^•IJIL RIVISTA LIGURE GIORNALE DI LETTERE, SCIENZE ED ARTI ANNO PRIMO TOMO PRIMO Si laoeas; laudani, quidquid scripsevf, beali non. lib. n. Ep. 2. GENOVA TIPOCRtFlV DEf. R I. DE' SORDO-lliriI INTRODUZIOiVE In tanta illuvie di scritti e specialmente perio- dici che inondano 1' Europa , molti lamentano il naufragio intiero della virtù , e , cosa singolare, in tanta predicazione di virtù sociale , il nau- fragio appunto delle sociali virtù , fenomeno che merita di attirare gli sguardi di coloro che sono preposti ai destini delle nazioni. Deesi vedere se un organismo tutto artificiale supplir possa , e lungamente e sempre supplire , perfino in que' terribili sconvolgimenti che fan crollare dalle loro basi le società , a quell' insieme nelle nazioni , a quella omogeneità che nasce dalla natura meno viziata dell'uomo, dalla purità dei costumi. Ma se la stampa, e chi oserebbe negarlo.^ ha ca- gionalo un guasto grandissimo dei popoli, non può però essere messo it) dubbio che fu sorgeute anche di molto bene, generalizzò le utili co- gnizioni , rese impossibile il ritorno della bar- barie ; e dove saggiamente s' adoperi può essere quella leva potente che spinga 1' umanità a' suoi veri destini. Diciamo saggiamente , perciochè quando quest' arma potentissima e terribilissima sia data in mano d'uomini che potrebbcrsi dire piuttosto inesperti fanciulli, ella non può essere cagione che di rovine e di lutti ; perchè se chi sa bene o male infilzar due parole, legare due frasi, fare un periodo, si dà tuono e si pavoneggia quale scrittore elegante per esser riuscito ad inca- strarvi un vocabolo trovato a stento col lumi- cino, ( poco importa se ne vada malconcio il senso ) certo la stampa non può produrre che sciocchezze e balordaggini ; se chi ha più vero sapere , ma è d' animo altiero , si arroga la missione di rigenerar 1' universo , la stampa non può produrre che ampolosità da spiritati e disgustare anziché instruire chi legge ; se chi è saputo ma vile , non sa veder che bellezze e virtù non solo dove n' è poca ma perfino dove è vizio, certo la stampa non può che corrompere le società e degradarle, spogliandole dì qucl- r alto ma onesto sentire di se che costituisce la dignità umana; se chi sa credesi il deposi- tario di tutto il sapere e la fa da barbassoro , e non soffre osservazioni, e vuole che si giuri 5 in verba niagìstri, allora la stampa produrrà solo degli ipocriti adulatori. Il tempo che ora corre è un tempo diftìcile, perchè la generazione è irrequieta, colpa di chi poco cautamente le va predicando il progresso; è assetata, avida di sapere, e guai se la stampa abusando dell' I.i- iluenza sua in luogo di ragione, spaccia fanfa- luche od errori. Forse solo in questo la società non isbaglia, amando il positivo. E che dire di quelli che ti parlano cristianesimo ad ogni proposito e lo accompagnano con tutte le loro passioni, di coloro cosi al vivo dipinti dal Bresciani con queste parole? « Epperò vanno « tuttora esclamando: che i cristiani non deb- « bono scrivere d' altro che di religione cri- « stiana , e in essa pascersi , e d' essa nutrirsi « e respirare con essa. Avrete dunque osservato « che i temi più prediletti delle loro roman- « liche composizioni s' avvolgono quasi sempre « intorno alle guerre dei Franchi contro i Lon- « gobardi , o i moreschi ; intorno ai Crociati , « intorno ai Templari, ai CavaHeri Teutonici, « agli antichissimi Cenobii del Brabante, del- « r Irlanda e della Caledonia ; ma avrete an- « che osservato che in ogni campo di Crociati « il Vescovo è sempre ambizioso, avaro, cru- « dele: il sacerdote ignorante, e maligno: 1' e- « remila macchinatore di sedizioni e lussui'ioso: « vi troverete sempre all' ombra della croce 6 « consecrati i più truci e i più nefandi delitti « ecc. ecc. « ( sopra il Piomanticismo, articoli recitati nell' accademia di belle lettere d' una celebre università italiana nel febbraio dell'anno 1829 ). Di costoro, ripigliamo, è a dirsi che sono la più orribile peste , perchè con quell' aria di abbandono, con quella tinta malinconica loro innebriano, seducono 1' incauto lettore. Insom- ma che ora chi vuole scrivere con frutto buono, chi ha onesti sentimenti deve tenere ben salde in mente queste parole d' uno dei più grandi uomini che onorino 1' Italia ncH' età presente : « Pare a noi già venuto il tempo , nel quale « agh scrittori sia imposta una felicissima ne- « cessità non pure di dir cose vere , ma di « esporle ancora lucidamente V una dall' altra » traendole per logica deduzione. Impcrcioc- « che r intendimento umano si è universalmente « svolto nelle nazioni incivilite , e già indiriz- « zato a quel corso , dal quale i pruni degli « antichi errori ed i vepri degli ereditari \)re- « giudizj l'indugiarono grandemente; e 1' uman « genere da tristissimi sperimenti scaltrito , w diffida or più che mai della scienza dell' uo- « rao , e vuole , per prestarvi fede , che ella « scorra limpida , connessa e logicamente giu- « stificata. Egli è veramente l'ordine logico quella « maggior guarentigia che aversi possa contro « all'errore. Il quale essendosi reso più sottile, 7 « per la slessa cresciuta industria e sottilità delle « nienti , eccita di conseguente in tutti gli uonìini « creali alla veritcà, un sospetto maggiore di sé , « e li nuiove a piiì strettamente richiedere da « chi favella rigore di prove e schiettezza di « concepimenti, e di deduzioni. Oltre di che « gli intelletti gustato una volta quanto sia " bello, efficace ed umano un ragionare distinto e « perspicuo , non possono più sostenere la noia "di confusi ed affastellati concetti, di os- « servazioni involute ed equivoche , e di un « linguaggio privo di proprietà e di preci - « sione , che dice troppe cose alla volta , e « ninna d' esse ne a suo luogo ne chiaramente. « Laonde se questa nostra età ha le sue « pecche anch'essa, come tutte le altre , che « la precedettero, almeno io ringrazio Iddio, « che ella non abbia quella di tollerare dei " maestri , i quali nelle maestose tenebre d'un « loro ragionare intralciato e convenuto , e d'un « gergo cavilloso , cerchino ad un tempo di " mantellare la propria ignoranza , e di eser- . « citare il monopolio della scienza. E però ven- « gano pure , che grandemente è a bramarsi « tutte le umane e divine cose in sincero stile « espresse , con logico dirittissimo andamento, « da più semplici loro principi fil filo traendosi. « Conciossiachc, quante questioni inutili con « ciò solo non iscompaiono i* quante non mu- « tano affatto il loro slato, in altre cangian- i< dosi ? quante finalmente tostochc enunciate , « sono belle e sciolte ? e quanti poi astiosi « dibattimenti di scuole , quante cittadelle di M parti, quante pesanti armature di magisterj, « introdotta solo un pò d' analisi ne' trattati , " quasi fosse 1' invenzione della polvere , cessar M debbono intieramente , guadagnandone le men- « ti , luce di vera certezza , concordia dolcissi- « ma degli animi , e danno e rovina solo la « presunzione stridente, abbandonata in pubbli- « co, sparuccata e stogata, al popolare dileg- « gio ? ( Rosmini filos. del diritto, del principio « della derivazione dei diritti §. i." ) E questa e non altra sarà la regola dalla quale cercherà di non mai deviare la nostra Piivisla Ligure, Ma fra noi , dove la Dio mercè , la stampa volesse anco non può nuocere , per le savie ed opportunissirae misure che ne' confini del ragionevole e dell'onesto la mantengono; fra di noi , specialmente in fatto di scritti pe- riodici si peccava e si pecca ancora dal lato op- posto , perche oramai dove non si stampano gior- nali ? eppure in Genova era quasi passato in proverbio che non possono allignarvi — Perchè questo? perchè si esagera il male, non si dà il debito valore al bene che fimno i periodici fogli , e perchè , voremmo noi dover dire , un 9 prej;iiidizio s' è radicato in buon umiicro di per- sone , per altri rispetti assennate , che il leg- gere , specialmente i giornali , sia tempo gettato e peggio. Ma se si trattasse d' un giornale se- rio , pensato ? Eh tutti si annunziano tali , ed ì Genovesi hanno da pensare al commercio. Questo errore è vecchio d'assai perchè troviamo che il Partenopeo in una sua orazione recitata in S. Lorenzo il 12 settembre i53i in cospetto del Governo lo ha di proposito combattuto , ed eccone le parole . . . hinc igitiir jam abeat et propulsetiir Ula stilila et perniciosa opinio , quam in mullorum animis haclenus insedisse audio , bonarum lilleramm studio mercaturae exercendae impedimento esse, qua quidem voce nihil potest stultius , ne dicam furiosius ac minus homini consentaneum existimari (^Parlhenopaei annales Reip. Gen. et orationes MS. nella Libreria della Città alla pag. 384-) Se deesi concedere che poco tempo avanzi al commerciante ed all' uomo d' affari per leggere , dovrassi altresì convenire che un giornale il quale non si occupi di ballerini e cantanti , o di altre cose , se ve ne sono , di anco minore importanza , e tratti di scienze e di arti e di commercio , sarà la lettura più acconcia ; per- che se in un tempo ora già ben lontano bastò a commerciar con profitto seguir la pratica, ora non è più possibile fare il commercio in grande 10 iioii solo, ma €|iiasi ne meno il boUcgajo senza molta riflessione e prudenza e profondità di cal- colo. Una volta era sufficiente se vuoisi, andare e tornar salvi perchè l'operazione riuscisse utile; ma al tempo presente che si è tanto allargato il campo commerciale , che si sono fuor d' ogni misura moltiplicati i prodotti , i consumi , che non si possono più numerare i bastimenti , che il vapore fa andare in fumo ogni più accurato calcolo , per la rapidità colla quale si superano le più sterminate distanze ; ora che le strade di ferro in un giorno possono vomitare sui più distanti mercati le merci d' ogni parte d' Europa , e perfino dell'Asia; ora il ripetiamo, pretenderassi commerciare colla prudenza d' un secolo fa? Si vorrà che bastino le prime operazioni dell' arit- metica papagallesca che ne si insegna tuttavia dal più numero dei maestri , oppurre la lin- gua francese imparata in Ircnladue lezioni di un' ora ( sciocche miserabilità che faranno ri- dere i nostri nipoti , e formano il più bizzaro contrasto colla superbia del secolo milantatore ) a fare degli esperti negozianti , ora che pedino i dati commerciali si sono tanto avvicinati ai politici che per poco non sì confondono ? Si è perfuio asserito che i negozianti sono il termo- metro delia prosperità delle nazioni ( Piosmini filos. della politica parte I. ); ed il nostro fu detto il secolo del commercio, ( Benjam. Constant n Coin. a Filangieri ) per cui un commerciante ha bisogno indispensabile di essere iniziato a tutti i misteri della scienza difficilissima ed al- tissima del governo dei popoli ; ha bisogno di un gran colpo d' occhio , di giustezza ed esten- sione di calcolo. « Ma 1' estensione del calcolo « r acquistano più quelli solitamente che sono « posti in un circolo più ampio di negozj , quelli « che sono membri di società più estese ; al- « r opposto chi è avvezzo a reggimento piccolo , « non ha in generale che un calcolo politico « assai minuto , se pure il suo genio noi trasporta « fuori delle sue reali circostanze. Cotesti non so- « gliono pensare che a se , ed alla piccola chiostra « nella quale sono chiusi; o da se giudicano « il mondo ; quindi errano spesso le ragioni ; « sono facili e minute gare e bassi orgogli , e « perpetue emulazioni ; ( Rosmini filos. della « Politica ). « E noi domanderemo ora se non è questo il ritratto vivo di chi si lagna spesso per mino- rato commercio, eppure gran parte trascura del possibile rimedio, l'istruzione, intesa in un senso più lato che finora non si è fatto. « Lo stesso spi- « rito che avea Newton per calcolare jil corso « degli astri, lo impiega egli (il negoziante) a « seguire il corso dei popoli commercianti che « fecondano la terra. I suoi problemi sono tanto « più difficili a sciogliere, hi quanto che le qua- 12 « lità non sono già prese nelle leggi invariabili « della natura , ma dipendono esse dai capricci « degli uomini , e dall' instabilità di mille awe- « nimenti. Quella esatezza di combinazioni che « dovettero avere Cromwel e Piichelieu , 1' uno « per distruggere , e l'altro per consolidare il « potere dei Re , egli la possiede , e va più « oltre mentre abbraccia col suo colpo d' oc- « chio i due mondi , e dirige le sue opera zio- « ni sovra una infinità di rapporti^ che non è « dato se non se raramente all' uomo di slato « e medesimamente al filosofo di comprendere « ed apprezzare ; nulla deve sfuggire alla sua « vista. Egli deve prevedere 1' influenza delle « stagioni suir abbondanza, la carestia, la qua- « lità delle derrate , e sulla partenza o ritorno " delle navi ; l' influenza degli affari politici su « quelH del commercio , le rivoluzioni che la « guerra o la pace debbono operare nel prezzo M ed il corso delle merci nella massa e scelta « degli approvisionamenti , nella fortuna delle « piazze e de' porti del mondo intero ; le con- « seguenze che può avere sotto la zona torrida « r alleanza di due nazioni del nord ; i pro- « gressi di grandezza o di decadenza delle di- « verse compagnie di commercio; la ripercus- «< sione che riporterà sull'Affrica e sull'America « la caduta d' una potenza europea nelle Indie; « il ristagno che produrrà in certi paesi l' im- 13 « barazzo di qualche canale d' industria'; la « reciproca dipendenza tra la più parte dei « rami di commercio, ed il soccorso che essi « si prestano coi torti passeggìeri che sembrano « farsi; il momento di cominciare e quello di « arrestarsi in tutte le nuove intraprese; e fi- « nalmente 1' arte di rendere tutte le nazioni « tributarie della sua, e di fare la propria for- « tuna con quella della patria , o piuttosto di « arricchirsi , nel mentre che aspetta la prospe- « rità generale degli uomini. Questi sono gli « oggetti che abbraccia la professione del ne- « goziante. » ( Raynal Stor, Filos. e PoHt. Tom. 7. Gap. 6.) Senonchè questa poco buona volontà trova in gran parte una giusta scusa nelle dispute acrimoniose , nei litigii , nelle inutih sofisticherie di chi vorrebbe insegnare agli uomini, e li distoglie dallo studio collo spettacolo delle bat- taglie più accannite, spesso perfino per un nulla di quella che dicesi lingua, e potrebbe dirsi più giustamente pedanteria; collo scandalo dei sempre nuovi sistemi , coli' instabilità quasi, a forza di sottilizzare, perfino dei fondamenti più inconcussi della ragione , e per cui è ormai tempo che si accordino gli uomini retti, e credano negli stessi principii ; che si esprimano in pa- role non equivoche i filosofici veri. E necessa- rio finalmente confessare « che nulla s' apprende 14 « ncir infracidire nella ricerca di quali pietosi « lamenti sulla zampogna ammolliscano il duro « cuore di Fillide pastorella , e con quali argo- « menti bicorni o dilemmi, ed argomenti anu- « lari, o soriti, e sospensorii o reticenze, ed « apostrofi ed iperboli , e sineddochi , e raeto- « nimie, e trapani cerebrali, e clavicole e « grimaldelli filosofici, e bolle d' aria e sofiìi « e fumo, si sazii la fame di un popolo tumul- « tuante ; e come Tirteo non so con quali dat- « tili e spondei abbia battuto 1' armata Messe- « nica già tre volte vittoriosa della Spartana , e « come Menennio Agrippa colla favola del ventre « e delle membra abbia riconciliato coi patrizi « la plebe ribelle. Si noti che Menennio A grippa « in queir occasione liberò il popolo dai debiti « verso i patrizi, e concesse al popolo quella « corazza di ferro, o meglio vogliam dire , quella « spada avvelenata del Tribunato. Così da mae- « stri frivoli formansi allievi frivoli. » ( Negri del vario grado d'importanza degli Stati odierni. Milano 1841 pag. 161. ) E non solo al maggiore possibile sviluppo del nazionale commercio mireranno gli sforzi della Piivista Ligure , perchè , siccome nelle altre utili e belle discipline , la nostra patria se non andò innanzi alle altre citta e provincie italiane, al- meno tentò di non lasciarsi di troppo superare , e può vantarsi di avere avuto nei tempi andati 15 ed ha tuttavia uomini per dottrina e perizia pre- gevolissimi ; COSI noi d' ogni scienza ed arte che possa giovarle di utile o decoro faremo spesso discorso , cercando di additare quelle vie che ne sembreranno più sicure e spedite , a farcì maggiormente innanzi ; perchè , non volendoci illudere, crediamo che nel gran moto industriale e scientifico che cosi eminentemente distingue il secolo in cui ci è toccato di vivere, la Li- guria e Genova specialmente non si distingua tanto quanto potrebbe, e non sappiamo perche coir ingegno che non mancò mai , una indole vivacissima ed animosa che in ogni tempo ha distinto i figli di questa terra , ora dobbiamo mostrarci in molte cose anziché svegliati lenti e pigri ; cosichè anco facendo la giusta parte agli ostacoli che il modo di essere delle altre nazioni ci frappone, non ci vediamo per avven- tura in quel rango che nel mondo industriale, e diciamo pure , per quelle cose che più di- rettamente alla prosperitcà sociale rlsgnardano , scientifico, occupare dovremmo. A far che si aggiunga questo scopo non mancherà la Rivi- sta che molto confida nella cooperazionc di chi sa ed ha carità di patria per aver aiuto al- l' intento, di che fa loro qui pubblico invito e pre- ghiera; e noi felici se un giorno dir potessimo a noi stessi, che colle deboli nostre forze, ab- biamo giovato alcun che , perchè non ci mo- 16 striamo troppo degeneri da quei liguri antichi la cui virtù fé' cantare: .... Genua magna, polensque Urbs et moralis est redimila viris. Si videas cives, ut fit plerumque, coaclus Esse Senatores romanae dixeris urbis. Quid de malronis dicam , tenerisque puellis ? Si modo fas, omnes dixeris esse Deas. ( Ant. Asteggiano da Villanova. Poema antico pubblicato dal Muratori. Rer. Italie. Tom. 14.) L EDITORE ^^^^^^^^^^^^^^^^^ SITUAZIONE PRESEOTE DELLA LETTERATURA IN GENOVA -O-^^^J- Le Nazioni, qualunque fosse la onoranza loro, per- derono il bene ed il pregio delle ledere a misura che andarono perdendo la politica loro consistenza ; dimodo- ché questa totalmente discomparita, quelle dalle mede- sime emigrarono per intiero. Dopo che Atene fu vinta da Siila, dacché fu dai Romani scompaginala colle armi la lega Achea, insomma la Grecia, dopo che venne Romana cosa, più non procedette a molto onore in fatto di letteratura. Che se Cicerone ed i contempora- nei suoi recavansi in tiuella classica terra ad oggetto di studi letierarii, ciò era per raccogliere piuttosto gli avanzi di quello disperso sapere, che per appropriarsi degli nuovi intieri i quali non più vi esistevano. 18 La Greca lelteialura finì in Polibio, cioè a dire allorquando <:adette in rovina 1' anzidelia lega Acliea, di cui Licaorta padre di Polibio era uno dei Duci. Che ciò sia vero, noi lo riscontriamo in Cicerone nelle Tuscolane ( Lib. 1 . ) ove questo acuto discernitore as- serisce che i Romani amegliorarono le cognizioni le quali avevano in Grecia raccolte. Adunque colla con- quista le lettere transitarono allora dalla Grecia sna- zionalizzata in Roma, e quivi cosirussersi a nuovo as- sieme agli sludi filosofici. La Romana letteratura non andò molto più oltre dai tempi di Plinio il Giovane ; e noi osserviamo il graduato deperimento della medesima a proporzione che la situazione politica del Romano Impero iva pur essa disparendo , e perdendo in conseguenza robustezza e dignità. Ma quale sia la cagione della influenza della nazionalità sulle lettere, non è scopo presente nostro di indagare,- al propostoci oggetto bastando essere stato questo un fatto costante non solo alle suddette, ma a tutte quelle Nazioni grandi, o piccole, le quali perderono la loro esistenza politica. Che se la Italia rinovò da poi in se medesima, e con tanta buona ventura, la floridezza letteraria, que- sto felice ed onorevole caso avvenne appunto dacché dopo le sofferte vicende ed invasioni , ella riacquistò nei suoi scompartimenti nazionalità e politica. Ma per non protrarre la cosa di troppo, e per venire al tema nostro, Genova fu una di quelle parti d' Ita- lia nelle quali lo amore alla buona letteratura a pre- ferenza risplendette. Né valga a contraddire la nostra 19 sentenza lo opporre non poter Genova vantare Danti, Tassi, Ariosti, Petrarchi, Macchiavelli ecc. che seb- bene ciò sia verissimo , però ivi non fu penuria di scrittori in prosa ed in verso, ai quali non mancò, né sarà per mancare giammai magnificenza di fama. Che se piacerà per Io contrario considerare come quei primi scrivessero in linguaggio proprio, e quindi facilità mag- giore avessero, ed erano altresì ad essi le particolari vicende contrarie meno, ed in terre per comodità di let- tere, e per protezioni analoghe, e per meno intorbidato vivere tranquille, fia che maggiormente risalti il valore di quegli scrittori nostri i quali ebbero intelletto e co- stanza da superare le difficoltà massime che si attra- versavano allo da essi propostosi intento ^ perchè oltre air intoppo dello studio di una lingua non loro , trova- ronsi, e chi noi sa.»' presso che in continuate nazionali lontane intraprese di guerre, e frequenti e furibondi ebbero i politici conturbamenti in propria casa; né per la sterile posizione topografica della patria loro, e quindi la necessità di addonarsi alle distrazioni molle e molti- formi del commercio, poco intoppo aggiungevasi al loro scopo conseguire. Ma sebbene in generale non riuscisse massimo il merito delli genovesi scrittori , ciò non to- glie alla verità della nostra asserzione ; che anzi le da essi soiTerte e superate difficoltà , nel mentre manife- stano la onorevole costanza loro in siffatti studi , ac- crescono pregio alla ligustica letteraria fronda , la quak forma parte pur essa della italica corona. Ad onta pertanto di fastidio qualunque o forastiero 0 domestico , e dovuta perfino venir parte di straniera 20 nazione, per cui fu coslreKa all'uso frequenie di Gallico linguaggio , mentre che in altre italiche terre da stesso infortunio colte , la natia purissima favella loro non venia punto guasta , Genova ad italiana letteratura salda rimaneva ed infervoravasi 5 ed un Solari , Serra , Massucco , Fasce , ed altri molti mantennero cogli scritti loro, e coU'autorità della voce, vivo e puro lo amore del buono e del bello in questa terra. La età presente quegli esempii venerò e venera tut- tavia-, ma come essa abbia, e fino a che punto durato 0 progredito in consimili prove , è ciò che andiamo bre- vemente esaminando. Dacché cessarono di vivere gli anzidetti luminari di questa terra , lo studio dei classici latini andò sventu- ratamente diminuendo di solidità-, senza il profondo adoperarsi nel quale è inutile lo sperare riuscita ono- revole in cose di italiana letteratura: perocché nelle scritture di quelli stanno meravigliosamente inchinsi i tesori preziosissimi di ogni pensare profondo e robusto, e perchè ivi trovansi altresì gli esempii unici di stile confaciente qualunque. Tn iscambio di una tanta impor- tanza 0 succosità di lucubrazioni , si pose la ricerca sludiatissima dei vocaboli della italiana favella ; e politi romanzi ed altri libri pettinati che di recente usciti erano in luce, adescarono colla loro amenità di voci e di periodi la maggior parte de' genovesi studiosi. Da qui cominciò in Genova , siccome altrove pure , la frenesia e la gloriola di cogliere , infilzare e far pompa di certe voci , che andaronsi razzolando acutissimamente in quelle eleganti novità, ed i vocabolari! della Crusca fu- 21 rono con solerzia svolli da mani notturne e diurne , a vece dei classici Ialini e dei classici italiani ; che se di questi ultimi talvolta furono svolle le pagine , ciò fu piuttosto ad oggetto di acquisto di parole , che di con- celti dignitosi. La sostanza degli studi andò per questa cagione disfacendosi , e presso che soltanto le foggio esteriori furono procurate conservarsi , e conservaronsi di fatto. Senonchè anche dò non fu, né è vero in lutto, imperocché colle sole voci, anco scelte, i modi ed i periodi riescir dovettero generalmente languidi , perché vuoti d' idee , e non aventi appoggio che li so- stenesse 5 ovvero adoperando, purché fosse acquisto di vocabolario , con non bastante accuratezza i modi e la ragione dei modi , lo stile a mancar venne nella ge- neralità di quelle graduazioni , senza le quali esso non ha vivacità, né armonia di parti, né efficace bellezza di insieme. Studiosi tali allonianaronsi conseguentemente, e male a proposito, da quella via, da cui era ragione- volezza maggiore che non si allontanassero. Abbenché per altro questo nostro giudizio sia verissimo , nella ge- neralità degli scrittori presenti genovesi , non manca chi con prose di larga ed opportuna erudizione , e di forza, e di verace pregevolezza letteraria , e confacienza di voci precise ed eleganti, ci intrattenga con profitto e diletto. Di questi sebbene sia breve il numero, però giova sperare, che lo esempio riuscirà abbastanza po- tente perchè lolgansi omai dai molti quegli adorni uni- camente per vanità di fogliame lussureggianti, e si sup- plisca con sostanza e convenevolezza. Non dobbiamo però tralasciare di dire che un tale intrapreso studio 22 della lingua italiana produsse, e produce tuttavia in Genova un decoro valevolissimo alle giurisprudenziali dicerie. Perchè questa sorte di prose ha necessaria- mente in se medesima la sostanza della cosa , fu quella studiata con profitto, e così la nostra orazione forense fu mondata da quelle tantissime voci e frasi non italiane che si erano indispensabilmente introdotte e radicate in cosiffatte materie; sicché le disputazioni forensi sono rese nella maggior parte splendenti di un più preciso ed elegante periodare , e felicemente i no- stri giurisperiti vanno con onore di se , e con vantaggio delle lettere ponendo in pratica quel precetto che Quintiliano saviissimamente prescriveva agli oratori del foro latino. £go autem oratorem , sicut locupletem ac lautum vatreni familiae , non eo tantum volo tecto tegi quod imbrem ac ventuin arceat, sed etiain quod visum et ocidos delectet : non ea solum instrid suppellectile quae necessariis usihiis ejfficiat , sed sit in apparata ejus , et auruni , et gemmae ut sumere in manus , et aspicere saepius liceat : quaedam vero procul arceantur ut jam obliterata et olentia; nullum sit verbum velut rubigine infectum , nulli sensus larda et inepti structura fugiat , faedam et in- sulsani scurilitatem variet compositionem, nec omnes clausulas uno et eodem modo terminet. = Quint. de Orat. Dialog. § 12. E qui pure scrittori recentemente diedero in luce versioni di classici latini, che sebbene non possano an- dar di paro con quelle che già si avevano buone dei 23 medesimi aulori, non lasciano di essere utili, però die mostrano amore de' buoni studi, e per l'esempio giovano ad accomandare agli studiosi genovesi nostri la perse- veranza nella cognizione di un parlare che altamente suona alle menti ed ai cuori. Finalmente non temeremo asseverare che sebbene Genova presentemente si vada abbellendo di talune prose, però queste non sono moltissime; e diremo altresì lo isterico Serra essere stato l'ultimo dei trascorsi buoni prosatori genovesi, che scritto abbiano in ser- mon Tosco, siccome fu detto in un tempo antichissimo, sebbene in altro senso , Cassio essere stato Y ultimo dei Romani. Tac. ann. lib. 4 § 5. Quanto poi a poesia le cose non si trovano fra noi in pari lance con quel buono delle prose. Il vezzo delle parole , e la canorità del verso paiono oramai formare il pregio massimamente desiderato ed unico di molli dei nostri, non so se io dica verseggiatori , o poeti. Le fantasie loro, fattesi cibo di vapori tenuissimi e sottilissimi, non possono acquistare robustezza e gagliar- di», né plausibilità di vero, e di vero assoluto tanto meno. .Dacché una sì male augurata inclinazione e trasporto di poetare invalse fra noi , osserviamo con dolore le stranezze dei concetti , la inaccuratezza delle metafore, le impossibilità delle posizioni , la incoerenza delle idee , e finalmente il disordine in molti di quei carmi o lun- ghi o brevi , rimati o non rimati , che vennero in questi tempi dati alla luce. Né a secondare un successo tanto sfortunoso alla poesia fra noi poco valgono le ammn-azioni dogli ini- 24 periti e degli astuti , i quali tocchi dalle blandizie delle studiale armonie, e dalle rarità di taluni vocaboli ivi posti quasi a mosaico e a risalto , profondono parte per ignoranza , e parte per interessata adulazione al poeta encomii non veri e disordinati. Che avviene da ciò? Lo erroneo poetizzare si consolida , e lo ignavamente e a torto applaudito poeta FU Mimnermus, el optivo cognomine crescit ( HoB. lib. 2. ep. 2. ) Ma che altro mai è la poesia se non una più ani- mata e polita maniera di dire ? e in che consiste egli mai il pregio di questo dire , se non nel vero di cose e di sentimento e di ordine ? Né la buona fantasia va certamente lunga da questi dati , sebbene ciò apparisca talora, né i buoni poeti giammai confonderono la fan- tasia colla fantasmagoria , e pesarono non solo i pe- riodi loro, non i versi soltanto, ma le parole perfino , e non temerono queste cancellare dai carmi loro, al- lorché esse inchiudevano idea meno vera, o meno ve- rosimile. Questo a noi sembra che sia qui Io stato delle cose poetiche , né d' altronde pochi sono i quali di questo infortunio si dolgano, e siano desiderosi che i nostri verseggiatori meglio volino per le regioni degli enti anziché in quelle degli iperbolici cieli. In qualche compenso di tanto infortunio possiamo, in fatto di lirica, esibire non spregevoli carmi; né senza lode in tutto furono tentate da taluni nostri le teatrali composizioni: lo che indica tendenza al buono, ss la quale è desiderabile venga coUivala^ siccome sa- rebbe pur desiderabile che i dotti, modesti di troppo, producessero i componimenti loro , i quali se noli , avrebbero potuto rendere il nostro giudizio meno se- vero. Non vogliamo finalmente passare senza lode quel giovane Estro il quale con tanta limpidezza, ed amenità ci diletta sovente per via di sue traduzioni da greci nobilissimi autori. Fino a che pertanto per uno così sragionato pro- cedimento sarà fatta accaminata la poesia presso di noi, non avremo ragione in questa di esimia lode, e solo lode ci sarà dato sperare quando chi porrassi a compor versi Audebit quaecumque parum splcndoris habebunt Et sine pendere erunt, et honore indigna ferentur, Verba movere loco quamvis invila recedant. (HOR. loc. cit. ) Locchè vogliamo credere sia per avvenire 5 né questa nostra diceria sarà considerata oltre al suo inteso e giusto fine. Gli ingegni quivi non mancano per farci temere che non si possa accrescere qualche nuova fronda al letterario serto, che da antico circonda la onorata fronte di Genova. Se dal tutto su cui noi abbiamo succintamente e candidamente esternata la nostra opinione, la quale speriamo sarà per ottenere 1' approvazione di tutti i veri periti, taluno reputasse aver noi ardilo contraddire a quel trasporto che in questa città si osserva per lo acquisto di una pura italiana favella , egli 0 non ci avrebbe inteso, 0 fingeiebbe non intenderci. Fu nostro 26 iniendimenlo mostrare come una tale bramosia che vo- gliamo lodevolissima , innebriato abbia la maggior parie de' presenti genovesi scrittori ; imperocché essi general- mente finirono per preferire le forme alla sostanza : da che ne nacque , e sempre fu e sarà sempre così , un fraseggiare lungo ed un sovrabbondante distem- peramento di una sola idea , le spesse volte comune e meschina ; quando per lo contrario lo stile avrebbe dovuto essere abbondante di concetti: che alla finfine le parole sono fatte per essere serve alle idee , e non le idee alle parole , e tanto meno poi le parole sono fatte per le parole. Prima di dar fine a questo nostro articolo giova che facciamo lodevole menzione di coloro i quali si ado- perano a porre il genovese dialetto a confronto colf ita- lico linguaggio-, lo che ci agevola la intelligenza di quesi' ultimo parlare , perchè meglio vengono ad utilo contatto le nostre volgari , energiche , concise dizioni con quelle della toscana gente ; e quesi' opera aggiun- gesi pertanto a mostrare la lodevolezza delle studiose inclinazioni fra noi. Se questa sia la situazione presente della lette- ratura in Genova, i Dotti ne giudichino-, e sia lode- volmente manifesto il generale trasporto della Genovese studiosa Gioventù per correre quell'arringo luminoso, che con gloria non peritura ad essa dischiusero i chiaris- simi suoi Antenati. FILIPPO ACQt'ARONE. AlVIVOTAZIOIVI sulla memoria del chiarissimo L. A. Cosse = De la Reforme des Quarantaines = confrontata colle Dot- trine sui contagii , adottate dal Prof, di Pato- logia nella R. Università di Genova dal 1820 al 1836. Vana cosa ora sarebbe parlare della importanza e dlfficolià che vi è a discorrere dei contagii. È ancora sentito il terrore del cholera, che fu il più noto esem- pio di un desolamento , e di una strage fatta universale sulla faccia della terra. La importanza ne è forse mag- giore, se si voglia parlarne a scopo di stabilir regole per la salute pubblica, e questo è appunto lo intento esplicito del libro di cui vogliamo occuparci, sebbene non lungamente; imperocché, se volessimo renderne conto diffusamente, ci converrebbe dirne più che non esigerebbe un trattato apposito sui contagii. Perciò ci siamo proposti di ricordare soltanto alcune importanti proposizioni di quel libro , la prova delle quali non ci è paruta cosi piena quanto sarebbe pur necessario ri- guardando allo scopo propostosi da chi lo ha scritto, 98 e così ci potremo risiriiigere ne' limiti conveuienii ad un giornale , ed avremo detto abbastanza per eccitare r illustre scrittore a nuovi e più concludenti lavori so- pra un cosi grave argomento. Volentieri ancora ciò fa- remo , perchè avendoci fatto dono della personale cono- scenza sua quel dottissimo medico , che onorava or sono due anni la nostra Clinica d' una sua visita , noi lo cre- diamo ben capace di spingere a maggior perfezione que- sto ramo importantissimo della Patologia-, locchè gli potrà valere una bella corona presso la posterità. Dal principio si trova stabilito come un canone di già dall' autore dimostrato in altra sua opera ( « Des maladies Pdiumaoides » ) letta alla Società Elvetica nel i825 che = Ogni malattia, per divenire contagiosa, deve presentare degli accidenti inflammatorj sopra la superficie del corpo comunicanti colla atmosfera (1). = Ora la prima parte di questo dettato è equivoca, la qual cosa non conviensi nel piantare aforismi; e a quanto ne pare , si rapporta alla Dottrina = Della spontanea produzione di materie contagiose per effetto di quelle alterazioni delle materie animali , che si effettuano du- rante il corso delle malattie, = e questa Dottrina qui parrebbe ammessa a riguardo dei contagli in generale. Su questo punto, ecco come sta, per quanto lo sappiamo noi , la scienza ( Sennerto inst. L. \].). Gli antichi am- mettevano una generazione di contagii fuori del corpo nostro per corruzione ; ed ammettevano un altra gene- (I) Tonte maladic pour devenir contagieusc, doit prescnter des accidens innaminaloircs sur les surfaccs en conimunicalion avec r atinosphére. 29 razione di conlagii nel corpo nostro egiuilmenie per <:orruzione ; siccome era ammessa nella filosofia d' Ari- stotele, seguitata poscia dai scolastici, la genesi di veri animali spontanea da putredine. Quanto alla prima è ben chiaro ; che potevano andar confusi coi contagli -1.° le mofete, 2.° i veleni animali, 3.° le emanazioni nocive per infezione esalata da corpi vivi , e da sordi- dezza qualunque, 4." i miasmi dai bulicami paludosi, 5.° le condizioni di pura epidemia: è ancora manife- sto , come per molte e molte osservazioni potesse con- fortarsi la sentenza , che i fermenti putridi ovunque contribuiscano a generare di pianta veri contagli ; quan- tunque si conoscesse ancora delle migrazioni stesse dei veri contagli, che, ingenerati essi una volta, potevano, senza presenza di evidente corruzione, e sotto forma di agenti inconspicui, generar morbo atto a diffondersi. Quanto alla seconda è parimente chiaro 5 qualmente molte altre osservazioni hanno potuto convincerli , che un tale fermento 0 seminio contagioso potesse in qual- che caso di infermità ingenerarsi entro al corpo infermo, e perciò esser potesse allora il corpo vivo medesimo cuna ad un contagio spontaneo in pretto senso , perchè non venuto dallo esterno neppure in seme. D' altronde favoriva logicamente questa possibilità; non soltanto la tendenza degli umori in quella classe di influenza alla putridità , la qual tendenza era in que' tempi più co- mune e più grande che non è a dì nostri per la uni- versale testimonianza dei medici di quel tempo (\); ma (l)V. Della Flogosi Memoria al Congresso di Torino nel giornale della Società Medica. 30 più ancora favoriva questa slessa Dottrina dello svol- gimento spontaneo ne' corpi umani di semini! contagiosi, e la rendeva assai ragionevolmente ammissibile, la evi- dente moltiplicazione spontanea entro gii infetti di quella molecola minima contagiosa dalla quale erano stati vul- nerati in principio. Entrarono come parte della antica Dottrina a spiegare la orrenda malvagità dei contagli = lo spontaneo corrompimento del cielo o della atmo- sfera 5 e la maligna influenza degli astri. = Del primo più tardi si riconobbe , che esser infetto da materie aventi malignità di seminio contagioso poteva davvero, ma però in modo , che lungamente durevole quella aerea malsanie non lo potesse essere -, avendo 1' aria , special- mente se libera , virtù di purificarsi e di struggere la materia dell' infesto seminio 5 e del secondo si potè ri- cevere anco a dì nostri , che una molto varia predi- sposizione o proclività degli individui e de' popoli ad essere tocchi e prostrati dai seminii contagiosi , se può dipendere da condizioni individuali della persona esposta al contagio particolarmente proprie al sistema nervoso ^ se può dipender da modificazioni apportale da cagioni esteriori e terrestri alle quali uno o molti siano sog- getti ; può dipendere ancora da influenze atmosferiche ; ed ancora da più alle influenze alle quali 1' uom pur soggiace e come frazione del mondo , e come essere doppiamente senziente. E questa varietà di agenti pre- disponenti spiegherà congiuntamente ad altri dati la tanto varia diffusibilità dei contagli. Ora tornando precisamente alla ridelta genesi spon- tanea in stretto senso , noi trovammo questa dottrina , 3( che apparisce ammessa dal dolio medico Ginevrino , rigellata senza misericordia da sommi uomini meritevo- lissimi di ogni riguardo, (Rubini, Rasori, Nacquart eie.) abbencliè la costoro sentenza non diventasse mai gene- rale. Nella mia scuola di Patologia e di Clinica si am- metteva e si ammette-, che volendo determinare dei canoni generali sopra i contagli è di grandissima ne- cessità guardarci dall' adottare implicitamente la dottrina di quei pochi scrittori , i quali, forse per la molta ver- satilità dei contagii , furono indotti ad ammetterne uno solo; perlocchè la producibilità o non producibilità di questi mal augurati seminìi doveva essere esaminata e discussa per singolo ; perocché avrebbe potuto forse la scienza determinare la spontaneità di alcuni 5 come p. e. del contagio canceroso, dell' etisiaco , di quello della gan- grena di spedale , e molto verosimilmente di quello del tifo europeo; ed avrebbe pure potuto determinare la produzione spontanea di quei seminìi, che furono detti semicontagii dalla scuola Tedesca ; come p. e. sarebbe il contagio de' morbi catarrali ( Frank, Sprengel , Ilde- brant eie ) : ed infrattanto avrebbe potuto la inesora- bile esperienza escludere affatto la spontaneità di altri contagii, come p. e. della peste, del vajuolo arabo ecc.; se- condo questi dati, la tesi virtualmente affermata nella pri- ma parte del sopra riferito dettato dal chiarissimo scrit- tore di cui favelliamo è vana e falsa. Vi sono malattie contagiose dal loro primissimo cominciamento ; ve ne sono altre, che ponno divenir contagiose, e possono dive- nirlo alcune volte determinatamente , ed altre volte non diventar contagiose, o non potersene acquistare la prova. 33 La seconda parte di quel!' aforismo non è meno a nostro giudicio inesatta. Sia pure , che egli prenda per malattia divenuta contagiosa quella , nella quale un se- minio contagioso ingeneratosi per metamorfosi accaduta fuora del corpo umano, ( o da secoli , come la cosa è del vajuolo 5 ovvero da tempi incerti , e per circostanze speciali , come del miasma delle intermittenti maligne; dohbiam dire per quei casi nei quali fu elaboralo a malvagità di contagio (1 ) , e come dobbiamo pur dire del miasma-contagio della febbre gialla ; e come intìne dobbiamo pur dire del miasma-contagio della cholera). Sia pur , io diceva , che 1' autore intenda per mal con - tagioso , quello nel quale un seminio ingeneratosi fuori dei corpo abbia attaccato poi il corpo medesimo , talché questo ammorbato ed infermatosi pel ricevuto seminio , non produca ex novo, ma sibbene moltiplichi in se la materia contagiosa e la diffonda e la invii ad altri corpi, i quali ricevutala infermano alla lor volta di male identico. Noi non per tanto , neppure in questo preciso caso non intendiamo , come dal dotto scrittore si possa dir non contagiosa una malattia nata da contagio, né intendiamo come egli affermi , che sono necessarie assolutamente le apparenze esteriori di una flogosi , e necessarie così, che non esistendo queste esteriori ap- parenze la innestata malattia debba dirsi non conta- giosa. In prima qui ci conviene di osservare ; che, se le papole del morbillo, le macchie della scarlattina , le pustole del vajuolo furono da molti moderni dette der- (1) V. Analisi delle Dottrine Mediche del P. G. B, Torino Stamperia Reale t830. 33 matiiidi o flogosi cutanee , una lale affermazione com- plessiva delle vere flogosi, e di queste speciali flussioni ed elaborazioni specifiche , non fu mai ricevuta dai cli- nici; onde da noi era detto (1) che questo modo di far cumulo di cose essenzialmente diverse non poteva per nulla giovare alla pratica, a cui deve pur servire ogni filosofare di medicina. E dopo di aver avvertito, che, ciò che pare flogosi nei morbi contagiosi non può tenersi per sincera flogosi ; e che perciò, se, per esem- pio , nel cholera le larghe maculazioni cianotiche in qualche epidemia futura si trovassero rubiconde , non si potrebbero mai perciò chiamar flogosi-, noi avverti- remo in secondo luogo, che il chiarissimo autore ha incontrato quivi il consueto scoglio di chi dogmatizza. Infatto quale apparenza di flogosi accompagna i condi- lomi venerei così spesso pallidi e indolenti , e pur tut- tavia contagiosi? Alcune macchie veneree, ed alcune specie di porrigine, che non sono rosse se tu non le gratti, e che pure nel malcauto consorzio con chi le ha non sono scevre di pericolo di comunicabilità, quale forma di flogosi sono elleno? Qual flogosi esterna vi è, dopo passala la scarlattina, in un ragazzo la cui su- perficie incautamente avvicinata comunica pure la ma- lattia ? Qual flogosi negli esantemi veri acuti, in quelle forme di essi nelle quali il sistema cutaneo è scevro pure di qualunque eruzione , e che pure sono contagio- si? E sul principio d'un esantema ne' giorni nei quali la efllorescenza non è ancor fatta , qual flogosi vi è mai ? Io non credo che 1' illustre autore vorrà sostenere (I) V. Ivi. 3t giammai, che il consorzio d' un appcstato infermo, nel quale i buboni non sono ancora esistenti, sarà scevro di pericolo. Perciò quel suo canone non ha fonda- mento. ( '^«''^ continuato ) Prof. GIROLAMO BOTTO mmp m^ji^^si^^^&i^^^isimìii^^i&^^^^^^^^i^^^^f^ùi^^^^^ l IMIOVI GRECI ALLE TERMOPILI (>) I. " Termòpili sacre, o memorande Strette dove il Leon spinse i trecento , E fu con morte il trionfar più grande , Ara eterna voi sempre e monumento Ai liberi sorgete: anco spirate Di vendetta ai tiranni e di spavento. In voi fu degna dell' antica etate La nova Grecia : e voi , voi meco or dite Quel secondo trionfo a libertate. Il superbo Ottoman dalie meschite Venia, ma i Persi mal serbando in mente E le lor donne tutte a brun vestite. E con ferro e con foco orribilmente Tuttaquanta correva incenerando La contrada dei Tessali fiorente. Ogni suo passo era di morte , quando D' Élafo giunse alle vantate foci. Là dove il greco avea già in alto il brando. Dinanzi alle sue vili orde feroci I Dervis stanno, e del Profeta al trono, Stolti : in imbelli canti alzan le voci. (1) L"^ autore avverte che i fatti qui accennati sono tutti storici, e che nella l>iima terzina chiamò Leonida col nome di Leon seguendo l' esempio del l'e- liarca che già scrisse : Le mif.Uih slrcdc Che difese il Leon ciin pori genie. 36 Ma di scherno argomenlo era quel suono A chi ha'l ferro per nume, e il greco ardilo De' cavi bronzi rispondea col tuono. Pari a vento che bosco abbia ferito E per entro vi turbina e sparpaglia Le foglie con un lungo alto ruggito . Cosi r Elleno fremente si scaglia Sul denso stuol delle falangi infide, E gli brillano i polsi alla battaglia. Come folgore presto, urta e divide. Infuriando, le nemiche schiere, E non ferisce, che ogni colpo uccide. E, strappando le barbare bandiere E code e lune atre di sangue , innonda Tutto il campo, atterrando armi e Irincere. L' odrisio cavallier piega e s' aJTonda Coi cavalli sossopra entro il pantano; Stanza ben degna dove il vii s' asconda. Ivi invan tenta di spigliarsi, invano Aita attende nell' acerbo caso ; Fermo a pugna non resta un ottomano. Ai sepolti nel fango armi Guraso Più tempesta , più vibra armi ai fuggenti Il magnanimo cor di Pallascaso. E per tutto eran grida alte e lamenti. Sangue, polve, e un urtarsi furibondo. Fin che il sol sulle greche aste vincenti Mandò V ultimo raggio , e tacque il mondo. II. Dalle montane solitarie grotte SI calava la sera , e i fochi , sparsi Pel campo greco, interrompean la notte. Ecco intanto un fragor lento levarsi Come lontano murmurc di fonte Che giù viene fra scogli irti a spezzarsi. Erano i prischi eroi eh' alto la fronte Revocati mettean fuor delle rupi , Che ancor nomate son del rege il monte. 37 Dentro i deserti orribilmente cupi Dell' aure vagolavano fremendo Gli spirti, e rispondean valli e dirupi. L' oblivion de' secoli scotendo , Cercar la pugna si pareano anch' essi , Con indistinto suono armi chiedendo. E i nepoli stringevano d'amplessi. Contandone le piaghe, e ognor più lieti Si facean quando i colpi eran più spessi. Cosi pronta scendea dentro i segreti Sen degli Elléni una virtude ignota. Che di pace i guerrier rende inquieti , Tu, la cui fama eternamente immota Dura col sole , e ognor più luce acquista , O alla Grecia e alle muse alma devota ; E tu pur, di quell'ombre entro la mista, O Simonide erravi , e rallegrasti In su la patria salva anco la vista. Perchè , o padre , per morte abbandonasti La bellicosa lira onde in Antela Le belle imprese degli eroi cantasti ? Or di tuo carme è tempo , inno or s' anela Che voli ardito incoronando i prodi : Ma non v'è cetra se la tua si cela. Pur vinca il greco e non morran le lodi : Quel valor che a ferir 1' armi sprigiona Pia che una lingua alla canzon disnodi. Le larve intanto, come il dì ridona La luce ai monti, si fuggian spogliando La vanitade che parca persona: E paghe nelle tombe ivano entrando Per le cieche fremendo aure più forte , Mentre a quell'ombre sull' ignudo brando Giuran gli Elléni libertade o morte. III. Per la dorata trionfai salita Spingeasi il sol , che si corcò dolente Di troncar la vittoria in sua partita. 38 E rimontando in del, lieto e lucente Giù riguardava alle falangi cilene, E più in que' ferri si facca ridente. Ed è ragion che, rotte le catene. Di natura il maggiore astro e di Dio Splenda più bello sulle grcclie arene. Al guerresco continuo rombìo Delle canne ferrate e delle squille, Che nel primo pugnar lunge s' udio , Alto levò le attonite pupille D'Odisseo la fremente anima altera, E per esse mettea vive scintille. E la sua concitando armata schiera Scese, quale il torrente si disserra, A far sul Turco la vendetta intera. Com' egli imprenda e insìem compia la guerra Come nella battaglia egli si versi Dica Beozia e la focense terra. Fra i nemici drappelli, che dispersi Pur dello Sperchio s' accoglieano all'onda. Entra, né a lui fan siepe i ferri avversi. E col fulmineo acciar rapido sfonda Le ottomane caterve, e nella pugna Di non suo sangue orribilmente gronda. Così rione che alle stragi agugna Sbrana belva minore alla foresta , E cola tuttavia sangue dall' ugna. Qual cacciata da subita tempesla L' oste s' arretra d' Allamana al ponte Ove r ultimo a lei fato s'appresta; Qui nel petto squarciato e nella fronte Ali sen giacque: e come quercia cade Che gran parte con se mena del monte. Tal quel duca, cadendo, una viltade Spirò nel campo niusulman , che spento È ciascun dalle greche orride spade. E sol , trofeo di gloria e di spavento , Su i trafitti nemici accatastati S'alza d'Ellenia lo stendardo al vento. Or che ti valse di sì folti armati Cingerti, o Trace, e preparar ritorte A petti dal valor santificali ! 39 Non sai che tirannie sempre son corte? Non sai tu clie dei nriille è vincitore Libero ferro , e clic quel ferro è morte 1 Cile la Grecia più bella dal dolore Sorge , e che batte ancor sovra quel lido Di libertà come di vita il core? Non sai che Grecia de' guerrieri è il nido ? Le piagge, i sassi, l'aer, l'onde, gli scogli Fremon di patria , ed ogni tomba ha un grido. A tuoi di sangue sitibondi orgogli , A tue tante barbariche rapine Questo, 0 fero ladron, frutto raccogli. Qui la tua luna intenebrossi alfine, E se al tuo soglio ancor pallida splende É per schiararli nelle tue ruine; Che già l'ira di Dio polve ti rende. AGOSTINO CAGNOU I ®99-®S^^§,^^^a.3.®ev®9®^<^®®9^©g>^^^^^5>^©0(>@ CO]\SIDERAZIOIVI SULLO STATO ATTUALE DEL COMMERCIO • GENOVESE § l. È un fatto di gran momento, ma per avventura non ancora con sufficiente profondità di vedute esaminato, la opposizione fra le idee che la pagana sapienza e prudenza aveano intorno al Commercio, e quelle che si ebbero dopo dai Filosofi e dai Legislatori; essen- doché i primi moralisti e pensatori dell' antichità il commercio riguardavano siccome la precipua cagione della depravazione de' costumi, e conseguentemente per la più prossima della decadenza delle nazioni, ed i politici e filosofi del Cristianesimo invece lo riconobbero siccome un possentissimo mezzo di civiltà, ed un propagatore di lumi; a talché quelle nazioni che prime segnarono lo sgombramento delle tenebre dalla illuvie barbarica recate sul mondo intellettuale, quelle nazioni, dico, Il commercio grandemente stimarono ed onorarono. «2 Platone difalii De Lci^ih. Dialo g. 4, ecco come si esprime : Nani ciini mercihus et pecuniis cauponando civitas repleatur , dolosi animi instabiles et infidos mores parit , e vuole che la città capitale della sua repubblica sia lontana dal mare almeno dieci miglia , Nam vero juvat quia stadiis octoginta remota est a mari. E sebbene quell'altro lume dell'antica sapienza Aristotile sembri esilare sulla questione : se giovi ad una nazione rendersi mercantile De Hep. Lih. VII, Cap. VI. , biasima nonpertanto il Cartaginese governo perchè in esso ninno potea giungere a' primi posti senza ricchezza , dicendo che in una tale condizione di cose h virtù non vai nulla e tutto il denaro. Cicerone parlando de' Cartaginesi dal commercio corrotti, dice; Carthagiììenses fraudolenti et mendaces — multis et lariis — mercatorum advenarumque sermonihus ad studium fallendi quaestus cupiditaie vocahantur. E Sallustio « Assai volte intesi di re , di città , di « nazioni , che per opulenza perdettero i grandi imperi , « con povertà e virtù conquistali .... Da ultimo ove « le ricchezze son poste in allo, in vii pregio è fede, « probità, pudore, ogni bene ecc. » (Epist. \. a Cesare § 7.^ Traduz. di G. B. F. Raggio). E Cesare : Horum omnium fortissimi sunt Belgae, propterea quod a cultu et hamanitate provinciae longissime ahsunt minimeque ad eos mercatores saepe commeant , atque ea quae ad effeminandos animos pertinent important. De Bell. Gali. Lib. \ . Teodorico per lo contrario da M. A. Cassiodoro consigliato, portò tanto oltre la sollecitudine per animare 43 il commercio dell' Italia che crediamo non siasi poi potuto superare in ciò da principe alcuno. Si leggano a questo proposito i suoi ordini a Devoto suo primo reggente (M. A. Cassiod. Tom. 1.); quanto scrisse a Senorio Prefetto , pel soccorso da prestarsi ai navigatori Campani , Calabresi e Toscani , i quali sofferte avevano forti perdite per fortuna di mare, e notinsi queste veramente paterne parole: « Autorizzo perciò col presente « ordine la tua sublimità di non molestare i caricatori « per le moggiature di grano perduto in tanto infortunio, « poiché è un genere di crudeltà Y infierire più oltre « del naufragio, ed il forzare a dei pagamenti coloro « che gì' inevitabili pericoli del mare hanno ridotto in « miseria » ( loc. cit. ). Veggasi quanto scriveva ad Abundanzio Prefetto, perchè si ampliasse la italiana marina. « Commosso « perciò r animo nostro dal frequente pensiero che « r Italia non ha navi , mentre ella fornisce tanta copia « di legnami , che richiesti ne trasmette ancora alle « nazioni trasmarine , ispirandolo a noi Iddio , abbiamo « decretato che frattanto venga assunto di fabbricarsi « mille dromoni (vascelli da 100 fino a 200 remiganti), a Spedisci perciò artefici per tutta l'Italia, e fa da « loro requisire tutti i legnami atti a tal opra; e laddove « cipressi o pini saran trovati in vicinanza del lido « siano provveduti , pagatone il competente prezzo ai « padroni ecc. » (loc. cit.). E dopo allo stesso : « Come a prima desideravamo di vedere ai lidi nostri delle « flotte straniere , adesso spediremo ai regni oltramarini « le nostre flotte per farci temere e rispettare. » Ed u a Vilia Prefetto del paiiimonio reale « se potranno « ritrovarsi presso le ripe del Po , nei poderi nofitri « reali , legnami e piante atte alla costruzione dei « dromoni , già commessa al magnifico nostro Abundan- « zio, fa che vengano tagliati prima di ogni altro. « Vogliamo che questo esempio cominci dalle nostre « possessioni , acciochè non sembri grave a veruno quel « comando che costringe il Principe stesso. » Elcco finalmente come quel gran Pie si spiegava nelf investire deirufficio loro i vicarj de' porti : « Noi concediamo i « benefizj della nostra grazia a te , specialmente se « con saviezza saprai condurti nell' uffizio che li viene « commesso. Non anderai irremunerato se accoglierai « prudentemente gli stranieri , e comporrai con mode- « rata eguaglianza le cose commerciali de' nosti'i. Per « quanto in altra cosa vi sia opportuna la prudenza , in « questo ella diviene superiormente necessaria, mentre « tra due popoli nascono sempre delle contese laddove « la giustizia non viene scrupolosamente custodita. Sono (( da trattarsi con molta avvedutezza le genti di mare « che mostrano costumi simili ai venti. Mossi noi dal « grido della tua saviezza decretiamo perciò che tu « presieda a questo porto , sicuri che eseguirai tutte « le cose che appartengono a questo incarico in guisa (( da potere essere innalzato a posti maggiori » (Legisl. Ostrogot. in Ital. Edict. Reg. Teodoric. ). Colla comitiva poi del porto della città di Roma si spiegava in queste parole « Un luminoso « incarico ti viene dunque commesso se ne userai con « moderazione. Tu produrrai l' abbondanza se tratterai i5 B con giustizia coloro che vi entreranno. La mano avara « chiude il porto, e mentre stringe le dita chiude « insieme le vele alle navi ecc. » ( Ice. cit. ). A Venezia il Doge Orseolo succeduto ( anno 726 dell'era volg.) a Marcello Eracliano^ « Considerando che « un popolo marittimo non acquista comodi e gloria « senza la bravura su quell' elemento , aveva fatto « addestrare la gioventù agli esercizj ginnastici della « lotta e del dardo , istruirla nella navigazione e nelle « arti delle battaglie navali; e quella prima gioventù « istrutta invecchiando poi nelle abili manovre sul mare « insegnò ai nuovi giovani ad esservi egualmente bravi « ed instruiti,e da questi l'arte navale scendendo nei (( successivi vi fu sempre crescente. Tanta brava gente « ingrandì poi e giovò alla patria ecc. » ( Fannucci stor. dei tre celebri popoli marittimi dell'Italia, lib. 1. cap. 3. Pisa 1817). In quella stessa città Del senno uman la più longeva figlia r ulllzio dei consoli dei mercanti , stabilito al principio del XIII secolo , esercitava il diritto d' inquisizione contro qualunque veneziano o d'altra nazione promo- tore di macchinazioni a danno della nazionale mercatura. Ed I negozianti forestieri trovavano colà gratuito allog- gio dalla munificenza del governo (del commercio dei veneziani di Fabio Mulinelli cap. 3.o). La costituzione stabilita in Firenze nel 1282 portava che nessuna famiglia potesse godere dei diritti di cii- 46 tadinanza , ed aspirare ai magistrali della Repubblica , se non era ascritta e matricolata in una delle ventuna ani, esercitate dalla popolazione della città. Quindi, riflette un giudizioso autore ( Agostino Ademollo nel- l'opera, Firenze al tempo dell'assedio, cap. YIII.) dai registri delle famiglie artigiane appunto si argomentò sempre la vera nobiltà delle famiglie fiorentine , perchè da queste uscirono i confalonieri , i priori , e gli altri magistrati supremi della Repubblica , e questa prolezione accordata alle arti fu cagione del grado di ricchezza a cui ascese Firenze , che al tempo di Bonifazio Vili, si chiamava la sede dell' oro. Della molta sollecitudine dell'Inghilterra pel com- mercio sarebbe quasi inutile farne discorso essendoché nessuno ignora essere stata quella in ogni tempo gran- dissima, ma nondimeno piacenii riportare le poche seguenti parole di un oculatissimo scrittore : « La « stima che la nazione fa di una professione, alla « quale ella è obbligata delle sue ricchezze e della « sua grandezza, e la maniera colla quale ella tratta « i negozianti, spinge al negozio una gran quantità « di persone, che oltre ad una nascita illustre « avevano ainita una savia educazione. Carlo II. « il quale più di tutti gli altri re d'Inghilterra cono- « sceva gU inglesi, soleva dire, che non vi era in « Inghilterra nobiltà che tra i mercanti. Infatti una « gran parte delle migliori famiglie , non che d' altre « dei primi signori, come de' Duchi e de' Pari, trag- « gono r origine loro dai negozianti » ( John Cary storia del commercio d' Inghilterra ). Il re Carlo Emmanuele di sempre lelice memoria per maggiormenie palesare quanto avesse a cuore di favorire il commercio , slabili nel § 26 dell' Edilio emanato per il Porto-franco di Nizza dei 12 marzo 1749, che potessero le persone nobili esercitare il commercio senza pregiudizio del loro grado. Finalmente lo statuto di Genova nostra del 1576 al cap. III. Declaratio ^rdum mechanicarum , dice co- sì : Eos quoque summit radone a nobilitate non tsse escludendos arbitrati sumus, qui navigationi egregie operarli dant , quod antique genuenses his artibus magnum patriae et sibi nomen compai'arunt , po- sterisqae suis gloriani propagarunt, indeque quolidie urbi ipsis maxima cominoda proveniant. Jtaque navarchos, quos vulgus magnarum naviuni et tri- remiuni capitaneos et patronos vocat, nequaquain nobilitati suae derogare decernimus. Que" padri sapientissimi di una repubblica rispettata e temuta , che per il commercio e la navigazione si vedevano intorno ogni desiderabile bene , non dovevano tenere un diverso linguaggio. E noi , perchè ci siamo pro- posti di instituire il confronto fra il commercio genovese di quello spazio di tempo che si è generalmente conve- nuto di chiamare Evo medio , e la prudenza e l' ardi- mento che lo fecero prima nascere , poi a così alto punto di splendore il condussero da far tenere il po- polo di Liguria , da chi vi miri senza odio di parte , in conto di uno dei più celebri che sieno stali mai , col commercio che esercitiamo oggidì, crediamo uiile dar qui brevissimamente un cenno dell'estensione e dell'ini- 48 portanza dell'antico nostro traffico, riserbando ad altri numeri il compimento del nostro piano. Di due specie era il commercio che i liguri del medio Evo esercitavano, quello cioè di economia, e quello che consisteva nello smercio delle proprie derrate e manifatture 5 esso abbracciava il mondo conosciuto, perchè da ponente le nostre galee giungevano ai Paesi Bassi, ed all' Inghilterra 5 e da levante passando, fino alla Tarlarla e sui confini della Cina , e sopra la costa del Malabar ( Serra Stor. dell' ant. Lig. e di Gen. Tom. IV. Com. di Gen. in Asia ) giungeva l' attivo genovese com- merciante , ad onta delle inospite e barbare terre , dei mari sconosciuti e terribili per tradizioni spaventose. « Essendoché verso gli anni -1266 i genovesi che abi- « lavano per cagione di commercio il Daghestan e i u paesi di là dal Tanai , avendo in sugli occhi il mar « Caspio , quasi deserto e vuoto per veri e per sognali « pericoli , si disposero , chechè ne seguisse , a navi- « garlo con ricchi carichi 5 perciò fabbricati alquanti « navilj di largo fondo , da Derbent nella Georgia , e « da Astracan sopra il Volga entrarono i primi europei « nel mar tempestoso , scopersero in quello tre porti , « e continuarono , quando tornava lor bene , a iragit- « tarlo » ( Stor. cit. ). ( Qui lo storico narra un caso di genovese ardimento che dei simili pochi se ne incon- trano certamente nelle storie ). E fra questi confini immensi , ma non maggiori dell' attività , vigilanza e coraggio degli antichi genovesi adoprandosi , risalivano il Cuban per ben 280 miglia dalla sua foce, e si reca- vano in mano tutto il commercio della Circassia ; e su 49 pel Volga , il Giaic e l' Ocso , di tutto quello a levante del Tanai, e su pel Nieper, di quello di Mosca col- ritalia s'impossessavano, e tutto ciò con tale un apparalo di forze, che i tartari occidentali, dice Serra, non chia- mavano Genova con altro nome, che con quello del gran Comune e della grande Repubblica. Chi non sa che la nostra antica colonia di Gaffa per magnificenza, ricchezza e potenza appena può dirsi superata dalle più potenti e floride delle moderne nazioni, e che i turchi meravigliati chiamavanla la Costantinopoli della Crimea ? Quando noi pensiamo a tanta grandezza, a tanta sagacità e perse- veranza 5 quando pensiamo che l'operato dai padri nostri è tuttavia l' unica regola di condotta delle più potenti nazioni moderne, dica, chi nutre amore di patria, fra quali strettoje ci sentiamo battere il cuore; ma continueremo r intrapreso cammino , confortati dal pensare che sa- pientiani antiquorum exquiret sapiens. Nella Georgia pure erano a trafficar genovesi , ed è noto come gli abitanti di Kubatscha città di quella provincia si cre- dono originar] di Genova ( vedi il citato Serra che cita r istoria della Georgia di Eugenio Archimandrita), e sono diffatti fra i più industriosi e laboriosi di quelle terre; professano il cristianesimo. Negoziavano i genovesi su tutta la costa Ostro e Levante del mar nero, dalla quale salendo il Rion, l'antico Fasi, pervennero alla Mingreha, ed avuto il possesso di Totatis vi fabbrica- rono al solito un forte, del quale sono ancora impo- nenti avanzi. Entrarono nell'insalubre Danubio, ed a Chilia vec- chia costruirono un castello , poi nel Dnicster e sur 50 un poggio che domina Ackerman coslrusservi abitazioni e fortezza , che pure non è al tulio scomparsa finora. Nella Valachia e Moldavia sono pure vive le iraccie dei genovesi antichi. I primi castelli forse che sorgessero presso alla sboc- catura del Bosforo furono alzali dai genovesi , e chi vi mira in passando vede su quel d' Asia che ancora esiste non al tutto scancellata la croce rossa. E di Pera dice il già più volte citato Serra, che qualora il greco imperio fosse ancora durato cent' anni , diventava un' altra Costantinopoli j sfidano 1' ira del tempo le mura che i genovesi innalzaronvi. II trallico genovese coli' Egitto è tanto antico che molte voci arabe si sono adottate nel nostro linguaggio. Neil' isola di Cipro ed in Seria avevano franchigie e possessioni grandissime ed utilissime , che sono nar- rate da assai autori e succinlamente da! Serra (Stor. citata ). In Armenia maggiore tanto era il numero dei ge- novesi « che avendo le Colonie ottenuto due posti nel « maggior consiglio di Genova l'anno 1257, uno di « quelli fu dato ad un mercante di Kars » ( Serra ). Nella minore si stabilirono in Tarso ed in Sebaste , Lajazzo, Gurco, Malmistra ed altri porli. Nella Licia e nella Frigia posero abitazione nelle floride terre di Alto-luogo e di Setalia, e nel golfo di questo nome anche oggigiorno un porlo ha nome ge- novese e commercianti genovesi furono trovati in Iconio. I genovesi aveano pure abitazione in Adramiti, Ana- tolia , sul luogo ove giaceva l' antica città di f ocea , 31 ed erano padroni di Smirne. Aveano comodo spazio per case e magazzini in Rodi. Tutti sanno che l' isola di Scio fu pure nostra : nelle Cicladi si vedono ancora i discendenti degli antichi coloni genovesi. Le tre isole di Tasso , Metellino e Stalimene erano pure un tempo della genovese Repubblica , o de' suoi figli , e vi si veggono ancora avanzi di fortificazioni e di stemmi. Furono da un greco imperatore infeudati di una terza parte dell' isola di Negroponte , e ire Colonie pianta- rono nel golfo di Salonico , ed acquistarono la signoria della Cavalla. Una genovese famiglia, i Zaccaria, fu in- vestita del principato di Morea da Giovanni Paleologo 5 quella de'Gattilusi ebbe la provincia della Focide. All'occidente, e di fronte; i mercati di Francia erano popolatissimi di genovesi , siccome di altri italiani , con privilegi importantissimi. Avevano i nostri un agente commerciale in Narbonna sino dal 1 ] 60. Fecero con- venzioni con Marsiglia nel i232 e 1237. Con i conti di S. Egidio e di Tolosa l'anno 1174, i quali face- vano allora agevolezze e donazioni alla Repubblica magnifiche oltre modo , compreso l' esclusivo commer- cio ne' porti loro. Posero Consoli in Tunesi ed in Tri- poli; nel regno di Marocco aveano pure colonie dove la facevano da padroni. Nelle isole Baleari , a Majorca nel XIII. ° secolo avevano i genovesi una loggia propria. Ebbero lega con i conti di Barcellona, e con i so- vrani della Castiglia ebbero pure convenzioni , ed un Nicola Calvi inviato di Genova si fece concedere pe' suoi il privilegio di abitazione, con fondaco, bagno, forno, cappella, presentazione di un cappellano, e tribù- 53 naie di due giudici proprj , nei piatì civili e criminali , meno quelli di sangue. Ne' Paesi Bassi , che furono per lungo tempo il ca- nale di comunicazione fra il commercio del mare Me- diterraneo e quello del Baltico , i genovesi mostraronsi numerosi e magnifici. Pare che sino dai primi secoli di nostra era ai ge- novesi non fossero ignote le parti più remote delle Isole Britanniche ancor pagane ( Serra stor. cit.). E pos- siamo dirlo ad onore che un re di Francia ed un d' In- ghilterra Filippo il Bello, ed Edoardo I.° in contesa fra loro , facendo compromesso ne' più rinomati navi- ganti, fra gl'italiani, scelsero soli i genovesi. In Italia finalmente era il traffico de' genovesi atti- vissimo, e singolare favore avevano presso i lucchesi (1) che loro donarono magazzini comodi , e fabbricarono appositamente fortezze per difenderli. Frequentavano assai Porto-Ercole , Civitavecchia , Corneto , Napoli , Manfridonia , Ancona , e dapprima anco Venezia. Per le dispute che Genova e Firenze aveano quasi sempre con Pisa, era tra noi e la seconda una ami- cizia utilissima ad ambo i popoli. Fu politica costante di chi signoreggiava in antico le riviere del Mediler- (1) Il chiarissimo Padre Prof, e Cav. G. B. Spotorno ha sco- perto una lapida in un muro della chiesa dei Xmila Crocifissi in Bisagno, che prova come colà vicino fessevi il cimitero dei lucchesi nel secolo XIII, segno che a Genova concorrevano non in poco numero; essa è del seguente tenore SEPVLCRV MERCATORV LVCEN : MCG : LV : 53 raneo Io averne dipeiidenii le isole, e sono notissime le aspre e lunghe guerre che i nostri antenati sosten- nero contro i mori , i pisani e gli aragonesi pel pos- sesso di Sardegna, della Corsica e delle Baleari. La Repubblica non trascurò neppure Malta , perchè stipulò un trattato con Enrico Pescatore che n'era padrone, ed in Sicilia poi era floridissimo il commercio suo. Le cagioni che tanto moto facilitavano, quanto al le- vante, sono dal Serra brevemente, ma egregiamente accennate , ed in generale non andrebbe lungi dal vero chi asserisse essere stato tanto fiorente il genovese mer- canteggiare per quelle arti stesse e quelle virtù che nelle nazioni più floride de' tempi meno lontani si os- servarono, e si osservano a dì nostri, meno le di co- storo crudeltà e prepotenze*. ( Sarà continuato ) _ MICHELE EREDE. • Su di ciò si terrà apposito discorso in uno de' seguenti paragrafi. L'IMPARZIALE (0 Non sa comprendere Chi ha sale in testa Una goffagine Maggior di questa Glie a tutti impongasi Spiegar partito Per la Taglioni 0 la Cerrito. Mai si ridicola Legge ho sofferto; Senz'urli e strepito Applaudo al merto. Ma non sacrifico 1 miei polmoni Per la Cerrito O la Taglioni. (i) La naturalezza e vivacità colle quali é scritto il presente scherzo che ci è pervenuto da Milano , ci hanno indotti a stamparlo. 55 Che vai conibricola Parlilo 0 scita ? Quando ragionisi D' arte perfetta Clii vorrà cedere Neppure un dito Dalla Taglioni Per la Cerrito? Pur se le rosee Membra vezzose Cerco e m' inebrio D' ardile pose Farce mei Domine Non do i talloni Della Cerrito Per la Taglioni. Gli Aristocratici I Magistrati Le Dame ascetiche I letterati Tutti concessero II serio ambito Alla Taglioni Sulla Cerrito. I caldi giovani La plebe ardente L'artista il celibe Che un vuoto sente Darebbe il lauro , Dio gliel perdoni , Alla Cerrito Sulla Taglioni. La Lambertinea Acquea Appendice Parole aglomera Ma nulla dice , Né fa divario. Se ho ben capito, Tra la Taglioni E la Cerrito. 56 Ma chi del tallero Come il Pirata Va dietro al sonito Più in là non guata, E a prezzo prodiga Le distinzioni Fra la Cerri to E la Taglioni. Lasciam che 1' asino Ragli a sua posta , Lei non può offendere Troppo alto è posta; Del vero io libero Seguace addito Pria la Taglioni Poi la Cerrito. Però m' infurio Se mente insana Dell'altra i meriti Niega e profana, E spesso encomio Per tai ragioni Pria la Cerrito Poi la Taglioni. TANA 9^si^ss:^:&^!S^tss:^^:s:^^^^^^^^^^^ss:^^s^^s^^ CHIRURGIA ESTRATTO DA UNA MEMORIA INEDITA DELL' AUTORE TRICHIASI È facile immaginarsi a quali molestie debba an- dare soggetto colui , che ha le ciglia rivolle sull' oc- chio ( Trichiasi ). Avvenga per ciò il disordine , che le sole ciglia malamente postate dirigansi contro quest'or- gano sensibilissimo, o si piegassero prima in dentro le palpebre ( Entropio ) , 1' ostinata cronica infiamma- zione, la pustula, e la fistola della cornea saranno i seguili più fi-equentemente osservali di questo pariicolar vizio delle palpebre , cui di leggieri potrà tener dietro l'opacamento della stessa cornea, ed anche la cecità. Ben si vede che qualunque cosa venisse proposta, onde rimediare ai danni dipendenti dalle ciglia così rivol- tate, questa non potrà non essere costantemente in- fruttuosa , se prima non si libererà l' occhio dall' offesa principale , alla quale è esposto , e da cui deriva come da causa perenne ogni altro disordine in esso osservato. 58 Perciò non farà meraviglia se già da tempi remotis- simi vi fossero de' chirurghi , che prendendo a consi- derare i danni per ciò arrecali all'occhio, pensassero del modo , con cui potessero questi annientare in un colla causa, dalla quale provengono. Fisso adunque sugli artifizj finora usati collo scopo qui inteso, debbo dire essere questi gli uni più , gli altri meno atti allo scopo medesimo , e tutti poi quando più , quando meno dolorosi. Tale infatti , sebben meno assai d' altre ma- niere, sembra essere quel travaglio dei due punti o fili di cucitura indicali da Ippocraie , con i quali ob- bliga vansi i bordi liberi delle palpebre a starsi rove- sciati in fuori ; e tale sarebbe 1' escisione d' un segmento di palpebra fin da tempi di Galeno e di Celso propo- sta e praticata, quindi dopo, e più vicino a noi dal Bordenave, Louis, e finalmente dall'ili.* Antonio Scarpa, e dalla maggior parte de' chirurghi ad ogni altro riparo giustamente anteposta. Ma fosse poi perchè alcun si sbi- gottisse del taglio , o fosservi di coloro , i quali cre- dessero di accollare il meglio sulla novità , così av- venne che si pensasse piuttosto di abbruciare con cau- stici 0 col fuoco tanta porzione di cute alle palpebre, quanta un ne dovrebbe recidere usando del taglio : e conviene credere potersi in questo modo ancora egual- mente rimediare all' incomodo della Trichiasi , poiché vediamo averne fatto uso nel decimo secolo un Rhazes, quindi Albucasi , Costeo , Scacchi , ed ora Heling , e Quadri , ed aliri molti ; cosicché sembri non doversi dubitare dell'utilità di questo abbruciamento. E certo è non essere da disprezzarsi l' impiego del caustico nel 59 iraitamento o cura di questa maialila , essendoché T ef- ficacia di esso or si vuole bastantemente confermata dall'esperienza d'uomini celebri nell'arte j e posso ag- giungere che nella scuola di clinica da me diretta più d' una volta m' occorreva di sperimentare il buon esito di simile iraitamento. Quanto possa l'arte di coloro, i quali intendevano di serrale il lembo di cute palpe- brale frammezzo due assicelle , e con ciò mortificarlo, piuttosto che trarlo via col taglio 5 se più nel modo usalo da Bartisch , od in quell' altra maniera del- l'Adrianson giovar possa l' industria nostra , lascierò ad altri il dirlo. Egli è vero però , che qualunque metodo o processo operativo fin qui nominato essendo costan- temente seguito dall' accorciamento della pelle della pal- pebra , il margine libero di questa colle annesse ciglia dovrà necessariamente allontanarsi dall' occhio ;, e rima- nersi poi debitamente postato. Alquanto crudele, seb- ben liberi dal male , parmi doversi dire l' operazione dello Schreger, cui unirei altra simile di S. Cooper, ed i processi operativi di Crampton , di Piichter , di Guthrie, di Saunder, e di Vacca Berlinghieri. Un ri- medio molto più tollerato, e che quantunque proposto, e da alcuni adoperato, ben difficilmente gioverebbe, quello direi essere, di cui usando, si marnerebbero le ciglia deviale opportunamente inflesse sulla cute delle palpebre. Si attribuisce ad Eraclide Y invenzione di que- sto altrettanto semplice quanto facile maneggio , e sap- piamo eh' egli obbligava le ciglia u rimanersi così ro- vesciate col mezzo di piccole liste di tela intonacate di cerotto glutinoso. Allri , ira i quali Acton , lanio più 611 di buon grado presero ad imitare quel medico di Ta- ranto, quanto più pareva loro che facile dovesse riu- scire , e di nessun tormento un impresa così volgare , da cui scorgo poco diverso queir altro processo ope- rativo simile , di cui , per quanto scrissero Galeno e Celso , usando , si terrebbero le ciglia in verso fuori rovesciale , serrandole tra due capelli passati presso il margine palpebrale mediante un comune e piccolo ago da cucire. A compiere la storia de' mezz;i fin qui messi in opera, onde liberare dai danni della Trichiasi, gio- verà in ultimo accennare lo strappamento reiterato delle ciglia, il quale se poche volte, e dopo lunghi inter- valli praticato si dee solamente considerare qual soc- corso temporaneo o palliativo, replicato un conveniente numero di volte , dopo i debiti intervalli , e nel modo indicato dall' arte , non manca d' essere coronato da salutare risultamento , traendo seco colla tolta facilità del successivo risorgimento de' peli delle palpebre la guarigione radicale e stabile di tulli gi' incomodi , ed infermità per essi apparse. Abbiamo da Galeno essere antichissima questa egualmente facile che semplicissima operazione di mano , e che Poppio fosse il primo a farla conoscere , e dopo di lui molli altri la adottavano , tra i quali voglio specialmente nominare il Maitre Jean , De la Motte , ed anche il Richier. Perchè poi ne' primi esperimenti di svenimento osservavansi presto ricom[)a- rire le ciglia già state svelte , e quindi piegarsi altra volta contro l' occhio , e con ciò rinascere o l' uno o l'altro de" disordini da esse dipendenti, e stali per poco palliali; così col fine di evitare cotesto inconveniente 6! pensarono alcuni di cauterizzare subiiamente la radice de' peli dapprima svelti , ora adoperando dell' acido sol- forico, ora del butiro d'antimonio, ed ora del nitrato d" argento. Ma scorgendo poscia che queste sostanze so- vente non bastavano , perciò occorreva facile di dover piuttosto abbruciare con piccole punte d'acciajo roven- tate il posto delle ciglia allora strappate, e per me- glio riuscirvi s' inventarono stromenti più acconci al proposto fine , tra cui ottimo un direbbe essere quello dello Champesme, giacché teniamo che abbia con questo suo stromento più volte guariti in modo stabile gli am- malati di Trichiasi. Volendo questo concedere allo Cham- pesme , ed a quanti altri amano vantarsi dell' efficacia di simile trattamento , non potrò tacere le difficoltà spesse volte sperimentate dell'esatto abbruciamento, né accetterò che non si debba con ciò soffrire alcun poco ; per lo che se fosse possibile di scoprire che mediante il solo svenimento debitamente fatto non manchi di av- verarsi la guarigione radicale di questo male , sarebbe questo un ritrovamento da considerarsi , e forse anche meritevole di essere ad ogni altro anteposto. E perchè di non poca importanza sembrerebbe doversi dire una ricerca di questo genere , volendo qui farmi il carico del lavoro , m' accingerò all' opera. Dico primieramente che da ogni malattia , molestia o disordine solito a pro- dursi neir occhio pel contatto delle ciglia contro di esso rivolle, potrassi preservare collo svenimento delle stesse fatto in tempo debito , e convenientemente. Ogni disordine , molestia , ecc. nella medesima parte , e dalla cagione medesima di già ingenerata si potrà costantemente 63 levar via , se adoperandosi il chirurgo in simil guisa , saprà allontanare dall' occhio la fonte de' patimenti cui scorgesi esposto. Ciò è tanto vero , e dalla giornaliera esperienza così a meraviglia confermato , che ogni ri- gorosa dimostrazione parerebbe se non inutile, almen superflua. Infatti e quali cose conosciamo noi più atte a liberarci dai malori , cui andiamo soggetti , se non sono quelle , nelle quali sta riposto il potere di annul- lare le cause , da cui traggono origine ? Dunque ogni danno arrecato all' occhio dalla Trichiasi , mostrisi que- sta perchè i peli delle palpebre si trovino essi soli non convenientemente nati e postati , od altrimenti avvenga di trovarsi questi sconvenevolmentc diretti per la più frequente ragione dell'Entropio, lo svellere i medesimi, quando non venga il danno da altro male pronto a sparire da se in un colla Trichiasi , o con farmaci , od altre blande maniere , lo svenimento , dico , sarà costantemente un soccorso palliativo , poiché per esso seguirà che cessi ogni molestia ed altro male dell' oc- chio dependente, se non sarà già di tanta rovina il caso' da esserne impossibile l'ammendamento. Ma la sola e semplice strappata delle ciglia un tal numero di volte , ed in modo convenevole eseguita , potrà parimente ri- sultare qual rimedio radicale, perciocché resti quindi sempre impedito il rinascimento delle ciglia , e perciò durevole il risanamento? Certo che sì, mentre l'espe- rienza maestra in tutte le cose questo e' insegna. Per- tanto mi sia lecito dire come il Rowley asserisse che dopo lo schiantamento più volte replicato più non ri- nascessero le ciglia , per lo che chiunque prometterebbe 63 la stabilità della guarigione così ricercata j Rowley, il quale parlava come sperimentatore, perchè fu dalle sue mani, e sotto i suoi occhi che si avevano risultati con- formi. Anche il Callisen , ed il Beer osservarono non riprodursi più le ciglia dappoiché vennero più volte strappate, ed io ricordomi che nel 1812 terminava di curare , ed aveva cosi guarito un contadino di settanta e più anni , che teneva tratto verso l' occhio l' orlo li- bero delle palpebre (Entropio) per allungamento e ri- lassatezza della cute esteriore : né si opponeva poi al ben stare di quell'individuo la persistenza dell'Entro- pio , è questo un difetto di nessun fastidio quando le palpebre serbansi spogliate de' peluzzi , che le ador- nano. A rendere di tanto elBcace la strappata delle ci- glia , è d' uopo replicarla dopo venti giorni dallo svel- limento prossimo , quando secondo il Bertrandi questi peluzzi palpebrali già si presentano tali da poter essere afferrati dalle nostre mani , e cosi seguitare finché si vedano non più rinascere , ciocché m' accadde di dovere scorgere djpo trenta o più strappate. Egli è inoltre necessario che giusta 1' avviso del Weller r estrazione delle ciglia venga fatta prendendole vicine quanto è possibile al loro punto d' inserzione con una pinzetta smussata, e che si strappino ad un tratto, se- guendo la direzione , nella quale sortono dalla palpebra. Non è delle sole ciglia che si possa aspettare risultali così desiderati allorché siavi bisogno di svenimento ; lo stesso succede de' capelli, e de' peli delle altre parti della faccia, e di qualunque altro luogo ove possano lussureggiare, Più d'una volta tolsi, cosi facendo, dei 64 ciuffi di peli alle guancie, alle labbra, alla fronte di persone, cui rincrescevano, o delle superfluità, o degli errori di luogo, e sentomi di poter assicurare che non so di aver avuto motivo di disgustarmi in queste in- traprese. Come poi succeda che i capelli, i peli tante volte e convenientemente strappati più non rinascano, non è cosa tanto facile a spiegarsi. Accade ciò forse perchè collo strappamento reiterato vengono una volta fuori anche i bulbi di queste pianticelle della cute, o vi è un nodo vitale fuori del bulbo che alla per fine dilacerandosi , 0 rompendosi, resti intercluso ogni som- ministramento di vegetazione ? Non è men possibile che dalla replicata dilacerazione e rottura debba molto sof- frirne il tessuto di questo nome, siccome sembra sof- frirne una pianta , la quale maltrattata in pari guisa , sovente muore. Oltrachè sembrami potersi aggiungere la facdità a chiudersi la via di questi corpicini filamen- tosi per un di quei processi di flogosi tendente a fare aderire, od attaccare tra loro le pareti di quel tratto di strada pria percorso dal pelo, se non si vuol dire che vi resti una cicatrice, anzi un callo, che rendasi poi impermeabile , onde avvenga di farsi impossibili il nuovo sbocciare del pelo medesimo, e la ricorrenza de mali, o delle deformità per ciò cagionate. F. BART. GHERARDI Prof- di din. Chir «ra8^njm«n«)08«B:S0S:S33:?a^ BIBLIOGRAFIA ornare dopo la morte — La devozione della Croce — L aurora di Copacabana— 'Commedie di Pietro Calderon della Barca tradotte da Pietro Monti con illustrazioni. Milano , dalla tipografia dei classici italiani. Utile cosa fanno coloro , che si danno a trasportare da una straniera alla propria favella le opere buone dell' ingegno umano. Poiché si adoperano essi per tale guisa a porgere un potentissimo alimento di pensieri ai loro connazionali , e vengono a diffondere ottimi libri , i quali non andrebbero altrimenti che nelle mani di pochi. Di che , mi sembra , che quanti mai oggidì si danno a volgarizzare scritture straniere, dovrebbero avere questo altamente impresso nella mente : che noi non abbiamo già bisogno d' inezie e di favole , ma sì di cose utili al nostro vivere morale , civile e politico 5 e che anche di troppo siamo quotidianamente oppressi 66 da una dannosa turba di verseggiami e proseggiand. Per la qual cosa se essi amano col tradurre di meritare la gratitudine di tutte le colte e generose menti d'Italia, non mai vengano a contristare questo nostro sorriso di cielo con quelle tante melanconie e tristezze oltramontane, che non ci possono valere ad altro che a farci precipitare in sì profondo sonno, da non essere nemeno sdormiti dal sole, né si attentino di mostrarci imbavagliate nelle nostre vesti quelle vituperose imagini che formano la suprema delizia di que' tenebrosi Dumas e Ugo, e di tutti quegli altri, che hanno fatta la via che guida all' eletto monte più oscura e intralciata di quella selva, nella quale disse essersi ritrovato il divino nostro Dante; ma bensì vestano italianamente quante vogliono di quelle scritture che sono possenti a farci apprendere amore di patria , ma verace generosità nelle azioni, santità di giuramenti, fedeltà di amicizie, sdegno contro gli iniqui e i vigliacchi, riverenza e compassione verso gli indegnamente sventurati e i non colpevolmente poveri, impavida fortezza nei giorni amari della vita, schietta temperanza nei giocondi. E allora quanti mai hanno seniimenio per l' onor nostro benediranno alle loro fatiche , e gioiranno nel vedere che gì' italiani prendono dalle altre nazioni solamente 1' oro non curandone anzi disprezzandone 1' orpello. La quale buona usanza , benché sia di dolore il pensare che forse assai tardi sarà da noi presa, per la tanta peste di scritture straniere inettissime che oggidì ci ammorba ; pure in questa miseria di cose viene all' animo conforto il vedere Y assiduo adoperarsi di alquanti generosi per I 67 sanarci da questa Insania , e per ritenerci coli' esempio proprio sul sentiero del bene. Fra i quali è a ricordare ''egregio sig. Pietro Monti da Como, che certamente ha dimostrato a preferenza di molti altri il modo, che deve tenere un italiano nel tradurre le cose altrui. Poca conoscenza avevasi in Italia della letteratura spagnuola, la quale non è poi tanto lontana dalla nostra, da non potere trasportarvene qualche suo bel frutto senza che punto egli traligni o stremenzisca. Questo prete che siede maestro nella spagnuola lingua ha voluto darci uso delle bellezze di quella letteratura. Nella qual cosa egli si è adoperato con tanto senno e maestria, che io non so, se egli sia più da ringraziare pel caro dono che ci ha fatto , che da lodare per l' abilità dell' ingegno che in quest' opera ha dimostrato. E poiché de' suoi primi saggi e della traduzione del Cid hanno tenuta onorevole parola altri , io anzi che ridire le lodi per loro date a questo valente traduttore , amo meglio di annunziare una sua nuova traduzione, per la quale la gioventù italiana potrà facilmente conoscere quale e quanto grande scrittore sia stato lo spagnuolo Pietro Calderon, che fra i suoi è primo nella poesia drammatica. Quattro sono le commedie che di questo poeta ci ha volgarizzate il sig.Monti, delle quali \\ Principe Costante in verso, le altre ire Amare dopo la morte, la divozione della croce, V aurora di Copacahana , con migliore sentenza, in prosa. In tutte però si vede la mano del miestro, che certo di non inciampare, francamente cammina , e dirò così , ti pone innanzi agii occhi una cosa, la quale benché abbigliata in una pulita veste 68 italiana , pure ritenendo sempre là forma intrinseca dell'indole nativa li si dà a conoscere per quale ella è , naia sotto altra guardatura di cielo. Leggano i giovani questa traduzione ; che da essa certamente imparei'anno a conoscere quanto grande scrittore sia questo Calderone del quale non sarà discaro udirne qui brevemente discorrere la vita e gli scritti. Pietro Calderon della Barca venne alla vita in Madrid nel gennaio del i610. Spese l'adolescenza nel dare opera a quegli studi che meglio si convengono a bennata persona , e in essi per V altezza di mente si porse agi' istitutori discepolo di bellissime speranze. Nel fiore della giovinezza entrò alla corte reale, assai bene accolto e favorito da alcuni grandi , che per avventura stimarono moltissima riverenza ed amore doversi a un giovine , che si per tempo era venuto in tanta eccellenza di bontà e di studi. Quella vita cortigianesca piesto però riuscì vile ed ingrata al Calderon , il quale , come entrò in conoscenza della miserabile sorte di chi invilisce neghittoso nella casa dei grandi, ne senti per sé altissima vergogna, e destinò di rapirsene. Erano in quei tempi più che mai fortunate e temute le armi di Spagna. Ancora viveva nella mente degli uomini calda la memoria del gran Consalvo, che aveva cacciati alle estreme loro lane i Mori , e aggiunto air impero di Spagna il nobilissimo regno di Napoli. Ancora per l' universo mondo rimbombava altissimo il grido delle regioni discoperte, dei nuovi climi incontrati dal meraviglioso genovese coli' aiuto delle armi spagnuole, insomma risonava gloriosissimo il nome di Spagna da 69 un capo all'altro d'Europa, e sembrava die quella nazione fosse per arrivare a tanto di possanza da divenire signora e padrona di tuite. Tanta gloria infiammò il Calderon, e alt^imente 1" imbramò di darsi al mesliero delle armi , facendogli sorgere nell' animo sdegno d'essersene stalo anche di troppo avvallalo in casa in un lento ozio, mentre gli altri giovani cavalieri duravano in oste animosamente a prò della patria. Aspreggialo da tale vergogna, brioso di giovinezza, nel suo 24 anno indossò l'armi, e guerriero di Spagna militò nelle Fiandre e in Italia, nella quale, quanto egli abbia ritrovato per ogni conto da giocondarsi , si potrà facilmente conoscere da chiunque pensi che iu questa terra, che parla d'amore e di dolcezza a quanti mai le Si avvicinano , il giovane spagnuolo si sentì altamente sdormentire nell' animo quel sentimento che più bea gli uomini quaggiù, e si conobbe chiamato dalla natura a quegli studi, che tanto avevano fatta allegra di dolcissime speranze la sua adolescenza; e in essi tanto poi si travagliò, che ben presto venne in grido di eccellente nella poesia drammatica. La quale rinomanza poi tanto si diffuse, che in breve fu il Calderon richiamato in (spagna dallo stesso re Filippo, il quale stemprato in una oziosa vita, lasciava andare le cose del regno a regola del feroce Olivares , per potersi dare liberamente tutto ad una vita non so se mi debba dire cavalleresca o vituperosa. Se ne visse il Calderon alla corte reale quattro anni, amato dai sapienti, riverito dai grandi, adoralo dalla nazione , che egli veniva tanto dilettando e nobilitando con que' suoi altissimi lavori drammatici. 70 Pure, 0 sia che quel modo di vita non fosse bastevole ad occupare pienamente le sue voglie , o che in quel suo animo ardente non si fosse del tutto afGocaio il desiderio di salire in fama di prode guerriero, noi vediamo, con estrema nostra meraviglia, il Calderon conturbare volontariamente quella benedetta tranquillità di vita , nella quale egli si era adagiato , per unirsi alle bande spagnuole , che condotte dal duca Olivares andavano nella Catalogna per ostare alle voglie di quel regno. Presto però la Catalogna ritornò all' obbedienza di Spagna; di che sciolte le bande dell' Olivares, il Calderon si condusse alla corte , nella quale è per noi oscuro quanto tempo vivesse; questo però possiamo con certezza affermare , che egli nel suo 48 anno si ritrovava in Alba col duca di questo nome , d' onde il re lo chiamò a sé pel disegno dei grandi archi trionfali eh' egli volle innalzati, quando Maria Anna d'Austeria entrò in Madrid. Bisogna però pensare che il Calderon si sentisse già stanco delle mondane cose, le quali forse di troppo Io storcevano dagli studi-, poiché dopo due anni egli depose la spada e si fece prete; nella quale sua nuova condizione di vita fornito a dovizia di domestica consolazione visse ritiratamente in Toledo, e colà forse avrebbe passato il resto della vita , se non fosse stato forza che egli tornasse di nuovo alla corte reale , ardentemente desiderato dal re, il quale per averselo vicino lo creò suo cappellano , arricchendolo di quanti doni un potente signore può compartire a un suo favorito. Tale si fu il Calderon fino al 22 di maggio del 1682, nel qual 71 giorno egli uscì di questa viia, lasciando di sé aliissimo lutto e desiderio nella Spagna, e alta fama di valente drammatico nell' Europa. Diversissimi sono i giudizi dei critici su questo scrittore , che dettò meglio di 1 00 drammi , di -120 commedie, ed altre moltissime svariaiissime scritture. I tedeschi Io hanno in altissima stima e non dubitano di predicarlo artista divino. Gli spagnuoli al contrario tengono altra sentenza, e con troppo d'austerità giudicano il loro più grande poeta drammatico. Noi non amando qui prendere fiamma né parte , verremo brevemente recitando e le accuse degli avversari e le ragioni dei lodatori. I critici adunque chiamano primieramente il Calderon in colpa di non aver serbata unità di luogo e di tempo, si sdegnano seco perché nelle sue commedie fa girare quella irrequieta sua fantasia per 1' intero mondo , trasportando ora i suoi personaggi dalle ridenti pianure dell'Italia alle nevose montagne della Svizzera, ora dall' Acaia alla Sicilia , per ritornarli poi da quella allegra terra alle sconsolate solitudini dell' Affrica. Vi aggiungono che é veramente una compassione il vedere come egli svisa i personaggi , come stravolge i fatti della storia. E più poi gli si rabbuffano addosso quando sembra che egli voglia accomunare l'albagia e l'alterezza di pochi a tutta la sua nazione , sopra la quale troppo sanguinosamente , dicono essi , fa girare il flagello della satira. Né qui si fermano , che ancora Io rinfacciano di avere fallito ad un nobilissimo segno , coli' avere fatte le sue commedie pessima scuola di morale , osando in esse di mostrare ai giovani come si rompe 72 ;mpudeniemenie quanto di più santo la natura ha posto nel cuore dell' uomo. I lodatori però del Calderon a queste accuse pongono a fronte moltissime discolpe. Che si debba , dicono essi , serbare o no unità di luogo o di tempo ne è stato giudice il popolo, il quale assai più facilmente può venire ammaestrato e dilettato da un componimento , che lo mette in piena conoscenza dell' azione principale , facendogliela vedere annodata con altre secondarie, ma non punto estranee, per le quali essa riceve continua vita e svariatissimo moto, solo atto a pigliar l' animo degli ascoltanti , che da una azione rigorosamente una , la quale facilmente languisce in varie stentature, se non è sostenuta da una prepotente forza d'ingegno, che è veramente cosa di pochissimi. Che in alcune commedie poi di questo poeta si ritrovi qualche volta bruttata la verità della storia non molto importa, come si voglia considerare le infinite bellezze , che a comune consentimento per entro a queste commedie si ritrovano , e come anche si pensi , che tale peccato si può ascrivere in gran parte a carico della grossa ignoranza degli amanuensi, dei quali tanto lo stesso Calderon acremente si lamentava, che alla spensieratezza 0 inscienza del poeta. Contro al quale movono poi una troppa bruita guerra coloro che Io accusano d'avere svisato il carattere dei suoi connazionaH, poiché non avvisano essi , oppure non vogliono avvisare che con questo vengono ad appuntare di falsità quante mai storie «oi abbiamo di quei tempi e a togliere al poeta una delle lodi più degnamente meritate quale si è quella di avere con assai verità dimostrati i vari modi di vita Jei suoi, e smascherali i vizi della nazione. Fra i quali se egli troppo si squarcia la bocca a mostrarne un laidissimo , gli si potrà fare perdono come si pensi quai tempi que' si fossero, e quali tristizie insozzassero il mondo. 3Ia dove i lodatori del Calderon menano piena vittoria sopra i loro avversari, e supremamente ne affiac- cano le armi , egli è quando si fanno essi a parlare della immensa vena poetica di questo spagnuolo, della fecon- dità neir inventare , dell' ingegnosità nell' ordire , della novità e felicità degf intrecci , della forza e delicatezza dei caratteri, della continua varietà delle situazioni drammatiche. E certamente nessuno può contrastare questi pregi al Calderon , il quale con tutta ragione viene chiamato la fenice dei poeti castigliani. La sua vena poetica è veramente omerica ; non mai ella si ar- resta per inciampamenti, non mai inaridita languisce ma sempre scorre maestosamente , e si mostra inesausta! D. questo possono fare altissima ragione le sole quattro commedie volgarizzate dal signor Monti; perchè di tali bellezze più che assaissimo abbondano. Si dia colui, cui sembrassero queste nostre parole troppo amorevoli' a scorrere le due commedie, che hanno per titolo,' Amare dopo la morie, L'Aurora di Copacabanà, nell-una delle quali il poeta prende a subbietto il supremo adoperarsi dei mori per iscuotere il giogo di Spagna , e la memoranda levata d" armi che fa tutta questa animosa e troppo indegnamente disfortu- nata nazione per cacciarli nella più bassa fortuna; nell'altra poi le ardimentose imprese del Pizzarro , che con pochi compagni s' aftida a sconosciuti mari , e tutto conquista il vastissimo regno tleÌ Perù; e al- lora vedrà con quanto di ragione si possa chiamare il Calderoa non solamente primo fra i suoi, ma ancora non ultimo certamente di quei pochi che sono venuti nella più alta eccellenza dell' arte drammatica. NlCOMEDE BIANCHI IVTOVE SCOPERTE ARCHEOLOGICHE A TAGGIA Nel p. p. mese di ottobre , mentre un contadino nella regione delta dei Castagneti , quasi due ore al nord di Taggia, attendeva a recidere alcuni aridi e infrut- tiferi rami ad un gigantesco e vecchissimo albero di castagno, caddero a terra alcune rugginose Treccie ed un arco di acciajo , il quale si spezzò in due pani Tutte queste cose , come poi si comprese , stavano nas- coste nella cavità di un di quei rami , chi sa da quanto tempo ? E se quel ramo era già cavo all' epoca , in cui servì di nascondiglio, quale longevità non deve vantare la pianta? Le freccie non (;rano più lunghe di due dita in circa , poiché il gambo era traforato in lungo , ed in quel foro entrava verosimilmente il cosi detto astile ( V. Yirg. Eneid. 3. 37.) di bosso o di mirto, o d'altro 7C legno forte e consistente. Tra queste freccie trovossi anche un giavellotto , ( una specie dello Jaculuni dei romani ) che comunque alcuni confondano colla freccia, pure , rigorosamente parlando , era fatto diversamente , perchè lanciavasi colla mano , come un sasso , allorché il nemico era molto vicino. Però questo giavellotto, come lavoro del medio evo, era alquanto grossolano, assai pesante, e niente più lungo di una spanna. La sua base era piatta e larga alquanto , spaccata ad arte in mezzo , e della grossezza del pollice. La forma ne era conica prolungata, e lungamente acuminata-, anzi la punta, lunga un poco più di ire dita , faceva al principio una leggiera e piatta curvatura , acciocché rimanesse più fa- cilmente infitta nel corpo, e non cadesse; e l'estremità della medesima punta terminava a foggia di una grossa lesina. Il luogo resta un'ora in circa distante, e all'oc- caso del monte San Giorgio, ove già annidarono i Saraceni venuti da Frassineto 5 come si ha per costante tradizione , confermata dal Doit. D. Domenico Anfosso , Sacerdote di Taggia , in quel suo libro , De sacrar. Reliqidar. calta eie. % 8. num. 53. pag. 63. — Questo monte , di cui fa menzione il P. Epifanio Ferrari , Bar- nabita , nella sua Liguria trionfante , ed il Barone di Malzen, Monwnens d.Jjitir/uité Romaine etc; è come una vera penisola circondato dalle acque del fiume Ta- hia , e verso la metà della sua elevazione é tutto cinto air intorno da un solidissimo muro , difeso da alcuni bastioni , quasi distrulli. Sulla sommità del monte gince una breve pianura , ove sono tuttora visibili le iraccie d'una cappella già dedicata dai Longobardi a S. Giorgio. 77 Aliti falde di dello monte, verso nord-esl, rimangono ancora in piedi i due piloni di un arco di ponte le- vatojo , denominato il Ponte della Canaglia , lavoro tenacissimo , contro di cui infuria inutilmente il coar- tato fiume. Verosimilmente i di sopra enunziati mili- tari arnesi vennero entro quel ramo occultati nella sud- detta epoca Saracenica, mentre quei barbari dal monte S. Giorgio andavano foraggiando per le adiacenti cam- pagne, e insidiando alla vita dei coloni. Alla distanza quasi di un' ora , nella parte più recondita e più cupa del bosco , esiste una Chiesa sotto il titolo di Santa Maria Maddalena , fabbricata , dicesi , appunto in quella parte segreta in tempo del dominio Saracenico, e poi consecrata da tre Vescovi colà rifugiatisi in oc- casione della terribile pestilenza , che alllisse queste contrade dall'anno -1524, al '1529. — La tradizione, ed un antica e rozza pittura esistente dalla parte del vangelo in quella Chiesa , non che le solite croci sul muro intorno , attestano il fatto di quella memoranda consecrazione. Se la longevità supposta di 900 e più anni potesse sembrar incredibile per un albero di castagno , con- verrà dire , che quelle armi furono in quella cavità deposte da alcun masnadiero in tempi a noi più vicini. La seconda anticaglia venula recentemente alla luce in ([uesio mese è una freccia di ferro , ossia acciajo , lunga poco meno di un palmo , e trovata nello scavar la fossa ad un ulivo, per concimarlo, nella regione ap- pellata Solino , limitrofa ad altra detta Fascia-lunga. li gambo quadrato, e lunghissimo della freccia, molto 78 somigliante a quello di un chiodo , va gradalamente acuminandosi , e lermina in acutissima punta ; esso do- veva probabilmente esser compreso in gran parte nel suo astile , ossia manico , che imputridì senza dubbio nelle viscere del terreno , in cui rimase sepolto quasi 300 anni; imperciocché una tale arma si reputa colà rimasta nel \ 564 in occasione della zuffa terribile fra i nostri padri ed i pirati Africani , i quali venuti in detto anno sopra venti e più fuste in numero di 3500, osarono di assalir Taggia nel dì 1 1 di giugno, ma non venne lor fatto di penetrarvi. Dice a tal proposito la nostra cronaca : = Collocaverunt se Hostes in locis , ubi dicitur , La Croce, il Chiazzo, et Fascia-lunga , omnia replentes tainquain locustae : et sagittis ac tormentis nianuariis , quibus satis armati et ìnstructi erant , conabantur nostros e muris ac fortalitiis ey'icere. = Saccheggiarono bensì il convento dei Padri Domenicani posto fuori della terra , non già la terra ; come erroneamente scrive il per altro accuratissimo Muratori ne' suoi Annali , ed il Cibo : anzi il detto an- nalista italiano sbaglia anche nell'anno, ascrivendo un tal fatto al 1560, quando ebbe luogo nel ^564; come consta anche dagli alti del parlamento di Taggia. In memoria di tal vittoria riportata dai nostri si fa ogni anno una votiva processione in quel giorno , rendendo a Dio le grazie a lui dovute. Noi abbiamo sopra questo argomento un bernesco poemetto in ottava rima , scritto in lingua del paese dal Dott. Stefano Rossi, già Pro- fessore di medicina nell'Università di Pavia, e stam- pato nel 1640. E per mettersi il popolo di Taggia al 7» coperto di altre simili aggressioni , fabbricò un forte al littorale dell'Arma, sul muro del quale appose in marmo questa inscrizione : Tabiates crebris Turcarum inccrsionibus vexati Quo SIBI ET POSTEP.IS TUTIOREM SEDEM PARARENT Hoc Propugnacclum Titulo Annunciatioots nuncupatu CuM Tabella mnjE vetustatis hic inventa erexere Anno a Partu Virginis MDLXV. die XXV. Martii. La Tabella in questa inscrizione enunziata è una Lapide Romana , riportata dal eh. Muratori == JYov. Thes. veter. Inscrip. Tom. ]. Class. ]. pag. XCL num. IL = Tosto che ne avremo l'agio e l'opportu- nità, sarà essa l'argomento di un nuovo nostro arti- colo archeologico. Taggia, 21 gennaio 18i3. VINCENZO CAN.'=° LOTTI l)i questo srritto siamo obbligati alla gentilezza del chia- rissimo Padre e Cav. Prof. G. B. Spolorno, cui piacque favo- rire il nostro periodico sul nascere; dolce incoraggiamento fra lante noje clie accompagnano la pubblicazione di un nuovo giornale. 1^®-®-^-®-®®-®-® @-@-#@-0®-@ @^@-@-@-®-@>®-@ a ^O-^©-® ® @ (3^#@-@ UGO DA CORTOIVA DI SAVERIO BALDACCHINI Il poeta è il filosoro del popolo Giordani Ufficio esser deve d'ogni poesia guidare gli uomini al vero col soccorso del bello — per questo più che altro fa d' uopo dirìgerla a narrare generose imprese , ad infondere castissimi affetti ed universale amore per r umanità. — In tal guisa avviata questa figlia del cielo diverrà potente mezzo di sociale miglioramento, perchè ognuno, come in terso cristallo, vi scorgerà raffigurati i pensieri , le passioni , i destini dei popoli. Se in mano dei retori e sotto la influenza delle sette , sovente la vediam fatta venditrice di nude parole e di ciance , essa poesia non è , o se pur ne ha le forme , dovrà reputarsi guasta e fuorviata, perchè non con- ducente al suo vero ed unico scopo. Della qual cosa , la Dio mercè , non abbiamo a dolerci nel presente caso poiché il Baldacchini colla cantica che imprendiamo ad esaminare mostrò d' intendere e adempì r importante missione legata al poeta. — Seppe in sin- goiar modo adornare con 1' armonia e 1' incanto del verso un innocentissimo amore , un amore il quale in- spira al Cortonese Ugo il generoso pensiero di accor- rere in difesa della rinascente Greca libertà, assalila e pericolante sotto il maligno influsso della Luna ot- tomana. Qual causa più santa di quella degli oppressi ? . . . Di quale più bella fiamma può ardere un cuore ita- liano ? . . . La Cantica del Baldacchini ha principio in Ve- rona — dove Teodemira , appena varcalo il terzo lu- stro , vivea miracolo di beltà e di candore — e in quella età appunto nel Cortonese Ugo imbattevasi, e i loro cuori per la prima volta si aprivano alle amorose sim- patie — colla frequenza i loro amori fortificavano — ma Ugo parte. Dal giorno in cui la donzella mirò l'amante allon- tanarsi sul bruno corsiero colta rimase da quella specie di melanconico senso che fa sembrare impassibile nel- l'atto che lentamente distrugge chi n'è preso. — È pre- sente ai tripudii delle danze dei prandii ma non ne divide le gioie. — Lo spirito vola in cerca del lontano Ugo — a lui i desideri , il pensiero che non confor- talo da speranza di ritorno la misera uccide. Ed Ugo? — Ugo a ristorar la fama de' nostri , a ren- dersi degno d' amore s' adopra in difendere dal ferro 82 musulmano la rinascente Greca libertà. — Fa inclite prove di se — e vede i suoi sforzi coronati dalla vit- toria e da pace durevole. — Bello di gloria Ugo ritorna alle sponde dell" Adige — e qui ode il miserando caso della sua Tcodemira. Abbandona nuovamente 1' Italia — nell' ebro Parigi tenia obbliare il suo amore — ma indarno. — Va sul Tamigi — nella patria d'Aroldo, ricca di domestici affetti e di candide vergini , non trova la pace sperata. Quindi incamminasi a quella terra che dopo colante Trascorse etadi animo ostil rinserra Conlra l'itale glorie passa irrequieto sulle rive sassoni e borusse — d' una in altra regione trae seco un amor doloroso. Non guarito e prematuramente vecchio Ugo rimpa- tria. — Oggetto di ribrezzo all' uomo , di compassione alla donna il di cui animo è quasi sempre aperto a' sensi gentili — stringe un pugnale per metter fine ad una vita sconsolata. — Ma la visione di Teodemira ne lo rimuove. — Getta il ferro e stendendo le braccia ai sognati amori — trapassa. — sia pace A clii nel nome del Signor si muore. Ognun vede come dalla presente distribuzione di ma- terie s'apra al poeta vastissimo campo a ragionare d'usi, costumi e passioni di popoli diversi. — Se non paresse troppa temerità lo investigare l' intenzione dell' autore , 83 oserei quasi affermare aver egli voluto imitare il Pel- legrinaggio d'Aroldo — al quale se rimane addietro nella sublimità dei concetti , e nella sorprendente forza della fantasia , molto si avvicina nell' affetto e nella dipintura del vero. A' nostri giorni distinsero ogni poesia in oggettiva e suggettlva — alcuni diedero a quest' ultima la pre- ferenza. Il poeta suggettivo , osserva un moderno scrit- tore, a vece di domandare inspirazioni al mondo ma- teriale ed alla immaginativa — di nascondersi nelle proprie opere (il che è del poeta oggettivo), in esse trasfondesi, si fa parte massima del quadro e perno a se stesso^ in tutto colora la propria immagine, dentro se discende, e ritraendo passioni dalle quali si sente agitato vi trova potenza che basti a descriverle perchè profondamente sentite. Poeti di questa fatta furono con- siderati Byron, Lamartine, Dante. Alfieri. — A'quali (se- guendo la distinzione senza pronunziare sulle due ma- niere di poesia ) mi piacerebbe aggiungere il Baldac- chini ; al quale giudizio fondamento è quel suo modo di considerare più nel particolare che nel generale , più nel concreto che nell' astratto le contingenze del- l' umana vita — quel vederlo spaziare sciolto dal mal- augurato assunto di fingere — quel poetico sperimen- talismo che fa intravedere nell'autore lungo studio e, per così dire, empirico di se stesso — l'intendimento di porre negli scritti il proprio pensiero ed affetto — e un affetto potentemente sentito guidava la penna a ri- trarre le care sembianze di Teodemira — 8* « A lei com' oro su 1' eburnee spalle Del biondissimo crin piovc.m le anella, A lei lo stesso azzurro , onde si pure De l'italico ciel sono le sere, Vedevi tremolar ne le pupille. A la novella peregrina, tutta Candor, tutta sorriso, oh come bella Parca la vita , che mandava a lei Queir arcano profumo , onde le menti Da un'insolita ebbrezza possedute. Volano dietro a' be' fantasmi , i quali Ahi ! sì presto oscurarsi e sparir dcnno. » E r animo proprio esprimeva narrandoci la tempesta del cuore, l'ardente sete di gloria, e quella nube di tristezza che offuscava la fronte del generoso Corlo- nese, e certo di non sfumato amore ci avvisa la pu- rissima voluttà di que' versi — « Soli inoltrano, è ver, ma van con essi Mille speranze giovanili , e s' apre U(i cielo d' inetrabili diletti AÙa loro pupilla : inoltran soli , Ma qual pensier men puro o intemerato , Ove ne' cori primavera rida , Surger potria? Bastano poche allora Sommessamente mormorate voci. Sentir ne basta 1' alito odorato De la cara persona, ed il suo volto Ne basta contemplare in una lunga Estasi muta , infin che obblio ne prenda Di tutte cose e di noi stessi , e solo Ne l' adorata immagine si spiri. » Quanta religiosa carità regna nelle parole rivolte a quelle deluse che aggirale dall' ebbrezza de' sensi , e da jnomenianeo fasto sedotte vivono dimentiche dell" umile nativo tugurio e del candore primiero ! . . . Hit « misere, v' increbbe Una Innocente povertadc, il puro Aere v' increbbe del natio villaggio ? E le semplici giojc e le preghiere Poteste anche obbliar del di festivo, E i canti con le tenere compagne Ne la Chiesetta de la Pieve? ah! quelle Piume insolenti calpestate e i veli Ed i serici drappi ed il fulgore , Che tanto v'abbagliò, di quelle gemme. Deh ritornate agli umili tuguri A le madri diserte! innanzi ad esse Prostratevi nel pianto , ed ascondete Nel grembo lor, che noi potreste altrove, Le fronti , sopra cui l' infamia or posa. Forse mangiato il pan del pentimento. Amiche al Dio, che volentler perdona. Belle sarete un' altra volta. » Ad altre e molte considerazioni darebbero luogo i presenti canti se tale di siffatte materie intendentissimo perchè valente poeta egli stesso , non ci avesse pre- venuti nel porre in chiaro la grande disinvoltura con cui il verso sciolto è maneggiato dal Baldacchini — la di lui somma perizia nello addentrarsi nei misteri del cuore umano — la fedele dipintura delle passioni ond' è quasi sempre agitato — la nobiltà finalmente e religio- sità de' sentimenti che governano il cantore di Ugo. — Finiremo pertanto col raccomandare la lettura di que- sta bellissima cantica agli italiani , i quali se di beile ed utili cose non patiscono penuria, pajono alquanto all' usarne indolenti ed avari. Che se a qualche appun- tino ( come direbbe la buon' anima del Padre Cesari ) venisse in mente di reputare improbabile la passione d' Ugo , la quale dopo tanti svariali viaggi ed argomenti 86 molliplici di distrazione , punto non perde della sua intensità , parrai potersi scusare colla diversa tenacità de' temperamenti in cui l' affetto pone radice. A chi talentasse notare qua e là nella cantica, o del rimesso nella dizione , o del monotono nella forma , non contrastando la verità dell' asserto , mi farò lecito contrapporre che soventi volte il vizio (come osserva il Girard ) deriva dalla ripetizione dell' idea più che dal suono , e che dove questa acconciamente ricorra è vizio di schifiltosi lettori lo apporre agli scriventi il ricorso della parola. Comunque siasi queste sarebbero mende di poco o niun momento, massime se consi- dero come a dì nostri sia invalso di troppo l'andazzo del leccume e dell' artifizio nello scrivere di poesia. — Artifizio e leccume soverchii e dannosi all' importante fine del poeta , d' essere cioè , compreso dall' intera nazione, onde giovare al popolo che è la più nobii parte dell'umana famiglia. AGOSTINO CHIAPPORI. 