 19.00 Anno XXIV (1918) Volume di 52 poi 800 10,00 N. B. — Non viene concesso sconto ai librai per le copie vendute in Italia. ‘ Dirigere lettere e vaglia alla RIVISTA ITALIANA DI PALEONTOLOGIA R. Università - PARMA. GIORNALE DI GEOLOGIA PRATICA. PUBBLICATO DA P. Vinassa pe Regny E M. GORTANI > || Doo. È Italia i DD - Anwo T (1908) Vol.di 304 pag. contare fig, Li. 10/— Li? E i Anno Il - (1904) » 220 »...» > » 10.» 122 fo Anno INI" (1905) >» 268 > |» > > 10. > 125 DI Anno IV (1906) » 244 IA » idL- +08 } sa Anno V (1900) S. 212 # > 0% a Ma Lp: SA Anso VI (1908) > 164». > > > 10. e n° (0 Avo VII (1909) » 226%» ‘> > » 10 > “2 ) Anwo VIII (1910):» 204» > >» > 10—- >» 12 di Anno IX: (1911) = 210/30 Me I Anno X (1912) » ‘192 > i a - 18, Dia. Aso. XI (1049) > 296 00 a de 1. Cl Axio XII: (1914) > 2002/08. Rd Axwso XII (1915)> (200 3.0 ga Anno XIV(A906:10) 1 dle + i 10, > Dirigere lettere e vaglia a: GIORNALE DI GEOLOGIA PRATICA | Re. Università — - PARMA -_rrr RARI ZIA TAI“ non T__<< Si PrOGRDA A i signori associati a a voler inviare al O A P. Post DE REGNY - io responsabile. Perugia = sip re o (già Santaesif A, si AI SMITHSONIAN INSTITUTION LIBRARIES ALII 3 9088 01358 6417