4^;!88888885i!S8S888S«888i«!SSiSJiSi8^»S8i?S5ÌS8iS5»5.?i^ CONTINUAZIONE DELLA MEMORIA DE LA REFORME DES QUARANTAINES DEL CH. L. A. GOSSE Guidato dalle ricordate amiche dottrine , ammettendo allora; che la putridità sia sempre cagione di esala- zioni infettanti e ammorbatrici , lo che bellamente ve- niva illustrato e chiarito dagli sperimenti dell'immor- tale Raglivi, operati colla injezione nelle vene di materie imputridite; ed ammettendo ancora, che sotto deteriori circostanze la putridità possa farsi cagione sostanziale di contagii e di morbi contagiosi, di che offre solenni esempli la scienza-, contagii o spontanei nel corpo vivo, (di che si aveva e si ha una prova invincibile nel contagio che si svolge nel can rabbioso ; il quale è comunicato al- l'uomo, ed io non so bene con quali dimostrazioni siasi potuto definire a qual numero di successivi innesti non sarà più comunicabile ) , od altra volta ingenerati prima fuori del corpo, e nel corpo riproduceniisi dopo averlo 88 contaminato e percosso; io posi tre categorie di agenti morbosi, cioè: — Le esalazioni putrescenti — I contagii da fermento putrido interno — I contagii da putridità estrinseca. Di qui progredendo coli' antico secolare edi- ficio della medica sapienza, e rammentando le modi- ficazioni recatevi da classici maestri (Sennerto, Fer- nelio ecc. ) , quando insegnarono, che esistevano modi di corruzione delli materiali organici, i quali non pote- vano dirsi identici colla ordinaria putrefazione; fui por- tato a riconoscere, che, se una materia animale in disfaci- mento era la sostanza d"ogni contagio (locchè veniva in- dicato molto bene dalla facoltà propria ad ogni contagio di moltiplicarsi entro noi a spese degli umori nostri maravigliosamente), non era però ristretta ad un solo comune processo di putrefazione la genesi dei contagii medesimi; ed anzi di alcuni, esotici particolarmente, la origine pareva più che misteriosa; e non era a pen- sarsi, che si sarebbe scoperto con facilità quel gruppo di condizioni tult' affatto proprie e speciali, che aveva presieduto alla prima creazione di alcuni: Tal è la pe- ste egiziana; tale il vajuolo arabo, quantunque fra noi perpetuato e per la sua frequenza notissimo. Intanto però come uno dei possibili modi di corruzione, quello •^■•a noto affatto singolare e generatore di agenti singola; .ssimi ( i miasmi propriamente delti ) ; cioè lo squagliamento e scomposizione di tramescolate sostanze animale (1) e vegetabile in acqua fangosa o palude, (1) Non ignorai che per più minute ricerche alcuni hanno pensato che il concorso di sostanza animale non fosse punto necessario, (V. Enciclop. di med. prat. art. Mal' aria); ma a 8» che pur tal volta era stato, come sopra è accennato, origine di miasmi, o per connubio di contagio o per più alta loro malignità , contagiosi. Quindi una terza categoria di contagii-miasmi; ed una quarta di origine indeterminata. Inoltre io ricordava, siccome parte della ereditata sapienza , quelle altre modificazioni , che alla dottrina della putridità; dottrina più che antichissima, ma insieme dottrina di vero e forte progresso; dalla quale si addimostra la sostanziale parentela di tutti i prodotti dell'organico corrompimento ; dalla quale si commenda e comanda per tutti la igiene della pubblica e della privata e individuai pulitezza-, dalla quale è spiegato, per quando vorranno intenderlo i ricchi di nascita, o di fortuna, che si debbono rendere comuni a lutti i mezzi d' igiene 5 sotto pena di dover respirare nelle città quell'aria sortita dai canili del povero, la quale abbrevia inesorabilmente la vita di questo e di quelli, siccome ormai per le statistiche è provato ir- resistibilmente dal calcolo. Infine io ricordava quelle altre modificazioni , che alla dottrina della putridità erano portate dagli jatro-chimici (Helmonzio, Silvio, que' scrittori credo sia sfuggilo di riflettere agli infusorii, del quali miriadi periscono nelle acque , ed in ogni acqua cor- rompentesi , sol eh' essa muti stato di metamorfosi , per es- sere rappresentati o suppliti da miriadi di altro genere: ciò bastava a provare, che una materia animale non può mancare mai dove si formano i miasmi. Quanto ai miasmi occasionali talvolta per le condizioni del terreno senza palude, bisogna ri- chiamare le generazioni di vermini annidanlisi nei terreni umidi anco a certa profondità; e gii infusorii. che il sig. Ehrcmberg trovò innumerabiti in un banco d'argilla a venti piedi di pro- fondità sotto Berlino. 90 Willis ecc.)-, i (inali appunto insegnarono 5 che pro- tloiii organici malvagi, conformi per proprietà con- tagiosa, ma diversi per altre proprietà, avevano sul corpo vivo, ammorbandolo, il poter di Fermenti, sic- come eglino nominaronli appropriatamente j e non sol- tanto valevano a percuoterlo di specifici morbi , ma ancora a moltiplicarne il seminio e le vittime. Allora vicino a me e lontano da me in Italia do- minava ampiamente il solidismo Browniano e contro- stimolistico , dal quale io ritraendomi mi accostava a quelle antiche fonti; allora erano universali nella vi- cina Francia le proscrizioni della dottrina Galenica (1); allora non pur poteva sperarsi l' aurora d' un giorno futuro , qual io non pertanto preconizzava , nel qnal giorno la chimica moderna armata di mezzi, che im- probità sarebbe apporre a colpa dei nostri maggiori s'ei ne mancarono, ci avrebbe provato, che in quei tanto e tanto derisi Fermenti, scintilla di genio aveva prenunciati a que' sommi , i più alti ed importanti mi- sterii della chimica organica. Pochi Boeraviani soli , e gravi d'età, ai quali pur mollo io debbo, rimanevano, perchè la scuola d' Ippocrate non fosse affatto spenta in Italia; ed uno solo qui stava, divari, e poco potè (1) Vacca Berlingieri Padre in Italia e Giuseppe Frank si di- sputarono al principio del secolo l'onore, chi prima di essi avesse rovesciata l'antica dottrina della putridità, contro !a quale s'av- ventarono mille ; ed in uno dei dizionari francesi posteriori al grande si trova scritto dei Fermenti ; che sono « un moyen » facile de rendre raison des phenomènes plus grossiers des » maladies, et de capter la faveur du public cn caressant ses » prejugès. » Dict. de med. et chir. prat. art. Humorisme. 91 mandar luce male apprezzalo qui , qui dove io accet- tava di rappresentarlo, e nella sorda contrarietà (che aperta non vi fu chi si levasse a farla ) dissi a me -, sta nel vero, e sostieni. Oggi adunque la chimica, interpetrando quei medesimi più anticamente noti fatti di dissolvimento organico, dai quali cavate avevano in- duzioni e dottrine i scrittori antichi di cose mediche , e con nuovi fatti illustrandoli, ha bene dimostrato: ] .'•' che vi sono prodotti organici entrati in decompo- sizione, che si arrestano nella lor metamorfosi, pronti a rientrare in un progressivo periodo di struggimento al capitare in appropriate circostanze 5 ed ancora ad imprimere ad altri principii una metamorfosi di de- composizione: così il lievito portato a contatto dell'acqua zuccherata dà movimento alla metamorfosi, che trasmula lo zucchero in acido carbonico ed alcool: così il ca- glio mula lo zucchero in acido lattico per diverso ag- gruppamento delli identici suoi elementi e di lutti. Così la sinaptasi decompone 1" amigdalina in acido idrocia- nico, idruro di Benzoile, zucchero, ed un acido par- ticolare; de' quali prodolli l' amigdalina conteneva sol gli elementi: cosi le semplici esalazioni putride, ed i miasmi paludosi in generale; le une e gli altri non elevati a potenza di contagio, pioducono malattie, nelle quali non si riproducono comunemente. 2.*^ Che tali agenti eccitatori rigenerano pur talvolta se medesimi ; e ciò tanto più sicuramente , allorquando nella miscela , sulla quale agiscono provocando metamorfosi , sono conte- nuti gli elementi di cui constano i medesimi agenti , ovvero i principii di cui furono formati. Cosi il lievito '.12 portalo a conialio di acqua zuccherata contenente glu- tine, come sia nel mosto della birra; non soltanto de- compone lo zucchero, ma via via altera nuova quan- tità del glutine , riproducendo se medesimo : così T acido ossalico ; corpo non più putrescente , ma di corruzione prodotto ; muta Y oxamide soluta in ammoniaca , che si conforma in ossalalo d'ammoniaca, ed in nuovo acido ossalico capace di decomporre nuova oxamide , ecc. (1 ). Ora di contro a questi fatti antichi e nuovi-, mentre ancor la scienza è impotente a definire il numero e le proprietà di tutti i prodotti, che sorti dalla decom- posizione organica potranno imitare il fermento ripro- ducendosi nel corpo vivo e moltiplicandosi; noi po- nemmo in fatto, che sono più di uno; ed altri ripro- ducenlisi , ed altri no. Utgue multa sunt pestilentiae genera, ita unius cuiusqae pecidiarem quamdain esse commistionis rationem . . . Ferri: De ahdit rer. caus. E se pur fosse uno per la identità de suoi elementi, varrebbe in fatto per molli ; perocché mutato avria di sue proprietà, per lo diverso aggruppamento di essi; siccome noi sappiamo ora delli derivali dalla porten- tosa Proteina di Mulder. (Chim. organ. de Liebig. 11. part. Paris 1842). Ponemmo ancora in fatto; che gli umori sono di tutte le sostanze animali i più alterabili ; e che il sangue , questa carne fluente coi principi! di tutte le carni, è la più complessa e mutabile di tutte le ma- terie esistenti ; che di più ricetta in se moltissime so- stanze , non eccettuato il sudiciume , e gli stessi veleni ; (1) V. Liebig Cliimie organique appliq. a la Phys. Veg. Ap- pendix des Pois. Mias. et Contag. S 93 che inoltre è non soltanto la materia la più mutabile sotto svariata condizione di vita; ma ancora presenta una moltiplicità di principii, de' quali or l'uno or l'altro potranno decomporsi sotto l'impero degli agenti ecci- tatori, e contribuire a render conto dei moltiformi fe- nomeni , i quali appartengono o ai vapori corrotti , o ai miasmi , o ai contagii : e ciò ( si noli bene ) è ben pili che la irritazione , e non ci spinge in traccia di fantasie \ con tutto che siano specifici i perturbamenti da cotali potenze specifiche suscitali. Il dotto Autore afferma di aver provato, che dei contagli ve ne sono dei fissi (Sifilide, Rogna), e dei volatili (Cholera, Scarlattina), e di quelli ora fissi ed ora volatili (Peste, Vajuolo), e infine di quelli che ora sono fissi costantemente, e ad una antica epoca hanno potuto essere di doppia forma , cioè ora fissi ora vo- latili (Sifilide, Lebbra), né in tutto questo ci trovammo di un sol apice lontani da lui , fondandoci su buone autorità. La possibilità in qualche contagio acuto di farsi cronico era notata in più luoghi dal Frank , e da altri ; e per quella della conversione dal cronico in acuto ne risultava dalle cose dette dal Monieggia e da altri dello Scherlievo, morbo acuto ailribuiio a Sifilide (1); della quale ritengo con Portai, Larrey ed altri, che siano (1) Quanto a bene stabilire coU'autore, che la Sifìlide In antico sia stata volatile ; sebbene molto inclini a crederlo, non stimo, che vi si potrà riuscire con buona prova. Fra gli antichi il Fer- nelio lo ha negato seriamente : in tutti i modi questa in parte certa, in parte presumibile versatilità de' contagii anco per la mutabile loro volatilità può mostrarci quanto è ditllcile dar ad «•ssi delle leggi. 94 forme degenerate ed ereditarie la scrofola e la rachi- tide, ed in età più remota Io fosse la lebbra: veleni esterminalori del seme delle famiglie. Era per noi una verità dello slesso ordine , quella 5 che cosi i contagli acuti come i cronici, ponno avere diverso grado di trasmissibilità, e ne constava da buone osservazioni, particolarmente da quelle fatte sugli esantemi 5 ciò fosse per colpa di un diverso stato e malignità dei stessi contagli, ovvero per le cagioni estrinseche alla sostanza dello stesso contagio da noi superiormente toccate : e codesta diversa trasmissibilità apparteneva tanto più ai conlagii della categoria de producibili, o per elabora- zioni patologiche in perversità di malattie, ovvero per più alta malignità acquistata dagli esalamenti di infe- zione e dai miasmi; imperciocché la contagiosità di codesti avria non solo potuto essere più e meno, sic- come ne mostravano diverse epidemie e diverse in- fluenze osservate negli spedali, e, per esempio, le febbri nelle puerpere -, ma inoltre avrebbe potuto tal contagiosità per condizioni 0 comuni a più infermi o particolari, ora accrescersi, 0 come fu detto dai medici in antico, ma- lignarsi di occulta virulenza, o al contrario affievolirsi e annullarsi j dalle quali verità induiiivamenie dimo- strate dalle cose premesse ne fluivano pel clinico av- vertenze importantissime circa la profilassi di tali malori, quali erano specialmente state proclamate dal Zimmer- mann. Da ciò noi potemmo ben ritenere la differen- ziazione, come poco appresso si vedrà, fra i Contagli stessi acuti e volatili, ed i Miasmi , il qual nome Miasmi, più specialmente da classici autori (Cullen. Nos. ) era 93 riservalo a quella potenza morbosa generantesi nei buli-. carni paludosi , ed al favore di circostanze esalantesi nelle atmosfere de' luoghi d'intemperie; generante i morbi febbrili intermittenti, e (s'intende ancora) le loro successioni; potenza generalmente non trasportabile a distanza, né suscettibile di rigenerarsi nello infermo cui abbia improntata la malattia specifica, che ai miasmi è propria: Siccome potemmo per giustizia e confronti, che qui troppa cosa sarebbero, alfermare; che fu in Italia dove la Scienza trovò in prima i caratteri della miasma- tica intemperie, e ne potè suggerire i rimedii, e quel che più monta, il mezzo preservativo; e qui fu, che se ne videro intraprese le applicazioni con tentativi nobilis- simi e di romano ardimento dalla Sede Romana; rin- novati a' dì nostri da Leopoldo II. , giusto custode della pubblica economia, e generoso maestro dell'uso in che se ne debbono impiegare i prodotti (1 ) ; ed affermare potemmo; che qui fu dove venne a compimento lo studio delle molte versatili forme or miti, or proditorie ed altamente maligne, procedenti dai Miasmi; qui dove fu chiarito il come della astrusa ricerca della loro contagiosità, onde potessero in casi particolari meritare, ed a diritto ricevere il nome di Aliasma-contagio da noi loro dato. E dunque per nostro giudicio inesatta cosa, il voler fare, come piacque all'autore di cui favelliamo, propria (l) Nimico di quella maligna economia che scoraggia gli utili ingegni, e di quella funesta larghezza che provoca il vizio ; detto avea del glorioso Giuseppe II. M. de Lanjuinais, e può dirsi, che questa filosofla , se il principe non ne sia il maestro , non può esistere iu veruno stato. 96 e comune a tulli i coniagii volatili la denominazione Miasmi, riserbata ai fissi quella di Virus. Né cotanto avrei fatta posa su di ciò, se in tulio quel lavoro non avessi trovata oblila la differenziazione necessaria ora- mai assolutamente fra i Miasmi ed i Contagi!. Quindi non ponno per lui e per noi trovarsi identiche le condi- zioni di Endemia, Epidemia, e Contagiosità epidemiche. 1 .° Perchè fissati a condizioni di luogo possono essere tanto i miasmi che i contagli: In quel modo, che en- demiche delle maremme toscane sono e saranno, finché l'Angelo d'Italia ne abbia annientale le origini, le febbri miasmatiche; e dello Egitto la peste. 2.° Perchè come ponno darsi delle epidemie endemiche ora sol- tanto miasmatiche, ora contagiose nei luoghi ove hanno nascimento colali seminìi ; possono ancora effettuarsi nei luoghi medesimi degli attacchi sparsi e non punto epidemici di tali malanni ; e perché sì per riguardo ai contagli, sì per riguardo ai semi-contagii , si infine per riguardo ai miasmi-conlagii si possono dare epidemie in luoghi molto lontani dalla prima origine di loro pro- ducimento; e queste sarebbero non endemiche, a diffe- renza delle endemiche epidemie or or ricordate. 3." Per- chè puonno darsi altre e vere epidemie da sole vicis- situdini atmosferiche, e da esalazioni putrescenti (i), e da altre cagioni rese comuni , come da verminazione, le quali epidemie non siano punto né miasmatiche né contagiose. 4." Perchè polendo i contagli esistere in forme sporadiche 5 quantunque nelle epidemie contagiose (I) Ea constitutio putrida cpidemicos quosdam niorbos in- ferre solet, numquam vero sola peslilentes. Fern. lib. cit. 97 pi'incipalissitno agente sia il contagio , non però sta sem- pre nel solo contagio la causa della molla sua diftu- sione o della epidemia; ed in ciò, il concorso delle potenze meteoriche , e di quelle più elevate della na- tura, e quello di altre, poteva avere moltissima e prin- cipalissima parte. Onde mirando noi col nostro saggio Scrittore a non volere incertezze nel linguaggio medico , non acconsentirei mai , che il contagio del vajuolo p. e. possa dirsi miasma. Nò vorrei distinguere le endemie dalle epidemie e dai conlagii epidemici , senza ritenere -, che le endemie e le epidemie puonno essere contagiose e non esserlo ; e le epidemie contagiose ponno essere e ponno non essere endemiche -, siccome i morbi con- tagiosi puonno essere e non essere endemici ed epi- demici. ( Sarà continuato ) GIROLAMO BOTTO. r-i^SSALtìlA SIIPATICA Nel \S\i pubblicai « Alcune riflessioni sul morbo cossario e principalmenie sull' allungamento dell'arto )> ove presi a dimostrare in qual modo questo fenomeno avvenga, e da qual causa prodotto; cioè da una forza viva nella cavità cotiloide agente sulla lesta del femore dall' indentro all' infuori e dall'alto in basso, giusta la naturale obliqua direzione della linea centrale della testa e del suo collo, per cui appena comincia a scostarsi dal fondo della cavità ne deriva necessariamente diver- sità di lunghezza dell' arto in confronto dell' opposto. Nella disparità di opinione intorno la natura di quella forza mi parve ragionevole quella del Desault e del Boyer, il quale mal giudicando la raccolta dell' umore sinoviale , dal Petit ammessa, come capace ad operare quel fenomeno , car, siccome dice , mi liquide ne peiu point chasser aa-dehors une panie resistanle et dure, seco lui fui d' avviso col notare che « il liquido , ben- che accumulalo nell' ariicolazione , è tuttavia e di una massa poco notabile , e altronde in uno stato di quasi stagnazione , talché esercitando egli la sua forza , dirò cosi, morta, o di pressione contro un solido di massa notabile , come è la testa del femore , non può pro- durre in lei che una tendenza all'uscita e non l'uscita ». Qualche moderno scrittore richiamò la teorica del Petit , e vuole che la idropisia dell' articolazione ilio-femorale possa essere una delle cagioni della lussazione consecu- tiva dal femore. Se questo sia lascierò che fatti ulte- riori lo confermino, ed attenderò con tutto il piacere che la paracentesi articolare , proposta nell' idropisia dell'articolazione ilio-femorale, ben diagnosticata, sia tentata e seguita da buon successo per giustamente apprezzarla nell'uso pratico. Intanto mi farò lecito dire qualche cosa sulla cossalgia simpatica , cioè su quel dolore accusato all' articolazione ilio-femorale cogli ap- parenti sintomi d' una idiopatica cossalgia. Allor quando inviai al Doit. Levi di Venezia alcune mie coserelle manoscritte , vi unii un' appendice alla mia dissertazione sul morbo cossario diretta a far co- noscere che fra le cagioni producenti dolore alla co- scia nella sua articolazione coli' anca ed al ginocchio, accompagnato da allungamento dell'arto e da zoppica- mento da far giudicare con tutta apparenza una cos- salgia , avvi la verminazione ; e ne produssi caso par- ticolare che qui sotto richiamo. Una fanciulla di sei anni era da 1 5 giorni travagliata da dolore all' articolazione della coscia ed al ginocchio , da allungamento d' arto e da zoppicamenio con dilfi- 100 colta di reggersi e far passo. Esaminala sulle prece- denze non potei rilevare né una sofferta (.-adula sul destro gran trocartere, né una cosliluzione scrofolosa, nò una causa reumatica -, essa era di buona tempra ed apparteneva a genitori sanissimi e robusti. Incerto se appigliarmi doveva alle topiche sanguigne sottrazioni od alle strisciate di fuoco per impedire l' irreparabile ac- cidente della lussazione consecutiva, stimai opportuno di ordinare per quella giornata, onde avere qualche scarica alvina, di cui ne era scarsa, e dissipare al- cuni doloretti di venire, che di quando in quando ac- cusava , una purga di gialappa , qual rimedio confacentc all' eia. La madre , che doveva darmi relazione il giorno susseguente dello stalo della sua fanciulla , non la vidi che quindici giorni dopo. Fu con sorpresa che, inter- rogandola, seppi che dalla presa purga avendo avuto la piccola malata una scarica alvina abbondante, ac- compagnata dalla uscita di una quantità sorprendente di vermi lombricoidi parte vivi e parte morti, si trovò quasi sull'istante libera da ogni sintoma di coscialgica affezione, per cui riprese l'uso della parie senza più risentire incomodo alcuno. Una tale improvvisa scomparsa del dolore e del zop- picamento mi fece avvertilo, che nell'esame dell'arto affetto rilevai una certa mollezza muscolare a cui non posi molta attenzione, perché occupato del male che giudicato aveva idiopatica cossalgia 5 e pensai quindi che un certo rilassamento nella muscolatura dell'arto può essere un indizio per indagare se al medesimo trovansi uniti tulli quelli che caratterizzano un' affezione vermi- 101 uosa, onde combatlcrla cogli oppoituai rimedi ed oi- lenere in pari tempo la sparizione dell' apparente cos- salgica malattia. Un caso solo non poteva certamente appoggiarmi troppo per indurre altri a crederlo senza ulteriori fatti ; ma non avrei pensato che qualcuno , ponendo in dubbio la mia opinione, avanzasse a dire io sosnare che una raccolta di vermi inlestinali avesse prodotto quel fenomeno, e con seco tutti i sintomi della cossalgia. Nel caso da me esposto, o bisognava negare l' esistenza di sintomi cossaigici , e non era possibile , poiché il dolore all' articolazione ilio-femorale veniva dalla ragazza ripetutamente accu- sato , ed il zoppicamento era a chiunque manifesto per lunghezza maggiore dell' arto -, o non credere al dissi- pamento improvviso di que' sintomi dietro l'espulsione di quella quantità di vermi. Ma siccome il fatto non escludeva la presenza degli uni, così il fatto stesso provò che la scomparsa improvvisa de' medesimi fu in seguito all' eliminazione di que' numerosi vermi da prima non sospettati. L' opinione mia pertanto non era priva di un certo fondamento; essa aveva bisogno di qualche altro fatto consimile per essere viemeglio appoggiala. Diffatti occorsemi di osservare un altro caso a un di presso eguale, di cui credo opportunissimo riferirne qui sotto i particolari. Un ragazzo di nove anni circa, figlio del dirigente r uITizio della R. Posta delle lettere in Novi , da due o tre giorni lagnavasi di un dolore al luogo dell'artico- lazione ilio-femorale sinistra , e zoppicava. L' amorosa di lui madre mollo inquieta di ciò mi fece chiamare 102 Esaminai il fanciullo ; esso era della migliore costilii- zione , robusto , benestante e vivacissimo. Spogliato negli arti inferiori e steso supino sopra un tavolo, osservai, là dove accusava il dolore, cioè alP articolazione ilio- femorale sinistra , niuna gonfiezza , niun rossore -, distesi gli arti e posti a confronto appariva il sinistro più corto del destro , e la muscolatura della coscia contratta e più elevata di quella del lato opposto , così che l' ap- parente stato di accorciamento dell' arto affetto non du- bitai fosse dovuto a quella contrazione muscolare. In questo caso il fenomeno riguardante lunghezza dell' ano era affatto contrario , avevasi cioè accorciamento. Non rilevando niuna causa interna costituzionale, niuna ri- feribile a reumatica od a riportato colpo per caduta , appena qualche doloretto vago e passeggiero al ven- tre , pensai sulla probabilità di una interna intestinale irritazione verminosa , la quale trovando nell' individuo vigore e robustezza , anzi che rilassamento muscolare come nel primo caso , l' effetto contrario producesse , cioè la contrazione, e quindi l'apparente accorciamento dell'arto. Dietro un tal raziocinio ho prescritto un an- telmintico, preso il quale evacuò il fanciullo per se- cesso tre grossi e lunghi vermi lombricoidi vivi , e i sintomi coscialgici sumentovati svanirono suU' istante senza più rinovarsi: ciò che sorprese grandemente la famiglia del suddetto. Che i vermi intestinali siano una causa interna ca- pace ad offendere simpaticamente il sistema nervoso ed a produrre talvolta fenomeni morbosi assai variati è incontrastabile , ed il numero delle osservazioni che lo 103 comprova ò immenso. Fra le moUe io noterò qui per brevità quella soltanto riguardante un uomo che infermo trovavasi di paraplegia simpatica : eccone la storia im- portante non meno che istruttiva. Un soldato cannoniere della R. Marina napolitana , di anni 41, di temperamento colerico-sanguigno, af- fetto da antica ostruzione uelf organo epatico , ne' prin^ cipj di aprile dell' anno i 822 cominciò senza manifesta cagione a sperimentare negli ani inferiori e soprattutto nelle ginocchia , un torpore che addiveniva maggiore allorché l' infermo , seduto a terra , cercava di ergersi. Avvertiva nello stesso tempo un certo spasmo e dolore ottuso nella regione lombare. I polsi erano sani , le orine alquanto biliose , le funzioni chilopojetiche disor- dinate. La debolezza intanto degli arti inferiori pervenne a tal grado da rendere il paziente poco alto a piìi cam- minare j per cui nel di 1 5 dello stesso mese si portò nello spedale della R. Marina a Piedigrotta. La ostru- zione del fegato fu riguardala sulle prime qual cagiono tanto dell' abito cachetico che presentava l' infermo , quanto della debolezza degli arti inferiori. Quella sen- sazione di peso e di dolore ottuso ai lombi fu reputata effetto di pletora parziale de' vasi addominali , cosiittienie una specie di affezione emorroidaria interna facile a rinvenirsi ne' soggetti ostruiti. La mancanza poi di qua- lunque altra sensibile cagione , sia meccanica , sia ve- nerea, reumatica, artritica, scorbutica, calcolosa e via dicendo , rendeva più probabile la enunciata opinione. Con moltiplici espedienti , ora diretti a riordinare le funzioni digestive, ora a risolvere possibilmente la in- 104 veteraiu ostruzione , ed ora a corroborare il sistema generale de' solidi , migliorò abbastanza la salute del paziente 5 ma poco profitto ne ritrassero gli arti infe- riori. In tale stato di imperfetta guarigione , dopo due mesi di dimora nell' ospitale, volle l' infermo uscirne promettendo di proseguire fuori dello stabilimento la cura, consistente allora nel solo uso de' fiori di sale ammoniaco marziale. Nel dM6 novembre dello stesso anno vi ritornò egli , ed era maraviglioso il vedere che mentre la nutrizione , lo stato dei visceri addominali , e r intero sistema de' solidi erano quasi naturali , il succennato incomodo a lombi persisteva allo stesso modo, e gli arti inferiori erano divenuti compiutamente insensibili ed immobili. Fu allora che la cagione della ostinata malattia si suppose nella scabbia sofferta dodici anni addietro dal- l' infermo ; la quale fu pure credula d' indole venerea ; né venne del tutto esclusa qualche cagione reumatica, che insensibilmente aveva potuto agire sopra un corpo frequentemente esposto alla medesima. Premessi quindi gli emetici e qualche purgativo , ad oggetto di evacuare qualunque impurità gaslrico-intestinale , si fece uso per circa 20 giorni delle pillole di etiope minerale con la resina di legno-santo ed oppio accompagnate da tiepidi bagni , ed internamente da carichi decolli di salsapa- rilla. Il nessun vantaggio ricavato dagli enunciati ri- medj determinò i medici a devenire, senza tralasciare i suddetti bagni e l' uso generoso della salsaparilla , alla pratica delle fregagioni merc-uriali , che al numero di 65 neppure produssero verun effetto. 105 La infelice situazione del paziente richiamò un giorno tutta r attenzione del dottor del Giudice, allora medico di quella divisione, e la mia. La inefficacia di lutti i rimedi generali, praticali in conseguenza delle varie indicazioni prese, ci fece entrare nel fondato sospetto che la malattia sostenuta fosse da qualche incognita infermità intestinale, non facile ad essere rimossa, né conosciuta. Ci decidemmo perciò ad esaminare con mag- gior diligenza, e per più giorni consecutivi , gli escre- menti fecciosi altra volta già stati osservati. Dopo varie ricerche scorgemmo in essi taluni pezzetti di sostanza membranacea, che furono riconosciuti per vermi cu- curbitini. Ci appalesò allora l' infermo che fin da quat- tro mesi prima dello sviluppo della sua malattia , aveva egli stesso veduto negli escrementi siffatti pezzi bianca- stri , che creduti da lui d' indole mocciosa , e perciò innocenti, erano stati negletti e dimenticati. Non esi- tammo a persuadersi allora , che la tenia fosse la vera cagione della ostinata malattia; il che fu dallo stesso fatto confermato. Coli' uso infatti del solfuro di stagno , dato nella giornaliera dose di mezz' oncia , diviso in tre parti, cominciò l'infermo a cacciare per secesso nu- merosi e lunghi pezzi di tenia semivivi e morti. La malattia diminuì in proporzione, ed egli già fu tosto nella possibilità di passeggiare per le corsie. Al decimo giorno finalmente dietro una più abbondante evacua- zione de' suddetti vermi provocata con energico pur- gante, la paraplegia interamente terminò, ed il paziente partì risanato dall'ospitale. Questa osservazione, oltreché presenta il caso di paraplegia simpatica , dipendente da ior> infermila verminosa negl' intestini , dà pure pruova della utilità del solfuro di stagno nel trattamento della tenia. (Campagnano, Saggi dell' acad. med. chir. Napol. 239). Se questi fatti sono fatti incontrovertibili , con qual fondamento, ripeterò, potevasi dire, sul proposito della prima mia osservazione riguardante la cossalgia , che chiamai simpatica , io sognare che una raccolta di vermi intestinali avesse prodotto quel fenomeno ( allungamento dell' arto ) e con seco tutti i sintomi della cossalgia, siccome alcuno ha preteso di darci a credere possa accadere , non so però con quanta speranza di riuscirvi? ( Ann. Univ. di med. Voi. CV. pag. 8 ). Forse per non saper trovare una plausibile spiegazione del fenomeno ? E quanti fatti non vi furono veri , sorprendenti e quasi incredibili che rimasero senza scioglimento del fenomeno? Per me, i fatti stando, senza ardire di ingiustamente censurarli o non crederli , siommeiie ai fatti , e procuro d' approfittarne , come desidero della paracentesi articolare proposta nel caso d' idropisia dell" articolazione ilio-femorale. CARLO CORNELIAJVI Dotltire Medico Chirurgo «H-4'4-+4-+'HH-+H-W-+-f-HH-+^~H-4-^H-T4H-4-^^ AL SIGNOR ODOARDO DE MOXGEOT È comunemente l'icevuta la sentenza di quel greco amico , il quale pronunciò essere tra le donne più lo- devole quella di cui è meno parlato. La quale severa opinione pare che saviamente provveda alla modestia e tranquillità della donna, durante la vita. Ma quando, finito il suo cammino , si riposa ne' silenzi eterni, lon- tana dalle adulazioni e dalle invidie, non crederemo sconvenevole conservare, anche publicamente, grata memoria di quelle domestiche virtù, le quali un gra- vissimo senatore del romano impero non voleva posposte alle civili, che agli uomini sono richieste. Perciò reputo dover essere approvala la cura, Signor Odoardo , vostra di onorare in molte maniere la de- funta consorte ; con bello esempio di maritale ricoao- 108 scenza : dalla quale meritamente viene fama superstite alle vereconde che vivendo studiarono di occultarsi. E con verisimiglianza credo essere piaciuto ad ogni animo ben composto che un monumento conservatore delia cara effigie le faceste operare da Tommaso Bandini: e poi iniagliarne il disegno nella scuola del celebre Toschi 5 affinchè si potesse anche fuor del nostro paese in una piccola ma graziosa opera vedere Y ingegno elegante di lui , che da Firenze condusse a Parma la scultura. Del quale intaglio ragionevolmente vi piace ador- nare il libretto, col quale intendete di propagare l'amalo nome oltre i termini della città. E poiché la vostra diletta sposa partendosi troppo presto andò non sod- disfatta del suo amorevol desiderio di avere dallo zio vostro quei versi , coi quali esso per più anni lamentò la perdita della sua compagna-, è pio e grazioso il vostro intendimento che la madre de' vostri figliuoli dopo morte sia onorata di ciò che vivente aspettava. Questo dono che fate alla memoria di lei dee venir grato agli amatori delle sincere lettere italiane; le quali ogni dì più diventando cosa rara tra noi, ebbero ed hanno cultore e mantenitor valoroso nel consigliere Gaetano Godi. Io ricordo come negli anni di mia adole- scenza egli fosse guardato e riverito, perchè manteneva la nazionale verecondia del poetare, contro la setta crescente del padovano, che primo osò scurare il no- stro sereno cielo colle nebbie e le nuvole caledonie : le quali rapide si dilatarono aduggiando il campo dell' italica poesia ; e ora più addensate e tempestando 109 fragorose come procella si vaniano di poterlo lutto deva- stare. E questa è bella Novità ! questo è glorioso acqui- sto ! Ai rari cui è degno di piacere non dovrà essere discaro di leggere le pietose rime, che ad una mente vigorosa , né dai molti anni fiaccata , fornisce un caldo affeuo non finto. Perchè non è ambizioso ma affettuoso il pensiero onde questo libretto muove, renderà gradita e profit- tevole testimonianza che alle amabili e non facili virtù femminili non sempre manca il meritato onore : e come opera di buono esempio spero che sarà da tutti i cuor gentili commendato. Non obtusa adeo geriinus praecordia . . . Sunt lacrymae rerum; et mentem mortalia tangunt. VlBG. I. Parma, 10 Aprile 1843, PIETRO GIORDANI. Essendo piaciuto al chiar.» sig.' Pietro Giordani permetterci la stampa di questa sua lettera, ne adorniamo riconoscenti il nostro periodico, sul quale speriamo ci sarà dato di riprodurre fra poco uno scritto importante di così illustre letterato. ! 8;«5G8:^a«s&^oj^<»^o«o^^«<;*>:^^^ IL PROGRESSO L\ AZI01\E Oh va uu poco a spiegar come la stia : Misericordia, oh ciel , misericordia!! Il tempio consacrato all' armonia , Lo vedo il tempio, oh elei, della discordia! ! ! 11 loco che dovrebbe ingentilire Fa gli animi più fieri divenire!! ! ! Esordisce una giovin canlalrice (1) E per sedici sere eli' è applaudila. In mezzo ad un esordio si felice Cos' è cosa non è ? ... si vuole udita Un' altra donna per curiosità Da lai ch'io non dirò per brevità. L'esordiente, a ragion, ceder non vuole I dritti suoi. Costor sono intignati: II pubblico , il qual esser giusto suole , La sostiene, e in teatro ecco già nati, Già formali i parliti e le fazioni. Ecco in scena i Palleschi, ed i Piagnoni. (1) Carolimi Uopclli Ikilogncsc. Ili Non voglio adesso entrar nella quislione , Perch'io pure del pubblico lo parte. Né saprei dir chi ha torto e chi ragione , Ignaro essendo della music' arte- fi confesso che son molto inferiori Gli orecchi miei di que' di quei signori. Cert'è che due partiti in piedi sono: Uno per una donna già applaudita, E r altro per un' altra , e questo è il buono Quest'è lo strano! che non hanno udita; E il loco fatto a deliziare i cuori Un' arena fatt' è di gladiatori. Il popol coi patrizi è già in battaglia , E non sul monte sacro si ritira , E quelli che non han ragion che vaglia Per sostenersi , invasi da grand' ira , Calata la visiera arduamente, Altaccan colla satira insolente. E il beli' è che me pur hanno attaccato Tranquillo forestìer , non sol , ma autore D' altri anonimi scritti mi han stimato . . . Io? io un anonimo scrittore? Io , signori miei , son quel tal io , Che se scrivo, vi metto il nome mio. Chi ha netta la coscienza , o miei signori , Chi agisce onestamente , e ha cuor sincoro , Chi non ha né speranze, né timori, Scrive liberamente e franco il vero, E la sua faccia non asconde mai; Or lo dimostro, e ognor lo dimostrai. Finché delle insolenze mi han dirette Io vi rideva, e vi ridea di cuore, Sapendo che son piccole vendette Di nemici , che ha sempre un Direttore ; E per me non essendo cosa nuova ^-^ Che la botte dà il vin che si ritrova. Ma ciò che mi é spiaciuto assai assai E avere attribuito a me dei versi Che li più sciocchi non ho letti mai Solo di fango e di sozzure aspersi ; Leggano i versi miei, se legger sanno, E come io scrtva satire sapranno. 112 Dicon costoro , che con tanto foco I forestieri a batter si son dati Per onore ed amor del natio loco . . . Noi dunque foresticr sarem chiamati? Noi tutti del bellissimo stivale Tutti statisti? ... oh amor inteso male ! ! Venne un amico , e dissemi : Hai tu letta Una satira nuova? Si, risposi, L" han essi messa in posta a me diretta In posta , intendi ben , da coraggiosi ! -E tu non vuoi risponder ?-Ma ti pare? Poveretti ! lasciamoli sfogare. Tanto già chi 1' ha scritta, se ha creduto D' offendermi all' ingrosso si è sbagliato ; Poiché legger non 1' han certo potuto I buoni , e quei di gusto delicato ; E se per caso mai 1' avesser letta , lo non ho più bisogno di vendetta. Perdgia, febbraio t843. CESARE M ASINI »«*^-##*««^«'«®Sf«-=*#Sv&S«?**i;=***«v^^*««tW«» ECONOMIA CIVILE POCIIK PAROLE SULLA MENDICITÀ' Non è nuova , nò mia I' osservazione che nel con- cetto del volgo italiano è tanta la persuasione della superiorità sì intellettuale, che fisica di alcun popolo straniero , che sovente le idee nate sul patrio suolo , le scoperte ivi fatte , o le opere ivi scritte non ispi- rano confidenza , non ottengono la meritata considera- zione , qualunque ne sia l' indole e lo scopo. Di là 1' uso che si va vieppiù dilatando fra i dotti di dettare in lingua francese i loro pensieri , di recare a Parigi il tributo de' loro studii , di pubblicarvi i successi delle loro fatiche, persuasi quello essere il solo mezzo di essere cogniti , ed apprezzati : infatti non di rado ac- cade che le medesime idee , che furono respinte quando italiane , sono encomiato , accarezzate , compre , e na- turalizzate dopo che maturarono in mente anglica, o Ili francese. Nò il torlo, sia dello il vero, ò lullo del pub- blico seniire ; che il volgo giudica del merito delle cose dal materiale merito dell' origine loro. Ora in tale me- rito , ossia in potere , in ricchezza , in abilità e abitu- dine di pratico successo non vi è paragone fra gli stali nostri, e quelli angli, o franchi, ecc. Nel -1838 io pubblicava coi tipi Ferrando un mio pensiero intento all'abolizione della mendicità, di cui la Gazzetta di Milano , in sua appendice , rendeva h- vorevol conio, ed io credei aver ottenuto, oltre il dovuto , una ricompensa , né credei dover farne più parola. Una proposta simile alla mia venendo ora pubblicata in Francia da un celebre scrittore , in modo però non affatto identico , e più ristretta , mi fu coraggio a ri- produrla, e a presentarne un compendio a' lettori di questo periodico. Consiste nell' assegnare a ciascun povero, che è nel caso di mendicare, un padre temporaneo scelto fra i membri di una lista di persone che spontaneamente ne farebbero offerta, e che s' incaricherebbe di esercire tulli gli ufficj 0 doveri della paternità, fra cui il primo sarebbe quello di metter il povero in caso di guada- gnarsi da vivere. Questo metodo s' applicherebbe me- glio di tant' altri si agli uomini , che alle donne , sì ai fanciulli, che agli orfani, sì alle persone naie di civil condizione, che alle plebee, si a chi fu colpito da infor- tunio, che a colui che il vizio, l' infingardaggine propria , il mal talento condusse a tale stalo 5 si alla giovine abbandonata, che la seduzione trasse od è per tiarre 115 neir abisso, che a colui che subì una condannazione, e che tuttora respinge da se la pubblica opinione, e lo forza quasi a nuovi delitti. Non vita comune fra i mendici come ne' ricoveri , non prigionia , non lavoro ciecamente comune , non spese che assorbono gran parte de' proventi , ma 1' attività vigilante , oculata , beneQca dei padre, interessato a far cessar quanto prima tale sua incombenza , tale sua fatica ; e per contro il povero continuerebbe a far parte della so- cietà , a godere degli oggetti delle sue affezioni , di sue aderenze, di sua libertà. Questo metodo potrebbe avere più o meno di esten- sione, e provvedere ad ogni genere di miseria, o ad alcuno ramo solo della medesima, o maritarsi con altri stabilimenti; così, a parer mio, in Genova, questa tem- poranea paternità applicata ai fanciulli che cessano di poter essere ricevuti negli asili d'inlanzia, e combinata, per altre persone adulte inferme, od impotenti, cogli esistenti ospizi , e coi mezzi indicati dall' erudito Isnardi ne' suoi scritti , potrebbe bastare a togliere 1' accatto- neria in un modo paterno, beneflco, economico, di effetto morale, permanente, totale. Le case di rico- vero , viventi colle periodiche oblazioni de' privati , non presentano, parmi, sufficiente probabilità di esi- stenza; quando, sopraggiunta una pubblica calamità, qual è la guerra, o gravali i cittadini di nuove tasse, o introdotti abusi spiacevoli ai sovventori spontanei, cessino le loro contribuzioni. Il celebre Chabrol , già prefetto a Savona , lasciò scritto nella classica sua opera sul dipartimento di Mon- IIU lenone ( pag. -IO? ) ove vi fu un ilépót de mendicitè = Les AépÓLs de mendiche isoléi ressenihleront tou- jours à des hópitaiix rernplis de pendc nelle allualmcnle csislenli. Il Conìpilaiorc. 118 Nulla si oppone che ii patrono, od il padre tem- poraneo, come io il vorrei chiamare , deleghi ad allra persona approvata dalia Direzione della società, i suoi uflìcii , a lui rimanendone le spese , e la vigilanza ; e così si potrà dividere 1' opera di carità fra i ricchi , che non vogliono educare o non sanno , ed i non facoltosi onesti , che vi sono atti , e non lo possono per insuf- ficienza di mezzi. Benché io ravvisi la paternità , o dicasi il patronato, come uno de' mezzi più utili , efficaci e possibili in pratica per levar l' accattoneria , io sono di parere che le cir- costanze diverse di luogo e di tempo debbono avere la massima influenza sulla scelta de' medesimi 5 in mas- sima, credo necessario, a togliere il questuare, il con- corso di due diverse generazioni d' istituzioni ; cioè di preventive, che han per risultato il far si che la povertà non degeneri in miseria e in mendicità-, e di correttive, con cui si provvede a chi è nel caso di accattare. Fra gì' instituti preventivi s' annoverano : Leggi organiche sul lavoro (1), onde l'operaio, il giornaliere possa aver modo di vivere tuttora, e più slabile ne sia la condizione , e l' avvenire (*). (1) È però contestato il vantaggio di qucst' organizzazione del lavoro, che consisterebbe in ispocie di rinnovazione delle anti- che corporazioni di mestieri ec. , assoggettando gli operaj a certe discipline, ed i padroni a maggiori dritti, facoltà, e doveri, che ora non hanno. (*) Visto che l'uso di pagare i lavoranti il sabbato facilitava loro lo scialacquo, per 1' ozio del giorno festivo seguente, un inglese propose di pagarli invece un altro giorno della setti- mana. Vedi Principes fondamenlaux de l' Economie polilique de Hans. N. W. Senior. Paris 1836 pag. 26. {Il Compilatore) 119 Sale d'asilo per l'infanzia. Ospizi, o scuole di mestieri per l'adolescenza. La paternità temporanea per orfani figli di impo- lenii , di carcerati , di lavoranti poveri ; per liberati da pena , per femmine in più posizioni compassionevoli ecc. Istituti agricoli per la gioventù. Casse di risparmio (*). Casse di mutuo soccorso per pensioni o sovvenzioni fra caduna classe di persone. Abolizione delle bettole, giuochi, e lotterie. Banchi prediali e industriali di prestito , o di sconto , senz' usura. Istruzione resa volgare ; scuole gratuite ; onde mag- giore moralità civile, e religiosa. Fra i mezzi correttivi sono da comprendersi : La temporanea paternità , come sopra. Ospizj per ricovero d' infermi , d' invalidi , di vecchi , di mutilali, di ciechi, ecc. Soccorsi a domicilio , in denaro , in roba , in lavoro , in medicinali, in cibo. Ricoveri di mendici comuni capaci di lavoro mecca- nico, 0 di fatica. Case di lavoro per gli operaj mendicanti. Colonie agricole su terreni suscettivi di maggior pro- duzione. Case penitenziarie , o di correzione per la punizione della mendicità: con lavoro obbligatorio^ necessarie come sanzione della legge, che proibisce la mendicità, e (*) In più luoghi delia Riviera vi esistono; qui si dosidcrano. Il Compilalorr. 12U Spauracchio degl infingardi accattoni , tali per scella e per professione. Concludiamo, che Y abolizione della mendicità per es- sere efficace e permanente non può essere che il ri- sultato del concorso allo scopo, dell' editto del Principe e delle volontà de' privati 5 riguardo a quest' ultima , ben sappiamo che in Genova poco havvi da fare per ottenere si bel risultato, e questo poco non è difficile anzi possibile, poiché ciò che è il più, la pecunia ( come il dimostra V Isnardi ) non manca 5 numerose vi sono le famiglie agiate e caritatevoli , non nume- rosi i mendici (1), perchè il Genovese è per indole laborioso, e rifugge dal vivere scioperalo: che duuque manca ? Un primo impulso , un esempio un germe di vita , per rannodare i mezzi alle volontà. Moltiplichiamo dun- que le voci per isvegliarle , per commoverle , per deci- derle : non ci sgomenti la propria insufficienza. Il successo, il trionfo suol essere la ricompensa della perseveranza. L. Z. QUAGLIA (1) La proporzione fra il totale della popolazione della cillà di Genova, e circondario di circa 145 mila abilaiili, e il nu- mero de' mendicanti 2698 che Icggesl nella statistica di Ccvasco sarebbe di 1, '/s per cento circa, al più 2 per cento. A Parigi nel 18i2 all' occasione delle feste di luglio si numerarono 70 mila poveri, circa 8 per cento: più 15 mila vergognosi. ©©©€©©©€©-©€-© ©€!©©€>©©©©©-©©©©©•©©©-©©■© ©©^ FIORETTA OSSIA LA PIETOSA FONTK In una valle di silenzio piena Chiusa d'intorno e da due poggi ombrata. Ove sempre la vaga aura è serena, Ove r erba è d' aprii sempre infiorata , Una fontana lucida s' insena , Di funebri cipressi incoronata ; Si deriva dal culmine del monte Ed ebbe nome la pietosa fonte. Là giunsi pellegrino allor che il giorno Par che vada a calar tra le montagne , Ed una schiera di fanciulle intorno Là vidi , e tutte nel dolor compagne. Sparso il crine ciascuna e disadorno , Piangea di cor profondo, e le campagne Da cento parti rispondeano e cento, Sì che tutta la valle era un lamento. Tal , neir ora che a piangere consiglia , Di Masfa un dì su per le meste e belle Cime , di leftc a lamentar la figlia Sospirose venìan 1' ebree donzelle ; E , lagrime versando dalie ciglia , E dalla man versando le mortelle , Pietosamente ergeano a Scila il canto; Ed era tutto Galaadrtc un pianto. 123 Una su tutte da più doglia oppresso Blostrava il core , ed io venni a quest' una , Che, foglie raccogliendo dal cipresso, Dava sul fonte una ghirlanda bruna. Dissi : 0 gentil per te mi sia concesso Queir affanno saper che qui vi aduna ; Ed ella all' onde mestamente affisse Le languide pupille , e cosi disse : Ben col pianto sugli occhi, o viandante. Mi fla dolce narrarti una sventura , Che veggio , se vo' credere al sembiante L' alma pietosa che ti die natura. Odi dunque perchè spesso le piante Noi volgiamo a quest' acque in veste oscura , Odi racconto miserando, e dona Alla fonte tu ancor pianto e corona. In sul primo albeggiar d' una mattina Quando ai paschi il pastor la greggia affretta , Quivi già si rinvenne una bambina Che per la valle se ne già soletta. Chi si fosse niun seppe , e la meschina Solo dicea eh' eli' era la Fioretta, Che perduta la madre avea la sera E che lontan dalla sua casa eli' era. Con uffizio di provvida pietade Da un pastor fu raccolta ed allevata Ed a noi , eh' eravamo neh' etade A lei conforme, in compagnia fu data. Ma noi tutte passava di beltade , Ma da noi sopra tutte era 1' amata : Pareva un giglio , pareva una rosa , O s' altra è al mondo più leggiadra cosa. Però quando costei giunse negli anni Che pien r intendimento è della vita , E che certa per noi fu de' suoi danni , A noi costei più non si tenne unita. E sola , in preda de' suoi duri affanni , Vivere volle ove fu in pria smarrita; E il sasso che là vedi è quello speco Ove abitava la fanciulla e 1' eco. f23 Piangemmo noi, piangemmo amaramente; Ella pur pianse , e fu crudel r addio ; Ma sì ne persuase dolcemente Che acquetar ci dovemmo al suo desìo. Quivi i giorni traea poveramente Sol la sete spegnendo in questo rio , E sol , parca , cibandosi de' frutti Onde piena è la vaile e i colli tutti. Fioretta allo schiarir salìa su i monti La luce ad incontrar come lei bionda; Vedea Fioretta i rosei tramonti Lentamente morir sopra quest' onda : Le gregge, i fior, l'erbe, le piante e i fonti Eran 1' unica sua cura gioconda ; Era questa ch'io canto, o pellegrino. Una sua canzonetta del mattino. Salve, 0 Maria, che stella Sei anco del mattin , Deh tu schiara il cammin Dell' orfanella ! Come soavemente T' erge un profumo il flor T' alza un sospiro il cor Dell' innocente. Col raggio , 0 benedetta , Rispondi a quel sospir, Col raggio benedir Degna a Fioretta. E più mesi ella stette in questa pace Benedetta dal cielo e dalle genti. Ogni uom parla di lei , di lei non tace La valle , e quasi a lei belan gli armenti. Ne mai persona fu tra noi si audace Che recasse a' suoi soli ore dolenti : Tanto è l'amor, la riverenza è taiila Che r adoranuiio come cosa santa. 12i Ma un di che per costume in su la sera Sen venne alla fontana , e 1' ultim' ora La chiamavano a sciorrc la preghiera A Maria , eh' è la madre del dolore , Ecco una faccia sconosciuta e fera Mira neir onda d' uom che sbuca fuorc , E di retro le arriva a quella faccia Ratta si volge spaventata e agghiaccia. Tutto quanto l' iniquo s' abbandona Alia fanciulla pallida e tremante ; Colle braccia le cinge la persona Di voluttade insano e palpitante. Ella per più fiate si sprigiona E torna in forza del crudele amante: Ma pria che vinta dal fellon si miri Ama perder la vita, e par che spiri. La desolata vergine uno strido Avea già dato nel primiero assalto , E pastor molli a quel dolente grido Subitamente comparian su 1' allo. L' empio assassin , che si vcdea mal fido Per quei che a valle giù vengono a salto, E ch'esser nolo alla fanciulla temc,^ Nel più truce pensier tulio già freme. E poi che cosi mira andar deluse Le sue folti speranze , di vendetta Mormorando fra se voci confuse , Dentro la fonie la donzella getta. Die, cadendo, un gran tonfo, e si richiuse Tosto r acqua , e fu pia , sopra Fioretta. Sol, qual per vento, un'onda in su venia, E gorgogliando parca dir: Maria. AGOSTINO GAGNOLI i!{«]08:^n«n«n«x84)D«)a«x(«)m«n«n«n«n ONORATO BALZAC CENSORE DELLA CRITICA FRANCESE (() Perchè il Signor Onoralo Balzac è così bestialmente sdegnato ? Il celebre romanziere non fu mai veduto così sbuffante ; l' occhio suo mai non scintillò più trucemente. Per carità chi ha osalo fargli del male, ingiuriarlo? Egli avrà forse pubblicalo un qualche libro , di cui il Giornale dei Dibattimenti non ancora avrà degnamente parlalo ; qualche Fisiologia del guanto giallo sarà slata derisa dal Nazionale ; o la Rivista dei due mondi gii avrà rimandata , senza neppure degnarsi di leggerla , una qualche sua istoriella. Qualunque sia la cagione dello sdegno , il Sig. Balzac non apre più 1' animo all'allegrezza, e lasciala l'antica usanza di conversare (1) Balzac ha pubblicato non è molto un libro che porta per titolo : Monographie de la Presse parisienne. Vedi ciò che di questo lavoro del patriarca dei Romanzieri francesi si legge nel Debals e nella Semaine Liilerairc; mercrcdi 22 Janvier 18i3. 126 scherzevolmenie co' suoi leggitori , oggidì li morde con denti di vipera. Al vedere la povera e buona creatura stranamente contorcersi per lo doloroso sdegno , i più solenni procreatori della specie del Sig. Balzac giudi- cano che egli voglia partorire un qualche mostro. Un secondo Vautrin forse o un secondo Quinola ? Dio li- beri noi e i nostri figliuoli da simili mostri. Ma presto o tardi la montagna partorirà 5 e vedrete che al nasci- turo la critica francese non sarà scortese d' aiuto. Ma io domando ancora : perchè il Sig. Onorato Balzac è così bestialmente sdegnato ? Perchè quella sua tanto nera ingratitudine contro alla critica francese , che pure lo crebbe con affetto di madre amorosissima ? Nella giovinezza Onorato Balzac scrisse sotto nome falso dei romanzi; dei quali persona del mondo non volle pren- dere pensiero. Indarno egli procurò di tener dietro alla fungaja dei romanzieri moderni; alle rose di Ducray- Dumèlin ; alle bestemmie di Pigault-Lebrun ; alle tombe della Radcliffe ; agli svisamenti storici di Walter Scott. Niente di lutto ciò gli fu giovevole; a nessun patto e a nessun prezzo si vollero leggere i romanzi del Sig. Orazio di Saint-Aubin. I romanzi usciti da quella segreta officina neppure trovarono una gentile acco- glienza nelle gentilissime e oziosissime anticamere. Al- l' improvviso Saint-Aubin non scrisse più romanzi -, e in sua vece Onorato Balzac pubblicò nella Rivista dei due mondi una sua istoriella. Quella storiella, che era di- lettevole assai, il Fanciullo maledetto, fruttò all'autore il più grande dei beni che egli potesse desiderare. Gitiò per modo tale nel nulla Orazio di Saint-Aubin da non 127 potere neanco più essere risuscitato dalla postuma ri- conoscenza del Sig. Balzacj e consegnò quest' ultimo air adorazione delle turbe riverenti. La critica francese narrò allora, a chi voleva ascoltarla, le scene della vita Parigina; le scene della vita privata-, e clamorosamente annunziò ai re , ai sudditi e agli schiavi del regno del- l' amore e del romanzo Y introduzione della femmina dei 30 anni. A quell' annunzio le donne del ] 804 concor- demente gridarono : o Balzac , tu sei il nostro Colombo , il nostro salvatore , il nostro prediletto ; tu ci hai di- seppellite, e noi renderemo con grato animo il medesimo ufficio al tuo nome , quando noi e tu saremo al nostro cinquantesimo anno. Fra queste donne e il Sig. Balzac vi fu poi sempre una grande amorevolezza. E quale meraviglia? Disep- pellitore e diseppellite si slanciarono di nuovo alla corsa da un medesimo limile; dovettero in compagnia mie- tere gli antichi fiori calpestati dai passeggieri ; perchè ne germogliassero dei nuovi da cogliersi con amore e rispetto. Per verità questo fu uno dei più gloriosi mo- menti della vita del Signor Balzac e delle donne dei 30 anni. Egli s' innebbriò di questa gloria insperata e corse il mondo vuotando per ogni dove il calice del- l' ammirazione. Esse si abbandonarono alle gioie inspe- rate di una rinovellala giovinezza, fecero meravigliare gli uomini per la delicatezza dei loro sentimenti , per la profonda tristezza dei loro cuori , e per le pungenti torture che gli animi loro appena potevano tollerare. In questi trionfi la critica francese sempre generosa- mente aiutò il Signor Balzac; e per opera di essa il 128 pavone potè lare la magnifica distesa della coda. In che adunque essa è colpevole agli occhi del Signor Balzac ? Forse abbastanza non lo lodò , non 1' ammirò ? Essa pazientemente tenne dietro ai suoi lunghi e noiosi la- vori, tollerò molte sue dilavate o avviluppate fantasie; non si sdegnò all' aspetto di cose sfacciatamente inve- reconde, tacque al suono di parole bassamente oscene. Vennero i rivolgimenti di luglio, e di un colpo spen- sero quella fama che tentava d' invadere il mondo. La Francia trascurò Balzac per occuparsi dei suoi nuovi destini politici , le sue favole furono posposte alla po- litica 5 e le sue donne scaddero dal loro trono in mezzo air universale abbandono, dispogliate d' ogni bellezza, orribilmente invecchiate. E come , gridarono esse al- lora affannosamente a Balzac , non sono ancora 3 anni che noi eravamo al nostro trentesimo ; ed ora eccoci giunte al di là del quarantesimo anno della nostra vita? Oh nostro amico , nostro fratello , prediletto Balzac vieni in nostro aiuto ; noi moriamo ! a tali lamenta- zioni Balzac si slanciò pel vorticoso suo mare, ed ap-- prodò air incognito regno della donna dei quarant'anni. Ma in questo suo nuovo dominio non una sola donna volle seguirlo. Quarant' anni , gridarono esse concor- demente , sono una troppo orribile cosa. In questo mentre il mondo perde ogni affetto per la donna dei 30 anni 5 che affascinato vide avanzarsi le onnipos- senti falangi di Giorgio Sand nel colmo dell' ardor gio- vanile , piene di beltà , d' amore e di grazia. Questa veramente fu una grande sventura pel Sig. Balzac ; per- chè irreparabile. Le donne di Giorgio Sand furono da 120 tulli lodale , desiderate , ammirale ; quelle di Balzac universalmente abbandonale. Le sopraggiunte mostrando la freschezza dei loro volli irraggiali da una non isvi- gorita giovinezza , i begli occhi , gli eburnei denti ag- gravarono d' ironia e di scherno le più vecchie del Sig. Balzac. Voi conoscete i nomi delie care giovinette di Giorgio Sand. Indiana, Valentina, Clelia, Genovefa, Fernanda , Quiniilia e tutte quell' altre carissime e bel- lissime donzelle di nobili cuori, virilmente educale, sinceramente aEFettuose. A tutto ciò aggiungete una ma- schia robustezza , un' aurea salute , e la sempre cara e lusinghiera giovinezza. Vedete inoltre come esse vi- vono, con quale coraggio affrontano i pericoli. Ecco delle donne agitate da quelle passioni fra le quali ve- ramente ondeggia la natura umana. Paragonale questa falange di spiriti ammalianti alle donne di Balzac, e vedrete che quest' ultime sono ceneri di un fuoco spento, ossa di un sepolcro imbiancato. Ma se il Sig. Balzac e le sue donne vissero la vita delle rose , non deve egli perciò sdegnarsi contro alla critica francese; ma bensì con chi dopo di lui corse per la medesima strada, coi capricci dei lettori, e sopra lutto con se medesimo per avere con tanta impudenza abusato della pubblica stima. Non si ricorda più egli forse di quella indigesta accozzaglia di racconti , di fa- vole, di infamie da lui tante volle impudentemente pubblicata ; in cui per leggere un mezzo volume di cose nuove bisognava comperare per la terza e per la quarta volta delle scritture già vecchie.? Ignora egli forse che col mettere sempre sulla scena i medesimi nomi , i me- 130 desimi uomini , le medesime donne , i medesimi luoghi ha fatto di questa sua accozzaglia un laberinio dal quale il più gagliardo ingegno e la più costante volontà non potrebbe uscire? Egli chiama tutto questo guazzabuglio r Umana Commedia. Ciò sia pure; ma perchè in questa mal sostenuta commedia un tanto rimescolamento di cose 5 perchè un uomo che muore al ventesimo atto di essa ricomparisce poi sano e vigoroso al cinquante- simo atto? Si può con tutta sicurezza affermare, che se i ro- manzi del Sig. Balzac oggidì più non piacciono non è per colpa della critica francese -, ma sì bene del loro autore assiduamente costante nello starsi impantanato nelle sue fantasie. Si può liberamente dire , che se og- gidì Balzac più non gode di ciò, che lo rese così su- perbo da crearsi da se medesimo principe della lette- ratura francese, non è colpa della critica, ma bensì di lui medesimo , che abusando di un raro ingegno , si abbandonò ad ogni sorta di paradossi ; e per non ap- parire un semplice romanziere insaccò e copiò nei suoi romanzi ogni sorta di sogno e di delirio degli econo- misti di Francia , dei politici di Praga , dei fdosofi di Germania. La critica francese verso di voi, o Sig. Onorato Balzac, fu anche di troppo buona e condiscendente. Il giorno in cui voi correste in aiuto di quell' abbo- minevole Peytel -, il giorno in cui osaste di smentite le favole di un onorevole consesso \ il giorno in cui tentaste di persuadere che un sozzo e sfacciato assas- sino, un miserabile e vile uccisore di una donna era 131 caduto vittima dei giudici del vostro paese; il giorno in cui vi faceste impudente panegirista dell' osceno Vautrin e dell' infame Quinola 5 in questi giorni , dico , se la critica francese avesse voluto fare il suo dovere , avrebbe dovuto altamente gridare : processate e con- dannate lo sfacciato romanziero che bestemmia contro alia giustizia di Dio e degli uomini, che deride quanto vi è di più serio e di più terribile al mondo. Giova ripeterlo : La critica francese fu verso del Sig. Balzac anche di troppo buona e condiscendente. Egli la ricompensa colla calunnia e coli' insulto 5 egli che crede e deride 1' affetto della riconoscenza -, come derise e non credette abitudine dell' animo della donna il pudore. Applaudiamo al solenne filosofo che si studia di fare migliori gii uomini ) studiamolo noi italiani , e così diverremo simili a cosa non più capace di essere agi- tata da nessun soffio di vita. A qualcheduno ciò sarà grato I ! NICOMEDE BIANCHI. '^^fOi^-'f ■-»«0»«-5-4»te««*"f •=5^«>!««-4 '»«C9«S-'+'-^&!0}«S* SERMONI EVANGELICI ED ALTRE PREDICHE DEL P. CLEMENTE B R I G N A R D E L L I Genova 1843 presso la sìg. Rosa Lavagnino Parodi sotto i portici dell" Accademia / Non sono molti anni, che i genovesi ascoltavano dalla bocca del P. Brignardelli la divina parola; e nella opinione di moltissimi, quel sacro oratore, era tenuto in alta venerazione 5 e come eloquente dici- tore, e come un esemplare di vita e di zelo sacer- dotale. Quando declinato alla più grave età, non più si poteva udire dal pergamo la voce dell'uomo reli- gioso e pio banditore della divina parola , i suoi lavori furono desiderati stampati -, e già nel 1 834 Le Sacre Orazioni si pubblicavano coi tipi Ferrando in Genova; e nel 1839 si ristampavano, vivente l'Autore, in Roma-, ed in Roma pure nel 1841 venivano in luce, dedicati 133 a S. E. il Cardinal Pacca , i suoi Discorsi Sacri e Mo- rali; delle quali cose fu dato allora un ponderato giu- dizio negli udnnali delle Scienze Religiose. Il Bri- gnardclli terminava in quell' anno di correggere i suoi Sermoni Evangelici , e forse sarebbero allora stati dati alla stampa, se una morte improvvisa non ce lo avesse rapito. Acciocché il desiderio degli ammiratori suoi fosse finalmente contento , e la parola Evangelica del Bri- gnardelli venisse più intiera a consolare le tribolazioni , ed a ravvivare la speranza de' pii genovesi , si ebbe cura che fossero date in luce ancora queste Sagre Concioni , delle quali annunziamo la pubblicazione fattane in due volumi, col titolo sopra ricordalo di Sermoni Evan- gelici. Aspettando, che alcuno di noi più valente, renda conto del merito letterario e religioso dell' opera del Brignardelli , ci limiteremo a darne quella idea che il P. Brignardelli medesimo ne porge nella prima delle sue Omelie per la Domenica XXIII dopo Pentecoste. « lo non intendo di legarmi ad alcuna legge fissa « di Omelia piuttosto che di Discorso o Ragionamento , « o Predica a soggetto : Talora esporrò ad una ad « una seguitamenie tulle le parti della corrente Lezione « Evangelica -, talora prenderò a soggetto qualche in- « struzione, o massima importante che ci venga incul- « cala, e che meriti d'esser trattata più particolarmente: « nii propongo bensì per regola di farvi sempre una « spiegazione morale ed utile nella pratica , lasciando « da parie le qnisiioni di critica e di erudizione, che « sarebbero senza profitto spirituale 134 « Quanto allo stile de' miei Sermoni , io crederei di « mancare essenzialmente al mio ministero, se non par- « lassi un linguaggio chiaro, intelligibile a tutti, e se « studioso soverchiamente dell'arte di dire, e vago degli « ornamenti dello stile , perdessi di vista il gran flne « della predicazione, eh' è la gloria di Dio, ed il frutto « dell' anime ». Ognuno potrà in leggendoli vedere come il P. Brignardelli fosse fedele al proprio zelo -, ma per darne qui un saggio crediamo opportuno il discorso sulla perseveranza; dove tutto ci parve da lodare, pen- siero, descrizioni, argomenti, ordinamento, ecc. « Le « virtù ( ei dice ) esercitate nel corso della vita , sono « come quei venti che guidano prosperamente la nave « pel suo cammino ; ma la finale perseveranza è come « quell'ultimo vento propizio, che la spinge in porto, « e la mette a coperto da ogni periglio ». Ivi rammenta de' miseri Israeliti, che dopo cinque settimane che erano stali aspettando Mosè dal Sinai , non seppero aspettare altri cinque giorni per ricevere le Tavole della Legge e la caparra del divino favore pel pronto ingresso nella Terra promessa; ed alzarono il vitello d' oro, e dan- zarono e vi crapularono intorno; onde poi molti ne furono morti, e a tutti vietato fu l'arrivare al possesso della Terra desiderata: Sicché (ei conchiudeva) niuno avventuri la corona che sta preparata, sol che sia per- severante per poco; poiché forse da pochi dì può di- pendere r assicurarci della sorte eterna. GIROLAMO BOTTO. SAGGI DI CHIMICA imERALE ED ORGANICA RACCOLTI PER 1 GIOVANI STUDIOSI dal Prolessorc GIROLAMO BOTTO INTRODUZIONE (1} I. Negli scritti de' tempi moderni , è si spesso questione di Chimica, e del suo influsso sul commercio e l'indu- stria , suir agricoltura , fisiologia e medicina , che i suoi rapporti coli' altre scienze, e colla vita sociale, meri- tano che se ne faccia parola in questi fogli. Quando si vuol parlare de' progressi , e dello svi- luppo della moderna chimica, non si può a meno di tesser 1' elogio de' mezzi e degli strumenti , che il chimico adopera ne' suoi lavori. Senza Vetro , Sughero , Platino , e Gomma elastica forse non si sarebbe pro- gredito la metà. A tempi di Lavoisier non era dato • [1) Cavala dal tedesco dal sig. >. >". 136 che a poche persone ricche , alieso il caro cosio de- gli apparali , d" intraprendere analisi chimiche. Ciascuno conosce le meravigliose proprietà del vetro : trasparente, duro, senza colore, immutabile dagli acidi, e dalla maggior parte dei fluidi, pieghevole a certa tem- peratura , e malleabile come la cera ; esso riceve dalle mani del chimico alla fiamma d' una lucerna la forma e figura , che conviene agli apparati necessarj alle sue esperienze. Quali preziose proprietà non si riuniscono nel su- ghero ! per quanto altri possa stimar poco il suo va- lore, e non riconoscere le sue qualità; indarno ci rom- peremmo il capo per rimpiazzare il sughero, nell'usuale turacciolo della bottiglia, con qualche altra cosa. È questo una massa molle , sommamente elastica , che la natura stessa ha inzuppata d' una sostanza , che sta fra la cera , il sevo , e la resina , ( la suberina ) , per cui essa acquista la proprietà di essere adatto impe- netrabile ai fluidi , e fino a un certo punto anche a lutti i gas. Col sughero si uniscono aperture grandi colle piccole -, e colla gomma elastica e sughero , si costrui- scono i più complicati apparati di vetro , senza aver bisogno di lavoratori, di metalli, di meccanici, di vili, 0 di chiavi. Gli apparati del chimico altrettanto a buon mercato, che prontamente e facilmente si fanno e si rinnovano. Senza platino non potrebbe operarsi un ana- lisi minerale. Il minerale dev' essere decomposto , esso dev' essere sciolto , cioè preparalo alla decomposizione. Il vetro , la porcellana , tutte le specie di crogiuoli non metallici sono distrutti dai mezzi , che sei'vono alla so- 137 luzionc. Crogiuoli d'argento e d'oro si ronderebbero ad alle temperature: 11 platino vale meno dell'oro, è più duro e più durevole dell'argento, non si fonde a tutte le temperature de' nostri fornelli , non è attaccato dagli acidi , né dagli alcali carbonati , riunisce in se tutte le proprietà dell' oro , e della porcellana infusibile. Senza platino la composizione della maggior parte dei minerali sarebbe forse ancora sconosciuta. Senza su- ghero e gomma elastica , non potremmo far senza del meccanico ad ogni operazione ; solo senza gomma ela- stica tutti gli apparati sarebbero più costosi e più fra- gili; ma il principale vantaggio, che entrambi ci danno, è il risparmio di tempo di gran lunga più prezioso. II laboratorio del chimico d' oggidì non è più il so- lido, oscuro e freddo sotterraneo del mettallurgo, o r officina ingombra di storte e lambicchi del farma- cista; ma una stanza chiara, calda, ed amena. Invece di fornelli da fusione, e carboni, gli servono ben co- strutte lucerne, e lo spirito di vino gli dà una fiamma pura, e senza odore. Con questi semplici mezzi a cui si aggiugne una bilancia e il canello dei smaltatori, il chimico compie le sue più svariate ricerche. Pesare e misurare è ciò, che fa differenza della chimica dalla fisica, anzi non avvene altra fra loro. Da secoli i chimici usavano misurare ; ma da soli 50 anni cominciarono a pesare. Tutte le grandi scoperte di Lavoisier ei le deve alla bilancia -, a questo strumento impareggiabile , che stabilisce tutte le osservazioni e scoperte; che domina i dubbj, e mette in luce la ve- rità; che ci mostra se abbiamo errato, o siamo sul 138 retto sentiero. L' impero d' Aristotele ebbe fine colla bilancia ; il suo metodo di dare la spiegazione d' un fenomeno naturale secondo 1' immaginazione, ha fatto luogo alla fedele osservazione della natura. Tre de' suoi elementi furono d' allora in poi solo rappresentanti di stati. Tutto ciò che esiste sulla terra, è ancora come prima allo slato solido, fluido, o aeriforme 5 ma la terra, l'acqua, l'aria, come elementi appartengono alla storia, ed il fuoco non è che il visibile e sensibile operatore del cangiamento di questi stati. La cognizione della com- posizione della crosta solida della terra fu lo scopo prin- cipale degli studj della generazione successa a Lavoisier ; giacché la composizione dell' aria , e quella dell' acqua era slata da lui stabilita. Ai dieciotlo metalli che si conoscevano , se ne aggiunsero , come principii di mine- rali, altri ventiquattro nuovi. La gran distanza fra l' os- sigeno ed i metalli si perdeva in successive transizioni. La massa principale dei minerali si dimostrò composta di due e più ossidi in fissi ed immutabili rapporti ira loro -, quali combinazioni di ossidi metallici da una parte, con altri ossidi , il di cui radicale carbonio e silicio so- stanzialmente differisce nelle sue proprietà dai metalli. . Un altra classe di minerali si formava dalle combinazioni di zolfo (solfati), in cui lo zolfo fa le funzioni d'os- sigene , e la massa dell' altre combinazioni , come Quali arseniati , fino al solo clorato che si conosca ( il sai di cucina), ed era assai piccola al paragone, e quasi impercettibile. La chimica minerale non si contentò dell' analisi , essa dimostrò la formazione della pietra pomice , del felde- 139 spalo, della mica, dei solfuri melallici, colla sintesi. Ma la più bella di tulle le scoperte della chimica minerale per rapporto alla produzione di minerali, fu indubita- tamente quella della lazulite (hf^islazoli). Nessun mi- nerale poteva eccitare più interesse di questo. Del più bell'azzurro del cielo, immutabile all' aria ed al fuoco più forte , le sue parti più sottili ci davano la più preziosa materia colorante : L' oltremare era caro come I' oro , la sua produzione sembrava impossibile -, poiché indarno r analisi vi avea cercata la materia colorante : Silice , allumina, natrum; tre materie senza colore; e zolfo e ferro, che ambedue non sono bleù; e fuori di questi non vi si rinveniva altro corpo a cui si potesse attribuire il colore. Infatti colla silice , allumina , natrum , ferro e zolfo si fabbricano ora migliaja di libbre d' oltremare più bello ancora del naturale , e colla stessa somma con cui prima se ne comprava una sola oncia, ora se ne hanno parecchie libbre. Si può dire, che colla produzione della lazulite ar- tificiale cessò la produzione de' minerali d' esser oggetto di scientifica ricerca pel chimico. Se debba cessare d'oc- cupare il geologo non si potrebbe muovere il dubbio-, ma passerà ancora molto tempo , prima che i geoh>gi sì risolvano a far de' tentativi, che non possono più aspettarsi dai chimici, appunto perchè per questi è esau- rito tutto r interesse. Pel chimico non resta più a scio- gliersi alcuna questione sotto questo rapporto. Dopo la cognizione delle parti costituenti la crosta solida della terra, de' reciproci rapporti delle materie poco solubili , dei metalli , e metalloidi , dovea secondo 140 il naturale corso dell' investigazione della natura dive- nire oggetto principale dei lavori dei chimici , l' osser- vare r alta potenza a cui certi elementi sono portati dalla vitalità nelle piante, e negli animali. Una nuova scienza inesauribile come la vita stessa , si sviluppa sul positivo e solido tronco della chimica inorganica-, dopo le gemme, le foglie e i rami devono svilupparsi i fiori, e dopo il fiore il frutto. La chimica vegetale ed ani- male cerca, riunita alla fisiologia, d'investigare le miste- riose sorgenti della vita organica. Lo stato della materia sulla terra è stabile soltanto relativamente. La moderna Chimica non conosce nulla di assolutamente solido, né liquido, né aeriforme. Col più forte fuoco de' nostri fornelli non si può a dir vero fondere il platino, l'argilla, o il cristallo di rocca; ma si liquefanno come cera al calore de' mantici a gas detonante, e dei 28 gas se ne conoscono 25 in forma di fluidi, ed uno perfino in forma di corpo solido. La legge di Mariotte fino allora considerala vera per tutti i gas, perde la sua generale applicazione. Non in tutti i gas il volume diminuisce nello stesso rapporto in cui cresce la pressione. La massima parte invero sotto una pressione doppia o tripla occupano solo la metà, o un terzo dello spazio di prima, ma nel gas acido solforico , nel gas cianico con una pres- sione quadrupla , la diminuzione di spazio non cor- 141 lisponde più alla pressione, ma è mollo maggiore. Compresso ad un sesto del suo volume dalla solila pressione alroosferica il gas ammoniacale, e compresso ad ^36 i' S^s acido carbonico cessano di seguire la legge di Mariolte. Souoposti a queste pressioni una parte di questi gas perde la forma aerea , prendono r apparenza di fluidi riducibili in goccie , che nel momento in cui diminuisce la pressione si gassificano di nuovo. Gli apparati di cui si servono i Chimici per ridurre i gas in istato fluido sono meravigliosi per la loro semplicità: un alto grado di freddo artificiale ed un semplice tubo di vetro piegato a gomito gli tengono luogo delle più potenti macchine di compressione. Ris- caldato in un tubo di vetro aperto il cianuro di mer- curio si scompone in gas cianico , e mercurio metallico-, in tubo chiuso ermeticamente alle due estremità la de- composizione col calore succede come prima j ma il gas cianico non può sfuggire , e si trova rinchiuso in uno spazio che è parecchie centinaja di volle più pic- colo dello spazio , che occuperebbe col tubo aperto sotto la ordinaria pressione dell'aria. La naturale con- seguenza ne è, che la massima parte del gas ad un leggiero ralTreddamento prende lo stato fluido nella parte non riscaldata. Se versiamo in un vaso aperto calce carbonata, ed acido solforico, vedesi sfuggire il gas con effervescenza: questa decomposizione operata in un recipiente di ferro chiuso, e sulTicientemente forte , ci dà delle libbre d' acido carbonico liquido. Sotto la pressione di 36 atmosfere 1' acido carbonico 113 si separa allo slato di fluido dai corpi coi quali è mescolato. Ognuno conosce per mezzo de' giornali le meravi- gliose proprietà di questo acido carbonico fluido. Un sottil getto di esso, che si lascia defluire nell'aria, ri- prende con istraordinaria prontezza il suo slato primi- tivo di gas-, la parte che si gassifica , sottrae alla parie che resta fluida una sì grande quantità di calore, che questa si congela in una bianca neve. Si ritenne in- fatti da principio questa sostanza cristallina per neve elTettiva , per vapore acqueo rappreso nell' aria 5 ma una più accurata analisi dimostrò ben tosto , che non era che puro acido carbonico gelato. Affatto all' op- posto dalle solile qualità 5 1' acido carbonico solido non esercita , che una assai piccola pressione sopra gì' og- getti che lo circondano. Mentre 1' ossigeno liquido rinchiuso in un tubo di vetro, all'aprirsi dello stesso, l'iprende lo stato di gas con una esplosione che spezza il tubo in minutissimi briccioli -, l' acido carbonico solido si può prendere colle mani fra le dita, senza che si provi altro , che un forte senso di freddo. Nella così grande aderenza in cui irovansi le particelle dell" acido carbonico solido, si mostra in tutta la sua potenza la forza di coesione del gas , che in altro tempo era af- fatto irapercciiibile; essa oppone alla tendenza a ri- prendere le forme gassose , una resistenza che non è vinta che a poco a poco, e non ritorna affatto allo slato di gas , che a misura che riceve calore dagli og- getti che lo circondano. Il grado di freddo, o se si vuole il raffreddamento, che provano i corpi circosianii 1« dalla gassificazione dell' acido carbonico solido è al dissopra d'ogni calcolo. Dieci, venti e più libbre di mercurio, a coniano con un miscuglio di Etere e d'acido carbonico solido , in un momento diventano solide e malleabili. La futura generazione non vedrà più tali meravigliosi esperimenti, mentre un funesto esempio ha reso evi- dente lo straordinario pericolo della produzione del- l'acido carbonico in sì grande quantità. Poco prima del principio della lezione scoppiò , du- rante la preparazione nel laboratorio della scuola po- litecnica di Parigi , il cilindro di ferro di 2 ija pie- di di lunghezza e ] piede di diametro , in cui si era sviluppato l'acido carbonico, ed i frantumi dello stesso slanciati colla più terribile forza spezzarono ambedue le gambe all' assistente , il che fu causa della sua morte. Non puossi senza fremere pensare alla desolazione , che lo scoppio di questo recipiente fatto della ghisa la più forte , in tutto simile ad un cannone , avrebbe ca- gionato in una sala piena zeppa di spettatori; eppure questo cilindro avea già più volte servito allo slesso uffizio, il che allontanava ogni idea di pericolo. Dopo che si conosce , che i più dei gas divengono liquidi colla pressione, o col freddo, non è più un mi- stero la sorprendente proprietà del carbone poroso di assorbire e condensare da 10 a 20 volte del suo volume di gas, ed in alcuni gas, come nel gas am- moniaco, e nel gas acido muriatico, perfino 70, e 60 volte del suo volume. Questi gas ritrovansi rislrelii nei pori del carbone in uno spazio cento volle più pie- Ili colo, e non si può diibiinre, che non fossero in parie divenuti fluidi, o avessero preso lo sialo solido. Come in mille altri casi la chimica azione ha supplito la forza meccanica : L' idea d' adesione ha ricevuto una più grande estensione : Finora non vi si poteva unire quella di un cangiamento di slato 5 ma adesso la causa dell' aderenza di un gas alla superficie d' un corpo solido , si concepisce come V opposto della soluzione. La più piccola parte di un gas dell' aria , p. e. , può essere compressa da pressione semplicemente meccanica in uno spazio mille volte più piccolo; la sua massa, per rapporto alla superficie commensurabile d' un corpo solido , si comporta come un granellino di seme di sam- buco ad un monte. Pel semplice effetlo della massa in forza della gra- vitazione, le particelle gassose sono attratte dal corpo solido, e restano aderenti alla sua superficie. Se vi si accresce una chimica azione quantunqne piccola, i gas coercibili non possono più mantenere il loro slato. La condensazione dell' aria sopra un pollice qua- drato di superficie non puossi invero assoggettare a misura; ma se s'immagina una superficie d'un corpo solido , di alcune ceniinaja di piedi quadrati , ridotta in uno spazio d'un pollice cubo, e questo spazio in un limitato volume di gas; si vede che lutti i gas senza dilferenza diminuiscono di volume, che vengono come si dice assorbiti . I pori d' un pollice cubo di carbone hanno almeno una superficie di cento piedi quadrali ; la loro proprietà di assorbire dei gas si aumenta nelle di- verse qualità di caibone, a proporzione del numero Uà dei pori che vi sono in un dato spazio -, cioè il car- bone a pori grossi assorbe molto meno, che quello a piccoli pori. Tutte le materie porose , le specie porose di pietra e di ganghe, i granelli di terra, sono veri assorbenti d' aria, e perciò d'ossigene-, ogni più piccola, particella de' medesimi si circonda di un' atmosfera pro- pria d' ossigene condensato; e se trovansi in sua vicinanza altre materie, che possano combinarsi con questo ossi-, gene, p. e., corpi contenenti carbonio ed idrogene, for- mansi allora sostanze nutrienti per la vegetazione , acido carbonico, ed acqua. A ciò riguardano i quesiti proposti dal congresso dei scienziati italiani in Firenze neM841. Lo sviluppo di calore nell' assorbimento di questa aria , o dal vapore acqueo , e quando la terra viene inafliata d' acqua è riconosciuta come conseguenza d" una condensazione prodotta da queste influenze di superficie. Il più meraviglioso assorbente d' ossigene è stato trovato nel platino metallico. Questo metallo bianco , e splendente nella sua separazione dai fluidi , puossi ri- durre in parti tanto minute , che le sue più piccole particelle non riflettono più la luce, e sembra nero come il nero di fumo. In questo slato assorbe più d' 800 volte il suo volume ne' suoi pori di gas ossi- gene; e questo ossigene deve irovarvisi in uno stato di condensazione , che molto si avvicini a quello del- l' acqua fluida. In questo staio in cui le loro più piccole parti sono così ravvicinate le une all' altre , possono dimostrarsi evidentissimamente le proprietà di tutti i gas conden- ■<- 146 sali; ed il loro chimico earaltere mostrasi tanto più io evidenza , quanto il fisico diminuisce. Quasi' ultimo eonsìste nella continua tendenza delle sue particelle ad allontanarsi l'una dall'altra; e l'azione chimica al contrario mostrandosi attiva solo nel ravvicinamento, è facile comprendere, che f elasticità del gas è il prin- cipale ostacolo per lo sviluppo delf azione chimica. Nello stato in cui i gas trovano posto nei pori ove la repulsione è stala annichilata, od alla superficie d'un corpo solido si sviluppa 1' intera loro chimica attività. Combinazioni in cui l' ossigeno non poteva entrare allo stato solido , trasformazioni , che non aveva virtù d' ope- rare , accadono colla più grande facilità ne' pori del platino, che contengono l'ossigene condensato. In que- sto nero di platino , ed anche col platino spungoso , si ha infatti un Perpetuum mobile, un orologio che scaricato si rimonta di nuovo da se , una forza , che mai si esaurisce ; eO'etti della maniera la più potente che si rinnovano all' infinito. Si versi gas idrogene sulla spugna di platino i cui pori contengono ossigeno condensato , i due gas si combinano assieme 5 al loro contatto nell'interno della spugna di platino si forma acqua , e l' immediata conseguenza di questa formazio- ne d' acqua si è uno sprigionamento di calore , un arroventarsi del platino, che infiamma il gas che vi continua a defluir sopra. Se si interrompe la corrente del gas infiammabile in un istante incommensurabile i pori vuotati del platino si riempiono di nuovo di gas ossigene, e lo stesso fenomeno si ripete la seconda volta , e la terza all' infinito. 1*7 Una quantità di fenomeni che fin allora erano ri- masti interamente inesplicabili, hanno ricevuta la più bella e soddisfacente spiegazione dalla scoperta del modo di diportarsi de' corpi solidi , e specialmente dei porosi. La trasformazione dello spirito di vino in aceto, cioè la fabbricazione artificiale d'aceto, certamente una delle più importanti manifatture nazionali Tedesche , posano oggigiorno su principii a cui si è giunti coli' accurato studio delle mentovate proprietà. Puossi considerare come il fondamento della moderna industi'ia la promessa d' un milione di franchi fatta dal governo francese sotto Napoleone allo scopritore d' un semplice metodo per cavare la soda dal sale comune. La soda, o il suo principio, ilNatrum, serve in Francia da tempo infinito alla preparazione del sa- pone , e del cristallo -, due prodotti dell' industria chi- mica, per i quali vengono posti in moto ragguardevoli capitali. Il sapone è la misura del ben essere e della civilizzazione degli stali. Gli economisti non vorranno in vero attribuirgli que- sto rango; ma prendasi la cosa per scherzo, o sul serio , è certo che nel paragone di due stati d' egual numero d'abitanti, si può dichiarare con positiva cer- tezza per più ricco , più agiato , più civilizzato quello, che consuma maggior quantità di sapone; perchè la vendita ed il consumo non ne dipende dalla moda , non un dal soUeiioo del palato; ma dal seniimento del bello, dal ben essere, dal comodo che nasce dalla pulizia. Dove questo senlimenio unitamente alle esigenze degli altri sensi è rispettato e nodriio, ivi è agiatezza e coltura insieme, l ricchi del medio evo , che con pre- ziosi ed odorosi aromi sapevano soffocare la cattiva esalazione della loro pelle , e de'loro abili , che non toc- cavano mai sapone, vivevano con più lusso di noi in mangiare e bere , in vestiti e cavalli ; ma in quale immensa distanza sono da noi presso cui sudiciume e trascuratezza sono sinonimi di miseria , e d' insoppor- tabili avversità ! 11 sapone infine appartiene a quei pro- dotti il di cui valore capitale senza interruzione sparisce dalla circolazione, e vuol essere rinnovato; è uno dei pochi prodotti dell' industria , che dopo T uso, come il sego , e r olio , che si consumano per far lume , restano assolutamente privi di valore. Con vecchi rottami di vetro si puonno comprare vetri da finestre , con stracci abiti, con acqua di sapone non si può venire a capo di nulla. La valutazione del capitale, che è mantenuto in costante circolazione dalle fabbriche di sapone, sarebbe di grande interesse; mentre non è certo minor di quello che circola nel commercio del caffè, colla diffe- renza che il capitale della fabbricazione del sapone si produce sul nostro suolo. Da 20 a 30 milioni di franchi passavano annual- mente di Francia in Spagna per sola soda , perchè la soda spagnuola stimavasi la migliore. Il prezzo del sapone e del cristallo aumentava continuamente, durante la guerra coU'lnghilterra tutte le fabbriche ne soffiivano. 1 149 L' odierno processo per la produzione della soda da sai marino, che ha arricchito la Frani;ia, fu scoperto allora da Leblanc; ma egli non ottenne il gran pre- mio: la ristaurazione sopravvenne, essa non riconobbe il debito 5 doveansi pagare debiti più urgenti , e così esso fu prescritto. In brevissimo tempo la fabbricazio- ne della soda prese in Francia uno straordinario in- cremento, e nella massima proporzione si sviluppò nella sede delle fabbriche di sapone: Marsiglia pos- sedeva, quantunque per breve tempo, il monopolio della fabbricazione della soda, e del sapone. L' odio d' una popolazione irritala, che avea perduto sotto Napoleone il commercio della soda, sorgente prin- cipale della sua industria, tornò a vantaggio, per una strana combinazione di circostanze , del governo che gli successe. Per ridurre il sai comune in carbonato di soda, de- vesi prima (tale è il processo di fabbricazione) mu- tarlo in sai di Glauber ( solfalo di soda ) ; perciò son necessarie sopra -1 00 libb. di sai marino circa 80 libb. termine medio di acido solforico concentrato. Si vede tosto, che dacché il prezzo del sai marino fu ridotto al minimo per spontanea risoluzione del governo, il prezzo della soda dipendeva da quella dell' acido sol- forico. La domanda d' acido solforico si accrebbe enorme- mente, da tutte le parli affluivano capitali a questo lucroso ramo d' industria : la produzione , e la forma- zione dell' acido solforico fu sludiata nel modo più accurato, e d'anno in anno si ritrovavano migliori. più facili , e (>iù economici metodi di ottenerlo. Ad ogni miglioramento il prezzo dell' acido solforico di- minuiva, ed il suo spaccio cresceva sullo stesso rap- porto. I recipienti in cui si produce 1' acido solforico sono di piombo, la loro circonferenza è stata succes- sivamente di tanto accresciuta, che in uno d'essi {La camera di piombo), vi si potrebbe stabilire como- damente una mediocre casa di due piani. Per ciò che riguarda il processo e gli apparali, la fabbricazione d' acido solforico ha toccato il colmo del perfeziona- mento; e poco, 0 nulla rimane a farsi. La saldatura delle lastre di piombo col piombo o stagno (^salda- ture mescolate sarebbero state corrose) costava dap- prima quasi tanto come le lamine stesse ; ora che ser- vono dei mantici a gas detonante, due lamine possono essere congiunte assieme da un fanciullo. Cento libbre di zolfo possono produrre secondo i calcoli 306 libb. d'acido solforico-, se ne ottengono invece sole 300, e la perdita come si vede non merita d' essere men- tovata. Dopo lo zolfo avea il più grande influsso sui prezzi dell'acido solforico il nitro indispensabile a questa operazione. Non abbisogna è vero che un sol quintale di nitro in dieci quintali di zolfo; ma quello costava quattro volte tanto di un egual peso di zolfo. Anche questi rapporti ora sono cambiali. Alcuni viaggiatori avevano scoperto nel Perù nel distretto di Atakama in vicinanza della piccola baja di Yquique forii esala- zioni saline di cui l'analisi chimica avea dimostrato, che il più imporlanie principio erasi il nitrato di soda. Il commercio, che colle sue bracicia di polipo circonda ! 151 la terra, e dovunque apre sorgenti di prosperità all'in- dustria, s'impadroRÌ bentosto di questa scoperta-, il de- posilo di questo prezioso sale si dimostrò inesauribile ; si rin\enne uno strato di più di quaranta miglia qua- drate d'estensione-, se ne portarono in Europa delle masse a prezzi, che non arrivavano alla metà delle spese di trasporto del nitro indiano {nitrato di po- tassa), e siccome nella chimica fabbricazione non si valutava né la potassa né la soda , ma solo l' acido ni- trico combinatovi ; il nitrato del Chili scacciò in bre- vissimo tempo quasi affatto dal commercio l'indiano, ossia il nitrato di potassa. La fabbricazione d'acido solforico ebbe un nuovo incremento, il prezzo ribas- sava continuamente senza pregiudizio dei fabbricanti : ora è divenuto quasi stazionario, dopo che per la so- pressa estrazione di zolfo dalla Sicilia è stalo per qualche tempo nell' oscillazione. La diminuita domanda di nitro spiegasi ora facil- mente; il nitro viene impiegato soltanto nella fabbrica- zione della polvere, e se i governi risparmiano delle centinaia di mille franchi nel prezzo della polvere lo devono alla fabbricazione dell' acido solforico. Per farsi un' idea del consumo d' acido solforico basti il notare, che una piccola fabbrica d'acido sol- forico versa nel commercio annualmente 5,000 quintali, una mediocre 20,000, e vi sono fabbriche che danno sino a 60,000 quintali d'acido solforico. (Sarà conlinuato) -o J8k>--o1IS y--^>-^9f^^W°--<>^'>-^o--ci^c^-o$^ HEDAGLJA IN MEMORIA DEL P. OTTAVIO G. B. ASSAROTTI CONIATA DAI SANESI Al Sig.^ Cristoforo Avv." Gandolfi , Bibliotecario delia R. Università di Genova ecc. ecc., il Di- rettore del R. Inslituto de' Sordo-muti. 111."° Sig." ed Amico Car.'"*' Ardeva altre volte nel cuore dell' uomo un amore , direi , quasi frenetico per la terra natale , in forza del quale a lei e sostanze e vita sacrificavansi : fatti più miti i costumi, ei volle considerarsi cittadino — non più di uno 0 dell'altro paese ma — cittadino del mondo: e dubbio rimane se, nel fatto, maggiore sia il benefizio àeWasserta, raramente vera, universale carità fraterna, od il danno della mancanza di quelle speciali aflezioni che produssero tanti atti veramente eroici d'animo eminen- temente generoso. Quando quel trasporto per la patria generava gli Eroi, più certamente era giusto che onorata e distinta ne venisse la memoria in quella terra d'onde 153 erano soni, e più Ignominiosa addiveniva l'ingrutiiu- dine di lei verso i figli benemeriii : ora che gli uomini sono , 0 si dicono , cosmopoliii , quanto meno d' ingrate possono tacciarsi quelle ciità , le quali sembrano dis- simulare la gloria ed il lustro che lor viene dalla culla o dai fatti d'uu Eroe della Religione o della Società, altrettanto generoso deesi confessare il sentimento di quelle , che speciali onoranze decretano a personaggi distinti, che per nascita o per diretti servizj loro non appartengono. E siffatte onoranze sono , cred' io , testi- monio tanto meno dubbioso o sospetto al merito, quanto che non dettale da spirito di tempo, di convivenza, 0 di municipio. Egli è in questo convincimento , amico mio pregiat.™", ch'io oso dirigervi queste poche parole; poiché i signori di Siena facendo coniare una medaglia che rammentasse alla posterità l'effigie del genovese P. Ottavio G. B. Assarotii^ e con inscrizione, tanto piena di sentimento quanto più semplice , perpetuasse la conoscenza del di lui merito, mossi certo non venivano da entusiasmo d'un tetto o d'un muro comune all'onorato ed agli onoranti. Vedevano sorgere fra loro, per opera del Pendola, un Insiituto pei Sordo-muli; sentivano da lui, religioso del Calasanzio, encomiare le virtù tutte, ed in modo particolare il sommo amore e le paterne cure dell'estinto Confratello per quegli infelici-, ricordavano fors' anche taluni quell'estasi religiosa ed umanitaria, in cui li ebbe trasportati qualche di lui lezione da loro presenziata-, e deliberavano, sul busto nel nostro Stabilimento modellalo dal Sordo-muto Oggero, traesse 154 il Fabris il ii[)0 d'una medaglia , cui vollero atter- gare modestissima eloqueniissima e veramente caratte- ristica dedicazione : ^lla memoria del Padre dei Sordo-muti in Italia. Passando sotto silenzio la delicatezza, per cui quel- l'impronta, fotta a loro spese, davano alla luce, celato il proprio , sotto il nome del nascente Instituto -, ta- cendo sul merito artistico del lavoro, di cui io, profano del tutto, non potrei che troppo vagamente giudicare e quindi poco scusabilmente scrivere a Voi , conosci- tore profondo 5 dirò due cose che sole per diritto di umana natura a me possono competere : che leg- genda più tenera e più espressiva rinvenire non si potesse per dimostrare all' evidenza nitida ed intera l'anima tutta del P. Assarotti; poiché quel nome di Padre dice tanto alla mente ed al cuore , eh' io penso nessun altro fuori d' un Padre possa apprez- zarne il valore : e che ben a ragione si debba la- mentare quel ponzone — 0 fosse accidente che trop- po spesso sembra deliziarsi a rovinare le cose mi- gliori, 0 fosse gara d'arte che (danno giammai) emulazione e perfezionamento dovrebbe sempre pre- sentare— uscisse dall'officina così malconcio da non essere più atto ad ulteriore riproduzione di quelle in- teressanti medaglie. Una cotale disgrazia privandomi del piacere di acqui- starne un numero che valesse a farne nella nostra città quella sufficiente distribuzione ch'io bramava, si è fatto per me pensiero gravissimo il collocare le poche , do- natemi dall'amicizia del Pendola, in modo, che per 16» loro elernata, quanto il coniporia la caducità delle umane cose , fosse la menfioria d' un Uomo che onora la Liguria: e certo nessuno ha da esservi più inte- ressato di quello eh' io lo debba; io che ebbi da lui tante utili instituzioni, una famigliarità di diciassette anni , e la fortuna di sentirne i precelli , vederne gli esempj, goderne la confidenza, ricevere l'estremo pal- pilo della sua vita, e succedergli nella direzione di questo Insliuito, cui porto bensì quanto meglio posso di volontà , ma troppo poco della sua carità , delle sue cognizioni, delle qualità in somma eminenti della sua mente, del suo cuore e del suo spirilo. A ben collocarne una , Amico cariss."", sollecito Voi , che amate la patria , ne illustrate i fatti , ne svolgete i più recondili documenti , e nulla risparmiate di studj e di fatiche per esternarle l' affezione figliale che tanto potentemente a lei vi vincola. Voi avete Y impegno di formare ufi Medagliere ligustico nella R. Università; è son sicuro non vi dispiacerà di ammetterla a far serie di quella catena di Genovesi benemeriti, di cui possia- mo con giusto orgoglio andare superbi, lo ve la mando con questo scopo, colla certezza che, ove a voi solo non appartenga per uffizio decretarle l' onore che le vorrei concesso — e vorrete voi , invocarne dalla Deputazione Eccellentissima la necessaria autorizza- zione — e questa, composta per intiero di Perso- naggi genovesi , per lumi per nascila per dignità non meno che per ischietto ragionevole patrio amoic di- stinti, unanime a dimostrare quell'amplissima vene- razione in cui ciascuno di loro lo tiene nel proprio 156 cuore, acclamerà di buon grado accanala la mia do- manda, e collocata fra le memorie genovesi la meda- glia dedicala al genovese P. Assarotd. Accellate favorevolmenie la mia preghiera-, offrile al Padre del Sordo-muti in Italia queslo segno del- l' ammirazione , in cui sempre lo aveste ; e renderete uno dei servizj che più preziosi possiate a chi si è fatto sempre un pregio di esservi 111.°"' Signore, Amico e Servo Aff.""» CAV. AB. BOSELU. N, B. Copia di questa lettera con preghiera consimile venne pure diretta all'Ili." e M.° Rev.» P. Gio. Batta Cav.e Spotorno, Professore ecc. , per ottenere che altra medaglia venisse depo- sitata nella Civica Libreria, supplicandolo, ove il chiedesse il bisogno, d'invocarne l'autorizzazione dagli III.™' Sig." Sindaci e Decurioni, cui quest'atto additar doAca riconoscenza per la prolezione operosa di che il Corpo Civico fu sempre generoso verso l'Instituto dal P. Assarotti fondato. msmmmmmmBm*m.^ìmm& BIBLIOGRAFIA L' ASSOCIATION DES DOUANES ALLEMANDES SON PASSE, SON AvÉnIR PAH MM. DE LA-3V0URAIS et BÈRES Paris, Paolin libvaire cditcur 1841 In Genova, dove non mancano gli uomini studiosi ed i let- terati, pochissimi sono i libri di scienze che vi giungano in buon numero di copie, pochi quei di letteratura , intendo libri buoni, e quelli che vi arrivano, specialmente scientifici, vi giungono tardi. Uno di questi si è appunto quello del quale ora qui ne piace rendere breve conto ai Lettori della Rivista. Mossi a ciò fare dai motivi accennati dagli autori del medesimo per mostrare la utilità della fatica loro, i quali nella prefazione di- cono, che al giorno d' oggi in cui le questioni commerciali pre- occupano altamente e giustamente 1' attenzione pubblica, una questione tanto vasta ed importante quanto si è quella del- l' associazione delle Dogane Alemanne , non poteva rimanere inosservata ; perciocché questa rivoluzione che si è pacificamente operata nelle relazioni commerciali dei popoli del centro del- l'Europa non devesi limitare all'infiuenza che ella ha di già esercitata sovra di questi popoli stessi: e circoscriverla fra cosi angusti limiti sarebbe disconoscerne l'essenza e 1' importanza, essendo ella destinata forse a modificare assai prossimamente le leggi commerciali di più d' un paese. 158 E come, continuano gli egregi Scriltorf, potrassi non esa- minare conscienziosamente e profondamente nna tale unione in un momento nel quale si vede operarsi in Europa una tra- sformazione che vi si andava preparando da lungo tempo, in un momento nel quale , per dir cosi, la si vede incamminarsi alla ubbidienza di leggi novelle? E giammai, di vero, gli interessi che diconsi comunemente materiali , occuparono in Europa un più vasto campo. Il commercio e la industria sono divenute potenze, e ad aggrandirle, ad isvilupparle sovra una scala im- mensa , tendono ora tutte le forze vitali delle Nazioni , le quali , se per cagione di qualche politica crisi veggonsi minacciate fortissimi clamori si elevano da ogni parte a rivelarne la gran- dezza e, diremmo quasi, la immensità degli interessi compro- messi. II commercio e la industria dettano quasi oggigiorno le loro leggi. La guerra stessa , terribile potenza che non co- nosceva ostacoli , oggimai non può più aver luogo senza il con- corso dell' industria e della Banca (1). In mezzo pertanto a questa trasformazione dell' Europa guerriera, la quale ogni giorno più fassi commerciale ed indu- striale, quale questione meritava più l'attenzione di questa della creazione di uno stato di cose, che dopo aver fatto cam- biar di faccia ad uno dei paesi più importanti del continente Europeo reagisce sovra di quelli che lo circondano? qual era, or sono appena vcnt'anni, lo slato dell' Alemagna? Quale è Io stato suo d' oggidì? Come di tutti que' paesi, stranieri per così dire fra di loro, divisi da frontiere aspre di Doganieri, si è potuto fare un sol paese, un sol mercato di venticinque mi- (1) Noi per indole e per convinzione abborrìamo certamente dalla guerra, ma non sappiamo andar lieti di quella soggezione, che in parte è vera, della potestà politica dalla , come la si dice In Francia, Aristocrazia Bancaria. Il si- stema degli imprestiti generalizzatosi per ragione de' pesi straordinari dal- l' Europa sopportati specialmente al tempo , e per conseguenza dell' usurpa- zione Napoleonica, si mantiene tuttavia ed anzi oramai si è come un vasto polipo che tutta abbraccia la terra civilizzata, e come un immenso cancro la rode e la consuma. Noi vorremmo che i governi fossero liberi ne' movi- menti loro, e non sappiamo intendere quale influenza utile alle nazioni pos- sano avere i pareri del B. DeRotbschild. La vera prosperità, il vero progresso sarà quando nelle spese degli stati non figureranno i frutti di denaro preso ad imprestito perché i capitali rimasti cosi disimpiegati si verseranno nelle intraprese di commercio, d'industria e nell'agricoltura dalle quali sole il benessere generale si deve aspettare. 159 Jioni d'abitanti? Quali resistenze si sono dovute vincere, per qua! mezzi di persuasione sonosi ottenute tante successive ade- sioni dalla tenacità e perseveranza del governo di Prussia ? quali sono le leggi che regolano questa associazione novella , e di essa quali i risultamenti flnanzieri, le influenze commerciali e politiche? Inoltre, seguitano ad osservare, 1' associazione doganale Alemanna dover produrre frutti importantissimi, e quello senza dubbio di vedere crearsi ad esempio suo e ad essa intorno al- tre doganali federazioni , avvegnacchè nulla sia più facile ad immaginarsi del fallo di più paesi da molti interessi comuni legali e da numerose relazioni di vicinanza, di linguaggio e altre concorrenze, i quali cercassero di sopprimere fra di loro le intermediarie doganali frontiere e di confederarsi , seguitando l'esempio dell'associazione in discorso; e quali sarebbero allora le leggi commerciali che governerebbero questa novella Europa? E tanto più noi siamo incoraggiati a questa breve fatica , in quanto che i principali giornali scientifici Europei sonosi dati pensiero grandissimo di una tale unione, e giustamente fecero, che il prepotente moto impresso alle opinioni più non conosce confini o ritegni, e chi noi secondi minaccia danni o rovina; e fosse anche un male, tanto è cresciuto di forza eh' ei si conviene per avventura far come que' medici prudenti e circospelli i quali non conoscendo rimedio che al minaccioso morbo possa ostarsi di fronte , si limitano a cauta- mente seguitarlo per condurlo ad una crisi salutare. Né solo i giornalisti si sono occupati di un avvenimento tanto straordi- nario , perchè più governi hanno spedito sul luogo de'Ioro agenti per averne circostanziati e minuti ragguagli. L' Inghilterra se- gnatamente, quella nazione vigilantissima, mollo studiò tale unione, e lunghe furono le discussioni che su della slessa si tennero ne' suoi parlamenti ; ed i viaggi dei Signori Bowring (1) e Villiers, Mac Gregor, Lylton , Bulwer mostrano quanto importanti le sembrino le conseguenze che possono derivarne. E le società infine commerciali, industriali e scientifiche hanno credulo doverle fare soggetto di loro occupazioni, ed alcune proposero premii alle migliori memorie che loro venissero pre- sentate sulla materia. (2) Di questo Signore é stampato un rapporto diretto a Lord Palnierston sulla statistica della Toscana, di Lucca, degli Slati Ponlifiiii e Lombardo- Veneti, e specialmente delle loro relazioni commerciali. Londra 1838. IfiO Il primo capitolo del libro che abbiamo impreso ad esami- nare narra brevemente la storia dei trattati laboriosissimi, l'insieme dei quali costituisce ora l'associazione; e fa nascere il pensiero di questa dalla circostanza che dopo la caduta di Napoleone l' Inghilterra inondò l' Europa dei prodotti delle sue fabbriche, e furono tanti, che il valore del solo cotone mani- fatturato fu calcolato a duecento settanta milioni settecento set- tantacinque mila franchi , sulla quale enorme somma 77 milioni furono dall' Alemagna pagati ; e così un tale diluvio di mercan- zie straniere sulTocò V industria Alemanna che da poco era sorta sotto la protezione del sistema continentale , ed era per- ciò troppo giovine ancora per sostenere quella terribile con- correnza. Arrogi che le scarse raccolte succedutesi per alcuni anni facendo incarire assai i capi di prima necessità, privarono r industria Alemanna anco del vantaggio che polca sperare dalla dilTcrenza dei salarli. E di ciò la Gran Brettagna non con- tenta respingeva da' suoi porti il prodotto principale del suolo Germano mediante una legge approvata dal parlamento il 20 marzo 1815, che vietava l'importazione del grano esotico ogni volta che il prezzo di un Quarler (due ettolitri e novanta litri ) non giungesse ad ottanta scellini ( cento franchi). Inoltre, la Francia rendeva più severe le sue restrizioni , e gli Olandesi , a malgrado delle disposizioni in proposito del trattato di Vien- na , rimettevano in vigore 1' antico loro sislema proibitivo. Tutte qneste cose annientarono quasi il commercio dell' Alemagna coir Estero ; perciocché le mercanzie che avrebbero potuto lot- tare vantaggiosamente coi prodotti stranieri della slessa natura, vedevansi chiuse tutte le vie ; e la Sassonia medesima tanto attiva ed industriosa doveva credersi fortunata di poter ven- dere le sue lane agli Inglesi , postochè non poteva più espor- tare i propri tessuti. Che se cosi poco felice era lo stato dell' Alemagna rimpetto all' Estero , 1' interno suo trovavasi ancora in peggiori condizioni posto; ma lasciamo parlare gh autori. » Sa constitulion intérieure , l' existence d' une foule de lignes » de Douanes étaient autant d' obstacles à sa production , au- » tant d'entraves à son industrie, également gènée pour l' achat » de ses matières premières et le débouché de ses produits. » On ne pouvait franchir les frontières sans les plus grandes » dilBcultés, sans trouver, pour, ainsi dire, une ligne de douanes 161 » à la porle de clinque ville; à chaque pas e' étaicnl de ìiouvelles » visiles, de noiivelles inquisiliotis. Encore ne coniiaissait-on n souvcnt Ili le but, ni l'origine de toules cesdouanes inlérieu- » res, qui, la plupart du lemps, ne subsistaienl qu' en vertu » de r usage , ou appartenaicnt à des comtnunes, ou à des » particuliers. Queiquefois les provinces d'un ménie État élaienl, » comme cn France sous 1' ancienne monarchie , separées l' uno » de r aulre; 1' entrée des produits de la Westphalie étail, » frappée d' un droil de 25 pour cent. lei nous n' exagérons » point, car e' est aux auteurs Allemands eux-ménies que nous » cmprunlons la pcinlure de 1' clat de 1' Allemagne à 1' épo- » que que nous indiquons. En Allemagne, dit M. d'Amsberg, » une barrière s'élève derrière 1' autre, et ce n' est qu'au prix )' de frais élevés , de tracasseries incroyables, de pertes de » temps sans nombre, qu' il est pcrmis de la franchir. Qu' on » suppute, indépendamment du droit en lui méme , la foule » de prescriptions, de visites, de vexalions auxquelles chaque » Iransport, mème le moins importante doit ètre soumis, qu' » il reste dans l'inlérieur du pays, qu' II cn sorte, ou qu' il y » cnlre. Si, parexemple, des marchandiscs étrangères arrivant n par mer, entrent en Allemagne par le Nord, en destination » pour le centro du pays, elles ont à franchir seize lignes dif- » férentes, et à se soumettre autant de fois à de nouveaux » droits, de nouvelles prescriptions, de nouvelles visites, de » nouveaux retard. Si ces marchandiscs ont à aller de 1" est a » l'ovest. Ics mèmes tracasseries Ics y attendent, et dans Ics » deux cas, la distance à parcourir n'est pas de plus de cinquantc » à soixante milles, tandis que dans d'autres états de 1' Europe, » on ne rencontre pour des centaines de millcs aucun obstacle » de cette nature », Tanti e cosi svariati ostacoli costituivano uno stato di cose non più sopportabile. Si cercò il riparo e non si potè trovare che nel portare la linea Doganale alle frontiere; per la qual cosa la legge 11 giugno 1816 abolì in tutte le antiche provincie della Monarchia Prussiana le Dogane interne, provinciali, fluviali ecc. Importantissime modificazioni furono fatte subire alle tarilTe , che mostrarono , dicono gli autori , principii più In armonia colle massime ora universalmente predicate di libertà commerciale; e soltanto avuto riguardo ad alcune spe- ciali circostanze nelle quali si trovava l' industria prussiana, notaronsi talune eccezioni; essendoché certi prodotti slranieri IC2 furono più forlemenlc imposti per facililare alla industria interna una vantaggiosa concorrenza. Qui gli autori portano lina opinione che forse non sarà trovata in tutte le sue parti ed in ogni tempo vera , perciocché dicono che il governo prussiano era penetrato della verità che le restrizioni , oltre al nuocere agli interessi finanzieri di uno stato, favoriscono nei produttori e nei fabbricanti la inclinazione al monopolio, alla poltroneria ed alia ignoranza ; e che egli si è collo sviluppo di tutte le loro forze, coli' uso di lutti i loro mezzi eh' eglino debbono lottare contro la concorrenza straniera ( pag. 13 ). Se per concorrenza straniera devesi intendere , come pare , quella di un'altra nazione, diciamo che questa loro opinione non sarà trovata in tutte le sue parti vera: l.° perchè, come di sopra vedemmo , eglino stessi notarono che alfine di facilitare una concorrenza vantaggiosa alla industria indigena, la tariffa prus- siana assoggettava a forti dazj certi prodotti stranieri. E per- chè, come più sotto osservano (pag. U ), quantunque nel- r esportazione la franchigia dai dazj fosse la regola generale della tariffa , pure se vi furono delle eccezioni ciò avvenne perchè esse furono giudicate necessarie per assicurare alla industria una ragionata protezione; ed inoltre certi prodotti dell'industria del paese, come lo zucchero ratnnato, il ta- bacco, l'acquavite, alcune qualità di birra ebbero un premio alla uscita ; dunque il governo prussiano non pensa che le re- strizioni siano contrarie agli interessi finanzieri , e non crede che favoriscano nei produttori e nei fabbricanti la inclinazione alla poltroneria ed alla ignoranza ; eppure gli autori ricono- scono una grande saviezza economica nel governo di Prussia. 2.° Perchè è diffìcile comprendere come gli interessi finanzieri di uno stato, per ciò solo che sono interessi finanzieri, deb- bano essere un ostacolo allo stabilimento delle restrizioni , quando queste fossero giudicate necessarie al maggior bene delle popolazioni ; e perchè non è poi vero che le restrizioni producano sempre il monopolio , la poltroneria e l' ignoranza ; giacché qui trattasi di restrizioni stabilite fra uno slato ed un altro , e non si può , a rigore di termini , chiamare monopolio il favore accordato ad un genere d' industria in lutto uno stato, per la ragione che si proverebbe troppo : ed è poi assoluta- mente falso che dalle restrizioni ne nascano la poltroneria e r ignoranza , perciocché la storia di tutti i popoli commercianti e manifatturieri mostra il contrario ; e se devesi concedere In 163 parie che la facilità d' un guadagno inclina spesso 1' uomo al- l'inerzia , la maggiore probabilità di guadagno è altresì d'in- centivo all' azione , che la voglia di arricchire è pressoché uni- versale; e la principale delle ragioni che dimostrarono la ne- cessità della legge sulla proprietà letteraria in vigore fra di noi, si fu appunto quella, che bisognava presentare agli scrittori maggiore probabilità di guadagno se volevasi che scrivessero, e scrivessero cose buone; e veramente egli vi è mestieri d'una virtù più che umana per lavorare e sudare ed intisichire colla sola speranza di vegetare : gli uomini in questo stato prefe- riscono di emigrare. E quello sviluppo di tutte le forze , quel- r uso di tutti i mezzi che è pur necessario per lottare , anche secondo gli autori del libro che esaminiamo, contro la concor- renza straniera , come potrà mai aver luogo se le restrizioni , non vi difendono dai prodotti esteri sotto a più vantaggiose condizioni generati? Non hanno eglino stessi, i Sigg. De la Nou- rais et Bères, detto al principio del libro, parlando dell' Inghil- terra , che inondò 1' Europa de suoi prodotti e delle sue ma- nifatture poco dopo la caduta di Napoleone « ce déluge do « marchandises étrangères vint paraliser l' industrie Allemande <( qui avait, il est vrai, commencé à naitre, sous la protection « factice et temporaire du sislènie Continental , mais se trou- « vait trop jeune encore pour soutcnir une concurrence aussi « redoutable? » Ma dunque sono in conlraddizione con loro stessi. 3.» Perchè il discorso di lode del Sig. Huskisson del 7 marzo 1827 alla Camera dei Comuni, da essi citato, e l'elogio che dieci anni più tardi fece del sistema prussiano il Quarlerly Review sono argomenti per lo meno sospetti ; perchè o il si- stema prussiano tendeva , come essi autori dicono , a difen- dere la Germania dal diluvio dei prodotti delle manifatture in- glesi 0 non vi tendeva. Se vi tendeva , come lo lodavano gli inglesi? A noi pare che il giornale citato abbia lodata la Prus- sia per aver occasione di biasimare il sistema francese, il quale veramente è più nemico delle manifatture inglesi che non l'A- lemanno; ed in quanto al Sig. Huskisson egli non lodava tanto la Prussia , quanto biasimava il sistema inglese che per essere troppo esclusivo incitava alle rappresaglie ; che del resto non dicono eglino gli autori all' Inghilterra ( pag. 170 ) non potere un popolo prosperare se non se a condizione che gli altri che lo circondano siano deboh e miserabili, essere un pregiudizio; lei che simili idee sono Irlsli errori ; die la Icrra è sufflcicnre- fiienle vasta , ed 11 suo seno fecondo tanto da provvedere il più t;ran numero d" uomini ? Ria queste parole indicano che essi non credono punto l' Inghilterra seguace delle idee di li- bertà commerciale che dicono universalmente predicate , per- chè non si esorta e non si tenta convincere chi è persuaso d' una massima. Seguita un esame della tariffa Prussiana , divenuta poscia quella della intiera unione Alemanna ; e dopo gli autori si fanno la questione se questa legislazione novella che faceva de- viare la politica commerciale dai principii generali adottati in Europa dopo Colbert era d,illa parte della Prussia 1' effetto d' una risoluzione passaggiera a motivo di semplice esperi- mento, oppure il risultalo d'un piano sistematico; e vedono In tutte le fasi di questa grande rivoluzione, come essi la chiamano, in tutti gli atti che l'hanno preparata, preceduta e consolidata, tale una logica, un accordo ed una coesione che non esitano a dichiarare, che se lo scopo di questa legisla- zione fu quello d' aumentare in un tempo il ben essere della popolazione e la finanza dello stato , dando un vigoroso slancio air industria indigena , il governo prussiano non ha creduto poter meglio raggiungerle che con liberare il commercio inte- riore dalle n-strizioni che Io avevano lìtio allora inceppato , ed ofTerendo al commercio estero una intiera reciprocità, ossia in ultima analisi la libertà generale. Aggiungono che le imposi- zioni non entravano nelle casse dello stato se non con molta difficoltà , ed erane assai costosa 1" esazione , intanto che ora sono riscosse facilissimamente per effetto del libero movimento e del naturale sviluppo dell' industria. Conchiudono questo loro giudizio con le seguenti parole : « Telles étaient assùrémcnt les idées qui préoccupaienl 1' ad- « ministration, car, dans sa lettre du 3 juin 1818 le chancelier « d'État déclara aux fabricants de Rheid, qne le sislème se pro- ti posait non sealement d'user de reprcsailles sii était neces- « saire, mais aussi de rendre aux autres pays les mémes « avantages qu'ils olTriraient à la Prusse. » Qui se non c'inganniamo ci è un'altra confusione d'idee, perchè si è già veduto come nella lega doganale in discorso vi siano ditferenze di dazj , e premj, per difendere ed incorag- giare r industria nazionale ; eppure gli autori dicono che que- sta legislazione novella faceva deviare la politica commerciale 105 dai prlncipii adottati in Europa dopo Colbert. Ma i princìpi! del Colbrrt erano quelli di difendere ed incoraggiare l' industria nniionale francese. La dllTercnza starà tra il più ed il meno , ma i principi! generali non sono punto abbandonali, ed il si- stema del Colbert sr.rebbe appunto dimostralo buono dalla cir- costanza che la lega doganale tedesca, che ne seguita ! principil colle modificazioni rese possibili dallo stato dell' industria , ha dato un vigoroso slancio all' industria indigena. E se p.T libertà generale di commercio devesi intendere il romnicrcio interno fra i confini della lega , siai/io d' accordo cogli autori, ma non sappiamo vedere nel sistema prussiano quel- la reciprocità completa ofTerta al commercio estero, che essi di- cono libertà generale in ultima analisi. Quale differenza trovano gli autori fra il sistema del Colbert che proibiva 1' entrata d' una manifattura estera , ed il sistema Alemanno che impone forti dazj perchè le manifatture estere non possano andare sui pro- pri mercati a competere colle indigene? Ognun vede clie la dilTerenza è di sole parole. Come ci stanno qui, per fare l'elogio del sistema di Prussia, le considerazioni che le proibizioni sono stabilite soltanto per uno spirito di diflidenzi contro 1' attività industriale d' una na- zione? E che il sistema di libertà adottato era la testimonianza più implicita e chiara della conTidenza che il governo avea nello spirito commerciale e nel progresso del popolo prussiano ; se è vero che poco differiscono dalle proibizioni ! forti dazj , se è vero che l' idea della lega è nata dal bisogno di non la- sciarsi inondare da merci inglesi, e se lo spinto commerciale ed il progresso del popolo prussiano reshvano sofTocati senza la lega che impedi quella inondazione, e se a giusto rigore di termini non si può dire sistema di libertà quello che protegge le proprie industrie e manifatture contro la concorrenza degli esteri. Polrassi chiamare sistema di libertà quello che si propone non solamente di usare di rappresaglie, ma fare agli altri paesi gli stessi vantiggi che eglino avrebbero ofTerto alla Prussia? ( lett. 3 giugno 1818 del cancelliere di slato ai fabbricanti di Rlicid. Veg. Benzenberg , ùber Preussens Geldhaushalt und neues Stcuersystem , 1820 pag. a33. ) Noi saremmo pinltoslo inclinati a chiamarlo sistema di compenso. Non confondiamo I termini , che libertà generale e compenso sono due idee molto diverse. Parlano poscia i Sigg. De la Xourais et Béres delleslre- 166 ma. difflcoltà che vi era ad estendere il sistema della Prussia , perchè come sarebbe egli possibile stabilire sull'estrema frontiera una linea non interrotta di Dogane, intanto che fra due parli di un medesimo paese si trovassero incastrati degli stati indi- pendenti, aventi un sistema proprio, che faciliterebbero perciò la frode ed il contrabbando? Dieci anni furono impiegati in lun- ghe e laboriose negoziazioni per conciliare colle viste del go- verno prussiano i timori e le apprensioni politiche dei pic- coli stati vicini; ma finalmente l'anno 1828 i principati di Schwarzbourg-Sondershausen, e di Schwarzbourg-Rudolstadt, il gran Ducato di Saxe-Weimnr, i principati di Anhalt-Bernbourg, Anhalt-Dessau, Anhalt-Kopthen, il principato di Lippe-Detmold e il gran Ducato di Mecklemburg-Schwering unirono al sistema prussiano quelle frazioni dei loro territorj che da ogni parte erano circondati dalle sue dogane. Tre punti assai delicati doveansi stabilire per 1' esecuzione di questi trattati ; la partecipazione cioè ai prodotti delle dogane , i riguardi ai diritti delle rispettive sovranità, la cura di certi interessi speciali. Quanto al primo fu presa per base la popo- lazione dei paesi compresi , e quella delle Provincie prussiane orientali od occidentali in contatto all' una o all'altra di que- ste due grandi divisioni. Ogni tre anni la somma da incassarsi da ognuno degli stati doveva essere determinata in deliberazioni comuni. Quanto al secondo si stabilì che le autorità dei rispettivi paesi sole avrebbero proceduto agli arresti delle cose e persone, che le procedure e I' esecuzione dei giudizj sarebbero confidati ai loro tribunali , e che le ammende, dedottevi le quote affette ai denunciatori , sarebbero versate nelle loro casse. Non accen- nano gli autori quali fossero gli interessi speciali in terzo luogo da essi accennati. Domandandosi poi se questi trattati parziali siano stati o no utili alle parti contraenti, rispondono afTer- malivamente, e notano specialmente che nei preliminari di quello tra la Prussia ed il Principato di Anhalt-Bernbourg del 17 giugno 1826 si dice, che i vantaggi e l'impulsione data al commercio reciproco, ed una più grande facilità nelle relazioni di vicinanza sono stali per le due parti i motivi determinanti ad una unione più intima e più completa. Alcuni anni passa- rono dopo la suddetta epoca senza nuove adesioni , ma le lidee fecero molti progressi , e 1' Alemagna sentivasi ognor più forte il bisogno di cangiare la sua situazione e rimediare a quella divisione senza limiti che eteriiizzava sulle frontiere la piccola 107 guerra del contrabbando , che nell' interno produceva Incaglio al commercio , ed impediva che potesse prendere una posizione rispettabile dirimpetto all' estero ( altra prova di libertà uni- versale ). Pensavasi dunque già a stabilire la fusione del nord col mezzodì , e 1' accessione alla lega del gran Ducato d' Assia fu r avvenimento più importante , in quanto che determinò la unione degli altri stati; e le disposizioni principali del trattato furono , che sarebbe applicata intieramente al gran Ducato la prussiana legislazione quanto ai diritti d' entrata , di sortita e di transito, e l'imposta di consumo sarebbe applicabile intie- ramente al ^ran Ducato; che lutti i prodotti di uno stato avrebbero entrala libera nell' altro , e i due paesi non avreb- bero che una sola e medesima linea doganale. Tuttavolta r esistenza della imposta di consumo impedì l' intiera fusione dei due stati, e tutti gli articoli che vi erano soggetti nel gran Ducato, come il vino, 1' acquavite, la birra, 1" aceto ed il ta- bacco, furono sottoposti ad un determinato dazio, passando da uno in altro territorio; convennesi soltanto di non aumentare, senza il consenso delle parti , il numero di quegli articoli. La Prussia inoltre si obbligò a non favorire i vini di quegli stati vinicoli coi quali avrebbe potuto in seguito concludere trattati, più di quello che favoriti fossero i vini dell' Assia ( luminosa testimonianza ancor questa che la base principale del sistema Prussiano si era la universale libera concorrenza : ma non ve- dono i nostri autori che dove sì fosse preso per norma un tale principio non vi sarebbe stata necessità di obbligarsi con un trattalo a non favorire più uno che 1" allro degli stati Alle- manni? ) Questo trattato fu posto in esecuzione il i° luglio 1828. Un trattato del 25 agosto 1831 uni alla lega la Assia elet- torale , e questa unione disciolse l'associazione commerciale che erasi avanti formata del centro dell' Alemagna. Aderirono la Sassonia Weimar, la Sassonia Cobourg- Gotha , il Gran Ducalo di Oldenbourg , Il Landgravialo di Assia Hombourg , Waldeck; il 22 marzo 1833 aderirono la Baviera, il Wur- temberg ed i due principati di Hohenzollern ; il 30 detto mese il regno di Sassonia che fu seguito il dì 11 maggio dai prin- cipati di Sclnvarzbourg e di Reuss ; finalmente , e dopo lunghi dibattimenti, aderirono il Gran Ducato di Bade ed il Ducato di Nassau con i trattati del 12 maggio e 10 dicembre 18:ì5; Francforl sul Meno con quello del 2 gennajo 183C, e sul finire del 1837 il Principato di Brunswick Blankenbourg , il, Bailiaggio di Walkenried ed altri piccoli stati. Cosi la confede- razione doganale Alemanna abbraccia presentemente almeno 8252, 17 miglia quadrate e più di 25 milioni d'abitanti, per- chè stendesi nella direzione di Nord Est a 1' Ovest da Memel , 37» di longitudine fino ad Aix-la-Chapelle, 23" 50' di longitu- dine , e nella direzione dal Nord al Sud da Stralsund 54=' 50' di latitudine fino alle frontiere Austriache dietro Munick, 47o 50- latitudine. Ha suoi limili ali' est la Russia e la Polonia , al sud l'Austria e la Svizzera, all'ouest la Francia, al Nord ouest il Belgio e la Olanda , al Nord finalmente 1' Hannover e gli altri stati dell' Alemagna che non partecipano deli' unione. Il capitolo 2.» 6 destinato all' esame dell' influenza presente e futura dell' associazione Alemanna sulla prosperità degli stati associati , lo sviluppo dell'indiislria loro , e l'estensione del loro commercio esterno. Per fr.rsi strada ad un tale esame gli au- tori passano in rivista tutti gli ostacoli contro i quali la indu- stria Alemanna aveva a lottare prima della unione, e notano che nel 1818 quando la nuova legge doganale fu pubblicala in Prussia, essa non era in istato floridissimo, perchè, a cagione di esempio , le sue fabbriche , senza protezione contro la con- correnza straniera , doveano lottare senz' altro soccorso alle proprie forze contro i cotoni dell' Inghilterra e le seterie della Francia, intanto che le leggi Inglesi sui Cereali reagivano de- plorabilmente sulla agricoltura dell'Alemagna. La filatura mec- canica importala dall' Inghilterra rovinava 1' Ermeland dove si filava a mano , e la Francia imponeva fortissimamente i fili di lino che le Provincie dell' ouest preparavano con molta indu- stria , e le Chincaglierie. Chiudevansi ai suoi tessuti di lana la Russia e la Polonia, ed il gran mercato di Kiachta. Qui comin- cia una lunga serie d' idee che non si potrebbero in modo alcuno spiegare , se non si sapesse che gli autori hanno fondato il loro libro sulla confusione appunto delle due distintissime di libertà commerciale e di moderata prolezione dell' indu- stria. Dicono essi che l'importazione del cotone filalo fu rad- doppiata e s'aumentò di 60, "lo il numero de' telaj ; che in poco tempo cessò il bisogno della tela di cotone stampato estera. Che si aumentò l' esportazione dei tessuti di seta e misti, s'au- mentò grandemente l'esportazione dei tessuti di lana, crebbe moltissimo il numero de' telaj da lino, e la industria mettallur- gica si accrebbe essa pure: confessano che la Prussia isolandosi IGO COSÌ come lo fece colle sue legislazioni ( di libertà commerciale! ) aggravò il male degli altri stati Alemanni ; che il nuovo siste- ma Irattavali come gli altri paesi stranieri , ciò che produsse delle vive reclamazioni ed accuse di essere proibitiva, e la As- sia Elettorale segnatamente ebbe ricorso alle rappresaglie, im- ponendo fortemente alcuni capi di produzione prussiana ; ma finalmente l' adesione di questo stato al sistema fece cessare un tale stato di cose , per isveglinre un' apprensione negli altri stali di natura tutta politica, che diede origine alla contro lega di dieciotto stati formatasi in Cassel, lega che come vedemmo poi si disciolse colle unioni successive operatesi al sistema di Prussia. Segue una enumerazione di tutti i principali capi di com- mercio su quali crebbero le operazioni , e dei principali centri industriali e commerciali d' Alemagna che profittarono nella unione; e non si può negare che il quadro da essi presentato non sia lusinghevolissimo. Presagiscono che ben presto 1' Ale- magna , paese eminentemente agricola , sarà anche eminen- temente manifatturiero; e conchiudono col domandarsi che cosa succederà quando 1' unione Alemanna avrà fatto nascere dei grandi centri di fabbricazione , e che spariranno tanti telaj sparsi per lo campagne ; e come vivrà la popolazione delle contrade meridionali , che per esuberanza ogni anno è forzata all'emigrazione, quando non avrà più que' rinfranclii. Il capitolo terzo discorre sopra i vantaggi generali che deriva- no all'insieme degli slati uniti dalla lega, e credono uno dei più imporlaiili essere quello della grande economia cagionata nella diminuzione delle frontiere che scemarono di 78i miglia, cioè, secondo essi, un risparmio nella sorveglianza di f. 5,861,250. Questo calcolo perù suppone, quantunque gli autori noi noti- no , eguale la facilità della sorveglianza ; viene poscia la mino- rata facilità del contrabbando per cui si aumentano le entralo degli slati , si tutelano i commercianti onesti , e ciò che massi- mamente importa, la moralilà dei popoli; cresce il numero dj braccia rese all' agricoltura ed all' industria, per il minor numero dei Doganieri, essendoché questi, secondo il Signore d' Ams- berg , erano quasi tanti in numero, quanto i soldati che 1' Ale- magna mantiene sul piede per la propria difesa. Insomma che r unione ha intieramente raggiunto gli scopi che si era prefissa di render libero il commercio interno dell' Alemagna (ora ci sia- mo) ; tnelterlo in una posizione vantaggiosa rimpetto all'Estero ; no aumentare gli introill dell' unione , la quale non solo ha veduto cessare la concorrenza delle industrie straniere , ma si è posta In grado di rivaleggiare con esse. E questi vantaggi si rende- ranno ancor più sensibili per 1' elTelto delle strade ferrate, fatte per virtù dell' unione possibili sovra d' una grande scala , con- dizione d' importanza capitale per cosi fatte intraprese. Né di poco momento si è la unità di moneta stabilita per tutta l'unio- ne colla convenzione ratificata in Dresda il 7 gennajo 1839. 11 capitolo quarto è dagli autori destinato all' esame delle influenze esercitate dal trattato in discorso, sulla prosperità ed il commercio de' paesi stranieri alla confederazione doganale. Essi cominciano dall' osservare che 1' inquietudine dell' Inghil- terra cresceva a misura che si aggrandiva l'unione, quantun- que sebbene il sistema Alemanno sia stato concepito collo sco- po di proteggere l'industria indigena, per più atti siasi veduto come la Prussia volesse poco sturbare i prodotti manifutturati della Gran Brettagna. E diffatti il commercio della Gran Brettagna coli' Alemagna anziché diminuire è andato ognora crescendo , ciò che essi di- mostrano con molto sfarso di cifre, ed un quadro tolto dalla Rivista di Edimborgo. Osservano peraltro che specialmente in Sassonia 1' importazione dei tessuti di cotone e di lana d' ori- gine Inglese, diminuì; ma ciò prova, dicono, soltanto che la nuova tariffa nel tempo islesso che permette ogni specie di concorrenza per la maniera felice della sua combinazione, e malgrado di Dazj poco elevati , stimola 1' industria indigena a segno da far produrre alle fabbriche nazionali ciò che doman- davasi nel tempo innanzi all' estero. Gli Inglesi, aggiungono, avevano il vantaggio di un' industria e di una fabbricazione più perfezionata, e perciò difficilmente se ne poteva sostenere la con- correnza ; dovevasi abbandonar loro ancora il monopolio del mercato interno ? ( qui siamo d' accordo cogli autori ) giustifi- cano indi il forte dazio d' uscita ( franchi 7. 50 per quintale ) sulle lane, coli' esempio di ciò che fece l' Inghilterra, e pratica- no la Russia , 1' Austria , la Francia e la Olanda che respin- gono dalle loro frontiere i prodotti stranieri, e pretendono che presto 0 tardi l' Inghilterra dovrà modificare profondamente la sua legislazione commerciale a cagione appunto della unione Alemanna, della quale la prima si allarmò fortemente; e si fu per riparare in parte ai danni che dalla lega le derivano che ella conchiuse un trattato con Francfort sul Meno, e puossi ri- 171 cordare siccome uno dei risultati della unione Alemanna il suo trattato coli' Austria concluso nel 1838. Essi credono di poter asserire che r Inghilterra ha sentito la necessità di scostarsi dal suo sistema antico , dalla circostanza che ella manda emis- sari per ogni dove onde raccorre informazioni sullo stato del- l'industria delle altre nazioni, e dalla circostanza dell'oirerta di un trattato di commercio colla Francia, siccome dall'Invio di commissari a Berlino per sorvegliare la riunione triennale del 1839, La Francia della unione Alemanna si occupò meno, per- chè possiede mezzi di produzione a buon mercato minori del- l' Inghilterra , e convengono che molli orticoli di produzione francese hanno sofferto considerevolmente; notano i pannilani ed i vini , e dicono che bisognerà cambiar di sistema se non si vorrà che il commercio francese, cessando ad un tratto dall'es- sere mezzo attivo di cambio fra le nazioni , si contenti di loro vendere unicamente gli oggetti de' quali non avranno urgente bisogno. Il Belgio cerca d' unirsi esso pure all' Alemagna per trova- re uno smercio agli immensi prodotti della sua industria , re- spinti dalla Francia . e lo stesso succede per riguardo alla Sviz- zera. L' Olanda anch'essa, a malgrado della sua proverbiale per- tinacia , cerca d' unirsi al sistema Prussiano. Seguita nel capitolo 5" l' esame dell' influenza politica del trattato di Dogane Alemanno. Pensano gli autori che non sia stato solo scopo della Prussia, facendosi capo di questa rivolu- zione commerciale, 1' aumento del ben essere delle masse; quello della ricchezza pubblica, col dare una spinta all' indus- tria ed alle manifatture, e quello infine di accrescere le entrate col diminuire le spese ed il contrabbando; e sono d'avviso che un grande pensiero politico abbia diretto la prussiana diploma- zia , cioè la attuazione avvenire di una unità germanica , al quale effetto si è già resa Berlino il centro scientifico del Jiord, E corroborano queste osservazioni loro colla enumerazione di molli fatti , specialmente all' oggetto di chiarire gli sforzi im- mensi della Prussia per acquistarsi un' influenza commerciale grandissima. Strade di ferro, compagnie commerciali con sua partecipazione come associato; Consoli spediti perfino presso nazioni non ancora politicamente riconosciule da essa, fonda- zione di scuole politecniche nei distretti più manifatturieri!, ed invio di allievi di queste perfino agli stati uniti d' America per Ita istudiarvi i migliori sistemi : per tutti i quali sforzi 1' industria crebbe prodigiosamente , e la Prussia e la Sassonia hanno sop- piantato l' Inghilterra, che comprava prima le materie grezze in Alemagna , le manifatturava in casa propria , e le rivendeva poi a caro prezzo a quei popoli stessi dai quali le aveva com- prate ( come fa la Francia con noi per le sete in gran parte ancora ). E tanto più credono i nostri autori polcr asserire avere la Prussia nella unione doganale avuto principalmente in vista la infliienza politica, in quanto che facendo il calcolo sulla divi- sione dei prodotti delle dogane, che come vedemmo operasi in proporzione della popolazione , essa vi perde ogni anno almeno 7,500,000. di franchi. L'entusiasmo destatosi negli autori del libro che fa soggetto di questo scritto dalla considerazione de' molti vantaggi che la unione doganale Alemanna ha recati a' popoli che ne fanno parte, e de' moltissimi che loro deve in avvenire arrecare, li ha fatti pensare alla possibilità di molle altre unioni fra i popoli di Europa, secondo che sembrano indicare la loro geografica posizione, lo slato industriale ed altre correlazioni ; e tanto sono essi persuasi che ciò debba un giorno avvenire che tracciano alcune norme da aversi presenti nelle contrattazioni di queste unioni medesime, ed indicano come principii sommanienle im- portanti; la considerazione della contiguità delle frontiere; la preferenza alle barriere o divisioni naturali; la similitudine delle tendenze politiche; che non vi sia un sentimento di odio o di gelosia nazionali troppo pronunciato; che le unioni progettale abbiano moderata estensione; che sia facile la circolazione dei prodotti fra ì confederati , ed abbiavi una efficace protezione in seno alle unioni. E passando all'esame del primo principio dicono evidente il vantaggio che due popoli limitrofi debbono ritrarre dalla unione, pel togliere che fanno di mezzo la doppia li- nea di barriera da cui sono separali. Questa evidenza che in molti casi si può benissimo verificare, ci sembra evidente che non sempre si verificherà per la ragione appunto che ultimamen- te fece abbandonare il pensiero della unione Franco-Belgica. Nulla abbiamo da dire sulla preferenza che gli autori danno alle naturali divisioni, e solo è a dolere che questa verità non siasi conosciuta prima d'ora, o non se ne sia tenuto il debito conto: lo stesso diremo intorno al ferzo ed al quarto rifiesso. Siamo perfettamente d' accordo con i Signori De La Nourais e Bères in ciò che dicono circa alla moderala estensione delle unioni a fiirsl , siccome sarebbe assurdo il pensiero di unire di- versi popoli commercialmente col togliere soltanto le dogane di frontiera , lasciando poi sussistere mille altri dazj , forma- lità » fiscalità e seccature ncll' interno. È altresì chiaro che non si sarà ottenuto se non se forse la minor parte del van- taggio, se l'unione non viene seguita da un ben inteso sistema di comunicazioni stradali e fluviali, che faciliti sonmiamcnte le comunicazioni, se non saranno messi in opera tutti i meravigliosi trovati delle scienze per la perfezione delle manifatture. Finalmente dicono che la facilità di circolare sarà nulla se non viene accompagnala dai mezzi di assicurare ai membri della unione una protezione permanente , effìcace , pronta ; e savissimamente osservano come la sollecitudine per gli interessi nazionali che ha sempre tanto vivamente preoccupato il gover- no inglese sia stata una delle precipue cagioni della prepon- deranza commerciale della Gran Brettagna, e noi crediamo anzi la maggiore ; e pensando appunto con essi che siccome le forze navali, nel più gran numero dei casi , sono il mezzo più efìlcacc di protezione, cosi quando vogliasi pensare ad una unione com- merciale devesi porre sommo studio per combinare quelle certe condizioni geografiche che alla creazione di una forza navale sono indispensabili ; perciocché, osservano, non potersi improvi- sare da un popolo dei porti , degli approdi sicuri , dei marinari sperimentati; e noi aggiungiamo che tanto maggiore studio do- vrassi porre nel coltivarli e conservarli , quando questi elementi si posseggono di forza, perchè nessuno che sappia leggere Ignora per avventura quanto sia stata deplorata , non è gran tempo, in Francia la scarsità de' marinari , all'occasione che quel Regno volea mostrarsi in sui mari non minore della sua gloria. Passano in seguito i nostri autori a considerare se la unione abbia veramente in se quelle condizioni che sole possono farla convenientemente prosperare; e si domandano quali mezzi pos- segga di far circolare in paesi lontani i suoi prodotti, qiialc sia la forza e la riputazione di potenza capaci di proteggerla ed all' occasione difenderla. Notano possedere la Prussia alcu- ni porti nel Baltico , ma essere mancante di una militare ma- rina. Nolano l'impossibilità di muoversi senza subire il dazio stabilito allo stretto del Sund , e la lontananza in cui è la Ger- mania dal centro del gran movimento commerciale; ciocché li porta a conchiudere essere necessario di slargarne i confini , e desiderano di vedere uniti alia lega 1' Annovcr , il Duralo di m Brunswick , il Gran Ducato d' Oldembourg ed i Principali di Schaumbourg - Lippe che ora costituiscono una separata unione. Parlano di altri piccoli slati che secondo loro concorrere do- vrebbero ad aumentare la lega Germanica, e tagliano a questo effetto perfino alcune Provincie dalla Danimarca, e discutono alquanto estesamente i motivi che possono avere di aderirvi essi piccoli stali, ed in ispecial modo le Città Anseatiche, terminando con mostrarne la convenienza dell' adesione della Olanda alla confederazione, nella quale questa ultima troverebbe quella forza di mare tanto necessaria alla grandezza commerciale; perchè, secondo il Signore A. De Tocqueville, De la Détnocralie en Amerique « la raison indique et l'expérience prouve qu'il n'y « a pas de grandeur commerciale qui soit durable si elle ne « peut s'unir au besoin à une puissance mililaire ». Passano quindi a stabilire i limiti che secondo essi dovrebbe avere una unione doganale Austriaca , senza fermarsi lunga- mente sulla quale, noi crediamo soltanto dovere osservare che in quanto alla Moldavia , alla Valacchia , alla Bulgaria , alla Bosnia , alle Provincie dell' antica Grecia ancora soggette al- l'Impero Turco; ed in quanto al nuovo Regno di Grecia, non si verificano tutte quelle condizioni che eglino, gli autori, hanno pure stabilite necessarie a constituire una stabile unione; e non ci pare che regga totalmente la ragione per la quale vorrebbero quest'ultimo slato unito all'Austria, quella cioè di prestare alla confederazione 1' elemento di forza marittima necessario ; perchè la Grecia ora non ha forza marittima che voglia essere considerala , e perchè senza di essa 1' Austria possederebbe molli elementi per costituirla. Discorrono sulla progettala unione del Reno al Danubio, im- presa non facile, ma possibile, e che noi vorremmo vedere compita; perchè, seriamente, l'Europa continentale ha bisogno di sviluppare tutti i suoi espedienti , se vuole liberarsi una volta da una dipendenza che suona oramai infingardaggine e viltà. Entrali una volta nella via delle supposizioni i nostri autori non sanno fermarsi, e, gettando uno sguardo quasi pietoso su della nostra bella Penisola, dicono, che la necessità la quale ha spinti i diversi popoli di Germania a confederarsi commercial- mente, dovrebbe farsi sentire più forte agli Italiani; perchè qui non si tratta solamente di migliorare una condizione già buona ; ma sibbene ancora di suscitare in più d' un luogo i principii di vita e di attività. Le industrie brillantissime , 175 r eslesissimo commercio che fecero tlell" Italia un' invidiala cosa nei 15." iG." e 17." secoli , debbonsi ora intieramente rico- stituire. Ma qui più apertamente comincia a mostrarsi lo spi- rito nazionale degli autori, i quali, applicando al nostro paese la maggior parte dei principii che stabilirono per norma delle unioni possibili , trovano che ci si dovrebbe torre ( s' intende commercialmente soltanto ) la Savoja ; e non si fanno punto carico di tante ragioni che questa cosa fanno impossibile. Tutte Je ragioni però ch'essi trovano per mostrare ragionata questa loro pretesa , e tante altre che per ora non vogliamo no- minare, vorrebbero, nel caso, unite alla lega italica due isole che pure essi non sognarono mai di slaccare dagli stali dai quali sono ora possedute. 3Ia le abnegazioni come quelle che sono necessarie a spogliarsi d'un mal inteso orgoglio nazionale, non sono da tulli ottenibili , sebbene sarebbero specialmente dagli scrittori desiderabili. Non ignoriamo essersi di questa unione già mollo parlato e scritto , non sappiamo se siasene pensato abbastanza ; e ci sem- bra che non si potrà mai dire di averci pensalo troppo. Di- remo brevemente di ciò che le si è obbiettato contro. In primo luogo si è dello, che se i governi imperanti nella peni- sola (vedi Giornale Ag.rio Tos.no n.° 63 1842) fossero ristretti alla sola Italia, poche contrade sarebbero più ade ad unirsi; che la unione sarebbe vantaggiosissima ad ognuno dei varj stati italiani; ma che la circostanza dell'essere una parte di essa aggregata ad una vasta monarchia oltramontana, sembrerebbe un ostacolo insuperabile. Si adduce e si addusse a sostegno di questa opinione, che non converrebbe in modo alcuno agli altri slati di adottare il sistema proibitivo dell' Austria nella larilTa che dovrebbe essere comune all' associazione , né 1' Austria , nell'interesse delle altre sue Provincie oltramontane, potrebbe consentire ad una separazione che le pregiudicherebbe. A que- sta prima obbiezione osserveremo 1.° che quel doversi dagli altri siali adoUare , suppone che 1' Austria non voglia punto cedere dallo stesso, locchè non si può asserire se prima non si è sperimentato. 2.° Che quel non converrebbe in alcun modo non è punto provato , e non sarà tanto facile a pro- varsi ; perchè è didlcile pcrsundersi che un sistema trovalo ronveniente dall'Austria non possa esser anche per gli altri siali Italiani. Si obbiettò che sarebbe sommamente dannoso a varie provfncie italiane H rinunziare agli scambi così naturali 170 e così necessari clie ora seguono colla Francia, perchè Io sc.nm- bio coi prodotti Austriaci non potrebbe compensarne la man- canza; ma che cosa si dà alla Francia che non le sia assolutamente Indispensabile? Che cosa si riceve di Francia, che non sia inu- tile o dannoso, o che non possa essere supplito dalla Germa- nia? Poi il sistema proibitivo dell'Austria non impedisce le cose necessarie , se pure di quella fatta cose noi possiamo aspettarci dalla Francia. Poi , perchè saranno più naturali gli scambi colla Francia? forse una catena di monti non ci divide da questa come dall' Austria ? È falso assolutamente che la pre- ponderanza commerciale dell' Austria , simile a quella della Prussia sugli stati dell' unione , possa scemare 1' attuale indi- pendenza degli altri slati Italiani; perchè la preponderanza non vi sarebbe , considerando 1' Austria in quanto ella è potenza italiana, nella quale sua qualità soltanto potrebbe essere chiamata a far parte della lega. Parlano a questo proposito le statistiche, e basta uno sguardo sulla carta della penisola per andarne con- vinti: anzi la cosa sarebbe inversa. Si disse che fino ad un certo segno sarebbero quasi insuperabili anche gli ostacoli per la unione degli altri stati Italiani, la Lombardia Austriaca esclusa; ma noi non crediamo che possavi essere nulla d'insuperabile se i governi illuminati che reggono la penisola giudicassero opportuna quella unione : era certo più diflìcile la faccenda in Germania. Segue poi una obbiezione che non sappiamo come siasi potuta scrivere. Si dice non potersi contrastare che nelle atluali tendenze commerciali , avuto riguardo ai mezzi che le fanno prosperare , essa , 1' Italia non può in modo alcuno concepire lusinghe d' un futuro possibile ri- sorgimento , col tornare all' antica sua prosperità commer- ciale , malgrado il genio incontrastabile de' suoi abitanti. Che sprovvista de' combustibili che sono il principale ele- mento dell'industria attuale, povera di capitali, in ragione di quelli posseduti da altre nazioni, l'Italia non potrà mai es- sere una nazione manifatturiera : che invece è ricca dei pro- dotti del proprio suolo, che può ancora moltiplicare assai, se si rivolge di preferenza il perfezionamento progressivo della sua agricoltura; che l'Italia dovrebbe accontentarsi di pro- durre la più gran copia possibile delle molte materie prime, che essa ha in certo modo il privilegio di facilmente veder na- scere negli ubertosi suoi terreni : e queste materie prime le olTrirebbero un ben largo cambio a quo' manofatfi esteri dei 177 quali può abbisognare. E si vuole poi farla ritornare quasi alla prima sua importanza ne' trafllci di mare , col trasporto di quelle sue stesse materie prime. Che non si possa in modo alcuno concepir lusinga di un possibile risorgimento in fatto di commercio per l' Italia , ci sembra un' eresia politico-commerciale. Non vogliamo negare r impossibilità per lei di divenire il centro del commercio come una volta , diciamo che il ritorno del commercio Indiano sulle antiche sue vie può in gran parte ristorar l'italiano, se colla dovuta sollecitudine ce ne daremo pensiero ; ed altrove sarà da noi sviluppata questa nostra idea. Non è neppur vero che l' Italia non possa essere più mai una nazione manifatturiera perchè mancante di combustibili ; giacché se concediamo che pur troppo tutti gli sforzi de' nostri geologi non sono giunti finora a scoprir vasti depositi di litantrace, non è intieramente perduta la speranza di rinvenirne , specialmente per riguardo al Regno di Napoli , ed al Vicentino (1) ; e quando anche per questo rispetto non potesse produrre tanto a basso prezzo, ed in cosi gran copia come altre nazioni , potrà sempre produrre pel proprio bisogno esuberantemente. Tutto ciò, astrazione fatta dall' applicazione oramai dimostrata possibile dell' elettri- cità alle macchine, cosa che non avrebbe dovuto sfuggire a chi ha emesse le prenarrate opinioni , e che sicuramente ci fa- rebbe dominare su tutte le altre nazioni , se ci si concede il genio e molte materie prime. Si predica l' Italia povera di ca- pitali ! certamente non sono in Italia degli Arkwright (2) ric- chi di 200 e più milioni di lire , ma se i capitali d' Italia fos- sero Jn più gran quantità impiegati nella industria e nelle ma- nifatture che non sono, si troverebbero più che sulBcicnti a farle essere fioritissime : non crediamo che ci si possa con ve- rità contraddire su questo punto. L' Italia potrebbe certamente moltiplicare assai i prodotti del proprio suolo , ma se avrà molte materie prime da vendere alle altre nazioni , questa abbondanza non potrebbe compen- sare in parte la mancanza del migliore combustibile? Perchè In luogo di far vendere agli altri le materie prime non ci sug- gerite di comprare da loro il combustibile? Ma perchè dovrebbe (1) Si hanno pochi studi sulla Sardegna , né si conoscono quelli talli da un Prussiano sulla Sicilia. (2) Gazzrtta Piemontese N.» 115, 19 maggio ISi.'l. 17« i^l^la, r Italia eonteiitarsi della produzione delle materie prime? ifpX^, perchè le altre nazioni che ne direttane abbiano anche esse onde impiegarsi col manifatturarle? forse per comprarle ,d^ quelle manifatturate , a peso d'oro? Appunto così perchè i<«se le offrirebbero un largo cambio a quei manofalli esteri, ,i- ìmmp-=?m^^-'mm^'^?^m--^m^^'=mm^'S^G'm> DELL E MEMORIE STORICHE DEI TIZZONI CONTI DI DE SANA E NOTIZIA DELLE LORO MONETE DI COSTANZO GAZZERA Lezioni falle alla R. Accademia delle Scienze (classe Scienze Morali, Sloriche, e Filologiche) di Torino, nelle adtmanze del 9 e 23 dicembre 1841, e pubblicale nel lom. IV. (Ser. II.j delle Memorie di della Accademia — Torino Slamp. Reale 18V2. Le memorie storiche sui Conti , e sulle monete di Desana fu- rono con tanto accurata diligenza rannate dal chiariss." Abb. Cav. Costanzo Cazzerà , segretario della classe accademica di scienze morali , storiche ecc. da risultarne una intera storia della famiglia dei Tizzoni, e poi della loro zecca, dal UH, epoca in cui avvenne l'acquisto del feudo, sino al 1676, quando ne mancò 1' ultimo possessore. Comechè assai prolisso un sif- fatto lavoro, pur giudicò l'Accademia fosse per intiero, e col corredo di numerosi documenti stampato nel IV volume (se- rie II) delle sue memorie, ultimamente uscito in luce; locchè torna a solenne testimonianza della speciale approvazione di queir illustre Corpo scientifico. Oso dir poche parole su tal nuovo pregiatissimo lavoro del Cazzerà , non tanto per motivo di lode, che per lo meno sarebbe inutile dopo il conseguito plauso accademico; sibbcne qual divolo omaggio di mia sin- cera ammirazione. 18G Poich' ebbe l' Autore dato le prove dell' anticbità e po- tenza del casato dei Tizzoni in Vercelli sin dal secolo XII, e segnatamente nel XIIF , riducendosi tosto ai precisi confini del proprio argomento, prende a descrivere come un Lodovico, chiaro individuo di quella famiglia, e che fu Senatore e Con- sigliere di Teodoro Paleologo Marchese di Monferrato , abbia ottenuto che in benemerenza dei di lui servigi a quel Prin- cipe, il comune di Vercelli gli acconsentisse V inliera proprietà ed assoluto dominio di Desana , borgo posto nella diocesi Ver- cellese , e sullo stradale che mette a Trino ; ma che per li di- sastri sofferti sin dal 1317 trovavasi ancora di queir epoca in miserissima condizione , e quasi onninamente distrutto. Da questo Lodovico L comincia dunque la Signoria dei Tissoni in Desana, che confermata nel 1413 dall' Imperator Sigismondo, seguitò poi (li39) in Antonio flgtiiuolo del Lodovico, e poscia (1459) in Francesco figliuolo dell'Antonio, dal quale pervenne ad un Lodovico II, che nel 1483 ebbe dal fratello piena dona- zione del feudo. Sin qui non ovvi traccia di zecca ; ed anzi l' Autore ri- fiuta molto saggiamente una moneta , eh' era stala ascritta al I." Lodovico ; sin qui i padroni del feudo non godeansi mag- gior titolo che quel di Signore. Ma uomo di special merito e di molte lettere era questo nuovo possessore, e quindi a meglio rialzar la domestica Signoria sopra Desana , si accostò con ogni studio di special divozione alla parte imperiale, laonde, se poi n' ebbe a sopportar ficrissimi travagli per causa degli inimici allo Impero, ricompostesi infin le cose, oltre alla con- sueta investitura conseguita come semplice Signore sin dal 1485 dallo Imperatore Federico, potè nel 1510 aggiungere (in pre- mio altresì dei servizi! di Gian -Bartolommeo di lui figlio) il titolo comitale concessogli dall' Imperatore Massimiliano , e persin quello di Generale Vicario Imperiale sul borgo di De- sana , trasmissibile ai suoi successori. Che ne avesse eziandio special privilegio di zecca , non sa vederlo 1' A. ma la esercitò non pertanto questo novello Conte, supponendola forse compresa nelle generali prerogative del Vicariato imperiale; e da costui comincia quindi la serie dei nummi Dcsancsi, che seguitano poscia sino all'ultimo Conte Carlo Giuseppe, di cui recasi una moneta coniata nel 1669. La serie dei veri Signori , poi Conti Tizzoni di Desana , po- trebbesi disporre nell'ordine seguente, che ci piace qui di 187 epilogare per dar una breve notizia di quella SignoriI suc- cessione. liti Lodovico I. \ 14iO Antonio | Signori 1459 Francesco ) 1482 Lodovico IL ( fratello ) primo Conte e Vie. Imp. nel 1510. 1523 Glan-Bartolommeo. 1533 Cajo Cesare ( fratello ). 1540 Gio. Maria ( cugino ). 1583 Delfino. 1622 Anton-Maria. 1661 Carlo Giuseppe Francesco Delfino, che mori nel 1676, non lasciando che tre figliuole; e, dopo accadute pa- recchie vicende, passò nel 1693 il feudo a Vittorio Amedeo IL Duca di Savoja. Ma ben altri padroni ebbcsi intermediariamente il feudo De- sanese , che ci pare poter distinguere in due classi , cioè ille- gali gli uni , e veri usurpatori gli altri. Porremo fra i primi : 1541 Gabriele, o Gabriellino. 1556 Gio. Agostino, espulso nel 1583. Ambi Tizzoni erano bensì costoro, ma eletti per forza dal Conte Cajo Cesare , il quale già prima avea liberamente nomi- nato il sopra riferito cugino Gio. Maria. Nella seconda van posti oltre un Malevesche ed un Tayles, dei quali non si sa più che il nome ; un Francesco Marolles Barone Momoreo , poscia un Pietro Berard Signore della Fo- candiera , ed in fine un Filippo Tornielli Conte di Brionna ; i quali sul principio del secolo XVI, dopo la calata dei Francesi In Italia, e dopo che per etTetto della vinta battaglia a Mari- gnano ci aveano slargate le ali , occuparono dapprima a mano armata il feudo, e poi seguitatamente un dopo 1' altro, o più d' uno insieme lo si godettero Signori , giovandosi d' ogni di- ritto , compreso quello della zecca, Quest' usurpato possedi- mento durò un da tre lustri circa , cioè dal 1515 sino al no- vembre del 1529, epoca in cui fu questo feudo venduto ni Duca Carlo III. di Savoja , che religiosamente lo ritornò al Conte Gian-Barlolommeo. Non è proprio del presente articolo il dilungarsi a dire delle dogliose e quasi perpetue avversità patite così dal borgo di Desana , che dalla famiglia dei Tizzoni , tanto in tempo delle usurpale, che delle illegittime occupazioni, come altresì in 188 molto frequenti epoclie della slessa regolar loro Signoria ; ac- cenneremo solo che la storia minutamente compilatane dal nostro A., è quasi una continua illiade di guaj e di opposizioni. Anzi è tale, che risovvenendoci della condizion derelitta in cui stavasi Desana all'anno UH, quando fu consentita al primo Lodovico, è da far le meraviglie come abbia ancor potuto conservarsi un luogo qualunque d'umana dimora. Pare invece che il borgo sia qualche poco cresciuto da quel eh' era dap- prima; ma qui, per quanto favorevolmente vogliasi giudicarne rispetto ai legittimi Tizzoni, pur considerando al gravi biso- gni , ed alle croci loro , non si può credere avessero molto, né frequente agio per giovare ai proprii sudditi. Da tutto ciò po- Irebbesi conchiuderne , che tanto miseri corressero allora i tempi in alcune parli d'Italia, da non cercar più ove si stesse meglio, si solo ove fosse terra che reggesse. E delle taglie ne doveano pesar molte sui Desanesi , poiché sebben i Tizzoni avessero altrove altri possedimenti , ed in ispecie allodiali , però non pare fossero questi di tanta entità da far ben fronte ai perpetui loro bisogni, accresciuti anche dalle frequenti loro non liete vicende. Dessi adunque erano sforzali a far denari per ogni verso , né la zecca riusciva scarso mezzo per ciò ; che si vede anzi averla coltivata appunto con tal vista tulli quanti i possessori del feudo, e produrre an- nualmente dai 600, agli 800, e sino ai 1000 scudi d'oro in oro ; somma certo non picciola per valor della moneta a quei tempi. Venendo noi dunque propriamente a parlar della zecca di Desana, dobbiamo anzi lutto ricordare il saggio avvertimento del noslro A. che rozze, scarse, e miste d' ìnfimi melalli erano le monete baronali , e non essere perciò che per lusso di scienza che si vorrebbero prendere in uguale esame, ed equiparare a quelle nitide e sincere delle zecche reali o cesaree. Dal che tosto s' intende come anzi per la storia delle famiglie Signorili, e di alcuni fatti isolati, che per la numismatica e scienza dei valori , o per la pubblica economia possano gio- vare. Ed in vero, i Tizzoni furono assai volte accusati alle Corti dell'Impero, di Savoja, od altrimenti per alterata mo- netazione ; colpa da cui studiarono purgarsi , ma con quanto di buona ragione s' intende da sé , sol che si consideri aver essi esercitata la zecca per proprio profilto, locchè coli' utilità del pubblico non può far buona mischianza giammai. E qui da 18!» un esempio prendendo noi le nonne per ogni allro, rammen- teremo quello riferito dal Gazzera ; ove dice che dal 10 otto- bre 1619 al 21 giugno 1021 furono coniate 306 doppie, 89 dop- pioni, 165 ungari , e 180 fiorini, ed intanto correva a carico dello zecchiere un fitto di 200 doppie all' anno. Ora , che sarà avvenuto quando quel fitto sali fino ai looo scuti ! In som- ma ricorreano alle zecche feudali, non die gli ebrei, ed altri banchieri niente migliori ; ma persino alcuni Principi , e grandi Signori inlesi a profittare dalle grosse alterazioni mo- netarie. Persuaso il nostro A. di queste spiacenti verità, considerò la moneta Desanese quasi unicamente dal lato storico ; e quindi con accuratissime ricerche, e pescando in ogni buon fonte gli potea tornar bene, pervenne a far tanta raunata di disegni cronologicamente ordinati , cioè pel corso delle diverse speciali Signorie , che dalla zecca di Desana , giunse a formar cotal quadro così compiuto, od almeno esteso, quanto per avven- tura molte delle primarie potrebbono vantarlo. Né contentan- dosi per ciò del largo materiale che a tanto gli proferiva il ricco medagliere di S. M. il Re Carlo Alberto , e potea ricavar dalle pubblicazioni di Muratori, Argelati, Bellini, Zanotti , la Marmora , e Vernazza ; si giovò pure del museo Parmense , e Viennese, non che de' bei frutti che il prussiano Fricdlander avea conseguiti dalle assidue sue ricerche. Penosa opera e paziente ella fu questa , della quale gli si debb' essere grati assai; avvegnaché saria da siffatti moltipli- cati lavori , che potrebbesi un giorno, comporre una generale storia dell' antica numismatica italiana ; la quale sebben in ogni sua parte non potesse direttamente giovar sempre agli studii economici , però gioverebbe loro in modo almeno indi- retto, dando ragione delle molte anomalie nei prezzi delle derrate ecc. , che si trovano nelle antiche carte ; ma che spesso sono anzi effetto di locali perturbazioni monetarie, che varietà vere della corrente universal condizione delle cose. Tanto è vero che nelle scienze gravi ed utili a nulla vagliono i mezzi lavori delle leggiere produzioni , che pur vantansi intendere alla pubblica utilità , ma vi si richiede pienezza di studii , e di risultati. Il Gazzera, siccome uomo di seriose occupazioni , è a cose di tal ottimo fine cui bada ne* suoi scritti , non ad accre- scere r odierna tanto soperchia inondazione di carta stam- pata. 190 Ei dunque rauiiò Ih seguente ricca serie di monete cioè ; Per li Conti legittimi — Lodovico II. . N."' 7 \ N.o 52 Gio. Bartolommeo » •w Delfino . . . . » 5\1 Gio. Maria ...» 28 \ Carlo Giuseppe . » 1/ Per gì' illegittimi — Conte Per gli usurpatori — 4sostino Momoreo ...» Berard .... » Tornielli. . . . » Altre poi di anonime. . In tutto Nummi 70 Numero certo sorprendente, ove si consideri al breve tempo In cui lavorò quel!' officina monetaria , cioè un secolo e mezzo circa ; alla picciolezza del feudo , venuto meno da quasi cento- cinquant' anni; ed all' essere quelle monete per la più parte non buone, cagion per cui dovettero correre frettolosamente al crogiuolo , e dar luogo ad altre migliori , e di zecche me- glio accette. Un altro merito molto rilevante vuoisi riconoscere nel libro del nostro A. cioè la copia dei documenti prodotti per intiero in n.» di 59 , dei quali ne è un bel numero di molto importanti per fornir chiara notizia dell' umore dei tempi in cui vennero fuora; e giovano quindi alia storia non che municipale, sippur generale. E qui ci cade osservare come la famiglia dei Tizzoni , sebbene non possa vantar ne' suoi individui veruno di quegli uomini sommi e famosi in qualunque siasi modo, che per un verso 0 per altro primeggiarono nei maggiori casi del proprio tempo, né fosse di quell'alta potenza da influirvi per sé me- desima; però alcune fiate venne adoperato qualche suo perso- naggio in pubblici affari , ed in ambascierie degli stati mag- giori: e qui r avveduto e diligente Scrittore colse tosto, e con molta cura ogni favorevole opportunità per rialzar la propria narrazione , ricavando dalle dimcsliche loro carte non ispre- gicvoh notizie, le quali si riferiscono a parecchi grandi avve- nimenti d' Europa. Conchiudendo noi qui questo nostro brevissimo articolo sul- r opera novellamente scritta dal eh. Cazzerà, dobbiamo ri- conoscervi tal pregi di storica diligenza e critica , da ralle- grarci assaissimo che la R. Accademia delle scienze in Torino , abbia inteso a regalar il pubblico di così pregiate memorie sulla famiglia e sulla zecca dei Tizzoni , coli' inserirla tutta alla distesa nel IV volume della seconda serie di sue pubblica-, zioni periodiche. G. e. G. un axxxxn)ajoaxn]a)caxan)xccx)ooi)ooiroxcccanx)occa^^ METEOROLOGIA Notizia intorno ad agitazioni straordinarie dell' ago magnetico di declinazione osservate nella Specola della D, Università di Parma nel giorno 18 di aprile 1842. tJiio de' più interessanti fenomeni presentato dal sensibilis- simo ago magnetico di declinazione dell' I, R. Osservatorio astronomico di Milano è quello di avere più volle indicato con insolite agitazioni , e più particolarmente con oscillazioni ver- ticali , dei terremoti succeduti simultaneamente a grandi di- stanze. Tra i diversi casi più strani che potrei riferire in cui venne constatata la coincidenza dei due fenomeni , citerò quello avvenuto nel 23 di gennajo dell'anno 1838, nel qual giorno r ago magnetico dell' indicato Osservatorio avvertì con prolun- gate oscillazioni verticali un simultaneo violentissimo terre- moto succeduto nella Transilvania , nella Moldavia e nella Russia. ( V. Gazzetta privileg. di Milano, IO ottobre 1838). Un somigliante fenomeno, ed egualmente maraviglioso nei risultati , manifestossi nel piccolo declinatorio del nostro Osser- vatorio meteorologico nel 18 di aprile dell'anno 1842, il qual giorno, come vedrassi tra breve, fu segnalato in una gran parte della Grecia da terremoto violentissimo. Prima di riferire le fatte osservazioni , credo necessario d' in- dicare che il nostro declinatorio consiste in un sottilissimo ago magnetico di forma cilindrica della lunghezza di 16 pollici pa- rigtnl sospeso ad un filo di bozzolo il quale trovasi rinchiuso entro una piccola colonna di vetro che sorge nel mezzo di una custodia rettangolare a cristalli , la quale contiene 1' ago indi- cato e una doppia scala divisa In gradi e minuti e le di cui variazioni vengono osservate mediante appositi microscopj. Tutto r apparecchio è fissato sopra solida base nella direzione del meridiano magnetico in una stanza posta quasi immedia- tamente al dissotto del Gabinetto in cui si fanno regolarmente le quotidiane osservazioni meteorologiche , all' altezza di circa 70 piedi parigini al dissopra del cortile del palazzo. Fu subito dopo di aver terminate le osservazioni meteorolo- giche delie ore 9 della mattina del detto giorno 18 di aprile che notai con sorpresa nell' ago sopra descritto un' agitazione straordinaria. Essa cominciò a manifestarsi alle ore 9 e mi- nuti 12 ( tempo vero civile ) e si mantenne visibile sino alle ore 9 e minuti 18. Quest'agitazione consisteva in un movi- mento misto di verticale e di orizzontale compreso entro il li- mite di un grado e mezzo delle scale, ma talmente sensibile che per un Istante io sospettai di aver urtato leggermente col capo nella colonna di vetro che sorge nel mezzo dell' appa- rato, da cui pende il filo che sostiene l'ago, e di aver cagio- nato io stesso un tale sconcerto. La posizione dell' ago tanto prima che dopo l'impazzamento {affolement) era regolarissiraa e senza il menomo indizio di perturbazione. Cessato appena che fu il sospetto di essere stato io la ca- gione delle agitazioni osservate , mi si presentò l' idea che il fenomeno di cui era testimonio potesse essere coincidente a qualche lontano terremoto , come nel caso di Milano sopra in- dicato, perciò non mancai di consultare in proposito tutti I Giornali politici , letterari e scientifici che pervenivano in que- sta città, e con mia grandissima sorpresa e compiacenza, nel giorno 23 del successivo mese di maggio appresi dai numeri 136-137 della Quolidienne che appunto nel giorno 18 del mese di aprile un gagliardissimo terremoto era stalo sentito In di- versi punti della Grecia, massimamente nella parte occiden- tale, ove caddero case e seguirono molti altri gravi accidenti. Spiacquemi alquanto di non aver potuto rilevare dal precitato Giornale l'istante esatto in cui ebbe luogo il fenomeno, giac- ché quello che maggiormente interessavami era di sapere se le oscillazioni magnetiche di Parma e il terremoto della Grecia erano stati coincidenti , o in altri termini se i due fenomeni 194 avevano avuto luogo nel medesimo istante fisico, ma fortuna- tamente anclic intorno a questo particolare, due giorni dopo venni cliiarito al ricevere il num. 438 del Giornale scienliflco V Insinui . avendovi trovato un annunzio di un ingegnere di Atene comunicato alla R. Accademia delle scienze di Parigi, in cui si diceva che in delta città era succeduta una scossa sensibilissima di terremoto il 18 di aprile alle ore 10 e min. 5 della mattina; il che mi diede certezza della simultaneità del- l' avvenimento , poiché riducendo l' istante del fenomeno di Parma al tempo contalo sotto al meridiano di Atene , e cosi ad ore 9 minuti 12, aggiungendo minuti 53, che è la diffe- renza in tempo tra i due meridiani , si ottengono precisamente le ore 10 e minuti 5 indicate dall'ingegnere di Atene per r istante dell' avvenuto terremoto. Se queste agnazioni magnetiche non sono state osservate nell'I. R. Osservatorio di Milano, non è già che esse non vi abbiano avuto luogo, essendo anzi probabilissimo il contrario, ma dipenderà dal non essersi trovato alcun osservatore all' ap- parato precisamente al tempo del fenomeno, avendolo io stesso osservato per una pura accidentalità. Allorché io pubblicai questa mia notizia nella Gazzella priv. di Milano del 5 Luglio 1842 , io annunziai che anche a Monaco di Baviera sembrava che avesse avuto luogo il medesimo feno- meno di Panna , dall' aver trovato in una lettera scrittami dal Sig. Doti. Lamont Direttore dell' Osservatorio di quella città , r indicazione di una forte perturbazione magnetica da lui os- servata nello stesso giorno 18 aprile. In allora il mio dubbio sull'assoluta identità del fenomeno, proveniva dal non essere stato indicato nella lettera nò l'istante delle osservazioni, né su quali apparati magnetici erano state fatte, e nemmeno il ge- nere degli osservati movimenti, ma soltanto un semplice an- nunzio dì una forte perturb 25' della sera di 14' 51" verso l'Est, e percorse perciò in quest' intervallo di tempo un arco di 34' 7". Alle ore 8 della mattina , epoca del minimo , la deviazione fu più grande che ad ih 30' della sera, epoca ordinaria del mas- simo. I movimenti dell' ago sono stati alcune volte assai rapidi: e così, per esempio, da 6h 50' della mattina a 6h 55' esso per- corse un arco di 6 minuti, e da 7ii 25' a 7ii 30", un arco quasi consimile in senso opposto , di modo che 1' oscillazione osser- vata tra le 6ii 50' e le ih so', presentò la particolarità rimar- cabile che essa cominciò e fini con due movimenti contrari! , entrambi sensibilissimi e quasi eguali. — Secondo me , le per- turbazioni del giorno 11 e del 14 saranno state osservate anche agli Stali Uniti d'America , essendovi stati segnalati questi due giorni da apparizioni di aurore boreali. Neil" anno 1842 , oltre le perturbazioni magnetiche sopra men- tovate , a Parma ne sono state osservate ancora nel 2, 18-19, 24-25 gennajo; noli' 8 - 9 , 11, 14, 18, 19, 24-25 febbrajo; nel 2, 10, H marzo; nel 18, 29 aprile; 13, 14 maggio; 22, 23 , 24 giugno ; 22 , 23 luglio ; 6 , 7 agosto ; 7 , 8 . 13 , 17 , 18 ottobre ; 10 , 21 , 22 novembre e nel 9 , 18 e 19 di dicembre. Quella del 2 di gennajo, la quale fu osservata nelle prime ore dopo mezzodì , fu seguita tra le ore 8 e le 9 della sera dal- l' apparizione di una debole aurora boreale ; e siccome detta notte è una di quelle indicale per un ritorno periodico di stelle cadenti , 1" apparizione invece di un' aurora boreale , 198 quantunque debole, è ancora un fatto da' aggiungere a molti altri dello stesso genere già constatati che sembrano stabilire una sorta di relazione tra il fenomeno delle aurore boreali e delle stelle cadenti (l). (1) In uno dei prossimi fascicoli della Bibliothèque Universelle di Ginevra si troverà il catalogo dei terremoti sentiti in diversi punti del Globo nti- r anno 1812, e pili tardi quello delle perturbazioni magnetiche e de' fenomeni corrispondenti. A. COLLA <^S!8?5?85i!S!8?88i8888S!SS8«J88S!88*S8SSS;SJ?8?S5SS»8^^ MEMORIE SOPRA i; AMICO DEBITO PUBBLICO, MUTUI , COMPERE E BANCA DI S. GIORGIO IN GENOVA dell'Avv." CARLO CUNEO INSPETTOKE DEI R. ARCIinj .NELLA CITTA' E DUCATO DI GENOVA Genova; Tip. Sordo-muti, voi. t. in-8.o Le comperc di S. Giorgio, vero modello al mondo di econo- mia politica e di pubblica amministrazione, e la cui esistenza formava la maraviglia delle nazioni e governi più illuminati , flnora non erano ancora state studiate a sufDcienza : e ninno erudito ne aveva per anco scritta una storia che l' origine , progresso , e sistema delle medesime ponesse in vera luce , e mediante cui il Tilosofo e 1' uomo di stato potessero acquistarne adequata idea. È vero però che 1' anno 17C8 per decreto del- l'UtHcio dei Protettori di esse compere dai Padri Olivieri, Se- mini , e Ghigliotti dell' ordine dei Cappuccini venne formala una raccolta in otto tomi in foglio , nella quale vennero lette- ralmente trascritti li Contratti , Privilegj , Concessioni , Di- plomi , ed altri Scritture relative a S. Giorgio , cominciando dall'anno 1179, e terminando col 1C66, estratte dagli originali esistenti nel suo ricco Archivio. Ma questa anziché essere la storia di S. Giorgio, si poteva piuttosto dirne il suo Codice Diplomatico. Chinmavasi volgarmente la Raccolta dfl Cappuc- cino , perchè altro dei suddetti religiosi era 1' autore della sua Anale sistemazione ed aveala arricchita di postille e citazioni. 200 Doveva servire solamente per uso dei Ministri di S. Giorgio, e geìosamenle la visura ne era impedita a chiunque. Portata questa a Parigi nel 1812 con parte delle carte dell' Arcliivio se- creto della Repubblica , sino al giorno d' oggi il governo di S. IVI. non potè ancora ricuperarla. Similmente il notaro Gio. Batista Ceruti Sindico della Banca nel 1797 formò una rac- colta storica sopra S. Giorgio , che or pochi anni sono fecemi vedere il dotto Marchese Girolamo Serra d' illustre memoria , che possedevane il MS. Eppure questa , per quanto mi ri- cordo, non contiene altro che alcuni ragguagli sul modo con cui si trascrivevano i crediti dei Luogalarj , sull'esigenza delle gabelle assegnate a S. Giorgio , e sul metodo del pagamento dei proventi dalle Colonne. Altra raccolta eziandio ne compilò il notaro Gio. Batista Gandolfo Cancelliere di S. Giorgio dopo la sua restaurazione dell'anno 1814, la quale come seppi prima d' ora da un suo amico , altro non doveva contenere che un arido spoglio degli autentici Contratti passati tra la Repubblica e S. Giorgio e già stati trascritti nella Raccolta del Cappuccino , e di più credo che prima di morire non vi avesse ancora ap- portato r ultima lima. Il sullodato Marchese Serra in calce del tomo IV della sua egregia Storia dell' antica Liguria e di Ge- nova, Torino presso Pomba 1834 — scrisse un erudito e ragio- nato Discorso intorno alle Compere di S. Giorgio . che sino al presente potevasi dire il più esatto e chiaro lavoro sopra que- sta ammirabile instituzione. Ma grazie alle fatiche dell' Avv. Carlo Cuneo Inspetlore dei Regj Archivi della Città e Ducato di Genova e Segretaro della Regia Commissione di Liquidazione di S. Giorgio , noi posse- diamo finalmente un' opera completa , ragionata ed esatta che pone in tutta chiarezza l'origine, progresso, e sistema delle già Compere di S. Giorgio. Con metodo il più pronto ed age- vole all' apprendimento del lettore , il Sig. Cuneo ha disposto in separati ma fra di loro ragionatamente collegati capitoli le materie tutte trattate nell' erudito suo lavoro. L' opera è dedi- cata alla Sacra Maestà dell' Augusto Nostro Sovrano. Precede le memorie un'erudita introduzione, nella quale dopo svilup- pata la natura dell' antico debito pubblico di Genova e degli altri stati Europei , passa a dare in certo modo la definizione di S. Giorgio colle seguenti parole: « Le Compere di S. Gior- » gio (così face. IV) altro non furono in sostanza, che un de- » bilo pubblico organizzato, o per meglio dire, un gran Banco 201 » Nazionale, amministrato dagli interessati o dai loro rappre- » scntanti , fondato sul prodotto delle industrie nazionali e sus- » sistente solo per mezzo di esse , cioè per mezzo delle gabelle , » e degli introiti delle Dogane, 1' aumento, o diminuzione delle » quali dipende dal maggiore, o minore sviluppo dell' industria » nazionale ». Tutta l'Opera è divisa in due parli, nella prima delle quali comprendesi I' organizzazione del debito pubblico di Genova anteriore a S. Giorgio , e nella seconda 1' organizza- zione di S. Giorgio dopo la riunione generale delle Compere sotltì una sola amministrazione , e ncll' appendice viene in ap- poggio dei fatti narrati una preziosa collezione diplomatica. Coir ajuto dell' erudizione Romana e Patria 1' egregio nostro Autore dà importanti nozioni sulle antiche pubbliclie imposto in Genova , base del debito pubblico. Il primo debito di Ge- nova di cui abbiasi notizia dalla storia è quello per 1' arma- mento dell' impresa di Almcria e di Tortosa in Ispagnn , con- tratto r anno 1147 con diverse società di cittadini capitalisti e proprietarj di galee, impresa nella quale i Genovesi riuscirono vincitori e da cui ne provenne gran vantaggio al commercio , atteso li privilegi ed esenzioni che risultarono da concessione di Raimondo Re di Arragona e Conte di Barcellona (i). Per estinguerlo furono assegnati ai somministratori diversi pubblici introiti; ma questi non essendo succienti, il Consiglio deli berò di creare un mutuo ed applicarlo alla restante estinzione ; e per ben regolarizzarla fu instituito un ufficio , intitolato Uf- ficio di assegnazione de' mutui. Questa è la prima origine dei mutui pubblici di Genova ridotti ad una regolare amministra- zione. Se ne conservano tuttavia i regolamenti che sotto la data del 1302 trovansi radunati in un Codice membranaceo in 4." piccolo, conservato nell'Archivio di S. Giorgio, intitolato Regulae Comperarum Capiluli. Può dirsi 1' antico Codice finan- ziario di Genova. Da questo il Sig. Cuneo ricava le cognizioni relative ai diversi ministri del suddetto Ufficio di assegnazione de' mutui e loro attribuzioni ed incumbenzc. L' Ufficio de' Pro- lettori incaricati di rappresentare la massa degli interessati e (1) L'impresa di Almeria e di Tortosa (• bene sloricamente descriKa dal Caffaro, Annalet Genuentes, scriltpre sincrono ai faUi. Vedine l'edizione di Genova lip. Gnrniglia 182S. Testo latino con traduzione italiana , noie e docu- nienli , negli appendici agli anni 1147 1148. Vedi pure Pujades, Cronica universal del Principado di Cataluna. Barcellona 1832 tomo Vili, lib. IScap. XIV. XV. XVI. XVIH. sono gli anni 1147 e 114«. (li difenderli»' i ilirKii e privilegi, fu creato l'anno 1323. Es- sendosi }• anno 13i(> per le cure del Doge Giovanni de Murla armala coi concorso delle galee de' privali una flotta per an- dare contro i fuoruscili fortificatisi in Monaco e Roccabruna , e cessato il bisogno, per avere quelli di Monaco altrove rivolte le loro galee, pensò il comune di Genova di trarne partito mediante la conquista dell' isola di Scio, commettendone l' im- presa a Simon Vignoso, che vi riuscì felicemente. La Repub- blica poi per soddisfare ai particolari proprietarj delle galee concorsi in questa spedizione, cesse loro per un triennio il re- dito dell'Isola medesima, a' quali succedette una società di quindici soggetti nominata da greco nome la Maona, che ebbe anco il diritto fra gli altri di coniar moneta, come da con- tratto 1373 in nolaro de Cervaria. Passa quindi 1' autore alla seconda parte del suo lavoro. Nel- l'anno U07 trovandosi Genova sotto la protezione di Carlo VI Redi Francia, il regio Governatore Giovanni Le Maingre Ma- resciallo di Francia detto Baucicaut , il Consiglio degli Anziani e gli UlHci , considerando, il comune essere aggravato da im- mensi debiti , fu creata una commissione di otto prudenti si- gnori, che fatti i conti, redimesse le rendite pubbliche, e li- quidasse i luoghi delle Compere. Di tante Compere una sola ne fu instituita sotto la denominazione di S. Giorgio, asse- gnandole tante gabelle quante erano necessarie per sopperire alli contralti obblighi , che furono guarentiti da speciali privi- legi. Nel seguente anno U08 con solenne contratto passalo fra li compartecipi delle Compere ed il Governo , fu data ai Pro- tettori della nuova Compera di S. Giorgio ampia autorità so- pra tulle e singole le cose dipendenti dall' amministrazione di essa, compresa la giurisdizione civile e criminale. A quanto il Sig. Cuneo dice della riunione di tutte le Compere in una sola , io aggiungerò che la nuovamente instituita Compera di S. Giorgio ad esempio delle antiche continuò a sollevare la Repubblica in tutte le critiche circostanze e pubbliche cala- mità con imprestiti e soccorsi. Per particolare interesse storico rammemorerò la luttuosa stagione dell' aprile 1.507, in cui a' 10 dello stesso i Popolani di Genova, sprezzato il regime di Ludo- vico XII Re di Francia, elessero in Doge Paolo da Novi (1) q. Gia- (1) È falso ciie fosse oognominalo Cavanna, come pure sia slato eletto il 2.5 marzo precedente. Stette In carica soltanto giorni 18, essendo il 28 di detto aprile fuggito da Genova. Vedi Notizie sulla vita del Doge Paolo da Novi da me compilale ; MS. inedito. 803 corno della famiglia de Cattaneis olìm de Braghcriis tinloro di seta. Trovandosi pertanto in quel tempo lo statolin neces- sità di gravi spese per gl'imminenti pericoli , S. Giorgio im- prestò al Governo la somma di lire gianuine centocinquanta- mila , come da contratto passato fra il detto Doge Paolo da Novi e li Protettori delle Compere il 19 aprile 1507 in atti del notaro Bartolomeo Senarega, registrato nel voi. in pergamena n." 42. Privileg. et conlract. fol. 79 verso esistente nell' Archivio di S. Giorgio : notizia finora inedita. L' Autore poi dopo di aver parlato del Consiglio generale de' Comperisti, dell' UfUcio dei Protettori e del Precedente , de' Procuratori , del così detto del 1444, del Sale, dei Sindicatori e Conservatori, ed infine di tutti i ministri subalterni, loro attribuzioni ed obblighi; descrive i diversi Cartulari delle colonne, quelli di Numeralo . delle Paghe . d' Oro , d' Argenlo , e spiega cosa erano le Code di redenzione ed i Molliplici. lì capo XXX della detta seconda parte è destinato a dimostrare come la Repubblica cedesse a S. Giorgio le Colonie del Levante , la Corsica , Sarzana , Sarza- nello, la Pieve del Teìco , Levanto ed adjacenze , e perchè in appresso gliele abbia retrocessa». L' erezione in S. Giorgio di un Banco per comodo dei pagamenti dei negozianti fatta 1' anno 1675 fece prendere la denominazione di Banca alla Casa di S. Giorgio. La guerra Austriaca del 1746 per cui S. Giorgio aveva dovuto sborsare 15 milioni , produsse per diversi anni la sospensione dei pagamenti dei Biglielli di Cartulario; e la rivoluzione successa l'anno 1797, a seguito di cui vennero tolti a S. Giorgio i privilegi che godeva da secoli, cagionò la totale rovina di questo grandioso Stabilimento. — Il nostro Scrittore passando a parlare della Dogana e Porlofranco , nota la prima concessione di Portofranco nell' anno 1575 , una proroga di esso nel 1623 , e la generale estensione nel 1707. Descrive quindi le diverse sorte delle gabelle amministrate da S. Gior- gio, ed i loro uffici. Il Palazzo di S. Giorgio fu fatto edificare nell' anno 1260 da Guglielmo Boccanegra Capitano , e ne venne affidata l'esecuzione a Fra Olivieri monaco di S. Andrea di Sestri a ponente , come si ricava da una antica lapida infissa sopra la sua porta interna. Fatta cosi in iscorcio conoscere la tessitura dell'opera del Cuneo, estrarremo alcune ricchezze storiche nella medesima contenute. Banchieri: ve ne erano in Genova anticamente di due specie: della prima coloro che si dedicavano al servizio del pubblico 204 presso i Clavigeri, i Consoli dei Saie, e l' Dfflzio di assegna- zione del mutui; della seconda coloro che esercitavano l'UfDcio propriamente detto della Bancheria: questi ultimi erano sotto la giurisdizione degli otto ufficiali della Mercanzia: face. 52 53. Chiesa Metropolitana di S. Lorenzo: Con laudo consolare del 1140 vennero assegnali per dicci anni alla fabbrica di S. Lorenzo gli introiti del Cantaro e Rubbo oltre lire mille annue sul be- nefizio della coniatura della moneta, face, li e Documento VI. Raimondo Conte di Barcellona l'anno 1149 donò alla Chiesa di S. Lorenzo due terze parti dell' Isola di Tortosa in Ispagna : a seguito di che i Consoli del Comune nel 1150 sentenziarono appartenere ad essa Chiesa la terza parte dell' isola suddetta : Documento XII. Nel sopra rammentato Codice Regulae Com- perarum fol. 178 si legge assegnazione dell' anno 1303 del deceno dei legati fatta alla fabbrica delle colonne e tetto di S. Lorenzo: face. 243 in nota al Documento VI. Alle riferite notizie io aggiungerò, che il Canonico Negrotto Notizie Istoriche della Chiesa Metropolitana di S. Lorenzo in Genova MS. autografo (() face. 5, prova che il fondatore di della Chiesa fu il Governo; ed alla face. 7 dice , che i Consoli del Comune il 0 febbrajo 1174 ordinarono che il deccno dei legati pii fatti per testamento fosse applicato alla sua fabbrica. Un incendio, effetto delle guerre civili, consumò detta Chiesa, quale fu nel 1300 ristorala per opera del Dottor Lanfranchino Pignolo (2). L'illustre suo Capi- tolo nei tempi trascorsi godeva dell' esenzione dalla giurisdizione degli Arcivescovi (3). Emboli e Macelli: Embolo, in genovese Embrexò, voce greca lo stesso che Emporio. In Genova era nella strada lungo la riva del mare, e fra gli archi del porticato lungo la medesima ove ora è la strada Carlo Alberto. Prima della riunione delle Compere seguita nel 1407, all'Ufficio dei Visitatori dei mutui incumbeva di far registrare in un Cartulario tutti i beni ed (1) Io posseggo il citato MS. del Negrotto per dono fattomi dal fu Rev.mo Canonico Bartolomeo Parodi ed é 1' unico uscito dalla penna dell' autore. E falso poi che ognuno dei singoli Canonici di S. Lorenzo ne abbia avuto un esemplare, come da un cotale si asserì. (2) Archivio Capitolare di S. Lorenzo, libro antichissimo Anniversariorum fol. 11 verso. (3) S'jddetio Archivio Capitolare, Rescritto originale in pergamena del Card. Guglielmo del titolo dì S. Stefano in Monte Celio a Lanfranco Arcivescovo dì Genova datalo da Roma 4 dicembre 1377. S03 Emboli della Repubblica ; Il canone sopra I medesimi si esigev,i ulllmamente dall' Umzio del 14U face. 33 176 177. I Macelli tn- cevano parte dei beni del Comune. Da un decreto dei Consoli dell' anno 1142 rilevasi che i banchi dei Macelli erano in N.» 52 e sparsi per la città; prima del li07 ne esigevano i fitti r Ufficio dei Confortatori , face. 35. Un apposito regolamento sui Macelli fu emanato dai Consoli l'anno 1152 face. 25 Documento XIll. Molo: Dagli atti di Maestro Nicolò di S. Lorenzo appare che Il sopranominato Fra Olivieri monaco di S. Andrea di Sestri era nel 1257 ministro ed operaio del Porlo e del Molo. Sino dal 1133 si esigeva sui naviganti una tassa per la costruzione e ri- parazione del Molo. Fu nel 1248 dichiarato Opera pia perchè potesse godere dei legali per ultima volontà: face. 196 197 241 242 Documento IV. Monete di S. Giorgio: Moneta di Numeralo o di Cartulario era il valore in effettivo del capitale stalo impiegato; e quella di Paghe era in sostanza il valore delle Paghe in moneta di Numerato ridotto in moneta fuori banco ; non diventava di Numeralo, cioè esigibile in effettivo, se non dopo qualtr'annl. La moneta di Permesso era quella che godeva deli' aggio del 15 per "la sulla moneta di Banco: face. 127 e seg. Torre del popolo: Addi 30 ottobre 1307 Opicino Spinola e Barnaba Doria Capitani del popolo instituirono motu proprio un mutuo di L. 4000 ( sive luoghi 40 ) per la costruzione della Torre del Governo senza speciale denominazione. L' attuale gran campana che vi esiste fu fatta fondere dai Serenissimi Collegii r anno 1570, e ne fu fonditore Giovanni Chatanis citta- dino di Brescia : face. 29 200 Documento XVII, Avanti la rivoluzione avvenuta in Genova l'anno 1797, nella Casa di S. Giorgio per mezzo dei suoi Banchi girava in gior- nata la fortuna dei cittadini ; gli stabilimenti di pubblica bene- ficenza , le Opere Pie , le Chiese , e le particolari Fidecommis- serie , monumenti tutti con saggio accorgimento eretti dai nostri maggiori, la cui utilità è consolidata dal corso di più secoli, ivi tenevano assicurati i loro fondi. Il chiar. Sig. Cuneo ha anco reso interessante il suo utile lavoro con averne con- catenate le parli adornandole di varj cenni di storia civile, che schiariscono le diverse condizioni dei tempi, e conducono il lettore ad apprenderne piacevolmente le materie che ne for- mano r oggetto. Le erudite note ed illustrazioni ai docunienit in N.oXlX recati in appoggio ai fatti narrati , la maggior parte 20U iiiedjli , traiti dalla preziosa collezione che egli possiede e dal- l'Archivio di S. Giorgio, formano una prova delle cognizioni e della dottrina dell' autore. Tanti pregj di cui è vaga questa opera fecero sì che , poco dopo la sua pubblicazione , la Reale Accademia di Torino ncU" adunanza del 15 dicembre scorso 1842 ascrivesse 1' Avv. Cuneo tra suoi socj corrispondenti. Per completare quanto è necessario per le cognizioni storiche di Genova , ci mancava appunto una esatta relazione sopra le Compere di S. Giorgio. La storia letteraria Ligustica noi ora possediamo composta dal chiariss. Cav. Professore Spotorno , di cui però si desidera il quinto tomo a compimento. Abbiamo pure un corpo di storia civile scritta dal dotto uomo di stato il fu Marchese Girolamo Serra Cav. del Gran Cordone dell' Or- dine dei SS. Maurizio e Lazzaro e Vice-Presidente in Genova della Regia Deputazione sovra gli Studj di Storia Patria; l'Av- vocato Gio. Cristoforo GandolTi colla compilazione dei suoi Libri quattro sulla Moneta di Genova ci forni quanto in questa parte di erudizione patria si poteva desiderare. L' Ufficiale Giacomo (]evasco ci diede in due tomi la Stalislique de la Ville de Gènes, opera che meritò di essere premiata da Sua Altezza Serenis- sima il regnante Gran Duca di Toscana Leopoldo II con una medaglia d' oro da esso fatta coniare in di lui onore ; il Pro- fessore Canobbio ci fece pure posseditori della Topografia Fi- sica di Genova. Ma siamo tuttavia privi di una Storia del Com- mercio de' Genovesi , e questa scritta dal Professore Prospero Semini sul finire dell' ora scorso secolo XVIII tuttavia inedita io spero col tempo di pubblicare riveduta e corredata di sup- plementi. Finalmente il chiariss. Cuneo alla face. 211 del com- mendato suo Libro ci avverte che ha in mira di far di pub- blico diritto un altro suo lavoro di Storia Patria di cui va oc- cupandosi ; e nel mentre egli ne communicò giti 1' idea alla classe delle scienze morali , storiche e filologiche della Reale Accademia di Torino nella sua adunanza del 18 maggio p. p. , a cui era stato invitato ad assistervi , noi facciamo voti perchè non voglia ritardare di pubblicare questo suo secondo lavoro. PASQUALE Antonio sbertoli Sul fascicolo di marzo e di aprile prossimi passati degli ÀnnalfUnivergali rìi Stalistica che si stampano in Milano, leggemmo alcune osservazioni in- torno all' opera che fa il soggetto di questo articolo, delle quali osservazioni dal detto Periodico estralte, per gentilezza del eh. autore, il sig. Conte Petilti, ci è pervenuta ora son pochi giorni una copia; e ne avremmo tenuto discorso nel presente fascicolo, se la materia non ne fosse già slata disposta,^ onde ci riserbiamo al prossimo, nel quale ci permetteremo altresì alcuni iridessi sulle osservazioni medesime. /( Compilatore. -<>*o--<>#3--oaK>--oaso-HJSi(<>-^*>--^*<>----^o-^ DI UiT OPERA FILOSOFICA del Signor FILIPPO ACQUARONE I, Il travagliarsi continuo che fanno gì' ingegni per aiutare r educazione e l' istruzione pubblica onora altamente il nostro secolo, e sebbene i frutti siano a dì presenti non quanto i sperati , pure è da ringraziare la provvidenza che susciti le volontà. Dalle volontà del fare nascono grandi cose e se fos- sero per ventura dove non sono si farebbono molte utili opere, e meno scalpore. Imperocché molti che parlano tace- rebbono se i potenti alla parola prendessero il nobile ulBcio. Ciò nulla meno la mostra del fare è buono esempio e non può essere inefflcace se chi dispetta il gracchio vano uscirà con va- lore a chiamare le genti a sue dottrine per carità del non vo- lerle addormite o in ansia di trovare corpo alle parole. L' an- dazzo è vergognoso , ma non è tutta colpa degl' ingegni che potrebbero mostrarsi e non si mostrano : pure quella vergo- gna dovrà essere elTìcace di un qualche bene ; perchè git uomini durar lungamente non ponno in una sventura. Si slu- dieranno le cagioni del silenzio de' maestri e si romperanno : alzeranno la voce i valorosi e chi oggi gracchia si porrà ad ascollare. Se lutti oggi tacessero e si protraesse il tacere chi parlerebbe più mai? Non ha a disusarsi il parlare s' ha a par- lar bene e di buono ; che in qualche luogo ad intervalli si sente, e vorrcbbesi diuturno e magnifico. 2(« Il Si;?. Acqiiarone in questa Rivista rimprocciò liberamente lo stato presente della letteratura in Genova tacciandola di ciar- liera : lodo il nobile coraggio ; che 1' uomo leale non dee co- prire. Forse non piacerà a tutti , perchè non tutti hanno più amore al bene del pubblico che a se stessi , e chi si vede apo- strofato di vano, o tolti gli uditori o distratti, non ha per r ordinario tanto di grande/za d' animo di ornarsi di maggiori argomenti in istudi da riapprendere con buon successo il per- duto disegno. Molti sono che cedono volentieri il campo a più fortunato e valoroso ingegno e leali con se medesimi , vistisi Insuflicienti a stargli di costa o superiori , se gli danno se- guaci ; ma quanti per disgrazia non rimangono che ostinati , si fanno a queir uno nemici che più di loro è operoso nel pubblico , e così impediscono ad altrui il procurare quella fe- licità per cui essi stessi proclamavansi apostoli. Ma a cotestoro che in Genova io non crederò essere , bensì non manchevoli altrove, domanderei risoluto : se la felicità sia facile a trovarsi , o riservata alle loro diligenze. Che se a tanto non ardiscono presumere , se anzi essi medesimi non 1' hanno veduta , { e le presenti noie per gelosie di ministero lo provano ) perchè vor- ranno ostinarsi in non buono consiglio? Io so che non si puote arrivare alla perfezione se non tornando là donde siamo ve- nuti ; che il circolo è la più perfetta figura , e non è perfetta se la linea non si quieta al punto di suo principio ; ma so bene che tanto staremo con minore disagio nel mondo quanto più alla perfezione ci accosteremo; e io non dubito di avvicinar- mele con soddisfacimento e letizia dell' animo , se alcuno sa in- dicarmene il modo. Il che anche non aspetterò affatto dall' uf- fizio d' altrui , perchè gli altri 1' aspetteranno da me , essendo tutti gli uomini reciprocamente creditori e debitori di aiuti; ma con tutto l' impegno, con tutte le forze mi studierò di tro- varla io stesso , e de' mezzi tentati e delle felici riuscite sacò cortese avvisatore ad altrui. E s' io vegga in effetto che le mie Industrie sono più produttive che non quelle del fratello alzerò la voce per essere udito dal popolo , sovra di lui ; e senza far- gli onta ragionerò delle convenienze maggiori e più proficue che n' avrebbero dal mio avviso. A me pare che , oltre al gridare alle futilità , siano da com- battere i nemici del progresso del bene; come il conquistatore non solo si prende la piazza, ma così offende il nemico e lo spoglia , che anche ardendo non possa inquietargli il dominio. 200 Senza che non islimo possibile all' Istruttore pubblico lavorare con efTetlo : per la qual cosa è necessario tuonare coraggioso contro le vanità e con valenti opere alzare baluardi inespugna- bili contro chi vi volesse ofTensare. Che se altri di voi più veg- genti vi superi, e voi cedete generosi il campo; che la gloria non è nel vincere ma nel combattere in pugna onorala , e quando voi siate in errore una ritirata nobilita la vita vostra presso del pubblico, il quale vi crederà, siccome era desiderio vostro, veramente amici del vEno. Chi dispelta gli avvisi dei savi ( ed è savio chi grida alla vanità e dà opera sostanziale ) si storpia da se stesso , e si fa inabile all' operare. Andremo adunque in cerca del bene sostanziale e del vero , e di essi e de' mezzi per arrivarli da quanti amino 1' umana razza daremo conto pubblico, ciò che è uflìcio delle Riviste. E poiché troviamo giusta l' osservazione del sig. Acquarone che i giovani si lasciano troppo tirare alle parole e che dovrebbero andare in cerca d'idee perchè alla fine le parole sono fatte per esse, non esse per le parole, e molto meno le parole per le parole ; procureremo di gettarne meno possibilmente per non fraudare i lettori di quanto ci proponiano che sappiano di cose utili e degne di essere conosciute. Avvegnaché poi il dire non sia più vano che la vanità contro cui è volto e i giovani pos- sano essere riconoscenti al sig. Acquarone e non dispettarlo importuno pedante prenderemo a dar conio di una sua opera filosofica , per la quale mi pare che debba invogliare i suoi con- cittadini a volgere le spalle a certe lucubrazioni e dedicarsi, com'egli ha fatto, all'osservazione de' fatti umani, meditando alle tendenze di nostra natura , onde ricercare poi i rimedi ai mali e dirigere le opere dell' uomo ad utile sicurissimo. Cosi I giovani apostrofati avranno dinanzi un uomo che non tanto dice vero , quanto prova che altrimenti studiando , altrimenti si riesce. La Forza della scienza e del militare eroismo sulle alfezioni degli uomini è V opera di cui intendiamo dar conto. Stampata in Genova dal Pellas in due volumi di un trecento pagine ciascuno, potrà essere alla mano di quanti per la nostra rela- zione invogliati desiderassero vedere i mezzi di sviluppo d! quelle dottrine che noi accenneremo. Chi manca di scienza cammina al buio; perciò è in continuo pericolo di danno: la scienza é necessaria alla vita morale co- me il sole alla vita corporale. La scienza è virtù legislatrice del 210 genere umano che ha per esecutrice la forza. Ma ad ottenere la scienza non è facile opera , che essa comprende tutta la somma delie cognizioni; né è possibile a pochi uomini. Laonde gì' ingegni tutti quanti, devono secondo loro virtù essere inda- gatori, 0 non ristarsi ove taluno giunga si innanzi che un in- sperato vero per lui si scopra ; perchè appunto da questo emerge chiarissimo che non è mai tanto trovato che più non rimanga a trovarsi, conclusione a cui l'autore arriva dopo avere esaminato 1' essenza e le qualità della Ragione e l'uso che ne è stato fatto sin qui, e per molti casi sventuratamente nel secolo passato. Ciò posto, volendo passare in rassegna fatti umani per- chè dalle cause e dagli etTetti già noti dedur si possano assiomi fa- vorevoli alle future generazioni, l'autor nostro ben fece a comincia- re dal dichiarare la scienza e l'attitudine dell'uomo ad acquistarla; posto che nasce nell' ignoranza sebben dotato d' intelligenza e della facoltà percettiva ; ed anche dire con verità che essendo limi- tato, a tutto apprendere può aver desiderio, ma non potenza; né la somma degl' ingegni averne pur tanto da giungere al desiderato da ognuno. Il che produrrebbe che la somma delle possibilità uma- ne eguaglierebbe la potenza divina : imaginato piuttosto visibile che da essere punito. Gli antichi sgomentati dell' ampiezza del sapere che vieppiù giganteggiava dinanzi a loro quanto più essi pervenivano a qualche maggiore altezza confessavano di nulla sapere , ma intanto intendevano che l'uomo è dominalo da una potenza arcana alla quale , se ubbidisse , non fallirebbe il con- seguiniento de' suoi desideri ; e si posero a tutt' uomo con di- versi sistemi, secondo le loro viste, ad instruirlo, ad indiriz- zarlo al giusto ed al vero che sta nell' accordo delle facoltà mo- rali. Noi siamo un mistero a noi medesimi e viviamo conlinua- menle fra misteri; verità antica e ripetuta a proposito dal no- stro autore. L' uomo a fatica perviene a conoscere i moti del creato e le superne economie ; ma la mano che le conduce da chi è veduta? scuopresi che il moto è causa d' ogni vitalità: noi stessi moviamo le nostre membra e le riduciamo a servirci maravigliosamente ; i nostri ingegni penetrano le nature e i corsi degli astri ma la causa del moto delle membra , la causa della facoltà operante de' nostri ingegni si é mai scoperta ? Si scoprirà mai ? No che sarebbe uno scoprir Dio e un definirlo , e se Dio venisse mai definito dall' uomo cesserebbe di essere Dio. L' autore esaminò la ristrettezza della mentale arrivabililà e senza venire a quella conclusione teologica mostrò sino a 211 qual punto dallo scibile possa sperare 1' uomo , pur tanto da esserne contento e felice , e additò i mezzi trovati dagli antichi e da moderni per impossessarsi di esso, e ragionando trasse i lettori in una direi quasi abitudine di non contentarsi del già fatto , ma di indagare essi medesimi e per quanto era da sé mostrò coir esemplo il modo che la ragione dovrebbe tenere pel fine. Vide che senza gli esempi la credenza è difflcile ad ottenersi: perciò raccolse da buoni libri i fatti più ovvii che nessuno puotc negare , e accennando agli errori e alle verità , le conseguenze di quesle notando e di quelli induce lo specu- latore a tenergli dietro con piacere nella ricerca del vero. A trovare il quale passa in rassegna quanti studi fecero l' Egitto, la Grecia e Roma antica intorno la fllosofia , e venuto a capo di conoscere che « la scienza degli Egizj erasi principalmente « aggirata intorno allo utile fisico loro e che perciò dovette con « generalità e con prontezza venire a quelli amicata e da que- « stioni esente »: che la scienza de' greci sali all' intellettuale e alla ricerca deli' onesto ^ del quale poi 1' M50 fosse come quelle consolidazioni alla moderna nelle quali poco più |lell arretrato si converte in capitale; perchè tulli gli storici e le memorie inedile dicono che furono riuniti tutti i debili .«t"nT'""'' "" ^«'""'•''^■■'"^ «^'^ondo il Serra a luoghi 2800 ossia 2.800,000 lire d'allora; (l'oro purificato, aurumdc vcuola, aveva in quel tempo il valore di Lire 3. 10 soldi e 3 .lonar, per ogni oncia). Che più, l'Autore stesso delle osserva- zioni concede a pag. 12, che nella costituzione politica d'essa repubblica, i cittadini essendo tutti interessati non che a con- servarla ad accrescerne la potenza, ,' sagafìzi per rio necessari 230 venivano inspirali per carità di patria tanto più facilmente che la speculazione privata potendovisi consociare , i due fini tr»- vavansi così assicurati, con utilità generale e particolare. Lasciando all' Autore delle osservazioni la cura di combinare i sagrifizi necessari colla speculazione privata , ci contenteremo della concessione sua che si facessero dei sagrifizi , per con- cludere che il Cuneo non si appose tanto male quando ripetè dall' amore della patria le compere. E quantunque , come vedemmo , fossevi allora chi reputava fortuna trovar danaro pagando il 20 per o/" noi non vediamo nel Lobero (Memorie sulla banca di S. Giorgio Genova 1832) che nota j frutti pattuiti di molti imprestiti , che siasi mai oltrepassato il dieci e molti furono contratti col solo 6 e col 7, Né si creda che mancasse chi facilmente sborsava il denaro per ajutare alla re- pubblica, perchè poco dopo l' instituzione della compera del capi- tolo « i preparamenti di guerra (è Serra che parla) contro il Re « Carlo di Napoli, diedero causa ad una compera di 42 mila lire, » pari a 420 luoghi ; il celebre assedio dei Ghibellini ed il con- » temporaneo governo del Re Roberto , ad una compera di » Lire 200, 000 ; e così 30, 000 per occasione dell' Imperatore » Arrigo VII, 9500 per disimpegnare il sacro Catino; 11,000 » per i primi tumulti in Corsica, 25,000 per Rodi, e probabil- » mente per le guerre gloriose contro i Pisani e i Veneziani, » i Cattilani e i Greci le compere di S. Pietro e S. Paolo, e » quelle altresì della carne, del cacio, del grano, del vino, e » del sale con molle altre che per brevità omettiamo. Non è » però da tacere che la guerra di Chioggia fruttò in più volte il » debito di 495,000 fiorini d' oro, monete pesanti un grano più » che gli odierni zecchini e della stessa bontà.... Il Ducato di n Antoniotto Adorno, principe più vago di vasti progetti che di » solidi acquisti , generò quattro prestanze , compere o scritte » ascendenti a 78,000 fiorini d'oro » sicché si vede come non ostante la facUilà che i Genovesi avevano certo d' impiegare i loro capitali in lucrosissime speculazioni ed impieghi , si con- tentassero di un frutto minore per amore del bene della patria. Alla pagina 35 lo scritto che esaminiamo ammette in contrap' posto ai nuovi attuali mutui , che quelle operazioni di credito erano rese più facili , perchè vi partecipavano gli ottimati del- la repubblica interessati a sostenerla , epperò animati da una carità patria la quale inspirava ad essi gli sforzi generosi di quel- l'età, prelevati sull' ingenti guadagni che queir illuminato reggi- Incuto flcir istituto avca saputo conseguire. Comesi combinano colla sola speculazione privata quegli sforzi generosi (i)? Un'altra osservazione è fatta circa all' opinione del Cuneo re- gistrata alla pag. V della sua opera, che cioè, la riunione degli elementi ( l'Amministrazione di S. Giorgio ed il Governo della repubblica ) elfeltuatasi in modo , che essi sussistessero sempre distinti , ma operassero uniti e concordi , è un fatto che si ma- nifestò nel mondo cristiano dopo i rovesci del medio evo, per- chè mancava al mondo pagano 1' elemento della carità cristiana generatore della moderna civiltà; e le incerte speculazioni del- l'antica rdosofia furono del tutto impotenti a praticamente in- spirarla. Senonchè il dettato dal Cuneo è inteso anche questa volta alla rovescia; diffatti, mentre questi attribuisce l'ammirabile unione fra l'Amministrazione ed il Governo anche a dispetto delle ire cittadine che gli travagliavano, all' elemento della ca- rità cristiana generatore della moderna civillà, per conservare intatto ed illeso quel, diremmo, quasi sacro deposito della pub- blica lede, il chiarissimo Autore delle osservazioni legge: avere r elemento della carità cristiana influito su quelle speculazioni mercantili, ignote, o quasi, all'antica civiltà (pag. li). Per altro concede più sotto che il primo elemento della Repubblica Romana, (nella quale non crediamo esatto che si rislringa tutta l'antica civiltà) essendo nelle arti di guerra, e le conquiste ravvisandosi allora unico mezzo lecito ed onorevole d' accumular ricchezze, il commercio, tenuto quasi a vile, non potea ver- sare su speculazioni molto estese. Concede che fu solo dal punto in cui caduta la Romana Repubblica , dopo esserle suc- ceduta la barbarie flagrante, clic si cominciarono a riordinare le società con diverso politico reggimento. Moltiplicandosi al- lora i Governi , perchè partitisi in più stati cessato il sistema di conquista universale, la mercatura cominciò a divenire im- portante ed onorata, da che si ravvisò mezzo elTlcace onde sa- lire in credito ed in potenza, e gli uomini anche di chiaro in- gegno e di alti sensi , concorsero dipoi a praticarla in maggior rnmiero ; concede che allora nelle Anseatiche, come nelle Ita- liane Repubbliche, divennero estesi, ragguardevoli e produt- tivi i tratllci ; dice che d' altronde 1' elemento della carità cri- sliana succeduto a (|nello della filosofia pagana, ingentilì i coslnmi ed inspirò certamente sante ed onorevoli quanto caritative ab- negazioni, prima assai meno frequenti e riservate ad uomini d' alti sensi , mossi da istinlo filantropico o da carità di patria 9:)9 soltanto ; ma non crede tuttavia che cotesto elemento regolasse le speculazioni del traffico, più comuni, più oculate e più estese nel nuovo che nell' antico incivilimento , perchè quelle speculazioni per natura propria più vengono inspirate da un istinto dettato da avidità di guadagno , che non da quello ca- ritativo, il quale in certo modo gli è adatto opposto. Passando noi sopra alla meno esatta intelligenza delle parole del Cuneo, ed anche ritenuto il senso che vuol darle l'Autore delle osservazioni , domandiamo ; se la civiltà antica ravvisava r unico mezzo lecito ed onorevole di accumulare ricchezze nelle arti della guerra e delle conquiste; se l'elemento della carità cristiana , succeduto a quello della filosofia Pagana , ingcnlilì i costumi ed inspirò cerlamenle sanie ed onorevoli quanto carila- live abnegazioni 'prima assai meno frequenti . ( si sarebbe potuto dire forse con più di giustezza impossibili); se le speculazioni del trafflco , più comuni, più oculate, più estese, sono un mezzo più lecito, anzi il solo lecito ed onore- vole d' accumulare ricchezze , quale elemento si dovrà credere avere influito sulle speculazioni mercantili, ignote, o quasi , all'antica civiltà? L'Autore che esaminiamo risponde, quelle speculazioni per natura propria venire più inspirate da un istinto dettato da avidità di guadagno che non da quello cari- tativo, il quale in certo modo gli è affatto opposto. Sicché stando a lui si avrebbero queste conseguenze; la l.», che l'avi- dità del guadagno, che pure cagionava le guerre, nella antica civiltà non esisteva, perchè altrimenti avrebbe dovuto generare le speculazioni molto estese , — che cosa ha impedito quella cagione dal produrre i necessari suoi efTetti ? la 2." , che 1' ele- mento della carità cristiana ha prodotto 1' avidità del guadagno , la quale asserzione sarebbe inammissibile , onde noi crediamo essere fondati a dire giustissima e cristianamente filosofica l'os- servazione del Cuneo ; e riteniamo se così piace all' osservatore essere sempre esistita forse anche colla medesima intensità r avidità del guadagno, ma ci si dovrà però sempre concedere che questa , perchè 1' elemento della carità cristiana ingentili i costumi , si è tanto mirabilmente modificata da non produrre più le guerre e le conquiste, e da far ravvisare invece mezzo efHcace la mercatura per salire in credito ed in potenza. Nes- suno ci potrà negare che 1' elemento cristiano non abbia resi possibili nelle società certi modi di essere che non si sareb- bero mai senza di esso verificali ; siccome che le azioni ne ri- S33 portarono una tendenza morale affatlo nuova e sublime. Il Rosmlnf , filosofia delia Politica , la Società ed il suo Fine , libro 8." cap. 15, ragionando del come il cristianesimo risuscitò le società civili irreparabilmente perite, dice cosi: «Introdotta » questa nuova causa sulla terra , tutte le umane cose si mo- » dificarono. Un altro carattere che segrega 1' Evangelio dalle » lìlosofie si è , che egli solo esigette dagli uomini non 1' una » 0 r altra virtù, chiudendo gl'occhi sopra la mancanza di » altre od altre. Conservò dunque il cristianesimo nelle nazioni » r uso dell' intelligenza coli' infonder loro la fede nel suo bene. » Salvato poi l'uso dell'intelligenza, riman facile a spiegarsi » come gli uomini si ajutasscro da se slessi all' opera del ri- » sarcire, e più anche del rifare in modo migliore le civili » società. All'incontro col nuovo raggio di luce divina, tratta » in azione la più gran mole d' intelligenza che mai si fosse » mossa in passato ; era ben naturale che avvalorale ed attuate » cosi le menti , divenissero tantosto idonee non che a rifletter » sui mali, ma ad indagarne i rimedi, ed applicargli alle pro- » prie piaghe. Conciossiachè invano le orde de' Barbari so- » pravvennero per molti secoli a spazzare fin le rovine della » Romana società: la nuova, la potente, soprannaturale intel- » ligenza de' vinti trionfò de' vincitori : la Chiesa fermò i fe- » roci nel mezzo delle lor corse , li mansuefece nel colmo delle » distruttrici loro vittorie, invilogli come figli ad una pacifica, » umana santa immensa associazione ; e cosi ad un tratto d' ac- » cordo e vincitori e vinti, dismessi gli odi, i pregiudizi, le » esclusive afTezioni, s' adoperarono non più a struggersi scam- » bievolniente ma a ricostruire il mondo: fondarono le nazioni » moderne uscite, si può dire, tutte brio e vita dalle acque » del Battesimo. E quell'impulso, quel moto dato dal Cristia- » nesimo all' intelligenza dei popoli non può più fermarsi og- » gimai ; laonde la società non può più perire : il progresso » sociale è assicurato. Or perchè quel moto dato dal Cristiane- » Simo all'intelligenza de' popoli non può più fermarsi ? — Co- n lui che da principio persuase al genere umano la parola » evangelica, disse ai redenti: Ecco, io sono con voi fino alla » line de' secoli ». E nel capitolo XVI parlando della moralità ristorata nel mondo insieme coli' intelligenza dice : « sopravvenne il Vangelo » il quale potè additare agli uomini un bene a cui aggiuslasser » fede, e di più un bene assoluto. Da quell'ora rinacque in S34 » tulli i cuori r affezione umana , spenta per mancanza di » fomite: seppero allora gli uomini che cosa desiderare a se, » che desiderare altrui ; seppero che una bencncenza era pos- » sibile. Potè dunque da quel!' ora aver luog;o la virtù che » come diceva si riduce a un desiderio dell'altrui bene; e » perciò la virtù novella introdotta nel mondo dal Crisliane- » Simo prese il nome appropriatissimo di carità ». Il Cuneo pertanto, a nostro modo di vedere, si è posto in quella unica via dalla quale i politici , gli economisti ed i lìlosofi tutti che ragionano di cose sociali devono procurare di non deviare mal per trovare la verità. Ed essendo giusti ci piace di riportare un luogo delle osservazioni che esaminiamo che mostra eviden- temente come il chiarissimo Autore prolessi appunto questa sublime politica niosofla. « Cotesto esempio ( pag. 0 ) , unico al mondo di stato in uno stato , dacché S. Giorgio sempre fu al tutto indipendente dalla Repubblica , fondando i propri sta- tuti ed osservandoli con piena libertà d'azione, provvidamente governandosi per ministerio d' uomini probi , quieti ed ac- corti, anche frammezzo alle intestine gare di essa Repubblica, ed alle incessanti ire cittadine , che la travagliarono , dimostra a nostro parere quanto sia l' imperio della buona morale sulle incomposle passioni ; e fa conoscere che seguendo i dettami della buona fede , meglio si conseguisce che con iniqua avidità di guadagno una prosperità solida e durevole ». Ma questa buona morale che domina le incomposte passioni , sarà creduta certamente figlia dell'elemento Cristiano, e se fu per essa che potè aver luogo quel fenomeno di S. Giorgio, come avrà detto male il Cuneo? Si appunta altresì il Cuneo di aver detto che la carta di ban- co solo può prosperare nelle contrade principalmente mani- fatturiere , ed il suo contradditore adopra molta cognizione della materia per provare quell'errore, narrando di società inlente a soccorrere con cauti imprestiti i possessori di beni fondi e spe- cialmente i meno facoltosi che vogliono ad esse ricorrere. Quelle società non ha dubbio possono riuscire utilissime, e special- mente dove esista un ottimo sistema ipotecario unicamente fondato sulla specialità non sulla generalità dell' ipoteca , e noi siamo appunto all' incirca in una tale felice posizione. Ma non si può concedere che veramente il Ciuieo abbia inteso di dire che la carta di banco solo possa prosperare nelle contrade principalmente manifatturiere e non agricole, perchè tale opl- 235 nione sua , non si fa punto manifesta dalla lettura del luogo dall'osservatore citato. Il Cuneo dice cosi: « Questo fenomeno , ( che i biglietti di banco si preferissero in Genova alla moneta effettiva ed abbiano goduto per lungo tempo un credito illi- mitato ) verificossi ugualmente in Inghilterra nel 1797 , men- tre in Francia tutti gli sforzi per dar credito ad una carta mo- netata in quella stessa epoca andarono vani. Moltissime cause è vero puonno avere contribuito a questa diversità di elTetti; osiam dire però, che una principale di esse deve consistere in ciò , che questo fenomeno non può aver luogo che in uno stato essenzialmente commerciante e manifatturiere , perchè ecc. » Ora dal contesto di questo discorso, pare a noi, si ri- leva bensì che il Cuneo non crede suscettibili di molta pros- perità i banchi dove non è commercio e non sono manifatture, ma non dice che non sono possibili, perchè esso parla appunto di grande prosperità; del resto crediamo anche noi coll'Autorc delle osservazioni che 1' esempio della Francia del 1797 non provi gran fatto in favore del Cuneo. Pare poi che 1' osserva- tore vada un pò troppo per lo sottile, sulla espressione usata dal Cuneo, debito pubblico, e crede che si dovesse dire, credito pubblico, cioè credito dell'universale, pel quale credito quelle speculazioni han vita e procedono, perchè la parola credito in- dica la potenza della fede comune, intanto che la parola de- bito se esprime per i governi quanto essi debbono ai privati od ai corpi morali, o società costituite nella Repubblica, non pa- re perciò appunto potersi appropriatamente usare nel caso in discorso ( pag. 21 ). Ma la prima instituzione ebbe origine dalla sistemazione di un debito, e se è vero che possedendo io una carta di banco posso crederla un segno del credito che il generale fa al governo o alla società che quelle carte emette, è altresì vero che posso considerarla siccome un segno del de- bito che quel governo o quella società hanno meco contralto all' atto della consegna fattami di quel titolo. Ma queste le so- no dispute inutili, e ci pare quindi fuor di luogo l'altra discus- sione se possano o non possano prosperare le instituzioni di Banca anche separate dal credito pubblico. Non piace all' osservatore ( pag. 31 ) la opinione del Cuneo, che cioè una speculazione individuale fatta dai mutuanti ncll'im- prestare il loro denaro , la quale avrebbe nel primo suo stato di mutuo consumato una parte del capitale nazionale, siasi convertita in una vera associazione , e quindi in una bcneflca 23G istituzione sociale, per cui gì' interessati nei mutui vennero in ef- fetto a promuovere nella loro patria lo sviluppo delle industrie, onde servissero ad alimentare il prodotto delle gabelle, che erano r unica garanzia del loro capitale e dei proventi ; ma concede però che il fatto provò giusta l' accorta previsione, conciossiachò r interesse dei capitali scemando in ragione della accumulazione loro , era naturale che i proventi assegnati largamente non solo bastassero a servire un discreto interesse delle compere e luoghi , ma anche permettessero di commutare una riserva impiegata poscia in spese d' utilità comune. Se dunque fuvvi accorta previsione, se fuvvi impiego di una cumulata riserva in spese d'utilità comune come si potrà ancora negare al Cuneo che una speculazione individuale siasi convertita in una benefica insMtuzione sociale ? E con qualche estensione parlando sull'uso e gli elTetti de' mutui dice l' osservatore che Nihilsub sole novum. perchè allora come adesso contracvansi debiti. Ma questo motto latino ci sembra posto qui in senso inverso, perchè viene im- piegato in quello di detrarre alla gloria degli antichi , quando servirebbe piuttosto a mostrare la vana presunzione dei moder- ni ; e di fatti 1' Autore delle osservazioni appiedi della pagina .32 concede che i primi ebbero 1' incontrastabile merito di ave- re ideate quelle ingegnose combinazioni , che la presente età imitava perfezionandole anche in parte. Non sa del pari comprendere 1' osservatore come gli antichi debiti ( pag. 35 ) potessero tendere a minore individualismo dei novelli, e senza voler denigrare all' antica età che egli ammira peli' ingegno ( pag. 36 ) pclla generosità ed ardire di cui fé' prova , si crede poter asserire che la presente non le è inferiore; ma accennando la opinione del Cuneo si guarda bene dal riferirne , e cosi dal mostrarle insussistenti , le ra- gioni da quello allegate che noi crediamo non si potranno mai vittoriosamente impugnare. Ecco come si esprime il Cuneo pag XIII ): « Vediamo infatti, che si sconta in commercio » al 4 per o/" ed anche meno , e che l' industria agricola ar- » riva appena a fruttare un 3 per ol" ed anche meno, mentre » vediamo dei debiti pubblici sussistenti all' interesse fìsso del » i ed anche del 5 per ol" ». E per questo opina che 1' inte- resse fisso dei medesimi debiti pubblici tenda a favorire l' in- dividualismo, essendo esso affatto sproporzionato al reale pro- dotto delle industrie. In questa opinione il Cuneo avrà molli compagni, e noi ci ricordiamo di avere letto sui giornali un prò- 237 fondo discorso dal deputalo Laflilte pronunzialo alia camera di Francia all' occasione che si discuteva la conversione della ren- dita , nel quale quel grande finanziere dimostrava ciliarissima- mente come il forte interesse pagalo dallo stalo togliesse i ca- pitali all' industria , e ritardasse per ciò i progressi della Fran- cia e ne minorasse per conseguenza la forza. Ma queste le so- no idee cardinali né quindi si possono trascurare quando si parla d' economia. Il già tante volte citato osservatore ritorna sull'Idea di com- battere r opinione, che come vedenmio egli attribuisce al Cu- neo, dell'esservi stato cioè nella fondazione delle compere e banco di S. Giorgio un benefico divisamento per l'universale, e dice ciò non parerle possibile , ( pag 31 ) imperciocché le ga- belle possono benissimo crescere quanto più cslendesi il IrafU- co , ma non ne avviene che esse gli siano per natura propria , non che necessarie , utili , poiché anzi , senza di loro, sarebbe il commercio più fiorente, e là dove sono gravissime, vcdesi in- cagliato e decadente. Aggiunge come s'è già detto, ma giova ripe- terlo, avere il fatto provato giusta l'accorta previsione; conciossia- chè l'interesse dei capitali scemando in ragione dell'accumula- zione loro, era naturale, che i proventi assegnali largamente non solo bastassero a servire un discreto intcì'esse delle compere e luoghi, ma anche permettessero di cumulare una riserva im- piegata poscia in opere d' utilità comune. Qui ci occorrono al- cune spiegazioni; e prima, non si tratta già di vedere se le gabelle possono essere utili al traffico ma soltanto se dalla ne- cessità in cui la saviezza della repubblica aveva sapulo collocare i suoi creditori di promuovere il traflìco, col quale solo pote- vano sperare di ricavare un utile dal denaro imprestato , ne dovesse venire aumento di traffico e quindi un utile universale. Ci si accorda avere il fatto provala giusta 1' accorta previsione che permise di cumulare una riserva impiegala poscia inispesc d'utilità comune , dunque vi fu la previsione; e se vi fu , perchè non pare all' osservatore possibile vedere in quella insliluzio- nc un altro benefico divisamento per 1' universale ? Il Cuneo divoto alle stanze di S. Giorgio esprime il desiderio di vederne almeno conservata una parte nella presente occasione della sistemazione della nuova strada carrettiera ; la quale tanto deve giovare per comodo e per economia al Porto Franco di Genova : a questo proposito (notisi che parla qui l'Autore delle osservazioni ) ci sia lecito ancora notare, che se devesi lodare 338 la carità di patria, che inspira l'autore, non crediamo però abbiasi a spingere al punto di veder conservate le parti di quell'edificio, le quali demolite, sempre più faciliteranno que- gli ora cosi angusti accessi. Il Cuneo (pag. 210) facendo questo voto riflette, che sebbe- ne l' antica facciata del palazzo di S. Giorgio avanzi alquanto sulla nuova strada , questa rimane di una larghezza sufficiente da potervi passare tre vetture di fronte, senza incomodo dei passeggieri ai quali resterebbe sempre un transito libero sotto il porticato della contigua antica strada di sottoripa, né pre- senterebbe difetto alcuno di aJineamento con gli altri edifizi , perchè isolato in mezzo a due piazze; non pare dunque che dal Cuneo si spinga la carità di patria al punto di nuocere al comodo ed all' economia troppo necessaria al Porto Franco di Genova , e noi ci uniamo con esso a sperare che questa facciata altro dei monumenti della grandezza del popolo Genovese, e delle riportate vittorie sia salvata dalle ingiurie e vicissitudini del tempo edace ; e non possiamo intendere come il pubblico vantaggio economico sia proprio legato a questa condizione, che pel breve tratto di pochi metri di strada il marciapiede per cui transitare i pedoni non possa essere coperto da un vòlto anziché a cielo aperto, mentre del resto seguita libero il corso come altrove ai carri ed alle vetture. Ed almeno almeno crediamo che il pubblico farà pel palazzo di S, Giorgio ciò che si è fatto per un palazzo privato, quello del signor JSlena , da S. Lorenzo. Ora veniamo all' ultima osservazione, a quella che dice il Cuneo meno coscienzioso ( pag. 42 ) per non avere parlato delle cose avvenute a riguardo di S. Giorgio dopo il 1814. Ma il Cuneo non ha fatto una storia, ha solo scritto delle memorie per porgere dei documenti a chi volesse fare la storia delle compere e di S. Giorgio ; sicché non ci pare che gli sia sfuggita una menda grave assai in punto d' esattezza storica , come crede 1' osservatore. Ed ecco infatti quale si fu lo scopo del Cuneo ( pag. XIV ) : « Noi abbiamo credulo di dovere dividere » queste memorie in due parti : la prima comprende 1' orga- » nizzazione del debito pubblico di Genova anteriore a S. Gior- » gio; la seconda comprende 1' organizzazione di S. Giorgio do- » pò la riunione generale delle compere sotto una sola Ammini- » strazione ». Or perché biasimare il Cuneo di non aver parlato di cose alle quali per la natura del suo lavoro, ed i limili allo 239 Slesso segnati, iion dovc\a toccare? Era o non era libero di scrivere delle memorie? Se era, perchè sgridarlo del non avere scritto una storia generale, anche di quella liquidazione che forse a rigore di termini non si potrebbe ancora dire finita ? Noi abbiamo qui tutte presenti le leggi che da dopo il fatale 1797 regolarono le cose di S. Giorgio fino a questo giorno , ed abbiamo pure presente il trattato de! quale parla I' Autore delle osservazioni; ma ogni cosa ben rifiettuta non ci sembre- rebbe rigorosamente fondato tutto il ragionamento che egli ne deduce, e specialmente non sappiamo spiegarci quella dottrina che pare da lui si voglia mettere in campo, che un trattato fra diversi stati conchiuso possa rendere nulla di picn diritto una legge emanata da un governo affatto estraneo a quel trattato medesimo , per la sola ragione che di quel trattato se ne cono- sceva l'esistenza (2). Ma, in breve, la legge 2 dicembre eh' egli non vuol riconoscere fu ella abrogata mai ? Se lo fu cel dica per- chè a noi consta come sia anzi stata tacitamente riconosciuta (3). Qui facciamo fine pregando l'Autore tanto meritamente stimato delle osservazioni e pel quale noi professiamo una profonda ve- nerazione, a non prendere in mala parte questi riflessi, perchè noi non abbiamo volontà di menomare punlo della riputazione grandissima per esso acquistata in cose di stato ; e ciò tanto più in quanto clic siamo certi non essere egli stato mosso in facendole da nessuno affetto contrario, come quello che negli anni di sua gioventù mostrossi affezionato a questa nostra pa- tria e ne riportò sincera affezione. MICHELE EREDE ANNOTAZIONI (I) E per maggiormente conoscere come poco a ragione si voglia conside- rare S. Giorgio r espressione di una speculazione privila , divenula arciden- lalmente di utilità pubblica, pensiamo sari utile rillettere che quando S. Gior- gio cessò dalle sue operazioni la maggior parte de' luoghi appartenevano a fondazioni e moltiplici per vantaggio della Repubblica , delle opere pie ed altri santi usi , quello compreso di liberare dalle gabelle gli abitanti di Ge- nova; e sono celebri per questo rispetto le colonne di luoghi di Ansaldo Grimaldi che già cresciute avrebbero presto adeguato lo scopo se gli uomini non s' invogliavano delle mode francesi. Vogliamo qui riportare l' inscrizione che sotto alla statua sedente dì quel genovese si legge { ha fra le mani la leggenda: Quid Palriae non suadtt amor?) Anmldus Grimaldus Padilius de Genuensi liepubfica apprime merilus, quatcr imlle locorum qualerq. ex eorum frudibus in sorlem conduplicandorum publico dcputatis, unde Genuenses cives ìvcligulibux ulimentorum levarenlur, eorumque Pretoriani, orieniaìis occidLiDta- ìixque Orce ordinario tributo capitatione ipscrum absoìvcrcntur- in eaque urbe pulsa ignorantia prò ea sapientia et ulriusqne jurisprudenlia ceterorumque liberalium arlium studia revocarentur , Paupei'lati religionis Monaslei-iorum Piorumquc publicorum locorum usibus et necessitutibus sulv^nirelur de qui- bus in cartulario B, plemus videhir propterea occupulionum sancti G orgii Prctectures de 1536 hanc suum sentienti decus locaverunt ejusque viri et R.mi Uieronimi Cardinalis fratris filii posterisque alimentarii vesliariique ì'celigalìum immunitatem perpetuo fruendam approbarunt. Ora come si potrà consentire ali Autore delle osservazioni, che i governanti di S. Giorgio, (notisi che S. Giorgio era amministrato dai maggiori interessati e precisamente i Procuratori e Protettori dovevano avervi una t artecipazione non minore di mille Gianuini ), solo fossero illumin;iti ed accorti, anche frammezzo alle ire cittadine che li travagliavano, e che sapessero, solo non abbagliati da esse, vedere come poteasi far volgere la speculazione privata alt utitilù dell' us- sociazione politica, mercé dell ordinala società commerciale? S41 (i) Pare che l' Autore delle osservazioni sia stato indotto a quella credenza dalla non distinzione che si osserva nella sua uKima nota, fra la esi- stenza legale del Debito Pubblico e la liquidazione del medesimo , le qua- li due cose, a parer nostro, devonsi anzi considerare per distintissime. Difatti col Decreto 14 messidoro anno 13 ( 4 luglio 1805 ), Napoleone dispo- neva : « la rente de trois millions quatre cents mille livres de Génes , que » cet office ( S. Giorgio ) devait payer aux propriétaires de ses actions, sera » consolidée sur le grand livre de Franco , sur le pied de une livre dix sous 1) par action. Cet iniérét etc. ». Dunque a partire dal l.o vendemmiaio ( 23 settembre allora prossimo ) epoca nella quale doveva cessare 1' ufficio , si deve ritenere che quella rendita fosse inscrìtta , salvo a liquidarla , cioè ad assegnarne le rispettive porzioni agli aventi diritto. Non si conosce legge po- steriore che abbia deGnitivamente colpito di caducità una parte qualunque di quel debito , che non venne dal governo Napoleonico in totalità liquidato; ma la mancanza di liquidazione non toglie che l' inscrizione in genere debba esistere. A dir vero un ministro di finanza francese propose nel 1812, quando erano cessati i poteri del consiglio generale di liquidazione, all' Imperator Napoleone 1' abbruciamento di tutte le carte riguardanti a S. Giorgio , col prelesto che le stanze abbisognavano alle Dogane, e quello sarebbe stato un mezzo pili spedilo di disimpegno che non la rinnovazione di que' poteri per r ulteriore liquidazione. Ma quel giorno Bonaparle non fu tanto nemico di l'agione quanto il ministro. — Quel rapporto prova anzi che in queir epoca nella mente stessa dei francesi non erano i possessori de' luoghi non liqui- dati, decaduti dal diritto di domandarne la liquidazione; e ciò se non leg- giamo male risulta da queste parole : « Il insiste ( l'Iniendent du Trésor im- » perlai à Alexandrie ] pour leur conservation ( le carte di S. Giorgio ) , ou » du moins pour celle de tous Ics lìlres anlérieurs à l'année 1600, ei » méme pour l'ajournement du dcplacement de la totalité jusqu'à ce que le » payeraent des arrerages arrières de la partie de la dette de Génes inserite » au grand livre de France soit terminée , et qu'il ait été formellement de- » cidé si l'on procederà à la liquìdalion des luoghi de Génes, qui nont pas » été liquidés ». E più sotto : « la queslion de savoir , si Fon doit considc- » rer la liquidation des actions de la Banque de S. George , comme etani » terminée , est plus importante; elle à excité un grand nombre de réclama- » lions, et il ma paru indispensable de prendre les ordres de V. M. sur son » sujcl ». Questo stato di cose durò finché durò l' impero Napoleonico. Dun- que pare a noi che non si possa dire dopo di quello ciò che non si disse allora. Per dare un' idea dello spirito di benevolenza che animava quel mi- nistro verso dei creditori di S. Giorgio , vogliamo citare alcune altre parole di quel rapporto : u Si au contraire , la liquidation des actions de celle Ban- » que était déclarée entiérement terminée par suite de la loi du 1.3 jan- » vier 1810, je ne verrais comme le ministre du Trésor, aucun inconve- II nienl à se débarasser des à présenl de la totalité des titres et élémens de » propriété des luoghi , et j'eslime qu'il scrait prèférabte de procéder au 242 » bràlemenl de ces lUres , camme nn l'a fait pour ceux de la delle du Pie' Il moni , en exéculion des Décrels des 3 février, et 14 décembre 1810, pìu- » lól que de vendre les papiers de la Banque S. Georges , doni le résullal » terail de les replacer enire les mains des anciens propriélaires des » arlions ». Quanto dalla Francia fu allora procrastinala la liquidazione del Debito ligure addossatosi , tanto facilmente quella liquidazione medesima fu ripigliata dal governo dei Reali di Sardegna, i quali oltre a quella porzione di debito, vollero che si liiju dasse anche quello conosciuto sotto il nome de' magistrati, olio, vino ed abbondanza, che non era stalo incamerato dal governo ligure colla legg ' 28 dicembre 180i. (3) L'Autore delle osservazioni in una nota a pag. 6 riflettendo che si é ten- talo inutilmente due volte di far rinascere l' istituzione di S. Giorgio per ri- parare possibilmente ai succeduti inforlunj , dice che quello espediente non poteva essere , come njn lo fu infatti , efficace. Che noi sìa stato sei vediamo , ma che noi potesse essere avremmo desiderato sentirne le ragioni. LA MEDEA DI SEIVEr.A TRADUTTA DA FILIPPO ACQUARONE Un libro non può esser buono che quanto è utile ; non può essere che ottimo quando alla utilità la bellezza congiunge. Le tragedie di Seneca hanno assai di tali pregi , considerandole massimamente nel tempo che furono dettate , e la condizione in cui si trovava chi le dettò. Oltre questo le opere dei Seneca formano un periodo della romana letteratura che molto do- vrebbe studiarsi dai politici e dai filosolì che non si fermano alla superlìcie delle cose. É vero che questi non hanno quel ripulimcnto e queir oro che sfolgora nel Venusino e nel can- tore di Enea, ma i pensieri vi sono altamente concitati, ne vi mancano le cose sottilmente pensate e gravemente dette, seb- bene Tacito affermi non esser vera eloquenza dove non è li- bertà. Ma siccome per sentenza del medesimo l' eloquenza non ha un sol volto , così quello che ha diversi lineamenti non è sempre il peggiore. Quindi non tìa opera gettata quella di Filippo Acquarono , uomo di molte lettere , il quale si propone di volgarizzare quelle tragedie come ha fatto della Medea che abbiamo sot- t' occhio. Chi non conosce a fondo l'idioma di Virgilio, leggerà ali volentieri questa traduzione, siccome quella che in buona lin- gua ritrae fedelmente e con lucentezza i concetti dell' origi- nale. Cosa molto difQcile in questo genere di lavori che pos- sono riguardarsi come le più sublimi allegorie dell' intelletto umano ; dico difficile avvegnaché fa mestieri che 1' anima si scaldi e tutta s* immedesimi con quella dell' autore. La quale difficoltà prende misura dalla lontananza dei tempi, dalla somma diversità dei costumi , della religione , e dei sistemi si letterari che scientifici. Tutto questo fu preveduto e superalo dall' Acquarone? — A me pare di si. Imperocché oltre essere un abile interprete, poteva comparire un egregio verseggia- tore s' egli avesse posto mente che i moderni avvezzi al suono delle tragedie Alflerane , cercheranno nella sua versione quella piaciuta durezza e quelle ingegnose trasposizioni che danno tanta efficacia a' suoi personaggi. E ciò è sì vero, che le pa- role medesime del Saulle , del Filippo e della Mirra diversa- mente allogate, perderebbono gran parte di quella classica im- pronta per cui, nonostante il maligno sentenziare di Schlegel, il tragedo piemontese va sopra ogni altro distinto e vittorioso. Ma r Acquarone avrà forse pensato che la Mcrope del MafTel andò sempre lodata senza avere 1' accento del fiero Astigiano. Ma poiché in ogni mortale divisamento , avvegnaché com- mendevole, vi é sempre qualche cosa da criticare, cosi qual- che lettore della Medea farà stima che il vocabolo coniugali italianamente significhi il rapporto che vi è tra marito e mo- glie , e non già l' auspicio di chi secondo la mitologia presiede alle nozze ; si lagnerà che al talamo sia stato derubato il suo caratteristico attributo di gemale. Se io penso che nel primo delle Eneidi , 1' eroe di Troia toccando di Ettore dilettissimo , gli die r aggiunto di saevus . sarei d' avviso che il sacve domi- nator di Medea valga possente e non severo dominatore. Né io posso dissimulare che qualche verso mi riesce prosaico come esempigrazia sarebbe questo : morie Al suocero arrecate e a sua real stirpe. Questi però, ed altri simili sono tenuissimi nei che spari- scono allo splendore della restante dizione, e al vivo ritratto delle pili tremende passioni quali sono quelle della Medea, Ar- gomento degno veramente del secolo di Nerone quantunque molto prima 1' avesse egregiamente trattato anche Ovidio. ai5 Ciò che mi lorna eziandio mirabile nell' Acquaroiie si è il canto appropriato e corrente che adopera nei cori senza sva- gare in quella soverchia libertà , che inganna la più parte dei traduttori di opere latine. La quale facilità di espressione e di rima manifesta il possesso delle due lingue che maneggia, non che la potenza filosofica che si richiede per sentire l' altezza di tutto il concepimento. Io non moverò disputa se questa tragedia possa utilmente e con diletto degli ascoltanti recitarsi sui nostri teatri, avve- gnaché ripeterò con Tacito: altri tempi, altre orecchie, altri suoni. Quello che si può dimostrare si è che la Medea è lavoro perfettamente tragico secondo la credenza e la tirannide della età in cui fu scritta ; si può dimostrar dalla lettura di essa , che r anima di Seneca fu come quella di Alfieri la più atta a questi malagevoli componimenti, poiché entrambi furono ec- cellenti per due cose che tanto difficilmente si trovano unite . l'essere cioè ad un tempo grandissimo poeta, e grandissimo fliosofo. FRANCESCO ROVELLI SCHERZI EPIGRAMJIATICl del Professore DOMENICO GHINAZZl DI LCGO I. Da un grossissimo serpente Fieramente Fu Damone morso un di. Non crediate che morisse , Egli visse ; Fu il serpente clie mori ! II. Dolevasi un viandante Che tante volte e tante Lo avesser derubato per la via. Sicché più non ardia Uscir di casa e mettersi in cammino. A cui si re' a parlare un suo vicino : Se brami di viaggiare Con sicurezza e più liberamente Sai quel che devi fare? Prendi un buon paio di pistole, e allora E r altro : — Ottimamente Perchè mi rubin le pistole ancora ! I SAGGI DI CHIMICA MINERALE ED OKGANICA e Continuazione ) Per la fabbricazione d' acido solforico colano in Sicilia enormi somme: essa portò 1' industria ed il ben essere nei deserti contorni d' Atakama ; essa rende profittevole l' estrazione del platino in Russia perchè i vasi di concentrazione delle fabbriche d' acido solforico sono di platino, ed ognuno costa da 20 a 40 franchi 5 il cristallo sempre piìi bello ed a buon prezzo 5 e i nostri eccellenti saponi non si ottengono più in oggi colla cenere, ma colla soda (1). La nostra cenere è adoperata come prezioso ed utile ingrasso ne' campi e nei prati. È impossibile seguire partitamenie tutti i fili di questo mirabile tessuto dell'industria, ciò nondimeno conviensi ancora qui mentovare alcuni dei più decisi ed imme- diati effetti dello sviluppo dell' industria chimica. Si è già accennato , che il sai comune dev' essere trasformato in sai di Glauber prima che sia impiegato alla fabbrica- zione della soda. Trattando opportunamente il sai ma- rino coir acido solforico , si ottiene sai di Glauber , ed bassi qual prodotto secondario da una volta e mezza al doppio del peso dell'acido solforico in acido muria- tico fumante, quantità nel totale che ascende all' infinito. Ne' primi tempi la fabbricazione della soda era così lucrosa, che non davasi nemmeno la pena di raccoglierne r acido muriatico, che non aveva valore in commercio; ma ben tosto essendo stato trovato suscettibile d' una moltitudine d' utili applicazioni cangiaronsi questi rap- porti. L'acido muriatico è una combinazione di cloro. US Da nessun materiale si può cavare il cloro più puro e a buon prezzo, che dall'acido muriaiico. L'uso del cloro ad imbianchire le tele era noto da lungo tempo, ma non era mai stalo applicato in grande. Si cominciò ad usare r acido muriatico nella forma di cloro ad imbianchire i tessuti di cotone; quindi si apprese a portare il cloro me- diante la combinazione colla calce in una forma che può spedirsi in lontani paesi. Ne nacque un ramo d' industria assai fecondo di risultali, e forse senza il cloruro di calce la fabbricazione di tessuti di cotone in Inghilterra non si sarebbe sollevala alla straordinaria altezza a cui la vediamo. Alla lunga questo paese non avrebbe potuto sostenere la concorrenza dell' Alemagna e della Francia nel prezzo dei tessuti di cotone, se fosse rimasto limitato e ridotto all'imbiancatura sui prati. Per imbianchire sui prati vuoisi prima d'ogni cosa del terreno e più specialmente prati ben disposti. Ogni pezza di tela deve stare esposta nei mesi d'estate per molte settimane all'aria ed alla luce, e voglionsi operai per mantenerla incessantemente umida. Un solo stabilimento d' imbian- catura e non molto grande in vicinanza di Glascow ( Walter Crums ) imbianchisce ogni giorno •1400 pezze di tessuto tanto di estate come d' inverno. Per preparare questo prodigioso numero di pezze di tela, che questo solo stabilimento fornisce annualmente al commercio, che capitale enorme sarebbe necessario per la compra del solo terreno per distendervi queste pezze di tela ! Gì' interessi del solo capitale avrebbero una sensibilissima influenza sul prezzo della merce, influenza che si sentirebbe appena in Germania ove il prezzo 949 del terreno è assai minore. Col mezzo del cloruro di calce s' imbianchiscono in poche ore i tessuti di cotone con pochissima spesa, e nelle mani d'uomini esperti ed intelligenti , le tele soffrono molto molto meno che dall' imbianchilura sui prati. Oggigiorno anche i conla- dini del Tirolo imbianchiscono col cloruro di calce e vi trovano il loro vantaggio. Un altro uso cui serve fra gli altri pel suo basso prezzo r acido muriatico ( chi l' avrebbe immaginato ! ) si è la fabbricazione della colla dall' ossa , che ne contengono termine medio 30 a 36 per -100. Fosfato di calce e colla sono i componenti dell' ossa -, il pri- mo è facilmente solubile in acido muriatico allungato, la colla non ne viene attaccata sensibilmente. Si lasciano stare le ossa in acido muriatico allungalo finché diven- gano trasparenti e pieghevoli come la pelle la più pie- ghevole. Liberati poi da tutto l' acido muriatico aderen- tevi per mezzo di accurate lavature , si hanno pezzi di colla della forma dell' ossa , che sciolte senz' altro in acqua calda servono a tutti gli usi. Né puossi lasciare senz essere accennalo un altro importantissimo uso dell' acido , cioè quello d' alfinare r argento per cavarne 1' oro, che mai non manca neir argento nativo. Per processo d' affinamento s' in- tende com' è noto la riduzione dell' argento allo slato di purezza, cioè la sua separazione dal rame. Dalle miniere si riceve l'argento di 8 a 10 Loih , che perciò in i 6 Loth ( ] Marco ) contiene 6 ad 8 Loth di rame. L'argento per monete e da manifatture contiene da 1 2 a 13 Loth argento per ogni marca e si forma 250 nelle zecche alligando 1' argento fino col rame nelle stabilite proporzioni. L' argento basso devesi perciò affi- nare. Dapprima ciò accadeva mediante il processo così dettola via secca, e mediante la copellazione col piombo-, ma ciò esigeva una spesa non indifferente, che ascen- deva a circa 40 franchi ogni 100 marchi d' argento. Neir argento puriQcato in questo modo vi rimaneva però sempre 1)1200 a 1(2000 d'oro, il cui sparti- mento per mezzo d' inquartazione non compensava le spese. Quest' oro circolava nelle nostre monete ed utensili affatto senza valore-, e la maggior parte del rame andava affatto perduta pel proprietario dell' ar- gento in lega. Queste condizioni si sono affatto can- giate in un modo sorprendente. Il millesimo d' oro nell' argento brutto fa all' incirca più di 1 per cento del valore dell'argento, il che non solo copre le spese dell' affinatore , ma gli lascia ancora un ragguardevole guadagno. Ne nasce cosi il caso singolare , che si dà all' affinatore l' argento basso pel quale egli ci dà tutto l'argento fino precisamente stabilito dal saggio, ci restituisce il rame senza che apparentemente gli paghiamo alcuna cosa pel suo la- voro: egli è pagato dall'oro contenuto nell'argento, e che gli è rimasto. L' atfinamento dell' argento secondo il nuovo processo è una delle più belle operazioni chimiche. 11 metallo ridotto in grana viene messo in ebollizione nell' acido solforico concentrato, dove l'argento ed il rame si sciolgono mentre tutto 1' oro precipita quasi puro in apparenza di polvere nera sul fondo dei vasi. La so- sai luzione contiene vitiiuolo ti' argento e viiriuolo di ra- me , essa vien decantata in trogoli di piombo , dove si lascia insieme con del vecchio rame. La conseguenza ne è che I" argento disciolto si separa interamente ed affatto puro, mentre una parte del rame entra in soluzione; cosicché sul finire dell' operazione si ha argen- to metallico e vitriuolo di rame, che serve a formare i colori verdi e bleu , ed ha un valore considerevole in commercio. Si oltrepasserebbero i limiti di questo cenno , se si volessero seguire nell' ultime diramazioni, tutte le applicazioni dell' acido solforico, dell' acido muriatico, e della soda e dell' acido fosforico che si cava dalle ossa e si converte in fosforo mediante la polvere di carbone, ma si potrebbe appena immaginare, che le candele così belle di stearina , ed i zolfanelli fosforici cosi a vii prezzo, sarebbero giammai venuti in uso senza lo straordinario perfezionamento della fabbrica- zione dell" acido solforico. Gli attuali prezzi dell' acido solforico, acido muriatico, acido nitrico, soda, fosforo sa- rebbero sembrati favolosi venticinque anni addietro-, chi può prevedere quali nuove fabbricazioni si avranno fra venticinque anni ancora ? Da quanto precede non si terrà per esagerata la proposizione , che si può giudicare con gran precisione r industria chimica d' un paese dal numero di libbre d'acido solforico, che si consumano in esso. Sotto questo rapporto non si dà fabbricazione, che meriti maggiori riguardi per parte dei Governi. Che l' Inghil- terra siasi decisa a misure sì estreme contro Napoli pel commercio dello zolfo, è provenuto semplicemente 252 dall' oppressione , che l' aumentalo prezzo dello lolfo esercitava sui prezzi dei tessuti di cotone bianchi e stampati , sul sapone e sul cristallo. Se si considera che l'Inghilterra, provvede parte dell'America, della Spagna, Portogallo, l'Oriente, e l'India di cristallo e di sapone ; che ricambia in cotone , seta , vino , uva passa, fichi ed indaco; che infine Londra sede del governo è il maggior deposito del commercio per vino, e sete, si troveranno spiegate le premure del go- verno inglese per l' abolizione del monopolio del com- mercio dello zolfo. Una situazione così contraria ai veri interessi della Sicilia era ben tempo che venisse cangiata , conciossia- chè se fosse durata per alcuni anni di più assai proba- bilmente tutta la sua ricchezza in zolfo sarebbe divenuta inutile pel regno. La scienza e l' industria sono oggi- giorno una potenza , che non conosce ostacoli. Profondi osservatori avrebbero potuto facilmente stabilire l' epoca in cui l'estrazione dello zolfo dalla Sicilia sarebbe ces- sata. Neil' Inghilterra solo sono state prese 1 5 patenti per metodi di riacquistare lo zolfo nella fabbricazione della soda, e tramutarlo di nuovo in acido solforico. Prima del monopolio dello zolfo nessuno pensava^ a riacquistarlo, il perfezionamento di questi 1 5 esperimenti riusciti non sarebbe al certo mancato, e la reazione sul commercio è evidente anche al più prevenuto. Vi sono monti d'acido solforico nel gesso, nello spato pesante, di zolfo nella galena e nelle piriti [solfuro di ferro ). A proporzione che aumentano i prezzi dello zolfo si può cavare pel commercio lo zolfo da questi 233 prodotti naturali 5 non resta che a raggiungere Io scopo di trovare il metodo più economico per rendere queste materie atte alla fabbricazioue dell' acido solforico. Migliaja di quintali d'acido solforico si sarebbero ca- vali dalle piriti di ferro, quando i prezzi del zolfo fossero stali elevati. Si sarebbe pur giunti ad estrarre l'acido zolforico dal gesso, a dir vero non senza sor- montare molte difficolià, ma alla fin fine sarebbero state superate. L' impulso ora è dato, la possibilità della riuscita è dimostrata, chi sa quali deplorabili conseguenze si potrebbero sviluppare per Napoli fra pochi anni da un' insensata speculazione finanziera ! Potrebbe final- mente accadergli come alla Russia, che col suo sis- tema proibitivo ha perduto interamente il commercio di sevo e di potassa. Solo costretti dalla necessità si comprarono merci in un paese che esclude le nostre proprie dalla sua circolazione. Invece di centinaia di mille quintali di sevo e d' olio di lino si consumano in Inghilterra centinaia di mille quintali di burro di palma ed olio di cocco, che non vengono di Russia. Le sommosse dei lavoranti contro i proprietarj delle fabbriche per avere una maggior mercede hanno con- dotto alle macchine meravigliose per cui non furono più necessarj. Cosi ogni imprudenza nel commercio e nell'industria si punisce da se, ed ogni gravame, ogni impedimento alla circolazione reagisce nel modo il più sensibile sul paese dal quale è stabilito. 25i § IV. È una fortuna per l'umana società, che ogni nuova idea che può presentarsi sotto forma d' una macchina utile ed un oggetto di commercio e d' industria , trova i suoi sostenitori che v' impiegano i loro averi per reaUzzarla. Anche quando quest' idea si dimostra come ineseguibile, quand'anche in seguito è riconosciuta come assurda in se stessa, pure ne sorgono da'questi ten- tativi altri preziosi ed utili risultati. Neil' industria è come nello studio della natura in cui le teorie condu- cono a lavori e ad esperienze. E quando si lavora si fanno scoperte: si scava per trovare carbone fossile, e si scuoprono strati di salsesi va in cerca di ferro, e si trovano vene di minerali più preziosi. Così si aspettano in questi recentissimi tempi cose meravigliose dell' elettro-magnetismo -, egli deve mettere in moto le nostre locomotive sulle strade ferrate con sì piccola spesa da non farne caso. L' Inghilteira perderà allora la sua supremazia come stato manufatluriere , perocché a che mai gli servirà il suo carbone? Abbia- mo zinco che costa poco , e se ne consuma assai poco per mettere in movimento un torno, e per conseguenza un' altra macchina. Tutto ciò adesca e seduce assai, e così dev' essere j mentre senza di ciò nessuno se ne occuperebbe 5 ma per la massima parte sono illusioni provenienti dacché non sì è mai voluto dare la pena di stabilire de' confronti. Con una semplice fiamma di spirito di vino , che si ponga sotto un vaso appropriato d'acqua bollente, si può mettere in movimento un piccolo carro che pesi 200 o 300 libb. e sollevare ad un'altezza 255 (li 20 piedi un peso di 80 a 100 iibb. Tutto questo può ottenersi anche da un pezzo di zinco, che si lasci disciogliere in un apposito apparato nell" acido solforico concentrato. Certo è questa una scoperta molto sor- prendente e> meravigliosa , ma la quisiione cardinale è sempre quale sarà dei due motoii il più economico? Per comprendere questa domanda secondo la giusta sua importanza conviene richiamarsi a memoria gli equivalenti dei Chimici. Questi sono certi valori di azioni costanti esprimibili in numeri e proporzionali fra loro. Per produrre un dato effetto si abbisogna per esempio di 8 libbre d' ossigeno : ma se invece per lo stesso effetto io non voglio adoperare ossigeno ma cloro, bisogna ch'io adoperi né più né meno di 35 e 'l|4 libbre di cloro-, così 6 libbre di carbone è un equivalente per 32 libbre di zinco. Questi numeri esprimono valori effettivi assai comuni, che si rapportano a tutte le attività, che sono capaci di sviluppare. Se dello zinco unito in un dato modo ad un altro metallo venga posto in contatto con acido solforico attenuato esso si scioglie in forma d'ossido di zinco; esso brucia a spese dell' os- sigeno , che gli offre il liquido conduttore. In conse- guenza di questa chimica azione si osserva lo sviluppo d'una corrente elettrica, che condotta a traverso un filo metallico lo rende magnetico. Colla soluzione d' una libbra di zinco si ottiene così una certa somma di forza, per cui noi p. e. siamo posti in grado di sollevare all'altezza d'un pollice un peso di ferro tanto più grande, e mantenerlo sospeso quanto la soluzione dello zinco è compita in minor 25C tempo. Possiamo inoltre coir interruzione e la rino- vazione del contatto dello zinco coli' acido, e coU'a- zione contraria dare al peso del ferro un movimento di ondulazione, o d'alto in basso j e creare così la condi- zione per cui si fa agire una macchina (2). Dal nulla non può svilupparsi alcuna forza; nel caso accennalo si sa che essa è prodotta dalla soluzione ( ossidazione ) dello zinco 5 ma se si fa astrazione dal nome dato a questa forza , sappiamo che la sua atti- vità può essere sviluppala in un altra guisa. Se noi avessimo abbrucciato lo zinco sotto la caldaja d' una macchina a vapore, e perciò nell' ossigeno dell' aria invece della colonna galvanica , avremmo con ciò prodotto vapore, e quindi una certa quantità di forza. Si supponga ( il che non è dimostrato in alcun modo ) che la quantità di forza sia disuguale nei due casi , che si abbia ottenuto p, e. dalla colonna galvanica il doppio , 0 triplo della forza ; 0 se si vuole fatto meno perdita di forza , conviene ricordarsi che lo zinco può essere rappresentalo da certi equivalenti di carbone. Secondo la esperienza di Despretz 6 libb. di zinco che si. combinano coli' ossigene non sviluppano più calore di una libbra di carbone. Si può adunque a condizioni eguali con una libbra di carbone produrre sei volle tanta forza come con una libbra di zinco. (1) Con ispeciale compiacenza lodo il Sig. Prof. Canobbio dello aver cercato di sottrarre il nostro industrioso paese alia im- portazione di soda forestiera ; molta dobbiamo riconoscenza al Monarca proteggitore , che concedeva incoraggiamento al nuovo Stabilimento sui lidi nostri. È voto di felicità per i popoli , 1' augurare a lui che ci regge gli anni di Nestore. (2) Noi lasciamo tal quale tulio questo calcolo dotto ; siccome lasciamo la gioja della pensata nullità dell' industria italiana ad un altro straniero , che si fonda sulla mancanza di car- bon fossile nel suolo italiano; accenno allo scrittore francese del trattato sulle leghe doganali di cui è fatto motto in antecedente numero di questo giornale. Conlultocciò, però i nostri lettori avvertiranno , che la forza delle correnti elettriche non può mettersi a confronto di rigore colla forza del vapore, che svol- gesi per calore ; nnchè non si conosca il metodo più economico di ottenere la corrente più eflQcace ; e che di ciò s" è occupato con successo il professore Botto di Torino , e i lavori di esso ignorati ancora dallo scrittore Tedesco e pubblicati in questo anno, provarono una economia conseguibile nell'uso del mo- tore elettrico da esso proposto; siccome, dirò, pare che deb- bano utilmente avvantaggiare questo ramo di fìsica industriale i lavori del lombardo profess. chiarissimo di fìsica Sig. Magrini. Non invano la natura ha negato fìn qui all' Italia il carbon fossile; essa è chiamata a sostenere la propria industria con una scoperta fondata sui poteri fisici universali , ed a beneficare con ciò il mondo, che tanto a lei deve degli incrementi di sua civiltà, alla quale mostra si poca gratitudine. Popolo che non sente affetto alla civiltà altrui, seppellirà, forse presto, la propria. (Sarà conliniialo) DELLE GUIDE OHE SI FANNO PER I. E CITTA' Rendo molte grazie e mi fo riconoscente a quel tale che, annunziando al pubblico la Guida alle bellezze di Genova, osò olTerire modello, a chi scrive Guide, quella ch'io feci per il- lustrare i monumenti della mia Piacenza. Io gli sono grato: ma non per tanto permetterò che senz' altro stia la sua pro- posta in un foglio dov' io scrivo (1) , la quale a meno saggi può sembrare adulazione a me che rifuggo dalle adulazioni. E perchè sono persuaso di avere tentato una via nuova in questa faccenda del Guidare per le città, e perchè non mi fu dato di fare tutto quello che avrei desideralo e non disperalo di potere, onde temo che qualcuno cercando nel mio libro quello che pure dovrebb' essere e non è si rida poi del propo- sitore, scrivo dell'opera mia e del far Guide secondo il mio concetto. Argomento abbastanza degno di essere studiato per- ch' io non dubiti di avere qualche amorevol lettore. Le Guide si scrivono pei non pratici del paese e delle cose sue. Non pratici sono gli stranieri ; e straniero è colui che non fu mai dentro alle cose. Ora la Guida ha da condurre e i cit- (1) Il Vihìliit pienioiilese. Vedi >.« i anno IV. p. IC coi. ;(. 260 ladini e gli strani , se cittadini e strani mai non furono dentro le cose. Ma clie importa guidare ad osservare una massa o le parti di essa quale un palazzo, un tempio, un fabbricato qua- lunque se non gli dite per clic fu fatto, quando, come, da ctu, e non gli mettete attorno la storia del tempo che si com- piacque od usò di esso? Glie importa l' indicare quadri e statue dicendo: questo è del tale, questo del tal altro, se non infer- vorate l'osservatore di quanto morale può essere insegnato dal monumento? Per l'ordinario si veggono persone girare per via colla guida fra mano . e alzar tratto tratto gli occhi a mirare or r una or l'altra cosa che gli è avvertita dal libro; ma fi- nito il girare , seduto in casa il viatore più nOn sente che la stanchezza del viaggio, o se ha una idea che gli sdruccioli per fantasia è appena per l'impressione del grosso, dello splen- dente , del soprannaturale ; idea che si dilegua poco poi , ed a novella veduta è quasi che non fosse mai stata. Chi va desi- deroso d' imparare , esce vuoto qual prima ; che avesse voluto non sa: sa che non ha imparato nulla. Immaginiamo di recarci a visitare un personaggio illustre , celebratissimo per la na- zione : vogliamo conoscerlo. Siamo saziati , e ritorniamo lieti e giubilanti per la soddisfazione di un desiderio che non avremmo definito , ma che fu contentato. Credete che questa letizia sia perchè vedemmo la cara faccia o udimmo la voce del chiaro uomo? Oh sareste tornati mogi; pensatevi. — Ma 1' uomo gen- tilissimo fu grato alla vostra cortesia e tanto vi die conto di sé, e tanto delle cose sue mostrovvi e di esse vi diede ragione che sebbene cosa chiami cosa , non vi rimase più nulla a do- mandare. Yoi siete pieni di lui ; pieni di cose che non avreste neppure imaginato di chiedere; ma che egli vi ha detto, e che voi trovate ottime, che vi frutteranno per l'intelletto, che vi gettano in un mondo di maraviglie che elevano l' uomo al di sopra di se , e lo rendono a sé medesimo affezionato e caro. — Chi è che non abbia un vero amico del cuore e di luì non voglia sapere i parenti , la patria , le opere , i casi ? — Astraetevi dagli esempi ; e ditemi che altro è una città , fuor- ché un amico o un famoso di cui prossimi o lontani ardiamo di conoscere le fortune? Adunque una Guiaa ai Monumenti o alle Bellezze di una città dev' essere una succinta , ma grave narrazione di ciò che di essa abbia dato o dar possa di più importante la storia sia riguardo al materiale che al morale in ogni cosa. 261 Il carattere di un popolo non si muta : le circostanze pos- sono modKìcarlo , velarlo, farlo parer altro; ma l'ale che for- tuna lo aiuti e lo vedrete quale primiero. Questo carattere la- scia di sé un segno in ogni cosa: fabbriche, pitture, scolture, costumi, feste, governo, commerci , leggi opere di pace e di guerra in libero ardimento e in compresso. 11 carattere di un popolo è la prima cosa che si ha a mostrare in una Guida, come a chi vuol conoscere 1' uomo si mostra la faccia. Cono- sciuto che r abbiate , gli terrete dietro dapertutto o s' egli con- fondasi nella folla , voi entrati in essa d' un tratto il ricono- scerete. La città è la casa del popolo : tutto che vedete è opera del suo senno e della mano. Ecco lavori delle diverse sue età ; secondo i vigori , cosi le potenze. Tosto desiderate conoscerne la vita : come nacque e da chi ; come nutrito , educato , istruito : e man mano gli effetti che si producevano per quella vita; e le azioni civili, e i beni avuti, e i mali patiti, e le g!> ric e i travagli e tutta sino al di in che lo ammirate ne' suoi monumenti. Senza una ragione certo non si fa nulla : adunque d' ogni monumento è una ragione , e per ciò volete anche sa- pere perchè quella e non altra. Vedete di quanto si allarga il campo, e che vaglia dar conto di una città. E questo è fare una face una Guida ; e la Guida esser deve un libro di forma discreta, comodo, e possibile ad esser recato cogli abiti. Onde lo scrittore sia avveduto , prudentissimo nella scelta de' fatti , neir avvicinamento delle conseguenze alle cause , sia franco , libero , conciso : e lo stile sia caldo , ed ogni voce sua stampi un' imagine. — Chi sia stato per una città con un libro di que- sta fatta ne sarà di necessità uscito pieno l'animo dell'amore di essa. — E se lo scrittore di Gdide intende il suo ulTizio , deve rendere il proprio paese amato agli stranieri , amatissimo ai cittadini. Per che fare non dee dissimulare i mali , né le bruttezze, perchè altrimenti facendo disegnerebbe altro popolo, non desso. Gdide di questa fatta ancora non si fecero in Italia ; fuori , non so. E a farle non sempre sono i mezzi pronti, come li fu- rono a chi ebbe 1' onore di stendere quelle per le città , in cui sinora stelle il congresso degli scienziati italiani. Occasione sin- golare ma che sin qui non valse a quel eh' io dico ; essendo state altre le intenzioni degli autori delle nuove Giide, e più ad istruire delle presenti ragioni della città i forcslieri i quali senza più forti argomenti non possono giudicarne o prender- S62 s(Mie amore ;|;clic a d.ire soddisfazione a quanto la curiosità di uno studioso naturalmente domandava. Clii propose a modello di Guide la mia ai Monumenti storici ed artislici di Piacenza pensò egli a tutto questo che io veggo doversi fare per tal sorta libri ? Non parrà tanto a chi abbia letto il mio volume, e nemmeno allo slesso propositore. Impe- rocché di ognuno degli articoli da me indicati appena è un cenno , e taluno anche manca del tutto , e se qua e colà la materia parve importante e il successo pieno , tutto è dovuto alla novità della esposizione e , via pure , di molti fatti sin qui ignorati , o da altri autori malamente interpretati. Non nego , che scrivendo il mio libro , io abbia avuto intenzione di sten- derlo siccome ho giudicato dovessero essere le Guide ; ma dove i documenti mi mancarono rimase il vuoto : e quel mio corpo , chi ben lo guardi è monco di qualche membro , seb- bene, come avrebbe fatto un pittore di una figura, un drappo ne cuopri il difetto. Il quale , per altro non sarebbe st;ito , se fossi stato in favore a chi poteva pur darmi quel tanto da di- segnarvi ogni cosa. Onde chi sulle parole del benigno mio lo- datore prenderà a considerare la mia Guida per comporne una egli stesso , avrà a conchiudere in più luoghi che quello che io ho esposto qua e colà doveva essere rimesso secondo le mutate forme , le circostanze dilTerenti , in altri luoghi ; e che io con questo libro altro non diedi che un avvertimento di quello che far si potrebbe da chi fosse tanto avventuralo di avere tutti i necessari mezzi e l' ingegno sufBcienle a fare o crescere il lustro al suo paese. Io veramente , disponendo i monumenti per età , ho facili- tato a chi gira il paese il comprendere i fatti storici , e le prosperità interne del popolo ; gli usi i costumi de' tempi di- versi; le forze e le virtù civili; ma non ho potuto sempre mo- strare la somma delle industrie e de' commerci , colla quale mantenevano le larghezze del vivere e dell' operare. Anche ho disleso le vicende degli sludi ; ma non potetti ragionare del- l' efl'etto di particolari insegnamenti né delle dottrine profes- sate dalle cattedre , né di quelle predicale al popolo che non studiava sui libri. E se ho accennato alquanti capi di statistica fu più per avviso di quello che fare si fosse dovuto , che per dare indizio dell' importanza del fatto. Quello che più vasto parrà e più compito é il discorso delle forme governative o politiche le quali si succedettero da Carlo Magno a Pier Luigi •26.Ì Farnese , ma tulli sanno die di (lueslo era laeilc dire aiutando infiniti gli storici. L' importaiitissiiiio e il diflìciiissiino a farsi è dove gli storici nazionali non aiiilano : e sta non veramente nell' operare di un popolo a conlatto cogli altri , ma ncll' ope- rare de' cittadini per l'orinare un popolo virtuoso alla nazione. Al che non valgono se non gli archivii municipali e quelli delle chiese e delle case de' privati cittadini ; senza cui è di- sperata la storia di un paese. A me tutto questo , presso che afTallo , mancò : quel poco venutomi procurò che i miei lettori amassero i! libro, e lo tro- vassero nuovo ed utile, e comodo e possibile a leggersi senza noia. Piacenza non ha storici proprii a stampa : alquante cro- nache nel Muratori , e una del Locali , servirono al Canonico Campi per distendere tre volumi di storia ecclesiastica , la quale il preposto Poggiali nel passato secolo acremente cen- surò e qu;)Si disfece lasciando per fine del suo non poche Me- morie che delle forme generali della politica piacentina istrui- scono assai. Ma a' tempi del Poggiali non si facevano gli studi di economia pubblica insegnali oggidì, e senza che ninno po- trà giudicare degli atti di governo , de' commerzi , delle fi- nanze , delle leggi ; né comprendere donde cadesse 1' un fatto , che cosa l' altro produrre dovesse. Alle quali cose mi sono ingegnalo di tener d' occhio io in quel mio libro ; che in so- stanza non è altro che un tema per comporre meno indegna- mente la storia del mio paese : la quale manca affatto coma veggo che manca alla maggior parte delle città italiane. Chi adunque vorrà comporre una Guida ai Monumenti del proprio paese non prenderà a modello la mia , ma penserà a quello che ho discorso in questa scrittura. Io stesso mi porrò al lavoro quando chi possiede ciò che mi è d' uopo mi sarà generoso di lasciarmi leggere ed annotare. E rifarò non solo la parie storica, ma eziandio quello che ho scritto degli oggetti d'arte, per cui stanno in quel libro mio tanti capì aggiunti quanti sono i monumenli che li capiscono. Non tulle le pit- ture accennai , né le scolture ; se d' uno autore trovai parec- chi lavori , notai i maggiori , lasciai gli altri : di che ebbi da un ignorante grossa e temeraria rampogna. Stimo anzi che «Ielle minime e povere cose non si debba far conto se contem- poranee alla loro età sono delle maggiori e migliori ; e che delle scelte abbiasi ad indicare in che parte sia 1' importante ila cui un osservatore possa imparare il bello e il benfallo ; e j„ clic parte lo scorrctlo , da cui apprendere la cognizione del falso Per che un uomo qualunque che non sia affallo senz' in- gegno apprenderà almeno le leggi generali del disegno , della compo^sizione , dell' invenzione , del colorito ; educherà la mente alle idee del bello ; vi assuefarà 1' occhio , il quale aborrirà il deforme ; e ne verrà questo bene : che si formerà il buon gu- sto per le arti, e se ne muoverà una universale protezione, e un miglioramento; s' ingentiliranno i costumi, e sarà più lieto il vivere; cresceranno i mezzi alle opere, le protezioni agl'in- gegni , la concordia de' ricchi d' intelletto coi ricchi di pecunia. ^1 che nessuno di quanti fecero Guide pensarono sin qui , e io vo- richiamare chiunque ha desiderio di farne, e ho deslinalo me slesso alla prima occasione. Una Guida a questo modo composta sarà Modello di Guide , non la mia povera che quantunque singolare non sarebbe cagione di largo onore a chi la volesse imitare. LUCIANO SCARABELLl ì^@®!Ìl®i8:l^Ìi®Ì!9l@ìgl;®sS@®®®4®!Si@®®@!®®®!iffliÌ;®Si'@®'4 LA PROFAIVA COIHilIEDIA LE SOCIETÀ- CANTO PRIMO Nel mezzo del bel mondo il menar vita Per chi nacque a tutt' allro è gran sventura , È come aver la dritta via smarita. Ahi, quanto a dir qual sia è cosa dura Lo star su l'etichette, e il far la corte, Quand' un non v' è tagliato per natura! Tanto è amara, che poco è più morte. Per alcun tempo io pur mi vi trovai, Perchè così voleva la mia sorte. r non so ben ridir com' io v' entrai; Tant' era a ciò contrario in su quel punto Che mi fu detto — va, che ben n' avrai. — Ma po' ch'io fui in socictade giunto, E ricchi e titolati m' ebbi ai fianchi. Mi sentii di gran noia il cor compunto : E come io mai non ebbi modi franchi Per trattar la mia causa, tutto il mio Consumava in comprare i guanti bianchi. Ma non appena io ebbi grazie a Dio Con onor la pagnotta assicurata Alla gran società diedi un addio. 206 E come quei , che con lena affannata Uscito fuor del pelago alla riva , Si volge all' acqua perigliosa e guata ; Oosì r animo mio se la fuggiva Dal rumor del gran mondo per menare Vita ritiralissima e giuliva Ma che! mi han cominciato a criticare Col chiamarmi l'augello della notte. Il satiro, il romito, e ad abitare Van dicendo che andrò fra tane o grotte , Oppur che finirò la vita mia Come Diogene dentro ad una botte. Ch' io tendo molto a la misantropia Dicon taluni , aggiungon altri ancora Ch'io vo' così affettar filosofia Imitando gli antichi alla ipal ora ! Che per esser filosofi chiamati, Solean con istranezze scappar fuora. Or con gran barbe, ed abiti stracciati. Ora il genere umano in bestemmiare, E gli uomini in fuggir come appestati; Chi col gettar grandi ricchezze in mare. Chi col rider di tutti e d' ogni cosa. Ed altri i piagnolon sempre col fare; E in modo tal cercando senza posa D' andar distinti fra le altre genti, Pascean la loro vana gloria ascosa. Così si avvisan molti ai dì presenti Facendo qualche strana e singolare RIimica di passar per gran sapienti . . . Io render non mi vo' particolare Col viver ritirato e non potrà Vivere un galantuom come gli pare ! Quand' uno tutto il dì al lavoro sta Giunto alla sera ha ben tutt' altre voglie , Che di lisciarsi e andare in società ! Vadavi chi di capo non ha doglie, Vadanvi i palladini cercatori Di galanti avventure, e senza moglie. Vadanvi i nobilissimi signori Che mangian bevon dormon veston panni, E non han altre occupazion migliori. 2t)7 Abbastanza mi dà pensieri e afranni L' arte bella e difUcii che professo; Figuratevi s'io vo' maggior danni? In cima a un ponte stommi per adesso Sporcando un alto quadro a poco a poco. Che per l' Irlanda vennemi commesso. Mentre ieri tornava in basso loco. Dinanzi agli occhi mi si fu offerto Chi non è in amicizia giammai fioco. Quand' io vidi costui pieno di merto : Che cosa vuoi da me gridai a lui, Risposemi : tu sai eh' io sono aperto Con gli amici , e sincero sempre fui , Onde a te venni , che sì solitario Vivendo, dai da mormorare altrui. Per quanto a società tu sii contrario Nel grado tuo , nel posto che ora tieni , Di frequentarla assai ti è necessario. Risposi lui: amico, ed a che vieni? Forse per far che un dì d'inedia io muoia, O per turbare i giorni miei sereni? Ma perchè vuoi ch'io torni a tanta noia? Non mi tórre allo studio, se sei saggio, Ch' è principio e cagion di tutta gioia ? A te convien tenere altro viaggio E lasciar, ripigliò, tal vita oscura ,- * Bisogna uscir d' esto loco selvaggio. Chi scrive versi , o tratta la pittura Convien, se bene riuscir vorrà. Che dappresso 1' uom studi e la natura. Ond' io per lo tuo me' pensato ho già , Che tu mi segui , e lasci la tua tana E trarrotti di qui per società ; Ove udirai di ciarle una fiumana. Dico ciarle, su tutti gli argomenti Che posson riguardar la specie umana. Tavolini vedrai , ove son genti Con carte in man metà starsi ingrognate , E metà con le lor faccio ridenti : Anime ancor vedrai innamorate Filar, come si dice, il sentimento Con sospiri repressi e con occhiate: 2 Migliore conduttrice dei fluido elettrico, e che conserva questa virtù. 2.» Meno fusibile da questo fluido. 3."» Meno alterabile dall' aria e dall' acqua. 4." Finalmente che costa il meno possibile. Tutte queste qualità, e specialmente quella prcgicvolissima di essere un bonissimo conduttore, si trovano riunite in un grado maggiore o minore nelle punte di rame rosso indorate con oro fino. Per questa qualità dovrebbe forse preferirsi la punta indorata di argento quasi puro, che è secondo il professore Pouillet il miglior conduttore dell'elettri- cismo da lui sperimentato (f). La punta di rame fasciata di platino , raccomandata dal su lodato sig. Izunnia , essendo molto meno conduttrice dell'elettrico, che le punte di argento, 0 di rame indorate, è pure meno pregievole di queste, e quindi da posporsi. Ecco su tal proposito ciò che leggesi ncWAnlologia, e nel Propagatore luoghi citati. « Il platino, che è stato pro- » posto per formarne o cuoprirne le punte dei parafulmini , » non vale nulla, secondo il sig. Fischer, perchè è fra i me- » talli il meno buon conduttore ». La porzione poi del parafulmine che è profondata nella terra , ossia lo spandente da me raccomandato, che termina in quat- tro punte di rame, parmi che sia pure da preferirsi, per es- sere miglior conduttore dell'elettrico, e molto meno ossidabile del ferro stagnato , a quel pclline lodato dal chiarissimo sig. Izunnia , che finisce con cinque o sei punte di ferro stagnato. (1) Risulta dalle spcrienze del professore Pouillcl clic I argento (|uasi puro <^ il migliore conduttore dell' elettricismo che si conosca: espressa la potenza conduttrice del platino per 100; 1' oro a 18 carati 1' ha espressa per 109; il ferro per 121; l'ottone per 194; il rame rosetta per 22i; l'argento a 4Ì«ù> 1 *•■ 5^^! '"'■'' ''"O Pf f 623 ; r argento a .— r^ per 656 ; il rame rosso per 73S; e 1' argento a jjjjTjr per 860. Vedi Antolugia tomo XXXI, pag. 160, Firenze 1828; e il Propagatr.re serie 2.' (omo 4, pag. 219 e 220, Torino 1828. Gli esperimenti di Becquerel danno per risullamcnto, che il rame è il mi- gliore conduttore dell'elettrico: espressa la sua potenza conduttrice per 100; r oro r ha espressa per 93, 60; l'argento per 73, 60; lo zinco per 28, 50; il platino per 16, 40; il ferro per 15, 80; lo stagno per 15, 50; il piombo per 8, 30; il mercurio per 3, 45, ed il potassio per 1, 33. Annaltn rie Cliimie et de l'bysiiiue , lom. 32, png. 428, à Paris, 182G. ic 276 La spraifgn di rame è da preferirsi a quella di ferro ? La spranga di rame sarebbe sempre da preferirsi a quella dì ferro, se non costasse moltissimo di più : 1." Perchè il rame è miglior conduttore del fluido elettrico, e meno fusibile da questo fluido, che il ferro. 2.° Perchè la spranga di rame non perde la sua virtù conduttrice , come in parte la perde quella di ferro , allorché acquista il magnetismo. 3.» Finalmente per- chè il rame si ossida più difllcilmcnte del ferro. Se si riflette però , che la spranga di ferro del diametro di 40 a 45 milli- metri, ha una capacità sufflcientissima per condurre benissimo un fulmine qualunque, come l'osservazione di più anni dimo- stra; che essa poco o nulla si magnetizza, e per ciò poco o nulla perde della sua virtù conduttrice; che la medesima spranga viene coperta di uno strato di vernice dove è del nero di fumo, per cui più diflìcilmente si ossida; e finalmente che dura una lunga serie di anni; si converrà meco, che quantun- que la spranga di rame sia preferibile a quella di ferro, pure questa si può vantaggiosamente impiegare, e quindi parmi essersi allontanato dal vero il sig. Fischer, quando asserì, « Che » le verghe di ferro sono di poco buon effetto impiegate nei pa- « rafulmini , perchè col tempo divengono magnetiche ». Vedi ì'Anlologia e il Propagatore luoghi citati. A quale distanza un buon parafulmine preserva dal fulmine? Nello stato presente della scienza è impossibile poter precisare questa distanza. Il fisico Charles diede una norma o regola, la quale fu adottata dall' illustre R. Accademia delle scienze di Parigi, ecc., cioè che il parafulmine garantisca uno spazio cir- colare attorno di se di un raggio doppio della spranga. Io credo che questa norma sia erronea, e per conoscerla tale basterà sup- porre un edifizio alto 25 metri con la spranga di 5 : in questa supposizione, secondo la su riferita regola la spranga dovrebbe preservare uno spazio che ha per raggio il doppio della sua lun- ghezza, cioè 10 metri. Ora a questo edifizio se ne sostituisca un altro in tutto simile, ad eccezione dell'altezza, che sarà soltanto di 20 metri, e vi si collochi una spranga di 10 metri in modo che la punta di questa venga ad essere nel luogo che occupava la punta della spranga di 5 metri : in questo caso , secondo la detta regola , dovrebbe la spranga di 10 metri preservare uno spazio che ha per raggio il doppio della sua lunghezza, cioè 20 metri. Ora in ambi i casi le due punte delle spranghe es- sendo egualmente alte , nello stessissimo luogo , e perciò in 277 lutti i casi possibili egualmente lontane o vicine dal fulmine o dalla nuvola fulminea , dovrebbero sempre difendere uno spa- rlo eguale; eppure, secondo l'accennata erronea regola, difen- derebbero uno spazio molto ineguale. Se la norma di Charles non è sicura, di quale altra ci servi- remo? Noi sappiamo dalla storia dell'elettricità, non esservi al- cun esempio, da che furono inventati i parafulmini sino al di d' oggi , che il fulmine abbia colpito dentro la sfera che ha per raggio 10 metri, e per centro la punta della spranga, quando anche negli edifuj muniti vi si trovassero metalli separati dal parafulmine; perciò siamo moralmente certi, che il paraful- mine, quantunque non si faccia comunicare colle parti metal- liche , pure preserva dal fulmine coli' ediflzio tutti gli oggetti metallici sottoposti che trovansi distanti dalla punta della spranga 10 metri. Forse la virtù preservatrice dei buoni para- fulmini si estende molto più di il e di 12 metri, specialmente dove non vi sono oggetti metallici : ma tre casi riportati dagli autori, di fulmini che colpirono degli edifìzj alla distanza di soli 14, 15 e 17 metri circa dai parafulmini benché non ben costrutti, c'insegnano essere ottima cosa tenere per regola solo IO metri. Le spranghe di 10 in 12 metri sono da preferirsi sempre, riguardo alla sicurezza, a quelle di 3 in 4 metri? In molti casi sono da preferirsi le spranghe di 3 in 4 metri , come negli edi- fizj molto alti e poco estesi; tali sono i campanili, e special- mente quando sono isolati : perchè nel caso che la folgore o la nuvola fulminea fosse alquanto più bassa dell' edifizio , la punta della spranga di 10 metri si troverebbe fuori della sfera d' azione , quando la punta della spranga di 3 metri si trove- rebbe ancora dentro questa sfera; e perciò la prima non sa- rebbe più alta a garantire l'edilìzio dal fulmine, mentre che r altra lo sarebbe ancora. In vece di parafulmini, potrebbero forse servire a tal uopo degli alberi d' alto fusto, disposti 5, o 6 metri intorno all'edi- fìzio, come raccomandano celebri fisici? Io reputo cosa non lo- devole, anzi pericolosa servirsi degli alberi per garantire le case dal fulmine ; e parmi temeraria, trattandosi delle polveriere, ove una sola scintilla può essere pericolosa al pari del fulnnne il più veemente. Infalli, consta dalle osservazioni e dalle S[)crienze: 1." Che il 2 settembre 1816, il fulmine colpi e danneggiò la casa di John Williams, benché alla distanza di sei piedi vi fosse un albero d' aito fusto. Arago op. cit. pag. :-2C e 527. 278 2.° Che Saussure vide colpita dal fulmine una capannuccla , posta sul pendio di un monte, ancorché fosse fra gli alberi; ed osservò che al di solto di questa piccola capanna vi scorreva una vena d' acqua (1). 3." Che più volte avvenne che dopo avere il fulmine colpito sugli alberi , porzione del torrente fulmineo si scagliò sugli oggetti bagnati , che erano a qualche distanza dai medesimi alberi. 4." Che sperimentati varj sottilissimi pezzi staccati nello stesso tempo 0 in diverse stagioni, dalle varie parti del medesimo albero , trovaronsi , questi pezzi , essere chi più chi meno im- perfetti conduttori dell'elettricismo : quindi è , che gli alberi sa- ranno non molto buoni conduttori della materia fulminea, ed in alcune stagioni diverranno anche men buoni deferenti , per- chè trovansi avere una quantità minore di sughi. Infatti io vidi morire alcuni alberi colpiti dal fulmine, ed altri essere più o meno danneggiati dal medesimo, che trovò una maggiore resi- stenza neir attraversare la corteccia che era alquanto secca. 5.0 Finalmente che gli edifìzj che si vorrebbero garantire dal fulmine, avendo tutti più o meno degli oggetti metallici, dei pozzi, dei cammini e degli angoli; ed essendo questi ultimi sem- pre o quasi sempre bagnali dalla pioggia, che precede sempre o quasi sempre la caduta del fulmine ; perciò il torrente fulmi- neo, 0 porzione del medesimo, potrebbe scagliarsi sugli ediflzj e danneggiarli , benché alberi d' alto fusto vi fossero disposti intorno. Il suono delle campane ha o no influenza sul fulmine ? 11 suono delle campine non ha alcuna influenza neh' attrarre e nel ri- spingere il fulmine, come provai pel primo in pubblica scuola nel 1815, e pubblicai nel 1817, Vedi le mie operette, Saggio suW elellricilà, Lettera sulla ninna influenza del suono delle campane per attrarre il fulmine inserita nella Biblioteca Italia- na N° XCVI, dicembre 1823 , il Supplimento alla Gazzetta Pie- montese N.'' 18, febbraio 182i, e la su riferita Istruzione sui parafulmini. Il chiar. Sig. Izunnia forse non conoscendo i miei opuscoli scrive nei citali Annali pag. 78 : « Ma il suono delle » campane che si praticava in altri tempi è in oggi fisica- » mente riconosciuto come pericoloso in tempo di burrasca ». Quindi ci manda a vedere le Notizie scientifiche di Arago in- (1) Vedi la Storia dell' elellricilà del DoUorc Antonio Carnevale— Arclla, voi. 2, pag. 44, Alessandria 1839. i 279 serite ndWinnuaire pour l un. 18J8; Ognuno crederebbe che l'Arago fosse, di tal parere, ma ecco come il dotto Fisico fran- cese scrive nel luogo citalo pag. 5i8. « Dans i'état acluelde la » science, il n'est pas prouvé que le son des cloclies rends » les coups de tonnerre plus imminents, plus dangereux ; il n'est >' pas prouve qu' un grand bruit alt jamais fait tomber la fou- » dre sur des bàtiments que, sans cela, elle n'aurait point » frappes ... Io finisco queste osservazioni con rapportare ciò che pubblicarono sul proposilo i dotti Direttori della Biblioteca Ita- liana nel tomo XLI. pag. 210, Milano 1826; ed il chiarissimo sig. Professore Luigi Palraeri nel Progresso. » Non vogliamo chiudere queste osservazioni suir elettricità » senza altresì ricordare che il Sig. Ferdinando Elice , profes- >' sore di Filosofìa nella R. Università di Genova, con buone » ragioni sperimentali e speculative dimostrò che il suono dello » campane punto non inHuisce nel determinare la caduta dei » fulmini ». Bibl. Hai. luo. cil. » Nel 1838 rmalmente il cav. Arago pubblicò una lunga e » dotta dissertazione (Annuairc pour fan. 1838, présente au » Ro. par le Bureau des Longitudes). Or il professore sig Fer- » dmando Elice va notando nel discorso del sig. Arago alcune » cose che a lui pare non poter essere tenute per vere, e talora » colla scorta de' fatti va fermando ciò che all' illustre fisico >) francese parve ancora dubbioso. Cosi per esempio 4ra'^o » drce che nello stato presente della scienza non è provato se » Il suono delle campane renda i colpi del fulmine più veementi » e più pericolosi, ed il professore Elice sostiene il suono delle » campane non avere alcuna emcacia per attrarre il fulmine e » età le sperienze da lui fatte, le quali vengono in appo-'io » della sua sentenza». Progresso, luogo citato pag. 117. " Prof. Ff;RDl^'ANDO elice Jf%^ g-g*S9«»»eS**e?*«Sg§*S?*t^^4¥S-'SC^^S^ *?!?#»• MECCANICA e A V A L L 0 — VA P 0 K E DEFINIZIONE L' origine dell" evaUiazione della forza prodotta dalle macchine , il cui motore è il vapore , in numeri aventi per unità la forza di un cavallo, si riferisce al celebre orologiajo e meccanico inglese Watt, generalmente tenuto in vanto d' inventore delle macchine mosse da sì prodigiosa forza, vanto che però gli contesta la Francia per Papin il primo che creò moto col vapore , e per Geofifroy che nel secolo scorso produsse una macchina in grande, la Spagna per Blasco de Garray che produsse le sue sperienze sotto Carlo V , e l' Italia medesima per Leonardo da Vinci , ne cui manoscritti si scopersero , non è molto , progetti , descrizioni e disegni di cannone a vapore. Avendo il Watt proposto ad un birrajo di Londra di sostituire una simile sua allora nuova macchina ai cavalli'di cui faceva uso, questi accettò , a condizione che la macchina facesse lo stesso lavoro de" cavalli 881 impiegati ; io promise il meccanico. Terminata l' opera del Watt , il birrajo , per riconoscere se la macchina soddisfacesse ai palli convenuti , scelse fra i suoi cavalli quelli , che erano della razza migliore e di maggiore forza , li destinò all' esperimenlo comparativo , facendoli di più sferzare di continuo durante il medesimo , e ne risultò , qual forza di cavallo , l' innalzare in ore 8 di lavoro 2120 inptri cubi d acqua a un metro d' altezza , il che equivale ad innalzare a un metro chilogr. 73 per ogni minuto secondo, cosa straordi- naria , poiché in via usuale , i cavalli di media forza , non forniscono al più che ad un eflelio di chilogr. 40. Ciò non pertanto queir evaluazione della forza cavallo vapore a 73 chilog. e persino a 75 per conto più tondo , rimase qual norma nell estimazione del più delle macchine a vapore in genere , e singolarmente di quelle del Walt predetto. Non fu però generalmente adottata questa norma, e i diversi costruttori ne introdussero delle particolari ; limanendo però sempre quella di Walt , ossia quella di 75 chilogr., la maggiore, essendo la minore quella di 69,44. La forza di un uomo che lavora ad un manubrio si valuta in peso a chil. 7,20 alzali a 1."' in un minuto secondo. La forza di un cavallo vivo , termine medio e preso cioè fra i limiti del più e del meno, si ragguaglia a quella di 6 a 7 uomini 5 cioè lavorando ad un maneggio la forza media di un cavallo si calcola di chil. 40 (in 50) innalzati a \.'" d' altezza in un minuto secondo. 282 Di modo che , per eseguire una quantità qualsiasi di lavoro ( che qualunque può ridursi a peso elevalo a un metro d' altezza in un minuto secondo ) e considerata la durata del medesimo di ore 6 in 8 continue si possono tenere come equivalenti , ossia di un eguale risultato dinamico 1 Cavallo vapore ( forza sua , come sopra chil. 73 in 25 ). 10 Uomini ( a 7,20) = 72. 2 Cavalli animali a 40 = 80. 1 1/2 idem (a 50 chil. ) = 75. Io compresi nel parallello cavalli da 50 di forza sapendosi che in pratica la forza di questi è differen- tissima da uno ad altro individuo , per il variare di razza , o origine , di nascita , di età , di nutrimento , di stato di salute; secondo il tempo che si fa lavorare, la natura del lavoro , la direzione , e foggia del tiro , ecc. avuto a ciò riguardo si può dire , in modo generalis- simo , che le forze sono ne' rapporti de' numeri infra - indicati. Uomo -1 . Cavallo 6. Vapore 10. Altri stima la forza del cavallo vapore dappiù di quella del cavallo vivente. Ma ciò non vuol dire che chi mettesse dieci uomini a muovere un manubrio, a far girare una ruota cui prima movesse una macchina a vapore di un cavallo, o chi calcolasse di potere con 100 uomini far fare ad una nave il cammino che ftirebbe con una macchina a vapore I 28:( della forza di 10 cavalli, potesse ottenere 1' inieiiio. Poiché lo stesso uomo , né Io slesso cavallo può lavo- rare senza interruzione durante le ore 24 del giorno; anzi in pratica non si suole esigere da' medesimi che da 6 in 8 ore di lavoro giornale ; siccome però il cam- mino di una nave non soffre sospensione , o riposo , per ottenere quest' effetto con uomini , o cavalli , ci vorrebbe il triplo , 0 quadruplo numero di questi per il loro ri- cambio nelle 24 ore. Il vapore per contro non cessa di agire un momento , e colla stessa forza. Dunque in realtà i rapporti reciproci de' delti motori ( uomo , cavallo , vapore ) per un tratto progressivo di lavoro , debbono considerarsi come moltiplicati per i numeri dei ricambi necessari! , di modo che per aver un effetto eguale occorre \ Cavallo vapore , ovvero 40 Uomini lavoranti 6 ore , ovvero 30 idem 8 idem , ovvero 6 Cavalli da 40 chil. di forza , con ore 6 di lavoro , ovvero 4 1|2 idem lavorando ore 8 Così un bastimento a vapore che porta il titolo da 200 cavalli ha in se una forza , che non si potrebbe , per compire al viaggio, supplire che con ] 200 a 900 cavalli vivi , benché la forza reale momentanea non sia che quella di 400 a 300 di detti animali. Notisi che le precedenti estimazioni della forza del vapore sono fatte sul supposto , che il medesimo non abbia tensione superiore a un" atmosfera , voce che spie- gheremo posteriormente. 284 K qui cade in acconcio il rispondere ad un quesito , la cui soluzione venne da parecchi anni proposta , e tentala in Genova , cioè se si possa colla forza animale ( d'uomo, 0 cavalli ) supplire a quella del vapore, ov- vero se con mezzi meccanici si possa ottenere con una piccola macchina a vapore o forza animale , l' effetto di una tale macchina usuale , grande. Rispondo potere sì , essere conveniente di farlo, noi credo 5 e a tal riguardo distinguo due casi di condizioni diverse. Le notizie precedenti bastano a dimostrare quanto sia grande la differenza e la superiorità di forza che si può ottenere dal vapore in confronto di quella che forniscono gli animali ( e si può dire anche la gravità de' corpi ). Si può quindi facilmente scorgere , se vi possa essere nel loro impiego probabilità di convenienza, e dire in risposta al quesito, no, se si vuole avere la celerità che si ha col vapore , perchè non si potrà mai a bordo di navi avere il numero smisurato d'uomini, o cavalli equivalenti alla forza de' minimi legni a vapore; »S}, se non conti il sacrificare quantità di tempo per ottenere risparmio di quantità di forza, ed in questo caso si può supplire con meccanismo mosso dagli uomini o da animali in numero sufficiente al men celere moto che si ha dalla forza del vento. Giammm", ripeto , vi avrà convenienza quando si voglia celerità; essendo immutabile l'assioma di fisica, e di meccanica che ^er guadagnar tempo conviene spendere di più ( con la disposizione analoga del motore) in /orza; ed in vece se si vuol risparmiar forza (ottenere cioè lo stesso effet- to con forza minore)/^ d'uopo conservare più tempo- 285 Quindi è che per non scemare nella velocità che oia suoisi oiienere , ed è generahnente in uso , ed è dive- nula necessità , non vi è altro spedienle che l' impiego di una forza non minore di quella del vapore. Ognuno sa che alla scoperta di una forza che si possa sostituire al vapore , meno di questa costosa , e , dicasi pure , di minori inconvenienti pratici , tendono gli sforzi degli ingegni che si occupano delle applicazioni utili delle scienze. Questo è il vero quesito a sciogliere. Non pochi credono doversi ottenere dal fluido elettro-magnetico , capace di fornire forza di un immensa intensità , ed ef- fetti di rapidità prodigiosa : altri come il sig. Artaud vuole provarci con esperienze e con raziocini i , che questa forza , grande , economica , sicura si può tro- vare neir elasticità dell'aria atmosferica compressa, ecc. le probabilità sono in loro favore 5 dell' esito pratico ne sarà giudice 1' avvenire. PESO DELL' ATMOSFER.\ lUISUBA DI FORZA DI MACCHINK Ognuno sa, che se si prende un tubo od un pezzo di canna affatto vuoto, e aperto dalle due estremità, se ne immerge un capo in acqua, od altro liquido, ed, applicate le labbra all'altra estremità, si succhia, vale a dire , si toglie 1' aria dall' interno del tubo, il liquido monta sino alla bocca \ il motivo di questo in- nalzarsi del liquido nel tubo si ò la mancanza dellaria 286 interna la quale colla sua elasticità , o pressione face- va equilibrio con quella esteriore, che posa e preme sulla superficie esteriore del liquido , e quindi cessato l'equilibrio, il liquido sale nel tubo vuoto d'aria, ce- dendo alla forza premente , o dicasi al peso dell' aria esterna; ma esso non sale ad un altezza senza limili; e se il tubo oltrepassasse in lunghezza cica 762 mil- limetri e si operasse circa a livello del mare, e il liquido fosse del mercurio non si alzerebbe di più di tanto, ossia 762 mill. qualunque fosse la forza di succhiamento adoperato anche con tromba aspirante; perchè il peso dell' aria , ossia della colonna atmos- ferica essendo, tuttora, e in ogni luogo della terra, limitato, ne è limitata la pressione, e perciò ha un termine fisso ( o di poco variabile ) 1' altezza del li- quido che gli corrisponde in peso, e può farle equi- librio. Un barometro non è che un tubo posto in cotali circostanze, cioè cui si è operato internamente il vuoto ed ha un' estremità chiusa, per conservarlo tale, e r altra che si fa ricurva per maggior comodo nell'uso, è aperfa , e per quella s' introduce e sale il liquido , che qui è mercurio, su cui preme l'aria esteriore. Se in vece di mercurio , nel primo accennalo es- perimento , si fosse adoperato dell' acqua , il successo sarebbe simile, ma 1' altezza cui salirebbe questa, sarebbe assai maggiore , ma precisa , nel rapporto cioè che r acqua è più leggera del mercurio, ossia più di 13 volte dell'altezza cui monta quest'ultimo, perchè il mercurio a volume eguale pesa più di 13 lj2 volle 2«7 più dell' acqua ( questa pesando 1000, il mercurio pesa 13598 ). Se alla pressione dell'aria atmosferica che, nel no- stro caso, fa salire il liquido nel tubo , sostituiamo quella
  • i^&s^s^s^:$^^:o'(Siù rile- vanti della Sardegna , che sommano a Ti. 326 Una circostanza poi che se non aggiunge valore all' opera Oe^però crescere d'assai la lode che si -rita r mastre Au- tore si è n dono che egli ne ha fatto alla cassa degl' Invahd, d. Irina , disinteresse tanto più onorifico e degno d' encom.o TranSis^imo, quanto contrasta più coli' andare del secolo detto troppo giustamente dell' argento. MICHELE EREDE 327 ANNOTAZIONI (1) Nove calle nautiche si conservano niW imperiai biblioleca di Vienna roli' epigrafe : Petrus Visconte de Janna fedi islas tabulas À. D. 1318. La Laurenziana di Firenze ha un aliante del 1351 in olio tavole che un impar- ziale toscano , il Conte Baldelli , crede per molti indizi opera di un genovese. Ma nessuna scienza fu tanto coltivala in Genova quanto 1' astronomia pur r intima sua relazione colla nautica ; aè alcuno fu in quella più dotto di .\ndalò di Negro. Il Boccaccio indirizzando un suo libro a Ugo II re di Ge- rusalemme e di Cipri , fece di lui quesl' elogio : ho spesso citato il nobile e venerando vecchio Andalò di Negro genovese, mio caro maestro, di cui ben ti é nota, ottimo re, la prudenza, la gravità de' costumi, e la cogni- zione che egli avea delle stelle. Tu slesso bai potuto vedere , eh' egli non solo apprese a conoscerne i movimenti colle regole solile ed antiche , ma che avendo viaggiato quasi lulla la terra , giunse a scrivere colf esperienza de' propri occhi ciò che noi sappiamo sol per udito. Quindi benché nelle al- tre cose ancora io lo creda degno di fede , in ciò nondimeno che appar- tiene alle stelle parmi eh' ei debba avere quella medesima autorità, che ha Cicerone nell' eloquenza , e Virgilio nella poesia. Di Negro scrisse un libro sulla composizione dell' astrolabio e del quadrante stampalo in Ferrara r anno 1475; un trattato della sfera, una teoria de' pianeti che si conservano nella real libreria di Parigi. Serra , Storia dell' antica Liguria e di Genova tomo IV pag. 86 e 122, Capolago 1835. (2) Qualunque potentato inferiore in forze navaU non disperava della ^il- toria solo che avesse a' suoi stipendi capitani di mare genovesi. Come il Conte di Olanda ha un Grimaldi , così Michele Paleologo diede il governo delle sue armale a un Zaccaria. Benedetto della stessa famiglia si annovera Ira i più antichi ammiragli di Francia. Prima di Zaccaria si trovano grandi memorie di Ugo Lercari e di Jacopo Levanlo decorali del titolo di ammira- gli dall' ottimo Re Lodovico IX ; molli altri genovesi ebbe la Francia nelle olà posteriori, ricorderemo soltanto Giovanni Barbavara e Ambrogio Bocca- negra , ecc. I genovesi militarono ancora per i re d' Inghilterra. Antonio Pessagno fu Siniscalco di Odoardo II. in Guascogna ; dignità soprastante alle cose navali in quella provincia : Nicolò Usodimare consegui da Odoardo III il grado di vice-ammiraglio delle sue armate nel ducalo di Aquilania e 328 nelle parli oltraraarine. Giovanni Doria e Nicolò Bianchi ebbero la condotta
  • sive non sono opportuni ; agevoli poi alio scopo non puonno essere per ciò che ad ottenere la ridnzionc tanta forza estensiva bisogna ordinariamente impiegare,t, che qualche volta la violenza indarno praticata sco- raggia di modo il malato che, piuttosto soltoporsi ad ulteriori tentativi, s'accontenta d'abbandonarsi al pro- prio destino e rimanere per tutto quel tempo che gli resta di vita con un difetto irreparabile. Ciò sarebbe in vero avvenuto al soggetto della terza storia registrala nelle mie osservazioni, se persuaso non l'avessi che, nuovamente tentando in altro modo assai meno do- loroso , avrei procurato liberarlo dallo stato in cui si trovava. In quel caso fu la prima volta che per il braccio impiegai le trazioni con metodo diverso dal comune, e che un solo ajuto per l'estensione bastò a facilitarmi la riduzione dell' omero lussalo , quando poco prima i vari tentativi da altri e da me ripetuti nel modo ordinario, cioè di trarre a membro disteso y non valsero a buon frutto , sebbene diversi e robusti ajutanti avessero agito con tutta forza ed impegno. Riconoscendo i chirurgi che il principale ostacolo alla riduzione degli slogamenti sì dell" omero che del femore deriva dalla resistenza della forza muscolare, hanno pensato che bisognava indebolire una tale forza, perchè il riconducimenio dell' osso lussato nella sua cavità risultasse più agevole di quello che soleva av- venire col solo uso dei possenti mezzi meccanici , dai quali talvolta ne derivavano, siccome i fatti lo hanno dimostrato, offese alle pani adjacenii. Quindi hanno 366 proposto diversi soccorsi, fra i quali i più comuni sono il salasso generoso seguito dal bagno caldo '"per pro- movere nel malato una tendenza alla sincope , e tal- volta anche una lipotimia-, il tartaro emetico in dose da provocare soltanto le nausee; una graduata e con- tìnua estensione de' muscoli, ed altri. Colali mezzi, seb- bene indiretti, giovarono difatti allo scopo; ma eglino però, i primi, avanti di contribuire all'indebolimento della contrazione e resistenza muscolare, bisogna che abbiano agito sulla totalità delle forze individuali , cosi che r effetto parziale sarebbe sempre il prodotto di un'azione che avrebbe generalmente operalo, e con qualche detrimento, per ciò che, avendo massime fatto uso della cavata di sangue e ripetuta la seconda e terza volta generosamente, il ritorno nel medesimo individuo del vigore primitivo e del ben essere uni- versale è opera di non breve tempo. Di ciò ebbi esem- pio nel soggetto della terza storia poc' anzi notato , e quello della settima ; trascorsero questi qualche mesi prima di trovarsi nella loro consueta robustezza. In ambidue però feci uso della estensione, seguendo quella maniera di operare comunemente non praticata, vale a dire abbandonando il laccio ed il polispasto, impiegando soltanto le mani, ed agendo colle medesime nella po- sizione del membro lussato la più favorevole ed atta ad avere la muscolatura nel maggior suo possibile ri- lasciamento. Con ciò ottenni facilmente la riduzione di que' slogamenti, che resistettero agli anteriori tentativi, e mi persuasi in progresso che, se ad un tal modo di agire mi fossi appigliato in sulle prime, colla medesima 367 agevolezza e senza aver ricorso al salasso generoso sarei al certo j^usciio a conseguirne l' interno. Molte sono le osservazioni su questo particolare da me in succes- sione di tempo raccolte che includono casi recenti e no. Fra i secondi debbo notare un ragazzo di nove anni che portava da sette giorni lussazione dell'omero sinistro, un giovane muratore da otto quella del destro, ed un uomo a sessanta e robusto da dicianove quella parimenti dello stesso lato. 11 principio sul quale è stabilito il metodo di cui mi prevalsi, e che antepongo per facilità e prontezza di risultato a quelli che si praticavano nella clinica di Vienna, quand'io su di tale argomento scriveva, si per la riduzione dello slogamento' dell'omero che del femore ('l ) , egli è quella di avere la minore possibile resistenza muscolare non solo dall'opera indiretta di que' mezzi testé indicati, ma particolarmente e diret- tamente dalla condizione in cui devono essere posti i muscoli per l'esercizio della estensione, e dal luogo di applicazione delle potenze estensive medesime. Vi furono alcuni casi in passato dai quali resulta che, non avendo potuto coi lacci e col polispasto ottenere la riduzione di alcuno di que' slogamenti , col fa- vore di un' adattata posizione del membro, le semplici" (I) Ei si fu nella sopra citala epoca die tio dimostrato essere que- melodi non preferibili, e per l'estensione impiegata nello slogamento dell' omero a braccio disteso, e per 1' applicazione, secondo Wattmann, della correggia intorno alla coscia al punto della maggiore altezza e tirata all' esterno col line di avere un punto d'appoggio o di forza traente, quaHuKinc ne sia la lus- sazione del femore. v.t* 5C8 mani impiegate alla irazioiie bastarono per riuscirvi: di questi casi feci cenno nelle osservazi^i da me pubblicate (i). La mia pratica adunque non appa- riva nuova in quanto alla flessione dell'arto, ma per riguardo al metodo secondo il quale procedere alla ri- duzione non era stato, ch'io mi sappia, ne' suoi par- ticolari da alcuno indicato e descritto; e siccome col medesimo ebbési vantaggioso risultato dopo l' inutilità degli altri, ed io ottenni sempre buon successo senza l'impiego di molta forza traente, così nell' anteporlo valevole in tutti i casi ne' quali si possa riuscire coi possenti mezzi meccanici a ridurre uno slogamento di omero o di femore, qualunque siane la specie, io deb- bo ripeterlo un metodo facile, pronto, niente doloroso nel suo eseguimento, e bene a qui riprodurlo, perchè meglio ne sia compresa la sua utilità , e ne derivi quel- r incitazione a tentarlo anche nel caso di slogamento congiunto alla frattura del medesimo osso. Eccone il procedimento. Supposta semplice la lussazione dell'omero, sia dessa inferiore, anteriore o posteriore (2), io faccio coricare r infermo sul letto in guisa che appoggi quasi sul lato sano, aflinchè la cavità glenoidea si lro\i in una linea diretta corrispondente ali" ajutante che deve fare l'es- tensione-, raccomando all' infermo medesimo che si ponga in tale abbandono di se stesso , che il peso del proprio corpo serva alla contro-estensione, né far debba sforzo (I) V. pag. 37. (•2) Per quest' ultima vedi la nota inserita nel Diz. clas. di med. int. ed est. torn. 21. pag. 118. Venezia 1835. 3C9 0 movimenio alcuno. La scapola dovendo essere fissata, dispongo un ajuto che applichi le sue mani alla spalla ed all' omoplata per un certo grado di compressione. Di poi, premesso l'alzamento dell'omero nella direzione da esso lui acquistata per un ottavo di cerchio, onde i muscoli gran pettorale, dorsale, rotondo siano il meno possibile distesi, faccio salire in piedi sul letto un ro- busto ajutanie, il quale applichi le sue mani incrocic- chiate non già all' estremità inferiore dell' omero in guisa che stringendo per la estensione venga ad essere compressa la muscolatura sottoposta, ma sibbene alla piegatura del cubito tenuto in semiflessione da persona qualunque che obbhghi la mano corrispondente in basso. Disposto così ogni cosa per la estensione e contro -esten- sione (-1), ordino, ponendomi all'esterno dell' infermo, che s' incomincino le trazioni gradatamente e secondo la viziosa direzione dell'omero, il quale nella lussazione anteriore trovasi col cubito portato all' indietro, all'a- vanii nella posteriore. L' ajutante a ciò destinato è avvertito che non debbe stringere circolarmente l' ar- ticolazione su cui deve agire, ma tirare soltanto a se tentando di drizzarsi. A misura poi che la testa del- l' omero si scosta dalla parte anteriore della spalla o posteriore, secondo che trovavasi all' avanti o all' in- dietro, accrescendo sempre per gradi la forza traente, raccomando di condurre l'omero in buona direzione, (1) Il più delle volte erano infermieri dello spedale, in cui mi trovavo in qualità di chirurgo principale, clie, previo am- maestramento, impiegavo all'uffizio dell' estensione e contro- estensione, e l'opera loro non mancò mi|J d^i l^uon efTetlp. . 370 perchè la di lui testa giunta sotto l'ascella si trovi il braccio alla linea giusta laterale del tronco ed in ar- monia col medesimo. Allora continuando a sostenere le trazioni, e sollevando un po' più il braccio, senza alcun bisogno d' impulso o di coattazione , si ottiene il più delle volte tutt'a un tratto la riduzione dello slogamento. Per il femore lussato situo l' iufermo supino, colloco due assistenti ai lati della pelvi, perchè concorrano con un certo grado di compressione, esercitata sopra gl'ilj, al peso e resistenza del corpo, e quindi alla contro-*i estensione. Faccio flettere dolcemente la coscia e gamba quasi ad angolo retto , tenendo quest' ultima obbligata in basso con una mano applicata al di lei estremo in- feriore. AQido r arto ad un robusto ajutante salitò in piedi sul letto, il quale incrocicchia le sue mani al poplite. Ordino la estensione graduata nella direzione che r arto stesso presenta, ed a misura che essa si va operando con scostamento della testa dell'osso dal punto in cui si trovava, vuò che la coscia venga ri- volta in senso naturale. A questo tratto di operazione continuando la forza estensiva si sente in un istante che il capo del femore, già portato in vicinanza e di con- tro la rispettiva cavità, per azione muscolare, rien- tra nel suo acetabolo. Esposto in tal modo il procedimento da me tenuto per avere la riduzione dello slogamento dell'omero e del femore, chiara ne deriva la dimostrazione della facilità del suo risultato, e la preferenza sopra di qua- lunque altro. La posizione in cui si colloca 1' infermo. 371 sia Tarlo superiore od inferiore lussato, è quella, come già è dello, per la quale il solo peso del corpo con- corre alla maggiore conlro-esiensione; se v'è bisogno d' aggiungere ajuto egli è solo per tenere fissa la sca- pola riguardo l' omero, e più obbligala contro il lello l'inferior parte del tronco, quando trattasi del femore. Per si fatta opportuna e comoda posizione, egli è na- turale che tutta la muscolatura trovasi in uno stato di riposo, più in rilassamento quella dell'osso lussato, ponendo l' arto in semillessione ; tal che una resistenza , direi, volontaria parrebbe non poter da ciò aver luogo. In questa sì favorevole condizione di cose il chirurgo adunque è certo di non incontrare dal lato azione mu- scolare che una debolissima opposizione, e quindi non avere bisogno di tanta forza estensiva da dover ricor- rere al laccio od al polispasto per riporre lo slogamento. Se si aggiunge poi 1' applicazione della potenza traente alla piegatura dei cubito nella lussazione dell'omero, al poplite in quella del femore impiegata dalle sole mani, egli è evidente che colle medesime non solo puossi esercitare estensione tanta che basii, ma ab- bracciando colla palma i respettivi condili dell' osso lus- sato, e su di essi agendo, ottenere ad un tempo di rivolgere Y arto nella buona direzione dinanzi perduta, senza punto portare sulla muscolatura compressione o violenza alcuna. Io ho detto superiormente, ripetendo quanto già scrissi nelle mie osservazioni, essere questo modo di ridurre le lussazioni dell'omero e del femore preferi- bile a qualunque altro ; e non esclusi perciò quello ri- 872 chiamato dall' Astley Cooper , consistente nell' applica- zione del calcagno all'ascella, seguito e lodalo dall'egre- gio sig. Professore Paolo Cuoiano di Trieste, che nell 834 presentò riflessioni ed osservazioni in proposito, onde confermarne 1' utilità (1), per la ragione che nel ritenere essi la estremità inferiore dell' omero qual luogo d' ap- plicazione del mezzo estensivo, cingendo questa parte, siccome insegnano, al di sopra del gomito con umida compressa su cui poscia annodare un fazzoletto, ov- vero, necessitando di maggior forza, un lungo sciuga- tojo, onde varie persone ne possano fare le trazioni, non hanno considerato che così facendo viensi ad ope- rare tale compressione sulla muscolatura appartenente all' osso lussato, da suscitare nella medesima, tutto che semiflesso l' antibraccio , una contrazione ed una resistenza non altrimenti superabili che da una raddoppiata forza traente. In falli un tale difetto riconosciuto, altri pensò meglio di preferire il laccio al carpo, quantunque su questa parte agendo, nell' evitare la immediata compres- sione de' muscoli, non si possa guadagnare vantaggio di facilità di riducimenio per lo stalo di distensione in cui essi sono posti operando a braccio disteso. Da ciò quindi chiaro risulla che quel modo di riduzione, che seco non porta questi due difetti, debb' essere, a mio senso, auteponibile ; e se quello eh' io posi in pratica esclude e F;.uno e l' altro, io non mi troverò male dicendo che -l'applicazione delle sole mani incrocicchiale alla pie- gatura del cubito 0 del popliie, secondo che lo slo- gamento sarà dell'omero o del femore, è la più op- (1) Ann. Univ. di medicina di Milano, voi. 69. 37J porluna e convenienie , perchè , oltre di dare il co- modo, come dissi, a poter correggere colla palma la innormale direzione dell' arto , quando esista , senza praticare sul medesimo violente e dolorose torsioni, di cui più volte fui testimonio, soddisfa bene alla princi- pale indicazione, di procurare cioè la minore possibile contrazione e resistenza muscolare, e rendere del con- seguente più agevole la riduzione dello slogamento. Ol- ire di ciò il metodo che ho descritto, con qualche modi- ficazione del modo d' agire secondo la varietà della lussa- zione, puossi impiegare nelle diverse specie di slogamento dell'omero, inferiore cioè, anteriore e posteriore, in- torno alla quale aggiunsi apposita nota nel Diz. clas. di med. int. ed est. -, in quelle del femore (1 ) , nelle quali Aslley Cooper vuole che sempre si debba ricor- rere alle puleggie (2), nelle recenti ed antiche, (per quanto queste possono essere suscettibili di riduzione), essendovi riuscito con molta facilità in decimanona giornata di slogamento d' omero. E ripiglierò a que- sto proposito che, se molte lussazioni di omero e di femore sono state ridotte senza il soccorso di alcuna macchina -, se con semplici mezzi , e coli' opera sola delle mani la riduzione si ottenne di alcune altre nelle quali inutilmente fu impiegalo il polispasto od altro consimile ajuto , mi trovo indotto a ripetere, che ogni slogamento che potrà essere riposto con sì fatti meccanici, violenti soccorsi, recente o no, sarà pure riponibile colle semplici mani, purché il mezzo esteu- (1) V. la I.'ell," Storia delle mie osservazioni. (2) Opere chirurgiche. Tom. l. 37* sivo sia opporlunamenie applicato, il membro posto in favorevole situazione, e le estensioni bene eseguitele sostenute. : ''«S Fin qui il metodo che ho fatto conoscere , e di finii desidero se n'abbia tutta la confidenza, varrà, mi si può dire, nei casi appunto di semplicità di lussazione ed in cui particolarmente non siavi unita soluzione di continuità dell'osso lussato, siccome i fatti lo provano-, ma quando allo slogamento fossevi congiunta la frat- tura del medesimo osso , come precisamente avvenne in quel caso di cui il sig. Cav. Prof. Paolo Baroni diede circonstanziato rapporto, sarà egli nel egual modo praticabile e da tentarsi ? Io m' avveggo che sarei forse incolpato di troppa franchezza se osassi di darlo posi- tivamente sicuro; poiché le estensioni nei primi giorni di un tale infortunio, supposto possibile che l'arto non fosse maltrattato da contusioni e ferite che richiamas- sero i convenienti soccorsi, sarebbero assolutamente con- troindicate; id insulsum, dirò coli' autore, inutile, periculosumque fuisset. Allorquando però, dissipali gli eft'etti delle riportate contusioni, fossero trascorsi pa- recchi giorni di trattamento della ben riposta frattura, ed il pi'ocesso di riparazione si trovasse in quel pe- riodo (dal decimosesto al venlesimoquinto giorno), in cui il Dupuytren riscontrò al luogo dei due frammenti il così detto tumore del callo, formato, come si disse, dall'in- gorgamento delle parli molli circostanti la frattura, e dalla trasformazione delle medesime in un tessuto omo- geneo di lardacea consistenza, di intensità varia, di resistenza analoga a quella delle fibro-cartilagini , ed 375 adcrentissiiuo ai medesimi da renderne dillicile la se- parazione; penserei che le estensioni nel modo in- dicalo praticate potrebbero tentarsi con qualche fiducia. Il professore Baroni si trovò nella circostanza di soccorrere il suo malato ; e la complicazione del caso lo tenne dubbioso ed indeciso a quale dei varj me- todi da esso esaminali doveva dare la preferenza per la riduzione dello slogamento. Pensò, e quello scelse dal quale poco tempo avanti ottenuto aveva buon ri- sultalo ( quello del Cooper impiegando il ginocchio all'ascella): lo comunicò e lo propose ad alcuni suoi colleghi, da cui non ne ebbe libera approvazione; non ostante volle tentarlo, e ne ritrasse il più fortunato successo. Egli è vero che fé' uso di un nuovo artifi- zio per meglio assicurarsi del vette; ma se esso sia quello che ne abbia in più favorito l' intento, il fatto, che sempre debbesi ponderare e tenere in buon conto , tutto dice. Io impiegai il metodo che ho descritto in moltis- simi casi di semplicità di lussazione dell' omero e del femore, e mi è sempre con facilità e speditezza riu- scito. Certo è che, se mi fossi incontrato nel rai'o caso di slogamento dell' omero congiunto a frattura del medesimo osso, mi sarei trovalo in molta dubbiezza e perplessità sulla scelta del miglior modo di farne la riposizione; ma quando non avessi precedentemente ommesso di impiegare , nel bisogno , tutti que' soccorsi che sono consigliati per ottenere una minore resistenza muscolare, e dei quali approfittò il professore - Baroni durante quel tempo delta frattura, rifletlcndo al rin- 37(5 forzamento ed alla ferma aderenza di quel «umore da provvida natura operato al luogo dei due frammenti, per cui nel secondo periodo del processo di ripara- zione sopra descritto trovansi a stretto combaciamento, • ed unione, alla poca forza di estensione che abbisogna, quando il membro sia posto in comoda posizione e nella semiflessione, io sarei stalo incoraggiato in de- . cimo sesto, ventesimo, ventesimo quinto giorno dalia- epoca della riportata frattura, a proporre, con qualche speranza di riuscita, giovane d'altronde e di sana co- stituzione l'individuo, il metodo che ho esposto, cioè le estensioni colle semplici mani applicale alla piega- lura del cubito, ed a leniarlo; siccome in caso simile Io propongo e 1' affido alla considerazione di tutti i saggi confratelli; di coloro che qui, per onorevole e vantaggiosa situazione addetti in grado principale a pubblico e vasto stabilimento, trovansi sempre in mezzo ad un emporio di malati offrenti ogni giorno varietà di casi ; e particolarmente lo raccomando alla saggezza del clinico Professore, il quale e per instiiuto, e per lodevole suo impegno portato a far scella di quegli in- fermi che servir puonno alla più importante istruzione, spiega nel soccorso de' medesimi tutta la dottrina e l'eccellenza del suo operare. Così raccomandalo da! solo desiderio che il tentativo riuscir possa di sollievo e profitto all' umanità, io nutro tuita la fiducia che dal canto loro compiacenza e zelo non andranno dis- giunti per assecondare i miei voti, e per mostrarsi meco cortesi, nella felice riuscita di un caso, ad ono- rarmi della loro bramata corrispondenza, di che sarò 377 oltremodo grato. Che se poi i ten (alivi non portassero al Gne desiderato, me ne saprebbe mal grado, e rimarrei sempre nel desiderio potermi io slesso incontrare a dar soccorso nel complicato caso, siccome fece il prof. Ba- roni, benché dall' altrui voto non incoraggiato, per sperimentare le da me proposte estensioni, e persua- dermi con fatto proprio della vantaggiosa o no appli- cazione delle medesime. <^M^ BIBLIOTECA FEMMINILE ITALIANA raccolta, posseduta e descriKa DAL CONTE LEOPOLDO FERRI padovano Padova, lipografia Crcscini, 1812. Tu voi. in-8.o grande di farce ilf. I lavori bibliografici , quando sicno dislesi con 1' accuratezza de' Fontanini , degli Zeno, e dei Gamba, meritano d'esser te- nuti in maggior conto di quel che si fa. Conciossiachè non solo porgono servigi simili a que' de' vocabolarj ; ma e' e' inse- gnano quali edizioni sieno da preferirsi non tanto per 1' esat- tezza tipografica , quanto per la miglior lezione e le varianti : ed accennano opere preziose sfuggite agli scrittori di storie lette- rarie delie quali sono indispensabili appendici. Un' opera ap- punto di simil fatta è quella cui ora annunziamo messa in luce dal Conte Leopoldo Ferri. Il quale non contento di essersi , per ben dieci anni, dato alla ricerca delle opere che le italiane donne dettarono dal secolo decimoterzo in qua , volle eziandio possederle , ed ultimamente divulgarne la descrizione. Il libro è composto per ordine alfabetico; contiene i nomi delle autrici, i titoli dell' opere, il luogo e '1 tempo della stampa: annovera d' un medesimo scritto le edizioni si può dir tutte , toccando delle migliori; ed in fine ci fa assapere in che Raccolte, Florilegi, Antologie, ecc. siensi inseriti lavori delle medesime autrici. Questa è la prima parte di colai Libreria dovendo la seconda contenere le biografie delle donne i cui scritti possiede ed attesamente descrisse. Mentre con forte desiderio aspettiamo colai vite che vorremmo distese in modo da po- tersi pur leggere dalle donzelle, 1' eccitiamo ad aggiungere all' opera una terza parte ove potrebbe radunare scelte prose e poesie femminili d'ogni secolo, tanto più che delle prime non abbiam nessuna raccolta , e delle seconde alcune ma non a sufficienza compiute e giudiziose (1). Infatti come non è a desiderarsi un saggio delle migliaia di scritti di olloccnlo e più donne che mi venne fatto d' ivi annoverare? Come non possi- bile un'elegantissima e varialissima poliantea? Forse il va- lente Cavaliere vorrà pur darne un di questo desiderato la- voro. Ma voi intanto, o Gentildonne, non ponete tempo in 37» mezzo a procacciarvi la Biblioteca Femminile , che , agli al- tri vanti, aggiunge quello d'essere la prima (2). In leggendola avrete il contento di conoscere come molte di voi non solo seppero toccar con franche dita le corde della lira ; ma dar di mano all'epica tromba, e calzare il coturno, scrivere di bota- nica e di zoologia, d' agricoltura e d'arti belle, di matemati- che e di geografia, di fisica e- anatomia, di etica e giurispru- denza , di teologia e di filosofia, di archeologia e numismatica ; di educazione letteraria e civile, di musica e di agimia, ecc. Ma con questo invogliarvi che fo a cercare in esso libro le vostre glorie scientifiche e letterarie, non ho già in animo che , abbandonati i domestici ufTici , prendiate la penna e diatevi a compor opere d' ogni maniera , no ; ciò non dico , che da l'olle sarebbe. Hacci una gloria per voi ben più sicura e men contrastata : ed è quella quasi divina di madre, e d'institutrice prima di tutto 1' uman genere. Qual gaudio più durevole e puro di quello che sentirete nell' esaltarvi che faran le nazioni come generatrici o consorti degne d" ogni cittadin dabbene e magnanimo? A questa meta dovete pressoché tulle dirizzar r intelletto ed il cuore con assidue diligenze. Né per raggiun- gerla avrete mestieri di studi lunghi e diversi , ma di studi buoni. E per buoni intendo i religiosi e nazionali non gì' in- francesati (3) vaporosi ed enciclopedici. Dappoiché non di dot- toresse venute su in poco d' ora come le male erbe , ma di modeste e ben parlanti donzelle abbiani d' uopo ; non di donne vanitose e romanzesche, ma di fide mogli e di sapute madri. Potranno , è vero , alcune attendere a studi meno ristretti ; ma sieno , come sempre , quelle cui molto arrise fortuna (4) , o che al silenzio de' chiostri od all' insegnamento delle fanciulle sentiransi chiamate; imperciocché si 1' une e sì l' altre avranno, per ciò appunto , meno insidie a temere dalle mollezze e da tutte mondanità. EMANUELE ROSSI (1) La più pregiala di tutte raccolte poetiche é quella della Bcigalli che racchiude i componimenti delle più illustri rimatrici dalla Mna Si- ciliana ( i290 ) ai tempi della raccoglitrice che vivca nel secolo scorso. Il libro fu impresso in Venezia da Antonio Mora nel 1726 ed è assai raro. Di prose, ch'io mi sappia, non ne fu mai pubblicala alcuna scelta se si eccettuino le lellere di donne del scc. XM. uscite in Xcnezia nel 1832 per cura del Gamba ; qualche buona prosa di donne leggasi nei Ire vo- lumi del mio h'hrilegio Femminile di cui 1' Editore ci fa desiderare la conti- nuazione. .Il' 380 (2) L' autore asserisce nella sua prefatione che non solo in Iialia , mn nemmen fuori nessuno ha mai posto mano ad un simil lavoro. Forse al- cuni vorran dirgli che il Prospctlo biografico dalle donne italiane , ecc. di Ginevra Canonici Facchini , Venezia 1824 , tip. Alvisopoli , é lavoro mollo simiglianle. A me pare diverso, perché sebbene accenni le opere migliori o lo fa alla sfuggila , o non indica quasi mai le edizioni , essendo il suo precipuo fine , come il titolo addita , le notizie biografiche. (3) Con questo io non intendo dispregiare i Francesi , nazione degna per molli rispetti ed imitabile , se non in altro , neil' amor caldo che hanno alla patria. Ma ho voluto biasimare le più delle nostre fanciulle le quali studiando 1' italiano per accessorio, od insieme col francese, ven- gono a comporre una favella italo-gallica , o meglio un colai linguaggio cui non si può dare alcun nome : simili elle in ciò al micino della fa vola che tornato dalla scuola dell' usignuolo non sapea più né miagolar bene da gatto , né ben cantar da usignuolo. Studiisi in prima attesamente il proprio idioma ( non fan cosi le altre nazioni ? ) e poi se ne imparino pur degli stranieri , sebbene alla pluralità delle donne non mi sembrino necessari i : piuttosto, se ne avessero agio, vorrei insegnar loro un po' di latino ( eh' è pur nostro ) non fosse altro per capire i.kun che delle rose principali di Chiesa, ed insegnar con più calore ed intendimento le preghiere a' bimbi. Noi facevano i nostri antichi ? È torse venuta meno la ragione che a ciò gì' induceva? E poi, di grazia, che gran vantaggi arreca mai loro questo studio del franco e doli' anglo parlare ? La- sciando a parte il pericolo quasi certo di leggere in vece dei pochi buoni , gì' infìniti pessimi libri in tali favelle scrini , non troveranno forse nella nostra opere utili d'ogni maniera? Oh facciam senno una volta, vergo- gnandoci di parere pai,pagalli o scimie ! Si bandisce la croce addosso a quelli che forle son presi della propria favella , e si tacciano di parolai e peggio. E da chi ? Da que' medesimi che pongonsi a studiarne diverse a un tempo , scrupolosi sino all' esagerazione nell' osservarne le più sottili pedanterie , tacciando poco men che d' incivile chi non le seguisse a cap- pello. Le lingue , al postutto , se sono strumento e parte di sapienza , la sapienza non sono ; e questa , a' di nostri , un solo idioma basla a pro- cacciarcela sufBcieule , e con guadagno di tempo. La qual cosa se è vera per gli altri , per noi é verissima , possedendo la migliore delle lingue vive ( diconlo pur gli oltramontani ) , e la più antica e gloriosa delle letterature moderne. Eppure Siam giunti a tale che non sappiamo più nemmen questo ! (4.) Tuttavia vorrei che le agiate signore si rammentassero più che non fanno delle cure che pur esse come madri deggiono a' loro figliuoli ; e che si vergognassero una volta di affidare i loro bimbi alle Bonnes francesi o svizzere, le quali, oltre ad essere, per lo più, ProtestaiUi, son forastiere; e della condotta delle fora«ticre è difficile aver esatte informazioni. I nostri antichi perché fàccàn senza di queste pedagoehesse eran forse da meno di noi .' 1 CANZOM SACRE POPOLARI del Sue, G. PER\GALLO Cienova , tipografia Sordo-nini i , I8i:j. Se v' ha un' istruzionR che dee darsi dentro certi limiti e per gradi secondo la condizione o gì' ingegni , per non isviare od aggravare le menti , anziché provvederle di civile dottrina ; hacceno altra che conviene a tutti non solo, ma e debb' essere il quotidiano pascolo dell' adulto e del pargolo, del ricco e del povero , della femminetta e della dama , del principe e del sud- dito. Ognun vede eh' io vo' parlare dell' ammaestramento reli- gioso, il quale mentre prepara 1' uomo agi' infiniti beni, fallo quaggiù egregio cittadino non che altro. Perciò se in più cose possono (e forse debbono) i reggimenti delle nazioni essere, pur con lode, diversi, in questo non ponno. Da promovcrc adunque a tutt' uomo è 1' istruzion religiosa più d'ogni altra, che ogni altra senza questa fa danno; anzi soltanto è utile quando da lei governata. E intanto che rimane a desiderare che non i pochi , ma i molli intendano cotal ve- rità, e diffondano, per cristiana associazione, i tanti religiosi eccellentissimi scritti che abbiamo acconci ad ogni maniera di lettori , per combattere i malvagi libri , e difenderci dalle pes- sime ciance, facciasi plauso a quegli egregi che amando dav- vero il popolo porgongli nudrimento di salute , piultoslociiè sogni e scontentezze. Tra costoro paionmi da annoverarsi il Bado che ci facea , non ha guari , dono di un gentil Canzoniere Mariano, ed il Peragallo, pur genovese, che ora pubblicò al- cune Canzoni sacre popoìari che sì pe' chiari concetti ed alfet- tuosi , come per la scorrevolezza e semplicità del dettato son belle. Ecco gli argomenti : il Disinganno . V Amante di Maria . il Mallìno de' Fanciulli, prima della Comunione . il Pianto, il Pensiero della Morte. Odo con piacere che questi componimenti già cantansi in qualcheduno de' nostri pii istituti : in ciò ha egli il miglior guiderdone , e forte incitamento a darcene pre- sto de' novelli , togliendo , per dar più nel segno, a subbielto di sue rime le geste di que' santi che dal popolo sursero , od a lui scesero per chiamarlo a virtù, od alleviarne le mi- serie, non pur prendendovi parte, o tutte assumendosele; ma ancora trovando efficacia di soccorsi a' tapini avvenire. Miracoli di carità! 38i IL DISINGANNO Anch' io sull' orme infide Mossi d' un ben fallace, Anch' io cercai la pace Lungi , o mio Dio , da te : Ma della terra il riso Fu pianto agli occhi miei : Dove 0 Gesù non sei La pace tua non è. Stolto ! io fidai ne" giorni Che giovinezza infiora , E sulla prima aurora Volsi alla colpa il pie : Ma col diletto unito Bevvi il veleno in lei : Dove 0 Gesù non sei La pace tua non è. Or la dolcezza è spenta Ch' ella mi piovve in seno ; Ma il suo fatai veleno Sento che ha vita in me : Più queir idea mi struggo Che dissipar vorrei : Dove 0 Gesù non sei La pace tua non è. Viait) pacis nescicrunl. ISAl^ 58. 8. Pacem meam do vobis. JOAN. li. 27. Sorge r aurora , e lieto suO Saluta il pellegrino Il raggio mattutino Col canto della fé; Ed io col pianto invoco La pace che perdei . . . Dove 0 Gesù non sei La pace tua non è. Cade la notte , e spero Che i sonni e l' ombre avranno Pietà del lungo affanno Che r error mio mi die : Ha tregua il mondo allora Ma non han tregua i rei : Dove 0 Gesù non sei La pace tua non è. Pur se v' ha stella in cielo Che al peccator sorrida, Quest' alma a lei si affida E spera ancor mercè. Addio piaceri , addio Lusinghe in cui credei : Dove 0 Gesù non sei La pace tua non è. Deh fa che al mio peccato Lavacro il pianto sia , Deh queir istante oblia Che traviar mi fé'! Voglio esser tuo: la vita Pria che peccar darei : Dove 0 Gesù non sei La pace tua non è. EiUAIVDELE ROSSI NOTA suli Opera Idrografica del CorUrammiraglio Albini Quando ncll' ultimo fascicolo tributammo lodi ben meritate al sig. Contrammiraglio Cav. Albini , per I' eccellente suo Porto- lano della Sardegna , non credemmo dover tacere che avremmo desiderato nella scorta del Piloto che 1' accompagna una tavola delle altezze delle principali montagne che si scoprono prime all' atterraggio di queir isola. Ma intanto che da noi si mo- strava quel desiderio, il solerte autore, che non potè sorve- gliare la stampa del suo lavoro, perchè edito in Torino, era occupato a compilare un' errata-corrige che per gentilezza di lui ci è ora pervenuta , nella quale vediamo appunto riparato a queir ommissione. Stimiamo che sia debito nostro avvertirne i lettori della Ri- vista anche per non lasciar pascolo a chi è solito scusare o r inerzia o la ignoranza propria col pretendere la perfezione dagli altri. MICHELE EREDE CORSO di aritmetica teorico-pratica applicala al Commercio^ alla Banca, alle Aziende e ed ogni ramo di sociale industria. Del Prof.' Cav.« Giambattista Scotti. 5.' edizione accresciuta di molte cognizioni e ìiuove tavole. Noi non siamo gran fatto contenti, e già 1' abbiamo scritto, del metodo di studiare l' aritmetica che si seguita general- mente dalla nostra gioventù, il quale metodo consiste nel se- guire una mera pratica , senza corroborarla di nessuno affatto principio di ragione , per cui fé' perfino radicata nel popolo r opinione che nessuna cognizione sia più facile ad essere di- menticata dell' aritmetica , opinione che mostra veramente 384 tutta la vanità degli studi che fra di noi si praticano; e molti maestri o non abbastanza inslruiti essi stessi , o troppo scaltri rubano il tempo, cosi prezioso, agli alunni, tenendoli occu- pati per mesi a cagion di esempio nelle moltiplicazioni , perchè acquistino a forza di scrivere cifre quella facilità che in giorno si acquista mediante la lucida sposizione del principio teorico, e cosi non è raro che si vegga un ragazzo tutto allegro perchè il maestro lo ha messo nelle partite dello zucchero o del caffè, abuso di confidenza mostruosa dal canto di que' precettori che nvece di far servire la scienza dei numeri all' ordinamento delle idee in quella ancor tenere menti , par che si sforzi a produrre un efTetto contrario. Il sig. prof. Scotti che ha veduto 1' errore e quanto noi ne siamo certi il deplora , ha trovato un mezzo veramente felicis- simo di associare alla pratica quelli più generali principi teo- rici , che possano poi nelle menti più provette ajutare allo sviluppo della scienza quanto basta per rendersi ragione del- l' operato; e ciò fece nell' opera che annunziamo, con una faci- lità e direi quasi umanità da far riuscire gradevolissimo lo studio stato sempre arido e seccante delle cifre. Ma non contenti a ciò , colle giunte ultime al suo libro lo Scotti ne ha fatto non più solo un corso di aritmetica , ma quasi direi un manuale di banco, tante sono le cognizioni tutte utilissime indispensabili che vi ha inserito, tante le ta- vole per abbreviare e rendere speditissimi i calcoli più com- plicati della banca. Insomma che, per dirla in breve, io non conosco libri di questo genere che presentino maggior copia di cognizioni insieme riunite. L' edizione è dedicata all' Eminentissimo e Rev.'"» Luigi Lam- bruschini Cardinale di S. Chiesa , e la Santità del Regnante -Sommo Pontefice riconoscendo il merito dello Scotti si è de- gnata nominarlo Cavaliere dell' Ordine riformato di S. Silvestro. •"' MICHELE EREDE VVSE riEI, l'BIMO TOMO i INDICE DEL PRIIWO TOMO Introduzione, l' Editore Pag. 3 Situazione presente della letteratura in Genova. Filippo Acquarone » 17 Annotazioni sulla memoria del chiariss. L. A. Cosse — De la Heforme des Quarantainei — Prof. Girolamo Bollo » 27. 87 I nuovi Greci alle Termopili. Agostino Cajuoli » 35 Considerazioni sullo stato attuale del commercio genovese. Michele Erede > il L' Imparziale, lana » 51 Sulla Trichiasi. Prof. F. B. Gherardi » 57 Commedie di Pietro Calderon della Barca , tradotte da Pietro Monti. Nicomede Bianchi » 65 Scoperte archeologiche a Taggia. Can.o Vincenzo Lutti . . » 75 Cantica di Saverio Baldacchini. Agostino Chiappori 80 Cossalgia simpatica. Carlo Corneliaui » 98 AI Sig. Odoardo De-5Iongeol Lettera. Pietro Giordani . . » 107 II Progresso in azione. Cesare Musini » 110 Poche parole sulla mendicità. Cav. L. Zenone Quaglia . . n ll.T Kioretla ossia la pietosa fonte. Agostino Cagnoli » 121 Onorato Balzac cens. della critica francese. Nicamede Biaurlii » 125 Sermoni e Prediche del P. Clemente Brignardelli. Prof. G. Bollo » 1.32 Saggi di chimica minerale ed organica. Prof. Girolamo Bollo Medaglia in memoria del P. Ottavio G. B. Assarolti. Cav. Ab. Luigi Boselli » 152 L' Association des Douancs Allemandes. Michele Erede ■ ■ » 1.57 I,a Cometa del 18Ì-3. Agostino Chiappori » 180 Memorie Sloriche e Monete de' Conti di Desana. G. f. G. . » 185 Agitazioni straordinarie dell" ago magnetico ecc. A. Colta ■ » >92 Memorie sopra l'antico Debito Pubblico, Mutui, Compcre e Banca di S. Giorgio. Pasquale Antonio Sbertoli > 199 Di un' Opera Glosofìca del sig. Filippo Acquarone. Lucian'i Scarahelli » 207 C 1Ì5.21- \ 1X\ 312 386 1/e Osservazioni intorno alle Memorie sopra 1' antióo Debito Pubblico , Mutui , Compere e Banca di S. Giorgio. lUichelc J^rede ... Pag. 825 La Medea di Seneca tradutta da Filippo Acquarone. Francesco Rovelli „ 243 Scherzi Epigrammatici. Prof. Domenico Ghinazù .... » 25.6.290 Delle Guide che si fanno per le città. Luciano Scarabelli . » 259 La Profana Commedia o le Società. Ce. 322. 383 La prova del cuore. Nicomede Bianchi » 329 Non esistenza dell' acido arsenioso nelle pelli provenienti dall' America , ecc. Prof. G. B. Canobbio « 331 Osservazioni sui pensieri morali di V. Angius. Ag. Chiappori » 34.7 Le estensioni proponibili come mezzo di riduzione nel caso di slogamento dell' omero complicalo da frattura del me- desimo osso. Doti. Carlo Corneliani » 35.3 Biblioteca femminile italiana, raccolta posseduta e descritta dal C. L. Ferri. Emanuele Rossi » 378 Canzoni sacre popolari del Sac. G. Peragallo. Emanuele Rossi » 381 Corso di Aritmetica teorico-pratica applicala al commercio ecc. del Prof. Cav. G. B. Scotti. 3Iichele Erede » 383 i-Cà^p <=^> Con permissione 9c^ RIVISTA LIGURE GIORNALE DI LETTERE, SCIENZE ED ARTI ANNO PRIMO TOMO SECONDO Si (areas; laudimi, quiilquid scripsere, be.jli. HuR. lib. II. Ep. 2. GENOVA TlI'OCnvUl DKl. K. I. DE' S()RI>0->II' TI 18W (ILI ASILI IIVFAISTILI DI PIAGENZA (a) Il mondo sociale non presentò forse mai un più imponente ed insieme curioso spettacolo di quello die offre ora a chi non vi passeggia sopra a mo d'automa, perchè non si è veduta mai cercare dagli uomini la felicità con tanto impegno come con quanto si ricerca ai di nostri , ne' quali non sarebbe forse troppo grave errore il dire che la si è trovata meno (i). Tutti vogliono progredire ed in ciò hanno ragione perchè il pro- gresso sta nella natura dell' uomo , ma se si conviene general- mente sul principio non si seguitano da tutti le medesime vie per conseguire il fine desiderato, anzi non è raro vedere usali mezzi diametralmente opposti. Questo benedetto progresso v' è chi lo crede un trovato di questi ultimi tempi , un frutto della ■incomposta e sozza filosofia dello scorso secolo, come se da una cattiva pianta si potesse ragionevolmente sperare qualche buon frutto ; e da altri più saggi invece si crede che sia stato reso possibile da che la rivelazione si è fatta scorta della ragione, che per que*i filosofia vera e religione si confondono, e nella religione sola sta il progresso vero (2). Addottrinati nelle massime dei primi sono quasi tutti gli economisti che il progresso sociale collocano unicamente nel moto perpetuo, e sembrano credere, essere sulTiciente che tutti si muovano, perchè la società si perfezioni, senza darsi cura di osservare se gli uomini si muovono per innanzi o 4 per indietro, per diritto o per traverso, In danza ordinata 0 cozzando 1' un nell' altro colle teste fino a spaccarsi le cer- vella. Intanto queste cose sono oggimai passate dalie menti nella realtà , e niuno può più tenersi fermo al suo posto senza correre a spostare il suo vicino per mettervisi in suo luogo, e tutta intera la società sollevata in piedi si agita e si confonde, e si rabbattufifola per li vivi stimoli delle ardenti e implaca- bili passioni. Ma le loro speranze a che riescono ? Quel moto senza direzione reca loro tutt' al più una politezza superficiale e apparente : 1' uomo interiore si è profondamente corrotto , la società intera sotto le dilicate e morbide stoffe delle quali va rivestita come femmina ambiziosa, nasconde delle piaghe san- guinanti incancrenite (3). I secondi per contrario , non pensano che sia buona regola quella di far crescere nei popoli i bisogni , e non in egual pro- porzione i mezzi di soddisfarli , coli' idea che eccitati dal pun- golo di questi bisogni non soddisfatti essi sviluppino meglio la loro attività ed aumentino la loro industria; perchè questa applicata ai popoli che si trovano ancora nell'infimo stato ris- petto alla società non si vide fin' ora produrre soddisfacenti effetti, anzi r aumento dei bisogni produsse l'eslerminio delle tribù infelici sulle quali se ne fece l'esperimento; sentiamo To- queville « Tulle le tribù Indiane che altre volte abitavano il « territorio della nuova Inghilterra, i Narragonsctli , i Mohi- « kani, i Pecoti, non vivono più che nella rimembranza degli « uomini: i Lenapi che avanti cento cinquanta anni accolsero « Penn sulle rive della Delawara oggidì sono spariti. Io mi sono « scontrato cogli ultimi degli Irochesi : dimandavano 1' elemo- H Sina. Tutte le accennale nazioni già egli è tempo si stendevano « fino alla riva del mare : di presente è uopo percorrere più (( di cento leghe neh' interno del continente per trovare un In- « diano. Questi selvaggi non si sono già solamente ritirali, si « sono distrutti. Quando gl'indiani abitavano soli i deserti dai « quali oggidì vengono banditi, i loro bisogni erano pochi: da « se slessi si fabbricavano le armi, l'unica loro bevanda era « l'acqua de' fiumi , e non avevano per vestimenta che le pelli 0 degli animali, la carne de' quali li nutricava. Gli Europei inlro- « dussero fra l' indigeni dell'America del Nord le armi da fuoco, <( il fèrro e l'acquavite: hanno loro insegnato a surrogare i no- u stri tessuti a' vestimenti barbari di cui la semplicità indiana « s'era fin allor contentata ». 5 Divennero più civili e più felici? Eccolo « In conlraendo dei « gusti nuovi gl'indiani non appresero l'arie di soddisfarvi, e « convenne loro ricorrere all'industria dei bianchi. A correspel- « fivo di questi beni eh' essi non sapevano crearsi; non poteva « il selvaggio offerire se non ricche pelliccerie che i suoi boschi « ancora gli somministravano. Da questo niomenlo la caccia « non dovea solo provvedere a' suoi bisogni ma ben anco alle « frivole passioni d'Europa. Non inseguivano più le belve delle « foreste per solo nutrirsene , ma ancora per .'procurare a se « stessi i soli oggetti di cambio che potessero dare a noi. Per « tal modo di mano in mano che si accrescevano i loro biso- « gni non ristavano dal diminuirsi i loro mezzi (4) ». Riflettono inoltre quest'ultimi che i bisogni non soddisfatti generano delle passioni, le passioni lungi dall' illuminare l'intel- letto l'offuscano ed il confondono ; che all' incontro l' industria esige che si accresca l'intelligenza, anziché ella si diminuisca 0 falsifichi, e perciò pensano appunto a coltivare l' intelligenza ; e noi perchè questa maniera di vedere crediam sia più saggia reputiamo che siano cosa eminentemente utile e di assai bene- ficio sociale gli Asili così detti Infantili , i quali hanno appunto per iscopo di procurare lo sviluppo della intelligenza (si ottiene ciò anche coli' assuefazione all' ordine indipendentemente dalle massime), ed aprire i cuori ad affezioni pure; e perciò salu- tammo con entusiasmo il primo giorno che una tale inslituzione pose il piede fra noi, e per quanto potemmo non abbiamo tra- lasciato di promuoverla {'). Ora poi che dall' egregio e dottissimo avvocato sig. Pietro Gioja ci venne mandato in dono un suo discorso letto nella adunanza generale de' soci contribuenti agli Asili infantili di Piacenza il 27 maggio scorso, crediamo che possa tornare utile trascriverne qui alcuni luoghi, sia per mostrare che oramai deve credersi impresa perduta quella di affaticarsi (come per avventura alcuni, non sappiamo per quale fatale cccilà, ancor fanno ) perchè non prosperi una instiluzionc che tanle simpatie ha saputo destare, e fa battere tanti cuori generosi; sia per vie più accendere di una nobile gara i nostri concittadini, a non lasciarsi superare in cosa di carità, ed a mostrare che ci e; Fortunata quella Nobil Donna die potò pv ma invitare i suoi conciliarti ad ajularla nella santa impresa. Ella sarà hcncdella dal povero e da ehi il povero come fralello ni ina 6 Calunniano coloro clie dicono : Genumsis ergo mercalor , se intendono che in ciò debba includersi l'idea che nulla facciamo senza la vista di un privato individuale vantaggio. Era a quel discorso presente il Cavaliere Don Ferrante Aporti , padre come ogniun sa degli Asili Infantili in Italia , e da quella circostanza 1' oratore si accendeva maggiormente a quella sublime eloquenza che tutti ammirarono nel suo dire. Un rapido ma preciso cenno dello stato economico degl' Asili occupa il primo paragrafo, nel quale le cifre sono con tanta de- licatezza trattate che lungi dal riuscirti arido e nojoso come son tutte le cose di simil natura , anzi la mente vi si compiace e vi si bea , e par che senta che altro non esprimono que' nu- meri se non se la più squisita carità. Oltre all' impiego di lire nuove 10 mila si trovavano ancora in quel giorno gli Asili pia- centini una rimanenza per provvedere alle occorrenze del pre- sente anno di lire nuove 1973. 3i; e nel chiudere di quel ca- pitolo r oratore si esprimeva così: « Fin qui il mio discorso ha proceduto continuamente , quasi involto di numeri ; ma i nu- meri in questo caso dicono assai più d' ogni elogio ; perchè non so in quali altre parti sia per succedere che una città di provincia, non cospicua né per ricchezza, né per copia di abi- tatori, possa da per sé sola, senza niun straordinario soccorso, e dentro il giro di pochi mesi fondare tre Asili, corredarli am- piamente di quanto sia richiesto al bisogno e al decoro , do- tarli di maestre in buon numero, raccogliervi presso a quattro- cento fanciulli, istruirli, nutrirli, sovvenire con sussidi! indi- viduali ai più miserabili , e tuttavia non patir difetto di nulla , e poter anzi additare un sopravanzo non tenue , che assicura e , diciam cosi , rischiara 1' avvenire ! » « Se non che quanto più bella e da pregiare è 1' opera fin qui condotta , tanto debbe essere in lutti cura maggiore di con- servarla e di accrescerla. Oh ! non venisse mai data occasione a pensare , che ci abbia portato un fervore di moda o un en- tusiasmo fuggevole! Oh! non accadesse mai, che altri ci re- putasse scaduti da quella lode che in ogni tempo fu a noi quasi propria e speciale , del perseverare ! La carità e un de- siderio intenso del bene mossero i nostri primi atti ; ma ora vi si aggiunge una ragione di più , una ragione di onore e di amor patrio , felicemente aggiunta a quelle più nobili e deli- cale inspirazioni. E già non vi dev'essere ignoto, che di que- ste imprese, mosse e avviate da un comune consenso, è legge propria e necessaria , che non possan vivere , se la vila non vi sovrabbondi. Non basta non discendere, convien salire: non basta non perdere, conviene mettere occhio a maggiori avanzi e a maggiori speranze. É funesta la parola che invita a fer- marsi : essa è indizio certo di prossimo decadimento. Oltre- ché, quanto non ci rimane ancora a desiderare! Chi non vor- rebbe quattro Asili invece di tre soli che ora abbiamo , e non bastano al largo giro della città? Chi non vorrebbe stanze fisse e proprie per ciascuno? Chi non vorrebbe sopratutto , che qual- che istruzione venisse continuata almeno nei di festivi , in prò de' fanciulli che a mano a mano usciranno dagli Asili ? . . . . Insomma grande spazio è aperto aila carità pubblica , ne è a temere certamente , che i sussidi! soverchino mai i bisogni. » Seguita a dire dei progressi degli Asili per dare risposta ri- gorosamente vera a que' malevoli che mormorano : ma a que- ste elemosine risponde poi copioso o sufficiente il frutto degli Asili ? O non sarebbe per isventura da lodare più l' intenzione che r effetto ? e fra gli accrescimenti moltissimi estrinseci e materiali che egli con mirabile lucidità accenna, osserva come nel 1842 durante il quale due Asili furono aperti sempre, e il terzo per soli due mesi e mezzo , dispensaronsi oltre a 65000 minestre , non costate ( computando tutto ) che quattro cente- simi circa per ciascuna, e dice che nel corrente anno il numero dovrà salire al di là di 90000, trentamila ragguagliatamenle per ogni Asilo. E passando alle condizioni come le dice , intime e dello stato morale degli Asili , ecco come si esprime : « Ben mi avveggo, o signori, che quantunque tali notizie vi siano opportune e gradite , tuttavia con maggior desiderio aspettate che io vi dica delle condizioni intime e dello stato morale de' nostri Asili: quale istruzione vi si dispensi: quale profitto se ne cavi : come si dirozzino indoli e costumi : come si governino le maestre : come s' indirizzino le scuole : in una parola , per che modo si risponda al difficilissimo problema di destare e volgere a buona parte il primo raggio dell' umana intelligenza. Or bene, mi è dato di rispondervi con parole di consolazione , e affermar francamente , che li profitto degli Asili , se non è appunto qual si vorrebbe da alcuni , i quali vanno imaginando che fanciulli di poca età debbano mutarsi a un tratto , e per non so che prestigio in maestri di gran dottrina, sono almeno tali da doversene ogni ragionevole persona noti mediocremente rallegrare. E già in 8 fallo di istruzione morale e religiosa, pochi bambini potranno tenersi di paro agli educati in queste scuole : di che più d' uno de' nostri Parrochi , i quali se li vedono innanzi ogni domenica , ci hanno fatte vive e sincere congratulazioni. Poi molte utili notizie , molti preziosi ammaestramenti serbano e ripetono a memoria ; i quali , se non vogliam dire che s' in- tendano ora compiutamente , restano tuttavia in quelle ver- gini menti quasi semi felici, che, venuta età più matura, di per se stessi ampiamente fruttificheranno ...» « I costumi poi e i modi , e lo stesso parlare appaiono in lutti gli Asili più 0 men purgati dalla nativa rozzezza. E cosi non valessero assai volte gli esempi domestici a disperdere ogni buon seme , come noi potremmo , senza siffatti ostacoli rinnovati e quotidiani, narrare 'frutti più lieti e più copiosi! Ciò non di meno qualche buona orma rimane sempre : e io potrei tessere un elenco non breve di fanciulli che ci vennero Indocili , riottosi , intrattabili , e sono ora modelli di obbe- dienza e bontà singolare ». Poi delle qualità che aver deve una maestra toccando esce in questo dire : « E di vero, o signori, a comporre 1' imagine di una mae- stra ottima bisogna partirsi assai dai concetti volgari e chiamar come da più punti e raccogliere in uno molte qualità e pregi , che anche divisi, non che riuniti, meritan nome di esimii e sin- golari. Bisogna fìngere una donna di alto cuore, di pensieri casti e gentili, d' ingegno pronto e perspicace: nella quale l'imaginazione ed il senno, la sensitività e la ragione siano così misuratamente attemperate, che una mai non usurpi il luogo dell'altra. Bene e copiosamente istruita, e tuttavia modestissima: faconda, e non ciarliera: fervida, e paziente: graziosa, beni- gna, e in un medesimo costante e severa. Tutta mente a inten- dere, tutta atTetto a sentire; possente ad assumere in un girar d'occhio tutta la scuola che le sia innanzi, scoprirne i bisogni e reggerne le voglie inquiete e mutabili. I suoi fanciulli le son noti un per uno; e gli chiama per nome, e sa di tutti quanto abbia a sperarne. Ha viscere come di madre : ha dolci parole : ha r eloquenza non imitabile dell' amore. I bisogni e 1' utilità della scuola eh' ella governa, sono bisogni e utilità sue proprie. Ella sempre vigile, perchè nulla si degradi o si sperda, ella al preparare e al dispensare dei cibi; la prima agli Asili, l'ul- tima ad uscirne. Le pratiche usitnte non le bastano, né si I 9 acqueta a materialmente applicarle ; ma esamina , ricerca , trova per se stessa, nuovi metodi e nuovi spedienti , afnncliè la istru- zione non si appigli soltanto ai sensi di fuori , ma penetri e si abbracci più dentro a quelle tenere menti. I suoi metodi, le sue analisi si rischiarano e si affinano dalla carila ; né mai però non si sazia di tentare più innanzi ; né mai 1' abbandona un pensiero, clie facendo anche più non potesse ottenere frutti più copiosi. Quante industrie delicate, quante cure, quante fatiche! e tuttavia quanta calma nel volto , negli atti , nelle parole ; e finalmente dell'opera sua già non aspetta niun premio in terra: chi potrebbe degnamente premiare quella vita di privazione e di sacrifici ? Ma si consola nella propria coscienza , e si guida dal Cielo ! Quae vobis . . . Quae digna prò laudibus islis. — Praemia posse rear solvi ? Pulcerrima primum — Di moresque da- bunt veslri ì Tali , secondo un mio concetto altissimo, dovrebbero essere le maestre, ma tali non si potendo, secondo 1' umana condizione, rinvenire, ottime diremo quelle che più ritrarranno in se stesse di quella immagine perfettissima.» Ed a quelle ri- volto che sono ed aspirano a divenir maestre; « non dimenti- cate, dice loro, che debbe essere vostra cura e studio difendere le mie parole, e fare ogni di più manifesto e provato, che si ebbe ragione di confidare in voi. Pensate all' ufficio delicato che vi è commesso : pensate che nelle vostre mani è tanta parte dell' educazione del popolo. E allorché vi conducete alla scuola, allorché toccate quelle soglie che per voi debbon esser sacre, raccoglietevi in voi stesse , e rappresentatevi l' importanza del- l' opera vostra. Niuna cosa non si faccia meccanicamente e per mero uso , ma in ogni atto anche più menomo si vegga segno di pensiero e di affetto. Avvezzatevi a considerare , a instituire confronti, a studiare le indoli e i bisogni de' fanciulli. Voi dovete sapere di ciascuno, quale sia e quanto valga; e come si ab- biano ad alternare gli esercizi e i riposi e come far giusto tra- passo dall' una all' altra occupazione e come respinger la noia che non invada que' teneri petti, la noja che tutto corrompe e soffoca ogni buon germe d' istruzione. Ma sopratulto do- vete sapere amare , qual se foste , già il dissi , vere madri a que' bambolini. Ogni cosa è facile e piana all'amore, siccome tutto è dilBcile a queir operar calcolato, che si fa per mera guadagncria. E all' amore si accompagneranno poi naturalmente 0 grazia di modi, e persuasiva facile, e instruzion fruttuosa; di che sarete care ai bambini , e ammirale da quanti vi cono- 10 sceranno. So bene che spesso sarete poste a rischio di perdere la vostra pazienza , ma non la perdete ad ogni patio , perchè la serenità e la calma sono le vostre lodi principali. Non tur- banze , non orgogli stolti , non gare Invidiose , non vaghezza di sceniche apparenze, non amore fanatico di voi stesse; ma amore schietto de'bambini, e probità con loro, e bontà vera, che abbian radice e vita nelle sedi più riposte dell' anima. So- pratulto non si oda mai dalle vostre labbra ninna parola acerba: mai quel gridare incomposto che per dir del men male, gl'in- consapevoli interpreteranno sinistramente ; mai il deplorabile esempio di modi irosi e violenti . . . Che se a qualcuna paresse che d' altra guisa non si potessero condurre gli Asili , oh ! di grazia se ne allontani, che già non si richiede di più a dimo- strare, che questa vocazione non è per lei. » Nel paragrafo 3.° de' Benefizi e Ringraziamenti, verso delle signore visltatrici rivoltosi parlava loro così : « Pure non sarà che non abbiate voi il primo luogo , ottime e gentili Yisitatrici , che rallegraste gli Asili colla presenza, coi consigli, coli' ima- gine della vostra bontà, coi soccorsi piamente dispensati a que' poverelli : e voi in ispecie che vi sedeste fra loro, e partecipaste ai loro trastulli , e assumeste benigne di aiutarne e indirizzarne la istruzione. In verità io mi esalto in me stesso , pensando a quello che i miei occhi videro : le mani di nobili e delicate signore sovrapporsi afTettuosamente alle mani del figliuolo del povero, e guidarle pazienti allo scrivere e avviarne i lavori, e farsi indi elleno stesse maestre al leggere, e comandare , e pre- gare, e insegnare, benefiche col consiglio, coli' opera, col- r esempio? La vostra modestia non mi consente più speciale ricordo; ma il paese sa i vostri nomi, e li serba e li ripete caramente , e al vostro capo circonda una corona di amore che risplenderà lungamente nelle memorie cittadine. » S' immaginarono pure a Piacenza come da noi le lotterie a van- taggio degli Asili , ed è singolare che colà come nella nostra Genova una forestiera di nascita fosse autrice e promotrice prima di esse (5), ma sentiamo anche in ciò il Gioja. «E alle signore, a questa parte eletta del genere umano, dobbiamo altresì il pen- siero ingegnoso delle lotterie, le quali siccome udiste, frutta- rono nello scorso anno duecento trenta cinque lire; e in questo rinnovate più largamente , ne hanno reso presso a settecento. Dove ci fu confermato, come sia vero che ai buoni ogni paese è patria : imperocché Autrice e Promotricc principale di cosi pio I ti consiglio fu, come s.ippiam lutti, una forestiera, della cui pre- senza ci teniamo onorali, e che si è fatta, colla inclinazione e coir animo, meglio che cittadina. Ella propose; e il suo proporre festeggialo e accolto con mirabile prontezza, trovò buon nu- mero di cooperatrici, le quali, usando studiosamente l' ingegno e l'ago, gustarono la cara, e forse da loro non mai sentita dol- cezza . di lavorare pei poveri. I lavori ofTerti sommarono in quest' anno a ventotto, vaghi tutti , alcuni anche di notabile pregio, i quali con isplendida festa andarono poi lietamente distribuiti tra quelli, a cui la sorte riservò i numeri migliori. Nobile esempio in vero e gara gentile di bcneficii , che la pietà delle signore non si sazierà di rinnovare anche negli anni avvenire , ossia per non invidiare a se slesse un piacere si puro, ossia perchè di questi fatti si onora il paese , si ono- rano le persone , e possono additarsi con giubilo, come indizio di sincera e non corrotta civiltà. » Venendo a' giovani poi, narra quanto fallo abbiano a prò degli Asili con queste parole. « Né di voi io tacerò , ot- timi e valorosi giovani ; i quali , superala con incredibile per- severanza ogni maniera di difflcoltà , vi conduceste per due volle a recitare sul pubblico teatro , cogliendo indi a prò degli Asili un guadagno che levata ogni spesa , giunse di netto presso a un migliaio di lire. Io non so se tutti abbiano degnamente apprezzata questa specie di sacrificio, il qiiale, a mio vedere, fu non che grande, maraviglioso. Imperocché se f nostri dilettanti avessero uso di rappresentazioni frequenti", e una o due volle si mostrassero a recitar per gli Asili , pur sarebbero da ringraziar caramente. Ma essi per la più parte sono 0 inesperti, o per lungo disuso falli quasi stranieri alle scene, e tuttavia per mera carità accellarono la grave>mba- scia , che debbo essere di condursi innanzi ai mille occhi di un pubblico afToUato. Oh! chi sapesse quante fatiche duraron perciò! quanto studio ! quante penose preparazioni ! chi sapesse 1' on- deggiar segreto de'lor pensieri, il tremar vero per ogni fibra, le ansietà prorogale a molti giorni, confesserebbe che pochi al par di costoro hanno diritto alla comune riconoscenza. Quanto a me protesto, che in vederli apparir sulle scene non posso temperarmi da una specie di entusiasmo, maravighando e lo- dando in loro una generosità che mi confonde. Né é da passare poi in silenzio, chela santità del fine ha mirabilmente soccorso alla naturale inesperienza, imperocché due le rapresentazioni 12 date , ma la prima in ispecle , furono giustamente lodate non come di giovani e inesperti ma come di attori esercitati e pro- vetti.» Perfino il basso cantante Luigi Valli straniero a Piacenza donò i proventi della sua serata agi' Asili ! e gli artisti della città composero un accademia di suono e canto. L'Oratore viene finalmente a narrarci d' un fatto simile al quale se se ne vedessero anche soltanto pochi in ogni città, noi beati. « Fin qui, 0 signori, di cose non disgiunte da certa quasi solennità e grandezza. Ora mi concederete voi , che a maniera come d' intramezzo e di riposo mi soffermi alquanto intorno a un fatto tenue da se , umilissimo , ignorato, e nel quale tut- tavia ( per quel che io ne sento ) risplende grazia e bontà come dei tempi antichi ? Io non vi guiderò a questa volta per iscale patrizie, né toccheremo a palagi di grandi ; ma voglio che met- tiate occhio con me in una officina di calzolaio, che è delle più operose della città. Colà entro ( vedete ? ) è una gran turba di lavoratori che, spartiti e affissi a vari banchi;, curvi della persona, e colle mani callose, stentano l'intero di per ripor- tare alle lor povere famiglie un pane sudato. Or bene , sap- piate che que' poverelli dal guadagno d' ogni settimana spiccano volenterosi una moneta di cinque centesimi, la quale, mol- tiplicata pel tornare d' ogni settimana , e pel numero dei lavo- ratori , rende in capo all' anno un po' più di dodici azioni in favor degli Asili. E avrebbero voluto fare anche più, se il padrone , che fu autore del pio consiglio , non avesse raffrenata una liberalità che oltre quel segno , per gran parte di loro , sarebbe stata eccessiva. Or pensi chi ha cuor gentile, e dica se possa fingersi carità più soavemente ordinata; e se non sia di bellissimo esempio questa largizione cordiale di poveri in- verso poveri. Essa ricorda la pìccola moneta che la femminelta del Vangelo offerse al tempio, e che per riguardo all'affetto e al dare quanto per lei si poteva , dall' eterna Sapienza sti- mata subielto degno di commemorazione e di esempio alle ge- nerazioni avvenire: Vere dico vobis : Vidua haec paupcr plus quanti omnes misil : nam otnncs hi ex abundanti sibi miserunt in munera Dei: haec aulem ex eo quod deesl illi, omnem victum suum , quem habuit , misil. » Dice poscia di altre persone molte che a prò degli Asili gran- demente si affaticarono, ma noi riporteremo solo le parole che egli spende ad encomio d' una signora : « A questi se- gue terzo un altro nome ; ma è di que' nomi , che non si J 13 possono rammemorare senza invogliarsene al pianto. Perchè,', tra quanti Siam cittadini , chi può ricordar senza pianto 1' a- ccrbo fato della contessa Giuseppina Rocca-Ricci, tolta in breve ora dalla terra come fior gentile sopra cui strida 1' aratro? Po- vera signora! Elia si buona, ella giovine, ella sposa adorata, madre a dieci figli viventi , festeggiata dall' amore e dalla riverenza universale, perire cosi inopinatamente nel meglio dell'età e delle speranze, e lasciarne deserti i figliuoli, de- serto e inconsolabile il marito , deserti di sua cara presenza que' poverelli degli Asili, in cui avea posta tanta parte del suo cuore ! Grande in vero e non narrabile sventura , della quale non ci consola , quanto basti , il sapere che 1' ha richiamata il cielo di cui era degna! Qual donna non avrebbe detto a se stessa: io ho dieci figli e mi basta; ma al suo cuore ardente generoso non bastava. Quanti fanciulli venivano agli Asili , tanti accoglieva e amava come suoi. Era madre a tutti : sedeva con loro : giocava con loro : si deliziava in quelle anime innocenti. Con che pazienza durava là le lunghe ore, in- sensibile al caldo, al gelo, a ogni maniera di disagi! Con quanta longanimità sosteneva, che il suo zelo paresse sover- chio a certe une che sentivan forse gravezza di quella continua sorveglianza ' Povera signora ! ed ella non dare pur segno di accorgersene, non che risentirsene, perchè la sua anima era assorta nella gioja voluttuosa del bene! Oh quanto perdetter gli Asili perdendo lei , che fu si buona , si discreta , si pia ; per- dendo lei che fu imagine e rappresentazione perfetta di qual debba esser un eccellente visitatrice ! Ma quanto lutto ancora alla sua casa ! quanto e non reparabile danno ! quanta cagione di lacrime inesiccabili in teneri figlioletti e al marito ottimo, il quale senza posa va lamentando di averla perduta, e lamentando ancor più ( poiché il male 1' assalse violento verso le sedi del pen- siero ) che gli vcntsse negato il conforto ( mestissimo, eppur desiderato ! ) di accogliere le ultime sue parole , i saluti estremi della sua dipartita. Benché oh come eran facili a interpretar le parole ed i voti di queir anima illiba'ta ! Non esequie grandi , non iscrizioni pompose , non monumenti ; ma sospiro e preghiera estrema di lei sarebbero stati i suoi figli e gli Asili. Qui viveva il suo cuore, e qui sarebbero volate acute come strale le sue parole. Laonde io credo che dal cielo, dove ora abita, ancor riguardi con gioia a (piesta terra che fu sua stanza, e afTet- tuosamentc ringrazi il compagno diletto della sua vita , perchè u abbia aggiunto al suo nome una lode, di cui altra più cara non poteva pervenirle, collocandola in perpetuo tra i benefat- tori degli Asili , e costituendo perciò tal somma che il frutto annuo equivalesse ad offerta, annualmente e perpetuamente rinnovata. » Quel capo viene poi chiuso così : « Splendidi fatti io narro, o signori , e illustri esempli , dai quali ricreata 1' orazione mia esulta veramente e trionfa. Né già io temo che le prove nar- rate sian le ultime , o che siano per mancar loro , non loda- tori soltanto , ma imitatori in buon numero. Le imiteranno cer- tamente que' generosi ai quali parendo indegno di chiudersi nelle sterili regioni del presente , e scarso e fuggitivo quel bene che possono fare vivendo, anelano di allargarsi coli' animo nei campi interminati dell'avvenire, e mescolandosi alle future generazioni, estendere a quelle il frutto della propria benefi- cenza. Penso a me e a niun altro , dice l' abietto egoista : pen- so a me e alla mia casa e a miei figli , dicon gli altri che eb- bero da natura mente e cuor circoscritti ; penso a me e alla mia famiglia e alla patria presente; ecco un sentire più degno. Ma esser benefici anche quando non vivrem più anche a favo- re d'ignoti e di nascituri; questa è alta pietà: e segno di ani- mo nobile e potente ad abbracciar grande spazio : è, per quan- to può l'uomo, un operar simile alla Provvidenza, la quale si reca in mano come un sol punto il presente d'avvenire: — Breve et irrcparahilc iempus — Omnibus est vitae , sed famam exlendere factis. — Hoc virtulis opus — Ed oh '. tristi e male avvisali coloro che si studiarono di curvar l'uomo nell' attualità della vita, e spegnere la sete concreata e perpetua dell' infinito ! Né si avvidero come sian sconsolate le realtà presenti , e come questa tanto piccola vigilia de' sensi, questo apparir breve sulla scena del mondo , non ricevano significazione e chiarezza , se non per via di speranze, portate animosamente oltre i ter- mini del creato e del tempo. » Stupenda e spirante tutta la più squisita carità è pure la conclusione , della quale ci piace qui riportarne alcuni luoghi , ed il primo ci servirà intanto per combattere un errore che non è raro fra noi. «E quantunque il benfare sia utile sempre, e qualche volta necessario, sotto ogni formale verso qualun- que generazion d' individui, pure non è da metter dubbio, che più certo e più grande frullo non sia per rispondere a quel denaro , che s' impieghi in soccorrere e in educare i fi- ir. jìliuoli del povero. Imiierocchò mollo si richiede ai provclli , riè sempre risponde I' utile ni merito de! beneficio. Si slima (poniamo) che i bencflciatl da noi siano veri poveri, e invece non è raro incontrarsi in ciurmatori , esperti per lungo uso a narrare audacemente e far credibili miserie non vere, si im- magina di avere provveduto eflìcacemente e durevolmente a necessità gravi e reali, ma mille cupidigie tanto più intense, quanto più lungamente represse divoran tutto in brev'ora ; e la Infelice casa torna ancora il di appresso ai geniiti e al sospira- re consueto. Poi non può cessarsi il pericolo , che i soccorsi dati , bcnciiè per avventura urgenti , non invoglino forse al non far nulla, e non inducano certa quasi mollezza e snerva- mento che eterna la miseria e fa da ultimo impossibile lo al- leviarla. Infine, causate queste dliììcoltà, è manifesto, che in ogni caso il benefìcio non esce dall'individuo a cui si indirizza, e non mai o di rado lascia tracce notabili e permanenti. » « Per contrario le cure educative, prestate alla prole del po- vero, recano utilità interminate, né può temersi di errore, né é possibile 1' abusarne ; e non che ingenerare inerzia o mol- lezza, hanno anzi per iscopo di allontanarle e guarirle, per tutta la vita. Voi eviterete di mantenere oziosamente misera- bili e vagabondi coloro ai quali avrete insegnato per tempo che il lavorare è un dovere e una necessità della loro vita : eviterete di custodire nelle carceri quelli che avrete per tempo iniziati alla probità e alla pratica dei doveri sociali. Non faran numero e turba negli ospedali quegli altri , quanti si vo- gliano, che una sufficiente istruzione avrà messi in grado di procacciarsi onorevole sostentamento. Decresceranno gli espo- sti , allorché i padri sapranno e potranno provvedere alla loro prole. Le nozze saranno più rispettate. Si avranno servitori più fedeli, agenti più onesti, artieri più probi. E queste utilità va- rie, molteplici, durature avran radice in quel pochissimo che costa l'educare la fanciullezza. Insomma, a dir tutto in breve, la limosina a' provetti somiglia alle cure che s' iinpieghino in- torno ad albero già cresciuto e già saldo , le quali non sempre giovano, nò si stendono fuori del loro subietto unico e im- mediato , mentre il governo dei fanciulli é governo di tenori arbusti , cui rispondon per solito frutti facili e copiosi. » « Poi un altro pensiero mi si alTaccia. Fra quei tanti fanciulli, che levati dalle piazze e da' trivii si raccolgono negli .\sili , non è raro di scorgere alcuni , ai quali luce nella fronte e ne- 16 gli ocelli ingegno e cuor non volgare. Or che sarebbe se la pietà cittadina non provvedesse sollecita a difenderli , o mon- darli dal triste lezzo de' domestici esempli , che in quelle molli nature prestamente si propaga , e indi a poco si fa lebbra e crosta non sanabile! Se ciò non fosse , consumerebbero indarno quel sacro fuoco che portan chiuso nell' animo , o lo volgereb- bero miseramente in lor danno ad opere prave : mentre per contrario , dato un sudìciente indirizzo al viver civile , dato il saper leggere e scrivere, potranno mettersi in via per se stes- si , e si abbatteranno forse in un libro che ne desterà l' inge- gno, e li farà utili e gloriosi a se stessi e alla patria. » « Che se tra quelle parecchie centinaia di fanciulli ricoverati negli Asili ci riuscissero di sì fatti solo dieci, se solo cinque; se, oserei dire, anche uno solo, altamente cospicuo , per scien- za e dottrina , non istimereste , o signori , che le nostre cure fossero ampiamente ricompensate? A me par certo che sì : per- chè di lutti i beni che ornano e fanno lieta questa terra , non v' è alcuno che sia da paragonare al bene dell' intelletto ; e a tutte cose sovranamente altera soprastà la scienza, vita vera, e onore e salute de' popoli. Non parlo di quella scienza vana, fatua, ciancia trice insolente, nemica d' ogni sentir generoso, che abbietta il cuore , trasvia l' intelletto , sorride ai vizii e alle cupidità umane, corrompitrice e corrotta, vera peste e flagello della società; ma sì di quella che levandosi altissima- mente fln dove uman pcnsiere possa giungere, trascorre e do- mina tutto il creato, ricca di fatti, potente di studi, munita e salda di ragioni. Oh! sì, codesta scienza è la padrona vera del mondo. Armi , ricchezze, commercio, tutto obbedisce a lei : essa valica i mari, penetra nelle lande selvagge, dirompe e spiana le montagne, addita le miniere riposte, frena i fiumi , impugna e doma le forze più tremende della natura, moltiplica i frutti della terra , suscita e mantiene i traDQchi, ordina le leggi , tempera le società , contiene il potere e la licenza , lotta animosa contro i disastri che percuotono la terra, fa le nazio- ni rispettate e grandi , e di quanti ha il mondo o bisogni o conforti 0 rimedii , sola è dessa apportatrice e ministra. » E seguita più sotto: « È dunque vero, o signori, che non si potrebbe fare un più gran bene a migliore mercato! È dunque vero, che sarebbe più che vergogna il cessarne! È dunque vero , che chiunque abbia senso di amor patrio , non vorrà fa- re a se questa ingiuria di trascurare una tant' opera di rigc- I 17 nerazione ! Per me , non lo dissimulo , le Scuole infantili sono un non so clic di sacro. Di quivi contemplo le generazioni fu- ture, la società in cui dovranno vivere i nostri figli e nipoti, tutte 0 gran parte delle speranze pubbliche. Né già [dubito che questo moto, incominciato nelle parti estreme, non si dilTonda e propaghi alle classi e ai gradi sovrastanti e tanto più vivamente quanto ( oh speriamo ! ) saranno quivi maggiori gli aiuti e gl'impulsi. Imperocché, o Signori, per quel modo istesso che abbandonata o disprezzata 1' educazione del popolo , i mali esempi e le corruttele di quello fanno non tarda ven- detta del triste dispregio, corrompendo a vicenda le classi su- periori; cosi è da avere fiducia che la plebe, alleggerita d'igno- ranza e di vizi , metta vergogna in quelli , che voglion esser tenuti meglio che plebe, di apparire aggravati dell'una o del- l'altra soma, e gli avvisi e quasi sospinga a difendere, per quel modo che solo è degno d'uomini, i pregi e le lodi della desiderata sovreminenza. Certamente poi non accadrà più, che il tetro confronto di una crassa e universale stupidità faccia re- putare buona o sufficiente qualunque anche più rustica e viziosa educazione (*). » Un uomo da tanta carità animato e di zelo tanto illuminato quanto si mostra il Gioja in questo stupendo discorso , non sa finire clie non accenni a quegli ajuti e corrolarj senza dei quali gli Asili non saranno di quel giovamento che ragionevolmente essere dovrebbero; perciò che il buon seme si sperderà in gran parte se quelle tenere menti sono abbandonate a se stesse al- lora appena che la ragione comincia a più visibilmente svilup- parsi e fortificarsi in loro: e se non si trovano i mezzi di col- tivarli anche adulti, la crescente generazione non sarà quella che la vuole gl'instituzione; che, come il nostro autore osserva, se gli Asili cominciano la rigenerazione del popolo , essi la continuano e la compiono, ed ecco come sviluppa il suo pensiero. « Se non che, a fare opera perfetta, noi abbiamo bisogno di un altra instiluzione, tanto alfine e prossima agli Asili quanto alla cura di produrre è, o debbe essere aflìne e prossima l'al- tra di conservare. Noi abbiamo bisogno, per dirlo a un tratto, che nel paese nostro siano fondate le così dette Casse di Ri- {*) E in Croazia una usanza che lutti i fanciulli devono frequentare la sruolc comunali , e se i padri non ve li mandano ogni di pagano una multa. L' Kdiinre 18 sparmlo, le quali tanto bene arrecano in ogni parte di inondo, nelle grandi come nelle piccole città, e noi per non so quale nostra sventura , ne siamo senza , e desideriamo ancora questo strumento potente di civiltji e morale pubblica. » « Che se dall'individuo portiamo lo sguardo alla società e agli statuti politici che la reggono, chi non benedirà similmente alle casse di risparmio, le quali, inducendo idea d'ordine e di economia, legano i cittadini allo stato, e li fanno per una ra- gione propria e privala d'interesse, immutabilmente avversi a qualunque perturbazione? Dove sono casse di risparmio, si ama il vivere riposato e tranquillo: né è tanta infestazione di poveri per le case, né tanta calca di infermi negli ospedali, né tanta moltitudine per le contrade , né tanta turba e tumulto nelle taverne. Durano si ancora (chi potrebbe sanarli affatto?) i mali eie piaghe sociali; ma sono diventale più lievi, ma compari- scon più rare: e la quantità dell' alleviamento potrebbe, con misura assai prossima al vero, essere rappresentata dalla quan- tità dei depositi ricevuti e dei frutti pagati dalle casse di risparmio. » « Né già si richiede a fondarle quel mollo che alcuni s'imma- ginano: basta al principiare un capitale mediocrissimo, bastano uno 0 due agenti illibati basln sopralutto respingere qualunque pensiero di far cose grandi e solenni. La cassa di risparmio non debbe essere né una banca la quale raccolga somme in- genti, né, mollo meno, un mezzo o uno strumento di specu- lazioni interessate; ma si un modesto salvadenajo del povero, .'liìve non si accctt-p.n che le piccole monete di lui, lasciata al più agiati la cura d'investir per se stessi il loro denaro. In questi termini io la propongo ; e prego che alquanti cittadini , amici del lor paese, si restringano insieme a deliberarne. Le dilH- coltà discorse, trattate in comune si dilegueranno ; né si tarderà a scoprire che anche Piacenza può fare quello che hanno fatto felicemente molte povere ed umili borgate. Basta, ripelo, tenersi a proporzioni modeste ; serbate le quali , né sarà diffi- cile il reinipiego del denaro raccolto, ne gravosa la responsa- bilità, né complicata in eccesso l'amministrazione, né sopra tutto non si altererà mai quel carattere proprio e speciale di carità, che deve apparir sempre e solo, in questa benemerita instituzione ». Finisce il discorso di cui favelliamo in questo modo « Né può però imaginarsi opera più degna o più allamente proficua. 19 di quella che si indirizzi a combaltere 1' Ignavia e la male- volenza, e a difendere conlr'esse, e fare indi più libere e forti queste tendenze pietose, le quali innalzano e nobilitano una parte del genere umano , mentre 1* altra asciuga il suo pianto 0 meo dogliosamente sospira ... E voi , verso fine si nobile, per questi sentieri fioriti di speranze e di amore , voi ci pre- cederete coir opera e coli' esempio , egregie donne, che avete mente sì pia, cuor sì gentile. A voi. nello scorso anno, racco- mandai questi Asili, e il mio pregar non lu indarno. Ora rinovo quel prego , e non cadrà inesaudito. Care turbe di pargoli In- nocenti, no non sarete obbliate! Ecco splendida tutela che vi circonda: ecco rannata in questa sala tanta parte di città , ansiosamente sollecita di provvedere ai vostri bisogni. Niun secolo non vide mai altrettanto : il sole non rischiarò mal opera più bella. Ed oh ! beatissimo chi fu primo a produrla In Italia, perchè al suo nome si avvolgeranno lodi e benedizioni immortali ! E noi beatissimi, se a grande onor nostro a grande" utile della città, sapremo animosamente mantenerla e soccor- rerla di quelle instituzioni aDQni che bastino a integrarne il be- neficio. Ma non più parole : a così fidata , a cosi rara tutela raccomando gli Asili , e prego che queste voci , che mi son le ultime , risuonino durevolmente nell' animo e nella memoria de' miei concittadini. » MICHELE EREDE 90 NOTE (a) Abbiamo vedulo con giubilo ilei cuore grandissimo che siasi dato alle •lampe similmente il Rendiconto delle nostre Scuole Infantili , dal quale sì vede come una città che ne' tempi andati per carila cittadina non temeva confronto , non sia poi tanto degenerala quanto da taluni forse si pensa o sì desidera. Il discorso che precede le cifre ci sta molto a proposito a mo- strare che l'aritmetica non guasta tutti i genovesi come quello, che merita- menle lodato da chi potè udirlo dalla bocca dell' illustre autore, non si mo- stra colle slampe minore della fama vedulo dal luto delle lettere , e spira queir amore del prossimo senza del quale è vano sperare utile progredimento negli Asili ; e perchè noi troppo questo progredimento desideriamo ci è sem- bralo utile di scrivere il presente articolo destinato a mostrare che molto ci resta ancora a fare, se ci vogliamo tenere nelle dovute proporzioni con quanto si fa in altri luoghi , non credendo che ci si possa rispondere da chi ama il vero bene de' suoi fratelli e la gloria della patria , che siamo già mollo in- nanzi appetto di chi nulla ha fatto (inora in questa bisogna degli Asili. E perchè di sopra abbiam dello che Genova in fallo di carità cittadina non temeva rivali, vogliamo, a provarlo, riportare qui per intiero un documento stampato già in parte sul 4.» fascicolo della Guida alle Bellezze di Genova e sue Riviere con singolare amore scritta dal nostro carissimo Giuseppe Ran- cherò , che genlilmcnle ce ne ha dato licenza , il quale mostra quanto possa una volontà corroborala da santo intendimento. Un tale documento prova veramenle che nil sub sole novum, e fa avvisata I' età railantatrice che invece di superbire del poco che fa potrebbe bene spesso arrossire se pensasse agli antichi. Eccolo : lUsposiiioni del fu Ettore Vernazza eslratle dal Cartolario O. M. carte 403 verso a 408 verso esistente nell' Archivio di S. Giorgio in data 16 ottobre 1512. 28 Junii 1602. In observatione decreti per P. Protectorum comperarum sancii Georgii con- diti die prcsenlis recepii per Joanncm Auguslinum Sivori caneellarium annoiali in manuale caiicellariorum prefaclorum per illuslrium Dominorum Protectorum descriplum fuit inslrumentum obligalioiies locorum presenlis ì 2( c&lumnae faclae per dicluni Hectorem rogatum per nunc quondam Baptistain de Strata notarium anno 1512 die 16 oclobris suscrlptum per Julium Petra- nigam, et Pclrum Mathiam Tubinum notarios et cuslodes archivii venerandi collegi notariorum Genuae. In nomine Uomini amen. Hector de Vernalia no- tarius sciens ordinasse in mente sua velie disponere sub oolutnna locorum suorum annotarique, et scribi sub columna ipsius Hecloris locorum centum comperarum sancii Georgii, seu scribendorum super ipsum Heclorcm in M. obligatìonem infrascriptam ; ideo sponte, et certa scientia nulloque juris vel facti errore ductus, seu modo aliquo circumventus oblìgavit, et obligat dieta loca centum sic ut suprascripta, super ipsum Hectorem stare debeaiit in per- peluum et mullipliccntur, et multìplicari debeant de proficuo in capitale do- nec , et quosque pervenerint ad numerum locorum quingenlorumque, mulli- plicatio diclorum provcnluum incipiat anno millesimo quingentcsimo vigesimo primo, quo anno dieta loca erunt libera, et expedita per dominos Prolecto- res Hospitalis rcduclus infirmorum sanctae Mariae pauperum incurabilium , et cura pervenerint ad dicium numerum locorum quingenlorum in tempore epidimiae seu morbi in civitale Genuae , quando fueril relieta civilas a ci- vibus teneant et debeant dicti domini Prolectorcs dare provenlus annorum Irium locorum quingenlorum ofHcio Sanitalis , quod hujusmodi proventus te- nealur erogare in necessilatibus infirmorum de e; idimia in onere conscien- tiae dicti officiì quos onerai , ut diclae pecuniae bene expendant prò dictis inlìrmis diclae epidimiae curandis, et sic successive alio caso interveniente dictae epidimiae fiat in omnibus ut supra usquequo dieta loca multiplicave- rint ad numerum locorum duorum millium, quando mulliplicata fucrint, lune ematur, et emi debeat locus unus capax ad recipiendum dictos infirmos de- tentos epidimia , per dictos dominos Proteclores ex proventibus diclorum locorum duorum millium , et expendatur quantum eis videbitur dummodo non excedat provenlus annorum quinque usque in decem in arbitrio diclo- rum D. D. Proleclorum , et quem locum teneri debeant dicli Proteclores bene munilum , et cuslodilum maxime tempore suspitionis epidimiae ita quod semper quod advenerit casus epidimiae possint dicti infirmi rctipi , ci bene curari et habere omnes necessitales eorum , et hoc casu quo locus eo tem- pore non esset conslructus , et si fuerit construclus , et indigerel aliquibus cxpensis , et non haberent commodilales , possint dicti Domini Proteclores expendere ex dictis proventibus , quantum eis videbitur necesse fore , ut hujusmodi locus sii capax ad receptionem dictorum infirmorum , et hoc usque in summam dictorum annorum quinque proventuum usque in decem dum- modo dicli Domini Proteclores babeant dominium in pcrpeluum, et non ali- ter, aul saltem prò ea parte quam exbursabunt lam in expensis , quam in pecuniis exbursandis lemporis epidimiae et minus expendal , si iis videbitur; transaclis vero dictis aunis quinque usque in decem, ut supra scrvalis con- dilioiiibus et forma de quibus supra et eis adimplelis reslum proventuum diclorum locorum duorum millium multiplicet , et mulliplicari debcat de proficuo in capitale , donec pervenerint ad numerum locorum sex millium 22 (le quorum pToventuum diclorum locorum sex uiillium iieri debeat ut infra. Videlicet quod scmper , et quandocumque fuerit in civitate Genuae epidimia ut supra , et servatis omnibus suplementis de provenlibus dimidiae ipsorum locorum et plus si opus fuerit in cognilione diclorum D. D. Prolcctorum provideat , et provideri debeat per dictos Protectores necessitalibus inlirmo- rura epidimiae in diclo loco reponendorum ila quod nihil deficiat prò salale animae et corporis recipiendtrum ; restum vero diclorum bonorum diclae dimidiae , si quod superent dlspensetur ei dispensari debeat ut infra. Vide- licet dimidia inter pauperes puellas civilalis Genuae maritandas , etiam po- teslatiafi Vcrnatiae , loci Arensani , Cogoleti et eorum villariis , seu parroc- chiis , quibus dari debeat de provenlibus diclorum locorum per dictos Pro- tectores prò una quaque puella maritanda , ut supra a libris decem usque in llbris cenlum pagarum avertendo quod puellae Vernatiae , Arensani et Co- goleti non pcssint babere nisi dimidiara illarum civilalis Genuae et minus sì Dominis Protecloribus videbìtur : et casu quo fuerint ex descendenlibus Ber- nardi , et Hibleli de Vernatia usque in libris Irocenlis Genuae ad earum el cujuslibet earum maritare , et aliis de cognomine de Vernalia usque in libris ducentum modo ut supra et filiabus notariorum qui erunt de necessitale usque in libris cenlum ut supra. llem dentur et dari debeant annualim do- mini Protectores proventus dicti anni ut infra. Videlicet filiabus devolisque ingredi vellent monasteria observantiae usque in libris cenlum de numeralo prò qualibet earum dummodo sint in necessitate quod non habeant aliunde, ut a dictis monasleriìs recipiantur. Mandai ipse Heclor quod semper quod non fuerit epidimia dentur, et dari debeant omnibus puellis tam maritandis, quam monacandis , si quae reperirentur in ilio anno usque in dictam sum- mam diclae dimidiae ; onerai tamen conscientiam dicius Heclor diclorura Prolectorum ut non fiat dieta dispensano opera ncque precibus scilicet so- lum indigentibus. Itcm dentur et dari debeant facta prius provisione ut su- pra epidimiae , filiabus liliorum dicti Bernardi , et Hibleli de Vernatia , et descendenlibus librae viginti quinque in nativilate Domini, et tantum in fe- stis resurrectionis. Reliqua vero dimidia provenluum locorum sex millium dispensetur et dispensari debeat ut infra. Videlicet quod nolariis et seribis otficiis Misericordiae per dictos dominos Proleclores ullra eorum salarium quod habent ab olTicio Misericordiae , libras cenlum quinquaginta pagarum prò unoquoque eorum. Sub liac tamen lege , et conditione, et non aliter quod dicti Nolarii teneanlur, el obligali sint semper stare in exercitio diete- rum pauperum , et ailministralione , et curare cum omni diligenlia ca quae cedent ad comodum et utilitatem diclorum pauperum dieli oflicii Misericor- diae adeo ut ipsi notari pcrquiranl solliciter bona diclorum pauperum el ipsos pauperes , intelliganlque ipsos egere , vel non egere , qua diligenlia exbibila referant dicto officio Misericordiae inlirmiiatcs , et neccssilatcs eo- rum , ut eis provideri valeant et facere librum unum , a notando omnes pau- peres in primo , secundo et terlio gradu necessitalis , dilìgenler cum eorum familiis distincte, et nominatim-, et qui notarli ofTuii .Misericordiae Genuae ss uon possint , nec debeant babere alìquam. scribaniani nisi scribaniam dicti odicii Misericordiae , nec possinl se exerciiare circa alia negotia, nisi pau- perum, et casu quo se exercitarent , seu lenlarenl habere aliquam scriba- niam, cadant et cecidisse intelligantur a beneficio dictarum librarum cenlum quinquaginta prò quolibet corura , el dicti Protectoics convertant et conver- tere debeant dictas pecunias dictorum riotariorum in usum diclorum paupc- rum infirraorum incurabilium anni illius, et semper quod, et per eos erit contrafaclum avertendo quod dlcli notarii sint bonae famae et honestae vilae, et in electione eorum non possinl facere aliquam operam, et si aliquis face- rct operam n)n ponatur ad calculos , et hoc in onere conscicntiae dictorum D. D. Proteclorum , sed solum advertanl ad conscientiam et famam corum , et si officium Misericordiae non esset de accordio cum Prolectoribus in eli- gendis notariis ; dicti Proteclores dare debeant dictum salarium nolario Hospi- talium , qui diligenler perquirant pauperes, et faciant dictum librum, ut supra cum omni diligentia et annoiare omnes pauperes cum eorum familiis dislincle distinguendo tcmpus, elalem filiorum, et filiarum et ita dicitur de aliis oIBciis per ipsos Proteclores dandis de pecuniis dispensandis, idem quod dicti do- mini Prolcctores habere, et tenere debeant duos mcdicos, el duos chirur- gicos qui teneantur moderi, lam infirnios dicti rcduclus, quam pauperes in- firmos civitatis Genuae, quibus dare debeant prò eorum mercede videlicet dictis mcdicis libras ducenlas pagarum prò quolibet corura, et dictis chirur- gicis libras ccntum prò quolibet eorum singolo, et plus libras viginti quin- que usque in quinquaginta si dictis D. D. Prolectoribus videbitur , et in tempore pestis , prò illis diebus et mensibus , in quibus peslis , ipsa tenebit civitatem teneantur dicti D. D. Proteclores dare duplum dictis medicis , et chirurgis dumraodo serviant, et medantur dictos infirraos dctenlos ab epidi- mia, cavcant dicii domini Proteclores habere medicos et chirurgos bonae conscienliae et famae el bonae scienliae , quorum Proteclorum eorum con- scientiam onerai dictus Hcctor, et quod salaria ipsa solvi non debeant, nisi de sex mensibus in sex mensibus, sex videlicet in fine diclorum sex men- slum, ut ipsi domini Prolectores inlelligere possint si bene deserviunt dictis pauperibus , quod si per rectum , vel indircclum intelligent ipsos aliquid ac- cepisse dictis pauperibus, non solum solvanl salarium dictorum sex mensium, quod habere debebunt ; Videlicet teneantur condemnare ipsos medicos , el chirurgicos in duplum tolius ejus quod cognoverint ipsos habuisse a dictis pauperibus, et sic tenean'.ur cligere dictos medicos, et chirurgicos sub con- dilionibus praedictis, et similiter omnes alios oBìciales, qui in electione eo- rum prestare debeant fidejussorem de ducalis centum de observando in om- nibus ut supra; teneantur tamen dicti Proteclores cligere dictos medicos et chirurgicos ad eorum bencplacitum : memorai dictus tamen Hector, quod ipsa electio non fiat nisi prò annis duobus t.ntum, ci sic successive proni sì bene habebunt , et in casu quo comperiretur aliquem ipsorum acccpissc ab aliquo paupere aliquam mcrccdem , ci lune quod ipsi domini Prolcctores cognoverint , et in vorilale inlcllexcrinl Icncanlur lalem mcdicum, et chi- 24- rurgum privare a (lieto officio nec ipsura possint ellgere usque ad annos sex , teneanlur etìam (lieti domini Protectores in eleelione dieloram medico- rum , et chirurgicorum eis prestare juramentum de obscrvando superius con- lenta , (lui teneanlur medicare omnes pauperes cum amore qui habebunt appodixiam à dictis Protectoribus manu eorum nolani de nominibus quorum dicius notarius lenealur facere unum manuale , de quibus omnibus dicti do- mini Protectores singulis annis teneanlur fieri facere unum proclama , per tolam civitalem alla, et intelligibili voce ad hoc ut dicli pauperes notitiam habeant de supradictis, et quod nil solvere habent, item quod dicti domini Protectores teneanlur accipere unum speciariura , qui serviat pauperibus re- ductis, et prò aliis infirmis cxtraneis cui dare dcbsat per dielos dominos Protectores, ex diells proventibus prò ejus salario libras cenlum viginti quin- que, et in casu epidimiaé usque in duplice; videlicet per eo tempore quo fuerit epidimia, nec non dicius speciarius lenealur manutenlione speciariam quara facere debent dicti domini Protectores, prò pauperibus, et miserabili- bus personis extra reduclum , in qua singulo anno expendalur prò suffragio dictorum paupcrum a libris mille usque in duabus millibns diclorum proven- tuum,et minus et plus in eleelione diclorum D. D. Prolectorum et in eleelione dicli spcciarii, dicli D. Protectores advertanl quod sii bonae famae con- scienliae , et honestae \itae et fidelis et teneant formam in eleelione me- dicorum ut supra. Videlicet, item dicti domini Protectores teneanlur ac- cipere et habere duos advocatos de collegio Genuae, et duos procuratorcs, (juibus pauperibus eonsulent, ac eos defendant, et proteganl, ac luentur a litigiis , et molestiis , quae eis indebile (juovis modo inferrerent usque ad deffinitivam senlentiam plenariam exeeulionem , et in bis pauperibus inlelli- gantur pauperes tam civitatis, quam suburbiornm, ac etiam teneanlur de- fendere dietum reduclum in differentiis , et causis ipsius , quibus docloribus dari debeant usque in libris trecenlis pagarum, et dictis procuraloribus usque in libris centum quinquaginta ex proventibus diclorum locorum prò quolibel eorum sub hac eondilione, et non alitcr quod salaria ipsa solvi non debeant, nisi de sex meusibus in sex mensibus, videlicet in Qne dictorum sex men- sium, ut ipsi Protectores possint inlelligere si bene descrvierint dictis pau- peribus, a quibus dicti doctores, et procuratorcs non possint accipere quid- quam a dirXis pauperibus, conscienliam quorum D. D. Prolectorum onera- mus, et in eleelione ipsorum fiat in omnibus, ut supra de medicis; et fiat proclama omni anno in omnibus ut supra eonlinetur. Item quod Domini Protectores ex dictis proventibus dictae ultimae dimidiae habeant , et habere debeant singulis annis, ac percipianl libras duas mille qui teneanlur et obli- gali sint gubernare, et manulenere pueros, et pnellas dereliclas per eivilate Genuae in cognitione ipsorum dominorum Prolectorum quos pueros guber- nare debeant donec , et (juosque erunt etatis adpiscendi aliquam artem , et lune sii rurae dictis dominis Protectoribus , seu deputandis ab eis habere bonam curam ipsos collocare , cum aliquo bono magislro , et gubernalore sub disciplina unius ex presbiteris dicti redurius aut alierius depulandi ab 2$ ipsis dominis Protecloribus , sii bonae vltac et lioneslae famae qui eos edo- reat litteras, et lionos itiorcs donec venerinl ad dielain e(atem. Puellae vero alantur et giibernentur sub disciplina alicujus mulieris bonae vitae et ho- nestac famae , quae cas insirual bonis moribus , et virlule , quae ad mulie- rcs pcrtincnl doaec pervenerinl ad elalem habilem , aul ingressus icligionis, quo tempore adveniente dare debeant dicti domini Proteclores ad earum maritare eam summam pecuniarum de qua continelur superius in maritalione puellarum pauperum , et ingredi volentium religioncra onerando diclos do- minos Gubernatores , ut caveant ne sint alienigenae , sed civitalis , et subur- biorura , sii tamen in eorum arbitrio si casu venerit aliqua puella foren- sisque deinde fueril destilula, accipere , et connumerare cum aliis de quibus supra. Ilem quod ex diclis proventibus facto calculo per ipsos dominos Pro- lectores , quod adimplelis omnibus praedictis supersint ordinalionos infra- scrlplae voluit dictus Hector, quod dcntur annualim, et singulis annis uno sufficienti magislro, seu fratri ordinis sancii Dominici libras centum diclo- rum proventuum , qui teneantur omni die ferioram legere leclionem unani Filosofiae , seu Theologiae in discretione et volunlale dictorum dominorum Protcctorum, secundum naturam studentium in cappella notariorum civitalis Genuae , qui notarii si recusabunt cadanl et cecidisse intelligantur a bene- ficio elemosinarum , de quibus supra fit mentio. Ilem dentur , et dari de- beant per dictos dominos Proteclores ut supra annualim uni sufficienli ma- gislro , seu fratri sancii Francisci , qui legai quotidie in omnibus ut supra , et fìat in omnibus ut supra secundum ordinationem D. D. Proteclorum. Ilem vult dictus Hector quod singulo mense fiat una pietansa fratvibus sanclae Mariae Annuntiatae seu de Monte ordinis minorum observantiae , prout vi- debitur diclis Protecloribus , et non denl pecunias salvo mitlanl pielansam. Itera aliam sanctae Mariae de Castello ordinis predicalorum de observanlia prout supra. Itera aliam sancii Nicolai de Buschelo , seu sanctae Catharinae et sancii Juliani ut supra. Ilem aliam reduclo pauperum incurabilium ut supra. Item aliam fralribus de Consolatìone prout supra. Itera aliam domina- bus sanctae Mariae de Graliis ut supra , et monialibus inHrmis. Item aliam dominabus sanctorum Jacobi et Philippi ut supra. Ilem aliam monialibus sancii Andreae de Porta ut supra et etiam monialibus infirmis qui domini Proteclores expendcre debeant in diclis pietansis , quantum eis videbitur ; avertendo ne sint plus de libris sexccnlis in anno, et minus si eis placueril, ci ne denl pecunias , sed emi faciant res comestibiles , quas mitlanl diclis monaslerìis prò dieta pietansa , el orent prò anima sua , ila Piani monialibus inlirmis monasteriisGraliarum libras ducentum, el sancii Andreae libras con- lum in refrigeriis, polastrìs et medicinis tantum el non aliler prò speciario Iiaupcrum. Item quod dicti Proteclores teneantur, et obligati sint cligere el deputare unum Sindicum , qui sii homo bonae famae, el honeslae vitae, et bonae conscienliae dedilus ad devolionem , el qui potius inserviat amore Dei quam aliter , et qui habcal et habcre debeai curam dicli reductus , et pnuporura , el quod clcctiones ofTicialium de quibus supra cum oneribus in 26 eis servenlur, ci servari facianl, et debeanl et insislant sìngulis diebus, cum Olimi diligenlia, quod omnes oflìeiales faciant suura dcbilum, et aliis de quibus supra nec nolariis Misericordiae , quod vacent curae diclae scribaniae singulis diebus , et horis , et sollicilent curam in omnibus ut supra dictuni est , nec non ea omnia gerendi fjciendi et Iraclandi quae supra narrala fuerunt , et quod ordo servet prout supra dictum est , et prò mercede ha- bere debeat libras centura Genuae singulo anno , et in electionc ipsius te- neantu^, et debeant dicti domini Protectores legi Tacere ea omnia supradicta quae perlinet ad dictos officiales eligendos , ut delnde sit sibi curae servari Tacere dictas leges , et conditiones ci ordinatas ; inlelligalur eliam ad bene- placitum in omnibus ut supra eliganlur alii officiales, item voìuit, et ordi- navit , ac mandavit dictus Hector quod non obstantibus supradictis cum pri- iiium dieta loca pervenerint ad numerum dictorum locorum sex millium , et faela provisione epidimiae ordinata superius non exequantur , nec exequi debeant , nisi transactis annis quattuor , quibus exactis incipìant providere supradictis ordinatis dicti domini Protectores tam ex diclis provenlibus dicto- rum annorum quattuor quam ex ipsis illius anni quo fiet dieta executio , prout melius videbitur concernere utilitalem pauperum , ita tamen quod semper supersinl proventus dictorum locorum sex millium annorum quat- tuor ut supra , item vult , et mandat dictus Hector , quod facta provisionc de dimidia dictorum locorum sex millium necessitatibus tempore epidimiae , et puellis maritandis , et ingrcdi volentibus rcligioneni , et si facta provi- sione de alia dimidia provenluum dictorum locorum sex millium omnibus singulis superius ordinalis, et provenlibus diclae rei quae dimidiae, id quod supererit primi anni emantur per dictos dominos Proteclores tot loca quot emi polcrunt ex eo quod supererit ut supra quae scribanlur super ipsum in una columna ex parie , et non possinl esse minus de locis triginta , et si non erunt tot proventus in diclo primo anno qui fuerint sulBcienles , dicto- rum locorum triginta supplealur de secundo anno , et sic successive donec luerint empia dieta loca triginta , quae uUo unquam tempore vendi seu alie- iiari possinl, et multipliceiilur de proficuo in capitale per suscrlplum ofli- cium de liii donec pervenerint ad numerum locorum duorum millium cen- tum , quo numero completo Magislralus OlTicium Sancii Gcorgii , quod prò tempore eril , et dictum speclatum Officium de 44 possinl debeant exdebi- tare , et annullare eas cabellas , quae eis videbuntur magis damnosae , et quae offendunt plus civitatem adverlendo ad cabellas viclualium, reliqua vero loca restanlia centura raulliplicenlur de proficuo in capitale donec fuerint loca 2100 per dictum Officium de 44, ut supra et ex locis 2000 desbilenlur cabellae modo ut supra , et sic successive fial in perpeluum ut supra. Item quod facta dieta previsione ut supra si quod supererit ex provenlibus secundi anni emplis prius diclis locis triginta ut supra emantur eliam ex diclis provenlibus quae supererint ut supra, et si non supererint in aliis annis sequenlibus alia loca triginta quae scribanlur in alia columna dicti Hccloris, quae nullo unquam tempore vendi, seu alienar! possinl , et mnllipliccnlur. 27 ci raultiplicari debeant de proficuo in capitale: dictos dominos Prolcctorcs, ci dominos Palifs cominunis doncc fucrinl loca 2000 ci cum | eivenerinl ad dictum numerum nullo modo vendi possint, scd de provenlibus respondea- tur, ci responderi debeat annualira , el singulis annis in pcrpeluum diclis dominis Piotectoribus , ex dominis Prioribus communis qui teneatur, et obli- gati sint erogare in reparatione ornamento ac decore, el amplialione ecclc- siac calhedralis sancii Laurcntii Gcnuae ad honorem Dei, et dccus civilalis; itera facta prius provisione in omnibus ut supra si quod supcreril ex pro- venlibus terlii, quarti, aut quinti anni emantur loca Iriginla, cmptis prius diclis locis Iriginla prò ecclesia sancii Laurcntii, el si non supercrint ex an- nis sequenlibus, quac loca triginta inulliplicentur, et mulliplicari debeant de proficuo in capitale donec fuerinl loca 20C0 per diclos dominos Prolccto- rcs et dictos dominos Pàires coramunis, quae loca duo mille nullo unquam tempore vendi, seu alienar! possint, et de provenlibus respondcalur , el re- sponderi debeai in pcrpeluum annuatim, el singulis anuis didis dominis Pa- tribus communis, qui teneantur, el obligali sinl didos provenlus erogare in (abricatione molis, et expedilione porlus, et ipsis completis in ornamenlis civilalis proul melius vidcbilur. Itera voluit, el mandavil dictus Heclor quod facta prius provisione, ut supra, et emplis dictis locis nonaginla in Iribus parlitis id quod supererit ex provenlibus diclorum locorum sex millium emplis prius dieta loca nonaginta ex provenlibus quarti aut quinti anni emantur loca triginta in alia columna prò descendentibus illorura de Vernalia, aut de suo cognomine, quac loca mulliplicentur et mulliplicari debeant de proficuo in capitale donec fuerinl loca duo mille ducenta per diclos Proleclcres; quac loca duo mille ducenta, nunquara possint vendi, seu alienari; de provenli- bus respondealur, et responderi debeat illis de Vernalia in pcrpeluum an- nuatim, el singulis annis qui lencanlur dare quolibct anno poleslaliae Ver- natiae libras quingenlas et loci Arensani et Cogolcli parroccbiarum alias li- bras quingenlas dislribucndas Inter pauperes puellas marilandas, ci Prolccto- res habcant, el quantum prò locis duobus mi!lU>us, et de locis ducenlìs mulliplicentur, ut infra dicetur, et non aliter. Ilem voluit, et mandavi! dictus Heclor quod facta prius provisione ut supra ex provenlibus qui supercrint quinti aut scxli anni locorum pracdictorura sex millium emanlur ala loca Iriginla super ipsum Ilcclorem in alia columna, quae mulliplicari dcbe;ail de proficuo in capitale per diclos dominos Proleclorcs donec fucrinl loca duo mille, et cura pervenerint ad dictura numerum nullo unquani tempore vendi possint seu alienari : de provenlibus, respondealur et responderi de- bcat annuatim, et singulis annis in pcrpeluum Ofiicio Jìisericordiae qui ha- beant curam de carceralis in nativilate Domini, et in dominica Resurrectio- nis, el de aliis pauperibus civilalis Gcnuae, el miscrabiliLus personis, ci reduclu incurabiliuni annualim librae cenlum prò reparatione. Ilcm voluil, et mandavil dictus Heclor (juod ex locis 2200 illorum de Vernalia, et de locis duccnlum mulli|ilicenlur ut supra pir magnum OlVuium sancii Gcorgii usque- quo erunt loca Iria millia, ci ficcai diclo Ofiicio, quando dicla loca erunl 2« peiventa ad dictum numcrum locorum 3000 lencalur dicluni Oflìcium tenere pMventus annorum quatluor el semper expendeie fruclus maturos, et de fruclibus maturis annorum duorum, el plus si eis videbilur emere debeant domum unam magnam et sit in loco comodo totius civilalis Genuae , et ibi acere studium unum pubblicunij et tenere habeanl ad minus doctores quat- luor in utroque jure, qui duo legant lectiones duas in mane, et duas in vesperis, videlicet lectionem unam in die prò singulo eorum , et nil aliud Taciant quam habere curam de pauperibus civilalis, el sludere semper quod nivitas stet in tranquilla el bona pace et pecuniae se defendanl , el habeanl homincs doctissimus genuenses, aul forenses bonae famae el vilae, ac ti- raentcs Deum, et etiam babere qualtuor medicos doctissimos, qui leganl qualtuor lectiones ul supra de doctoribus Icgum, el etiam nil aliud Tacianl, quam habere curam de pauperibus civilalis, el suburbiorum, et etiam duos bonos magistros grammalicae ac in arte oratoria prò pauperibus civilalis el .suburbiorum el dividanlur dieta salaria per dicium OlTicium de provenlibus dictorum locorum triura raillium de provenlibus maturis ut supra. Item vo- luil, et mandavit diclus Hector quod facla prius provisione ut supra , et emptis diclis loi'is in parlilis ul supra id quod supereril ex provenlibus dicto- rum locorum sex millium annualim, el singulis annis, dispensenlur el di- slribuanlur ul infra , videlicet quod dicli domini Prolectores possinl si iudi- gebunl per necessilalem illius anni victu inGrmorum accipere tertiam partem dictorum proventuum si eis videbilur, reslum vero exclusis L. 900 erogan- das singulis annis in monasleriis observanliae fralrum , el monialium , qui leneanlur, et obligati sinl celebrare missas, el divina officia in perpeluum prò anima ipsius parcntum antecessorum, el predecpssorum suorum, el res- siduum dare, el assignare debeanl Officio Misericordiae civilalis Genuae qui leneanlur eas dispensare Inter pauperes , et egenas personas magis indigen- les in discretione dicti Officii et sic voluit, el mandai annualim, el singulis annis in perpetuum. Mandans diclus Hector quod nuUus Magislratus eccle- siaslicus, et secularis se intromiltere possit, nec debeai de contentis in dieta oblìgalione, el casu quo quovis modo attenlarelur per recium, vel per in- dircclum in alios usus converti dieta loca, et proventus quanlumcumque utile vidcretur quam, ul supra dicium est, lune el eo casu dieta loca cum eorum augmento speclenl, el perlineant prò dimidia descendenlibus illorum de linea de Vernatia ul supra ci dividere dictos proventus Inter eos in per- petuum, prò reliqua dimidia Officio Misericordiae civitatis Genuae quod Offi- eium teneatur proventus distribuere, el dispensare inler pauperes puellas maritandas in monasleriis observanliae dlspensas, el casu quod rcduclus in- curabilium non gubernerelur proul nunc gubernalur iuxta ordinem eis da- lum per Magnifìcum Scnatum, eo casu spectel, et pertineal administralio dictorum proventuum dominis Prolecloribus Pammaloni civilalis Genuae, Priori sanclae Mariae de Castello, Priori sancii Nicolai de Buschete sive Ab- bati sanclae Calherinae in absenlia Prioris, ac Guardiano sanclae Mariae di' Monic sive Annunlialae in absenlia ul supra ordinis rainorum omnes de 29 observanlia cui dare debeanl librae cenlum dictorum provenluum, et lanlos paiinos prò eorum capis annualim, et singulis annis in perpetuum prò eo- rum mercede, et amore Dei, ul orenl prò eo, et qui Prolectores Pamma- lon. mi agere, gubernare, seu administrare possint nisi de Consilio diclo rum Priorura, et Guardiani , seu duorum ex eis, et non ali ter nec alio modo, ad dictamen sapientis qui possil predicla omnia fortificare quantum erit pos-' sib.lc augere, et diminuire in beneficio t.mon pauperum infirmorum, et mi- serabilium personarum. Aclum Genuae in coairala Porlae Auriae in reductu infirmorum incurabilium videlicet in mediano dicti reduclus in quo f.t scriplo- rium, seu scamnum prò agendis negotiis ipsius, anno Domini Nalivilatis millesimo quingentesirao duodecimo indictione secundum Genuae cur- sum die sabbati decima sexia oclobris in vesperis, presenlibus P. Jacobo de Casiiliano Rectore dicti Hospiialis, et Vinccntio de Pistoia q. Laureniii testi- bus vocatis specialiter et rogatis , videlicet et prout ex ipso Testamento in- fillato in foliatio columnarum virlule praememorati decreti prefatorum per lllustr. D. D. Protectorum comperarura S. Georgi, prout in Cartulario W. 1602 carte 369 ubi etc. «evisa cum originali dicli anni 1602 per me. Joseph Frugoni. (1) « Non vorrei per altro, che alcuno veggendomi scarso lodatore di certi trovati moderni , mi stimasse poco amico alla civilli del secolo. Della quale IO fo professione di essere amantissimo; ed é per Io zelo del progressi veri che detesto tutto ciò che ammollisce l'animo, rende il sapere superficiale e' veste la rediviva barbarie con un abito di pulitezza. La ruvidezza antica era assa, meno temibile, meno aliena dal vero incivilimento della morbidezza moderna; imperocché una barbarie forte conduce spesso a gentilezza : lad- dove la corrutela mena a una barbarie fiacca ed imbelle, vera decrepitezza delle nazioni, foriera della loro morie. Guai a coloro che ripongono la ci- viltà nelle enciclopedie, e in certe nuove dottrine, che regalano il nome di Ostragot. e di Vandali a chi non ammira le loro inezie! Amo anch' io il vero progresso, ma non, per Dio, il progresso di costoro. Il vero progresso é come l' innocenza della tenera età; I' uomo il possiede senza saperlo, e quando esce di questa beata ignoranza, quando si mette a perorare sopra un tanto bene, fa segno di averlo perduto. Qua' secoli che più avanzavano la civiltà non seppero di farlo; oggi che tutto il mondo chiacchera di progresso é s intitolano libri e giornali da questo bel nome, quanto le speranze e' le promesse rispondano .gli effetti, gli uomini assennati, che tuttavia vivono se sanno. Non si sta già fermo: si cammina, anzi si corre, ma indietro indietro; e il capogirlo fa credere che si vada innanzi. Si può dire delle teo- rulic del progresso ciò che delle poetiche, delle rettoriche, delle estetiche, le .piali fioriscono e recano il bello in arte, quando 1' ingegno é divenuto ■mpotenle a metterlo in opera. Cosi, da che gli uomini si sono avvezzi a camminare a uso dei gamberi . s' insegna I' arte di andare avanti ; e chi sa parlare più a lungo del progresso, beato lui. Se il capriccio dura, si verrà a un punto, che un valentuomo non oserà più pronunziare il nome di prò- 30 grosso senza arrossire; e già ;il di d'oggi chi iic discorro, dee clrconscrì- vere molto bene II suo pensiero, e sequeslrarsi da certe selle, se vuol es- sere udito seriamente dai pochi savi, che rimangono» (Gioberti, Proemio dell' introduzione allo studio della Filosofia ). Nulla di diverso nella vita U Agricola scriveva Tacilo, laddove parlando dei Britanni che si erano da' Romani in lutti i costoro vizj iniziati, ciò dagl' Impe- rili si appellava umanità, ed era parte, e manifesto inJizio di servitil. Non al- Irimenli addì nostri si chiama Cici'(t::a3i'ynf quanto travia l' ingegno, e cor- rompe il cuore. (2) « A ogni modo io tengo la religione cattolica, non solo per una dot- trina comportabile, secondo la benigna condiscendenza dei moderni eclettici, ma per la sola dolala di valore scientifico nelle materie specolalive, la sola rdosofica, la sola capace di ajutarc i [(regressi civili; e nonché considerare come vieti, rancidi, esausti i prin.ipj della teolog'ia antica, gli reputo più nuovi, freschi e fecondi di (pielle teoriche, che s' Intitolano dall'anno in cui si vive. Né mi muove l'opinione contraria , come quella, che secondo 11 te- ner della moda, l'aia luogo in breve a una opinione diversa; finchù di mu- tazione In mutazione, come si costuma, si torni all' antico, e gli spiriti vi si riposino, riconoscendo, che la moda non ha imperio sul vero, e che il vero é tale appunto, perchè antico. Trenta o quarant' anni fa, si voleva an- che pensare e credere alla moda; Il catechismo del 'Volney era sollentrato in Francia al catechismo cattolico. 11 Condlllac, e i suol degni continuatori, se- devano maestri della scienza. Platone, Aristotile, santo Agostino, s. Tomaso, il Leibniz, il Malebranche evano avuti per visionari e deliranti, int'ogni di essere studiati. Indegni perfino di essere combattuti. Ora le veci sono mu- tate, e si ha Platone per assai più giovane e verde del Dcslutl-Tracy, ben- ché lo preceda di 22 secoli , nell' ordine dei tempi ; né vi ha serMiore sì scioperalo, che fuori dei libri elementari, spenda tempo e fatica a combat- tere il filosofo francese. E notisi che qui npn si traila di una semplice vi- cenda di fortuna, correndo fra i due casi questo divario, che i moderni scn- sisli non conoscevano Platone, se non di nome, laddove i moderni Plato- nici hanno piena contezza dei loro avversari; laonde II filosofo Altnicse era ripudialo perché atfallo ignoto, e i sensisti sono si di d'oggi dismessi, per essere troppo conosciuti. Similmente se si avverte alla poca consistenza delle opinioni religiose che sono in voga, e alla impossibilità di trovarne altre più ferme, il rislabilimenlo futuro delle credenze cattoliche in tutto il mondo ci- vile, parrà, eziandio umanamente, indubitato. L' ecleltismo religioso, il ra- zionalismo teologico, il cristianesimo umanitario, e simili chimere, desti- tuite di salda base, svaniranno con quel prestigio di novità da cui vennero avvalorate, e non avranno un giorno più di viputazione e di peso, che i so- gni dei cabalisti, e de' gnostici » (Proemio citalo ). (•'?) Che i beni materiali non sono beni veramente quando non appagano r animo dell' uomo, è una verità conosciuta anche dall' antichità , e Cicerone ne parla cosi : E chi inleiidiam noi che sia ricco'? e quella qualità di rirco 31 in qual uomo la poniamo? In quello, io credo, la cui poss.ssione v lama che il fa agevolmente coìilenlo di un vivere liberale, in quello the non cerca più nulla, nulla appetisce, nulla più desidera. Egli è meslieri che lo slesio tuo animo ti giudiclii ricco, non il parlare degli uomini; che l'animo slimi non marnargli più niente, o che altro non cerchi. Se' tu sazio e contento del danaro che hai, il bene, il comodo; tu se' ricco. Ma se all'opposto per avidità di danaro non reputi turpe niun guadagno — se ogni dì tu fraudi, inganni , chiedi , palleggi , togli , rapisci — questi sono eglino segni d' un uomo che abbonda, o d'un bisognoso'? Oh che l'animo dell'uomo dee ap pcllarsi ricco, non il forziere: quantunque questo tr^bocihi, fin a tantoché io vedrò le vuoto, non li riputerò mai ricco. — (l) Sappiamo benissimo che ci si opporrà lo stato appunin della barbarie di quc' disgraziati popoli , come un ausiliario pntcntissimo de' bisogni che in loro si sono fatti nascere arlalamenlc per rovinarli , e si vorrà poi ar- gomentare che il nostro paragone è scello poco a prcposilo e si dirà ; non sappiamo se quella citazione leghi bene o male il discorso, per inferirne che noi temiamo mali non possibili ad accadere. Sappiamo tulio questo, ma risponde per noi il Rosmini al capo 22. Fino della società nella sua filosofia della politica pag. 470 e 4-7!, Milano novembre 1839. Udiamo : « Non così nel mondo fallo cristiano: quella quantità di luco alliva che l'umana malizia di conlinuo \ien logorando, di continuo altresì si risarcisce da nuova luce so- pravveniente, e luce d'un indole sommamente attiva. Quanto v'ha dunque di malvagità nel cuore umano travalica gli anliihi suoi confini, gli 0 conce- duto uno spazio del tulio illimilalo; come d' altra parte è pur conceduto uno .spazio illimitato alla virlù ed al merito. » « Solo queste considerazioni possono rendere ragione di quella lolla terri- bile, incessante, veramente giganlea, che serve nel mondo cristiano fra il principio delle ten'bre e quello della luce: il primo, cosa singolare! trac il nutrimento che lo mantiene costantemente in \ita dal secondo, ond' egli par che rinasca dopo eslinlosi pur negli sforzi del combaltimenlo. Queste mede- sime considerazioni rendono anche ragiono di tulli ì progressi dell' industria e del commercio de' tempi moderni ; pe' quali progressi or i popoli imbal- danziscono senza timore, quando le nazioni antiche vivcano in gran sospetto di tali incrementi , ed i loro uomini di st.-.to più perspicaci li di ploravano. 11 sentimento di coraggio proprio delle moderne nazioni ( esclusa la bal- danza) è ugualmente ragionevole come il sentimento di timore proprio delle nazioni antiche; qu.'lle si senlon forti e capaci di lottare centra la malcri.Tle corruzione, senza morirne; le pagane erano troppo consapevoli, che la loro esistenza non polca durare , quando stala fosse assalita dalla mollezza che .seco adduce il lusso. W perciò si creda, che nelle moderne nazioni il lu.sso non apporti i daimi stessi e la stessa corruzione non adduca , che adducoa nelle antiche; la dilTcrenza si è, che i danni del lusso nelle nazioni moderne son di conliimo risarciti dall' azione saluberrim.i del Cristianesimo ; onde la maliillia già disperata trova nelle credenze cristiane un farmaco prodigioso. 32 che le impedisce d' arrecar la morte, operando all' insaputa delle nfzioni stesse. Le industrie dunque ed i commercj, e le delizie de' lussi ora feriscono parzialmente le nazioni , hanno anco virtù di scompigliarle ed agitarle, ma non più di levar loro la vita. Quindi s' é reso possibile un contìnuo prò gresso in cotalì cose : si sono resi possibili tutti i vantaggi materiali , che da tali avanzamenti ritrae la società umana. Verissimo : le nazioni se ne in- galluzzano: mettonsi al disopra delle nazioni antiche, già stimate rozze, po- vere, dispregievoli , e l'orgoglio de' secoli che si succedono va crescendo: il nostro , davvero che sembra al tutto uscirsi de' gangheri pel tripudio di sen- tirsi da' suoi tigliuoli denominato il secolo del vapore e delle strade di ferro; ma linalmenle i vani invaniscono , e i buoni godono di tutto il bene , on- decchessìa egli loro provenga. » La quistione pertanto per gli uomini che re- golano le società civili sì riduce assai semplice : qual nome si convenga a colui che si divertisse a ber veleno solo perché sa di aver pronto 1' anti- doto. L' ammiraglio francese che prese pochi mesi fa possesso in nome della sua nazione delle Isole Marchesi , conchiuse un suo rapporto con dire che per assicurare quel possesso bisognava destare dei bisogni negli indìgeni ! Qui potesl capere captai. (5) La modestia dì quella nobilissima Dama , ci vieta dì scrìvere il suo nome; e questo solo mostrerà a chi sa intendere quanto dovrebbe giusta- mente venire divulgato per vergogna di molti, che non contenti dì non far nulla cercano pretesti a non fare , per incoraggiamento dei tiepidi che te- mono ì sarcasmi dei tristi , e per meschini indebiti rispetti meno operano di quello che pur 1' animo loro non costretto vorrebbe; diremo solo come quella lotteria fruttasse agli Asili ben Ln. 4371. 50 ed era tutta formata da doni di al- tre nobili signore; tanto può un buon cuore, un esempio ! — Neil' alto di chiudere queste note sì è venuti in cognizione che a Milano i R.mi Giulio Ratti Prevosto dì S. Fedele, e Canonico Ambrogio Ambrosoli hanno aperto un Asilo Infantile di paganti presso 1' Asilo dei poveri di S. Francesco dì Paola , dove sì pagano sette zwanzighe 3I mese per ogni allievo ; e trovan- dosi già oltre cento ragazzini figli dì ricchi signori e della primaria nobiltà di Milano ivi raccolti, si pensa ad aprirne un nuovo. Le lezioni date ai bambini paganti sono bensì separate da quelle dei poveri , ma sugli stessi metodi ; ed hanno ricreazione comune i bambini d' ogni condizione : gli avanzi delle somme esatte dall' Asilo dei paganti è annualmente versalo a soccorso degli Asili dei poveri. ■ -o^^€^ ■^CS»° -96^^^ -a^Cg»- -«Q^»' •>##» -f^d^ -m^^ -^^i^ ■■>^^> IMOYO TEOREMA GEOMETRICO Se si prende per divisore la qiiarla parie di un lalo del quadrato la potenza seconda della diagonale è 32 e la radice di 32 , quantità complessa > è 5 -^ unità. * DIMOSTRAZIONE Essendo che 32 ^, potenza 2.''" di 5 -y^, sta a 32 come \ •;j^ sia a 1 . Volendo ridurre il ter- mine 1 + — ad essere 1 si faccia la proporzione A JL . 4 . . 12_ . 12. 12!! 2ÌL loo 98 * kVl '• * • • 49 • 49 • • 49 "49 ' ' "gìT ' 99. Questa proporzione è la stessa in tutti i suoi membri, poiché moltiplicando i due termini estremi il loro quo- ziente è uguale a quello dei due medj. Prendansi i termmi -^ e ^ e si moltiplichino tra di loro, i di- • • 1 9800 , j 1- Visori SI ha -r— per potenza seconda di una unita , r> J I- or, . > 9800 or, 313600 e per potenza 2.'''' di 32 umia - x 32 = — — di cui la radice '^ = 5 gg radice di 32 quantità u coriiplessii. Ma se quesia quaniiià complessa si riducè ad esseie qiianiità semplice , sommando insieme i due • < 100 98 198 lermmi -^ e gg facienti -^ che divisi per metà re- siano gg di cui la potenza 2.^* e -- per una unita, ■jr, . . 313632 ,. . ," ,. e per 62 unita —^^ di cui la radice e irrazionale. Da ciò ne segue che se la quantità 32 si considera come quantità complessa ha per radice 5 r^ e se si considera per quantità semplice la sua radice è irra- zionale. Ciò posto resta a sapersi se la quantità 32, potenza 2.'''' della diagonale, per rapporto al lato, sia quantità complessa, ovvero quintità semplice. Pertanto affine di poterlo conoscere si osservi il triangolo ACD d' una figui'a che abbia per ipotenusa la diagonale AI) e per cateti i due lati 4 e 4 unità , e chiamisi V unità per a. Ora se il vertice D del cateto DC resta im- mobile, e l'altra ^tremità C si fa trascorrere sul cateto AC, giunta in B tre quarte parti di AC, que- sto lato avrà acquistalo una unità di più, e se si tira la DB si ha il triangolo BCD , di cui la base è 3rt l'altezza 4rt e l'ipotenusa 5a, e l'unità « è il suo divisore. Proseguendo a far trascorrere l' estremità C sul cateto AC, questa giunta in A formerà un secondo triangolo di complemento ABD. che uniio al primo triangolo BCD compie il triangolo ACD. Ora siccome i due cateti BC CD del triangolo BCD, per divenire i cateti AB CD del triangolo ACD hanno preso l' au- mento di ^-.j cosi anche l' ipotenusa BD per divenire r ipotenusa AD prende anch' essa l' aumento di ~^~, e 5 diviene 5 |- ed il divisore di BD resta a, e quello di AD diviene « + , , perciò il divisore del tiiango- 35 lo BCD resterà a , e quello del triangolo ABD sarà « 4-7. Quindi questi due triangoli, che hanno un diverso divisore non possono amalgamarsi , non pos- sono essere quantità semplice , e sono di sua natura una quantità complessa di due termini. Per ciò il quadralo della diagonale 32a non può essere quantità semplice, e non potendo essere quantità semplice, . , . , , , 3l:)C!)0 conimua ad essere quantità complessa uguale di cui lu radice -^ è uguale 5 ggrt, radice di 'ò2a quantità complessa. E siccome la diagonale del quadralo è uguale all'ipotenusa del triangolo ACD, cosi 5 „„«, sarà radice della potenza 2.''* dell'ipotenusa 32a, e sarà anche misura della diagonale. Da ciò risulta altresì, che quando il quoziente della potenza 2.''* di uno dei due cateti , uguali fra di loro, è minore della metà del quoziente della potenza 2.*^* dell' ipotenusa , quantità semplice , come nel sovra espresso caso, in cui quello del cateto è \Qa, e quello 32 dell' ipotenusa è 32 + • a, allora il cateto è di ' 313600 sua natura incommensurabile , cioè il cateto e l' ipote- nusa non possono avere , e non hanno un comun di- visore, e che per rendere l'ipotenusa commensurabile col cateto conviene dividerla, e formarne una quantità complessa di due termini, de' quali il quoziente della loro potenza 2.''* sia duplo di quello della potenza 2.''' del cateto. Ciò che dimostra che quando i cateti sono inconiuiensurabili coli' ipotenusa , non è vero che il OC8C8aC«D non i secondi per non aver voluto riconoscere e in pace portarsi le mende svelate ne' parti del loro ingegno : ma eh' io sappia , né gli uni mo- strarono ancora che le cose per me lodate fossero cattive, né gli altri, che le biasimate fossero buone: ciò non pertanto non voglio attribuirmi in tutto e per tutto la ragione ; perché se r essere mosso dall' amore dell' arte ti fa men facile all' errore , però non le ne salva intieramente; e se è debito di tulli cercare la verità, non è dato a tulli rinvenirla; e sappiamo che così difHcil arte venne saggiamente rappresentata dal Bruno sotto r immagine d' una caccia dove molti cercatori si affaticano , e a pochi fortunati è concesso cogliere il frutto delle loro fati- 65 che : onde con riconoscente animo mi stringerò a colui , il quale, mostratomi l'error mio, mi dirà con umanità fraterna: mala via tieni ! Quindi non esito a nuovamente avventurare il mio parere sulle poesie del sig. Celesia, teste pubblicate col titolo conve- nientissimo di Canti — che veramente lirica poesia sono ove tu miri alla loro estrinseca forma, ed altamente lirica se poni mente allo scopo morale , patrio e religioso con cui furono dettati. — Ognuno che imprenda a degnamente poetare deve, quasi di necessità, avere gli occhi e la mente rivolti alla face dell'età di mezzo, al gigante che comprende quanto ha di grande e di nazionale la nostra poesia ; a Dante — principio dell' italiana rigenerazione , Omero del tempo moderno. — E il Celesia , ad esempio di que' greci tragedi che andavano a sacrificare sulla tomba di Eschilo, derivò la sua poetica inspirazione dal nostro Alighieri , a lui sacrando i primi suoi versi. L'ignoranza fruttataci dalle nordiche devastazioni, e l'avvi- limento d' Italia hanno un termine nel massimo Ghibellino. « Un Grande sorse, e col divin suo canto Scettro ti rese e maestà novella, L' alto scettro dell' arti e del pensiero. Traeva l'orbe intiero Sonni codardi , ed Alighier scendea A mostrar quanto in questa terra uom possa. Da tanta man riscossa S' alzò dal brago , e la corona assunse L' itala donna. Salutar la stella Di sua gloria fra i turbini dischiusa L'ombre degli avi e le virtù latine; Povera e nuda il crine Parve a que' raggi di Maron la musa : J E a te che sveli d' un Iddio le impronte. Curvò la vinta antichità la fronte. » Il ristoratore dei danni dell' umanità non polca andare esente dalla sorte innitta quasi sempre quaggiù ai gcnii straordinari!. Colpito dalla pena d' esigli.o conobbe quanto sa di sale 1' altrui pane : ma tetragono alle ingiurie degli uomini trovò più rigo- gliose forze in mezzo alle persecuzioni, e pose mano al Sacro Poema: ma qual prò facciam noi di tanta sapienza? " te il ciel cortese Non serbava al lorpor di neghittosi Secoli, e intento ad azzimar le chiome «G Non vedesti lu , o Porle , il bel paese Che dai Perniili nembosi Al mar s' adima. » E affinchè la giusta rampogna fatta a' figli degeneri non fosse senza qualche consolazione, più sopra cantava: « su i templi 1 ener.Tti e V are Si distese la man de lo slronicro; Pur tu ci avanzi ; al tuo sepolcro intorno Sta la speranza delle Ausonie genti : E da tua polve la virtù smarrita Attende il soffio di novella vita. » Se questa del Celesia non è maschia e moralissima poesia, non so quale possa essere: però non saprei se, a non dipar- tirsi da quanto ne sentiva lo stesso Dante, sia delicatamente detto quel — Povera e nuda il crine — parve a qiie' raggi di Maron la musa. — Quel Maron che l'Alighieri venerava come Duca e Maestro ! E alquanto disputabile sembrami quel punto di storia che il Ceiosia diede come svolto, laddove dice che Dante: dall'onta delle sue catene — ei lo scuoteva (il natio pae- se ) dicendo — sacrala ragion del brando. Io non pretendo giudicar di cose tramandateci dagli storici contemporanei, in- volte nelle tenebre del mistero, e che per molti moderni lo sono tuttavia; ma non so come Firenze potesse sperare libertà da coloro che l'alta Italia tiranneggiavano; forse nella mente di Dante parte Ghibellina vestiva qualità più innocenti, lascia però sempre luogo a ripetere quello che ne scrisse il Foscolo : « Esalta (Dante) il diritto imperiale in guisa che riesce impossibile ad esercitarsi; e mentre adula la vanità di tutta 1' Italia, la sua teoria ripugnando allo stato dell' Europa in que' tempi , e alla natura invariabile delle cose, non poteva parere né pure a' nemici suoi, se non una delle speculazioni innocenti, frequentissime anche a dì nostri, che ti promettono di ridurre a non muta- bile felicità questa terra, con ogni futura generazione delle sue bestie umane e ferine, e la lasciano andare, com'è andata, ed andrà: JSlerno percita molu. » Gran temperamento a' mali di questa vita è certamente la Donna: un'anima che si apra a' dolci sensi d'amore innocente, e possa nell'amorosa contemplazione fruire l'oggetto amato, può dire, a buon diritto, di vivere la vita di un Angelo: infelici coloro i quali, accostando il labbro all'avvelenato nappo di Circe, di questa sublime passione non giistano che la feccia ed il fango. 67 n Stolti ! ci non sanno qua) tcsor sia chiuso In cor di donna o di gentil fanciulla, Sebbene avvezza a la conocchia e al fuso ; 0 d'una madre che il fìgliuol trastulla, E del lattante ad acquetar le voglie , A studio siede dell' amata culla. Non san qual ansia di pudor s" accoglie In scn di sposa o di donzella amante. Allorché il cinto verginal discioglie ! Queir affetto non san quanto é costante Più che morte, e qual fiero alito spira. Allorché posta in un tremendo istante Di se slessa maggior , 1' aura respira D' odio, e il tumulto del riscosso affetto. Angiolo neir amor, tigre nell' ira — ecc. » Le ultime due terzine, che servono a spiegare la forza dcl- l'affelto in cuor di donna, mi sembrano colorite con tinte troppo caricate, e tutti i vezzi, clie adornano la femminile immagine, e le soavi illusioni, nella mente nostra eccitale, finiscono in questo spirare del fiero alito, nel respirare V aura d'odio che ti fanno spavento. So che una donna, o madre o amante, posta nel pericolo di perdere la cara prole o il diletto consorte, farà prove di coraggio grandissime: ma qui, occorrendo dipingere quanto la donna ha in se di bello e divino, n' avrei escluso il terribile e il ributtante; oitreciò non saprei come si possa re- spirare il tumuUo del riscosso affetto. La donna oltre all'essere oggetto d'amore, potrebbe e do- vrebb' essere stimolo ad opere generose. « Belle son le tue lìglie , itala terra , Belle come il tuo lucido zaffiro , Belle quai fiori che 1' aprii disserra. Ma sol odo di molli alme il sospiro; E Cunizze, e Francesche in dolci affanni , Ma non Lucrezie, non Virginio io miro. Quinci aspri e rei per noi si volgon gli anni , Quinci più saldi del servaggio i nodi , Quinci tronchi all' antica aquila i vanni. Itala donna , a te favello ! ah I m' odi ! Sprezza chi sensi di viltà li desta ; Sicno i tuoi baci il guiderdon de' prodi. Come r aura di maggio i fior ridesta , Tu crea ne' petti di virtù faville , Si che f itala gloiia erga la testa. G8 Alla potenza delle tue pupille Non Brunetti , non Facci , o rei Bcltrami , Ma Curzii e Bruti sorgeranno a mille. E r uom li vegga generosa , e t' ami ; Che in te 1' eterno Creator cotanta Virtù ponea , perché da te si chiami. Fa che degli avi la semenza santa In noi riviva , che beltà comparte Piil i raggi suoi, se di virtù s' ammanta. Lasso I e forse di sogni orno le carte : Forse d' accesa fantasia sull' ale Dal nudo vero il mio pensier si parte; Troppo é la donna creatura frale , ecc. » Gli ultimi quattro versi esprimono nel Poeta un pentimento che distrugge gran parte dell' efletto prodotto nell'animo nostro dall'elogio della donna; e non vedo ragione che lo giustifichi; forse il Celesia temeva d' essersi lasciato portare troppo dal- l'entusiasmo, ma si ricordi, per sua difesa, che il detto nelle or ora citate bellissime terzine non è, in gran parte, che pura storia, ciò che è stato può essere! Onde prendo occasione di rallegrarmi seco lui che il suo canto sulla Donna non sia stalo solamente dettato da una trepida adorazione pel sesso gentile, ma da un pensiero grande e generoso ! ! Delicatissime sono le ottave sulla Rosa; massime laddove tocca degli amori delle piante: peccato che, mostrando conoscere i singolarissimi imenei della Vallisneria, non abbia speso alcuni versi a descriverli — Questa pianta maravigliosa, i maschi spa- dici rompendo, feconda I fiori femminei giacenti sulla super- ficie delle onde, i quali fiori, tosto fecondati, sommcrgonsi mercè dello scapo che spiralmente si ravvolge, e dentro V acqua at- tendono alla maturazione del frutto. Il canto ad un Angelo è figlio d' una tenera e religiosa malinconia, e mostra la bontà di cuore di chi lo dettava. « Al tuo santo delubro in voto appesi Un fior che 1' aure del Signor nudriro : l'n dolce nome a benedirti appresi Dal dì che al pianto gli occhi miei s' aprirò: Le notti , i giorni in adorarti spesi , Fu tuo il mio primo vcrginal sospiro . . . Or mi francheggia, o Serafin cortese, Securo all' ombra del divin palvese. » Poco prima aveva detto — Son' io quel labile giuncheto — Cui fìagclln il furor della (empesla. O per giuncheto intenda giunco , C9 o luogo dove questo cresce, non può opportunamente ricevere 1' aggiunto di labile; non essendo la stessa cosa che flessibile 0 pieghevole, secondo l' intcndinricnlo del poeta. Egualmente dettati da un profondo sentimento religioso sono i versi a Dio e quelli sul Cristo — se non che in qucst' ultimo travedo ripetute molte idee già espresse nella Vestale; e con- simili ripetizioni hanno luogo ogni volta che allude al perduto suo amore — Vero e parlantissimo ritratto dc'nostri tempi sono la Voce in deserto — e l Armonia — e la bile del poeta sembra pascersi di ben altro che di nude e belle parole — soltanto non avrei spregiativamente usalo quel Chiomati bardi; perchè le chiome sian corte o fluenti sulle spalle, poco aggiungono o tolgono al merito e alla virtii del poeta — ciò non fa che ri- chiamarci alla mente la semplice antipatia che si provava una volta pei bafli. L' importanza del libro, che annunziamo, richiederebbe un più lungo esame; ma perchè a far apprezzare la vivace fantasia del poeta e la bontà del suo lavoro, si richiederebbero estratti incompatìbili con le angustie del Foglio, lasceremo di seguitare il Celesia ne' suoi svariati argomenti, toccando in genere qualche cosa del suo niodo di poetare. Nel che parmi senz'altro degno d'encomio, massime se si abbia riguardo al freschissima età sua, in cui suolsi quasi sempre inclinare agli estremi. Egli seppe egualmente tenersi lontano dalla grettezza di chi sci- miotta gli antichi, e dalle fantasticaggini degl'incliti ciurma- dori de' nostri giorni ; non immiserì co' primi , non delirò coi secondi — La via clie batte è la vera e la più sicura , e non avrà certo a rifar cammino con perdita di tempo e con ver- gogna.—Non pertanto da taluni gli venne apposta nota di Ro- mantico', io non entrerò in una disputa oziosissima, perchè in- terminabile: quando la forma è buona, la lingua buonissima, e giuste le idee, lascio ch'altri s'affanni per nudi nomi.— Forse ad alcuni dà pel naso il titolo d' alcuni canti : a Dio ! a una siella '. una Meditazione '. e qua e là qualche concetto che non è del tutto una scolastica reminiscenza! Costoro a vece di con- dannare ogni bello e felice ardimento, dovrebbero riflettere, che, se tali fanciullesche paure fossero state nella mente di Dante, forse non avremmo la Divina Commedia, e se Petrarca ne avesse avuto meno, oltre al suo canzoniere, la lingua nostra po- trebbe forse vantare un altro poema e più profittevole, e più originale. agosti>o chiappori f;ìa«a^o;«-xx«xi«m^«)a«nn«xx«n«;a«)C(«n«n$:o^ anivali di livorivo PARTE II. Livorno Castello. — Epoca V. — Livorno dipendente dalla Repubblica Genovese. Opera del Sig. Dottore Giuseppe Vivoli lo già parlai nella Gazzetta di Genova di codesti Annali Li- vornesi del sig. Doli. Vivoli , e dissi che mi parevano cosa utile e buona non solo a quella terra della quale descrivevano le geste, ma eziandio all'Italia intera. Il sig. Vivoli continua intanto con eguale animo a disvolgere , e narrare i fatti della sua patria , ed il fa tuttavia con discernimento ed esattezza; sicché la lode a lui tributata per cosi nobile fatica non solo non è per man- cargli, ma per accrescerglisi vie maggiormente. Ora giunto all' epoca quinta racconta di Livorno dipendente dalla Repub- blica di Genova , ed io di tempi cosi gloriosi alla sua e mia patria non posso a meno di non dir qui qualche parole; ser- vano queste di sincero encomio all' autore , che tale è il mio animo e fu sempre inverso di esso. Morto Gian Galeazzo Visconti Duca di Milano toccava l'am- pio retaggio ai due tìgli Giovan Maria e Filippo Maria ; il terzo Gabriele Maria legittimato otteneva per disposizione del testa- mento paterno Livorno, Sarzana , Pisa. Questa avea il morto Visconti usurpata agli Appiani , gli Appiani ai Gambacorta , i Gambacorta alla Repubblica. Povera Pisa! I Fiorentini naturali e costanti nemici di essa la desideravano da lunga pezza ; mille fiale aveano tentalo l' iniquo mercato , ma sempre invano ; ci 7t voleva un barbaro, uno straniero per consumarlo. Reggeva Genova 1' anno 1407 in nome del Re Carlo VI di Francia un Giovanni Lemaingre Maresciallo di Hanciquaut , ingegno cru- dele, bizzarro, e tirannico anziché no. Costui nell'inquieto animo accoglieva immoderate cose e la Repubblica avvolgeva in disastrose ed inutili imprese. Due cose di bene le procacciò r instituzione del famoso Banco di S. Giorgio , e il possedi- mento di Livorno. Narrerò in breve di questo. Gabriel Maria Visconti era molestato per la città di Pisa dai Fiorentini, il Banciquaut gli offerse la sua protezione, e n' ebbe in guiderdone Livorno. Questo essendo dato in compenso dei futuri ajuti genovesi che avrebbero difeso il Visconti dalle mo- lestie Fiorentine dovea certo essere proprietà e mercede della Repubblica, ma il Francese allegò invece una sottil distinzione tra' doni privati e pubblici acquisti , si tenne Livorno , e se la Repubblica il volle dovè da lui stesso comprarlo col prezzo di 26 mila Ducati. Il sig. Vivoli per quante ricerche abbia fatte e commesse non gli riusci dì ritrovar l'atto di quella vendila; esaminata a fondo la cosa io credo che niun atto scritto sia se- guito fra le parti , e fors' era ragione il pensarsi da' Genovesi che avrebbero con ciò recato un pregiudizio a' proprj diritti , riconoscendo la proprietà di Livorno dal Maresciallo, mentre egli altro non era che il rappresentante della Repubblica, e in que- sta sola qualità veniva dal Visconti donato. È certo che Ga- brielo Maria non s' induceva a dargli Livorno senza la condi- zione dei soccorsi genovesi, 1 quali ventano ad essere il cor • respettivo , anzi la causale della donazione. I Genovesi conside- rando Livorno come un pubblico acquisto non aveano in tal caso mestieri di altro atto, e i 26 mila Ducati accordati al Go- vernatore francese poteano riguardarsi come un regalo non per riconoscere le sue pretese , ma per troncare gì' indugi che si opponevano ad un legittimo possesso. Senonchè Livorno venuto proprietà de' Genovesi crebbe a maggior condizione. Fin qui non era che una povera borgata ; la Repubblica appena 1' ottenne vi recò le sue fogge , v' intro- dusse la sua libertà; quella terra, nota il sig. Vivoli, assumeva per la prima volta de/finUivamenle la qualità di capitale del Icrrilorio ( pag. 96, 97). A nio' dei Genovesi eranvi instituili gli Anziani, presidio famoso d' independenza , 12 Consiglieri, ed altri liberi Magistrati ; franchigge ed esenzioni in nome del comune di Genova gli accordava il Maresciallo governatore , e n questo col suo governo cacciato , altre molte ne concedevano , e ratificavano particolarmente i Genovesi. Il Capitano inviatovi da Genova , Battista di Montaldo , dichiarava che i Livornesi dovessero godere de' diritti e privilegi tutti de' cittadini geno- vesi , in appresso vi si erigeva una dogana ; laonde io non dirò forse cosa lontana dal vero alTermando, che quella fu la più gloriosa epoca de' Livornesi. Questo vedano coloro che sono accaniti nemici nostri , e si persuadano che dove la Repubblica metteva il suo dominio, ivi libertà e civiltà conduceva seco; che se in alcuni luoghi le fu forza ricorrere a' modi severi, le condizioni degli uomini , de' tempi , degli occulti nemici , e il diritto di mantenere ciò che avea legittimamente acquistato le perdonano il rigore. E poi chi si trova monda la coscienza gittl la prima pietra. Tulle queste cose da me dette il sig. Tivoli scrive con chia- rezza, con diligenza, senza quel tronfio tanto in voga addi no- stri ; non si allontana dal proposito con inutili riflessioni , ma modesto annalista corre la sua via senza perdersi in futilità ; di che devono sapergli grado tutti coloro che amano la vera sto- ria non ingombra di romanzesche fole, non insozzata di vitupe- revoli assurdità. Di una cosa sola vorrei persuadere il sig. Tivoli , e mi tor- nerebbe gratissimo , poiché tengo in onore i suoi giudizj come d' uomo grave ed assennato. Bramerei eh' egli venisse nella mia sentenza circa i protettorati stranieri che ne' tempi del medio evo s' invocavano non tanto dalla Repubblica Genovese; ma eziandio da tutta l' Italia. Era questo un cotal modo di stato introdotto da'Ponteflci, i quali checché ne scriva il Machiavelli, portato più d'animosità di parte che da ragione, erano sa- pientissimi , e preservavano in quella guisa Italia da' barbari. Quando la guerra intestina prevaleva in modo che una fazione, una famiglia, un uomo erano presso ad usurpare la pubblica cosa . allora si chiamava l' intervento straniero ; a questo s' im- poneano patti e condizioni che non si dovevano da lui oltre- passare e violare; tostoché gli oltrepassava e violava, imman- tinenti veniva espulso e cacciato , e per poco non si uccideva chi lo rappresentava , come accadde d' Opizzino d' Alzate in Genova sotto lo stato del Duca di Milano Filippo Maria Visconti , e di Guglielmo d' Ascesi in Firenze sotto il Duca d'Atene. E notisi che potevano invocarsi questi potentati stra- nieri perchè allora non erano venuti a quella potenza in^cui li 73 Vediamo oggidì ; bisognevoli di denaro , correvano alle chia- mate , s' impinguavano a danno delle città italiane , risalivano poscia 1' Alpi scornati , ma poco di ciò caleva loro , lostochè aveano portato via qualche cosa che li compensava dell' ingiu- ria sofferta ; è una storica verità che in quelle terre dove più si chiamarono di questi protettorati si conservò più a lungo la Repubblica, Genova e la Toscana Io provano, dove mai non si ebbero , lo stato fu per tempo il patrimonio di una famiglia ; non trovando questa opposizione vi si assise signora ed asso- luta ; vedasi quanto avvenne della Romagna, della terra ferma Veneta, e di Mantova. E risalendo al principio, se Gregorio III. non chiamava Pipino II in Italia noi saremmo forse servi at- taccati alla gleba de' Longobardi , locchè se sia felice stato la- scio giudicarlo dagl' ingegni civili dell' età nostra ; aggiungerò in quanto a Genova, che datasi questa a Carlo VI. Re di Fran- cia seguitavano ad amministrare la Repubblica gli Anziani , e tutti gli altri Magistrati , quantunque alla venuta del Banci- quaut vi fosse già slata una specie di violazione dei patti fermati , per 1' esatto adempimento dei quali leggo che il Re obbligava tutti i suoi beni sì mobili che immobili con tutti quelli de' suoi successori. E ciò voglio dire non per lodare _le conseguenze fatali che portavano le invocazioni de' dominj stra- nieri , ma per dimostrare eh' erano 1' unico mezzo che si aveva allora per impedire gli eccessi della guerra civile e il principato di un solo. Mi risponderà con ragione il sig. Vivoli essere stato meglio che non vi fossero, ed io sono con lui; ma al mondo non si può voler quello che vince la natura delle umane cose: an- che i rimedi violenti , ed acerbi fanno male , ma non si la- sciano perchè molte volte preservano da immmediata morte. Livorno durò dal U07 al U21 in podestà de' Genovesi ; ne- cessità di denaro per rispingere un' ingiusta e crudel guerra mossa loro dal Duca di Milano Filippo Maria Visconti, obbligò il Doge Tomaso da Campofregoso a venderlo a' Fiorentini ; così pare la verità, se ben si riguarda, che il Fregoso avea oppigno- rala ogni sua masserizia per le spese di quella guerra. Ma Gian Cibo Recco scrittore genovese del secolo XVI, ad onta del silen- zio dello Stella e di Giustiniani , e' induce a credere diversa- mente. Egli racconta che quando la vendita di Livorno venne dal Doge proposta ai consigli della Repubblica levossi animoso in piedi LucaPinelli, uomo di molta autorità e di gran senno, esclamando : Esser disdiccvole il perdere sotto un principe 74 proprio gli acquisti fatti da uno straniero ; alienarli per poco denaro , e colla propria opera crescere la potenza di un po- polo rivale. Ninno dubitare dell' utilità di conservare Livor- no ; che se i casi della patria richiedevano danaro , egli quanti avea luoghi in S. Giorgio gli offeriva alla Repubblica insieme a tutti quelli de' suoi amici ; forse tuttocciò non pareg- giava la somma richiesta , ma bastava al presente uopo della patria senza adottare un tristo partito ; ben sapersi , seguiva egli , che V ambizione e il lusso sfrenato erano due avvoltoj più rapaci assai de' nemici , e dei fuorusciti ; ma bisognava ri- solversi ( e in questo dire accennava al Doge ) schiacciando loro il capo. Infine , conchiudeva , si abbandonasse un così crudele disegno , altrimenti venduto Livorno , si venderebbe Genova. A quel discorso non fé' motto il Doge ; la vendita per quel giorno non si approvò ; venne la notte , Luca Pinelli indarno si attese alle sue case , la mattina si trovò il suo corpo in piaz/.a di Banchi confitto ad una croce con un cartello a' piedi che diceva: Quia loculus est ea qua: non licei homini lo qui . perchè disse cose che non lice dire ad un uomo. Il dì seguente il contratto fu conchiuso , Livorno si vendè a' Fiorentini per 100 mila fiorini d' oro. AVV. M. G. CANALK ^ySi»i»3?8.?Ì?i«!iS8?i^5i?iSi!S*S8i5*5*SiSS.SiS!S!8Si;i8.8i5»!Skf BIBLIOTECA CLASSICA SACRA OSSIA RACCOLTA DI OPERE RELIGIOSE DI CELEBRI AUTORI EDITE ED INEDITE DAL SECOLO XIV. AL XIX. Già fu tra noi favellato con lode di cosi benemerita impresa, alla quale si adopera con solerte diligenza e fine intendimento il sig. Ottavio Gigli. Il buon accoglimento che le è fatto, conti- nua in Roma e in que' luoghi dove la corruzione del buon gusto non ha messo radice , né la lingua de' padri è svergo- gnata dalla bocca de' tigli ; tutte le copie della Città di Dio di S. Agostino andarono vendute , cosi gran parte degli opuscoli sacri che hanno cominciato a fiorire una si gentile collezione. Ora si va intraprendendo dagli editori una novella edizione più magnifica , sicché è giusto raccomandarne l' acquisto ai Genovesi, tra' quali intatto si custodisce tuttavia l'onore delle buone lettere italiane. É vano il dire che quei documenti più pregevoli dell' italica favella si devono conservare da' presenti e studiare, se vogliam pensare dirittamente; e s' è vero che il pensiero per la parola s' informa e restaura , un' altra utilità viene dallo studio di quelli aurei classici trecentisti che si rac- cogliono per il Gigli, ridotti a sana lezione; essendo essi di sa- cro argomento non solo il bello scrivere s' impara , ma il ca- stigato pensare e la buona morale ; però si toglie che i gio- vani attingano a torbe sorgenti per difetto di meglio. In somma non è vero pregio che non abbia questa raccolta ; così lutti gì' Italiani andassero a gara per farne tesoro ; che 7* disv;mircbbe in breve questo turpissimo andazzo di leggere , ed imitar libri di straniera corruttela , sicché Italia è fatta poz- zanghera di quelli. Ma noi non crediamo di meglio raccomandarne la gravità e r utilità , se non qui trascrivendo la lettera che quel vero lume della porpora , e già nostro amalissimo Arcivescovo Cardinale Lambruschini, Segretario di Stato, indirizzava a tutte le Autorità Ecclesiastiche e Civili , perchè volessero farla adot- tare da tutti i Seminar] e Collegj dello stato Romano. l' editore Alle Aulorilà Civili ed Ecclesiastiche, È bene a rallegrarsi che in questi tempi , in cui libri di pes- simo dettato sono per le mani di molti , si pubblichi in Roma una Biblioteca classica sacra , la quale potrà riuscire egual- mente vantaggiosa alla religione ed alle lettere; avvegnaché si trovano in essa riprodotti col candore della nostra vera lingua i santi e sublimi pensieri della Scrittura e de' Padri , ed uniti al flore della italiana eleganza i principj della più sana morale. Nuova attrattiva alla lettura di queste opere viene dal ristam- parsi non come sono , e principalmente quelle del decimo- quarto e del decimoquinto secolo , ma con la collazione dei più preziosi codici della Biblioteca Vaticana che le tornano d'as- sai più corrette ed accresciute. È perciò che io non posso a meno di raccomandare a V. S. IH.^a questa stessa Biblioteca , onde in vista della molta sua utilità voglia Ella adoperarsi a dilTondcrla e proteggerla in tutti i luoghi di sua giurisdi- zione. Con distinta stima mi confermo Di V. S. III."» Roma 10 giugno 1843. Aff."" per servirla L. Card. Lambruschiivi <^n«n^=sn«xxwxx«xc=8a«n«xi(xi[«x)3^«n«]a«xj(«n^ LETTERA CRITICA AD U^ AMICO SULLA NUOVA TRAGEDL\ DEL SIG. PONSARU INTITOLATA LUCREZIA Amico Carissimo Spectalum admissi risum teneatit amici? IIORAT. Giacché tu gentile di troppo e benigno, me nella tua bell'ani- ma estimando più d' assai di quello che sono in realtà , ogni giorno mi sproni a dirli quel che sento sulla nuova Tragedia Lucrezia del Sig. Ponsard, rappresentata per la prima voltala sera dei 22 aprile scorso nel secondo teatro di Parigi, io volonticri v' assento per appagare il desiderio d' un amico sì caro quale sei tu, e incomincio senz'altro. La Lucrèce Tragèdie en cinq acles et en vers par F. Ponsard che menò e mena tuttora per tutta la Francia tanto ru- more , e che fu replicata per più di quaranta sere ( se non erro ) nell' Odeon di Parigi , chi sa sulle nostre Scene se verrà neppure tollerala per una volta soia .... Che dico io mai ? deliro?. ... Ah si, deliro; scusa, scusa non mi rammentava più delia moda. — È lavoro francese e basta. Essa sarà intesa e tutta , e replicalamente ; ed anzi con sommo piacere ad una voce applaudila, e accrescerà in tal guisa nuove fronde alla bella corona , che già cinge la fronte del fortunato Autore : non è da dubitarne: non è lavoro Italiano. Almeno almeno ciò ne servisse ora per 1' avvenire di norma e d' esempio per 78 agire coi nostri fratelli ! ... — Prima però d' entrare a parlarti del soggetto della suddetta Tragedia , devesi osservare s' ella sia veramente una tragedia , e se in buona coscienza e cieca giustizia collocare si possa tra le vere tragedie. Io ne du- bito assai. Io finora ne lessi pochissime; ma però tutte quelle che lessi produssero in me , più o meno pur sempre però, quelli elTetti che notano i maestri tutti in tal arte. Questa air opposto, non solo in me, ma in tutti quelli che la lessero meco, invece del terrore, del timore, dell' odio, del- l' amore, della pietà , della compassione , della malinconia, delle lagrime, produsse il buon umore, la gioja e le risa, e le più grasse risa del mondo: taluni dubitavano persino da prima se fosse lavoro allegorico e berniesco. A provarti ad evidenza che nessuno s'ingannava, bastano per ora questi pochi versi che incominciano precisamente la si famosa Tragedia: « Léve-toi, Laodice, ci va puiser dans l'urne L'huile qui doit brùler dans la lampp nocturne Je vous donnai mon lail sur l'ordre de mon maitre Je marquerait de blanc cette journce heureusc Maintenaut qu'avec soin des lits soient préparés Mais il convieat d'abord qu'un abondant festin Le dispose à dormir en paix jusqu'au matin Oui vous éte a table un merveilleux soldat Voulez-vous que je danse on vaut-il mieux chanlev? Toi ! chanlor de oc son de voix si lamenlable ! Laisscz-moi vous center, Sextus, une aulre fable. » Ecco i più eroici di tutti : « O Brute , trois fois brute ; Jamais coup de balon ne cassa téte d'àne Trois ceuts piéces ! j'aurais trois palais pour la somme Nous composons à deux une folie enliére : » i Da questi pochi versi, e non son già qui tutti, vedi che bi- | sogna, 0 levarla di peso dalle Tragedie, e lacerarne il bel ' 79 fVontispizio, 0 aggiungere alla pnroU Tragedia I' cpitclo ridi- cola, 0 buffa, 0 da ridere, se credi suoni meglio all'orecchio.— Se ne osservi lo stile ond' è condotta,- la melti senz' altro tra le Commedie, o i Vaudville, e quivi sarebbe il suo vero posto.— Ma per non essere tanto severi, e non sembrar fors' anco maligni mentre « Si parla per ver dire Non per odio d' altrui né per dispetto » verso un genio eh' ora ammira estatica tutta la Francia : veda- si e attentamente, se si possa farne a meno di nominarla Tra- gedia ridicola o buffa o Commedia tragica; cosa tanto vergognosa per l'Autore, e che forse attirerebbe sovra di noi il suo poetico, tremendo anatema. — Ma bene osservato e ben ponderato ; r unica ragione che possa difenderlo , e torlo da posto si vile : ed è questa una ragione non sua , ma del caso; è il soggetto che ha impreso a trattare che ha fine infelice, o catastrofe tragica . . . e veramente tragica !'.!.... Non dovendola per questo mar- care coi suddetti titoli, vediamo ora quale trai componimenti teatrali se le può per compassione e per carità concedere. — Non essendo adunque né Tragedia , né Commedia , né Vaudville . ed essendo d' altronde Componimento a dialogo , e famoso il Soggetto; avuto riguardo agli applausi della dotta ed illuminala Parigi, se le metta in fronte il nome di Dramma semiserio; ed è appunto questo nome moderno che le conviene , essendo un lavoro teatrale anfibio sur le dernier goùt de Paris. — Concesso adunque per li motivi suddetti il nome di Dramma semiserio alla Lucrezia del Sig. Ponsard , passo al Soggetto che per se è grande e famoso, e degno veramente del coturno per le passioni e gli affetti che vi debbono campeggiare. Ma il Sig. Ponsard, ond' aver più tratto a parlare, e far la sua tragedia di cinque alti e poterceli regalare lutti completi, incomincia ab ovo; anzi ci fa spettatori di fatti narrati dagli storici , non nella vita e nelle opere di Lucrezia, e della sua famiglia; ma nella Storia di Roma tutta, e del regno Romano. In colai modo tra gli altri fatti, non curando unità né di tempo, nò di luogo, né d'azione; confondendo le epoche col massimo anacronismo: portandoci ora in Roma, ora riconducendoci a CoUazia; men- tre il Fatto all'opposto si presta ottimamente per una Tragedia tanto classica quanto romantica ; v' incastra Valerio che , impa- ziente di scacciare i Tarquinj, va a sollecitar Bruto nella prò- 80 pria casa ond' eseguire alfln la congiura: da qui fa nascere il suo secondo alto, affatto inutile; ma ciò meglio vcdrassi più sotto. — Ne ciò basta all'Autore; ma conoscendo bene se stesso, e il quid valeant hutneri , quid [erre recusenl; aggiunge fatti a latti , macchine a macchine ; nò trovandone abbastanza nella storia si vede obbligato alla creazione, e crea ; e qual perso- naggio mai crea? Una donna , e di qual natura e di quali costu- mi ! E la regala per moglie al povero Bruto. . . Quali situazioni d'affetti, quale interesse ti desta nell'anima una sfacciata Messa- lina ?.. . — Se voleva l' Autore aggiungere personaggi , giac- ché non gli premeva unita né di tempo, né di luogo, né d'azione; e giacché in Roma a diporto ci guida, togliendoci alla vista della casta ed appassionata Lucrezia; non aveva Se- sto una moglie, come dice esso, e una madre, ed una madre tanto scellerata da porgere da per se sola il più vasto campo alla più grande e più orrenda tragedia che possa mai farsi? e non aveva cognate pur Sesto?. . . . — Quanto sarebbe stato meglio per gli spettatori li avesse trasportati in Roma a godere un dei tanti belU festini che egli descrive ! almeno almeno avrebbero veduto ballare le donne Romane; quelle matrone! quelle belle vue ! .... E quali fonti inesauste di situazioni drammatiche, d'affetti e naturali e storici non ne scaturivano invece dalla vera Tullia, e dalla Cognata di Sesto! . . . . — È poi affatto inverosimile che questa sua creatura { Tullia ) , questa vera Messalina si uccida per vedersi abbbandonala da Sesto che la congeda dicendo: « Pour moi, (les Dieax plus doux auronl mes sacrifices. » È dessa un personaggio superOuo anche nel caso l'avesse crealo per far maggiormente risaltare la grandezza e l'onestà di Lucre- zia: Lucrezia è tanto grande che basta a se sola , e non ha biso- gno di nera tinta alle spalle perché più risplenda la sua candi- dezza.—Il fatto principale di Lucrezia in tal guisa, parte per Valerio, e parte per gli amori, e per le smorfie veramente Parigine ed alquanto scandalose di Tullia con Sesto , di fatto principale o soggetto, diventa un Episodio— Né qui sta tutto — Al Ponsard, non bastando ancor tutto questo, e sempre più nel comporre temendo, altri fatti v' aggiunge , ed altri per- soiìaggi egli crea ; e d' effetto teatrale ; ed a mo' di fungo fa nascere niente meno che la Sibilla di Cuma coi suoi tre libri, ed una face in mano che se ne viene a mercanteggiare con Se- 8t Sto onde vendergli le opere sue. V incastra un SuJpizio man- dato dal padre a Sesto, il quale è fatto da costui primo membro nella gran congiura contro Lucrezia; contro una donna! e un Sesto ! e gli dice : « munis-toi d'un glaive ci d'un flambcau , Qu'un esclave le suive, ti qui soil jcuiio et beau » E in cotal modo oltre di togliere la novità della trama e la sospensione nello spettatore che è messo a parte di tutto , di- minuisce pure, e d'assai, il perfido carattere di Sesto; cosa affatto contraria ed all'arte , e alla storia. Ne ciò basta ancora, una Nutrice v'accresce, ed una Laodice ; 1' una per dirigere la fabbrica di maglie di lana , 1' altra per mettere 1' olio nella lanterna da notte. Questo per ora basti su tal proposito: vengo alla Condotta. Dalle premesse cose chiara ne risulta l'idea e la conseguenza, di figurarsela, qual'è, complicata, ma bassa e triviale. — In- comincia l'atto primo e si vede Lucrezia sventurata 1 colla co- nocchia tra le mani in mezzo a gruppi di schiave che tutte la- vorano lana: ti sembra d'essere in un lanificio. — Lucrezia ordina di mettere l'olio nella lucerna col Dialogo veramente eroico-comico dei primi due versi da me notati : « Levc-toi eie. Alla scena seconda arriva il buon Collatino , che tale il dipinge l'Autore, con Sesto, Aronte, Tito e Bruto; e in questa scena ti sembra d' essere nella casa tutto al più di un grosso fabbricante di lana ; 0 , se ascolti Sesto e Lucrezia , in un Salol à Paris. Ordinati Collatino dalla gioja della vittoria ottimi piatti; partono con esso Sesto e i fratelli, e sen vanno a mangiare; e rimane Bruto solo con Lucrezia. In questa scena inutile, ci mostra Bruto qual è. Dico inutile, perchè ci poteva mostrare questo grand'uomo quale nel mostrò Alfieri e gli allri maestri : evitando in tal modo scene necessariamente ridicole. Andiamo avanti che qui viene il bello. Aspettato avendo in- vano i convitati Lucrezia, vengono a cercarla, e trovatala con Bruto; non lei, ma Bruto Sesto riprende, e qui succede la più bella scena della Commedia: scena veramente degna di Goldoni e di Scribe. — L' alto secondo, come già li dissi inutile, si fa in Roma in casa di Bruto: qui vedi Valerio, ch'entra inscena per carità, che li descrive lo stalo di Roma. Questa descrizione 83 0 quesl' alto in inerito sono belli, ma sono il Cipresso d'Orazio, perchè; benché si levassero di peso dalla Produzione del Ponsard, la tragedia non solo sarebbe la stessa , ma camminerebbe meglio d'assai. Questo vicn chiuso colle smorfie, di sopra notate, di Sesto e di Tullia. L'atto terzo, sempre in Roma, ti mostra Sesto con Sulpizio ambasciatore del padre. Sesto, mettendolo a parte della congiura già sopra descritta, gli esibisce tutte le ricchezze onde ribocca il tavoliere che sta sul palco scenico, se lo seconda fe- dele, e lo accomiata schiccherandogli i su descritti versi : « Munis loi . . . etc. Sopraggiunge Tullia , che sentendosi posposta a Lucrezia ed abbandonata da Sesto , disperata si decide a morire. Partila costei ; arriva , né si sa donde , la gran Sibilla : e qui altra bella scena: ti basti questo verso: « Troi* cenls pièces ! J'aurais trois palais pour la somme » Questa scena però, tolte le bassezze dello stile, è mollo in- teressante e finisce mollo bene. Non comprando Sesto per ava- rizia i libri della Sibilla; essa ne brucia due, ed il terzo regala a Bruto che sopraggiunge, e Io saluta primo Console, e qui fi- nisce l'alto. E io credo che , rigorosamente parlando , si debba pur metterlo tra gli inulili. Vien l'atto quarto, ed ecco di nuovo la grand' officina di Collazia ; poiché il nostro Autore non ti sa mostrare la sua povera Lucrezia che in mezzo alla lana e tra le maglie colla conocchia in mane — Forse qualche bella Griselle gli ha somministrali pensieri sì belli e si grandiosi : e chi sa non l'abbia disturbato colla sua bella immagine, mentre slava componendo tant' opera. — Vedi se io m' inganno nei seguenti versi, che incominciano l'alto che io ti descrissi: « Ne laissez pas ainsi pendre en paix vos fuseaux , Jpunes fillf-s; chargèz de laine vos roseaux. Vous qui trcssez le fils en croisant les aiguilles Failes courir vos doigls.; halez-vous , jeunes filles ; Que le maille, ajoulée aux mailics, laisse voir Le tissu dans vos mains s'allongeant cliaque soir. Hatez-vous. Fiiiissons cet Iiabit milltaire. » In questa scena , Lucrezia narra un suo sogno a Laodice il quale, ad eterna gloria del vero, è bello e sarebbe bellissimo se però fosse finito, cioè descrivesse pure allusivamente l'cs- 83 pulsione di Sesto e della sua famiglia nel serpente, che fa spa- rire non discacciato dall'immensa turba, che nàsce dal sangue. Questo sogno è il capo lavoro dell'Autore. É veramente bello, grande, misterioso, poetico, divino. Peccato! giacche non gli premeva il numero dei personaggi, non abbia sostituito per interprete un venerando sacerdote ad una stupida nutrice ; la quale glielo spiega alla meglio. — È bella pure la venuta di Sesto, e la commozione che prova Lucrezia. È poi triviale, bassissima e ridicola 1' ultima scena fra Sesto e costei. Non è naturale quella freddezxa in Lucrezia: è meschino il finale. . . Ma tu dirai che qui parlo e non provo ciò che dico . . . Ma vengo adesso a far questo, che ciò sempre è mio stile, ne' versi seguenti: << Mais voici moti dessein : Rome a bcsoin de bras Un hymen infécond l'appauviil en soldats ; Vùtre sterilite se prétant au divorce , Tarquin a votre ópoux le dicterà de force . . . Tous deux libres alors par un divorce doublé L'bymen refleurìra sur nos amours sans Irouble. E votre Collatin n'est pas à voire taille C'et bomme est trop petit pour remplir votre Cfleur Vous n'honorez en lui que voIre propre bonneur C'est a moi que Tarquiu laisserà son empirò Car je le comprund Pour votre bonneur, Sextus, jc le veux prendre aiii®<>--^>-H3^C>-^S<>-<>i5^>--<>Sc>-<>S?C>-<)^!K>— Offo-^ ESTRATTO DI ALCUNE MEMORIE INSERITE NEL VOL. III. SERIE U. DELLA. RACCOLTA DELLA CLASSE DELLE SCIENZE MORALI ECC. dell'accademia di TORINO PAPIRI GRECI del Musco Britannico di Londra e della Biblioteca Vaticana tradotti ed illustrati da B. Peyron. I papiri che formarono 1' oggetto del lavoro che intraprese l'egregio nipote dell' ab. Peyron, illustratore de' papiri del Mu- seo egizio Torinese , procedono dal Serapio ( tempio di Sera- pide ) di Memfi, e saranno stati per avventura trovati ( così r Autore ) nell' ipogeo appartenente alla famiglia di Tolomeo Macedone .... sono lettere di questi , mentre stava rinchiuso nel Serapio .... Si riferiscono , per la maggior parte , agli anni del regno di Filometore, che corsero fra il 17." ed il 24.°... il loro argomento è affatto indifferente per il comune de' pre- senti .... essi versano intorno a privati diritti di pane e d'olio non soddisfatti dai sopraintendenli dei templi, ovvero intorno ad insulti , o danni ricevuti , ovvero sono lettere al tutto famigliari ; vi è una supplica di uno che dimanda , come grazia, di essere arruolato nella milizia ( che si trascrive qui sotto). 93. Scdecì sono i papiri tradotti del Museo nritaiinico ; 4 quelli del Vaticano; lo scrittore delle incdesime è, come si disse, un Tolomeo, persona privata, pare, che stava in clausura nel tem- pio. Le lettere sono rapportate col testo greco ; segue la tradu- zione italiana, quindi le illustrazioni dell'Autore. Stretti dal dovere di brevità, ci limitiamo a qui riferire una sola di queste lettere, onde presentarne un'idea ai lettori. « Al Re Tolomeo , ed alla Regina Cleopatra sua sorella Dei « Filometori , salute. « Tolomeo figlio di Glaucia Macedone della Epigonia del No- ce mo Eracleopolite. L' anzidetto mio padre Glaucia, uno dei « cognati domiciliati nel Nomo Eracleopolite , essendo morto nei « tempi delle turbolenze, lasciò me ed Apollonio mio minor « fratello ; ora avviene che io mi trovo in chiusura nel gran « Serapio presso Menifi da anni 15 , ed avendo io bisogno che « il detto fratello sia nominalo nella milizia , per esser io privo « di prole , alBnchè io , trovandomi in clausura , possa per mezzo « di lui decorosamente vivere, ed avere soccorso, supplico « Voi , Massimi Dei Filometori , acciocché voi , avendo riguardo « agli anni sovraccennati , e considerando che io sono affatto « sprovveduto del necessario, vogliate a me, che presento questo « secondo ricorso a Voi Dei Massimi Soccorritori, concedere l' in- « dicalo posto nella milizia a favore del fratello, ove lo giudi- « chiate, e rendermi partecipe di quella protezione, che mo- « strale verso tutti i consimili devoli al Dio , scrivere a chi « spetta di ricevere il predetto mio fratello Apollonio nella « bandiera di Desllao, che ha il luogo assegnato in Memfi, e de- « cretargli razione e soldo quanto essi ( i soldati di Desilao ) « ricevono, affinchè vivendo con decoro io possa compiere i « sacrifizi per Voi , e pei figli . pregando che Voi per sempre « signoreggiale quanto paese il sole vede. Ciò fallo, io per mezzo « vostro avrò ottenuto la vita pel tempo sempiterno. Siale Sani. Il decreto regio, a piedi di questo ricorso, diretto al mini- stro , è in questi termini Fate , e riferite quanto sarà. Al decreto vengono dopo diverse note , o postille , per l'esecu- zione del medesimo , di più persone autorevoli ; fissazione della paga in 150 dracme, e tre arlabe di granaglie: di modo che, salva la mirabile concisione delle parole, pare proprio quella 94 riferirsi a' tempi nostri, e alle moltiplici e intricale fila ani- niinistrative di cui la civilizzazione progressivamente ci strinse. L' importanza maggiore di que' papiri consiste nella loro au- tentica antichità; mi fu però grato di osservare in essi 1' uso che in que' tempi face vasi d' olio ricavato da piante erbacee che pare fossero il Sesamo (1), ed il ricino, principalmente, questo solo per le lampade e per ungere. Quello d' oliva , che forse veniva di Grecia, era carissimo; e ci ravvisiamo mi argomento di accordare anche fra noi italiani una grande importanza a tali colture, già si estese all'estero, e riconosciute si profittevoli. CENNI per un nuovo 'programma di completo sistematico insegnamento del Diritto. Del Cav. Gio. Carmignani Grave, ed indecoroso rimprovero ( dice il Sig.Cav. Carmi- gnani ) fecero i dotti della Germania nelle loro escursioni in Italia, allo stato dell'insegnamento del Diritto nella Penisola; questo rimprovero colpì nel tempo medesimo i sistemi, ed i professori , essendosi tacciati i primi come antiquati e restii ai progressi che nella scienza del Diritto distinguevano 1' età presente dalle passate, ed essendosi tacciati i secondi quasi uomini inchiodati nelle vecchie forensi abitudini con vedute ristrette a ciò che il diritto ha di pratico e di usuale, senza veruna celebrità e senza mezzi per meritarla. Questo rimprovero forma il punto di partenza dello scritto del celebre professore. L'Autore, nel suo progetto di rif(jrma dell' insegnamento, non volle essere semplice plagiario, o servile imitatore dell'estero. Egli ponderò con sano criterio tutti i sistemi moderni , quali quelli d'Inghilterra, di Francia, di Germania, Olanda, Russia ec. ed ha principalmente in mira la riforma de' detti studii nell'Uni- versità di Pisa. Nella prima parte del suo scritto 1' A. espone un cjuadro sto- rico de' progressi delle studio del Diritto. (1) Il Sesamo é anche oggidì oggcllo di estesa coltura in Egitto, che, in questi ultimi tempi, ne vende per somme egregie alla Francia, e venne colà col suo prezzo , colla bontà del suo olio a far concorrenza al provenzale olivo. 95 La seconda fa conoscere lo stato attuale dell' insegnamento . del Diritto in Europa. La terza contiene il piano dell'Autore. Stile elegante, soda eloquenza, dovizia di erudizione, mas- sime e principi inconcussi sono i pregi di questa sua critica , o progetto, che sono evidenti anche ad ogni profano del santua- rio di Temi. Nella prima parte trovasi raccolto tutto lo scibile umano sulla scienza legale de' greci e de' romani , quindi dalla scuola Bo- lognese d' Irnerio alle recenti di Kant e di Hugo di Gottinga. La seconda parte dimostra i difetti delle estere università più celebri, sotto rapporto de' programmi loro di studii. 1. Nell'ordine delle cattedre generalmente parlando, nelle università Germaniche il lusso nuoce alla regolarità; esempio ne sia il fatto, come nello studio universitario si ammetta r equitazione e la scherma. 2. Nella qualificazione di alcuni rami dello scibile del Diritto; lo sminuzzamento del medesimo. 3. Lacune di qualche rilievo, così la mancanza in alcune di cattedra di gius commerciale. 4. In alcune , inutili esuberanze: cosi 1' università di Eidelberg accenna 26 diversi rami d'insegnamento; quella di Gottinga 31 ; quella di Friburgo 21; Berlino ne ha 117; Lipsia 39 « Nascerà in voi il motivo di dimandare come lo studio del « Diritto in Germania meni tanto rumore, ecciti tanta mera- « viglia fra noi ? questo grido non è certo dovuto né all'ordine « sistematico, ne alla scelta dei rami dello scibile del diritto. « Esso è dovuto tutto allo zelo e alla celebrità dei professori « che insegnano , e allo zelo e alla capacità degli alunni .... le cause di questa alta riputazione si riducono a quattro, e sono: 1. Il sistema d'insegnamento per la gioventù in generale, e che precede quello universitario, che comprende le più sagge istituzioni d' educazione primaria , cui vegliano gelosamente in Prussia ed in Olanda la Religione e lo Stato. 2. Il metodo il più acconcio per avere negli esami degli alunni un non equivoco segno, o guarentigia di loro capacità. 3. Il favore di cui i governi germanici circondano la carica di professore, 4. I sistemi disciplinari diretti a dare ai professori una salda e permanente forza morale sull' animo degli studenti. 90 Riguardo alla lorza condizione si scorge dall' opera che esami- niamo, che i professori distinti in più classi abbiano lucrosi emolu- menti. I governi di Germania , dice l' Autore , sono penetrati della verità, che i talenti non si comandano, ma s'incoraggiano per averne : a tal riguardo egli accenna come il professore Thi- baut di Eidelberga ricusasse una proposta di trasferta con 20,000 IT. di pensione; lo stipendio fìsso di fiorini 2800 in Olanda ai professori , oltre al riparto di più emolumenti, e di quanto percepiscono dalle lezioni private che danno agli allievi ; le sedute pubbliche di scuola essendo poche per settimana, più di lusso scientifico , che d' insegnamento scolaresco. Per la disciplina fra gli alunni havvi una giurisdizione uni- versitaria fra gii studenti matricolati. Vi è un consiglio accade- mico a lena , per cose di polizia e disciplina. Le punizioni so- no la reprimenda — la multa — il carcere — l'iscrizione nel libro delle punizioni — il rinvio dall' università — ed in casi straordinarii , la relegazione in fortezza. Fra noi, dice 1' A. , la voce del professore priva di autorità e di forza , è vox clamanlis in deserto. L'Autore, nel suo nuovo piano, divide la facoltà di Diritto in 3 sezioni , che chiama Filosofica Giuridica Politica Sezione I. Egli propone la divisione della sezione del gius filosofico in tre parti, relativamcnle all'insegnamento, cioè: J. Storica: indicazione de' sistemi scientifici immaginali su (lucsto Diritto dagli antichi sino ai tempi presenti, la qual parte potrebbe servire di prolegomeni alla dottrinale. 2. La objettiva, destinata all'investigazione dell' indole, e del titolo puramente razionale del diritto proprio dell' umanità, siccome della libertà giuridica necessaria al suo esercizio , e per modo di conclusione di tali investigazioni, la nozione della razionale personalità dell'uomo, d'onde i suoi diritti (naturali) primigeni, incessibili , indestrultibili in qualunque situazione relativamenle ai suoi simili egli si trovi ( come diritti di pro- prietà, della società conjugalc, di famiglia, di trasporto di pro- prietà a varii titoli ce. ec. ) 07 Il tralUilo di inorale niosoflca potrebbe esporre le relazioni , e la connessione della morale col diritto filosofico , col diritto civile privato — col diritto pubblico della città. Sezione 11, di Giuridica, o Giurisprudenza Il Diritto 0 jiis filosofico indaga la genesi razionale de' diritti da individuo a individuo; la morale, 1' alTcttiva genesi de' do- veri ; ma 1' autorità di giudicare è tutta di origine sociale e politica. In questa sezione si tratta del Diritto civile, si parla dello scopo dei giudizi che è il far giustizia ai diritti e ai doveri da indi- viduo a individuo. Si tratta del diritto Romano — del Diritto civile applicato al commercio — alle arti o mestieri — all'agricoltura. Del Diritto canonico. Sezione III. Polilica Le due precedenti sezioni ( filosofica, e giuridica ) si rag- girano sui diritti e sulle obbligazioni da persona a persona , da persona a famiglia , da famiglia a famiglia. La sezione politica contempla ed espone i diritti e le obbligazioni fra individuo, o famiglia e la società; quelli fra i governanti e i governali; tra amministratori e amministrati, tra' cittadini e il sovrano. Questi diritti e queste obbligazioni sono relativi alla sicurezza pubblica, 0 relativi alla pubblica prosperità. Vi si comprende il Diritto pubblico ( che ragiona de' diritti e delle obbligazioni tra il cittadino ed il sovrano) e comprendo le leggi penali e di polizia; quelle amministrative; l'economia pubblica; la statistica. I poteri, secondo il Diritto pubblico, sono due ; il legislativo, e 1' esecutivo : quest' ultimo si parte in tre rami : proprio — r amministrativo — il giudiziario. II Jus delle genti, propriamente non è che la morale o diritto della natura applicata agli Stati , e la massima fondamentale è «lucila di farsi il più di ben possibile in pace, il meno di male in guerra. Il Diritto criminale, a differenza del Diritto penale, comprende non tanto la cognizione de' melodi repressivi , quanto de' prc- 98 ventivi necessarii od utili a proteggere gì' individui e la società dalle offese e dalle infrazioni che agli uni e all' altra muiac- ciano le passioni nemiche dell' ordine ; la denominazione di Diritto convenendo ai legislativi provvedimenti, che, coli' afflig- gere r autore di un offesa , tendono a reprimere in altri la tentazione ad offendere. DEL LAVORO DE' FANCIULLI NELLE MANIFATTURE Disseriazione, di circa 100 pag. del C.'<= Petiti ouest' opera, piuttosto che una memoria accademica, può dirìi un vero trattato sulla materia , ove si fa conoscere tutto quanto fu in proposito scritto, detto, fatto, o detcrminato da. governi ne' diversi paesi, nelle diverse epoche; e corredala di utili e nuove vedute, con continuo sfoggio di erudizione, dot- trina e sano criterio. Egli ne conchiude, che anche fra no. e ragguardevole il numero de' fanciulli impiegati nelle manifat- ture, i quali sono soggetti ai mali o danni sanitarii e morah descritti ncir opera , e di cui i lettori ebbero al certo ad avere contezza dai pubblici fogli , all' occasione della legge sancita a tal uopo ultimamente in Francia. Nella provincia di Chiavari , annota 1' Autore , si contano da circa tre mila operai lavoratori alle case loro in tessuti d. lana , cotone, e seta, e specialmente in velluti. Circa 600 di essi sono fanciulli de' due sessi ; inoltre vi hanno moltissimi fanciulli , anche dei due sessi, dell'età dai 12 ai 15 anni, occupati ai la- vori delle cave di ardesie, e di cui. affetti da malattie polmo- nari , ne muore gran copia. Le 900 filande de- R. Stati impiegano, dice l'egregio Stati- stico, 39,535 persone, di cui soli 3000 maschi, e 18,200 sono fanciulle ( producenti Rub. 534,720 di bossoli filati ). Il seguente quadro, merita, parmi , di essere riferito in que- sto genovese Periodico ; benché ristretto a tre sole specie di manifatture, ci porge un' idea dello stato di nostra industria. 09 Quadro Sinollico degli operai nella provincia di Genova MANIFAT- TURE di OPERAI FANC ICLLI ORE di lavoro al di NOMERÒ delle fabbriche Maschi Femmine Maschi Femmine Seta. . . . 90 100 18 20 14 20 Lana . . . 270 330 80 100 12 14 Cotone . . 1000 680 150 92 13 70 Totale, in tutte le provinole non compresi i lavoranti a domicilio Seta. . . . 4859 10046 881 1838 n 590 Lana . . . 3389 1562 680 495 » 62 Cotone . . 7935 16951 1500 3292 » 312 Termina col descrivere le malattie e la decadenza della po- polazione generata dal soverchio e precoce lavoro de' fan- ciulli , e prova che anche fra noi una provvidenza a tal uopo è necessaria. Quest' egregio lavoro dà fine al lavoro delle Memorie del- l'anno 18il dell'Accademia nostra delle Scienze. L. Z. QUAGLIA SAGGI DI CIUMI€A MINERALE ED ORGANICA (Continuazione e fine) La forma e condizione in cui i corpi appariscono all'occhio corporale, il colore, la trasparenza, la du- rezza, ecc. le loro così dette fisiche proprietà , sono slate considerate per lungo tempo come dipendenti dalla na- tura de' loro elementi , ossia della loro composizione. Lo stesso corpo non si poteva immaginarlo pochi anni Fa in due slati differenti, ed era in certa guisa stabi- lito per principio, che due corpi i quali contenessero gli stessi elementi, in uno stesso rapporto di peso, dove- vano di necessità possedere le stesse proprietà. Come sarebbe stato altrimenti possibile che i più profondi filosofi potessero immaginare e sostenere 1' opinione, che la chimica combinazione è una compenetrazione, e la materia divisibile all' infinito. Giammai vi fu errore più grande. Se la materia consistesse in fatti di parti- celle infinitamente piccole , sarebbe imponderabile , ed un miliardo di queste poriicelle riunite , non avrebbe un peso maggiore d' una sola di queste parti piccole all' infinito. Le slesse particelle della materia impondera- bile, che irovansi in movimento, e che pur tanto prò- tot ducono sulla nostra retina l' impressione che , giunta air intelletto , apparisce come luce , a rigore matema- tico, non sono piccole infinitamente. Una compenetra- zione de' principii al formarsi d'una chimica combina- zione , presuppone che nello stesso preciso luogo pos- sano trovarsi i principii A e B. , e quindi proprietà disuguali, non sarebbero possibili con eguali compo- sizioni di elementi. Come tutte le opinioni di fdosofia naturale de' tempi trascorsi, così cadde anche questa, senza che alcuno si prendesse nemmeno la pena di sostenerla. La forza della verità, quale risulta dall'os- servazione, è irresistibile. Si scoprirono nella natura organica una quantità di combinazioni, che possedevano proprietà affatto differenti, ad onta d'un" eguale compo- sizione chimica. Esse hanno ricevuto il nome di corpi isomerici. La gran classe degl' olii volatili , a cui ap- partengono , r essenza di trementina , di limone , di balsamo copaire, di rosmarino, di bacche di gine- pro, ed altri così differenti pel loro odore, i loro effetti medicinali, punto di ebollizione ecc. Contengono una stessa proporzione di carbonio ed idrogene ed ossigeno, nessuno né più né meno di ambidue de' prin- cipii contenuti nell'altro. Sotto questo punto di vista in quale meravigliosa semplicità non apparisce l'organica natura! Con due pesi eguali di tre principii essa produce una straordi- naria varietà di combinazioni le più sorprendenti. Si sono scoperti corpi , che, come il principio cristallizza- bile dell'olio di rose, solidi e volatili alla temperatura ordinaria, hanno un' eguale composizione col gas infiam- Miabile, che brucia nelle nostre lucerne, e per sopra più, con una dozzina d'altri corpi tutti affatto differenti nelle loro proprietà. Questi risultali , si pieni d' im- iwrtanza ne' loro più lontani rapporti, non furono ac- cettati come verità , che dopo soddisfacenti prove : isolate osservazioni di questo genere erano conosciute da lungo tempo-, ma vagavano prive di patria nel do- minio della scienza, finché si trovarono de' corpi, nei quali, ancor più decisamente che per mezzo dell'analisi, si poterono dedurre delle prove, per dimostrare 1' as- soluta eguaglianza di composizione unita ad infinita differenza di proprietà , che si potevano a piacere alternativamente trasformare e ridurre l'uno nell'altro, e viceversa. Neil' acido cianurico , nell' acido idrocianico e cia- melide si hanno tre di tali corpi. Il primo è solubile nell'acqua, cristallizzabile, suscettibile di formare dei sali cogli ossidi metallici; l' acido idrocianico è un fluido assai volatile al sommo cocente, che non può combinarsi coir acqua senza decomposizione ; il ciamelide è una massa bianca affuito insolubile nell' acqua , rassomi- gliante alla porcellana. In un vaso di vetro chiuso er- meticamente , r acido cianurico , sotto l' influsso d' una più alta temperatura, si converte in acido idrocianico, e questo trapassa da se a temperatura ordinaria in ciamelide, senza che se ne separi alcun principio, né che vi sia introdotto alcun corpo dall' esterno. Il ciamelide si può trasformare a piacere in acido idrocianico , ed acido cianurico. Nello stesso rapporto stanno fra loro 1' eldhyde , dehydc metallico, e l'etal f03 dehyde, l'uria, ed il cianaio d'ammoniaco, di maniera che un corpo può essere trasformato nel!' altro senza che vi concorra alcun' altra sostanza. La sola opinione, che la materia non è divisibile all'influito, ch'essa consiste di atomi che non possono più suddividersi, dà soddisfacente conto di questi feno- meni. Nella chimica combinazione questi atomi non si compenetrano-, ma si ordinano in una certa guisa, e da questo ordine dipendono le loro proprietà. Se per esterne perturbazioni cangiano la loro posizione, si combinano in una nuova maniera , ne nasce un altro corpo con proprietà affatto differenti. Un atomo d'uno può unirsi con un atomo d' un secondo corpo , due atomi possono uniisi con altri due, quattro con quat- tro , otto con otto , e formare così un solo atomo composto ; in tutte queste combinazioni la composi- zione proporzionale è assolutamente eguale, e pure le proprietà chimiche devono essere differenti , mentre in tal caso abbiamo atomi composti, di cui l'uno con- tiene due, l'altro quattro, il terzo otto, il quarto sedici atomi semplici. Una quantità delle più belle esperienze si svilupparono da queste scoperte, una quantità di misteri si svelarono nel modo il più na- turale. Così neir Amorfismo si è ottenuto una nuova definizione con cui s' indica uno stato particolare ch'è opposto alla cristallizzazione. In un medio che si cri- stallizza si osserva un incessante movimento, come se le più piccole particelle fossero magnetiche, si rispingono in una direzione, si attraggono in un'altra, e si adagia- no 1' una presso 1" altra, si ordinano in una forma re- 104 gelare , che in eguali circostanze non si mula mai. Ciò non accade però sempre quando dallo stato fluido o gassozo passano allo slato di corpo solido. Per la formazione de' cristalli si esige movimento e tempo. Se si obbliga un corpo fluido o gassozo a divenir solido subitamente , se non si lascia tempo alle sue particelle di disporsi in quelle direzioni in cui la loro attrazione (sforza di coesione ) è più forte, non si formeranno cristalli , rifletteranno la luce in altro modo, avranno un aliro colore e durezza, e diflerente aderenza. Cosi noi conosciamo un cinabro rosso , ed un nero come carbone. Un zolfo solido e duro , ed uno trasparente, molle che può tirarsi in lunghi fili; il velro nello slato d' un corpo opaco, bianco latte , che è si duro che dà scintille coli' acciajo, e nello stato solito irasparente con rottura conchiliacea. Questi stali così differenti nelle loro proprietà si ottengono in un caso da una regolare, nell'altro da una irregolare gia- citura degli atomi; un corpo è amorfo, l'altro è cri- stallizzato. Così si ha lutto il fondamento di credere che l'argilla schistosa, varie specie di granwacke non sono che feldspato, amorfo, micaschisto o granito; egualmente che la calcarea di transizione è marmo amorfo, il basalto, e la lava una mistura di zeolite ed augite amorfa. Tutto ciò che ha influenza sulla forza di coesione deve mutare (ino a un certo grado la proprietà de' corpi. Il carbonato di calce cristallizzato al freddo possiede la forma cristallina, la durezza, la proprietà di refra- zione della luce dello spato calcareo ; cristallizzato al 105 calore possiede la forma e la proprietà dell' arra- goni te. L' isomorfismo in fine, 1' eguaglianza di forma di molte chimiche combinazioni, aventi una composizione simile, tutto sembra indicare, che la materia consiste di atomi, cui la disposizione è condizione delle pro- prietà de' corpi. SI potrebbe quasi proporre la questione , se molti de' corpi, che annoveriamo fra gli elementi, non sono forse modificazioni di una stessa identica materia , se non contengono una sola materia in diversi modi di aggregazione. Si conosce un tale duplice staio nel ferro , nell'uno si comporta nell' elettrica catena come il platino, nel- l'altro come Io zinco : anzi con questo metallo si sono costrutte le più potenti pile galvaniche. Il platino e l'iridio, il cloro, il bromio ed iodio, il ferro manganese e mangnesia cobalto e nikel, fosforo e arsenico hanno invero molle proprietà comuni fra loro; ma comune- mente si obblia che la somiglianza si estende soltanto alle loro proporzionali combinazioni. Queste solo sono somiglianti , perciocché consistono d' atomi che sono ordinati in una stessa guisa. 11 nilraio di stronziano diviene affiuto differente da se stesso , quando prende in combinazione una certa quantità d' atomi d' acqua. Se noi riguardiamo il selenio per zolfo modificalo, ed il fosforo per arsenico modificato , da che dipende dunque, si può chiedere, che l'acido fosforico, e l'acido arsenico, l'acido solforico, e l'acido selenico, formano combinazioni che per la loro forma, solubilità ecc. in 106 niun modo possono divenire diverse 1' una dall' altra ? Due combinazioni die sono fra loro isomeriche mostrano anzi proprietà diametralmente opposte. Non si ha finora il benché menomo fondamento per credere che un elemento possa cangiarsi in un altro. Una tale tras- formazione presuppone che l'elemento contenga due o più principj. Finché questi non sono dimostrali, tutte le esperienze di tal genere non meritano attenzione. Così il Sig. Brown di Edimborgo ha trasformato il ferro in rodio, il paracianogene in silicio. Ora che è stato pubblicato il suo lavoro negli atti della società reale di Edimborgo, si può dimostrare, senza nemmeno replicare le sue esperienze, che lo scopritore non conosce affatto i fondamenti d'una chimica analisi; le sue esperienze furono ripetute , ed i risultati non hanno confermato che la sua ignoranza. Il suo rodio é ferro, il suo silicio è un carbonio impuro, difficilmente com- bustibile. Prof. G. BOTTO 4Xe!CiOOO<3©C8CffiK30gX50i30«SOJ^^ TALETE Taleie fu uno di que' sette che dalla meravigliosa generazione dei Greci meritarono cognome di savi. Il quale gli è poi durato fino a noi, non tocco dall' in- \idia degli uomini o dall' ingiuria dei tempi, così glo- rioso da farlo anche oggidì riverire uno dei più grandi maestri di sapienza. La qual cosa veramente ci mostra come egli sia stato uomo abbonderosissimo di virtù -, poiché, come subito si dissolve, quasi nuvola, la fama di chi indegnamente viene in grido di grande; così resta saldo nella mente e nella venerazione degli uo- mini, e procede a una coi secoli il nome di loro che sono veramente savi. Visse questo filosofo in quei tempi, che primi videro la luce del bello e del vero splendere in Grecia, e lei dispogliando della natia barbarie vestire di pulitezza e di leggiadria. Ebbe a patria Mileto, dal quale in giovanezza lo tenne lontano il desiderio di nutrirsi r animo di utili e generosi affetti. Andò e dimorò lun- gamente in Egitto , ed ivi ebbe avviamento agli studi da que' sacerdoti di divina e civile sapienza. In questo paese, se non sono lontane dal vero le parole di De- mocrito, apparò geometria, da lui poi professata con 108 SÌ forie ingegno, fino a venire uno dei primi maestri di questa scienza, tanto potente a rattenere le menti nella aggiustatezza del discorso. Fu primo a notare le stagioni e i loro cambiamenti , a dividere 1' anno in 365 giorni, a pronunziare le eclissi e i regressi del sole, a discoprire l'orsa minore e a tener nota delle sue stelle; onde fu ammirato da que' due sapientissimi uomini Erodoto e Democrito. Nelle cose pubbliche poi questo filosofo non fu mai inutile od ozioso spettatore 5 ma sempre s'adoperò a bene dei suoi. In virilità fu uno dei più innanzi nel governamento della repubblica, e lei vicina a cader suggelta a forastiera dominazion« coir opera e col consiglio salvò. Caduto Mileto in ser- vitù di Trasibulo, che, di cittadino fattosi tiranno, mostrò quanto sia vero che 1' uomo forte è uomo nocevole ove virtù noi raffreni, egli si adoperò a tut- t' uomo per istrappare di mano a costui la diletta patria; e facendo tremare con la potenza del discorso questo tiranno, mostrò come la parola sia arma tra- potente a impedire le voglie dei tristi, e come non sia ufficio disconvenevole al filosofo il ricordare a chi aniipone l'utile al buono, di cercare piuttosto mag- gioranza sopra macellabili armenti che sopra uomini. Ma se da noi qui si volesse narrare questo Greco in tulle le sue virtù, faremmo certamente cosa troppo lunga e lontana dal nostro proposito. Laonde piuttosto mostreremo quale filosofia egli professasse, dando qui raccolti i delti più memorabili di lui , i quali ci hanno conservati molli scrittori greci e latini. « Dio è santa mente. Costui non ebbe incominciamento, né per andare 109 di tempo avrà fine — A tutte cose sta innanzi per muni- ficenza e beltà l'universo, perocché fattura di lui che muove il tutto colla velocità del pensiero — Coloro che per li sentieri della vita camminando non guar- dano al bene ma irrompono furiosi nel male, non istiano a speranza di potere occultare agli occhi di Dio le loro opere 5 che neppure gli stessi pensieri ponno essere a lui ascosi — Chi viola la santità del giuramento è più nequitoso dell' adultero — Solo felice è colui che ha 1' animo ammisurato, a cui niun piacere si tra- muta in male, che è abbondoso di equità e sapienza — Non fate ad altri quello che non vorreste fosse fatto a voi — Fa di bisogno avere ricordanza degli amici lontani come se nosco fossero ai domestici godimenti — Non vogliate venire a ricchezze per male vie — Amale la sapienza, l'ammodamento nelle opere e nelle parole; la verità, la prudenza, la fedeltà — Avventurosa quella casa nella quale è lecito al padrone godere un lungo riposo — Aspettatevi dai vostri figliuoli quei medesimi trattamenti che voi usaste coi padri vostri — Nissuna cosa è più utile agli uomini della virtù; poiché essa tramula in buone tutte le cose col fare che noi santa- mente usiamo di esse — Innodiate il vizio , che è la più mala cosa che sia. Siate alinosi ; spendete la vita a prò della patria — Non railenete le vostre compas- sioni verso gli indegnamente sventurati — Non dimen- ticate che nessuna malevoglienza deve essere tra voi. L'amicizia, la patria, la parsimonia, la pietà vi sieno care. » NICOMEDE BIANCTU «{SS!SSSK!S!^S8SSS8!8S8SS;S8SS888!S«;8:SSìS88S8888K;S!S:S3S88S888}» ARRIVO m GENOVA del Cavaliere D. FERRANTE APORTI Quest' uomo benemerito che primo fondò in Italia le Scuole Infantili fu tra noi brevi momenti. Ma egli ha lasciato lungo amore e desiderio di se. Nei tre giorni che si trattenne in Ge- nova visitò i nostri due Asili di Santa Sofìa , e S. Luigi , il di cui generoso divisamenlo si potè mettere ad effetto, mercè le ottime e lunghe cure dell'egregia Marchesa Sig. Sofia Bri- gnole, che tanto si adoperò presso il Regio Governo per otte- nerne la sanzione. Il chiariss.o Aporti trovò le nostre Scuole oltremodo fiorenti , ed ebbe a meravigliare della prontezza e sagacità degl' inge- gni genovesi, e dello sviluppo fisico di que' nostri Bimbi. In- terrogò alcuni di essi , e fu sommamente pago delle adeguate risposte. Erano presenti tutti coloro che presiedono a questa pia Instituzione; e fu commovente spettacolo, perocché i fanciulli in poco d' ora si strinsero come addosso alla persona del ma- gnanimo Institutore, e pareva che volessero colla tenerezza delle loro parole rimunerarlo del beneficio stupendo recato all' Italia. l' editore COLTIVAZIONE DEGLI OLIIETI IIV LIGURIA NEI SECOLI X. E XI (') Fu asserzione di taluno, che la coltivazione degli Oliveli sia stalo dono portato dall'oriente dai Crociali; e fu asserzione dei più, che primi in Liguria a col- tivare questo prodotto della terra siano stati i popoli della Riviera occidentale. Ma noi colla scorta di ire documenii inediti possiamo far risultare che in Liguria sino dal sec. X. e nel sec' XI. si coltivavano gli Oli- veti nella Riviera orientale, ed in tempi perciò anteriori (*) A proposito d'Olivi non vogliamo tralasciare di dire che ci è pervenuto un estratto della Gazzetta dell'Associazione Agra- ria n.o to , Torino 8 giugno 1813, il quale è esso stesso un oslrallo ragionato della memoria del Padre Domenico Giudice delle Scuole Pie, presentata alla Società Patria delie Arti e Manifatture (1) e dalla stessa pubblicata , in cui si esprime la maniera di preservare gli Olivi dal verme — Genova 1792 da- gli eredi di Adamo Scionico. — In questo lavoro la Gazzella Agraria suddetta mostra come andercbbc lungi dal vero chi credesse clic ie recenti scoperte delle scienze naturali debbano indebolire le nsserzioni del (1) Dove sono ili- quelle belle insliluzioui? 112 a quanto altri documenti ci dimostrano aver avuto luogo nella Riviera occidentale. Il primo documento è una concessione di Livello fatta da Teodolfo Vescovo di Genova a Martino assieme colla moglie, per se, suoi figli maschi, e discendenti, degli effetti spettanti Giudice che contano già un mezzo secolo di vita , perchè dal- l'analisi che rapidamente ne fa, si scorge anzi come le opi- nioni ed il rimedio proposto dall' autore abbia ricevuto la san- zione del tempo e dell' esperienza, giacché riporta il parere di Cauvin (t), cita Robaudi (2) ed anche il Tavanti (3), che tutti convengono l' unico rimedio contro il verme consistere nel sollecitare la raccolta delle olive. La conclusione dell' articolo si è che ove dai particolari non si volesse ( perchè il così faceva mio padre anche nel secolo cosi dello de' lumi in cui viviamo , è ben sovente una gran ragione per rifiutarsi ad una utile innovazione ) adottare que- sto sistema^ potrebbe l'autorità intervenire e regolare la pra- tica per legge. Noi ci uniamo a quel voto , e ci pare che se si sono fatti regolamenti per la pesca , la caccia, ed in molti luo- ghi anche per la vendemmia , si potrebbe a più forte ragione sottoporre a regolamento una cosa di tanto maggior momento per noi, che, secondo appunto osservava il Padre Giudice, i pratici fanno salire per sino all' ottanta per cento la perdita che talvolta cagiona il verme nelle Olive. E tanto più siamo animati a dire questo nostro desiderio in quanto che sappiamo essersi dell' argomento dato molto pen- siero la sessione di Agronomia e Tecnologia dell' ora finito Congresso Scientifico Italiano, nella quale il nostro illustre e dotto concittadino il sig. Marchese Camillo Pallavicini leggeva una sua memoria in proposito con tanto senno dettata da ri- portarne applausi vivissimi, e conchiudevasi nel senso appunto del Padre Giudice e dell' Associazione Agraria. l' editore (1) Obscrvalions sur le Tephrite Keiron , ou manche §!mm^m^m^mmmmmm®mmmmmmm)i % DELLA QUINTA UNIONE DEGLI SCIENZIATI ITALIANI CONVOCATI IN LUCCA nella seconda metà del seltembre !843 \. Queste Congregazioni di quanto vi ha in Italia di più illustre per sapienza e gentilezza di dottrine si vanno ampliando ogni anno, e recano frutto dov'è più di mestieri; sembra oggimai che sia loro fine intendere a migliorare le condizioni del popolo, e sovvenirgli sia per dirozzarne lo spirito, che per meglio regger- ne il corpo. I proposti provvedimenti, de' quali alcuni son già posti ad elTetto, tornano ad onore de' governi che li tutelano, de' dotti che li propongono, di tulli coloro che vi danno opera. II. Presidente generale di" questa quinta Unione fu il Marchese Antonio Mazzarosa di Lucca, personaggio per graziosa indole e bontà d'ingegno riputalo. Gli scienziati il di \ 5 dell'ora scorso seltembre radunatisi nella Basilica di s. Frediano, invocalo lo Spirilo Santo, si trasferivano in adunanza solenne nel salone del Heale Collegio; il Presidente lesse un suo ragionameuio , 116 mostrò come dapprima il buon seme dell' utile pubblico volendo uscir fuori intempestivamente , e con soverchio tumulto venisse come impedito, perocché si temeva che non desse frutto malvagio; assicurati poi della pacifica natura di esso tutti gareggiarono nel dargli opera , affinchè ratto producesse a maturità 5 sicché le ottime instituzioni in prima discc-nosciute, poscia vie- tale e temute, ora si recano innanzi, ed avvalorano di generosi auspici; questa de' Congressi italiani se parve già pericolosa, ora si loda e tutela; i governi di Toscana, di Lombardia e Venezia, di Piemonte, di Lucca, e di Napoli la francheggiano, sicché non é per fallire a lodevole meta. in. L' illustre oratore seguiva nell' invitare i membri del Congresso a concordia di desiderj e di fini, con- chiudeva eh' essendo scopo dell'uomo la felicità, prov- vedere a questo bisogno con un'educazione morale, innestata a quella dell agricoltura e delle arti, sarebbe il dono più grande che far si potesse alle classi operanti. Le stesse massime si replicavano dai presidenti delle Sezioni, e singolarmente dal Principe di Canino pre- sidente di Zoologia, Anatomia e Fisiologia comparata, e dal nostro Marchese Lorenzo Pareto presidente di Geologia, Mineralogia e Geografia. Entrambi con ac- conce parole mostravano il generoso intendimento che li moveva per la pubblica utilità. IV. Ma io lasciando di parlare delle altre sezioni come di quelle che per altezza di materia non po- trebbero dare argomento ad uno scritto che a tutti si 117 confacesse, dirò di quella di Agronomia e Tecnologia, dove si parve agitarsi quanto sia necessario al miglio- ramento delle condizioni popolari-, magnanimo con- cetto , e in tanto stremo di mezzi di che affatica r umanità disolala da moltiplicali bisogni , non mai abbastanza lodato. Però nella Sezione Agronomica e Tecnologica si trattò diffusamente sopra l'estendere in Italia gl'Instituti dr agronomiche associazioni; sopra la nocuità ed innocuità delle Risaje 5 sopra 1' instruzione elementare , 0 scuole parrocchiali; sopra le associazioni di mutuo soccorso per gli artigiani ; sopra Y instruzione elementare dei due sessi; sopra gli Orfanotrofii maschili; sul lavoro delle manifatture dei fanciulli; sulle carceri penitenzia- rie; sulla piantaggione del frumento; su quella degli olivi e dei gelsi ; sul vivere isolalo o aggregato dei conladini, e delle scuole ambulanti di campagna; so- pra i metodi di far popolare gli Apennini di novelle pianlaggioni che rendine meno precipitose le cascale di acque, donde hanno causa le innondazioni ; sulla instituzione di farmacie permanentemente e gratuitamente aperte a spese delle Comuni; sull' instituire premj ai contadini ; sopra una fiera libraria ed unione doganale in Italia; sulla vinificazione, e di un deposito in Milano delle qualità più scelte di vini italiani per mondarci de' forestieri ; infine sopra le cause del pauperismo nelle ciltà e campagne. V. Tulli questi argomenti vennero sostenuti gene- rosamente, e con sussidio di larghe dottrine. Io non li riferirò, solamente non vorrò ommeltere quel tanto 118 che fu detto da' Genovesi intervenuti al Congresso , acciocché si veda che tra noi i sani principj, e le buone lettere non andarono in bando. Uno de' nostri benemeriti Sindaci, 1' Avvocato Giu- seppe Morrò , in cui non saprei se più luminose le qualità dell' ingegno o quelle del core , si levò a fa- vellare, nella seduta del ]8 settembre, sulle cagioni del pauperismo delle città e campagne, sopra i mezzi di attenuarne il flagello; e seguitando le ragioni di Romagnosi mostrò come la miseria del popolo inglese non si debba tutta riferire alle cagioni che s' indicano oggidì; sott' altro cielo doversi ad altri motivi, né que' principj che potrebbero invocarsi in Inghilterra esser veri in Italia per le mutabili condizioni di una nazione all' altra dissimile. Nella seduta del 22 settembre si congiunse a' voti del Marchese Pallavicini Camillo , il quale lesse una memoria intitolata del vivere isolato, o aggregato dei contadini e delle scuole ambulanti di campagna; in questo scritto la dovizia di pie intenzioni, nota il Dia- rio del Congresso, appariva a tale che V uditorio ne applaudi vivamente 1' Autore , il quale riassumendo il suo dire metteva voto che presto fosse ordinato nelle campagne il sistema della Svezia e Norvegia , cioè di maestri che si rechino giornalmente alle case coloni- che per apprestare l' instruzione ai contadini. Il pre- lodato Avvocato Giuseppe Morrò si univa a tutti gli altri per commendare il pensiero del Preopinante, ed aggiungeva non poter resistere dall' annunziare che il Rev."»*' Cataldi di Genova, prima di entrare nei 119 sacri ordini di Padre cappuccioo , assegnò la cospicua somma di lire 200 mila di piemonte per erogarsi in siabilimenii di opere pie per instruzione religiosa e civile degli agricoltori poveri. L' uditorio e con esso particolarmente il Dott. Cera, attestavano al nome del Reverendissimo Cataldi tutta la riconoscenza per co- tanta elargizione. Nella seduta del 23 settembre si parlò della pian- taggione e verme degli olivi 5 i Sigg. B. P. Sanguineti e lo stesso Marchese Pallavicini disvolsero quella ma- teria con molta copia di pratiche cognizioni. Quest'ul- timo descrisse un suo metodo approvato dalla società di Oneglia; quello di cogliere gli olivi avanti la so- verchia loro maturazione e terminare la fiorita assai presto , perocché 1' uso generale di lasciare qualche frutto nella pianta era assai condannabile, se si riflet- teva che r insetto trovava in quei frutti mezzo di ali- mentazione e vita. Nella seduta del \ 5 settembre essendo caduto il discorso sopra la nocuità od innocuità delle Piisaje, il Prof. Gerolamo Botto osservava che non vi sono ter- reni paludosi , i quali per mezzo di lavori idraulici bene intesi non possano bonificarsi ; voleva quindi che la dotta Italia imitasse piuttosto i benefici sforzi della Olanda che secondare gli avari desiderj di pochi a danno della salute di molti. Fu in questa seduta che il Principe di Canino dichiarava , che al pari degli altri amando di veder sana e felice l Italia , tanto era questo suo desiderio , che sebbene possessore di lati fondi ove poteva coltivare il riso con prò- ^X 120 fitto , pure sacrificando ql ben pubblico il suo pri- vato interesse , prenderla solenne impegno di non introdurre mai quella coltura. VI. Né le Casse di Risparmio, né le Scuole Infantili si ebbero in dimenticanza nella discussione di utili in- stituzioni, anzi il di 24 settembre p. p. venne inaugu- rato in Lucca, pendente il Congresso, il primo asilo mentre era in quella città il chiarissimo Cav.^ Aporii, colui che le fondò primo in Italia. E il Conte Peiitti che già avea sostenuto il prin- cipio Auborniano per le Carceri Penitenziarie ( nella qual discussione entrò valorosamente pure il Prof. Botto) proponeva una statistica sulle dette Scuole Infantili, e Casse di Risparmio in Italia; si creava quindi una Com- missione, e per la Liguria veniva specialmente inca- ricato il Marchese sullodato Camillo Pallavicini. VII. Io accennai di volo gli studi ed i lavori cui attese la Sezione di Agronomia e Tecnologia; suo principal fine fu di portare le condizioni povere a miglioramento così mtellettuale che fisico. Ma il primo non si può dare retto ed integro lad- dove si miri soverchiamente al secondo. Veramente i pensieri del Congresso sembrano di troppo rivolgersi a questo, e se a quello intendono è perchè la condi- zione intellettuale vantaggi la fisica. Oggidì non si fa che ripetere pubblica utilità-, questa copia di sforzi per macchine, strade, industrie, opificj esigila forse 1' in- telletto dalle sublimi speculazioni, dalle arti del bello, e lo circoscrive entro 1' angustia dei materiali guada- gni; il secolo per quanto voglia uscire di materialismo. 121 e di avidità di lucro, v' è immerso fino a' capelli , ogni suo trovato e concetto sente un materiale godimento. L' età trascorsa avendo posto in obblio l'agiatezza delle povere condizioni, lia fatto che la presente si getti air altro estremo e la parte intellettuale posponga alla fisica per paura che il benessere e il vantaggio positivo non sia mai bastante. Fin nelle lettere è gusto cercare impressioni e scosse come da macchina elettrica , sic- ché i libri di sana morale, di culto stile, di pura lingua non piacciono perchè non movono, né hanno quel fascino che seduce, né il filtro arcano che fa delirare. Vili. Se r aver posto in non cale T utile positivo delle povere condizioni fu fatale, il curarlo di- sover- chio recherà un altro pregiudizio. Educando le menti a ciò solo eh' è utile in pratica farà loro perdere la nobiltà del pensiero, in cui è posta la guarentigia dei comuni destini. Quando avremo conseguito 1' inlento che tutti sieno ricchi , ove mai si possa , per non dire agiati , noi avremo cessate le industrie , spento 1' ardore e lo stimolo onde si propagano le civili virtù. Se ogni uomo non deve travagliarsi se non che in ragione del guadagno che spera , e il prodotto non é che la conseguenza della sua attività, la patria è ridotta al- l'esercizio di un mestiere utilmente condotto, non ha più memorie, né speranze, e noi siamo un branco di commercianti , di manifatturieri , di artigiani , o colti- vatori, ingentiliti da tanto studio quanto basti a lucrare un presente dalle nostre professioni per ritrarne il maggior utile 5 so che questo nostro è detto il secolo 1"?2 del commercio e dell' industria ; e pure il medio evo era il tempo del commercio italiano, ma il bello ed il vero non si ponevano in obblio, le arti della im- maginazione, dello spazio e del tempo sorgevano a di- rozzare r Europa , lasciando que' monumenti che oggidì ammiriamo , né sappiamo rinnovellare con tanto vanto di progressi e felicità materiali. Io credo che il lume dell' intelletto italiano sia destinato a maggiori cose che non è questa di affinarsi dietro spedienti più ac- conci per promuovere, ed applicare le teorie dell' m- teresse. Laonde per evitare questo danno eh' è certo , sa- rebbe mestieri introdurre nel Congresso italiano alcuno di que' studi, che levano la mente a grandezza, senza distoglierla dall'utile privato. IX. Ed io stimo che questo studio dovrebb' essere la Storia italiana. La Sezione di Agronomia e Tecno- logia potrebbe dar luogo ad essa. Il secolo passato r ha. svergognata coi lascivi ed empj racconti; il pre- sente ha cominciato a tornarla in onore, ma ancora la sconcia un resto di romanzo e di errore. Mondarla di questi sarà gran benefizio all' Italia, la quale è venuto moda tra' stranieri di svillaneggiare in ogni modo. E siccome il vestire, il parlare, e per poco il man- giare ci viene d' oltremonte, anche la storia ci è pòrta di là. Ad ogni tratto siam noi costretti a leggere un errore, una calunnia, uno scherno, e dalle radici delle Alpi all'estrema Sicilia voi non udite che un rammarico per questo travisamento delle cose nostre. Il Congresso dovrebbe pensare a provvedere a questa incalzante 133 necessita della comune patria, e farebbe cosa santa e magnanima. In prima sarebbe bisogno ci-eare una Com- missione la quale discutesse dell' epoche principali ita- liane, degli avvenimenti più famosi, dei fatti, e tratti più Controversi dal mille al secolo decimo nono, gT il- lustrasse, li accertasse col conforto di documenti. Indi questa Commissione attendesse ad eleggere chi fosse più atto in ciascuna terra italiana a condurre una storia di essa. Ma fosse autenticata da documenti, nò alcun fatto venisse raccontato senza T appoggio di quelli. La qual cosa dev' essere facilissima in questi tempi che si compulsano liberamente pubblici e privati archivj, e vien data facoltà a chiunque di vedere, ed esaminare manoscritti, codici e pergamene d'ogni ragione, già cu- stoditi gelosamente, ed involati alla pubblica attenzione. Arroge che i governi con preclara munificenza dan- no essi medesimi 1' ottimo esempio , e si fanno innanzi a dissotterrare i monumenti di storia patria, a pub- blicarli provvedendo agli utili studi : il nostro fu pri- mo in così glorioso cammino. X. Condotte a termine queste tante istorie particolari quante sono le terre italiane, si penserebbe all'impre- sa di una generale che tutta si componesse di quelle. E volendo questi due lavori rivolgere ad utilità delle classi povere , e della pubblica educazione si dovreb- bero ridurre a ragionato compendio disteso per do- manda e risposta , quasi fosse un catechismo isterico ^ (jucllo insognare a' fanciulli in ogni scuola, in ogni parte d" Italia; in pi-ima il municipale, poscia il generale italiano. 12; XI. Mi si opporrà che ardua cosa è trovare in Italia chi si assuma codeste fatiche, non per difetto d'inge- gno o di studi, che gli uni e gli altri abbiamo gran- di e profondi , ma per quello di adeguate ricompense. Rispondo che il Congresso potrebbe adoperarsi pres- so i governi italiani affinchè quelle istorie venissero pubblicate a spese di essi , adottate in tutti i Licei , Collegj , Seminar] , Università , Ginnasj e Pubbliche scuole d'Italia, e il prodotto tornasse tutto di vantag- gio all'Autore come di sua proprietà. E i governi italiani il vorrebbero volentieri , peroc- ché questa immondizie di libri stranieri guasta le menti, disordina gli stati 5 mette inquietudine ne' popoli, sospetto ne' governanti, pericolo in ogni patria instituzione; sic- ché a serbarsi illesi di tanta peste non dovrebbero guardare a lievissima spesa. Che se anche cuocesse, io proporrei nuovo ma salutare provvedimento , un aumento di dazio , e fosse pur grave, sopra lutti i romanzi e drammi, e trage- die, e commedie, e poesie, e sozzure che di Francia si rovesciano ad infettare 1' Italia; una linea doganale distesa da tutti i nostri Stati uniti che sopravegghiasse severa all'introduzione, ed impedisse im genere di merce cosi perniziosa, eppure tanto di moda nelle nostre contrade. La sana morale, i buoni studi se ne allegre- lebbono , né temano i governi la prudente novità; tutti di buon grado si sottoporranno alla legge sen- tita di pubblica necessità ; di alcuni stolti , 0 perduti non é da curare ; se hanno mestieri di Sensazioni che le paghino. 125 XII. Dopo ciò io supplico il Congresso italiano, per quanto so e posso, ad estendere le onorale fatiche sue a questo generoso divisamento di storia munici- pale, e generale italiana, la quale è per fare un gran bene al nostro popolo: educarlo con essa sarà un de- stargli il pensiero ad alte cose 5 quando saprà egli i più chiari fatti della sua patria porrà un amore sin- golare ad essa, e le si stringerà non per la sola ra- gione che vi abbia la sua officina, 0 il suo campo, ma perchè sentirà che glorioso è morire per lei che fu sì grande e riputata un giorno 5 il pensiero degli avi trapasserà in quello de' figli, e dalle memorie ri- nasceranno le speranze smarrite nei calcoli di un sor- dido interesse. Odo che in Costantinopoli si hanno dato testé il convegno quanti ingegni disordinati si trovano in Parigi, Victor- Ugo, Balzac, Dumas, Eugène Sue, George Sand, Ancelot ec. Ora questo spaventevole conciliabolo è per dar fuori mostri, chimere, aborti d'ogni natura; sicché la vera e sana morale, la storia, il costume, la ra- gione stanno in grandissimo timore di se. Chi sa quali aberrazioni mentali, e calunnie, ed errori, ed ingiurie e depravazioni sono presso ad essere divolgate. Io temo per queir antico emporio del commercio italiano , per i nostri popoli di Venezia, di Genova, di Pisa che colà acquistarono i famosi stabilimenti , guerreggiarono le gloriose battaglie , temo per quelle reliquie di Ca- lata nostra, testimonio di una sapienza civile, di un nome famoso, di una grandezza non pareggiata da' mo- derni. Ristringasi dunque il Congresso italiano, e faccia 126 siepe sulla cima delle alpi al torrente devastatore; qui è più duopo il presidio e la resistenza perchè maggior l'uopo e il pericolo -, si travagli a dare slabile fondamento a suoi beneficj, i quali devono essere non solo d'utile privalo e materiale, ma di pubblico e glorioso. Aw. M. G. CANALE *!!8.!88858!8!8!8588888!8?88888888888S8?8?88iS88S8888888!8S8S82885888ì* ]\ECROLO(iIA La March. Catterina Cambiaso nata Lomellini il dì 30 luglio di quest'anno passò agli eterni riposi nella fiori- tissima età di anni 2\ circa-, lasciò inconsolabili Madre, Sposo, Fratello. Rare virtù adornavano il core e l'intel- letto dell'Estinta-, era molto innanzi nella musica, nel di- segno e nelle lingue, ma specialmente coltivava la poesia italiana con felicissimo frutto; chi scrive ebbe a stampare di suo non pochi componimenti pregevoli per purgatezza di stile e soavità d'immagini; e certo seguendo a com- porre sarebbe venuta a gloriosa meta-, ma un crudo fato la tirava, un'immatura morte la colse mentre più avea di che soddisfarsi del suo novo stalo 5 tanto è vero che niuno felice può essere quaggiù, e se una buona ed amorevole anima si trova e" bisogna che venga rapila, come se il mondo fosse continuo e solo asilo de' tristi e malevoli. Pace a lei che fiore tenerissimo s' è di- velto dallo slelo avanti che le procelle della vita lo con- tristassero. La sig. Luisa Ricolfi-Doria che l'era amica strettissima e sincera, ne pianse l'amara diparlila col- r ode seguente piena di soave malinconia. ylvV. M. ^ — = — ^ che e il valore della quantua 135 semplice V 00 divenula la quantità complessa di 0' 98 + 0' 02. Ond'è che se si moltiplica il numero 32 per 0' 9800 si ha 31' 3600, di cui la radice è 560, quale numero se è diviso dall'altro fattore 0' 99, che rimane sempre lo stesso per essere termine di una , . , 560 ^55 , ^ I quantità complessa, si ha -^ = 5 -^, che e la ra- dice del numero 32 , quantità semplice , la quale ha la stessa lunghezza della radice del numero 32, quan- tità complessa, poiché i' 00 è uguale a 0' 98 4- 0' 02, 1, -1 A' no > I- • 1- 0' 98 ,. 100 e che il 0 99 e comune divisore di - — e di -^. 0 99 99 Da ciò si deduce che Platone, istruito nella scienza degli Egizj, giustamente rimproverava i Greci, dicendo loro : Essere una turpe indolenza di ignorare la ra- gione fra le quantità incommensurabili e commensu- rabili. F. R. ■l!f«»3è*?S®^^Sd»»^S*^^*^«^^«-5^'5l^i8llS#^^#*ÌS^^«^ ECONOMIA Leggiamo nel fascicolo 33-34 del Politecnico, Mi- lano 1843, un articolo a proposito (Icll'opera : ^/.yfeTOrt nazionale d' Economia Politica del Dottore Federico List voi \. edizione seconda , Stutgarda e Tubinga, presso Cotta, 184Q. Das nationale System der politischen OEkonomie, ec, nel quale articolo il Doit. C. Catta- neo dottissimo in così fatte materie, cerca di mostrare l'erroneità, o meglio, la non convenienza del sistema predicato dal Sig. List, che appunto è quello che ora domina nella Germania. Noi non possiamo convenire collo Scrittore milanese, che ne pare in questo lavoro minore assai di se stesso 5 e senz altro ci accingiamo a mostrarne i perchè. Comin- cia quel lungo esame da questa proposizione: « quando un autorevole dottrina si vede impugnata ad un tempo medesimo e con sommo fervore da due opinioni op- poste ed estreme, sembra lecito dedurne in favor suo , se non una prova, almeno un'induzione della sua sa- viezza e verità (pag. 285) ». Ora se impugnare si- gnifica in Italiano contraddire ad una sentenza, come 137 dall' essere impugnata da due opinioni opposte può ad ima dottrina venirne argomento di vero ? Perchè uno dice nero e l'altro bianco, cosa non infrequente pur troppo fra' dotti, sarà verde un oggetto che i medesimi si accordano a credere rosso ? Inoltre per chiarire quel suo concetto dice che ora da un lato la dottrina della libera concorrenza industriale viene assiduamente com- battuta da quegli scrittori che annunciano nuovi e su- biti destini all'umanità, e vorrebbero non solo risol- vere in una colleganza di lavoratori tutti gli ordini di ogni nazione, ma confondere tutte le nazioni in una universale fraternità. E d' altro lato la stessa dottrina si vede assalita da quelli che vorrebbero spingere per tutta r Europa il principio dell' industria a quel disu- guale riparto di beni e di poteri che domina nelle Isole Britanniche, e pensano di dovergli aggiungere po- tenza col rinserrare ogni nazione in se medesima, e armarla di un'astuta politica mercantile, e col fomento di dogane protettive farne un piccolo mondo di tutte le industrie più disparate. Qui pare che combattuta sia preso in senso di di- fesa, ma allora dove sono le due opposte opinioni che impugnano ad un tempo medesimo un'autorevole dot- trina ? Manca pertanto quella una almeno induzione della saviezza e verità della dottrina economica se- guita dal Sig. Cattaneo, anche secondo la sua logica. Dopo aver osservato come tutto il libro del Sig. List proceda sciolto affatto da interno ordine scienti- fico, e passi rapidamente da cosa a cosa, ricorrendo spesso con famigliare spontaneità gli anelli della slessa 138 catena-, per cui la maggior fatica al cauto lettore si è quella di raccogliersi nella memoria tutti i frammenti qua e là disseminati e intrecciati fra loro, e costrin- gerli in breve complesso per sottoporli a giusta riprova, dice, che, seguitando l'Autore con altro ordine perchè deve svolgere in poche pagine tutti li andirivieni di un grosso volume, cercherà ritrarre tutto il fondo del suo pensiero, per tal maniera che chi poi lo leggesse non possa incontrarvi alcuna importante idea della quale egli non abbia posta a cimento la verità 5 e comin- ciando da quelle opinioni dell' Autore che più sono consuono alle sue, e disgiungendosene solamente dove la divergenza loro si farà del tutto manifesta, chiamerà l'attenzione degli studiosi sopra alcuni punti fondamen- tali della scienza, che trascurati dai primi fondatori non furono mai posti in chiaro come la loro importanza richiederebbe. Approva dunque il Sig. Cattaneo ( e noi con esso approviamo) ciò che il Sig. List dice intorno alla beneCca influenza dell'industria sulla possidenza, e dice questa essere la parte più lodevole del libro e vorrebbe fosse bene intesa da quei molli, i quali ripetendo a sazietà che noi siamo un popolo agricoltore, non pen- sano che i nostri terreni debbono tre quarti del loro valore e ai capitali che vi profuse l' industria dei se- coli andati, e a quella considerevol parte della nostra popolazione, che, affaticando nelle diverse arti indu- striali, accresce a più doppi colla sua presenza, col crescente suo numero, cogli avanzi suoi, e cogli stessi suoi rischi e colle sue perdite il valore delle derrate e dei fondi. 139 Passa quindi a mostrare come mal ferma sia la pro- sperità delle nazioni che si confidano al tulio nelle derrate rurali, perchè presso le nazioni dedite alla sola agricoltura gli abitanti sono ristretti al consumo domestico dei prodotti campestri, le permute sono rare, e i limitati trasporti non compensano un dispendioso apparalo di ponti e strade ; e per lai modo il com- mercio coi manifattori stranieri si estende principal- mente lungo i liltorali, e dipende dalle nazioni marit- time, le quali se vengono a incettare le derrate che occorrono loro a supplemento della propria agricoltura ( e puossi aggiungere delle proprie manifatture ) , lo fanno sempre secondo il consiglio del proprio interesse, in misura incerta e serva della speculazione e delle circostanze, e possono per evento di repentina guerra sospenderne la ricerca o trasferirla ad altro paese. Nola, sempre col Sig. List, che ai giorni nostri si videro le lane delle nascenti Colonie d' Australia succedere presso gl'Inglesi alle lane di Germania, i vini del Capo a quelli d'Europa, al legname prussiano il canadese, il cotone bengalico all'americano, e molle altre cose dice tutte savissimamente delle, compreso quella che, non essendovi cittadinanze industri che chiamino grandi masse di viveri e di materie prime, non si promuo- vono le navigazioni fluviali ( poteva dire anche le ma- rittime in gran parte), né il costeggio marillimo, né le lontane j^escaggioni, e perciò manca il primo fon- damento dell' intraprendenza navale, la quale rimane presso quelle genti che vengono a concambiare colle derrate del paese le droghe tropicali e le proprie ma- 140 nifalture e le altrui, e traccia insomma un quadro spa- ventoso d' un popolo che d' altro non s' occupi fuor- ché dell' agricoltura. Osserva poscia che in popolo in- duslre i doni dell" intelletto sono più apprezzati e pos- sono condurre a rapida fortuna, e danno valore anche alla fatica della donna e del fanciullo, del debole e del deforme, aggiungendo poscia che anche la potenza naturale ne trae vantaggio, perchè Pritchard osserva che i Gaeli puri dell' alta Scozia non pareggiano di statura e di forza gli abitanti del piano che sono misti di varie stirpi continentali; e che i Parsi che si tengono segregati dalle altre nazioni non sono belli e robusti come i Persiani, i quali sono misti di san- gue Giorgiano e Circasso; il che, conclude, spiega forse la prodezza delle città industriose del medio evo , e r avvenenza e vigoria del popolo negli Stati Uniti. In queste sue ultime osservazioni il Sig. Cattaneo ci si mostra leggero anzi che no, perchè la sua propo- sizione che dal mescersi delle stirpi anche la potenza naturale ne trae vantaggio, non può sostenersi per re- gola generale come egli l'afferma-, e ci valga a pro- varglielo la sua stessa osservazione che i Persiani sono più belli e robusti perchè son misti di sangue Gior- giano e Circasso ; la quale cosa prova che solo quando le stirpi belle e robuste si mischiano colle meno le ammegliorano, e basta il senso comune per intendere che se i Gaeli puri si misehiassero con gli abitanti del piano, la bellezza e fortezza di questi ne soffrirebbe: la prodezza poi delle città industriose del medio evo non nacque dalla miscela solo perchè fu Ili miscela coi barbari, ma perchè i barbari erano prodi, e questa prodezza medesima e la vigoria (che in quanto all' avvenenza non se ne può poi fare le grandi meraviglie, appunto per il miscuglio di lame stirpi di- verse ) del popolo negli Stali Uniti , crediamo che un filosofo la possa spiegare anche colle instituzioni so- ciali, e forse più con quelle che col mischiamento delle stirpi; principio d'altronde che il Sig. Cattaneo am- mette poche linee più sotto, con dire che l'associazione sulle intraprese avvicina le genti industriose che diven- gono sempre meno serve all'arbitrio e all'oppressione, più desiderose di giustizia di sicurezza e di libertà ci- vile, la quale in Grecia, in Italia, in Germania, in Olanda, in Inghilterra, in Francia usci sempre dallo città lavoratrici. Parlando delle remote cause dell" industria, princi- palmente in Inghilterra , il Sig. Cattaneo si esprime così: « ma se in un paese fiorisce la giustizia, la si- )) curezza, la buona educazione; se lutti i fattori della » materiale prosperità, 1' agricoltura, I' industria, il )) commercio, si svolgono armonicamente; se la potenza « nazionale coopera ad attrarre in paese le dovizie )» naturali di lontane regioni, ciò non dipende dal » voler dell'individuo, ma dall' isterico concorso delle » instituzioni. La presente floridezza dell' Europa scaiu- » risce da remote fonti. Vi concorse 1' ordine della » famiglia, il matrimonio, la intera e libei'a possidenza, )) l'abolizione della servitù, i municipj , i giurati, i » giudizj pubblici, l'alfabeto, il calendario , l'orologio, » la bussola, la slampa, le poste, i giornali, i pesi, 142 » le misure, le monete, le pubbliche discussioni, le » società studiose e mercantili. Non v' è legge o regola- )) mento, non v' è alto di guerra o trattato di pace, )) che non influisca ad accrescere o diminuire le forze » produttive. L' industria presente abbraccia tutti gli » sforzi e i pensieri delle generazioni passate; essi » sono quasi il capitale intellettivo dell' umanità vi- » venie. Ma non ogni maniera di cognizioni e di studj w contribuisce egualmente alla pubblica prosperità, e » v' è tal nazione che lascerà inculte le menti degli )) industriali, degli amministratori e dei naviganti, e » prodigherà Y ingegno in libri inutili , in controversie » vane, che offuscano le opinioni e le deviano dal » pubblico bene. Le singole arti a poco a poco per- » vengono al possesso dei processi, delle macchine, » delle abitudini, delle relazioni; è più facile per- » fezionare ed estendere che fondare ; i capitalisti non » hanno fiducia nelle novità, quanto nelle cose con- » solidale dal tempo , e 1' industria corroborata rende M men cari e più perfetti e convenevoli all' uopo i » suoi prodotti. Le successive generazioni associano » dunque le forze al fin comune dell' industria nazio- » naie, e la scrittura fomenta il progresso, rendendo » indelebili ed ereditarie le cognizioni e le espe- » rienze. )) Città e corporazioni compirono opere di enorme » dispendio , accumulando i risparmi di più genera- )) zioni; i canali e gli argini d' Olanda rappresentano » le fatiche e i risparmi di molti secoli 5 e solo con » questa lenta perseveranza può una gran nazione co- 143 » striiire un vasto complesso di comunicazioni per la » pace , e di fortificazioni per la guerra. » il Debito Pubblico degli stati dovrebbe servire ap- » punto a ripartire sovra più generazioni la spesa in- » trattabile di quelle opere che danno potenza, si- » curezza e forza produttiva alla nazione. Il Debito )) Pubblico è una cambiale tratta sulle future genera- )) zioni , e in nessun caso è men riprovevole che quando )) s' investe in quelle grandi costruzioni stradali e » navigabili, le quali non potendo produrre immanti- » nente un pedaggio che rimborsi la spesa, possono » mettersi in parte a carico deli' avvenire , a cui se » ne serbano i sicuri frutti; ma il Debito Pubblico » diviene una vituperevole usurpazione quando pone » a peso dei posteri le stoltezze dei viventi. L' Inghii- » terra collocò ai giorni nostri in siffatte opere tre- » mila milioni di franchi. Solo un' industria avvalorata » dal tempo poteva reggere a tanto sforzo-, e solo » dove r industria e i' agricoltura hanno confederale » tutte le loro potenze, possono questi costosi stru- » menti di comunicazione prestare proporzionato ser- » vizio e compensare le spese. » L' opera dell' industria diviene dunque causa del- » 1' industria ; e cosi possiamo risalire la catena del » tempo fino alle prime cause. Le arti utili trapas- •>i sarono continuamente di città in città, dalla Fenicia » all'Asia minore, alla Grecia , all'Italia (l), alla Fiandra, » all'Ansa, all'Olanda, all'Inghilterra. L'Inghilterra » da più secoli fu 1' asilo comune degli esuli e dei » perseguitati. Già nel secolo Xil. vi si rifuggivano i » Lanajuoli Fiamminghi -, gli Italiani vi portarono 1' uso » delle cambiali, gli Israeliti di Francia e di Spagna » vi portarono relazioni lontane e grossi capitali, i » mercanti dell' Ansa decadente ambirono la cittadi- » nanza Inglese; ogni moto civile o religioso del con- » linente fece approdare a quelle rive uomini e ric- » chezze. Le leggi sulle patenti vi attrassero le inven- » zioni di tutta Europa ; assicurando ai capitalisti una » parte del lucro gli animarono ad assistere i ritro- » vatori; propagarono lo spirito inventivo nella popo- )i lazione, ed estirparono 1' amore delle consuetudini » primitive (2). » La navigazione, lulrice dell'industria, richiede abito » di audacia e perseveranza; a nessuna arte tanto » nuoce r indolenza, la superstizione, la viltà. Gli Indi, » i Chinesi, i Giapponesi esercitano quasi solo la na- » vigazione interiore; (3) i sacerdoti Egizj temevano » la navigazione, perchè non volevano libertà di pen- » sieri. L'oppressione degli ottimali spense il vigore » delle Città Ansiatiche ; nei Paesi Bassi i marinaj » sfuggirono all'oppressione; e i popoli interni che )) non seppero difendersi si lasciarono chiudere le foci » dei loro fiumi ». Dopo avere riportato tutto ciò che il Sig. List dice sulla industria Britannica, e specialmente la conclusione di quel capo in queste parole: « Dopo r invenzione delle macchine, la fabbri- cazione non ha confine se non nel capitale e nello smercio: quindi la nazione che possiede un cumulo immenso di capitale e un vastissimo commercio, e col 145 dominio del mercato monetario esercitato dalla sua Banca , stimola la fabbricazione e deprime i prezzi , può dichiarare una guerra struggitrice alle altre nazioni : yn fanciullo indarno lotta con un gigante ; le fabbri- che inglesi hanno enormi vantaggi, ridondano d'eccel- lenti operai ad agevoli mercedi, di macchine perfette, di sontuose costruzioni pei trasporti 5 hanno illimitato credito a infimo interesse ; stabilimenti e relazioni lon- tane, quali si formano solo nel corso delle generazioni, con vasto mercato interno formato dall' unione di tre regni 5 un vasto mercato colonniale in tutte le parti del mondo , un mercato d' inestimabile vastità presso tutte le nazioni civili e non civili della terra, e quin- di r inconcussa aspettativa d' uno smercio per Io meno immenso ». « È assurdo che le altre nazioni reggano a fronte di questa , quando prima devono allevare gli operai e i Direttori , quando le costruzioni itinerarie niiotano sulle onde dell'avvenire; quando l'imprenditore non è si- curo d' uno spazioso mercato interno, e nulla può spe- rare dalle colonie, e ben [lOco dalle lontane naviga- zioni; quando il suo credito è ristretto al più misero bisogno ; quando non può esser certo che una crisi in Inghilterra 0 una misteriosa operazione della Banca, non versi sul mercato continentale, all' ombra della libertà daziaria, un cumulo di manifatture, il cui prezzo appena compensando quello delle materie prime, schian- ti alle radici 1' arbore dell' industria europea ». (c In tutti i tempi città e regni primeggiarono in arti , commercio e navigazioni, ma un predominio, come U6 questo ( il Bi'iiannico ) che sorse ai noslri giorni non si vide mai; nessuna nazione, aspirando alla signoria del mondo, pose mai sì ampie fondamenta alla sua potenza. Quanto misero è il divisamento di chi volle fondare l' imperio universale sulle armi in paragone al pensiero Britannico di fare nell' Isola sua una smisu- rata città manifatturiera , commerciante e navigatrice, la quale fra i regni della terra sia ciò che una capi- tale è fra le soggette campagne, la sede di tutte le industrie e di tutte le scienze, dei tesori, della po- tenza, il porto di tutte le marine, una città capo- mondo che provvede tutto il globo di manifatture, e da tutte le genti si fii consegnare le vittovaglie e le materie prime, un' arca universale di tutti i metalli monetali , una banca delle nazioni che coi prestiti le assoggetta tutte a tributo e signoreggia la circolazione universale ». Dopo aver riportalo, diciamo, tutto questo, domanda il Sig. Cattaneo quale è la magica verga con cui , se- condo il Sig. List, l'industria Britannica abbatterà ir- resistibilmente le industrie degli altri popoli, e li rile- gherà lutti alla primitiva vita del bifolco e del pastore, e qual è il talismano che può disfare 1' incanto; Tarme, si risponde da se, impugnata dall' Inghilterra sarebbe il libero commercio , e seguila : lo scudo che deve salvare il genere umano è la Dogana, perchè, secondo il Sig. List, qualora le tariffe non vi facciano ostacolo, l'Inghilterra può versare in America grandi masse di manifatture , e la Banca inglese, coli' agevolare lo sconto e allar- gare il credito a' suoi manifattori può dar loro la forza UT di fare un enorme fido ai porti americani che si videro infalli (alvolla inondali da quelle manifatture a più vii mercato che non fossero in Inghilterra, anzi sotto il costo di fabbricazione: perchè quanto maggiore è il credito concesso agli Americani, tanto maggiore è in loro l'impulso e il coraggio di estendere le piantaggioni per saldare col prossimo ricolto il loro debito , versando sul mercato inglese le loro derrate, e rimettendo l'equilibrio fra i valori importati e gli esportati; ma l'Inghilterra parziale alle proprie colonie aggrava di dazj il tabacco americano fino al 500. e al 1000 p. °/^, attraversa 1' introduzione del legname per favorire quello del Canada, e ammette i grani esteri solo in caso di imminente carestia, perchè tale è V interesse privato dei possidenti che sedono legislatori. Essendo perciò illimitato l'ingresso delle manifatture in America, e limitato quello delle derrate in Inghilterra, l'Americano non può fare il suo saldo se non in valsente metallico . perchè le piazze esauste allora di moneta sonante e ingombre di carta, ricorrono alle loro numerose e deboli banche; ne spazzano avidamente gli scarsi de- positi ; le cedole , al momento che non si possono più permutare in metallo, decadono rapidamente-, i prezzi di tutte le cose divengono nominali ; tutti i valori sono sconvolti; non v' è più rapporto tra le derrate e gli allitti, tra il debito e il saldo; le banche pubbliche e le casse private cadono alla rinfusa; la mala fede si approfitta del tumulto per simulare la sventura ; ne solfre gravemente il benessere delle famiglie e l'onore nazionale, e il generato avvilimento reprime per lungo 148 tempo tuite le forze produttive; finalmente, perchè l'ordine pubblico, ossia l'equilibrio degli esporti cogli importi può ristabilirsi solo con pubblico provvedimento, cioè con dogane che raffrenino l'illimitato afflusso delle manifatture inglesi, perchè insomma, secondo il Sig. List, di tutta questa confusione ne ha colpa la poli- tica commerciale dell' Inghilterra e il libero commer- cio. Ma noi comincieremo, dice il Sig. Cattaneo, dal domandare al Sig. List se nel fallimento generale del- l'America tutto il danno sia del debitore insolvente, e se r Inghilterra creditrice non vi perda anch' essa un immenso valore. E non crede poi che possa con- venire al privato inglese di dare a credilo in lontano paese e a lungo respiro un si enorme valsente di sue merci al dissotto di costo di fattura, se non vi fosse costretto da qualche segreta necessità. Gli sembra an- cor più oscuro come convenga a tutta la nazione in- glese e alla banca, che ne modera e timoneggia i supremi interessi, di spingere con impetuosa premura 1' esazione dell' accumulato credito , asportando dagli Stati Uniti tutto il metallico circolante, provocando il disonore delle carte, la caduta delle Banche, 1' avvilimento del- l' agricoltura , la sospensione delle opere pubbliche e d'ogni impresa, e quindi la rovina di quelli inglesi che ben si sa essere profondamente interessati in quelle Banche e in quelle costruzioni: per cui, secondo lui, la questione non è punto semplice e vuoisi risalire a più rimota causa, e crede trovare in fatti in altra parte del libro del Sig. List, che lo scarso raccolto fatto dall' In- ghilterra la costrinse a mandar fuori un" immensa I U9 quantità di conianie per pagare la esiraordiuaria es- portazione dei cereali 5 che se il continente fosse stalo aperto alle merci inglesi, si sarebbe potuto fare il saldo con una straordinaria esportazione di manifatture; e però il metallico che si fosse al momento inviato sui luoghi per la compra dei grani, sarebbe in breve rifluito all'Inghilterra-, ma che il continente era chiu- so alle merci inglesi, come, prima del mancato rac- colto, era chiuso ai grani del continente : per le quali ultime osservazioni del Sig. List, pensa il Sig. Cattaneo poter rispondere; che dunque la calamità dell' America aveva avuto il primo impulso non da artificio di na- zione prospera e prepotente, ma da una doppia cala- mità dell' Inghilterra , cioè dal mancato raccolto e dalla successiva esportazione del contante-, la quale, angu- stiando le Banche Inglesi prima delle Americane , aveva già sovvertito i prezzi d'ogni cosa, e costretti i fab- bricatori a vendere in America a vii mercato e anche sotto il costo di fattura ; e così che la colpa non era dunque del libero commercio, ma delle ostruzioni da- ziarie, colle quali da un lato i possidenti inglesi , per interessi di classe e non di nazione, rigonfiano i prez- zi del grano in Inghilterra-, e dall'altro il continente respinge per rappresaglia le manifatture dell' Isola, la quale respinge i suoi grani. Osserva che già da un secolo i nostri vecchi economisti italiani hanno posto in chiaro, come tutte le limitazioni al commercio dei grani erano la causa delle grandi carestie, poiché può bene una stranezza delle stagioni guastare il ricolto d'una intera isola per quanto sia grande; ma la cala- 150 mità stessa non potrà facilmente abbracciare ad un (ratto tulle le regioni della terra, e allora non vi sarebbe sbilancio d' esportazioni perchè nessun paese * n'avrebbe esuberanza, e quindi la libertà del com- mercio opera a guisa di una reciproca assicurazione universale ecc. Veramente noi duriamo fatica non poca a persuaderci che un simile ragionamento possa essere stalo scritto dal Sig. Cattaneo. Il signor List ripete la calamità Ame- ricana dall' importazione soverchia delle manifatture in- glesi e dalla proporzionatamente limitata esportazione per r Inghilterra delle derrate Americane. Il Signor Cattaneo risponde che da quella catastrofe anche l' In- ghilterra n'ebbe danno. Ciò non proverebbe ancora falsa la idea del Sig. List. Risponde ancora , che non intende quale convenienza fossevi per gl'Inglesi di dare a cre- dito in paese lontano al dissolto del costo di fattura : ma si doveva provare che non furono fatti quei fidi ed a quei prezzi. Ripiglia, essere più oscuro come con- venga a tuiia la nazione Inglese, alla Banca, spingere l'esazione dell'accumulato credito cou impetuosa pre- mura: ma questa impetuosa premura mostrossi o no ? Pretende poi far derivare la calamità dell' America dalla doppia calamità dell'Inghilterra, cioè, dal mancato ri- colto e dalla successiva esportazione del contante, che angustiando le Banche Inglesi ecc. avea costretto i fab- bricatori a vendere in America a lungo respiro, a vii mercato, e anche sotto il costo di fattura. Ma doman- diamo noi, se quelle vendile furono fatte durante la crisi Americana o prima, se durante quella, non possano averla 151 prodotta, se prima e prima della calamità inglese , può ben essere vero che gli Inglesi abbiano spinto con impe- tuosa premura V esazione del credito, quando per il man- calo ricolto della loro Isola si videro obbligati a man- dar fuori il contante -, sicché sempre più è manifesto che il Sig. Cattaneo, in luogo di combattere i fatti dal Sig. List allegati , crede di averlo vinto con un giro di vane parole. Ma poi dove trova egli che il Sig. List acca- gioni la libertà del commercio della crisi americana ; può essere che il Sig. List lo dica , ma i fatti che ar- reca non sembrano partire da una tale opinione, perchè l'Inghilterra parziale alle proprie colonie aggrava di dazio il tabacco americano ecc. come di sopra si ri- portò; dunque il Sig. Cattaneo, dicendo contra al Sig. List che la colpa non era del libero commercio, ma delle ostruzioni daziarie ecc. combatte un nemico im- maginario e viene appunto a difendere anzi la opinione del sig. List medesimo, perchè ammette le ostruzioni daziarie per cagione delle crisi che saranno poco di- verse dall' aggravare di dazi che si fa in Inghilterra il tabacco americano, come dice il sig. List, fino al 500 e aM 000 p. ^jo , e riesce quindi fuor di luogo quella sua dottrina economica, che la libertà del commercio opera a guisa di luia reciproca assicurazione universale. IVIa poi, il Sig. List aveva asserito, come vedemmo, che un predominio come quello della Inghilterra non si vide mai , e che nessuna nazione aspirando alla si- gnoria del mondo pose mai sì ampie fondamenta alla sua potenza ecc. 5 ed il Sig. Cattaneo domandando di quale magica verga volesse servirsi l' Inghilteira per 152 abbaliere l' industria degli altri popoli , e quale sia il talismaao che può disfare l' incanto, pareva che volesse mostrare mal temperata l' arme del libero commercio impugnata dall' Inghiiierra all'effetto, e debole lo scudo delle Dogane a salvare il genere umano, ed invece s'attaccò alla calamità dell'America, ed all' America sola ristrinse la sua pretesa risposta : eppure voleva fare una discussione meglio ordinata che non è il libro del Sig. List. Noi conosciamo un gran valore economico politico nel Sig. Cattaneo, e molto più grande di quello che mostra nell'articolo che esaminiamo, come abbiamo già veduto e vedremo 5 ma siamo propriamente curiosi di vederlo ritornare un' altra volta sulla questione e spe- cialmente di vederlo dimostrare concludentemente che r Inghilterra non potrebbe soffocare ( ritenuto l' attuale stato delle forze motrici per le macchine), all'ombra di una veramente libera libertà di commercio, tutte le manifatture del mondo, siccome che a non volerle ve- der soffocate, le Dogane non siano la difesa miglio- re: ma progrediamo. Alla pag. 306 il Sig. Cattaneo seguita così « Ep- pure egli era stato in mezzo a quegli Stati nascenti ; aveva veduto sorgere da ogni parte ville e città-, con- gregarsi bestiami, e l'agricoltore, approdato sulle Va- poriere alle rive di quegli ignoti fiumi condurre sulla inviolata terra il primo aratro, e in mezzo a quella vasta creazione, egli non volle vedere e intendere al- tra cosa che l' interesse del popolo americano, di por- tar piuttosto le calze e le berrette lavorate a Boston che quelle lavorate per minor prezzo a Manchester; e 153 jkìò fu per inferirne lo strano precetto, che una nazione inferiore agli Inglesi io capitale e in forze produttive , non può ammetterli sul suo mercato senza divenire loro debitrice, dipendente dalle loro banche e avvolta nel vortice dei loro disastri mercantili. Ma noi diman- deremo al Sig. List, che cosa sarebbe mai l'America se non fosse divenuta debitrice e vastamente debitrice dell' Inghilterra. Fu bene coli' assidua scorta del Capi- tale Inglese ch'essa si elevò, in cento anni, da de- serta e oscura colonia ad illustre e primaria nazione. Supponiamo pure che il Patrimonio del popolo ame- ricano sia minore di quello della nazione Britannica, ii quale abbiamo visto valutarsi a più di centomila mi- lioni di franchi in patria, e poco men d' altrettanto nelle colonie. Valga pur solamente la metà, e meno se si vuole, dacché la popolazione degli Stati-Uniti è finora solo due terzi di quella delle Isole Britanniche. Ancora il popolo americano, co' suoi sudori e co' suoi debili verso il popolo inglese, avrebbe in poco più di cento anni conquistato un magnifico patrimonio: cin- quanta milioni di franchi! E con questo enoime ar- richimento e tanta e tanto crescente prosperità, il Sig Lisi viene a deplorare la dipendenza in cui l' America si pose verso l'industria inglese ! E può esclamare, che « sarebbe più utile agli Stati-Uniti ricadere nella » condizione di colonia, perchè sotto la legge colo- )) niale britannica Y Inghilterra avrebbe ricevuto volon- » lieri i loro cotoni e i tabacchi, e non tenterebbe » trasferire in India la cultura del cotone, e soppri- » merebbe le manifatture indigene, proteggendo il » paese nell' esportazione delle sue materie prime I » Non ha egli considerato quanto strana ed empia sia quella idea di ricadere nella condizione di colonia, per amore delle calze di cotone e delle' berrette ? » « No, le invettive del Sig. List non tolgono che sia vera e profonda la sentenza d'Adamo Smith, che una nazione può accrescere annualmente il suo debito verso un altra, e ìiondinieno salire a sempre mas- giare prosperità. Basta infatti che il patrimonio del popolo americano sia cresciuto in maggior proporzione del suo debito verso il popolo inglese. E così avvenne. Poiché, se alcuno potrà rivocare in dubbio che gli Stati-Uniti d'America possedano un patrimonio nazio- nale di cinquanta milioni, piuttosto che di quaranta- mila, nessuno poi pretenderà che il debito dell' Ame- rica verso r Inghilterra ^si approssimi nemmeno di lunga mano a questa enorme somma. E non negherà quindi, che, detratto il debito, non rimanga un immenso valor nitido, un immenso pegno di crescente prosperità. E nessuno vorrà negare che la maggioranza del popolo americano debitore, non goda una vita assai più pro- spera, che non la maggioranza della nazione inglese creditrice, nella quale il dazio dei grani e le tasse sui consumi rendono cosi iniquo il riparto dei lucri e il vivere così precario e laborioso ». « In altri tempi l' Inghilterra era il più sicuro asilo di tolleranza religiosa e civil dignità; e certo la Francia non poteva allevar generazioni intraprendenti, finché ogni sicurezza privata dipendeva dalla revoca di un -editto, dall' odio privato o dal favore dei potenti. Ma 155 la tranquillila del vivere e 1' indipendenza delle opi- nioni sono una forza produttiva che ornai si ritrova presso molti popoli, né per se potrebbe conferir pre- dominio all'Inghilterra, o a qualsiasi nazione ». « Lo stesso si dica di quelle alte aspettative, le quali accendono in tutti gli ordini della nazione l'amore della comune grandezza^ e uniflcano l'interesse pubblico col privato. Le nazioni che per anco non intesero qual valore statistico abbia 1' ingegno, non possono compe- tere con quelle che aprono al merito tutti gli accessi degli onori e del potere, e che tengono l'intelligenza la prima dovizia e forza dello stato. Ma in questo pure le sorti delle nazioni si vanno pareggiando. E se gli stati che non curano i supremi principj dell' umana ra- gione, mal reggono a fronte delle nazioni progressive, in questa ineluttabii sanzione risiede appunto 1' effica- cia morale della libera concorrenza ». « Né le più dirette maniere di promuovere l'industria sono al certo un privilegio naturale dell' Inghilterra. L' istruzione degli operaj può propagarsi dovunque pos- sono aprirsi scuole di chimica e di meccanica; dovun- que possono raccogliersi macchine e modelli; dovun- que con onori e ricchezze si possono ritrarre le menti dalle inezie contemplative alla realtà della vita e agli interessi dello slato. Le vie ferrate possono costruirsi presso ogni nazione; tutti i porli possono spedire va- poriere a lontani tragitti; in ogni parte può liberarsi e promuoversi la navigazione dei grandi fiumi; e dif' fondersi colle strade comunali la forza produttiva e il valor prediale sn tutta la superficie dello stato. Cor- 156 rono solo 80 anni dacché 1' Inghillerra scavò il primo suo canale-, e appena ]S anni dacché lanciò la prima locomotiva sulla rotaja di Dorlinghton (27 Dicembre 1825). E se in breve spazio si costruirono colà 3500 chilometri di strade ferrale e 4000 chilometri di ca- nali, altre nazioni in breve intervallo potrebbero pur fare assai: e questi slraordinarj sforzi nazionali potreb- bero dare impulso a semplificare quegli intralci ammi- nistrativi che reprimono e ammorzano tanta parte delle forze produttive in tutto il continente. La libera con- correnza è adunqae il solo principio che possa dare occasione a svolgere le forze latenti , e contendere alla nazione predominante quel primato che non ha verun naturale e necessario fondamento. Perchè dunque sol- lecitar le nazioni a soffocare cogli osiacoH Doganali la libera concorrenza ? È questo un servizio reso alla loro potenza , alla loro sicurtà ? Poco in vero giovò alla China il trincerarsi tra il mare e la muraglia, poiché non sarebbe certo caduta in sì puerile fiacchezza, ella che tiene suo suddito mezzo il genere umano, se la libera concorrenza avesse rinnovellate le sue armi, ri- temprata la pubblica ragione , accesa la face della scienza libera e viva ». Ma diciamo noi, la questione era se una nazione che ammette gli Inglesi sul proprio mercato, intanto che ella é inferiore ad essi in capitale ed in forze produttive, divenga o no loro debitrice, dipendente dalle loro Banche, e avvolta nel vortice dei loro di- sastri mercantili : il Sig. Cattaneo risponde con una specie d'amplificazione, che l'America è divenuta una 157 gran cosa, col farsi vastamente debitrice dell' Inghil- terra. Dunque è vero che una nazione inferiore in ca- pitali ed in forze produttive ammettendo gli Inglesi si fa loro debitrice, e se è vero, come si potrà più dire strano il precetto del Sìg. List? a noi pare anzi strano assai che il Sig. Cattaneo trovi cosa tanto magnifica quella prosperità americana, se a fronte vi ha da stare l'enorme debito che per isvilupparla si è con- tratto. I debili si pagano o non si pagano , secondo la teoria del Sig. Cattaneo ? Se non si pagano, la cosa può andare come egli dice, ma se si devono pagare, allora, e se si sa che gli immobili scemano di valore quando si devono vendere per pagare i debili , ne verrà la conseguenza che gli Inglesi diventeranno i padroni di tutte quelle ville e città, di tutti quei be- stiami e di tutte quelle terre inviolate che in virtù dell'oro inglese, sono state solcate dal primo aratro. Né si dica che il valore di lutti questi immobili su- pererà sempre il debito, perchè 1' Inghilterra col tra- sferire neir India la coltura del cotone ecc. rende di niun valore i prodotti del suolo americano. Non am- mette forse il Sig. Cattaneo a pag. 305, che la nazione Americana non ha riserve mobili, e che essendo già immenso il Patrimonio che ella si è conquistato in fondo immobile, il quale, se vuole estenderlo in altre terre incolte, deve spingere le sue operazioni col ca- pitale altrui, e che perciò è soggetta a vederselo ri- torre d' improvviso, anzi nel momento del più grave disastro? Non ammette essere questa la condizione di lutti coloro che s' ingolfano con capitale non proprio 158 in tante operazioni, comunque lucrose, senza assicurar- sene il prestito sino al tempo del maturo ricavo ? Non dice egli, che certamente V America coi suoi canali e colle sue vie ferrate stese per migliaja di miglia, si è preparata un florido avvenire, ma che se quelle son- tuose costruzioni contribuiranno potentemente a mutare entro pochi anni le selve in campi e in città, tuttavia finché i campi non sieno più volte mietuti, e le città non siano ben popolate, non è possibile che il ricolto delle terre , e l' afiltto delle case , e il pedaggio dei ca- nali e delle strade compensino i costruttori 5 e che se questi frattanto sono pressati a restituire le sovvenzioni ricevute dovranno inevitabilmente fallire ? Ma dunque il fallimento dell'America dipende dalla volontà del- l'Inghilterra, perchè la prima non avrebbe tutte quelle sontuose costruzioni e tutti quei campi e quei bestiami e quelle terre poco fa ancora inviolate se non fosse divenuta debitrice, vastamente debitrice dell'Inghilterra^ ma dunque perchè sfiatarsi contro il Sig. List, perchè dire strano precetto il suo, e perchè dire strana ed empia quella idea delia maggior convenienza che vi sarebbe slata per gli Americani nel ricadere in con- dizione di colonia anziché in quella di debitori-, forse che un popolo il quale nulla abbia del suo perché tutto ciò che possiede non basterebbe forse a pagare i suoi debiti, può dirsi libero, 0 non è egli nella dura necessità di negare il pagamento del debito, se non vuole essere ridotto alla condizione degli iloti ? Poco importa alla questione che di presente il popolo Ame- ricano goda una vita più prospera che non la maggio- 159 ranza della nazione Inglese. Ila egli pagato i suoi de- biti ? Vorrà egli pagarli ? Potrà egli farlo volendo se r Inghilterra da un lato si ostina a non volere i suoi cotoni ed i suoi tabacchi, e dall' altro a volere essere pagata ? Ecco a quale estremità è stata ridotta quella nazione, dal falso sistema che una nazione può accrescere annualmente il suo debito verso un' altra, e nondimeno salire a sempre maggiore prosperità, un fal- limento ignominioso, o la schiavitù. Il Sig. Cattaneo asserisce a pag. 307 , che il Sig. List impugna acremente un'altra delle fondamentali e profonde opinioni di Adamo Smith, quella cioè che r industria è limitata dal capitale. Lo dice il Sig. Cat- taneo, ma non lo prova, e sembra poco credibile che il Sig. List abbia impugnato quella massima, se non r ha fatto in un senso ancora più restriiivo 5 intanto r Economista milanese si sforza di mostrare che se gli Americani avessero seguila quella sentenza Smithiana, molti mali, e molto disordine e molto discredito na- zionale avrebbero evitalo, e protesta di dire ciò tanto più volentieri che oggidì corre in Francia e in Italia presso gli Utopisti e i Socialisti, l'ingiusto vezzo di declamare contro l'immoralità e l'inumanità di quella sublime e mal compresa dottrina. Ma ripetiamo, che stentiamo a credere sianvi uomini non matti che pos- sano credere quella massima troppo ristretta, e questo ingiusto vezzo che il Sig. Cattaneo vede in Francia e in Italia, noi non lo veggiamo, perchè in una recente occasione tutta l" industria francese si è mostrata poco inclinata alle teorie del Sig. Cattaneo, e tutti i go- 160 verni d'Italia lasciano gridare a' Visionar] , e difendono i veri interessi dei loro popoli contro della più scaltra e della più ralTinata astuzia che siasi veduta mai. Ma il Sig. Cattaneo non sa staccarsi dall' America , e forse vi vedrà il tipo della scienza economica, come altri non meno illusi di lui vi hanno veduto già il lipo della scienza sociale, e per combattere il Sig. List in quanto che deplora la soggezione in cui è caduta quella parte di mondo per effetto delle mani- fatture britanniche, immagina una ipotesi, e supponendo la costruzione di una strada ferrala con ferro mani- fatturato inglese , pagato con una parte delle azioni di essa strada che non produce , per effetto della scarsa popolazione, se non se un meschino pedaggio; osserva che le azioni cadrebbero in discredito, ciò che fiìrebbe perdere una porzione del capitale inglese, ma il nuovo Stato Americano godrebbe tranquillamente il profitto della strada ; e conclude , che chi volesse vedere in queir operazione un raggiro macchiavellico di nazione per farsi ammettere sul mercato dell' America e farla divenire sua debitrice , dipendente dalla sua banca e ravvolta nel vortice de' suoi disastri, vedrebbe solo i sogni di una traviala immaginazione, e perciò se il Sig. List grida a quello Stato Americano: non fate un debito coir Inghilterra, rifiutate il Capitale Inglese, egli' dice in sostanza, fate senza quella strada ferrata, fate senza 1' immenso servizio che ella vi presterebbe , fate senza 1' enorme valore che ella aggiungerebbe detto fatto alla vostra possidenza ; e continua : se poi il Sig. List accetta la sovvenzione in denaro, ma la rifiuta 161 sotto forma di ferramenta , perchè vuol proteggere la forza produttiva del paese , egli dice in sostanza -, ar- mate le vostre rotaje di ferro nazionale 5 che è assai più caro del ferro inglese, e per tal modo la vostra strada vi costerà, per modo d'esempio, dieci milioni di più; dunque ingiungete a voi medesimi e ai vostri figli r aggravio permanente di pagare con un soprap- più di pedaggio l' interesse e il dividendo e il rimborso di questi dieci milioni , ossia sacrificale altrettanta parte del vostro patrimonio nazionale. Voi pagherete ogni anno pei vostri trasporti un milione di più, ma le fucine d' un altro Stato Americano avranno fuso una maggiore quantità di ferro; e per il milione che voi sacrificate ogni anno, avranno forse guadagnato un milione per una volta tanto, se pure nella loro in- feriorità industriale, che voi riconoscete, e che viene attestata dalla enorme differenza di prezzi, essi non avranno fuso il ferro a perdila e con finale loro fal- limento. Ora questo discorso che farebbe il Sig. List , come s' accorderebbe coli' opinione da lui pure adot- tata, che l'agevolezza dei trasporti, è una delle fonti primarie di forza produttiva? Non vede egli che il milione di lucro, donato una volta tanto alla speciale produzione ferriera, non compensa l'annuo milione di maggior pedaggio ripetuto ogni anno, a carico della produzione generale, ossia della vera forza produttiva della nazione ? Tutti questi ragionamenti del Sig. Cattaneo sono più o meno falsi. Prima di tutto bisognava provare che chi volesse vedere nelle sovvenzioni di ferramenti 1G2 a buon mercato falle Jall' Iiii-liilierra all'America un rag- giro macchiavellico, vedrebbe solo i sogni di una tra- viata immaginazione, perchè noi crediamo tulio possibile per quel popolo quando si è prefisso uno scopo. Poiché il Sig. List adotta quella strana ipotesi immaginala per combalicrlo. Non sembra neppur vero che anche facendo senza di quella strada ferrata ne venisse gran danno all'America, perchè dal momento che non si possono vendere i coioni e i tabacchi prodotti da quella possi- denza, quella possidenza medesima non acquisterebbe detto fatto alcun valore maggiore. È falso poi di pianta lutto il ragionamento che il Sig. Cattaneo fa sulle rotaje di ferro nazionale Americano, perchè non è vero che spendendo anche dieci milioni di più nella strada si sacrifichi altrellania parte del patrimonio nazionale. Si sacrifica il patrimonio nazionale solo allora che si con- trae un debito coli' estero, ma quando si scava una miniera nel proprio paese, con braccia nazionali , e se ne impiega il prodotto in costruzioni nazionali , quale parte del patrimonio si sacrifica egli mai? Durerà fatica molta il Sig. Cattaneo a fare intendere questa sua massima agli uomini che non hanno del tutto dichia- ralo guerra al buon senso. Facciamo un esempio: io posso comprare del grano nazionale a f. 20. il sacco , e posso comprarne dell' estero a f. 1 5 5 se compro il nazionale è vero che sborso 5. lire di più, ma que- ste restano nella nazione a fare il benessere dell' agri- coltura; io sarò meno agiato, ma saranno meno po- veri i miei connazionali : se compro invece il grano estero, io ho cinque lire dippiù , e la nazione 15 163 lire di lueno che mando ali" estero, e dij)|)iìi langue e deperisce l'agricoltura. Chi dirà mai che con questo sistema la ricchezza della nazione si accresca? Gli economisti della tempra del Sig. Cattaneo devono avere una ben meschina opinione dell' intelligenza volgare per arrischiarsi a stampare degli spropositi cosi mador- nali, con una sicurezza tanto imperterrita. Il Sig. Cattaneo pretende trovare in fallo il Sig. List , perchè questo ultimo riconosce utile 1' agevolezza dei trasporti , e nel tempo stesso vorrebbe renderli più cari , co- struendo la strada di ferro nazionale, e pretende che r industria ferriera Americana avrà guadagnato solo un milione, ciò che non compensa 1' annuo milione di maggior pedaggio, ripetuto ogni anno a carico della produzione generale, ossia della vera forza produttiva della nazione. Ma il Sig. Cattaneo si è dimenticalo di calcolare le utihià che reca allo Stato la somma che avrebbe costato il ferro inglese , e che perciò sarebbe sortita dallo Slato, ed invece col sistema del Sig. List rimane in America 5 che faccia quel conto e lo para- goni coir annuo milione di maggior pedaggio , e poi ci dirà il risultato. Seguita il Sig. Cattaneo la sua critica così : « La popolazione delle Isole Britanniche è la decima parte della popolazione europea. 11 Sig. List riconosce che sarebbe assurdo attribuirle come privilegio naturale una superiore attitudine all' industria; non vuol nem- meno concederle gran vantaggio nell' esuberanza che ella possiede di carbone e di ferro. Dunque il primato industriale che questa nazione esercita sulla rimanente 16» Europa, dipende tulio da cause sociali. Lo studio adunque da farsi è questo: quali sono le cause fondamentali del primato industriale dell' Inghilterra ? Sono queste cause esclusive ali" Inghilterra, e inaccessibili alla rimanente Europa ? E viceversa , non avrebbe il Continente alcun vantaggio suo proprio, in confronto dell' Inghilterra ? » « Se cominciamo da quest'ultima questione, nessuno negherà che il Continente posseda suU' Inghilterra un enorme vantaggio nella minor misura dei salarj. La ple- be inglese ha gravi bisogni per efietli del clima j ne ha di più gravi ancora per effetto dell' indole sua vo- race ed ebriosa, resa improvida e spendereccia da uno strano abuso della carità legale. Inoltre è tale il pre- dominio legislativo dei possidenti, che tre quarti delle pubbliche gravezze cadono sui consumi. Le ostruzioni doganali, stabilite in vantaggio dell' agricoltura , danno un prezzo esorbitante al pane. Finalmente, moltissimi edificj, eretti dall'industria, si devolvono dopo alcuni anni al signor primitivo del fondo. Ora , in molti paesi del Continente la maggior parte delle pubbliche gra- vezze cade sui beni prediali , il prezzo dei viveri è più moderato, anzi per la rarità della popolazione in molli luoghi assai basso 5 le precedenze isioriche hanno ac- comunato a tulli la piena e perpetua proprietà delle costruzioni. In tutti questi paesi adunque, a circostanze pari, gli operaj potranno viver meglio con più basse mercedi. Quindi un grande elemento della forza pro- duttiva, la misura dei salari è tutta in vantaggio del continente, e non può essere fondamento al primato industriale dell'Inghilterra ». (Sarà conlinualo) -^m- 'j^m- -m&i' -^^^^ -sa^^s*- -^^^^ -m^m- •■m>i^- -«»ik^ LA PROFAM COillillEDIA o LE SOCIETÀ- CANTO QUINTO Dopo il loco socievole priinaio Fui a un secondo nella sera appresso Col duca mio, di società guslaio Stavvi maschera ferma nell'ingresso Esamina i biglietti nell'entrata; Senza dei qu?'ii alcuno non ha accesso, Dico che se non è gente abbonata, E il segnai che pagò non fa vedere Dal portinaio viene rimandata. Slamo in teatro ; e tosto da sedere Cerco nella platea in un buon punto Di Lamermoor la donna per godere. Nel mezzo no ; una sera per 1' appunto Che sotto al lampadario sono stalo , N' ebbi il cappello e l' abito tutt' unto. Disse r amico: io starò in pie da un lato, Perchè più liber è chi non s' asside; Ed io gridai a lui : oli sconsiglialo ! Guarda che fai , e di cui tu ti Tide Se ti cade un moderno canocchiale In sul capo da un palco egli ti uccide ; 166 Pel teatro son or di peso tale. Che lungo tratto un regger non li puote; Ma ecco che il sipario in alto sale. Ora incomincian le stonate note A farmisi sentire : or son tenuto Là dove molto urlare mi- percuote. Io venni in luogo al comun senso muto , Che mugghia come fa mar per tempesta , Se da vari partiti è combattuto. La bufera teatral che mai non resta Mena i cantanti , e or gonfia loro i petti Applaudendo , or fischiando li molesta. La musica non reca più diletti , Quivi le strida, il compianto e 'ilamento In causa dei drammatici libretti. .Quando mai a cosi fatto tormento Ci torran gli scrittori teatrali , Che la ragion sommettono al talento ? Se non flniran presto, e coi pugnali. E col far sì che in ogni azione muoia Or questi di velen , quei per mortali Salti, e queir altra per la man del boia Un uditoricidio essi faranno. Perchè noi pure morirem di noia. La musica per essere gustata Convien che s'uniformi ai tempi suoi. Onde ha bisogno d' esser riformata. Quando il mondo era pien d' armi e d' eroi Scrivea Rossini musica marziale; Pace , riposo , amor successe poi , E Bellini fu allor sentimentale; Dopo di voluttà breve torpore Ad ogni volo eran tarpale l'ale, Onde da interna rabbia e da furore Gli animi rosi , sorse Donnizzelti Co' suoi drammi di sangue e d' ogni orrore ; Or poi che pei miglior fini ed effetti Prendiamo in pace il mondo come viene , Altre note vogliamo^ altri libretti. Che sorga un genio creator conviene, E che gì' imilator cessino affatto , Per far cessar le teatrali pene. Mentre tcnea discorso cosi (Tatto Con r amico vicln , era diggià Terminato dell' opera il prim' atto. Ora guardiamo un po' di qua e di là Nei palchetti di sopra e quei di sotto, Ed osserviam la bella società. E come del paese ancora indotto Percir io dissi : Maestro , chi son quelle Al prim' ordine numero diciotto? La prima di color , di cui novelle Tu vuo' saper, mi disse quegli allotta. Passa in paese fra le donne belle. A vizio di capriccio eli' è sì rotta. Che per libito, a quello che si dice, Ha sua Tamiglia ad ogni mal condotta. L' altra che al viso sembra un' infelice . Non è , ma affetta sol malinconia Per esser di romanzi Icggitrice. E quella là si può saper chi sia Al venti in second' ordine ? — Costei £ una donna di calda fantasia , Sposa da un anno appena , chi con lei Vedi nel palco non è già il suo sposo, Ma un de' più zelanti cicisbei. Il marito di lei non è geloso. Sposò la dote e vedilo colà Che con quella damina fa il grazioso . . Matrimoni alla moda ! Ora si fa Un contratto', e dippoi moglie e marito Fa il suo piacer con tutta libertà. Poscia eh' io ebbi il mio dottore udito Nomar le varie donne e i cavalieri , Di saper d'altri vennemi prurito. E cominciai : Amico , volentieri Io saprei di que' duo che 'nsieme stanno Dov' è colei da que' capei si neri. Ed egli a me: costei, tutti lo sanno. Fu giovin virtuosa , e da colui Che seco se ne sta, tratta in inganno. Quante volte la donna e i vizi sui Noi condanniamo , e si dovria pensare , Che chi r adduce al male siamo nui ; 167 168 L' uomo è quei che le fa la fé violare , L' uomo è quei che trascurala maligno , E bisogno ha la femmina d' amare. Oh animai grazioso e benigno, Se al tuo sentir non fosse il nostro avverso Non tigneremmo il mondo di sanguigno ; Tutto amore sarebbe l'universo, E sia detto con nostra buona pace, Andrian le cose meno di traverso. Ma di colei di cui udir ti piace La cronaca verrò mettendo fuori , Or che 1' orchestra , come fa , si tace. Nata da onesti e ricchi genitori In miseria caduti e negli stenti Per soverchia fidanza nei fattori. Piena di virtuosi sentimenti Gli aiutava con 1' opre di sue mani , Abbandonati avendoli i parenti . . . Oh i parenti son pur molto inumani! Essi sempre in cotai casi infelici Compassionano assai, ma stan lontani. Spariti erano pur tutti gli amici , Secondo il consueto, ed ella solo Prestava a' suoi affettuosi uffici ; E com'essa è bellissima figliuola. Quegli che è seco, dalle sue vicende Tocco, già r avvicina e la consola. Amor . che al cor gentil ratto s' apprende , Prese costui della bella persona , E tolse i suoi a lor miserie orrende. Amor , che a nullo amato amar perdona , Fa' cader nella rete la tradita , Che, come vedi, ancor non l'abbandona. Amor condusse loro ad una vita. Che luogo dà a mormorazioni immense, E per dirla , non è la più pulita. Da che intesi che in lei virtù si spense. Chinai '1 viso, e tanto il tenni basso. Finché l'amico dissemi: che pense? Quando risposi, cominciai: oh lasso! Dava costui il beneficio a usura Colei menando al vergognoso passo. 169 Povera e disgraziata creatura ! Infame 1' uomo clie pe' suoi desiri , Guasta la più car' opra di natura ! ! Ma dimmi: per quant'ora i' me la miri Farmi assai mesta, e che dal palco fuore Poco all' intorno i suoi begli occhi giri ? Ed egli a me : nessun maggior rossore Che ricordarsi dell' onor perduto Nel disonor , per chi virtude ha in core. Ma il seguito dell' opera è venuto ; I cantanti ritornano a stonare , E r orchestra lor dà tutto 1' aiuto. Io già non li poteva più ascoltare Sì quella giovin 1' anima mi strinse Dopo che udii le sue vicende amare. Per più fiate gli occhi 'n lei mi spinse Quel non so che che trovasi in un viso Di bella donna; ma ragion Io vinse. Quando alPme il tenore si fu ucciso Per Lucia, che su 'n del er' ita innante , Quegli che mai da me non fu diviso Dal teatro già fuor, tutto tremante Pel freddo salutommi , i' '1 salutai In fretta , essendo un freddo assiderante ; Eran cadute nevi e piogge assai , Indi gelate s' erano le strade , Nel tornarmene a casa scivolai , E caddi come corpo morto cade. CANTO SESTO Al tornarmi del dorso , eh' io portai Dolente per i piedi scivolati, Col mio duca al teatro ritornai ; Spettatori moltissimi e stipati Mi veggio intorno , come eh' i' mi muova , E come eh' i' mi volga , e ch'i' mi guati , Bramosi tutti d'ascoltare a prova Un armonico autor, che in quella sera Esponeva una sua opera nuova. 170 Povero autore ! Il pubblico è una fiera : Se mai su te indisposto si riversa , Tu hai veduto notte innanzi sera. Fiera crudele è il pubblico, e diversa , Con gole assai caninamente latra Sovra la gente che non sta sommersa. Gli occhi ha lincei , lingua tagliente ed atra , Il ventre vuoto, ed unghiate le mani Graffia gli autori , gli scuoia ed isquatra. Urlar li fa talvolta come cani . . . S'alza il sipario. Il dramma, quale infermo, Comincia a brancolare in giri strani. In silenzio sta il pubblico, il gran verme, E 1' autore temendo le sue saune , Non avea membro che tenesse fermo. Quand' ecco alcun, distese le sue spanne. Le battè insiem , ed un applauso urlato Fuori gittò dalle comprate canne ; Dai più viene 1' applauso rintuzzato Co' fischi , e cosi '1 pubblico discorde , Fa nascere un rumore indiavolato. Il musicista ambo le man si morde Al forte sibilare, che gì' introna Le orecchie sì , eh' esser vorrebber sorde. Termina alfin, ed ei che una corona Si credea meritar, l'ebbe di fischi Sopra sua vanità, che par persona. Miscrere di me! quai bruiti rischi Corre un autor , se da inesperto o matto , Avvien che con il pubblico s' invischi ! E tu , che se' per questo inferno tratto , O musicista disgraziato assai ; Tu fosti, prima che fatto, disfatto. M' immagino l' angoscia che tu avrai Al veder tue speranze andate in niente. Ciò che creduto non avresti mai. Sono autore pur io sgraziatamente , E dei fischi figuromi la pena Che s' altra è maggior, nulla è si spiacente, «irai fra te, che la cittade è piena D' invidia si , che già trabocca il sacco ; Che la musica tua fu intesa appena , 171 Né si può giudicar ; che non fé' slacco , Perchè I' orchestra congiurò a tuo danno , E della prima donna il petto fiacco . . . Ah ! artista infelice ! Il tuo affanno Mi pesa si, eh' a lagriraar m' invita; Ma ! le cose nel mondo cosi vanno. Queir avvenir di gloria , quella vita Felice che speravi dalle carte Ch'imbrattasti di notte, ahi! è svanita. Domani lieti i tuoi compagni d'arte Divulgheranno , mesti in apparenza , Tuo naufragio fatai per ogni parte. Tutti useran su te la maldicenza, Scnz' essere tacciati di scortesi , Né farsene alcun scrupol di coscienza. Miracoli nell'arti or son pretesi; Critica , invidia , ed esigenza sono Le tre faville eh' hanno i cori accesi. Qui posi fine al lacrimevol al suono Ch' io dentro me facea nel lento escire Dal teatro per folla, ed il mio buono Amico e duce incominciommi a dire: E del libretto cosa ti è sembrato ? Io poco 0 nulla ne potei capire. Era un vaudeville, risposi, impasticcialo Con versi, a dir il ver, piuttosto indegni. Oh poeta esso pure disgraziato! Non abbiam forse noi autori degni Da storpiar: e Goldoni , e Nola, e Alfieri, ' E gli altri che a ben far poser gì' ingegni? Sempre in tutto e per tulio gli stranieri! Noi dunque non avrem più nella testa Potenza creatrice, né pensieri? E '1 duca disse a me: più non si desta Di vera fama il suono della tromba , Sol v' è d' imitator schiera molesta. Ciascun ritroverà la trista tomba, Finch' altri imita, e che da altri fura. Né scrive quel che in eterno rimbomba, E ben fischiata fu la vii mistura Dell' opre che gli autor crcdcan portenti Degni dell' immortai vita futura: 172 Perch' io dissi : non sai quali tormenti Prova un autor dopo la gran sentenza , Ch' altri non son maggior , né si cocenti. Ed egli a me: ritorna a tua scienza. Che il pubblico su cosa anclie perfetta Vuol dire , onde gli autori usin prudenza. Tuttoché questa gente benedetta In vera perfezion giammai non vada. Sempre applaudita assai essere aspetta. Noi andavamo insieme per la strada Parlando più assai eh' io non ridico ; Venuto a un punto dove si digrada; Dissi felice notte al caro amico. CESARE MASINl ì mwsmsmmMM'mm'sm'&mmW'^mm&^mmmi^Mm^m^ QUINTA Dimoine SCIENZIATI ITALIANI IN LUCCA NEL 1843. (•) ARTICOLO PRIMO Neil' istoria dell'umano sapere avranno cerlamente una pagina di gloriosa ricordanza 1' epoca e 1' insiiluzione dei Congressi scientifici italiani, e quel magnanimo prin- cipe, che non degenere dal grand' avolo, di suo poten- tissimo patrocinio questa instituzione favoriva, primo fra tutti aprendo ai cultpri delle scientifiche discipline le città del suo regno, ed ogni studio costantemente adoperando, affinchè meglio raffermata procedesse, e sortisse il più utile risultato. Forti infatti della prote- (*) Siccome i congressi scientifici segnano un' epoca nella mo- derna storia della penisola , che certamente dee avere sovra i destini di lei una salutevolissima influenza , con vera esultanza dell' animo stampiamo sul nostro periodico quest' altro scritto riguardante alla Quinta di quelle ragunanze, credendo che di cosa di sì grande momento non solo non debba dispiacere che da più in diversi modi se ne ragioni , ma che anzi sia questo il vero mezzo di porgere ai lettori della Rivista ed ai Concittadini nostri più specialmente il mezzo di Tormarsi un concetto chiaro di que' Congressi medesimi; che le cose. in zione (Jel Granduca Leopoldo, sostenute dal consenso d' altri principi italiani , non meno del primo proleg- gitori illuminati degli utili studi , e desiderosi del pro- gredire dell' umano perfezionamento ; ma belle sopra- tutto dell'unanime concorso dei dotti della penisola, non che degli stranieri, le riunioni dei sapienti italiani vanno animose procedendo — validissimo mezzo alla ricerca del vero, all'applicazione dell'utile. — Né più limitata alla previdenza del filosofo e dello scienziato , o alla sapienza dei principi, la certezza della vantag- giosa efficacia dell' unirsi in fratellevol concordia a ri- cambio di reciproche idee fra i diversi cultori d' una medesima scienza, il popolo stesso, di giorno in gior- no più si convince dell'utilità di siffatte riunioni, nelle quali riconosce manifestamente il mezzo più valevole e pronto, per l'applicazione degli astratti e specula- tivi principi! della scienza, alla pratica dell' individuale, e della sociale umana economia. — Scopo primo e de- finitivo della sapienza 5 speciale carattere, di che s'im- pronta r epoca della moderna civiltà. — Onde è , che tanto importanti quanto i congressi scientinci sono, non possono essere rettamente giudicate se da tutti i loro molti lati esa- minate non sono , e coloro che come 1' egregio nostro amico il Dottor Costa ebbero la sorte di farne parte sono più che ogni altro certamente in grado di bene ed adequatamente ragionarne, perchè non tutte le circostanze si rilevano dai pro- cessi verbali de' segretarj, e molte che possono sembrare os- servazioni di poco rilievo ti rivelano spesso di molte impor- tantissime tendenze ; poi le preziose impressioni di quelle ani- matissime scene come trovarle sui diarii ? Sicché portiamo fiducia che i nostri lettori abbiano da saperci grado del no- stro divisamento. Chi ama di leggere poco è nemico delle Jdee precise ne potrà far mai un fondato giudizio. l'editore 175 un'eco universale d applauso va ripetendosi , non sola- mente nelle città, che furono già sede dei passati Congressi-, ma in ogni angolo delia nostra penisola: eco d' applauso alla voce dei dotti congregati a comu- ne sforzo per meglio cooperare all' avanzamento delle scienze, al progresso del bene, alla scoperta del vero, air applicazione dell' utile. Mentre tali voci, ripetute da numerosi giornali, ri- suonano anche nelle più piccole città dell'Italia, è veramente dolorosa cosa il vedere, come in una delle più cospicue capitali della penisola, siano quei gene- rosi sforzi pressoché ignorali, o conosciuti soltanto da quei pochi , che colla lettura dei giornali delle vicine Provincie, amano tenersi informati delle cose italiane. Conciossiachè io creda a nuli' altro, se non se alla mancanza da noi sofferta fin qui di fogli periodici nazionali scientifici, si debba attribuire 1' oscurità, in cui dalla maggior parte di noi si vive , intorno alle scientifiche investigazioni, alle quali si attende nelle altre parti d' Italia. Né vale il dire, meglio apprendersi queste per mezzo appunto di quei fogli medesimi, che si stampano nelle rispettive città o provincie. Ciò per verità accadrebbe , se noi , di gran lunga più vaghi di quanto ci viene d' oltremonie, in tanta minor copia non ricevessimo i periodici italiani, in quanto maggior numero ne consuliiam di stranieri : o se più moltipli- cati, come altrove lo sono, essendo pure tra noi i pubblici e privati gabinetti di lettura , più facili , e dirò popolari, si avessero i mezzi di attingere cotali notizie. 176 Fatto gli è intanto, che dei passati Congressi poco e da pochi si conosce, e meno fu detto tra noi (1). Un semplice avviso che ne somministrava la Gazzetta di Genova, senza che quindi ne venisse aggiunto un qualche ragguaglio, faceva invece nascere in molti Y idea, che si trattasse di cosa leggiera d'assai, e nulla mai dicendosi dell' operato, poco meno che inutile. Né la raccolta degli atti di quelle adunanze , impressa in elegante edizione, era tal libro, che distrurre po- tesse queste falsissime idee , perchè costoso e di mole piuttosto grande, da pochi veniva acquistato, e pochi invogliava a quella lettura: libro quindi da consultarsi piuttosto dai dotti, ma non acconcio alla comune portata. E sarebbe vergognoso per certo che da noi si vi- vesse in siffatta ignoranza , e che tali ingiuste preven- zioni si diffondessero sopra di una instiluzione eminenie- menie italiana, utile ed onorevole. Può essere, chela patria nostra venga ben presto chiamata a dar ricetto ad una di siffatte riunioni, ad accogliere gli uomini i più commendevoli per sapere e per dottrina che vivono sparsi nelle diverse provincie d" Italia. Da sì nobile ed ambito convegno onorata, non vorrà essa del pari onorarli? Vorrà essa rimanersi al dissotto di quanto fecero Pisa e Torino, Firenze, Padova e Lucca? Se la munificenza dei principi, non ci dà luogo a sperare di poter superare i segni d'onoranza prestali, laddove residenza di corti porge tanta facilità di mezzi a tal uopo 5 l'esempio di zelanti ed illuminati cittadini , deve (1) Quando fu scritto questo articolo nulla si era visto ancora di relativo al Congresso né sull' Espero né sulla Rivista. 177 accenderci alla nobil gara di far sì, clic la patria no- stra e per frequenza di popolo, e per dovizie, e per munificenza ed amenità di monumenti e di luoghi , per antiche memorie a poche delle consorelle italiane, o forse a nessuna seconda, come quelle si mostri ani- mosamente sollecita neir onorare la sapienza. E certo che la grandezza d' animo dei Genovesi non verrebbe meno alla prova ! Scopo per altro non è di questo articolo il venir ora discorrendo di quanto fu operato da quelle città, nelle quali già s' adunarono i Congressi scientifici ita- liani né il parlare di ciò che far si dovrebbe, quando Genova venisse un giorno scelta ad esserne sede pur essa. Troppo a lungo ci condurrebbe il primo tema, ed intempestivo sarebbe, né a noi conveniente il trattar del secondo. Nemmeno è pensiero nostro il mostrare quello, che dai passati Congressi , a prò della scienza venne operato; quali siano state le materie discusse, quali i punti rischiarati, quali quesiti ad ulteriore ri- cerche proposti, quali verità dalle congregate opinioni raffermate, quali ritrovati della scienza alla pratica del- l' umana vita applicati ...... a tal opera verrebbe meno l'ingegno, e benché utilissima, perchè la più atta a distrurre i' erroneità di volgari credenze o concepite da' stolti, o da' più maligni disseminate, pure offrirebbe un campo troppo vasto per un articolo da giornale. Se però inopportuno riuscirebbe l' accennar tullocciò specialmente, in risguardo dei Congressi di Pisa, To- rino, Firenze e Padova, ben altrimenti è la cosa re- lativamente a quello di Lucca, Quinta Riunione degli 178 scienziati italiani che testé venne chiuso. Olire la data recente , e il desiderio che sappiamo nudrirsi da molli di conoscerne i particolari , ci spinge a ciò dovuta ri- conoscenza alla cortesia della ospitale città che ci ac- colse, ammirazione e giustizia ai lavori dei dotti, i quali né a spesa né a fatica perdonano, affinché pro- gredisca la scienza , e s avvalori la gloria italiana. Non si creda per altro che noi vogliamo descrivere minu- tamente ogni cosa, od addentrarci nelle gravi discus- sioni che si agitarono in quelle adunanze. È nostro proposito il toccare alcuna cosa qua e là come meglio ci vieue fatto raccapezzar colla mente, desiderosi sol- tanto d' invogliare con quel poco i nostri concittadini a conoscere il di più, o d'offrire ad essi un'idea, per quanto possiamo, più giusta e più vera del mol- tissimo che per opera dei Congressi scientifici italiani vien fatto. A Firenze fu prescelta Lucra per la quinta con- vocazione degli scienziati italiani nel 1843. Assentila l'elezione dal Principe, accolta con giubilo dai citta- dini , il municipio e i privati andarono a gara per far lieta accoglienza ai loro ospiti. E quanto i provvedi- menti degli illustri personaggi che ne vennero incari- cati, r aspettazione di lutti vincessero, non è qui duopo il ripeterlo, che centinaia di stranieri, in molte occa- sioni, maravigliati e riconoscenti, l'espressero, e da ciò che diremo, verrà viemeglio chiarito. In qualsiasi stagione a chiunque s'innoltri nel contado di Lucca, meraviglia dolcissima è preparata dal per- fezionamento cui giunse 1' agricoltura in quel paese. 179 Che scolpendo per ameni uliveti , ora in pianura , ora in collina quasi a disegno disposti , e penetrando per campi, dove il terreno irroralo dal Serchio, e fecon- dato dall' indefesso lavoro, porge all' induslre colono quadruplicato il raccolto; e dove il gelso, l'olmo ed il pioppo, alimento al serico insetto, o sostegni ad inghirlandati vigneti , allogali in beli' ordine , mentre interrompono la monotonia della piana, presentano per ogni do\'e l'aspetto vero d'un podere modello. Io passava per sì amena campagna il mattino del 1 4 ora scorso settembre, e se essa è sempre deliziosa a vedersi, era quel giorno oltremodo abbellita da in- numerevoli contadini, messi a festa, che d'ogni parte accorrevano al maggior tempio della città, per adorarvi r Altissimo, là venerato con esemplar divozione nell' ima- gine del Santo Volto, del quale appunto si celebrava in quel di la solennità. Ben augurala coincidenza che la festa del sacro simbolo di nostra Religione precedesse d'un giorno r apertura del Consesso dell' italiana sapienza. Adunavansi infatti il domani gli scienziati nell' in- signe basilica longobardica di s. Frediano. E qui cele- bratasi, con accompagnamento di sceltissima musica, messa solenne, ed invocatosi il Divin Paracielo, fonte sola ed eterna del verace sapere, si passava nella sala dell' attiguo collegio Carlo Ludovico, ove il M.sc Antonio Mazzarosa, Presidente Generale di questo quinto Congresso, uomo di cortesi modi, di profonda dottrina, e di prosapia fra le più cospicue , per molti scritti storici celebrato, e caro alle scienze economiche ed agricole, leggeva alla numerosa assemblea un acconcio 180 discorso ^ nel quale , toccato tleir origine dei Congressi , mostrava, come = uno scambievole intendersi di affetti, un desiderio in tutti di aiutare, e di essere a vicenda aiutati , avendo fatto sentire a lutti il bisogno di unirsi a fratellevoli disquisizioni , onde poter dare alle scienze quell'unanime tendenza, coadiutrice del miglioramento sociale, cui esse sono chiamate, per quel nobilissimo principio insito in noi di una carità universale , che dell'uomo individuo fa una famiglia; la necessità ne sorgesse di tali periodici Consessi di sapienti. Che, seguitava egli = quella voce costante , e 1' azione che prorompeva, malgrado gli ostacoli, palesarono chiaro la purezza dei pensieri, la necessità di mandarli ad effetto. Quindi i reggitori delle nazioni, non più ondeg- gianti si dierono a secondare le moderne instituzioni , e vollero anzi aver la gloria di aiutarle e persino con- sigliarle .= Come ciò si facesse dall'augusto Moderatore della felice Toscana, e tosto il prezioso esempio venisse imitato da due sovranità protettrici e soccorritrici di ogni migliore instiluzione, che intenda nei beni intel- lettuali e materiali degli amati soggetti, si soffermava mostrando. Di Lucca poscia diceva modestamente e di se, del buon volere e dei desideri!-, ai quali ottimi desiderii ogni giusto, ogni buono saprà grado, che tanto corrispondesse 1' effetto. Dei vantaggi già avutisi dai precedenti Congressi, veniva poi discorrendo: perocché = r agricoltura ebbe ivi un impulso, che senza la so- lenne occasione era invano da attendersi ... ed ivi si diedero le mosse a grandi cose.= Da che, diceva egli, se non dagli scientifici Congressi , alcune delle accade- 181 mie italiane cambiarono il lusso inutile delle loro eser- citazioni in cose alle arti ed ai mestieri attinenti , e si piegarono fino alla istruzione teoretica, affinchè la mente da qui innanzi guidasse la mano? La cognizione delle piante spontanee, delle terre, degli animali, nelle si svariate regioni della bellissima patria nostra , ec- citata dai Congressi, principia già ad illuminare sui vantaggi che ne possiamo conseguire per francarci dai tributi allo straniero. E quelle scienze propriamente dette della natura, che le virtù ne vanno indagando per applicarle ai bisogni e ai comodi delia vita , già incominciano a ricevere in tanta comunanza di sapienti una estensione, una pubblicità senza questo impossibili tra noi. Né si stimi da taluno che la scienza immuta- bile nei suoi principii , sarà inutile corredo nelle nostre adunanze; poiché la ragione delle cose perfettamente conosciuta , risparmierà fatica all' uomo , disgrazia alle campagne, insegnandogli economia di forze, o ap- ponendo rimedi. E per ultimo quanti e quanti beni derivare mai ne possono all' arte preziosa del guarire , o dell' alleviare le infermità ! A quell" arte divina ral- Icgratice e consolatrice nel vortice delle umane miserie. Fondata essa per lo più sull'esperienza, per le tante diversità negli individui che temperano spesso, e tal- volta anche distruggono le teorie, di quale copia di fatti non può mai arricchirsi ogni anno dai molli valen- tissimi insieme convenuti, che hanno coscienza e cuore, due qualità sempre congiunte colla vera sapienza ? Ecco i beni che in parte già gustammo dalle nostre unioni, e che mollo maggiori, e generali possiamo attendere 182 pel futuro. = Ed io senza avvederniene , ma trascinalo dalla brama di mostrare a che tendano gl'italiani scienti- fici Congressi, veniva quasi riferendo il ragionamento stesso del Mazzarosa; ed assai opportuno mi verrebbe il far cenno del filantropico desiderio , clie a prò delle classi operanti egli esprimeva ; gli opportuni consigli che aggiungeva, le belle speranze infine che egli de- stava neir energico e schietto discorso, accolto da unanimi iterali applausi dairaflbllato uditorio. Ma troppo io si;emerei la forza e la venustà de' concetti se alcune frasi soltanto ne riportassi. Terminalo che il Presidente generale ebbe il suo dire, i cultori dei diversi rami scientifici si divisero in altrettante sezioni, per procedere alla elezione dei rispettivi Presidenti, e sortirono eletti a schede segrete ed a maggioranza assoluta di voti: per la sezione di Agronomia e Tecnologia, il Conte Gherardo Freschi di Udine: per la sezione di Zoologia, Anatomia comparata e Fisiologia, il Principe Carlo Luigi Bonaparte: per quella dì Fisica e Matematica , il Cav. Gaetano Giorgini : per la sotlo sezione di Chimica, il Prof. Gioachino Taddei : per la sezione di Geologia , Geografia e Mi- neralogia, il March. Lorenzo Pareto: per quella di Bo- tanica e Fisiologia vegetale, il Doit. Bartolommeo Biaso- letlo: per la sezione di Medicina, il Prof. Cav. Carlo Speranza. Associavasi il Freschi a Vice Presidente, S. E. il Conte Luigi Serristori , ed a Segretario, il Sig. Bo- najuto Paris Sanguineiti. Erano chiamati a V. P. della sezione Zoologica, il Cav. Carlo Bassi, ed a Segre- larj, il Conte Carlo Porro e il Dott. Timoteo Riboli: t8-3 a V. P. in Fisica e Matematiche, era eletto il Cav. Fer- dinando Tarlini, e a Segrelarj, i Prof." Gian M. Lava- gna e Luigi Giorgi, ed in Cliimica, il Prof. Luigi Ca- lamai. Occupava la sedia di V. P. in Geologia, il Nobile Achille de Zigno, e quella di Scg., il Prof. Leopoldo Pilla, l Dottori Luigi Masi ed Ettore Celi erano scelti Segrelarj in Botanica. Per adempiere l'incarico di V. P. in Med. eleggevasi il Cav. Salvatore de Renzi, e quello di Segretarj, i D." Girolamo Cloni ed Ant. Salvagnoli: mentre che alla sotto sezione di Chirurgia, presiedeva il Prof. Carlo Burci, cui a Segretario aggiungevasi il D. Giuseppe Secondi. Vorrebbe or qui l'ordine delle cose, e l'importanza dogli argomenti, che io ora parlassi dei temi almeno di maggiore importanza, e delle più gravi discussioni che si seguitarono nelle successive tornate delle diverse sezioni alle quali intervenni. Ma essendo la materia più vasta di quello , che non comporti la ristrettezza dello spazio accordatomi, siIRuta disamina formerà soggetto di un secondo articolo da inserirsi in altro numero di questa Rivista. Lasciata pertanto per ora la parte più essenziale del Congresso , continueremo a descrivere ciò che, a così dire, non ne forma che l'esteriore or- namento. Farebbe veramente che questo metodo non fosse il più acconcio per conciliare ai Congressi me- desimi quella estimazione che meritano. Ma il bene della insliiuzione è sì chiaro, i risultati sono si evi- denti, che noi non temiamo di minorare nell'animo d'alcuno dei nostri lettori quella favorevole idea che essi possano averne, descrivendo, prima dell'utile, il bello della instituzionc medesima. 184 Udii taluno affermare-, essere i Congressi scientifici non altro, se non che un convegno immaginato al fine di procacciarsi un sollazzo. E chi potrebbe asserire essere quelle scientifiche adunanze occasione e momento di penai Ma vorrebbe giustizia e verità s'aggiungesse, nulla darsi , che più di queste riunioni raggiunga quel tanto in ogni tempo desiderato connubio dell'utile col dilettevole. Non ha la scienza così severo cipiglio , che i suoi cultori, mutata l'umana tempra, debbano ab- borrire dall' amena società , e da tuttocciò che può prestar agio ad onesto trattenimento. E sarebbe dav- vero ridicola pretensione il volere , che gli scienziati , quasi fossero cenobiti, dopo aver trattato in comune delle materie scientifiche, dovessero ritirarsi nelle so- litarie celle a contemplazione e penitenza. — E se non fossero che a solo sollievo indirizzate queste periodi- che annuali riunioni , vorreste loro apporlo a deUtto ? A chi tutto r anno travagliasi in lunghe, pazienti, ben sovente disgustose esperimentazioni ad interrogare la natura ^ od in difficili penosi viaggi a visitare la terra , classificarne i prodotti, analizzarne le roccie, misurar- ne le distanze, le giaciture, e nelle sue viscere istesse, dove sono più oscure più profonde le grotte , carpire il segreto di sue evoluzioni: o in faticose escursioni cercar d'aumentare le derrate di sua superficie, col- r esperimentare nuovi metodi , o i già antichi perfezio- nando, distruggendo inveterati pregiudizi, buone mas- sime e pratiche agricole disseminando, o con iscopo più elevato e filantropico ancora, i bisogni studiando si morali che materiali del colono, dell' artigiano, e i 185 mezzi di soddisfarli: o a chi nel tugurio della misei'ia, nei grandi teatri delle umane infermità, d'ogni maniera si adopera a recar salute o sollievo alle sofferenze de' suoi simili .... in una parola, a coloro, che fatto tesoro di fatti e di osservazioni , nella meditazione del gabinetto studiano poi continuamente a trarre utili e generali conseguenze dall' osservato .... Chi in- vidierebbe a costoro , io diceva , un sì breve spazio di tempo, dato pure che fosse al solo divertimento? Ma quando essa sia evidentemente provata la reale utilità della instituzione, se all'utile morale e scientifico può unirsi r onesto diletto, lungi dall' attirarsi il sarcasmo e il ridicolo, a me sembra opera meritevolissima di encomio -, esempio anzi del come debba il piacere medesimo venir rivolto a profitto, invece di agevolare la via allo scioperamento delle sostanze, della salute, del tempo. L' uomo tende per sua natura al diletto 5 né la grave filosofia dello stoico, il disprezzante di- leggio del cinico, 0 il raro ed eccezionale esempio dell' anacoreta hanno potuto giammai cambiare le na- turali tendenze delle moltitudini. Una illuminata filo- sofia, invece di consumarsi in inutili sforzi per cam- biare ciò che non è mutabile, ha creduto più logico, più conseguente, più giusto ricondurre al bene ciò, che di frequente dal retto sentiero devia. Vedemmo più volte, come la carità ingegnosa abbia saputo tramutare in opera di beneficio il denaro impiegato ne' lieti trattenimenti, ed il sentimento del piacere non ne veniva perciò so non se nobilitato ed accresciuto. — Se la scienza ha saputo fare altrettanto, non ne è lodevole ritrovato? — 186 Ella è per certo dolcissima cosa, per valermi delle stesse frasi d'un nostro concittadino, il Presidente della sezione Geologica, die al ricorrere d'ogni annuo periodo sia dato ai dotti italiani rinnovare il fratellevole am- plesso, con cui quasi membri di una stessa famiglia si ab- bracciano, e sia loro concesso ripetere le amichevoli disquisizioni sulle scienze al cui culto si dedicano , ora in una, ora in altra delle tante belle e dotte città, che gioielli sono della corona , onde s' inghirlanda la nostra penisola. Ella è ben dolce cosa e dono, anzi caparra di Provvidenza, che molli possano degli ita- liani convenire in ospitale città, e qui portare quella pietruzza all' edifizio dell' umano sapere, e all' illu- strazione italiana, che per lo ingegno di cadauno si può, e in quel ramo di scienza che si è scelto a mira delle proprie elucubrazioni. Ma prescindendo per un istante da quella intellet- tuale e morale soddisfazione inerente alla essenza stessa di scientifici studi , ed al trovarsi insieme convenuti i cultori de' medesimi j altri pure furono i mezzi di sol- lievo accessorii, dirò così, ed esteriori, che, come già a Pisa, a Torino, a Firenze, a Padova, trovarono a Lucca i convenuti al quinto Congresso scientifico ita- liano. E questi vogliamo ora ai lettori di questo gior- nale far noti. In ben adatti locali del Pieale Liceo, ed in più va- sti del vicino Collegio Carlo Ludovico adunavansi gli intervenienti alle sedute delle diverse sezioni , che dalle 8 del mattino si succedevano di due in due ore fino alle 3 pomeridiane. E questo non breve periodo di 187 lempo era esclusivamente occupato dalle scientifiche materie; delle quali, come dicemmo, in altro articolo si parlerà. Occupala in tal modo tutta la mattina nelle gravi disquisizioni della mente, poteva quindi lo spi- rito a tutto beir agio darsi a quella ricreazione che è tanto necessaria per attendere di bel nuovo agli ulte- riori studi e lavori scientifici. In un magnifico f)alazzo, posto in mezzo a deliziosi giardini, e dipinto a superbi affreschi, era preparala la mensa comune. Se all' uomo , considerato come essere animale, per la riparazione delle forze organiche è necessario il cibarsi, ad esso, riguardalo nei suoi rap- porti sociali, soggetto alle pratiche dell' abitudine, e dell'educazione, ò pur giocondissima cosa alla bontà de' cibi il mescere l'eleganza delle mense, la gioviale compagnia degli amici, e l'amenità del locale. E tali condizioni, che fanno lietissimi i convili, trovavansi riu- nite davvero nel Palazzo Andreozzi. Qui le conoscenze fime il mattino stringevansi in più inlima amicizia, per- chè nulla vi ha che maggiormente gli animi avvicini, quanto il trovarsi al medesimo desco. Qui, o seduti ac- canto a persone d' una medesima patria, oppure vicini ad uomini di paese diverso, non si veniva meno per questo a famigliare consorzio, né meno lieto il tempo passava, finché terminato il pranzo si discendeva a gode- re l'amenità del giardino, o si andava a più frequen- tato passeggio sui ridenti spalti di Lucca , da quel lato appunto dove il monte Per che i Pisin veder Lucca non ponno 18S lerrainando la visuale dell' occhio a chi guarda verso sud-sud-ovesi, ad ogni alzare di ciglio richiama alla mente il divino poema , onde andrà sempre Italia nostra famosa-, per rivedersi quindi la sera all' accademia delle stanze. Era questo il vasto ed elegante casino destinalo alle veglie. Non aggrottino il ciglio i severi aristarchi all'udire che gli scienziati convenissero in cotesto loco a serali conversazioni. Né credasi già che ivi il tempo venisse sciupato, mentrechè invece dai più, 1' amena e famigliare conversazione ad utilissimo fine era volta . Nulla avvi infatti a mio credere, e al giudizio di quanti intervennero o costì , o alle sale della Riccardiana a Firenze, o nel Caffè Pedrocchi di Padova, o in altri luoghi delle città dove già si adunò il Congresso scienti- fico -, nulla avvi , io diceva , che megUo di questi ves- pertini convegni giovi a quel fine cui tendono i Con- gressi scientifici italiani. Imperciocché egli sia appunto quivi , che nel conversare amichevole si abbia più che in ogni altro luogo occasione di venire a quelli stretti colloqui, a quei nodi di comune fratellanza, che av- vicinando uomini divisi da non brevi distanze, tanto valgono ad estinguere mal intese rivalità , ad aumen- tare invece i vincoli d' un amore e d' una stima reci- proca, potentissimo mezzo al progredir delle scienze, al favorire sludi ed interessi comuni. E quivi pure accadeva che, o fra pochi amici, o in crocchii più numerosi, si ritornava, in islile più famigliare, sulle questioni e sui temi discussi al mattino, si veniva so- vente a più facile conciliazione d' opinioni , e vi si preparavano bene spesso le discussioni per l' indomani. 18« — Utilissima esercitazione , ricambio continuo d'affetti e di idee, che quanto giovi a! cuore, all' intelletto, alla mente ognuno intenderà meglio eh' io non valga ad esprimere. — Nò però vi mancavano giornali di amena letteratura, di politica e d'altro serio argomento per chi amava spendere il tempo nella lettura e nello studio; mentre il bìgliardo, gli scacchi ed altri giuochi siffatti offerivano tutta comodità a chi preferiva invece diver- tirsi in tal guisa. Imperciocché è da notarsi che alle stanze, siccome alla mensa comune non intervenivano i soli ascritti nel novero degli scienziati : che anzi non poche delle gentili dame Lucchesi, ed altre Toscane, e di più lontani paesi abbellivano di loro presenza que' luoghi, dove il canto estemporaneo del poeta, la danza e la musica mescevansi in bella e variata vi- cenda al conversare del dotto. Erano questi i giornalieri e costanti passatempi , che la cortese Lucca aveva preparato a' suoi ospiti nella seconda metà del passato settembre. Ma altri ve n' eb- bero pure eh' io chiamerò accidentali e avventizii. Non parlerò di particolari feste e banchetti dati , o dal Principe, che invitando gli Uffiziali di ciascuna sezione volle mostrare il suo benigno favore , non solo al Con- gresso in generale, ma a ciascuna scienza in partico- lare, delle quali alcune ei predilige e coltiva; o dal Presidente generale Marchese Mazzarosa, o da altri Si- gnori Lucchesi. Ma nel vasto anfiteatro , che sarebbe bellissima cosa se al legno e alla tela fosse sostituito il marmo e la pietra , e fosse reso stabile e vero ciò che non è che apparente , corsero due volte i cavalli a 190 fandiìo : ed aliro gradito spellacolo il pubJjlico ehbesi pure nel volo areoslaiico dell' Orlandi di Bologna , pre- ceduto da un giuoco di tombola; popolare iratteni- menio non rado in Toscana, ma sconosciuto tra noi. Non so se mi verrà condonato in questo luogo il parlare del Teatro. Ma avvegnaché sia la musica tea- trale oggigiorno un bisogno del secolo, una necessità senza cui, pare, non possa aversi il solazzo completo : ed essendo che \i avesse in occasione del Congresso di Lucca nel Teatro del Giglio di questa città, un tale accordo di sceltissima musica, e di esimii cantanti, che raramente si ottiene in altri più grandi teatri d' Italia — principalmente sul nostro: — perciò non ho vo- luto tacerne, per mostrare quanto, anche da questo lato, sia stata la sollecita cura dei Lucchesi in far si, che nella patria loro gii scienziati trovassero lieto e piace- vole soggiorno. Certo che su questo argomento non discenderò io a più minuti particolari : che di articoli di teatro, e di giornali trattanti quasi esclusivamente di questa materia, ve ne ha una inondazione, da ingene- rarne la nausea a chicchessia. Non sarà però che da me si ommetta di tributare una parola d" encomio a' distintissimi personaggi, che nell'altro Teatro della Pantera, diedero alcune rap- presentazioni a benefizio degli Asili infantili. Se nel trattare essi tanto egregiamente la scena francese mo- strarono non comune ingegno; nel far ciò, a profitto d' una instituzione la più idonea , la più conducente al tanto sospirato sociale perfezionamento, di quante ono- rano il secolo nostro, diedero quei benemeriti chiaris- 191 sima prova d' un cuore ben fatto, d' un animo educato al sentir generoso. E tutti coloro, che assistettero a quelle drammatiche rappresentazioni, saranno ad essi ben grati delle ore trascorse in quel piacevole tratte- nimento, nel dolcissimo pensiero d'aver potuto per tal guisa contribuire pur essi ad opera cosi filantropica. — Metodo di rivolgere i sollazzi ad opere di be- neficenza non mai lodato abbastanza , e certo ben noto ai nostri concittadini, che più fiate già ne diedero luminosissimo esempio; e che non vorranno certamente mancare a se stessi, ora che per la quarta volta vien loro proposto un tal mezzo, a fine di coadiuvare r apertura d' un terzo Asilo ai figli del povero in altro dei sestieri della nostra popolosa città. — Questo argomento mi conduce naturalmente ad intrat- tenere i lettori di un'altra solennità, che si ebbe in Lucca la domenica del 24 settembre. L'inaugurazione, ve' dire, di un Asilo per le fanciulle di quella città. Felicissimo pensiero per certo di chi ebbe tanta parte neir una e nell' altra di queste bisogne ; che la fonda- zione di un Asilo d' infanzia coincidesse coli' epoca del quinto Congresso italiano, sicché la memoria dell'uno non possa andare, per così dire, disgiunta dalia memoria dell' altra. — Prova ed effettuazione ad un tempo del simbolo, che la scienza e la beneficenza non sono che anelli di una sola catena. — La quale inaugurazione fu resa più di ogni altra solenne, perchè fattasi sotto gli auspicii dell' ottimo Sacerdote Cavaliere Ferrante Aporii creatore e fondatore di questi pii instiluii in Italia; e di alcuni altri benemeriti personaggi, i quali favoreg- 192 giatori caldissimi essendo degli Asili di Firenze, e di Genova, di Mantova, Guastalla e di parecchie altre città d'Italia, quasi in quel giorno li rappresentassero, più cara e solenne rendevano quella commovente ce- rimonia. Io, andato quel di a visitare il nascente po- dere modello del padre dell'italiana agricoltura, il M.se Cosimo Ridolfi, a Pisa, non partecipai all'esultanza che quella attraente scena di carità produsse nei moltissimi che vi assistettero: ma io so che fu molta; ed io vidi la commozione di quell'uomo da bene, che qual Se- gretario Generale del quinto Congresso nel farne re- lazione all' ultima adunanza generale non poteva frenare le lacrime. Possano le lacrime di queir uomo benefico, per la di cui principalissima opera , Lucca per numerosi e migliorati stabilimenti di pubblica beneficenza fra le italiane città distintissima, vedeva erigersi fra le sue mura ancor questo, possano essere seme che frutti imi- tatori laddove siffatta instituzione — lealmente , e san- tamente cristiana — ancor si desidera ; e siano acerbo rimproccio a coloro , che ancor si ostinassero a negar- ne i vantaggi, o a spargere dubbio sulla purezza del fine. Ed ei si abbia intanto nella mia voce l'eco del comune applauso , che l' affollata adunanza tributava al filantropico zelo, che non meno del scientifico, tanto dislingue l'ottimo Prof Paccini. Per compiere la relazione dei variati trattenimenti che trovarono in Lucca i convenuti al quinto Congres- so, accennerò per ultimo 1' adunanza generale tenuta dall' accademia dei Filomati , dove un applaudito di- scorso fu letto dal socio corrispondente l' illustre Av- 103 vocato Professore Maestri in elogio dell'Abate Michele Colombo. Arrogi a tulio ciò la facilità che in occasione dei Congressi è data di poter visitare i pubblici e privali stabilimenti d'ogni genere -.gli ospizj , le manifatture , le carceri, gli archivi, le biblioteche, i palazzi e le' ville — per lo che più bella occasione non può aversi per visitare compiutamente le città italiane; seppure volendo assistere alle diverse sezioni, il tempo non venisse meno a tal uopo; ed avrai una giusta idea del quanto sia bello l' intervenire ai Congressi scientifici italiani. Ma che maggiore assai del bello sia 1' utile, che cioè il piacere non sia che un effetto secondario dei Congressi scientifici , non ne formi né lo scopo primo né il fine; basta conoscerne per poco Io spirilo per non dubitarne : e speriamo meglio farlo conoscere ai leggitori di questo giornale nell' articolo successivo. Dott. ETTORE COSTA ACQUA DI MARE RESA POTABILE ECONOMICAMENTE I SigQori Peyre e Rocher pubblicarono dalla stamperia del Commercio di Nantes nel corrente 1843, una notizia di un loro apparecchio per rendere potabile l' acqua di mare, risultato ch'essi dicono pratico, facile, poco costoso. L' apparecchio è per le dimensioni come una cucina da bastimento e dal profllo che ne è dato in litogra- fia ha di altezza metro ] , di larghezza \ e 25, di profondità 80. , e contiene un forno per cuocere il pane e per arrostire giornalmente e i posti per cuocere le vivande consuete nelle pentole; ed infrattauto distil- lare r acqua marina della quale fu empiuto il vuoto de- stinatole, e tutto ciò con quello stesso combustibile, che basta a cuocere 1' alimento per gli uomini del ba- stimento : — r acqua marina in distillazione cola in- tanto come una fontana, dolce potabile purissima 5 e in quantità maggiore di tutti i bisogni del bordo. Cin- que anni di prova fatte sopra un buon numero di va- scelli da guerra e da mercanzia constabilirono la pie- nissima utilità del trovato, e con tale economia che in un sol viaggio copre il valore dell' apparecchio. Malgrado che il Berzelius parlando delle acque salse, affermi che non si riesca mai colla distillazione a li- berarle pienamente dai cloruri, apparirebbe giustificata la purissima condizione di questa acqua. 195 \ .° Da una perizia dei chimici Guiobar e Moison di Nantes i quali attestarono alla camera di Commercio -di quella città di averne fatta prova coi reattivi — ni- trato di barite, ossalato d' ammoniaca, sotto acetato di piombo, idrocianato di potassa, coi solfati solubilli , la carta di tornasole e di curcuma, e la fecula acidulata. 2° Da un rapporto del Sig. Leloup alla società ac- cademica della Loira inferiore, il quale tentò l'acqua ottenuta colla distillazione nell'apparecchio indicalo — coir acetato di piombo , con 1' acqua di barile , coi sol- fati solubili, con r ossalato di ammoniaca, col sotto carbonato e coli' idrocianaio di potassa. — Soltanto una non calcolabile quantità di cloruro di soda potè sco- prirsi col nitrato d'argento, ed inoltre è notato, che l'ap- parecchio è così ingegnosamente costrutto che dà re- golarmente il suo prodotto qualunque sia la violenza dell'onde ed anco sotto una inclinazione di 45.° e non presenta alcun pericolo d' incendio. 3.° Da un rapporto di una commissione creata dal prefetto marittimo di Rochefort la quale dichiarò che in 4 ore di fuoco si era ottenuto lilri 71 d' acqua dolce, consumando di carbone kil: 6, 54-, mentre il forno ha colto il pane in 2\ minuti, e le vivande sortirono cotte col vapore dalle pentole chiuse in ottima condi- zione e sapore-, ed attribuendo di avantaggi a questa in- venzione 1 ." di poter a maggior salubrità rialzare il ponte del bastimento 2." di sopprimere le casse per bi- scotto che sono centri di corruttela e supplirle con casse di farina 3.° portare più viveri-, e s'intende sopprimere le botti per 1' acqua. È analogo un altro rapporto della commissione della Marina di Rochefort. 196 4." Da un rapporto dato in Amsterdam dall' instiluto dì Olanda al ministero dei Paesi Bassi ; che, dopo espe- rimento, assicura, clie l'acqua ottenuta non è guari di- versa dall' acqua distillata di fonte e nulla ha di no- civo, ed enumera come avantaggi del metodo — che con poco più di combustibile si provvede questa cu- cina a paragone delle ordinarie cucine che non distil- lano-, che gli alimenti vi son cotti scevri di qualunque empireuma per la buona chiusura delle pentole-, che l'acqua si ha abbondante per tutti i bisogni. Si pro- pone di aerearla con soffietti. 5.° Da due lettere del Capitano Sire, che ne ha fatto r esperimento felice sulla nave l' Editto per due viaggi, nel -1839 e 40-, e da altre due del Gap. Si- mon comandante il Suffren di Nantes, e da altre due del Gap. Lavaud comandante la stazione della nuova Zelanda, dirette queste a S. E. il ministro, e da altre. Mi spiace di non potere esplicare il congegno inte- riore di questa cucina distillatoria 5 ma sono entro me medesimo persuaso, che 1' apparecchio debba essere utile assai assai alla nostra marina 5 e penso che qual- chuno dei più intelligenti dei nostri commercianti non larderà ad acquistarla-, e che la industria del nostro paese potrà sulla forma del primo esemplare provve- derne per quei nostri bastimenti, che sostengono l'o- nore della Marina Ligure coi lunghi loro viaggi, por- tando la nostra industria intelligente e parsimoniosa a concorso di quella dei più arditi navigatori di tutte le moderne nazioni. P. B. «^'4=+4-4°^-H"4»^--H-H-?-4-H+H--4»H''HH'>H»H=4=4+® BIBLIOGRAFIA Poiché dicemmo nella Rivista la bontà dell' impresa lette- raria del sig. Ottavio Gigli e demmo per essa la commendatizia dell' illustre sig. Cardinale Lambruschini , ci facciamo debito di aggiungere una parte di lettera privata del celebre Pietro Gior- dani al Gigli slesso per la stessa ragione. mio carissimo Ollavio u Mi piace molto che mettiate mano a ristampare le Vile dei 17 Santi aureamente scritte dal MafTei. Mi piace ancora che ri- produciate quella mia lettera a confusione dei tristi, i quali mossi da vera e turpissima invidia contro l'onorevolissima fama che vi proviene dalla vostra nobilissima e otlimamenle condotta impresa non si vergognavano d'impedire un'im- presa tanto vantaggiosa non solo alle veraci lettere, ma alla buona religione. Mi piace questo ristampare il MafTei : ma a dirvi il vero liberamente non mi piacerebbe il diviso vostro d' interrompere il trecento per intrammettere del cinquecento e del secento. Io credo assai più importante e necessario non disconlinuare il trecento; che rispetto alla lingua ha mollo più utilità, e tante più dilBcoltà; le quali voi solo avete saputo vincere; voi solo finora; e non vedo chi potesse succedorvi. Peraltro ciò sia detto unicamente per non tacervi nessun mio pensiero; ma rimanga libero il vostro giudizio. 198 Caro mio , cosi potessero valere le mie parole ; come io vedo , siami lecito dirlo, valere meno di quel che dovrebbero. Se valessero qualche cosa, tutto il mondo correrebbe a giovare la vostra santa impresa , e giovarsene. Secolo eguale d' igno- ranza e d' ipocrisia insieme non fu mai. Tanto strepito di re- ligione, e poi tanta non curanza delle opere di essa più belle. Tante pretensioni di lingua ; e tanto disprezzo del vero e co- pioso arsenale di essa. Due opere principalissime per la re- ligione insieme e per la lingua, la Città di Dio, e i Morali di S. Gregorio, furono sinora tanto scioccamente maltrattate, che io non potei mai sostenerne lunga lettura. Voi avete ridot- ta la prima come uno specchio d' oro : ed esulto sentendo che farete lo stesso benefìzio alla seconda. Non è colpa de' librai la non curanza di buone edizioni di queste opere : i librai sono mercanti, provvedono alle domande : non posson vendere a chi non vuol comprare. La colpa è di questo secolo ipo- crita, ignorantissimo, scioperatissimo. Se nascesse voglia di leggere cose buone , tutti i librai vi domanderebbero i vostri libri. Ma chi farà nascere la voglia di leggere in questa gene- razione tutta occupatissima nel fumarci chi desterà desiderio di cose buone in quelli che pur volendo leggere , saporiscono solamente le fetide sconcezze moderne e straniere? Si po- trebbe dirvi, non badate a questo secolaccio putrido; trava- gliatevi per migliori generazioni future. Ma tanto lavoro ha bisogno di soccorsi presentì, E voi pensate che le mie parole potessero esser seme ? Oh vox clamanlis in deserto. Nondimeno stampate, divulgate in tutti i modi possibili questa mia bile giustissima: e non rimanga pretesto agi' ipocriti, agi" ignoranti, ai presuntuosi. Pezzana mi ha detto eh' egli pur ne parla e scrive a quanti può. È un gran danno che le cose spirituali abbian bisogno di mezzi materiali ! Ma non ci perdiamo d' ani- mo, non abbandoniamo il campo. Facciamo e tentiamo tutto il possibile ». l' editoke <^,c8ffis«»G*ooe808C8Sos8ae^^ REMINISCENZE IN LUCCA QUINTO CONGRESSO ITALIANO, E DEL DIPINGERE AD ENCAUSTO Una somiglianza fra lucchesi e liguri per vivacità di spirito e continua attività ; che i primi più volsero all' agricoltura la quale fecero fioritissima -, ed i secondi al mare, sul quale slanciarono un giorno la più temuta, ed oggi, se tu conti il naviglio, la terza marina del mondo, e la prima se proporzionatamente, alla po- polazione lo estimi 5 mi svegliò simpatia di dire al- cuna cosa del popolo lucchese, e di quella sua non vasia ma nitida capitale, dove in questo anno -1843 convenne il miglior senno d' Italia. Io lo dovrei ancora per tratto di gratitudine a speciali ed universali accoglienze di moltissimi di quei colti e gentili ciiiadini lucchesi. Ciò mi pose in mente cose molte e molto laudabili e gloriose da dirsi della ospitale città; imperocché ogni- uno sente, che i Congressi delli Dotti Italiani sono e saranno sempre una epoca storica per le città che gli accolsero o gli accoglieranno, attesa la cooperazione 200 degli uni e delle altre all' ulteriore discuoprimenlo del vero e miglior conseguimento del bene nelle sorti degli uomini; ed anzi vorrei dire, che i congressi sono per le città ove siedono tal epoca isterica speciale , nella quale si compendiano e si vestono di miglior luce tutte le vere glorie dei popoli di quelle città. Ed in vero Lucca, sì per antiche ragioni, si an- cora per il grado presente della sua civiltà ha provato di essere meritamente posta fra le prime , nelle quali sia ragunata a consiglio tutta la sapienza d' Italia. Ciò dico, cumechè io estimi ed ami le altre città italiane, e non ignori che al paro delle Greche hanno presso che tutte il vanto di una bella Epopea. Imperocché, io abbia detto il vero della gentile Lucca a poca fatica può conoscerlo chi il voglia, dimostrato in modo lucidissimo dal dotto e pulito scrittore della storia, e della guida di Lucca il chiarissimo Antonio Mazzarosa-, il quale non sarà facilmente superato come scrittore né per la parte isterica nò per la monumentale, da esso cosi elegantemente e sapientemente ritratta-, e per riguardo poi alla coltura presente di Lucca ne hanno data prova, oltre il qui sopra lodato scrittore , il quale si mostrò a prova di alto senno meritevolissimo di esser primo del sapiente congresso, i molti Dotti Luc- chesi, i quali intervennero membri intelligenti ed ope- rosi alle Sezioni varie del congresso medesimo . Per le quali cose fu pienamente chiarito, Lucca essere tale città da conoscere ed apprezzare i congressi come seme preziosissimo di grandi utilità sociali, coerentemente a quella nobilissima sentenza che fu detta al congresso 201 dal Mazzarosa — che il vero cercato chiarito e piantalo, è tal pianta il cui frutto, ov'essa vive, non può mai essere, che non venga raccolto. — E lo conobbero tosto i più saggi, che già fu di grande utilità lo esempio di un tale nazionale senato , il quale quasi colla re- verenza e riserbo che addicesi a sagro ufficio, entra pieno di rettitudine neh' ardua ricerca del vero, e si mostra solennemente convinto, che il solo chiarire il vero per mezzo della scienza sia la strada migliore di conseguirlo o di conseguirne i vantaggi: il- quale esempio molti italiani ha fatti sordi alle seduzioni di sistemi di sapienti irrequieti e poco sapienti, dappoi- ché intesero allora essere parte e debito di civile onestà non pretendere di imporre le opinioni de' privali o de' singoli , che ben vedemmo sempre aggiustate a co- modo di private passioni; ma aspettare che verità ben certe trionfino: e fu pure altissimo ed utilissimo esem- pio di quella grande anima , non mai aperta che al vero ed al bene, di quel Leopoldo Institutore dei con- gressi, il quale se si potesse essere saria pur maggiore del Primo, cui s'agguaglia in ogni sapienza e ma- gnanimità; del quale institutore io vo' dire, non già aver egli colta occasione di far, nascere, coi congres- si, dalla sua bella Toscana il movimento accrescilore della italica civiltà , ma anzi voglio propriamente dire che egli ha ben sentito nell' animo suo generoso, una tale missione in Italia appartenersi di diritto a quel suo popolo etrusco, il quale prima ancora che fosse maestro di savie instiiuzioni all' immensa, all'unica Ro- ma, aveva alzalo coi primordii slessi delle umane società in fra tulli i popoli il capo radiante una luce rigenerairice 5 e vuo' dire , che ciò sentiva Leopoldo perchè, egli stesso era splendore ed amore di quel suo popolo egregio. Ciò fu esempio, io dico, altissimo ed utilissimo di quel Principe Instilulore dei congressi, e degli altri Augusti , i quali poi di così nobile amore del vero e della sapienza vollero dare testimonianza negli stati loro accogliendo ed onorando i congressi -, nel che i miei liguri hanno vanto, che fosse immediato e pri- mo il -loro Re Carlo Alberto. Da qui venne scemata la forza sempre maligna di alcuni sapienti egoisti, invidiosi d'ogni progresso che non fosse ad essi a ragione o a torlo attribuito , e la forza dei falsi sapienti ancor più numerosi ed esseri così misurati che valgano come tromba dei primi e nuli' altro: e tutti costoro, ben si sa, sono cortigiani mal fidi sempre di ciò da che sperano onori e ric- chezze, sono i seminatori di dottrine o false o falsale, e non mai modellale sul vero indestruttibile o sul bene universale , ma acconcie alle passioni proprie ed a quelle di coloro ai quali vendettero la loro fama. Nei con- gressi vi è una necessità che tira i sapienti a rettitudine; e la nullità dei falsi- sapienti dopo poche meschine brighe si mostra e si annienta. Da qui venne in que- sta nostra Italia, dove non si è, come presso i stra- nieri fu fatto, centralizzato sopra un solo punto dello slato ogni cosa più utile e decorosa a danno e disdoro di tutto il resto della nazione, ne venne dico bella armonia fra i Dotti, che non ne distrugge la generosa emulazione. Da qui venne la rapida diffusione ed ap- 203 plicazione di ogni trovato utile scientifico, e la giusta estimazione degli autori di quei trovali , e scemato fu di molto il prestigio del giornalismo sostenuto nell'in- teresse dei falsi sapienti con vero danno della scienza e del ben pubblico; del giornalismo dico facile magni- ficatore di volumi inutili di rapsodie e di cantilene, e di fame intessute a molte fila d'intrigo; quasi sempre scarso ed avaro di una parola per i modesti autori e per le cose migliori: ne' congressi davvero ogni mistificazione od improntitudine scioglie le vele in mal punto. Ora tutto questo, che è sapienza pratica, fu in- teso a Lucca come altrove, ma credo di non stralo- dare se dico, che lo fu con qualche migliorìa-, e che Lucca può gloriarsi di molti, anzi della totalità dei suoi figli intervenuti al Congresso o come membri o come amatori. Fu piantata in Lucca una base igienica pel rinsanimento di tutto il suolo della nostra Italia-, e un cittadino lucchese era , che ne proponeva la ricerca al congresso di Firenze; ed era ospitato in Lucca il con- gresso quando ne portò il volo ed il giudizio, accolto affettuosamente dalla nobile città, e dal governo dm ne regge giustamente e paternamenie i destini. Se un giorno il bel voto venga adempiuto , sarà dal congresso italiano in Lucca, che saranno state schiarite le norme per questa grande opera degna della corona civica, anzi degna di molte corone, perchè saranno salvate le vite di molti cittadini per tutte le generazioni avvenire, e nell'Agro lucchese ed in molle altre parti d'Italia. Ma senza ridire le prische e le nuove glorie della etrusco-ligure città , o i rapporti di quelle glorie 204 colle liguri nostre, il che fu cosi bene toccato dal Maz- zarosa che mal si tenterebbe far meglio, senza anticipare gli atti del congresso, che dai giornali furono alcuna volta svisati , né dare il catalogo del congresso, o de'mol- ti valorosi di quella e di altre città che vi furono: farò sol- tanto voti quanto al congresso, che nel futuro anno ac- colto dalla grandiosa e studiosissima Milano progredisca a nuovo miglioramento di cui non vi sarà invidia fra gli ita- liani; e mi stringerò nei confini del mio proposito di dire soltanto poche cose a giusta lode di Lucca ed a testi- monio dell' affetto mio; e sceglierò alcuna cosa raccolta da quella città, che torni a lode ed insieme a qual- che vantaggio delle opere del genio italiano. Evvi in Lucca nel volto dell'Apside della chiesa di Santo Alessandro una bellissima pittura sul gusto di quel- le più antiche che usarono gli italiani a Costantinopoli , detta ad encausto, e che poi seppi fatta da vivente dipin- tore Lucchese (Michele Ridolfì) d'ordine dell'attuale Duca, il serenissimo Lodovico di Borbone, generosissimo pro- motore d'ogni bella ed utile cosa, sollecito ristoratore dei nobilissimi monumenti delle belle arti che Lucca possiede in tal dovizia e di tale grandezza e magnificenza da doverne maravigliare, e Padre amoroso di quel buon popolo. La pittura è assolutamente di un effetto straordinario-, e rappresenta Maria Vergine nostra Si- gnora seduta sopra un trono di forma antica, che tiene il figlio in grembo in atto di benedire al popolo, per l'amore delli due Santi Alessandro primo, Pontefice, e Re Lodovico di Francia, che le stanno genuflessi il primo a diritta e 1' altro a sinistra , appunto in atto S05 di fervorosa preghiera. Senza starmi ora a descrivere come la figura della Madre Divina ritenga visibile raffelio della misericordia congiunto ad un tal modo di dignità più che regale , ed in atto di tenere il figliuol suo in quella posa, che è più adatta al benedirci, al che con ciò stesso la pietosa visibilmente consente e coo- pera', e come il Dio bambino in quelle graziosissime forme infantili mostri eziandio il potere del Divino In- telletto , e r amabilità di fanciullo dal dolce suo sor- riso spiegata, sia fatta pur grave e dignitosa da quello atto di imperio misericordioso che esercita; e come sia manifesto nei due santi il sentimento di preghiera e di fiducia per il tuono del viso e dello sguardo , e perla positura delle persone; e come bene consentano il finito dei volti e delle estremità , ed il bel partito dei manti della vergine e dei santi , e delle pieghe con- venevolmente libere e ricche senza abbondanza di vo- lume; ed infine come quello insieme posto sopra un campo d' oro alla maniera di quel tempo abbia un risalto ed un effetto che non si potrebbe aspettare da qualunque a fresco, perchè i colori acquistano tal forza da emularne i mosaici: senza starmi a dir tanto per- chè tutto questo io posso ben accennare, ma non avrei abilità di descrivere con bella proprietà ; voglio sol- tanto dire , che io di subito aveva giudicala quella pit- tura cosa antica conservala mirabilmente ; ed intesi in- vece, che l'autore aveva appunto voluto imitare 1' antico stile in modo che a lutti paresse opera di quei tem- pi, locchè ei dichiarò con adatte parole, e lo con- ferma la inscrizione in amichi modi ed ortografìa, 206 che posa nell' orlo inferiore della Apslde. Non era al- lora che io non ricercassi del come fosse quello smar- rito metodo di dipintura, e quali ne fossero i vantaggi, preso tosto dalla idea di dirne fra di noi una parola ad eccitamento dei più bravi nostri pittori. Io pensai ed ardisco dire che, nelle chiese specialmente maggiori, valga meglio una pittura ad encausto che una qualun- que a fresco od a olio; e mi convinsi del mio giu- dizio visitando, siccome si è compiaciuto di permet- termelo quel bravo Artista, lo studio suo privalo; ove vidi qualche altri suoi lavori condotti ad encausto, ed ebbi contezza del metodo, e potrò ora ridirlo per cosi bella sua cortesia; dovendo però dire prima a sua lode , che dei più distinti cultori delle arti belle ai (juali ho parlato, egli ha davvero tutta la affabilità, ed è ornalo siccome quelli per ogni maniera di gentilezza. Venendo ora al sodo, cioè a dire di questo metodo, perchè mal saprei fare con mie rozze parole il ritratto degli altri lavori di questo egregio Pittore Lucchese ( fra le quali esiste un quadro bellissimo nella maravi- gliosa cattedrale di s. Martino, dove sono pur due a olio molto pregiati d(;l nostro Paggi ) colla scorta di un opuscolo fra di noi forse non conosciuto, e stampato nel ]S4:\ : col titolo, sopra wi dipinto ad encausto al Sig. Raoul Rochette lettera del Pittore Michele Ridoìfi: dirò che questo è un terzo genere della pittura ad encausto trovato dai Greci, cioè l'encausto a pen- nello, il quale constava di cera e di resina o bitume , e di solvente alto a stemperar queste sostanze, la so- luzione delle quali ajutavasi con il cauterio ( ossia ri- 207 scaldamento ) del quale pure valevasi per ammollire la cera che stendevasi a mo' di vernice sulle pitture. Alla cera punica che usavano gli antichi fu sostituita dal Ridolfi quella di Smirne, avvertendo come cosa essenziale che non sia adulterata né con grasso né in altro modo. Per la resina indicata dagli antici colla voce phannaca il Ridoifi fra tutte preferì la copale che è trasparente ed inalterabile: e come solvente , ri- gettato r uso dell' acqua ,e dell' alcool , si attaccò, con preferenza agli ohi residosiy e fra tutti come capace per la sua purezza a dar trasparenza al dipinto ha provato ottimo quello di rosmarino, si per isciogliere la cera, che per macinare i colori. Quanto al cauterio il Ri- dolfi lo ha inierpetralo Jone riscaldamento , adatto a far evaporare tutto 1' olio essenziale , onde meglio restino uniti la cera ed i colori , e diventi trasparente la cera data sopra come vernice : le proporzioni furono olio essenziale parli quattro ^ cera pura parte una; vernice copale parte una: in questo escipiente furono macinati i colori, i quali si custodivano preparali cosi in vasellini , coperti o sommersi con essenza versatavi sopra. Quando portati i colori sulla tavolozza aveva d'uopo di fare delle gradazioni, vi mescolava alquante goccio d'olio essenziale di cera per facilitarne la fu- sione. Nel dipingere ancora trailo tratto intingeva il pennello nell'olio essenziale di cera; ed ogni qualvolta voleva asciugare il lavoro già fatto per finirlo , ado- perando il riscaldamento o ustione , il domane poteva francamente ritoccare senza che il colore sottoposto si stemperasse; e allorché voleva invece raffrescare il 208 dipinto troppo secco, perchè il lavoro da farsi restasse bene unito al già fatto, allora egli adoperava con una sfera di ottone bucherellata di molti forellini nel seg- mento superiore e piena d* olio essenziale fatto essere bollente con lampana a spirito e accostata al dipinto, e il vapore dell'olio che andava sul dipinto lo raffre- scava in quella parte benissimo, sicché poteva senza pericolo di macchia unirvi il nuovo colore. E questo era lutto il meccanismo da usarsi per cominciare e portare a intera perfezione il dipinto. Ora quello che a me parve pregio di questa ma- niera di pitturare , già il dissi , si è principalmente il maggior effetto della luce, che si riverbera dai colori, i quali così adoperati formano un dipinto che emula il Mosaico, e da alcuni di consimili antichi dipinti che ho veduti ne averci argomentala una maggiore durata di questi sopra quelli fatti a olio, che in effetto il Ch. Ridolfi dice per l'alterazione inevitabile dell'olio andare soggetti a un sensibile disaccordo di tinte: a questi avvan- taggi è notato doversi aggiungere un terzo, cioè quello di poter fare alcune parli del dipinto diafane 5 ed un quarto consistente nel poter adoperare codesta pittura anco su mura esposte all' aria ed alla umidità « quelli ad encausto, dice Piinio, resistono al sole, ai venti, al sai marino » : e Analmente un quinto pregio si è, di poter adoperare con questo modo ogni qualunque co- lore che piaccia, ed ancora quelli che sono rigettali dalla pittura a fresco ed a olio-, come il verderame, il cromo, il carminio, la terra d'ombra ed altri: di càò che ha di proprio questa pittura per la facilità di ac- 209 celerarne rasciugamento, e raflfrescarla a piacere già lio parlato di sopra. Ora di questo trovalo artistico essendo debitrice la Italia e l'arte che in prima lo pos- sedevano agli studi lunghi e quasi direi pertinaci del Chiarissimo Dipintore Michele Ridolfi lucchese ne deve essere dato onore ad esso ed alla sua città, ed al suo Principe che fu magnanimo fautore degli studi di quello, e munifico proteggitore dell" arte e del degno artista che all'arte in tal modo giovò grandemente, ed è o saria trista e gretta cosa il volere detrarre al merito di essi, e particolarmente al merito del Dipintore, per la cattivissima ragione, che un Modenese abbia prima del Ridolfi tentato pure di arrivare allo slesso in- tento (li restituire alle belle ani quel metodo , che era smarrito; se non si provi, che esiste una qualche opera di colui, ed una qualche nota dichiarazione fatta da quel medesimo del modo di eseguire quel metodo all' encausto , siccome invece oggi e 1' opera e la de- scrizione del metodo ci ha dato il Piidolfi 5 perocché quanto all'arte vai sempre zero, e varrà sempre zero, sì che quel Modenese ( avendo riuscito pure ) abbiasi tenuta in corpo chiusa tino alla morie la scienza che aveva acquistata j sì che non abbia di ciò parlato, perchè non fosse punto arrivato né a conoscere né ad eseguire questo modo di pittura. Davvero una tal poca giustizia al Ridolfi direi propria di coloro che la scienza commerciano e carreggiano come una merce qualunque; mentre per chi apprezza la scienza come verità è cosa insopportabile tanto se ad alcuno si voglia dar merito di cosa, che già per io avanti esisteva ben nota e aio chiara e praticata-, quanto se denegarlo si voglia, senza poter provare che quella cosa chiarita e praticata fosse prima da altri , che da colui cui spetta la vera lode di averla trovata. Prof. GIROLAMO BOTTO «HH>-H-+++-H-^H"+-H4-+4444444=°H-=H^ I SEPOLCRI D I lieo FOSCOLO, D' IPPOLITO PIADEMOME E DI GIOVAMI TORTI TRADOTTI IN ESAMETRI LATINI dall'Abate GIUSEPPE BOTTELLI con un sermone e tre lettere inedite del Foscolo ed un discorso preliminare di Achille Mauri Milano, Tip. e Libreria Pirolia e C. 1843 Nuova prova di accorto editore e scrittor valente diede testé Achille Mauri. Tocca innanzi tutto del me- rito dei tre autori de' famosi carmi sopra i sepolcri; ed il suo giudizio non è l'eco volgare, ma quale ri- sulla dalla considerazione delle opere, nel modo che fecero fra gli altri il Torli e il Tommaseo. Mentre am- mira nel Foscolo un gran poeta, che gareggiando co' migliori della Grecia, del Lazio e dell'Italia moderna seppe dare a' suoi versi tal calore di passione e tal efficacia di stile, che mai non morranno, non ne occulta il massimo difetto, per cui la memoria dell" autore mo- rir dovrebbe, o vivere infame agli occhi de' cattolici S12 E che, seguiteremo ad ammirare scrittori, in cui man- chi, come in que' del Paganesimo, la rettitudine di ciò che forma la nostra nobiltà, e la nostra grandezza, voglio dire la religione ? Onde il Mauri : « Franca- mente vuoisi condannare lo Scrittore, massime pen- sando che quella sua irosa filosofia, repugnanie a tutti i nobili istinti, che professa delle miserie della vita un ambizioso dispregio, e le consolazioni non ne cura, e le speranze ne deride, e tutti riduce a un arido dub- bio, ebbe ed ha pur troppo de' seguaci ». Al quale pro- posito odasi il Tommaseo : I vizj e le virtù dormono sotterra colle ossa; la memoria torna alla materia; l'eternità è il nulla eterno, e la fede nell'immortalità è illusione; e la religione de' Sepolcri in illusione si fonda , e il Canne de Sepolcri la svela , e la vela ; è una celia. Il Foscolo si finge credente alla virtù come gli arcadi si fingon pastori; come quella tale marchesa sacerdotessa cingeva di mirto il sepolcro di Venere. I Sepolcri cosi come l' Ortis possono portare la bella epigrafe : Somno. Doloroso vedere tale ingegno in tale miseria di pensieri. A me più doloroso che ad altri; che amo in lui la potente parsimonia e l'ardor sobbollente e il culto amoroso della parola, e quel suo sì frequentemente scolpire, anzi che delineare, le immagini; doti in ogni secolo rare, mirabili nel no- stro , che r eloquenza generosa confonde non solo con r abbondante facondia, ma con la fiacca loquacità. E perchè il Foscolo pare a me che dalla natura fosse destinato a sorgere di tutti gli scrittori dell' età nostra e della passata sommo, però mi duole, che le false. 913 dottrine e, più che le passioni ardenti dell' anima, le vanità della vita l'abbiano fatto agli altri pericoloso, e minor di se stesso (1) ». Si vuol qui notare che il Foscolo in uno degli ultimi suoi letterarj lavori con- traddice alle sue disperate dottrine. Con che parve che dicesse agli incauti suoi seguaci : io mi ravvedo ; e voi ravvedetevi. « Il Casti, così egli, professandosi amatore di libertà si fa beffe della indipendenza po- polare come di cosa che non possa aver luogo, l'at- tacca al trono e all' altare con meno ambigua ironia, ma cercando pure sempre di persuadere, che non è possibile cangiar natura all'umana razza, e che l'uomo è creato per essere sopraffatto dall' uomo più forte , e ingannato dall' uomo più scaltro. Di tali principj qual frutto ? Una gran parie per propria colpa si perde nel pirronismo, o si sommerge nel pozzo della dispe- razione; ne av2H stato che piìi di questo partori- sca miseria ali individuo , detrimento alla società... Il Tasso nutriva per la fede cristiana una solenne e mistica devozione. Uno spirito di tranquilla dignità ema- nava da' suoi sentimenti religiosi, e si trasfondeva nel suo poema ... è detto che noi siamo più illuminati : il vero è che molti sono pia dubitanti , e non al- tro (2) 5). Il Mauri dopo considerate le ree massime del Fo- scolo ne viene raffrontando il carme de' sepolcri con que' pur famosi del Pindemonte e del Torti si che ne (1) Studi Critici pari. I. (2) Discorso sui poemi narrativi e romanzeschi italiani. Mi- lano 1843. 214 risulti il merito rispettivo : « I versi del Pindemonte fanno vibrar la corda degli affetti , e traggono i suoni più soavi. Il carme del Foscolo sollevasi ardito agli slanci impetuosi della lirica, e l'epistola del Pindemonte corre mollemente sui flebili numeri dell' elegia : se in quello la parola ed il verso pigliano , a così dire, tutti i colori, in questo ne hanno un solo, ma è il color della speranza in che lo sguardo tranquillamente si posa ». E il Torti: Tu vedi ben quai vie Piacquer diverse ai duo diversi ingegni. Ove mesta di grato opaco rezzo Tacita siede una valletta amena , Con portamento umil Questi l' erboso Clivo lento passeggia, e, i mansueti Occhi di cara lagrima stillanti Al elei levando, ad or ad or sorride. Ma Quei che al suo veder limiti sdegna, Su per gli erti dirupi, e per gli alpestri Massi trascende; e il più espedito giogo. Di balza in balza perigliando, acquista; Quivi si posa; e la sopposta terra Tutta discorre d' uno sguardo , e freme. Tal r uno e 1' altro il mio pensier li finge ». « Il nome del Torli andrà sempre congiunto con quegli onorali uomini del Foscolo e del Pindemonte. Egli si accinse colla sua epistola ad instituire un pa- ragone tra loro, e ben da essa si scorge quanto lo infervorino quegli agili estri di Ugo, quanto lo segua spontaneo in quegli ruinosi di lui slanci, quanto in ispe- eie sia da lui commosso a sdegno e a pietà sulle ino- norate ceneri del grande suo maestro ( il Parini ) ; ma ben si scorge ad un tratto, che il suo cuore lo reca 815 più pronto ai teneri e religiosi alTetti d' Ippolito. Ma se neir uno ammira la robustezza e la peregrinità dello stile, non iscusandone la tensione soverchia, nell'al- tro accenna essergli in grado la temperanza e la soa- vità, pur apponendogli taccia di dar nell'umile qual- che volta e nel profuso ». Queste e più altre giustissime osservazioni del Mauri sulle tre celebri poesie, non formano il miglior pre- gio dell' edizione di cui parliamo -, ma gli si dee sa- per grado sovrattutto di averci fatto conoscere 1' Abb. Giuseppe Bottelli di Arona, letterato che meritò la Slima de' poeti pur or mentovati, morto nel luglio del 1841 d'anni 78. Fu egli cultore di ottimi studi e di ingegno così felice, che ove più ferma salute sortito avesse, saria giunto al grado de' più segnalati scrit- tori del tempo suo. De' molti lavoretti inediti ed imperfetti di lui, trasse il Mauri, amico pur egli che gli era, la traduzione latina dei tre carmi sui sepol- cri, la quale è pur lodevole per la inerenza al testo, e soprattutto per quel raro pregio di verseggiare con franchezza, solo conceduto a coloro, i quali mentre scrivono diresti che nuli' altro ricordano e sentono, che r indole della materia e della lingua che hanno fra mano. Poniamone qui senz' altro la versione del cominciamento di tutti e tre i volgari poeti. I." Numquid saeva minus sunt mortis soinnia, (lelu Confortata pio , et mocsta praecincta cuprcssu ? Cum milii non ultra herbarum genus atque animantmii Educai hoc varium sol ; quando nec amplius liorae Ludcnt festivo spondenles craslina risu Pro.'^^pcra, neve tuuin, mi dulcis amice, pcrcrrans 216 Carmen suaviloquo perlenlat pectora motu; Musarumque silens chorus, Incomitatus amorque Me linquent, profugae solatia dulcia vitae Undique dispersis fato terraque marique Ossibus, an saxum secernens ossa levamen? Spes fugit, lieu ! tumulos; bine magna oblivia rerum Omnia permixtim cacca volventia nocte; Hinc homines, monumenta, ut quidquid reliquiarum est, Aevi operosa terit vis, immutatque vetustas Inter confusas caeli terraeque ruinas. 2.' Quae vox e flavo consurgit gurgite Mellae Grata meas mulccns aures animamque requirens? Ugo, tuam nosco tumulis urnisque vocantem, Meque iterum tristes cogentem promere questus. Cantorem veteris belli meditabar Homerum Nocte vigil, curas nativa et reddere lingua lllius ingentes qui firmo pectore tantuili Pugnavit, Teucris obstantibus, i»de procellis. Talia volventera sed tu praestantior ipso Maeonide, heu, ipso tu me divellis Homero. 3.0 Non ego Clytarchi praeclarum mentis acumen, Ingeniumque sagax subtiles noscere sensus Inficiar, Deli; contra nec, viribus impar, Audax consurgam parili descendere campo: lUe sed hesterno collecti vespere coetus Multiloquas inter nugas dum murmura pressit, Perpendens trutina versus, qucis luce refulget Feralis Ugonis genius sublimis, et jilos Queis pariter corda Hippolitus solatur et angil, lam non sic animum devicit (vera fatebor) lllius ut possim totum me credere diclis. Aereos igitur tractus camposquc liquentes Quod non dircaeis, propriis sed pervolat alis Ingens ille animo; neve hic vestigia servai Quae exiguo alterni statuit sermone magister Flaccus epistolii: poteris tu vertere culpae? (i) Nel parlar che facciamo di Ialina lingua non è a credere che altri abbia più tanto ad aggrinzare il naso: (1) (La traduzione dell' Epislola del Torli non é intera). St7 che alla fine è la lingua della religione, ed è pur essa italiana Onde i veri savi ebberla ognora in prezzo, e giudicarono che se ne dovesse far uso, non pur co- noscerla. Nel secolo XVI. che si sapeva e scriveva il volgare meglio che non si fa al tempo nostro, così ne giudicò il Bonfadio nel proemio al quinto libro degli annali : Qttibus autem inepturn videtur haec latinis lileris persegui, cunt nostrati lingua, quae oniìiis oralionis vel copiosae vel elegantis ornamento ahun- dat, praeclare id facere , vere dicam , iis ego quo- que assendor, sed tanien latina oratio veteri sua nobilitate in longinquiores regionuni Jlnes excurrit. Perchè e nel 1842. ragioni di grave peso indussero Giovanni De' Brignoli di BrunnhofI a pubblicare un opuscolo di questo titolo : Invito ai Naturalisti ita- liani e di tutte le altre nazioni a valersi della lingua latina nelle opere loro , Modena per gli eredi Soliani. E il Bianchetti ne' discorsi sullo Scrit- tore italiano e il Gioberti nel suo primato vanno incul- cando il conto e il buon uso, che far si deggiono del latino tutti coloro che ne' loro studj si prefiggono l' ot- timo, e non il facile. Ed è proprio l'amore di age- volezza che fece un ampio numero di dottorelli atti più a cinguettare francescamente , che a bene scrivere nella propria lingua. Vedetelo per un esempio nella massima parte delle epigrafi volgari, che è un'infamia alle nostre lettere, e un disdoro al sacro tempio, tanto ne "è insano il concetto e barbara la parola. Monumento non men nobile lasciò di sé il Bottelli col beneficare la sua patria 5 onde merita la stima an- 218 che de' nemici della Ialina favella. Non avendo parenii prossimi , dice il Mauri , s' indetto col fratello di appli- care ad opere pie e di pubblica utilità la sua parte delle indivise sostanze , e fermò che del censo comune si erogassero cinquanta mila franchi a far che le pub- bliche scuole di Arena fossero provvedute d' un intiero corso giunaziale. In oltre accordossi con lui perchè del comune censo si sopperisse del pari alle spese occor- ribili per l' ingrandimento e pel ristauro dell' edifizio destinalo alle scuole Aronesi; e perchè fossero queste fornite d" una decorosa suppellettile di libri, anche per uso pubblico, da scegliersi dalla ricca sua biblioteca. Onde che oltre alla modesta lapide che nel cimitero di Arena ricorda i meriti e le virtù dell'illustre defunto, il fratello Luigi gli fece innalzare nella chiesa de' santi Gratiniano e Felino, ove il Bottelli esercitò il sacer- dotale ministero , un più splendido monumento con epi- grafe latina del Prefetto dell' Ambrosiana, Ab. Bartolo- meo Catena. Ne allogò l' opra all' arte maestra di Gae- tano Monti di Ravenna, il quale la condusse con tanto amore, che ne meritò le piene lodi degli intelligenti nella milanese esposizione del -1842 w. Mercè di uo- mini savi e caritativi come il Bottelli a quale glo- rioso primato non può sperar di levarsi l' Italia ! Ma saria duopo che in ogni parte del bel paese ne sor- gesse alcuno. Se tutti gli anni, a spiegarmi con un esempio domestico, ogni capo di famiglia piantasse un albero sulle montagne della pelala Liguria, non andria mollo eh' ella innalzerebbe un polente baluardo contro alle boreali buffere. U9 Da ultimo il Mauri aggiunse a' Sepolcri tre lettere inedile dal Foscolo dirette al Bottelli, e un sermone poco conosciuto. Nella prima lettera dove ragiona de' suoi Sepolcri, dell'Epistola del Pindemonte, e della latina versione, mi pare degno di osservare, come il Foscolo in sul finire si congedi dall' amico dicendo, che soji due ore quasi che sta scrivendogli , e la lettera non è molto lunga. Dalla terza di esso lettere si apprende, che il Bottelli nel voltare in latino quel sermone non colpiva nel segno per colpa del Foscolo dicente : « La versione del sermone procede splendida e bella dal verso j4ureu9 exoriens aderat sol terga Leonis sino alla fine; e questo è merito tuo: ma dal principio sino all' allegoria del sole, assai cose sono tradotte ambiguamente, altre tutto al contrario, e que- sta è colpa mia, perchè davvero in quel sermone io sono sfinge più che in qualunque altro mio scritto ; hahes confilentem reum ». In questo difetto di oscu- rila cadea il Foscolo, come afferma, jicr troppa li- bidine di brevità e profondità-^ nò andonne immuiu; ne' Sepolcri, come gliel cantò tanto bene il Pindemonte neir epistola : Perchè talor con la febea favella Si li nascondi eh' io ti cerco indarno ? È ver eh' indi a poco innanzi agii occhi Più lucente mi torni e mi consoli: Cosi quel fiume che dal puro laco. Onde lieta è Ginevra, esce cilcstro, Poscia che alquanto viaggiò , sotto aspri Sassi si cela, e su la sponda Dolente lascia il pellegrin che il passo .\lovea con lui; ma dopo via non molta / 22U Sbucare il vede dalfa terra , fi vede Fecondar con le chiare onde sonanti Di nuovo i campi, e rallegrar le selve. Oscurità di [poesia, che non voglia lasciarsi inten- dere dai PJndemonii e dai Bottelli, è intollerabile anche ne' Foscoli. Onde dovrebbero far senno parec- chi scrittori del tempo nostro per altro celebraiissimi, i quali non pure in poesia peccano di oscurità , ma e nella prosa assai spesso; e ciò non per amore di lima, nò sforzo di dire molte cose con poche parole a maniera del Foscolo; ma per bruito vezzo di voler dare del capo nelle nordiche nubi , e molto scrivere , quasi che volessero secondare la velocità de' torchi a vapore. A questa fatta di scrittori torna bene il detto del nostro Richieri , il quale dimandato nella sua let- teraria conversazione quel che gli paresse di uno che avealo ristucco colla lettura d' un trecento ottave schic- cherate, come dicea, in poco d'ora, rispose: buon braccio. Ma è omai tempo di qui finirla. Grazie e lodi al- l'egregio editor de' Sepolcri e della traduzione del Bot- telli. Con che si fece egli tanto proficuo agli amatori del buon gusto, quanto perniciosi agi' incauti coloro che esaltano e propongono edizioni di libri insulsi , e malvagi. Prete paolo rebuffo ^^^^^'m:mmM®m§!sm®mmmmmm&mmMmmm^m^mm DOTTRIM SPIRITUALE E ALCUNE LETTERE DEVOTE DEL B. GIOVANNI COLOMBINI CON UN FRAMMENTO DI DOMENICO DA MONTICELLI SCRITTURE DEL BUON SECOLO (ienoTa, dal Pcllas 1843 -Uu volume di facce 150. L Ab. Luig, Grassi, egregio filologo già nolo pel vocabolario della lingua italiana eh' ei va stampando con assai nuovo meto- do, più esatte definizioni, e moltissime giunte (i), è l'editore di codesti preziosi scritti. Egli ornolli d'una prefazioncclla nella quale rende conto del libro, cioè dice che il Beato Colombini era sconosciuto come scrittore, od almeno sapeasi per la vita di lui compilata dal Belcari e pei Bollandisti che egli avea scritte un cento lettere, ed, aiutato da un Nicolò Vincenti la vita del B. Pier Petroni certosino, celebre ammonitore che' fu del Boccaccio per le scritte oscenità. Le lettere osserva che tro- yavansi mss. ancora al tempo di Girolamo Gigli; ma che gli è igno 0 se esistano tuttavia. In quanto a detta vita non avere potuto i Bollandisti trovarla che in latino con interpolazioni per un Bartolommeo da Siena. Ultimamente ci fa a sapere che Il P. Giuseppe Bonafede lucchese, mandando alla luce in Roma {I] Genova, lip. di L. Pcllas. 222 nel 1642 una vita del Colombini, avea con essa stampali al- quanti capitoli (1) di doUrina spirituale cdalcune lellere del Beato tolto ogni cosa da un cod. altempsiano: che entrato in forte desiderio di ritrovare un tal libro diessi con ogni diligenza a interrogarne i bibliografi e i più accurati scrittori sui testi di lingua, ma invano; e che solo dopo innumerevoli ricerche fatte, ( credo nella libreria di questa R. Università ) ritrovollo. E di ciò gli renderanno grazie, ne son certo, si coloro, che delle spirituali lezioni fanno assiduo pascolo, e sì quelli che sanno di buone lettere, conciossiachè a' pregi di lingua e di stile, di cui son belli, poco più poco meno tutti gli scritti del trecento, unisce gli squisiti e santi concetti, il più puro fervido ed allo affetto cristiano. Ma siccome il Bonafede primo editore avealo dato alle stampe con una ortografia che or più non si vorrebbe, ed alcuni ar- caisimi e sanesismi eh' alla più parte de' lettori avrebbero arrecato noia, il nostro Grassi ridusse I' una all'uso moderno, e gli altri tolse via del tutto , rendendo nondimanco d' ogni variazione conto nella tavoletta posta in principio del libro. Forse alcuni diranno che di certe variazioni poteva far senza come ad esempio, di cuore per core di buono per boìio , di lungo per longo, di condannare condannato, per condennarc, condennato ; cosi d' aver tolto la e innanzi la r di andrà, avrai ecc. d' aver mutalo siano in sieno, a lato in allato, acciò in acciocché ed alquante altre, imperciocché o si trovano pur ne'prosatori, o sono egualmente buone, o non tanto insolite da far che il lettore, per quanto poco pratico sia degli antichi , le disdegni o non le comprenda. Questo, per altri editori che adoperano ogni maniera di cambiamenti senza avvertirne il leggente, potrebbe essere un giusto rimprovero , ma non per 1' accurato Grassi il quale in detta tavola, notando sottilmente quel ch'era nel testo, e quel eh' ha posto invece, entra in certe osservazion- celle filologiche le quali ponno tornar care ad alcuni. Ora perchè gì' intendenti e' pii, abbiano di che giudicare eglino medesimi dei pregi del libro, eccomi a produrre una delle let- tere ( forse la migliore ), cioè la indirizzata a Domenico da Monticelli autore del frammento posto in fine del volume. EMANUELE ROSSI (!) I cap. sono XVI.; le Icl'.erc XIX. della nuova cdiii'juc. 223 Diledissimo Padre e maggiore in Gesù Cristo Croci- fisso, il santissimo fuoco delia sua carità sia ncH' anima vosira, e ardendovi e accendendovi del santo suo fervore e illuminandovi dei suo vero lume. Dilettissimo io mi l'allegro di voi in Cristo Gesù, però clie, bencliè io sia peccatore e idiota e misera persona, pure, se ben considero lo stato nel quale il Signore vi ha messo e la via nella quale esso v' indirizza, agcvol cosa mi pare a vedere che Gesù Cristo v' ha eletto per suo vero servo e fedele. Prendete grandissimo conforto e vera fiduca che Gesù dolcissimo vi farà molla e smi- suratissima grazia; e di questa ho già nel cuore rice- vuta chiarezza e fede per lo narramenlo delle lettere vostre. Due sono gli strumenti del Signore con i quali dirizza 1" anima per la sua via i quali perfettamente ri- caggiono insieme. E così materialmente dovete imagi - nare, che, se di continuo fosse caldo senza mai fred- do, i frulli della terra non perverrebbono a perfe- zione, ma sarebbono vani e senza virtù, e cosi se avessero puro freddo sarebbero via men buoni. E però il Signore ha ordinato caldo e freddo, acciò che alla sua stagione il fruito pervenga maturo e perfetto E così appunto fa Cristo con Y anima nella quale esso si diletta volendola condurre a perfezione e a vero lu- me e fortificarla in tulle le battaglie , e faila savia in tulle le cose, dàlie prima un caldo e una dolcezza di sé medesimo, facendola tutta innamorare e ineb- biiare di sé, in tanto che l'anima tutta giubila, tutta si innamora di Cristo dolce suo sposo, promettendo dentro di sé di non partirsi giammai da lui ; desiderando 22i sempre stare in quel bene: piangendo il tempo per- duto, e r offesa fatta a questo suo sposo e suo Si- gnore. E allora l'anima comincia a mondarsi de' suoi pas- sali peccati 5 e anco dico cli'è cominciata a entrare nella via illuminativa : ed è forte per lo vero lume : e cor- re alle virtù e a trovar Cristo con maggior conosci- mento. Poi dopo questo bene, e dopo questo lume viene una tenebra grandissima e oscurissima per la quale pare all' anima in tutto essere abbandonata e derelitta 5 crede che Iddio l'abbi in tutto dimenticata^ e in breve essa paté ismisuratissime pene e crudeli. Ma, se essa potesse vedere lo sfoggiato guadagno che fa, non meno si rallegrerebbe di quel freddo che del primo caldo; però che, come sotto la neve e sotto i gran ghiacci le biade fortemente barbicano, cosi barba e fortifica l'anima che è sposa e diletta di Cristo croci- fisso. Pertanto, carissimo , di nessuna di queste vie vi dolete ; ma di ciascuna molto vi rallegrate , cantando e giubilando con il vostro glorioso Cristo già inamo- raio della vostr' anima. La passione di Cristo è vera via di lume ed è scala e mezzo che tira 1' anima a maggiori beni, e fa l'anima tutta contemplativa e falla conversare in Cielo e alluminala di molta verità. Fassi poi a me uomo idiota e ignorantissimo una domanda di tanta altezza e di tanta profondità, che pure a pensarla e leggerla è di grandissima ammirazione. Dun- que come presumo io di parlare dell'altissime cose del- l'Arca di Dio? Non dovrei certo ciò attentare. S'io sono idiota delle cose esteriori e grosse come parlerei o intenderei cose di tanta profondità? Ma veramente io 1 S25 mi credo che il Doitore di questo fatto sia solo la potenza di Dio e lo scolaro 1' anima , immediali l'uno e l'altro 5 gli altri ripetitori possono più belare che parlare 5 e però, carissimo, se di questa scienza volete essere informato, amate il Salvatore con ebriezza d' amore. Grida quell' anima inebriata di Cristo: paz- zia, mortificazione, vergogne; in breve desidera tutte le cose patir per Cristo : poiché Cristo patì per lei. Ma come parlerà di tutte queste cose chi non ne sente ? E posto che se n' oda e legga, vorrebbesi a volerne parlare sentirne innanzi; e però abbiatemi per iscu- sato, che io non so che mi dire. Tuttavia dico a laude e gloria della Santissima Trinità che per questi grandi doni e per lo grand' esercizio di essa , cioè dalla via unitiva nasce un affetto di carità e d'amore tutto tras- formato in Dio, elevasi dal mezzo dell'anima un affetto infocato di puro e netto amore, senza niuna consi- derazione di sé slesso né di Dio né di Cristo né di vita eterna , non speculando in alcuna cosa celeste né terrena né umana né divina, che l'anima abbia veduta o non veduta senza niuna imaginazione : ma solo l'affetto dell'amore tirato dall'affetto del grand'amore unisconsi insieme e divengono uno affetto, e non si cerca o può cer- care cosa alcuna particolare, ma é un nuotamento di bene nel bene grande, un amore nel grandissimo amore e volameuto d'amore: e quanto tiralo dall'amore, non è cosa ch'e'vcggia, né che senta, né che chiegga; ma è smisuranza di bene e compimento d' amore a termine, credo, di sentimento. Entra tale affetto ed amore ed affetto d' amore nell' abisso dell' amore , 226 nelle divine tenebre, divine sono, che esso è essa di- vinità e abisso, tenebre sono, che sono oscure nel comprenderle e vederle e più tenebre a parlarne. Questa salita ed affogamento impedirebbe ogni consi- derazione e imaginazione d'alcuna cosa qualunque fosse. Solo r amore lavora in amore. Credo che sia godi- mento di godimenti. Tuttavia io non so che mi dica; però che queste sono da persona di grande affare e di gran fervore e non da persona ghiaccia e ignuda come soiì io. Orate per me peccatore è misero. Gio- vanni peccatore tutto vostro in Gesù Cristo nostro diletto. •^m- -^^^ -m&f' i^m^ -9^-:«^ -.^^^•^^g^ -<«®^«" ■^©*- LA PROFANA COMMEDIA o LE SOCIETÀ' CANTO SETTIMO Pape salari . pape salari aleppe ! Coir amico esclamai, stanco mi sento Pel lungo passeggiar: quando ciò seppe, Disse per confortarmi : anche un momento , E poi ad un caffè ci assideremo ; Ed eccomi a seder tutto contento. Una bibita intanto prenderemo. Leggeremo qui pur qualche giornale E chi va, viene, o resta osserveremo. £ questo il nascondiglio più geniale Del mondo illuminato, e qui si mostra Or dal lato civile or dal morale. Dissi : Maestro mio, or mi dimostra Che gente è questa , e se cervello han buono Questi barbuti alla sinistra nostra? Ed egli a me : son quelli del bon lono. Quegli uomini galanti così detti , Che spesso galantuomini non sono. Sono di quei lindissimi soggetti Che dalle tasche fuor soglion tenere Le punte per lo più de' fazzoletti ; S28 Sono di quei che fannosi vedere Sull' abito portandosi davanti Un fior, siccome il nastro un cavaliere; Di que' spiriti son belligeranti Dal pomo cesellato alla bacchetta , Dall' occhialin, che, stando ai loro vanti, Senza aver d' essi cognizion perfetta Si potrian creder tai da rinnovare La famosa disfida di Barletta. E noi d' onor di patria ragionare Già li udimmo altra volta, e sappiam quanta Forz'han ne' petti ... un cocchio per tirare; Ed è molto il serbar forza cotanta Fumando tutto il giorno, e molte notti Vegliando in mescolare le quaranta.' Di più son di quei bravi Don Chisciotti, Che le altrui Dulcinee van conquistando; Son di quei profumati giovinotti Che vanno tutto il giorno acculattando Or dei caffè le sedie , or dei barbieri , Quivi con gran diletto mormorando ; Son di quei cosi detti cavalieri Senza cavai , che ai pranzi ed alle cene Mostransi^rditi e orribilmente fieri ; Son di quei che si prendon molte pene Per una gola che armonie fuor caccia, O per due stinchi che si muovon bene; Di que' che con la bocca , e con le braccia Degli autori ed attori teatrali Si fan tremendi giudici in barcaccia. Ed io: Maestro intesi: son quei tali Che in teatro volendo condannare Ai rettili si soglion far eguali : Ora mi piacerebbe d' ascoltare Il lor discorso, ed egli a me: l'udito Tendiam ; ma già si puote immaginare. Parlavan d'opinioni, di partito, . Toccavan la quistione sul divario. Che è tra la Taglioni e la Cerrilo. Perch' io dissi all' amico : è 1' ordinario Argomento che or va per tutte bocche, Argomento per vero umanitario ! 929 E quegli a me: oh creature sciocche Quanta ignoranza è quella che le offende; Ma ornai un tasto tal più non si tocche. Ed io : or mi di' sol chi è quei che prende Gentilmente il cafTè fra cotal gente E alla grave questione poco attende? L'amico mi rispose immantinente: Costui è un loro amico assai diletto Cui l'epiteto danno di sapiente; E infatti è tal perchè oltre 1' aver letto Molti e molti romanzi or alla moda Sa anche all'occasion fare un sonetto, E quel che è più 'n sonetto con la coda! Tanl'è vero che uno ne scriveva Pieno di bei concetti e non di broda Sopra la prima donna ( non già Eva ) Dell' opera la qual tutti molcea I cuori al dir di lui, che lo sapeva. Non la chiamava già donna ma Dea Discesa in mortai gonna per usare Di un pensier nuovo, di una nuova Idea; La qual per grazia in ver particolare, E per napoleon mille soltanto. Ci veniva alcun po' a imparadisare. Poi la dicea d' Italia onore e vanto .... Oh Jtalia fortunata veramente Che vantare e onorar ti puoi di tanto .' Cotal sonetto bello anzi eccellente. Degno d'una cantante, e che fa onore Al progresso del secolo presente, Venne fatto stampare dal suo autore In sopraffina e bene cilindrata Carta di Bath di roseo colore. L' cbber tutte le belle, ed una ingrata Pel gomitol ne fe'un pallottolino Perch'io dissi: oh che carta disgraziata Ed egli : insomma è un genio pellegrino Noto per i caffè , per i ridotti , E sin nei luoghi ove si vende il vino. Ti assicuro che è un dei giovinotti Per acutezza e vastità di mente Da mettersi fra molti odierni dotti. f 230 Ed io : dunque anderà sicuramf nte Ne! settembre al congresso de' scienziati , E un quaicli' anno il faranno Presidente? Nò sarà di quei dotti celebrati , Che vanno al solo scopo umanitario D'essere nei giornali nominali. A me l'amico: oibò ! tutt" al contrario Va solo del ben pubblico a riguardo , E eh' egli vada è quasi necessario ; Niun più di lui ha penetrante sguardo, Quando in ispecie 1' occhialin si pone, E , per esempio , orservalo al bigliardo. Colà se a caso mai nasce questione Sul gioco , ha un' incredibile prontezza In decider sul Iorio, o la ragione: Ei vi sa dir con tutta sicurezza Se fu fatta carambola, oppur quanti Cadder birilli , ed io : quale accortezza ! Egli è un giovine ancor dei più galanti , Vedilo, il mio Maestro proseguia. Il caffè si sorseggia in bianchi guanti. Ma ecco che la bella compagnia Grida a un garzone caffetlìer: del fuoco Tutti accendono il sigaro e van via. Meno mal, dissi allora, non è poco Ch' educati essi sian stati abbastanza Da non alTumicare e noi e il loco Come purtroppo è la moderna usanza Dei bonlonisli, deliziosa gente Che cotanto si picca di crecanza . . . Ma tornammo al discorso del sapiente. CESARE MASINI ALCME CANZOIVI INEDITE GABRIELLO CPHABUERA Gabriello Chiabrera nativo di Savona, e Poeia ita- liano di quel valore die i nostri Leggitori ben sanno, ne ammaestra nella sua Vita, da lui medesimo scritta , avere egli tentato maniere diverse di composizioni, in alcune delle quali non soddisfece abbastanza a sé medesimo. Ciò nondimeno, siccome il raccogliere e donare alla pubblica luce altresì le piccole cose dei sommi nostri Scrittori, ancorché nessun fregio novello aggiunger possa alla fama loro, non può non riuscire ad altri di molla utilità , perchè suole pur sempre tornare a giovevole ammaestramento il riconoscere nelle varie epoche della vita di un celebrato Autore la progressiva graduale perfezione dell'umano ingegno-, e in questo nostro secolo tanto più cade in acconcio, nel quale hanno ricevuto così grande sviluppo le dot- trine che versano suU' immenso e svariato campo dello scibile, in ogni e qualunque parte delle scienze, e delle S32 filosofiche e morali speculazioni: così dobbiamo credere inutile al lutto non abbia ad essere 1' edizione che siamo qui per annunziare, poiché la sola inspezione dei componimenti che pubblichiamo, ci avvisa, doversi ri- conoscere ne' medesimi i primi tentativi dell' immagi- nazione d' un' età giovanile. Ma non è da noi certa- mente lo scendere così intempestivi in tale aringo di astratte e metafisiche disquisizioni; perlocchè ritornando al nòstro proposito, e in esso ristringendoci, diremo avere il nostro Poeta registrato fra i componimenti eh' ei si provò di ridurre a quella perfezione , cui nel- r opinione sua giudicava non essere pervenuto, le Canzoni Archiloche -, e di queste non una giammai trovasi nelle impressioni delle Rime sue, da lui vivente o per altri dopo sua morte evulgate. Inoltre, poiché da lun- ghi anni ci diemmo a raccogliere i Versi e le Prose del nostro Concittadino, sino a qui rimasti inediti, ne re- cava sorpresa il non trovar tuttavia rammentato alcuna scrittura dettata dall' illustre Cantore in lingua verna- cola, sebbene una qualche speranza pure ci confortasse di rinvenire alla perfine un abbozzo qualunque ( se non fosse altro ), degno almeno per la sua novità d' esser fatto di pubblica ragione. Finalmente la for- tuna ne fu di tanto favorevole, da poter fregiare il presente giornale con la stampa di due Canzoni ed una stanza ossia Madrigale di Gabriello Chiabrera in dialetto genovese, tratte da quel manoscritto del M. Lorenzo Baldano, familiare di lui, che ci forni materia altra volta alla pubblicazione di alquante Poesie ine- dite del medesimo fattasi nel volume 2." delle sue 833' Rime impresse a Livorno nel ]S4:\ in- 32. coi tipi Beriani, Antonelli e C. («). Alle sovra accennale Can- zoni inscritte dall'Autore col titolo di Serenate, ab- biamo aggiunta una Canzone Arcliiloca, 1' autografo della quale, da Giovanni Ciampoli che vi scrisse a tergo il suo nome, trovasi ora in noi trapassato con altre carte fra la letteraria suppellettile redala dall'amatis- simo nostro genitore Gio. Tommaso Belloro. Ne vo- gliam qui tralasciar d' avvertire i Leggitori, che le Serenate, ove forse alcuni scorgeranno qualche Savonese idiotismo, vennero ridotte a moderna ortografia ed arricchite di annotazioni da un nostro amico , il Sig. Giovanni Gasacela (b), già noto al pubblico per altri lavori, e principalmente pel Dizionario della Lingua genovese, frutto di sue fatiche e che per sola opera di lui compilandosi , merita non tanto in vista della somma utilità, quanto dell'esecuzione sua, essere da ogni buon cittadino applaudilo e commendalo. Final- mente poche brevi note furono apposte da noi laddove alcune voci parevano oscure o d' incerto significalo ; e queste verranno distinte dalle altre con un segno particolare. (a) Il titolo dell' edizione è come segue : Rime di Gabriello Chiabrera coli' aggiunta di altre inedite, Genova, presso Giovanni Grondona q. Giuseppe, coi tipi Bcr- tani, Antonelli e C. di Livorno, 1841. voi. 2. in-32. Le sopracitate Poesie inedile leggonsi dalla face. 22i alla 228. È singolare, che in tutte le impressioni della vita dell'Au- tore scrina da lui medesimo, Irovinsi ripetute le segiicnli pa- role : Nacque in Savona V anno della nostra saltile 1552 agli 8 di giugìto , e nacque quindici giorni dopo la morie del padre; le quali parole vcggonsi altresì copiate nella sopracllala , ben- 23i che avessimo noi trasmesso agli stampatori l' infrascritto docu- mento , acciò servisse loro di base per retliflcare 1' errore di quella lezione. « Siccome in quasi tutte le vite di Gabriello Chiabrera mo- » dernamente stampate si legge esser egli nato agli 8 di giugno » 1552 , poniamo qui appresso una nota autentica della sua na- » scita ». Nola del di che nacque Gabriello Chiabrera. IHS. 1552 alli XVIII di giunio e in tal giorno essendo sab- bato, bore tre di notte, tempo bellissimo. Maria Geronima mo- glie del q. M. Gabriele Zabrera , che mori alli dua di detto mese , bore dua di notte , partorì maschio con allegrezza di tutti chiamato Gabrielle: compari M. Gerolamo Bardella , e M. Giacomo Morassano, Comare M. Giachinetta Lanza. Sotto di essa nota leggesi di mano del Poeta : Questa memoria è di mano di Giovanni Zabrera zio di Ga- briello Chiabrera, di cui è il ritratto fatto a penna qui riposto. Il qual ritratto fu fatto da Luciano Borzone suo Compare in Genova 1' anno 1642. Poi soggiunge: Questo ritratto hollo smarrito. Segue altra nota di fianco alla sopradetla , di mano del sud- detto Poeta: Questo Gabriello , di cui è notato il giorno del suo nasci- mento, nacque di Gabriello Chiabrera e di Geronima Muras- sana. Gabriello nacque di Conrado Chiabrera, e di Mariola Feo. Geronima nacque di Pietro Agostino Murassana, e di Despina Naltona: e questo sono i suoi quarti. —Speriamo che non debba essere discaro ai lettori il qui re- gistrare eziandio le seguenti note: In libro a forma di pandetta inscritto — MEMORIE DI LELIA CHIABR. — Nota, che mi sono sposata del anno 1C02 alli 29 luglio il giorno di S." Marta, e l' ist." giorno s' è fatto l' Instromento di 235 mia dote per mano di Messer Geronimo Bellorio Nolario pu- blico di questa città. C lo Lelia Pavese e Cliia,..» In detto libro ma d' altro caraUere: 1572 a dì 20 7.brc Lelia figlia del S.' Giulio Pavese è stata battezzata da me P."= Ottaviano Marrotto Parrocchiano. Padrino Messer Alessandro Grasso, Madrina Mad." Francisca Ferreria. Dal libro dei Defunti della Parrocchia di Sant'Andrea in Savona : Die U.' 8. tris 1638. Magnificus D. Gabriel Chiabrcra vir virtute prtcditus. et pr-@-i3-®-9-9-@-©@^@-€^(^^0©-3) LETTERE del Cavaliere ANTONIO BEPiTOLONI ^l Sig. Marchese Massimiliano Aiigelelli a Bologna Anni sono leggendo nel libro quinto della Geografia di Strabone quello, che vi è segnalo intorno alla città, e porto di Luni, mi fermai pariicolarraente so- pra il passo, ove l'autore dice, che tra Luni, e Pisa ò jLtaxps £$ì xofiav ( ediz. Aid. p. 97. lin. 49 ) , e che per verità sino ad ora non è stato capito da alcuno. A me però non pare di tanta difficoltà , e vo esporle quello, che ne penso, per sentire il suo savio parere. Alla distanza di circa tre miglie da Luni an- dando verso Pisa scorre un fiumicciattolo detto per tradizione sino dalla più remota antichità il Carione. Questo raccoglie le acque dell'alpe xipuana conosciuto sotto il nome di sagro, e dei monti sottostanti, e da Carrara scorre al mare lambendo all'occidente l'odierno paese dell' xVvenza. Strabone aggiugne, che molti scrii- 2i8 tori ebbero il suo %a5f('ov per il confine de!Ia Liguria, e in realtà questo confine è sempre sialo, ed è anche oggidì in quelle vicinanze , perchè ora è al torrente Parmignola, il quale scorre un pò" più in qua del Ca- rione verso Luni, e che probabilmente in antico for- mava un solo influente col Carione. Da ciò deduco, che neir anzidetto passo di Strabene si debba leggere X^pio''', e che in esso si alluda al picciol fiume Ca- rione, il quale appunto scorre tra Luni, e Pisa, e forma presso a poco il confine della Liguria. Ma per- chè Strabene vi aggiunse le parole ò fxxxpng ? Non sono senza sospetto, che queste vi siano slate intruse dagli amanuensi, che non capirono il valore del voca- bolo xcopiov. Tuttavia le confesserò, che trovandomi in Firenze volli consultare i codici dello Strabene, che sono nella Laurenziana, ed il degnissimo Sig. Bibliotecario Del Furia mi fu cortese di mostrarmi i codici N.° 5., e N." 40. del pluteo 28., il primo dei quali si crede del decimoquarto secolo, ed il secondo del (lecimosesto, né pago di ciò mi fece dono ancora del fac simile delle parole di Strabene , come sono nel primo di que due codici, e che stanno così: ojj.ó.xpinq- kq\xo:>piov. Nel codice secondo dicono lo stesso , ma ogni parola è staccata dall'altra. Ora ritenendo il passo tal quale si trova ne'due codici , parmi poterne rendere ragione , perchè Strabene ha detto il Carione della Magra per distinguerlo da un altro Carione fiumicciat- lolo dell' isola di Creta, del quale parla Callimaco nell'inno a Giove: IToXXà Si Kapjojvog avo: etc. Ediz. del Salvini, Firenze 1763. p. 40. vers. 24. 249 Se ora V. S. dà un'occhiata alla versione dello Slra- bone falla dal Guarino, vedrà che in tulle le amiche edizioni, cominciando dalla prima di Sweynheyni e Pan- nariz il passo in questione è trasportato nelle parole latine: InLer Lanani et Pisas Macrae traclus est, lo che è un impossibile, perchè il letto della Magra anche oggidì è più basso del suolo di Luni, perchè la Magra a que' tempi sboccava nel mare di Luni più addietro, che non fa oggi dopo 1' interramento del picciolo porto, 0 scalo di Luni, che allora bagnava le mura della città, e perchè sarebbe stato mestieri, che r acqua della Magra fosse salita all' insù per an- dare a passare tra Luni, e Pisa. Adunque quella versione è inetta, e la parola %«/3(ov, o meglio y^a-iilav non vuol dire un tratto del fiume Magra, ma è realmente un nome proprio di altro fiume. Peggio poi il Korai nelf edizione greca di Sirabone ha storpiato quel passo sostituendo %ojf<^c;y al %o:iplov per venire a dire, che il fiume Magra è quello, che divide Pisa da Luni. Il Repetti vedendo le anzidette difllcoltà avvisò nel Dizion. Geogr. Stor. Tose. fom. 2. p. 937, che la parola %G;piov volesse significare la contrada piuttosto che il fiume Magra, come se Strabene avesse voluto dire, che tra Luni, e Pisa è la vallata di Magra. Al certo questa interpretazione toglie 1' incongruenza di sup- porre, che la Magra, o un ramo della Magra passasse ira Luni, e Pisa, ma cade poi nell' inverosimile di adattare il limite preciso della Liguria significalo per il %co/)/ov, 0 %af'ov ad una estensione di territorio. 250 Eccole, Sig. Marchese, le mie opinioni. Ella, che così bene addentra nelle cose della letteratura Greca, vegga un po', se ho colto giusto , o almeno con mag- giore probabilità degli altri. Mi abbia nella sua grazia. Di Sarzana alli 20 di Loglio 1843. A Monsignore Emanuele Muzzarelli a Roma Vostra Eccellenza Reverendissima , che in mezzo alle gravi cure della Rota Romana sa trovare il tempo di applicare all' amena nostra letteratura con tanto onore di lei , e vantaggio di quella , accoglierà al certo con piacere la notizia di una assai rara edizione di uno dei nostri volgari più belli e più puri. Ella già cono- sce il libro intitolato: Miracoli della Vergine Maria stampato per la prima volta in Vicenza da Zuane de Rane nel 1476. Fin qui si ignorava, che in quel secolo fosse stato ristampalo, quando mi venne fatto di sco- prirne un' altra edizione di Bologna, che non indugiai ad acquistare per la mia collezione de' Classici Italiani, ed ora voglio descrivergliela, giacché non ne ho tro- vato ricordo in verun bibliografo. La prima carta è tutta occupata nella facciata recta da una rozza stampa in legno rappresentante la beala Vergine contornala da Angioli, nella facciala versa, è in bianco. Seguono le due carte colle segnature A. ii. Ani. contenenti la= Tabula di miracoli della Vergine Maria ==, e nella facciata A. m. versa principia 1' opera in questi termi- ni: = Qui cornenciano alcuni miracoli della gloriosa 251 Vergine = Maria madre de Jesu CrisCo=, e segue il capitolo, il cui principio dice:= « Era uno cavaliero mollo riclio e polèie: il quale liavea in usnza ogni ano in cene feste fare grande spese et convili alli soi amici ecc. »= Queste parole corrispondono piena- mente a quelle dell' edizione Vicentina ; ma il fine del- l' edizione Bolognese è alquanto diverso , ed è conce- pito in questi termini : = Ma labbadessa referendo il miraculo furono tutti consolati : allhora laudorno e ringraziorno la gloriosa vergine Maria : che non ab- bandona mai alcliuno die liabbia speranza in lei : la quale sia benedecia in secula seculorum. Amen. = = Finis. = Dopo ciò sono le seguenti indicazioni della slampa : = Impresso in Bologna p. mi Guigliermo piemontese del anno Mcccclxxxxi. a di xuii. de zugno regnante lo Inclyto Principe: signor e Signor Zollatine de Bentivogli. = Il formalo del libro è in quarto piccolo, e la slampa è a due colonne in carattere semigolico senza nume- razione di pagine, e senza richiami, ma col registro da A sino in D. L' ultima carta è in bianco da ambe- due le facciate. Se questo testo fosse scrino colla moderna ortografia al certo la sua lezione sarebbe as- sai buona, e migliore di quella dell'edizione Vicentina. Eccole dunque un'aggiunta al Gamba. L'accolga con favore, e mi abbia fjuale le bacio rivereniemenle le mani. Di Bologna alll 20 eli Scllcmbre I8ia. 252 ^ SUO figlio CAvv.^ Carlo Berloloni a Roma Vi mando le notizie, che mi domandaste; intorno al Comento del Bolognini sopra il decreto dell'Impe- ratore Teodosio li. L'edizione ne è rarfssima, e non stata mai descritta con esattezza dai bibliografi , al che io posso rimediare, perchè ne ho trovato un bellissimo esemplare qui in Bologna nell' archivio pubblico nota- rile, e r ho potuto esaminare a mio piacimento. Il libro è stampato in foglio grande, e 1' esemplare, di che parlo, è in prima legatura in tavolette foderate di drappo di seta verde con canti e mappe di me- tallo. È stampato a due colonne tranne poche cose nel principio e nella fine , il carattere è semigotico , ed un largo margine fa contorno alla stampa. Precede il repertorio dell' opera fatto da Angelo Ugeri di Pon- tremoli, il quale allora studiava legge nell' Università di Bologna , ed era uno de' più valenti discepoli del Bolognini, Questo repertorio comincia così : « Angeli Ugerii de » pontremulo legum scholastici Tabula seu repertoriuni » in notabilem et singularem extravagantem Theodo- )) sianam constitutionem nuper editam per excellentis- » simuni praeceptorem suum dominum Ludovicum Bo- » logninum de Bononia utriusque iuris doctorem: equi- » temque auratum : ac sacri palali! Apostolici advo- )) caium consislorialem benenierituni : iura civilia ad » presens ordinarie legentem in vetustissimo diete ci- » vitaiis Bononiae studio: ad cuius perpeluum nomen » et cternam gloriam et comunem siudentium utilità- 253 )) lem privilegiuR) hoc aureuni : una cum suis com- » mentaiiis magisiraliter: et accuratissime composiiis » edidit: Anno domini Mcccclxxxxi. Tempore etc.» Tutto il detto repertorio è formato di un ternione, e di un foglio semplice di due carte. La prima carta del ternione è in bianco da ambe le pagine, e non ha segnatura alcuna. La carta seconda ha la segnatura. Ai., e la carta terza A ij. La carta quarta, e quinta non hanno segnature, e la carta sesta ha la segnatura B. 11 foglio che segue ha nella prima carta la segnatura Bij , nella seconda carta manca la segnatura. Nel fine porla le note tipografiche : = « Imprcssum in inclyla et alma ci- » vitate Bononie studiorum maire per me Plaionem » de Benedictis anno domini Mcccclxxxxi. die vero vi- )) gesima iul ij = sotto =Laus Dco eiusque mairi virgini » intemerate amen. » =Segue l'impresa del Benedetti colle lettere P L A. La carta versa è in bianco. Non v' è numerazione di pagine. Il cemento comincia con nuova segnatura. La prima carta nella facciata rficta è in bianco, e manca di segnatura, nella facciata versa porla il decreto di Teodosio secondo colla intestazio- ne » Privilegium totum aureum iamdiu coijicessum re- » giae: ac studiorum vere alumnae: civilati Bononiae » et omnibus liberalibus ajrtibus: ibideni studeutibus » ac commorantibus: et ad istud floreniissimum gymna- » sium venientibus quacunque: et inde eiiam recedenli- » bus per sacraiissimum ac xpiianissimum olim Theo- » dosium secundum et Consiantinopolitanum undeci- » mum imperatorem. Ad preces divi Peli'onlj cognati » sul et eo tempre episcopi Bononiensis sauctissimi et S5« » plusquam benemeriti : ac diete civitaiis : quo non )) preslaniior alter unqiiam fuit. noviter commenia- » lum: et de verbo ad verbum miro ordine enuclea- » tum per clarissimum utriusque iuris doclorem equi- » temqiie auraiuni et sacri palacij apostolici advocatum » consistorialera cum omnibus privilegijs: gratijs: immu- )> nitatibus : exempiionibus : ac si personaliler in roma- » na curia resideret: constitutum dominum Ludovicum » lohannis de bologninis de Bononia iura civilia ordi- » narie actu ibidem in presentia legentem. Anno do- » mini, Mcccclxxxxi. die. xv. iunij » = Segue al privile- gio una lettera dedicatoria del Bolognini all'Imperatore Massimiliano, e indi un epigramma di sei distici in esametri e pentametri fatto dall'Ugeri , il quale comincia: Bella fugit cujus: tolus veneralur et orbis: etc. Alla carta aij. ha incominciamento il cementa- no, al quale sta in testa la sentenza =« Inicium sa- pieniie timor domini = , e le prime parole del comen- tario sono = Non immerito equidem sentenlia mea etc.== Nel fine del libro è una lunga lettera dell' Ugeri a Melchione de Zaniti = Angelus Ugerius de pontremulo Duo Melchioni de Zanitis advocatorum facundissimo S. P. D. Quantum temporis studiis impariiaris eic.=, nella quale si parla dei pregi del decreto di Teodosio a prò di Bologna, di quelli del comenio , e sopra tutto v' è un lungo elogio di Lodovico Bolognini. Vengono di poi le note tipografiche = Impressum Bononie per Platonem de Benedictis stampaiorem. solertissimum An- no domini. Mccccl.\xxxj die xv. lulij = Begistrum a. b. r 253 c. d. e. f. g. h. k. A. B. Omnes sunt lerni exceplo primo qui est quaternus et ultimo qui est duernus. Laus Deo. = La facciata versa dell'ultima carta è in bianco. Mancano i richiami, e la numerazione delle pagine. Le lettere iniziali sono miniate, ed appiè della facciala recta a ij del comento è miniato lo stemma de' Bentivogli già Signori di Bologna inquartato con quello della città di Bologna, lo che parmi dimostrare, che questo esemplare appartenne ai Bentivogli, e che probabilmente dopo la loro caduta passò nel Senato di Bologna. Come poi sia pervenuto nell'archivio pub- blico notarile non lo so dire; ma dirò, che è a de- siderare, che da questo archivio, ove giace oscuro, passi ad ornare la pubblica biblioteca comunale di Bologna óra collocata nell' antico Archiginnasio di re- cente con ogni magnificenza restaurato per opera delle Bolognesi Magistrature. Pare incredibile, come 1' Orlandi non annunziasse questo libro nelle sue origini della stampa, e solo si contentasse di dire nelle Notizie degli scrittori Bo- lognesi p. 192. « che il Bolognini diede ancora alle » stampe il Commento da lui fatto al Privilegio di » Teodosio luniore, concesso allo studio di Bologna, » per la qual fatica gli fu concesso uno stipendio di mille » lire annue da Papa Innocenzo Vili, come per Breve » diretto al suo Logotenente in Bologna », il qual folto è riferito anche dal Fantuzzi negli scritt. Bologn. ioni. 2 p. 262., e dal Mazzuchelli negli scrilt. iial. voi. 2. part. 2. p. 1497: i quali due autori si contentarono di annunziare il libro sotto il solo titolo di Conmicniaria 55» in Privilegìum Tlieodosii prò Uiiiversitate. Bono- niae 1491 in fol. senza indicare lo stampatore, e senza altra nota caratteristica. Colla stessa ommissione, e colle succinte parole Ludov. Bolognin. in privileg. Theodosii imperai, prò Universitat. Bononiens. fol. Bonon. 1491. Il libro fu del pari registrato nella nuova edizione degli Annali tipografici del 3Iaitaire tom. 1 . par. 1. pag. 539., di guisa che il P. Audifredi nello Specinu edit. Ital. secul. XV. p. 79. valendosi dello stesso annunzio del Maitaire , e ponendo mente al si- lenzio de' tre precedenti autori intorno allo stampatore ebbe a sospettare , che il nome dello stampatore man- casse nel libro. Il Panzer al certo negli annal. typogr. voi. 1. p. 224. n. 146. riparò all' ommissione de'pre- cedenii. Intitolò il libro Theodosiana, e ne addusse !' intestazione == Privilegium totum aureum etc. , ma r addusse con parecchie mancanze, e tacque di lutte le note caratteristiche dell' edizione. Non vi dirò , che quel Privilegio di Teodosio secondo fosse una spiritosa invenzione imaginata nel XIII. secolo. Di ciò abbastanza ne avvertirono il Pelracchi nella sua Storia dell' insigne u4bbaziale Basilica di s. Stefano di Bologna stampala in Bologna nel 1 747, ed il Mu- ratori nelle Dissertaz. sopra le udntichità Ilaliane , Milano 1751. tom. 2. p. 374. Solo vi dirò, che questo Privilegio, 0 decreto era scolpito in una lapide di marmo posta probabilmente nel pubblico palazzo, e non nella chiesa di s. Petronio, come dissero l'Ughelli ed il Muratori, perchè questa chiesa allora non esi- steva ancora , e siccome esso decreto servì molle SS7 volle di pretesto ai Bolognesi per far gueira ai Mo- daoesi, e spogliarli del territorio sino al Panaro, nell'anno 1272 dopo sedizioni, e tumulti avvenuti in città il partito de' Geremei vincitore fece levare quella lapide, la quale cadde in dimenticanza sino a che Lu- dovico Bolognini la fece rivivere, e l'arricchì di co- mento nell'anno 1491, del che ci fa chiari l'Ugeri nella lettera a Melchione De Zaniii con queste parole: » « Latebat privilegium illud mirabile tamquam luto de- niersum , quod ipse ( Bologninius ) in lucem restituit » ecc. Fin qui vi ho parlato del libro, ma quello, che principalmente mi sono prefisso, è di farvi conoscere r Angelo Ugeri , e così appalesare alla Lunigiana un suo concittadino insigne, del quale non parla veruno islorico di quella contrada, e nemmeno il Cerini in quel suo Zibaldone intitolato 3Iemorie storielle della Lunigiana, 3Iassa ] 829, nel quale esaltò a cielo molte persone, che non so, se mai levassero il capo dalla crosta della terra. Egli però nel tomo 2. p. 237. par- la di una nobile famiglia Ugeri di Val d' Antena nel Pontremolese, e dice che di essa vi ebbero due Vescovi di Brugnato nel XV. secolo, Antonio, che tenne la sede ira gli anni 1438, e 1467, e Bartolomeo, che im- mediatamenie gli succedette, e morì nel 1487. Donde egli abbia ritratte le notizie sopra il Vescovo Antonio, non lo so ; al certo non gliele ha somministrate 1' U- ghelli neìV Italia Sacra, ove indicando i Vescovi di Brugnato tom. 4 p. 987. non rammenta punto 1' An- tonio, bensì il Bartolomeo: » Bartholomaeus de Uge- riis de Pontrcinulo anno 1472 », e questi fu il ven- 958 lesimo Vescovo preceduto dal Vescovo Antonio Verga- laici e che ebbe per successore Anionio De Valdetari di Savona. Comunque la cosa sia, se l'Angelo Ugeri,di cni vi ho parlato, derivasse dallo stesso stipite, io non ve lo so dire. Potrà qualche Pontremolese zelante dell' onor patrio scoprirlo rinvangando le carte antiche. Finisco la mia lunga lettera dandovi un caro abbraccio. Di Bologna ai 19 di Ottobre 1843. Al Sig. Frane. Tassi già Bibliotecario di S. A. I. B. il Granduca Ferdinando III. a Firenze Trovandomi costà le parlai di una edizione del Torrentino sfuggita al Can.^o Moreni, e le promisi man- dargliene più accurata notizia tosto che fossi tornato a Bologna. Ora dunque adempisco alla promessa. 11 Moreni nell' edizione seconda degli Annali della tipo- grafa Fiorentina di Lorenzo Torrentino p. 238. n. XIV. riferisce la legge seconda del Sig. Duca di Fio- renza sopra la Gabella delle macine passata ai 9. di decembre 1553, e bandita agli \\ di decembre del- lo stesso anno. Nella mia doviziosa collezione de'Bandi antichi Toscani di prima stampa è anche la legge pri- ma sopra la Gabella delle farine passata ai 7 di ot- tobre \ 552 , e bandita nello stesso giorno , ed anno. Questa è stampata nello stesso formato, carta, e ca- rattere , e coir impronta dello stesso stemma Mediceo della legge seconda-, è di pagine 1 5 , la cui numerazione comincia dal frontispizio-, \ impronta dello slemma Mediceo 259 mostra maggiore freschezza, e gli ordinamenti , e tasse prescritti dalla legge portano nel margine esterno una sbarra. Farmi non essere luogo a dubitare, che anche r edizione della prima legge non appartenga al Torren- lino e per 1' identità delle cose , che ho detto di so- pra, e per l' anteriorità dell'anno della stampa, e per la maggiore freschezza delle impronte; poiché, posto ancora, che i Giunti, il Marescotii , ed il Sermartelli si sieno serviti , come dice il 3Ioreni , delle slesse imprese, caratteri, stemmi, ed ornati usati dal Torrentino, il quale ne aveva la privativa, ciò non può essere ac- caduto, che dopo la cessazione della stamperia di Lorenzo Torrentino , la quale avvenne più tardi degli anni 1552.1553., ne' quali furono stampale le sopra- deiie due leggi. Questo è quanto posso dirgliene. Mi voglia bene. Di Bologna ai 28 di Ottobre 1843. n's^m&'^^mmmimmmmmmm^mmmmmmmm^w^m BIBLIOGRAFIA DELIA ORGANIZZAZIONE DELLE CASSE DI RISPARMIO, DEI MONTI DI pietà' , E DELLE BANCHE GENERALI DI A. CRESTADORO Torino, Tipografia Mussano 1W3 Sono pochi giorni da che mi venne inviato questo libro sommamenle utile perchè veramente adatlato a sdormeniare anche i più profondamente assopiti e perchè la sua lettura non lascia più scusa alcuna agli acci- diosi , i quali per onestare in parte la loro infingar- daggine, ia loro non curanza, la loro avversa volontà li mettono sempre in cam((0 le difficoltà lunghissime amministrative che bisogna superare per organizzare alcun che di nuovo e di buono 5 come se le discipline regolameniarie potessero avere altro scopo 0 produr- re un risultato diverso da quello di assicurare il buono ordinamento e l'ottimo andamento delle cose, nelle quali ha dovere di conoscere chi governa. Dico ciò perchè ne ho ragione, e perchè il libro che annun- zio è slato scritto dall'Autore, animato come egli dice 261 a face. VI dalla superiore auloriià, segno non dubbio che se in Genova le Casse di risparmio, come tanie altre utili e sante cose non sono non è per opposizione veruna. Sento parlare di somme immense che sarebbero necessa- rie per organizzare una Cassa di risparmio: fole, accidia. Nella Provincia di Asti sono bastate 200 azioni di f. 50 caduna. La città somministra il locale per gli ufTici , face. 258. Quella di Torino venne aperta per opera della città, la quale provvedeva al collocamento dei fondi , ri- cevendoli con la risposta del 4 °<> nella sua cassa de' conti e prestiti , ed impiegandoli in estinzione del residuo debito della città, esigibile e fruttante interes- se. Questo primo impiego era aperto soltanto fino alla concorrente di lire lOOm. in complesso, e la totalità dei depositi di ciascun libretto non poteva eccedere le lire 200 , ma veduti i grandi vantaggi che un tale stabilimento arrecava alla parte meno agiata della po- polazione, la giunta Decurionale a ciò preposta, secon- dando le mire paterne del Consiglio di città, ampliava indefinitamente l' impiego con altra sua notificanza del 9 settembre 1836 face. 228. Quella di Ciamberi fu fondata per le cure ed il pa- trio zelo degli Amministratori della città, e per la coo- perazione generosa d' un gran numero d' azionisti nel 1835 face. 232. Nel 1835 il benemerito Parvopasso legava per testamento alla sua patria f. 2000. da erogarsi alla fondazione di una Cassa di risparmio, ed il consiglio municipale secondando con molto zelo questo pio in- 262 lendimento stanziava altri fondi che aggiunti alla delta somma formarono una competente dote per la Cassa di risparmio in Alessandria. Essa venne aperta il 1 .'^ giu- gno ^840 face. 235. Quella di Oneglia , promossa dal patrio zelo del Sig. Carlo Riccardi fu Andrea, personaggio molto di- stinto nella sua patria per virtù d' ingegno e di cuore, venne autorizzata il ]S agosto i840, con dotazione di lire 4000. divise in azioni di f. 20 caduna per al- trettante sottoscrizioni volontarie e gratuite di persone cariratevoli face. 24'1. Quella di Savona fu fondata dalla Civica Amministra- zione e dalla società d' incoraggiamento all' industria face. 243. La Cassa di risparmio d' Annecy ha dato principio alle sue operazioni il \ . gennajo \ 842 con una dotazione di Ln. 10350. ammontare di una soscrizione aperta sono il patrocinio dell'Amministrazione municipale face. 249. L'Amministrazione del monte di Pietà della città di Era ebbe l'avventuroso pensiero di destinare alla fon- dazione di una Cassa di risparmio, il residuo ammon- tare disponibile dei beneficj e delle rendile dello Sta- bilimenlo face. 251. Il libro che annunzio è dettato da un vero amore del prossimo e cosi ogni parola è un utile pensiero, e mi riserbo perciò ad un numero successivo per farne minuta analisi ; ora ho voluto intanto annunziarlo per domandare che si fa e che si pensa di fare nella su- perba Genova, città che fu sempre prima per opere di generosa carità, in mezzo a tanto moto, dopo tante 2G3 fucilila e così aperto inciiamento del governo a far qualche cosa di buono; perchè vorrei che qualche cosa si facesse, se non per dare agli altri ì esempio, che non è ora più sperabile qui, almeno per segui- tare quello degli altri. IL DIRETTORE '^<- POESIE EDITE ED INEDITE DI AGOSTINO CAGNOU In Prato dalla tipografia Giacchetti sta per uscire una edizione di tutte le poesie edile ed inedite del nostro collaboratore Agostino Gagnoli: a noi non ispetia lo- dare quelle poesie, ma ci sarà lecito citare le parole della gazzetta di Genova del marzo p. p. la quale an- nunziando il primo numero del nostro periodico con poca soddisfazione , non potè però tralasciare di dire che una poesia del Gagnoli vi si trovava come una oasi nel deserto. Segno che la era veramente bella se vinse perfino il maltalento , a dir vero , non troppo velato dal riconoscere che si faceva in quell'art icoleito, dettato come suol dirsi ah irato, la buona volontà del- l' Editore della Rivisita. Poi in Italia non sono pochi coloro che del valor poetico del signor Gagnoli la pensano come la nostra gazzetta ('!), onde crediamo che se in tempi così audacemente divoratori d' ogni fama , come sono questi in cui viviamo, quella del Gagnoli si rispelta , dev' essere veramente un poeta di merito , e non saranno quindi per mancargli associati. IL DmETTOJRE (I) Ultimamente la Gazzetta Piemontese proponeva a modello una satira del Gagnoli già prima stampata su questo periodico. -<)S^--oàS>--««f<5— <^^---oC<'>--<'s!f<>-<'So--<=a!j^-^#o--<^^<>--^^ VITA DI GESÙ' CRISTO COMPENDUTA AD USO DELLA STUDIOSA GIOVENTÙ' AINTONIO BACIGALUl'O SACEBUOTE ParniJi , per Giuseppe Paganino 1843. — Un volume di farce Vili e IH: prezzo l,n. I. — Vendesi dai libraj (x. B. Ratto, via dei Sellai, e da A. Betlolo, sotto i pollici dell Accademia. Se ai libri di Religione, spezialmente narrativi e ascetici, s' addice uno stile semplice ed umile, lo scianifinnalo e fors' anco scorretto , né a questi , nò ad alcun libro conviensi. Ciò vuoisi detto per alcuni i quali si negli scritti , e sì dal sacro pergamo dan nel basso, od allattano stili e modi non mai uditi nò letti. So pur io, e chi noi sa? che la nostra Santa Religione non ha d' uopo delle lettere e della filosofia per infiorare e puntellare sue verità celesti ; ma so ancora che la ruggine nuoce alle armi, e le fronde giovano all'albero; oltrecchè: non furono i profani studi dai Santi Padri e da tutti i piti illustri Scrittori Ecclesiastici e coltivati e lodati ? E non sarebbe forse da desi- derare che i libri spirituali, potessero, tuttavia, esserci additati come esempi di bello scrivere nella stessa guisa che i Cavalca , ì Passavanti, i Segneri, i Bartoli, i Pallavicino? Questa è certo una brama viva di tutti gli uomini sapienti e buoni, e mirano a ciò principalmcnle molti de' libri ristampatisi dal Silvestri in Ali- lano, dal Fiaccadori in Parma , e più di lutti la Biblioteca Clas- sica sacra che ora, seguendo i migliori codici, pubblicasi in Roma per cura di Ottavio Gigli, sotto l'egida dell'Eni. Cardi- nale Lambrusehiiii. Nondimeno ci ha pur tra noi un bel no- vero di Ucligiosi che le umane lettere coltivano ed usano a S66 savio fine, di cui cademi per ora in acconcio di nominar solo il Bacigalupo (*) autore della vita di N. Signore compendiala pei giovanetti , a' quali ( ciò forma il suo migliore elogio ) rac- comandasene la lettura dal Vescovo di Parma , come leggesi a pie dell' annunciato volume. Egli nel distenderla avea in mira la massima brevità, dovendo la medesima far parte di una raccoltina di prose divote. La qual cosa non avendo più avuto luogo, pensò di darla alle stampe così sola. Forse lu , 0 lettore, desidereresti ch'ei non ti narrasse tanto rapidamente: ma io ti osserverò che il suo scopo era di rinfrescar la memo- ria del molto che altri abbia Ietto della vita del Salvatore, od adescare a leggerla in più ampli libri chi fatto non l'abbia. Se otterrà di queste cose 1' una crederassi guiderdonato a sufll- cienza. Nondimeno venuto alla parabola del Figliuol Prodigo, a Lazzaro ed alla passione si diffuse anzi che no, tanto che tu possa avere pascolo discreto all' anima tua per le due setti- mane che precedono la Pasqua. Il racconto procede spontaneo, pulito , ed ha sapore di buona favella senza dar nel rancido , 0 neir affettato ; e parecchi sono i luoghi dove li si appalesa imitatore provetto e felice degli scrittori dell' aureo secolo che tanto gli son familiari. Sento eh' egli abbia per le mani altre opere di tal fatta , e stia preparando , spacciata che sia questa, una più copiosa vita del Redentore. Deh! non si rimanga dui farlo con forte animo , ed erudito , però che la mala sementa ha preso per se non pur le valli ma gli aprici colli , e il buon frumento non ha quasi più chi lo pianti. EMANUELE ROSSI (*) Uomo di sane lettere, degno professore e dei più anziani delle pubbli- che sruole della nostra città ove con un' eletta di saputi Sacerdoti s adopera assiduamente ad avviare e fanciulli o giovinetti allo studio de' classici, cioè alle fonti dell' unirò bello. e® ©e©®©-©-©-©©©-©©©© ©•©■©-©-©-©^©©-©C'-©-© ©-©■©-©-©■©« DI m RARO DIFETTO CONGENITO ESPOSIZIONE del Dottore CARLO CORNELIANI CON TAVOL* LITOGRAFICA Nella molliplicità e varietà dei difetti congeniti, che di quando in quando si presentano alla osservazione, alcuni sono rimediabili mercè opportuna chirurgica operazione; altri qualche soccorso soltanto ammettono che meno infelice può rendere la deplorabile condi- zione dell'individuo; ed altri sono assolutamente tali, cui r arte manca d' ogni sussidio per salvarne la vita. Di questi difetti o vizii di conformazione io non par- lerò che di due appartenenti, uno alla seconda classe, la mancanza cioè della vescica orinarla, e sarà oggetto della presente esposizione: l'altro alla terza, la massa totale d'egli intestini fuor uscita dal ventre, e costi- tuirà argomento di un successivo lavoro. Ritrovo in fra i diversi miei scritti memoria di una fanciulla d'anni sette all' incirca, benestante, che ri- coverala nel 1818 nello spedale dì Pavia, e nella 2G8 -v ^ , sala in allora diretta dal eh™" prof.*^ Cairoli , perdevta ;" ^.^ ,. . . '.'VVv-S incessantemente orina per mancanza di vescica onnana. i'*;^, Era io stato in quel tempo dall'I. R. governo, dietro <:^ favorevole rapporto dello Scarpa Direttore eccellentis- simo della facoltà medica , nominato aggiunto alla cat- tedra di Ostetricia teorico - pratica ; e siccome provvi- soriamente ne la disimpegnava il prelodato professore , così in inlimo rapporto col medesimo ed onorato della sua più distinta confidenza e cortesìa accordom- mi, che potessi osservare la suddetta fanciulla, alla di lui perizia afiidata, e ne facessi fare apposito disegno , che , conservato , qui per speciali ragioni non si può unire. Ecco V aberrazione come si presentava. La regione ipogastrica in tutta la sua estensione co- perta, anzi che dal comune integumento, da una mem- brana aderente nel suo contorno alla pelle naturale, di colore rosso pallido, -di superficie leggiermente ru- gosa; apparentemente mucosa ed esuberante così , che maggiore risultava dell' area segnata in detta regione dai confini della pelle a cui era unita , e per cui dava a vedere quattro gonfiamenti molli, oblunghi dall'alto al basso, due cioè esterni e due interni; all'estremità ; inferiore di questi esistevano due forellini dai quali incessantemente, a guisa di piccole goccio di sudore, scaturiva orina; inferiormente delta membrana facen- dosi angolosa terminava sulla parte anteriore del pube, di poca altezza e di imperfetta riunione , fiancheggiata da due piccole prominenze di cute , continuazione dei suddetti confini, tondeggianti, quasi conformate a papilla, un pò contorle all' indentro e rivolte in bas- SD; lasciava poi la medesima a questo suo lermine osservare come tre forellini a triangolo disposti da cui nulla csciva ; le piccole e grandi labbra mancavano -, più sotto r orificio dell' ano. Lo stillamento involon- tario, continuo dell' orina, per il quale erano sempre asperse le coscie e bagnati gli abiti, portava di quando in quando escoriazioni a quelle parli ed un tal putì- dorè che ognuno mal soffrivala da vicino. Dietro tutte queste aj)parenze si disse , che la fanciulla nacque mancante della vescica orinarla, ovvero non ne avente che la parete posteriore. A riparare gli anzidetti in- convenienti si pensò per la costruzione di una mac- chinetta, la quale potesse raccogliere tutta l'orina, che incessantemente stillava, per passare quindi in un recipiente sottoposto da vuotare ogni qual volta ne veniva riempiuto. A tal uopo una sottile lastra di rame stagnaio di figura triangolare, larga nel suo Iato su- periore, fatta piana per quasi un terzo della sua es- tensione, concava nel centro e nella superficie applica- bile alla parie viziata, terminava in basso con un bordo tondeggiante ed elevalo così nel suo contorno, che lasciava una specie di fondo, di piccolo bacino pel raccoglimento dell'orina, forato nel suo mezzo, sotto cui applicalo un tubetto osseo per l'atiacco di una vescica entro la quale 1' orina medesima doveva essere ricevuta. Tutta la parte piana di una tale lastra coperta di una imbollitura di morbida pelle, estendenlesi sino ai bordi della concavità e sorpassante i contorni della suddetta. Nella superficie piana ed anteriore quallro pic- coli bottoni, per esservi aitaccata ai due sinistri per- 270 pendicolari la rispolliva cinghia, ed ai ire orizzonlali I' altra eslremità della clngliia medesima portarne varj occhielli. Nella superficie convessa inferiore due fermi anelli per fissarvi due ritegni a mo' di sottoscia e pro- venienti dalia parte posteriore della cinghia (V. la fig." 1 . H . I i i . ) In tal modo costrutto l'apparecchio , la di lui applicazione risultò così esatta, che com- prendendo nella sua concavità intieramente il difetto, tutta l'orina veniva raccolta, senza spandersene goc- cia, in quel piccolo bacino , e da questo trasmessa nella sottoposta vescica. Dopo alcuni giorni fu la fan- ciulla dimessa dallo spedale, né più la vidi, né più ne seppi contezza per essermi allontanalo da quella città, ove fallo aveva regolarmente i miei sludi medici e chirurgici, e portato a Novi ad occupare 1' impiego di chirurgo principale in quello spedale. Il difetto di mancanza della vescica orinarla nell'uo- mo è stato da alcuni dello scorso tempo notato ed osservalo. Ilaller ( Elem. physiolog. Tom. VII. 296. ) scrisse: Edam homini ^^esica defuisse indetui' , quo- ties , qiiod neque infrequens est, urina per fora- lìiina aliqua siipra pubis. (Cattier obs. 19 ) Os in carne spongiosa patentia exit, in quae ureleres aperiuìitur. ( Blas. Pan. IV. obs. 6. ) ./^cit ureter in rect/cni intestinum se immisit , aut in vulvam. Biasio nelle sue osservazioni di medicina parlò di un uomo di 30 anni che non aveva punto di vescica orinarla, di cui i due ureteri mollo ampi si univano insieme verso il pube , e di là si alzavano sino all'om- belico , ove terminavano con un piccolo foro dal quale 271 r orina colava nolie e giorno. Leniery riporlo osser- . vazione, comunicata all' Accademia di Medicina nel 174'!, di figlia in cui non appariva alcun sesso, e la quale portava al di sotto dell' ombelico un tumore grosso come un pomo , pertugialo da una infinità di piccoli fori a guisa d' innafiatojo dai quali sorti vane r orina. Dopo di essi Tenon trattò più pariicolarmenle e diffusamente di questa viziosa conformazione, pre- sentando ire casi da lui osservati e riferiti nella storia dell'Accademia Reale delle scienze di Parigi col titolo: Memoria sopra alcuni vizii delle vie orinane e delle parti della generazione. Erano questi tre sog- getti di sesso mascolino, cioè due bambini che dis- secò, ed un uomo che viveva. Il primo dell' età di due mesi aveva la verga im- perforala e divisa alla sua estremità, come da due teste, r una formata dai corpi cavarnosi, l'altra dal glande. Alla radice della verga, in un infossamento oblungo situalo immediatamente sopra degli ossi pubi , mostrava un corpo membranoso, grosso come una mora, increspalo e bruno. Due linee al di sopra di questo corpo un bottone cutaneo, grosso come un pi- sello , avente ai due lati due tumori che toccavano gl'inguini e l'infossamento oblungo anzidelio. Lo scroio, i testicoli, i vasi spermatici erano nello stato naturale. Due piccoli foli situati l'uno a destra, l'altro a sini- stra sul diametro ti'asversale del tumore membranoso suddetto terminavano gli ureteri. Le arterie ombelicali, la vena ombelicale , e 1' uraco s' attaccavano al tu- bercolo cutaneo ; 1' uraco si estendeva coli' altra sua 272 estremila al tumore membranoso. Il tubercolo cutaneo era 1' ombelico immediatamente al di sopra degli ossi pubi, per cui le arterie ombelicali e Turaco più corti, la vena ombelicale più lunga che nello stato naturale. 11 tumore membranoso, a cui^rendevansi i due ure- leri, la vescica, od almeno la parte posteriore della medesima, sulla quale allo scoperto le due imbocca- ture degli ureteri. 11 secondo bambino morto all'età di tre mesi, l'orina, allorché viveva, sortiva involontariamente a goccia a goc- cia per due piccoli fori da una protuberanza membranosa in forma di mora situata immediatamente al di sopra degli ossi pubi, come nel caso precedente. Nella dis- secazione rilevò che gli ureteri terminavano ai due fori del tumore : i vasi componenti il cordone ombeli- cale all'ombelico, e 1' uraco di due linee di lunghezza coH'altra sua estremità alla vescica. Non v'erano glan- dola prostata , vescichette seminali , verga , scroto. Tro- vò in due pieghe di pelle, estendentisi agl'inguini e rappresentanti una specie di vulva , un testicolo da ciascun lato, un epididimo, un canale deferente, il quale verso i vasi iliaci interni terminava in un tu- bercolo duro e bianco in cui non potè scoprire al- cuna cavità. Il terzo che presentò all' Accademia, e che gli fu diretto da Bourgelat corrispondente della medesima, era di 37 anni ed offriva un tumore molto rassomi- gliante ai già descritti, ma più grosso, del volume d' un ovo d' oca , più rosso , e come qua e là esco- rialo, granito e mollo sensibile. Questo tumore di for- 273 ma un pò ovale, di cui il gran clianieiio esiendevasi da diritta a sinistra, si alzava dal mezzo di un in- fossamento quasi quadrangolare. Era pertugiato nella sua parte inferiore da due piccoli fori l'uno a destra, r altro a sinistra da cui l'orina involontariamente esci- va. Anche in questo soggetto T ombelico era situalo immediatamente al di sopra degli ossi pubi, e distinto da una piccola piega cutanea a nio' di luna crescente^ superiormente al tumore, sotto cui eravi una specie di verga lunga un pollice e mezzo, fessa sul dorso, al pari dell'uretra, aperta in tutta la sua lunghezza, posta non al di sotto, ma sopra la verga e non ter- minante in alcuna cavità. In alcune pieghe di pelle si- tuate agi' inguini sentivansi due corpi della forma e volume dei testicoli, a ciascun dei quali rendevasi un cordone; la piega all' inguine sinistro era più grossa, e nascondeva di più un'ernia che rientrava alla più piccola compressione; nel luogo in cui doveva es- servi lo scroto si rimarcava una pelle spessa, dura, screpolata e come zigrinala. Questi tre fatti sebbene identici nella qualità del difetto, presentavano però certe dilferenze dipendenti da alcune circostanze particolari, come il rossore, le escoriazioni del tumore nell' adulto , il volume e 1' in- serzione degli ureteri in basso a differenza dei bam- bini, che era alla linea del diametro trasversale. E se osserviamo , una dilferenza esisteva pure fra questo e r uomo dal Biasio descritto , poiché in (luello i due ureteri uniti insieme verso il pube si terminavano al- l' ombelico. Confrontando poi la viziosa confoi inazione 274 della figlia dal Lemery riportala con quella da me osservata e descritta si riconoscono altre differenze , poi- ché in questo mio caso gli ureteri si aprivano , uno per ciascun lato, sulla parte inferiore dei due gonGamenti in- terni, come' neir uomo dal Tenon esaminalo, mentre che nella fanciulla del Lemery il tumore formato dalla parete posteriore della vescica era pertugiato da una infinità di piccoli fori a guisa d'innatìatojo , da cui sor- tiva l'orina. Il Marjolin nelle sue note di anatomia, parlando dei difetti della vescica, fa osservare che nella mancanza della sua parete anteriore la interna superficie protubera ali" esterno per la disgiunzione parziale della linea alba l capezzoli cui presenta ordinariamente questa superficie rossa e molle corri- spondono agli orificj degli ureteri; è allora il bellico assai più inferiore , e forma parte dell' apertura riem- pita dai rimasugli della vescica. La sinfisi pubica è per consueto più o meno imperfettamente riunita. Da tutto ciò si comprende quanto la natura sia varia e bizzarra anche nelle imperfezioni e difetti che talvolta presenta. Ma que' varj fori, di cui fa cenno il Lemery, dipende- vano forse da che gli ureteri si fossero trovati divisi e suddivisi in tanti minutissimi canaletti quanti erano i fori medesimi esistenti nella superficie interna della vescica, e da cui l'orina esciva? Ei non ne parla. Ma una tale divisione degli ureteri in molti rami, pos- sibile fra le varie anomalie, sembrerebbe coincidere colla disposizione di questi organi all' origine loro ne- gli animali inferiori ai mammiferi. Ed io pure nulla potrei dire intorno a que' tre forellini , che osservai S73 sulla porzione angolosa della membrana posta al (la- vami del pube impeifeito, se essi terminavano o no in una cavità ( vagina ) , perchè mi trattenni dal farne Io sperimento. , In tulli questi casi niuno, non eccettuato il Tenon, fé' parola di un mezzo di soccorso che aito fosse a togliere od impedire quegl' inconvenienti , che derivano dal versamento involontario continuo dell' orina ^ cioè le escoriazioni alla parte viziala e vicinanze, la sordi- dezza dei vestimenti , ed il putidore ributtante. Egli è per ciò che io ho credulo di qualche utilità 1' es- porre qui il caso da me osservalo e dal eh.™" prof.* Cai- roli riparato mercè l'applicazione di uno stromenio, che aiienlameute diressi nella sua costruzione , il quale per essere in qualche parte diverso da quello che Alessandro Buchan impiegò su di un uomo cui mancava la vescica orinarla , slimo dover mio di porre anche questo a cognizione per farne rilevare la diflerenza, e consi- gliarne l'applicazione in caso eguale. Ecco ciò che è ri- ferito negli Annali di Medicina straniera l'anno 1816 accennando cert'uomo, cui mancava la vescica orinarla. L' orina sgocciava involontariamente da un tumore fungoso , formato , come viene espresso , dal rovescia- mento delia vescica. L'uretra mancava totalmente; la ghianda era spaccata in tutta la lunghezza e situata al di sotto del tumore. Il testicolo sinistro occupava il silo naturale, il destro giaceva nella regione inguinale; lo spazio compreso tra il pube e l' ombelico , aveva r aspetto d' una cicatrice. Lo stromenio che usava il malato per garuntìrsi dall' incomodo stillicidio dell'orina 276 era composio di un emisfero, la cui capaciià nascon- deva le parti pudende e andava strignendosi verso il perineo. In questo luogo per mezzo di una cannuccia comunicava con un recipiente piatto , che pendeva tra le coscie , ed aveva un' apertura dalla quale lasciava a piacimento sortire 1' orina. L' isiromento era assicurato con una fascia intorno al ventre -, era fabbricato di rame stagnato. Il Tenon nel terzo caso da esso registrato , oltre di avere con esattezza e precisione descritte le devia- zioni delle vie orinarle, delle parti della generazione e dei vasi alle medesime appartenenti , volle pure spin- gere le sue indagini anche sulla secrezione ed escre- zione delle orine, instituendo esperimenti degni della curiosità del fisiologo, e basati sopra dei seguenti quesiti ch'egli a se slesso si fece 5 cioè \. come 1' orina si cola dagli ureteri nella vescica-, 2. cosa può accelerare 0 ritardare il suo corso nei vasi-, ò. quanto tempo dopo aver bevuto tale 0 tal altro liquore il corso delle orine è acceleralo, e la loro quantità accresciuta-, 4. quale proporzione vi ha fra questa quantità di orina che passa negli ureteri in un dato tempo, e la quantità di liquore che si è bevuto nel medesimo tempo. Il caso non poteva per lui presentarsi né più favorevole, né più prezioso a simili sperimenti, appena stali per un azzardo incominciati da Francesco Colot , uno dei più accreditati litotomisti de'suoi tempi. Questi dopo d'avere, in un caso di grossa pietra, falla estrazione della medesima dalla vescica di una donna , e dall' uretra , rimase questo canale al pari del collo della vescica «rr così dilatato per circa una mezz' ora , che potè con lume artificiale illuminare l'interno del viscere da ri- marcare « che quella vescica era d' un colore d'olivo , umida, grassosa, e che nel suo fondo compariva una lacrima d'acqua, che ingrossava insensibilmente a mi- sura che trapelava un' umidità dalle due aperture della membrana interna, ovvero dei condotti dei due ure- teri. » Il tempo essendo stato troppo breve per una si delicata ed importante osservazione, che il solo az- zardo , diceva , offrì a quest' abile uomo , e che forse non avverrà più mai di vedere, col rislringimento delle parti si chiuse il curioso spettacolo fisiologico. Ma il Tenon andò più oltre. L' opportunità di osser- vare era più favorevole, poiché tutto era preparato 5 le estremità degli ureteri erano allo scoperto. Faccia- moci lecito di indicarne gli esperimenti degni d'essere riferiti e considerali. Osservò che dopo dieci a dodici ore che 1' uomo non aveva né bevuto , né mangiato , ed alquanto ri- posato , sortivano sette goccie incirca di orina nel tempo di due minuti dall'estremità dell'uretere sinistro, e sei goccie neir egual tempo dall'estremità dell'uretere de- stro. Quando l'uomo senza aver bevuto, né mangialo si agitava in marciando 0 facendo qualche esercizio di corpo , invece di sei a sette goccie di orina che dava ciascun uretere in due minuti , colavano dall' uno e dall'altro 5. 6. 7.8.9.10. U , ed anche \2 goccie per minuto. Circa trenta minuti dopo aver bevuto una mezza bottiglia di vino bianco che diedegli apposita- mente e come diuretico, le goccie aumentavano di vo- 278 lume, e ne sortivano qualche volia selle ad olio da ciascun uretere, sempre però più dal sinistro che dal destro; esse facevano una piccola prominenza al di là dell' apertura degli ureteri senza periamo formare un getto. In altre occasioni e nel forte della secrezione esse costituivano un filetto, che si lanciava a circa sei Iniee , ciò che accadeva sopra lutto quando quell'uomo tossiva, e qualche volta senza che tossisse. Osservò ancora sino a cinque di questi getti per minuto, e in un' ora e mezza di tempo aver reso dagli ureteri ] . un' orina bianca o sierosa pochissimo odorosa, 2. una orina più carica, ed in tutto una quantità di liquido che corrispondeva ai tre quarti di ciò che aveva bevuto da due ore. Molto mancava , in seguilo alla bevanda acquosa, che il corso e la quantità delle orine aumen- tassero cosi proniamenle come dopo aver bevuto del vino bianco, perchè passava qu;ilclie volta un' ora e mezza avanti di rimarcare un acceleramento sensibile nel corso delle orine, ed un distillamento di esseda- gli ureteri in più grande quantità. Ma quello stillamento dei due ureteri più pronto nel smisiro che nel destro, dipendeva forse da particolare anatomica disposizione, cioè dall'essere più breve 1' arteria renale sinistra, o più ampia , o duplicata in quel soggetto che non la destra? La disseccazione soltanto avrebbe potuto schiarire il fatto e spiegare il fenomeno. Terminati così il Tenon i suoi sperimenti, aggiunse ai fenomeni ad ai fatti alcune opinioni sulla celerilà con cui le acque minerali somministrano, dopo aver bevuto molto, le prime orine pochissimo colorate, e 279 colorate ordinariamenle le seconde; sul colore e l'o- dore di che differenti sostanze, come la lerebintina, gli asparagi, la cassia, la barbabietola, 1' infuso di ru- bia, caricano le prime orine, quando sulle seconde non producono gli stessi effetti. E queste opinioni del >Yillis, di Morin e di moli' altri fisici di que' tempi si riduce- vano ad assegnare alle orine una nuova strada indi- pendentemente dalla conosciuta, per la quale dai reni si rendono alla vescica; cioè canali che comunicassero immediatamente dallo stomaco e dagli intestini alla ve- scica, ovvero una porosità di questi visceri, per cui le prime orine fossero dallo stomaco alla vescica con- dolle. Il fatto però particolare del Tenon non poteva fargli ragionevolmente abbracciare siffatte opinioni per spiegare l'emissione pronta ed abbondante dell orina, stante che la piccola porzione di vescica, e per con- seguenza i canali di comunicazione e la porosità della medesima non potevano avere nel caso suo alcun ef- fetto sensibile; e perchè tulle le orine, la bianca e la colorata, sortivano dall'estremità dei due ureteri, i quali intieramente supplivano alle funzioni delle due nuove strade immaginate, siccome altrimenti non ho ve- duto né osservato nel caso mio particolare. Ed intorno a quest' argomento di fisiologica e pato- logica pertinenza io potrei soggiungere V opinione di Carlo Darwin, che trovasi in una sua tesi latina da Erasmo Darwin tradotta in inglese ed intieramente ri- portata nella sua opera di Zoonomia, in lingua italiana recala nel 1802, la quale ai fenomeni in questione attribuisce, mediante le anastomosi tra i linfatici ime- ago siinali e gli uilnarj, un moto retrogrado del sistema assorbente. Ma se quanto si comprende in questa eru- dita dissertazione, e nella eccellente memoria di Giu- seppe lacopi, che era professore di fisiologia nella R. Università di Pavia, pubblicala nel •1804 col titolo = Esame della Dottrina di Darwin sul moto retrogrado dei liquidi nei vasi linfatici = e ricca di sperimenti instituiti alla |)resenza di parecchie persone studiose ed istruite nella scienza, fra le quali il prof. '"e Cairoli, in allora pubblico ripetitore di Chirurgia, e Giuseppe Molfino distinto ed onoralo delle ollinie qualità di abi- lissimo e diligeniissimo dissettore in notomia , ora prò- ■ fossore degnissimo di Ostetricia e operazioni Chirurgiche in questa R.^ Università, volessi esporre, mi renderei al certo troppo prolisso, né potrei forse schivare di qual- cuno r avviso che, ciò volendo fare, sortirei dal propo- stomi obbietto. Mi permetterò adunque di inviare il lettore, quando non ne sia già basianiemente istrutto, a quelle opere , se brama appagare la lodevole sua cu- riosità 5 e mi basterà d'aver soddisfallo allo scopo mio colla esposizione del raro difello congenito, che mi si è presentato di osservare, e dell' istroniento atto a ripararne gli inconvenienti. I» N% Nft ■^ '^>-::<*' "■■■>v V -<5i V^ O ! Uv.' C >.4 •■ ■ ■ f / su as: dii se| ed in. liss fei^ in I cer cun stoi leu que rios coli è f ripa S8( SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA FIGURA I. L' istroinento veduto nella sua superficie posteriore a. parte piana coperta d' un' imbottitura sino ai b. b. b. b. b. contorni. e. parte concava d. fondo in cui si raccoglie l'orina con foro centrale. e. tubetto che trasmette 1' orina in una vescica. FIGURA II. L' istromento veduto nella sua superficie anteriore. a. parte piana su cui quattro bottoncini per l'attacco della cinghia. 6. b. b. b. fori a cui viene fìssala l' imboltitura. e. e. anelli per attaccarvi i due ritegni a mo' di sottoscia. d. tubetto. FIGURA III. Cinghia da circondare il tronco. *♦ % ^ +4=4=f-^'H'=f+4-++4^<'«^=H44»4-H-4-'f+=f=H=4«H~f« DELLA GUIDA ALLE BELLEZZE DI GENOVA D I GIUSEPPE BANCHERO LETTERA di Luciano Scarabelli al Colite Cappi Sogliono i civili neir avvicinarsi del rinnovamento dell'anno congratularsi ed augurare della salute, e in- sieme qualche gentil cosa offerirsi, quasi memoria del benevolo animo ed ossequioso di essi , onde le amo- revolezze crescono o più afforzano, o si moltiplicano secondo che sono graditi gli uffici della persona che si mostra cordiale ! Ne' presenti dì volendo pure visitar Lei lontano, e qualche segno lasciarle che mi sovvenga alcuna volta alla sua memoria per quel servitore affe- zionato che io le sono, e collega desideroso di bene all' illustre accademia, sono andato ira me volgendo che e quanto potrebbe essere degno della sua persona. Ne quali pensieri essendomi venuta la Guida alle Bel- lezze DI Genova, parvemi non le debba essere disag- S83 gradevole se io La presemi di un esemplare di quanta parie è stala sinora pubblicala di essa, e quindi gliene spedisca il restante man mano che esca. E innanzi ne discorra a Lei in pubblico; e perchè si sappia quanto io le sia devolo, e quanto degna sia quesi' opera di essere favorita da accademici che procurano Y accresci- mento degli studi della storia e delle ani. Se io non m'inganni, V. S. prenderà ad amarne l'autore-, peroc- ché giovane, senza pompa di leilere, è pieno di quel vero amore del suo paese pel quale ogni uomo sente la vita più farsi cara, quanto più conosce la patria meritevole di onore. Altri meglio che il Banchero avrebbe scritto con di- sinvoltura quesi' opera, aliri con più eleganza, altri con maggior concisione; forse nessuno con alireiiantu abbondanza di utili notizie, e con fino giudizio per la scelta di esse, e specialmente dei documenti ch'egli è andato cavando dagli archivii, importantissimi alla sto- ria, frugati da pochi, ricchissimi di atti costitutivi la forma di governo , la natura condizionata de' cittadini in quelle diverse età, che pel commercio magnifico e vasto, li. fece signori potenti e riveriti in Europa ed in Asia. Dai quali luoghi per altro il Banchero non eslrasse che quanto veniva opportuno al suo lavoro, volendo bene dare ai suoi concittadini e agli stranieri un'idea generale della storia di Genova, ma non un Codice diplomatico, o statistico per aiuto alla storia municipale: fatica diversa, e (ter uomini di lettere dotti e provetti. Egli tanto prese e tanto dà , che giovi a conoscere le forze de' privati cittadini e del pubblico 284 i quali elessero i Blonumemi che si visitano tiitlodì da coloro che vanno ad ammirare quella veramente superba regina del Mediterraneo-, e quanto basti a' cu- riosi delle arti , agli amatori della statistica , agli studiosi della economia pubblica e de' costumi del popol suo-, onde ne emergano i diversi gradi di civiltà de' tempi diversi, e la diversa potenza nelle lettere, nelle arti, nelle scienze, di tutte in somma le facoltà del popolo genovese. Certo parrà a V. S. , e a tutti , che essendo di po- chi bene conoscere delle arti, chi scriva tal fatta di libri debba consigliarsi principalmente cogli artisti : e il giovane prudente cotesto ha osservato con iscrupolo ; onde i giudizi sovra i monumenti delle ani non gli siano rimproverati per indegni o riprovevoli, e i let- tori abbiano dalla sua esposizione fede sicura, che non trovasi in tanti altri libri di simil fatta. E perchè al visitatore de' Monumenti subito corre il desiderio di sapere la storia di quel che vede, e i fatti di coloro che li ebbero innalzati, il Banchero, alla parte artistica fa precedere la storica, e di questa ciò solo che di grande operasse il benemerito cittadino in onore ed in prò della patria; la quale, come V. S. sa, chi vede piena di moli giganti ed ornatissime, non può a meno di maravigliare una grandezza che in pochi altri popoli si conosce-, irrecusabile testimo- nio di animi vasti ed altamente educati. Onde /essendo le memorie dei padri nostri e delle gesta loro, bene spesso scuotritici degli animi . infingardi, il Banchero con pietoso disegno le richiama a' suoi cittadini, che X 283 se mai le avessero obliale, se ne rinfreschino. E ve- ramente le lame pitlure che sulle faccie de' palagi e neir inierno delle loro stanze moslransi ai curiosi del bello hanno disleso si nobile e sì gran parte delle glo- rie privale e pubbliche di quel popolo ilaliano , che io non so intendere come ogni osservatore non incalori di nobile entusiasmo per esso ogni volta che si trovi in quella magnifica Città. Il che se avviene per lo stu- dio poco oggi usalo della storia in Italia, quantunque si corra in cerca di notizie straniere, il Baacheuo ot- timamente sovviene col suo lavoro al difetto de" visi- tanti : e le passate imprese memorando e gli uomini illustri nominando e additando, manda lieti e contenti i suoi lettori, che non le cose impararono, ma i procuratori e gli autori , e le cagioni che spinsero gli uni e gli altri a quel!' opere. 11 Banchero imaginò adunque non solo di condurre il visitatore a vedere i palazzi del pubblico e de' pri- vali, le chiese, le fabbriche d'ogni sorta civili, religiose, militari, i quadri, le statue; ma eziandio ad intendere le origini del popolo che le eresse e procurò; le ca- gioni di sua grandezza maleriale , e le varie fortune , che spiegano la varia altezza della ci*'iltà. Fece così che ciascun conoscesse che i genovesi creduli in più luoghi fatigaiori per ottenere denaro, per sé soli non fossero mossi, ma per amor della Patria, alla quale tanti monumenti innalzarono; e non a pompa di gran- dezza esclusivamente, ma al bene di tulli; e più di quelli che per le fatiche tollerale in Patria laboriosa venivano degni che Ella provvedesse al bisogno deioro 286 giorni infelici, o all'onoranza giustamente ambila, che il nome di chi seppe sacrificare i beni e la vita al bene comune giammai non perisse. Ad esporre tutta questa idea il Baxchero fuggendo da ogni ricercatezza, conobbe che tanto riuscirebbe spedito, quanto rimanesse al semplice de' fatti e dei documenti; e dividendo in parti il suo libro, comprese che soddisfarebbe al desiderio di quanti fossero per gradire la sua impresa. Lo divise pertanto in tre : Monumenti pubblici, e sotto questo titolo pose tulli gli stabilimenti di pietà e di soccorso, le fabbriche del Comune; Monumenti privati, e qui le egregie fab- briche de' Palrizii, le ville magnifiche; Monumenti religiosi, le chiese, i templi. Curò che nitida ed eco- nomica fosse la stampa ( che bellamente gli serve il Pellas con onore dell'arte sua ) ; e non mancassero dise- gni incisi di statue, di ornati sculti, di pitture, di piani di fabbriche, né la topografia della città; e poi- ché Genova non è cosi sola nel suo luogo, che per lungo tratto non le faccian corteggio ville sontuose e palazzi e borgate popolose, dove l'arte e la magni- ficenza continuino quanto nella Capitale, anche alle Riviere condurrà lo studioso: il quale fra 1' altre cose imparerà quanto bello e buon numero d' artisti desse quel lìtiorale, sconosciuli o non cercali all'Italia, men- tre rumoreggiava degli scolari di Giotto e Cimabue. Y. S. non iniaginerebbe mai quanta eccellenza d' arte sia stala colà in tutti i tempi della civiltà italiana. Chi scrisse delle arti nostre meiita biasimo, che più non isiudiasse le genovesi. Imperocché senza guardare a 287 ciò che le donarono i lombardi ne' lempi vecchi, la Liguria aveva già lanto da essere a loro materia di sludii^ e se Genova non ebbe un Rafaeiio fu perchè la malvagia invidia trasse un non ignobile artista a spegnerlo miseramente nel fiore delle speranze. Ve- drebbe capilavori degni di gloria, e una turba d'opere insigni , che senza pretendere ad emulare le più illustri delle altre scuole italiane, possono coniente starsi del- l' onore che loro tocca dagl' intelligenti. Io ne scriverò un giorno distesamente , per supplire alla immeritala noncuranza , o alla considerazione insiifhcienle in che furono tenute le opere genovesi 5 dicendone ancora le cagioni, e chiarendo i molivi che poco siano conosciuti nelle diverse scuole i buoni pittori genovesi , mentre sono conosciutissimi persino i mediocri di tutte l'altre. Il che qua e là per incidenza , senza proposito di far la storia dell' arte, va sebben di leggieri toccando il Bancuero, perchè non rimanga possibilmente nulla a desiderarsi dui suo lettore. Delle tre parti il Bancuero subito die fuori i princi|)ii quasi saggio delle sue intenzioni , proseguendo alternalo or r una or l' altra , cosi che andranno ad essere con- lemporaneamenie finite. A questo modo innamora e sollecita chi possiede notizie arcane , di comunicar- gliele; a questo modo ciascuno pensa alla convenienza di quanto ha per aiutare di erigere questo nuovo e bel monumento storico-artistico alla Città. E sebbene l'invidia solita di tribolare chiunqne si pone a fare un'opera buona, oggi stesso non manchi al B.\nciiero, ( e questo gli dev' essere segno e conforto che il suo 288 lavoro è utile e promellitore di lode ed onore-, com- penso unico, desiderabile), pure col pregar lui gli aiuti di tutti gli amatori della patria comune, e dan- done loro, come già egli confessa ed accenna, la Guida alle bellezze di Genova portando ciò che è se- condo i moderni studi , e i bisogni de'presenti uomini, vuoi in patria , vuoi fuori , diventerà un libro ottimo e ricercato dagl' italiani e dagli stranieri. Che se poi il buon giovane si pone a curare lo stile e la lingua , come parrai che tratto tratto dia segno di volere ( e r esercizio istesso del suo lavoro lo aiuterà ), non mi rimango dal fargli un pronostico tanto lusinghiero che superi di molto le sue modeste speranze. Ninno che studi o abbia curiosità d' arti e di storia si rimarrà dal legger quel libro che io credo andrà in ogni casa di Genova, in ogni accademia , in ogni istituto, e fra le mani di chiunque desideri conoscere le grandezze e le bellezze di quella Superba Città. Ma io debbo almeno speciali parole di quanto è in mia mano di quel lavoro, che provino col fatto non aver io detto male od in vano. De' Monumenti religiosi è il principio della storia della Metropolitana di S. Lorenzo tempio assai antico e nobile per la struttura e per le memorie. Del che il Banchero discorre con precisione, e specialmente dove parlando delle Crociate avvisa le opere de' ge- novesi celebrate nel medio evo, e la loro misura nel- r apprendimento del bene, e la loro pietà, comune a tutti gf italiani del tempo, grande in loro e continua quanto grandi furono e continui i pericoli a cui stetier 289 soggetti. Ed ivi corregge la storia delle Ceneri di S. Giambatista ne' diversi errori de'cronisli, con argomenti scritti e nuovamente palesali 5 e seguitando le conquiste dei genovesi mosti-a come divenissero eglino padroni di non pochi luoghi marittimi e come le loro conqui- ste consacrassero colle opere di religione: al che finito succederà la indicazione delle pitture e delle scoliure che sono nel tempio, come è proposito di fare per lutte le chiese. — De Monumenti privati descrive le parti del Palazzo Beale già Dnrazzo , e del Pa- lazzo adorno, cominciando colla storia di questo la storia civile della repubblica, l'origine di nobiltà delle famiglie, la loro potenza, le loro azioni. E in essi avvisa le opere d'arie secondo la disposizione presente, e non lascia desiderare alquanti cenni biografici, dove siano all' uopo, degli artisti d' ogni classe, e special- mente concittadini. I Monumenti pubblici per ora son quelli di cui sono pubblicati più fogli. Il Capo primo, non ancora compiuto, è la storia della pubblica riETA'DE" Genovesi , e perciò ebbelo intitolato Opere pie. Comincia &à\\ Al- bergo dei Poveri , del quale oltre ai cenni della fondazione, delle doli, delle fabbriche, delle opere, de'benefizii, riporta ogni e qualunque iscrizione me- morativa delle somme legale ad incremento de' mezzi per beneficare a maggior numero d'indigenti. Le quali V. S. intenderà che servigio rechino alla statistica dei tempi , intorno alle forze de' quali nessuno autore , quasi direi , sinora si die cura d' informarci. Consiglio gentile ! che similmente lo guidò a darci egual conto no dell' Ospedale della 3Iisericordia detto di Panima- torte , e di quello degl' Incurabili, notando ancora quali statue stanti o sedute, e quali busti siano stali eretti ai benefattori più cospicui , secondo il prudente avviso de' conservatori-, i quali vollero , per compiacere al lodevole desiderio de' cittadini riconoscenti, retri- buire alla memoria di chi fu benemerito alla patria, ne' suoi poveri, un onore che potesse fuor d' ogni biasimo , anzi con lode essere da' futuri invidialo. Queìre primi capitoli, che per tale diligenza e per altre, soc- corrono gli studi statistici , sono anche belli per l'eru- dizione e per la critica sparsavi ; e per quelle iscri- zioni, certo non tutte di un tempo, bassi un bel docu- mento di quella parte della letteratura che riguarda r epigrafia. E qui resta un desiderio di conoscerne gli autori non facilmente contentabile; conciossiachè nei registri degli stabilimenti manca memoria-, come pur manca di quasi lutti gli artisti che i diversi busti e le statue ivi scolpirono, belle non poche e degne di lode. A que'tre primi seguono le storie descrittive ùe\Mani- comio, del Convitto per gli Ecclesiastici, AeW ^nùco Ospedale di S. Lazzaro , dell' Ospedale Militare , Ae\X Ospedale della Marina e del reale Istituto dei Sordo-muti. In esse mi par di vedere molta bontà di fatti specialmente dove parla dell' Ospedale di S. Laz- zaro che ha egregiamente e bene avvertitamente docu- mentato, e assai illustrato per la parte artistica. Ma importantissimo è il Capitolo de' Sordo-muti , grazie anche al soccorso prestatogli dal consiglio del Cav. Abate Boselli erede dello spirito e delle incumbenze S9f f dell' AssAROTTi fondatore di quello stabilimetiio : però che dislesa la biografia del buono Scolopio ( die è anche la storia della beneficenza a' Sordo-muli in Ge- nova ) discorre della essenza e della forma dell'istru- zione minulamenle e chiaramente secondo quello che il prefalo Boselli diede alle stampe. Istruzione di un effetto portentoso e che se si applicasse alle nostre scuole crescerebbe alla patria una gran parte de' suoi iigliuoli possibili a servirla e ad onorarla in ogni mo- do I Io vidi que' fortunati ( sebbene infelici da natura ) il di 7 d' agosto di quest' anno dare di sé alla Princi- pessa Maria di Weriemberg ed alla Conlessa di Mon- tenovo sua Cognata lai saggio di capacità e di utili cognizioni acquisite da maravigliarne chicchessia sì per l'abbondanza e la finezza loro, e sì per la efficacia di esse ad educare gli animi di chi le apprende. Quanto sviluppo dell' inlelletto di que'giovani, quanta prontezza nelle risposte, quanta dolcezza dell' animo, quanta contentezza di sé. Oh Assakotti cotesto Boselli non fallì certo alle lue speranze; e i genovesi benedicendo alla tua memoria , anche alla sua dovranno un dì bene- dire ! — E della confidenza del fondatore nel Boselli V. S. vedrà durevole documento nella Guida, percioc- ché il Banchero, oltre ai parecchi documenti inediti, vi comprese il testamento dello Scolopio, soave quanto r animo che lo dettava. V. S. comprende nella sua mente che 1' opera di questo Banciieuo dev' essere nel suo genere delle mi- gliori che sianosi scritte sin qui, e una di quello che abbiano apportato maggiore utilità agli studiosi delle 292 memorie municipali italiane -, ma s' ella non è fatta conoscere fuori non potrà avere convenienti aiuti l'au- tore per condurla ad effetto secondo tutto il pensiero. Perchè le ricerche negli archivii, e il disegnare i capi d' opera e l' inciderli e il far trascrivere delle crona- che e il carteggiare cogl' intelligenti , e 1' esemplare degli scritti, e le spedizioni, oltre il capitale dello stampare assorbono spese molte superiori al privato di un semplice cittadino. Per questo sebbene confidi che l'amore de' genovesi, in onore della cui patria si compone quest' opera, non sia per mancare agii aiuti al buon giovane debiti, ciò non di meno auguro che anche altri italiani lo favoriscano , e V. S. con ogni suo mezzo, persuaso che quanto sia da aspettarsi dopo ciò che le ho detto, venga in maggiore abbondanza e bontà che forse non pensa. Gradisca, Signor Conte Chiarissimo, questa mia notizia che le viene come un bigliettino di visita per l'anno nuovo che le desidero lieto , e mi voglia tener sempre tra' suoi più devoli. Piacenza, 19 Dicembre 1843. Servitore Air.""' LUCIANO SCARABELH 'M^^ -«8js«»- -mm- -^m- -«@f«6=- -mi^ -«®«*- -«^g»- ««s®*- DEGLl mSTlTUTI L carità' ed istruzioni E PELLE PRIGIONI IN ROMA LIBRI TRE DI D. CARLO LUIGI MORICHINl puelato romano Roma, Tip. Majtini e C.o 1842. Annunziamo con piacere quest'altro libro giunto qui di fresco, perchè non è un romanzo , e lo annunziamo per riportarne un luogo relativo alle Scuole Infantili delle quali quantunque ei non si mostri nemico , è tuttavia lodato assai negli annali delle scienze religiose che si stampano in Roma fascicoli di luglio e agosto p. p. face. 68 , ecco il luogo : « Il discorso delle maestre regionarie, le quali in Roma educano la fanciullezza e sono tanto antiche che io non saprei assegnarne l'origine, mi conduce necessariamente adir qualche cosa di quelle instiluzioni, che si chia- marono in Inghilterra Scuole Infantili e nella Francia Sale d' jdsilo. Esse ebbero origine in Scozia or son 294 venticinque anni da Roberto Ovven direttole di una grande manifattura di cotone a NeSv-Lanarck. Veggendo che i figli de' suoi lavoranti , mentre questi erano at- torno ai filatori andavan vagando e contraevano il mal abito dell'ozio, divisò raccorli tutti in un luogo, farli sorvegliare da buona persona ed intrattenerli con qual- che sollazzo e qualche istruzione acconcia alla loro età. L' uomo eh' egli scelse a tale officio fu certo Buchanan di mezzana istruzione ma di molta dolcezza e di ma- niere siffatte , che riusci ad affezionarsi que' bambini e renderseli docili a tutto quello eh' egli volesse. Que- sti concepì allora quelli ordinamenti e quelle pratiche che formavano la base della nuova istituzione. Ma per- chè r Owen diede mano ad altre opere filantropiche sventuratamente lontane da ogni idea di cristianesimo , le Scuole Infantili furono ragionevolmente prese in so- spetto (1). Però il Buchanan che può dirsene l'imme- diato fondatore, quantunque protestante, non sentiva come l'Owen in materia di religione, ma procurava d' istillare a' suoi bambini rispetto a Dio ed insegnava loro la Bibbia. La scuola in New-Lanarck divenne ce- lebre ; Lord Braugham ne volle fare sperimento in Londra , dove chiamò il Buchanan per fondarne una al tutto simile. Ancor qui la cosa sorti buon effetto : in pochi giorni si ebbero dugento bambini, ed i ge- nitori pagavano per essi una piccolissima moneta ( un penny) molto inferiore a quella che erano soliti dare a certe vecchie che loro li custodivano durante il (0 Annali di statistica 1839. S95 giorno. Si vide che codesti fanciulli , che erano prima caparbi! ed indocili , nella scuola diventavano maneg- gevoli ed obbedienti , e si formavano all' ordine , alla l'pgolarilà e ad una nettezza insolila alla lor condi- zione. Allora si aperse un' altra Scuola e poi anche un'altra: i soccorsi dei ricchi vennero in aiuto della nuova instituzione , la quale trapassò rapidamente nel- r Irlanda, neli' Alemagna , nella Francia e ancor nel- l'Italia. Non è a far maraviglia, se sulle prime si du- bitava della sua bontà , perciocché in mezzo a tante pericolose novità de' tempi in che viviamo doveva ra- gionevolmente diffidarsi di una instituzione che rico- nosceva per promotore tal uomo , che stoltamente pensava poter sussistere una società senza religione, di una instituzione che si era dilatala da principio solo in paesi protestanti, d'una instituzione infine che an- che in alcune città cattoliche faceva mostra di tutto occuparsi fuorché di religione. Però gli uomini savii e caritatevoli seppero sceverare l' oro dal fango , e pro- fittando di quel che v' era di buono migliorarono 1" edu- cazione dell'infanzia, ed informarono l'opera dei sani principii religiosi che , come in più luoghi di questo nostro scritto dimostrammo , sono indispensabile ele- mento ad ogni instituto educativo , dal quale se ne vogliano attendere utili e durevoli frutti. I Vescovi , i Parrochi, gli uomini e le donne dabbene ed anche al- cune congregazioni religiose migliorarono d" assai co' nuovi metodi l'educazione dell'infanzia: e noi, che vi- sitammo di persona parecchie delle loro scuole de" po- veri fanciulli e rinterienemmo a tutti gii esercizii della 296 giornaia , ci dovemmo persuadere della somma mora- lità che contiene questa opera quando sia confortata dalla religione ispiratrice della carità e diretta con sa- vii principi! ». L EDITORE CAKTI dell Avv." GIUSEPPE MORRÒ A BENEFIZIO DELLE SCUOLE INFANTILI E R. I. De' SORDO-MUTI Genova , Tipografia de' Sordo-muli 184i. Il chiaro Autore delle castissime Poesie che annun- ziamo è uno di quegli uomini per nostra disgrazia assai rari che pensano bene ed operano come pensano 5 aperti, spontanei seguono gf impulsi del cuore senza pensare , anzi senza sospettare nemmeno eh' altri gracchi. Felice natura che ti concede di vedere di quando a quando ancor qualche opera non passala alla trafila de' tanti ma e se che consiglia questa che si dice la società, quella specialmente del bon tóii, per cui ogni animoso e generoso pensiero s' affievolisce e s' ammorza. Sì che, colla vigliaccheria di moda che veste pomposamente il nome di senno, ogni moto spontaneo dell' animo è interdetto e 'noi viviamo in un mondo di convenzione. L'avvocato Morrò scrive dei bei versi naturali, ani- mali come li fa chi ha cuore onesto e raenie educata al bello ed al retto. Siagli lode pertanto, che disprez- zando degnamente la turba dei melensi pedanti e de- 298 iratlori d'ogni onesto per poco die non seguili le loro astruserie o non lambicchi i concettini, mostra in uno come non sia pianta straniera la vera italiana poe- sia fra di noi, e come questa si accompagni colla carità del prossimo senza della quale ogni scienza è poco e le lettere sono vane ciancie. Udiamo come sente della Patria nella canzone a Genova là dove parla di Colombo. « Ma gloria n'ebbe e vanto, ■ ^ Cui né forza tiranna , Né tor può il morso dell'età nemica; Deh! se talvolta il pianto, Genova mia, t'affanna Membrando i di della tua possa antica, Ti riconforti amica L' ombra di Lui ctie tutta Italia onora. De' gravi danni tuoi Pietoso ei ti ristora, E l'alma luce de' tuoi prischi croi A te non solo ei serba, Ma più bella ti rende e più superba. Mie rime, itene pronte Per le italiche ville; Ite col nome di Colombo in fronte D' emula gloria a suscitar faville. » Ed in quella per le nozze del Sig. Duca Deferrari colla Sig. 3 March. 3 Brignole Sale. « Pur che varria la florida Beltà, se ai figli tul Fiamma d'onor non riscaldasse il petto? Certo in ludibrio altrui Verresti, o suol diletto. Però che 1' uoni se 1' animo Torce ad ingiuste brame. Rende la terra che l'accoglie infame. » IL DIRETTORE «iC83C«8!5C8C83C«85C8C8^ OPINIONE che avevano gli Egizj del Dio Ammode (il Dio vero) e modo con cui la esprimevano in caratteri sacri ossia geroglifici La Piramide Egizia è una figura, che, prendendo per raggio la mela della sua base può formare un circolo , ed un globo uguali al quadralo , e ad un cubo , che abbiano per lali l' altezza della piramide , e ad un tetraedro formato con una delle linee angolari della stessa piramide. Ogni globo contiene un centro , il quale non si può segnare senza spaccarlo nel mezzo , e vi si può descri- vere sulla sua superficie una infinità di circoli massimi , i quali comprendono tutta l' area del globo. Questa 6- gura presso i Sacerdoti egizj era il geroglifico , col quale esprimevano il mistero della incomprensibilità dell' es- senza di Dio , puro spirito -, poiché il globo contiene entro di sé un centro che non può né segnarsi , né 300 fissarsi , ma che si comprenfle e si sa di cerio che vi esiste; geroglifico che è anche simbolo dell' esistenza di Dio. L' infinità poi dei circoli massimi , che si possono descrivere sulla superficie del globo , la quale abbrac- cia tutta l'area, che vi si contiene è il simbolo della presenza di Dio in ogni luogo ; e la periferia de' circoli, che non ha né principio né fine , è il simbolo della infi- nità ed immensità divina, che tutto comprende e do- mina quanto è nel mondo. Il cubo composto di sei piani quadrati uguali , e di dodici lati parimente uguali fra di loro è il simbolo dell' ordine e della giustizia , che mantiene 1' ordine per lutto r universo , e rende a lutti egualmente giu- stizia. Il tetraedro composto di quattro triangoli equilateri , e di sei Iati uguali é il simbolo della siabililà ed im- mensità di Dio , poiché qualunque sia il piano su cui posa è il corpo il più difficile ad essere smosso, e ri- voltato. Inoltre gli Egizj nella loro scrittura sacra e sim- bolica sostituivano assai sovente il circolo al globo , e ciò per maggiore facilità di scriverlo : però questo cir- colo non deve avere il punto nel mezzo, poiché, quando vi si trova espresso , questo geroglifico non significa più Dio , ma prende il significato di Sole , di Luce 5 per questa ragione gì' Egizj dicevano , che Dio è la Luce del mondo , la Luce che illumina il mondo , la Luce che illumina lutti gli uomini, e che la Luce era'nelle te- nebre. 301 Ciò premesso si supponga un uomo avente gli oc- chi strelli, il quale si trovi in una camera ciiiusa per- feiiamente da ogni parte 5 egli sarà nelle tenebre , e non vedrà nulla di ciò che lo circonda. Però se egli accende un lume , la luce che è nelle tenebre , essendo cosi messa in moto , tosto illuminerà gii oggetti esistenti nella camera. Gli Egizj chiamavano la Forza che eccita la fiamma , e spinge la luce ad illuminare la camera Iside ( fondamento ). Con ciò T uomo che ha gii oc- chi stretti non vede gii oggetti , e per vederli conviene che gii apra, e conviene altresì, che gli oggetti illu- minali dalla forza Iside rimandino questa stessa luce agii occhi dell' uomo. Gli Egizj chiamavano la Forza che rimanda la luce degli oggetti già illuminati , Osiri ( felicità ) , poiché con ciò 1' uomo già conosce la luce , che prima era nelle tenebre. Ma , alllne di conoscere e di distinguere gli oggetti che sono nella camera , con- viene che conosca , e che distingua la luce ripercossa da ogni oggetto illuminato , poiché non distinguendola non li conosce ancora , benché già conosca 1' esistenza della luce. Indi questa forza per la di cui potenza , 1' uo- mo giunge a conoscere e distinguere gli oggetti gli uni dagli altri gii Egizj la chiamavano Oro (luce). Luce vera del mondo, Luce che illumina la mente degli uomini. Questi erano i segui simbolici ( geroglifici ) di cui si servivano gli Egizj per formarsi una adequala e suf- ficiente idea a far conoscere Ammone (il Dio vero), unico noli' essenza e trino nelle forze , peichc la luce spinta e rifìcrcossa è la stessa ed è una sola , e che le Forze che la fanno agire e conoscere sono tre: Iside ^ Osiri 302 ed Oro. Di più (erodevano gli Kgizj , die Tuomo non può avere una adequala nozione di Dio , se prima non se ne forma una immagine, una similitudine propria a rappreseniarlo quale Egli è in realtà nell' essenza. FaANCESCO RIC-UIDI FU CARLO Aggiunte da farsi all' articolo Nozione del punto matematico ere. Linea 9 si legga la periferia. Nel sesto pcriorto suppongo ecc. linea 3 si legga 32'ooooO: 31'3(i00. Nella ultima linea dell'articolo si legga : e le commensurabili. tm®mM&^®M&&MMMMM^M'èMs.®'s,j3Mo.m'&MU&.m®isM}i i\E(:noLO(iiA ALLA MEMOrnA DI FELICE ISNARDF La perdila di quelli eletti ingegni che della patria hanno bene meritato, per aver volto ad onore di lei le virtù della niente, siamo obbligati a ricordare. — Umile adunque ma caro ed onoralo lamento tributiamo all'estinto Isnardi, membro corrispondente della R. Deputazione sopra gli siudj di storia patria residente in Torino, dell' Accademia Archeologica Pontificia Ro- mana, della Pontaniana di Napoli, della Yaldernese di Toscana, ec. ec. ec. passalo di questa vita suU' alba del 30 dicembre p. p. con sommo rammarico di chi seppe apprezzarne le virtù dell'animo. Nella culla e fiorente Loano (I ) ebbe egli i natali nel '1801 da onestissima e non oscura famiglia. — Premurosi i genitori della educazione di lui lo avvia- rono a siudio nel collegio di Albenga ove ben presto (1) Riviera occidentale eli Genova. 304 diede segni luminosi dello svejjlialo ingegno col distiti- guersi sempre in mezzo ad una eleila schiera di stu- diosi nei pubblici esami. Fu questa 1' arra de' suoi fu- turi progressi in leiieratura, ed in ispecie negli studj archeologici cui egli quasi esclusivamente dedicossi. Ap- plicalo già da varii anni agli impieghi di questa In- tendenza Generale (\) e sostenuto il suo ufficio con lode gli furono offerii parecchie volte degli avanza- meirti, cui egli non volle consentire, avendo divisalo di fermare sua stanza in Genova, altra sua patria, se- conda per elezione non d'amore. E qui tolta a moglie un' assai gentile persona composta ad ogni bella virtù , divenne con grande sua consolazione padre di due amabili pargoletti eh' ei davasi studiosamente ad edu- care come conviensi a virtuoso padre di famiglia, e ad onesto cittadino. Egli consolatore dei poveri di tutto il suo sapere e servigi, dettò con nobile disinteresse e schiettezza varie memorie storiche, tra le quali non sono da lasciar senza lode quelle in cui coji virile costanza e petto magtianimo difendeva sempre il fatto per lui chiarito sulla nascita di Cristoforo Colombo in Cogoleto. Con tutta la generosa solleci- tudine di un filantropo illuminato egli non ha guari fé' anche di pubblica ragione un suo ragionamento Sull'a- bolizione dell' accattoneria i\ Genova scrino vera- mente degno di encomio. Nemico aperto dell' adulazione (1) Impiego che copriva più per amore di occupazione che per altre viste, vivendo egli del poco, ma legittimo suo pro- fellizio , come con ben di ragione osservò ad un suo illustre avversario in nn supplemento alla Gazzetta di Genova del 24 dicembre isil. 305 e dell'ambizione né adulatore nò ambizioso l'u mai, ma solo di oneste ed utili opere zelante (l). La con- versazione di lui era animala ed amena, ma decorosa sempre ed in nulla tralignante dalla severità de' suoi costumi. Nulla curante la fortuna, che è sovente figlia del caso, le lettere furono l'unico suo pensiero, ed il suo nome, per esse, risuona onorato. Era r Isnardi giunto in questo bel mezzo del cani- min di sua vita cittadina allorché fu h sera de' 24 ora scorso dicembre apertamente assalito da un Pneumo- Epadio e con tal vigoria, che fé' chiaro lui ed i suoi dei giorni assegnali da Dio alla sua vita terrena. Pure egli imperturbalo sostenne, ma non potè abbattere il male. Certo oramai della vicina sua dissoluzione , Isnardi domandò egli slesso i conforti di santa nostra Reli- gione, e poscia composto a secura calma benedisse alla rassegnata ma troppo aflliiia famiglia. Di essere degno della generosa ligure patria sempre egli addimostrò nella cortissima vita, con la virtù dell'ingegno, coti l'iniemerilà de' costumi, con la fiera dignità del ca- rattere , con r amor verso i poveri e gli infelici , e col caldo affetto cittadino onde consecrava la sua parte di travaglio alla sua bella patria cui nobilmente sospirava sempre più benigni destini. Felice Isnardi ha fallo pa- lese morendo che solo a" buoni é concesso l'esser / (Ij Peccato che nel calor delle dispute non abbia sapulo mo- derar sempre la naturale vivacità dell'animo, e che non abbia creduto ben fatto riconoscere in coloro che amminislrano le opere di carità in Genova , una buona volontà , non comune , e queir illuminalo amore del prossimo che pure li disUiiguc. 306 grandi e tranquilli nell' ultima sventura , e che la tomba che ingoiando sterminalo numero di malvagi e potenti gli consacra all' infamia od all' obblio, non è bastevole a chiuder nel suo seno il nome de virtuosi ! Altro conforto or non rimane che una lacrima allo sconsolato ed aflliitissimo amico suo B. Genova li \ 5 gennaio 1 844 Q&iÌ-&»St^9t&iè&&Uf$i!^^iSi, come si vedrà appresso. 348 asserisce che face vasi dal Capitolo de' Canonici; ma questa asserzione e erronea essendo stala la Cattedrale di Brugnato per piìi secoli ( cosa vera" niente strana) priva del Capitolo, e solamente se ne incominciò la instituzione ai tempi del Kescovo Brugnatese Filippo Sauli. Ora si vuol dimostrare fuor ci' ogni dubbio vero quanto il Semeria aveva scritto nella prima sua opera a pag. 200, ed erroneo invece e tutto falso quello che scrisse , o per meglio dire , gli fecero scrivere a pag. ] 6\ nella seconda ; ossia , che poi torna lo slesso , fissare per cosa in- contrastabile che nella Cattedrale di Brugnato furono Canonici da principio, e poi successivamente, e che il Capitolo di quella chiesa avea il costume di eleggere il proprio Vescovo. Che fossero Canonici da principio nella Cattedrale di Brugnato, il Semeria poteva di leggieri convincer- sene solamente che avesse riscontralo la bolla di Leone X. riguardante appunto i canonicali ìnstituiti dal Ve- scovo Sauli nel 1 512. In essa bolla avrebbe letto così: Considerans ( il Vescovo Sauli ) qiiod licet olim in ec- clesia Briignatensi . . . sex canonicatus prò toti- dem Canonicis instituti fuissent , tamen tane (cioè nel •15'I2, nell'anno stesso che Sauli fu eletto Vescovo di Brugnato ) tres Canonici dumtaxat et non pre- bendati in ipsa ecclesia existehant , quorum unus dumtaxat prò Sicario ipsius Philippi electi in spi- ritualibus generali inibi residebat , et ahi duo cum nullam haberent prebendam inibi residere commode non poterant. Di qui si rileva che in origine sei fu- 349 rono i Canonici che componevano il Capilolo di Brii- gnato, ma che al tempo del Vescovo Salili erano ri- dotti a soli tre; come poi si fossero perdute le prebende, tante ne possono essere state le cagioni che non è questo il luogo di ricercarle , né ciò servirebbe al proposito nostro. Seguitiamo invece le parole della ci- tata bolla: Folens , il nominato Vescovo, decori ac venustati ipsius ecclesie et populi devodoiii con- sulere . . . alios tres caiionicatus in eadem eccle- sia, ultra tres priores canonicatus predicLos prò tribus aliis Canonicis ordinaria auctoritale erexerat et instituerat. È chiaio adunque che a' tre Canonici che sussistevano ancora alla venuta in Bru- gnato del Vescovo Sauli, egli ne aggiunse altri tre per completare, dirò cosi, il Capitolo di quella Cattedrale, e perchè ancora il culto divino in essa fosse trattato con maggior decoro. Questa bolla esiste autentica nel- r archivio episcopale di Brugnato, ed è anche riportata dall' Ughelli nella sua Italia Sacra. Ma il Semeria non la riscontrò, e chi gli comunicò delle notizie su questo particolare non attinse a quei fonti ai quali bi- sognava attingere (1). Provato che in origine nella Cattedrale di Brugnato esistevano sei Canonici ed altrettante prebende , pas- siamo con documenti, non con parole, a far vedere di secolo in secolo che in Brugnato sempre furono Canonici e Capitolo Cattedrale. (1) HIP. Pagnnclli non andò errato, dircndo clie il Vescovo Sauli, de' proprj beni della sua mensa, con rendite opportune, alla medesima sua chiesa aggiunse tre Canonicali. ( Stor. Eccl. della Lig. lem. II.) 350 Nelle convenzioni falle dal Comune di Genova col Vescovo di Brugnaio l'anno 1179 è che ogni quattro anni dovranno essere ratificate dal medesimo Vescovo cum suìs Confrat.rihus et cum vassallis. Qui per con- fratelli del Vescovo sono espressi i Canonici. ( Dal lib. Jurium Bibl. dell'Università di Genova pag. 179). ■1241. ■! 5 marzo in atti di Magistri Salamonis nell'Archivio de' Notai in Genova pag. 3-19. Domi- nus Gullielmus Bruniaten. electus in presencia et consensu Presbyteri Guidonis yildihraudi Canonici Bruniaten. etc. 1280. Sorleonus de Flisco Canonicus Brugnaten. fìlius q. Doni Ugolini de Flisco Comitis Lavanie. Dagli alti di Simone Vatacio pag. 2. (1) (Archivio dei Not. Genova ). (1) Della illustre ed antichissima famiglia de' Fieschi Conti di Lavagna oltre il presente Sorleone Canonico, furono Vescovi di Brugnato nel 1200 Sinibaldo zio d'Innocenzo IV, nel 125i Bai- duino, nel 1502 Lorenzo, e forse era di questa famiglia anche il Guglielmo Vescovo del 1230 che altri vogliono di famiglia Contarda, poiché s'intitola: Ego Villìelmus de Lavania elcclus Abrunialensis in atti di Januino de Predono pag. 302 anno 1234; come il Balduino che si dice Bonus Balduinus de Lavania elcclus Brunialensis , in atti di Guglielmo Vegio pag. 162 arch. de' Not. Genova. Similmente Nicolò Fieschi q. Thedisii prometteva nel 1288 al Vescovo di Brugnato Arduino di salvar gli uomini di Brugnato in atti di Rolando di s. Donato ( Federico Federici Abbeced. delle famiglie nobili ). Il detto Nicolò che nel 1276 fece la ven- dita al Comune di Genova delle terre che possedeva nella Ri- viera di Levante, eccettuò Brugnato, di cui non era che un vice dominus per le cose temporali , postovi dal Vescovo vero Signore di tutta la sua Diocesi : exceplo jure vicedominalus quod habeo seu habere consueti in Brugnale seu Episcopalu Brugna- 35f 1294. 22 maggio. Da islrnnienio di questo anno e giorno registrato in un libro antico deirArchivio Epi- scopale di Brugnato segnato B si ricavano i nomi di cinque Canonici di quella Cattedrale allora tutti vi- venti , e sono D. GulUelmi Archipresbylerì Bru- gnateji., D. Alberli de Lavaiiia, Presbyteri Alberti de Pastino, Presbyteri Henrici de Castelliono (1), Presbyteri untomi de Neo de Clavaro Canoni^ corum Brugnalen. 1 295. 7 giugno in detto Libro: Fr. D. Sorleoniis mise- ratione divina Brugnaten. Episcopus et Giiillehnus ^rchiprcibyter diete Ecclesie nomine nostro et jw- mine diete ecclesie et totius Capitali damus titulo locationis etc. 1296. Donus Sorleonus miseratione divina Bru- gnaten. Episcopus nomine suo et nomine et vice ecclesie palatii et Capitali Brugnaten. nel citato li- bro fol. 8. a tergo. 1303. 12 giugno in alti d'Ambrosio de Rapallo pag. 132 ( Archiv. de' Not. Genova ): Nosfr. Simon Dei gratin Episcopus Brugnaten. De te Presbitero yilberto de Pastino Canonico Brugnaten. plenam tensi prò Episcopo Brugnalcnsi. Vedi lib. Jurium della Biblici, della R. Uiiiversilà di Genova pag. 307. Nel 1313 gli eredi q. Doni Nicolai de Flisco avevano ancora casa in Brugnato, come si rileva da un allo di locazione di dello anno esislentc nel- l'archivio Episcopale di Brugnato. (1) Questo Enrico di Castiglione era anche canonico di Santa' Maria di Castello , e Chierico di Camera del B. Giacomo da Varazze Arcivescovo di Genova, come si può vedere dagli alli di Corrado Stefano p. 82 e 92 (1297) in ardi, de' Not. Genova. 352 in Domino fiduciani obtinentes eie. Lo elegge in suo Vicario Generale. ■1307. 8 gennajo, in atti di Corrado de Castello ( Archiv. de' Noi. Genova): Preshyter Henricus de Castelliono Canonicus Brugnaten. conimisit vices suas Ven. P. B^o fr. {\ ) Simoni Episcopo Brugna- ten. Si trattava di provvedere di Ministro una chiesa spettante ad provisionem seu colladoneni dicti Doni Episcopi et Capitali Brugnaten. ibidem. 1307. 21 luglio in atti del suddetto Corrado pag. 278: Bernardus de Tivegna Archipresbyter Ecclesie Brugnaten. et Preshyter Henricus de Ca- stelliono canonicus diete ecclesie Brugnaten. visis litteris et processa Presbiteri Jacobi de Zignaculo Canonici Brugnaten. super canonicatu et prebenda ipsius ecclesie Brugnaten. etc. (2) 1313. In nomine Do"i Amen. Cuni ecclesia Sancii Petri de Brugnato vacet ad presens canonicatu per morteni bone memorie Presbiteri Guillelmi olim (1) Questo Vescovo non si trova nella cronologia Brugnatense, ma è esistito veramente ed io ho trovalo di lui, oltre questi due, un altro atto di locazione nel lib. citato segnato B nel- r archiv. Episcop. di Brugnato al foI..3i dell'anno 1307. 17 sett. (2) Dell'Arciprete della Cattedrale di Brugnato dell'anno 1579 non se ne avea più memoria, per quanto appare, e il Vescovo Nicolò Mascardi inslitui in detto anno l'Arcidiaconato, confe- rendo questa prima dignità del Capitolo al Canonico Simon Martelli (dal libro del Capitolo). Così pure in questi ultimi anni il Vescovo Scarabelli ha institulto la prebenda teologale, ma ho trovato negli alti della Cancelleria di Brugnato del 1652 la collazione del Canonicato ossia prebenda teologale conferita a Pietro Maria Martelli maestro di sacra teologia. Ivi è la bolla di Papa Innocenzo X., l'alto d'immissione in possesso ecc. 353 Canonici diete ecclesie, et nos Jacohus niisera- tione divina Brugnaten. episcopus volentes prò- videre de futuro canonico ne dieta ecclesia in tem- poralihus et spiritualibus dampnum pati^tur, feceri- mus requiri Canonicos nostros et diete ecclesie qui dieta termino coniparerent corani nobis in ecclesia Sancti Geminiani de Pontremulo cum ad predi- etani ecclesiani de Br ugnato adire non valeamus propter guerrarum discrimina ad eligendum et prò- videndum de futuro canonicatu et nullus compa' ruit in termino , et post terminum diutius expecta- \nmus eos nemine compareìì te j proinde nos prefatus Jacohus Episcopus ad honorem Dei et beate Kir- ginis Marie et beati Sancti Petri eligimus et no~ niinaxnmus in diete ecclesie Canonicum discretum virum Dompnum ^jitonium . . . Bogerii de Pon- tremulo, et inde Dompnum ^ntonium . . . rece- pimus cum osculo pacis et eumdem de dicto Canoni- catu , beneficio et prebenda que et quam Presbyter Guillelmus obtinebat investivimus cum nostro anulo in manibus imponentes, de quibus etc. in millesimo CCCXIII. Return in Ecclesia Sancti Geminiani de Pontremulo die ii. Junii. ( Dal sopraciuilo libro del- l' Archivio Episcopale di Brugnalo fui. 27 ). Col mezzo di tulli questi documenii, ognun vede clic resla ad evidenza provalo, e forse più che il bisogno non ri- chiederebbe, essei-e siali sempre nella Caliedrale di Brugnalo Canonici e Capitolo. Passiamo ora a vedere, seconda parte del mio assunto, che il medesimo Capitolo costumò ad eleggersi il proprio Vescovo secondo l'an- tica disciplina della Chiesa. 354 Per non essere sovercliiamenie prolisso mi ristrin- gerò a qui riferire la bolla di Giovanni XXFI data da Avignone l'anno 'I32'l addi ]6 gennajo , diretta al Vescovo Gherardo il quale fu l'ultimo eletto dal Capitolo Cattedrale di Brugnato. In essa bolla primieramente si ricava , che Franciscus Filius quondam lohannis ^llegrini Presbyter Bruniaten., cuiii omnes eius- clein Canonici tane ab eaileni ecclesia ahsentes es- sent , nec ibidem sine personarum suaruin periculis tute residere valerent , falso asserens se fore eccle- sie predicte Canonicum , cum non esset, et ad eum, ea vice jus eligendi Episcopum pertinere, Rectorem ecclesie de Cazana Bruniaten. diecesis de facto cum de iure non posset , in episcopum Bruniaten. elegit. La quale elezione il Rettor di Cassana avendo accettata, fu poi dichiarata nulla ed invalida dal Metropolitano di Genova che era fr. Forchetto Spinola. Seguitiamo la bolla : Deinde vero dilecti Jilii Capitulum ipsius ec- clesie dilectum filium Bernardum ^bbatem mona- sterii Sancti Siri Januen. ordinis Sancii Benedicti tunc in Romana Curia existentem concorditer ele- gerunt , dictusque Abbas huiusmodi electionis per procuratorem dictorum Capitali in dieta Curia sibi presentato decreto eidem electioni renuit consentire. Qui è chiaro che i Canonici ossia il Capitolo Catte- drale di Brugnato passò ad eleggere in suo Vescovo l'Abbate Bernardo, elezione del lutto legale e con- forme all'uso fino allora praticato, e su cui niente ha che dire lo stesso Papa Giovanni XXII. Ma non avendo il nominato Abbate, che da un dizionario storico MS. 355 della Bibblioleca Civica di Genova è supposto di Famiglia Garbarina, voluto accettare, il Capitolo di Brugnato nominò Fr. Gherardo dell' ordine de' Minori, il quale avendo rassegnato nelle mani del Pontefice r elezione del Capitolo, fu dal medesimo confermala, come si osserva chiarissimamente dalla riferita bolla : Dictique Capitulum postmodum te orclinein fvatruni ininorurn expresse professum et in sacerdotio con- sLitian in eorum et diete ecclesie Bruniaten. epi- scopiun et pastorem concorditer elegerunt. Questa bolla è nel Registro Vaticano Epist. 355. Il Wadingo la riporta nel Tomo 6 pagina 557. E l'Ughelli quando dice che Gherardo fu eletto Vescovo dal Capitolo di Brugnato cita il Registro Vaticano, e si sa, e potea ricordarsene il Semeria, che l'Autore udì' Italia Sacra avea veduto il detto Registro (i). Così dal fin qui detto mi pare rivendicato abbastanza l'Ughelli dalla taccia di erroneità che il Semeria dava alla asserzione di lui, e provato ad evidenza i due assunti che mi proposi di provare. Ma già che ho, come si suol dire, le mani in pasta io soggiungerò che esistevano Canonici ancora (1) Qui noterò di passaggio die lio buona ragione a credere col medesimo Dghelli che Landone Plancio Vescovo di Brugnato nel 1390 sia stato Canonico di quella Cattedrale, atteso che l'Ughelli cita il lib. delle dignità e provvisioni de' Prelati ; laonde è da correggersi il compilatore della Cronologia Bru- gnatcnse, il quale nella falsa supposizione che non esistessero Canonici nella Cattedrale di Brugnato prima del 1512 invece di dirlo con l'Ughelli Canonico della Cattedrale, lo chiamò Cano- nico della Metropolitana di Genova. 356 nelle due Pievi della diocesi di Brugnato, cioè in quella di S. Antonino di Castiglione , e nell' altra di S. Stefano del Ponte di Sestri. Devo però far osser- vare die la Pieve di Castiglione cessò d'essere della diocesi di Brugnato Tanno \b\9 all'epoca che il Ve- scovo Sauli la permutò con la pieve di Sestri diocesi di Genova , la quale allora cominciò ad esser della diocesi di Brugnato. Per ciò che riguarda la Pieve di Castiglione io ri- porto il seguente documento estratto dagli atti di Mae- stro Salamene pag. 70 nell'Arch. de' Not. Genova 1235 29 settembre. Nos Gulielmus Dei gratia Bruniaten. electus et confirmatus in Bruniaten. Episcopuni , ratificamus venditioneni quani fecerunt tihi Gui- rardo de Capellana Calegario , Paganus ^rclii- preshyter de Castellano, et Canonici eiusdem Plehis de terris positis in dicto Plehatu. Con due documenti, che ho a proposito, dimostro che nella Pieve di S. Stefano di Sestri non solo furo- no Canonici, ma di più che vi era Capitolo-, il pri- mo documento parla dell' elezione da farsi di un Ca- nonico in detta Pieve ; il secondo è l' atto con cui i due Vicarii Generali dell' Arcivescovo Ottone confer- mano r elezione del Canonico fatta dall' Arciprete e Capitolo della Pieve di Sestri, •1239 die 23 januarii. Nos Riihaldus Prepositus Januen. et Jacohus Ca- nonici Plehis de Sigestro conjerimus tibì Ugoni Ar- chipreshytero diete ecclesie vota nostra et voces no- slras ad eligenduni Canonicum in dieta plebe (In atti di Maestro Salamene Archiv. de Nolari Genova). 357 1239. die 5 februarii. Wos Ruhaldus Prepositus , et 31a£Ìsler Johannes ^rchidiaconus Januen. Domini Oltonis Januen. .Archiepiscopi Picarii , concordiier conjinnamus et approhamus et raLÌJicamus electio- nein concorditer factam per .Archipreshylerum et Capitulum Plebis de Sigestro, de Graciolo Clerico et filio Calvi de Petra Ruhea in Canonicum et fra- trem diete Plebis ( la atti di dello Maestro Salamo- ile pag. \66 ). li nominarsi qui Capitulum Plebis de Sigestro potrebbe forse servire a provare che propria- mente od impropriamente si possono chiamare Capi- toli anche i Canonici delle chiese Collegiale , tuilocchè ì Capitoli delle Chiese Cattedrali abbiano maggiori attribuzioni, e formino il Senato de' Vescovi (1). Si os- servi ancora che la Pieve di Sesiri di cui si fa men- zione è precisamente la Pieve di Santo Stefano del Ponte di Sesiri : Plebs Sancti Stephani Pontis Sige- stri (2); imperciocché la chiesa di S." Maria di Nazaiet dove nel 1755 fu eretta 1' insigne Collegiata da D. Domenico Talis Vescovo di Brugnato, non cominciò ad esistere che come semplice Cappella nel 1403 fab- (1) In atti di Federico de Sigestro pag. 31 dell'anno 1229 si trova un compromesso fra i Canonici di Castello e di s. Giorgio di Genova , con queste parole : nomine Capituli et Ecclesie Sancte Marie de Castello. E In alti di Conrado Stefano 1297. U luglio p. 93 si legge: Nos Ventura Prepositus Ecclesie Sancti Adriani de Trigaudio Sindicus seu Procuralor Canonicorum site Ecclesie et Capituli diete Ecclesie ( In ardi, de' Noi. Genova ). (2) Negli atti della permuta di questa Pieve con quella di s. Antonino di Castiglione riportati anche dall' Uglielli. Il Giusti- niani lib. I. dice: E fra le dette ville, un poco sopra il ponte, è S. Stefano quale è la Pieve di Scstri. 358 bricala col consenso di Pileo de' Marini Arcivescovo di Genova , la quale fu ampliala nel \ 422 ^ rifab- bricata nel -1616; perfezionala del tulio e consacrata nel 1624 da fr. Vincenzo Spinola Vescovo di Bru- gnaio, il quale in essa trasferì il gius Parrocchiale, che era avanti nell'amica chiesa di S. Nicolò, Rettoria ivi dell' Isola. Così l'Accinelli Liguria Sacra Tom. 1 pag. 437. MS. esistente nella Bibblioleca Civica di Genova e in quella de' Missionari Urbani. DOMENICO ZOLESI Abbate di S. Maria dell'Àccola di Brugnato «!SK3S8GK5€8Sffi8»aQS^2IO<30CK>?^^ DELL' ARCHIVIO STORICO ITALIANO DI FIRENZE E DI UN TESTO DI LINGUA EDITO IN GENOVA All'Egregio Prof.' Rebuffo dell' Universilà di Genova Io la ringrazio, professore carissimo, della buona accoglienza che le piacque di fare al mio discorsino intorno al volume quinto dell' Archivio storico, veduto da lei sulla coperta della Mivista Ligure. Certamente, se parlassi a chi volesse intendere, T archivio storico troverebbe efficacissimi aiuti, che è opera degna di colta nazione, promettitrice di assai beni; ma se non valgono le potenti ed autorevoli parole del Giordani , vorrebb' Ella pensare che fossero per valere minima- mente le mie di troppo basse , e d'ignoto ? Che dun- que, gridi? dirà il buon prete Rebuffo; che gridi, se già non hai chi ti ascolta? Grido perchè mi par che sia bene; e se tutti a cui bene paia gridassero, il duro sonno in cui sono immersi ì tantissimi si rom- 3B0 perebbe. Veggo non curanza di libri, come di tutto che essere possa produttore di civiltà, ma se non m'illudo, alcuni tuttavia pur sono che si metterebbero a raccogliere de' beni se altri si ponesse ad accennarli ; e con ragioni e con argomenti irrecusabili assicurasseli che que' tali non fallissero di bontà. Io per me fra r altre cose cotesto Archivio storico stimo opera piena di utilità presente, produttrice di beni agli avvenire, che io voglio sperare meno incresciosi de' nostri con- temporanei a meditare nelle azioni de' nostri vecchi per cavare ottime e sicure conseguenze precettive di un bene futuro. E veramente sia per la storia civile e politica, sia per la lingua e per ciò pei pensieri (che dove non è lingua non è pensiero); sia per la pubblica economia accennano i pubblicati volumi a quanta ricchezza di sludi ci vogliano condurre , o quanti materiali crescere, per bene aggiungere al giudizio degli statistici anche il nostro, a miglioramento delle generazioni che verranno. Ella vide quanto bellissima per fatti e per lingua purissima e per stile candidissimo sia la storia del Pitti; quanto importante per candore e di narrazione ed abbondanza di avvenimenti sia il Diario di Siena; quanto ricche di notizie di costumi de' privati, di valori di cose, di imposizioni, di tas- se, fossero le Cronache Milanesi; quanto singolare e magnifica la storia secreta del Foscarini , e stupen- dissima la nota o il registro degli scritti raccolti da quel veneziano,- i quali soli sono indispensabili a chi- unque voglia pur scrivere di storia in questa Italia nostra. Se V archivio non avesse dato di buono che 361 quel registro avrebbe già dalo una gran cosa ! e nel- r avere per aiutatore alla compilazione dell' opera r autore di esso sarebbe già una rispettabile guarenti- gia, che il pubblico non sarà tradito nelle sue maggiori aspettazioni. Ma Ella, mio caro professore , ha già ben visto oltre a ciò, nell'Archivio, curiosissimi ed impor- tantissimi documenti, inediti sin qui, e schiarenti o pubblicanti di nuovo fatti grandi e singolari della pa- tria nostra; ha conosciuto di quanto sia per essere cresciuto il patrimonio della lingua cogli spogli da farsi del Pitti, del Sozzini e di altri minori in que' volumi esistenti , da me per brevità non memorati. Il quale èmmi paruto noo piccolo nelle Memorie domestiche, agricole e forensi di Guido dell.i4ntella, Cristofano Guidini, e Odorigo di Credi i quali scrissero degli affari loro dal 1298 al 1405; e furono stampati nel quarto Volume dell'Archivio istesso insieme ad otto vile di Vespasiano Bisticci fra le quali la non oscura né di poca utilità quella di Filippo degli scolari, dello Pippo Spano generalissimo d'Ungheria, accusato da qualche storico Veneziano, ora in quel volume stupendamente difeso con uno scritto di una bellezza non comune in questo secolo di prosunzione e di vanità senza pari. Dopo la quale anche nobile molto e per rischiaramento storico prodotto da valenii documenti slimo sia quella di alfonso Primo d\Àrragona e di Sicilia sopranominato il Magnanimo ^ di che taluno pose dichiarazione e note molto prudenti. Io per me tengo e spero che, chiunque vegga e sludi addentro a que' volumi, terrà \ Archivio storico 362 opera di molto aiutamento agi' ingegni sì per le cose che reca, si per li modi con cui le reca, sì per la savia erudizione di che son piene le prefazioni , le illu- strazioni, i richiami de' cooperatori. Onde coscienziosi molto e benemeriti si troveranno Polidori, Capponi, Gar, Canestrini, Milanesi, Bigazzi, Del Furia i quali posero ingegno e diligenza infinita nel sopperire a tutto che gli autori o gli atti da loro pubblicati potessero far desiderato ai lettori ed agli studiosi. E quel che mirabile è ( debito per altro e naturale ai savi, ma per isventura ben raro tra noi per le cagioni che voi, professore, ben conoscete ), ninna di quelle scritture aggiunte a schiarimento od erudizione ha quel- r aria di arrogante autorità che ninno pazienta, eppure molti sono costretti patire. Si vede vero : que' signori Ae\Y Archivio lavorare non per sé, ma per gli studio- si, non pretendere di voltare a sé le menti de' lettori, ma alle cose che presentano a studio; vogliono in som- ma dare da meditare per nostro utile, non per loro gloria. Ma gloria avranno quei generosi, e non poca, se noi non avviliremo in questo fango in cui ci tenia- mo, e deridono gli stranieri; vergogna grande d'Ita- lia, che accennando alle sue nobili ed antiche memorie non ha una volontà che la tragga a rinnovarle e ri- peterle. Gli Italiani passati furono illustri : ciò diciam noi; ma noi che siamo, quanto valiamo? Non è opera; manca il giudizio , anzi I' argomento del giudicare. Sebbene, in vedendo tanta gioventù marcire igno- miniosamente nell'ozio e negli stravizzi (poiché siamo venuti in tempo di prova a chi più sa empirsi i' epa 363 di cibi e di vini 1 ) sebbene dico mi sema addoloralo e sdegnoso della educazione vilissinia che si* dà alla presente generazione, lutlavia non dispero che tanio malanno si rompa; s'egli è vero, come alcuni gene- rosi vanno insinuando, che la virtù negl'italiani ancor non è morta. Ma che ci resta per trarre a salute tanti infermi spacciali? o quanti rimedi abbiamo, o quanta forza di essi, o quanti siamo a curare? — Comprenda, 0 caro Rebuffo, che a considerazione di ciò, io non sarei biasimato se cadessi d'animo affatto. Perchè mi pare che i mezzi pochi e pochi gli operanti , rimane ancora il pericolo si sBducino i benvoglienii quando veggano durata invano l' insistenza a che i necessitosi prendan rimedio. Al che veramente non sarei io, ove mi sen- tissi una qualche potenza di essere, esempio formida- bile a ben fare , valendo gli esempi assai più che le parole-, anzi essi soli valendo-, e se le piace, anche non sono: conciasia che sono fatto per la speranza, e non pretendendo a voler tutto nel presto , in questa faccenda massima della civiltà , sto fermo nel desiderare che i pochi sforzi de' generosi non siano vani e non lascino impietrare gli animi. Veramente qua e colà per Italia è qualche segno di vita : si compongono storie municipali , provinciali , di regni , di ordini ; si imprimono le ecclesiastiche nuo- vamente; si stendono biografie; si discutono asserzioni ed opinioni di storici; si pubblicano documenti, crona- che, memorie: dai pochi non dormienti, non infin- gardi si vuol leggere più chiaro, più intero, più vero. 1 romanzi storici hanno iniziato il volgo a desiderare 3G4 la storia ; e buon per noi che non potuti essere molti come son nati, non hanno guastato il gusto che pur ci bisogna per trarre utilità da quello letture. GÌ' in- telletti fuor della mediocrità guardan più alto. L Ar- chivio storico italiano mostra che oltre al desiderio del bello è anche il desiderio del buono; le Relazioni degli ambasciatori veneti, e d' altri principati, i Documenti di storia piemontese , la ristampa dei gran Volumi degli Scrittori delle cose Italiane editi da Giuratori che si va a principiare con idea grandio- sa di crescerli ad alto numero nella capitale del mondo , e simili imprese toccano 1' animo soavemente ; e pare che presagiscano buona ventura di studi. Contemporanei alla storia sono i volumi che riguardano le scienze esatte e lo scrivere. Quindi le opere tutte di Galileo, di Leon Battista Alberti ( del quale per altro non posso credere il trattato della famiglia che per ora è di Pandolfini , certamente più vecchio dell'Alberti essendo che quegli era ne' 38 anni quando costui venne al mondo), le opere tutte di Dante Alighieri; le stori- che, morali e varie che la nuova società leste eretta in Firenze presume di pubblicare; la nobile ed ap- plaudita produzione di Ottavio Gigli per tutti i testi di lingua che portino materia ecclesiastica, ridotti da lui specialmente ad una correzione che non ha pari; gli atti di parecchie accademie; le cure di qual- che buono giornale i moti del congresso italia- no par tutto ci dica : sperate , sperate : forse il sonno si rompe, e se una volta questi pigri si levano, si moveranno al debito loro. 3C5 Ma ad ottenere che desti si levino, voglionsi molti sforzi e molti aiuti, non tutti spirituali! ond' è clic chiunque vegga giustizia del bene deve accontarsi con chi intende procurarlo alla patria. Né a questo basta la voce ; ma la penna e il denaro. I ricchi dovrebbero comprare per aiutare i promotori delle pubblicazioni d' opere buone a crescere in studio e volontà 5 com- prare per leggere e conoscere il fatto e il da farsi . comprare per far leggere a chi non può per suo pri- vato , contentare l' onesto desiderio d' imparare. Quando saranno veramente colti gì' ingegni , veramente dotti in iscienza, vedrassi mutato l'insegnamento, mutati i metodi-, guidale le generazioni a vita migliore. Fran- cia, Germania, Inghilterra hanno già visto che altri essendo i bisogni de' popoli , altra educazione ed altra istruzione dare; si debbe alla gioventù; e ci vanno in- nanzi. Non mutare i cibi quando è mutata 1' età della vita è rovinare l'esistenza dell'uomo. Ritrarre un'età addietro è impossibile. Prudente è proseguire secondo vuole natura e la presenza di circostanze indestrutti- bili. Delle quali noi non dobbiamo essere ignoranti, se pure abbisogniamo di vivere co' popoli che le carez- zano. Vedere gli altri incivilirsi a forza d^ studi d'ogni sorta ] e voler noi rimanere inerti e ne' gradi infe- riori, ricusare e respingere i prodotti dell" intelletto, perchè sono di strani, impotenti noi od inabili a pro- durre, è stoltezza. Se le ricchezze materiali degl" ita- liani furono e sono pel commercio dei prodotti del- l' agricoltura e dell' industria co' popoli stranieri ( e commercio è non nel solo dare ma nel dare 0 366 nel ricevere ) , così anclie le ricchezze intellelluali hanno la medesima cagione; e chi è bene doito di filosofìa e di storia non può negare. Anzi è ben chiaro che il più misero de' popoli è quello che fa meno cam- bi (1); il più ricco quello che studia più e più cambia con altri. Se impediremo agl'italiani il commercio intel- lettuale cogli stranieri, li ridurremo anche miseri di beni materiali : che il calore si produce dall' attrito ; non emana spontaneo dai corpi; e dove non è calore , non è vita. Perciò non è da savio pretendere che siano impediti di entrare i libri stranieri, col pensiero che i nostrali crescano ed abbian fortuna; o con quello che non entrino hbri di morale guasta e pericolosi alla religione ed allo stato. E di vero, che timore ab- biam noi delle armi taglienti, offensive senza dubbio, pericolose, e che cominciamo a maneggiare sin da ragazzi, e che non dimettiamo per quante volte ne rimaniamo offesi ! Col poco male che per ignoranza o inavvertenza patiamo , quanti servigi di comodi e di utilità quelle armi non ci danno? E non ce le fabbri- chiam noi in casa nostra .'^ Perchè non è forse un uomo solo che in vita sua non siasi ferito più o me- no leggermente , saranno a sbandirsi le armi tutte ? Quindi assai armi facemmo, e facciamo venir di fuori noi, che non possiamo averle di eguale bontà da' no- stri artefici, che ignorano il magistero dell'opera, o per- chè ci mancano in casa le buone miniere (2). Chi avrà (1) Questa è sentenza troppo assoluta e non sempre vera. (2) Questo paragone dell'anni co' libri cattivi non quadra qui troppo bene, perchè dalle armi ce ne viene utile, spesso 3C7 ora il coraggio di impedirne l' entrata in Italia e privare cosi di un bene il paese che non può farle del pro- prio ? Or dunque abbiam noi italiani la mente così fe- conda che ci partorisca tutto lo scibile umano? ab- biamo noi così fino l'intelletto da capire quello che ci bisogna del viver civile senza domandarne consiglio ad altrui ? Non è popolo niuno della terra che pretenda a questa prerogativa : ciascuno consulta il vicino ; cia- scuno vuol sapere come il vicino stia per quella bene- detta ragion del commercio. Ma io ho portato quel materiale paragone dell'arme, solo per mostrare che non si debbano proibire i prodotti stranieri per lo spe- cioso titolo che dagli stranieri ci si mandano libri cat- tivi o pericolosi. Io in vece sono ben persuaso , e chi studia davvero lo sarà meco, essere la quantità de' buoni libri francesi , tedeschi , inglesi superiore d' assai alla quantità de' cattivi. E per questo non s' ha da impedire il commercio de' libri, ma stare sull'attento che non entrino i malvagi, al che sono le censure politiche e religiose. E perchè il più nasce dal più, e la grandezza dal grande, se vorremmo crescere in ricchezze intellettuali, in civiltà, lascieremo entrare quanti libri vorranno venire (dico buoni), ne doman- deremo noi Slessi agli esteri , e faciliteremo il com- mercio di essi con ogni prudenza possibile. Se Dio ha maggiore del male, dai libri cattivi non ne può venire clie male : nctno dal quod non habcl. Ci mandino dunque gli stra- nieri i loro libri buoni e se ne faciiili l' entrata, ma sia ad ogni costo preservala l' Italia dai calUvi dei quali, come di buoni, tanti se ne stampano all'estero. L' EDITORB 368 dato agl'italiani ingegno e forza di pensiero, studiando le opere ed i trovati degli altri popoli, riusciranno a porsi eguali a loro, e se si vuole anche a superarli; ma se impedite o ponete ostacoli al commercio libra- lio, siamo spacciati. Quando Carlo Magno volle incivilire i suoi popoli portò loro i libri degl'italiani e gli uo- mini di questa penisola, che allora era la meno rozza del resto. Così fecero gli antichi riguardo ad altri po- poli e così i più moderni I I quali se altrimenti avessero fatto non avrebbero lasciato alcun sentimento di rico- noscenza ne' popoli, e il loro nome non si troverebbe nelle storie lodato. Noi stessi italiani da chi ricono- sciamo il sapere che per lo passato ci fece illustri nel mondo? da noi stessi no certo! e, se non l'avemmo noi da noi slessi , se poi acquistato da altrui il comu- nicammo a chi n'ebbe bisogno, vorremo ora che ne manchiamo non domandarlo a chi '1 possiede, respin- gerlo se ce l'offrono? Io veggo bene, o professore egregio, che inorridi- sce a questa idea; la quale, meditato che ogni cosa si logora e dal suo stato declina, ci condurrebbe pre- stissimo ad una completa barbarie. Ma per fortuna ab- biamo leggi di governo che rifuggono da tale princi- pio, e la natura nostra ad esso nemica. Per buona sorte tutti sanno che per avere abbondanza di beni materiali, e comodità della vita con minori fatiche è necessario che molti siano istrutti, quali più quali meno, in iscienze; e che le scienze s'acquistano dalla comu- nione degli uomini d'ogni lingua, d'ogni stato, d'ogni condizione, d'ogni religione che il mondo abbia : per- 360 « elle se altrimenti fosse, gli slati della Chiesa commer- cierebbero coli' Africa e coli' Asia, coli' Inghilierra e colle Americhe ? Ma trapassiamo ad altro : e sappia che io sono ben lieto del vedere che anche in Genova alcuno vive che accarezza i libri di antica sapienza, e quelli che fanno testo di lingua ; come il suo Grassi ha mostrato, ora è poco , stampando quell' esemplare di semplicità di stile che è nella Dottrina spirituale e nelle lettere del B. Gio : Colombini -, le quali piacer debbono certa- mente non tanto alle persone studiose delle prime età della lingua, quanto alle ascetiche per le quali specialmente sono scritte; e s'egli, il Grassi, ci dona qualche scritto di Domenico da Monticello parrai che egli aggiungerà nuovi motivi di aver lode dai cultori del bel dire; im- perocché sebbene il branctto di epistola di esso, che ei ne ha dato, sia molto piccolissimo per fare un giu- dizio dello scrittore ; ciò non di meno ardisco dire che non avrà ad essere inferiore al Colombini. Al che per altro oserei lasciare quello che forse ha già tolto, come al Colombini, certe dizioni proprie del secolo in cui visse l'autore, e che sono l'impronta dell'ori- ginalità, e più che una volta necessarie. E valga il vero: a pag. 104 lin. \1 (del Colombini, Pellas 1843) trovò: se non solo il spegnere il fuoco , e corresse: se non solo lo spegnere^ senza accorgersi di quel brutto lo-lo che l' autore aveva evitato. Né il Grassi rifugga alla ragione della s impura (come ha fatto al caso di preposizioni ) vieta e inutile siccome io co' miei avvertimenti gramaiicali (Piacenza 1839, ora 370 spacciati ) ho dimostrato a pag. 212-, a pag. 26 lin. 7 tro- vò : In tutti li vostri esercizi j e mutò : in tutti i vostri ecc. senza vedere eh' egU ponendo due i vicinissimi li metteva in pericolo di essere confusi da un cattivo pro- nuncialore, il che forse aveva l'autore preveduto. Es- so li aiutava spesso gli antichi in questa faccenda del suono. A pag. 21 lin. 9 era : chi e dunque colui che dica d amare il suo prossimo che li sta lon- tano? il Grassi corresse quel li in gli, e non si av- vide essere possibile per via del che precedente (poi- ché Vh si aspira) pronunciarsi ch'egli, e far sen- tire uno sproposito. Corresse ipocrito in ipocrita-^ eppure la voce era buona, e la può trovare notata dai Vocabolari e dalla Crusca, la quale ne ha tolto un esempio dal commento al canto 23 dell' inferno: e aggiunse in più luoghi il non al mai perchè espri- messe negazione , e certo non era d' uopo , avendone esempi in Boccaccio non pochi. Così aggiunse il che all'accio e fece soverchio 5 e V. S. ben sa quanti ec- cellenii autori, e tutti gli egregi, possano darne a chi li cerchi. Piuttosto doveva correggere il nostro in vo- stro a pag ] i 9 lin. \ 2 per la stessa ragione che ugualmente corresse a pag. 101 lin. 13, essendoché parlando a monache di Cristo, questi è sposo vostro e non nostro. Del resto, mi pare, eccettuati gli er- rori che saranno stati de' copisti, o di chi mal lesse l'antica scrittura, tutto l'originale avrei serbato nella sua essenza (e tanto serberei nel Monticello) notando, se cosi piacesse, a pie di pagina la moderna maniera. In tal modo ciascheduno lettore, ciascheduno studioso 371 conoscerebbe le variazioni patite dalla lingua e giudi- cherebbe della maggiore o minore bontà dei due dati al paragone, e ancora avrebbe modo ad affinare il giudizio esercitandosi nella critica. E vero per altro che il sig. Grassi diede innanzi all'operetta, otto pa- gine di variazioni in essa introdotte, onde chi voglia, possa fare confronti-, ma avend'io già sopra parlato dell' estrema pigrizia de' nostri giovani allo studiare, il sig. Grassi mi perdonerà se non mi sto contento al suo partito. E perchè m' ha udito suo lodatore innanzi, spero che pel desiderio in lui certo esistente, che quanto producesi agli studiosi abbia ad essere dato perfetto, prenderà in buona parte se aggiungerò un mio dubbio intorno ad un passo dell'epistola 2.' a suor Caterina e alle monache gesuate. Il codice aveva — « Care suore secondo il parentado del mondo e adesso una cosa medesima secondo lo spirito , chi sarebbe colui che potesse imaginare i beni grandi che Cristo dona all'anima chel ama, quando esso per sua carità la visita ?» — Quel chel fu rotto da P. Buonafede in che /' cioè : la quale anima ama lui Cristo; e dal sig. Grassi inleso: che egli ama, cioè : la quale anima egli Cristo ama. A me pare che il diritto sia col Buonafede con ciò sia che in tutta la lettera si discorre dei beni che godono quelli che amano Cristo, che seguitano Cristo, che si fanno tener pazzi per Cristo , che hanno aspettato con letizia la morte per amor di questo Cristo (p. 59); e vi si tocca la riconoscenza del bene con amar lui e volei' per lui aver ogni pazienza in quello che ci spiace per- 372 che nessuno segno gli possiamo veramenle mostrar d amarlo. Poi considerando che cerca di eccitare nelle sue suore l' amore a Cristo deve necessaria- mente accennare ai beni che Cristo dona a. chi ama lui, per metterle in sicurezza che non ne avranno, se non l'ameranno. Del quale mio dubbio giudicherà Ella, professore egregio, e quelli che mi leggeranno in questa lettera, che mi è caro dirigerle pubblicamente, perchè racco- mandi a' suoi concittadini le opere italiane, special- mente le storiche, e per la lingua; e singolarmente quelle che si vanno pubblicando H^Varchivio di Vieus- seux ben degno che un'impresa cosi nobile ed illu- stre abbia dovunque chi le procacci protezione ed aiuto. 'Stia sano e lieto e mi gradisca Piacenza, 4 dicembre 1843. jdff.'"" e riverente a V. S. LUaANO SCARABELLl &mm'i^^mi'^^®nmmmiimsmmmm&mm^&m^Mm.m®m IL PRIGIOMERO APOSTROFE ALLA LUNA DAL TEDESCO Sorgi, deh sorgi, o vereconda luna Che pei campi del cielo azzurreggiati Brilli in soave albori Sorgi, o pietosa, Conscia del mio dolore, e della notte La mestizia dilegua. In strania terra Cerchiala da infeconde erme montagne. Dalla cava d' un orrido macigno Che alle nubi si spinge, io le pupille AOlso all'etra, e fra sospiri attendo Tua bellissima faccia. Ecco già rompe L' ombre gravose , e a me dolce si cala Il sereno tuo raggio illuminando Le amare stille di che innondo il volto. 0 benefica stella , io ti saluto ! Tu sola intendi il mio dolor, tu sola Mi guardi in terra, e i miei lamenti ascolli. S74 Dal suo mezzo precipita la notte, Giace il mondo in altissimo silenzio: Posa natura e chi da quella ha vita. Placido il sonno le pupille adombra Ed irriga di calma e di salute Ogni stanco mortale : ed io sol uno Invoco indarno il sonno. Ei sulle ciglia De' felici discende, e ferma l'ale Ove alberga la pace. Una quiete, Ma inferm'a e sconsolata, si dilTonde Ne' miei consorti di sventura. Alcuno, Nel suo recesso orribilmente opaco. Romper non osa di lunghe querele L' alto silenzio che sul career piomba. Chi siete voi, qua! meco empia vi trasse Sciagura al pianto? Qual celeste sdegno Qui insieme ne raccolse, o fato arcano? Gelido batte e impetuoso il vento Alla rupe solinga ; indi si tace. Ah tutto da me fugge e m' abbandona ! Ma tu non già, mia luna: il suo sospiro Confidar può a te sola il prigioniero. Ma che miro? E tu pur. Luna, mi lasci? Tu pure, o Luna, t'allontani, o cara Consolatrice ? Ah s' è destin che in cielo Tu mai non posi , il tuo corso immortale , Pellegrina tranquilla e solitaria , Segui, e la calma ad altri mesti arreca. A. GAGNOLI CONCLUSIONE Col presente fascicolo compie la Rivista Ligure il suo primo anno. Che i genovesi amino la verità non si è veduto mai forse più luminosamente che all' oc- casione della comparsa di questo giornale, perciocché, sebbene siasi presentato in pubblico la prima volta con volto severo anzi che no, pure da pochi cervelli leggieri in fuori che o non seppero intenderlo , o troppo facili s'erano dati a credere d'aver conGsca- to a loro profitto lo scettro delle lettere in Genova, o troppo peritosi non intendevano come dovendo pur guerreggiare ( eravi un altro giornale che si occupava di letteratura ) valga meglio essere assalitor che assalito, i moki veramente sapienti lodarono il coraggioso in- cesso, e così per favore di questi, non curando i primi, la Rivista potò seguitar francamente il suo cammino , ed ora si avvia confidente a novelli e migliori destini. Uscirà d' ora innanzi una sol volta al mese in fascicoli legati alla rustica di cinque fogli di slampa ogniuno, e l' assocciazione sarà di lire nuove piemonle dodici annue. l' editore INDICE DEL SECONDO TOMO Gli Asili (li Piacenza. Michele Erede Fag. 3 Teorema Geometrico. F. R » 33 La Prof na Commedia o le Società ( continuaz. ) Cesare l 37. 165 Masmi " ^ 227. 305 Aurora Boreale ecc. A. Colla ^^ Sulla malattia dello Scirro e del Cancro. F. B. Gherardi . » 54 Canti di Em. Celesia. Ag. Chiappori » 64 Annali di Livorno. M. G. Canale » 70 Biblioteca Sacra ecc. Michele Erede " '5 Idem. Pietro Giordani » 197 Lettera critica sulla nuova Tragedia del Sig. Ponsard — Lucrezia — Doti. Francesco Cadelatjo » 77 La Poesia , Satira. Agostino Cagnoli » 88 Estratto di memorie dell' Accademia di Torino. L. Z. Quaglia » 92 Saggi di Chimica minerale ed organica (fine) G. Botto ■ » 100 Talete. Nicomede Bian hi » 107 Coltivazione degli Oliveti in Liguria. Pasq. Ani. Sbertoli . » HI Della quinta unione degli scienziati Italiani in Lucca. Avv. M. G. Canale » 127 Idem. Ettore Costa » 173 Idem , ossia Reminiscenze in Lucca. P. Girolamo Botto . » 199 Necrologia. Avv. M. G. Canale » 129 Guida alle bellezze di Genova ecc. Michele Erede ... » 136 Idem. Luciani Scarabelli » 282 Nozione del punto matematico ecc. F. R • » 132 Economia. Michele Erede » 136 / Acqua di mare resa potabile. P. B » 19i I Sepolcri d' Ugo Foscolo tradotti da Dotelli. R. Paolo Re- bu/fo » 211 Dottrina spirituale del B. Gio. Colombini. Eni. Rosti . . » 221 Canzoni inedite del Chlabrcra. Avv. G. li. helloro ... » 2.12 Lettere del Cav. hertoloni » 2i8 Dell organizzazione delle casse di risparmio di A- Cresladoro. Michele Erede » 260 Poesie edite ed inedite di Agost. Gagnoli. Michele Erede . » 2C4 Vita di Gesù Cristo del Sac. A. Bacigalupo. Em. Rossi. . » 205 Di un raro difetto congenito. Doti. C. Curneliani. ... » 267 Degli Instituti di pubblica carità. Michele Erede .... » 29.3 Canti dell' Aw. Giuseppe Morrò . . . Id » 297 Opinione degli Egizj sul Dio Ammone. F. Ricardi ... » 299 Necrologia. A. B , . » 303 Della moneta antica di Genova ecc. L. F. Galla .... » 312 Dimostrazioni di alcuni errori ne' quali è incorso il P. Se- meria nella 2.» sua opera i Secoli Cristiani della Liijuria. Ab. Domenico Zolesi > ^.Vì Dell' Archivio storico italiano. L. ScaraMli » 359 II Prigioniero. A. Gagnoli » .373 Conclusione « 37.") S/ ./.i2>^ ^. jV. B. Nel precedente fascicolo a piedi della pag. 305, articolo necrologico di Felice Isnardi, la nota è dell'Editore. i«-^ '< % \